SAINT PETER IN THE VATICAN. THE MOSAICS AND THE SACRED SPACE

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MONUMENTA VATICANA SELECTA


CHRISTOF THOENES, VITTORIO LANZANI, GABRIELE MATTIACCI, ASSUNTA DI SANTE, SIMONA TURRIZIANI, PIETRO ZANDER, ANTONIO GRIMALDI

SAN PIETRO IN VATICANO I MOSAICI E LO SPAZIO SACRO

Introduzione di Sua Eminenza CARD. ANGELO COMASTRI

Fabbrica di San Pietro in Vaticano

Musei Vaticani


Sommario

Nuova edizione 2021 Copyright © 2015 by Editoriale Jaca Book Srl, Milano Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano Musei Vaticani, Città del Vaticano All rights reserved International copyright handled by Editoriale Jaca Book Srl, Milano Prima edizione italiana settembre 2015

Redazione dei testi Elisabetta Gioanola / Jaca Book La carta alla pagina 40 è di Manuela Viscontini La carta alla pagina 305 è di Daniela Blandino

Copertina e grafica Jaca Book / Paola Forini Selezione delle immagini The Good Company, Milano

Stampa e legatura Grafiche Stella San Pietro di Legnago (VR) dicembre 2020

INTRODUZIONE Angelo Comastri Pag. 7 PIANTE E SCHEMI ICONOGRAFICI Pag. 10 Capitolo primo INTRODUZIONE ALLO SPAZIO SACRO DELLA BASILICA Christof Thoenes Pag. 17 Capitolo secondo LETTURA ICONOGRAFICA DELLA BASILICA DI SAN PIETRO. IL MESSAGGIO ARTISTICO E SPIRITUALE DEI MOSAICI Vittorio Lanzani Pag. 69 Capitolo terzo LA DECORAZIONE MUSIVA DELLA CUPOLA GRANDE Gabriele Mattiacci Pag. 135 Capitolo quarto LE IMMAGINI CRISTOLOGICHE ATTRAVERSO UNA LETTURA DOCUMENTARIA Assunta Di Sante Pag. 167

ISBN 978-88-16-60631-9 Editoriale Jaca Book via Giuseppe Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48561520 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su

Capitolo quinto LE IMMAGINI MARIANE NELL’ARTE MUSIVA DELLA BASILICA Simona Turriziani Pag. 207 Capitolo sesto L’IMMAGINE DI PIETRO NELLA SUA BASILICA Pietro Zander Pag. 235 Capitolo settimo MARTIRI E SANTI. ANTICHE E NUOVE DEVOZIONI PRESSO LA TOMBA DI PIETRO Antonio Grimaldi Pag. 271 PITTORI E MOSAICISTI ALLA FABBRICA DI SAN PIETRO IN VATICANO DAL XVI AL XXI SECOLO Assunta Di Sante Pag. 325 NOTE Pag. 328 BIBLIOGRAFIA Pag. 342 INDICE DEI NOMI DI LUOGO E DI PERSONA Pag. 347


Introduzione Angelo Comastri

«Il tempio vaticano è un libro che più si legge e più rivela abissi di scienza divina e umana». Con queste parole padre Francesco Capponi O.M. evidenziava nel 1935 l’importanza e il significato del patrimonio iconografico della basilica vaticana, dove ogni immagine, in un linguaggio da sempre universale e immediato, continua a comunicare ai moltissimi visitatori di tutto il mondo i contenuti della fede cristiana, ravvivando in ogni fedele la devozione e l’amore per la Chiesa e per il Papa. Le immagini della basilica di San Pietro costituiscono anche una straordinaria espressione della creatività umana, del genio di numerosi artisti che, dagli ultimi anni del Cinquecento fino a epoche più recenti, hanno arricchito il massimo tempio della cristianità di opere d’arte di sublime bellezza. La basilica vaticana è infatti uno scrigno che racchiude preziosi e immensi tesori: statue, mosaici, dipinti, bassorilievi, opere in bronzo, stucchi dorati, marmi policromi e arredi liturgici: capolavori d’arte e fede presenti nell’articolato spazio di un edificio, che vanta una secolare storia e una superficie di oltre ventiduemila metri quadrati. L’importanza di questa chiesa sotto il profilo architettonico e artistico ha suscitato in ogni epoca vivo interesse in numerosissimi studiosi, che spesso hanno dedicato ad essa la loro intera esistenza. Nella vastissima bibliografia su San Pietro mancava tuttavia un’aggiornata e documentata esposizione dell’intero apparato musivo e una lettura iconografica di carattere generale. All’iconografia del variegato spazio sacro della basilica di San Pietro è appunto rivolto questo libro, che, per la prima volta, presenta in modo organico l’insieme dei mosaici che adornano gli altari e rivestono la cupola maggiore e le altre dieci cupole minori a pianta circolare e ovale. La Fabbrica di San Pietro aveva voluto dedicare questo volume della collana «Monumenta Vaticana Selecta» all’allora Santo Padre Benedetto xvi nella ricorrenza del Suo anniversario di Ordinazione Sacerdotale, in segno di viva, filiale e sincera riconoscenza al successore dell’Apostolo Pietro. Tutto ciò che ammiriamo nella basilica di San Pietro nasce attorno al martirio e alla sepoltura del Pescatore di Galilea, al quale Gesù diede il nome di «Kefás-Roccia». Per questo motivo, spontaneamente era nato il desiderio di offrire al Papa questa preziosa opera sull’immenso patrimonio musivo custodito nella basilica. Il volume si apre con un capitolo dedicato alla complessa vicenda costruttiva della basilica. In un’agile sintesi è ricordata la chiesa costantiniana e medievale e l’attuale basilica, che i papi del Rinascimento edificarono sul luogo dell’antica

avvalendosi dell’opera di celebri architetti. Pur adottando di volta in volta progetti e soluzioni architettoniche diverse. Non ci si volle mai discostare dalla precedente tradizione, che poneva come centro della nuova struttura la venerata e fedelmente conservata tomba del Principe degli Apostoli. Segue una generale lettura iconografica della basilica, con particolare riferimento alle decorazioni musive (circa diecimila metri quadrati), che, pur senza un iniziale programma unitario, vennero eseguite in tempi diversi arricchendosi di volta in volta di nuove rappresentazioni fino a trasmettere un coerente messaggio spirituale in sintonia con le altre opere artistiche presenti in San Pietro: una sorta di catechesi per immagini, che all’epoca delle loro realizzazioni si era preparati e abituati a comprendere con maggiore facilità e immediatezza rispetto a oggi. Di questo straordinario repertorio illustrativo sono state individuate e spiegate le tematiche ritenute più significative. Una capillare e laboriosa ricerca, condotta sui moltissimi documenti dell’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro, ha consentito di presentare nei successivi capitoli i diversi mosaici riuniti per soggetti tematici. In particolare tale lavoro ha permesso di tracciare un quadro completo, ricco di novità e precisazioni, sulla storia delle singole opere musive e sull’attività di pittori e mosaicisti che in più di cinquecento anni hanno lavorato per la Fabbrica di San Pietro. Così, a un saggio sulla decorazione della grande cupola, seguono due capitoli sui mosaici con immagini cristologiche e sulle rappresentazioni musive di tema mariano. Un ulteriore contributo riguarda la pluralità delle immagini di Pietro nella sua basilica, mentre un adeguato spazio è stato riservato ai martiri e ai santi, ovvero alle antiche e alle nuove devozioni presso la tomba di San Pietro. Al termine del volume sono stati ricordati i pittori e i mosaicisti attivi presso la Fabbrica di San Pietro dal xvi al xxi secolo: un lavoro che ha il merito di restituire alla storia i nomi degli artisti, che hanno contribuito ad accrescere la magnificenza della basilica vaticana, nomi spesso rimasti nell’ombra o mai entrati nei libri di storia dell’arte. Anche l’elaborazione di questo testo, redatto nella forma di un indice per agevolarne la consultazione, si basa su una metodica lettura dei documenti di archivio e, nel voler essere un segno di riconoscenza per l’opera svolta dalle generazioni che ci hanno preceduto, potrà costituire un utile strumento per quanti in futuro vorranno condurre ulteriori ricerche. Una menzione particolare merita, in modo parallelo al testo, il suggestivo apparato iconografico, costituito da splen-

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dide fotografie in gran parte eseguite, non senza difficoltà, per questo volume. L’attenta selezione illustrativa e il costante riferimento alle immagini mediante note a margine del testo agevolano la lettura e aiutano a comprendere il significato e la straordinaria bellezza dei mosaici di San Pietro. Inedite fotografie in grande formato rivelano dettagli decorativi e tecnici di ricercata e sapiente raffinatezza, particolari fino ad oggi sfuggiti anche ai più attenti osservatori. Le dimensioni della basilica, le mutate condizioni di luce e, in alcuni casi, la polvere depositatasi nel tempo sulla superficie delle tessere vetrose non permettono infatti una adeguata visione delle diverse e complesse rappresentazioni nei particolari figurativi e nella vivacità, brillantezza e varietà dei colori. Così l’illustrazione proposta nel volume evidenzia l’estrema cura prestata dai mosaicisti, non soltanto per la realizzazione delle figure principali e delle immagini sacre di ciascuna composizione, ma anche nella resa di figure secondarie e di particolari de-

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corativi. Inoltre nelle fotografie ravvicinate dei mosaici che si trovano a circa quaranta metri di altezza è possibile apprezzare gli accorgimenti tecnici adottati dagli artisti dei secoli passati per consentire una corretta visione dal basso. Testi e immagini sono pertanto i binari che conducono il lettore alla riscoperta del patrimonio iconografico della basilica costituito da milioni di tessere musive. Tessere di gloria e di devozione, disposte attorno alla tomba di Pietro: luogo verso il quale converge, da quasi duemila anni, la comunità cristiana, pietre vive del Tempio vivo di Cristo.

Angelo Card. Comastri Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano Arciprete della Basilica Papale Vaticana Presidente della Fabbrica di San Pietro


CAPPELLA DEI SANTI MICHELE E PETRONILLA

LA CROCIERA E LA PIANTA DELLA BASILICA VATICANA Mosaici

CUPOLA: 1. Vittoria sul diavolo 2. Comando 3. Onnipotenza 4. Provvidenza 5. Scienza universale 6. Obbedienza 7. Amor di Dio 8. Autorità assoluta PENNACCHI: 9. San Bernardo 10. San Dionigi l’Areopagita 11. San Gregorio Taumaturgo 12. San Leone I LUNETTE: 13. San Nicodemo dà la Comunione a Santa Petronilla 14. San Pietro battezza Santa Petronilla 15. Elia e l’angelo 16. Tobia e l’arcangelo Raffaele

CAPPELLA GREGORIANA CUPOLA: 1. Sole 2. Palma 3. Torre di David 4. Pozzo 5. Luna 6. Arca dell’Alleanza 7. Tempio 8. Cipresso PENNACCHI: 9. San Gregorio Magno 10. San Girolamo 11. San Gregorio Nazanzieno 12. San Basilio LUNETTE: 13. Maria Annunciata 14. Arcangelo Gabriele 15. Ezechiele 16. Isaia

CUPOLA MAGGIORE Dio Padre, Serafini, Cherubini, Angeli con gli strumenti della Passione del Cristo, il Redentore tra la Madonna e San Giovanni Battista, San Pietro, San Paolo e gli Apostoli LANTERNA: * Dio Padre CUPOLA: 1. Il Redentore 2. San Giovanni Battista 3. San Taddeo 4. San Bartolomeo 5. San Tommaso 6. San Simone 7. San Giacomo Maggiore 8. San Giacomo Minore 9. San Mattia 10. San Matteo 11. San Filippo 12. Sant’Andrea 13. San Giovanni Evangelista 14. San Paolo 15. San Pietro 16. La Beata Vergine Maria PENNACCHI: 17. San Matteo 18. San Giovanni 19. San Marco 20. San Luca

CAPPELLA DELLA MADONNA DELLA COLONNA CUPOLA: 1. Tempio e Turris eburnea 2. Colomba e Anfora 3. Sole e Scala Coeli 4. Pozzo e Giglio 5. Stella e Specchio 6. Braciere e Fontana 7. Luna e Anfora 8. Ianua Coeli e Cipresso PENNACCHI: 9. San Bonaventura 10. San Tommaso d’Aquino 11. San Cirillo 12. San Giovanni Damasceno LUNETTE: 13. Natività 14. Il sogno di San Giuseppe 15. Re David 16. Salomone

CAPPELLA CLEMENTINA CUPOLA: 1. Angeli, candelabri e stemmi di papa Clemente VIII (Aldobrandini, 1592-1605) PENNACCHI: 2. Sant’Atanasio 3. Sant’Ambrogio 4. Sant’Agostino 5. San Giovanni Crisostomo LUNETTE: 6. Daniele nella fossa dei leoni 7. Malachia assistito da un angelo 8. Santa Elisabetta 9. La Vergine Maria e San Giuseppe

ALTARI E QUADRI MUSIVI NELLA BASILICA

PILONI

1. Nicchia dei Palli 2. Altare della Confessione 3. Altare della Cattedra 4. Altare della Trasfigurazione 5. Altare di San Gregorio 6. Altare della Bugia (Morte di Anania e Saffira) 7. Altare della Crocifissione di San Pietro 8. Altare di San Giuseppe 9. Altare di San Tommaso 10. Altare del Sacro Cuore 11. Altare della Madonna della Colonna 12. Altare di San Leone Magno 13. Altare della Guarigione dello storpio 14. Altare della Resurrezione di Tàbita 15. Altare di Santa Petronilla 16. Altare di San Michele Arcangelo 17. Altare della Navicella 18. Altare di Sant’Erasmo 19. Altare dei Santi Processo e Martiniano 20. Altare di San Venceslao 21. Altare di San Girolamo 22. Altare della Madonna del Soccorso 23. Altare di San Basilio 24. Altare del Santissimo Sacramento 25. Altare di San Francesco d’Assisi 26. Altare di San Sebastiano 27. Altare di San Nicola 28. Altare di San Giuseppe 29. Altare della Pietà 30. San Pietro clavigero 31. Navicella 32. Battesimo di Cristo 33. San Pietro battezza i Santi Processo e Martiniano 34. San Pietro battezza il centurione Cornelio 35. Altare della Presentazione della Vergine 36. Altare della Madonna Immacolata

A. Sant’Andrea B. Santa Veronica C. Sant’Elena D. San Longino


VESTIBOLO DELLA CAPPELLA DEL SANTISSIMO SACRAMENTO (L’adorazione a Dio e l’offerta della preghiera) CUPOLA: 1. La visione del settimo sigillo dell’Apocalisse: l’angelo riceve la preghiera dei Santi PENNACCHI: 2. Aronne raccoglie la manna 3. Melchisedek offre il pane 4. Elia ristorato da un angelo 5. Un sacerdote dispensa il pane

CUPOLE DELLA NAVATA SETTENTRIONALE Mosaici

LUNETTE: 6. La vocazione di Isaia 7. Uzzà muore per aver toccato l’arca 8. Gli esploratori tornano dalla terra di Canaan con un tralcio di vite 9. Un sacerdote si inginocchia davanti all’altare porgendo fasci di grano 10. L’idolo di Dagon distrutto dalla presenza dell’arca 11. Gionata, figlio di Saul, si nutre con un favo di miele

VESTIBOLO DELLA CAPPELLA DI SAN SEBASTIANO (La gloria dei martiri e l’elogio del martirio) CUPOLA: 1. L’Eterno Padre e l’Agnello 2. La processione dei martiri PENNACCHI: 3. Ezechiele 4. Abele 5. Isaia 6. Zaccaria LUNETTE: 7. Eleazaro rifiuta di mangiare la carne proibita 8. Un angelo reca fasci di palme sopra i corpi delle due madri ebree dei loro figli 9. Mattatia uccide un giudeo idolatra 10. Il martirio dei sette fratelli Maccabei 11. Sidrac, Misac e Abdenago condannati da Nabucodonosor a bruciare nella fornace 12. Daniele nella fossa dei leoni

VESTIBOLO DELLA CAPPELLA DELLA PIETÀ (Il mistero della Croce nella Chiesa) CUPOLA: 1. L’angelo vincitore ferma l’angelo devastatore 2. L’angelo segna la fronte degli eletti sulla terra ferma 3. L’angelo segna la fronte degli eletti tra le piante 4. L’angelo segna la fronte degli eletti sul mare PENNACCHI: 5. Geremia 6. Noè 7. Il sacrificio di Isacco 8. Mosè LUNETTE: 9. Amos 10. Zaccaria 11. Sibilla Cumana 12. Sibilla Frigia 13. Isaia 14. Osea


VESTIBOLO DELLA CAPPELLA DEL CORO (La lode perenne dei Santi e della Chiesa)

CUPOLE DELLA NAVATA MERIDIONALE Mosaici

CUPOLA: 1. L’Eterno Padre tra i quattro esseri viventi: l’aquila, il leone, l’angelo e il toro 2. I ventiquattro vegliardi dell’Apocalisse PENNACCHI: 3. Giona 4. Abacuc 5. Daniele 6. Re David LUNETTE: 7. Giuditta con la testa di Oloferne 8. Debora manda a chiamare Barak 9. Azaria rimprovera Ozia 10. Mosè prega sostenuto da Aronne e Cur 11. Debora con Barak intona il canto di ringraziamento a Dio 12. Geremia

VESTIBOLO DELLA CAPPELLA DELLA PRESENTAZIONE DELLA VERGINE (Il trionfo della Vergine Maria con la Chiesa e la caduta dei demoni)

VESTIBOLO DELLA CAPPELLA DEL FONTE BATTESIMALE (Il Battesimo, porta della salvezza e l’universalità della Chiesa)

CUPOLA: 1. Dio Padre rivolto alla Vergine incoronata di stelle 2. L’arcangelo Michele sconfigge il drago dell’Apocalisse 3. La milizia celeste precipita i demoni 4. L’arcangelo Gabriele e angeli in concerto con spartiti e strumenti musicali

CUPOLA: 1. Eterno Padre con la colomba dello Spirito Santo tra Cristo Salvatore e Adamo ed Eva cacciati dall’Eden 2. Battesimo di desiderio 3. Battesimo di sangue 4. Battesimo di acqua

PENNACCHI: 5. Balaam 6. Aronne 7. Noè 8. Gedeone

PENNACCHI: 5. Africa 6. Europa 7. Asia 8. America

LUNETTE: 9. Miriam 10. Mosè 11. Giaele e Sisara 12. Giuditta e Oloferne 13. Isaia 14. Giosuè

LUNETTE: 9. Il diacono Filippo battezza l’eunuco della regina Candace 10. San Pietro battezza il centurione Cornelio 11. San Silvestro battezza Costantino 12. Cristo battezza San Pietro 13. Noè prega davanti all’arcobaleno dell’alleanza 14. Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia


1. Biblioteca Apostolica Vaticana, medaglia (verso) di papa Giulio ii per la fondazione del nuovo tempio vaticano (18 aprile 1506).

2 e 3. Fabbrica di San Pietro, frammento del muro rosso con le seguenti lettere greche: Petr[...] eni[...], interpretate con la frase «Pétr[os] enì»: Pietro è qui, oppure, sempre nella prospettiva della presenza di Pietro, con un’invocazione a lui rivolta: «Pétr[os] en i[réne]»: Pietro in pace.

Capitolo primo

Introduzione allo spazio sacro della basilica Christof Thoenes

«Le cose si scoprono attraverso i ricordi che se ne hanno. Ricordare una cosa significa vederla – ora soltanto – per la prima volta.» Cesare Pavese

Lo spazio, il tempo, la memoria

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Trattare dello spazio sacro della basilica di San Pietro pone lo storico davanti a un dilemma. Spazio è qualcosa di stabile, immutabile, identico a se stesso. Ma lo spazio della basilica vaticana è duplice. Come nelle vecchie guide di Roma la città si dirama in una «Roma antica» e una «moderna», così attraverso il San Pietro esistente traspare la basilica costantiniana, demolita all’inizio dell’Età Moderna. È come se l’edificio avesse due corpi: uno reale e uno virtuale, in cui sopravvive ciò che è scomparso materialmente. Ma anche l’edificio rinascimentale si presenta allo sguardo storico in un aspetto mutevole, con contorni variabili, come una foto mossa. Vi lavorarono cinque generazioni di architetti; ventisei pontefici, da Niccolò v fino ad Alessandro vii, ne influenzarono la forma, e ognuno di loro ebbe le proprie idee, spesso in contrasto con quelle dei predecessori. Ciò che oggi vediamo va inteso come prodotto di storia. Lo spazio sacro della basilica ha una dimensione temporale. Storia significa mutamento nel tempo. Le cose non rimangono come sono. A questo si oppone la memoria, cioè la capacità mnemonica dell’uomo, che isola determinati momenti dalla corrente del tempo e li fissa nello spazio, collegandoli con materiali durevoli, in scrittura, immagini, edifici. Così la storia della basilica di San Pietro inizia con un atto di memoria. Attorno alla metà del ii secolo, nella necropoli che si estendeva sulle falde del colle vaticano, una piccola edicola indicava il luogo dove la comunità cristiana di Roma venerava il sepolcro del proprio fondatore: un monumento di estrema semplicità al centro di una zona di architetture funerarie piuttosto lussuose. Quel che contava era il suo contenuto

spirituale. «Petros eni», Pietro è qui, incise una mano ignota nell’intonaco rosso del muro a ridosso del piccolo edificio1. La situazione cambiò all’inizio del iv secolo con l’intervento di Costantino il Grande. L’imperatore fece rinchiudere l’edicola in uno scrigno di porfido circondato da una pergola di colonne marmoree, e attorno ad essa fece erigere la sua enorme basilica, congiungendo la sacralità del luogo alla piena autorità imperiale. Così si costituì lo spazio del culto romano di San Pietro. Ben presto esso cominciò ad attirare a Roma credenti da ogni parte della cristianità. L’architettura, che trasforma un luogo sacro in monumento, fornisce al culto una cornice stabile. Ma il culto fa parte della vita umana, che si svolge nel tempo, producendo figurazioni sempre nuove. Grazie alle sue dimensioni la basilica di San Pietro ha sempre offerto spazio sufficiente alle tante forme di vita religiosa sviluppatesi nei secoli. La liturgia e il cerimoniale diedero l’avvio alla strutturazione dell’interno: la venerazione delle reliquie richiedeva luoghi di culto particolari, donatori ecclesiastici e secolari reclamavano spazi per le loro opere. Così l’involucro architettonico della basilica andò riempiendosi di una moltitudine sempre crescente di oggetti venerabili vecchi e nuovi, sparsi nelle varie parti dell’edificio. Ma ciò che nello spazio spirituale avrebbe potuto coesistere ad infinitum in quello reale cominciò a incalzarsi e a bloccarsi, la memoria minacciava di sbarrare la strada al futuro. Verso la fine del Medioevo avvenne la catastrofe: l’edificio antico, conservato attraverso i secoli con sempre maggior fatica, venne abbattuto per cedere il posto a una nuova costruzione. Per i contemporanei la distruzione della basilica rappresentò un evento traumatico; a uno sguardo retrospettivo essa

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San Pietro in Vaticano 4. Grotte vaticane, Sala iv, modello ricostruttivo dell’edicola («Trofeo di Gaio») edificata sulla tomba di Pietro intorno alla metà del ii secolo d.C.

5. Ricostruzione grafica della Memoria Apostolica eretta nel iv secolo attorno al «Trofeo di Gaio», edificato sulla tomba di Pietro (da Apollonj Ghetti et al. 1951). A fronte: 6. Pianta dell’antica basilica di San Pietro in Vaticano, incisione di Natale Bonifacio secondo Tiberio Alfarano, 1590.

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appare piuttosto come climax di un processo di trasformazione iniziato già con il tentativo di ricostruzione di Niccolò v e protrattosi fino alla costruzione dei colonnati della piazza sotto Alessandro vii. Quel che stava cambiando era la coscienza storica. Per il Medioevo il passato era stato presente come tradizione; a un papa umanista come Niccolò v, invece, la storia si presentava come corso del tempo. Ciò consentì uno sguardo nuovo verso il futuro: un edificio del passato era modificabile. La memoria venne rimossa dal desiderio di magnificenza; la basilica tardoantica dovette cedere il posto a una cattedrale papale che fosse all’altezza della nuova autocoscienza politica del pontifex romanus. Il conflitto tra memoria e magnificenza, latente già nell’impresa di Costantino, si manifestò apertamente nel pontificato di Giulio ii. La sua visione di un San Pietro «instaurato» prese corpo per opera di Donato Braman­te2. Il modello ideale dell’architetto, però, non fu la basilica di Costantino, bensì «Therme et Pantheon et tutte quelle cose maxime» come lo aveva espresso Alberti3. Era con esse che doveva gareggiare il Templum Petri. Cominciò così la storia del San

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Pietro cinquecentesco: una serie di progetti che s’incalzavano a vicenda, nei quali il tema della magnificenza veniva elaborato in termini d’archi­tettura pura, fino alla perfezione estetica assoluta del tempio centrale michelangiolesco. Se anch’esso, come tutti i precursori, finì come «non finito», ciò fu dovuto a quella rivolta della memoria (per così dire), che nella seconda metà del secolo rovesciò il dibattito sul compimento dell’edificio. Fu la polemica protestante contro la tradizione petrina romana a indirizzare lo sguardo dei teologi vaticani verso la prima storia della Chiesa, e con essa ritornò alla ribalta l’idea della basilica. Così dalla metà del Cinquecento andarono aumentando le voci che chiedevano il ritorno a un edificio ecclesiastico cruciforme in accordo con la scelta di Costantino. Caratteristico dello spirito del secolo successivo appare il fatto che nel 1605 – esattamente cento anni dopo la mossa storica di Giulio ii – Paolo v decidesse di non conservare i resti sopravvissuti dell’edificio antico, ma di costruire una navata nuova che «circondasse e ricoprisse a punto il rimanente della vecchia»4. Sacrificando la sostanza materiale del fabbricato antico, si era fiduciosi di

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San Pietro in Vaticano 7. Maarten van Heemskerck, veduta dall’esedra nord del vecchio transetto verso sud, 1532/36. Stoccolma, Museo Nazionale.

A fronte: 9. Basilica vaticana, veduta prospettica della navata maggiore.

8. Palazzi Apostolici, Sala Sistina, Paris Nogari, veduta ideale della basilica di San Pietro, 1587 ca.

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San Pietro in Vaticano

Introduzione allo spazio sacro della basilica 10. Pianta schematica della basilica di San Pietro con la sovrapposizione delle principali strutture monumentali: 1. necropoli; 2. basilica costantiniana; 3. grotte vaticane; 4. basilica attuale (disegno di G. Tilia – Studio 3R).

salvarne il corpo spirituale, non soggetto ai mutamenti del tempo. In fondo si trattava di un nuovo «atto di memoria» riferito all’edificio scomparso, ovvero una rinnovata vittoria dello spazio sul tempo. La basilica venne completata come monumento a se stessa.

La basilica costantiniana

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L’origine della Basilica Vaticana è collegata al nome di Costantino il Grande. Il suo ruolo come fondatore dell’edificio è storicamente probabile, sebbene non documentato; così di recente si è potuto avanzare la questione, se il committente non fosse stato invece il figlio Costante5. Ciò non tocca l’idea fondamentale dell’impresa: il legame fra la tomba dell’apostolo e il potere universale dell’imperatore romano. Ne era testimone l’edificio stesso: la sua presenza era talmente poderosa, che esso stesso assumeva il carattere di una fonte in grado di originare una tradizione storica. Il luogo sul quale fabbricare era segnato dalla posizione del venerato sepolcro nella necropoli sul pendio del colle vaticano. A valle correva la via Cornelia che, proveniente dal Pons Aelius (ponte Sant’Angelo), conduceva fuori dal territorio urbano in direzione ovest6. La zona era poco edificata. Non sappiamo niente di preciso dei giardini di Nerone e del circo omonimo, il cui obelisco era rimasto in piedi sulla destra della strada; dietro di esso si ergeva una rotonda costruita all’epoca di Caracalla (cioè dopo la cessione del circo) e dedicata più tardi a Santa Petronilla. La necropoli si estendeva parallelamente alla via Cornelia, da est a ovest; nell’area occidentale, dove la salita si faceva più ripida, si apriva una piazzetta o un cortiletto (il «Campo P» degli escavatori), di circa 8 metri di larghezza e circa 3,50 di profondità, la cui terminazione occidentale era costituita da un muro con intonaco rosso; davanti ad esso si ergeva il «tropaion di Gaio»7, una piccola edicola con due colonnine, una lastra orizzontale e due nicchie. Su questo campiello si riunivano pellegrini e cristiani romani per celebrare la memoria del loro primo vescovo. Possiamo considerarlo il germe dello spazio sacro di San Pietro. Per la costruzione della basilica non abbiamo documenti, ma dalle tracce conservate del fabbricato risulta un quadro assai chiaro del corso degli eventi8. Evidentemente l’idea di base era stata quella di creare una cornice monumentale per la sepoltura, nonché uno spazio architettonico per la folla che volesse venerarla: la classica

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configurazione di un Martyrium o Heroon cristiano, come si è anche detto. Stando alla topografia del luogo, l’asse del complesso doveva estendersi, come an­che i sentieri della necropoli, da est a ovest, più o meno pa­rallelo alla via Cornelia. Quale base di tutto venne costruita un’enorme piattaforma sul livello del «Campo P» (esattamente 0,40 metri al di sopra di esso). L’edicola sepolcrale venne rinchiusa, assieme a un frammento del «muro rosso», in uno scrigno di marmo porfido. Attorno ad esso vennero disposte sei colonne tortili di marmo con architrave; esse formavano un sacrario, probabilmente separabile per mezzo di tende, che forse conteneva un altare e fungeva – come oggi il ciborio bronzeo del Bernini – da mediatore fra le dimensioni dello scrigno tombale e quelle dello spazio architettonico. Dietro si apriva un’esedra semicircolare spaziosa (ma, confrontata al coro di una chiesa, non molto alta), davanti si estendeva un ampio vano coperto, rettangolare e trasversale. Dai suoi lati corti si accedeva, passando fra due colonne, a vani annessi (esedre): quello meridionale potrebbe essere stato ideato come vesti-

11. Ricostruzione assonometrica del cosiddetto «Campo P» nella necropoli vaticana (da Apollonj Ghetti et al. 1951).

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bolo d’ingresso dalla via Cornelia, quello settentrionale venne presto usato per altri scopi. Fin qui, l’intero complesso può essere inteso come «monumentalizzazione» della situazione data nel «Campo P» della necropoli. Era l’origine del transetto, vale a dire di uno degli elementi costitutivi dell’architettura ecclesiastica occidentale. Verso est si estendeva la basilica vera e propria, un’aula rettangolare di circa 90 × 60 metri, divisa in cinque navate da quattro file di ventidue colonne ciascuna. La navata mediana era più ampia e innanzitutto più alta del transetto; riceveva luce attraverso undici finestre per lato nelle zone superiori delle pareti. Le navate laterali interne erano buie, quelle esterne venivano illuminate da finestre piccole sotto i tetti. Fra la navata mediana e il transetto si apriva l’«arco trionfale», che consentiva un’ampia vista sul sacrario. Verso est

l’aula era chiusa da un muro con sei grandi finestre, disposte in due zone. Cinque porte conducevano al nartece davanti alla facciata. Sappiamo poco dell’assetto originale dell’atrio. Nel v secolo esso veniva chiamato quadriporticus, ma non è documentata l’esi­stenza dei portici laterali. Al centro stava la nota fontana (il cantharus), che però solo più tardi verrà allestita con la celebre pigna bronzea9. Dal campus antistante, posto assai più in basso, alcuni gradini salivano alla fronte d’ingresso, della cui architettura non si sa nulla. Con una lunghezza complessiva di quasi 250 metri, la basilica vaticana costituiva una mole notevole anche nell’insieme della Roma imperiale. I suoi singoli componenti apparivano allineati in modo piuttosto lento lungo l’asse maggiore, senza un principio di organizzazione superiore; il tutto però era legato da un sistema metrico-proporzionale unitario10,

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San Pietro in Vaticano

Introduzione allo spazio sacro della basilica 12. Ricostruzione assonometrica della Memoria Apostolica presso l’abside della basilica costantiniana.

15. In alto: ricostruzione assonometrica della basilica di San Pietro (da Brandenburg 2004).

13. Ricostruzione della pianta della basilica costantiniana ­ (da Krautheimer 1977).

16. Ricostruzione della basilica costantiniana (da Krautheimer 1977).

14. Sezione longitudinale da sud a nord sotto il pavimento della basilica di Costantino all’altezza del Mausoleo F o «dei Caetenni» nella necropoli vaticana (da Apollonj Ghetti et al. 1951).

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quindi progettato insieme e realizzato senza modifiche posteriori. Non conosciamo i tempi di esecuzione, ma bisogna immaginarli assai brevi. Il tipo di costruzione non presentava particolari problemi, vi erano impiegati materiali in parte già prefabbricati (o di spoglio), e il grado di finitura non era perfetto. I pezzi più preziosi erano le colonne, cento di numero come esaltano le descrizioni antiche: una cifra non «arrotondata», ma proprio esatta11. Le colonne, infatti, erano considerate l’emblema di un’architettura nobile, sia come simboli di forza e ricchezza, sia per la bellezza sensuale del loro materiale, sia per l’eleganza della forma e della proporzione. I pavimenti erano in marmi pregiati come, probabilmente, anche il rivestimento delle pareti; forse c’erano anche mosaici (ornamentali). L’orditura dei tetti o i soffitti a cassettoni erano dorati. D’altra parte l’imponente effetto dell’insieme veniva smorzato, per così dire, da una certa indifferenza per il dettaglio: le colonne di spoglio erano di altezze varie, vi erano intercalati pezzi di rattoppo, le trabeazioni non erano livellate a perfezione, e così via. Nelle

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restituzioni grafiche moderne ciò è normalmente soppresso a favore di un’im­magine troppo rigida, «classicista». «Sarebbe allettante» – scrive Richard Krautheimer – «raffigurare una volta graficamente la traballante irregolarità dell’edificio costantiniano»12. Per poter apprezzare le qualità sacrali dell’edificio bisognerebbe sapere di più sulle forme di culto che vi si svolgevano. Di certo la basilica vaticana non era (come quella Lateranense) dedicata agli uffizi parrocchiali, bensì alla venerazione della tomba di Pietro. Quindi il locus sanctus vero e proprio si trovava nella parte occidentale. La navata mediana dell’aula poteva servire al passaggio di processioni, le navate laterali offrivano spazi per la comunità dei fedeli, divisi fra uomini e donne. Le dimensioni fanno supporre masse ingenti e di fatto sappiamo da Eusebio dell’affluenza di numerosi pellegrini già al tempo di Costantino. Prima di tutto, però, la maestà dell’architettura segnalava la presenza virtuale dell’imperatore, anche quando Roma non era più la sede del governo. Qualunque cosa fosse avvenuta nella ba-

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San Pietro in Vaticano

L’antica Introduzione basilica vaticana allo spazio costantiniana sacro della di S.basilica Pietro 17. Pianta della basilica nei secoli viii-ix (da De Blaauw 1994). A fronte: 18 e 19. In alto: decorazione del prospetto meridionale della navata centrale dell’antica basilica (da Grimaldi 1972, pp. 142-143); in basso: decorazione della navata centrale dell’antica basilica: immagini clipeate dei sommi pontefici (Ibid., pp. 146-147).

silica, sarebbe stata cosa degna per le pretese imperiali. Il cristianesimo era diventato religione di Stato.

Da Costantino a San Gregorio Magno

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Tra tutti gli edifici degli imperatori romani, solo le basiliche cristiane (e il Pantheon) sono sopravvissute più o meno intatte alla caduta dell’Impero. La ragione, ovviamente, non sta nelle loro strutture (in realtà piuttosto precarie), bensì nella permanenza del culto religioso che in esse si svolgeva: era il «corpo spirituale» degli edifici a rimanere vitale e per amor del quale veniva conservata la loro sostanza architettonica. Ciononostante la basilica vaticana ebbe una sua storia post-antica, cambiando aspetto come la città a cui apparteneva. Dalla basilica cimiteriale emerse una chiesa, anzi una «famiglia di chiese»13, formata da un complesso di cappelle, oratori, altari e altri luoghi sacri più o meno autonomi situati dentro e fuori dell’edificio costantiniano. Così nel passaggio dall’Antichità al Medioevo si costituì lo spazio sacro della basilica come «campo» multipolare, non sistematicamente programmato, ma cresciuto nei secoli, come richiesto dalla vita. In questo «campo» il clero, in rapida crescita, si muoveva con disinvoltura, espletando gli uffizi d’altare e di coro ovunque fosse richiesto. Nei fedeli, però, la molteplicità dei conforti offerti poteva suscitare confusione, facendo sorgere il desiderio di qualche guida competente. Così già nell’viii secolo troviamo un itinerario dei luoghi di culto della basilica, concepito evidentemente a uso dei pellegrini14. Seguivano descrizioni sempre più dettagliate degli altari, oratori, reliquie e sepolcri, nonché dei riti, feste e ricorrenze e infine delle diaconie e abbazie dipendenti dal Capitolo; quella redatta da Petrus Mallius, chierico della basilica nel xii secolo, divenne una delle fonti più importanti per la ricostruzione storica dell’edificio antico e fu persino pubblicata in una versione stampata nel 164615. Per i teologi della Controriforma l’immagine dell’antica basilica si era trasfigurata in un repertorio persistente di storia ecclesiastica, immobile nel tempo e immersa in un silenzio perenne. Ma la vita quotidiana nell’edificio reale bisogna figurarsela ben diversa. Percorrendo la sua storia nei secoli, non si trova quasi nessun decennio, nel quale non fosse in corso qualche cambiamento, sia innovativo sia anche, in parte, distruttivo. Già le misure di mantenimento del fabbricato, come le incessanti riparazioni dei tetti, dovevano produrre un certo tenore di permanente inquietudine. Ma anche

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l’impianto di nuovi luoghi sacri non si svolgeva senza rumori. Trasporto e maneggio di colonne, sarcofaghi, sculture e altri elementi decorativi di pietra o di metallo richiedevano apparati notevoli. C’era sempre un ponteggio da qualche parte e l’attività lavorativa di muratori, tagliapietre, mosaicisti, pittori e doratori produceva un continuo sottofondo acustico alle litanie e canti corali che riempivano l’ambiente. Lo stesso varrà peraltro anche per il San Pietro nuovo, in stato di cantiere permanente almeno in parte dal Cinquecento al Settecento. Cercheremo allora di tracciare una panoramica degli eventi principali in ordine cronologico16. Attorno alla metà del iv secolo l’edificio era terminato a eccezione dell’atrio, la cui costruzione sembra essersi pro­ tratta ancora. Non si sa quando venne costruita la sagrestia (secretarium) nel lato meridionale del nartece. A Damaso i (366-384) si attribuisce l’istallazione di un battistero nell’e-

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Introduzione allo spazio sacro della basilica A fronte: 20. Ricostruzione del presbiterio rialzato e della cripta anulare di Gregorio Magno (da Apollonj Ghetti et al. 1951).

sedra settentrionale del transetto. Il primo edificio satellite al di fuori della basilica fu un piccolo mausoleo di famiglia a ovest dell’abside, eretto da Probus console nel 368 e 371 (e sarà anche la prima struttura abbattuta per la costruzione del coro di Niccolò v nel 1450-1451). Non sappiamo quali parti della decorazione figurativa (affreschi, mosaici) della basilica risalissero al iv secolo. La rotonda sul lato meridionale del transetto nacque dopo il 408: era un mausoleo costruito dall’imperatore Onorio (393-423)17 per sé e la sua famiglia. Assie­me al transetto questo mausoleo era integrato nel culto del­la basilica, documentando così il legame tra l’impe­ratore (che risiedeva per lo più a Ravenna), l’ex capitale e la Chiesa romana. La cura primaria dei papi era rivolta alla tomba dell’apostolo. Sisto iii (432-440) fece rivestire d’argento la nicchia inferiore del tropaion; in quest’occasione incontriamo per la prima volta l’espressione confessio. L’imperatore Valentiniano iii (424-455), nipote di Onorio, donò un rilievo d’oro con Cristo e i dodici apostoli per l’edicola, testimoniando così «la necessità di avere delle figurazioni nei luoghi venerati» (De Blaauw)18. Leone i (Leone Magno, 440-461)

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sembra essersi occupato della decorazione dell’aula: a lui risalivano probabilmente gli affreschi sulle pareti (Vecchio Testamento sulla parete nord, Nuovo Testamento su quella sud, profeti tra le finestre e al di sotto clipei con ritratti di papi). Questo fu il primo programma figurativo dedicato espressamente alla legittimazione biblica del potere papale. Verso la fine del v secolo la situazione politica in Italia cominciò a rovesciarsi. Nel 476 venne spodestato l’ulti­mo imperatore d’Occidente, Romolo Augustolo; nel 482 Zeno i di Bisanzio emanò l’Henotikon, che sancì la rottura definitiva tra la Chiesa orientale e quella occidentale. Nell’Urbe i centri del potere cadevano in rovina, mentre certe zone periferiche assumevano importanza. Per le sorti della basilica fu importante il fatto che il papa a cavallo dei due secoli, Simmaco (498-514), dovendo lottare con un antipapa, pose la sua base presso il Vaticano. Egli divenne così la figura chiave per un ulteriore sviluppo della zona19. Vicino all’atrio della basilica fece erigere spazi abitativi (episcopia) per sé e per i suoi ecclesiastici: furono gli inizi di una residenza pontificia sul Vaticano. Probabilmente si occupò anche del compimento

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dell’atrio stesso e della scalea che scendeva verso il campus; nelle vicinanze fece erigere alloggi per i pellegrini (habitacula pauperum). Anche la fontana dei pellegrini sul campus (che precede la fontana settentrionale del Maderno) risaliva a Simmaco. Forse fu pure responsabile per la trasformazione della strada che dal mausoleo di Adriano conduceva a San Pietro, in un co­lonnato coperto (porticus Sancti Petri), la cui data di co­struzione non ci è stata tramandata. Un fatto importante fu l’inclusione della rotonda severiana presso l’obelisco vaticano nel complesso della basilica: essa venne dedicata a Sant’Andrea e dotata di altri sei altari consacrati a Santi martiri. Attraverso un corridoio si poteva passare da qui alla rotonda di Onorio e da lì all’esedra settentrionale del transetto; era questa la strada, per la quale i pellegrini provenienti dalla città solevano raggiungere direttamente la tomba20. Nell’esedra settentrionale si trovava il battistero fondato da Damaso i; Simmaco lo rivalutò fondando nuovi altari dedicati ai due Santi Giovanni (il battistero lateranense era nelle mani dei suoi avversari). Per accogliere una scheggia della Santa Croce, Simmaco eresse un Oratorium Crucis attaccato alla parete occidentale del transetto. Come committente di San Pietro fra la tarda Antichità e l’alto Medioevo, papa Simmaco si presenta quindi come una figura incisiva. Per lo stesso papa fu, non da ultimo, un’attività politica: costruendo sul Vaticano si legittimò come successore di Pietro. Da allora in poi i papi aumentarono, arricchirono e restaurarono la basilica con donazioni di ogni tipo. Le res gesta di ciascun pontefice, registrate nel Liber Pontificalis (iniziato probabilmente nel vi secolo e continuato, con interruzioni, fino alla metà del Quattrocento), cominciano normalmente con ciò che ognuno di loro aveva fatto per l’edificio. Nella seconda metà del vi secolo tale attività si concentrò sulla liturgia attorno alla tomba. Pelagio ii (579-590) donò un ambone per il «coro basso» davanti alla confessio. Sembra che a lui risalga anche la trasformazione della zona absidale, proseguita e completata poi dal suo successore, San Gregorio Magno (590-604). Essa cambiò il carattere dell’edificio intero e diventò il modello per le absidi di tante chiese dell’epoca seguente, a Roma e in tutta l’Europa medievale. L’idea fondamentale era che la messa pontificale dovesse celebrarsi non davanti, ma sopra la tomba. Perciò si sollevò di circa 1,45 metri l’intero pavimento dell’abside, creando così un podio, sotto il quale scompariva la parte inferiore dello scrigno costantiniano. L’altare sul podio copriva la parte superiore dello scrigno (o era identico a essa); era sormontato da un ciborio su quattro colonne. Il liturgo stava dietro,

rivolto verso l’aula (che così divenne «navata»). Lungo il muro dell’abside correvano gradini con sedie per il clero, nel culmine stava la cattedra papale. Nella fronte anteriore del podio si apriva la fenestella confessionis, attraverso la quale si scorgeva la nicchia inferiore del tropaion. A destra e a sinistra gradini salivano al livello del podio, davanti erano allineate le sei colonne tortili. Sotto il podio, all’interno dell’abside, correva un corridoio anulare, dal cui culmine, percorrendo un corridoio diritto, si raggiungeva il lato posteriore dello scrigno; lì si trovava un altro altare più piccolo. Era «in senso formale e funzionale una catacomba artificiale»21. Essa divenne il prototipo della cripta anulare nell’architettura ecclesiastica occidentale.

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Dal conflitto iconoclasta all’esilio di Avignone La trasformazione del presbiterio per opera di Pelagio e Gregorio fu il passo decisivo nel percorso dalla basilica tardoantica alla chiesa medievale. A esso ne seguirono altri relativi all’allestimento figurativo dell’edificio. Infatti, mentre la Chiesa orientale interdisse qualsiasi culto di immagini, San Pietro si riempì di specimina di un mondo figurativo cristiano, i cui prototipi spesso erano stati coniati ancora in ambito bizantino preiconoclasta. Severino (640) fece restaurare il mosaico dell’abside raffigurante Cristo, Pietro e Costantino con un modello della basilica; Sergio i (687-701) quello della facciata con Cristo fra Pietro e Paolo, i quattro evangelisti e l’Agnello dell’Apocalisse. Giovanni vii (705-707) installò nei primi tre intercolumni della navata laterale settentrionale un oratorio mariano riccamente arredato. Con esso la Madre di Dio, particolarmente venerata da questo papa greco, ebbe il suo posto nello spazio sacro della basilica. Sotto Gregorio iii (734-741) un sinodo condannò l’iconocla­stia come eresia. Davanti al presbiterio venne disposta una seconda serie di colonne tortili, donata dall’esarca di Ravenna; il loro architrave portava immagini di Cristo, Maria e degli apostoli. Paolo i (757-767) rinnovò l’ingres­so all’atrio: sopra un vestibolo venne costruita una cappella mariana, Santa Maria in turribus o inter turres, decorata sulla facciata esterna con un mosaico raffigurante Cristo, Pietro e Paolo, angeli e Santi. Il saccheggio della basilica durante l’incursione saracena (846) rese necessaria la rinnovazione di numerose immagini sacre e oggetti preziosi d’arredamento, ricevuti in dono nei decenni precedenti. Sotto papa Formoso (891-896) vennero restaurati gli affreschi della navata centrale.

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Introduzione allo spazio sacro della basilica 21. Windsor, Eton College, disegno a penna (anonimo, ultimo quarto dell’xi secolo) raffigurante la facciata della basilica costantiniana prima del rifacimento di Gregorio ix (Cod. Farf. 124, f. 122r).

22. Raffigurazioni musive nell’oratorio di papa Giovanni vii presso l’antica basilica (da Grimaldi 1925, pp. 120-121).

Già sotto Simmaco si era manifestata la tendenza di arricchire con centri minori lo spazio sacro della basilica (Sant’Andrea, Oratorium Crucis, altare di San Giovanni nel battistero). Nei secoli seguenti ciò divenne una caratteristica della basilica vaticana, anzi, pare che proprio San Pietro fosse stata la prima chiesa in assoluto ad avere altari secondari22. Dopo il Seicento si cominciò a esumare i resti dei martiri, presenti tanto copiosamente nelle catacombe di Roma (non vigeva più l’ordine giuridico che vietava le violazioni delle tombe), e di riseppellirli nelle chiese dell’Urbe, risuscitandoli a una nuova vita spirituale. La loro presenza veniva sentita intensamente, come sappiamo da testi dell’epoca. Le rivalità tra le grandi basiliche sollecitarono lo zelo dei raccoglitori. A San Pietro arrivarono le reliquie di San Vincenzo, dei Santi

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Processo e Martiniano, di Sant’Adriano martire di Nikomedia e di altri. Attorno all’850 la basilica aveva almeno dodici altari secondari23. In quell’epoca apparve pure una reliquia d’importanza particolare: il Sudario della Veronica con l’immagine del Volto Santo. Ebbe il suo posto nella cappella mariana di Giovanni vii e diventerà una delle mete più venerate del pellegrinaggio al Vaticano. Così l’interno dell’edificio si riempì di edicolette sacre grandi e piccole, addossate ai muri, inserite fra le colonne delle navate oppure poste liberamente nello spazio, recinte da transenne e allestite con immagini di ogni tipo e materiale. A ciò si aggiunsero le cappelle e gli oratori al di fuori dell’edificio, ma correlati al suo culto in vari modi. Prima del 680 si eresse a sud-ovest dell’abside della basilica un Ora-

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 23. Basilica vaticana, statua in bronzo di San Pietro.

torio dedicato a San Martino. La prima delle due rotonde sul fianco meridionale era stata già dedicata a Sant’Andrea, fratello di San Pietro; nel 757, si consacrò la seconda rotonda a Santa Petronilla, filia dulcissima dell’apostolo. Il suo sarcofago fu trasferito dalla catacomba di Domitilla al Vaticano e deposto nell’ex mausoleo di Onorio imperatore. In questo modo Paolo i accondiscese a un desiderio di Pipino, sovrano dei Franchi; la scelta del luogo di sepoltura fu condizionata forse dall’idea «di far sostituire, sotto il segno del culto petrino, l’Imperatore dai re Carolingi»24. La denominazione del mausoleo come «cappella del Re» (di Francia) passò più tardi alla tribuna meridionale dell’edificio nuovo. Sin dalla fine del vii secolo vi erano anche tombe papali che cominciavano a fungere da luoghi di culto. Nei secoli precedenti la maggior parte di esse – per lo più semplici lastre nel pavimento – si era trovata nei pressi del nartece e del vicino secretarium. Da lì Sergio i (687-701) trasferì i resti di San Leone Magno in un Oratorium Leonis, appositamente eretto nel transetto meridionale. L’oratorio fu restaurato nel ix secolo da Leone iv, che vi fece seppellire anche Leone ii e iii e probabilmente vi trovò posto pure la sua tomba. Giovanni vii (705-707) venne sepolto nella sua cappella mariana nella navata laterale settentrionale. Gregorio iii (731-741) si fece erigere una cappella funeraria nella navata centrale ed emanò un regolamento dettagliato per le funzioni sacre da tenervi. Anche l’oratorio mariano installato da Paolo i (757767) nell’esedra meridionale del transetto, servì al fondatore come luogo di sepoltura. La tomba di Pasquale i (817-824) si trovava nell’oratorio dei Santi Processo e Martiniano. Gregorio iv (827-844) trasferì il corpo di Gregorio Magno dal nartece in una cappella addossata alla controfacciata della navata; probabilmente vi fu sepolto anch’egli. Sergio ii (844847) trovò la sua tomba nell’Oratorio dei Santi Sisto e Fabiano nel transetto meridionale. Accanto a esso Leone iv (847-855) costruì un oratorio per il corpo di Adriano i (772795); l’epitaffio in esametri, stilato da Alcuino alla corte di Carlo Magno, venne scolpito in Provenza e spedito per nave a Roma; salvato dalla demolizione del 1506, verrà inserito più tardi nel nartece dell’edificio nuovo. Il secolo x venne definito da Baronio saeculum obscurum. L’espressione si riferisce all’esaurirsi delle fonti – anche la cronaca del Liber Pontificalis a tratti s’interrompe – ma caratterizza anche un calo effettivo della produzione artistica in Europa attorno all’anno Mille. Nel nuovo millennio, invece, vediamo svilupparsi al di là delle Alpi un nuovo stile monumentale; nascono le cattedrali della Francia e dell’In-

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ghilterra, i duomi degli imperatori tedeschi, le chiese delle vie di pellegrinaggio e quelle degli ordini riformatori. Anche a Roma, sin dalla fine dell’xi secolo, si nota un risveglio delle arti; ma le antiche basiliche, oltre a fornire i modelli quasi eterni di un’architettura sacra, offrivano anche gli spazi per sviluppare nuovi effetti monumentali. Così a San Pietro si continuarono a praticare interventi puntuali entro la cornice esistente. Pasquale ii (1099-1118) fece restaurare l’Oratorium Leonis e installò un altare De Ossibus Apostolorum, entrambi nel transetto. Sotto Callisto iii (1119-1124) l’altare papale ebbe una nuova sovrastruttura. Eugenio iii (1145-1153) donò un altare mariano per il Coro dei Canonici nella parte sud-occidentale della navata centrale. Adriano iv (1154-1159) fece rialzare di un piano l’esedra settentrionale del transetto, a scopo ignoto. Nel frattempo, il Sudario della Veronica nella cappella di Giovanni vii era diventato sempre più un’attrattiva per fedeli; Celestino iii (1191-1198) lo fece sistemare in un ciborio monumentale, e Innocenzo iii (11981216) lo dotò di un’indulgenza speciale e istituì una processione in suo onore. Dal 1200 in poi cominciarono a profilarsi in modo più deciso singole personalità di donatori (papi, cardinali) come anche, poco dopo, di artisti di fama. Innocenzo iii, personaggio eminente sia come teologo sia come politico, spostò la sua residenza dal Laterano al Vaticano (dove già Eugenio iii, 1145-1153, aveva abitato un palatium) e insistette energicamente sul primato della chiesa di San Pietro davanti a tutte le altre. Fece rinnovare il grande mosaico nell’abside della basilica: nel registro inferiore appare egli stesso come successore di Pietro, congiunto – come sponsus et sponsa – a una personificazione dell’Ecclesia Romana; l’iscrizione proclama la basilica di San Pietro Mater cunctarum ecclesiarum. La Cattedra Papale nell’abside e la fronte della confessio vennero rinnovate, e per il basso coro (la schola cantorum) nel transetto Innocenzo donò un nuovo ambone e un cero pasquale; il suo successore Onorio iii (1216-1227) fece erigere un ciborio sopra l’altare papale. Gregorio ix (1227-1241) rinnovò il mosaico della facciata. Niccolò iii (1277-1280) eresse nella navata laterale settentrionale una cappella dedicata a San Niccolò, che accolse anche la sua tomba; era la prima tomba monumentale (con la figura giacente del defunto) di un papa a San Pietro. Egli riorganizzò l’ordine liturgico per l’intera basilica e restaurò la serie dei ritratti papali nella navata mediana. Anche le finestre gotiche della navata risalgono a quell’epoca. Importante, anche se poco documentata, appare l’attività di

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San Pietro in Vaticano

Introduzione allo spazio sacro della basilica

24. Grotte vaticane, cappella della Madonna delle Partorienti, quadro pittorico di Giovan Battista Ricci da Novara (1540 ca.-1627) con la riproduzione del mosaico della Navicella di Giotto.

Niccolò nel Palazzo Vaticano: sembra che risalga a lui la fondazione dell’Aula prima (più tardi Sala Regia) e forse anche dell’adiacente Cappella Magna (più tardi Sistina), che insieme formavano un gruppo parallelo alla basilica e al suo nartece, allineato con essi, ma su un livello più alto. Fu il primo e, per secoli, l’unico tentativo di concepire basilica e palazzo come unità monumentale. Bonifacio viii (1294-1303) costruì una cappella sopra la tomba del papa Santo Bonifacio iv, situata nella navata centrale della basilica, e vi fece erigere da Arnolfo di Cambio un grande monumento sepolcrale per se stesso, cosa che provocò la critica dei contemporanei25. A quegli anni risale

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25. Musei Vaticani, Pinacoteca, Polittico Stefaneschi, Giotto di Bondone (1267 ca.-1337).

pure la statua bronzea di San Pietro seduto, attribuita allo stesso Arnolfo e collocata all’epoca nella cappella di San Martino, dietro l’abside della basilica. Attorno al 1300 si trovava a Roma anche Giotto, che, su incarico del cardinale Stefaneschi, decorò la parete interna del tratto d’ingresso dell’atrio con l’enorme mosaico della Navicella ed eseguì nell’abside un ciclo di affreschi non più ricostruibile. Qualche decennio dopo Stefane­schi, allora residente ad Avignone, ordinò il Polittico Stefaneschi, realizzato probabilmente nell’officina fiorentina di Giotto e collocato forse nel Coro dei Canonici nella navata mediana della basilica. Anche durante gli anni dell’esilio avignonese la basilica ri­mase

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l’obiettivo più importante delle premure papali, ma non ci sono molti dati da riferire. Le guide per i pellegrini elencano un centinaio di altari, di cui cinque, e più tardi sette, con indulgenza speciale. Nel 1345 è menzionato un grande organo, situato probabilmente nella na­vata centrale davanti al pilastro settentrionale dell’arco trionfale. Attorno al 1400 il battistero venne trasferito dal transetto alla navata laterale meridionale, vicino all’ingresso. Nel 1408-1409 si costruì l’oratorio di Sant’Egi­dio presso la navata laterale settentrionale che, concepito come cappella funeraria per Bonifacio ix (1389-1404), precedeva già le donazioni tipiche del Quattrocento.

Il Quattrocento Lo scisma d’Occidente finì, dopo una durata di cinquantadue anni, con Martino v (1417-1431). Il papa Colonna, eletto dal Concilio di Costanza, dopo anni iniziali assai turbolenti, nel 1420 entrò a Roma, che da allora ridivenne residenza stabile del pontefice. Per la basilica costan­tiniana iniziò l’ultimo capitolo della sua storia: si riempì di nuovo di tante splendide opere d’arte che, al contempo, contribuirono ad avvicinare il mo­men­to della sua di­struzione26. Per Martino, tuttavia, si trattò dapprima di riparare i danni verificatisi nel palazzo e nella basilica (nonché in numerosi altri luoghi della

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San Pietro in Vaticano 26. Basilica vaticana, atrio, porta in bronzo di Antonio Averlino detto Filarete, 1433-1445.

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città, particolarmente nel Laterano). Il suo successore, Eugenio iv (1431-1447), è famoso per aver donato i battenti di bronzo del Filarete per il portale centrale della basilica. Fece però molte altre cose per il restauro e l’arredo dell’edificio, nonostante i lunghi anni di assenza da Roma. I nipoti finanziarono la sua tomba monumentale, opera di Isaia da Pisa, posta nella navata laterale meridionale. Iniziò così una serie di monumenti funerari di papi (Nic­colò v, Callisto iii, Pio ii, Paolo ii, Sisto iv, Innocenzo viii, Alessandro iv) e anche di cardinali, che andò a occupare una parte sempre crescente dello spazio sacro: la «memoria» non era più necessariamente legata allo stato di martire o di santo. Fu una svolta che infine – con i progetti funerari di Giulio ii – fece saltare tutto questo intreccio commemorativo. Niccolò v (1447-1455) intervenne in duplice modo nella storia della basilica: contribuì come tutti i suoi predecessori alla manutenzione e all’arricchimento dell’edificio, ma concepì pure un progetto per un suo rinnovamento a fundamentis, e cominciò a realizzarlo. Non esitò a distruggere strutture antiche, che intralciavano la sua impresa, come il mausoleo di Probo e l’oratorio di San Martino del iv e vii secolo. La costruzione non giunse oltre i primi inizi e non venne proseguita dai suoi successori. Essa segnò tuttavia una svolta profonda nella storia della basilica: fin da allora ci fu un’alternativa – per lo meno virtuale – all’edificio costantiniano. In seguito parecchi papi, invece di limitarsi a singole aggiunte allo stato tradizionale dello spazio sacro, mirarono a un suo riordinamento globale. Discuteremo ora le ulteriori sorti dell’edificio vecchio, rimandando il progetto di Niccolò al paragrafo seguente. Con la caduta di Costantinopoli sotto l’assalto degli Osmani nel 1453 l’idea della crociata riguadagnò attualità; essa divenne il tema principale dei pontificati di Callisto iii (1455-1458) e Pio ii (1458-1464). Per la vita spirituale della basilica l’evento centrale fu l’arrivo del teschio di Sant’Andrea apostolo. L’avevano offerto al papa i fratelli dell’ultimo imperatore d’Oriente dopo averlo portato con sé via Patrasso e Corfù ad Ancona. A Pasqua del 1462 Pio ii lo ricevette dalle mani del cardinale Bessarione presso Ponte Milvio, per trasferirlo poi in processione solenne a San Pietro. Sembra che ciò fosse il movente per un riordinamento completo della fronte dell’atrio e del campo antistante: il terreno venne livellato, la scalea d’accesso restaurata e adornata con due statue colossali dei Santi Pietro e Paolo, e si iniziò a costruire una nuova facciata d’ingresso con loggia a tre piani, che doveva mascherare i fabbricati antichi. Di essa vennero ese-

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guite solo quattro campate del pianterreno; completato per intero, il loggiato avrebbe mutato radicalmente l’aspetto esterno della basilica. Fu un passo nella direzione indicata da Niccolò v, ma su un terreno meno sensibile: non si toccò lo spazio sacro centrale del complesso. Peraltro Pio ii non lasciò inalterato neanche l’interno dell’edificio: fece levare il «coro basso» che impediva l’accesso alla confessio e ordinò di trasferire le vecchie lastre tombali dalla navata centrale alle pareti esterne delle navatelle. Per la reliquia di Sant’Andrea si costruì un ciborio nella cappella di San Gregorio, all’inizio della navata laterale meridionale; così essa divenne una specie di pendant al Sudario nella cappella d’angolo sul lato settentrionale. La stessa cappella era prevista per accogliere anche il sepolcro di Pio. Paolo ii (1464-1471) donò un nuovo ciborio per l’altare papale, adornato con rilievi raffiguranti scene delle vite di Pietro e Paolo, e fece restaurare l’oratorio dei Santi Processo e Martiniano nell’esedra meridionale del transetto, dove era stato trasferito il San Pietro bronzeo di Arnolfo di Cambio. Nel 1470 Paolo decise, in vista dell’Anno Santo del 1475, di riprendere la costruzione del Coro di Niccolò v, ma l’attività finì con la sua morte un anno dopo. Con ciò venne definitivamente archiviato il progetto di Niccolò. Sisto iv (1471-1484) riprese l’idea di Pio ii di sgombrare la navata mediana della basilica. L’impedimento maggiore era il Coro dei Canonici davanti alle ultime sei o otto colonne del lato meridionale. Sisto lo sostituì con una costruzione nuova addossata alla navatella meridionale: un ambiente spazioso allestito con stalli riccamente decorati e un affresco del Perugino nella calotta absidale raffigurante la Madonna, alla quale Sisto veniva raccomandato. Per la propria tomba il papa aveva previsto una semplice lastra pavimentale, ma suo nipote Giuliano della Rovere (il futuro papa Giulio ii) commissionò ad Antonio e Pietro Pollaiuolo il sontuoso monumento di bronzo che, sull’esempio delle tombe reali francesi, riempì il centro della cappella e offuscò tutti gli altri monumenti papali. Fu l’azione di un mecenate con ambizioni principesche, ma al contempo un fatto pericoloso per l’avvenire della basilica: il peso di una donazione singola, localizzata alla periferia dell’edificio, minacciò di lacerare il tessuto dei luoghi commemorativi sparsi nello spazio sacro. Innocenzo viii (1484-1492) ricevette in dono dal sultano Bajazet ii la punta della lancia di Longino: dopo il Sudario della Veronica la seconda reliquia di Cristo nella basilica. Con una processione solenne essa venne depositata provvisoriamente vicino al Sudario; il suo luogo definitivo fu il san-

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San Pietro in Vaticano

Introduzione allo spazio sacro della basilica

27. Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro, bassorilievo marmoreo con la Crocifissione di San Pietro, Paolo Romano e bottega, 1467-1470. 28. Maarten van Heemskerck, Veduta di piazza San Pietro. Vienna, Albertina.

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tuario della Madonna nell’ex Coro dei Canonici, sul pilone meridionale dell’arco trionfale. Lì venne eretto un ciborio del tipo di quello di Sant’Andrea; in prossimità trovò posto il monumento funerario di Innocenzo con la statua bronzea del papa seduto. La traslazione della reliquia avvenne solo sotto il suo successore. Innocenzo riprese la costruzione del loggiato sulla fronte d’ingresso ed eresse il palazzo Innocenziano sul lato settentrionale dell’atrio. Sotto Alessandro vi (1492-1503) la basilica ebbe un organo nuovo e grande. Esso si elevava su una cantoria sostenuta da sei colonne di porfido, probabilmente nell’angolo nordoccidentale della navata centrale. Quando nel 1507 si posero le fondamenta del pilone d’Elena, si spostò l’intera struttura verso est, davanti all’ottava e nona colonna settentrionale; fra le colonne porfirie si sistemò l’altare dei Santi Processo e Martiniano e la statua bronzea di San Pietro seduto. La più importante donazione privata di quegli anni fu la Pietà di Mi­chelangelo. Essa venne commissionata nel 1492 dal cardinale Lagraulas per la propria tomba in Santa Petronilla; dopo l’abbattimento della rotonda tra il 1514 e il 1519 il celebre gruppo venne collocato nella sagrestia sul fianco meridionale del nartece, poi nella cappella del Coro di Sisto iv, nella tribuna meridionale («del Re di Francia») della basilica nuova e nella cap­pella del Coro del Maderno, fino a quando non arrivò, nel 1749, sul luogo odierno, nella prima cappella a destra della nuova navata. Un primo monumento funebre per Alessandro vi venne eretto dopo la sua morte nella Rotonda di Santa Maria della Febbre (Sant’Andrea).

Niccolò v La decisione di edificare il nuovo San Pietro venne presa due volte: nel 1450 da Niccolò v e nel 1505 da Giulio ii. Solo il secondo tentativo raggiunse, dopo un secolo di crisi, la meta. Ma forse esso non sarebbe mai stato intrapreso, se il pensiero di una costruzione nuova non fosse stato nel mondo già da mezzo secolo. Averlo pensato fu il merito storico del papa Parentucelli. Il suo atteggiamento nei confronti della basilica corrispondeva alla nuova autocoscienza politica del papato. Già durante i grandi concili della prima metà del secolo Eugenio iv aveva seguito l’idea di uno Stato ecclesiastico rigidamente centrato sulla persona del pontifex. E di Niccolò il suo biografo, Gianozzo Manetti, disse che si era adoperato incessantemente per aumentare «l’onore della Chiesa romana e la gloria della Sede apostolica»27.

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Capitolo primo

Introduzione allo spazio sacro della basilica A fronte: 29. Basilica vaticana, gruppo marmoreo della Pietà di Michelangelo.

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Lo spazio sacro, quindi, doveva diventare prima di tutto il luogo di apparizione del pontefice e della sua gerarchia, e perciò bisognava intervenire nella sostanza dell’edificio. Fu una svolta fondamentale: la vecchia basilica era nata per iniziativa dell’imperatore, quasi come dono del potere statale al vescovo di Roma; ora quest’ultimo entrava nel ruolo del committente. Due sono le fonti che ci danno un’idea del progetto di Niccolò: la descrizione che ne fa il Manetti28, e uno schema planimetrico di mano del Bramante, presumibilmente copiato da un originale quattrocentesco29. A ciò si aggiungono rilievi delle fondamenta del coro iniziato da Niccolò, eseguiti da Antonio da Sangallo e altri. La pianta del Bramante è certamente attendibile (in quanto servì da base alla sua progettazione), ma frammentaria, il testo manettiano invece è ricco di particolari, ma non sempre preciso, trattandosi dell’opera di un letterato e non di un architetto. Il quadro d’insieme tuttavia è abbastanza chiaro30. Come centro dell’edificio nuovo funge uno spazio quadrato della stessa larghezza della vecchia navata mediana, sormontato da una cupola; la tomba con l’altare papale risulta situata a circa cinque metri a ovest del centro geometrico del quadrato. Da questo partono tre braccia di croce di uguale lunghezza, quella occidentale è chiusa da un’abside, le altre due sono rettangolari. Verso est si estende il corpo longitudinale a cinque navate con cappelle laterali, che dovevano accogliere gli altari secondari (mentre i monumenti sepolcrali avrebbero dovuto essere sistemati al di fuori dell’edificio)31. Anche l’atrio e la piazza antistante andavano regolati. Nel testo di Manetti tutto ciò appare come una struttura omogenea, ma è evidente che in verità si tratta di due parti differenti. Solo quella occidentale attorno al quadrato centrale è sostanzialmente nuova, il resto coincide in linea di massima con l’edificio esistente. In questo modo sopravvive la bipartizione della basilica costantiniana in transetto e aula, ma solo adesso essa assume il carattere di un problema formale. L’edificio antico era un agglomerato di elementi eterogenei, sufficientemente spazioso per accogliere tutte le attività del culto che vi si dovevano svolgere, ma privo di un ordine architettonico superiore, anzi, in un certo senso ordinato alla rovescia: il luogo sacro principale, cioè il transetto con l’abside e la tomba, era dimensionato più stretto e, soprattutto, più basso dell’aula longitudinale. Eviden­temente, Niccolò mirò a capovolgere questo rapporto, ponendo l’accento sul centro cultuale dell’edificio e organizzando tutto lo spazio in dipendenza da esso – in­tro­ducendo così nella

30. Ricostruzione del progetto­ di Niccolò v (da Urban 1963).

storia della basilica quella tensione fra impianto centrico e sviluppo longitudinale, che doveva preoccupare gli architetti del secolo successivo. Visto così, il progetto di Niccolò si rivelò un altro passo sulla via che, nove secoli prima, avevano imboccato Pelagio ii e Gregorio Magno: la trasformazione dell’antica basilica in una chiesa cristiana di stampo occidentale. Infatti, erano tutti schemi dell’architettura medievale occidentale – la pianta a croce latina, il verticalismo delle proporzioni, la cupola sopra la crociera, la navata con cappelle laterali ecc. – che Niccolò impiegò per modernizzare l’edificio antico. Fu con questo suo radicale «ecclesianismo», più ancora che con la sua attività effettiva, che egli preparò il terreno per il nuovo San Pietro. L’altro tema della storia edilizia cinquecentesca, che Niccolò v anticipò, fu quello della programmazione temporale della costruzione. Un edificio dell’ordine di grandezza della basilica infatti non si elimina e si rifà in un attimo. Demoli-

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San Pietro in Vaticano

Introduzione allo spazio sacro della basilica

31. Cristoforo di Geremia, rovescio della medaglia in bronzo di Paolo ii, del 1470, con la rappresentazione della tribuna e del ciborio e con legenda «Tribuna S. Petri».

33. Donato Bramante, pianta di presentazione del primo progetto per San Pietro. Firenze, Uffizi, gdsu 1 A («pianta di pergamena»).

32. Donato Bramante, studi per il primo e il secondo progetto per San Pietro. Firenze, Uffizi, gdsu 20 A r.

zione e costruzione formano un processo continuo, e committenti e architetti devono saper stabilire delle priorità, distinguendo fra le loro visioni dell’edificio definitivo e le parti che possono sperare di realizzare. Niccolò si decise a favore di un inizio al capo occidentale del complesso – cioè al suo centro sacrale – e con ciò il problema della navata divenne una cura posterior; anche questa scelta diventò determinante per l’andamen­to della costruzione futura. Il controtentativo di Pio ii di riprendere i lavori partendo dal lato d’ingresso alla basi­lica rimase senza seguito.

Giulio ii e Bramante Giulio ii, al secolo Giuliano della Rovere (1503-1513), figura nella storia di San Pietro come il distruttore della vecchia basilica e il fondatore di quella nuova. In nessun altro pontificato troviamo tracce più profonde di quel conflitto tra progresso e tradizione, che il papato della prima modernità ebbe da affrontare. Giuliano doveva essere un uomo pieno di contraddizioni. Sostenuto dalla cultura umanistica dell’epoca egli stesso si sentiva piuttosto guerriero che erudito («non so lettere»). La sua politica di potere, energica ma non sempre efficace, era radicata in una profonda religiosità personale. Aspramente criticato e osteggiato da tanti suoi contemporanei, appare allo sguardo retrospettivo dello storico come il «salvatore del papato» (Jakob Burckhardt)32. Se da pontefice si sentì obbligato alla conservazione della basilica di Costantino, come «alter Julius» (Caesar) si ritenne capace di sostituire il fabbricato vecchio con uno nuovo, più grande e più bello («praefatam basilicam [...] in suis structuris et edificiis reformare, augere et ampliare»)33. Così sulla medaglia di fondazione proclamò la Templi Petri instauracio, imponendo tuttavia all’architetto di preservare lo status quo («nihil ex vetere templi situ inverti»)34. Euforico al momento della fondazione, confessò appena due anni più tardi di provare «pudore» davanti allo sta­to del cantiere35. Per quanto affascinato dalle visioni del suo architetto, non cessò mai d’intendere lo spazio sacro della basilica come luogo di devozione in senso tradizionale. Alla fine il suo impegno si concentrò sulla propria cappella funeraria (la Capella Julia), che al contempo doveva funzionare da cappella del Coro e dotare San Pie­tro di un santuario mariano situato nell’asse centrale della chiesa36. L’attività edilizia di Giulio ii riprende volutamente quella di Niccolò v, ma si distingue da essa per due elementi. Il

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primo è l’importanza che Giulio attribuiva alla propria persona e famiglia. Caratteristicamente, la sua iniziativa per San Pietro partì dalla ricerca di un luogo adatto alla propria sepoltura (mentre Niccolò aveva voluto tenere la basilica libera da qualsiasi monumento personale). Il secondo sta nel suo architetto, Donato Bramante. Giunto alla fama al servizio del duca di Milano, Bramante non si riteneva più organo esecutivo, bensì interlocutore del committente. Nell’ambito delle corti italiane del Quat­tro­cento, l’architettura aveva assunto una nuova valenza culturale. Trattatisti come Alberti, Filarete, Francesco di Giorgio riflettevano sulle basi teoriche della loro arte; nel confronto con i grandi modelli dell’Antichità gli architetti si proponevano obiettivi propri. Se Bramante aveva in mente un contesto storico, era quello dell’archi­ tettura mon­diale, dove Pantheon e Hagia Sophia, Templum Salomonis e Artimision di Efeso, San Lorenzo Maggiore e il Duomo di Milano fungevano da paradigmi. La Basilica costantiniana gli appariva non come monumento della storia ecclesiastica, bensì come esempio di architettura scadente, in senso sia tecnico sia estetico37. Il culto della memoria doveva cedere il posto alla ratio del disegno: così Bramante poté proporre di scavare la tomba dell’apostolo per trasferirla in un luogo più conveniente al suo progetto. Com’è noto, il veto di Giulio fu categorico38. Ciò non significa che Bramante avesse disegnato su una tabula rasa. Egli partì infatti da una pianta della basilica e del progetto quattrocentesco: evidentemente il compito era quello di perfezionare (augere et ampliare) quel che c’era. Il problema stava nella tipologia ibrida dell’edificio esistente, incompatibile con l’ideale di simmetria assoluta chiesta da Vitruvio per l’architettura sacra. In linea teorica, le soluzioni erano due: limitare la costruzione alla parte centrica (occidentale), rinunciando a un corpo longitudinale, oppure tentare di integrare le parti contrastanti fino alla loro fusione in un’unità nuova39. Un esempio della prima soluzione lo troviamo in una pianta di Giuliano da Sangallo (derivata però da una proposta bramantesca) del 1505-150640. Essa rappresenta un edificio con cupola centrale racchiuso in un cubo. Disegni successivi del Peruzzi variano questo schema. Lo aveva preso in considerazione anche Bramante? Sin dalla metà dell’Ottocento gli storici dell’arte pensavano di sì, completando il celebre «piano di pergamena» in un quadrato perfetto, come lo aveva inteso anche Giuliano. Ma proprio sul verso del foglio sangallesco troviamo la correzione tempestiva di Bramante, che fa proseguire l’im­pian­to centrico in un corpo longitudinale; e questa fu la soluzione da lui adottata ed elaborata nel suo progetto esecutivo.

Non conosciamo testi di quel periodo che affrontino la questione dell’impianto centrico-longitudinale, o che fac­­ ciano supporre che all’epoca avesse avuto luogo una ta­le discussione. Per quanto riguarda Bramante, abbiamo al­cuni dei suoi schizzi, che permettono di seguire l’evolu­zione del suo concetto, dal progetto quattrocentesco con il suo netto distacco fra parte centrica e corpo longitudinale, fino a una struttura spaziale omogenea con navate e navatelle, che possa definirsi «Basilica cruciforme a cupole» e della quale abbiamo un’eco debole in una silografia di Serlio raffigurante la pianta del modello bramantesco completato da Raffaello41. Per quel che concerne il committente, invece, dobbiamo limitarci a citare quella bolla che parla espressamente di praefatam basilicam da allargare e modernizzare. Peraltro c’è il caso di San Petronio a Bologna, che Giulio voleva trattare in modo analogo: disegni di Peruzzi (e forse anche di Bramante) mostrano vistosi paralleli con San Pietro42. In entrambi i casi si tratta di una presa di posizione a favore del moderno, ma non contro la tradizione: anche i templi nuovi dovevano presentarsi come basiliche, nel senso storico-artistico della parola. La differenza è fondamentale: con l’impianto centrico il vano sotto la cupola avrebbe assunto il carattere del naos delle chiese bizantine (oppure delle moschee osmaniche), dove chi entra si sente subito in contatto con l’assoluto; mentre la chiesa a sviluppo longitudinale comprende sempre la dimensione del tempo, mantiene viva la tensione fra la presenza di Dio e il cammino che vi conduce, ossia fra eternità e storia. Vista così, la scelta di Giulio e di Bramante fu, dopo tutto, un’opzione per l’Occidente. Nei circoli clericali il nome di Bramante venne canzonato in «Ruinante»43: era lui il guastatore dello spazio sacro familiare. Giudicando in base ai disegni e schizzi del maestro,

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Introduzione allo spazio sacro della basilica 34. Giuliano da Sangallo, pianta di presentazione di un progetto per San Pietro. Firenze, Uffizi, gdsu 8 A r. 35. Donato Bramante, schizzi di pianta per San Pietro. Firenze, Uffizi, gdsu 8 A v.

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non sembra che egli prestasse molta attenzione alle attività liturgiche da svolgere nel nuovo tempio44, né che prendesse in considerazione il «campo» degli antichi luoghi sacri45. A tal riguardo il suo intervento fu effettivamente negativo. Il suo contributo positivo stava su un piano diverso: era la nuova qualità quasi figurativa della sua architettura. Oltre ad avere la funzione d’involucro l’edificio come tale diventava anche medium di contenuti sacrali. Già il Manetti nella biografia di Niccolò v aveva parlato di architettura come mezzo di propaganda: la folla, non capace di studiare le sacre scritture, andava impressionata con spettacoli grandiosi e specialmente con «magnis edifiis perpetuis quodammodo monumentis»46. Era la stessa idea di associare memoria e magnificenza sovrana, che aveva motivato già Costantino. Ma dove l’imperatore romano aveva puntato sull’effetto immediato di dimensioni enormi e splendore materiale, Bramante evocò la grandezza antica per mezzo di un nuovo linguaggio formale: esso rende percepibile quasi psicologicamente il gigantismo delle strutture, appellandosi alla ricettività emozionale dell’osservatore. C’è infatti nei piloni e archi, nelle paraste, nicchie e cupole del San Pietro bramantesco – per chi riesce a guardarli con gli occhi del Quattro­cento – qualcosa di profondamente inquietante, miracoloso e terrificante al contempo; e questo era proprio ciò che Bramante aveva in mente, stando alla testimonianza di Egidio da Viterbo47. Al cospetto del tempio il pellegrino avrebbe dovuto sentirsi strappato dal suo mondo quotidiano, commosso e sconvolto (commotus attonitusque), e perciò aperto verso la verità della fede – così come per poter lavorare una pietra bisogna staccarla dal suo letto roccioso. Bramante dovette rendersi conto che il suo grande disegno non poteva essere realizzato in un colpo solo. Il processo di costruzione doveva iniziare con le parti occidentali, e per molto tempo tutte le forze sarebbero state impegnate per terminarle. Così il lavoro di pianificazione si concentrò sull’impianto centrico attorno alla cupola, mentre il corpo longitudinale negli schizzi era solo abbozzato e non elaborato. E anche la demolizione dell’edificio vecchio rimase per il momento limitata alla me­tà occidentale della navata. Ciò che venne effettuato durante gli otto anni fino alla morte del maestro è illustrato in una pianta degli anni 1514-151548. Essa fa intuire i conflitti che pesavano sull’impresa. Sebbene d’accordo sull’idea della instauracio, Bramante e Giulio sembrano aver fissato ben presto priorità opposte. Il papa insisteva sulla realizzazione della sua Capella Julia, per l’arreda­mento e la liturgia della quale ema-

36. Sebastiano Serlio, pianta del progetto di Raffaello per San Pietro (da Serlio 1540). Alla pagina seguente: 37. Bernardo della Volpaia, pianta delle costruzioni realizzate nel cantiere di San Pietro intorno al 1514-1515. Londra, Soane’s Museum, Codice Coner.

nò disposizioni minutamente dettagliate49; per erigerla al più presto Bramante doveva usare le fondamenta del coro di Niccolò v, divergenti dal suo disegno. Per assicurare il futuro del proprio progetto, eresse contemporaneamente i quattro piloni della cupola: sono sempre quelli dell’edificio odierno che reggono la cupola di Michelangelo. Iniziò anche i contropiloni verso i bracci trasversali e la navata, fissando così i tratti fondamentali dell’edificio, ma lasciandone indefinito il perimetro e abbandonando «imperfetto» (come riferisce Serlio) anche un modello del suo progetto50. Seguirono cento anni di storia della costruzione, durante i quali man mano svanì il concetto bramantesco. Sembra emblematico che anche la tomba dell’architetto, secondo Alfarano sepolto nella basilica, andasse perduta nel corso degli eventi51.

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San Pietro in Vaticano

Introduzione allo spazio sacro della basilica 38. Sebastiano Serlio, pianta del progetto di Peruzzi per San Pietro (da Serlio 1540). 39. Giovanni Battista Naldi, veduta dell’interno di San Pietro intorno al 1563. Amburgo, Kunsthalle, Kupferstichkabinett.

Tra Riforma e Controriforma

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La decisione di Giulio ii di costruire ex novo non portò alla sperata «rinascita» immediata dell’edificio, ma aprì un periodo di crisi, che doveva protrarsi per tutto il Cinquecento. Nell’anno della morte del papa, San Pietro era per metà cantiere e per metà rovina, ma allo stesso tempo chiesa papale e meta di pellegrinaggi da tutte le parti della cristianità. Leone x (1513-1521) si trovò di fronte alla necessità non solo di continuare l’impresa (e assicurarne il finanziamento), ma anche di provvedere al culto della basilica. Il problema più scottante era l’accessibilità alla tomba e all’altare papale. Nell’abbattimento dell’edificio vecchio era stata risparmiata l’abside e un pezzo della parete circostante. Ora Bramante vi costruì il cosiddetto «tegurio», una struttura solida, nel cui interno si poteva celebrare la messa52; in un certo senso si trattava di una versione miniaturizzata del transetto, che Costantino aveva fatto erigere per proteggere lo scrigno tombale. Comunque ci si era resi conto di essere stati coinvolti in un’avventura di durata imprevedibile e che lo spazio

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sacro della basilica sarebbe rimasto per un bel po’ di tempo in bilico tra i frammenti di due edifici virtuali. Intanto il progresso della fabbrica nuova si svolgeva essenzialmente sulle tavolette da disegno degli architetti. Raffaello, nominato successore di Bramante, in una lettera inviata a Urbino allo zio si vanta di capeggiare «la più gran fabrica che sia mai vista, che montarà più d’un milione d’oro»53; così con lui e il suo «coadiutore» Antonio da Sangallo i progetti raggiunsero dimensioni chimeriche. D’altra parte Vasari riferisce che papa Leone aveva giudicato il modello di Bramante e Raffaello «troppo grande edifizio e da reggersi poco insieme»54; come alternativa, Peruzzi gli avrebbe presentato «un nuovo modello magnifico e veramente ingenioso», probabilmente il progetto a impianto centrico, pubblicato da Serlio. Sangallo da parte sua formulò, dopo la morte di Raffaello (o forse anche prima), un promemoria critico sullo stato della progettazione; alcune delle sue proposte entrarono nel modello ligneo (non conservato), che egli fece eseguire nel 1521. Ancora sotto Leone x venne iniziata la co­struzione della tribuna meridionale, ripresa poi da Clemente vii (1523-1534). Ma il Sacco di Roma del 1527 interruppe qualsiasi attività nel cantiere.

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Che nel frattempo la vecchia basilica non fosse scomparsa dalle teste, emerse tre anni dopo. Nel 1530 Carlo v ricevette la corona imperiale secondo il rito celebrato da secoli in San Pietro, stavolta però non a Roma, ma a Bologna, nella Basilica di San Petronio, trasformata – per quanto possibile – in una copia dell’edificio romano55. La Chiesa dunque doveva cambiar casa? Paolo iii (1534-1549) era fermamente deciso a porre fine a tale stato. Meno interessato del suo predecessore mediceo a questioni architettoniche, avrebbe forse preferito lasciare intatti i fabbricati vecchi, ma gli inizi di Bramante stavano lì e indietro non si poteva tornare. Sembra che Paolo li guardasse con l’occhio del pragmatista: il suo criterio fu la «finibilità» dell’impresa entro un tempo ragionevole. Non gli pareva male «fare così che alli tempi non diciamo di noi, ma di voi si possa vedere finito San Pietro», disse il settantanovenne ai deputati della Fabbrica56. Probabilmente perciò egli nominò Peruzzi – fautore dell’impianto centrico puro – architetto a stipendio pieno al fianco (non sotto) di Sangallo. Un anno dopo però Peruzzi morì e Sangallo tenne il campo. I suoi disegni, conservati in gran copia, mostrano progetti grandi e piccoli di tutti i tipi, ma alla fine prevale la sua tendenza megalomane: il disegno definitivo è effettivamente privo di navata, ma al posto di essa presenta un avancorpo composto da nartece, vestiboli aperti e chiusi e campanili, che nel suo insieme raggiunge la lunghezza dei grandi progetti precedenti57. Non si hanno notizie di un eventuale veto del papa; i deputati ordinarono la costruzione di un modello, che doveva porre fine una volta per tutte alla discussione sull’edificio. Nacque così, in sette anni di lavoro, il «modello del Sangallo» tuttora esistente: un sogno architettonico stranamente avulso dalle condizioni reali del tempo e del luogo, senza relazione con le necessità storiche della basilica.

Col senno di poi sembra difficile immaginare che allora – appena dieci anni dopo lo spavento del Sacco – qualcuno avesse creduto ancora nella realtà di questa visione. Vi credeva Sangallo stesso? Ciò che egli intanto dispose nel cantiere fa venire i dubbi: consolidò la metà sopravvissuta della navata vecchia per mezzo di un muro trasversale (il cosiddetto «muro divisorio») e la congiunse al braccio orientale dell’edificio nuovo; l’articolazione dell’apertura nel muro a guisa di «serliana» dimostra la compatibilità proporzionale delle due strutture58. Fu la più vistosa di quelle sistemazioni provvisorie a lungo termine, iniziate con il «tegurio» bramantesco. La basilica avrebbe continuato a esistere per tutta la durata della costruzione. Che l’intenzione fosse proprio questa lo dimostra l’affresco del Vasari nella «Sala dei Cento Giorni»: dal coro di Giulio ii fino alla navata vecchia, San Pietro appare come

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San Pietro in Vaticano 40. Basilica vaticana, ottagono di San Girolamo, modello ligneo di Antonio da Sangallo il Giovane per la basilica di San Pietro, 1539-1546.

un solo edificio, in stato di lavorazione, ma senza tracce di abbattimenti; il papa che ordina l’ultimazione dell’impresa è vestito da sacerdote dell’Antico Testamento, a simboleggiare la continuità quasi mistica del processo costruttivo. La crisi dei primi decenni era stata rimossa.

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Nel 1546, mentre il suo grande modello stava per essere finito, Antonio da Sangallo morì. Come successore il papa chiamò il settantaduenne Michelangelo Buonarroti. Questi inizialmente si oppose all’idea, ma poi accettò a patto che gli venissero concessi poteri straordinari. Paolo iii acconsentì59. Le conseguenze furono doppie. Per prima cosa vennero depotenziati i deputati della Fabbrica: Mi­che­langelo discuteva il suo progetto esclusivamente con il papa, coinvolgendolo più strettamente di prima nel processo decisionale. Allo stesso tempo cominciò la sua battaglia contro i «ladri» nell’amministrazione e il clan sangallesco ivi annidato. Alla nuova moralità corrispondeva un senso nuovo della realtà: tempo e denaro dovevano rientrare come fattori nel calcolo dei progetti. Contro la protesta dei deputati Michelangelo impose quella riduzione dimensionale, che il papa aveva desiderato sin dall’inizio del suo pontificato. Ciò implicava la rinuncia definitiva a qualsiasi corpo longitudinale, ossia la scelta dell’impianto centrico senza compromessi. Ma anche

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Introduzione allo spazio sacro della basilica 41. Leonardo Bufalini, pianta di Roma, 1551, particolare.

42. Roma, palazzo della Cancelleria, Sala dei Cento Giorni, affresco di Giorgio Vasari con la basilica di San Pietro in costruzione.

questo venne ridimensionato: Michelangelo eliminò i deambulatori delle tribune e con essi una serie di vani secondari nelle zone periferiche dei progetti vecchi. Come prototipo gli servì la Capella Julia che Bramante aveva dovuto erigere sopra le fondamenta di Niccolò v; così Michelangelo si riallacciò (all’insaputa) alla riforma radicale del papa quattrocentesco. Il nucleo rimanente ebbe una nuova articolazione esterna che lo fece apparire come blocco unico, dominato dalla grande cupola. Nell’interno la polispazialità dei progetti rinascimentali venne sostituita da uno spazio accentrato, nettamente contornato e chiaramente illuminato in tutte le sue parti. Venne cancellato ogni ricordo della basilica: confrontato al «compromesso storico» del Sangallo, era un concetto radicalmente moderno, anzi rivoluzionario (sebbene Michelangelo stesso, non familiare con il pensiero di Bramante, si considerasse il vero erede di questi)60. Pesava sull’animo dell’architetto la responsabilità che si era addossato. Invitato da Cosimo i a ritornare a Firenze, Michelangelo rispose di non poter lasciare Roma per amore verso Dio e verso San Pietro. Se fosse partito, qualcuno avrebbe rovinato il suo disegno, e «sare’ causa d’una gran ruina, d’una gran vergogna e d’un gran peccato»61. Più si avvicinava alla morte, più sentiva l’obbligo di realizzare la sua visione di una chiesa libera dai legami tradizionali.

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San Pietro in Vaticano

Introduzione allo spazio sacro della basilica 43. Étienne Dupérac, pianta del progetto di Michelangelo per San Pietro, 1569.

45. Anonimo Fabriczy, veduta della basilica da nord-ovest, intorno al 1570. Stoccarda, Staatsgalerie, Graphische Sammlung.

44. Basilica vaticana, ottagono di San Basilio, modello ligneo di Michelangelo Buonarroti per la cupola di San Pietro, 1558-1561. Successivi restauri di Luigi Vanvitelli.

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Per assicurare «che la [fabbrica] non potessi essere mutata con altro disegno fuori dell’ordine mio»62, Miche­langelo fece erigere due parti esemplari per l’edificio intero: la tribuna meridionale e la cupola. La tribuna venne terminata, la cupola giunse fino alla trabeazione del tamburo; Michelangelo lasciò un grande modello ligneo della struttura completa. Mancava invece un modello o una serie di disegni del progetto complessivo. Vi subentrarono le note incisioni di Dupérac, pubblicate quattro anni dopo la morte del Buonarroti e di dubbia autenticità in alcuni particolari. Tuttavia esse costituirono il progetto che i successivi architetti furono obbligati a seguire. Sembrava che il nuovo tempio avesse trovato la sua forma definitiva. Nel 1585-1590 l’energico Sisto v fece due mosse decisive per arrivare alla conclusione dell’impresa: l’abside bramantesca della Capella Julia venne abbattuta e sostituita da una tribuna conforme a quelle delle braccia trasversali, e la grande cupola venne chiusa. Rimanevano da eliminare i resti della navata vecchia e dell’atrio, e da erigere il porticato d’ingresso illustrato da Dupérac. Un affresco nella Biblioteca

Sistina anticipa il risultato, ed è lecito credere che Sisto v potesse essere stato l’uomo capace di realizzarlo. Ma la morte lo colse dopo soli cinque anni di pontificato.

Il ritorno della basilica Con la sua operazione riduttiva, Michelangelo aveva salvato il nuovo San Pietro (anche se i deputati non la vedevano così). Ciò valeva, però, solamente sul piano della progettazione, mentre in realtà l’edifico antico continuava a persistere. Effettivamente le parti della basilica costantiniana rimaste in piedi sino all’inizio del Seicento co­­s­ti­tuivano più della metà dell’intero complesso, e nel clima post-tridentino destavano un nuovo interesse. Il senso del tempo storico, risvegliato dagli umanisti del Rinascimento, si era rivolto alla Chiesa e al suo passato; co­sì la nostalgia dei tesori perduti si era trasformata in ricerca storica. Già sotto Pio iv Onofrio Panvinio, dotto eremitano agostiniano, aveva spiegato la scelta della

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San Pietro in Vaticano

Introduzione allo spazio sacro della basilica 46. Basilica vaticana, veduta interna dell’abside meridionale. 47. Pianta schematica della basilica intorno al 1600 (da Thoenes 1992b).

forma basilicale da parte di Costantino con l’intenzione di contrastare la (presunta) tendenza pagana di costruire tem­ pli a pianta centrale63. Tiberio Alfarano, chierico beneficiato della basilica, scrisse nel 1582 il suo trattato De Basilicae Vaticanae antiquissima et nova structura, proclamando già nel titolo l’unità essenziale fra edificio vecchio e nuovo64. Lo scopo non era altro che ridefinire lo spazio sacro, allargandolo alla dimensione della storia. Per restituire all’edificio

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la sua forma genuinamente cristiana, Alfarano propose di combinare il tempio michelangiolesco con un corpo longitudinale65. La sua pianta dell’antica basilica – base di tutte le restituzioni moderne – la disegnò su una copia della pianta di Dupérac66, per dimostrare quanti monumenti sacri ancora esistenti sarebbero andati persi realizzando il progetto del Buonarroti. Inoltre riferì scrupolosamente tutte le accuse del clero riguardanti i difetti pratici del progetto. Nel 1595, il cerimoniere papale Giovanni Paolo Mucante le riassume in modo chiaro e tondo: «Il nuovo tempio di San Pietro è poco adatto alle celebrazioni e non è stato costruito secondo la disciplina ecclesiastica»67. A questo punto si rese necessaria una decisione del papa. Ma Clemente viii (1592-1605) si mostrò titubante, tanto più che un’autorità come il cardinale Baronio si era pronunciato a favore di una conservazione dei resti dell’antica basilica68, vale a dire della perpetuazione di quell’ibrido sangallesco. D’altra parte, una relazione anonima di quegli anni menziona «alcuni disegni da aggiungere due Capelle simili alla Gregoriana che cosi allongaria la nave della chiesa»69. Evidentemente si potevano immaginare ancora – o di nuovo – anche soluzioni diverse. Per il momento il papa si accontentò d’incoronare solennemente la cupola terminata con una croce dorata, e di abbattere il «tegurio» di Bramante, ormai inutile; venne distrutta anche l’antica abside con il suo mosaico. L’inte­resse di Clemente si concentrò sull’altare papale, tornato libero nello spazio immenso sotto la cupola70. Clemente fece alzare il pavimento dell’area centrale portandolo al livello fissato da Sangallo per l’edificio intero e pose un nuovo altare esattamente sopra quello vecchio (più tardi, venne rialzato ancora un po’ da Bernini). La Cripta di Gregorio Magno venne rifatta e resa di nuovo accessibile, come un pezzo di «Roma sotterranea» artificiale. Ritornò in primo piano il culto della memoria. Paolo v (1605-1621), non condividendo gli scrupoli del suo predecessore, diede ordine, già nel primo anno del suo pontificato, di abbattere i resti del vecchio complesso, previo, però, una meticolosa inventariazione della loro sostanza monumentale. Nacquero così gli Instrumenta autentica di Giacomo Grimaldi, notaio e sagrestano, cioè archivista e bibliotecario della basilica71. Il manoscritto venne consegnato al papa nel 1620. Motivato tanto da devozione quanto da interesse storico e storico-artistico, Grimaldi creò un fondamento sicuro per le future ricerche sulla basilica. Era forse l’impresa più straordinaria del suo genere vista fino ad allora. Lo spazio sacro di San Pietro sarebbe stato quindi racchiuso da una struttura tutta nuova72: ciò che le fosse mancato di

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San Pietro in Vaticano

Introduzione allo spazio sacro della basilica

48. Anonimo, veduta di San Pietro durante la costruzione della facciata di Maderno, 1610 ca. Wolfenbüttel, Herzog-August-Bibliothek.

autenticità storica, sarebbe stato compensato dall’insieme organico della sua architettura. Ma non era stato deciso ancora niente sul tipo di edificio. Nonostan­te tutte le obiezioni l’immagine del progetto michelangiolesco inciso da Dupérac continuava a emanare il suo fascino, e un cardinale intenditore d’arte come Maffeo Barberini ne chiedeva con veemenza l’attuazione, magari con l’aggiunta di qualche vano secondario per accontentare i desideri del clero. L’alternativa era un corpo longitudinale vero e proprio, e infine fu questa ad affermarsi. Ma i processi decisionali furono tortuosi e si svolsero sotto gli occhi di un pubblico sempre crescente e sempre più critico. Diminuì, invece, il peso dell’architetto. Carlo

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49. Pianta del tempio vaticano con il prolungamento di Carlo Maderno (da Fontana 1694, f. 287).

Ma­der­no, sin dal 1602 successore di Giacomo Della Porta, si dimostrò un progettista capace e versatile, ma i suoi disegni non rivelano un concetto proprio, personale73. A quanto pare era finita l’epoca dei grandi progetti, naufragati tutti più o meno tragicamente nel corso del Cin­quecento. A Maderno comunque venne dato di terminare l’opera, sulla linea del compromesso tra idea e realtà. L’unità della basilica, in senso sia spaziale sia storico, divenne il nuovo Leitmotiv. Maderno riuscì a far «nascere» la sua navata in modo organico dal corpo centrale – solo l’occhio esperto nota il punto di giunzione – nonché a dotarla degli auspicati spazi ausiliari. L’edificio costantiniano

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sopravviveva nelle dimensioni e proporzioni dell’intero complesso; un ricordo dei suoi colonnati potrebbe essere evocato dalla sequenza di edicole nelle navatelle maderniane74. Qua e là traspariva, nella distribuzione dei punti liturgicamente importanti (Coro capitolare, cappella del SS. Sacramento, battistero), la topografia sacra tradizionale75. Sorprende l’energia con la quale ci si mise al lavoro: bastarono sette anni per mettere su la navata con il nartece e la facciata – esattamente il lasso di tempo impiegato una volta per realizzare il modello ligneo di Sangallo. Anche qui s’impone il ricordo dell’impresa costantiniana: la basilica intesa come costruzione ad hoc, innalzata in fretta, di forma convenzionale, ma ge-

50. Basilica vaticana, veduta prospettica della navata settentrionale.

nerosamente dimensionata e allestita con materiali preziosi. Fu questo il punto dove la storia dei due edifici cominciò a spostarsi nel campo delle arti figurative.

Lo spazio iconico La situazione della basilica di San Pietro all’inizio del Seicento assomiglia a quella del iv secolo: l’edificio c’era, ma lo spazio sacro restava da definire. In entrambe le epoche il problema stava nelle dimensioni del fabbricato. Nel caso di quello antico però si era trattato di una grandezza, si può dire,

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Capitolo primo

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

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San Pietro in Vaticano

Introduzione allo spazio sacro della basilica

Alle pagine precedenti: 51. Basilica vaticana, veduta di piazza San Pietro.

52. Veduta delle grotte vecchie in una fotografia Anderson (20302) degli inizi del Novecento.

Alle pagine seguenti: 53. Basilica vaticana, il Baldacchino di San Pietro, 1624-1635, di Gian Lorenzo Bernini. 54. Basilica vaticana, veduta della Cattedra e della Gloria di San Pietro, 1656-1666.

liberale, che aveva lasciato larghi margini a qualsiasi tipo di decorazione, indipendentemente dall’architettura. L’edificio moderno, invece, era articolato in modo da richiedere una stretta conformità fra architettura ed eventuali rappresentazioni figurative. Non a caso le incisioni cinquecentesche (di Serlio, Labacco, Lucchini, Dupérac) presentano un San Pietro essenzialmente aniconico, quale opera di architettura pura. Ci volle quasi mezzo secolo affinché artisti e committenti imparassero ad adeguarsi alle condizioni del nuovo tempio76. Appare quasi naturale che le prime idee del genere concernessero la scultura. Non mancano statue e rilievi, schizzati in modo estremamente sommario, nei disegni di Antonio da Sangallo, e anche di Michelangelo esistono schizzi che mostrano quanto ci si ponesse il problema77. Secondo Dupérac, egli avrebbe previsto di coronare i contrafforti del tamburo della grande cupola con sedici statue colossali, ma non si hanno notizie di progetti concreti. L’idea di popolare con statue le numerose nicchie dell’esterno appare per prima nel pontificato di Sisto v78 e appartiene comunque alla storia post-tridentina dell’edificio. La prima scultura vera e propria che appare al suo interno (ancora in costruzione) è il monumento funerario a Paolo iii di Guglielmo Della Porta, collocato nel 1559 in una nicchia a ridosso del pilone sud-orientale, che in seguito cambierà posto ancora parecchie volte. Guglielmo serbava in petto idee per altre tombe monumentali, come anche per statue e rilievi di bronzo e di marmo79. Ma tutto ciò era ancora precoce. L’inizio della vera storia dell’arredamento della nuova basilica va cercato nel pontificato di Gregorio xiii (1572-1585)80. Fu Gregorio il primo a tentare di programmare il contenuto spirituale dell’edificio intero. Il suo concetto rispecchia la struttura lucida e razionale del progetto michelangiolesco, dal quale egli ancora partiva. Le quattro cappelle angolari andavano dedicate ai quattro Padri della Chiesa, di lingua latina (le due cappelle occidentali) e greca (quelle orientali). Così la tomba di San Pietro si sarebbe trovata in mezzo all’ecumene cristiana, centrata a Roma. Come pars pro toto Gregorio scelse la cappella nord-orientale («Gregoriana»), ultimata nel rustico prima del 1573, che doveva accogliere anche la sua tomba. Vi fu sepolto il corpo di San Gregorio Nazianzeno (trasferito da Santa Maria in Campomarzio), e sull’altare venne posta l’icona miracolosa della Madonna del Soccorso proveniente dalla vecchia basilica. Fu il primo vano liturgicamente utilizzabile dell’edificio; nel 1578 Gregorio gli dedicò una medaglia commemorativa. Il rivestimento delle pareti e delle volte con marmi policromi, stucchi e mosaici seguì la tradizione delle

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cappelle private romane, inaugurata da Raffaello nella cappella Chigi a Santa Maria del Popolo81: da qui la tendenza verso un’e­stetica materialistica che, consapevolmente o meno, si allacciava a quella dell’architettura costantiniana, tardo-antica. Dopo che Sisto v aveva fatto chiudere la grande cupola, l’interesse dei successori si focalizzò sull’allestimento del vano centrale attorno alla tomba. Abbiamo già menzionato le prime misure di Clemente viii. Nel 1598 questo papa prese una decisione di massima portata: il guscio interno della cupola doveva – contrariamente alle intenzioni del Buonarroti – diventare portatore di immagini82. Venne elaborato un programma dogmatico-didattico che, partendo dalla consegna delle chiavi a Pietro, sviluppava la tematica della Parusia di Cristo e della Resurre­zione della carne. Era un tema classico per le parti occidentali delle chiese del Medioevo, che però qui non giunse a manifestare la propria forza, in quanto le dimensioni dello spazio architettonico rendevano difficile la lettura dettagliata delle varie figurazioni, da parte loro limitate dalle strutture della cupola michelangiolesca. L’in­ca­rico venne dato nel 1603 al Cavalier d’Arpino, l’ese­cu­zio­ne in tecnica musiva venne terminata nel 1612. Lo stesso papa Clemente destinò la cappella angolare sud-orientale a «cappella Clementina». Ma essa venne terminata solo dopo la sua morte, e Paolo v vi fece seppellire le ossa di Gregorio Magno, la cui tomba era stata aperta durante l’abbattimento della vecchia navata. Venne quindi ab­ban­donato il concetto ecumenico di Gregorio xiii (che poi riaffiorerà ancora una volta nella Cathedra Petri di Ales­sandro vii); riemerse invece la topografia sacra della vecchia basilica. Per i vani adiacenti alle cappelle angolari Clemente donò sei altari; nei bracci della croce fece dorare gli stucchi delle volte e rivestire le pareti di marmi policromi. Così gli schemi decorativi della cappella Gregoriana si diffusero nell’edificio intero. L’abbattimento dei resti dell’edificio vecchio sotto Paolo v creò problemi anche nell’allestimento di quello nuovo: una massa di oggetti sacri allontanati dalle proprie sedi cercava una nuova sistemazione. Preoccuparono anzitutto le reliquie, custodite per il momento nella sagrestia. Come deposito per opere d’arte di ogni genere c’era l’intercapedine sotto il pavimento rialzato dell’edificio nuovo, che così assunse un carattere a metà museale e a metà sacrale (le «Sacre Grotte»)83. Le opere più insigni, però – come la Navicella di Giotto, il San Pietro seduto di bronzo e i monumenti funebri bronzei di Sisto iv e di Innocenzo viii –, trovarono posto nella nuova basilica. Anche fra le reliquie c’erano pezzi privilegiati: il Sudario, la Lancia Santa e il teschio di Sant’Andrea vennero trasferiti in un vano separato, a ridosso della nicchia superio-

re del pilone sud-occidentale; per poterle ostentare, Paolo v fece costruire apposite balconate su tutti e quattro i piloni. Ma si trattava sempre di soluzioni isolate, non si delineava ancora un concetto globale. Anche nella zona dell’altare papale Paolo cercò di mettere le cose in ordine. Per facilitare le funzioni liturgiche egli separò l’altare dalla tomba, spostandolo nel braccio occidentale. Il nuovo altare venne protetto da un ciborio e la tomba da un baldacchino sorretto da angeli, tutti e due di materiali effimeri, ma previsti per l’esecuzione in bronzo. La confessio ebbe la sua attuale forma per opera di Maderno. Essa e i balconi dei piloni sono gli unici superstiti della sistemazione paolina. Il papa che lasciò l’impronta più durevole nello spazio sacro della basilica fu Urbano viii (1623-1644); in Gian Lorenzo

Bernini trovò un partner congeniale. Con una presunzione senza pari i due si misero a trattare l’edificio in tutta la sua enormità come sostrato di un mondo iconico coerente in se stesso84. L’intervento più urgente riguardò l’altare papale. Urbano lo riportò al posto originario sopra la Tomba di Pietro; come sovrastruttura Bernini disegnò nel 1624 il suo ciboriobaldacchino. Era la più grande fusione di bronzo intrapresa sin dall’antichità. Nel 1627 stavano in piedi le quattro colonne tortili; nel 1631 si modificò il disegno della parte superiore; nel 1633 l’opera era finita. Essa compiva una triplice azione di mediazione: estetica, in quanto forniva un termine di mezzo fra la figura del celebrante e l’immensità dello spazio circostante; storica, in quanto citava l’allestimento costantiniano della tomba; e iconografica, in quanto coronava la tomba di

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San Pietro in Vaticano 55. Basilica vaticana, cappella della Madonna della Colonna, Alessandro Algardi, pala d’altare con L’incontro tra San Leone Magno e Attila.

Introduzione allo spazio sacro della basilica A fronte: 56. Basilica vaticana, navata centrale, Giuseppe e Camillo Rusconi, statua di Sant’Ignazio. 57. Basilica vaticana, navata centrale, Scuola di Bernini, medaglione di San Pietro.

Pietro con la Croce di Cristo (nella versione originaria con la figura del Cristo risorto), congiungendola alla tematica cristocentrica-escatologica dei mosaici della cupola. Così tutto il vano centrale divenne luogo di resurrezione; il pathos dell’architettura bramantesca, assoluto in origine, venne preso a servizio di un messaggio teologico. Sottolineando la continuità del culto della basilica, i quattro piloni vennero dedicati alle reliquie principali di essa; per raggiungere il numero richiesto, Urbano fece trasferire due particole della Croce da Sant’Anastasia e Santa Croce in Gerusalemme a

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San Pie­tro85. I relativi altari vennero sistemati al livello delle «grot­te»; nelle nicchie inferiori dei piloni si posero statue colossali dei Santi Veronica, Elena, Longino e Andrea; nelle nicchie superiori le reliquie vennero raffigurate in rilievi che illustravano la loro relazione con la Passione di Cristo. Nell’asse longitudinale dell’edificio doveva manifestarsi il potere assoluto papale, basato sull’incarico dato a San Pietro di guidare la Chiesa. C’era a disposizione un relitto dall’edificio vecchio, la Navicella di Giotto: essa venne sistemata nella controfacciata della navata, combinata con il rilievo marmoreo del Pasce oves meas di Bernini; le doveva rispondere, attraverso la distanza di tutto lo spazio interno, una raffigurazione dipinta o scolpita della Consegna delle chiavi al centro dell’abside occidentale, e fiancheggiata da due tombe papali, quella di Paolo iii e quella di Urbano viii. Ma l’ordine non fu più commissionato, forse perché il papa negli ultimi anni avrebbe considerato di collocarvi invece la reliquia della Cathedra Petri86. Urbano provvide poi all’arredamento del resto della basilica, facendo dipingere diciannove pale d’altare e una serie di sovrapporte. Tematicamente esse evocavano oggetti e luoghi di culto della chiesa vecchia, ma il contesto storico era sbiadito davanti alla necessità di adeguarsi agli schemi architettonici dell’edificio moderno; ne risultò comunque la prima e forse più splendida galleria della pittura barocca romana. La sistemazione della Cathedra Petri nella tribuna maggiore venne eseguita da Bernini sotto Alessandro vii (16551667). Essa appare come la chiave di volta di un programma grandioso, che in verità non era mai stato concepito come tale, ma si era formato passo dopo passo in un processo continuo di riflessioni, precisazioni e approfondimenti giunto al suo apice nel pontificato alessandrino87. Ovviamente i lavori d’arredamento non si arrestarono qui. Già Innocenzo x (1644-1655) aveva fatto eseguire nella navata mediana una serie di medaglioni di marmo con ritratti di papi, continuando così la tematica del dominio papale attraverso i secoli (e riprendendo la serie dei clipei papali di Leone Magno). La sua committenza più vistosa fu l’enorme rilievo marmoreo dell’incontro fra Leone Magno e Attila, realizzato per l’Altare di San Leone da Alessandro Algardi. Un tema dominante dell’allestimento scultoreo dell’interno divennero le tombe papali. Urbano viii ne aveva incluse due (la propria e quella di Paolo iii) nel suo programma globale; da Alessandro vii in poi i monumenti sepolcrali si diffusero nelle nicchie e nelle cappelle minori del tempio. Ai papi si associarono le statue di fondatori di ordini religiosi nelle nicchie secondarie dei

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piloni, progettate sotto Clemente ix (1667-1669) e realizzate a partire da Clemente xi (1700-1721); fanno loro compagnia le personificazioni delle virtù nei pennacchi delle arcate. Sotto Innocenzo xi (1676-1689) si cominciò a sostituire le grandi pale d’altare con copie musive, che resistevano meglio all’umidità dei muri ed emanavano un più alto grado di «ma­ gni­ficenza». Visto nel suo insieme, l’allestimento iconico della nuova basilica si rivela un processo storico a parte, che porta in sé

il proprio significato. Partendo da punti singoli e isolati, col tempo esso s’impadronì dell’edificio intero, trasfor­mandolo in uno spazio sacro sui generis ovvero un palcoscenico gigantesco per l’autorappresentazione dell’Eccle­sia triumphans dell’epoca post-tridentina. Fu un processo che, dopo tutto, finì con il cambiare ancora una volta l’identità della basilica. Quella costantiniana-medievale era scomparsa d’un colpo, quella rinascimentale scomparve lentamente, per far posto a una terza configurazione: il San Pietro odierno.

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San Pietro in Vaticano

Introduzione allo spazio sacro della basilica

58. Veduta della navata settentrionale: 1. Cappella Gregoriana 2. Cappella del Santissimo Sacramento 3. Cappella di San Sebastiano 4. Cappella della PietĂ

59. Veduta della navata meridionale: 5. Cappella del Fonte Battesimale 6. Cappella della Presentazione della Vergine 7. Cappella del Coro 8. Cappella Clementina

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Introduzione allo spazio sacro della basilica 60. Basilica vaticana, pianta al livello delle coperture con indicazione delle cappelle. 61. Basilica vaticana, veduta aerea.

60. Basilica vaticana, pianta al livello delle coperture con indicazione delle cappelle.

INTRODUZIONE ALLO SPAZIO SACRO DELLA BASILICA

61. Basilica vaticana, veduta aerea.

Cappella della Madonna della Colonna

Cappella dei Santi Michele e Petronuilla

Cappella Clementina

Cappella Gregoriana

Vestibolo della cappella del Coro

Vestibolo della cappella del Santissimo Sacramento

Vestibolo della cappella della Presentazione della Vergine

Vestibolo della cappella del Fonte Battesimale

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Vestibolo della cappella di San Sebastiano

Vestibolo della cappella della PietĂ

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Capitolo secondo

Lettura iconografica della basilica di San Pietro Il messaggio artistico e spirituale dei mosaici Vittorio Lanzani

«Qui voi trovate un pensiero ed un programma, l’attualità perenne del credo cattolico e della Chiesa, attorno alla sede di Pietro, sul luogo del suo martirio.» Beato Giovanni Paolo ii

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Le sante immagini fecero il loro ingresso nella nuova basilica rinascimentale al seguito dell’antica icona della Beata Vergine «del Soccorso»1. Essa fu in assoluto la prima immagine sacra che venne ufficialmente collocata nel nuovo tempio e che attirò ben presto un corteggio di altre sacre raffigurazioni volute per decorare e illustrare la prima grande cappella. A decidere di trasferire l’imma­gine della Vergine del Soccorso dalla restante struttura della vecchia basilica e di iniziare la decorazione con altre immagini su tema mariano fu il papa Gregorio xiii, Boncompagni2. È interessante rilevare che il progetto papale di dare vita a una particolare cappella, e quindi di accendere una prima scintilla di un culto stabile in un tempio per la maggior parte ancora in costruzione, risale all’inizio stesso del pontificato di Gregorio xiii, cioè al 1572. Il papa desiderò subito dare un impulso spirituale almeno a una parte della nuova basilica, nonostante questa si presentasse ancora come un grande cantiere. Mancavano le nuove quote pavimentali e i detriti ingombravano ancora il suolo. Le strutture erano incomplete e ancora grezze; rimaneva ancora al centro della crociera l’antica abside, con il tempietto di Bramante voluto per coprire il vecchio altare con la tomba di San Pietro, perché al di sopra il grande squarcio aperto verso il cielo e alle varie temperie denunciava la lunga mancanza del cupolone. Il proposito del papa era coraggioso. Eppure, tra tanta incertezza e incompiutezza del tempio, il pontefice guardava fiducioso come il salmista alla presenza della Regina: «Astitit regina a dextris tuis, ornata auro ex Ophir»: Sta la regina alla tua destra, ornata con l’oro di Ophir (Sal 45,10). Pertanto Gregorio xiii decise di iniziare a preparare un posto d’onore alla Vergine Maria «del Soccorso», per poterla introdurre solennemente per prima in basilica. Il luogo

prescelto fu la cappella a destra di ampie dimensioni, da cui l’appellativo di «Gregoriana», prima della grande crociera. Vi lavorò per l’architettura Giacomo Della Porta, uno degli architetti che godevano della stima del pontefice. Per la gran mole dei lavori di preparazione passarono più di cinque anni. La cappella ultimata poteva veramente apparire una chiesa nella chiesa. Infine, il 12 febbraio 1578, Domenica i di Quaresima, vi fu la cerimonia del solenne ingresso dell’immagine della Vergine del Soc­corso nella nuova basilica, dove ancora oggi è venerata. Si tratta di un’immagine di modesta fattura, ma di valore storico e devozionale grandissimo. Essa consiste in un af­fresco con il suo supporto murario, tagliato dal contesto originario nel 1543, come si rileva dai registri d’archivio «per le giornate che andorno allevare cioe a tagliare la Madonna di S. Leone»3. Tale luogo era l’altare di San Leone Magno, nell’antica basilica, e l’immagine primitiva appartiene forse all’inizio del xii secolo, quando il papa Pasquale ii († 1118) fece sistemare le reliquie dei santi pontefici Leone i, ii, iii, e iv, rinnovando l’orna­to dell’altare. Dopo l’asportazione, la venerata immagine ebbe una prima collocazione nella navatella del Santo Sudario, dietro l’organo, nella restante parte della vecchia basilica. Il papa Gregorio xiii guardò a questa immagine della Madonna, come alla più antica e venerata tra quelle superstiti. Essa fu certamente allora restaurata e ritoccata nei lineamenti e nel colore, come indicano l’incarnato e la rotondità dei volti. Il vano destinato ad accogliere l’im­magine fu decorato all’intorno con otto cherubini in bronzo dorato uniti a ghirlanda, opera di Sebastiano Torrigiani (motivo decorativo che trovò fortuna per altri successivi tabernacoli mariani a Roma), mentre la figura di un vaso con

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San Pietro in Vaticano

Lettura iconografica della basilica di San Pietro Il messaggio artistico e spirituale dei mosaici A pag. 68: 62. Basilica vaticana, cappella Gregoriana, parete nord, immagine della Beata Vergine del Soccorso, affresco.

gigli e rose in tarsie di marmo fu posta sotto l’immagine. Nel Settecento fu collocato un piccolo baldacchino ornamentale sopra l’immagine della Vergine, oggi scomparso. La cerimonia dell’entrata dell’icona della Vergine in basilica è descritta in questo modo: «Il 12 febbraio 1578, prima Domenica di Quaresima, la predetta immagine fu tolta con cura dalla parete dove si trovava e fu posta sopra un portatile ornato magnificamente con broccati di seta rossa e oro. Affinché la traslazione avvenisse con maggiore venerazione, il Santo Padre Gregorio xiii concesse l’indulgenza plenaria ai fedeli confessati e comunicati, che avessero partecipato alla medesima traslazione o in quel giorno avessero visitato la cappella. Questa cappella “Gregoriana” era tutta ornata di drappi serici e di preziosi arazzi ed in essa era stabilito l’altare con la Croce e i candelieri d’argento e tutto il necessario». Finiti i Vespri, presieduti dal rev. mo Matteo Contarello, canonico e datario del papa, si avviò la processione aperta dal sinichio (grande padiglione) del Capitolo di San Pietro; seguiva la Confraternita di San Giacomo di Scossacavalli (chiesa situata dove ora è via della Conciliazione), poi l’Arciconfraternita del SS. Sacramento della basilica, i Padri Carmelitani della chiesa di Santa Maria in Traspontina (allora soggetta alla basilica), i cantori, i chierici, i Capitolari di San Pietro, recanti torce accese. L’immagine fu portata processionalmente attraverso il portico antico. Venne solennemente introdotta nella nuova basilica dalla porta centrale del muro divisorio, fino alla cappella Gregoriana, che nel contesto ancora grezzo dell’edificio brillava come nuova gemma. Prosegue ancora la cronaca: «Sopra l’immagine veniva portato un baldacchino e da una parte e dall’altra alcuni canonici con la mano accompagnavano il portatile. Seguiva alla fine della processione l’Illustrissimo e Reverendissimo Alessandro Farnese, Cardinale Arcipre­te, con molti prelati e numerosissimo popolo. La santa icona fu posta in mezzo alla cappella sopra un suggesto ornato di lumi e lampade d’argento e vi rimase per il resto della giornata. Venne incensata dal canonico Contarello il quale cantò l’orazione della Beata Vergine. Nella tarda serata l’imma­gine fu presa dagli operai e collocata nella parete sopra l’altare della detta cappella, essendo presenti alcuni sacerdoti della Basilica»4. L’altare della Vergine del Soccorso è uno dei sette altari privilegiati, unus de vii (come inciso sotto il timpano), cioè con annessa particolare indulgenza, similmente a quelli dell’antica basilica. Abbiamo dato particolare rilievo al ricordo dell’entrata di questa prima immagine nella nuova basilica, perché tale fu il

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contesto di devozione e di pietà, che aprì la strada alla decorazione degli spazi architettonici della medesima cappella con nuove immagini. Fu così che le sante immagini popolarono la basilica con i loro colori e le movenze ispirate e leggere sui nimbi celesti e infransero quelli che dovevano essere i liberi spazi e le campiture delimitate dalle cornici architettoniche classiche di austera armonia o racchiuse da robuste paraste. Con questa scelta si veniva a mutare e a superare quel puro classicismo strutturale e formale che avrebbe dovuto improntare tutto il tempio vaticano, secondo le linee progettuali perseguite dagli architetti della Fabbrica, da Bramante sino a Michelangelo. Lo splendore cromatico di oggi sarebbe stato impensabile nella progettazione rinascimentale che prevedeva una linearità classica, mentre il barocco vi aggiunge una veste esuberante5. Infatti con il pontificato di papa Gregorio xiii si era entrati in un nuovo clima ecclesiale e spirituale, che vedeva il papa impegnato in prima persona ad attuare i dettami della riforma voluta dal Concilio di Trento. Anche circa l’atti­vità della costruzione e decorazione delle chiese, il concilio aveva riaffermato alcuni punti fermi della tradizione. In particolare circa le sacre immagini il concilio prescriveva: «Inoltre le immagini del Cristo, della Vergine Madre di Dio e degli altri santi devono trovarsi ad essere conservate soprattutto nelle chiese; ad esse si deve attribuire il dovuto onore e la venerazione [...]. I vescovi insegneranno con molto impegno che attraverso le storie dei misteri della nostra redenzione, espressa con i dipinti e in altri modi, il popolo viene istruito e confermato nella fede, ricevendo i mezzi per ricordare e meditare assiduamente gli articoli della fede; inoltre spiegheranno che da tutte le sacre immagini si trae grande frutto [...]» (Sess. xxv)6. E così Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, nelle sue Instructiones Fabricae, stilate in questa materia fin dal 1572 e poi pubblicate nel 1577 e che ebbero subito ampia divulgazione, riaffermava e spiegava ulteriormente le medesime disposizioni: «Il vescovo deve porre gran cura a che le sacre immagini siano rappresentate pienamente e religiosamente; [...] l’immagine sia conforme alla verità delle scritture, delle tradizioni, delle storie ecclesiastiche, alle consuetudini e all’uso della Madre Chiesa»7. Per comprendere e porre nel giusto contesto la scelta decorativa del nuovo tempio vaticano, occorre notare che Gregorio xiii, fu in gioventù prelato partecipante con alcuni incarichi al Concilio tridentino, soprattutto nell’ultima parte, non solo come giurista, ma anche come aiuto nella redazione di alcuni documenti. Si era pure avvicinato a Carlo Borromeo, divenendone amico e ammiratore e anche da papa gli fu sem-

pre assai legato, perché a lui e alla cerchia di Filippo Neri doveva il suo interno cambiamento in vista del sacro ministero. «Cesare Speciani [vescovo, che fu amico del Borromeo] dice espressamente – così il Pastor – che Gregorio xiii abbia preso molti provvedimenti dietro suggerimento del Borromeo, cui porta una stima quasi incredibile per non dire rispetto, e che da lui si lascia dir tutto, sia nei pubblici affari come nei privati»8. Egli fu pertanto uomo convinto della necessità di una riforma spirituale ed ecclesiale, in continuità con quella del predecessore Pio v. In tale contesto va compresa la devozione e la venerazione del nuovo papa per le sacre immagini da collocare nelle chiese, a cominciare da San Pietro. Scrive ancora il Pastor: «Sebbene Gregorio xiii, che per il corso di studi era soprattutto giurista, non possedesse alcun profondo intendimento per l’arte, pure egli l’ha favorita con generosità»9. Se il giudizio espresso è lusinghiero, tuttavia risulta molto riduttivo e inadatto a spiegare il vero spirito che mosse il papa a sostenere l’arte sacra con le immagini. Gregorio xiii fu permeato da grande ammirazione e impegno per l’arte sacra, nello spirito sincero che animava i movimenti spirituali della Controriforma. Non meraviglia dunque che il papa, appena eletto, abbia voluto dare un nuovo impulso, non solo edilizio, ma anche spirituale e iconografico al nuovo San Pietro. Si passava così da una veste sobria e austera, che avrebbe dovuto caratterizzare il tempio vaticano, a un inizio di decorazione ricca e policroma che sarebbe divenuta esuberante con l’età barocca. Da Venezia, dove l’arte musiva fioriva da antica data, furono richiesti esperti mosaicisti per la messa in opera delle suddette figure. Così il segretario di Stato, Tolomeo Gallio, scriveva il 10 maggio 1578 al nunzio di Venezia la seguente lettera che manifesta tutto lo zelo e la volontà del pontefice circa la decorazione della medesima cappella: «Illustre e molto Reverendo Monsignore. La Santità di Nostro Signore fa fare una Cappella in la chiesa nuova di S. Pietro, et volendola ornare di figure, et altri fregi di mosaico, fatti per mano di maestri eccellenti sapendo che costì fioriscono e se ne trovano più che in ogni altro luogo d’Italia mi ha ordinato di scrivere a V.S. che usi exactissima diligentia di trovare sino a quattro huomini intendentissimi, et più eccellenti che sia possibile ne le cose del detto mosaico, et li mandi qua quanto prima, dove troveranno i disegni delle figure che si hanno a fare, et potranno subito metter mano a l’opera: et quando non se ne trovassero così al presente quattro, veda in ogni modo di mandarne tre, o dui almeno, et che venghino presto. Dice ancora S. Santità che con la rispettiva di questa, V.S. mandi tre o quattro pezzetti di mostra di mosaico

d’oro il più bello che si possa havere acciò se piacerà si possa dar ordine che se ne facci quella quantità che bisognerà. Et sapendo che ne l’una ne l’altra cosa V.S. non mancherà di usare exquisita diligentia, non mi stenderò in dirle altro, se non che me le offro, et raccomando di buon core. Di Roma»10. Questa preziosa lettera, conosciuta solo in parte e che abbiamo voluto dare per esteso, rappresenta quasi, per la volontà che esprime e la praticità di intenti, la carta programmatica della nuova svolta decorativa per la basilica di San Pietro e per l’affermazione delle sante immagini in forma musiva nel nuovo tempio. Dalla lettera traspare il desiderio e l’impegno personale del papa di iniziare uno dei progetti più vasti dell’arte musiva dell’età barocca. E dalla Repubblica Veneta giunsero i primi mosaicisti, Giovanni Gapei da Cherso e i suoi collaboratori: dal 1578, su cartoni del pittore Girolamo Muziano, favorito dal papa, diedero avvio alla decorazione musiva della cappella. Con essi lavorò una folta schiera di mosaicisti, fornaciari, tagliatori di smalti, capatori o smistatori delle tessere, stuccatori e addetti ai servizi ausiliari. Quando la cappella Gregoriana fu terminata destò unanime ammirazione e fu ritenuta la più bella e grandiosa di Roma. Sul progetto più ampio del papa di poter successivamente estendere questo tipo di decorazione alle altre parti della basilica, è eloquente una lettera del 4 settembre 1579 con cui i deputati della Fabbrica di San Pietro sollecitavano al nunzio apostolico a Venezia una raccolta di aiuti finanziari, affinché, dopo la cappella Gregoriana, il papa potesse «dall’altre bande ornare et arricchire il resto del tempio che non si può fare con le forze dell’istessa fabbrica»11. Il tempo racconterà come un progetto così ampio abbia trovato lentamente, ma con una voluta continuità, la sua realizzazione, con il grande impulso dato dai successivi pontefici. Nel giugno del 1590, giusto un mese dopo che l’ultima pietra richiuse l’anello della cupola, un certo numero di artisti preparò «cartelloni per la cupola e la lanterna» e un avviso dell’agosto dello stesso anno afferma in modo quasi profetico che «dentro [la cupola] sarà finita di musaico»12. Un disegno di Cesare Nebbia, il quale fu incaricato di eseguire i cartoni, è conservato, ma niente scaturì da questo lavoro preliminare, forse a causa della morte di papa Sisto. Fu soltanto col pontificato di Clemente viii che la decorazione della cupola fu avviata. Dalla visita pastorale di Clemente viii alla basilica, svolta con alcuni cardinali nel luglio 1592, non emerge l’istanza decorativa, anche perché il papa intese prima di tutto alzare la lanterna sulla cupola, e ciò fu nel 1593. E proprio da questo

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anno un tentativo di mettere a punto un programma iconografico fu intrapreso dal Nebbia, in collaborazione con Giovanni Guerra, poiché ricevette un pagamento per «della pittura che fanno per mettere dentro la cupola», ma ancora una volta non si concretizzò nulla. Bisognerà aspettare altri cinque anni per dare finalmente inizio alla decorazione e precisamente nel 1598 quando, sotto la direzione di Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino, autore dei cartoni della medesima, ebbe inizio definitivamente l’impresa ardita, alla quale parteciparono diversi artisti. La prima area di cui si occupò furono i pennacchi, e il mezzo scelto per la loro decorazione fu il mosaico, sul modello della cappella Gregoriana da poco completata. Non solo il mosaico risultava più splendente che l’affre­sco, ma faceva anche riferimento alla basilica costantiniana (di cui molti mosaici al tempo erano ancora visibili) e alla decorazione paleocristiana in generale. A partire poi dal Giubileo del 1600 e fino al 1611, verrà attuata la decorazione musiva della cappella Clementina (poiché completata dal papa Clemente viii), proprio sul modello e con le caratteristiche attuate nella antistante cappella Gregoriana. Occorre rilevare un altro importante argomento: sulla scelta decorativa con le sante immagini influì non solo il nuovo clima spirituale e disciplinare post-tridentino, ma anche alcuni illustri esempi di immagini sacre superstiti, sia a pittura che a mosaico, dell’antica basilica e che esercitavano un forte richiamo all’antica tradizione figurativa delle chiese, alla quale aveva fatto riferimento il decreto dello stesso Concilio tridentino. Era ancora visibile in situ il grande mosaico medievale nell’antica abside paleocristiana del vecchio San Pietro, che ancora sussisteva nella crociera del nuovo tempio. Essa verrà abbattuta solamente nell’estate del 1592. Vi era raffigurato il Cristo in trono tra i Santi Pietro e Paolo e nella fascia sottostante la Ecclesia Romana con il papa Innocenzo iii. Sussisteva ancora l’antichissimo oratorio di Giovanni vii († 707) con raffigurazioni musive di alcuni fatti della vita di Cristo e con la magnifica immagine della Vergine Regina, nella foggia di una «Basilissa» orientale (alla parete frontale). L’immagine sontuosa della Vergine, tagliata dalla parete solo nel 1608 e ora nella chiesa di San Marco a Firenze, avrebbe potuto in tempi precedenti ricevere degna collocazione e venerazione nella cappella Gregoriana. Ma un altro importante ciclo decorativo a pittura, risalente al pontificato di Nicolò iii, Orsini (1277-1280), sopravviveva sugli archi dell’antico quadriportico, dove pure giganteggiava il grande quadro musivo della Navicella, ossia la scena della barca di Pietro sul mare e il Cristo che trae l’apostolo dalle acque, opera preparata su disegno di Giotto13.

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Lettura iconografica della basilica di San Pietro Il messaggio artistico e spirituale dei mosaici

Tutti questi esemplari, per la loro tipicità, notorietà e rinomanza, hanno senza dubbio spronato per una continuità e sopravvivenza iconografica nel nuovo tempio vaticano, pur con immagini di nuovo stile. Si può dire che dalla fine del 1500, San Pietro divenne il più grande laboratorio d’Europa nella pratica di quest’arte.

Sguardo generale sulla iconografia in San Pietro Entrando nella basilica vaticana spesso il visitatore distoglie lo sguardo dai singoli elementi architettonici e decorativi, a favore di un’immagine complessiva dove architettura, pittura, scultura e arti applicate coesistono e dialogano perfettamente. L’insieme restituisce infatti in maniera armonica la pluralità dei capolavori realizzati nei diversi settori artistici, ma ovviamente ogni opera o ciclo decorativo ha una sua storia, e rappresenta le idee e lo spirito dell’epoca in cui è nata. Non si può dunque parlare della decorazione e quindi dell’iconografia della basilica senza fare riferimento, seppur breve, almeno a tre cicli scultorei che, insieme alla grande estensione delle opere musive, contribuiscono a ornare il maggior tempio della cristianità. Il primo ciclo si riferisce alle figure allegoriche in stucco che decorano gli spazi fra le arcate e la trabeazione della basilica: sono le Allegorie delle Virtù, raffigurazioni femminili recanti i simboli caratteristici affermati dalla tradizione. È evidente che l’insieme iconografico vuole rappresentare come una summa delle virtù o dimensioni spirituali che costituiscono la figura perfetta del cristiano cattolico e del corredo morale della sua anima. Le ventotto allegorie che sovrastano le otto arcate della navata centrale, quelle dei transetti e della tribuna, pur se realizzate in tre diversi periodi, dal 1599 al 1717, rispondono a un unico criterio progettuale. Infatti, completata la cappella Gregoriana, Clemente viii (1592-1605) espresse il desiderio che tutta la basilica avesse il fasto di quella. Fu quindi nel progetto di Giacomo Della Porta (1532-1602), l’intento di ornare anche i pennacchi delle grandi arcate che apparivano troppo vuote a motivo delle imponenti dimensioni. Tale progetto doveva essere per tutte le arcate, ma sotto Clemente viii si realizzarono, tra il 1599 e il 1600, soltanto le prime tre coppie di allegorie, una nell’arco della navata centrale, all’ingresso della cappella Gregoriana, con la Fede e la Carità; l’altra coppia sull’arco che introduce nella cappella di fronte, la Clementina, con la Giustizia e la Fortezza e la terza sull’arco orientale del transetto di sinistra

(sud) con la Speranza e la Prudenza. Si coglie così la ratio theologalis che suggerisce la sequenza delle virtù, iniziando dalla Fede e procedendo con le altre teologali, cardinali e morali. In preparazione del Giubileo del 1650, Innocenzo x (16441655) impegnò dieci scultori per decorare con altre dodici virtù le arcate delle sei cappelle realizzate da Carlo Maderno (1555/56-1629) per il prolungamento della basilica. Mentre per ornare le tre arcate del primo ciclo si impose il tema teologico delle virtù teologali e cardinali (la Temperanza tuttavia non fu mai rappresentata), per le altre arcate il tema venne suggerito dalla funzione stessa della cappella. Per la cappella che ospitava allora la Cattedra di San Pietro, la prima a sinistra della navata dove ora è il Battistero, si scelsero le allegorie della Autorità Ecclesiastica e della Giustizia Divina. Per la cappella del Crocifisso, che dal 1749, in seguito al trasporto del magnifico gruppo scultoreo di Michelangelo Buonarroti, verrà denominata della Pietà, furono scelte le allegorie della Misericordia e della Fortezza, come la più adeguata espressione metaforica della Passione del Signore. Per la cappella della Presentazione, ispirandosi alla pala d’altare del Passignano con Maria fanciulla presentata al Tempio, furono scelte le due allegorie della Verginità e dell’Obbedienza, le virtù proprie dell’atteggiamento di Maria di fronte al disegno di Dio. Nell’arco della cappella di San Sebastiano le virtù rappresentate furono la Costanza e la Clemenza: la prima è la virtù tipica del martire, che persevera costantemente nella sua fede fino alla morte; la seconda trova la sua motivazione nel fatto che i martiri cristiani morivano perdonando i loro carnefici. Per la cappella del Coro, destinata alla preghiera dei canonici, furono scelte le allegorie dell’Umiltà e della Pazienza, i simboli ideali della condizione degli ecclesiastici. Nella cappella del SS. Sacramento la decorazione fu intonata al tema eucaristico: furono scelte le virtù dell’Innocenza (rappresentata come una giovane donna che tiene un agnello, simbolo del tema eucaristico) e della Pace (una donna fissa un ramoscello d’ulivo, simbolo vero della pace). Conclusa la seconda fase del ciclo decorativo degli archi della navata centrale con le statue allegoriche delle virtù cristiane, soltanto dopo 65 anni circa si provvide a iniziare il lavoro negli archi dei transetti e della tribuna. La realizzazione delle dieci statue che ancora mancavano fu affidata, nel dicembre del 1712, a un unico scultore, Lorenzo Ottoni (1648-1726) la cui fama a quell’epoca aveva superato i confini di Roma. L’Ottoni non tenne conto che alcune virtù da lui scelte erano state già rappresentate in basilica, perché volle dare alla sua opera un’interpretazio­ne personale e imprimervi l’impronta

del suo stile: nel transetto di sinistra (sud) rappresentò la Fede cattolica e la Giustizia; nel transetto di destra (nord), detto dei Santi Processo e Martiniano, realizzò le allegorie della Liberalità e della Vigilanza, e della Purezza e Benignità. Nei due archi della tribuna realizzò la Scienza e la Compassione (arco di destra) e l’Umiltà e Immortalità (arco di sinistra). Vi lavorò dal gennaio del 1714 al luglio del 1717, eseguendo le dieci statue per il solito compenso di 100 scudi l’u­na. Tutte le arcate della basilica vaticana furono così ornate dalle allegorie, come previsto fin dal primo progetto per l’anno giubilare del 1600. Ravvisiamo un secondo ambito iconografico. Nella decorazione della navata principale di San Pietro promossa da Innocenzo x per il Giubileo del 1650, oltre alla realizzazione di alcune allegorie delle virtù da porre sulle arcate delle sei cappelle realizzate da Maderno, fu anche previsto il rivestimento di marmo e l’ornamentazione scultorea dei pilastri a sostegno degli archi stessi. Quando Innocenzo x ascese al trono papale (1644), la navata della basilica risultava infatti uno spazio non decorato, eccetto che per la cassettonatura in stucco dorato della volta. Il pavimento era in cotto e le lesene dei pilastri in stucco biancastro, il che provocava un forte contrasto con la policromia della parte ovest a pianta centrale della chiesa14. Il papa volle le immagini dei santi pontefici come decoro e ornamento della stessa basilica. Il progetto decorativo, diretto da Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), coinvolse numerosi scalpellini che si occuparono del rivestimento di marmo dei pilastri, e 41 scultori che vi realizzarono 56 medaglioni di papi (alto ciascuno 1,5 metri), 192 angeli (anch’essi alti 1,5 metri), e 104 colombe (ognuna larga 40 cm circa)15. Il ciclo di ritratti papali, che ha inizio sul pilastro nord-ovest della cappella del Coro e si conclude sul pilastro d’ingresso della cappella della Pietà, include dunque 56 pontefici santi, da San Pietro a Benedetto ii. Non si tratta però di una serie continua, dal momento che sono esclusi otto papi, non ancora canonizzati al momento dei lavori. La persona responsabile della scelta dei pontefici fu il canonico Francesco Maria Torrigio (1580-1650), insigne storico della Chiesa, che seguì i lavori sia dei pilastri sia delle statue delle virtù16. Al Torrigio Carlo Fontana (1638-1714) attribuì «l’invenzione» del programma iconografico dei santi pontefici17, e mons. Virgilio Spada (1596-1662)18, elemosiniere di sua santità e supervisore del programma decorativo intrapreso da Innocenzo x, chiarì i motivi di questa scelta: «Essendo parso molto conveniente, che nella principale Basilica di San Pietro, dov’è suo corpo, e la sua catedra, sia eterna memoria di quelli, che con l’haver seduto in essa catedra hanno da Xpo Signor nostro havuta la potestà sopra tutto il gregge Christiano».

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A seguito della formale presentazione dei modelli a scala intera, dipinti su tela dal pittore Guidubaldo Abbatini (1600 ca.-1656) su disegni del Bernini, la Congregazione della Fabbrica decise che ciascun pilastro sarebbe stato decorato con due ritratti papali nei medaglioni sorretti da coppie di putti e incorniciati da rami di palme; tra i medaglioni, a metà del pilastro, ci sarebbe stata un’altra coppia di putti con i simboli del papato; e la colomba (simbolo di papa Innocenzo x Pamphilj) sarebbe apparsa sia in alto che in basso. Bernini riunì un’équipe di 41 scultori per realizzare questa grande impresa. La lista include Andrea Bolgi, Francesco Baratta, Nicolò Sale, Nicolò Menghini, Domenico De Rossi, Antonio Raggi, Giacomo Antonio Fancelli, Cosimo Fancelli, Lazzaro Morelli, molti dei quali avevano anche realizzato le statue delle virtù. Si può dire che tutti gli artisti disponibili furono chiamati a decorare la navata centrale della basilica e, per il Giubileo del 1650, tutti i rilievi dei pilastri e le statue delle arcate centrali erano conclusi. Il terzo grande ciclo iconografico scultoreo, è quello dedicato ai santi fondatori di ordini e congregazioni religiose, le cui statue sono accolte nelle nicchie comprese tra le lesene della navata centrale e dei tre bracci absidali. L’origine di questo ciclo non va ricercata in una committenza pontificia, ma nel desiderio degli ordini religiosi di fare in modo che i propri fondatori avessero un posto «nella casa del Principe degli apostoli». Nel 1668 i superiori dei più importanti ordini religiosi chiesero infatti di poter collocare nelle nicchie di San Pietro le statue dei propri santi fondatori19, ma il progetto rimase fermo fino al 1706, quando, sotto il pontificato di Clemente xi (1700-1721), fu collocata per la prima volta la statua di San Domenico Guzmán, fondatore dell’Ordine dei domenicani. La distribuzione delle nicchie, affinché non sorgessero problemi di precedenza fra i diversi ordini, fu affidata fin dall’inizio alla Congregazione della Fabbrica, come anche la valutazione artistica del lavoro che prevedeva la presentazione di un modello in scala 1:1. Nel corso di tre secoli sono state realizzate e collocate a ornamento delle nicchie interne della basilica 39 statue: 19 nel xviii secolo (1706-1767), 8 nel xix secolo (1834-1899), 12 nel xx secolo (1904-1954)20. A queste vanno ad aggiungersi quelle collocate anche nelle nicchie esterne inferiori che accompagnano il prospetto della basilica. La prima ad avere il suo posto, sul fianco meridionale della basilica, è stata la statua di Santa Brigida di Svezia, inaugurata nel 1999. Fino a oggi ne sono state collocate 18; l’ultima è stata quella di San Marone, inaugurata nel febbraio 2011.

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Ogni statua presenta uno stile attraverso il quale si rivela il genio e il gusto dell’artista che l’ha realizzata e, anche se nella forma le statue collocate all’esterno della basilica sono per lo più espressive della nostra epoca, si riallacciano formalmente alle statue poste all’interno per il trattamento raffinato e attento della materia: marmo bianco di Carrara. Iconograficamente queste immagini dei santi fondatori formano come una solenne teoria di personaggi schierati a fare da corona attorno al sepolcro del Principe degli Apostoli. Questi santi rappresentano e manifestano la fecondità dei doni e dei carismi particolari che lo Spirito Santo suscita nella Chiesa di tutti i tempi per la vitalità e la missione della comunità di Cristo. Vogliamo inoltre qui accennare solo per completezza al gruppo iconografico che, dalla navata centrale, balza subito allo sguardo: quello bronzeo della Cattedra di San Pietro, completata da Gian Lorenzo Bernini nel 1667. Questo famosissimo monumento esigerebbe da solo una trattazione a parte per la sua grandiosità e originalità artistica. Ma la parte iconografica che per mole di lavoro, estensione decorativa su ampie superfici architettoniche e per vaghezza di raffigurazioni e di simbolismo prevale sulle altre è certamente quella musiva: essa è la più importante e variegata, e merita una considerazione e una indagine, che ne mettano in luce la bellezza e il fascino del messaggio che racchiude. Questa immensa decorazione musiva venne condotta per la quasi totalità tra la fine del xvi e la metà del xviii secolo, con quello spirito e quelle norme che dal Concilio tridentino in poi animarono le arti figurative nelle chiese e costituisce la più grande e alta espressione dell’arte musiva di quel periodo, cui si aggiungono opere più recenti, per una vastissima superficie che supera per estensione i 10.000 metri quadrati. Secondo le argomentazioni del vescovo Gabriele Paleotti sulle sacre immagini (1582), che costituirono un punto di riferimento anche in seguito, i pittori delle immagini sacre «sono come dei teologi muti» oppure «taciti predicatori per il popolo», che parlano attraverso le figure. Afferma: «E se, ancora, è giusto predicare il mistero della passione o la vita di un santo, per quale ragionevole motivo non lo si potrebbe allo stesso modo rappresentare mediante figure?». Queste infatti muovono l’intelletto e la volontà: «Per essere più pratici e chiari, diciamo che, quanto all’intelletto, si dovrebbe fare in modo che tali dipinti si basino su un disegno fatto ad arte e che rispetti la realtà delle cose da raffigurare; quanto alla volontà, i dipinti dovrebbero essere tali da operare due cose: commuovere i sensi ed eccitare lo spirito e la devozione»21.

Alla basilica vaticana, con il suo ricco simbolismo figurativo dei misteri della fede, del regno dei cieli, della presenza dell’apostolo Pietro, roccia della Chiesa, ben si poteva riferire allora il modello che lo storiografo secentesco Daniello Bartoli s.j. (1608-1685) applicava più in generale ai luoghi della fede cattolica: «Questa si è la terra sola infra quante ne ha il mondo, eletta a far più chiaro il cielo [...]. Qui la religione, qui il vero culto, qui le sacre cerimonie, qui il tempio, il piccolo paradiso»22. È necessario tuttavia rilevare che una produzione così vasta di decorazioni e di immagini musive non ebbe dall’inizio un piano iconografico preordinato e unitario, ma vi fu uno sviluppo progressivo per settori, secondo l’op­portunità dei tempi, con scelte figurative e simbologie mirate a illustrare la specifica dedicazione di un determinato spazio sacro o cappella nella basilica. Quanto alla ripartizione delle opere musive, esse risultano armonicamente diffuse secondo l’ordine fissato dagli spazi architettonici: dai piccoli ovali o riquadri entro campiture marmoree, alle spaziose pale degli altari, fino alle elaborate e articolate decorazioni della grande cupola e delle cupolette minori. Queste riservano degli scorci forse poco conosciuti, ma di gran lunga tra i più suggestivi, soprattutto quando i colori dei mosaici vengono ravvivati e accesi dai raggi di sole che entrano dai finestroni o dalle lanterne. E se Carlo Borromeo prescriveva: «A onor del vero, la pianta da preferire [per le chiese] risulta quella cruciforme, che ci viene tramandata sin dal tempo degli apostoli, come è possibile vedere nelle principali Basiliche Romane»23, alla luce di questa istruzione e per usare una metafora barocca, la grande croce formata dalla basilica di San Pietro, risulta così avviluppata da una fioritura di campanule di rara e variegata bellezza di colori, con petali e corolle di pennacchi e lunette. Anche una costante tipologica configura l’impostazione di esse: nella calotta è la raffigurazione di un mistero o visione; nei pennacchi sono dei personaggi, santi o teologi, che hanno illustrato in diversi modi il mistero e nelle lunette sono fatti o persone che hanno avuto qualche affinità o legame con il contesto sacro raffigurato. Pertanto, come sistema per una lettura artistico-spirituale d’insieme, proponiamo un itinerario attraverso la vasta ricchezza iconografica di scenografie e di singole immagini sacre, al fine di raccogliere ed evidenziare le grandi tematiche e i messaggi di fede e di dottrina che esse manifestano. È così che vi scorgiamo alcune dimensioni di grande rilievo: cristologica, mariana, petrina e alcune connotazioni che manifestano il volto della Chiesa cattolica. Realtà tutte che veniamo a illustrare qui di seguito.

La gloria del signore Gesù Cristo L’immagine somma che sta al vertice della costruzione, nella calotta della lanterna della cupola, e per questo poco fruibile dal piano della basilica, è quella dell’Eterno Padre, tra nimbi dorati e cherubini. Essa reca l’iscrizione dedicatoria della cupola: s. petri gloriae: A gloria di San Pietro. Ma la prima immagine, la più alta che attira lo sguardo e che domina su tutte le altre è quella della Maestà del Cristo nella decorazione dell’intradosso della medesima cupola. Già la concezione architettonica della cupola, e con più vasta magnificenza quella michelangiolesca, si propone come un simbolo dell’empireo, come materializzazione simbolica della volta celeste. Tanto più questa concezione prende corpo quando l’intradosso della cupola stessa viene figurativamente trapuntato di stelle su fondo azzurro e viene popolato con la gloria dei santi. Così fu concepita la cupola di San Pietro, quasi un immenso padiglione posto con venerazione a esaltare, a proteggere, a indicare la sottostante tomba dell’apostolo. E anche dall’esterno, chi intravede da lontano, dalla campagna o dalla città, la grande sagoma che si staglia nel cielo, può ricordare la gloria dei santi che la riempie e la presenza di San Pietro. In questa simbologia del cielo domina in posizione frontale sopra l’altare l’immagine del Cristo. Si tratta di una gloria scandita da un ordine classico e armonioso, perché figurata entro campiture e spazi preordinati dal progetto michelangiolesco. Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, che per incarico di Clemente viii ha ideato le figure degli angeli e dei santi, si è trovato a doverle inserire entro fasce con costoloni, specchiature e tondi che già ripartivano con un classico ornato l’ampio padiglione. Tra i santi che attorniano il Cristo, in una celestiale corona, spiccano subito in primo luogo la Vergine Maria, alla sua destra e San Giovanni Battista, il Precursore, alla sua sinistra. È il gruppo, quasi un trittico, che trae dalla devozione e tradizione precedente, molto sentita in Oriente, chiamato Deesis, ossia l’intercessione, la supplica. Infatti la Vergine assisa sui nimbi, con tunica rossa e avvolta in un manto dai riflessi turchini, è con le braccia allargate e protese verso il Figlio per interporre umilmente la sua potente preghiera e così pure alla sinistra, San Giovanni Battista è rivolto verso il Cristo indicandolo come «Agnello di Dio», come aveva fatto nella vita terrena. Attorno è la corona degli apostoli che inizia a destra con Pietro e a sinistra con Paolo, seguendo in questo ordine l’impostazione che veniva a mutare rispetto a quella anteriore, che vedeva Paolo alla destra e Pietro alla sinistra del Cristo,

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Lettura iconografica della basilica di San Pietro Il messaggio artistico e spirituale dei mosaici A fronte: 63. Basilica vaticana, cupola, lanterna, l’Eterno Padre, mosaico. 64. Basilica vaticana, cupola, particolare della decorazione musiva raffigurante la Vergine Maria, il Redentore e San Giovanni Battista.

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ma solo per ragioni di ordine simbolico riferite ai due apostoli (a destra la contemplazione e a sinistra il governo della vita attiva). Gli altri apostoli compaiono con i simboli loro attribuiti dalla tradizione. Nella gloria sono collocati nel giro superiore, entro specchiature trapezoidali, eleganti e mosse figure di angeli, tre dei quali portano alcuni simboli della passione del Signore: la corona di spine (sul Cristo) la Santa Croce (su Maria) e la colonna della flagellazione (nel Battista). Sono questi i segni e i vessilli del trionfo del Salvatore. Nei giri superiori compaiono alcune gerarchie celesti: i cherubini entro dei tondi e in posizione superiore tre angeli o serafini, i quali ci avvicinano e ci introducono, entro un giro celeste trapuntato di stelle d’oro, alla figura musiva dell’Eterno Padre. Al di sotto degli apostoli, in un ampio giro di lunette compaiono «vescovi e patriarchi», secondo una indicazione generica presente nei libri contabili della Fabbrica. Non si tratta di pontefici, ma di quelle figure di vescovi succeduti agli apostoli insieme a uomini della loro cerchia (viri apostolici), fondatori di Chiese (patriarchi), sottolineando in tal modo il ruolo della successione apostolica nella Chiesa dalle origini.

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(Mt 28,20); e l’altro è: «E di nuovo verrà nella gloria, per giudicare i vivi e i morti» (Simbolo Apostolico). È l’evento della seconda venuta del Cristo, dall’alto, per compiere il mistero della creazione e della storia e per il giudizio finale. Dall’altare sottostante, in ogni Eucaristia, si alza l’acclamazione: «nell’attesa della tua venuta». La presenza degli apostoli è nel contesto della promessa fatta loro da Gesù stesso: «Voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele» (Mt 19,28), segno di una partecipazione all’autorità concessa dal Padre al Figlio. Quando, il 3 luglio 1592, il papa Clemente viii effettuò la visita pastorale alla basilica con alcuni cardinali e si decise di abbattere la vecchia abside costantiniana ancora sussistente, con lo splendido mosaico medievale che riportava la figura del Cristo Pantokrator26, guardando su in alto verso la grande cupola ancora disadorna, forse nel pensiero e nel desiderio il papa vi scorgeva già lassù un’altra immagine altrettanto maestosa. Infatti l’ordine di decorare la cupola venne dato subito l’anno successivo, 1593, dopo il completamento della lanterna.

Alla base poi della grande cupola, nei pennacchi che esprimono lo slancio verso l’alto, verso il mistero della gloria e della apparizione di Cristo, sono i tondi con le figure dei quattro evangelisti che con i tradizionali simboli dei loro Vangeli ci introducono verso una sfera superiore, nella comprensione del mistero di Cristo e della sua divinità, attraverso la Parola scritta o, come altri interpretano con simbolismo parallelo, fanno da pilastri su cui poggia e si tramanda la rivelazione di Cristo alla Chiesa. Questi quattro tondi sono stati in modo assai significativo le prime raffigurazioni del 1598 che cominciarono ad adornare tutto il complesso della cupola. Un’altra immagine significativa del Cristo, sia per l’antica tradizione che esprime, sia per il rapporto con l’apostolo Pietro è il mosaico collocato nelle grotte vaticane sopra il sarcofago dell’imperatore Ottone ii († 983)27. Il mosaico, assegnato nella sua fattura originaria tra x e xi secolo, rivela nello stile alcuni richiami arcaici della tradizione romana. Si tratta di un notevole mosaico quadrato raffigurante il Cristo in trono tra i Santi Pietro e Paolo, che stava già sulla sontuosa sepoltura porfiretica (il cui coperchio è ora vasca battesimale in basilica) dell’imperatore nell’atrio dell’antica basilica.

Questo gruppo del Cristo con gli apostoli non era nuovo neanche nell’antica basilica. Già sulla Confessione medievale era raffigurato il suddetto gruppo con statuette a smalti di Limoges, volute da Innocenzo iii († 1216)24. E anche sul ciborio quattrocentesco dell’altare di San Pietro erano poste come ornamento le statue dei dodici apostoli, ad opera di Paolo Romano e Isaia da Pisa25. Venendo ora più da vicino alla figura del Cristo, essa si impone sotto due aspetti, che corrispondono a due articoli del Credo cattolico. «E il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture». Vi scorgiamo anzitutto il Cristo glorioso, risorto dai morti, con i segni della passione e asceso al cielo nella gloria del Padre. È il Cristo che promette e invia lo Spirito Santo e che viene adorato dagli apostoli e dalla Chiesa: «Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui» (Lc 24,50-52). Ma guardando al Cristo assiso in alto sulle nubi del cielo, si viene richiamati a due punti focali della fede cattolica: il primo è la perenne presenza sacramentale di Cristo in mezzo ai suoi: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo»

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L’opera ha subìto nel tempo notevoli restauri, che tuttavia non ne hanno alterato l’originario stile. I due apostoli sono avvolti in candide toghe con clavio, secondo l’uso dei dignitari romani e sono collocati vicino al Cristo, nell’ordine tramandato generalmente dall’antica iconografia cristiana: Paolo alla destra e Pietro alla sinistra del Cristo, a indicare non la preminenza dei ruoli ma la diversità e specificità del carisma apostolico. Tuttavia, alcune particolarità simboliche evidenziano la preminenza di San Pietro nell’ambito della sua basilica. Il Cristo, dal volto iconico e dal portamento solenne, è assiso su una sella regale nell’atteggiamento del docente, interpretato poi come benedicente. Porta la tunica rossa e il manto azzurro. Con gesto maestoso del braccio sinistro pone in un abbraccio la mano sulla spalla dell’apostolo Pietro, a indicare un legame particolare di autorità e di amore. Da parte sua l’apostolo,

Lettura iconografica della basilica di San Pietro. Il messaggio artistico e spirituale dei mosaici

mentre tiene con la mano destra il volumen della Parola, con la sinistra tiene un cerchio con appese non due, bensì tre chiavi, che a prima vista potrebbero indicare il potere concesso da Cristo a lui e ai suoi successori sulla Chiesa pellegrinante, purificante e celeste. Ma ciò supporrebbe una interpretazione ecclesiologica già matura ed evoluta. In realtà le tre chiavi potrebbero più semplicemente ricondurci al racconto evangelico e indicare le tre domande e le relative conferme fatte dal Signore a Pietro di pascere il suo gregge: «Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle» (Gv 21,17). Dal Cristo della cupola scendiamo verticalmente a scoprire, un po’ nascosta proprio sulla tomba di San Pietro un’altra preziosa icona di Cristo. Essa si trova nella nicchia che è uno dei siti più arcaici della basilica. Si tratta di quell’incavo diseguale praticato già nel famoso «Muro Rosso», sulla tomba di

65. Basilica vaticana, grotte vaticane, riproduzione pittorica (ora perduta) del mosaico absidale realizzato da Innocenzo iii nell’antica basilica di San Pietro. Fotografia Anderson (20309) degli inizi del Novecento.

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66. Basilica vaticana, grotte vaticane, Cristo in trono tra i Santi Pietro e Paolo, mosaico.

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San Pietro in Vaticano 67. Basilica vaticana, grotte vaticane, Confessione, «nicchia dei Palli», Cristo docente, mosaico.

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Pietro che le sta alla base. È qui il cuore della basilica, il centro e il motivo della grande costruzione, prima costantiniana e poi rinascimentale, dell’edificio sacro. Cogliamo anzitutto il simbolismo: una immagine maestosa di Cristo, sulla sepoltura di Pietro e vicino alle sue reliquie, vuole manifestare chiaramente il legame tra Cristo e Pietro. In primo luogo dice che il martirio dell’apostolo, predetto da Gesù stesso (Gv 21,18), non avrebbe senso senza Cristo; anzi è stato l’atto supremo di amore di Pietro verso il Maestro, la sua Confessio con la vita, la sua dedizione per il gregge a lui affidato dal Signore. «“Quando sarai vecchio – disse Gesù – un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi”. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio» (Gv 21,18-19). In secondo luogo questa vicinanza del Cristo a Pietro afferma visivamente che il Cristo sostiene e conferma continuamente il suo apostolo e la missione a lui affidata e continuata dai successori: «Simone, Simone ho pregato per te perché la tua fede non venga meno. E tu una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32). L’antico e ieratico mosaico del Cristo, oggi ben visibile soprattutto dall’apertura delle grotte verso la Confessione, era fino al 1979 racchiuso dal cancello davanti alla nicchia stessa della tomba, dove sono custoditi i sacri Palli ed era visibile solo quando si apriva nella solennità dell’apostolo. La sacra immagine presenta il Salvatore su sfondo dorato con nimbo cruciforme, in posizione eretta, anche se il panneggio non permette di cogliere bene le forme inferiori della persona. È con la destra alzata al centro del petto nell’atteggiamento tipico del «maestro» docente (letto poi anche come benedicente) con il pollice e l’anulare congiunti, mentre con la sinistra regge al centro un libro aperto su cui sono alcune parole del Vangelo di Giovanni: ego sum via veritas et vita. qui credit in me vivet: Io sono la via, la verità e la vita. Chi crede in me vivrà (Gv 14,6; 11,25). Sulle pareti laterali della nicchia sono a destra e a sinistra i mosaici dei Santi Pietro e Paolo, ma di fattura moderna, del 1625 come rifacimento di figure più antiche. Il Cristo Maestro è rivestito con una tunica dorata con clavio rosso e con un ampio manto di tonalità blu intenso, trapuntato di crocette auree. L’immagine è stata restaurata in passato e anche rimaneggiata nel panneggio inferiore e privata di una sottile croce astile che teneva, forse come aggiunta impropria, sul fianco sinistro, come la vide e la riprodusse il Grimaldi attorno al 1619. Ma la parte più avvincente e luminosa e, a detta degli esperti, quella originaria, è il viso, il collo e parte della tunica del Cristo. Astratto dal contesto, sembra quasi un viso ispirato alla «Veronica». È probabile un riferimento per dimensione e forma alla reliquia del Santo Volto,

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già allora conservata e venerata in San Pietro e che costituiva in Occidente il modello autentico del volto del Salvatore, i cui lineamenti erano facilmente riconoscibili. Tuttavia la preziosa reliquia, ancora oggi venerata in San Pietro, non presenta più una fisionomia di immediata lettura. Quanto a una datazione di origine dell’immagine, alcuni fanno riferimento al secolo ix e in particolare alla notizia del Liber Pontificalis, riferita al pontificato di Leone iii: «Dentro la Confessione fece una immagine del Salvatore in posizione eretta e alla sua destra e sinistra i beati apostoli Pietro e Paolo»28. O forse l’immagine appartiene più probabilmente ai rifacimenti operati da Leone iv († 854) in tutta la Confessione in seguito alla devastazione operata dai Saraceni nell’84629. È questa certamente una icona del Cristo di grandissimo valore storico e devozionale, perché rappresenta nel cuore della basilica una continuità di culto tra passato e presente sulla tomba di Pietro. Una immagine musiva del Cristo che si impone all’attenzione e alla devozione di chi varca le porte della basilica, è quella che si staglia solenne e soffusa di pietà dalla grande raffigurazione sulla parete frontale del Battistero, sopra il sacro Fonte. La grande scena del Battesimo nel fiume Giordano è resa con grandiosa armonia e spicco dei personaggi. L’opera è copia in mosaico del dipinto di Carlo Maratta, oggi nella basilica romana di Santa Maria degli Angeli, ma in origine commissionato dal papa Innocenzo xii nel 1695 per ornare la stessa cappella del Fonte Battesimale. L’artista lavorò all’opera dal 1696 e nel luglio 1699 essa fu collocata in San Pietro. La traduzione in mosaico fu iniziata a metà del 1730 da Giovan Battista Brughi e in seguito alla sua scomparsa fu portata a compimento dal 1732 al 1734 da Pietro Paolo Cristofori. La figura possente del Cristo che si immerge nelle acque del fiume domina in posizione centrale la composizione e sembra emergere dal contesto per la luminosa carnagione di una corporatura tanto più imponente, quanto più umilmente assoggettata a un rito che lo obbliga a piegarsi, ad abbassarsi. È il Cristo nel momento della sua umiliazione tra i peccatori per volontà del Padre, ma nel contempo è il Figlio prediletto sul quale si squarcia un cielo radioso e attorno al quale meravigliosi angeli adoranti ed estasiati contemplano il grande mistero. La spogliazione del Cristo per entrare nell’acqua prefigura già la sua spogliazione per essere inchiodato sulla croce. Ma con la luminosa corporeità del Messia, resa più splendente e diafana dallo smalto delle tessere musive, contrasta sensibilmente sulla sinistra la figura di Giovanni nell’atto di versare l’acqua su Gesù. Giovanni, meno appariscente, è qua-

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San Pietro in Vaticano 68. Basilica vaticana, cappella del Fonte Battesimale, pala centrale, Il Battesimo di Cristo, particolare.

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si in una zona d’ombra, come se volesse eclissarsi davanti al Messia, proprio come egli affermò: «È necessario che lui cresca e che io diminuisca» (Gv 3,30). Il richiamo a Cristo che proviene da questa stupenda immagine è proprio quello di una immedesimazione personale con il suo mistero, come rigenerazione e vita nuova, che ogni credente ha iniziato nel santo Battesimo. Che se poi alziamo lo sguardo verso la cupola che sovrasta il vestibolo del Battistero, scorgiamo una maestosa raffigurazione del Cristo tra gli apostoli, mentre insegna loro e li invia a predicare e a battezzare. Invece, il Cristo, nel mosaico della Trasfigurazione, che trae dal famoso dipinto di Raffaello del 1520, richiama e attira lo sguardo da lontano, dal fondo della navata di sinistra. Il Signore trasfigurato sulla santa montagna, nella parte superiore della raffigurazione, irradia una potente luce dai toni sia solari sia lunari, con bagliori dorati e aloni candidi che rischiarano il buio profondo della nube circostante. Il Cristo è presentato nella gloria, come la luce del mondo, che supera quella degli astri. Ai piedi del monte, dove i toni sono quelli della vita quotidiana, un movimentato e angosciato campo, contrapposto alla sublimità del monte, presenta gli apostoli impotenti a guarire l’ossesso che viene loro presentato e dove si percepisce fortemente la necessità dell’intervento di Cristo che porti la salvezza, come indica il braccio proteso dell’apostolo verso il santo monte. Infine, una immagine di Cristo che si ispira a una devozione che si è approfondita e diffusa in tempi più recenti è quella del Sacro Cuore di Gesù. Viene qui raffigurata l’apparizione del Cristo, che mostra il suo cuore a Santa Margherita Maria Alacoque. La storia di questa pala d’altare ci riporta al pontificato di Benedetto xv (1914-1922), il quale volle promuovere fortemente la devozione al Cuore di Cristo anche in basilica; tuttavia l’inaugurazione dell’opera, su disegno di Carlo Muccioli, avvenne nell’Anno Santo 192530. È attraverso l’immagine del Cristo, Dio fatto uomo, che possiamo contemplare nella giusta luce anche le figure dei santi, secondo l’espressione del papa Benedetto xvi: «Quando però Dio si è fatto visibile in Cristo mediante l’incarnazione, è diventato legittimo riprodurre il volto di Cristo. Le sante immagini ci insegnano a vedere Dio nella raffigurazione del volto di Cristo. Dopo l’incarnazione del Figlio di Dio, è diventato quindi possibile vedere Dio nelle immagini di Cristo ed anche nel volto dei santi, nel volto di tutti gli uomini in cui risplende la santità di Dio» (Udienza Generale, mercoledì 29 aprile 2009).

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La materna protezione della Vergine Maria La devozione alla Beata Vergine Maria era già fiorente nell’antica basilica costantiniana. Basti fare riferimento a quel gioiello di arte musiva che fu l’oratorio di Giovanni vii († 707), chiamato dallo stesso papa domus sancte marie: Casa di Maria, con l’immagine venerata di Maria Regina, la «Basilissa», per comprendere le radici profonde dell’iconografia mariana in basilica e nell’Urbe. Anche altre antiche immagini mariane, attestate dai documenti nella precedente basilica, sono andate purtroppo perdute. L’attuale basilica ha ereditato la devozione mariana del passato anche attraverso alcune sacre immagini, assai venerate sugli altari superiori e nelle grotte vaticane. Così pure nella decorazione musiva di cui è andato arricchendosi l’attuale tempio, la presenza di Maria trionfa per nuova bellezza artistica e per rinnovati moduli iconografici. Coglieremo le tematiche figurative mariane sotto due aspetti: i fatti riguardanti la vita della Beata Vergine e le prerogative e i titoli che la celebrano. Per un itinerario iconografico volto a scoprire e a contemplare l’immagine della Beata Vergine in basilica, occorre anzitutto alzare lo sguardo e partire da quella raffigurazione alta e umile di Maria accanto al Figlio glorioso nella decorazione musiva della cupola, di cui si è già fatto cenno. La figura di Maria, in uno splendido manto turchino e con una compostezza regale, è con le braccia protese verso il Figlio nell’atteggiamento della intercessione (Deesis) per la Chiesa e per qualsiasi necessità. È il simbolo della missione materna, espressa dalla Vergine Maria dal cielo nel pellegrinaggio terreno. Da questa immagine della Vergine ripercorriamo la raffigurazione di alcuni momenti che ne hanno scandito l’esistenza. Nel Coro dei Canonici si presenta, in una splendida pala musiva, il mistero originario che ha segnato, secondo il disegno di Dio, l’esistenza della Vergine. È l’immagine dell’Immacolata concezione della Maria Santissima, collocata nella gloria del cielo, tra gli angeli in contemplazione, mentre con il piede essa schiaccia l’antico serpente e la luna si incurva sotto i suoi piedi. L’opera, che associa la raffigurazione dei Santi Giovanni Crisostomo, Francesco d’Assisi e Antonio da Padova (di cui nell’altare sono le reliquie), è la traduzione musiva eseguita tra il 1744 e il 1747, da una tela (oggi in Santa Maria degli Angeli) commissionata dal papa Clemente xii all’artista Pietro Bianchi, che tra alterne vicende la realizzò tra il 1730 e il 1740, anno della sua morte.

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Lettura iconografica della basilica di San Pietro. Il messaggio artistico e spirituale dei mosaici A fronte: 69. Basilica vaticana, cappella Clementina, pala d’altare musiva, La Trasfigurazione, particolare raffigurante il Cristo. 70. Basilica vaticana, cappella del Coro, pala d’altare, L’Immacolata con i Santi Francesco di Assisi, Antonio da Padova e Giovanni Crisostomo, particolare in mosaico raffigurante il volto della Vergine Maria circondato di stelle.

Dell’infanzia della Vergine abbiamo il ricordo della sua Presentazione al Tempio, nella pala della seconda cappella a sinistra. L’opera musiva realizzata tra il 1726 e il 1728 è tratta da una originaria tela di Giovan Francesco Romanelli, che la dipinse tra il 1638 e il 1642. La pala, ricca e movimentata di personaggi, seguendo un testo apocrifo, il Protovangelo di Giacomo, presenta la Vergine in tenera età, accompagnata dai genitori Gioacchino e Anna, mentre viene affidata per il servizio del Tempio. Si coglie qui il momento in cui la Vergine bambina è accolta e invitata dal sommo sacerdote con il

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gesto delle braccia a entrare nel luogo santo dalle maestose colonne, mentre dall’alto la sua offerta e dedizione vengono accolte dagli angeli. La festa liturgica di questo mistero, celebrata ben presto dalle chiese d’Oriente, entrò nel calendario d’Occidente nel Medioevo e fu definitivamente confermata per la Chiesa dal papa Sisto v nel 1585. Uno dei misteri più celebrati della Vergine Maria, la sua Annunciazione, è presente nella cappella Gregoriana, ed è anzi il più antico soggetto realizzato nella nuova basilica. La

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Lettura iconografica della basilica di San Pietro. Il messaggio artistico e spirituale dei mosaici 71. Basilica vaticana, cappella della Presentazione della Vergine, pala d’altare musiva, Presentazione di Maria al Tempio, particolare raffigurante la Vergine Bambina con Sant’Anna.

72. Basilica vaticana, cappella Gregoriana, lunetta, Maria Annunciata, particolare del mosaico. 73. Basilica vaticana, cappella Clementina, lunetta, San Giuseppe, particolare del mosaico.

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scena si ripartisce, come in un dittico, entro le due lunette frontali di detta cappella. Nella lunetta di sinistra è la figura di Maria Vergine Annunciata, mentre devotamente inginocchiata sopra un sontuoso inginocchiatoio, quasi un trono, e leggermente inclinata sul libro delle Scritture, allarga le braccia in segno di umile accettazione. La colomba dello Spirito Santo entro un nimbo dorato le sta sopra il capo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo» (Lc 1,35).

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Elisabetta nell’atto di scendere i gradini della sua dimora per andare incontro alla Vergine Maria. Nell’altra lunetta a destra infatti spicca in primo piano la Vergine Santissima, dall’aspetto giovanile, mentre è in cammino, su uno sfondo di cielo dai toni violetti. Un dettaglio iconografico insolito è dato dalla figura di San Giuseppe a un livello più in basso, mentre la accompagna nel suo viaggio. Egli riveste i suoi tipici colori: tunica color indaco e manto ocra, mentre tiene il bastone da viaggio e il sacco delle masserizie. L’opera musiva, realizzata nel 1603 ca., è su disegno di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio. La Natività di Gesù, con la Vergine Madre, compare invece in una lunetta a mosaico sopra l’altare della Madonna della Colonna, correlata all’altra raffigurante Il sogno di San Giuseppe. Il soggetto, disegnato da Giovanni Francesco Romanelli nel 1643-1644 (messo a mosaico nel 1645), presenta Maria mentre inginocchiata accudisce il Bambino Gesù, che dorme in una culla barocca con coltri e guanciali. Nelle altre lunette due personaggi dell’Antico Testamento accompagnano e commentano le scene: il re Davide, che guarda lontano verso il futuro Messia e il re Salomone che mostra l’inizio del Cantico dei Cantici:

«Mi baci con i baci di sua bocca» (Ct 1,2), a indicare il mistero della Vergine come madre e sposa. Oltre ad alcuni episodi della sua vita e della sua missione insieme al Figlio, la Vergine Maria è celebrata nei mosaici della basilica con l’esaltazione delle prerogative e dei privilegi che Dio le ha donato, tramite il ricorso a figure allegoriche di grande bellezza, desunte dalle immagini bibliche, dai testi liturgici e devozionali, quali le Litanie Lauretane, che erano molto diffuse nella pietà popolare. Due cappelle, recanti particolari decorazioni nella cupola e con raffigurazioni musive di stile differente, presentano una ricca simbologia mariana. La prima è la cappella della Madonna della Colonna, la cui cupola è suddivisa classicamente in otto fasce, con tondi e riquadri in stucco dorato, su uno sfondo di cielo popolato da maestose figure di angeli che reggono i simboli mariani incorniciati. I disegni furono eseguiti da Giacomo Zoboli nel 1742 e i mosaici furono ultimati nel 1757. L’altra è la cappella della Madonna del Soccorso (Gregoriana), con una cupola che presenta una decorazione musiva più ricca della precedente e, sebbene segua come schema di base la

Dall’altra parte, nella lunetta di destra, sembra irrompere nella sala, solenne e leggero, entro una nuvola d’oro, l’arcangelo Gabriele. Questi mosaici, insieme agli altri delle lunette, furono realizzati tra il 1770 e il 1779, su disegni classicheggianti di Nicola Lapiccola, in sostituzione di quelli originari di Muziano ormai deperiti. All’Annunciazione fa riscontro il mistero della Visita della Vergine a sant’Elisabetta, raffigurato nella cappella Clementina, diametralmente opposta alla precedente. Ancora nelle lunette frontali figura a sinistra l’anziana

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Lettura iconografica della basilica di San Pietro. Il messaggio artistico e spirituale dei mosaici 74. Basilica vaticana, cappella della Madonna della Colonna, lunetta, Il sogno di San Giuseppe, mosaico.

medesima impostazione, se ne stacca tuttavia nella maestosa scenografia barocca, quasi un celeste tripudio di nimbi dai toni violetti e di angeli in gran movimento, con un illusionismo di profondità di piani, per mostrare le allegorie della Vergine Santissima, correlate tra loro da ghirlande dorate. La decorazione musiva, su disegni di Salvatore Monosilio, fu realizzata tra il 1775 ca. e il 1779, in sostituzione della più antica decorazione del Muziano. Una ricca rassegna di simboli mariani delle due cappelle, nel loro insieme (solo tre si ripetono), offre una ricchezza di teologia mariana e di sentita devozione popolare. Eccone la descrizione: La fontana: «Fontana che irrora i giardini» (Ct 4,15): l’immagine richiama la missione di Maria, che portando in sé l’acqua viva che è Cristo Gesù, diviene dispensatrice di ogni grazia, come la fontana dispensa abbondantemente l’acqua. Si applica a Maria anche il titolo di «Fontana racchiusa» (Ct 4,12), è simbolo della sua verginità. Il pozzo: «Pozzo di acque vive» (Ct 4,15): l’immagine è in sintonia con il tema dell’acqua e della fonte, con particolare riferimento alla profondità e pienezza del dono di Dio in Maria: essa è la «piena di grazia» (Lc 1,28).

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75. Basilica vaticana, cappella della Madonna della Colonna, cupola con i mosaici.

Il giglio: «Come un giglio lungo i corsi d’acqua» (Sir 50,8); «Io sono [...] un giglio delle valli. Come un giglio fra i cardi, così la mia amata tra le fanciulle» (Ct 2,1-2); Maria, tra i peccatori, rifulge per bellezza e grazia, come un giglio che splende per il suo candore: essa è la «Regina concepita senza macchia originale» (Litanie Lauretane); essa è la «benedetta fra tutte le donne» (Lc 1,42). Lo specchio: «Specchio senza macchia dell’attività di Dio» (Sap 7,26). Questa prerogativa della Sapienza divina viene attribuita a Maria «Specchio di giustizia» (Litanie Lauretane), che riflette senza ombra alcuna la luce della santità di Dio. La Chiesa a lei canta «In te nessuna macchia» (Ct 4,7). La stella: «Come stella del mattino fra le nubi» (Sir 50,6). La «Stella mattutina» (Litanie Lauretane), che spunta in mezzo alle ultime tenebre della notte e annuncia il giorno, è un richiamo a Maria, astro che preannuncia l’arrivo del giorno di Cristo e donna che ha «sul suo capo una corona di dodici stelle» (Ap 12,1). Il sole: «Splendente come il sole» (Ct 6,10); «come sole sfolgorante nel tempio dell’Altissimo» (Sir 50,7): Maria, la madre di Dio, diffonde nella Chiesa la luce e la vita di Cristo; essa è la «Donna vestita di sole» (Ap 12,1) che appare nella visione del grande segno nel cielo. La luna: «Bella come la luna» (Ct 6,10); «come luna nei giorni in cui è piena» (Sir 50,6). La bellezza di Maria è paragonata alla luce candida della luna che rischiara la notte. Maria è anche la donna che appare «con la luna sotto i suoi piedi» (Ap 12,1). Il cipresso: «Come cipresso svettante tra le nuvole» (Sir 50,10). Il cipresso sempreverde simboleggia la perpetua verginità di Maria e la sua punta protesa verso l’alto simboleggia la tensione verso il cileo. «Maria è colei che è esaltata al di sopra dei cieli» (Liturgia). La scala: «Una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo» (Gn 28,12). È la scala del sogno di Giacobbe. Maria è la mistica scala, attraverso la quale il Figlio di Dio è disceso per noi dal cielo ed è pure la scala che fa salire verso Cristo. L’incensiere: «Come cinnamomo e balsamo aromatico ho diffuso profumo: come mirra scelta ho sparso soave odore; [...]. Come nuvola di incenso nella tenda» (Sir 24,15). Maria riempie la Chiesa della Sua materna presenza e del profumo della Sua santità, inducendo a seguirne le orme. La colomba: «Unica è la mia colomba, la mia perfetta» (Ct 6,9). La colomba, simbolo della semplicità e della perfezione spirituale, è figura di Maria, sposa dello Spirito Santo.

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San Pietro in Vaticano A fronte: 76. Basilica vaticana, cappella dei Santi Michele e Petronilla, pala d’altare musiva, San Pietro resuscita Tabita, particolare della figura di Pietro.

L’ulivo: «Come ulivo splendido nei campi» (Sir 24,14). L’ulivo, simbolo della abbondanza e della fecondità, allude alla maternità divina e verginale di Maria, che ha dato al mondo Cristo vera luce. Il vaso: «Come vaso d’oro puro, ornato con ogni specie di pietre preziose» (Sir 50,9). Maria, la prescelta da Dio, racchiude in se stessa ogni virtù e grazia: è «Vaso meraviglioso di devozione» (Litanie Lauretane); è «Vaso di elezione» (At 9,15), perché Dio «ha guardato all’umiltà della sua serva» (Lc 1,48). La torre: «Come la torre di Davide» (Ct 4,4 – Litanie Lauretane). Una potente torre di difesa, «costruita a guisa di fortezza» (Ibidem) è Maria per la Chiesa. Ma è «una torre d’avorio» (Ct 7,5 – Litanie Lauretane), capolavoro della città di Dio. La porta: «Questa è la porta del cielo» (Gn 28,17 – Litanie Lauretane). In Maria, che accoglie il messaggio dell’Annunciazione, il cielo si apre sull’umanità. Essa diventa «la porta del Signore» (Sal 118,20) attraverso la quale Dio si ricongiunge all’uomo e l’uomo può accedere al Paradiso. Il tempio: «Questa è proprio la casa di Dio» (Gn 28,17). Portando nel Suo grembo il Verbo incarnato, Maria è in mezzo agli uomini «la santa dimora dell’Altissimo» (Sal 46,5) «santuario di Dio» (Ap 11,19) e «Casa d’oro» (Litanie Lauretane), affinché possa abitarci il «Dio con noi». Infine, l’Assunzione di Maria, il mistero che segna il termine della vita terrena della Vergine è raffigurata in modo originale nella cupola del vestibolo della cappella della Presentazione della Vergine. Sui nimbi del cielo Maria è al cospetto dell’Eterno Padre, mentre con il gesto aperto delle braccia offre tutta se stessa e la missione svolta sulla terra. Al di sopra alcuni angeli recano una corona di stelle sul suo capo.

La presenza dell’apostolo Pietro con i martiri e i santi

Al seguito di Cristo e della Vergine, l’apostolo Pietro è reso presente ed eloquente nella sua basilica da una diffusa iconografia. Pur attratto dalle tante immagini di Pietro, il fedele cercherebbe invano tra gli importanti mosaici della basilica scene di grande rilievo della vita dell’apostolo, quali la Chiamata di Pietro, oppure il Pasce oves meas, oppure, proprio in quel medesimo Vaticano dove l’apostolo offrì la sua vita, una solenne Crocifissione di Pietro, se si eccettua per quest’ultima la piccola pala d’altare del 1784, nel transetto sud (di San Giuseppe), che riproduce il celebre soggetto di Guido Reni.

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Non mancò tuttavia nel progetto iniziale delle pale dei grandi altari addossati ai piloni della cupola, voluto e iniziato da Clemente viii, una raffigurazione del Passignano con la Crocifissione di Pietro (all’altare davanti l’ingresso alla Sagrestia), purtroppo scomparsa. Non si coglie neppure un altro fatto tanto diffuso nella devozione petrina, cioè quello del tradimento dell’apostolo, che si esplicita nell’immagine di Pietro in pianto, con la figura del gallo. Un altro soggetto riferentesi a Pietro, ossia Il pagamento del tributo, proposto dalla Fabbrica di San Pietro, per la pala dell’altare della Presentazione della Vergine Maria (seconda cappella a sinistra), venne escluso dal Capitolo di San Pietro che aveva segnalato il suddetto tema mariano per poter assegnare ai cappellani dell’antica cappella di Innocenzo viii, un altare mariano di cui erano da gran tempo privati. Purtroppo ambedue le opere, non solo non furono tradotte in mosaico, ma cedettero il posto ad altri soggetti iconografici, quali vediamo oggi. Ed è appunto dallo sguardo del visitatore di oggi che vogliamo cogliere quali immagini dell’apostolo abbia recepito la basilica e quale profilo ne emerga. Nei mosaici viene presentata anzitutto una figura «gloriosa» di Pietro, attraverso alcuni fatti della sua vita, segnati principalmente dalla sua forza taumaturgica. Non per nulla i primi riferimenti alla realizzazione di queste immagini per gli altari, dicono semplicemente «li miracoli di S. Pietro»31. Si tratta di una figura di Pietro che esprime il potere dei miracoli, nel nome di Gesù Cristo. Ci riferiamo al soprannaturale intervento di Pietro a punizione di Anania e Saffira per la loro frode nei confronti dell’apostolo circa i beni della comunità, per cui «un grande timore si diffuse in tutta la Chiesa» (cfr. At 5,111). Il mosaico del 1727 è da un originale precedente di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio. Esisteva poi, dove oggi è l’altare del Sacro Cuore di Gesù, una pala dipinta su lastre di ardesia (oggi conservata e ricomposta nell’ottagono di San Gregorio), raffigurante il fatto apocrifo del miracolo di Pietro e la caduta di Simon Mago, dipinto da Francesco Vanni, firmato e datato 1603. Segue poi la pala raffigurante San Pietro che risana lo storpio alla Porta Bella del Tempio di Gerusalemme, in compagnia dell’apostolo Giovanni. Pietro disse allo storpio: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!» (Cfr. At 3,1-8). Il mosaico è da un originale presentato nel 1749 da Francesco Mancini. Un altro miracolo è raffigurato nella pala dell’altare a destra della tribuna della Cattedra: il soggetto è Pietro risuscita la discepola Tabita, mentre proferisce le parole: «Tabita, alzati!» e le porge la mano per farla

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alzare (cfr. At 9,36-42). Il mosaico, concluso nel 1760 è da un originale dipinto da Placido Costanzi nel 1740. A questi miracoli di San Pietro è da aggiungere la pala d’altare della Trasfigurazione di Gesù sul Tabor, mosaico rifinito nel 1767, dal famoso originale di Raffaello Sanzio. Qui Pietro è partecipe, insieme agli altri due apostoli prediletti, della manifestazione della luce divina del Salvatore. Oltre a questi fatti della vita di Pietro, che rappresentano soltanto una limitata tipologia di una serie o repertorio che doveva essere significativamente più ampio, si coglie in basilica anche una iconografia dell’apostolo che, sebbene attraverso un modulo più posato e definito, vuole sottolineare le prerogative di colui che ha il primato, che ha le chiavi del Regno dei Cieli, che lega e scioglie, che guida il gregge di Cristo. Tali

prerogative risultano evidenziate anche dalla specifica collocazione dei mosaici. Ci riferiamo anzitutto, all’immagine di San Pietro assiso nella gloria, alla destra della Vergine, tra gli apostoli e i santi che fanno corona a Cristo, nel paradiso della cupola. Egli tiene con una mano il libro delle lettere e con l’altra le due chiavi: una d’oro per la realtà del cielo e una d’argento per quella della terra. Così pure è l’iconografia del San Pietro risalente al 1625, dai colori molto accesi, che si ammira nel punto più antico e cuore della basilica che è la tomba dello stesso apostolo. Qui egli è raffigurato in piedi, con i simboli della sua autorità, appunto il libro e le due chiavi. Ma l’immagine che per la sua visibilità e collocazione presenta maggiormente l’apostolo con la sua speciale autorità è quella collocata sulla Porta Santa nella parte interna della basilica. L’apostolo,

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San Pietro in Vaticano 77. Basilica vaticana, cupola grande, San Pietro, particolare della decorazione musiva.

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dal portamento maestoso, su uno sfondo di tessere dorate e sporgente a mezza persona dai nimbi, tiene davanti al petto le due chiavi, d’oro e d’argento, e con l’altra mano presenta il volume delle epistole. In questo luogo, simbolo dell’indulgenza e della dispensazione dei beni spirituali del tesoro di grazia custoditi dalla Chiesa, si coglie con evidenza nella figura di Pietro il potere conferito a lui e ai successori di legare e sciogliere, di aprire e di chiudere e di pascere il gregge del Signore. «A te darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,19). Un altro aspetto di grande importanza e costitutivo della missione dell’apostolo viene evidenziato in due esemplari della basilica. Si tratta dell’episodio della Tempesta sul lago di Genesaret e di Cristo sulle acque che afferra Pietro per non lasciarlo affondare (cfr. Mt 14,22-32). È simboleggiata qui concretamente la divina potenza di Cristo che continuamente sostiene l’umanità e la fragilità di Pietro. E se, come si è prima accennato, in basilica non è presente il tema del rinnegamento di Pietro, forse perché troppo allusivo alla debolezza dell’apostolo, lui roccia della Chiesa, con più ricco simbolismo il Cristo, che afferra Pietro perché non affondi e perché cammini con lui sulle acque, manifesta come la vera potenza di Pietro è la mano di Cristo che lo sostiene e non permette che venga meno. Così fu anche nel momento drammatico del rinnegamento e per questo il Cristo sostiene sempre la persona di Pietro nei momenti difficili della sua storica successione nella Chiesa. L’episodio detto della Navicella è raffigurato nel grande mosaico nella parte superiore centrale del portico della basilica. L’opera, completata nel 1675, riproduce l’antico mosaico, su disegno di Giotto, un tempo esistente nel quadriportico antistante la vecchia basilica. L’altra raffigurazione musiva della Navicella si ritrova nella pala d’altare al pilone nord-ovest della basilica. La composizione movimentata e drammatica della tempesta sul lago, in cui la piccola nave, che porta gli apostoli sembra essere sommersa dai flutti, è opera musiva finita nel 1726 su disegno di Giovanni Lanfranco († 1647). Le due opere qui ricordate manifestano ciascuna a modo proprio un particolare aspetto dell’episodio petrino. Nel mosaico di ispirazione giottesca, con la sua composizione misurata e ieratica, dove anche la paura è trasfigurata, domina la sicurezza offerta dal Cristo all’apostolo e la divina protezione che lo tutela con un gesto che sembra travalicare il tempo, con la figura di Pietro in ginocchio sulle acque. Invece nell’opera del Lanfranco si coglie maggiormente il dramma della paura e

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la fragilità di Pietro, già affondato nei flutti fino alle ginocchia, ma pure fermo perché afferrato con forza da Cristo. Una costante iconografica che caratterizza tutte le raffigurazioni di Pietro è il colore tradizionale del vestito: la tunica color azzurro o indaco e il mantello color giallo-ocra. In questo si nota una continuità con la figura musiva dell’apostolo nel mosaico medievale dell’antica abside e del ciclo di affreschi medievali nell’antico portico, di cui un frammento con l’immagine di Pietro è conservato tutt’oggi presso la Fabbrica di San Pietro. Attorno alla figura di San Pietro, primo papa, una corona di santi e beati, a cominciare dai primi martiri, arricchisce e completa con una diffusa iconografia il patrimonio di immagini sacre della basilica. Alcune immagini sono tratte da antiche devozioni già presenti nella precedente basilica e altre sono state aggiunte nel corso dei secoli a testimonianza della fioritura di santità sempre viva nella Chiesa. Si parte emblematicamente dai Santi Processo e Martiniano, ritenuti tradizionalmente i carcerieri di San Pietro a Roma, fino ai santi e beati dei nostri giorni, come San Giuseppe Bilczewski, canonizzato nel 2005 dal papa Benedetto xvi, la cui immagine musiva è collocata nelle grotte vaticane.

Il battesimo, porta della salvezza, e l’universalità della Chiesa (La cappella del fonte battesimale) Il tema della universalità della salvezza offerta da Dio e di conseguenza l’immagine della cattolicità della Chiesa è proposta con un linguaggio iconografico avvincente nella cappella del Fonte Battesimale. La spettacolare opera musiva che riveste la cupola si può definire una vera summa della teologia del Battesimo come «porta della salvezza» aperta a tutti gli uomini. L’impresa fu realizzata tra il 1738 e il 1746 su disegni di Francesco Trevisani, pittore istriano di formazione veneta, divenuto famoso a Roma e protetto dal cardinale Ottoboni. La grandiosa scena fu richiesta all’artista della Fabbrica di San Pietro con la proposta di una precisa descrizione tematica, emersa forse da una riunione dei cardinali della Congregazione. Infatti un foglio di quell’epoca non firmato né datato così prescrive: «Si dovrà rappresentare nel sito principale della cupola il Padre Eterno in gloria collo Spirito Santo in seno. Sotto di esso, e delle nuvole, che sosterranno la stessa gloria, sul piano del terreno in lontananza, e quasi mezzo adombrato

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si vedrà il Paradiso terrestre coll’albero del divieto, e Adamo et Eva sbigottiti in atto di fuggire. Dal lato destro, sul piano parimente del terreno nel primo presso, starà Cristo Sig.r Nostro in riva al Giordano, fecendo cenno, e intimando agli apostoli, ite et baptizate, ecc., dal qual comando animati gli apostoli, alcuni di loro stenderanno le mani in segno d’aver accettato il comandamento, altri immergeranno le tazze dentro il Giordano, ed altri finalmente verseranno l’acqua sopra coloro, che anderanno affollandosi intorno agli apostoli per desiderio d’esser battezzati. Dalla parte sinistra spiccandosi dallo Spirito Santo collocato nel seno dall’Eterno Padre diversi raggi di purissima luce anderanno rischiarando, e illuminando a poco a poco la faccia, e le membra di coloro, che bramosi di ricevere il Batte-

simo del S. Amore verranno per quella parte accostandosi al Trono del Padre eterno. In ultimo luogo si possono esprimere alcuni Carnefici, che colle minacce, e con diversi stromenti di morte cercheranno d’impedire alle Turbe l’accesso per ricevere il S. Battesimo; e questa sarà la terza specie di Battesimo, cioè quello del sangue, figurato in coloro, che per accostarsi a Cristo sono stati dalla crudeltà de’ Tiranni martirizzati. Si potranno in oltre rappresentate in aria quantità d’Angioli con palme, e corone in mano in positura di coronar quei, che patiscono il martirio e in atto d’invitare, e animare gli altri, che vengono dal Gentilesimo, o dal Giudaismo a ricevere l’altre due sorti di Battesimo»32. Il tema attinge dalla classica teologia cattolica circa il Battesimo, che associa al Battesimo rituale nel sacramento per

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Lettura iconografica della basilica di San Pietro. Il messaggio artistico e spirituale dei mosaici 78. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, cupola, La Santissima Trinità, particolare della decorazione musiva.

mezzo della infusione dell’acqua e della formula sacramentale, anche la possibilità del Battesimo «di sangue», ossia tramite l’effusione del sangue nel martirio, a partire dalla parola di Gesù che ha promesso la salvezza a chi perde la vita per lui (Lc 9,24; Mt 10,39; Gv 12,25), pentito dei propri peccati; inoltre viene contemplato il Battesimo «di desiderio», per coloro che pur volendolo con tutto il cuore, per motivi a loro esterni non potranno riceverlo, come affermava già il Concilio di Trento, ossia che il passaggio dal peccato alla grazia «dopo l’annuncio del Vangelo, non può avvenire senza il lavacro della rigenerazione o senza il desiderio di esso» (Sess. vi, cap. iv)33. Nella grande scenografia della cupola l’autore riesce ingegnosamente a far leggere in modo unitario, sebbene articolato attraverso una successione di scene, sotto un cielo color indaco, carico di speranza, il meraviglioso disegno della salvezza, che parte da Dio ed è destinato in ogni modo a tutta l’umanità. Il punto focale della raffigurazione e il principio propulsore di tutto il susseguirsi dei movimenti è il gesto della mano e il dito dell’Eterno Padre, che si protendono con un imperativo d’amore verso il Figlio, Gesù Cristo, che viene inviato sulla terra quale unico mediatore tra Dio e gli uomini. Questa missione divina continua oggi nella Chiesa: «Come infatti il Figlio è stato mandato dal Padre, Egli stesso ha mandato gli apostoli» (cfr. Gv 20,21) dicendo: «Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che io vi ho comandato (Mt 28,19)» (Lumen gentium 17)34. Sotto la maestà dell’Eterno Padre, quasi in un scorcio appartenente a un lontano e oscuro passato, ma coperto dalla misericordia divina, si intravedono Adamo ed Eva scacciati dal Paradiso Terrestre. Il Padre fa tutt’uno con lo Spirito Santo che risplende nel suo petto e con il Figlio, che con una mano alzata si riferisce al Padre e con l’altra abbassata si avvicina agli apostoli che lo attorniano. Tra questi una figura veneranda inginocchiata, forse Pietro, fa il gesto di raccogliere e indicare su un libro aperto il comando stesso di Cristo: «Andate e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19), cui fa riferimento anche la scritta alla base del lanternino: qui crediderit et baptizatus fuerit salvus erit: Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo. A sua volta la figura del Cristo, ravvivata da luminose tonalità cromatiche, con il movimento del volto e della mano indica il battesimo di Giovanni il Battista, quale rito che lui aveva fatto suo, quando si era immerso nel Giordano, e che lui istituisce come sacramento di rigenerazione. È il tema del

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Battesimo di acqua che si polarizza attorno alla figura maestosa del Battista, attorniato da diverse categorie di popolo penitente che si protendono verso l’acqua. In primo piano, sulla destra, la corporatura robusta di un battezzando, che si sta spogliando per il rito, delimita la scena del Battista da quella poco retrostante del Cristo con gli apostoli. Al di sopra, uno stuolo di angeli porta corone di fiori, simbolo di una promessa di frutti nella vita. Il tema figurativo evolve quindi nel Battesimo di sangue, ossia il martirio. Una vera mattanza di grande movimento con spade, lance e mazze, presenta il martirio di coloro che, aspirando alla salvezza mediante il Battesimo, lo ricevono, invece che nell’acqua, nel loro proprio sangue. E dall’alto angeli in volo distribuiscono loro la palma della vittoria. Fa seguito la scena del Battesimo di desiderio, di coloro cioè che pur aspirando intensamente al Battesimo per la salvezza non ebbero la possibilità di riceverlo. Questo totale desiderio li associa comunque al dono di Dio. Questa realtà teologica è resa dall’animato movimento delle mani e dei volti protesi verso l’alto, mentre dall’alto gli angeli porgono corone dorate, di un premio raggiunto. La cappella del Fonte Battesimale è dominata a colpo d’occhio anche dalla grande pala musiva, tratta da un dipinto antecedente di Carlo Maratta del 1698. La corporatura luminosa e maestosa del Cristo che entra nell’acqua e, sopra di lui, il cielo squarciato con la colomba dello Spirito Santo rischiarano e riempiono di immediato simbolismo il vano battesimale con la sottostante monumentale vasca. L’universalità della salvezza e quindi del Battesimo è per tutti i popoli: «Tutti gli uomini sono chiamati a formare il nuovo popolo di Dio. Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l’intenzione della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura umana e volle infine radunare insieme i suoi figli che si erano dispersi» (Lumen gentium 13)35. Questi popoli sono indicati con forte simbolismo allegorico nelle figure dei quattro continenti nei pennacchi della cupola, ancora da disegni di Francesco Trevisani, completati nel 1723. Nei due a sinistra sono: l’Europa coronata, con il destriero sbrigliato, il tempio della Chiesa e il triregno dell’autorità pontificia. L’Asia con il cammello e il turibolo fumigante di incensi d’Oriente. Nei due a destra sono: l’Africa, in groppa all’elefante, mentre tiene un ombrello da parata. L’America, con il capo piumato e il turcasso delle bellicose conquiste e alle spalle l’emblematico ghepardo. Queste immagini presentano un grazioso e colorito simbolismo iconografico, che trae dalle allegorie legate alla primitiva cartografia e dai ricordi delle fiorenti missioni

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della Chiesa in espansione nei diversi continenti. Il richiamo all’unità e alla cattolicità in questo luogo è quanto mai evidente: «In tutte quindi le nazioni della terra è radicato un solo Popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i cittadini del suo Regno [...]. Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del Popolo di Dio, che promuove la pace universale» (Lumen gentium 13)36. L’iconografia delle lunette commenta il mistero del Battesimo con riferimenti alle prefigurazioni e a eventi particolari (disegni del Trevisani, 1732-1739). Cristo battezza San Pietro, secondo la tradizione che il Maestro abbia voluto battezzare lui stesso gli apostoli (cfr. Gv 3,22); San Silvestro papa battezza Costantino imperatore, il fondatore della basilica vaticana: si tratta tuttavia di un fatto leggendario, perché l’imperatore fu battezzato in punto

di morte a Nicomedia. San Pietro battezza il centurione Cornelio, primizia dei pagani (cfr. At 10,1-48); Il diacono Filippo battezza l’eunuco, proveniente dall’Etiopia (cfr. At 8,26-40); Noè prega dopo il diluvio, che è stato evento di purificazione e di pace come indica l’arcobaleno (Gn 8,15-18); Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia, per dissetare e assicurare la vita al popolo (Es 17,5-7). Tra queste scene del Battesimo sono da annoverare i due mosaici parietali ai lati del Fonte Battesimale: uno che ripropone il Battesimo del centurione Cornelio (1726- 1736), da un originale di Andrea Procaccini e l’altro il Battesimo dei Santi Processo e Martiniano (1726-1737), da un originale di Giuseppe Passeri. I due custodi del carcere Mamertino, secondo la tradizione furono convertiti e battezzati proprio da San Pietro.

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79. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, cupola, Il Battesimo di acqua, particolare della decorazione musiva.

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80. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, cupola, San Giovanni Battista, particolare della decorazione musiva raffigurante Il Battesimo di acqua.

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81 e 82. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, cupola, Il Battesimo di sangue, particolare della decorazione musiva.

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Lettura iconografica della basilica di San Pietro. Il messaggio artistico e spirituale dei mosaici

83 e 84. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, cupola, Il Battesimo di desiderio, particolare della decorazione musiva.

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Lettura iconografica della basilica di San Pietro. Il messaggio artistico e spirituale dei mosaici 85. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, pennacchi, Figura allegorica dell’America. A fronte: 86. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, pennacchi, Figura allegorica dell’Europa.

Il mistero della croce nella Chiesa (la cappella della Pietà) Un forte messaggio iconografico cha va al cuore della fede e dell’esperienza cristiana, proviene dalla cappella della Pietà. Si tratta del mistero della Croce, sia come evento salvifico del genere umano, sia come universale segno impresso in ogni realtà spaziale, in ogni preghiera, in ogni credente. Dedicata fino alla metà del Settecento al Crocifisso (per la presenza dell’artistico manufatto ligneo dei primi del xiv secolo, attualmente nella cappellina laterale), la cappella si incentra anche oggi sul mistero della Passione del Signore,

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trovandovi degna collocazione il famoso gruppo marmoreo michelangiolesco della Pietà: la Madre che regge e contempla il Figlio deposto dalla Croce. Ad arricchire la meditazione di questo mistero sono i poco conosciuti affreschi della volta sopra l’altare, di Giovanni Lanfranco, eseguiti tra il 1629 e il 1632, che propongono con finezza di maniera e di originalità di interpretazione alcuni episodi della Passione di Cristo, quali L’orazione nell’orto del Getsemani; Il bacio di Giuda; Cristo davanti a Pilato; Ecce homo; Cristo davanti a Caifa; La flagellazione, per convergere nello spazio centrale a vela in una scenografica Gloria della Santa Croce, con un turbinio luminoso di nimbi e di angeli

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San Pietro in Vaticano Alle pagine precedenti: 87. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, pennacchi, figura allegorica dell’Asia.

89. Basilica vaticana, vestibolo della cappella della Pietà, scorcio prospettico della navata settentrionale verso la Porta Santa.

88. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, pennacchi, figura allegorica dell’Africa.

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nella luce e con il Santo Legno elevato con un moto ascensionale ardito di un drappello di angeli. Anche in seguito, tutta la decorazione musiva che orna il vestibolo e la cupola ellittica soprastante, furono volute come un inno, una esaltazione del mistero salvifico della Santa Croce, quasi una traduzione figurata della lode che apre il noto inno liturgico Vexilla Regis: «I vessilli del Re avanzano, rifulge il mistero della Croce, per mezzo della quale la vita si caricò della morte e con la morte generò la vita». Nel 1669 Pietro Berrettini da Cortona inizia a lavorare ai disegni per la cappella del Crocifisso, a lui commissionati dal papa Innocenzo x, Pamphilj, insieme a quelli delle altre due cappelle della navata destra, ma essendo venuto meno nel maggio dello stesso anno, il lavoro fu ripreso e condotto nella linea del maestro, almeno fino al 1674, dal discepolo Ciro Ferri. Questi, avendo ottenuto formalmente la commissione dal papa Clemente x, Altieri, risultò infine l’autore di tutti i cartoni della volta, che furono tradotti in mosaico da Fabio Cristofori, per i quali fu pagato tra il novembre 1669 e l’aprile 1677. Il tema del grandioso campo musivo della cupola è indicato nella scritta alla base della lanterna ed è tratta dal libro dell’Apocalisse di San Giovanni: nolite nocere &c[etera] quoadusque signemus servos dei nostri in frontibus eorum

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(Ap 7,3). In realtà la scena si ispira al dal più ampio riferimento dell’Apocalisse, che si sviluppa attorno al versetto citato. Riportiamo per intero il contesto: «Dopo questo vidi quattro angeli, che stavano ai quattro angoli della terra e trattenevano i quattro venti, perché non soffiasse vento sulla terra, né sul mare, né su alcuna pianta. E vidi salire dall’Oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: “Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio”. E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele» (Ap 7,1-4). L’immenso scorcio musivo che abbraccia cielo e terra nello spazio della cupola rende con elevatezza, insieme a realismo di linguaggio, l’episodio apocalittico. Il primo sguardo coglie un cielo animato da nimbi e dalle figure dei quattro venti personificati da putti che soffiano verso la terra. A questi fanno contrasto gli angeli giustizieri con saette di fuoco pronte nelle mani per ostacolare il soffio benefico dei venti e per scagliare il fuoco sulla terra. Punto centrale e figura dominante di tutta la costruzione iconografica è l’angelo imponente e splendido nel suo candore, perché

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sale dall’Oriente, che innalza con gesto solenne sul palmo della mano destra al di sopra di tutti il «sigillo del Dio vivente», ossia il segno luminoso e raggiante della Santa Croce e con la sinistra trattiene con gesto energico il braccio con la saetta di un possente angelo devastatore. Questa immagine di una bellezza e di una forza ineguagliabili segna una pausa di pace, il momento della vittoria Dio nel frenetico movimento che sta intorno a loro. L’ordine di devastazione e di annientamento della terra è fermato grazie alla manifestazione del mistero e del segno della Santa Croce, che viene partecipato come dono a tutti gli uomini che attendono la salvezza: «Finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio». Ed ecco nella scena gli angeli, ministri della gloria, leggeri nel loro volo, protendersi per segnare delicatamente gli eletti sulla fronte. Questi sono sapientemente raggruppati nella composizione, quasi a formare dei particolari contesti spaziali, che richiamano l’ordine divino impartito dall’angelo: «Non devastate la terra, né il mare, né le piante». Ed ecco che alcuni sono allo scoperto sulla nuda roccia, ancora sotto il soffio dello zefiro, altri rifugiati sotto piante rigogliose e si protendono verso l’angelo salvatore e infine un gruppo risale dal mare sotto la minaccia di un angelo devastatore, ma riesce ad attraccare con sicurezza le barche, perché l’angelo buono ha iniziato a segnarli con la croce. Si presentano così i tre riferimenti simbolici: terra, mare, piante. Tutta la composizione iconografica canta la vittoria della misericordia di Dio, attraverso il mistero della Croce. Questa realtà descritta dall’Apocalisse non è solo simbolica o escatologica, ma è vissuta nel presente della Chiesa: Dio non interviene o agisce secondo le infedeltà degli uomini, ma fa trionfare la sua misericordia nella Croce di Cristo. In essa tutta la creazione non viene distrutta, ma ritrova la vera vita. Nei pennacchi alla base della grande raffigurazione della cupola, sono le figure di patriarchi e profeti che in modo particolare sono stati chiamati a precorrere e a prefigurare la nuova ed eterna alleanza tra Dio e il suo popolo. Nei due a sinistra sono: Noè con l’arca, segno dell’umanità salvata dal castigo divino, per essere inizio di una nuova generazione (Gn 6-8); Geremia profeta, intento sul testo delle Lamentazioni, riferite poi alla passione del Messia (Lam 1-5). Nei due a destra: Mosè con le tavole della legge: il grande condottiero che innalzò nel deserto il serpente sopra un’asta, prefigurazione della Croce (Nm 21,4-9); Abramo con il figlio Isacco, con la legna e il fuoco per il sacrificio richiesto da Dio (Gn 22). Nelle lunette invece, altri personaggi commenta-

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no, a modo proprio, il mistero della morte del Signore. Sono anzitutto due Sibille, che nella tradizione cristiana vengono trasfigurate e, tramite i cosiddetti Libri Sibillini, associate ai profeti nelle predizioni del futuro Messia. Qui appare la Sibilla Frigia, che reca l’oracolo: scindetur templi velum: Si strapperà il velo del Tempio, che indica il momento della morte di Cristo, ricordato dagli evangelisti: «Ed ecco, il velo del Tempio si squarciò in due, da cima a fondo» (Mt 27,51), e la Sibilla Cumana recante un altro oracolo: impinget illi colaphos: Gli saranno date molte percosse, e ciò in rapporto alla passione sofferta da Cristo e in particolare alla flagellazione e agli schiaffi.

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Lettura iconografica della basilica di San Pietro. Il messaggio artistico e spirituale dei mosaici 90. Basilica vaticana, vestibolo della cappella della Pietà, cupola, allegoria dei venti, particolare della decorazione musiva.

91. Basilica vaticana, vestibolo della cappella della Pietà, cupola, L’angelo vincitore ferma l’angelo devastatore, particolare della decorazione musiva.

Alle pagine seguenti: 92 e 93. Basilica vaticana, vestibolo della cappella della Pietà, cupola, L’angelo segna la fronte degli eletti sulla terraferma e L’angelo segna gli eletti sul mare, particolari della decorazione musiva.

A esse si accostano il profeta Amos, recante la profezia: vendiderunt iustum pro argento: «Hanno venduto il giusto per denaro d’argento» (Am 2,6), con riferimento alle trenta monete d’argento ricevute da Giuda per consegnare il Maestro (Mt 26,14-15); il profeta Zaccaria, che ha annunciato il Messia umile, che entra in Gerusalemme: «umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina (Zac 9,9); il profeta Osea, con l’annuncio: ego redemi eos: «Io li ho redenti» (Os 7,13) e infine il profeta Isaia, con il rotolo dei suoi carmi di dolore sulla figura misteriosa del servo sofferente, che Dio accoglie come espiazione dei peccati del suo popolo.

Il trionfo della vergine Maria con la Chiesa

La pala, ricca e movimentata di personaggi, seguendo il Protovangelo di Giacomo, presenta la Vergine nella sua tenera età, accompagnata dai genitori Gioacchino e Anna e affidata al servizio del Tempio, nel momento in cui è accolta e invitata dal sommo sacerdote con il gesto delle braccia a entrare nel luogo santo, mentre dall’alto la sua dedizione viene accolta dagli angeli. La festa liturgica di questo mistero, celebrata ben presto in Oriente, entrò nel calendario di Occidente nel Medioevo e fu definitivamente confermata nel 1585 dal papa Sisto v. Dalla Vergine bambina che sale i gradini del Tempio, lo sguardo si slancia verso la cupola, ove entro uno scenario ma-

e la caduta dei demoni

(La cappella della presentazione)

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La dedicazione di questa cappella, una delle tre in onore della Vergine Maria nella basilica, è annunciata dalla sontuosa pala d’altare: Maria Bambina è presentata al Tempio e sale i gradini verso il sommo sacerdote. L’opera musiva (1726-1728), da un originale risalente al 1638-1642, di Giovan Francesco Romanelli, dà il tono a tutta la cappella: qui si parte dagli inizi della vita della Madonna per giungere alle altezze della cupola con la sua esaltazione nei cieli.

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Lettura iconografica della basilica di San Pietro Il messaggio artistico e spirituale dei mosaici 94. Basilica vaticana, vestibolo della cappella della Pietà, cupola, L’angelo segna la fronte degli eletti tra le piante, particolare della decorazione musiva.

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estoso e trionfale, uno tra i più suggestivi della basilica, cogliamo subito l’immagine della Vergine innalzata fino al traguardo finale, nella sua esaltazione e incoronazione da parte di Dio Padre. Il mosaico della cupola apre con una profondità spaziale un ampio squarcio di cielo ed entro un’atmosfera inondata di una calda luce dorata si contempla su un versante un tripudio di Paradiso e sull’altro versante una terrificante lotta, come indica la scritta sull’anello del lanternino: respexit humilitatem meam – dispersit superbos: Ha guardato alla mia umiltà – Ha disperso i superbi. I disegni preparatori dell’opera vennero assegnati nel 1708 a Giuseppe Bartolomeo Chiari, dopo un inizio delle decora-

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zioni intraprese nel 1704 da Carlo Maratta. Già nel 1714 sono pagati i mosaici delle ghirlande, del Dio Padre, della Vergine e del gruppo angelico, mentre il resto seguirà a distanza di tempo. La stupenda coreografia del Paradiso è polarizzata dal gruppo dell’Eterno Padre che esalta la Vergine Maria, ma il punto centrale e radiale di tutta la composizione è la mano del Padre protesa verso Maria. L’immagine del Creatore che tiene il mondo con la destra e si muove con grazia e potenza adagiato sopra un drappello di angeli, ha un richiamo nell’impostazione alla figura michelangiolesca del Creatore nella Sistina. E la Vergine Maria, seduta su un trono di nuvole, con la luna

95. Basilica vaticana, vestibolo della cappella della Presentazione della Vergine, cupola, Dio Padre rivolto alla Vergine incoronata di stelle, particolare della decorazione musiva.

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sotto i suoi piedi e umilmente inchinata con il braccio disteso, ricorda il medesimo soggetto a lato del Cristo nella grande cupola della basilica su disegno del Cavalier d’Arpino. Se tutta l’impostazione iconografica a mosaico della cupola trae ispirazione dalla visione del libro dell’Apocalisse (Ap 12,1-12), ancor più questa scena di grande espressività richiama il grandioso «segno» descritto nel medesimo libro: «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo, una corona di dodici stelle era incinta e gridava per le doglie del parto» (Ap 12,1-2). Al di sopra della Vergine due angioletti portacorone reggono la corona di stelle.

Alle pagine seguenti: 96 e 97. Basilica vaticana, vestibolo della cappella della Presentazione della Vergine, cupola, Angeli in concerto con strumenti e spartiti musicali e L’arcangelo Gabriele recante il giglio, particolari della decorazione musiva.

L’artista pertanto riassume e interpreta in questa figura della Vergine sia il mistero della sua assunzione in cielo, sia quello della sua glorificazione, ma anche quello della sua continua maternità, come suggerisce il contesto della iconografia circostante. Questo tripudio di vittoria e di armonia celeste per l’esaltazione della Vergine Madre si coglie in due composizioni iconografiche che si espandono ai lati del gruppo centrale. Sulla sinistra si spalanca una graziosa scena di angeli in concerto, con strumenti e spartiti musicali. Il concerto angelico è di una movenza e di una eleganza paradisiache. Domina un organo a canne, alla cui tastiera è un angelo; un altro suona il violon-

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cello; un altro il violino; un altro il mandolino e poi il corno e due angioletti la trombetta. Davanti al gruppo angelico sta la figura maestosa e leggiadra dell’arcangelo Gabriele, dalle grandi ali, con un mantello prezioso dai toni traslucidi tra il dorato e l’aranciato. Egli reca ancora il candido giglio con cui annunciò l’Incarnazione del Verbo e con una mano indica l’incoronazione di Maria. Gabriele è l’angelo che fu mandato ad annunciare la salvezza e ora, in questa scena escatologica, ritorna a intonare «con voce potente» e in gran concerto, mentre indica l’esaltazione della Vergine, l’inno della salvezza compiuta: «Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo (Ap 12,10). Quasi ai piedi dell’arcangelo una citazione messianica di compimento: «La giustizia (con il fascio littorio) e la pace (con l’ulivo) si sono baciate» (Sal 85,11).

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Sul lato destro della Vergine si apre l’altra spettacolare scena di contrapposizione, che appartiene ancora alla visione apocalittica: «Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo. E il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli» (Ap 12,7-9). L’assalto dell’arcangelo in volo sul dragone a sette teste infuriato è una delle raffigurazioni più avvincenti della composizione musiva. L’arcangelo, loricato e piumato al cimiero, con la lancia protesa, ma con una grazia celestiale, getta scompiglio tra i possenti corpi ignudi, atterriti e convulsi, figura dei ribelli seguaci di Satana, mentre alle sue spalle il cielo si squarcia e compare una costellazione.

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A questo duello frontale si affianca in continuità la scena apocalittica della lotta tra angeli e demoni, che occupa la restante parte dell’opera musiva. La maestosa composizione scenografica, che impressiona per la forza del movimento, insieme all’imponenza delle corporature, interpreta con ampiezza di raffigurazione il versetto apocalittico «Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse» (Ap 12,7). Angeli e demoni sono avvinghiati in una lotta tremenda. Gli angeli scagliano saette e fiamme sui demoni, i quali, con le loro gigantesche corporature e a terga scoperte, cadono a precipizio nell’aria, segno evidente di sconfitta. Con essi cade Lucifero, deformato da ali di pipistrello, corna e orecchie d’asino. Tuttavia, questa scena apocalittica di trionfo e di strenua lotta, non è solo riferita alla Vergine Maria, ma anche alla Santa Chiesa, della quale è modello e immagine. Per questo tutto il contesto iconografico descritto è un messaggio eloquente della

Chiesa nel presente, della Chiesa che è santa, è vittoriosa per la grazia di Dio, ma sempre deve lottare contro il male e contro il nemico nel corso del tempo. Così professa la fede cattolica: «Mentre la Chiesa ha già raggiunto nella beatissima Vergine Maria la perfezione, con la quale è senza macchia e senza ruga (cfr. Ef 5,27), i fedeli si sforzano ancora di crescere nella santità debellando il peccato» (Lumen gentium 65)37. In questa prospettiva si comprende come «La Chiesa prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio (Sant’Agostino, De civitate Dei, xviii, 51, 2) annunziando la passione e la morte del Signore, finché egli venga» (Lumen gentium 8)38. Questa particolare meditazione sulla Chiesa, al seguito della Vergine Maria ci offre la basilica vaticana: «Tra le tentazioni e le tribolazioni del cammino, la Chiesa è sostenuta dalla forza della grazia di Dio, promessa dal Signore, affinché per la umana debolezza non venga meno alla perfetta fedeltà»39.

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San Pietro in Vaticano Alle pagine precedenti: 98 e 99. Basilica vaticana, vestibolo della cappella della Presentazione della Vergine, cupola, L’arcangelo Michele sconfigge il drago dell’Apocalisse e Il drago dell’Apocalisse, particolari della decorazione musiva.

Nei pennacchi figure di grandi personaggi dell’Antico Testamento accompagnano con il loro simbolismo il mistero della Vergine presentata al Tempio ed esaltata in cielo: Aronne, sommo sacerdote e grande animatore del culto nel Tempio; Noè, che costruì l’arca della salvezza, simbolo di Maria che portò il Salvatore e fu l’inizio dell’umanità redenta dal peccato; Balaam, il mago pagano che profetizzò il sorgere di un astro particolare su Israele, cioè il Messia; Gedeone che strizza il vello e ne stilla la rugiada di cui Dio l’aveva intriso, segno della Vergine che riceve nel grembo il Verbo dal cielo (Gdc 6,36-38). Anche nelle lunette le figure propongono il loro commento: Giuditta, che tagliò la testa al comandante Olo-

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100 e 101. Basilica vaticana, vestibolo della cappella della Presentazione della Vergine, cupola, La milizia celeste precipita i demoni e particolare della figura di Lucifero sotto la lingua di fuoco, particolari della decorazione musiva.

ferne, esponendosi al pericolo per salvare il suo popolo (Gdt 13,8-9); Giaele, la donna che uccise Sisara, capo dell’esercito camaneo nemico (Gdc 4,21); Mosè, mentre si toglie i sandali davanti al roveto ardente che non si consuma, nel quale la liturgia vede e canta un simbolo della verginità di Maria (Es 3,2-5); Isaia, che contempla la presenza del Signore giungere in una nuvola leggera (Is 19,1), simbolo della Vergine che porta il Salvatore; Giosuè il condottiero, che comandò al sole di fermarsi per avere vittoria piena sui nemici Amorrei (Gs 10,12-13); Maria, sorella di Aronne che danza cantando la vittoria dopo il passaggio del Mar Rosso (Es 15,20-21).

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102. Basilica vaticana, vestibolo della cappella della Presentazione della Vergine, lunetta, Mosè si toglie i sandali.

La lode perenne dei Santi e di tutta la Chiesa (la cappella del coro) Il riferimento alla Chiesa, e nel caso specifico alla basilica vaticana, come «casa della preghiera», si ritrova con motivi e toni mistici nel vestibolo della cappella del Coro, a cominciare dalla decorazione della cupola. Il coro della basilica, insieme con la cappella del SS. Sacramento è uno dei luoghi simbolo della preghiera continuata nel massimo tempio della cristianità. Infatti i canonici, ossia il clero di San Pietro, si ritrovano, nelle festività per la preghiera della Liturgia delle Ore, la preghiera ufficiale della Chiesa, nella cappella del Coro, funzionante dal 1614 e arredata su progetto del Bernini da artisti intagliatori; con stalli lignei suddivisi in tre ordini o livelli, secondo i gradi vigenti fino all’anno 2000: al grado più alto il cardinale arciprete con i canonici, sotto i beneficiati (oggi

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coadiutori) e in basso i chierici del servizio liturgico (oggi inglobati nel gruppo precedente). Il Coro è quindi il luogo preordinato e configurato per la preghiera liturgica del Capitolo Vaticano. La specifica funzione orante di questo luogo, che connota essenzialmente tutta la comunità ecclesiale, ha dettato il tema iconografico che ne illustra il vano antistante, cioè la lode perenne a Dio. Il progetto decorativo venne ordinato in modo abbastanza dettagliato dalla commissione della Fabbrica di San Pietro, come fortunatamente ci informa un foglio descrittivo inedito, tuttavia non datato né firmato, di cui riportiamo alcuni stralci significativi: «Per esser la Cuppola, che in S. Pietro deve depingersi a mosaico, situata avanti la Cappella del Coro: non sembrerebbe fuori di proposito alludere nell’opera alle divine lodi, che giornalmente si danno a Dio nel medesimo Coro. Questa riflessione ha somministrato il pensiero di figurarvi la Chiesa trionfante adombrata da S. Giovanni nell’Apocalisse al cap. 4 ove descrive il trono di Dio circondato dalli ventiquattro seniori, e dalli quattro misteriosi animali, che celebrano di continuo la grandezza del Signore colle parole: Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Omnipotens, qui erat, et qui est, et qui venturus est. Tanto più che su questa idea averà campo il pittore di render vago il giro della Cuppola con la pittura dell’Iride, del mare, e d’altro, che si descrive nel suddetto capitolo. Per li sordini [lunette] della Cuppola sopra il Coro, si è stimato non essere fuor di proposito il rappresentare quattro eroine della Scrittura Sacra, ciascuno delle quali abbia composto un Cantico; ed ancorché una, o due di queste sieno già state espresse altre volte per altro suggetto, in una medesima chiesa; non è tuttavia che il pittore, variati gli atteggiamenti delle figure, non possa di quelli valersi, anche per lo presente, giacché molto diverso; e perciò se ne propone l’idea nella maniera che segue. Potrà dunque primieramente inttrodursi Maria sorella d’Aronne col Timpano in mano, seguita da stuolo di donzelle similmente con timpani in mano, in atto di suonarli festeggiando, e di profferire: cantemus domino. Secondo. Anna madre di Samuele, che lasciata sola col suo figliolino in braccio dal marito, che vassene altrove, mostri di offerirlo a Dio, pronunciando: exultavit cor meum in domino. Terzo. Si finga Debbora, seguita alla sinistra di Baracco suo capitano; la quale, dopo la vittoria riportata di Sisara, che può rappresentarsi da lungi, traffitto da un chiodo nelle tempia, appiè del suo padiglione, sia espressa come in positura di cantare: psallam domino deo israel. Quarto. Giuditta, che, con scilaba pendente in mano insanguinata, seguita da una

vecchia, che tenga sospeso per li capelli il capo di Oloferne, lasciatosi addietro il padiglione chiuso del medesimo Oloferne, con un volto pieno di soave ardimento pronunci: laudate dominum deum nostrum»40. Il primo incarico per la decorazione di questa cappella venne affidata a Ciro Ferri attorno al 1681. Alla sua morte, nel 1689, lasciò solo due cartoni per i pennacchi. Dopo alterne vicende l’incarico passò a Carlo Maratta, che lo tenne fino al 1705, quando lasciò per malattia. La reverenda Fabbrica commissionò quindi, per volontà del papa Clemente xi, al bolognese Marcantonio Franceschini la revisione e il completamento di tutta la decorazione, come si riscontra anche dal foglio sopra citato: «Essendo condescesa la Santità Nostra alle premurose istanze del Signor Co. Ambasciador Aldovrandi, e replicati ancora con fervore da Monsignor mio Illustrissimo Aldovrandi, di destinare al di lei pennello la Pittura della Cupola situata avanti la Capella del Choro in questa Basilica Vaticana per poi ridursi in mosaico, trasmetto pertando a V.S. medemamente d’ordine della Santità Sua nell’annesso foglio il pensiero, per quello che la di lei intenzione potrà eggregiamente ideare in simil opera» (Ibidem). Tutta la scenografia che decora la cupola vuole essere «una porta aperta sul cielo» come indicano le parole che aprono la grande visione dell’Apocalisse che viene descritta: «Poi vidi: ecco, una porta era aperta nel cielo» (Ap 4,1). E l’occhio converge immediatamente sul punto focale della visione: il trono di Dio. «Ed ecco, c’era un trono nel cielo e sul trono Uno che stava seduto» (Ap 4,2). Il trono del Vivente, l’Eterno Padre, si libra negli spazi celesti sorretti alla base da uno stuolo di angeli protesi sul dorso e sul petto. L’immagine divina è tra i quattro esseri viventi: l’aquila, il leone, l’angelo e il toro, che nella visione originaria si riferivano forse a segni zodiacali che aprivano le stagioni e che dai commentatori ecclesiastici furono visti come i simboli che indicavano i quattro evangelisti. Questi quattro esseri viventi, secondo la visione, acclamano senza fine alla Santità di Dio con l’inno che la liturgia della Chiesa ha fatto proprio: «Santo, santo, santo, il Signore Dio è l’Onnipotente, Colui che era, che è e che viene!» (Ap 4,8). Al di sopra del Dio vivente, si incurva un arcobaleno, da un lato all’altro del cielo, mentre un tripudio di putti che si liberano nell’aria congiunti tra loro con le mani e recanti lampade accese conferisce un grazioso movimento che li protende quasi in primo piano rispetto al gruppo centrale. Attorno al trono di Dio la composizione iconografica allarga a cerchio le figure dei misteriosi ventiquattro «seniori» o

vegliardi «con corone d’oro sul capo» (Ap 4,4), di non facile interpretazione, ma che potrebbero rappresentare i dodici patriarchi e i dodici apostoli, ossia i capostipiti dell’antico e nuovo popolo dell’alleanza, con funzioni quindi profetiche, regali e sacerdotali. Essi vivono ormai presso il trono di Dio in una perenne lode e adorazione di lui e vengono qui simbolicamente proposti quali modelli della preghiera incessante e perseverante della Chiesa, soprattutto dei sacerdoti che ne hanno specifico incarico per il popolo di Dio. Vengono così richiamate le parole di Gesù. «Vegliate e pregate in ogni momento» (Lc 21,36). Ed è pure questo il tema iconografico annunciato dalla scritta alla base della lanterna: procidebant et adorabant viventem: Si prostravano e adoravano il Vivente. Le figure dei ventiquattro vegliardi si presentano, sebbene in diverso modo, in atteggiamenti di adorazione e di lode: o protesi dai loro troni o con le mani alzate o prostrati, mentre «gettano le loro corone davanti al trono, dicendo: Tu sei degno o Signore Dio nostro di ricevere la gloria, l’onore e la potenza» (Ap 4,10-11). La teoria di questi venerandi personaggi è distesa su una corona di nimbi rigonfi, sorretti al di sotto da stupendi angeli e putti protesi con varie movenze e sforzi a sostenere tutto il peso della gloria. Al di sopra dei personaggi un’altra teoria di angeli musicanti con strumenti e salmodianti accresce il tono della lode solenne e conferisce profondità allo spazio celeste. Il tema della lode incessante a Dio nella cupola è avvalorato e commentato dalle quattro figure di profeti, compositori di preghiere o cantici famosi, recepiti nella liturgia della Chiesa: Abacuc, mentre viene afferrato per i capelli dall’angelo per andare a portare il cibo in Babilonia, autore di una lunga preghiera, in tono di lamentazione (Ab 3,1-19); Daniele, raffigurato nella fossa dei leoni, mentre scrive il noto Cantico dei tre fanciulli nella fornace ardente (Dan 3,51-90); il Re Davide, con la cetra: a lui viene attribuito dalla tradizione gran parte del Salterio; Giona, sopra il grande cetaceo, qui raffigurato con forte realismo con un riflesso di luce nella spaziosa pupilla; e fu proprio dal ventre del cetaceo che Giona proferì un memorabile cantico (Gio 2,1-11). Scene bibliche che richiamano il tema della preghiera, compaiono invece nelle lunette della cappella: Mosè in preghiera, sostenuto alle braccia da Aronne e Cur, fino al conseguimento della vittoria di Giosuè (Es 17,11-13); Il sacerdote Azaria rimprovera il re Ozia, perché vuole esercitare le funzioni sacerdotali: «Non tocca a te, Ozia, offrire l’incenso, ma ai sacerdoti figli di Aronne» (2 Cr 26,18); Geremia, seduto proferisce le Lamentazioni per la deportazione del popolo a Babilonia,

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mentre sullo sfondo sono i salici con appesi gli strumenti musicali, secondo l’affermazione del Salmo 137,2; Debora manda a chiamare Barak, per comunicargli l’ordine del Signore (Gdc 4,6); Giuditta, con la testa di Oloferne, intona il cantico di lode (Gdt 16,1-17); Debora, con il comandante Barak, intona il cantico della vittoria (Gdc 5,1-31).

La gloria dei martiri e l’elogio del martirio (la cappella di San Sebastiano)

103. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Coro, cupola, L’Eterno Padre tra i quattro esseri viventi.

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104. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Coro, cupola, Alcuni dei vegliardi assisi sui nimbi, particolare della decorazione musiva.

Una dimensione connaturale e propria della Chiesa è la testimonianza di Cristo davanti al mondo: «Di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8). Questa testimonianza raggiunge il punto più alto nel dono della vita, fino all’effusione del

sangue, per il nome di Gesù, come lui stesso aveva predetto: «Metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome» (Lc 21,16- 17). E ancora: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Questo è il martirio nel senso più pieno: esso attraversa e accompagna la vita della Chiesa in ogni tempo. L’iconografia di questa cappella celebra quindi la glorificazione dei martiri innumerevoli, che hanno dato la vita per Cristo e per la Chiesa ed esalta il martirio come dono destinato ad essere fecondo e a portare nuovi frutti: «Il sangue dei martiri è seme di cristiani» (Tertulliano). La scelta della decorazione con questo tema è stata dettata dalla dedicazione stessa della cappella a San Sebastiano, martire famoso in tutta la cristianità. Egli era venerato già nell’antica basilica costantiniana fin dal secolo ix, quando

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San Pietro in Vaticano 105. Basilica vaticana, vestibolo della cappella di San Sebastiano, cupola, L’Agnello immolato, particolare della decorazione musiva.

Lettura iconografica della basilica di San Pietro. Il messaggio artistico e spirituale dei mosaici 107. Basilica vaticana, vestibolo della cappella di San Sebastiano, cupola, La moltitudine dei martiri rivolta all’Eterno Padre, particolare.

106. Basilica vaticana, vestibolo della cappella di San Sebastiano, cupola, L’Eterno Padre, particolare della decorazione musiva.

papa Gregorio iv (827-844) ne fece trasferire parte delle reliquie nell’oratorio di San Gregorio (Liber Pontificalis, ii, 74), riservando un prezioso reliquiario per il capo del Santo. Al 1625 risalgono le prime notizie in merito a una «tavola grande che ha da fare [Domenico Zampieri detto il Domenichino] alla Cappella di mezzo della nave grande verso palazzo»41. Il Giubileo del 1625 fu anche un anno funestato da una gravissima pestilenza, che aveva contribuito a rafforzare il culto verso il Santo taumaturgo, al quale erano particolarmente devoti i membri della famiglia Barberini, cui apparteneva papa Urbano viii, allora regnante. Nel 1652, Pietro da Cortona, al quale la reverenda Fabbrica aveva dato l’incarico della decorazione delle tre cappelle della navata destra della basilica inizia i disegni dei cartoni per la volta di questa cappella. Tale lavoro occupò l’artista fino al 1662, con la collaborazione di Ciro Ferri. Il tema della composizione iconografica della cupola celebra la gloria di martiri e si ispira alla grande visione dell’Apocalisse, che viene presentata nella prima lettura della messa nella solennità di Tutti i Santi, come indica la scritta nella fascia sotto la lanterna: hi sunt qui venerunt ex magna tribulatione et sequntur agnum (ap 7,14). La scena ha un collegamento con quella della lode dei ventiquattro vegliardi (descritta per la cappella del Coro) e quella dei segnati con il segno della Croce (cappella della Pie-

tà). La composizione scenografica si rifà in modo specifico ai seguenti versetti: «Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani: E gridavano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono e all’Agnello”. Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: “Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?”. Gli risposi: “Signore mio, tu lo sai”. E lui: “Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello”» (Ap 7,9-10; 13-14). L’interpretazione scenografica operata da Pietro da Cortona, pur con una lineare e pacata composizione, esprime in profondità alcuni aspetti dominanti della visione apocalittica: il trono e l’Agnello, l’universalità del martirio e l’esultanza dei martiri. In posizione centrale ed elevata sulla processione dei martiri è «il trono», ossia l’immagine dell’Eterno Padre assiso sui nimbi e sugli angeli, rivestito di un manto vermiglio che riverbera luce e con le braccia allargate, come per accogliere tutta quella moltitudine. Con la mano destra accostata alla vicina figura dell’Agnello, posato sul libro dei sette sigilli, il Padre indica di accogliere il sacrificio del Figlio, che si è immolato, e in lui accoglie tutti i gloriosi testimoni che hanno dato la vita per

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lui. Questi formano, seguendo l’ellisse della cupola, una processione compatta e movimentata che procede sui nimbi verso il trono di Dio, tenendo verdi palme nelle loro mani. Vi si riscontra ogni categoria di persona: donne, fanciulle, bambini in tenera età, giovani e anziani. Un motivo che differisce dalla visione apocalittica è il colore delle vesti, che qui è variegato e vivace, invece del bianco che avrebbe attenuato l’effetto della scena. Ciò che connota nell’insieme questa teoria di martiri è l’esultanza espressa dai movimenti e dal linguaggio delle mani; mentre dai volti e dai sorrisi viene reso dall’artista un clima di gioia celestiale. Al di sopra del giro dei martiri, quasi a formare uno schieramento superiore attorno al trono, è un profilarsi fitto di teste di cherubini dalle tonalità dorate. Il commento della glorificazione dei martiri continua nei pennacchi e nelle lunette, ancora su disegni di Pietro da Cortona, preparati per le ultime quattro lunette dal senese Raffaele Vanni tra il 1659 e il 1663. Sono collocate nei pennacchi quattro figure di testimoni autorevoli, desunti dall’Antico Testamento: Abele, mentre offre in sacrificio l’agnello del suo gregge: personaggio simbolo dei giusti e degli innocenti di tut-

ti i tempi, che vengono messi a morte a causa dell’odio e della violenza (Gn 4,3-14); il profeta Isaia, che secondo la tradizione apocrifa, proprio per la sua predicazione subì una morte violenta e venne segato in due, come indica lo strumento alle spalle della figura; Zaccaria, il sacerdote che viene ucciso davanti al santuario (2 Cr 24,20-21); il profeta Ezechiele, che secondo la tradizione ebbe a pagare con la vita la sua missione profetica. Nelle lunette, su cartoni del Cortonese, sono: I sette fratelli Maccabei con la madre, torturati e uccisi perché fedeli alle leggi dell’alleanza (2 Mac 7,1-42); il sacerdote Mattatia, acceso di zelo, trafigge presso l’ara il giudeo idolatra che sacrifica (1 Mac 2,23-25); il vecchio Eleazaro, lo scriba, mentre si rifiuta di ingoiare carne suina, e per questo viene ucciso (2 Mac 6,1820); il profeta Daniele nella fossa dei leoni, visitato da Abacuc sorretto per i capelli dell’angelo (Dn 14,33-34); I tre giovani, che per il rifiuto di adorare la statua d’oro, vengono gettati nella fornace ardente (Dn 3,16-20). Con lo sguardo ai martiri, ai veri testimoni, la Chiesa prende più forza e coraggio per proseguire in tutti i tempi la sua testimonianza tra gli uomini.

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Lettura iconografica della basilica di San Pietro. Il messaggio artistico e spirituale dei mosaici 108. Basilica vaticana, vestibolo della cappella di San Sebastiano, lunetta, Il martirio dei setti fratelli Maccabei. 109. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del SS. Sacramento, cupola, La visione del settimo sigillo dell’Apocalisse: L’Angelo riceve le preghiere dei Santi, particolare della decorazione musiva.

L’adorazione a Dio e l’offerta della preghiera (la cappella del SS. Sacramento) La maestosa cappella del SS. Sacramento, con l’altare e il sontuoso tabernacolo del Bernini, inaugurati per l’Anno Santo 1650, trova una appropriata e accurata decorazione sul tipo delle altre cappelle, volta a celebrare l’adorazione del mistero eucaristico, attraverso le visioni dell’Apocalisse, le prerogative del sacerdozio, e i personaggi richiamati nei pennacchi e nelle lunette. Si iniziò proprio da questa cappella e dalla seguente di San Sebastiano a effettuare le decorazioni delle sei cappelle prospicienti la navata centrale, dopo la Gregoriana (Madonna del Soccorso) e la Clementina (San Gregorio). L’incarico progettuale venne affidato a Pietro Berrettini da Cortona, come egli stesso afferma in una lettera ai Deputati della Fabbrica di San Pietro: «E prima per aver fatto di pittura doi Cuppole cioè la Cuppola del Santissimo Sagramento e quella di San Sebastiano divise in sedici cartoni»42. L’artista, rispetto alle precedenti due cappelle, innovò la decorazione musiva della cupola, che completò a tutto campo, proponendo un’ampia scenografia. Nella scritta tematica sotto la lanterna si legge: ascendit fumus aromatum coram deo: Salì il profumo degli aromi davanti a Dio. Si tratta di una citazione desunta dalla più ampia visione apocalittica, che segue all’apertura del settimo sigillo, ma che offre il mistico messaggio dell’adorazione: «Poi venne un altro angelo e si fermò presso l’altare, reggendo un’incensiere d’oro. Gli furono dati molti profumi, perché li offrisse, insieme alle preghiere di tutti i santi, sull’altare d’oro, posto davanti al trono. E dalla mano dell’angelo il fumo degli aromi

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salì davanti a Dio, insieme alle preghiere dei santi» (Ap 8,34). È l’angelo cui fa cenno il Canone Romano della Messa: «Ti supplichiamo, Dio onnipotente: fa che questa offerta, per le mani del tuo angelo santo sia portata sull’altare del cielo, davanti alla tua maestà divina». Fulcro della composizione è l’altare d’oro, collocato nel cielo davanti a Dio, segno dell’offerta sacrificale ormai trasformata gloriosamente in perenne adorazione a Lui. Accanto all’altare si libra ad ali spiegate e a braccia aperte il possente angelo dell’Apocalisse. La figura di questo angelo si pone come una mediazione tra l’altare sul quale egli alza l’incensiere d’oro e gli eletti, i santi ai quali egli versa con una patena gli aromi affinché possano anche loro elevare il profumo a Dio. È un mistero di adorazione partecipata e offerta, che converge su quell’altare d’oro, simbolo del sacrificio eucaristico. All’angelo «furono dati molti profumi», perché li partecipasse e li offrisse insieme ai santi. E proprio dalla mano dell’angelo, che si alza sopra tutte le altre, sale l’aroma davanti a Dio «insieme alle preghiere dei santi». Tutta la teoria degli eletti che si snoda con aggraziato e perfetto equilibrio formale esprime visivamente un senso di venerazione e di adorazione, quasi sacrificale per i molti incensieri fumiganti che vengono alzati o presentati, quasi come una preziosa collezione di suppellettili liturgiche. Tutta la schiera degli eletti è polarizzata dall’altare, come pure la teoria degli angeli tra i nimbi che nella parte più alta crea un giro ellittico. Al tema del sacrificio, simboleggiato dall’altare d’oro che sta davanti a Dio, fanno eco i personaggi inscritti nei pennacchi della cupola. Essi richiamano e prefigurano in diverso modo nell’Antico Testamento il mistero del pane dell’Eucaristia e la figura del sacerdozio. In primo luogo è Melchisedek: sacerdote del Dio altissimo, che incarna una figura unica e atipica di sacerdozio, al quale Cristo stesso farà riferimento per presentare se stesso come Sacerdote e Messia. Melchisedek va incontro ad Abramo al suo ritorno dalla sconfitta dei re e offre in sacrificio a Dio per ringraziarlo, non animali, come era uso, ma l’offerta di pane e vino, elementi che saranno indicati da Cristo per l’Eucaristia: «Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio Altissimo» (Gn 14,18). Segue la figura del profeta Elia, mentre riceve dall’angelo che gli appare il misterioso pane che lo sfamerà e lo aiuterà nell’attraversata del deserto: «Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Alzati, mangia». Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un’orcio d’acqua» (1 Re 19,4-8). Il pane dato da Dio a Elia è simbolo del pane vivo, Cristo, che Dio dona agli uomini per sostenerli nel cammino della vita. Un sacerdote biancovestito, della discendenza

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di Aronne, che prende dall’altare d’oro puro uno dei dodici pani disposti davanti al Signore, per cibarsene, secondo le prescrizioni mosaiche: «Ogni giorno di sabato [il pane] lo si disporrà davanti al Signore perennemente da parte degli Israeliti: è un’alleanza eterna. Sarà riservato ad Aronne e ai suoi figli: essi lo mangeranno in luogo santo, perché sarà per loro cosa santissima» (Lv 24,8-9); Aronne, rivestito con i paramenti sacerdotali raccoglie la manna, versandola in un prezioso vaso, secondo le prescrizioni date da Mosè dopo che il popolo fu sfamato: «Mosè disse quindi ad Aronne: “Prendi un’urna e mettici un omer completo di manna; deponila davanti al Signore e conservala per i vostri discendenti”. Secondo quanto il Signore aveva ordinato a Mosè, “Aronne la depose per conservarla davanti alla Testimonianza”» (Es 16,33-34). Nelle lunette compare in primo luogo la figura di un Sacerdote dell’Antico Testamento mentre offre un covone, come primizia del raccolto della mietitura, secondo gli ordini dati dal Signore a Mosè: «Porterete al sacerdote un covone, come primizia del vostro raccolto; il sacerdote agiterà con gesto rituale il covone davanti al Signore, perché sia gradito per il vostro bene; il sacerdote l’agiterà il giorno dopo il sabato» (Es 23,10-11). È questa la primizia del pane. Mentre nella raffigurazione successiva viene presentata la primizia del grappolo, che allude al vino del mistero eucaristico. Due robusti esploratori portano un enorme grappolo, simbolo dell’abbondanza e della novità del dono di Dio al suo popolo: «Erano i giorni delle primizie dell’uva. Salirono ed esplorarono la terra del deserto di Sin fino a Recob, all’ingresso di Camat [...]. Giunsero fino alla valle di Escol e là tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga, e presero anche melagrane e fichi» (Nm 23,20-21.23). Nella successiva raffigurazione è Uzzà che tocca l’arca santa e muore, per aver avuto contatto con ciò che è divino secondo quanto viene narrato: «Uzzà e Aio, figli di Abinadab, conducevano il carro nuovo con l’arca di Dio, e Aio precedeva l’arca [...]. Quando giunsero all’aia di Nacon, Uzzà stese la mano verso l’arca di Dio per reggerla, perché i buoi la facevano inclinare. L’ira del Signore si accese contro Uzzà; Dio lo colpì lì per la sua empietà ed egli morì in quel luogo vicino all’arca di Dio» (2 Sam 6,3-7). Segue la Vocazione di Isaia, con allusione al racconto che ne fa il profeta stesso, quando descrive il trono di Dio e i serafini che proclamavano: «Santo, santo, santo». L’immagine ripro-

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pone il momento appena successivo: «Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e mi disse: “Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è stato espiato”» (Is 6,6-7). Il richiamo è alla purezza profetica e sacerdotale per trattare le realtà divine. In un’altra lunetta è la raffigurazione di Gionata, figlio di Saul, che intinge la punta del bastone in un favo di miele per nutrirsi. Il contesto di 1 Sam 14,26-29 è questo: il re Saul aveva fatto giurare al popolo sfinito di non gustare cibo prima che avesse sconfitto i Filistei. Ma il figlio Gionata, ignaro dell’ordine, «allungò la punta del bastone che teneva in mano e la intinse nel favo di miele, poi riportò la mano alla bocca e i suoi occhi si rischiararono». Quindi Gionata affermò: «Guardate come si sono rischiarati i miei occhi, perché ho gustato un po’ di questo miele». La luce che promana da questi è come quella di chi gusta il Signore nel misterioso cibo dell’Eucaristia. Un’altra scena raffigura La caduta dell’idolo del dio Dagon: i Filistei, impossessatisi dell’arca di Dio, la introdussero nel tempio del loro dio Dagon, la cui statua ritrovarono poi caduta a terra con la testa e le mani staccate (1 Sam 5,1-4). L’arca, che è il segno della presenza di Dio, fa cadere e annulla ogni forma di idolatria. A conclusione di questo itinerario iconografico, attraverso l’ampia estensione delle opere musive in San Pietro, al fine di coglierne la bellezza e il messaggio spirituale, ritornano quanto mai vere e illuminanti le parole del papa Beato Giovanni Paolo ii, rivolte proprio agli artisti: «Desidero ringraziarvi per questa vostra visita che vi ha portato nella Casa del Papa, in Vaticano, dove tanti grandi maestri del passato hanno parlato di fede col linguaggio delle arti. La Basilica e i solenni edifici circostanti sono pietre che rendono testimonianza di questa sintesi spirituale: qui voi trovate un pensiero ed un programma, l’attualità perenne del credo cattolico e della Chiesa; attorno alla sede di Pietro, sul luogo del suo martirio, mediante queste insigni opere d’arte diviene visibile alle anime e al popolo il desiderio profondo di confessare la fede. Le arti confessano Dio, e mentre ricercano la Bellezza trovano, il più delle volte, i motivi per incontrarsi con la Verità» (Discorso ai partecipanti al Convegno Nazionale Italiano di Arte Sacra, 27 aprile 1981).

110. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del SS. Sacramento, lunetta, La vocazione di Isaia. 111. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del SS. Sacramento, lunetta, Gionata, figlio di Saul, si nutre con un favo di miele.

Alle pagine seguenti: 112 e 113. Basilica vaticana, vestibolo della cappella di San Sebastiano, pennacchi, Il profeta Isaia e Abele offre l’Agnello. 114. Basilica vaticana, vestibolo della cappella della Presentazione della Vergine, scorcio prospettico di cupola e navata centrale.

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Capitolo terzo

La decorazione musiva della cupola grande Gabriele Mattiacci

«Si impieghi solamente la lode per la vasta machina della Cupola del tempio Vaticano, e si porga maggior encomio al virtuoso merito del Buonarroti, del quale è parte un’opera tanto meravigliosa e stupenda.» Carlo Fontana

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La cupola grande di San Pietro in Vaticano, così come portata a termine da Giacomo Della Porta, fu proclamata uno dei più grandi successi del genere umano; un risultato che, nelle parole del Baglione, «superò le glorie de’ gli antichi»1. Michelangelo Buonarroti (1475-1564) a quei tempi architetto della Fabbrica di San Pietro, nella seconda metà del Cinquecento semplificò la complessa pianta del Sangallo in una pianta organica che integrava una croce e un quadrato2, cosicché ogni possibile percorso all’interno della basilica finisse col condurre il visitatore verso il nucleo centrale sormontato dalla cupola maggiore. Nell’analizzare la decorazione architettonica di San Pietro, bisogna sottolineare che Michelangelo concepì la chiesa come un edificio disadorno, privo di abbellimenti. Come commenta Giuseppe Zander in un saggio in L’arte in Roma nel secolo xvi, «non dobbiamo cadere nell’errore di pensare la nuova basilica del Cinquecento splendente di colori di marmi e mosaici come vediamo oggi. Ciò che noi vediamo è l’esuberante veste dell’età barocca. Nel ’500, invece, la basilica si presentava, all’interno, con una grande austerità e sobrietà di colori, secondo la tradizione romana di ascendenza senza dubbio antica». Subito dopo il completamento della cupola, nell’estate 1590, l’ultimo anno del papato di Sisto v (Felice Peretti 15851590), furono avviati i progetti per decorarla con il mosaico. Michelangelo avrebbe voluto che la cupola rimanesse una pura forma architettonica, come tutto l’interno di San Pietro, senza alcuna decorazione pittorica3. Nel giugno del 1590, giusto un mese dopo che l’ultima pietra fu posizionata, un certo numero di artisti preparò «cartelloni per la cupola e la lanterna». Il disegno del pittore Cesare

Nebbia, il quale fu incaricato di eseguire i cartoni, è conservato4, ma niente scaturì da questo lavoro preliminare, forse a causa della morte di papa Sisto v. Fu soltanto col pontificato di Clemente viii (Ippolito Aldobrandini 1592-1605) che la decorazione della cupola fu avviata. Un ulteriore tentativo di mettere a punto un programma iconografico fu intrapreso ancora nell’estate del 1593 quando Nebbia, come ci dice un documento conservato nell’Archivio della Fabbrica di San Pietro (afsp, Arm. 25, E, 124, c 115) in collaborazione con Giovanni Guerra, «riceve acconti vari per la pittura che fa di San Paolo per mostra dentro la cupola grande», ma, ancora una volta, non se ne fece nulla. Bisognerà aspettare altri cinque anni per dare finalmente inizio alla decorazione. La prima area di cui ci si occupò non fu la cupola, ma i pennacchi, e il mezzo scelto per la loro decorazione fu il mosaico, come lo era stato per la cappella Gregoriana voluta da Gregorio xiii (Ugo Boncompagni, 1572-1585) e completata nel 1580. La decisione fu significativa in entrambi i casi; non solo il mosaico era più splendente che l’affresco e, quindi, una materia adatta a San Pietro, ma faceva anche riferimento alla basilica costantiniana (di cui molti mosaici al tempo erano ancora visibili) e alla decorazione paleocristiana in generale. E fu così forte l’impatto dei mosaici disegnati dal pittore Girolamo Muziano (1532-1592) nella Gregoriana che, come vedremo più avanti, essi divennero il modello per la decorazione di tutte le restanti cupole e i pennacchi della basilica. Come ci dicono i documenti conservati nell’Archivio della Fabbrica di San Pietro, ai pittori Giovanni de’ Vecchi e Cesare Nebbia, entrambi discepoli di Muziano, fu commissionato di ornare i grandi tondi nei pennacchi con immagini dei quattro

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San Pietro in Vaticano A pag. 134: 115. Veduta della cupola dall’esterno. 116. Michelangelo Buonarroti, modello ligneo della cupola di San Pietro, Roma. San Pietro, Sala dei modelli.

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La decorazione musiva della cupola grande 117. Veduta della cupola dall’interno. Alle pagine seguenti: 118. Veduta della cupola e del baldacchino.

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Evangelisti5 e dalla metà del 1598 alla fine del 1599 i due artisti ricevettero dei pagamenti per l’esecuzione dei cartoni6. De’ Vecchi eseguì sia i disegni che i mosaici di San Giovanni e San Luca, mentre i cartoni di San Matteo e San Marco furono dipinti da Nebbia e poi tradotti in mosaico da lui e da Paolo Rossetti7, un abile mosaicista che aveva studiato con Muziano.

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Nel tardo 1600 i quattro mosaici erano completati. Ciascuno degli evangelisti è rappresentato con il tradizionale attributo (l’angelo di Matteo, il leone di Marco, il toro di Luca, l’aquila di Giovanni) e seduto su un «banco di nuvole». San Matteo tiene un libro aperto nella mano sinistra e regge un altro volume (il suo Vangelo) con la destra, mentre gli altri tre evangelisti sono mostrati nell’atto di compilare i loro Vangeli

con la penna d’oca in mano. Hanno come sfondo campi dorati tempestati di stelle e, con i loro drappeggi colorati e le loro smisurate dimensioni (ognuno riempie il suo tondo, che misura 8,80 metri di diametro, dall’alto in basso), assumono una presenza monumentale all’interno della basilica. San Matteo, l’autore del primo Vangelo, riceve il posto d’onore nel pennacchio di sud-ovest, a cornu evangelii (prima

del Concilio Vaticano ii era il lato della mensa in cui veniva letto il Vangelo; coincide con il lato destro della chiesa per il celebrante visibile dall’entrata della basilica). San Luca ebbe la seconda posizione quanto a prestigio, nel pennacchio di sud-est, ma sempre a cornu Evengelii, mentre San Marco occupa il pennacchio di nord-est e San Giovanni quello di nord-ovest.

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La decorazione musiva della cupola grande 119. Basilica vaticana, cupola maggiore, San Giovanni evangelista, pennacchio nord-ovest.

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120. Basilica vaticana, cupola maggiore, San Luca evangelista, pennacchio sud-est.

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La decorazione musiva della cupola grande 121. Basilica vaticana, cupola maggiore, San Matteo evangelista, pennacchio sud-ovest.

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122. Basilica vaticana, cupola maggiore, San Marco evangelista, pennacchio nord-est.

Alle pagine seguenti: 123. Basilica vaticana, cupola maggiore, Mosaico del Triregno, pennacchio nord-ovest. 124. Martino Ferrabosco, sezione della cupola maggiore, prima metĂ del Seicento.

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Quando gli Evangelisti stavano per essere completati, a Cristoforo Roncalli8 fu commissionato di disegnare i cartoni per le restanti aree dei pennacchi: i «triangoli» in alto a destra e a sinistra dei tondi, e gli spazi sotto di essi. Nonostante il pagamento finale per i suoi disegni fosse emesso a maggio del 1600, nel novembre 1599 il lavoro dei mosaici era già avviato. Così allo scadere del 1600 essi erano stati completati dai mosaicisti Paolo Rossetti, Lodovico Martinelli e Marcello Provenzale9. I «triangoli» sono decorati con angeli alati nudi (i documenti si riferiscono a loro come a «cherubini») che reggono corone floreali e, alternativamente, trombe e palme del martirio. Sebbene non rappresentati del tutto di scorcio, essi sono resi «di sotto in su» e, con le loro pose dinamiche ed espressioni vivaci, completano il senso di movimento espresso dagli evangelisti. La zona sotto ogni tondo è ornata con un illusionistico ondeggiare di drappi su cui appaiono la tiara papale (triregno) e le chiavi, simboli efficaci del potere papale e, in quanto a queste ultime, un esplicito riferimento all’iscrizione che avrebbe circondato la base della cupola. Rese in tessere di luminoso oro e argento contro un fondo blu scuro, le chiavi e le tiare assumono una notevole tridimensionalità e sembrano proiettarsi nello spazio del visitatore grazie anche a una struttura aggettante di circa 30 cm della tiara e all’utilizzo di bolle di vetro per dare il senso della preziosità delle gemme incastonate in essa.

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È da sottolineare, infine, che nel progettare i mosaici dei pennacchi, gli artisti furono costretti a operare nei limiti imposti dall’architettura preesistente. Quei limiti, visibili in alcuni disegni che mostrano i pennacchi come erano stati costruiti da Sangallo, consistevano in superfici triangolari che erano suddivise in campi separati: i tondi centrali, i triangoli sopra di essi e gli spazi all’incirca trapezoidali al di sotto. La lettura iconografica dei simboli degli Evangelisti si spiega tenendo conto di due interpretazioni complementari. La prima, di San Girolamo (347-420 d.C.), che chiarì gli attributi derivando la motivazione dal primo capitolo dei relativi Vangeli. La seconda, di San Gregorio Magno (590-604 d.C.), che rafforzò l’esegesi con una analisi cristologica. Nell’assegnare i simboli a tutti e quattro gli Evangelisti, la tradizione non dimenticò quanto riportato nelle visioni del profeta Ezechiele (1,4-25) e nell’Apocalisse di Giovanni (4,6-8). Giovanni de’ Vecchi fu l’autore del San Giovanni con l’aquila, questo attributo è tradizionale poiché nel prologo del suo Vangelo, Giovanni vola più in alto degli altri e l’aquila simboleggia l’ascensione di Cristo. Per quanto riguarda l’altra opera del de’ Vecchi, il San Luca con il toro, quest’ultimo evangelista inizia il suo Vangelo con il sacrificio del sacerdote Zaccaria: l’animale è la vittima, perciò il toro rappresenta il sacrificio supremo di Cristo. Cesare Nebbia, autore dei cartoni, coadiuva-

to nella trasposizione in mosaico da Paolo Rossetti, disegnò il San Matteo con l’angelo (o uomo alato), poiché Matteo inizia il suo Vangelo riportando l’albero genealogico di Gesù cosicché l’uomo è visto come l’incarnazione di Cristo. L’altro cartone è il San Marco con il leone. Marco inizia il suo Vangelo con la predicazione di Giovanni Battista, paragonata al ruggito del leone, il quale simboleggia la resurrezione di Cristo.

La decorazione della volta Dopo che i pennacchi furono completati (1600), nessun altro lavoro fu avviato nella cupola fino alla metà del 1603, quando ne fu appunto intrapresa la decorazione. L’artista scelto per disegnare e supervisionare l’esecuzione dei mosaici fu Giuseppe Cesari, il Cavalier d’Arpino10, che ricevette il primo pagamento per i suoi cartoni l’11 luglio 160311. Un mese dopo i mosaicisti iniziarono il loro lavoro, ma, se papa Clemente viii pensò a una rapida conclusione del progetto, rimase deluso. Nonostante una squadra di numerosi mosaicisti, che includeva Paolo Rossetti, Cesare Rossetti, Donato Parigi, Lodovico Martinelli, Marcello Provenzale, Rosato Parasole, Ranuccio Semprevivo, Cesare Torelli, Francesco Zucchi, Giovanni Ercolano, Giacomo Stella, Ventura Farfallini,

Agostino Bovio o Bosio e Orazio Gentileschi12, collaborasse alla cupola, sotto la direzione del Cesari, i mosaici non erano ancora finiti alla morte del papa nel 1605 e furono portati a compimento solamente nel 1612, sotto il pontificato di Paolo v (Camillo Borghese 1605-1621). Nel disegnare la decorazione, Cesari fu obbligato a lavorare basandosi sull’architettura pensata da Michelangelo e realizzata dal Della Porta13. Visto che la superficie era divisa da costoloni, in sedici scomparti cuneiformi, ognuno dei quali era ulteriormente diviso in sezioni più piccole, la cupola non si prestava a una composizione figurativa unificata. La soluzione del Cesari fu quella di creare uno schema ieratico composto da file concentriche di figure, dove ciascuna di esse avrebbe dovuto occupare uno scomparto separato, il che corrispondeva, da vicino, al disegno fatto dal Nebbia nel 1590. La prima fila attorno alla base della cupola consiste in lunette adorne con immagini a mezzo busto di anonimi «patriarchi» e «vescovi»14. Fino a oggi vari studiosi si sono occupati dei personaggi racchiusi entro le lunette, e non sempre c’è stato un giudizio unanime visto che alcuni storici dell’arte hanno parlato anche di papi, santi o martiri. Se intraprendiamo però un’attenta analisi iconografica su questi mosaici possiamo arrivare a conclusioni piuttosto attendibili.

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La decorazione musiva della cupola grande

125. Basilica vaticana, cupola maggiore, Patriarca o Vescovo, lunetta.

Il dato sul quale fondiamo la nostra ipotesi sulle figure di patriarchi e vescovi espresse nella prima fascia si basa sulla lettura dei documenti estrapolati dall’Archivio della Fabbrica di San Pietro nei quali si evince chiaramente che i mosaicisti chiamati a decorare la volta della cupola furono pagati per eseguire i mosaici di patriarchi e di vescovi e non di papi o santi. Per esempio, un documento datato 26 novembre 1610 dispone che «A messer Paolo Rossetti, pittore, scudi 20 moneta a buon conto di un patriarca, che fanno di musaico sotto la cupola [...]»; oppure un altro datato 4 febbraio 1611 ordina che «A Ranuccio Semprevivo e Cesare Rossetti, pittori, scudi 70 a buon conto di scudi 506 baiocchi 15, che importa il San Paolo et il Vescovo fato sotto la cupola [...]». L’interpretazione degli attributi che appartengono alle figure ci aiutano a risolvere il problema dell’identificazione dei personaggi in patriarchi e vescovi e non in papi o altro. Per esempio il copricapo alto e diviso in due punte nella sommità chiamato comunemente mitra è tradizionalmente portato da vescovi e prelati in cerimonie e come insegna di autorità e dignità. Nel nostro caso, lo troviamo in più occasioni po-

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126. Basilica vaticana, cupola maggiore, Patriarca o Vescovo, lunetta.

sato sul capo del personaggio entro la lunetta o addirittura poggiato sulle nuvole che fanno da sfondo ad essa. Escludiamo così che quel copricapo possa essere un attributo di un papa sia perché, se fosse stato così, esso avrebbe dovuto assomigliare a una tiara pontificia che ha una forma diversa dal suddetto, sia perché, come comunemente la tradizione iconografica vuole, il personaggio avrebbe dovuto avere il triregno. Inoltre, possiamo notare chiaramente che molti dei personaggi delle lunette tengono in mano un «bastone», secondo la tradizione evangelica, attributo del «buon pastore», comunemente chiamato «pastorale». Quest’ultimo è un oggetto sacro tipico del vescovo e del patriarca poiché essi sono coloro che sono chiamati a guidare e a pascere il popolo di Dio. Tale annotazione elimina intanto il dubbio sollevato da alcuni storici dell’arte circa la presenza, nelle lunette, di raffigurazioni di papi, santi o martiri. Constatato a questo punto che le figure della prima fascia sono patriarchi e vescovi, cercheremo di notare se ci sono delle differenze iconografiche tra i mosaici che possano farci capire quali siano gli uni e quali gli altri.

Dal punto di vista della gerarchia ecclesiale, i patriarchi ricoprono un gradino più alto del vescovo e, consideran- do che sono a capo di un’area di competenza più ampia, essi assumono nella Chiesa un ruolo del tutto particolare (per esempio nel periodo storico della divisione della Chiesa in quella d’Oriente e d’Occidente troviamo il patriarca di Gerusalemme, di Alessandria, di Costantinopoli e anche quello di Roma). Proprio per l’importanza e per il ruolo specifico che questi uomini assumevano nella Chiesa, essi avrebbero dovuto avere degli attributi specifici che per lo meno li avrebbero dovuti far distinguere dai vescovi. In realtà non è cosi. Passiamo ora a un’analisi iconografica più accurata. Come si può ben notare tutti i personaggi delle lunette sono vestiti in modo analogo. Tutti, infatti, portano sulle spalle un «piviale» trattenuto sul petto da un grosso fermaglio, distinguibile l’uno dall’altro solamente da un diverso colore. Si può quindi concludere che le figure entro le lunette non hanno nessun particolare iconografico capace di farci distinguere se si tratti di patriarchi o di vescovi. Consideriamo ora un’altra cosa. Gli studiosi hanno generalmente pensato che le figure con la «mitra» fossero vesco-

vi, mentre quelle senza fossero patriarchi. Se si contassero le figure che hanno la mitra posata sul capo o sulle nuvole, e si confrontassero con quelle che non le hanno, si noterebbe una disparità di numeri rilevante: 13 a 3: ciò vorrebbe dire che la presenza di vescovi nelle lunette è in netta maggioranza rispetto a quella dei patriarchi. A mio modesto parere una così netta diversità non avrebbe ragione di esistere. Sarebbe stato più plausibile che il numero dei patriarchi fosse stato uguale, o quasi, a quello dei vescovi; inoltre c’è da dire che il patriarca, prima di essere nominato tale è un vescovo, e perciò come tale ha di diritto la mitra vescovile. Infine, ogni dubbio circa la possibile distinzione dei personaggi in base alla mitra viene tolta dagli stessi documenti. Uno di questi datato 25 febbraio 1611 così riporta: «A Marcello Provenzale a buon conto del vescovo sotto San Filippo». Se osserviamo la figura di mosaico eseguita sotto l’apostolo San Filippo noteremmo che non possiede la mitra vescovile, nonostante il documento attesti che il Provenzale venne pagato per fare un vescovo; ne deduciamo quindi che la mitra non può essere l’attributo che nella cupola abbia la funzione di distinguere un patriarca da un vescovo.

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San Pietro in Vaticano 127. Basilica vaticana, cupola maggiore, Patriarca o Vescovo, lunetta sotto San Filippo Apostolo.

La decorazione musiva della cupola grande 128. Basilica vaticana, cupola maggiore, Angeli con gli strumenti della Passione, terzo giro decorativo.

A questo punto ci si chiede perché il Cesari non abbia voluto mettere nessun segno di riconoscimento alle figure di mosaico della cupola, escluse quelle del giro degli apostoli e di tre angeli al giro sopra. Per spiegare la ragione di questo atteggiamento mi avvalgo di quella che poteva essere l’ideologia di un personaggio come il cardinale nativo di Sora Cesare Baronio15, che gravitava intorno alla corte papale di quegli anni ed era tenuto molto in considerazione da tutta la curia, in particolare da papa Clemente viii del quale era confessore. Questi probabilmente consigliò il Cesari nel suo lavoro suggerendo di rappresentare nella prima fascia figure di patriarchi-vescovi per enfatizzare le origini della prima Chiesa. Le figure delle lunette avrebbero dovuto così esprimere il «Collegio Episcopale» al quale, insieme ai dodici apostoli (non a caso dimorano sopra di loro), sarebbe stato affidato il compito di diffondere la parola di Gesù Cristo in tutto il mondo. Nel disegnare il programma iconografico della cupola si è ritenuto non edificante per lo spettatore valorizzare solo il singolo vescovo (mancano infatti gli attributi che rendono riconoscibile un personaggio dall’altro e poi, in base a questo principio, il Cavalier d’Arpino avrebbe dovuto mettere anche gli attributi che rendono riconoscibili i tre arcangeli più noti: Gabriele, Michele e Raffaele), ma si voleva invece rappresentare quel «gruppo» di persone (il primo Collegio Episcopale) che gerarchicamente è inferiore agli apostoli, ma che ha svolto un ruolo chiave nell’azione evangelizzatrice della Chiesa. In ultimo, il fatto che siano santi è testimoniato dalla presenza che, tutti indistintamente, hanno dietro le loro teste l’aureola tipica dei santi con un forte fascio di luce che si staglia sul fondo. Non possiamo infine avallare l’ipotesi di alcuni storici i quali affermano che tutti i personaggi di questo primo giro sono sepolti all’interno della basilica: allo stato attuale, non c’è alcun documento né fonte che confermi tale ipotesi. Passando ora alla fila successiva nel lato ovest della cupola vediamo Cristo affiancato da Maria e San Giovanni Battista (cioè la Deesis), circondati da San Paolo e dai dodici Apostoli. Questi sono a figura intera (con i loro tradizionali attributi) e appaiono seduti sulle nuvole contro sfondi dorati trapunti di stelle. Sedici angeli a figura intera, anch’essi sostenuti da nuvole e con un fondo dorato e tempestato di stelle16, occupano il livello successivo; tali esseri celesti, con le mani giunte in preghiera, guardano in basso, verso gli apostoli, o in alto, verso le sfere superiori della cupola. I tre angeli centrali (a ovest) portano gli strumenti della passione: la corona di spine (sopra

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Cristo), la croce (su Maria) e la colonna della flagellazione (sul Battista): tibi omnes angeli, tibi caeli et universae potestates. tibi cherubim et seraphim incessabili voce proclamant: A te cantano gli angeli e tutte le potenze dei cieli. A te cantano i cherubini e i serafini con voce incessante. I tondi che formano la fila seguente rappresentano Cherubini, la seconda classe di angeli per importanza se si segue la Gerarchia Celeste di Dionigi17. Essi si presentano come teste dorate circondate da sei ali azzurre, su campo dorato cosparso di stelle. Sopra di loro c’è un anello di angeli inginocchiati, esseri drappeggiati in modo diafano che uniscono le loro mani in preghiera, anch’essi, come le loro controparti, su fondo oro stellato. L’ultima fila di figure è composta da altri cherubini. Appaiono come teste dorate con ali bianche e sono eseguiti in stucco da Rocco Solaro18. Proprio alla sommità della cupola c’è un anello di 32 stelle dorate19 su campo blu, a significare il firmamento, che estende la decorazione vista sui costoloni e dietro ciascuna delle figure. Nella volta della luminosa lanterna c’è un’immagine di Dio Padre, con la mano tesa in gesto di benedizione, circondato da nuvole e angeli. E sull’anello che circonda la base della lan-

terna c’è l’iscrizione dedicatoria, che (come le teste di leone alla base dei costoloni) onora Sisto v per aver completato la cupola, s. petri gloriae sixtus p.p. v. a. md. xc. pontif. v: A gloria di S. Pietro, papa Sisto v, nell’anno 1590, il v del Suo pontificato20. A metà dalla conclusione dei mosaici nella cupola, nel 16081609, furono realizzati i mosaici nel tamburo, anche questi disegnati dal Cesari21. Qui la decorazione principale consiste: a livello della galleria in scomparti alternati con angeli seduti su ghirlande e teste di angeli; sotto le finestre timpanate ci sono ghirlande e teste di cherubini; sopra i timpani delle finestre motivi d’acanto come anche nel fregio della trabeazione, infine scomparti decorativi alternati con stelle nell’anello al di sopra proprio sotto le lunette della cupola. Nel 1605 la grande iscrizione attorno alla base del tamburo fu realizzata in tessere blu su fondo oro, secondo i disegni forniti da Ventura Farfallini (o Farfarelli)22. In lettere che misurano metri 1,40 d’altezza, leggiamo le famose parole di Cristo, riportate da Matteo (16,18-19), tu es petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam et tibi dabo clavis regni caelorum:

Tu sei Pietro, e su questa pietra costruirò la mia Chiesa; e a te darò le chiavi del Regno dei Cieli.

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La decorazione musiva della cupola grande

La decorazione musiva della cupola grande 129. Basilica vaticana, cupola maggiore, San Paolo, San Simone, secondo giro decorativo degli apostoli.

I lavori di decorazione della cupola michelangiolesca cominciarono così nel 1603 con l’attenta supervisione del Cavalier d’Arpino e di papa Aldobrandini e i primi pagamenti che si registrano nei documenti risalgono all’11 luglio 1603 e continuano fino al 20 gennaio 1612. Il Cesari riceve il suo ultimo pagamento, per i cartoni da lui eseguiti, il 4 gennaio 161323, ma in quella data i mosaicisti ancora stavano ultimando gli ultimi palmi di mosaico. Nonostante la loro esecuzione si sia protratta per circa 15 anni (1598-1613), non c’è discussione sul fatto che i mosaici che decorano i pennacchi, il tamburo e la cupola fanno parte, come vedremo in maniera più approfondita successivamente, di un programma unitario in cui il cardinal Baronio giocò un ruolo importante. Una lettura di questo programma può iniziare dai pennacchi con gli Evangelisti, autori dei quattro Vangeli. Come i pennacchi sorreggono la cupola sopra di loro, così gli evangelisti sono i pilastri su cui poggia la chiesa; i loro testi infatti narrano la vita di Cristo e riportano le sue parole, che rivelano il piano di redenzione di Dio. Gli angeli che affiancano i tondi, con le loro corone floreali, trombe e palme, introducono i temi del martirio e del trionfo sopra la morte, più in particolare quello di San Pietro, il primo papa, la cui tomba sta proprio sotto di loro. E le tiare e le chiavi sotto i tondi espandono il tema petrino: manifestano il primato di San Pietro e l’immutabilità dell’ufficio di pontefice supremo. Il primato del primo papa è espresso nelle lettere poste nell’iscrizione monumentale sopra i pennacchi. Con queste parole Cristo ha designato San Pietro (Petrus) come la pietra di fondazione (petra) della Chiesa, e gli ha concesso le chiavi del regno celeste. I colori dell’iscrizione, blu e oro, sono i colori del cielo, così come sono i tradizionali colori di San Pietro.

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130. Basilica vaticana, cupola maggiore, Angeli su ghirlande e putti, tamburo, prima galleria interna.

Essi sono anche i colori araldici di papa Aldobrandini, e così Clemente viii, come successore di Pietro, è proclamato sovrano della Chiesa. In conclusione, possiamo ben dire che la prima lettura che si ricava, alzando gli occhi verso la volta della cupola petriana, è quella di una visione del Regno Celeste, il celestiale Paradiso scintillante di stelle dorate dove le gerarchie angeliche adorano L’Eletto e il Padre Eterno estende con un gesto imperioso la sua benedizione. Patriarchi e vescovi, i dodici apostoli, San Paolo, San Giovanni Battista, la Vergine e Cristo formano questa Chiesa trionfante che regna in eterno in cielo. Così, in una visione d’insieme, la cupola offre un’immagine di trionfo, nel celebrare il Redentore e coloro che seguirono la sua parola; ma allo stesso tempo, è una professione di fede in Cristo e nell’autorità della Chiesa, la cui pietra è rappresentata dall’apostolo Pietro, che non a caso è sepolto proprio lì sotto.

L’iconografia della cupola vista in chiave baroniana

L’iconografia dei mosaici pensata per decorare la cupola dal cardinale di Sora e realizzata dal Cavalier d’Arpino ha differenti livelli di lettura e nelle righe che seguono si potrà scorgere la profondità del messaggio che si cela dietro le figure rappresentate nella volta michelangiolesca. Infatti, la prima impressione che si ha entrando nella basilica vaticana è quella di un luogo i cui marmi risplendono di luce e la ricchezza delle opere d’arte va a fare da corollario al coro di angeli e cherubini raffigurati nella cupola atti a esaltare e lodare la gloria celeste.

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San Pietro in Vaticano

Questo, ripeto, è quello che noi percepiamo in un primo momento varcando la soglia di San Pietro. Se nella Basilica Petriana non ci si lascia soltanto impressionare dall’imponente maestosità dell’insieme, ma si medita invece sui suoi elementi costitutivi, si scopre che, oltre a esaltare la gloria della Chiesa e del papato, si vuol far riflettere sulla storia dei martiri e di coloro che sono morti per la fede. Arriviamo perciò a parlare della decorazione della cupola, basterebbe infatti pensare a essa che non è soltanto il più gigantesco e impressionante simbolo di gloria monumentale espresso a mosaico, ma che è tutta dedicata a esprimere la suprema gloria di Cristo e di Maria nell’eterno Regno dei Cieli. Ma la gloria della cupola si basa sull’ottagono dove sono raccolte reliquie fra le più preziose del mondo. Del resto, se qui è la gloria che viene esaltata, non ci si è dimenticati di raffigurarvi gli strumenti della Passione (la Croce, la corona di spine e la colonna della flagellazione), ben visibili nelle mani degli angeli, adoranti il Cristo, posizionati rispettivamente sopra le figure della Vergine, del Salvatore e di San Giovanni Battista. Se si vuol così comprendere appieno il significato delle decorazioni musive dell’ottagono e della cupola, occorre avvertire che nella basilica non vi è solamente l’intenzione di esprimere la gloria e la potenza ma anche il dolore. Lo stesso evangelista Luca dice: «Il Cristo doveva patire e così entrare nella sua gloria» (Lc 24,25-26). L’influenza del cardinale di Sora, nella veste di proporre al Cavalier d’Arpino le immagini da inserire nella volta michelangiolesca potrebbe aver giocato un ruolo importante. Negli Annales, infatti, il Baronio pone notevole importanza all’azione svolta dai pontefici e dai vescovi per rendere la chiesa universale di Dio gloriosa, tant’è che dedica numerose pagine alla loro azione di committenti di opere d’arte. Nell’iconografia della cupola, vediamo rappresentati, nella prima fascia all’interno delle lunette, le figure di Santi vescovi e patriarchi. Ci si chiede perciò se non si sia voluto appositamente inserire tali personaggi, e non per esempio dei martiri, per rendere gloria eterna proprio a quegli uomini che, nel corso della storia, hanno contribuito, con le loro opere, a far risplendere la Basilica di San Pietro dall’epoca dell’imperatore Costantino fino al tempo di Clemente viii. Questa ancora è un’ipotesi, che può però assumere validità nel momento in cui, nelle pagine degli Annales, leggiamo l’atteggiamento che il cardinale assume nei confronti della committenza vescovile.

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La decorazione musiva della cupola grande

Gli Annales Ecclesiastici di Baronio, per dirla con le parole di Zen, sono «una grande interpretazione del farsi d’Europa»24. Sul piano storiografico si afferma la concezione teologica della storia essenzialmente come storia del mondo, che per il cardinale altro non è che storia della Chiesa. E se questa storia è fatta da uomini che si sono «battuti» nel corso degli anni per divulgare al mondo intero la potenza di Dio, il Baronio ha pensato bene di inserirli subito sopra alle figure che hanno iniziato questo cammino (gli evangelisti che nei pennacchi dei piloni sorreggono le sorti della Chiesa), ma anche sotto a Cristo e agli apostoli che sono il modello da seguire. Come vediamo, quindi, l’importanza dell’arte nella storia della Chiesa e il fatto che essa sia uno strumento edificatorio per l’uomo sono caratteristiche fondamentali per il Baronio, e proprio per questo ogni figura e ogni simbolo non sono lasciati al caso. Ci si chiede allora perché il cardinale non abbia voluto rendere noto a tutti i nomi dei personaggi delle lunette o, comunque, non abbia fatto molto per renderli riconoscibili. In parte questo atteggiamento lo possiamo spiegare in base alla convinzione del Baronio circa le finalità didattiche dell’arte sacra: egli afferma l’inutilità dei cartigli o delle iscrizioni che servivano a identificare il personaggio raffigurato25, in quanto non utilizzabili dai fruitori privilegiati dell’immagine stessa, gli indotti; e d’altra parte questi tituli, esprimendosi necessariamente in un’altra lingua particolare, non si accordavano con il carattere di universalità dell’espressione figurativa. Molto meglio, dunque, individuare le immagini aderendo quanto più possibile alla tradizione iconografica, raffigurando, per esempio, San Pietro con le chiavi. Si può concludere perciò che, nonostante allo stato attuale non siamo capaci di identificare i personaggi delle lunette, possiamo ben dire che il Cavalier d’Arpino è stato molto attento a rappresentare uomini importanti per la storia della Chiesa e in particolare per la basilica di San Pietro. Passando ora alle fasce superiori, una considerazione sostanziale riguarda molto da vicino le singole figure della volta, soprattutto quelle di maggiore dimensione rappresentate nella seconda fascia. Notiamo che la schiera degli apostoli con San Giovanni Battista, la Vergine e il Redentore, sono dal Cesari disegnate con estrema semplicità nelle posizioni tipiche in cui tali soggetti erano spesso raffigurati e con i rispettivi attributi che rendono possibile il loro riconoscimento. Sono tutti assisi sopra delle nuvole e si stagliano su un fondale scintillante di luce dorata.

L’Arpinate li ha rappresentati con gesti e posizioni tipiche della grafica tradizionale, cercando di far emergere dal loro volto quell’espressione di pacata devozione, tipica del periodo manierista. L’autore dei cartoni s’impegna a cogliere il momento in cui il Cristo trionfante su un trono di nuvole si manifesta a tutta la Cerchia Celeste e alla folla dei fedeli che lo guardano dal basso. Possiamo senza dubbio affermare che questa scena, e la maniera in cui è rappresentata, si sposa appieno con quella che è l’ideologia del periodo post-tridentino, nella quale nessuno degli elementi è scelto a caso. L’indagine condotta sulle arti figurative rivela, infatti, che l’arte di questo momento storico si volge verso un duplice atteggiamento: da un lato, l’esigenza di giustificare il culto delle immagini; dall’altro, la considerazione di queste ultime come fonti documentarie, secondo uno spirito antiquario all’interno del quale si articolano anche le rare osservazioni di carattere estetico26. A questi due aspetti se ne può aggiungere un terzo, infinitamente sfumato nelle sue implicazioni simboliche, che è «una concezione dell’immagine come espressione e strumento del potere civile o ecclesiastico»27. Per quanto riguarda il suo primo intento (la volontà di giustificare il culto delle immagini), la figura della Vergine è l’esempio che ci fa comprendere il problema: il Baronio voleva risollevare il culto delle immagini sacre dall’attacco dei protestanti luterani dato che, dopo il Concilio di Trento, il recupero delle immagini affonda le sue radici nella lotta ideologica contro i protestanti visti come i nuovi iconoclasti. La preoccupazione di giustificare le immagini si basa principalmente, perciò, sulla dimostrazione dell’antichità di tale uso e della sua liceità, che a sua volta poggia sulle immagini cosiddette «prototipi», come quelle della Vergine e di Cristo nella loro iconologia più tradizionale. Infine il Baronio sembra «istruire» il Cesari consigliandolo, negli Annales, su quale debba essere il tenore di queste immagini: afferma così l’opportunità che esse raffigurino l’oggetto pie sancteque, in modo tale da rendere la santità del personaggio o dell’azione poiché, nelle chiese, bisogna astenersi da raffigurazioni profane. Concludo esponendo quello che mi sembra essere l’atteggiamento che hanno intrapreso gli artisti e coloro che hanno pensato alla decorazione della cupola nei confronti dell’arte: quello cioè che, affida alla tradizione e a tutto ciò che ne sia testimonianza, il compito di educare. La tradizione, la quale rimane estremamente evidente nell’utilizzo del mosaico, quasi a riportarci in una basilica paleocristiana e la semplicità narrativa, che poggia le sue basi nella Legenda

Aurea di Jacopo da Varagine28, sono in assoluto le due componenti che caratterizzano l’intero ciclo decorativo espresso nella cupola maggiore in San Pietro in Vaticano.

Il perché di alcune scelte tecniche e iconografiche nella decorazione della cupola vaticana

Dietro la decorazione dei pennacchi e della volta della cupola maggiore si può riconoscere un qualche sotteso principio ideologico e teoretico. Insieme alla scelta di far eseguire i cartoni preparatori al Cavalier d’Arpino e a quella di tradurli in mosaico sulla cupola più grande fino a quei tempi mai realizzata, ce ne sono altre di diverso tipo e di grande significato. In particolare cercherò di spiegare la ragione per cui si decise di decorare la parte nuova della chiesa nonostante il progetto di Michelangelo non lo prevedesse; inoltre, sarà importante conoscere che cosa motivò la scelta, apparentemente ovvia, del mosaico come tecnica decorativa; infine perché si decise di proporre un programma iconografico di questo tipo. Iniziamo col dire che gli interventi ornamentali di Gregorio xiii e Clemente viii all’interno della basilica vaticana si inseriscono, come più volte è stato detto, su un’architettura priva di decorazioni. San Pietro era come l’aveva intesa Michelangelo, un interno sobrio di stucco biancastro e di travertino. Il rivestimento dei muri e delle lesene della cappella Gregoriana con marmi colorati e la decorazione della sua volta con brillanti mosaici rappresentarono quindi un’innovazione radicale. Non soltanto i ricchi effetti coloristici delle cappelle costituivano una novità, ma la decisione stessa di abbellire parte della struttura architettonica della basilica segnò un importante cambio di indirizzo. E la tendenza che Gregorio xiii aveva avviato fu presto adottata e ampliata da Clemente viii, con la decorazione della cupola e della cappella Clementina, con l’incrostazione delle due cappelle d’angolo occidentali con la pavimentazione della basilica e la doratura delle volte. In uno studio di Milton Lewine intitolato The Roman Church Interior del 196029 vengono esaminati gli interni delle chiese costruite a Roma tra il 1527 e il 1580. Lewine ne ha concluso che per tutto questo periodo la decorazione nelle chiese fu governata da una tendenza alla semplicità e all’austerità, che era esplicita nel sistema di confinare le decorazioni alle cappelle laterali e, nelle chiese con la crociera, alle cupole, lasciando il resto dell’edificio interamente disadorno. La freddezza e il candore del travertino e dello stucco erano dominanti negli interni delle chiese romane di metà Cinquecento,

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ed esprimevano la tendenza ascetica e riformista, il devoto rigore del periodo della Controriforma. Tra gli autori di questo pensiero annoveriamo San Filippo Neri che dettò il modo in cui decorare le superfici interne di Santa Maria in Vallicella: «Lasciatele semplicemente tinteggiate di bianco». A partire però dal 1580, con la Madonna dei Monti di Giacomo Della Porta, emerse un nuovo atteggiamento. Per la prima volta nel xvi secolo un’intera chiesa, con le sue cappelle, cupola, muri e volte, fu decorata con ricchezza. Questo cambiamento radicale, segnalò la comparsa di un nuovo ottimismo che pervase la Chiesa dopo i successi con i protestanti e aprì un nuovo ciclo nel quale le decorazioni degli interni assumevano un ruolo fondamentale nella costruzione delle chiese o nel rifacimento di quelle preesistenti. Probabilmente, perciò, dobbiamo leggere le campagne decorative promosse dai papi Boncompagni e per lo più Aldobrandini come un semplice sintomo di una rinascente fiducia della Chiesa durante il periodo post-tridentino. Il secondo punto sul quale soffermarci è determinare i fattori che portarono alla decisione di usare il mosaico per la decorazione della Gregoriana e soprattutto della cupola maggiore, ma anche successivamente delle altre tre cappelle d’angolo della basilica (quella Clementina, della Madonna della Colonna e quella di San Michele e Petronilla). Una prima motivazione era basata su considerazioni pratiche: le tessere a smalto allettate nello stucco consentono immagini più durevoli degli affreschi. Il mosaico era poi un mezzo lussuoso, più brillante e prezioso dell’affresco, e quando Gregorio xiii lo introdusse nella basilica lo considerò di certo appropriato per una cappella papale. Ma il terzo fattore, forse il più importante, era l’associazione del mosaico alla chiesa primitiva. L’uso del mosaico può quindi esser visto come uno sforzo pienamente consapevole di recuperare, nel nuovo San Pietro, lo «spirito della chiesa delle origini». In questo senso il desiderio di evocare il passato paleocristiano fu anche un principio guida del programma di decorazione, realizzato dal Bernini per Innocenzo x. Come più volte ho ripetuto in queste righe, la prima idea che si ha alzando gli occhi verso la cupola è quella di un luogo immerso nella luce e nello sfarzo dei suoi materiali, primo tra tutti il mosaico. Ci si deve chiedere, ora, il perché si sia scelto di utilizzare nel colore delle pietre vitree del mosaico l’oro e l’azzurro, nei quali si stagliano le figure di Cristo e della Vergine contornati dai dodici apostoli e dalla schiera celeste. Si può rispondere dicendo che l’idea di decorare con ricchezza una chiesa si basava su di una tradizione lunga e continua. Era

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fondata sull’interpretazione metaforica dell’edificio «chiesa» come immagine del cielo, e questa idea si era sviluppata in un topos centrale della teologia medievale. La chiesa era vista nel passato «fatta di oro e pietre preziose» poiché aspirava ad essere il modello del palazzo divino e della Gerusalemme Celeste. Theophilus, nel suo De diversis artibus scrisse che «et laquearia seu parietes diverso opere diversisque coloribus distinguens paradysi Dei speciem»: I soffitti e le pareti di diverso materiale e di diversi colori ornano una specie di Paradiso di Dio. Durante il periodo post-tridentino, diversi scrittori, tra i quali il Baronio, diedero nuovamente vigore a questo topos. In quel momento, all’inizio del 1600, l’argomento acquistava una dimensione polemica, visto che si sentiva il bisogno di difendere la tradizione dagli attacchi protestanti contro le immagini, e più in generale contro l’abbellimento delle chiese. Molanus nella sua De Historia dichiarava che «La chiesa è un’immagine del cielo sulla terra perciò perché non dovremmo decorarla con i tesori più preziosi che esistono?»30. E qualche tempo prima nello stesso secolo, nel trattato di Alberto Pio da Carpi contro Erasmo da Rotterdam nell’età della Riforma, questi domandava in forma retorica: «Chi dubita infatti che le decorazioni e i tesori delle chiese indichino e riflettano, per quanto possibile, la forma di quell’eterno tempio celeste [...] l’immagine del quale fu mostrata a Patmos?». I nostri templi, sosteneva, devono essere modellati sulla Gerusalemme Celeste; essi dovrebbero essere splendidamente ornati con oro e altre ricchezze, dal momento che «la decorazione delle chiese apre i cuori degli uomini alla religione e li induce a venerare Dio». La Gerusalemme Celeste, sancita dalla tradizione cristiana come modello ideale della Chiesa terrena, è descritta da San Giovanni nell’Apocalisse: «[...] e le fondazioni del muro della città furono ornate con ogni sorta di pietre preziose» e scrisse ancora: «La strada della città era oro puro, come fosse vetro trasparente» (Ap 21,19-21). È una descrizione breve ma capace di evocare una sfavillante città celeste e, più in particolare, ricordare la luce che emana il tamburo della cupola composto dei materiali del cielo: l’oro. Ritengo che questa non sia una coincidenza, ma piuttosto il risultato di uno sforzo deliberato di ricreare all’interno della basilica vaticana l’apparenza del cielo stesso. Sfortunatamente, ci manca una prova specifica che attesti che questa fosse l’intenzione di Clemente viii e del Baronio, ma che fosse ben concepito e recepito in questo modo è sostenuto da testimonianze in correlazione.

La decorazione della cupola di San Pietro fu probabilmente pensata dal Baronio, da Clemente viii e dal Cavalier d’Arpino come «un qualche luogo ultraterreno». Splendente d’oro e di ogni sorta di pietre preziose, esso incarna la veneranda idea della chiesa come immagine della Città Celeste, un Regno Celestiale in cui siamo testimoni della miriade di manifestazioni della Chiesa trionfante. In breve San Pietro, secondo il pensiero del tempo e secondo il fedele o il pellegrino che ammirava la cupola, doveva divenire il cielo in terra.

I sessantacinque cartoni del Cavalier D’Arpino per l’impresa decorativa della cupola maggiore di San Pietro in Vaticano

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Secondo quanto riferisce il Baglione, fu Clemente viii in persona a esprimere il desiderio che l’incarico per la decorazione della cupola fosse affidato al Cesari31, mentre i quattro pennacchi con le raffigurazioni degli evangelisti e angeli erano già stati eseguiti nel 1600 su disegno di altri mosaicisti: Giovanni de’ Vecchi, Cesare Nebbia e Cristofano Roncalli. Nonostante la critica per molti anni non abbia tenuto il Cavalier d’Arpino in degna considerazione, in particolare per il suo intervento nella decorazione della basilica di San Pietro32, gran parte degli studiosi del Cesari oggi riconoscono l’importanza che l’artista rivestì nella pittura romana a cavallo tra il xvi e il xvii secolo, ritenendo che il lavoro svolto per la cupola, sia un momento cruciale nella sua formazione e affermazione come artista. In questo paragrafo analizzeremo il modo in cui l’Arpinate sovrintese ai lavori decorativi della cupola sia come autore dei cartoni sia come direttore dei lavori; ma, in particolare, cercheremo di cogliere quanto della sua personalità si può riscontrare nel progetto di abbellimento della cupola michelangiolesca. Infine, sarà estremamente importante sottolineare in quale misura la maniera del pittore è riconoscibile nelle figure di mosaico della volta33. Per quanto riguarda l’organizzazione dei lavori, nell’Archivio della Fabbrica di San Pietro34 sono conservati tutti i pagamenti dei cartoni realizzati dal Cesari e dei lavori eseguiti dai mosaicisti. Dai documenti sappiamo perciò che, dall’11 luglio 1603 in poi, il Cesari ricevette continuamente pagamenti per i cartoni forniti da lui, mentre nel mese di agosto del 1603 fino al marzo del 1604 risultano pagamenti al mosaicista Ranuccio Semprevivo e ai suoi collaboratori per i lavori della lanterna della cupola35.

Nella cupoletta del lanternino è raffigurato Dio Padre benedicente che scende dal cielo. La stessa raffigurazione, anch’essa in mosaico, decora il lanternino della cupola della cappella Santori in San Giovanni in Laterano. Nonostante l’iscrizione di fondazione di questa cappella riporti la data 1602 possiamo supporre che il mosaico debba essere stato eseguito contemporaneamente a quello di San Pietro, e sulla base dello stesso cartone36. I mosaici del coro degli Angeli adoranti nella zona superiore della cupola furono eseguiti negli anni 1606 e 1607 come risulta dai relativi pagamenti dell’Archivio della Fabbrica. Seguirono i lavori del tamburo documentati per gli anni 1608 e 1609: i riquadri con Putti a cavalcioni su ghirlande al di sopra dell’architrave all’altezza della galleria del tamburo furono pagati nei mesi di marzo e aprile del 1609, mentre i tondi con gli Arcangeli nella cupola al di sotto degli angeli adoranti risultano messi in opera nei mesi di gennaio e febbraio del 1609. Seguirono poi i primi pagamenti per la zona degli Angeli negli spazi al di sopra degli apostoli, tra i quali tre con gli strumenti della passione sovrastanti il gruppo della Deesis (maggio 1609); pagamenti che ebbero termine alla fine dello stesso 1609. La zona con i Dodici apostoli, San Paolo e la Deesis fu eseguita negli anni dal 1610 al 1612, mentre le lunette sottostanti con le immagini dei Santi vescovi e patriarchi erano già compiute nel 1611. L’ultimo pagamento al Cesari è del 20 gennaio 1613. Apprendiamo però dal Grimaldi37 che l’intera decorazione della cupola fu compiuta solamente il 25 marzo 1612: «A. 1612 in vigilia Annunciationis beatae Virginis absolvitur opus musivum tubi Vaticani inchoatum a. 1598 magno tunc pictorum plausu et clamoribus in laetitiae signum ardui et laboriosi operis»38. La soprintendenza di tutti questi lavori spettò al Cesari, come risulta dal contratto del 15 luglio 1608: «[...] che il Cavaliere Giuseppe Cesare distribuisca alli pittori l’opera di detto musaico dando a ognuno la parte sua la quale nunc s’obbligano de far la detta parte che gli sarrà assegnato con ogni studio». Il prezzo base viene stabilito con «otto giulii il palmo». Come detto in precedenza, il Cavalier d’Arpino fu definitivamente pagato nel gennaio del 1613 per l’esecuzione di sessantacinque cartoni in totale. Di queste opere dipinte a tempera su tela a grandezza naturale, di nostra conoscenza ne sono rimaste tredici, poiché, la maggior parte (sedici) si trovavano nel refettorio dell’abbazia di Montecassino e, causa i bombardamenti durante la guerra del 1944, andarono tutte perse. Oggi siamo a conoscenza di tredici cartoni eseguiti dal

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La decorazione musiva della cupola grande 131. Fabbrica di San Pietro, Archivio Storico: Enrico Celso Donnini, ponteggio per il restauro e nuove dorature della gran cupola vaticana, 1863. 132. Fabbrica di San Pietro, Archivio Storico: Giacomo Sangermano, ponteggio per il restauro della cupola maggiore, 1772.

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Cesari per la cupola e, purtroppo, sono tutte figure di angeli e putti; mancano infatti le figure dei personaggi di maggiore dimensione come gli apostoli e i santi vescovi le quali avrebbero potuto fornirci informazioni più complete sulla qualità del lavoro del Cesari nell’impresa vaticana. Per prima cosa è importante sapere dove sono dislocati i cartoni rimanenti; passerò perciò qui di seguito in rassegna i luoghi di provenienza delle tempere rimanenti39. Ad Ariccia, all’interno di palazzo Chigi sono presenti quattro angeli soprastanti rispettivamente le figure di Cristo, della Madonna, di San Pietro e di San Giacomo Maggiore, cioè: Angelo in preghiera, Angelo con la croce, Angelo con la corona

di spine, Angelo in preghiera. Vi è inoltre un angelo soprastante l’ottavo apostolo (San Giacomo Minore), un altro angelo inginocchiato facente parte del cerchio superiore che sovrasta Cristo, un altro con la lancia e, dello stesso cerchio, un altro angelo ancora, non tradotto però in mosaico. A Roma, palazzo Colonna, sono conservati due angeli del cerchio inferiore soprastanti il decimo apostolo (non identificabile con certezza) e il dodicesimo apostolo (Sant’Andrea). A Corsham Court, Wiltshire, Lord Methuen, è presente un cartone a matita nera, acquarellato su carta, cm 208 × 155, per uno dei Putti a cavalcioni su ghirlande all’altezza della galleria del tamburo. Come abbiamo detto precedentemente altri sedici cartoni per il gruppo della Deesis e per gli apostoli del cerchio inferiore della cupola si trovavano fin dal 1944 nel refettorio dell’abbazia di Montecassino e sono ora andati distrutti in seguito ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Si ha inoltre la notizia40 che il cardinale Cesare Baronio possedeva due cartoni disegnati dal Cesari per San Pietro: «[...] dui angioli grandi in carta disegnati da Gioseppino». In data 18 maggio 1613 Sor Cesaria Baronio entra in proprietà di questi due cartoni «doi angeli in tela, detti il cartone». Secondo la moderna critica possiamo aggiungere a questo elenco anche altre tre opere collocate rispettivamente a Madrid, Accademia de San Fernando: studio per uno dei Putti a cavalcioni su ghirlande all’altezza della galleria del tamburo. Si tratta della prima idea, ancora inedita (attribuita finora ad «Anonimo italiano»), per il tipo di figura al quale appartiene anche il cartone di Corsham Court. Un’altra a Firenze, Uffizi, Gabinetto Disegno e Stampe (sanguigna 186 × 182 cm; Orn. 1499): studio per un Putto a cavalcioni su ghirlanda, disegno finale per il secondo tipo di figura ricorrente nel cerchio dei putti, infine, sempre a Firenze, Uffizi, Gabinetto Disegno e Stampe: studio per l’Angelo nudo facente parte del cerchio degli angeli nudi sovrastante San Bartolomeo. Il disegno rivela in modo più evidente quanto i dinamici atteggiamenti di questi angeli fossero molto più animati e convincenti nei disegni che non nell’esecuzione ingrandita dei cartoni o dei mosaici. A questo punto non rimane che vedere la qualità del lavoro del Cesari nei disegni dei cartoni preparatori ai mosaici della cupola. Prima di questo però è doveroso fare due premesse per non cadere in gratuite e troppo facili conclusioni nel giudicare l’operato dell’Arpinate. Innanzitutto è bene sottolineare il fatto che egli si trovò a stabilire un programma decorativo su una superficie architettonica che non lasciava grande spazio all’estrosità e all’inventiva: la volta della cupola michelangiole-

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La decorazione musiva della cupola grande

La decorazione musiva della cupola grande

133. Cavalier d’Arpino, cartone con figura di angelo, tempera su tela, 1603-1612, Ariccia, palazzo Chigi.

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134. Cavalier d’Arpino, cartone con figura di angelo, tempera su tela, 1603-1612, Ariccia, palazzo Chigi.

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La decorazione musiva della cupola grande A fronte: 135. Cavalier d’Arpino, cartone con figura di angelo, tempera su tela, 1603-1612, Ariccia, palazzo Chigi. 136. Basilica vaticana, cupola maggiore, angelo su ghirlanda, tamburo, prima galleria interna.

sca era già divisa in sedici spicchi da nervature in muratura e, all’interno, i sedici spazi erano a loro volta scanditi da forme geometriche quadrangolari e circolari in stucco41. Se da una parte questa situazione facilitava al Cesari il lavoro progettuale (egli avrebbe dovuto solamente collocare le figure tradizionali nella rappresentazione della gerarchia celeste entro la struttura architettonica), dall’altra lo costringeva in uno schema rigido nel quale la sola possibilità di uscire fuori dalla composizione era rappresentare le figure in atteggiamenti diversi. Infatti, per il gran numero di pannelli da eseguire, non poté essere evitata una stancante ripetizione delle posizioni, che diventa particolarmente evidente nel caso degli apostoli; mentre gli angeli conservano, anche nel mosaico, le movenze graziose delle figure tipiche dello stile del pittore. Osservandoli nel complesso, «essi [gli angeli] appaiono quali figurazioni astratte poste nei pannelli come una X o una W o

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una M: figure dai movimenti centrifughi in tutte le direzioni al punto da negarli e trasformarli in un sistema di astratti riempitivi. Dal punto di vista compositivo, queste figure sono elaborate secondo un principio formale accademico che testimonia una chiara limitazione al momento della commissione»42. Un altro fattore che, dal punto di vista tecnico, influì fortemente sulla resa definitiva dei cartoni preparati dal Cavalier d’Arpino fu la trasposizione delle opere a tempera in opera musiva. Nonostante l’indiscutibile capacità tecnica di mosaicisti, come per esempio Marcello Provenzale, il passaggio da un autore (il Cesari) a un altro (il mosaicista) causa quasi sempre un cambiamento nella realizzazione finale dell’idea originale; aggiungiamo anche che c’è un consistente margine di differenza tecnica ed esecutiva tra la pittura a tempera su cartone e la messa in opera del mosaico, che naturalmente si può ripercuotere sulla resa. I mosaicisti utilizzavano tessere di

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San Pietro in Vaticano

pasta vitrea fatte giungere da fornaci locate a Venezia; infatti nell’Archivio della Fabbrica sono presenti documenti che attestano questo43. Se facessimo un raffronto con altri mosaici della basilica, dalle cappelle laterali alle pale d’altare, si può notare che gli artisti che lavorarono nella cupola maggiore non ricercarono troppo la finezza del mosaico (da un analisi più ravvicinata si coglie che le sfumature di colore sono piuttosto decise e contrastanti) e, probabilmente, la necessità di terminare il lavoro in tempi brevi giocò una parte importante, aggiungiamo infine che tali mosaici sono fruiti dall’osservatore da una distanza che supera i 50 metri. Anche queste, quindi, sono state esigenze e scelte ben pensate poiché ci basta vedere le opere musive poste sopra gli altari di San Pietro per rimanere meravigliati davanti a una così tale somiglianza con gli originali pitturati a olio, considerando anche che i primi hanno in più tutta la splendida intensità di colore e lucentezza che solamente la tecnica del mosaico sa dare. Il passaggio dallo stadio preliminare (disegni) a quello esecutivo (mosaici) è andato a detrimento della spontaneità inventiva. Lo dimostrano anche i cartoni, tra cui quelli di Ariccia sono i migliori e i meglio riusciti. Quello, per esempio, dell’Angelo nudo con la colonna della Flagellazione, nonostante il suo mediocre stato di conservazione (il colore abraso in più parti è stato parzialmente reintegrato), rivela ancora molta della freschezza inventiva dell’idea primaria che il Cesari voleva dare a questi soggetti. Gli atteggiamenti di tutte le figure del ciclo perseguono lo stesso intento, cioè quello di produrre un effetto dinamico realizzato però soltanto per via di un’azione eccentrica e non coordinata delle estremità, che infine porta all’annullamento della dinamica stessa e a una astratta e formalistica intelaiatura della composizione. Ribadiamo però che la fantasia e le possibilità dell’artista erano condizionate e limitate dal preesistente sistema decorativo della cupola, con la ripartizione in piccoli e numerosi riquadri44 non molto adatti alla raffigurazione di un complesso figurativo. La conformità dei riquadri implicava la necessità di ripetere in serie un unico concetto formale e lasciava all’artista soltanto la libertà di qualche variazione. Il Cesari, oltre ad avere una larga schiera di collaboratori, doveva avere anche una «mentalità in qualche modo da ragioniere»: tanto da tener conto con computi meticolosi di tutto. Così, quando si trattò della cupola, volle precisare quale lunghezza sarebbe risultata calcolando lo sviluppo delle cornici, sia di quelle tonde sia di quelle semianulari inserite nell’inter-

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La decorazione musiva della cupola grande

no della cupola. Quando si tirarono le somme venne fuori un totale sbalorditivo. Si trattò, ragguagliato alle misure odierne, di ben 15.975 metri: salvo, soprattutto in casi come questi, errori e omissioni. In base a una lettura accurata dei cartoni, in particolare degli otto conservati a palazzo Chigi di Ariccia, ritengo che il Cavalier d’Arpino non abbia eseguito personalmente tutti e sessantacinque i cartoni, ma si sia fatto aiutare da altri artisti probabilmente della sua bottega, o non possiamo escludere che alcuni dei mosaicisti che parteciperanno alla decorazione della volta, valenti e pratici pittori, possano aver aiutato il Cesari nel disegnare i cartoni. C’è da considerare anche che le proporzioni monumentali dell’insieme architettonico richiedevano un aspetto adeguato per le figure. Il Cesari, nonostante la sua abilità nell’affrontare composizioni ricche di figure e a formato grande (per esempio l’affresco dell’Ascensione in San Giovanni in Laterano), non possedeva i mezzi formali adatti per la raffigurazione della figura singola a carattere monumentale. Infatti, dal punto di vista stilistico, a parte il già notato formalismo dei movimenti, manca alla decorazione nel suo complesso la monumentalità formale. Caso particolare spetta ai putti che nella produzione artistica del Cavalier d’Arpino, assumono un linguaggio figurativo estremamente significativo. Nei loro molteplici gesti ed espressioni rappresentano la visione della cultura di un periodo, basata sulla grazia e la maniera, ma nello stesso momento anche vivezza e varietà. Nella decorazione della cupola di San Pietro il Cesari fece numerosi cartoni con raffigurazioni di putti; in particolare sono da evidenziare quelli a cavalcioni sulla ghirlanda, eseguiti nelle posizioni più diverse per i mosaici della galleria al di sopra del cornicione, con su scritto tu es petrus; altrettanto degni di nota, sono anche i cartoni per i mascheroni di putti sempre fatti per lo stesso sito. Le testine alate degli arcangeli nella cupola, pur mantenendo le caratteristiche tipiche delle figure del Cesari, risentono invece della ristrettezza dello spazio in cui sono racchiuse. Di certo il Cavalier d’Arpino non ha creato nuove tipologie iconografiche, egli più che altro espresse soggetti tradizionali con il fascino pittorico e con la dignità, la simmetria e la cerimonialità, caratteristici della sua maniera. La critica però, come più volte accennato, ha spesso formulato giudizi di aspra condanna della pittura dell’Arpinate, accusandola di «stereotipata superficialità», senza rendersi conto di poter, invero, condannare l’ideologia della cerimonialità religiosa e cortigiana – tanto cara al Baronio e a Clemente viii – che si esprime nella pittura controriformistica, o anche la «corruttibile super-

ficialità» della grazia e della vaghezza. Non si può però negare in assoluto la qualità e l’abilità pittorica con cui il Cesari ha configurato i temi e le convenzioni della Controriforma.

I mosaicisti Un’accurata indagine condotta sui mosaicisti che parteciparono alla decorazione della cupola di San Pietro con il compito di eseguire i sessantacinque cartoni preparatori realizzati dal Cavalier d’Arpino ha portato a importanti conclusioni. Cominciamo col dire che è stato possibile ricavare la loro presenza all’interno del cantiere petriano dai documenti relativi ai pagamenti effettuati dalla Fabbrica di San Pietro tra il 1603 e il 1612 per i lavori svolti dai mosaicisti stessi. Gli studi più recenti, hanno permesso di avere, almeno per gli artisti più conosciuti, delle notizie certe e consistenti sulla loro vita e la produzione artistica (per esempio il Gentileschi, Cesare Rossetti o Francesco Zucchi), nel caso però di altri (Giovanni Ercolano e Francesco Martinelli), è molto difficile ricostruire la loro vicenda artistica se non addirittura il luogo e la data di nascita. In base ai documenti consultati, alle fonti, alle guide di Roma e ai testi critici, parteciparono alla decorazione della cupola della basilica vaticana i seguenti artisti: Gasparo Alberti, Agostino Bovio o Balio, Jacopo Bresciano, Giovanni de’ Vecchi da Borgo San Sepolcro, Giovanni Ercolano da Roma, Onorio Fanelli, Ventura Farfallini da Imola, Orazio Gentileschi da Pisa, Francesco Martinelli, Cesare Nebbia, Rosato Parasole da Norcino, Visso, Donato Parigi da Siena, Pietro Pomodoro, Marcello Provenzale da Cento, Cesare Rossetti da Roma, Paolo Rossetti da Cento, Bologna, Ranuccio Semprevivo da Viterbo, Giacomo Stella da Brescia, Cesare Torelli da Sarzana, Roma, Francesco Zucchi da Firenze. Analizzando i nomi degli artisti sopra menzionati, con il rispettivo luogo di provenienza, possiamo arrivare a una prima considerazione che ci permette di affermare che la reverenda Fabbrica di San Pietro non si servì di una «bottega» di mosaicisti per eseguire i cartoni del Cesari, ma ingaggiò artisti provenienti da diverse parti d’Italia i quali, per la maggior parte, erano conosciuti a Roma per aver eseguito lavori di pittura e non di mosaico. Si può pertanto dire che, tranne sporadici casi che successivamente vedremo, un numero elevato di questi artisti erano in relazione tra loro perché spesso si erano trovati a lavorare fianco a fianco nelle imprese volute da Gregorio xiii (15721585), Sisto v (1585-1590), Clemente viii (1592-1605), e Paolo

v (1605-1621), e non perché facevano parte di un’unica bottega45. È inoltre importante notare che tutti gli artisti attivi nella decorazione della cupola michelangiolesca provenivano da città del Centro e del Nord d’Italia e che non era presente alcun mosaicista veneziano. Queste due constatazioni portano a pensare che, agli inizi del xvii secolo, nel meridione della nostra penisola, non era sviluppata in maniera forte la presenza di maestranze o botteghe specializzate nel mosaico; inoltre, in base agli studi condotti, il Sud non poteva contare su alcun artista con grandi capacità in questo campo, anche perché, vista l’importanza dell’impresa petriana, se fosse vero il contrario, sarebbe stata inevitabile una sua partecipazione ai lavori in San Pietro. Come abbiamo detto, i mosaicisti provenivano tutti dal centro e dal nord Italia, di conseguenza, potrebbe sembrare naturale pensare che la maggior parte di essi potessero venire da Venezia. Infatti, è noto che la presenza a Roma di un centro per la lavorazione e l’applicazione del mosaico si situa intorno al 1578, negli anni in cui alla Repubblica Veneta, attraverso la Nunziatura Apostolica di Venezia, veniva richiesto di inviare «quattro huomini intenditissimi, et più eccellenti che sia possibile ne le cose del mosaico»46, da impiegare al servizio del papa nella prima delle quattro cappelle di crociera destinate nel nuovo San Pietro a una sontuosa decorazione musiva47. Si tratta della cappella Gregoriana voluta da papa Gregorio xiii il cui splendente paramento musivo fu condotto sui cartoni di Girolamo Muziano fra il 1578 e il 1580. Gli artisti impiegati anche qui provenivano dal Centro-nord. Nell’ultimo quarto di secolo le maestranze veneziane era- no le più qualificate nell’arte del mosaico inoltre, proprio nella città lagunare, era presente la fornace dalla quale probabilmente provenivano i famosi smalti «tagliati» con i quali grazie all’eccezionale gamma di tonalità (si realizzarono addirittura circa 30.000 tonalità diverse di colore), era possibile riprodurre fedelmente qualsiasi pittura. Dalla città veneta gli smalti venivano portati in Vaticano e nell’Archivio della Fabbrica risultano numerosi pagamenti che, come abbiamo visto con Pietro Pomodoro, attestano queste forniture. Almeno nel cantiere della cappella Gregoriana (1578-1580) la tradizione della tecnica musiva era tramandata e insegnata da maestranze veneziane; basti pensare che fu proprio il Muziano a inventare un nuovo «stucco ad olio»48 dove allettare le tessere musive. È una vicenda interessante che, già nella decorazione della cappella Clementina (1599-1604), ma ancor più in quella della volta della cupola michelangiolesca, non fu più Venezia ad essere il luogo dal quale provenivano i mosaicisti. La Fabbrica di San Pietro infatti reclutò artisti da diverse città del Centro-

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La decorazione musiva della cupola grande 137. Documento della ricetta su come si fa lo stucco utilizzato per allettare le tessere di mosaico (afsp, Arm. 1, A, 8, n. 10, Materie Diverse 1543-1671).

nord e nel 1731 si dotò addirittura di una fornace capace di riprodurre fedelmente gli smalti per i mosaici. Una cosa però è da sottolineare nel momento in cui poniamo l’attenzione sulle città di provenienza dei mosaicisti stessi e in particolare sulla loro bravura; possiamo infatti notare che il centro dal quale provenivano gli artisti più qualificati fu la zona intorno a Bologna. Paolo Rossetti da Cento (città vicino a Bologna) fu infatti colui che insieme al Muziano restituì l’antico splendore all’arte del mosaico nella Roma di fine Cinquecento (basti vedere l’incarico che ebbe da svolgere nel 1601 nella cappella Caetani in Santa Pudenziana), e da lui impararono quest’arte vari artisti dei quali, il più importante, fu senza dubbio Marcello Provenzale anch’egli da Cento. Quest’ultimo, durante tutto il pontificato di Paolo v, fu il mosaicista più qualificato di Roma e, solamente nel 1639, anno della sua morte, lasciò il primato tra i mosaicisti romani al vercellese Giovan Battista Calandra, suo allievo. È azzardato parlare di una «bottega emiliana» di mosaicisti, e tanto meno di «scuola», attiva a Roma all’inizio del Seicento con a capo prima Paolo Rossetti e poi il Provenzale, infatti, non ci sono documenti o fonti capaci di attestare l’unione di questi artisti in una struttura organizzata per l’insegnamento o il lavoro di équipe. Si può però dire che l’Emilia fu un centro importante, dal quale provenirono notevoli mosaicisti tra i quali Ventura Farfallini da Imola, e che il primato detenuto finora dai mosaicisti veneziani, viene a cedere il passo a quelli di altre città. Se è vero che non c’è una bottega di mosaicisti emiliani, è vero anche che non ce n’è una a Roma che raccolga gli

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artisti provenienti da vari luoghi, poiché i mosaicisti erano, prima ancora, pittori o stuccatori o, come nel caso di Rosato Parasole, intagliatori di legno. Infatti, per loro, era più redditizio avere incarichi di pittura, sia perché tali lavori erano pagati meglio, sia perché la richiesta era senza dubbio maggiore, è da aggiungere inoltre che i mosaicisti erano pagati in maniera diversa a seconda della loro bravura come accade al Provenzale49. Si può concludere perciò che, nonostante i mosaicisti che eseguirono i più importanti incarichi a Roma a inizio Seicento fossero sempre gli stessi, essi non facevano parte di una bottega. Nelle righe precedenti abbiamo appurato che già nei sessantacinque cartoni preparatori commissionati al Cavalier d’Arpino si avverte la presenza di diverse mani di pittori collaboratori. Questo significa che l’unitarietà stilistica della decorazione era stata già in parte messa in discussione in fase preparatoria. Se a questo poi aggiungiamo che la trasposizione dei cartoni a mosaico fu effettuata da mosaicisti provenienti da luoghi diversi e con un grado di capacità sensibilmente differente, dobbiamo riconoscere che l’intera realizzazione decorativa della cupola ha differenze stilistiche piuttosto marcate. Mentre il Cesari, nel ruolo di capo cantiere dell’impresa petriana, cercò di fornire un’impostazione univoca provando a «omogeneizzare» la resa iconografia della decorazione, dobbiamo considerare che la diversità della maniera dei capimastri mosaicisti rese stilisticamente diverse le figure della cupola. Questo dato risulta evidente a un occhio esperto che scruta i mosaici da vicino e osserva le figure una a una ma, per il visitatore che dalla crociera ammira la cupola da sotto in su, il colpo d’occhio è sbalorditivo e non può che rimanere a bocca aperta.

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Capitolo quarto

Le immagini cristologiche attraverso una lettura documentaria Assunta Di Sante «Io sono l’Alfa e l’Omega [...] Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!» (Ap 1,8)

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Le navate laterali della basilica, divise in tre campate, ospi­ tano sei cappelle, ciascuna delle quali è preceduta da un ve­ stibolo (anticappella) culminante in una cupola ovale ornata di mosaici. Il titolo del tema figurativo di ciascuna cappella è inscritto nella base del lanternino del vestibolo, e introduce all’intero ciclo decorativo rappresentato nella cupola, nelle lunette, nei pennacchi, negli stucchi, nelle statue e nelle pale d’altare. Le singole tematiche raffigurate nelle sei cappelle trovano connessione fra loro grazie alla complementarietà dell’inte­ ra serie iconografica, incentrata sul tema della salvezza e sul mistero della Chiesa. Tema che trova l’espressione più alta e frequente nella fi­ gura di Cristo, che si manifesta in diverso modo in tutte la cappelle delle navate laterali, sebbene solo adombrata anche in quella della Presentazione della Vergine, dove la visione apocalittica della «Donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi e sul capo una corona di stelle» (Ap 12,1), esprime il trionfo finale del corpo mistico di Cristo che è la Chiesa1. Anche in alcune pale d’altare della basilica e della sagre­ stia si fa riferimento a misteri di Cristo: esse, a eccezione della Trasfigurazione, risalgono tutte al xix-xx secolo e rappresen­ tano le ultime grandi realizzazioni per la basilica vaticana2. Infine l’immagine del Cristo Salvatore nella gloria celeste è presente sulla maestosa cupola michelangiolesca che sovra­ sta la tomba di Pietro, sulla quale tomba già dal ix secolo si volle raffigurare in mosaico, tra gli apostoli Pietro e Paolo, l’immagine del Redentore che sostiene con la mano destra il libro sul quale è scritto «Ego sum via veritas et vita qui credit in me vivet»: Io sono la via la verità e la vita chi crede in me vivrà.

Cappella del Fonte Battesimale Il progetto relativo alla cappella risale al 26 aprile 1623, quando la Congregazione della Fabbrica decise di dedicare al sacramento del Battesimo la prima cappella a sinistra dell’in­ gresso, collocandovi il fonte battesimale3. Le scelte decora­ tive furono affidate al cardinale Pietro Pao­lo Crescenzi nel novembre dello stesso anno; il porporato pensò a una deco­ razione musiva e affidò il compito di progettarla a Gaspare Celio. Dopo l’approvazione dei suoi disegni, fu avviata la re­ alizzazione dei cartoni preparatori per la pala d’altare, con Il Battesimo di Cristo, e per la volta. Nonostante Celio riferisca che i cartoni, pronti nel 1625, furono accettati con plauso, la Congregazione, «ricercando il mosaico sontuosa spesa», non portò avanti il contratto4. Il pittore aveva ricevuto fino a quel momen­to solo 50 scudi e, temendo di perdere il saldo al com­ pletamento della cappella, chiese allora di po­ter eseguire la meno esosa decorazione pittorica5. Celio vi lavorò per più di due anni e mezzo, a cominciare dalla pala d’altare, per poi pas­ sare, nell’estate del 1627, alla volta e infine alle lunette, per un compenso pari a 1050 scudi6. L’opera fu terminata e visibile al pubblico entro la metà del mese di ottobre del 1628, ma il suo lavoro non ottenne il successo sperato: la pala fu sostituita con la Cattedra di San Pietro, installata in loco tra il 1630 e il 1637, e la volta fu demolita nel 1690, quando Carlo Fontana ristrutturò la cappella7. L’assetto attuale risale infatti al 1692, quando Innocenzo xii (Pignatelli, 1691-1700) decise una ri­ strutturazione architettonico-decorativa che coinvolgeva an­ che l’apparato scultoreo e pittorico8. Fu stabilito che le pareti della cappella, dovendo di­venire una quinta scenografica per il fonte battesimale, fossero occupate da tre pale d’altare, com­

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A pag. 166 e a fianco: 138 e 139. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, veduta generale e della cupola.

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missionate alla fine del 1695 a un allievo di Andrea Sacchi, l’accademico Carlo Maratta, che rea­lizzò solo il dipinto per l’altare centrale; le laterali fu­rono lavorate da due suoi allievi, Andrea Procaccini e Giuseppe Passeri. L’anticappella, invece, a partire dai primi anni del xviii se­ colo, fu decorata in mosaico e i lavori proseguirono per più di un trentennio. Nonostante i lunghi tempi di lavorazione, la concezione iconografica del vestibolo risulta perfettamente unitaria: la critica ha evidenziato come il tema del sacramen­ to del Battesimo «viene reiterato nella volta nei tre battesimi di sangue, acqua e desiderio; storicizzato nelle lunette con le prefigurazioni veterotestamentarie e l’esempio dei primi ne­ ofiti dopo Cristo; ecumenizzato nei pennacchi con l’allarga­ mento alle parti del mondo ivi ospitate»9. La decorazione era stata affidata a Giovan Battista Gaulli da papa Clemente x (Altieri, 1670-1676) nel 1670, ma solo nel primo decennio del Settecento, su insistenza di papa Clemen­ te xi (Albani, 1700-1721), si iniziò attivamente a lavorare al progetto. Quando il 2 aprile 1709 Gaulli morì, il lavoro nella cupola era ancora in fase iniziale; soltanto qualche mese prima la Congregazione della Fabbrica aveva infatti approvato alcu­ ni dei cartoni da lui dipinti e ordinato di costruire i ponteggi per iniziare i mosaici. Nonostante Gaulli avesse realizzato l’in­ tero di­segno per la decorazione, la Fabbrica decise di saldare gli eredi con 1200 scudi e di lasciare loro i disegni, «giache questi non servano a nesun’uso per la Reverenda fabrica»10. Era stato deciso, infatti, di cercare un artista che eseguisse il lavoro dall’inizio alla fine; allo stesso Gaulli era stato chiesto di eseguire sia i bozzetti che i cartoni, motivo per cui il pittore non era riuscito a terminare, prima della sua morte, l’intero lavoro, il cui prezzo era stato pattuito in 4700 scudi11. La Congregazione si rivolse allora a Francesco Trevisani, il cui coinvolgimento nel progetto iniziò lentamente e progredì per tappe. Tra le estati del 1710 e il 171112, Trevisani dipinse il cartone per il fregio decorativo che corre intorno alla par­ te inferiore del tamburo della cupola. Già nel dicembre del 1710 furono montati i ponteggi affinché i mosaicisti potessero iniziare a lavorare ai campi dorati13 e, a settembre del 1711, Filippo Cocchi veniva saldato per averlo già trasposto in mo­ saico14. I pagamenti al Trevisani furono poi discontinui: il 28 aprile del 1717 percepì 400 scudi15, mentre i compensi suc­ cessivi risalgono agli anni 1723-1724 (nel 1724 viene saldato per i pennacchi)16, dal 1733 al 1744 lavora invece alle lunette e alla volta17. Il saldo finale di 4900 scudi risale all’aprile del 1745. La somma coincide con quella ricevuta da Carlo Marat­ ta per la decorazione della cappella della Presentazione della

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140. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, Noè prega davanti all’arcobaleno dell’alleanza, lunetta.

142. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, Africa, pennacchio, particolare.

141. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, Il diacono Filippo battezza l’eunuco della regina Candace, lunetta.

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Vergine18, nonostante Trevisani avesse richiesto una somma maggiore, in quanto la modalità da lui adottata nella rea­ lizzazione dei cartoni consentiva alla Fabbrica di esporli e conservarli come vere e proprie opere pittoriche19. La decorazione musiva fu invece diretta da Pietro Paolo Cristo­fari, soprintendente allo Studio del Mosaico Vaticano, fino alla sua morte nel 1743, quando gli successe Pier Leo­ne Ghezzi. I mosaici dei pennacchi furono eseguiti tra il 1724 e il 1726: Giuseppe Ottaviani realizzò, tra il 1725 e il 1726 l’Europa e l’America20; Liborio Fattori e Giovanni Battista Brughi, pagati anche loro il 25 settembre del 1726, realizza­ rono rispettivamente l’Africa e l’Asia21. I mosaici delle lunette furono invece eseguiti fra il 1737 e il 1739. Nicola Onofri e Domenico Gossoni lavorarono a San Pietro battezza il centurione Cornelio; Liborio Fattori e Pietro Cardoni a Il diacono Filippo battezza l’eunuco della regina Candace; Enrico Enuò e Silverio de Leliis al Bat­tesimo di Costantino; Alessandro Cocchi e Francesco Fiani a Cristo battezza San Pietro; Alessandro Cocchi e Bernardino Regoli a Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia, e Nicola Onofri e

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Le immagini cristologiche attraverso una lettura documentaria

143. Basilica vaticana, cappella del Fonte Battesimale, Il Battesimo di Cristo, pala d’altare.

144. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Coro, Dio celebrato dai ventiquattro vegliardi e circondato dai quattro animali dell’Apocalisse, volta, particolare.

Alle pagine seguenti: 145. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Coro, Giona e la balena, pennacchio, particolare. 146. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Coro, cupola.

Il Battesimo di Cristo

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Bernardino Regoli a Noè prega davanti all’arcobaleno dell’alleanza22. I mosaici della volta (il Battesimo di sangue, il Battesimo di acqua, il Battesimo di desiderio, Cristo alla destra di Dio Padre, Adamo ed Eva cacciati dall’Eden) furono eseguiti fra il 1738 e il 1746 da Enrico Enuò, Domenico Gossoni, Francesco Fiani, Liborio Fattori, Pietro Cardoni, Prospero Clori, Nicola Ono­ fri, e Alessandro Cocchi23.

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La volontà di adornare l’altare sud della cappella del Fonte Battesimale con un dipinto raffigurante il Battesimo di Cristo era nelle intenzioni della Congregazione della Fabbrica già dal 1624, e nel 1626 l’altare ospitava la pala realizzata da Gaspare Celio, rimossa qualche anno più tardi24. Durante la ristrutturazione della cappella voluta da Inno­ cenzo xii, furono realizzate tre pale d’altare: Carlo Maratta, a cui era stato commissionato l’intero lavoro, realizzò quella per l’altare centrale con Il Battesimo di Cristo, mentre affidò le laterali ai due allievi Andrea Procaccini (San Pietro battezza il centurione Cornelio) e Giuseppe Passeri (San Pietro battezza i Santi Processo e Martiniano)25. Alla pala del Battesimo di Cristo è legata anche la figura di Paolo Albertoni. Un documento del 2 marzo 1695 riferisce che un «quadro a guazzo» fu copiato da Paolo Albertoni da un disegno «venuto da Bologna, originale dell’Albano» per il cui compenso si attendeva la decisione della Congregazio­ ne26. Per evidenziare l’importanza dell’impresa, Albertoni sottolinea che lo «scommodo» derivava dal tempo impiegato (un mese) e dalla fatica di aver condotto l’opera in inverno; specifica, inoltre, che l’am­montare delle spese da lui sostenute fino a quel momento era di 60 scudi27. Il 23 novembre 1695 viene allora pagato 80 scudi per la trasposizione «da piccolo in grande» del «Battesimo di S. Giovanni nella Cappella del tempio Vaticano»28, e lui stesso afferma di avervi provveduto utilizzando una tela «alta 23 palmi e larga 18» e dipingendo a colori la «gloria» e a monocromo le figure («a terrazze»). Proprio il dettaglio sulla coloritura delle figure convince la critica29 nell’affermare che quello di Albertoni fosse solo un modello di dimensioni più grandi di un bozzetto di Maratta, eseguito per essere sottoposto al giudizio della Congregazione della Fabbrica. Indipendentemente dal lavoro dell’Albertoni, che potrebbe essere stato concepito anche come cartone per i mosaicisti, l’anno successivo, il 14 marzo 1696, il tessitore Claudio Guio fornì la «tela per il quadro da porsi nell’Altare della Cappella del Battesimo di grandezza palmi diciotto com­ messagli dal signor Carlo Maratta Pittore [...]»30. Maratta fu pagato da marzo a settembre del 1698, e il dipin­ to fu collocato nella cappella dopo il mese di novembre dello stesso anno31. Lo stesso Maratta il 18 marzo fece richiesta di 400 scudi per poter proseguire l’opera, e riferì di aver quasi terminato un dipinto e abbozzato gli altri due32. Nel saldo fi­ nale del 24 settembre 169833 si specifica che Maratta ricevette 300 scudi il 18 marzo, 550 il 23 luglio e 150 il 24 settembre di

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cui 50 a saldo dei 900 pattuiti per il lavoro e 100 come bonus della Congregazione per «particolare considerazione havuta alla qualità dell’opera, e del soggetto»34. Maratta costruì una composizione solenne all’interno della quale si collocano figu­ re monumentali in uno schema iconografico tradizionale che vede San Giovanni, di spalle, impartire il battesimo a Gesù Cristo che, all’interno del Gior­dano, si china, illuminato dai raggi divini. Alla consistenza plastica del gruppo centrale, co­ stituito da due corpi in pose contrapposte, si accosta il classici­ smo leggiadro degli angeli che accompagnano la discesa della colomba dello Spirito Santo e assistono all’evento35. Il dipinto di Maratta fu tradotto in tessere a partire dall’e­ state del 1730 da Giovanni Battista Brughi che, a causa della morte sopravvenuta all’inizio del 1731, fu sostituito da Pietro Paolo Cristofari che vi lavorò dal luglio 1732 al marzo 173436. Dettagliate sono le notizie che specificano le ripartizioni dei compensi. Dalla misura e stima finale del lavoro, si apprende innanzitutto che il mosaico costò 9 scudi il palmo quadrato, e che Brughi, coprendo 241 palmi e mezzo di area ricevette 2169 scudi. Cristofari invece, eseguendone 361 e mezzo, di cui 61 e mezzo per una parte della figura del San Giovanni da rimaneggiare e ritoccare, ricevette in tutto 3253 scudi e 50 baiocchi37. Una volta sostituita, la pala di Maratta decorò dapprima quella che era detta «Aula del Centauro nel Palazzo Vaticano» e poi la basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma38.

subito dopo aver finito i cartoni per la cappella del Crocifisso nel 1681. Tuttavia, quando il 13 novembre 1689 sopraggiunse la sua morte, aveva completato solo i cartoni per due pennac­ chi, per i quali furo­no saldati i suoi eredi, nell’agosto 1691, con un importo di 300 scudi, non prima però che Carlo Ma­ ratta, soprintendente alla decorazione musiva della cappella della Presentazione, ne facesse un’accurata perizia40. Anche se molti artisti erano interessati a continuare il lavoro di Ferri, la Congregazione della Fabbrica nel settembre 1691 dichiarò che nulla sarebbe stato deciso fino a quando il lavoro di Ma­ ratta nella cappella della Presentazione non fosse stato com­ pletato. Il 20 maggio 1699, tuttavia, la Congregazione ordinò che prima di proseguire i lavori nella cappella della Presenta­ zione, avrebbero dovuto essere realizzati in mosaico i quattro pennacchi del vestibolo della cappella del Coro. A Maratta fu chiesto di dirigere l’ese­cuzione del mosaico dei due cartoni del Ferri (Giona e la balena e Re David), e di dipingere i restanti cartoni per la decorazione della cappella. Dal 1699 al 1702 Marat­ta realizzò i pennacchi con Daniele e Abacuc e l’angelo41. I mosaici dei quattro pennacchi furono eseguiti da Giusep­ pe Conti, che aveva anche lavorato al mosaico del tamburo

Cappella del Coro

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Sul lato meridionale della basilica, dove la costruzione di Maderno si fonde con quella di Michelangelo, sorge la cappel­ la dedicata alla Vergine Immacolata, detta del Co­ro, in quanto i capitolari vaticani vi celebrano le sacre ufficiature. Circa le caratteristiche architettoniche e costruttive, la cappella del Coro è molto simile a quella del SS. Sacramento, simmetrica­ mente opposta rispetto all’asse longitudinale della basilica39. La cappella propriamente detta, dove risiede l’altare e hanno luogo le celebrazioni, è concepita come uno spazio chiuso; lo precede una anticappella con cupola ellittica la cui decora­ zione a mosaico raffigura la Visione di Dio celebrato dai ventiquattro vegliardi e circondato dai quattro misteriosi animali dell’Apocalisse. Ciro Ferri fu il primo artista a cui la Fabbrica chiese di for­ nire i disegni per la decorazione a mosaico del vestibolo della cappella. Presumibilmente intraprese questo nuovo incarico

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147. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Coro, Mosè prega sostenuto da Aronne e Cur, lunetta.

A fronte: 149. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del SS. Sacramento, La visione del settimo sigillo dell’Apocalisse, volta.

148. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Coro, Azaria rimprovera re Ozia, lunetta.

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della cupola42. Dal giugno 1699 al marzo 1700, dopo aver in­ grandito il cartone del Ferri che, essendo più piccolo, andava proporzionato a quelli realizzati da Maratta, Conti eseguì il mosaico di Giona e la balena43. Dal giugno 1700 al dicembre 1701 lavorò al Re David44; entro la fine di novembre 1702 aveva finito Daniele45 e iniziato quello di Abacuc, terminato entro la fine di novembre 1703, contemporaneamente alla conclusione del fregio del tambu­ ro46. Conclusi i mosaici dei pennacchi, Maratta rivolse di nuo­ vo la sua attenzione alla cappella della Presentazione, e la de­ corazione della cappella del Coro rimase ferma fino al 1711, quando papa Clemente xi chiamò ad assumerne il progetto Marcantonio Franceschini. Il pittore lavorò ai cartoni della volta dall’estate del 1711 a luglio del 1712, quando ricevette il compenso per averne realizzati sedici47. Modalità e tempi di lavoro emergono dai registri di spesa della Fabbrica. France­ schini dipinse i cartoni in uno «stanzone» del palazzo di Mon­ te Cavallo (palazzo del Quirinale)48; nell’autunno del 1711 ne erano già pronti otto, ma, prima di ordinare che fossero tra­ sportati a San Pietro, il pittore li fece collocare nella Sala Regia del palazzo per mostrarli ai cardinali della Congregazione49. Poteva anche accadere che i cartoni, trasportati a San Pietro e tirati sui ponteggi per servire da modello ai mosaicisti, fossero

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portati nuovamente a Monte Cavallo per mostra. Nell’estate del 1712, ad esempio, otto manovali della Fabbrica trasporta­ rono dalla basilica tre cartoni già dipinti che Franceschini vol­ le mostrare al papa insieme ad altri cartoni appena terminati; in seguito furono tutti riportati a San Pietro e posti in mostra sopra la cupola del vestibolo della cappella del Coro affinché il papa e la Congregazione cardinalizia potessero valutare con­ cretamente la decorazione della volta50. Decorazione affidata a Filippo Cocchi che vi lavorò dalla fine del 1712 a tutto il 1716, per un compenso pari a 3152.08 scudi51. Sotto la sua direzio­ ne e dipendenti economicamente da lui, lavorarono ai mosaici anche Pietro Adami e Giuseppe Ottaviani52, ai quali Cocchi dava rispettivamente 10 e 5 scudi mensili53. Nel frattempo Franceschini, conclusi i cartoni per la volta, era tornato a Bologna, da dove proseguì il lavoro per realizzare quelli delle lunette54: nel dicembre del 1713 ne inviò quattro55 e il 17 maggio del 1719 gli uomini della Fabbrica ritirarono dalla dogana «la cassa» arrivata da Bologna con i cartoni di al­ tre due lunette56. Giuseppe Ottaviani iniziò a lavorarvi in quel­ lo stesso anno e nel luglio 1721 aveva terminato i mosaici di quattro lunette: Debora manda a chiamare Barak, Giuditta con la testa di Oloferne, Geremia, Debora con Barak intona il canto di ringraziamento a Dio57. Due dei cartoni di Franceschini, Miriam cantando e ballando in ringraziamento per il passaggio

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sicuro attraverso il Mar Rosso e Hannah dedica Samuel a Dio, non furono però realizzati ma sostituiti con due nuovi dipinti a guazzo commissionati a Niccolò Ricciolini58. La lunetta che rappresenta Mosè prega sostenuto da Aronne e Cur e quella di Azaria rimprovera re Ozia furono da quest’ultimo dipinte dalla primavera del 1720 all’estate del 172159, e i mosaici eseguiti da Prospero Clori dalla fine del 1721 all’estate del 172360.

Cappella del SS. Sacramento

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Situata sul lato nord della basilica, la cappella del SS. Sa­ cramento si pone come elemento di raccordo tra l’impianto architettonico michelangiolesco e il prolungamento di Mader­ no. Come quella del Coro, simmetricamente opposta, presen­ ta un’elegante volta a padiglione, con ornati in bassorilievo, dorati su fondo bianco, con raffigurazioni tratte da episodi dell’Antico e Nuovo Testamento61. La cappella propriamente detta, concepita come uno spa­ zio chiuso, è preceduta da un’anticappella con cupola ellittica ornata a mosaico: la tematica del ciclo decorativo è un poema al mistero dell’Eucaristia. Tutta la volta del vestibolo ospita La visione del settimo sigillo dell’Apocalisse: vi è raffigurato l’alta­ re degli olocausti, con il fuoco ardente, incensato da angeli e

beati in adorazione, che porgono vasi di profumi a un angelo – centro della composizione – a simbolo delle preghiere che i fedeli elevano a Dio. Nei pennacchi compaiono i personaggi che nell’Antico Testamento annunciarono l’Eucaristia: Melchisedek, che pre­ senta l’offerta del pane e del vino, Elia, ristorato con cibo dall’angelo, Aronne che riempie un vaso di manna per riporlo nell’arca dell’alleanza e un sacerdote che dispensa i pani della proposizione. Di analogo soggetto sono anche gli episodi rap­ presentati nelle lunette. A monito del sommo rispetto dovuto all’Eucaristia e del castigo che incombe su coloro che indegna­ mente se ne cibano, sono raffigurati: il sommo sacerdote che offre le primizie del grano; Caleb e Giosuè che dalla Terra Pro­ messa portano sulle spalle un grappolo d’uva; Isaia al quale l’angelo purifica le labbra con un carbone ardente; Uzzà folgo­ rato a morte da Dio per aver toccato l’Arca Santa; Gionata che nell’atto di gustare il miele proibito della foresta, nonostante il divieto del padre Saul, incorre nella maledizione e, infine, L’idolo di Dagon che si spezza in vicinanza dell’Arca62. Il consistente incarico di disegnare i cartoni e realizzare i mosaici per il vestibolo della cappella del SS. Sacra­men­to fu dato al pittore senese Niccolò Tornioli, che eseguì quat­ tro lunette (Il Battesimo di Cristo, La Cresima, L’olio santo, La penitenza), e il fregio della cupola tra il 1647 e il 164963.

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Alle pagine precedenti: 150 e 151. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del SS. Sacramento, La visione del settimo sigillo dell’Apocalisse, volta, particolare.

L’incarico gli venne tuttavia sospeso nel 1650 e già nell’agosto del 1654 era stato demolito tutto il mosaico fatto sotto la sua direzione64. La decorazione fu allora affidata a Pietro da Cortona che iniziò a lavorare nel 1652 (i pagamenti vanno dal 1653 al 1662)65: realizzò tutti i cartoni per la volta e quelli per i quat­ tro pennacchi. I cartoni per le lunette furono invece dipinti da Raffaele Vanni dal 1658 al 166366. I mosaici della volta furono avviati da Guidubaldo Ab­ba­ tini nel 165367; nel febbraio del 1654 si aggiunse al la­vo­ro Mat­ teo Piccioni68. Entrambi i mosaicisti furono saldati nell’au­ tunno del 1656. Reclamarono però il fatto che la ricompensa ricevuta non fosse affatto adeguata al lavo­ro eseguito: il prezzo fissato di 6 scudi il palmo quadrato per i mosaici della volta e di 2 scudi per il fregio del tamburo non poteva ritenersi sod­ disfacente, dal momento che nella cupola, intorno alle figure, non c’era­no solo cam­pi, bensì nuvole, cherubini «et altre cose

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152. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del SS. Sacramento, La visione del settimo sigillo dell’Apocalisse, volta, particolare.

mol­to difficili da eseguirsi». Piccioni dichiarò anche il numero delle figure da lui realizzate: 21 figure e 40 teste di cherubini69. La Congregazione della Fabbrica decise tuttavia di non au­ mentare il compenso ormai saldato, ma stabilì che il prez­zo della decorazione musiva della cupola del vesti­bolo della cap­ pella di San Sebastiano, in procinto di es­sere decorata dagli stessi mosaicisti, sarebbe stato superiore70. L’imminente morte dell’Abbatini e l’inserimento al suo posto dell’allievo Fabio Cristofari, fecero però quasi dimenticare questo accordo e i mosaici della cappella di San Sebastiano furono pagati quanto quelli della cappella del SS. Sacramento. A Matteo Piccioni, comunque, nel 1669 si concessero 200 scudi come saldo defi­ nitivo per le sue «fatiche» nella realizzazione dei mosaici della cap­pella del Sacramento71. Abbatini, prima della sua morte, iniziò anche il mosaico del pennacchio con il re Melchisedek72, terminato da Fabio Cristo­ fari nel 166373.

153. Basilica vaticana, cappella del SS. Sacramento, La Trinità, pala d’altare, dipinto a olio.

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I restanti tre pennacchi furono realizzati da Orazio Manenti tra il 1656 e il 1660, con un pagamento finale datato 16 dicembre 166074; nello stesso periodo eseguì anche i mosaici per le lunette, terminate entro la prima metà del 166275. A pochi anni dalla fine dei lavori, però, il vestibolo della cappella del Santissimo, come quello di San Seba­stiano, ri­ chiese numerosi restauri a causa della cattiva condizione dello stucco76. Con scadenza frequente furono intraprese opere di risarcimento77 e dalla seconda metà del 1689 fino alla fine del secolo fu incaricato il mosaicista Giuseppe Conti del restau­ ro dei mosaici. Nel 1697 si aggiunse al lavoro anche Filippo Cocchi che lavorò al re­stauro della cupola fino al marzo del 170778. In vista della Congregazione generale del 16 marzo del 1707 fu acqui­stata una stampa della cupola del vestibolo del SS. Sacramento, al fine di indicare dettagliatamente dov’era lo stucco di cattiva qualità che imponeva il restauro dei mosai­ ci79. L’economo della Fabbrica, allora, considerando le gravi spese che giornalmente si facevano per il re­stauro dei mosaici, e volendo ovviare a tale dispendio con un sollecito rimedio, ordinò che si fissassero le tessere di smalto con dei chiodi, si­ stema adottato già negli anni precedenti con un discreto risul­ tato80. Furono allora collocati nella cupola del vestibolo del Sacramento 515 chiodi a forma di «T»81 subito colorati dal pittore Enrico Scipione Cordieri affinché non si discostassero cromaticamente dagli smalti82. Evidentemente questa soluzione fu provvisoria perché ne­ gli anni seguenti la cupola, i pennacchi e le lunette della cap­ pella furono ancora oggetto di restauri83. Fu nuovamente Filippo Cocchi a occuparsi del lavoro, ma anche a fare ex novo, sui cartoni del Berrettini, alcuni mosaici, e questo fino alla fine del 1718. Dal 1719 subentrò nel lavo­ ro Pietro Adami84 che, in conformità dei cartoni di Pietro da Cortona, lavorò 28 mesi a rifare i mosaici della cupola e dei pennacchi85. Al di là dell’imponente cancellata in ferro battuto e bronzo dorato, il cui elegante disegno si deve a Francesco Borromini, si trova la parte più riservata e sacra della cappella. La grande pala d’altare, unica nella basilica non ancora tradotta in mosai­ co, è opera di Pietro da Cortona. Fu realizzata a olio su stucco ed è dedicata alla Santissima Trinità86.

in coppia con la speculare cappella del Coro e destinata ad ac­ cogliere la Sagrestia nuova. A evidenziarne la corrispondenza, l’architettura, ma anche un progetto iconografico87 in cui la Congregazione stabiliva la rappresentazione di scene della vita di San Pietro per entrambe le pale d’altare. Due gli esecutori: Simon Vouet doveva cimentarsi nella cappella del Coro con Pietro guarisce con la sua ombra, mentre Giovanni Lanfranco supplicava il 13 agosto del 1625, grazie all’intercessione del cardinale Francesco Barberini, di poter «spendere il proprio talento»88 nella realizzazione della cappella complementare. Quest’ultimo fu presto dirottato sul dipinto della Navicella, raffigurante Pietro cammina sulle acque e appartenente al ciclo voluto da Clemente viii (Aldobran­dini, 1592-1605) per le na­ vate laterali, lasciato incompleto da Bernardo Castello89.

La Trinità Quando nella basilica di San Pietro nasceva la terza cappella a destra della navata, la si pensava, per usi privati del Capitolo,

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154. Basilica vaticana, vestibolo della cappella di San Sebastiano.

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Contemporaneamente, papa Urbano viii (Barberini, 16231644) stabiliva di collocare la Pietà di Michelangelo sopra l’altare della cappella del Coro: variava dunque la funzione del dipinto di Vouet che da protagonista della decorazione diventava lo sfondo che avrebbe accolto il capolavoro miche­ langiolesco. Prima del settembre del 1625, Vouet scrisse una lettera al pontefice chiedendo di essere comunque autorizzato a com­ pletare il dipinto, che avrebbe potuto trovare degna ospitalità su un diverso altare, e diede un’interpretazione affermativa alla risposta tanto da pensare che la sua pala fosse destinata alla Sagrestia nuova. L’interpretazione di Vouet si rivelò erra­ ta: nel 1626 l’altare della Sagrestia nuova fu denominato della Trinità e il tema agiografico dedicato a San Pietro decadde in favore di un’iconografia fedele alla dedica dell’altare. Il titolo avanzato dai cardinali della Congregazione fu Trinità e tutti i Santi nella duplice volontà di offrire una valida «contropartita iconografica»90 alla Pietà della cappella com­ plementare e di associare le dedicazioni delle altre cappelle e le pale d’altare iconograficamente correlate. Se sull’intitola­ zione alla Trinità il Capitolo di San Pietro convenne, escluse tuttavia la possibilità di combinare con essa altri titoli. Il 14 maggio 1627, in una seduta della Congregazione91, si decise di attribuire l’esecuzione della pala per l’altare della Trinità a Guido Reni. La prima traccia di una committenza in San Pietro a Reni risale probabilmente all’ottobre 162692 e, nonostante i tentennamenti iniziali, nel maggio 1627 Reni lavorava alla pala. Sono note le richieste da lui inoltrate alla Congregazione: lavorare ad affresco (mentre la maggior parte delle pale d’altare erano eseguite a olio su stucco) e ricevere uno stipendio mensile. Furono pattuiti 400 scudi per iniziare il lavoro e 300 mensili per quattro mesi. Reni però lavorava lentamente alla Gloria di angeli che ornava la parte superiore della composizione; accusato di rallentare il lavoro per poter­ ne trarre maggior profitto, si allontanò da Roma e dalla natia Bologna restituì nel gennaio 1628 il compenso riscosso fino a quel momento93. Scemata la commissione al Reni, l’opera fu affidata a Pietro da Cortona che dal 1628, per quattro anni, dipinse La Trinità per un compenso totale di 1000 scudi. I pagamenti riguardano il periodo tra il 15 luglio 1628 e il 15 maggio 1632: nell’ultimo, si spiega che Cortona ricevette 300 scudi e che ne aveva già avuti 200 in tre mandati94. Il 7 luglio dello stesso anno ricevette il saldo di 500 scudi95. Pietro da Cortona, ispirato probabilmente dai cartoni pre­ paratori del Reni, raffigurò nella parte superiore Dio Padre il Creatore con suo Figlio il Salvatore Gesù Cristo benedicente

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mentre, seduti sulle nubi con la colomba dello Spirito Santo tra di loro, rivolgono lo sguardo verso un globo celeste sorret­ to dagli angeli; la sfera stellata, circondata da una fascia zodia­ cale con il sole e la luna, accoglie al suo interno l’Italia con il Mediterraneo e l’Africa. Il progetto iconografico pensato per la Sagrestia nuova si complicò a partire dal 27 giugno 1629, quando la Congregazione della Fabbrica affidava a Bernini il compito di realizzare il tabernacolo del SS. Sacramento, ese­ guito entro il 1630 in legno e terracotta dipinta a imitazione del bronzo e installato inizialmente nella cappella Gregoriana. Nel 1638 si prese però la risoluzione di fare diventare la cap­ pella della Trinità cappella del SS. Sacramento, e non della Sagrestia nuova come era stato preventivato. Nel 1638, sosti­ tuito quindi negli anni Set­tanta dal ciborio in bronzo dorato e lapislazzuli lavorato da Bernini tra il 1673 e il 1675, fu dunque posto sopra l’al­tare della Trinità il tabernacolo del SS. Sacra­ mento: una struttura che nasconde la parte inferiore del di­ pinto ma che ha consentito tuttavia di mantenerne l’originale pittorico in basilica.

Cappella di San Sebastiano La cappella di San Sebastiano, la seconda della navata de­ stra, è articolata, come le altre cappelle delle navate laterali della basilica, in due spazi, uno interno e uno che funge da vestibolo alla cappella stessa. La sua decorazione, affidata nel 1651 a Pietro da Cortona96, è dedicata al tema della reden­ zione attraverso il martirio: sull’altare è infatti il Martirio di San Sebastiano e nell’anticappella il ciclo musivo della cupola culmina nell’immagine trionfale di Dio e dell’Agnello divino adorati dai martiri del cielo. Pietro da Cortona iniziò a realizzare i cartoni per i mo­saici nel 1652 e proseguì sino al 1662, anche se il saldo finale risale al 1668. Soltanto in seguito a varie suppliche, infatti, il pitto­ re ottenne dalla Fabbrica quanto richiesto per le sue fatiche. Inizialmente, per la realizzazione dei cartoni di due cappelle – quella di San Sebastiano e quella del SS. Sacramento – era stato pagato con 5200 scudi. Il pittore ritenne però insuffi­ ciente tale ricompensa, soprattutto se paragonata a quelle ricevute da Giovanni Lanfranco, Andrea Sacchi e Francesco Romanelli per i cartoni delle altre cappelle della basilica, o anche da Bernini che, a suo parere, «per un sol modello d’una figura della Catedra, il quale ne per il lavoro ne per la fatiga par che habbia a paragonarsi con una cupola» aveva ricevuto 1800 scudi97.

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155 e 156. Basilica vaticana, vestibolo della cappella di San Sebastiano, Dio Padre e l’Agnello divino adorati dai martiri del cielo, volta e particolari.

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157. Basilica vaticana, vestibolo della cappella di San Sebastiano, Dio Padre e l’Agnello divino adorati dai martiri del cielo, volta e particolare.

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Il 13 luglio del 1668 ottenne il saldo con 4100 scudi per i 16 cartoni della volta, per i 4 pennac­­chi e per due lunette del vesti­bolo della cappella di San Sebastiano98. I quattro car­toni delle lunette rimanenti furono invece realizzati da Raf­faele Vanni fra il 165899 e il 1663100. La decorazione musiva della volta prese avvio alla fi­ne del 1654 ad opera di Matteo Piccioni101 e Guidu­bal­do Ab­batini, il quale, nel 1656102, fu sostituito da Fa­bio Cristofari103. Nel 1657 si unì al lavoro anche Orazio Manenti104. Il tema della redenzione attraverso il martirio, espresso nella volta, trova spiegazione nelle raffigurazioni dei pennacchi e delle lunette, dove sono rappresentati martiri dell’Antico Testamento. Nei pennacchi troviamo Abele, Isaia, Zaccaria ed Ezechiele. I primi due furono realizzati in mosaico dall’Abbatini entro il 1656105, gli altri due da Bartolomeo Colombo fra il 1661 e il 1662106. I mosaici delle lunette furono invece eseguiti fra il 1661 e il 1663. Matteo Piccioni il 17 ottobre del 1661 fu pagato per la

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158. Basilica vaticana, vestibolo della cappella di San Sebastiano, Zaccaria, pennacchio.

lunetta a sinistra della finestra sopra l’altare di San Sebastia­ no, raffigurante Il martirio dei sette fratelli Maccabei107; Fabio Cristofari nel gennaio del 1663 per la lunetta di destra raffi­ gurante Mattatia uccide un giudeo idolatra108. Le altre quattro lunette (Un angelo reca fasci di palme sopra i corpi delle due madri ebree e dei loro figli; Eleazaro rifiuta di mangiare la carne proibita; Daniele nella fossa dei leoni; Sidrac, Misac e Abdenago condannati da Nabucodonosor a bruciare nella fornace) furono invece realizzate entro il 1663 da Orazio Manenti109. Nonostante la decorazione non fosse ancora terminata, all’inizio del 1663 Cristofari era già impegnato nel restauro di una lunetta110, così come Piccioni nel 1666 restaurava parti di mosaico caduto dalla cupola111. I lavori di manutenzione dei mosaici della cappella furono frequenti, attestandosi in genere nei mesi autunnali e invernali. Il distaccamento di pezzi di mo­ saico avveniva infatti quasi sempre d’estate, quando il caldo faceva gocciolare sul pavimento l’olio di lino usato per im­

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159. Basilica vaticana, vestibolo della cappella di San Sebastiano, Daniele nella fossa dei leoni, lunetta.

A fronte: 160. Basilica vaticana, vestibolo della cappella di San Sebastiano, Eleazaro rifiuta di mangiare la carne proibita, lunetta.

pastare lo stucco, provocando il distaccamento delle tessere musive112. La medesima situazione si verificò negli stessi anni per i mosaici del vestibolo della cappella del SS. Sacramento, anch’esso frequentemente sottoposto a restauro113. La causa fu in seguito attribuita alla composizione dello stucco. Durante la decorazione delle due cappelle, Pietro da Cortona, direttore dei lavori, più volte, per l’improvviso soprag­ giungere della podagra, ovvero dell’artrite dell’alluce, si era trovato impossibilitato a recarsi in basilica. I suoi garzoni però, per risparmiare tempo e denaro, non buttavano lo stuc­ co già impastato ma, per ordine dello stesso Berrettini, alla ripresa dei lavori lo riutilizzavano aggiungendovi olio di lino. Lo stucco usato, dunque, non era più fresco, ma «sfiatato, snervato, o svanito», cioè non più vigoroso, e con un’eccessiva dose di olio di lino che, durante i grandi caldi estivi, colava in chiesa provocando la caduta di pezzi di mosaico114. Fu così che, oltre che con i restauri immediatamente suc­ cessivi alla fine della decorazione, Giuseppe Conti dal 1690115 e Filippo Cocchi dal 1696116 furono costantemente impegnati nel restauro dei mosaici della cappella. Si lavorò ai mosaici della cupola, dei pennacchi e delle lunette e, laddove non erano facilmente reperibili i cartoni originali, i due mosaicisti realizzarono anche dei bozzetti per poter ricostruire adegua­ tamente le parti cadute117. Il lavoro proseguì almeno fino al 1702. Purtroppo questi restauri parziali non risolsero la situa­ zione e nel 1721 Pietro Adami «essendo che il musaico vec­ chio stava per cadere per la cattivissima qualità dello stucco», fu incaricato di rifare i mosaici sui cartoni di Pietro da Corto­ na, dopo aver già rifatto i mosaici della cupola e dei pennacchi del vestibolo della cappella del SS. Sacramento118.

Cappella della Pietà Seguendo le consuetudini post-tridentine in materia di arte e immagini sacre, che ponevano generalmente nelle chiese il battistero sulla sinistra e il crocifisso a destra, anche la basilica vaticana ebbe completata nel 1632 la sua cappella del Croci­ fisso. Sino al 1627 questa cappella era nell’angolo nord-ovest della basilica (l’attuale cappella dei Santi Michele e Petronilla) e ospitava, oltre alle reliquie di Santa Petronilla, un crocifisso ligneo attribuito a Pietro Cavallini. Nel momento in cui fu deciso di modificare la titolazione della cappella, il crocifisso fu trasferito nella cappella Gregoriana, successivamente sul­ la Porta Santa e nel 1633 nella prima cappella della navata destra, che conservò il crocifisso sino al 1749, anno in cui vi

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161. Basilica vaticana, vestibolo della cappella della Pietà, cupola.

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fu collocata la Pietà di Michelangelo che le attribuì il nuovo nome. Il crocifisso fu allora definitivamente spostato in un ambiente interno alla cappella stessa, detto appunto «Cappel­ la del Crocifisso» o «delle Reliquie». L’esaltazione della Croce e del suo potere salvifico è dun­ que il motivo centrale dell’intero ciclo decorativo della cap­ pella e del vestibolo. Nel 1626 Giovanni Mannozzi da San Giovanni, avendo inteso «che per finire la fabbrica di S. Pietro si danno a pit­ tori varie opere per dipingerle a olio, et a fresco», supplicò la Fabbrica di assegnargli «la Cuppoletta a fresco, ch’è sopra la Porta Santa»119. La commissione per le decorazioni fu invece affidata a Giovanni Lanfranco che avrebbe dovuto fornire i cartoni per una decorazione a mosaico di cui successivamente si sareb­ be occupato Giovanni Battista Calandra120. Il 27 gennaio del 1629, infatti, la Congregazione della Fabbrica assegnò loro 100 scudi ciascuno, rispettivamente per i cartoni e i mosaici della cappella del Crocifisso121. Già nel 1628 nei registri di pagamento della Fabbrica c’è un accenno ai cartoni che il Lanfranco avrebbe dovuto fare «per la cappella incontro a quella del battesimo»122; così come nel 1629 il pittore riceve denaro «a buon conto de cartoni che deve fare per la Cappel­ la dove va il Crocifisso in contro a quella del Battesimo»123. Tuttavia, Lanfranco decorò l’interno della cappella esclusiva­ mente ad affresco: dal 1630, infatti, i denari che lui riceve per la cappella del Crocifisso sono esclusivamente per lavori di pittura. Simile il trattamento per Calandra: l’unico mandato di pagamento per i mosaici che avrebbe dovuto eseguire risa­ le al 1629124. Alla fine di quello stesso anno Lanfranco iniziò ad affrescare la cappella; i lavori terminarono nel marzo del 1632125, e il pittore ottenne un compenso di 2000 scudi126, ov­ vero meno della metà di quello che avrebbe percepito se aves­ se preparato i cartoni per una decorazione musiva. È infatti probabile che, come avvenne per la decorazione della cap­ pella del Fonte Battesimale, l’idea iniziale di una decorazione musiva sia stata abbandonata a favore della pittura ad affresco per motivi economici127. Tutta la volta fu decorata con episodi della Passione di Cristo e con al centro l’esaltazione della Santa Croce, tra un turbinio di angeli. Le volte a botte che coprono i due vani laterali della cappella sono suddivise in tre riquadri ciascuna per mezzo di ricche cornici di stucco dorato che riproducono i simboli della Passione, come la colonna, la lancia, la spu­ gna e il sudario. Nell’imbotte destra troviamo la Flagellazione, Cristo davanti a Caifa, e l’Ecce homo, mentre al di sotto, nella

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in contro a quella del Battesimo»123. Tuttavia, Lanfrandecorò l’interno della cappella esclusivamente ad an Pietro in Vaticano fresco: dal S1630, infatti, i denari che lui riceve per la ppella del Crocifisso sono esclusivamente per lavori di 162. Basilica vaticana, cappella della Pietà, volta. ttura. Simile il trattamento per Calandra: l’unico manA fronte: per i mosaici che avrebbe dovuto eseato di pagamento 163. Basilica 124 vaticana, vestibolo della cappella della Pietà, Allaparticolare. fine di quello stesso anno Lanuire risale alSibilla 1629 frigia,.lunetta, anco iniziò ad affrescare la cappella; i lavori terminaroo nel marzo del 1632125, e il pittore ottenne un compendi 2000 scudi126, ovvero meno della metà di quello che rebbe percepito avesse preparato i cartoni per una lunetta, èse L’incoronazione di spine. Nella volta di sinistra sono ecorazione musiva. Ètradimento infatti probabile che,nell’orto comedegli avvenraffigurati Il di Giuda, Cristo ulivi, Cristo davanti a Pilato, e nella lunetta sottostante L’Andata al e per la decorazione della cappella del Fonte Battesima128 Calvario . l’idea iniziale di una decorazione musiva sia stata Il trionfo della Croce e del suo potere salvifico è il motivo bbandonatacentrale a favore della pittura ad affresco per motianche del ciclo decorativo dell’anticappella, realizzata 127 economici 92-94 in .mosaico nella seconda metà del xvii secolo: vi è rappre­ 164 sentata la scena apocalittica dell’imposizione del segno della utta la161,volta fu decorata con episodi della Passione di 165 Croce sulla fronte degli eletti (7,3-4). risto e con al centro l’esaltazione della Santa Croce, tra I quattro angeli «ai quali era stato dato il potere di distrug­ n turbinio di angeli. Le volte a botte che coprono i due gere la terra e il mare», recanti in mano un fascio di saette, ni laterali della cappella suddivise tre riquadri vengono fermati da sono «un angelo che venivain dall’Oriente e aveva mano ildi sigillo del Dio vivente». angelo, presentato ascuna per in mezzo ricche cornici diQuesto stucco dorato che con colori più chiari, reca sul palmo della mano una producono i simboli della Passione, come la colonna,croce la risplendente entro un nimbo di luce e con un gesto deciso ncia, la spugna e il sudario. Nell’imbotte destra trovia91 trattiene il braccio di un angelo sterminatore129. o la Flagellazione, Cristo davanti Caifa, e l’Ecce homo, Solo a metà del 1668, dopoaaver ottenuto un adeguamento entre al di sotto, nella lunetta, L’incoronazione di spidel prezzo che chiedeva perèi cartoni per i vestiboli delle cap­ pelle del Sacramento e di San Sebastiano, Pietro da Cortona . Nella volta di sinistra sono raffigurati Il tradimento di a dipingere i cartoni per il vestibolo della cappella del iuda, Cristoiniziò nell’orto degli ulivi, Cristo davanti a Pilato, Crocifisso. Abbiamo notizia dai documenti che128nel luglio del nella lunetta sottostante L’Andata al Calvario . 1668 il fattore della Fabbrica aveva fatto costruire una scala di trionfo della Croce e deldasuo potere è ilporlo motilegno e i cavalletti portare in casa salvifico del pittore per nelle 130 condizioni dipingere i cartoni , e dell’anticappella, nel novembre dello stes­ o centrale anche deldi ciclo decorativo

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so anno nella cappella si costruivano già i ponteggi131 affinché gli stuccatori preparassero i muri per i mosaici132.

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realizzata in mosaico nella seconda metà del XVII secolo: vi è rappresentata la scena apocalittica dell’imposizione del segno della Croce sulla fronte degli eletti (7,3-4). I quattro angeli «ai quali era stato dato il potere di pagine seguenti: distruggere la terra e il mare», Alle recanti in mano un fascio 164 e 165. Basilica vaticana, vestibolo della cappella della Pietà, del segno della Croce degli eletti, di saette, Imposizione vengono fermati da sulla «unfronte angelo che veniva dalvolta, particolare. l’oriente e aveva in mano il sigillo del Dio vivente». Questo angelo, presentato con colori più chiari, reca sul palmo della mano una croce risplendente entro un nimbo di luce e con un gesto deciso trattiene il braccio di un ange129 . loAlla sterminatore sua morte, il 16 maggio 1669, il Berrettini aveva però Solo asolometà del 1668, ottenuto lavorato a tre cartoni, rimasti dopo peraltro aver incompiuti, e tra­ un adegua133 sportati a San Pietro nell’agosto seguente . mento del prezzo che chiedeva per i cartoni per i vestiDa questo momento Ciro Ferri, diretto erede artistico di boli delle cappelle del Sacramento e di San Sebastiano, Pietro da Cortona e sostenuto dal cardinale Barberini, ottenne Pietro da Cortona iniziò a dipingere i cartoni per il vestil’incarico di continuarne l’opera nella decorazione delle tre bolo della cappella del basilica, Crocifisso. Abbiain­ mo notizia dai cupolette della navata destra della di cui rimaneva terrotta appunto che quellanel del Crocifisso. È lo1668 stessoilFerri a con­ della Fabbridocumenti luglio del fattore fermare, in una lettera inviata al Barberini con la richiesta ca aveva fatto costruire una scala di legno edi i cavalletti da poter sostituire Berrettini, che quest’ultimo aveva eseguito per portare in casa del pittore per porlo nelle condizioni di il vestibolo della cappella del Crocifisso «tre cartoni et anco lo 130 134 e nel novembre dello stesso anno dipingere cartoni sbozzetto ch’è lai maggior parte, della cupola» . 131 nella si costruivano già i ponteggi Dopo cappella l’estate del 1669 dalla Fabbrica furono portati nella affinché gli 135 casa di Ferri trepreparassero cartoni , probabilmente stuccatori i muri quelli per iincompiuti mosaici132. del Berrettini, e già qualche mese più tardi il mosaicista Fabio Alla sua morte, il 16 maggio 1669, il Berrettini aveva però Cristofari riceveva il primo compenso per il mosaico che stava lavoratonella solocupola a tredelcartoni, rimasti peraltro realizzando vestibolo della cappella del Cro­incompiuti, e 133 136 trasportati SanCristofari Pietroaveva nell’agosto seguente cifisso . A dire ila vero già eseguito alcuni la­ . vori questa cappella, realizzando partidiretto che potremmo Dainquesto momento Ciroquelle Ferri, erede artistico di definire autonome rispetto alla decorazione della cupola, delle Pietro da Cortona e sostenuto dal cardinale Barberini, lunette e dei pennacchi, e simili in tutte le cappelle. ottenne l’incarico di continuarne l’opera nella decorazioEntro il 24 gennaio del 1663, e aiutato in parte da Bartolo­ 137 cupolette della navata destra della basilica, di ne Colombo delle tre meo , aveva fatto in mosaico il campo dorato nello zoccolo del tamburointerrotta della cupola, appunto nelle cornici quella delle nicchie cui rimaneva dele Crocifisso. È dei finestroni, e anche una parte del festone con foglie di quer­ lo stesso Ferri a confermare, in una lettera inviata al Barcia e stelle138 che terminerà però nel 1672139, quando i lavori berini con la richiesta di poter sostituire Berrettini, che nella cappella procederanno a pieno regime. quest’ultimo aveva eseguito il vestibolo Le attività del pittore e del mosaicistaper avanzarono dunque della cappella del Crocifisso «treal 1681, cartoni et entrambi anco lofurono sbozzetto ch’è la parallelamente dal 1669 fino quando 134 si ebbe solo per pagati per il lavoro svolto. Un’interruzione maggior parte della cupola» . l’Anno Santo del 1675140. Per l’occasione la Fabbrica decise Dopo l’estate del 1669 dalla Fabbrica furono portati neldi collocare sui pennacchi e sulle lunette del vestibolo, non 135 probabilmente la casa di Ferri tre cartoni ancora decorati, direttamente i cartoni, di Ferri, in modo da quelli incom141 piuti del Berrettini, e già qualche più tardi il mosai«cuoprire i muri nudi» , essendo la cappella mese del Crocifisso 142 situata vicino la Porta Santa . cista Fabio Cristofari riceveva il primo compenso per il Ferri è dunque ufficialmente l’autore dell’intero ciclo de­ mosaico che stava realizzando nella cupola del vestibolo corativo: nel pagamento conclusivo del novembre del 1681 si della cappella del Crocifisso136. A dire il vero Cristofari nominano come di sua mano tutti i sedici cartoni per la volta, i avevapergià eseguitoe i alcuni questa cappella, realizquattro i pennacchi, sei per lelavori lunette143in . L’intervento di Ferri si tradusse dunque nel completare la decorazione della zando quelle parti che potremmo definire autonome volta e nell’ideare le composizioni per le lunette e i pennacchi, rispetto alla decorazione della cupola, delle lunette e dei raffiguranti rispettivamente Sibille e Profeti che preannuncia­ 163 pennacchi, e simili in tutte le cappelle. rono la Passione di Cristo, e personaggi dell’Antico Testamen­ il 24 gennaio e aiutato in parte da Barto144 toEntro che incarnano l’alleanza didel Dio 1663, con l’uomo . 137 avevachefatto mosaico il campo doralomeo Colombo È interessante citare la,lettera Ferri in inviò ai deputati della Fabbrica prima di essere saldato per il proprio lavoro. to nello zoccolo del tamburo della cupola, nelle cornici

92-94, 161, 164,

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Il testo chiarisce perché manca un contratto di incarico: papa Clemente xi con motu proprio gli aveva affidato il prosegui­ mento del lavoro nel vestibolo della cappella del Crocifisso e da monsignor Giannuzzi, allora economo e segretario della Fabbrica, aveva ricevuto a voce l’ordine di proseguire i cartoni per la cappella nella «forma stessa» concordata in precedenza con Pietro da Cortona. Nel momento del saldo finale, sem­ bra però che la Fabbrica volesse ridurre l’importo rispetto a quello dato al Berrettini per le cappelle del SS. Sacramento e di San Sebastiano, adducendo la motivazione che un discepo­ lo non poteva essere pagato quanto il proprio maestro. Con estrema lucidità e precisione Ferri argomentò e confutò le ragioni espresse dalla Fabbrica, riuscendo a ottenere l’intero compenso: 4700 scudi145. I cartoni di Ferri, per volere del cardinale Annibale Albani, furono restaurati nel 1728 e trasferiti a Urbino per la deco­ razione della calotta dell’ex chiesa monastica di Santa Chiara. Fu Niccolò Ricciolini a restaurare i cartoni e a collocarli nella chiesa146.

La trasfigurazione A partire dal 1768 un nuovo capolavoro del passato avrebbe arricchito l’altare della Trasfigurazione nella cappella Clemen­ tina. Nel 1734 la Congregazione della Fabbrica di San Pietro aveva commissionato ad Agostino Masucci la copia della pala raffigurante La Trasfigurazione realizzata da Raffaello Sanzio fra il 1517 e il 1519, e conservata nella chiesa di San Pietro in Montorio a Roma147. Raffaello in un primo momento pensò la pala d’altare come una theofania e solo dopo il confronto con Sebastiano del Piombo giustappose due temi iconografici – la Trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor tra Mosè, Elia e tre apostoli (pacato e solenne) e il Miracolo della guarigione del fanciullo impossessato dal demonio (concitato e drammatico) – e li legò esaltando la plasticità delle figure anche grazie al potere costruttivo della luce, collegando invece i protagonisti di ogni sezione con il potere vincolante dello sguardo. Per la realizzazione della copia raffaellesca, la Congregazione pattuì un compenso di 1000 scudi con Agostino Masuc­

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San Pietro in Vaticano

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166. Basilica vaticana, cappella Clementina, La Trasfigurazione, pala d’altare.

167. Basilica vaticana, cappella Clementina, La Trasfigurazione, pala d’altare, particolare.

ci che ricevette pagamenti nel 1735 e nel 1736148. L’impresa, compiuta su una tela consegnata dal «coloraro» Giacomo Pe­ lucchi e annoverata nel suo conto del 9 dicembre 1734149, non fu però dal pittore portata a termine per l’insorgere di una non precisata malattia150. Dieci anni dopo (1744), l’architetto della Fabbrica Filippo Barigioni fu chiamato a verificare e sti­ mare il lavoro svolto sino a quel momento da Masucci. La tela «disegnata, ridotta quasi in doppia proporzione, et abbozzata con colori», si trovava in un pessimo stato di conservazione, in quanto era situata da molti anni «in un certo feniletto alli Monti nel vicolo in fianco la Chiesa del Bambino Gesù, [...] che per essere a tetto, e a terrapieno, con un fenestrone senza sportelli e senza mattonato non custodito dal sole, né dall’aria della notte, dall’umido e dalla polvere il medesimo quadro si vede notabilmente pregiudicato, particolarmente da piedi, dove la tela è in parte distaccata dal telaro». Barigioni ritenne dunque necessario trasportare la tela nello Studio del Mosai­ co a San Pietro per conservarla e poterla terminare151. L’anno successivo (1745) il cardinale Annibale Albani, prefetto della Congregazione, affidò la conclusione del la­ voro, che tuttavia si tradusse nella realizzazione ex novo del quadro, a Stefano Pozzi promettendogli 800 scudi; 200 scudi erano già stati riscossi da Masucci per il lavoro compiuto. Il 23 agosto 1756 il Pozzi probabilmente non aveva ancora av­ viato la copia152; fu stipulato infatti un secondo contratto tra la Congregazione e il pittore: in esso si fissava la consegna del dipinto allo scadere di un anno (pena l’affidamento del lavoro ad altri) e si confermava la remunerazione di 800 scu­ di, già predisposta nel contratto precedente, a cui andavano aggiunti 100 scudi da utilizzare per colori e altro materiale occorrente dal quale erano escluse le spese per tela e telaio, a carico della Fabbrica. L’ipotesi del ritardo nell’avviamen­ to della copia sembra essere avvalorata da due documenti. È solo del 29 marzo 1756 la conferma della Congregazione di realizzare la copia della pala della Trasfigurazione di Raffael­ lo la cui trasposizione musiva avrebbe sostituito la pala della Crocifissione di San Pietro del Passignano, «corrosa, e perduta e sposta alii lumi più vivi»153, nel terzo altare di fronte alla Sagrestia. In una lettera del 20 aprile 1756 si legge inoltre che l’economo della Fabbrica, scrivendo al padre guardiano di San Pietro in Montorio, chiese di dare seguito alla risoluzione della Congregazione, approvata dal cardinale Cosimo Colon­ na, protettore dell’ordine dei Minori Osservanti dell’Ordine di San Francesco, in modo da permettere a Stefano Pozzi di copiare la pala e, affinché il risultato fosse perfetto, di tra­ sportarla nel luogo ritenuto appropriato dal pittore154. Fu

300 ancora da riscuotere, un aumento di cento e più scudi. Il 12 agosto 1759 fu esaudita la sua richiesta con l’elargizione di 200 scudi in conclusione dell’attività di esatta copiatura, degna di «applauso universale»156. Nel 1759 la copia fu esposta al posto della Crocifissione di San Pietro del Passignano e fu poi trasferita allo Studio del Mosaico affinché i mosaicisti potessero utilizzarla come modello157. Quattro anni furono necessari al lavoro di Poz­ zi mentre il doppio alla trasposizione musiva. Il 3 ottobre 1759 Gaetano Sassi fu pagato per la cava e il trasporto del primo sasso di peperino necessario alla realizzazione della pala in mosaico158. Questa fu eseguita da Francesco Fiani, Guglielmo Paleat, Alessandro Cocchi, Bernardino Regoli e Giuseppe Ottaviani159: nel 1761 ci fu il primo scandaglio del lavoro mentre il saldo risale al 1765. Ai mosaicisti fu data anche una somma supplementare in quanto l’opera, «per la difficoltà delle figure», aveva richiesto più tempo rispetto ad altre pale già realizzate160.

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dunque necessario spostare il dipinto di Raffaello dall’alta­ re principale della chiesa di San Pietro in Montorio a una cappella minore, la cui scarsa luminosità impose la realizza­ zione di una finestra che diffondesse luce nell’ambiente. Per riconoscenza ai Padri, che acconsentirono allo spostamento del dipinto, e per beneficio del «pubblico», la Fabbrica il 15 marzo 1758 si impegnò a ristrutturare a proprie spese l’altare maggiore della chiesa155. Nell’estate del 1759, quando l’artista aveva già ricevuto 500 scudi, una nuova richiesta fu presentata da Pozzi all’e­ conomo della Fabbrica. Elencando «gli incommodi soffer­ ti» – l’impossibilità di usufruire del «Bozzo» di Masucci, le difficoltà legate alla lontananza, «l’angustia del Luogo» e la necessità di una nuova esecuzione a causa di errori commessi dovuti alla ristrettezza dell’ambiente – Pozzi chiese, oltre ai

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Il riconoscimento e l’accettazione finale dell’opera da parte di Salvatore Monosilio, soprintendente dello Studio del Mo­ saico, risalgono al giugno del 1768, poco dopo la collocazione del quadro in basilica161.

La Deposizione di Cristo Dopo anni di stasi succeduti alla realizzazione dei quadri per la Santa Casa di Loreto, nel 1806 lo Studio del Mosaico tornava a realizzare pale d’altare per la basilica vaticana. Le prime realizzazioni riguardano le pale raffiguranti L’incredulità di San Tommaso e La Deposizione di Cristo il cui cartone fu realizzato «a tutte sue fatiche e spese senza alcun compen­ so»162 dal direttore dello Studio, il pittore Vincenzo Camuc­ cini. La Deposizione fu tratta dal dipinto realizzato tra il 1600 e il 1604 da Michelangelo Merisi, commissionato dal nipote Girolamo in memoria di Pietro Vittrice per la seconda cappel­

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San Pietro in Vaticano

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Alle pagine precedenti: 168 e 169. Basilica vaticana, cappella Clementina, La Trasfigurazione, pala d’altare, particolari.

la a destra della chiesa di Santa Maria della Vallicella o chiesa Nuova degli Oratoriani di San Filippo Neri a Roma. Un dipin­ to che avrebbe riscattato Caravaggio anche dalle critiche degli ostici contemporanei Baglione163 e Bellori164, che la citano tra le migliori del maestro. Il soggetto iconografico è insolito: in sintonia con il rito giudaico, il Cristo viene ritratto quando, alla presenza della Maddalena, di Maria di Cleofa e della Vergine Maria, viene adagiato da Nicodemo e Giovanni sulla Pietra dell’Unzio­ ne165. Così descrive la scena il critico Giovanni Pietro Bellori: «Situate le figure sopra vna pietra nell’apertura del sepolcro. Vedesi in mezzo il sacro corpo, lo regge Nicodemo da piedi, abbracciandolo sotto le ginocchia, e nell’abbassarsi le coscie, escono in fuori le gambe. Di là San Giouanni sottopone vn braccio alla spalla del Redentore, e resta supina la faccia, el petto pallido à morte, pendendo il braccio col lenzuolo; e tutto l’ignudo è ritratto con forza della più esatta imitatione. Dietro Nicodemo si veggono alquanto le Marie dolenti l’una con le braccia solleuate, l’altra col velo à gli occhi, e la terza riguarda il Signore»166. La copia di Camuccini andò a sostituire nel 1797 la pala originale requisita nella Chiesa Nuova dal governo napoleoni­ co che la espose al Musée Napoléon. L’originale riuscì a torna­ re in Italia il 4 gennaio 1816 ma, confluita nelle collezioni dei Musei Vaticani, fu sostituita nella sua collocazione originaria da una copia di Michael Koeck nel 1818. Il compenso netto da pagare ai mosaicisti fu stabilito dalla Congregazione il 30 giugno 1806: 3400 scudi e una ricognizione di 400 scudi nel caso in cui, alla fine del lavoro, il direttore avesse riconosciuto che la pala era stata eseguita «secondo le buone regole dell’Arte»167. Contemporaneamente, la Fabbrica si riservò la facoltà di sospendere e differire il lavoro qualora «le circostanze de tempi, o qualche straordinaria spesa, e ragionevole motivo»168 ne avesse ostacolato il compimento. La lavorazione fu affida­ ta a Filippo Cocchi, Domenico Cerasoli, Antonio Castellini e Vincenzo Cocchi, che accettarono le seguenti condizioni169: il mosaico doveva essere eseguito con smalti piccoli e approvato dal direttore dello Studio; nel prezzo stimato era compreso sia il lavoro dei mosaicisti sia «il valore della pietra, stucco, smalti, traccie, spillatura, lustratura, stuccatura»; veniva inoltre stabilita la cifra di 1000 scudi a titolo di caparra; detratte dalla caparra le spese per prestazioni svolte dalla Fabbrica per conto dei mosaicisti, l’eccedenza doveva essere a loro ceduta soltanto dopo l’approvazione del lavoro. Gli anni in cui si realizzava la pala furono però caratteriz­ zati dall’avvento del governo napoleonico che assunse sotto la

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A fronte: 170. Basilica vaticana, sagrestia comune, La Deposizione di Cristo, pala d’altare.

sua direzione lo Studio del Mosaico. I francesi rinnovarono ai mosaicisti due contratti per terminare i quadri in esecuzio­ ne, fissarono nuovi prezzi, lasciando in deposito i 1000 scudi pattuiti per le spese e la stuccatura, ma saldando i debiti da loro contratti con la Fabbrica. Specificatamente, per il dipinto caravaggesco fu stipulata una scrittura con i fratelli Cocchi e con Antonio Castellini che di lì a poco, gravato dalla morte del fratello Vincenzo, coinvolto nella realizzazione del quadro de L’incredulità di San Tommaso, fu costretto a subentrargli nel lavoro e ad abbandonare il quadro della Deposizione. La parte lasciata incompleta fu affidata ai fratelli Cocchi, con la promessa di un’ingente somma di denaro. Il Castellini sostenne però l’illegittimità dell’appropriazio­ ne dello Studio da parte dei francesi e del contratto ad essa correlato stipulato con i Cocchi, ritenendo che a lui dovesse essere corrisposta la somma stabilita per la stuccatura della porzione realizzata e che a lui dovessero essere affidati i lavori per i rialzi, la spillatura, la stuccatura. Ripristinato il governo pontificio, il 14 luglio 1814 il mosaicista Bartolomeo Tomberli viene incaricato da Michael Ko­ eck, ispettore dello Studio, di quantificare il lavoro eseguito da Antonio Castellini nella quarta porzione del dipinto ad esso attribuito e di certificarlo con un documento: dopo averlo os­ servato più volte, constatò che Castellini aveva realizzato: «la figura della Maddalena [...] con i capelli distesi che guarda all’insù, le mani aperte, un braccio, e manica bianca della me­ desima, la mano sinistra della Madonna, il panno sulla spalla sinistra della Donna piangente, una quantità di palmi di cam­ po con delle frondi, e quasi la totalità del Sepolcro»170. Dopo aver riflettuto sulla porzione compiuta e sulla percentuale mancante, sulla spesa già affrontata e su quella da sostene­ re, sul prezzo dei colori, dello stucco e degli smalti utilizzati «maggiore rispetto a quello altrui»171, Tomberli stimò che ne avesse eseguito più di un terzo. Una nota del 29 settembre 1815 riferisce lo stato dell’arte: Koeck afferma che il lavoro era stato completato per più di un terzo avendo i fratelli Cocchi quasi terminato la loro par­ te e Antonio Castellini stuccato «la mano, braccio, la manica bianca e fregia dei capelli della sua Maria [...] la mano della Madonna e il campo adorno»172. Castellini risulta quindi anco­ ra facente parte dell’incarico. Il lavoro si protrasse sino all’ot­ tobre del 1820, quando fu deciso dai ministri della Fabbrica di «far stuccare il quadro della Deposizione del Caravaggio, e surrogarlo all’Altare di San Maurizio nella Cappella del SS. Sacramento, unico luogo adatto a dett’oggetto»173. Nonostan­ te nel 1821 siano registrati i pagamenti allo scalpellino, allo

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San Pietro in Vaticano 171. Basilica vaticana, transetto sud, L’incredulità di San Tommaso, pala d’altare.

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stuccatore e all’indoratore per lavorare al telaio del quadro e al sito in cui collocarlo174, ancora nel 1823 si rifletteva sul posto più adatto a ospitare la grande pala. Giuseppe Valadier, architetto della Fabbrica, fu chiamato a pronunciarsi sulla col­ locazione del dipinto, essendo la tela rettangolare e la cornice semicircolare175. L’architetto consigliò di collocarlo sull’altare della Sagrestia e, essendo il quadro largo quanto la cornice, ma meno alto, di costruire un telaio con le dimensioni della corni­ ce su cui rifoderare il quadro, e dipingere lo spazio rimanen­ te senza intervenire sul marmo, sulla doratura e sulla cornice preesistente. Tuttavia Pistolesi nel 1829 ricorda l’opera nella cappella del SS. Sacramento, dove rimase fino al 1896 quando fu trasferita in Sagrestia e sostituita dal mosaico dell’Estasi di San Francesco di Domenichino176.

L’incredulità di San Tommaso

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L’altare di San Tommaso, situato nel transetto sud della basilica, è stato tra i primi, durante il pontificato di Urbano viii, a essere dotato di una pala d’altare. La commissione fu affidata al pittore fiorentino Domenico Passignano, arrivato a Roma nei primi mesi del 1624 per restaurare il quadro della Crocifissione di San Pietro che aveva dipinto sopra uno degli altari delle navi piccole circa due decenni prima, ma già in avanzato stato di degrado177. Al suo ritorno a Firenze, ai primi di aprile, Passignano aveva ricevuto la commissione per una seconda pala d’altare in San Pietro e un anticipo di 100 scudi. Decise di realizzare la pala a Firenze e, secondo Baglione, fu di nuovo a Roma l’anno seguente (1625) per installare l’opera finita, raffigurante L’incredulità di San Tommaso178. La pittura di Passignano è convenzionale nella sua struttura: raggruppati intorno a Cristo e Tommaso sono sei aposto­ li, il cui timore reverenziale e le espressioni attestano la natura miracolosa dell’evento. Al centro della composizione, Cristo, più alto rispetto agli altri, con una mano sulla ferita nel costato mentre con l’altra guida il dito teso di Tommaso in modo che egli possa toccare179. Il quadro nel 1822 fu sostituito da una pala in mosaico del­ lo stesso soggetto, basato su un disegno di Vincenzo Camucci­ ni, saldato per il lavoro nell’agosto del 1806180. La traduzione in mosaico cominciò nello stesso anno. Con apoca privata sottoscritta dai mosaicisti Bartolomeo Tomberli e Vincenzo Castellini, il 1° luglio 1806 fu stabilito il prezzo in 4000 scudi e un riconoscimento di 500 scudi da dare ai suddetti mosaicisti al termine del lavoro. Fino al 1808 l’archi­

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tetto misuratore della Fabbrica, Giuseppe Bernasconi, eseguì periodicamente lo scandaglio dei lavori e, senza che fossero fatte ulteriori misure, la Fabbrica continuò a pagare i due mosaicisti fino alla fine del 1809. Quando poi lo Studio del Mosaico passò sotto la direzione della Corona Imperiale di Francia, nel 1811 fu fatto un nuovo patto con i due mosaicisti, che aumentava di non poco il compenso per il lavoro da ese­ guire. Il contratto fu mantenuto tale anche dopo il ripristino del governo pontificio; nonostante ciò, vedendo che i tempi per la realizzazione del quadro si dilungavano eccessivamen­ te e considerando che per l’avanzata età i due mosaicisti non avrebbero potuto concludere celermente l’opera, la Fabbrica nel 1817 decise di far proseguire il lavoro, sotto la direzione e responsabilità di Castellini e Tomberli, ai due giovani mosaici­ sti Raffaele Castellini e Raffaele Cocchi, aiutati nel taglio delle tessere, nella squadratura e levigatura degli smalti dal mosaici­ sta Antonio Peters, attivo dal novembre del 1817. Nel frattempo, a causa della pervenuta morte, il 1° ottobre del 1811 Vincenzo Castellini era stato sostituito dal fratello Antonio181. Un nuovo contratto per la realizzazione del mosai­ co fu stipulato il 26 febbraio del 1822 e il quadro fu finalmente collocato in basilica il 16 dicembre dello stesso anno182. L’esecuzione del quadro in mosaico, costato 40.10 scudi il palmo quadrato183, si protrasse dunque per ben 17 anni, e con­ corsero alla sua realizzazione molti mosaicisti. I conti minuziosi fatti dalla computisteria della Fabbrica per verificare l’avanzamento dei lavori consentono di indi­ viduare l’opera di ciascuno di loro: «Bartolomeo Tomberli: la figura dell’illustrissimo Salvatore, meno, l’estremità delle mani, e Piedi, e meno una porzione di pieghe di panno, sotto la mano sinistra, della medesima figura – La mezza testa, a de­ stra, del Salvatore – La metà del campo, e del terrazzo, e metà della mano di S. Tommaso, Vincenzo Castellini: tre teste, cioè di S. Giacomo, S. Giovanni e S. Andrea, ed altra testa accessoria, porzione del pan­ no verde, alla spalla di S. Giacomo, – l’altra metà del Campo, – e fatti i capelli di S. Tommaso, cessò di vivere – Per il che, fu data la responsabilità della rimanente sua porzione al seguente suo germano, Antonio Castellini: la figura di S. Tommaso, meno le mani, e mezzo braccio destro, meno anco, piccola porzione del Pan­ no rosso – Il panno verde, di S. Giacomo, – e l’altra metà del terrazzo, Raffaele Castellini: la mano destra del Salvatore – La testa in ombra, a sinistra di S. Tommaso – La metà del suddetto Braccio destro di S. Tommaso, con la metà della mano – una

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San Pietro in Vaticano

Le immagini cristologiche attraverso una lettura documentaria

172. Basilica vaticana, cappella della Madonna della Colonna, L’apparizione del Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque, pala d’altare.

piccola porzione di panno rosso – il panno scuro, della figura, fra il Salvatore, e S. Tommaso – ha chiusi alcuni vani, nel Pan­ no del Salvatore, ed in alcuni vani altri luoghi, e la maschera di S. Tomanno, e S. Giovanni, Raffaele Cocchi: la mano, e piede sinistro del Salvatore – tutte le pieghe del Panno, sotto la medesima mano sinistra – porzione del piede destro di detto Salvatore, ed ha ultimato il lavoro, in alcuni vari piccoli luoghi, e la maschera di S. Giaco­ mo, e porzione del panno pavonazzo del S. Giovanni, Domenico Pennacchini: la testa e mano di S. Pietro, Vincenzo Cocchi: terminò il piede destro del Salvatore, e fece il piede in ombra fra il Salvatore, e S. Tommaso, Michele Volpi­ ni: la mano sinistra di S. Tommaso, – ed un piccolo pezzo di panno rosso, Quanto alla stuccatura È stato stuccato il quadro, con egual premura, ed impegno grande, dalli signori Bartolomeo Tomberli, – Antonio Castellini, – Raffaele Castellini, – Raffaele Cocchi, – Nicola Roccheggiani, Vincenzo Cocchi, e Domenico Pennacchini»184.

L’apparizione del Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque Sull’altare di fronte al monumento berniniano di Alessan­ dro vii (Chigi, 1655-1667), prima degli anni Venti del Nove­ cento, era collocato un grande dipinto con l’immagine della Caduta di Simon Mago, eseguito a olio su lastre di lavagna tra il 1602 e il 1603 dal pittore senese Francesco Vanni per un compenso di 800 scudi185. Il soggetto si riferiva al racconto tramandato dagli apocrifi e sottolineava la contrapposizione tra i Santi Pietro e Paolo e l’eretico Simone, che li aveva sfidati con le arti magiche dichiarando a Nerone di poter volare con l’aiuto degli angeli. In particolare, la pala d’altare mostrava la conclusione del folle volo del sacrilego mago, lasciato precipi­ tare nel vuoto dai demoni ai quali aveva chiesto sostegno. La pala di Vanni, già in passato «deteriorata dall’umidità», subì importanti restauri nel xvii e xviii secolo; mantenne tuttavia la sua collocazione in basilica fino alla vigilia dell’Anno Santo del 1925, quando fu rimossa ed esposta nella «Sala D» del Museo Petriano. La storia della pala d’altare del Sacro Cuore di Gesù ricon­ duce al pontificato di Benedetto xv (Della Chiesa, 1914-1922), il quale fin dagli inizi del suo ministero apostolico promosse con forte convinzione la devozione al Sacro Cuore di Gesù, non soltanto nel mondo cattolico, ma anche nella basilica di

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San Pietro in Vaticano. Desiderò dunque porre in venerazione nella basilica un’immagine in mosaico raffigurante l’Apparizione del Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690), canonizzata dallo stesso Benedetto xv il 13 mag­ gio del 1920. Per quanto riguarda la basilica, già molto tempo prima della realizzazione della pala venne studiato il problema per offrire una proposta al Santo Padre. Nel luglio del 1918 l’economo e segretario della Fabbri­ ca di San Pietro, mons. Giuseppe de Bisogno (1908-1923), scrisse un’ampia e dettagliata relazione al pontefice sull’i­ doneità del sito dove collocare un mosaico che richiamasse la devozione al Sacro Cuore di Gesù: «In occasione della prossima santificazione della Beata Maria M. Alacoque, desi­ derando la Santità Vostra promuovere la devozione al SS.mo Cuore di Gesù, non soltanto nel mondo credente, ma segna­ tamente a S. Pietro in Vaticano, centro delle fede universa­ le, ha sapientemente stabilito di porre in venerazione nella grande Basilica un quadro in mosaico della apparizione del Sacro Cuore di Gesù alla Beata Margherita. Ora perché la devozione stessa venga efficacemente promossa in S. Pietro, mi permetto sottoporre all’esame della Santità Vostra alcu­ ne considerazioni circa l’altare che più possa prestarsi allo scopo e in maniera pratica e dove i fedeli che vi occorrano da tutte le parti del mondo siano meglio in grado di trovare di fatti un incentivo alla predetta devozione [...]. In quanto all’altare della Caduta di Simon Mago, e di cui si potrebbe rimuovere la pittura in lavagna del Vanni, ritengo doveroso far presente che il sito in cui detto altare sorge presenta al­ cuni inconvenienti a causa della porta di Santa Marta che gli è d’incontro. Questo ingresso della Basilica, che è spes­ so aperto, serve di frequente come accesso di servizio per l’inoltro e la rimozione di oggetti ed attrezzi. La vicinanza di quella porta a quel traffico di persone e di materiale di­ sturberebbe le cerimonie religiose ed i fedeli raccolti presso l’altare [...]»186. Nonostante ciò, la decisione ultima fu quella di sistemare l’opera in sostituzione del dipinto di Vanni: for­ se orientarono la decisione sia l’importanza dell’altare, sia le imponenti dimensioni della nuova pala. Benedetto xv commissionò la tela al conte Carlo Muccio­ li (1857-1931), direttore dello Studio del Mosaico, il quale iniziò a dipingerla nel settembre del 1918 presso il cosiddet­ to «Braccio di Carlo Magno», dove lo stesso pontefice ebbe modo di visionare il grande dipinto nell’aprile del 1920. È noto inoltre che il papa si degnò di esprimere all’artista qual­ che sua idea. Volle che Gesù fosse rivestito dal manto rosso,

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come si suole rappresentare, trionfante, dopo la sua resurre­ zione; raccomandò, inoltre, che il Cristo avesse nell’aspetto una espressio- ne di vivo amore, come appunto si conviene al Sacro Cuore. L’esecuzione dell’opera si protrasse ben oltre l’anno 1920: eseguita una prima tela e posta in prova, dopo aver osservato l’effetto nella Basilica di San Pietro, Muccioli ritenne neces­ sario eseguire un’altra tela sulla quale apportare i migliora­ menti necessari. Intanto il 26 ottobre 1920 venne definito il contratto per l’esecuzione a mosaico dell’opera: direttore dei lavori fu no­ minato lo stesso Muccioli, allievo del pittore romano di cul­ tura purista Francesco Grandi e noto soprattutto come pit­ tore di scene di genere; direttore tecnico Ludovico Lucietto, a cui spetterà l’esecuzione del mosaico assieme a Evandro Monticelli, Carlo Simonetti, Luigi Chiaserotti, Lorenzo Cas­ sio e Romolo Sellini. Il contratto prevedeva la fine dei lavori entro il 1924, ma venne concessa una proroga fino all’estate del 1925, quando il Muccioli riceveva 5000 lire a saldo della direzione artisti­ ca del quadro del Sacro Cuore, e il 25 agosto dello stesso anno, Lucietto veniva pagato per la stuccatura e l’affilatura del quadro a mosaico, insieme ai suoi collaboratori. La col­ locazione avvenne nell’anno santo del 1925 e papa Pio xi (Ratti, 1922-1939) la sera del 17 novembre si recò a osservare il nuovo quadro in mosaico. Il 25 febbraio 1955 mons. Pri­ mo Principi vendeva a padre Lodovico dall’Aquila la tela del Muccioli al prezzo di 50.000 lire, ovvero il costo sostenuto per l’esecuzione del dipinto. Il Seminario Serafico dei Minori Cappuccini di Todi nel 1953 aveva infatti chiesto la tela del Muccioli per la propria cappella e così venne loro venduta. Il mosaico, che ha una superficie di 32 metri quadrati, venne realizzato con smalti filati e tagliati; l’esecuzione del lavoro, esclusi i materiali, costò 363.500 lire187.

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173. Basilica vaticana, grotte vaticane, cappella di San Longino, navata, pareti, San Luca che ritrae la Madonna con Bambino, affresco.

Capitolo quinto

Le immagini mariane nell’arte musiva della basilica Simona Turriziani

«Una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle.» Ap 12,1

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Nella basilica di San Pietro in Vaticano, tra le tante opere realizzate in onore della Vergine Maria, vi è un affresco che presenta l’apostolo San Luca con in mano la tavolozza di co­ lori e il pennello, il quale, mosso da ispirazioni provenienti dall’alto, dipinge la Madonna con il Bambino. L’affresco si trova nel corridoio che dalla cappellina di San Longino im­ mette nel peribolo delle grotte vaticane: esso venne realizza­ to nel 1631 dal pittore Carlo Pellegrini che allora coordinava i lavori di decorazione delle quattro cappelline e dei rispetti­ vi corridoi delle grotte vaticane, voluti da papa Urbano viii, Barberini1. In esso è interessante notare che l’evangelista San Luca è stato rappresentato non dedito alla stesura del Van­ gelo, ma intento a raffigurare la Madonna. Una tale raffigu­ razione non venne realizzata a caso dall’artista, ma sulla base di quanto si tramandava intorno alla figura dell’apostolo. Se­ condo una antica tradizione2, infatti, le prime rappresenta­ zioni della Vergine Maria avvennero proprio ad opera di San Luca3. Egli, oltre ad essere medico ed evangelista, sarebbe stato anche pittore e autore di ben tre ritratti di Maria dopo la Pentecoste: in particolare un numero imprecisato di ico­ ne, presenti in Siria, Egitto, sul Monte Athos, a Roma4 e in Russia, vanterebbero l’onore di essere degli originali di San Luca. Una testimonianza simile la riporta anche lo storico Fi­ lippo Baldinucci5 che, nella sua famosa opera pubblicata nel 1767 dal titolo Notizie de’ Professori del disegno da Cimabue in qua...6, sostiene che San Luca fu il primo fra i cristiani che «espose le immagini di Gesù Cristo, e di Maria Vergine da lui stesso effigiate [...]»7. In realtà non sappiamo se veramente il Santo avesse dipinto, disegnato o in qualche altro modo raffigurato in particolare la Vergine Maria; ma di certo egli la descrisse nei suoi Vangeli con un’intensità e con una veridi­

cità tale da far supporre che l’avesse vista o che avesse avuto dei particolari «contatti» con lei8. D’altronde solo San Luca ha narrato nel suo Vangelo gli episodi dell’Annunciazione, della Visitazione, del Natale, della Presentazione al Tempio, del Ritrovamento di Gesù fra i dottori. Solo lui scrisse del­ la Madre di Dio queste parole, particolarmente delicate, ma allo stesso tempo estremamente significative: «Maria conser­ vava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). E dalle labbra di Maria Luca ascoltò le notizie più segrete circa l’infanzia di Gesù, ed è sempre da Maria che l’evan­ gelista conobbe i cantici più belli che la Chiesa ogni giorno recita: il Magnificat, il Benedictus e il Nunc dimittis9. Certamente, da quel momento in poi, la figura della Ver­ gine divenne per gli artisti assolutamente necessaria e indi­ spensabile per la buona «riuscita» del racconto evangelico, nonché particolarmente significativa per sottolineare l’assi­ dua e fondamentale presenza di essa nell’infanzia e nella vita di Gesù10; nel tempo, la sua immagine divente­rà dominante in ogni rappresentazione cristiana e darà origine a quel culto secolare, entusiasta e magnifico che dura ancora oggi11.

La tecnica musiva Proprio l’immagine di Maria fu la prima figura ad essere introdotta e venerata nella nuova basilica di San Pietro in Va­ ticano. Mentre infatti il maggior tempio della cristianità ve­ niva ricostruito e rinnovato nella sua struttura architettonica, nella seconda metà del Cinquecento ne veniva anche definito l’apparato decorativo, e la tecnica musiva veniva scelta come tecnica assolutamente idonea per la decorazione degli ampi

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San Pietro in Vaticano

Le immagini mariane nell’arte musiva della basilica 174. Basilica vaticana, cappella Gregoriana, parete nord, Madonna del Soccorso, affresco.

spazi della nuova basilica di San Pietro. Essa infatti era già nota e diffusa nel mondo antico e consisteva nell’accostare con un determinato dise­gno frammenti di materiale di diver­ sa grandezza, detti «tessere», su una superficie intonacata: queste, di solito quadrangolari, erano di marmo o di pasta vitrea, bian­che, ne­re, colorate o metallizzate, e venivano fis­ sate a uno strato di stucco, di mastice o di cemento fresco, se­ guendo le li­nee di uno schizzo riportato sulla superficie, per lo più a co­minciare dall’esterno delle singole figure; tale tec­ nica era usata, in particolare, nella decorazione di pavimenti, di pareti, di soffitti, di elementi architettonici, che acquista­ vano un’eccezionale brillantezza e resistenza nel tempo12. Secondo il Baldinucci13 il primo a utilizzarla fu l’impera­ tore Nerone, facendo «segare le conche delle perle, per ac­ comodarle in lavoro di mosaico»14, perché «quella fatta di colori col tempo si consumava, mentre quella di mosaico diveniva sempre più bella: si lavorava con alcuni pezzetti di vetro riquadrati, di colori diversi, e per quei campi e quei luoghi dove andava l’oro si usava dorare i medesimi vetri a fuoco. Veniva messo sopra stucco forte, composto di misture diverse, le quali col tempo lo facevano tanto indurire che l’opera, per così dire, non aveva mai fine»15. E fu proprio per questo motivo che sin dai tempi più antichi la tecnica musiva venne a sostituire la pittura16. Infatti un documento dell’Archivio Storico della Fab­brica di San Pietro racconta che «nei tempi passati nel fa­re gli scavi si erano trovati pavi­ menti, et altro sì bel musaico fatto in tempo, che regnava la Repubblica Romana, e nel vedere, che il bel mosaico durava da migliara di anni, questo fu che diede motivo ad una mente Sa[ntissi]ma, perché fosse operato in S. Pietro e fossero tra­ sportati in musaico le opere dipinte le più eccellenti, acciò che S. Pietro si rendesse singolare in ogni genere»17. La «mente Santissima» fu Gregorio xiii Boncompagni (1572-1585) che, nel realizzare la prima cappella della nuova basilica, pensò di valersi proprio della tecnica musiva per ornare e abbellire la medesima18. La motivazione ancora una volta fu proprio «la necessità di provvedere alla durata delle dipinture che fece si che a tale effetto si prescegliesse il mu­ saico, come quello che non risente delle ingiurie del tempo, non perde l’intensità della sua prima vaghezza, ma sempre la medesima forza e la stessa freschezza conserva nei suoi colo­ ri»19. Inoltre «il musaico si adattava bene alla decorosa digni­ tà della Casa del Signore; i nostri antenati, dopo averlo cono­ sciuto, ne fecero largo uso, come si può facilmente vedere in quelle parti delle antiche e sacre Basiliche che a noi restano, le quali specialmente nelle absidi e negli archi trionfali furo­

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no adornate di mosaici fin dai primi secoli della Chiesa [...], grazie alla quale si è conservata ed è stata tramandata a noi si bella ed importante maniera di decorazione»20. Con l’impiego della tecnica musiva, tra l’altro, si recupe­ ravano quei mosaici e quei temi iconografici sia delle antiche basiliche paleocristiane e sia del vecchio San Pietro, creando una sorta di continuità tra il vecchio e il nuovo tempio cri­ stiano e ripristinando quella spiritualità propria della Chiesa delle origini21. Con il mosaico poi, divenuto in questo perio­ do la tecnica più impiegata negli edifici religiosi, si veniva a realizzare la concezione di uno spazio inteso come entità lu­ minosa22. Esso, rivestendo la muratura, «imponeva ovunque la legge della continuità della trasmissione della luce [...], che riempiva lo spazio chiuso dell’architettura con i suoi in­ finiti raggi diversamente colorati»23. L’ambiente che risultava da questo gioco di colori era quindi vivificato dalla luce, che scorreva sulle tessere di pasta vitrea, sempre diversa a ogni ora del giorno. Il mosaico cristiano diveniva dunque parte integrante ed essenziale di questo spazio vivo e luminoso: d’altronde per la fede cristiana la luce era ed è uno dei sim­ boli più importanti attraverso il quale rendere la presenza di Dio24.

La cappella Gregoriana e la Madonna del Soccorso Dalla seconda metà del Cinquecento, quindi, San Pietro divenne il più grande laboratorio d’Europa nella pratica dell’arte musiva. Per la decorazione furono richiesti uomini esperti in quest’arte da Venezia25, che vantava una tradizione ininterrotta dal Medioevo grazie al cantiere di San Marco26. Essi conoscevano bene la tecnica musiva e i suoi segreti e quindi erano necessari per poter dare il via al cantiere pe­ trino27. Il programma decorativo del pontefice era ambizioso28 vista l’entità delle superfici da coprire, stimabile in circa 10.000 metri quadrati. Ma il papa non si perse d’animo, al contrario, proprio lui volle creare la prima nuova cappella del nuovo San Pietro e decorarla con i mosaici. Essa, det­ ta appunto Gregoriana dal nome del suo committente, fu la prima cappella nella nuova basilica a essere completata e decorata29. Situata nell’angolo nord-est di quella che era allo­ ra una chiesa a pianta centralizzata, consiste in uno spazio a cupola, grosso modo quadrato, a cui si collegano le due adia­ centi «navi piccole», che si estendono a ovest verso il tran­ setto nord e a sud verso la navata centrale. Il Boncompagni

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si dedicò alla realizzazione della cappella con grande cura e attenzione. Su pianta di Michelangelo, essa fu ultimata da Giacomo Della Porta, che il papa aveva nominato architetto capo della basilica30 alla morte del Vignola nel 1574. Ivi lo spazio era ed è talmente solenne da dare alla cappella la mae­ stà di una chiesa31. In fin dei conti l’idea di Michelangelo era stata proprio questa, e cioè quella di fare una cappella gran­ de come una chiesa! In essa il vecchio papa Gregorio pro­ fuse attenzione e ricchezza perché la cappella fosse la reggia della Madonna32, e proprio un’immagine della Vergine Maria egli fece sistemare sull’altare: era l’antica immagine della Madonna del Soccorso, intorno alla quale fece disporre marmi, dipinti, bronzi, ricercati un po’ ovunque, colonne di marmo africano e di verde antico, stucchi dorati e mosaici che ne do­ vevano accrescere la bellezza. Nello specifico si tratta di un affresco che rappresenta una Madonna col Bambino, noto come Madonna del Soccorso, tradizionalmente ritenuto mi­ racoloso e per questo particolarmente venerato. La piccola immagine secondo la tradizione era stata commissionata da Pasquale ii (1099-1118)33 per l’altare di San Leone Magno nel transetto dell’antica basilica. Da lì venne rimossa con tut­ to il suo supporto murario nel 154334 e spostata su un altare collocato sulla parete che divideva il vecchio dal nuovo San Pietro35. Quando poi venne eletto Gregorio xiii egli sistemò l’immagine sul nuovo altare della nuova cappella Gregoria­

na, guardando a questa immagine della Madonna come alla più antica e venerata tra quelle superstiti36. Nel Settecento, poi, sopra l’affresco della Vergine fu col­ locato un piccolo baldacchino ornamentale37. Oggi, il quadro della Madonna del Soccorso, incastonato nella ricca policro­ mia dell’altare, sta al centro di un rettangolo marmoreo, con i lati minori curvilinei, e accompagnato nel suo perimetro da otto cherubini di bronzo38. La parte superiore del quadro ha una corona marmorea di stelle, mentre la parte inferiore è occupata da un vaso di fiori, la bellezza dei quali dialoga con la bellezza del marmo, in cui essi sono intarsiati. La Vergine si presenta in posizione frontale, con quel­ la mesta serietà, che generalmente le viene attribuita nelle composizioni del Medioevo e del primo Rinascimento. Essa è ricoperta sul capo e sulle spalle da un velo azzurro che a sua volta ricopre l’abito di color rosato. Lo sguardo, dolce e mite, è rivolto frontalmente verso quel pellegrino che, so­ stando davanti alla sua immagine, si rivolge a lei in preghiera. Il Figlio, sul braccio della Madre, ha atteggiamento regale: benedice e sostiene nella sinistra il mondo, a cui la Madre viene in «soccorso». Sul capo della Vergine e del Bambino sono poi presenti due corone in oro, ivi sistemate il 17 no­ vembre 1643 giorno e anno in cui la Madonna del Soccorso venne solennemente incoronata dal Capitolo Vaticano39. L’opera è il frutto della pietà mariana di un papa, di cui gli storici raccontano, che a codesta cappella era talmente interessato da visitarla frequentemente, passandovi parec­ chio tempo, specialmente quando l’opera si avvicinava al suo termine. L’inaugurazione della cappella avvenne il 12 febbraio 157840 prima domenica di Quaresima con la collocazione dell’antica immagine della Madonna del Soccorso sull’altare principale; inoltre ad accrescere la rinomanza della cappella vi furono traslate con solennità nel 1580 le ossa di San Gre­ gorio Nazianzeno, dottore della Chiesa, tuttora conservate in un sarcofago sotto la mensa dell’altare41. Ancora oggi l’i­ scrizione presente sopra l’altare riporta il seguente testo: dei genetrici maria virgini et s. gregori nazianzeni. Gregorio xiii ha creato così il santuario mariano della ba­ silica di San Pietro, che presenta una ricchezza iconografi­ ca straordinaria. Prima di tutto nella lunetta, che sta sopra l’altare, papa Gregorio xiii volle che fosse rappresentato il mistero dell’Annunciazione. A sinistra sta la Vergine inginoc­ chiata, in atteggiamento di orazione me­ditativa, mentre lo Spirito Santo sopravviene in lei. Un angelo, a destra, manda­ to da Dio, scende dall’alto su nuvole che fungono da scala. Il

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San Pietro in Vaticano

Le immagini mariane nell’arte musiva della basilica

175. Basilica vaticana, cappella Gregoriana, cupola.

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messaggio è completato dalla presenza di Isaia ed Ezechiele, i profeti che hanno pronunciato la verginità di Maria. Là dove la cupola si appoggia sul quadrato sottostante per iniziare lo slancio verso i suoi quasi cinquanta metri, quattro pennacchi ospitano quattro Dottori della Chiesa: Gregorio Magno e Girolamo, Gregorio di Nazianzo e Basilio42. Il motivo di codesta scelta non è completamente chiaro. Tuttavia, Gre­go­rio Ma­ gno era il papa particolarmente caro a Gregorio xiii: questi volle chiamarsi Gregorio a ricordo del fatto che un tempo egli era stato creato cardinale nel giorno di Gregorio Magno. Quanto a Gregorio di Nazianzo, la presenza di questo Padre orientale è nata dal fatto che papa Gregorio era molto devo­ to al grande vescovo di Bisanzio, del iv secolo, e ammiratore della sua dottrina trinitaria. Aveva fatto trasportare in San Pietro le reliquie del Santo dal monastero di Santa Maria in Campo Marzio, con grande dispiacere delle monache bene­ dettine. Non poteva mancare vicino a Gregorio di Nazianzo l’immagine di Basilio, suo amico e metropolita. Basilio è ben individuabile, perché ha vicino a sé il volume della sua ope­ ra: Exameron. E poi Girolamo, Dottore della verginità di Maria, e indimenticabile difensore di essa, verso la fine del iv secolo, proprio qui in Roma. Ma nella presenza di Gero­ lamo c’è anche la devozione dell’artista, al quale si devono le raffigurazioni, Girolamo Muziano, che ha raffigurato il suo Santo patrono non si sa quante volte! Oggi le quattro figure dei Dottori si presentano solen­ ni, per l’aria ispirata che li circonda, e per i larghi gesti che compiono. Le vesti liturgiche che essi indossano li rendono ancora più imponenti. L’unico Dottore vestito sommaria­ mente, da eremita penitente, è Girolamo. Le raffigurazioni, qualificate come manieristiche, hanno un primato cronolo­ gico: sono i primi mosaici eseguiti nella nuova basilica vati­ cana. In particolare, i lavori di decorazione della cappella Gre­ goriana iniziano il 5 giugno 1576 e terminano il 30 maggio 1579. Ma la prima singolare notizia che emerge dai docu­ menti, e che indica l’andamento dei lavori è quella dell’in­ carico dato il 31 maggio 1578 a «mastro Marino chiavaro in borgo vechio» di fare «una serratura alla porta delli pittori» che dovevano ivi lavorare43 e di preparare «due serrature maschie per le porte dove dorm[iva] il vetraro»44. Era dun­ que partito il cantiere45: Ma «per il sole che non lascia[va] lavorare i mosaicisti» il 26 giugno 1578 venivano preparate altre «store per coprire lochio» e per «fare l’ombra al mo­ saico»; gli artisti in particolare avevano a disposizione una stanza dove facevano «il musaico cioè li smalti» e un’altra,

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San Pietro in Vaticano

Le immagini mariane nell’arte musiva della basilica A fronte: 176. Basilica vaticana, cappella Gregoriana, San Basilio, pennacchio sud, lato ovest.

una sorta di «andito» con «un cancello», dove invece mette­ vano «in opra detto mosaico»46. Si rifornivano presso la «fornacie a la porta della luma­ ca»47 e passavano intere giornate a «tagliare» e a «capare» il mosaico con una retribuzione dai 20 ai 35 baiocchi a gior­ nata. Erano mastro Giovanni Civolaro, Pom­peo da Campo di Lago, Orazio da Castelo, Pietro da Città di Ca­stello, Lat­ tanzio da Crema, Pietro da Foiano, Gian­ma­­ria da Gubbio, Menico da Larione, Pasquino Dell’Oro, Do­na­to da Lugano, Francesco da Amelia, Paulo Dan­tonio, Marco da Pesaro, Donato da Arezzo, Andrea da Ro­ma, Francesco da Settigna­ no, Francesco da Torino, Gio­vanni da Venezia, Giobatista da Viterbo, Domenico da Aguillara, Pietro Fiorentino, Jerolimo Milanese, Camillo Panurio, Stefano Passerini, Gionantonio Perusca, Dio­no­ro ro­mano, Orazio romano, Tiberio romano, Titta ro­mano, Vin­cenzo romano, Agostino Santini, Gi­ro­limo se­nese, Mar­cello Silvestro, Luigi Spagnolo, Ca­millo Spalluc­ ci, Cepione Strada, Raffaello veronese e Giu­lio veneziano48 e altri ancora. Ma colui che guidava tutta l’équipe dei mosaicisti e dei manovali era Giovanni da Cherso, detto Giovanni Gapei, che per primo iniziò i lavori di mosaico nella cappella Gre­ goriana e che ne intraprese la decorazione49. Il 13 giu­gno 1578 iniziava a ritirare gli smalti dal soprastante Alessandro da Settignano, che a sua volta li ritirava da Targinio, vetraro e fornitore di smalti alla Fabbrica di San Pietro50. I lavori alla cappella Gregoriana durarono fino al 20 dicembre 157851. Egli impiegò per il suo lavoro libbre 6055 di smalti in oro e libbre 3220 di smalti colorati (celeste, verde marino, ambra, turchino) come risulta dai pagamenti effettuati per la deco­ razione della cappella52. Alla fine dell’agosto del 1578 erano già state pagate circa 270 giornate lavorative ai mosaicisti coinvolti nella decorazione della cappella. Per l’importante e faticoso lavoro vennero evidentemente costruiti dei ponteggi che dovevano servire come supporto o struttura portante per i decoratori53. L’artista che invece fu l’autore dei cartoni preparatori per il mosaico e che lavorò con il Gapei fu Girolamo Muziano, la cui firma, secondo la testimonianza del ben informato Ge­ nesio Turcio54, era possibile leggere fino a qualche decina di anni or sono sotto la figura di San Ge­rolamo: «Hieronimus Mutianus Brixianus, A.D. 1579»55. Questo artista apparte­ neva alla schiera di pittori di cui si servì Gregorio xiii, e che fecero parte dell’Accademia di San Luca, fondata nel 1593. Il pontefice aveva nominato il Muziano sovraintendente alle pitture in Vaticano al quale, il 17 agosto del 1578, venivano

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consegnati 25 scudi d’oro «per le fatiche che faceva per la Capella Gregoriana in Santo Pietro d’ordine di Sua Beati­ tudine»56. Egli, il «celebre Muziani», come ricorda un do­ cumento dell’Archivio Storico della Fab­brica di San Pietro, non solo intraprese e finì la cappella Gregoriana ma inventò anche la composizione dello stucco a olio, di cui si servirà anche il Cavalier D’Arpino per i lavori di decorazione della cupola grande della basilica57. Il Muziano, che naturalmente si avvalse di numerosi col­ laboratori, in particolare è l’autore dei cartoni preparatori raffiguranti San Gregorio, San Girolamo58, San Basilio e San Gregorio Nazianzeno, i quattro Santi che alludono all’armo­ nia tra la Chiesa greca e quella latina. Ma egli, oltre ad essere l’autore delle suddette raffigurazioni presenti nei pennac­ chi della cupola della cappella Grego­riana, è anche l’auto­ re delle immagini nelle lunette della medesima cupola. In queste ultime sono visibili le se­guen­ti raffigurazioni di Maria Annun­ciata59 che, in dolce atteggiamento di meditazione sul­ la Parola di Dio, si china alla volontà del Signore che le è manifestata dal­l’Arcangelo Gabriele, splendente nella nuvola dorata e po­sto nella lunetta di fronte, e le raffigurazioni dei profeti Ezechiele e Isaia. Per la cupola invece non si conosce il progetto del Mu­ ziano; i documenti dell’Archivio Storico della Fab­brica di San Pietro riportano solamente il resoconto di quanto venne successivamente eseguito per la decorazione della cappella, a partire dal 7 maggio 1604 quando ven­ne pagato mastro Pietro Paolo Bernascone, monizioniere del mosaico alla Fab­ brica di San Pietro, per la consegna di «280 palmi quadra­ ti di mosaico fatto per la Cap­pella Gregoriana»60; e ancora nel 1628 quando il pittore Giovanni Baglione viene pagato «per il sopra porto fatto» nella medesima cappella; l’artista viene saldato il 29 aprile del 1630 con 200 scudi per i di­ versi lavori di pittura ivi eseguiti, conclusi definitivamente nel 163161. Certamente la decorazione musiva della cappella doveva essere risultata straordinaria se il 22 agosto del 1605 veniva stilato un atto notarile tra la Fabbrica di San Pietro e Pietro Pomo­doro, fornitore di smalti, che veniva invitato a consegnare, per «i lavori da farsi per la cupola grande», «smalti d’oro e turchini buoni», che dovevano essere «simili nella loro perfezione a quelli della Cappella Grego­riana» e che dovevano essere realizzati «con tagliatura minuta»62. Il lavoro effettuato nella cappella veniva dunque preso come esempio di lavoro ben eseguito e ottimamente riuscito. Da lì in poi si continuerà a lavorare per le altre cappelle di San Pie­ tro partendo dall’esperienza e dal modello della Gregoriana.

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Intanto Carlo Maderno il 17 dicembre del 1620 faceva realizzare da mastro Giovan Battista Ricci da Novara, pit­ tore, alcune decorazioni in stucco dorato per il lanternino della cappella Gregoriana: «stucchi finti, e chiaro scuri in dorati, costole, cherubini, festoni finti di stucco, campi indo­ rati, fogliami finti di stucco in campo d’oro; e più nel colmo della volta l’ornamento in stucco finto dorato, ed un angelo colorito in campo azzurro con corona in mano indorata»63. Francesco Inverno indoratore invece nel 1628 veniva incari­ cato di mettere l’oro all’organo della cappella Gregoriana64, mentre nel 1653 il pittore Guido­baldo Abbatini veniva paga­ to dal Bernini, dall’economo Ghetti e dal soprastante Pietro Paolo Drei «per le pitture fatte nel lanternino della medesi­ ma Cupola»65. Il tempo trascorreva e naturalmente i mosaici subivano alterazioni di ogni genere: dal semplice deposito di polve­ re alla perdita di qualche frammento che veniva via per le motivazioni più diverse. Ed ecco quindi che già nel 169166 il

mosaicista Giuseppe Michele Conti veniva incaricato di la­ vare, pulire e risarcire alcune parti della cupola Gre­goriana, in particolare il mosaico del fregio di essa67. E an­co­ra, il 18 marzo 1711 Tommaso de Rossi, mosaicista, ri­sarciva in di­ versi luoghi li «musaici nella Cuppola della Cappella Gre­ goriana»68. E addirittura il 27 aprile 1712 l’artista riceveva denaro «per il riattamento di musaico mi­nuto ch’era caduto, e stava per cadere in quattro spartimenti della Cuppola della Cappella della Madonna Santissima, detta la Gregoriana»69. Anche il mosaico dun­que si ri­velava agli occhi di quanti lo avevano preferito al­la pittura meno resistente di quanto si credesse70. Nonostante la mancanza del progetto cinquecentesco del Muziano per la calotta interna della Cupola della Gre­goriana, i mosaici presenti attualmente nella calotta, eseguiti nel xviii secolo, si riferiscono comunque alla Ver­gine e si integrano del tutto con lo schema iconografico generale della cappella. Per necessità furono adattati alle partizioni architettoniche

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San Pietro in Vaticano

Le immagini mariane nell’arte musiva della basilica A fronte: 177. Basilica vaticana, cappella Gregoriana, cupola.

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della sua superficie, con gli otto scomparti cuneiformi tra i costoloni, all’interno dei quali vennero collocati quadrilate­ ri e tondi. I quadrilateri rappresentano stelle a chiaroscuro contro un fondo dorato, mentre nei tondi vi sono simboli mariani tratti dalle Litanie Lauretane71 e da altre immagini bibliche: il sole, l’Arca dell’Alleanza, la luna, il pozzo, la pal­ ma di Cades, il cipresso, il tempio e la torre. Alcune ghirlan­ de legano fra loro i tondi, conferendo alla cupola una nota festosa, al pari degli angeli e dei cherubini librati in volo, sparsi fra le nuvole72. Ma nel xviii secolo non vennero realizzati solo i mosaici per la calotta della cupola, ma vennero anche rifatti gli al­tri mosaici presenti nella cappella Gregoriana. Infatti il 29 mar­ zo del 1756 mons. Marcantonio Marco­lini, allora economo e segretario della Fabbrica di San Pietro73, dopo un’attenta visita generale della basilica, scriveva che «nella cupola del­ la Cappella Gregoriana tutti e quattro gli angoli risulta[va] no calcinati e cadenti»74. L’opera del Muziano, che era costi­ tuita da migliaia di palmi, era dunque rovinata e bisognava restaurarla. Non ritrovando più i cartoni del Muziano, in un primo mo­mento venne giudicato idoneo a copiare le opere del suddetto artista il pittore Giuseppe Pozzi75, che avrebbe do­ vu­to dunque restaurare la cupola medesima. Solamente però il 4 agosto 1765, l’allora «direttore delle pitture di mosaico» Salvatore Monosilio vide i «quattro bozzetti in tela da impe­ ratore dipinti dal quondam Giuseppe Pozzi», che si dovevano porre in mosaico nei quattro angoli della cappella Gregoriana. Essi erano composti da quindici pezzi di disegni, che rappre­ sentavano gli studi dei detti angoli, e due quadri «in tela da testa» rappresentanti due paliotti d’altari istoriati di figure. I bozzetti vennero allora valutati la somma di 300 scudi76. Ma Francesco Prezadio e Francesco Caccianiga, entrambi pittori accademici, il 22 luglio 1769 vennero chiamati a valutare un quadro dipinto a olio, in forma di un angolo, realizzato da un altro pittore, Nicola La Piccola77, per la cappella Gregoria­ na e rappresentante San Gregorio Nazianzeno. Lo trovarono «eseguito perfettamente con ogni studio, sia di disegno, che di colorito». Affidarono quindi a lui invece che al Pozzi, peraltro ormai defunto, il lavoro il 18 aprile del 1770 per un totale di 500 scudi78, incaricandolo an-che del secondo angolo raffi­ gurante San Gregorio Magno. Entrambi vennero conclusi alla fine del 1770. Il 23 marzo del 1771 in Congregazione stabili­ rono di dare all’artista altri 200 scudi per fare anche il terzo angolo rappresentante San Basilio Magno. E l’11 aprile 1772 gli consegnarono ancora altri 200 scudi per il quarto angolo della cap­pella Gregoriana rappresentante San Girolamo79.

Sempre a Nicola La Piccola nel maggio del 1776 venne affidato il cartone per il sordino rappresentante la Santissima Annunziata da porsi in mosaico nella cupola della Gregoria­ na80. L’autore dovette rifare anche l’Ar­cangelo Gabriele e i Profeti, Ezechiele e Isaia81. Intanto il 12 dicembre 1775 Michelangelo Simonetti, allora architetto misuratore della Fabbrica di San Pie­tro, su ordine di mons. Caffarelli, allora economo e se­gre­tario della medesima istituzione, vide i cartoni dipinti dal signor Salvatore Monosilio. Essi rappresentavano angeli e putti con festoni di fiori al naturale, e allegorie o simboli maria­ ni che servivano per essere trasposti in mo­saico nella ca­ lotta interna della cupola Gregoriana; es­sendo questi stati terminati potevano essere pagati all’artista82 e trasposti in mosaico. L’effetto finale era straordinario: gli angeli sparsi a profusione negli spazi della calotta diffondevano il sen­ so dell’arcano che è nell’invocazione a Maria, Regina degli angeli, ed esaltavano la fi­gura della Vergine. In particola­ re, le allegorie della litania pittorica traevano origine sia da formule devozionali sia da figure bibliche tradizionalmente associate a Maria. Ivi era rappresentata quell’oratio fidelium o preghiera che cantava e che canta ancora oggi l’azione di Dio in Maria e nella Chiesa83. La decorazione musiva della cupola della cappella Grego­ riana era finalmente terminata.

la

La cappella Clementina: ­ Visita della Vergine a Santa Elisabetta

Nella basilica di San Pietro esistono altre parti, natural­ mente sempre realizzate in mosaico, dedicate alla Ver­gine Maria. Una fra le tante, che peraltro segue cronologicamente l’esecuzione dei mosaici della cappella Gre­goriana, è quel­ la dedicata al racconto evangelico della Vi­sita della Vergine a Santa Elisabetta nella cappella Cle­mentina. La cappella, voluta da Clemente viii Al­dobran­dini84, fa parte del grande quadrilatero michelangiolesco. Costruita «di rincontro alla Cappella Gregoria­na»85, prevedeva però un diverso progetto iconografico. In essa, soprattutto nella cupola, i mosaici do­ vevano esprimere gli ornati e le armi del suddetto pontefice. Ma nei sordini, posti sopra l’altare di San Gregorio, è raffi­ gurato ancora una volta un episodio mariano: l’esalta­zione di Maria con la Visita e il Magnificat. Nardo Cocchi, «bicchieraro» e fornitore di smalti per i lavori della cupola grande vaticana, il 16 aprile del 1601 sti­

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Le immagini mariane nell’arte musiva della basilica

pula un contratto con la Fabbrica di San Pietro per la for­ nitura di smalti «d’ogni colore et d’oro, buoni et perfetti e risplendenti per la Cappella Clementina et altri la­vori che fossero necessari in San Pietro»; egli inoltre do­veva forni­ re, unitamente agli smalti, anche lo stucco, in mo­do che la Fabbrica non dovesse fare altro che i ponti e gli «arricciati dei muri». Egli però consegna anche la ri­cetta dello stucco così descritta nei documenti: «la materia dello stucco sarà di calce bagnata e impastata con polveri di marmo e olio di semi di lino e mangiata bene fino a che ne sia uscita l’acqua lasciandolo stare tre o quattro giorni; fatto ciò va ben purga­ to dall’acqua e prima che si metta nel muro si pigli olio vile bollito e si bagni con esso il muro, acciò si attacchi bene e non si stacchi dal muro»86. E con una tale tecnica dal 12 aprile 1601 al 27 marzo 1603 lavorarono i pittori e mosaicisti Paolo Rossetti e Cri­stofaro delle Pomarancie che eseguirono i cartoni preparatori della Vergine e di Santa Elisabetta. La loro trasposizione in mo­ saico venne portata avanti da Paolo Rossetti e da Ludovico Martinelli87, unitamente al mosaicista Ranuccio Semprevivo che il 28 settembre 1601 era proprio impiegato nel lavoro della lunetta dove è raffigurata la Madonna88. Andrea Are­ tino, intanto, come soprastante del mosaico, il 18 aprile del 1603 riceveva denaro per «la valuta di oncie doi, et drame 3 di azzurro dato al Christoforo delle Pomarancie»89. L’episodio mariano era dunque ben riuscito, artisticamen­ te parlando, ma già nel 1692, e precisamente dal 24 genna­ io 1691 al 25 gennaio 1692, il mosaicista Giu­seppe Michele Conti veniva pagato dalla Fabbrica di San Pietro per aver rinettato e pulito ma anche risarcito i due sordini (lunette) della cupola di San Gregorio o Clemen­tina, che sono sopra l’altare, raffiguranti Santa Elisabetta e la Madonna con San Giuseppe90.

La cupola grande vaticana: la Vergine Maria

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178. Basilica vaticana, cappella Clementina, lunette, Santa Elisabetta e la Madonna con San Giuseppe.

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Un’altra immagine mariana presente nella basilica di San Pietro è quella della Vergine Maria inserita in uno scomparto cuneiforme tra i costoloni della cupola grande vaticana. Essa venne realizzata prima in disegno e in cartone da Giusep­ pe Cesari, detto il Cavalier d’Ar­pino, tra il 1607 e il 1610; poi venne riprodotta in mosaico da Orazio Gentileschi nel 161091. La Vergine è raffigurata seduta su un insieme di nuvole con dietro uno sfondo dorato; indossa un abito color rosso

chiaro ricoperto per tre quarti da un velo azzurro, ed ha il volto e lo sguardo rivolti verso la sua sinistra. Accanto all’im­ magine mariana è ritratta la figura di San Pietro.

La cappella della Presentazione della Vergine La cappella della Presentazione della Vergine occupa la seconda campata della navata meridionale della Basilica di San Pietro e presenta sul suo altare la pala della Presenta­ zione di Maria al Tempio. La storia della sua decorazione inizia nel 1626, quando la Congregazione della Fabbrica di San Pietro assegnava ai cappellani della santa memoria di papa Innocenzo viii Cibo92 un altare in San Pietro, «acciò vi potessero celebrare et satisfare alle messe et altri obblighi impostoli nella fondatione della lor Cappella che fece quel Santo Papa». In seguito a questa concessione i cappellani in­ nocenziani, sempre nel medesimo anno, chiesero ai cardinali della Fabbrica che si dipingesse «in detto altare il quadro della Santissima Madonna della Presentatione, in memoria dell’immagine che vi era alla Cappella del suddetto papa in San Pietro vechio»93. I cardinali risposero affermativamente alla richiesta dei canonici che per lungo tempo si erano op­ posti alla decisione della reverenda Fabbrica di estendere il ciclo delle storie di San Pietro anche alle navate costruite dal Maderno; il Capitolo voleva infatti assicurare al nuovo San Pietro una continuità con l’antica basilica, dedicando i nuovi altari alle stesse figure alle quali erano già stati dedicati quelli antichi94. Il tema scelto per la decorazione musiva non proviene dai libri canonici, ma è tratto dai Vangeli apocrifi: il Protovange­ lo di Giacomo e il Vangelo dello Pseudo Matteo. Tali testi95 raccontano la storia di Maria che a soli tre anni fu portata al Tempio dai suoi genitori, Gioacchino e Anna, per essere consacrata a Dio. Per salire all’altare degli olocausti, situato all’esterno del Tempio, bisognava fare quindici gradini, cor­ rispondenti ai salmi graduali che il popolo d’Israele cantava quando ivi saliva. Maria salì quella scala, tutta sola, senza l’aiuto di nessuno e senza voltarsi verso i genitori. L’episodio, narrato appunto dagli Apocrifi, trovò posto nella storia della spiritualità come modello di consacrazione a Dio96. La prima raffigurazione del suddetto racconto nella ba­ silica di San Pietro è stata realizzata da Domenico Cresti, detto il Passignano97, tra il 1626 e il 162798. In particolare il 6 dicembre del 1627 pagarono all’artista 1000 scudi per aver terminato l’icona99.

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Le immagini cristologiche

Le immagini mariane nell’arte musiva della basilica

attraverso una lettura documentaria

A fronte: 179. Basilica vaticana, cupola grande, La Beata Vergine Maria. 180. Basilica vaticana, cappella della Presentazione della Vergine, Presentazione di Maria al Tempio, pala d’altare, parete sud.

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Il dipinto, eseguito a olio sul muro, andò però presto perduto, a causa della tecnica di esecuzione100. Si dovette dunque procedere a una raffigurazione sostitutiva. L’artista incaricato di realizzare il nuovo cartone fu Francesco Roma­ nelli101, che nel 1638 ebbe il mandato di dipingere l’Historia della rappresentazione della Madonna102. Egli terminava il la­ voro il 29 agosto del 1642103 e il 13 novembre del medesimo anno veniva saldato; sempre nel 1642 Marcantonio Inverno procedeva all’indoratura della cornice da porre intorno all’o­ pera. Il dipinto rimase nella basilica vaticana fino al 1728, quando la grande tela venne portata, con altre opere, nella basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma, dove i grandi spazi parietali potevano ospitare le opere vaticane. Al suo posto venne sistemata una copia in mosaico realizzata dal mosaicista Pietro Paolo Cristofari, che la iniziò il 17 dicem­ bre del 1726 e la concluse il 23 luglio del 1728104, ricevendo come ricompensa per il suo lavoro la somma di 300 scudi105. Le dimensioni del quadro erano sempre le stesse del pre­ cedente, ma la composizione era più fredda, a motivo della debolezza degli effetti cromatici, e risultava piuttosto acca­ demizzante e poco sciolta nelle figure. Tra il dicembre del 1725 e il settembre del 1726 Luigi Vanvitelli fece un’altra copia della pala d’altare del Romanelli per altri 300 scudi106. La cappella però non presenta solamente la pala d’altare dedicata alla Madonna, ma anche una serie di raffigurazioni mariane che, attraverso figure, simboli e fatti, preannunciano la maternità della Vergine. Infatti la cupola del vestibolo della cappella è una glorificazione di Maria, a motivo degli affreschi di soggetto maria­ no distribuiti nella volta, nelle lunette e nei pennacchi. I fatti di Giuditta, che salva il suo popolo, di Giaele che trafigge Sisara; e poi di Giosuè che ferma il sole e di Elia che guarda la nuvoletta che si trasformerà in pioggia, sono rappresentati per esaltare i trionfi della Vergine. Le scene sono raffigurate nelle lunette. Altri simboli mariani, presenti nei pennacchi, alludono sempre alla figura della Madonna: Maria, la sorella di Aronne, canta la liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù dall’Egitto; Mosè scioglie i suoi calzari dinanzi al roveto ardente; Noè si affida all’arca di salvezza; Aronne in­ censa l’Arca dell’Alleanza; l’indovino pagano Balaam addita la stella di Giacobbe. La chiave di lettura delle immagini di questo contesto è la divina maternità di Maria, fonte di sal­ vezza per tutti. Gli autori di questo scorcio di teologia mariana sono stati il bolognese Carlo Maratta (1625-1723) e Giuseppe Bartolo­ meo Chiari (1654-1727). Da essi sono stati preparati i dise­

gni, che furono tradotti in mosaico dai maestri dello Studio del Mosaico Vaticano: Fabio Cristofari, Giuseppe Conti e Giuseppe Ottaviani. In particolare tra il maggio e il luglio del 1681 mastro Gia­ como Borzatti veniva pagato dalla Fabbrica di San Pietro per «250 tavole di albuccio grosse» per fare il «ponte reale» per la cupola della Presentazione della Vergine. La struttura ser­ viva al pittore Carlo Maratta che doveva ivi lavorare107. Nel settembre del 1681 mastro Cosimo Rustichelli, stuccatore, preparava intanto già gli stucchi per il Maratta108, che il 24 novembre del medesimo anno iniziava i lavori per gli angoli della cupola109. Tra il dicembre del 1683 e il novembre del 1688 il Maratta lavorava ancora ai cartoni dei triangoli della cupola, dei sordini, e del tamburo110, per i quali il 25 gen­ naio 1690 veniva intanto ricompensato con 2.500 scudi111. Ma non aveva ancora terminato l’intero lavoro a lui affidato. Egli, infatti, aveva sì consegnato gli esemplari per la testitudine della cappella della Presentazione della Vergine Maria, ma non l’aveva ancora ultimata, se non nelle parti inferiori di

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San Pietro in Vaticano

Le immagini mariane nell’arte musiva della basilica

181. Basilica vestibolo della cappella 181.vaticana, Basilica vaticana, vestibolo della cappella della della Presentazione della Vergine, Presentazione della Vergine,cupola. cupola.

il Maratta108, che il 24 novembre del medesimo anno iniziava i lavori per gli angoli della cupola109. Tra il dicembre del 1683detta e il novembre 1688 il Maratta ancocappella112.del Il 13 novembre dellolavorava stesso anno gli viene ra ai cartoni dei triangoli cupola, deiJosefo sordini, del assegnato quindi undella aiuto, il pittore De eComitibus. 110 , per quali il 25 gennaio 1690 veniva intanto tamburoNel 1704i lo troviamo ancora a dipingere i cartoni della Pre111 113 . Ma non aveva, per ancora ricompensato condella 2.500 scudia Monte sentazione Vergine Cavallo i quali nel terminato l’interodello lavoro a lui affidato. ave-egli in­ settembre stesso anno ricevevaEgli, altri infatti, 1000 scudi: va sì consegnato gli esemplari percartoni, la testitudine dellaistoria­ fatti aveva dipinto altri cinque di cui quattro cappellati della Vergine ria, ma per la e uno Presentazione con «l’ornamentodella di palme, gigli Ma e cherubini non l’aveva ancora ultimata,della se non nelle parti inferiori bocca del lanternino Cupola della Presentazione». In Il 13 novembre stessoe Giovan anno gliBattista di detta particolare cappella112i. cardinali Francescodello Barberini viene assegnato quindi unnel aiuto, il Quirinale pittore Josefo Spinola erano andati palazzo a vedereDe le opere Comitibus. Nel 1704 ancora a dipingereeile ave­ del Maratta che lo ivi troviamo si lavoravano e si conservavano 114 cartoni della Presentazione Vergine a Monte Caval vano «trovate eseguitedella a dovere» . Ma il lavoro era lungo e 113 i quali enel settembre stessodaanno lo , perfaticoso il Maratta non dello ce la faceva solo.riceveva Il pontefice al­ altri 1000 scudi: egli infatti aveva dipinto altridel cinque lora, per velocizzare l’operazione, il 6 aprile 1707 invita­ cartoni, va di acui quattro«subito istoriati e unoaltra condilazione «l’ornamento fabbricare e senza li musaici che di palme, gigli e cherubini per la Maratti bocca del lanternino desiderava il signor Cavalier di quel colore nuovo della Cupola della particolare i cardi- come [...]»115 e l’8Presentazione». febbraio del 1708Indisponeva di destinare nali Francesco Barberini e Giovan Battista Spinola altro aiuto del Maratta il pittore Giuseppe Chiarierache inizia no andati nel apalazzo Quirinale vedere le opere del e ter­ subito collaborare con lui.a Egli doveva proseguire Maratta minare che ivii sicartoni lavoravano e si conservavano e le avedella cupola della Presentazione. Il 15 feb­ 114 .veniva Ma il saldato lavoro per eralalunvano «trovate eseguite a dovere» braio del 1713 Carlo Maratta consegna go e faticoso il Maratta non ce la faceva da solo. lodati, Il pon-mentre degli eultimi cartoni, approvati e ampiamente tefice allora, per velocizzare l’operazione, il 6 aprile edel la cupola della Presentazione veniva proseguita ultimata 116 1707 invitava a fabbricare senza dilazione dal signor Giuseppe «subito Chiari ,eche era altra diventato nel frattem­ li musaici desiderava ildeisignor di po che il soprintendente lavori Cavalier di mosaicoMaratti per la medesima 117 e l’8 febbraio del 1708 dispo- il suo quel colore nuovo [...]» cappella . Egli il 115 5 marzo 1714 concludeva finalmente neva di destinare come altro il pittore lavoro, consegnando gliaiuto ultimidel tre Maratta bozzetti fatti in tre quadri Giuseppe Chiari che inizia subito a della collaborare rappresentanti l’Incoronazione Vergine con con lui. la Caduta 118 Egli doveva proseguire e terminare i cartoni della cupodi Lucifero . la della Presentazione. Il dell’Archivio 15 febbraio lo delritroviamo 1713 Carlo Ma-ma più Nei documenti ancora ratta veniva per la consegna ultimiquando cartoni,gli ven­ tardi,saldato e precisamente il 5 apriledegli del 1727, approvati e ampiamente lodati, la di cupola della per le gono pagati scudi 300 per ilmentre rimborso tante spese Presentazione proseguita dallosignor cibarie, veniva per un calesse e per etreultimata uomini che avevano ac­ era diventato nel da frattempo il so- «per Giuseppe Chiari116, che compagnato ad andare e a tornare Roma a Urbino printendente dei nella lavori di mosaico per la medesima collocare Cuppola della Cattedrale di detta capcittà li car­ 117 Eglidella il 5 cupola marzodella 1714Presentazione concludevadella finalmente il pella . toni Basilica Vaticana suo lavoro, consegnando gli ultimi tre bozzetti in tre in conformità del Chirografo segnato dallafatti Santità di N. S. quadri rappresentanti della Vergine con Fa­ [...]»119. Intanto l’Incoronazione già dal 16 settembre 1682 il mosaicista . la Caduta Lucifero biodiCristofari118aveva iniziato a trasporre in mosaico diverse Nei documenti lo ritroviamo ancora più della parti neidell’Archivio pilastri del tamburo, nel fregio e nelloma zoccolo 120 tardi,182e precisamente il 5 aprile del 1727, quando cupola della Presentazione della Beata Vergineviene . L’allora pagato scudi 300eper rimborsodegli di tanti spesi cibarie, era il fornitore fabbricatore smalti perper la Fabbrica per calesse e perScipione tre uomini che lo accompagnasignore Santucci cheavevano si adoperava per le refusioni to ad andare e a tornare da Roma a Urbino e gli accrescimenti degli smalti vecchi e«per nuovicollocache servivano 121 re nella Cuppola della Cattedrale di della dettaPresentazione città li cartoni per la decorazione della cupola . Di lui della cupola Presentazione dellaper Basilica Vaticana si servìdella naturalmente il Cristofari realizzare i mosaici dei

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Le immagini cristologiche

Le immagini mariane nell’arte musiva della basilica

attraverso una lettura documentaria

A fronte: 182. Basilica vaticana, vestibolo della cappella della Presentazione della Vergine, cupola, particolare con La Vergine incoronata.

quattro triangoli del tamburo, del fregio e dei sordini del­ la cupola fino al dicembre del 1688122, quando concluse il suo lavoro123. Intanto, già il 6 ottobre del 1689 il mosaicista Giuseppe Michele Conti risarciva i sordini della cupola124, terminando una prima parte del suo lavoro nel luglio del 1690125. Egli ricomincia a lavorare nel settembre del 1704 per l’occhio del lanternino della cupola126, dove doveva fare le teste dei cherubini con palme e rose e dove stava realizzan­ do il cartone con la Beata Vergine127. Il 24 settembre del 1710 il suo lavoro era concluso128, anche se il 30 settembre 1711 risulta ancora pagato «per havere scompartite, disegnate, e dato il mordente, e dopo indorate, dato il chiaro scuro a 36 lettere, e a 2 fiori che sono nel fregio in campo turchino sotto l’occhio del lanternino della Cupola della Presentazione»129. Il 20 marzo 1720 lo troviamo ancora impegnato nella stra­ ordinaria recognizione per «l’assistenza che prestava ai mo­ saicisti, che lavoravano sempre per la medesima cupola»130. Un documento dell’Archivio datato 12 luglio 1725 riporta in particolare il quadro di tutti i mosaicisti che avevano lavorato per la cappella della Presentazione della Vergine: da Giuseppe Conti a Leopoldo del Pozzo131, da Domenico Gossoni132 a Matthia Moretti133, da Giuseppe Ottaviani134 a Matthia de Rossi135 e a Prospero Clori136, ciascuno dei quali vi lavorò per ordine di monsignor Sergardi137. A quella data la cappella era ormai finemente decorata e tutti i pellegrini la potevano ammirare nella sua bellezza. Nel 2004 è stato effettuato un paziente e delicato restauro dei mosaici nella cupola della cappella della Presentazione della Vergine. Ciò grazie alle maestranze dello Studio del Mosaico della Fabbrica di San Pietro che già in passato aveva con­ dotto simili interventi conservativi sulla cupola del vestibo­ lo della cappella del Santissimo Sacramento (1992) e sulla cupola del vestibolo della cappella della Pietà (1998). L’in­ tervento è stato determinato dalla esigenza di arrestare l’e­ ventuale caduta di tessere e di consolidare le parti degradate del mosaico. Un’attenta analisi dello stato di conservazione dell’opera aveva infatti evidenziato la necessità di un restau­ ro, soprattutto per quelle sezioni della volta che presentava­ no sollevamenti del mosaico, o fenomeni di decoesione dello stucco e della malta di allettamento. A completamento delle menzionate opere di risanamento è stata effettuata una puli­ tura dell’estesa superficie musiva (circa 250 metri quadrati), annerita e velata dal fumo e dai depositi di sostanze grasse e di polvere. L’iscrizione alla base della lanterna, sulla sommità della cupola a circa 43 metri di altezza, recita così: respexit hu-

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– dispersit superbos: Ha guardato alla mia umiltà – ha disperso i superbi, è tratta dal Magnificat (Lc 1,48-51) e annuncia in maniera evidente il tema iconografi­ co mariano che domina tutta la cappella. In una grandiosa scena piena di vita e di colore la Vergine è rappresentata tra uno stuolo di angeli nella visione apocalittica della «Donna rivestita di sole con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di stelle» (Ap 12,1). Alla sua destra l’Eterno Padre, sorretto da una schiera di angeli tra le nubi del cielo, la bene­ dice. A questa scena si contrappone la vivace raffigurazione, anch’essa ispirata all’Apocalisse (Ap 12,10), dove l’arcangelo Michele e la milizia celeste sconfiggono Lucifero e gli spiri­ ti ribelli. Grazie ai lavori di restauro l’intera decorazione di questa cupola, da sempre apprezzata per la forza espressiva e la bellezza delle immagini e per la varietà della composi­ zione, ha riacquistato lo splendore di un tempo, tornando a celebrare la gloria di Maria e la liberazione della Chiesa dai suoi persecutori138.

militatem meam

La pala d’altare della cappella del Coro: L’immacolata con i Santi Francesco, Antonio da Padova e Giovanni Crisostomo Per completare il ciclo delle raffigurazioni mariane non poteva mancare nella basilica di San Pietro l’immagine dell’Immacolata Concezione. I documenti raccontano che già Sisto iv Della Rovere139 aveva voluto dedicare l’altare del­ la cappella del Coro nell’antica basilica di San Pietro a questa immagine, e precisamente l’8 dicembre del 1479, per esaltare il momento di privilegio eccezionale che pone la bellezza di Maria al di là di ogni immaginazione o contemplazione. Rea­ lizzando ciò Sisto iv esprimeva la sua devozione verso la Ver­ gine Immacolata, devozione in piena sintonia con le posizio­ ni tradizionali dell’ordine francescano. Egli volle infatti che vicino all’Immacolata venissero raffigurati i Santi Francesco e Antonio, per ricordare che l’Ordine Francescano era, per tradizione, in favore della Concezione Immacolata di Maria, difendendo fortemente la tesi, al punto che i frati vollero es­ sere considerati, già fin dai primi tempi, i cavalieri dell’Im­ macolata, vincolati con voto speciale alla difesa di questo «privilegio», più che eccezionale, unico, avuto da Maria in previsione dei meriti della redenzione di Cristo. Quando si costruì il nuovo San Pietro, anche la cappella Sistina del coro fu rifatta. Ne fu dato l’incarico a Carlo Maderno nel 1607 e la nuova cappella fu ancora dedicata all’Immacolata. Così

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San Pietro in Vaticano

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Le immagini mariane nell’arte musiva della basilica

183. Basilica vaticana, cappella del Coro, L’Immacolata con i Santi Francesco, Antonio da Padova e Giovanni Crisostomo, pala d’altare, parete sud.

184. Basilica vaticana, cappella della Madonna della Colonna, Mater Ecclesiae, affresco, parete sud.

183. Basilica vaticana, cappella del Coro, L’Immacolata con i Santi Francesco, Antonio da Padova e Giovanni Crisostomo, pala d’altare, parete sud.

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volle Gregorio xv Ludovisi140 nel 1622, che fece ornare la nuova costruzione con stucchi dorati e con una pala d’altare raffigurante l’Immacolata. La Vergine si libra alta nel cielo, piena sintonia conintorno le posizioni tradizionali dell’ordine sostenuta da nubi, alle quali si attorciglia il serpen­ francescano. Egli infatti che vicino all’Im macolatail te infernale: ad essovolle la Vergine, serena e ferma, schiaccia venissero raffigurati i Santi e Anto nio, per ricorcapo, mentre gli angeli sonoFrancesco in ammirazione dinanzi alla loro dare Francescano perdue tradizione, regina.che Sull’Ordine lato sinistro della pala era, stanno Santi: unoinè favore della Concezione Immacolata di Maria, difendenSan Francesco, in atteggiamento di stupore contemplativo, do fortemente la tesi, al punto che i frati vollero essere l’altro è Sant’Antonio in atto di profonda venerazione, en­ considerati, già fin dai primi tempi, i cavalieri dell’Immatrambi sostenitori della dottrina dell’Immacolata. Quanto colata, vincolati conGiovanni voto speciale alla difesa di questo alla presenza di San Crisostomo nel mosaico, essa «privilegio», più che eccezionale, unico, avuto da Maria è motivata, più che dalla sua dottrina mariana, dal fatto che in previsione dei meriti della redenzione di Cristo. le sue reliquie vennero deposte sotto l’altare negli anni 1626Quando si costruì il nuovo San Pietro, anche la cappella 1628. Il grande patriarca di Costantinopoli è rivestito di abiti Sistina del coro fu rifatta. Ne fu dato l’incarico a Carlo liturgici. Le estremità dell’epitrachilio scendono lungo la sua Maderno nel 1607 e la nuova cappella fu ancora dedicapersona. In primo piano un angelo legge da un libro liturgi­ ta all’Immacolata. Così volle Gregorio XV Ludovisi140 nel co e regge rabdos, il pastorale da con due serpenti 1622, che ilfece ornare la nuovasormontato costruzione stucchi edorati portato abitualmente dal patriarca; la corona di questi è e con una pala d’altare raffigurante l’Immacolata. lì vicino, masiquasi d’abbandono, Giovanni La Vergine libra in altastato nel cielo, sostenutamentre da nubi, intorCrisostomo verso la ilVergine Immacolata braccia in no alle qualisolleva si attorciglia serpente infernale:lead esso la 141 atteggiamento di preghiera . Vergine, serena e ferma, schiaccia il capo, mentre gli anstoria della realizzazione di questa pala racconta che geliLasono in ammirazione dinanzi alla loro regina. Sul lato nel 1624 al pittore Simone Vovet, che supplicava la Congre­ sinistro della pala stanno due Santi: uno è San Francesco, gazione della Fabbrica di Sancontemplativo, Pietro di affidargli un èlavoro in atteggiamento di stupore l’altro Sanper la decorazione basilica, viene concesso di dipingere t’Antonio in atto didella profonda venerazione, entrambi sostenitori della dell’Immacolata. Quansistemata to alla pre il cartone perdottrina la pala d’altare che doveva essere nel­142 senza di cappella San Giovanni Crisostomo nel da mosaico, essa è la nuova del Coro . Il soggetto rappresentare motivata, che dalla sua essere dottrina fatto in un primopiù momento doveva Sanmariana, Pietro chedal guarisce 143 che le sue reliquie vennero deposte sotto l’altare negli con l’ombra ; in un secondo momento gli viene suggerito di anni 1626-1628. grandeper patriarca di Costantinopoli è dipingere «un’altraIlhistoria accompagnare la Pietà di Mi­ rivestito di abiti liturgici. estremità dell’epitrachilio chel Angelo» che allora era lìLe sistemata. E l’artista la realizza scendono lungo la sua 144 persona. In primo piano un angee la termina nel 1625 . La tavola raffigurava «Il sacrificio lo legge da un libro liturgico regge il rabdos, il pastorache Dio Padre riceve da Cristo,esuo figlio offertogli dalla Be­ le sormontato da due serpenti e portato abitualmente dal ata Vergine, con i misteri della Passione, e con San Francesco patriarca; la corona di questi è lì vicino, ma quasi in stae Sant’Antonio da Padova». to d’abbandono, mentre Giovanni Crisostomo solleva Ma nel 1627 l’artista, non essendo ancora stato pagato verso la Vergine Immacolata le braccia in atteggiamento della sua opera, scrive al Santo Padre e ai cardinali della di preghiera141. Congregazione della Fabbrica per richiedere il relativo rim­ La storia della realizzazione di questa pala racconta che borso, dovendo egli, di lì a pochi giorni, andare in Francia nel 1624 al pittore Simone Vovet, che supplicava la Conper servire ladella maestà del «RediCristianissimo», dal quale un era gregazione Fabbrica San Pietro di affidargli 145 stato chiamato . Il desiderio dell’artista era però quello di lavoro per la decorazione della basilica, gli viene concesessere pagato di più rispetto alle altre opere per le seguenti so di dipingere il cartone per la pala d’altare che doveva ragioni:sistemata prima di nella tutto nuova perché cappella aveva dovuto fare 142 doppia fa­ . Il sogessere del Coro tica inda quanto da principio era stato ordinato di rappre­ getto rappresentare in ungliprimo momento doveva esse143 per il quale aveva sentare Pietro guarisce conl’ombra l’ombra, ; in un secondo re San San Pietro cheche guarisce con fatto tutti igli disegni i cartoni necessari, e dopo invecehistogli fu momento vieneesuggerito di dipingere «un’altra

dre riceve da«vi Cristo, suo figlio offertogli Verordinato che esprimesse nuovo pensiero,dalla cioè Beata il sacrificio gine, coninoltre i misteri della Passione, e conlavorare San France sco e di Dio»; il pittore aveva dovuto nel muro, Sant’Antonio da Padova». proprio nel luogo destinato alla sistemazione dell’opera, nel Ma nel 1627 l’artista, essendodisagio ancorae stato pagatoil rigore dell’inverno, con non grandissimo incomodo, dellanon suaera opera, scrive al Santo Padre e ai lavorato cardinaliindella che successo al Guercino, che aveva tela, della Fabbrica per Infine, richiedere il relativo aCongregazione casa, e con tutte le sue comodità. perché dappririmborso, dovendo egli, diSan lì aFrancesco pochi giorni, andare in ma aveva dovuto realizzare e Sant’Antonio Francia per servire la maestà del «Re Cristianissimo», dal da Padova in abito di zoccolanti, poi, su successiva richie­ 145 . Il desiderio dell’artista era quale era stato chiamato sta, in abito da cappuccini. Il 17 giugno del 1627 egli viene però quello di essere pagato di più rispetto alle altre opefinalmente pagato con 1000 scudi146. Intanto, nella volta e re per le seguenti ragioni: prima di tutto perché aveva sulle pareti della cappella del Coro venivano rappresentati dovuto fare doppia fatica in quanto da principio gli era i «Misteri di gaudio intorno all’Immacolata», in una serie di stato ordinato di rappresentare San Pietro che guarisce quadri di stucco dorato realizzati dal novarese Giovan Batti­ con l’ombra, per il quale aveva fatto tutti i disegni e i carsta Ricci tra il 1622 e il 1627147. toni necessari, e dopo invece gli fu ordinato che «vi espriIl primo maggio del 1626 di di SanDio»; Giovanni Cri­ messe nuovo pensiero, cioèleil reliquie sacrificio inoltre il sostomo venivano solennemente traslate nella nuova cappel­ pittore aveva dovuto lavorare nel muro, proprio nel luola Coro, presso la navata sinistra della basilica di San delPie­ godel destinato alla sistemazione dell’opera, nel rigore tro e venivano poste in una grande arca marmorea romana l’inverno, con grandissimo disagio e incomodo, il che di granito grigio, racchiusa nell’altare. Ai precedenti non era successo al Guercino, che aveva lavorato patroni in tela, della cappella venneleallora aggiunto un altro perché Santo veramen­ a casa, e con tutte sue comodità. Infine, dapprite San realizzare Giovanni Crisostomo. Eglievenne infatti maimportante: aveva dovuto San Francesco Sant’Anto-

ria per accompagnare la Pietà di Michel Angelo» che allora era lì sistemata. E l’artista la realizza e la termina 2241625144. La tavola raffigurava «Il sacrificio che Dio Panel

nio da Padova in abito di zoccolanti, poi, su successiva richiesta, in abito da cappuccini. Il 17 giugno del 1627 egli viene finalmente saldato con 1000 scudi146. Intanto,

raffigurato successivamente, ai piedi della Vergine Immaco­ lata, vestito dei paramenti sacri della tradizione orientale, nella nuova grande pala d’altare, realizzata in mosaico nel 1745. Il pittore Pietro Bianchi148, che preparò il cartone, do­ vette raffigurare la Santissima Concezione con San Giovanni Crisostomo, Sant’Antonio da Padova e San Francesco149. Ma nel 1740 l’artista muore lasciando il lavoro incompleto. Il 29 giugno 1741 gli eredi vengono compensati con la cifra di 100 scudi per il lavoro effettuato dall’artista fino a quel momento. Nel marzo del 1744 il mosaicista Enrico Enuo150 riprende il lavoro e inizia la trasposizione in mosaico della tavola: l’artista dal 28 luglio del 1745, insieme al mosaicista Nicola Onofri, lavora alla metà di sinistra della pala151; nello stesso tempo altri due mosaicisti, Guglielmo Paleat e Giu­ seppe Ottaviani, trasponevano in mosaico la metà di destra della pala dell’Immacolata152, concludendo il lavoro in quello stesso anno. In seguito Pio ix apportò modifiche all’altare, in occasione della definizione dell’Immacolata Concezione di Maria. L’8 dicembre 1854, egli coronò con diadema aureo l’immagi­ ne dell’Immacolata. Per l’occasione nella cappella del Coro venne innalzato un imponente palco davanti alla pala d’alta­ re con l’immagine dell’Immacolata, per consentire al papa di compiere agevolmente la cerimonia dell’incoronazione della Vergine. Tale struttura lignea venne progettata e realizzata in 15 giorni dalla Fabbrica di San Pietro. Al termine della messa il papa, su invito dei canonici del Capitolo Vaticano, incoronò, proferendo un’apposita formula, l’immagine mu­ siva della Beata Vergine Maria con una corona d’oro adorna di preziose gemme. Questo memorabile giorno nella storia della basilica vaticana, della città di Roma e della Chiesa universale si conclu­ se con una illuminazione straordinaria della facciata, della cupola e di piazza San Pietro. Anche le strade e i palazzi di Roma vennero illuminati a festa con fiaccole e lanterne in modo suggestivo, singolare e incantevole. Infine Pio x nel 1904, nel cinquantesimo della ricorrenza, aggiungeva alla co­ rona un monile di dodici stelle di fulgidi brillanti153.

Essa si trovava nella basilica medievale dove era stata di­ pinta direttamente su una colonna di marmo «porta santa», per l’esattezza la terza colonna, entrando a sinistra della na­ vata centrale155. Quando venne demolita anche l’ultima parte dell’antica basilica nel 1607, nel giorno della Purificazione, l’immagine della Vergine fu segata dalla colonna e venne solennemente collocata nell’attuale altare decorato con preziosissimi mar­ mi. In particolare, un documento custodito presso l’Archivio della Fabbrica di San Pietro riporta un pagamento di scudi 77 e baiocchi 26 a favore di Mastro Giovanni Bellucci «fat­ tore» per diversi lavori eseguiti tra l’11 e il 17 gennaio, tra cui «il calare e il tirare fuori nel Cortile la colonna dove era la Santissima Madonna»156. Il fusto di quell’antica colonna di marmo portasanta fu allora segato, in modo da recuperare la

La cappella della Madonna della Colonna

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Nella cappella angolare di sud-ovest della basilica vatica­ na si venera ancora un’altra raffigurazione mariana: un’an­ tica immagine della Vergine, nota come Madonna della Colonna154.

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San Pietro in Vaticano

Le immagini mariane nell’arte musiva della basilica 185. Basilica vaticana, cappella della Madonna della Colonna, ­ San Tommaso d’Aquino, pennacchio sud, lato ovest. 186. Basilica vaticana, cappella della Madonna della Colonna, San Giovanni Damasceno, pennacchio nord, lato est.

sola parte con la venerata effigie della Vergine col Bambino. Le due colonne di porfido rosso dell’altare del 1579 rimasero invece nei depositi della Fabbrica di San Pietro, almeno fino al 28 marzo del 1613, quando la Congregazione generale del­ la Fabbrica di San Pietro, presieduta dal cardinale arciprete Evangelista Pallotta, ordinò all’architetto Ludovico Cigoli di vedere e dare un valore a quelle preziose colonne, che, se non necessarie alla basilica, potevano essere vendute157. Il 2 febbraio 1607 il frammento di colonna con la miracolosa immagine della Madonna fu solennemente portato nel nuovo tempio vaticano e fu collocato sull’altare, appo­ sitamente realizzato dall’architetto Giacomo Della Porta (1532-1602), nella cappella situata presso l’angolo sud-ovest della basilica, dietro il cosiddetto pilone di Santa Veronica. Il Grimaldi ci ha lasciato una minuziosa descrizione di tale cerimonia che si svolse alla presenza del cardinal Pal­ lotta, di numerosi chierici beneficiati e canonici di San Pie­ tro. Questi ultimi ebbero l’onore di portare il pesante carro con il frammento di colonna fino al nuovo altare, adorno di eleganti tarsie in marmi policromi e offerto alla basilica da «Ludovico Bianchetti di Bologna, uomo di singolare pietà, canonico di questa Basilica Vaticana e Prefetto di Palazzo di Gregorio xiii»158. Con la dedicazione di questo nuovo altare, voluto da Pa­ olo v, si costituì un significativo parallelo con l’opposta cap­ pella Gregoriana, dove Gregorio xiii159 aveva fatto portare l’altrettanto venerata immagine della Madonna del Soccorso del xii secolo proveniente sempre dall’antica basilica. La Madonna della Colonna fu poi solennemente incorona­ ta dal Capitolo Vaticano il 1° gennaio del 1645, precisamente nel secondo anno di pontificato di Innocenzo x, Pamphilj160. All’inizio del Settecento il prezioso frammento di colonna con l’effige della Vergine fu protetto con un cristallo inseri­ to all’interno di una cornice di «rame indorato a macinato» (non in foglia) realizzata da Ridolfo Pamphilj, come risulta da un mandato di pagamento del 18 marzo 1718161. Il 21 novembre 1964, a conclusione della terza sessione del Concilio Vaticano ii, papa Paolo vi Montini162, tra gli ap­ plausi dei padri conciliari, proclamò solennemente la Vergi­ ne Maria «Madre della Chiesa». L’iscrizione mater ecclesiae fu inserita nel 1970 sopra l’immagine della Madonna della Colonna, in una nuova targa, simile all’antica, con fasce e vo­ lute, specchio centrale in giallo brecciato, fascetta in nero del Belgio, specchi laterali in portasanta, broccatello e portoro. Dopo l’attentato del 13 maggio 1981 il papa Giovanni Paolo ii volle collocare all’esterno della basilica un mosai­

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co della Vergine Maria, ispirato all’antico e venerato dipinto della Madonna della Colonna – Mater Ecclesiae, testimonian­ za e pegno della materna protezione celeste sul papa e sulla Chiesa. Un pittore di Borgo realizzò allora il bozzetto per il nuovo mosaico, rimarcando le tenui forme della Madonna della Colonna. L’opera musiva fu successivamente realizzata in circa due mesi dai valenti maestri dello Studio del Mosaico della Fabbrica di San Pietro sotto la direzione del prof. Vir­ gilio Cassio. Il nuovo mosaico fu collocato sulla facciata superiore dei Palazzi Apostolici, verso piazza San Pietro. Le sue misure sono di 1,34 × 2,55 metri; la superficie è di 3,42 metri qua­ drati e l’intera opera è costituita da circa 50.000 tessere di smalti policromi. L’intensità dei colori e la proporzione delle figure è stata studiata in modo da garantire una chiara e ar­ moniosa visione da grande distanza. Nella parte inferiore del mosaico lo stemma del compianto pontefice e il motto totus tuus, ricordano la profonda devozione di Giovanni Paolo ii per la Madre Celeste. La Madonna della Colonna o Mater Ecclesiae è certamente una delle immagini mariane più ve­ nerate della basilica vaticana. Sopravvissuta alle demolizioni dell’antico San Pietro, vide il sorgere della nuova basilica e fu da sempre oggetto di grande venerazione e di particolare devozione da parte di molti pontefici. La Vergine, con sguardo dolce e sereno, sostiene amorevolmente il Bambino sorridente e benedicente. Un manto az­ zurro, ornato di leggeri ricami, le copre il capo e, chiuso sul petto con una fibula circolare, l’avvolge un manto solenne ed elegante. Nonostante le molte ridipinture, le lacune e i segni lasciati dal tempo, è possibile riconoscere dallo stile del di­ pinto l’opera di un anonimo artista del xv secolo. L’affresco non è però la sola immagine di Maria presente nella cappella della Madonna della Colonna, ma l’intero ciclo decorativo della cupola della cappella è anch’esso totalmente dedicato alla Vergine Maria. Con decreto del 13 gennaio 1631 il pittore Andrea Sacchi, per volontà del cardinale Antonio Barberini, viene incaricato di realizzare i cartoni per la «pittura di mosaico» degli angoli della cappella della Madonna della Colonna163. Il primo ad essere realizzato fu il cartone per San Tommaso d’Aquino nel 1631164. Ma già l’8 novembre del 1634 l’artista veniva pagato altri 50 scudi a conto del cartone di San Giovanni Damasceno che egli terminava nel 1635165. Tra il 1628 e il 1632 intanto Giovanni Lanfranco realiz­ zava i cartoni degli altri due dottori, San Bonaventura e San

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Cirillo, presenti nei pennacchi della volta della cupola166. I quattro Dottori vennero poi trasposti in mosaico dal mosai­ cista Giovanni Battista Calandra tra il 1631 e il 1636, rispet­ tivamente in ordine di tempo San Bonaventura, San Tommaso d’Aquino, San Cirillo e per ultimo San Giovanni Damasceno167. Nel frattempo nel 1634 il Calandra iniziava anche a fare il mosaico del fregio posto sopra i quattro dottori della cappel­ la della Madonna della Colonna168. Una decina di anni dopo, e precisamente nel 1643, venivano affidati al pittore Giovanni Francesco Romanelli i car­ toni per l’altare e per «li nicchi» (lunette) della suddetta cap­ pella169, per i quali veniva saldato nel gennaio del 1644170. Nel maggio dello stesso anno la Congregazione della Fabbrica gli affidava poi altri due cartoni raffiguranti due profeti, Re David e Salomone, per la stessa cappella171. E sempre nello stesso anno venivano tradotti in mosaico dal Calandra i car­ toni del Romanelli per le lunette e i pennacchi della volta della cupola172. Alla morte del Calandra, subentra nel suo incarico il pit­ tore-mosaicista Guidobaldo Abbatini173. Egli già nel 1645 inizia ad essere pagato per l’opera di mosaico rimasta imper­

fetta per la morte del suddetto Calandra174. Tra il 1645 e il 1649 l’Abbatini completa il profeta Salomone e il triangolo dove è raffigurato San Tommaso d’Aquino175, ma già nel 1652 l’artista doveva risarcire alcune parti della figura del re Salomone che «caddero sopra l’altare de Santi Leoni». Egli per il restauro venne pagato l’8 novembre 1653176. Intanto il 22 settembre 1669 si ha notizia dai documenti dell’Archivio dello smontaggio del ponte fatto per risarcire il mosaico della cupola della cappella della Madonna della Colonna e della consegna dei cartoni a palazzo Pamphilj in piazza Navona177. La decorazione dell’interno della cupola non era però ancora terminata. Infatti nel marzo 1720 troviamo il pittore Bonaventura Lamberti che lavora ai «tre cartoni da farsi per i sordini della Cappella della Colonna»178, mentre il 20 di­ cembre 1721 troviamo il pittore Nicola Ricciolini che inizia a rifare i cartoni per il mosaico della cupola della Madonna della Colonna179. Il Ricciolini si riforniva per il materiale dal cartolaro Giacomo Pellucchi che gli procurava «gesso da di­ segnare in punte e in pezzi, giallolino macinato a oglio, terra gialla brugiata, sponghe fine, biacca di Venetia macinata a oglio, terra gialla chiara, negro di carbone, terra gialla chia­

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Le immagini mariane nell’arte musiva della basilica A fronte: 187. Basilica vaticana, cappella della Madonna della Colonna, La Natività, lunetta sud, lato ovest.

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ra, scura, brugiata, verde, rossa, terra nera di Venezia, oglio cotto seccante, oglio di noce, lacca fina, ginapro schietto, az­ zurro di Francia, macinatura de suddetti colori, giallo Santo chiaro di Fiandra, pennelli diversi, tele diverse, pennelli di puzzola in penna grossa, pennelli di setola bianca, pennelli di seta e sfumatori»180. L’artista già il 25 maggio del 1735 chiedeva di essere pagato per i cartoni ultimati della cappella della Madonna della Colonna181 e il 25 marzo del 1736 otte­ neva il compenso per i suoi lavori eseguiti dal 20 dicembre del 1721 al 25 marzo 1736182. Dopo pochi anni dal completamento del lavoro del Ricciolini, e precisamente il 4 maggio 1742, la Fabbrica stipulava un contratto con un altro pittore, Giacomo Zoboli, che a sue spese doveva dipingere i cartoni della cupola della cap­ pella della Madonna della Colonna183. L’artista inizia subito a lavorare e il 30 marzo 1743, avendo già «compiuto l’ottava parte dei cartoni della suddetta cupola», chiede di essere pa­ gato per la realizzazione degli stessi con 378 scudi. Su istan­ za del card. Carlo Rezzonico, visitatore apostolico della Rev. da Fabbrica di San Pietro, l’architetto Filippo Barigioni si reca quindi allo studio del sig. Giacomo Zoboli che era in palazzo Farnese. Egli doveva infatti esaminare e valutare i «tre quadri grandi dipinti ad olio dal medesimo che uniti insieme formavano uno degli otto fili fra le costole di traver­ tino all’interno della volta della cupola della Madonna SS.ma della Colonna, che dovevano servire come cartoni originali per il musaico della cupola suddetta». In due di detti vi erano espressi un «Angelone panneggiato e colorito al naturale in campo d’aria, con alcune cornici finte a chiaro scuro bianco o giallo». Nel terzo quadro che in altezza arrivava fino all’occhio del lanternino vi erano «co­ loriti al naturale due grandi putti in campo d’aria fra i quali in alto vi [era] un riquadro di cornice gialla con una testa di cherubino alato alla cima e due cascate di festoni di gigli e rose dalli lati, e tanto nel mezzo del detto riquadro quanto in un altra cornice sferica fra li predetti due angeloni e nella lunetta sotto vi [erano] espressi diversi simboli allusivi alla SS.ma Vergine». L’architetto aveva trovato «del tutto termi­ nati i tre quadri, ben dipinti con ogni accuratezza e sopra ottime tele di perfetta imprimitura, con telaroni di castagno puliti, stabili e secondo l’uso d’Arte». Egli presentava del­ le riserve solamente sulla «pittura dei due festoni di gigli e rose» che, secondo lui, avevano necessità «di essere rifatti nuovamente o almeno ritoccati in maniera da accordarsi con il resto della pittura». Per il lavoro eseguito vennero concessi all’artista 375 scudi, ma per il resto del lavoro da farsi nella

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cupola, e cioè per «i diversi cartoni l’uno diverso dall’altro, compresovi le spese dei telai, delle tele e di tutti i colori ne­ cessari», gli vennero accordati altri 3000 scudi184, da pagarsi a rate alla consegna dei quadri finiti. Il pittore si era infat­ ti impegnato a portare a termine il lavoro in quattro anni, secondo lo schema approvato; ma la preparazione delle 32 grandi tele si protrasse più a lungo del previsto e con l’inseri­ mento di altri artisti. Ed ecco comparire il pittore Francesco Mancini che il 30 dicembre 1744 riceveva 200 scudi a conto di 450 scudi già avuti per la realizzazione dei cartoni prepa­ ratori delle «tre ottave parti» della cupola della Madonna della Colonna185. Alla data del 21 dicembre del 1746 erano passati già quattro anni e sette mesi e ancora il lavoro di Zoboli non era terminato. L’architetto Luigi Vanvitelli186 infatti aveva rico­ nosciuto che l’artista aveva terminato i tre cartoni che co­ stituiscono la quinta parte della cupola e stava terminando anche la sesta parte, ma mancavano ancora le parti settima e ottava, i geroglifici e alcune cornici di color giallo degli angeloni che dovevano essere fatte di stucco dorato187. Due anni dopo, nel luglio del 1748, l’artista era ancora impegnato nel suddetto lavoro nonostante i disegni dell’opera non fos­ sero stati inseriti nell’istromento stipulato con la Fabbrica e che non vi fosse l’approvazione del Cristofari188, già defun­ to, e che non avesse consegnato alla Fabbrica alcun pezzo di lavoro189. La preparazione delle trentadue grandi tele si era infatti protratta più a lungo del previsto e, solamente nel 1748 fu terminato l’ultimo dipinto. Tra l’altro la ripartizione della cupola in otto spicchi molto allungati impose al pittore uno schema assai rigido. Egli dovette così rinunciare a una composizione unitaria e ricorse, purtroppo, a uno schema in cui varia esclusivamente l’atteggiamento delle singole figure. Negli otto spicchi che dividono la cupola, infatti, sedici leg­ giadre figure di angeli sostengono i medaglioni con i simboli della Vergine derivati dalle Litanie Lauretane. Nella parte superiore altrettanti angeli, di più modeste dimensioni, reg­ gono quadri con simboli mariani come il cipresso – la porta del cielo, il vaso – la luna, lo specchio – la stella, la torre d’avorio – il tempio, l’anfora (o il vaso) – la colomba, il giglio – il pozzo, la fontana – l’incensiere e infine la scala coeli – il sole. Questi otto riquadri dal fondo dorato sono sormontati da graziose teste di cherubini dalle quali pendono eleganti festoni di rose e di gigli. In particolare gli angeli, tutti varia­ mente atteggiati, in campi d’aria azzurri e pieni di luce, con le vesti dai colori freschi e chiari, mostrano in modo evidente gli influssi dello stile del Maratta.

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Le immagini cristologiche

Le immagini mariane nell’arte musiva della basilica

attraverso una lettura documentaria

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Tra il 1751 e il 1756 i mosaicisti Liborio Fattori, Bernardi­ no Regoli e Pietro Polverelli traspongono in mosaico i cartoni dello Zoboli, ultimando così la decorazione musiva della cap­ pella della Madonna della Colonna190: l’iscrizione sull’anello alla base della lanterna della cupola reca infatti la data del 1757. Per il mosaico degli sfondi e dei riquadri del tamburo della cupola della suddetta cappella, invece, già il 24 luglio 1722 il mosaicista Francesco Fiani iniziava a risarcirne alcu­ ne parti in mosaico191. Ma i lavori si arrestano per proseguire solamente nel 1740, quando con lui lavorano anche i mosai­ cisti Enrico Enuo, Alessandro Cocchi, Liborio Fattori, Nicola Onofri e Pietro Cardoni192. Ripresi i lavori nel 1753 dopo una breve interruzione, vengono ultimati nell’aprile del 1755193.

Altre immagini mariane in Basilica vaticana Ma l’immagine mariana nella basilica di San Pietro è presente anche nelle diverse raffigurazioni del rosario, esistenti oltre che nella cappella Sistina per ben due volte, anche nel baldacchino del Bernini e nella cappella del SS. Sacramento: in essa infatti vi è una cancellata di bronzo dove è appeso un rosario, opera del Borromini194. È presente nelle grotte vaticane nelle raffigurazioni della Madonna esistenti nelle cappelle radiali proprio intorno alla

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tomba di San Pietro195: in particolare sono le immagini in af­ fresco rappresentanti la Madonna della Bocciata e la Madonna delle partorienti. Ma nelle stesse grotte sono anche presenti raffigurazioni musive della Vergine196. Esse sono in ordine cronologico: un antico frammento di mosaico rappresentante la Madonna con Bambino in trono fra due oranti su uno sfon­ do dorato, collocato fin dal 1631 tra la cappella delle Par­ torienti e la successiva (cappella Lituana) nel peribolo delle grotte; il mosaico raffigurante la Madonna di Czestochowa, sistemato nella cappella di Nostra Signora di Czestochowa della nazione polacca, che venne benedetto da Pio xii il 14 gennaio 1958. Il pontefice lo fece collocare sopra l’altare ad­ dossato alla parete di fondo della cappella. La domenica del 3 giugno 1958 veniva benedetta la cappella e veniva consacrato l’altare con un rito solenne celebrato dal cardinale Federico Tedeschini, allora arciprete della basilica. Sempre nelle grotte vaticane vi è ancora un’altra immagine mariana in mosaico ed è la pala d’altare della cosiddetta cappella della Madonna Lituana raffigurante Maria Mater Misericordiae. L’opera è stata realizzata dallo Studio del Mosaico della Fabbrica di San Pietro ed è stata inaugurata il 7 luglio 1970. I rivestimenti in argento sbalzato che formano la luna e il manto, la corona e i raggi attorno al capo della Madonna sono stati eseguiti dall’artista romano Angelo Bortolotti. La cappella Lituana, invece, è stata realizzata in onore di Maria

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San Pietro in Vaticano Alle pagine precedenti: 188. Basilica vaticana, vestibolo della cappella della Madonna della Colonna, cupola, particolare.

Le immagini mariane nell’arte musiva della basilica 190. Basilica vaticana, grotte vaticane, cappella della Madonna Lituana, Maria Mater Misericordiae, mosaico.

189. Basilica vaticana, grotte vaticane, La Madonna con Bambino in trono fra due oranti, peribolo, mosaico.

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Mater Misericordiae, venerata a Vilnius dal 1570 in memoria di tutti i lituani martiri per la fede e per la patria. Il 2 aprile del 2005 il card. Marian Jaworski celebrava una messa nella cappella Polacca e procedeva al rito dell’incoro­ nazione della Vergine con il Bambino; proprio quel giorno Giovanni Paolo ii si spegneva per sempre. L’ultima immagine mariana in mosaico presente nelle grotte vaticane è quella del mosaico di Nostra Signora di Guadalupe, patrona del Messi­ co e dell’America Latina. Essa è posta sulla parete di fondo della cappella omonima entro una cornice liscia d’argento ed è la fedele immagine della Vergine venerata nel Santuario di Guadalupe. Essa è stata realizzata dallo Studio del Mosaico nel 1992197. Altre immagini mariane sono presenti nelle diverse porte della basilica a coronare la devozione mariana così presente in San Pietro198. Ma per concludere non si può non ricorda­ re, anche se solamente in modo sintetico, la prima grande e assolutamente universale immagine di Maria che si incontra appena varcata la soglia della basilica di San Pietro in Vati­ cano: è la Pietà di Michelangelo, che attraverso la sua opera riesce a spiritualizzare l’immagine della Vergine al punto da renderla «divina»: sul suo volto non è possibile leggere alcu­ na emozione, è sereno, bello di una bellezza casta, che non ha mai subito la più lieve ombra del male199. La tematica trattata in tutte queste raffigurazioni illustra ampiamente tutta la vita di Maria che è rappresentata dal momento della nascita alla sua incoronazione in cielo. Tutto il suo mistero è contemplato in se stesso (Immacolata, Annunziata, Addolorata) e in rapporto ai figli a Lei affidati da Cristo: Vergine Madre e Regina di misericordia, Madre della Chiesa e Madonna delle partorienti. Questa preferenza data a Maria dall’arte in San Pietro porta in sé il segno della devo­ zione dei fedeli di tutti i tempi. Per concludere in una memoria del 1693200, che riporta tutto quello che si era fatto durante l’economato di mons. Vespignani201, viene ricordata l’importanza di non perdere le opere in pittura dei più insigni pittori ma anche l’importanza di riportare in mosaico tali opere: «[...] Con questa copia de quadri di S. Pietro fatta far di mosaici pretese l’economo sudetto di far vedere al mondo il vero modo di eternare le pitture, le quali non potendo all’humidità resistere nel vasto tempio sudetto, dovranno col tempo andar finalmente man­ cando, e perciò potendosi conseguire due utilissimi fini per il decoro della maggiore e più stupenda fabrica che sia mai stata al mondo, era bene di procurarli [i fini]. Il primo fine sarebbe di rendere eterne le opere di tanto celebri e famosi,

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fatte dalli pennelli più Insigni dell’Universo. Il secondo di mantenere l’arte singolare dell’opera musaica, la quale og­ gidì solamente si vede et ammira nella sua vera perfettione in S. Pietro e non altrove, essendo sfuggita da ogni natione per la difficoltà grande, e per la spesa che richiede in fabri­ carla. Non si dovranno dunque spaventare li successori nel ministerio della reverenda fabrica quando vedranno che le pitture celebri si consumeranno col tempo; ma dovranno animosamente con l’esempio sudetto farle servire da esem­ plari per copiarli di mosaico. Ne la vastità delle capelle, ò de quadri medesimi [i mosaici si potranno] fare di pezzi, [...] per la comodità di portarli e maneggiarli. E doppo si sono commessi tanto bene, e con tanta diligenza che essendo inca­ strati dentro lastre di travertino, non v’è dubbio che l’impre­ sa non riesca sempre a tutti e che non si possino rinnovare di mosaico, immobilissimi et eterni senza timore di humidità, né di polvere [...]. E se in varie chiese antiche di Roma si vedono opere di mosaico di milliara di anni, come l’arco di S. Maria Maggiore e queste fatte di presente in S. Pietro, et incastrate dentro il travertino esse dureranno sino al giorno del Giudizio, sempre immobili e colorite».

191. Basilica vaticana, grotte vaticane, cappella della Madonna di Guadalupe, Nostra Signora di Guadalupe, mosaico.

192. Basilica vaticana, grotte vaticane, cappella Polacca, La Madonna di Czestochowa, mosaico.

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Capitolo sesto

L’immagine di Pietro nella sua basilica Pietro Zander

«Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam [...] et tibi dabo claves regni caelorum.» Mt 16,18-19

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Il pellegrino che giungeva in Vaticano da Roma ed entrava nell’atrio della basilica medievale, poteva osservare sopra gli archi del portico colonnato una serie di affreschi del tempo di Niccolò iii, Orsini (1277-1280), con le storie degli apostoli Pietro e Paolo e di San Silvestro papa. Vol­gendo poi le spalle alla facciata, i suoi occhi incontravano il magnifico mosaico della Navicella di Pietro, che Giotto (1276-1336) eseguì per il cardinale Jacopo Caetani Stefa­neschi sopra le tre monumentali porte d’ingresso su una superficie di oltre 70 metri quadrati. Questa celebre allegoria della Chiesa, scossa dai venti e dal mare in tempesta e salvata da Gesù che afferra la mano dell’umile pescatore di Galilea in cerca di aiuto (Mt 14,24-32), si trovava vicino a un altro mosaico che ribadiva il primato dell’apostolo nella sua basilica. Si tratta del quadro musivo posto a ornamento della tomba dell’imperatore Ottone ii (985-983) e oggi custodito nelle grotte vaticane, che mo­strava il Cristo in trono tra i Santi apostoli Pietro e Paolo, con la mano destra alzata nel ge­sto tipico del docente e la si­nistra distesa in un solenne ab­braccio sulla spalla di Pie­tro. Mons. Vittorio Lanzani, in una sua recente pubblicazione, ha voluto evidenziare l’importanza del mosaico dove San Pietro è insolitamente rappresentato con tre chiavi, a indicare verosimilmente il potere concesso da Cristo a lui e ai suoi successori sulla Chiesa pellegrinante, purificante e celeste, ma forse anche a volere simboleggiare le tre conferme di Cristo a Pietro di pascere il suo gregge (Gv 21,15-17)1. Accolto da queste simboliche immagini il pellegrino si accingeva a entrare nella basilica costruita sulla sepoltura di Pietro dall’imperatore Costantino e dal papa Silvestro al principio del iv secolo.

È significativo notare che ancora oggi, dopo tanti secoli, il mosaico della Navicella continua ad accogliere il visitatore nel portico, uno spazio che segna il passaggio tra la grandiosità della piazza e la solennità della basilica, un luogo dove ogni decorazione è riferita a San Pietro e alla Chiesa guidata dal papa, suo successore. Un rifacimento secentesco del mosaico giottesco venne infatti qui collocato nell’anno giubilare 1675, significativamente sopra il cancello centrale del portico di fronte al rilievo marmoreo berniniano che mostra Cristo nell’atto di affidare a Pietro il suo gregge. Entrati in basilica, dove tutto è naturalmente maestoso e dove ciascuna opera nella sua straordinaria bellezza è nata per dare espressione alla fede e vivificare la devozione, l’immagine di Pietro, spesso unita alla figura di Paolo, accompagna ogni passo di chi percorre gli immensi spazi della chiesa a lui nuovamente consacrata dal papa Urbano viii il 18 novembre 1626, giorno della dedica­zione della basilica vaticana. Statue, mosaici, stucchi e rilievi marmorei riproducono in diversi luoghi e monu­menti l’imma­gine di Pietro o ne evocano con immedia­tezza il ricordo at­traverso le simboliche chiavi e la croce rovescia, che qua­si duemila anni fa fu innalzata in quella terra del Vati­cano, bagnata dal sangue dei martiri a causa delle persecuzioni volute dall’imperatore Nerone. Alle singole im­magini petrine si alternano narrazioni artistiche ispirate a significativi episodi della vita dell’apostolo. Di questa vi­vace iconografia riferita al primo papa, vicario di Cristo in terra, i mosaici rappresentano soltanto un aspetto di uno straordinario patrimonio di immagini che ogni pontefice contribuì ad accrescere nella più grande basilica della cristianità attraverso il genio creativo di numerosi artisti.

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San Pietro in Vaticano A pag. 234: 193. Grotte vaticane, navata meridionale, Cristo in trono tra i Santi apostoli Pietro e Paolo, particolare del mosaico proveniente dal portico dell’antica basilica.

Consapevoli di questa ricchezza e varietà iconografica, immaginiamo quindi di visitare la basilica vaticana nel desiderio di riscoprire Pietro nei soli mosaici che rivestono le volte o adornano le pareti e gli altari. Tralasciando i mosaici in cui Pietro non è «protagonista», ma dove tuttavia la sua figura ben caratterizzata è sempre riconoscibile, la prima immagine dell’apostolo la ritroviamo nel vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, presso la prima campata della navata meridionale. Qui, sotto la grande cupola ellittica, i mosaici delle lunette, realizzati su di­pinti di Francesco Trevisani (1656-1746), mostrano Cristo che battezza San Pietro e San Pietro che battezza il centurione Cornelio. All’interno della cappella troviamo poi, ai lati del magnifico mosaico con il Battesimo di Cristo nelle acque del Giordano, due bellissime pale d’altare a ridosso delle pareti laterali con San Pietro che battezza i Santi Processo e Martiniano, a sinistra, e San Pietro che battezza il centurione Cornelio (At 10,1-48), a destra.

L’immagine di Pietro nella sua basilica 194. Ricostruzione 3D del braccio orientale del quadriportico dell’antica basilica di San Pietro (da Andaloro 2006).

Sono mosaici eseguiti nel terzo decennio del Settecento, rispettivamente da dipinti di Giuseppe Passeri (1654-1714) e Andrea Procaccini (1671-1734). Senza considerare le figure e i ritratti di Pietro all’interno di più complesse rappresentazioni musive di tema cristologico, giungiamo presso il transetto meridionale, dove possiamo ammirare, sopra l’altare di sinistra, un quadro in mosaico con la Crocifissione di San Pietro tratto da un dipinto di Guido Reni (1575-1642). Come sulla formella inferiore della quattrocentesca porta del Filarete (1400 ca.-1460) e sul celebre affresco di Michelangelo nella cap­pella Paolina dei palazzi vaticani, il mosaico mostra il terribile momento che precede la morte dell’apostolo, con tre aguzzini che innalzano sulla croce il corpo di Pietro. Ma è soprattutto attorno alla Confessione Vaticana con la venerata sepoltura del Principe degli apostoli, che si concentrano le più importanti raffigurazioni musive di San Pietro.

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Il papa Clemente viii, Aldobrandini (1592-1605), che aveva fatto rivestire la maestosa cupola michelangiolesca di preziosi mosaici, dispose che sopra gli altari dietro i piloni che sostengono la cupola venissero posti quadri ispirati alla vita di San Pietro, titolare della basilica. Tale disposizione si colloca nell’ambito di un meditato programma iconografico avviato per la nuova basilica dal papa Aldobrandini e successivamente ripreso da Paolo v, Borghese (1605-1621). Alla scelta delle storie petrine da raffigurare sugli «altari grandi» contribuì certamente l’eru­dito e apprezzato consiglio del cardinale Cesare Ba­ronio (1538-1607), il quale, stando alla testimonianza di Giovanni Baglione del 1642, aveva ricevuto dal papa l’in­carico «di scompartire l’historie e le opere che si dovevano lavorare»2. Se da un lato si voleva ribadire, nello spirito della Controriforma, il primato e il magistero di Pie­tro, dall’altro si avvertiva il desiderio di riproporre nella nuova chiesa alcune storie di San Pietro già presenti nell’antica basilica. Basti pensare, a titolo di esempio, ai mosaici petrini dell’oratorio di Giovanni vii, alle pitture medievali del portico e, soprattutto, al fregio marmoreo del quattrocentesco ciborio per l’altare maggiore della basilica, dove Paolo Romano aveva scolpito tra il 1467 e il 1470, oltre al Martirio di San Paolo, la Croci­fissione di San Pietro, La caduta di Simon Mago, La guarigione dello storpio e La consegna delle chiavi3. Lo stesso Clemente viii aveva disposto che anche nella «Subterranea Confessio», ovvero nella cripta medievale da lui rinnovata e ampliata, venissero ricordati significativi episodi della vita del San Pietro apostolo. Così nelle grotte vaticane, presso il veneratissimo altare «ad caput Sancti Petri», Ruggero Bescapè aveva decorato la volta di questa cappella, che fu detta «Clementina», con perduti bassorilievi di bronzo raffiguranti le Storie di San Pietro4. Ulteriori fatti della vita del pescatore di Cafarnao vennero rievocati, per volontà del papa Aldobrandini, nella tribuna meridionale e, più precisamente, sui tre medaglioni in stucco della semicalotta della nicchia centrale, sopra l’attuale altare di San Giuseppe. Tra il 1597 e il 1599 abili maestranze vi raffigurarono infatti i seguenti temi petrini: La liberazione dal carcere (At 12,1-11), La consegna delle chiavi (Mt 16,18-19) e La pesca miracolosa (Lc 5,1-6). Questi stucchi facevano parte di un piano decorativo unitario dedicato agli apostoli per le sei nicchie absidate all’estremità dei transetti, progetto che fu solo in parte realizzato e che prevedeva forse la dedicazione agli apostoli degli altari sottostanti. Pertanto è verosimile pensare che, secondo questa iniziale intenzione, successivamente mutata, l’altare centrale della tribuna sud dovesse essere dedicato a San Pietro, mentre

l’opposto altare della tribuna nord a San Paolo, come farebbero ritenere le tematiche paoline dei medaglioni in stucco visibili sopra l’attuale altare dei Santi Processo e Martiniano5. Tornando al piano iconografico per le pale degli altari dietro i piloni, riveste particolare interesse una «memoria scritta», custodita presso l’Archivio della Fabbrica di San Pietro e databile alla fine del pontificato di Clemente viii, che documenta la realizzazione delle pitture concernenti i miracoli di San Pietro negli «altari grandi, che sono sei» e la volontà di consacrare e cominciare a officiare i tre altari già finiti, «come si fa nella Gregoriana, perché oltre l’aumento del Culto Divino si manterriano più puliti»6. Sopra gli altari edificati dietro il pilone di San Longino presso la cappella Gregoriana, non vennero infatti collocati quadri con rappresentazioni petrine, perché, già prima di Clemente viii, il papa Gregorio xiii, Boncom­pagni (1572-1585) aveva commissionato a Girolamo Muziano (1532-1592) dipinti con la Messa di San Basilio, per il lato nord e con San Girolamo che prega nel deserto, per il lato est. Tuttavia, se la dedicazione di questi due altari rientrava in un precedente programma iconologico che esaltava i Padri della Chiesa greci e latini, nella cappella Gre­goriana vi era comunque un forte richiamo a San Pietro. Sopra la porta orientale «verso Palazzo» si poteva infatti ammirare il grande rilievo marmoreo della Lavanda dei piedi (Gv 13,5-11), che oggi si trova nella Sala Regia del palazzo del Quirinale. L’opera, realizzata da Taddeo Landini (1550-1596) tra il 1578 e il 1580 per la somma di 1300 scudi, venne rimossa dalla cappella Gregoriana all’inizio del 1615 durante il pontificato di Paolo v7. La pianta della basilica di San Pietro, incisa da Matthäus Greuter e pubblicata nel codice di Giacomo Grimaldi, custodito presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (Barb. Lat. 2733, ff. 490-491), riporta una serie di annotazioni manoscritte che illustrano, tra l’altro, la disposizione degli altari petrini con l’indicazione degli autori delle pale poi sostituite da mosaici. Tale pianta reca inoltre una dedica dell’architetto Carlo Maderno al papa Paolo v con la data 30 maggio 16138. Confrontando la pianta con l’attuale situazione, si noterà come alcune di queste pale d’altare, inizialmente dipinte, furono tradotte in mosaico, altre lasciarono il posto a nuove opere musive con una diversa rappresentazione del medesimo argomento petrino e altre ancora vennero sostituite da mosaici di diverso soggetto. Cominciando dal lato orientale del pilone di Sant’An­drea, per poi procedere in senso orario da sinistra verso destra, va ricordato che, sopra l’altare della Trasfigura­zione, al posto del-

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L’immagine di Pietro nella sua basilica

L’immagine di Pietro nella sua basilica A fronte: 195. Pianta della basilica vaticana incisa da Matthäus Greuter con annotazioni manoscritte e dedica dell’architetto Carlo Maderno al papa Paolo v in data 30 maggio 1613.

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la copia in mosaico della tavola di Raffaello oggi in Pinacoteca Vaticana, vi era nel 1604 un dipinto su lastre di ardesia del Pomarancio (1552/1553-1626) con la Morte di Anania e Saffira (At 5,1-10), i due coniugi menzogneri puniti per aver sottratto beni alla comunità cristiana. Il secondo altare presso la cappella Clementina, rivolto verso il lato meridionale del pilone di Sant’Andrea, prima di ospitare nel 1768 il mosaico con la Morte di Anania e Saffira derivato dal dipinto del Pomarancio, ebbe un grande quadro con la Crocifissione di San Pietro, eseguito dal Passignano (1559-1638) a olio su lavagna tra il 1602 e il 1605 e del quale la Fabbrica di San Pietro conserva un prezioso frammento pittorico9. È noto inoltre che il Passignano nel 1626 ebbe l’incarico di realizzare per la basilica un dipinto con il Tributo

196. Jacques Callot, pala d’altare della Crocifissione di San Pietro, eseguita da Domenico Cresti, detto il Passignano (da Rice 1997). 197. Fabbrica di San Pietro, Crocifissione di San Pietro, frammento della pala d’altare dipinta a olio su lavagna da Domenico Cresti, detto il Passignano: Figure di giovani.

di San Pietro (Mt 17,24-27)10, destinato all’altare della navata sud dove oggi si può ammirare il settecentesco mosaico della Presenta­zione della Vergine al Tempio. Sul lato meridionale del pilone di Santa Veronica, ovvero sopra l’altare che si trova di fronte al monumento berniniano per il sepolcro di Alessandro vii, prima del mosaico raffigurante l’Apparizione del Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque, era collocato un grande dipinto con l’illustrazione della Caduta di Simon Mago. Questa pala d’altare, che fu tra le più ammirate della basilica, venne commissionata dal papa Clemente viii al pittore senese Francesco Vanni (1563-1610), che la di­pinse a olio su lastre di lavagna nel 1603, seguendo il racconto degli Apocrifi, dove si narra che Simon Mago, capo di una setta gnostica

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L’immagine di Pietro nella sua basilica A fronte: 198. Basilica vaticana, ottagono di San Gregorio, La caduta di Simon Mago, pala d’altare, dipinto a olio su lavagna di Francesco Vanni.

che persisteva ancora nel iv secolo (Eusebio di Cesarea, Hist. Eccl., ii, 13), aveva sfidato San Pietro dichiarando di poter volare con l’aiuto degli angeli. Ma al cospetto di Nerone, i demoni che lo sostenevano, a seguito delle preghiere degli apostoli Pietro e Paolo, lo lasciarono precipitare dall’alto della torre dalla quale aveva spiccato il suo folle volo. In particolare, nella figure di San Paolo inginocchiato in preghiera e di San Pietro che ordina ai demoni di lasciare cadere il sacrilego mago, sembra evidente il riferimento agli Atti apocrifi di Pietro e Paolo dello Pseudo-Marcello11. La pala del Vanni, «deteriorata dall’umidità», subì importanti restauri nel xvii e xviii secolo. Si pensò anche di sostituirla con un mosaico e, a tale scopo,

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199. Jacques Callot, pala d’altare della Guarigione dello storpio, eseguita da Ludovico Cardi, detto il Cigoli (da Rice 1997). 200. Basilica Vaticana, Aula delle Benedizioni, San Pietro risana lo storpio presso la Porta Bella del Tempio di Gerusalemme, dipinto a olio su tela di Francesco Mancini.

Charles Trémolières (1703-1739) eseguì nel 1734 una copia pittorica, poi collocata nella romana basilica di Santa Maria degli Angeli, dove è anche custodito un dipinto di Pompeo Batoni (1708-1787) con lo stesso soggetto, realizzato anch’esso con l’idea di tradurlo in mosaico. Alla seconda metà del Settecento risale anche il proposito di sostituire la pala del Vanni con un mosaico della Consegna delle chiavi da comporre sul modello di un dipinto commissionato ad Anton Raphael Mengs (1728-1779) nel settembre del 1772, ma rimasto incompiuto per la morte dell’artista. Così la secentesca pala del Vanni mantenne la sua collocazione in basilica fino alla vigilia dell’Anno Santo del 1925,

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L’immagine di Pietro nella sua basilica A fronte: 201 e 202. Fabbrica di San Pietro, San Pietro resuscita Tabita, frammenti della pala d’altare dipinta a olio su intonaco da Giovanni Baglione: testa di San Pietro e Testa di un discepolo.

204. Fabbrica di San Pietro, San Pietro resuscita Tabita, frammento della pala d’altare dipinta a olio su intonaco da Giovanni Baglione: Due giovani vedove.

203. Roma, Santa Maria degli Angeli, San Pietro resuscita Tabita, copia pittorica eseguita da Emanuele Alfani della pala d’altare di Giovanni Baglione.

quando fu rimossa ed esposta nella «Sala D» del Museo Petriano. Tornata alla Fabbrica di San Pietro e restaurata nel 1995 presso i laboratori dei Musei Vaticani, il celebre dipinto della Caduta di Simon Mago venne ricomposto nell’otta­gono della Trasfigura­zione che sovrasta le adiacenze della cappella Clemen­tina12. L’altare sul lato occidentale del pilone di Santa Veronica ebbe fin dalle origini un quadro con la raffigurazione di San Pietro che risana lo storpio presso la Porta Bella del Tempio di Gerusalemme (At 3,2-7). L’originaria pala d’altare era stata dipinta dal Cigoli (1559-1613) tra il 1604 e il 1607, ma centocinquanta anni dopo venne sostituita dall’attuale mosaico realizzato da un originale pittorico di Francesco Mancini (1679-1758) custodito nella basilica vaticana presso la loggia delle Benedizioni. I mosaici che sovrastano gli altari posti sul retro del pilone di Sant’Elena hanno mantenuto i medesimi soggetti petrini

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che erano stati loro assegnati nel progetto iconografico del papa Clemente viii. Così il mosaico sul prospetto occidentale del pilone con la statua di Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, ripropose il tema della Resurrezione di Tabita (At 9,40-41), già dipinto su intonaco per lo stesso altare da Giovanni Baglione (1566 ca.-1644) nei primi anni del Seicento. Similmente, sopra l’al­tare a ridosso della parete settentrionale del medesimo pi­lone, il settecentesco mosaico della Navicella sostituì un deteriorato affresco di Giovanni Lanfranco (15821647), che aveva a sua volta preso il posto di un poco apprezzato dipinto di Bernardo Castello (1557 ca.-1629), sempre con San Pietro salvato dalle acque. Tra gli episodi più significativi della vita di San Pietro mancano, nelle decorazioni a mosaico dei sei «altari grandi», i temi della Consegna delle chiavi («Traditio Claves», Mt,16; 18-19) e dell’Affidamento a Pietro del gregge del Signore («Pasce oves

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San Pietro in Vaticano

L’immagine di Pietro nella sua basilica

205. Basilica vaticana, cupola, Tu es Petrus, particolare dell’iscrizione musiva. 206. Basilica vaticana, Aula delle Benedizioni, La Navicella di Pietro, frammento di affresco di Giovanni Lanfranco. 207. Jacques Callot, pala d’altare della Navicella di Pietro, eseguita da Bernardo Castello (da Rice 1997).

meas», Gv 21,15-17), raffigurazioni che, più di altre, avrebbero potuto ulteriormente evidenziare il primato di Pietro. Una mancanza alla quale si cercò di porre rimedio durante il pontificato di Urbano viii, Barberini (1623-1644), come testimoniano alcune carte d’archivio che riferiscono di irrealizzate iniziative per l’aggiunta di tali emblematiche rappresentazioni alla serie delle pale d’altare petrine. Così un prezioso foglio dell’ottobre del 1626 rivela l’intenzione di far dipingere una Consegna delle chiavi sopra l’attuale altare di San Seba­stiano13, altri documenti del 1627 ipotizzano la realizzazione di un dipinto con il medesimo tema per un altare al centro dell’abside ovest14, mentre un ulteriore documento dello stesso anno attesta l’iniziale pensiero di sostituire la poco apprezzata pala d’altare di Bernardo Castello raffigurante Pietro salvato dalle acque con un «Pasce oves meas» o con un «Tibi dabo claves Regni Coelorum»15. Con riferimento a queste significative tematiche va rilevato che all’assenza dell’immagine supplisce la parola scritta: grande importanza rivestono infatti le magnifiche iscri­zioni, a grandi lettere capitali turchine su fondo oro, eseguite a mosaico sotto la cupola e sul fregio maggiore della basilica. Già tra il 1605 e il 1606 le solenni parole del Cristo, che proclamano Pietro fondamento della Chiesa e depositario delle chiavi del Regno dei Cieli, vennero ri­por­tate in mosaico all’imposta della cupola, sul fregio al di sopra dei pennacchi e degli arconi: tv es petrvs et svper hanc petram aedificabo ecclesiam meam et tibi dabo claves regni caelorvm: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e a te darò le chiavi del Regno dei Cieli (Mt 16,18-19)16. Le chiavi incrociate d’oro e d’argento e la tiara papale, simboliche insegne del primato e del magistero di Pietro, sono riprodotte in mosaico alla base dei pennacchi, quasi a voler ribadire il senso della grande iscrizione evangelica.

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San Pietro in Vaticano

L’immagine di Pietro nella sua basilica 208. Completamento della grande iscrizione in mosaico sotto il cornicione di destra della navata centrale della basilica. Fotografia del 1934, custodita presso l’Archivio Fotografico de «L’Osservatore Romano», fondo Giordani.

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Tra il 1867 e il 1870, al tempo della preparazione e dello svolgimento del grande Concilio Ecumenico Vaticano i, il papa Pio ix, Mastai Ferretti (1846-1878) volle aggiungere ulteriori iscrizioni che, in parte rimaste incompiute, vennero completate tra il 1934 e il 1935, in occasione dell’An­no Santo indetto nel diciannovesimo centenario della Redenzione17. Così il primato e il magistero di Pietro è ulteriormente evidenziato nella basilica dall’iscrizione mu­­si­va che corre sul fregio della tribuna dell’abside, sopra il monumento berniniano per la Cattedra di San Pietro: o pastor ecclesiae tv omnes christi pascis agnos et oves: Oh Pastore della Chiesa, tu pasci tutti gli agnelli e le pecorelle del Cristo. Ripetuta anche in greco a indicare l’unità della Chiesa, il significato dottrinale di questo testo è riaffermato dalle parole in mosaico poste alla base

209. Basilica vaticana, cupola, particolare della decorazione musiva dei pennacchi con la tiara papale e le simboliche chiavi di Pietro.

dei quattro pennacchi della cupola con le immagini clipeate degli evangelisti: hinc vna fides – mvndo refvlgit: Da qui una sola fede risplende nel mondo; hinc sacerdotii – vnitas exoritvr: Da qui rinasce l’unità del sacerdozio. Un’ulteriore occasione per meditare sulla missione di Pietro e del papa suo successore è offerta dai brani del Vangelo riportati sul fregio maggiore della basilica all’imposta delle volte. Così l’iscrizione evangelica della cupola si completa nella scritta che si svolge sulla destra della navata centrale e sulla controfacciata: qvodcvmque ligaveris svper terram erit ligatvm et in coelis et qvodcumque solveris svper terram erit solvtum et in coelis: Tutto ciò che avrai legato sulla terra, sarà legato anche nei cieli; e tutto ciò che avrai sciolto sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli (Mt 16,19). Sotto il cornicione di sinistra della

navata grande si legge inoltre: ego rogavi pro te o petre vt non deficiat fides tva et tv aliqvando conversvs confirma fratres tvos: Io ho pregato per te, o Pietro, affinché non venga meno la tua fede e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli (Lc 22,32). Il transetto di destra reca la scritta: o petre dixisti tv es christvs filivs dei vivi ait iesvs beatvs es simon bar iona qvia caro et sangvis non revelavit tibi: Oh Pietro, hai detto: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Gesù rispose: Beato sei tu, Simone, figlio di Gio­na, perché questo non ti è stato rivelato né dalla carne né dal sangue (Mt 16,16-17), mente sul transetto di sinistra è scritto infine: dicit ter tibi petre iesvs diligis me cvi ter o electe respondens ais o domine tv omnia nosti tv scis

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qvia amo te: Gesù dice per tre volte a te, o Pietro, mi ami? A lui per tre volte, o eletto, tu rispondi: o Signore, tu conosci tutto, e sai che ti amo (Gv 21,77). Tornando alla nostra visita virtuale nella basilica vaticana guidata dall’immagine in mosaico di «Simon Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo» (2 Pt 1,1), volgiamo lo sguardo alla grande cupola di Michelangelo, decorata con gli splendidi mosaici del Cavalier d’Arpino (1568-1640), che costituiscono un grandioso inno alla gloria del Signore. Tra le figure degli apostoli, di San Giovanni Battista e di San Paolo, San Pietro compare vicino alla Beata Vergine Maria alla destra del Cristo Salvatore. Se un’immagine di «colui che tien le chiavi di tal gloria» (Dante, Paradiso, 23, 139) domina la Confessione vaticana dalle celestia-

li altezze della basilica, un altro mosaico dell’apostolo, venne collocato, in continuità con un’antichissima tradizione iconografica, in prossimità, e si potrebbe dire a contatto, con l’umile fossa scavata nella terra dove venne deposto il corpo di Pietro dopo la crocifissione. Il mosaico, realizzato in sostituzione di una precedente figura petrina da Giovanni Battista Calandra (1586-1644), si trova all’interno della veneratissima «nicchia dei Palli», di fronte alla figura musiva di San Paolo, alla destra del Cristo. Passando dalla crociera alla cappella dei Santi Michele e Petronilla osserviamo, sulla lunetta occidentale, il settecentesco mosaico con San Pietro che battezza Santa Petro­nilla. Infine, avvicinandoci all’uscita, ritroviamo la meravigliosa immagine di San Pietro, «Padre vetusto di Santa Chiesa» (Dante, Paradiso, 32, 125), nel secentesco mosaico sopra la Porta Santa. Usciti nel portico, sopra il cancello centrale che si apre sulla magnifica piazza con l’obelisco, muto testimone dei più importanti avvenimenti nella secolare storia della Chie­sa, è ancora il grande mosaico della Navicella a darci l’ultimo saluto prima di lasciare la basilica fondata sull’umile tomba di Pietro, sempre vivo nella persona del papa suo successore. L’immagine del Cristo Salvatore che prende la mano di Pietro che a lui si rivolge in cerca di aiuto, si traduce in un chiaro messaggio di speranza e conforto per tutti coloro che, oltrepassato il cancello della basilica, riprenderanno il loro cammino affrontando le difficoltà della vita.

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San Pietro in Vaticano

L’immagine di Pietro nella sua basilica

210. Basilica Vaticana, portico, la Navicella, rifacimento secentesco del mosaico di Giotto.

La Navicella Portico – controfacciata, lunetta sopra il cancello centrale

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È questo un rifacimento secentesco del celebre mosaico della Navicella di Pietro (Mt 17,22-23), da sempre considerato tra le opere più importanti e significative della basilica per il suo alto valore artistico e spirituale. Venne commissionato a Giotto dal cardinale Jacopo Caetani Stefaneschi (1260/1270-1341), raffigurato nella parte in­fe­riore del mosaico e nel cui necrologio si dice che l’opera costò 2200 fiorini d’oro e che si trovava in «Paradyso», cioè nel quadriportico dell’antico San Pietro18. Il quadro musivo della Navicella aveva in origine una forma rettangolare ed era murato sopra le tre porte monumentali dell’ala orientale del portico, di fronte alla facciata19. Sono documentate le tormentate vicende di questo mosaico negli ultimi anni di vita della chiesa costantiniana e medievale e la «navigazione» della Navicella, che approdò, subendo traumatici spostamenti e rifacimenti, in diversi luoghi del nuovo tempio vaticano prima della sua ultima destinazione all’interno del portico, sopra l’ingresso centrale rivolto verso la scenografica piazza San Pietro. Già nella sua originaria collocazione la Navicella di Giot­ to, esposta all’acqua e alle intemperie, venne più volte re­ staurata. Nel maggio 1514 Andrea Sansovino e Anto­nio da Sangallo il Giovane furono incaricati di valutare alcuni lavori eseguiti sull’opera da Agnolo di Baccone e da Trivosino; nel 1530 vi intervenne Giovanni da Udine e, tre anni più tardi, Giovanni Rosselli e Matteo da Siena20. Nell’estate del 1610 il papa Paolo v, Borghese (16051621) ordinò il trasferimento della Navicella «a sinistra della facciata nuova di San Pietro, nella parete del Palazzo Vaticano», collocazione testimoniata da una incisione di Filippo Bonanni, che mostra il mosaico sopra un’arti­stica fontana nel piano tra le due scalinate che precedono la facciata21. La rimozione del mosaico si rese necessaria a causa delle demolizioni per il completamento della basilica rinascimentale a opera dell’architetto Carlo Maderno. Sette anni dopo, tra il 3 agosto e il 28 settembre del 1617, Benedetto Drei, capomastro della Fabbrica di San Pietro, si occupò della sistemazione del mosaico22. Nel novembre dello stesso anno Marcello Provenzale da Cento ne iniziava il restauro, certificato dal contratto stipulato il 24 ottobre del 1617 con il cardinale Francesco Maria del Monte (1549-1627).

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L’immagine di Pietro nella sua basilica

211. Basilica vaticana, ottagono di San Gregorio, copia pittorica della Navicella di Giotto.

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Nel documento, conservato presso l’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro, l’artista si impegnava ad intervenire «con ogni diligenza» nel restauro e nel parziale rifacimento della Navicella in modo conforme al disegno e con smalti tagliati simili per colore e forma agli antichi; veniva inoltre stabilito un compenso di cinque giuli al palmo per le figure e di un giulio al palmo per i fondi23. Una preziosa relazione, scritta dal soprastante Pietro Albertini il 7 marzo 1618 e anch’essa custodita presso l’Archivio della medesima Fabbrica, descrive

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minuziosamente gli interventi e i rifacimenti eseguiti da Marcello Provenzale sul mosaico della Navicella di San Pietro24. Sappiamo così che vennero rifatti integralmente i profeti che si affacciano dalle nuvole, le personificazioni dei venti, le figure di San Pietro e del pescatore, i piedi del Cristo, le mani del cardinal Stefaneschi e alcuni pesci. Fu inoltre rifatta la torre sopra al pescatore, vennero rappezzate in più punti le vele e furono risarcite le immagini di alcuni apostoli. Vennero infine reintegrati i campi dorati, le nuvole e il mare.

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Nonostante gli importanti lavori condotti da Marcello Provenzale tra il 1617 e il 1618, il mosaico della Navicella continuò a rovinarsi a causa della sua esposizione all’aperto. Così, ancora nell’ottobre del 1624, Giovanni Fabri, fattore della Fabbrica di San Pietro, pagò lo stucco servito al restauro della Navicella a due uomini che vi avevano lavorato25. Un anno più tardi sono registrati alcuni pagamenti a favore di Giovanni Battista Calandra per i lavori di mosaico fatti con diversi smalti minuti sulla Navicella di Giotto, con particolare riferimento al restauro della cima della vela e del fregio26. Dunque ancora durante il pontificato di Urbano viii il mosaico della Navicella continuò a patire danni per le avverse condizioni atmosferiche, tanto che il papa Barberini ne dispose il trasferimento all’interno della basilica, dopo aver ascoltato il qualificato parere di Carlo Maderno, Gian Lorenzo Bernini e Giovanni Battista Calandra27. Nel 1628, prima di procedere al distacco, Francesco Beretta su disegno di Cosimo Bartoli realizzò una copia pittorica del mosaico a grandezza naturale, rispettando la cromia dell’originale affinché nel caso di guasto si potesse rifare fedelmente28. Da Francesco Maria Torrigio, che in quegli anni era un assiduo e attento frequentatore della basilica, sappiamo che il dipinto fu messo per prova sopra la porta centrale della facciata interna della basilica e successivamente fu donato alla chiesa della Immacolata Concezione a Roma dove rimase fino al 1924, quando fu portato nel Museo Petriano (1925-1966)29. La replica pittorica secentesca, ampliamente restaurata e divisa in quattro grandi tele, è oggi custodita dalla Fabbrica di San Pietro. Realizzata la copia ed eseguiti nel 1629 da Giovanni Battista Calandra alcuni consolidamenti del mosaico30, Benedetto Drei e Giorgio Staffetta smurarono il quadro musivo, scomposto per tale lavoro in dieci diverse parti (tre grandi per la scena centrale e sette più piccole per i fondi). Tra il febbraio del 1629 e il gennaio del 1630, il mosaico della Navicella fu portato in basilica e murato all’interno di una cornice marmorea sulla facciata interna «in loco altissimo, sotto la volta tra le due finestre»31. Ma anche questa terza collocazione non fu l’ultimo «porto» al quale approdò la Navicella di Pietro. Infatti, trascorsi appena vent’anni, il papa Innocenzo x, Pamphilj (16441655) ordinò di «calare a terra il mosaico» e di trasferirlo «nel primo cortile incontro alla porta del Palazzo del Papa», quindi in un luogo non lontano dalla collocazione che aveva avuto con il papa Borghese. In occasione di questo nuovo spostamento l’opera venne restaurata da Guidobaldo Abbatini da Perugia32.

Nel novembre del 1660 papa Alessandro vii, Chigi (16551667), impegnato nei lavori per la Scala Regia, dispose di rimuovere da quel luogo la Navicella, che, come riferisce Filippo Baldinucci, era ormai ridotta «all’ultimo suo vivere e già a poco a poco si era andata consumando»33. Stando ai documenti d’archivio la «rimozione» del mosaico dovette essere particolarmente traumatica per l’opera, tanto che tra il 1673 e il 1674 il pittore Orazio Manenti eseguì estesi rifacimenti per adattare il mosaico nella lunetta sopra l’ingresso centrale del portico, da dove fu necessario rimuovere le statue in stucco dei papi martiri Stefano i e Sisto ii. Francesco Quadrani da Orvieto, ricorda nel suo diario che il 19 dicembre dell’anno giubilare 1674: «Fu scoperta la Navicella, benché non finita, mancandovi la figura del pescatore et un poco di mare, in supplemento di che vi fu messo il cartone dipinto»34. Il mosaico della Navicella dopo gli interventi del Provenzale, dell’Abbatini e del Manenti, rispetta dell’originale giottesco lo schema compositivo e le variate espressioni degli apostoli, come mostrano i molti disegni del xv e del xvi secolo.

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Cristo battezza San Pietro Vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, lunetta ovest, lato sud Il piano decorativo della cappella del Fonte Battesimale comprende anche la decorazione musiva dei pennacchi, con le personificazioni dei quattro continenti e i mosaici delle lunette, che mostrano, tra l’altro, il Battesimo di San Pietro, di Costantino, del centurione Cornelio e dell’eunuco della regina Candace. A somministrare il Battesimo sono rispettivamente: Cristo, San Silvestro papa, San Pietro e il diacono Filippo. Se nella prima coppia di lunette si sottolinea l’apertura ecumenica della Chiesa a tutte le genti che sono ammesse al battesimo al di là della loro origine, nelle due lunette che sovrastano l’ingresso della cappella, si evidenzia il tema dell’autorità della Chiesa nell’amministrazione di tale sacramento. Il mosaico di Cristo che battezza San Pietro venne realizzato da Giovanni Francesco Fiani e Alessandro Cocchi, che vi lavorarono tra il 1737 e il 1739. In particolare il primo mosaicista ebbe inizialmente l’incarico di eseguire da solo l’intero lavoro, che fu tuttavia ultimato da Alessandro Cocchi, il quale venne pagato per la conclusione del mosaico il 20 gennaio 173935. L’originale pittorico del mosaico, custodito nella ba-

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San Pietro in Vaticano

L’immagine di Pietro nella sua basilica 212. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, Cristo battezza San Pietro, lunetta ovest, lato sud. A fronte: 213. Basilica vaticana, vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, San Pietro battezza il centurione Cornelio, lunetta nord, lato est.

San Pietro battezza i Santi Processo e Martiniano Cappella del Fonte Battesimale, parete orientale

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silica vaticana presso l’Aula delle Benedizioni, venne realizzato da Francesco Trevisani, tra il 1732 e il 1737. Da un punto di vista compositivo è stato correttamente osservato che la raffigurazione del Cristo che battezza San Pietro inginocchiato ai suoi piedi, è simile alle immagini di San Giovanni Battista e del neofita nella scena del Battesimo di acqua riprodotta sulla cupola del vestibolo che precede la stessa cappella36.

Questa splendida pala d’altare, racchiusa in una cornice centinata di marmo giallo antico, riproduce il dipinto su tela di Giuseppe Passeri, custodito nella chiesa di San Fran­cesco a Urbino. Il pittore romano eseguì il lavoro tra il 1709 e il 1711 sotto la direzione del maestro Carlo Ma­rat­ta. Da un documento dell’8 luglio 1711, si evince che la Congregazione della Fabbrica di San Pietro pagò a Giu­seppe Passeri quattrocento scudi per il compimento dell’opera pittorica, ai quali aggiunse «scudi cento di regalo». A Carlo Maratta vennero dati altri trecento scudi «per l’inventione e disegno del medesimo quadro»38. Il dipinto venne riprodotto in mosaico da Giovanni Battista Brughi, che vi lavorò tra il 1726 e il 1731 insieme a Liborio Fat­tori; fu tuttavia Pietro Paolo Cristofari a portare a compimento l’opera musiva39. Con colori delicati il mosaico raffigura l’interno del carcere Tulliano con una fonte zampillante in primo piano, miracolosamente sgorgata in quel luogo per le preghiere dei Santi Pietro e Paolo. Con quell’acqua miracolosa San Pietro battezza i suoi carcerieri convertiti alla fede cristiana, mentre in secondo piano as­si­­stono alla cerimonia altri prigionieri. In alto, tra le nubi attraversate da un raggio di sole, un gruppo di angeli reca le corone e le palme del martirio, prefigurando la gloriosa morte dei due soldati romani, i cui resti mortali sono racchiusi in un’urna di porfido rosso sotto la mensa dell’altare ad essi dedicato al centro del transetto settentrionale.

San Pietro battezza il centurione Cornelio Vestibolo della cappella del Fonte Battesimale – lunetta nord, lato est

San Pietro battezza il centurione Cornelio Cappella del Fonte Battesimale, parete occidentale

In basilica, presso le sale ottagone sovrastanti la cappella della Madonna della Colonna, sede dell’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro, si conserva il dipinto a olio su tela di Francesco Trevisani che servì per l’esecuzione del mosaico di una delle lunette del vestibolo della cappella del Fonte Battesimale. Venne realizzato tra il 1732 e il 1733, mentre al mosaico lavorarono Domenico Gossoni e Nicola Onofri tra il 1737 e il 173937. Il soggetto è tratto dagli Atti degli Apostoli (At 10,1-48) e mostra San Pietro che, recatosi per volontà del Signore nella città di Cesarea, battezza il centurione romano Cornelio della coorte italica stanziata in quella regione. Cornelio, vestito in abiti militari, è devotamente inginocchiato davanti a San Pietro che versa le acque battesimali sul capo del neofita.

Il mosaico riproduce il dipinto realizzato da Andrea Procaccini tra il 1697 e il 1711, che si trova oggi nella chiesa di San Francesco a Urbino, dove vi giunse in dono dal cardinale urbinate Annibale Albani (1682-1751), nipote del papa Clemente xi, Albani (1700-1721) e arciprete della basilica vaticana tra il 1712 e il 1751. L’opera pittorica, che ebbe un costo complessivo di 700 scudi, doveva essere realizzata insieme agli altri due quadri della cappella, dal settantenne Carlo Maratta, il quale tuttavia, a causa dell’età avanzata, poté dedicarsi unicamente alla pala del Battesimo di Cristo, che venne collocata sulla parete di fondo, dietro il fonte battesimale di porfido rosso. È noto inoltre che nell’esecuzione del dipinto Procaccini subentrò a Giuseppe Chiari, all’epoca impegnato nella realizzazione

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L’immagine di Pietro nella sua basilica A fronte: 214. Basilica vaticana, cappella del Fonte Battesimale, San Pietro battezza i Santi Processo e Martiniano, quadro in mosaico.

215. Basilica vaticana, cappella del Fonte Battesimale, San Pietro battezza il centurione Cornelio, quadro in mosaico.

dei cartoni per i mosaici della cappella della Presentazione della Vergine40. La trasposizione in mosaico dell’originale pittorico venne eseguita da Giovanni Battista Brughi tra il 1726 e il 1736. In conformità con il racconto degli Atti degli Apostoli (10,24-47) San Pietro è raffigurato mentre solennemente amministra il Battesimo al centurione Cornelio, «uomo religioso e timorato di Dio» e annuncia ai presenti la veri­tà della fede: «Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra coloro che ascoltavano la Parola» (At 10,44).

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Crocifissione di San Pietro Transetto meridionale, altare della Crocifissione di San Pietro Il mosaico riproduce il celebre dipinto di Guido Reni conservato in Pinacoteca Vaticana e realizzato dall’artista bolognese tra il 1604 e il 1605 per la chiesa romana di San Paolo alle Tre Fontane. Un documento del 15 giugno 1779, custodito presso la Fabbrica di San Pietro ci tramanda i nomi dei tre mosaicisti incaricati dell’esecuzione dell’opera, per la somma complessiva concordata di 5000 scudi: Bartolomeo Tomberli, Lorenzo Roccheggiani e Domenico Cerasoli. Sappiamo così che Bartolomeo Tomberli ebbe il compito di comporre «la figura del Santo, il braccio del Mani­goldo che passa sopra il corpo del Santo medesimo, le due gambe dell’altro Manigoldo che tira la corda»; Lo­renzo Roccheggiani completò «le due figure dei Ma­nigoldi che tengono in mezzo il Santo» e Domenico Ce­ rasoli fece «la figura del Manigoldo in cima alla Croce» e «i panni che formano calzoni in due Manigoldi destinati al Roccheggiani»41. Nel maggio 1784 il quadro in mosaico della Crocifissione di San Pietro venne portato nella sagrestia vaticana, dove fu collocato sull’altare della sagrestia comune e consacrato il 13 giugno 178442. Nel 1914 il mosaico venne spostato sopra l’altare centrale della tribuna meridionale, dove rimase fino al 1963 quando fu sostituito dal mosaico di San Giuseppe, patrono della Chiesa universale43. Il mosaico della Crocifissione di San Pietro fu allora trasferito sopra il vicino altare del transetto sud, dove tuttora si trova44. Si ricorda infine che Domenico Cresti, detto il Passi­gnano, aveva eseguito per la basilica vaticana, tra il 1602 e il 1605, un dipinto a olio su lavagna raffigurante la Crocifissione di San

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L’immagine di Pietro nella sua basilica A fronte: 216. Basilica vaticana, transetto meridionale, la Crocifissione di San Pietro, pala d’altare.

Pietro45. La pala pittorica, che si trovava sopra l’altare posto di fronte alla porta della sagrestia, fu restaurata dallo stesso Passignano già nel 1624, perché guastata dall’umidità e perché aveva perduto i colori a causa della «poca diligenza di quelli che l’hanno lavata»46. Nel 1759 il dipinto, corroso e ormai quasi illeggibile, fu sostituito da una copia della Trasfi­gurazione di Raffaello dipinta su tela da Stefano Pozzi. Nel 1768 venne collocato in questo luogo l’attuale mosaico raffigurante La morte di Anania e Saffira47.

217. Basilica vaticana, pilone di Sant’Andrea (lato sud), La morte di Anania e Saffira, pala d’altare.

San Pietro risana lo storpio Pilone di Santa Veronica, altare della Guarigione dello storpio Questa grandiosa pala d’altare, la cui visibilità è resa disagevole dalla presenza di uno degli organi della basilica, venne realizzata tra il 1751 e il 1758 dai mosaicisti Guglielmo Paleat, Enrico Enuò, Alessandro Cocchi. Il dipinto che servì per la composizione dell’opera musiva venne eseguito tra il 1745 e il 1749 da Francesco Man­cini, il quale ricevette il saldo finale di 1200 scudi nell’aprile del 174951. Tale dipinto a olio su tela è oggi conservato presso l’Aula delle Benedizioni.

La morte di Anania e Saffira Pilone di Sant’Andrea, lato sud, altare della Bugia

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Il mosaico riproduce una pala d’altare su lavagna, dipinta a olio da Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio, tra il 1599 e il 1604. Questo prezioso quadro, che si può oggi ammirare nella basilica di Santa Maria degli Angeli in Roma, si trovava originariamente sul lato orientale del pilone di Sant’Andrea, nel luogo dove venne successivamente collocata la copia in mosaico della Trasfigurazione di Raffaello48. Tra il 1721 e il 1722 Giovan Domenico Cam­piglia eseguì, per la somma di 320 scudi, una copia del dipinto del Pomarancio49, che servì come cartone della riproduzione musiva realizzata da Pietro Adami tra il 1721 e il 1728. Il mosaico, che inizialmente fu collocato sopra lo stesso altare del dipinto originale, fu «arrotato» e lustrato» nel 1732 da Giuseppe Bigieri, capo mastro scalpellino della Fabbrica di San Pietro50. Nel 1768 la pala musiva di Pietro Adami venne trasferita sopra l’altare posto di fronte alla porta della sagrestia, dove tuttora si trova. Tale altare è generalmente detto «della Bugia», proprio a motivo del soggetto illustrato nel mosaico. Si tratta della rappresentazione di un episodio narrato negli Atti degli Apostoli (At 5,1-10), dove si racconta della morte di Anania e di sua moglie Saffira per aver mentito a San Pietro sul ricavato della vendita di un terreno, sottraendo alla comunità cristiana parte del ricavato. Il mosaico, dove sullo sfondo di meravigliose architetture si affollano ventitré personaggi, mostra in primo piano il corpo senza vita di Saffira, mentre a grande distanza due uomini e una donna in lacrime trasportano la salma di Anania nel luogo della sepoltura. Vicino a Sant’Andrea è rappresentato San Pietro al centro della composizione, nell’atto di rimproverare la donna, annunciandole l’immi­nente arrivo di coloro che hanno appena seppellito il marito per portare via anche lei. Gli uomini che assistono all’improvvisa morte della donna menzognera mostrano sentimenti di marcato timore, stupore e ammirazione, sia con gli atteggiamenti sia con l’espressione del volto.

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San Pietro in Vaticano

218. Basilica vaticana, pilone di Sant’Andrea (lato sud), La morte di Anania e Saffira, pala d’altare, particolare.

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L’immagine di Pietro nella sua basilica

A fronte: 219. Basilica vaticana, pilone di Sant’Andrea (lato sud), La morte di Anania e Saffira, pala d’altare, particolare del volto di Sant’Andrea.

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San Pietro in Vaticano

L’immagine di Pietro nella sua basilica 220 e 221. Basilica Vaticana, pilone di Santa Veronica (lato ovest), San Pietro risana lo storpio, pala d’altare, intero e particolare a fronte.

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La scena della Guarigione dello storpio occupa il centro della composizione, che comprende ventiquattro immagini di uomini, donne e bambini, e sedici figure di angeli e cherubini nella parte più alta del quadro. I Santi Pietro e Giovanni sono raffigurati davanti al tempio di Gerusalemme, che maestosamente si erge sul fondo della scena. In particolare il mosaico, secondo il racconto degli Atti degli Apostoli, illustra magistralmente ciò che accadde all’ingresso del tempio: «Qui di solito veniva portato un uomo storpio fin dalla nascita; lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta Bella, per chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. Costui, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, li pregava per avere un’elemosina. Ma Pietro, come pure Giovanni, fissò i suoi occhi sopra di lui e gli disse: “Guardami!”. Egli lo guardò attentamente, sperando di ricevere da essi qualche cosa. Allora Pietro gli disse: “Non ho né argento, né oro, ma ti do quello che ho: nel nome di Gesù Cristo Nazareno, alzati e cammina!”. Poi, presolo per la mano destra lo alzò, e in quel momento divennero sane e forti le sue gambe e i suoi piedi» (At 3,2-7). L’unione della mano di Pietro con la mano protesa dello storpio evoca nell’osservatore il ricordo delle parole pronunciate dall’apostolo e qui ricordate. La traduzione in mosaico del dipinto di Francesco Mancini andò a sostituire una precedente pala d’altare, dipinta con il medesimo soggetto da Ludovico Cardi, detto il Cigoli, tra il 1604 e il 1607. Fu un’opera tra le più ammirate e applaudite in ogni tempo e venne considerata una delle più belle pale d’altare realizzate al principio del Seicento per gli «altari grandi» presso le «navi piccole», ovvero per le navatelle adiacenti i piloni della cupola. Nonostante fosse molto deteriorata, si pensò anche di poterla replicare in mosaico e, a tale scopo, Giovanni Domenico Campiglia eseguì tra il 1718 e il 1719 la necessaria copia pittorica. Stando ai documenti di archivio, ma non vi sono altre notizie al riguardo, il mosaicista Giu­seppe Ottaviani sembra avere eseguito un mosaico tra il 1726 e il 172852.

era stato appositamente dipinto da Placido Costanzi, che vi lavorò tra il 1734 e il 1740. Tut­tavia, come riportano alcune carte di archivio, il suo quadro «per vari anni fu tenuto alla Certosa, quasi in dimenticanza»53. Tale dipinto, tornò in seguito nella basilica di Santa Maria degli Angeli, dove si può oggi ammirare. Il mosaico illustra, secondo il racconto degli Atti degli Apostoli (At 9,36-43), la miracolosa resurrezione di Tabita per

San Pietro resuscita Tabita Pilone di Sant’Elena, lato ovest, altare della Resurrezione di Tabita Questa pala d’altare venne eseguita tra il 1758 e il 1760 dai mosaicisti Giuseppe Ottaviani, Giovanni Francesco Fiani, Bernardino Regoli, Guglielmo Paleat, la cui attività è ampliamente testimoniata dai documenti amministrativi della Fabbrica di San Pietro. Il cartone per la realizzazione del mosaico

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San Pietro in Vaticano 222. Basilica vaticana, pilone di Sant’Elena (lato ovest), San Pietro resuscita Tabita, pala d’altare. A fronte: 223. Basilica vaticana, pilone di Sant’Elena (lato nord), la Navicella, pala d’altare.

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intercessione di San Pietro. Tabita, donna che «abbondava in opere buone e faceva molte elemosine», si era ammalata ed era morta nella sua casa a Giaffa, dove San Pietro si recò dal vicino villaggio di Lidda su invito dei discepoli. La pala d’altare mostra il momento immediatamente successivo alla resurrezione, dopo che Pietro aveva ordinato alla donna di alzarsi: «Ed ella aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. Egli le diede la mano e la fece alzare, poi chiamò i fedeli e le vedove e la presentò loro viva» (At 9,40-41). Non a caso il gesto della stretta di mano tra Pietro e Tabita costituisce il fulcro della rappresentazione, al quale convergono gli sguardi spaventati e stupiti di tutti i presenti. Si ricorda infine che la prima pala d’altare con la raffigurazione di San Pietro che resuscita la vedova Tabita, venne realizzata per il medesimo altare della basilica vaticana, da Giovanni Baglione tra il 1604 e il 1609. Il dipinto a olio su intonaco faceva parte del ciclo decorativo delle «na­vi piccole», voluto dal papa Clemente viii, Aldobran­dini (1592-1605), e avviato seguendo le meditate e dotte indicazioni del cardinale Cesare Baronio. Di tale perduta pala d’altare, che valse al pittore l’ono­ rificenza di «Cavaliere dell’Ordine di Cristo» e grande ammirazione dei contemporanei, si conservano presso la Fabbrica di San Pietro quattro preziosi frammenti con la testa di San Pietro, la testa di un discepolo, due giovani vedove e un angelo54. Presso la basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma, si può inoltre ammirare una copia pittorica dell’opera del Baglione realizzata per 320 scudi da Emanuele Alfani, tra il 1726 e il 1731, con l’intenzione di tradurla successivamente in mosaico55.

La Navicella Pilone di Sant’Elena, lato nord, altare della Navicella

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Il mosaico riproduce una precedente pala d’altare in affresco di Giovanni Lanfranco, che, già molto rovinata, venne distaccata dalla muratura quando al suo posto fu collocata l’attuale copia musiva. Parte dell’affresco della Navicella venne allora trasferito nell’Aula delle Benedi­zioni, dove ancora oggi è custodito. Il pittore bolognese l’aveva realizzata tra il 1627 e il 1628 in sostituzione di un perduto dipinto con il medesimo soggetto, che Bernardo Castello aveva eseguito a olio su lastre di ardesia tra il 1604 e il 1605. Trascorsi vent’anni il papa Urba-

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no viii, Barberini (1623-1644), decise di sostituire l’originaria pala d’altare con una nuova opera assegnata al summenzionato Giovanni Lanfranco e a nulla valsero le lettere di garbato disappunto inviate nel giugno 1626 dal pittore genovese alla Fabbrica di San Pietro, lettere nelle quali l’artista si dichiarava disponibile ad apportare sul dipinto le desiderate correzioni e, se ritenuto necessario, a rifare interamente la pala d’altare a titolo gratuito e secondo le indicazioni della Congre­gazione della Fabbrica56. Per approntare il cartone necessario all’esecuzione del mosaico, Nicola Ricciolini ebbe l’incarico di dipingere, tra il 1719 e il 1720, una copia dell’affresco di Lanfranco, lavoro per il


L’immagine di Pietro nella sua basilica

L’immagine di Pietro nella sua basilica A fronte: 224. Basilica vaticana, pilone di Sant’Elena (lato nord), la Navicella, pala d’altare, particolare.

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225. Basilica vaticana, cappella dei Santi Michele e Petronilla, San Pietro battezza Santa Petronilla, lunetta ovest, lato sud.

quale venne stabilito dai periti un compenso complessivo di scudi 32057. Il mosaico venne quindi eseguito da Pietro Paolo Cristo­fari, che il 17 luglio 1720 aveva chiesto alla Congrega­zione della Fabbrica di San Pietro un compenso di 6500 scudi58. Il 9 luglio 1727 il Collegio dei cardinali della Congregazione della Fabbrica di San Pietro esprimeva viva soddisfazione per il compimento del mosaico «rappresentante San Pietro in atto di naufragare, chiamato volgarmente della Navicella», dichiarando e nominando Pietro Paolo Cristofari «sopraintendente e capo di tutti i Pittori di Mosaico» che saranno chiamati a lavorare nella basilica vaticana59. Nella realizzazione della pala d’altare con la Navicella, metafora della Chiesa nel mare tempestoso, è evidente l’ispirazione alla più celebre Navicella di Giotto, che, proprio in quegli anni veniva collocata al centro della facciata interna della basilica60.

San Pietro battezza Santa Petronilla Cappella dei Santi Michele e Petronilla, lunetta ovest, lato sud

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I documenti della Fabbrica di San Pietro registrano, a co­ minciare dal 23 dicembre 1719, una serie di pagamenti a fa­ vore del pittore Bonaventura Lamberti per la realizzazione dei cartoni delle lunette per la cappella di San Michele arcangelo e Santa Petronilla. Il 24 luglio è documentato l’ultimo versamento di cinquanta scudi per il la­voro intrapreso, che non fu tuttavia completato a causa di una malattia che colpì l’artista e che di lì a pochi mesi lo avrebbe condotto alla morte61. Infatti, a fronte di un cre­dito ancora aperto con il Lamberti, la Fabbrica di San Pie­tro sostenne le spese per l’assistenza prestata al pittore du­rante la malattia da Gennaro Giannelli e Giovan Bat­tista de Bonis, inoltre, il 20 dicembre del 1721, la medesima Fabbrica rimborsò a don Clemente Rossi, parroco della chiesa di San Salvatore in Campo, le spese del funerale62. Il lavoro iniziato da Bonaventura Lamberti fu portato a termine da Lorenzo Gramiccia, che fu retribuito per tale opera dalla Fabbrica a cominciare dal 15 novembre 1721. In particolare, un documento del 20 marzo 1722 contiene un esplicito riferimento al completamento del cartone rappresentante San Pietro che battezza Santa Petronilla63. Infine il mosaicista Giuseppe Ottaviani, sulla base del cartone dipinto dal Lamberti e dal Gramiccia, realizzò tra il 1722 e il 1723 il mosaico che ammiriamo oggi in basilica, dove San Pietro è rappresentato in piedi con le chiavi e il libro nella mano

sinistra, mentre con la destra versa l’acqua battesimale sul capo di Santa Petronilla devotamente inginocchiata davanti all’apostolo64.

San Pietro Confessione, «nicchia dei Palli», parete meridionale Questo mosaico si trova nel luogo più venerato e significativo della basilica. Siamo infatti all’interno della nicchia detta

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San Pietro in Vaticano 226. Basilica vaticana, «nicchia dei Palli», San Pietro.

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«dei Palli», che si apre sul prospetto della Confessione vaticana, esattamente sotto l’altare papale, sovrastato dal baldacchino del Bernini e dalla grandiosa cupola risplendente di meravigliosi mosaici. La «nicchia dei Palli» corrisponde all’edicola costruita sull’umile tomba di Pietro intorno alla metà del ii secolo: un monumento modesto per forma e dimensioni, co­stituito da due colonnine di marmo bianco che sostenevano una mensa lapidea addossata a un muro intonacato di rosso con al centro una piccola cavità, successivamente rivestita dal mosaico del Cristo

L’immagine di Pietro nella sua basilica 227. Basilica vaticana, «nicchia dei Palli», mosaici del Cristo Salvatore tra i Santi apostoli Pietro e Paolo.

Salvatore. Gaio, un dotto prete romano che visse a Roma durante il pontificato di Zefirino (198-218), la ricorda, insieme alla tomba di Paolo sulla via Ostiense, con il nome di «trofeo», per indicare il luogo delle gloriose sepolture dei «due fondatori» della Chiesa romana. Nel iv secolo questa edicola funeraria segnò la quota per il pavimento dell’antica basilica di San Pietro e, salvaguardata in ogni epoca, divenne centro e meta di una ininterrotta devozione, che si accrebbe nel Rinascimento e nell’età barocca fino ai nostri giorni. Da un pozzetto («cataracta»), che si apre sul piano di questo vano, si potevano ottenere reliquie

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per contatto con la sottostante sepoltura apostolica e in questa nicchia, nel giorno della solenne festività di San Pietro, vengono ancora collocati i «palli», le stole di lana bianca con croci nere, che il papa, successore di Pietro, impone agli arcivescovi metropoliti in segno di onore e di comunione nel governo delle regioni ecclesiastiche. Dunque, in questo luogo di così alto significato spirituale e simbolico, già il papa Leone iii (795-816) aveva ornato il fondo della nicchia con la figura del Cristo Salvatore e le pareti laterali del medesimo vano con le immagini degli apostoli Pietro e Paolo recanti corone con gemme preziose65. I due Santi, «colonne della Chiesa» e «patroni di Roma», erano uniti fin dall’antichità in una inseparabile concordia («ubi Petrus ibi Paulus»). Nel Medioevo e nel Rinascimento si riteneva inoltre che i loro resti mortali fossero stati riuniti dal papa Silvestro (314-335) nelle rispettive basiliche di San Pietro in Vaticano e di San Paolo sulla via Ostiense66. Così il ricordo di quelle raffigurazioni, rinnovate e restaurate nel tempo, è sopravvissuto fino ai nostri giorni attraverso il mosaico del Cristo, della fine del ix secolo (sebbene molto restaurato), e i due mosaici di Pietro e di Paolo, realizzati con smalti dai vivaci colori da Giovanni Battista Calandra67. Il valente e versatile artista vercellese, divenuto nel 1622 «soprastante» della Fabbrica di San Pietro, realizzò non soltanto i mosaici dei Santi Pietro e Paolo, ma anche il cartone preparatorio, che completò nel marzo del 162568. Di tale lavoro si ricorda volentieri la bella descrizione di Lione Pascoli (16741744): «[...] E con proprio cartone rappresentò in due figure di quattro palmi San Pietro e San Paolo sotto il meraviglioso ciborio di quel luogo ascoso, che si chiama il pozzo dei martiri. E si vedono anche presentemente nei laterali di quella porticella, che per venerazione maggiore sta sempre chiusa, avendoli ornati all’interno di un semplice e vago rabesco diligentemente e maestrevolmente condotto»69. Dal 1626 fino al 1633 documenti della Fabbrica di San Pietro registrano pagamenti in favore dell’artista70. Siamo quindi sotto il pontificato di Urbano viii Barberini e, non a caso, piccole api «di giallo ombreggiate» in campo azzurro si alternano a verdi foglie di ulivo su fondo rosso nelle cornici esterne dei quadri dei due apostoli. Sulla parete di sinistra della nicchia, San Pietro è rappresentato con il libro e le chiavi del Regno dei Cieli. Di fronte a lui San Paolo è raffigurato con la spada rivolta verso il basso e il libro chiuso nella mano sinistra. Ancora nel xvii secolo simili figure si potevano ammirare nel dipinto su tavola attribuito alla bottega di Giotto, che si trovava esattamente dietro la nicchia sopra l’altare «ad caput Sancti Petri», ovvero nella «Subterranea Confes­sio» o «Cappella Clementina»71.

Francesco Maria Torrigio (1580-1650), assiduo frequentatore della basilica ed erudito canonico della chiesa di San Nicola in Carcere, ricorda che negli anni 1633 e 1634 vennero realizzate alcune croci devozionali «commesse di varie pietre con dentro dei mosaici della Cappella antica della Confessione», croci che avevano la seguente iscrizione in lettere dorate: musaicum ex sepulcro ss. app. petri et pauli: Mosaico dal sepolcro dei Santi Pietro e Paolo72. I mosaici della «nicchia dei Palli» subirono importanti e documentati restauri nel primo decennio del Settecento ad opera di Tommaso de Rossi73. Ulteriori restauri furono condotti nel 1863, durante il pontificato di Pio ix, Mastai Ferretti (18461878).

San Pietro Navata settentrionale, vestibolo della cappella della Pietà La collocazione sopra la Porta Santa del magnifico mosaico con il busto di San Pietro clavigero su fondo oro, avvenne alla vigilia del Giubileo del 1675, durante il pontificato di Clemente x, Altieri (1669-1676). I documenti custoditi dalla Fabbrica di San Pietro registrano nei mesi di novembre e dicembre 1674 pagamenti a favore di Fabio Cristofari per alcuni interventi di restauro eseguiti sulla figura di San Pietro, con particolare riferimento alle vesti, al libro e «alle nuvole verso la bussola»74. Attente e documentate ricerche condotte da Arabella Cifani e Franco Monetti hanno confermato l’attribuzione del mosaico a Giovan Battista Calandra, che lo avrebbe realizzato su cartoni di Giovan Battista Ricci da Novara prima del 10 giugno 1618, quando lo stesso Calandra preparò il conto per l’esecuzione di un mosaico dei Santi Pietro e Paolo e per altri lavori condotti nel «Cortile nuovo appresso la Porta principale del Palazzo Vaticano»75. Dal Diario manoscritto di Francesco Quadrani si ricava che il mosaico di San Pietro fu portato in basilica l’11 settembre 1674, il 26 settembre fu messo il primo pezzo della cornice in diaspro di Sicilia e il 3 ottobre fu collocato sopra la Porta Santa76. Nulla sappiamo sulla sorte toccata all’altro mosaico con figura di San Paolo, realizzato da Calandra nel «Cortile novo» presso la «Porta horaria». L’attribuzione a Giovan Battista Calandra, già proposta nella seconda metà del Settecento da Giuseppe Alessan­dro Furietti e Giovan Pietro Chattard, sembra trovare ulteriore conferme in base a confronti tecnici e stilistici con altre opere note dello stesso autore77. Simili sono le tessere vitree utilizzate dal Calan-

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San Pietro in Vaticano 228. Basilica vaticana, navata settentrionale, Porta Santa, San Pietro.

L’immagine di Pietro nella sua basilica A fronte: 229-232. Basilica vaticana, cortile di San Gregorio l’Illuminatore, La chiamata di Pietro e Andrea; La consegna delle chiavi; La lavanda dei piedi; Getsemani.

2. La consegna delle chiavi del regno dei cieli, tibi dabo claves (Mt 16,19). Il Signore consegna a Pietro inginocchiato le chiavi del Regno dei Cieli, che nel mosaico sono volutamente evidenziate in grande formato. 3. La trasfigurazione del Signore e l’apparizione di Mosè ed Elia a Pietro, Giacomo e Giovanni, domine, bonum est nos hic esse (Mt 17,4). Pietro di fronte a tale visione esprime la gioia dei presenti per l’opportunità di partecipare a un simile evento. 4. La lavanda dei piedi, domine, tu mihi lavas pedes? (Gv 13,6). Il Signore lava i piedi a Pietro, che in principio non comprende il significato di tale gesto. 5. Getsemani, testis christi passionum (1 Pt 5,1). Pietro e altri due discepoli cadono addormentati nel podere chiamato «Getsemani», mentre il Signore rivolge le sue preghiere al Padre. La scelta iconografica per questi cinque quadri a mosaico si ricollega al programma figurativo del portico, dove ogni singoregni caelorum

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dra per altri mosaici e, nel caso del ritratto di San Pietro, significativi riscontri si hanno con il ritratto dell’apostolo raffigurato all’interno della «nicchia dei Palli» nella Confessione vaticana.

Mosaici con episodi della vita di San Pietro Esterno basilica, cortile di San Gregorio l’Illuminatore Gli ultimi mosaici dedicati al principe degli apostoli nella basilica vaticana vennero realizzati sotto la direzione del maestro Dario Narduzzi dallo Studio del Mosaico della Fabbrica di San Pietro, tra gennaio e ottobre dell’anno 2000. Si tratta di cinque quadri, delle dimensioni di cm 130 × 130, che rappresentano alcuni tra gli episodi più significativi nella vita dell’apostolo78.

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Tali opere musive sono esposte sotto il portico che sostiene la scala di uscita della Cappella Sistina, in uno spazio a nord della basilica, un tempo chiamato «Cortilone», interamente ristrutturato nel 1999 e intitolato, il 22 febbraio 2008, a San Gregorio l’Illuminatore, protettore della Chiesa armena79. I mosaici sono collocati ad altezza d’uomo su basamenti di traverino con l’indicazione in latino del passo del Vangelo che ha ispirato ciascuna scena. Procedendo da est verso ovest e menzionando l’iscrizione didascalica riferita a ciascuna opera, abbiamo: 1. La chiamata di Pietro e Andrea, faciam vos fieri piscatores hominum (Mc 1,17). I due pescatori Pietro e Andrea incontrano il Signore nel mare di Galilea, il quale li invita a seguirli per divenire «pescatori di uomini».

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la immagine rappresenta un invito a meditare sull’importanza della figura di Pietro nella storia del cristianesimo e sulla centralità della Chiesa nel cammino dell’umanità. In particolare le decorazioni a stucco della grande volta, realizzate tra il 1618 e il 1619 da maestranze del Canton Ticino su cartoni di Giovan Battista Ricci da Novara ispirati alle perdute pitture medievali dell’antico portico della basilica, raffigurano all’interno di artistiche formelle trentadue storie di San Pietro, tratte dai Vangeli, dagli Apocrifi e dagli Atti degli Apostoli80. Proprio queste secentesche decorazioni del portico fornirono il «modello» per la realizzazione delle nuove composizioni musive, come si può soprattutto osservare nei mosaici della Chiamata di Pietro e Andrea e della Tra­sfigurazione del Signore. Il mosaico del Getsemani deriva invece dall’Ultima Cena di Cosimo Rosselli nella Cappel­la Sistina. Per la realizzazione dei cinque quadri musivi, inseriti in casseformi di travertino, sono state impiegate tessere tagliate (cm 5 × 5) di marmi policromi e di smalti vetrosi.

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Capitolo settimo

Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro Antonio Grimaldi

«Te gloriosus Apostolorum chorus, te prophetarum laudabilis numeros, te martyrum candidatus laudat exercitus.» Te Deum

Michelangelo aveva immaginato l’interno del tempio vaticano con le pareti spoglie, decorate unicamente dall’elegante teoria degli elementi architettonici; in seguito al prolungamento maderniano, la basilica dovette però ap­pa­rire troppo fredda e austera, tanto da indurre la Con­gre­gazione della reverenda Fabbrica di San Pietro a delineare un progetto – improntato a canoni marcata­mente este­tico-pedagogici – finalizzato all’abbellimen­to dello spa­zio sacro, affidando a importanti artisti la realizzazione di opere figurative capaci di esprimere sicuri valori etico-parenetici. Una chiara eco di questo vasto e articolato programma si coglie nei grandiosi mosaici – che attualmente rivestono una superficie complessiva di oltre un ettaro – che orna­no altari, cupole e volte; nelle numerose rappresentazioni antropomorfe delle virtù; nelle solenni statue marmoree di sante e santi fondatori di congregazioni e ordini religiosi. Sia nella basilica costantiniana sia in quella attuale, santi e martiri si sono uniti in un abbraccio corale – testimonianza tangibile di quella Communio Sanctorum che la Chiesa proclama solennemente nel Symbolum Apostolo­rum – intorno al Pescatore di Galilea, confessandone il primato riconosciutogli dal Maestro1 e raccomandando a ciascun credente di non discostarsi mai dal corpo mistico della Chiesa: che cos’è, infatti, la Chiesa se non l’as­semblea di tutti i Santi2? Da sempre, attraverso la mediazione e il patronato dei Santi, i cattolici hanno ricercato un canale preferenziale di contatto con l’Assoluto nonché conforto e sostegno efficace nelle vicende del vivere quotidiano: è per questo, che nella sua duplice e fondamentale funzione di madre e maestra, la Chiesa – come affermato autorevolmente da Sua Santità Benedetto xvi – offre ogni giorno «la possibilità di camminare

in compagnia dei Santi. Scriveva Hans Urs von Balthasar che i Santi costituiscono il commento più importante del Vangelo, una sua attualizzazione nel quotidiano e quindi rappresentano per noi una reale via di accesso a Gesù. Lo scrittore francese Jean Guitton li descriveva “come i colori dello spettro in rapporto alla luce”, perché con tonalità e accentuazioni proprie ognuno di loro riflette la luce della santità di Dio. [...] La loro esperienza umana e spirituale mostra che la santità non è un lusso, non è un privilegio per pochi, un traguardo impossibile per un uomo normale; essa, in realtà, è [...] la vocazione universale di tutti i battezzati3. [...] Bernanos, grande scrittore francese che fu sempre affascinato dall’idea dei santi [...] nota che “ogni vita di santo è come una nuova fioritura di primavera”»4.

Il Miracolo di San Gregorio Cappella Clementina, parete sud, altare di San Gregorio Magno L’altare dedicato a San Gregorio Magno (590-604), consacrato nell’anno 1628, accoglie al suo interno il sarcofago di marmo bianco nel quale, dall’8 gennaio 1606, riposano le spoglie mortali del santo pontefice cui si deve la designazione del successore di Pietro quale «servus servorum Dei»: con un rituale in uso fino a papa Paolo vi, il nuovo pontefice riceveva proprio dinanzi a questo altare il voto di obbedienza da parte dei membri del Collegio Cardinalizio e, sempre nello stesso luogo, rivestiva i paramenti pontificali. La tela raffigurante Il Miracolo di San Gregorio – conservata attualmente nella Sala Capitolare della basilica di San

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San Pietro in Vaticano

Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro 233 e 234. Basilica vaticana, cappella Clementina, parete sud, altare di San Gregorio Magno, Il Miracolo di San Gregorio, particolare di San Gregorio in atto di incidere il brandeum e veduta generale della scena.

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Pietro – è un’opera della maturità artistica di Andrea Sacchi (Nettuno, 30 novembre 1599-Roma, 21 giugno 1661)5, che segna l’inizio di una nuova tendenza nell’ambito del Barocco romano, attraverso un’elegante sintesi tra elementi secenteschi – evidenti in particolare nell’assetto spaziale e l’impiego di colori caldi e ricchi di ascendenza veneta – e suggestioni derivate dal classicismo cinquecentesco, nella colta ricerca della semplicità compositiva e nella tensione verso una maggiore essenzialità psicologica nella rappresentazione dei personaggi. La scelta dell’episodio – qui reso in maniera affatto suggestiva – appare assolutamente strumentale alle linee guida dettate dalla temperie controriformistica, orientate a ribadire la sacralità delle reliquie, pesantemente screditata dalla pubblicistica protestante. La notizia attinge alla biografia del Santo pontefice, scritta nel secolo ix da Giovanni Diacono6 e ripropone un analogo episodio ricordato nella vita di San Leone Ma­gno7: «Gregorio [...] avendo certuni delle regioni occidentali fatto una petizione per mezzo di ambasciatori aveva racchiuso in distinte pissidi, come di consueto, una reliquia del brandeum con il nome dei martiri richiesti e dopo avergli apposto il sigillo le consegnò ai suddetti ambasciatori8. Questi [...] presentarono con rammarico le loro lamentele avendo ricevuto pezzetti di vile panno invece di reliquie [...] In quel momento papa

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Gregorio attendeva alla celebrazione della Messa. terminato il rito, davanti a tutti si fece portare un brandeum degli ambasciatori e lo pose sull’altare. Con i presenti si raccolse in orazione, affinché Dio onnipotente indicasse [...] che quanto [...] era stato trasmesso dai sepolcri degli Apostoli, doveva essere venerato come reliquia di martiri. [...] Chiese un coltello, come aveva fatto il santo papa Leone, incise il brandeum e dalla lacerazione subito emanò sangue»9. Tra il 162510 e 162711 Andrea Sacchi riceve denaro per dipingere la tavola di San Gregorio fatta per l’altare nella cappella Clementina. Dopo il saldo delle spettanze ricevuto nell’ottobre di quell’anno12, l’artista sottopone alla Fabbrica di San Pietro, sotto forma di supplica, un’istan­za volta all’ottenimento di una maggiore remunerazione dell’opera svolta: «Illustrissimi et Reverendissimi Signori [...] Andrea Sacchi Pittore humilissimo servitore delle Signo­rie Vostre Illustrissime et Reverendissime, e per sua mercede ha riceuto a bon conto denari in più volte. Supplica hora le SS. VV. Illustrissime et Reverendis­sime a degnarsi ordinare che sia sodisfatto del resto conforme al giusto. Che lo riceverà anco a grazia [...] dalle SS. VV. Illustrissime et Reverendissime Quam Deus»13. Il 27 settembre 1627 il celebre pittore vede soddisfatte le sue richieste: «Andrea Sacchi che dipinse la tavola del­l’Altare di San Gregorio Magno nella Cappella Clemen­tina sia saldato per il suo lavoro 300 scudi di moneta in tutto, computati scudi 200, o altra somma per lui per questa causa saldati»14. La decisione di sostituire la tela con un identico impianto musivo venne presa nel corso della «Congregazione particolare Economica della Reverenda Fabbrica di S. Pietro tenuta la mattina di 12 gennaio 1770 avanti a S.A.R. Ema il Sig. Cardinal Duca di York [Enrico Stuart (1725-1807)] Prefetto»; in tale occasione, accanto a motivazioni di decoro artistico dello spazio sacro, non vengono taciute – con lodevole pragmatismo amministrativo – preoccupazioni di ordine pratico in merito allo stato occupazionale del personale addetto allo Studio del Mosaico: «Si propone se debba il Celebre Quadro di Andrea Sacchi rappresentante S. Gregorio Mettersi in Mosaico, perché merita colla sua eccellenza esser perpetuato in vista del danno, che principia dal tempo a soffrire, quando piaccia, si richiedono le necessarie facoltà per ordinarlo in sollievo d’un arte, che fa onore a Roma, di cui è privativa e che senz’essere impiegata, corre gran rischio di perdersi»15. La trasposizione in mosaico, divenuta immediatamente operativa, venne affidata a tre mosaicisti dello Studio della Fabbrica che, il 20 giugno 1772 ricevono le ultime spettanze

235. Basilica vaticana, transetto meridionale, altare della Crocifissione di San Pietro, San Lorenzo Ruiz.

a conclusione del lavoro compiuto: «Ad Alessandro Cocchi, Filippo Cocchi e Vincenzo Castellini Mosaicisti Scudi Centocinque moneta per saldo, e finale pagamento del Quadro di Andrea Sacchi rappresentante il Miracolo di San Gregorio, posto a Mosaico, il prezzo del quale stabilito per la somma di Scudi Duemila, come da Giusti­ficazione nella Lista delli 30 Giugno 1770, ed Ordine in Computisteria»16.

San Lorenzo Ruiz Transetto meridionale, altare della Crocifissione di San Pietro

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Lorenzo Ruiz – un uomo sposato, con famiglia – nato in Manila «extra muros»: nel sobborgo di Binondo17, appartiene a un gruppo di sedici martiri in Giappone, tutti collegati, sia pure a vario titolo, con l’Ordine dei Frati Pre­di­catori (Domenicani) nella provincia missionaria del Santo Rosario, sorta nel 1587. Beatificato il 18 febbraio 1981, venne canonizzato il 18 ottobre 1987, in piazza San Pietro, dal Beato Giovanni Paolo ii, Karol Wojtyla (1978-2005). Di questi sedici martiri, nove erano giapponesi, quattro spagnoli, uno italiano, uno francese, uno filippino. I sacer­ doti domenicani erano nove, i fratelli cooperatori due, le terziarie due, e tre i laici: tranne Marina di Omura e Anto­ nio González, tutti morirono sulla collina detta Nishizaka, a Nagasaki, dove, nel 1597, erano stati crocifissi i ventisei Santi protomartiri del Giappone e avevano patito molti dei duecentocinque Beati uccisi tra il 1617 e il 1632. Essi sono i continuatori di questa schiera (1633-1637) e con molti altri sono quasi gli epigoni del cosiddetto «Secolo Cristiano» del Giappone, inaugurato dalla predicazione di San Francesco Saverio (1549-1650 ca.). Il periodo della loro passione corrisponde al tempo in cui fu in carica, in qualità di supremo capo militare del Giappone, lo shogun Tokugawa Yemitsu che, il 28 febbraio 1633 e il 22 giugno 1636 aveva emanato due editti per estinguere il cristianesimo nell’Impero: essi prevedevano la punibilità con sentenza capitale dei missionari stranieri o autoctoni, di coloro che li ospitavano e di quanti non erano disposti ad abiurare la fede cristiana. Il desiderio di porre un’immagine di Lorenzo Ruiz nel massimo tempio della cristianità, accanto alla venerata tomba del Pescatore di Galilea, venne espresso dalla nazione filippina all’indomani della solenne cerimonia di beatificazione avvenuta a Manila: il 26 settembre del 1981, infatti, lo Studio

del Mosaico invia a sua eccellenza il signor Antonio C. Delgado, ambasciatore delle Filippine presso la Santa Sede, un dettagliato preventivo di spesa per il mosaico rappresentante il primo martire filippino: «La tavola musiva sarà di forma ovale, con l’asse maggiore di cm 139 e quello minore di cm 88, montata su cassina di ferro e cemento, e raffigurerà il Beato Ruiz secondo il modello della statua, opera dello scultore prof. Tommaso Gismondi18»19. L’ovale musivo, in cui il Santo è rappresentato a figura intera con le palme delle mani aperte e lo sguardo ieraticamente rivolto verso il cielo, venne realizzato sotto la guida di Virgilio Cassio20, Direttore dallo Studio del Mo­sai­co della Fabbrica di San Pietro, dai mosaicisti Roberto Grieco, Valentino Bonaguro e Giovanni Secchi21; l’opera, ultimata entro il 20 gennaio 1982, venne collocata in situ – sulla parete di destra dell’altare della Crocifissione di San Pietro, lungo

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Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro 236. Basilica vaticana, transetto meridionale, altare della Crocifissione di San Pietro, Sant’Antonio Maria Gianelli.

la crociera di sinistra, detta di San Giuseppe – soltanto il 10 marzo del 1988 con intervento dei mosaicisti Dario Narduzzi e Valentino Bonaguro. Il 6 giugno 1988, sua eccellenza il signor Howard Q. Dee, nuovo ambasciatore delle Filippine presso la Santa Sede, rivolgeva i suoi ringraziamenti a sua eccellenza mons. Lino Zanini, presidente della Fabbrica di San Pietro «per l’ottimo lavoro compiuto nel mosaico di San Lorenzo Ruiz in Manila»22.

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Sant’Antonio Maria Gianelli Transetto meridionale, altare della Crocifissione di San Pietro

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L’ovale musivo rappresenta il santo vescovo di Bobbio (1789-1846), nativo di Cereta, presso Chiavari. Il 12 gennaio 1829 Sant’Antonio Maria Gianelli fondò a Chiavari la Congregazione delle Figlie di Maria Santissima dell’Orto (la Madonna dell’Orto è la Santa patrona della cittadina sulla riviera ligure) note come Suore Gianelline: inizialmente si trattava di un gruppo di giovani pie donne dedite, come maestre ed educatrici, all’assistenza delle ragazze abbandonate; successivamente il loro campo d’azione si estese anche ai poveri e agli infermi e, nel giro di pochi anni, le «Gianelline» assunsero numerosi altri impegni, come la direzione degli ospedali di Chiavari, La Spezia e Ventimiglia, l’apertura di un educandato e di scuole per le ragazze più povere, nonché delle primissime scuole materne in Italia. Nel 1920 papa Benedetto xv, Giacomo della Chiesa (1914- 1922), ne proclamò le virtù eroiche; cinque anni dopo papa Pio xi, Achille Ratti (1922-1939), lo dichiarò Beato e, il 21 ottobre 1951 venne canonizzato da papa Pio xii, Eugenio Pacelli (1939-1958). L’8 aprile 1987 suor Valentina Milardi, economa della Congregazione, sottoscrive e approva il preventivo di spesa, propostole dallo Studio del Mosaico della Fabbri­ca di San Pietro, per i lavori di «esecuzione in mosaico di un ovale di misura cm 140 × 86 (asse maggiore e asse minore) raffigurante S. Antonio Maria Gianelli da collocarsi al lato dell’altare di sinistra, ove si trova la Croci­fissione di S. Pietro, nella navata traversa sinistra dedicata a San Giuseppe, nella Basilica Vaticana»23. Con una lettera inviata l’11 novembre del 1987, lo Studio del Mosaico – di cui era direttore il prof. Virgilio Cassio – comunicava a suor Maria del Rosario, superiora delle Figlie di Maria SS. dell’Orto, che «il mosaico raffigurante

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237. Basilica vaticana, transetto meridionale, altare di San Giuseppe, San Giuseppe patrono della Chiesa universale.

S. Antonio Gianelli24 è terminato e pertanto si rende necessaria una sua visione per l’approvazione definitiva, o l’apporto eventuale di qualche lieve modifica ancora possibile»25. Stando al dettato della nota spese redatta dall’ufficio tecnico della Fabbrica di San Pietro il 22 giugno del 1988, l’impianto musivo raffigurante il Santo fondatore delle «Gianelline», realizzato dai maestri mosaicisti Roberto Grieco, Dario Narduzzi e Valentino Bonaguro26, venne collocato in situ nel giugno del 1988.

San Giuseppe patrono della Chiesa universale Transetto meridionale, altare di San Giuseppe In simmetria con la parete opposta del transetto di destra (o settentrionale), anche quest’abside ospita tre altari inseriti in altrettante nicchie di grandi dimensioni: al centro si

apre solenne l’altare di San Giuseppe – sotto la cui mensa, all’interno di un antico sarcofago, proveniente dal mausoleo costantiniano di Sant’Agnese27, sono custodite le venerate reliquie dei Santi apostoli Simone e Giuda Taddeo – fiancheggiato da due colonne monolitiche in giallo antico. La pala musiva che lo sovrasta riproduce con accurata esattezza un dipinto a tempera28 realizzato dal noto pittore Virgilio Socrate (Achille) Funi (Fer­rara, 1890-Appiano Gentile, 1972)29. In un rasserenante contesto naturalistico – permeato da un equilibrato classicismo venato di accenti lirici e metafisici che suggeriscono, sotto un profilo estetico, vivaci richiami alle modalità espressive proprie del Puntinismo – che con-

ferisce all’insieme un’aura di leggiadra luminosità, – il Santo patrono della Chiesa universale viene raffigurato, ancor giovane, in piedi accanto a una cattedra mar­morea di stile ravennate – simboleggiante la sua di­scenden­za dalla stirpe regale di Davide – con in braccio Gesù Bambino – amorevolmente proteso verso di lui – e nella mano sinistra un giglio sul cui lungo stelo campeggiano un bocciolo e due splendidi fiori sbocciati. Un angelo, in atto di discendere dal cielo, reca tra le mani un cartiglio sul quale è riportato un versetto del Genesi, che sintetizza efficacemente il grande mandato affidato a San Giuseppe: tv eris svper domvm meam30. Un altro angelo e un giovane, entrambi genuflessi ai piedi del Santo e del Divin Fanciullo, contribuiscono a vivacizzare la dialettica interna alla sacra rappresentazione: il primo, posto alla destra del Santo, porge con gesto diafano la navicella di San Pietro – simbolo della Chiesa – mentre il secondo – metafora dell’umanità – offre con delicatezza estrema un ramoscello d’ulivo. Sullo sfondo della scena, in posizione quasi centrale, si intravede la cupola della basilica di San Pietro, palese richiamo al Concilio Vaticano ii, aperto ufficialmente dal Beato Giovanni xxiii, Angelo Giuseppe Roncalli (1958-1963), con il celebre discorso Gaudet Mater Ecclesia, l’11 ottobre 1962, nel corso di una solenne cerimonia svoltasi all’interno della basilica del Principe degli apostoli. Opera permeata di simbolismi, citazioni, allusioni e richiami, lascia emergere con immediatezza un chiaro parallelismo tra San Giuseppe e San Pietro – che si riverbera nella persona stessa del sommo pontefice – oggettivato dalla navicella, dalla cupola e dalla cattedra. Nell’insieme il dipinto di Funi riesce a stemperare la monumentalità severa dell’impianto iconografico generale, sia grazie al contesto naturalistico di fondo sia in virtù della gradevole levità del tratto descrittivo e alla sapiente scelta cromatica31. Il «Foglio di lavorazione» redatto dallo Studio del Mosaico il 7 marzo 1963, riferisce che l’opera venne trasposta in mosaico da Virgilio Cassio, Odoardo Anselmi, Silvio e Giovanni Secchi, Fabrizio Parsi e Giulio Pu­rificati, tutti mosaicisti impiegati presso lo Studio della Fab­brica di San Pietro, che si dedicarono all’impresa a partire, almeno, dal mese di novembre 1962. In un bi­glietto inviato ad Achille Funi l’8 novembre di quell’anno, sua eccellenza mons. Primo Principi, Economo Se­gretario della Fabbrica di San Pietro, scriveva: «È stata iniziata la traduzione in mosaico del quadro raffigurante San Giuseppe da Lei dipinto per la Basilica Vaticana [...] Sono pertanto a pregarLa [...] di voler disporre una Sua

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Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro Alle pagine seguenti: 238 e 239. Basilica vaticana, transetto meridionale, ­altare di San Giuseppe, San Simone e San Giuda Taddeo.

visita al nostro Studio del Mosaico»32, visita che ebbe luogo il successivo 20 novembre, con viva soddisfazione del professor Funi. L’importante impianto musivo – delle dimensioni di metri 2,99 × 1,90 e pesante ben 11 quintali – poteva già dirsi ultimato l’11 marzo 1963, come si evince dal testo di un biglietto inviato dallo Studio del Mosaico a mons. Loris Capovilla, segretario particolare del sommo pontefice: «Il quadro in mosaico raffigurante S. Giuseppe è ultimato e pronto per essere collocato in San Pietro [...] Sono ora a pregarLa di volermi significare se Ella in giornata o domani mattina possa avere un minuto di tempo per passare allo Studio del Mosaico, oppure se preferisce vedere il Quadro in San Pietro, ove domani sarà trasportato, per essere messo in opera»33. Nel pomeriggio del martedì 19 marzo 1963, festività di San Giuseppe Sposo della Beata Vergine Maria, dopo la cappella papale nel corso della quale venne beatificato il sacerdote bergamasco Luigi Maria Palazzolo, il Santo Padre Giovanni xxiii, rivolto ai numerosi fedeli che gremivano la basilica vaticana, tenne una vibrante allocuzione nella quale, fra l’altro, affermava: «Venerabili Fratelli, diletti figli. La cerimonia di questo vespero è stata veramente incanto, soavità e incoraggiamento delle nostre anime. All’ingresso in Basilica – primo tocco di celestiale favore – abbiamo benedetto l’immagine di San Giuseppe all’altare suo. Era desiderio Nostro compiere questo atto di pietà verso lo Sposo castissimo di Maria, il Custode di Gesù, e consacrare così il voto del cuore per un accendersi, anche nel massimo tempio della cristianità, della devozione a San Giuseppe, Protector Sanctae Ecclesiae, protettore del Concilio Ecumenico Vaticano ii. La coincidenza del Nostro onomastico e del 38° anniversario della Nostra consacrazione episcopale non poteva essere più toccante e significativa»34. Al riguardo, la cronaca doviziosissima di quella giornata, prosegue riferendo che: «Verso le ore 17, il Santo Padre Giovanni xxiii, in mozzetta e stola rossa è disceso – accompagnato dai Monsignori Maggiordomo, Maestro di Camera, Elemosiniere e Sacrista con gli altri Dignitari della Anticamera – nella Basilica, ricevuto dal Capitolo Vaticano con a capo il Signor Cardinale Arciprete Paolo Marella, il quale porgeva l’acqua benedetta a Sua Santità. Il Papa, dopo essersi segnato, aspergeva i presenti e si recava, tra le vivissime acclamazioni della folla, alla Cappella di San Giuseppe, dove attendevano i Signori Cardinali [...]. Fatta breve preghiera al faldistorio l’Augusto Pontefice, assistito dal Prefetto delle Cerimonie Mons. Enrico Dante, benedice-

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va il nuovo quadro di San Giuseppe, realizzato dallo Studio del Mosaico della Sacra Congregazione della Rev. Fabbrica di San Pietro su dipinto del prof. Achille Funi. Dopo la benedizione il Santo Padre incensava l’immagine [...] e sostava nuovamente in preghiera. Quindi ammetteva al bacio della mano il prof. Funi, che Gli veniva presentato da Mons. Primo Principi, Economo e Segretario della Sacra Congregazione della Rev. Fabbrica di San Pietro, e rivolgeva all’artista paterne parole di compiacimento»35. La grande devozione che animava il Beato pontefice verso lo sposo di Maria – che si esplicitò, in maniera affatto significativa, anche con un intervento a carattere universale attraverso l’inserimento nell’Editio Typica del 1962 del Missale Romanum, nella parte del Canon Missae detta Communicantes, del ricordo di San Giu­seppe subito dopo quello della Vergine Maria: «Com­mmunicantes, et memoriam venerantes, in primis gloriosæ semper Virginis Mariæ, Genitricis Dei et Domini nostri Jesu Christi: sed et beati Joseph eiusdem Virginis Sponsi, et beatorum Apostolorum ac Martyrum tuorum [...]»36 – lo spinse fin dai primissimi anni di pontificato a desiderare che una sua immagine venisse collocata, per la pubblica venerazione, in una zona della basilica vaticana facilmente accessibile ai pellegrini e, in tale prospettiva, si colloca l’interessante contenuto di un appunto Ex Audientia SSmi, redatto da sua eccellenza mons. Principi, che reca la data del 13 marzo 1961: «Il Quadro di S. Giuseppe del Grandi è stato collocato temporaneamente sull’altare centrale della crociera dei SS. Simone e Giuda [...] la Commissione composta da Mons. Fallani, Conte Galeazzi e Dott. De Campos, non ha ritenuto adatto [...] alcun quadro di quelli [...] presentati per l’esame [...] Sua Santità [...] non è alieno che sia bandito un concorso per un dipinto che rappresenti San Giuseppe patrono della Chiesa Universale. Se da questo concorso potrà risultare qualche cosa di meglio del dipinto del Grandi, questo dovrà essere sostituito. Altrimenti il mosaico che riproduce il dipinto del Grandi rimarrà definitivamente sull’altare centrale della crociera dei SS. Simone e Giuda, conformemente al parere degli esperti»37.

San Simone e San Giuda Taddeo Transetto meridionale, altare di San Giuseppe La presenza di un altare dedicato ai Santi Simone e Giuda Taddeo nella basilica papale vaticana38 è documentata ab immemorabili39: Tiberio Alfarano, nella sua celebre Pianta della

Basilica Costantiniana, disegna nella navata centrale, sul fondo del colonnato di sinistra, l’altare in cui erano custodite le venerate reliquie dei due apostoli40. Michele Cerati, nell’erudito commento all’opera di Alfarano, prendendo chiaramente spunto dalle accuratissime descrizioni del notaio Giacomo Grimaldi41, riferisce che: «Innocenzo iii nel 1198 diede ordine al Cardinale Ottaviano, vescovo di Ostia, di riconsacrarlo [...]. Il 28 ottobre 1498 dev’essere stata rifatta la mensa e riconsacrato l’altare giacché quando questo fu disfatto ed i sigilli furono aperti [26 ottobre 1605] vi si ritrovò insieme colle reliquie un pezzo di pergamena contenente il nome del Vescovo consacrante [Geremia Contugi, vescovo di Assisi] e la data [...]. Paolo iii fece rinnovare del tutto la cappella, ornandola con due delle famose colonne vitinee42 [...] e con pitture di Perin del Vaga43 [...]. I lavori incominciarono nel 1542 [...] e quando furono finiti il Papa consacrò solennemente la cappella il 19 marzo 1548 [...] adibendola a cappella del SS. Sacramento [...]»44. Raffaele Sindone, nel dotto volume sugli altari di San Pietro45, offre una preziosa memoria storica – anch’essa in gran parte informata all’opera di Giacomo Grimaldi – del recupero delle venerate reliquie, della loro traslazione e della conseguente collocazione nella nuova basilica: dopo la demolizione dell’altare dedicato ai Santi Simone e Giuda Taddeo – motivata dal rapido avanzamento dei lavori di edificazione della nuova basilica – avvenuta il 1° ottobre 1605, il 26 dicembre dello stesso anno, alla presenza del card. Giovanni Evangelista Pallotta, arciprete della basilica vaticana, e dei membri del Capitolo di San Pietro, venne effettuata la ricognizione canonica dei due corpi santi46, le cui reliquie vennero composte in un urna plumbea, a sua volta inserita in una custodia di legno di cipresso. Il reliquiario venne quindi esposto alla pubblica venerazione nella vecchia cappella del Coro – realizzata da papa Sisto iv – dove ebbe luogo, presenti il cardinale arciprete e il clero della basilica, la celebrazione dei Vespri solenni. Il giorno successivo, martedì 27 dicembre, l’anti­ co sarcofago – proveniente dal mausoleo costantiniano di Sant’Agnese – contenente le spoglie dei Santi apostoli venne deposto nell’altare, che ancora oggi le custodisce. La domenica 17 settembre 1628, trascorsi ventitré anni dalla traslazione, l’altare centrale della tribuna meridionale – presumibilmente già adibito alla ce­lebrazione del Sa­crificio Eucaristico, grazie all’uso di «pietre portatili» – venne definitivamente consacrato, con la collocazione all’interno della mensa di una reliquia del Santo pontefice Leone ix.

Nel 1627 il pittore fiorentino Agostino Ciampelli (Firenze 29 agosto 1565-Roma 22 aprile 1630) – che in Fabbrica di San Pietro svolse anche la funzione di soprastante47 – ottenne la commissione di un olio su tela di grandi dimensioni (cm 300 × 192), raffigurante i Santi apo­stoli Simone e Giuda Taddeo. Il dipinto – ispirato al racconto apocrifo della vittoria dei Santi sui maghi persiani Zaroen e Arfaxat48 – venne ultimato nel 1629: le carte contabili conservate nell’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro, dopo un primo pagamento avvenuto nel 162849, documentano un saldo di competenze a favore dell’artista il 12 agosto 163050, quando – evidentemente gli eredi – riscossero la somma di scudi quattrocento per il dipinto più altri cinquanta «per benservito»51. Durante il pontificato di papa Pio vi, Gian Angelo Braschi (1775-1799), la Fabbrica di San Pietro progettò la sostituzione del quadro suddetto con un impianto musivo di analogo soggetto ma diverso contesto. L’incarico di eseguirne il bozzetto preparatorio venne conferito ad Antonio Cavallucci (Sermoneta, 21 agosto 1752Roma, 18 novembre 1795), il quale rappresentò la drammatica scena del martirio dei due Santi: particolari circostanze ne impedirono però la traduzione in mosaico e l’artista laziale donò l’opera all’Accademia di San Luca, nella cui galleria è tuttora esposta52. Il dipinto di Ciampelli rimase in situ fino al 6 aprile del 182253, quando venne sostituito54 dal mosaico raffigurante la scena della Crocifissione di San Pietro; nel 1963 quest’ultima opera venne rimpiazzata dal mosaico raffigurante San Giuseppe patrono della Chiesa universale, e collocata sull’altare laterale di sinistra del medesimo transetto, sotto la cui mensa sono custodite le venerate reliquie di papa Leone ix, Brunone dei Conti di Egisheim-Dagsburg (1049-1054), di santa memoria. Nonostante l’altare avesse perso la sua antica dedicazione, la memoria dei Santi Simone e Giuda Taddeo venne comunque perpetuata grazie alla scelta di collocare ai lati dell’altare due quadri ovali raffiguranti gli apostoli. Il 3 aprile 1821, in seguito ai rilievi eseguiti dagli architetti Giuseppe Valadier e Giuseppe Marini nell’ambito della basilica e delle sue pertinenze, venne deciso che: «Nell’Altare dedicato ai SS. Simone e Giuda ove da qualche anno indietro fu situato il famoso ed interessante Musaico della Crocifissione di San Pietro, e che impropriamente trovasi ora ricoperto da altro quadro in tela di nessun merito, si propone di porre l’effigie dei Santi suddetti negli Ovati laterali della nicchia da farsi in Mosaico premesso il parere del Sig. Cavalier Camuccini Direttore dello Studio, non potendosi

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trasferire il quadro della Crocefissione in altra Cappella per esservi da pertutto de buoni quadri, o incontrandovisi la medesima difficoltà della dedica analoga ai sagri corpi che sono sotto l’altare»55. Il pittore Vincenzo Camuccini (Roma, 22 febbraio 1771-2 settembre 1844), celebre esponente del Neoclassici­smo italiano – nominato direttore generale della Fab­brica di San Pietro da papa Pio vii, Luigi Barnaba Chiaramonti (18001823) –, realizzò, con la raffinata tecnica pittorica dell’olio su rame, i ritratti dei Santi Simone e Giuda nel 1822: i Santi vennero effigiati a mezzo busto e di tre quarti, con lo sguardo rivolto verso l’esterno dell’altare e, tale struttura compositiva, conferisce ai due personaggi una spiccata vivacità dinamica, che si riverbera con forza verso l’osservatore. Un interessante documento inviato il 9 aprile di quell’anno dalla Computisteria della reverenda Fabbrica di San Pietro «All’Illustrissimo Sig. cav. Vincenzo Camuc­cini Direttore dello Studio de’ Mosaici» esprime, con estre­ma chiarezza, un netto apprezzamento sia per l’ope­ra sia per la rara liberalità dell’artista romano: «Dopoche con somma soddisfazione ha veduto il Sottoscritto in opera li due ovati rappresentanti li SS. Apostoli Simone e Giuda da V.S. Illustrissima egregiamente eseguiti, e dopo che per mezzo del Sig. Computista della Reve­renda Fabbrica ha rilevato che Ella in vista di essere addetto alla medesima ha limitato il prezzo a scudi 220, non ha egli potuto a meno di ordinare all’istante a detto Computista la spedizione del corrispondente mandato56, che riceverà qui com­piegato con la sollecitudine che vuole essere una testimonianza della somma compiacenza che egli ha provato nel plauso con cui il pubblico ha dato argomento della maestria del Suo lavoro e del ristretto prezzo richiesto, conosca che questo sia il gradimento dell’Economo che in questa circostanza ha il piacere segnarsi con sensi della più distinta stima ed ossequio»57. La traduzione in mosaico dei due ovali58, documentata con estrema dovizia dalle carte d’Archivio della Fabbrica di San Pietro, si dipanò per circa un decennio in quanto ebbe luogo parallelamente alla grande campagna di arredo musivo della basilica di San Paolo fuori le Mura, che vide le maestranze dello Studio del Mosaico impiegate nella realizzazione dei tondi raffiguranti i Sommi pontefici succedutisi sulla Cathedra Petri. L’inca­rico di riprodurre in mosaico i ritratti di San Simone e di San Giuda Taddeo dipinti da Vincenzo Camuccini, venne affidato, rispettivamente, a Fabrizio D’Ambrosio e a Eradio Giannini59 – mosaicisti soprannumerari dello Studio del Mosaico Vaticano – i quali, a partire dal 14 maggio

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1849, iniziarono a occuparsi anche della realizzazione di due ritratti musivi di pontefici per la basilica ostiense60. Il registro Saldaconti dall’Anno 1849 all’Anno 1855 attesta che nel 1849 Fabrizio D’Ambrosio ed Eradio Gian­nini, mosaicisti «soprannumero», ricevettero – in ag­giun­ta alla somma di cinquecento scudi percepita a titolo di acconto nell’anno precedente – rispettivamente un corrispettivo di scudi quarantaquattro e scudi quaranta, «conto delli lavori eseguiti nel porre in musaico la mezza figura rappresentante» l’apostolo San Simone e l’apo­stolo San Giuda61. I lavori, come risulta dalla Distinta delle spese sostenute dalla Fabbrica per l’esecuzione in mosaico del quadro rappresentante l’apostolo S. Simone e l’apostolo S. Giuda62, che raccoglie i fogli di consegna degli smalti utili per la realizzazione delle tessere musive, ebbero inizio a partire dal 4 dicembre 1846 e si protrassero, per quanto attiene l’ovale di San Giuda Taddeo, fino al 10 maggio 185863, e per quanto riguarda l’ovale di San Simone, mentre la resa del materiale inutilizzato risale al 7 dicembre 1857, nel Saldaconti dall’Anno 1856 all’Anno 186464, sono registrati al 1858 due interventi sul manufatto alle date del 9 agosto65 e del 12 ottobre66, con importi ammontanti rispettivamente a 30 e 10 scudi. Un’ultima testimonianza in merito ai due ovali musivi è riscontrabile nella Nota delle opere eseguite in mosaico presso lo Studio della Fabbrica di San Pietro67, in cui viene attestato che: «Il Quadro rappresentante la mezza figura dell’Apostolo S. Simone è stato terminato nel 1858 per un totale di scudi 1889.42 bajocchi» e, ancora: «Il Quadro rappresentante la mezza figura dell’Apostolo S. Giuda è stato terminato per un totale di scudi 1783.431/2 bajocchi», nota, quest’ultima, in cui la data mancante può essere fatta coincidere, con buone probabilità, con quella dell’ovale abbinato.

Il 16 novembre 1988 suor M. Elide Testa, superiora generale delle Figlie della Carità, invia una lettera a sua eccellenza mons. Lino Zanini, delegato della Fabbrica di San Pietro, in cui scrive: «Dopo la Canonizzazione della nostra Santa Fondatrice Maddalena di Canossa, avvenuta il 2 ottobre u.s., l’Istituto sarebbe stato interessato a far scolpire una Statua della Santa, ma ci hanno detto che non esistono più nicchie libere per tale progetto. Ci orienteremmo alla realizzazione di un ovale, se ancora libero, a lato di un altare. È possibile a destra del mosaico di San Tommaso Apostolo?»68. Dopo pochi giorni, il 22 novembre 1988, il commendator Francesco Ricceri, a nome dello Studio del Mosaico, rispondeva a suor M. Elide Testa sottoponendole un preventivo di spesa «per la esecuzione in mosaico di un ovale di cm 140 × 86 (asse maggiore e asse minore), raffigurante Santa Maddalena di Canossa, secondo un bozzetto da definire»69.

Santa Maria Domenica Mazzarello Transetto meridionale, altare di San Tommaso

Santa Maddalena Gabriella di Canossa Transetto meridionale, altare di San Tommaso La Santa veronese (1° marzo 1774-10 aprile 1835) raffigurata nell’ovale musivo, fu fondatrice dell’Istituto delle Figlie della Carità che, dal suo nome, sono note anche come Canossiane. Il 6 gennaio 1927, papa Pio xi, Achille Ratti (1922-1939), emise il decreto sulla eroicità delle sue virtù; il 7 dicembre 1941 papa Pio xii, Eugenio Pacelli (1939-1958) la proclamò Beata, mentre il 2 ottobre 1988 ne venne riconosciuta la santità dal Beato Giovanni Paolo ii, Karol Wojtyla (1978-2005).

La realizzazione del bozzetto venne affidata al prof. Virgilio Cassio, direttore tecnico dello Studio del Mosaico della Fabbrica di San Pietro, che in data 3 febbraio 1989, in un biglietto indirizzato a sua eccellenza mons. Lino Zanini – al quale, in quanto presidente dello Studio stesso, domandava il saldo delle sue competenze per aver portato a buon fine il lavoro commissionatogli – scrive fra l’altro: «Mi permetto di rammentarLe che ho finito il dipinto al naturale della Santa Maddalena di Canossa, con compiacimento dell’Eccellenza Vostra e soddisfazione delle Suore Canossiane»70. Il «Foglio di lavorazione» dello Studio del Mosaico71, redatto in data 18 maggio 1989, documenta che per la realizzazione dell’ovale musivo della Santa fondatrice del­l’Istituto delle Figlie della Carità, sono state versate le debite competenze a tre mosaicisti, in ragione delle loro specifiche attività: Dario Narduzzi e Roberto Grieco per la «lavorazione»; Dario Narduzzi per la «applicazione» e Valentino Bonaguro per la «spillatura»72 del mosaico. Il 30 agosto 1989 il Commendator Ricceri informa la reverenda superiora generale delle Figlie della Carità che «il giorno 21 luglio 1989 hanno avuto termine i lavori di collocamento del mosaico raffigurante la Santa Maddalena di Canossa, nella Cappella di San Tommaso apostolo, nella Basilica Vaticana»73: in meno di un anno, il pio desiderio delle religiose Canossiane, era stato coronato, grazie alla sollecita perizia dei maestri dello Studio del Mosaico della Fabbrica di San Pietro.

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L’avventura esistenziale di Maria Domenica Mazzarello – cofondatrice, con San Giovanni Bosco, dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice – si dipana nel breve arco di quarantaquattro anni e si può articolare in quattro tappe segnate da una particolare maturazione nella vita cristiana e consacrata. La prima tappa comprende tredici anni: dalla nascita a Mornese, nell’Alto Monferrato (1837), alla prima Comunione (1850). Questi anni trascorsero in un am­biente familiare caratterizzato da solida vita cristiana e in­stancabile lavoro contadino. Intelligente, volitiva e do­tata di ricca affettività, Maria Domenica si aprì alla fede accompagnata dai genitori e dal suo saggio direttore spirituale don Domenico Pestarino.

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San Pietro in Vaticano

Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro 241. Basilica vaticana, transetto meridionale, altare di San Tommaso, Santa Maria Domenica Mazzarello.

Nella seconda tappa (1850-1860) si osserva una particolare interiorizzazione della fede a partire dall’incontro Eucaristico, che la porta a donare la propria giovinezza al Signore con il voto di verginità e a partecipare intensamente alla vita parrocchiale, specialmente attraverso l’U­nione delle Figlie di Santa Maria Immacolata. Ven­titreen­ne si ammalò di tifo; la malattia che l’aveva portata sull’orlo della morte ebbe in lei una profonda risonanza: lasciata la vita dei campi, non solo per la perdita della robustezza fisica di cui aveva goduto fino a quel momento, si dedicò all’educazione delle fanciulle del paese attraverso un laboratorio di cucito, l’oratorio festivo e una casa-famiglia per le bambine sole. La terza tappa (1860-1872) la vede sempre più aperta al disegno di Dio e, nell’incontro con San Giovanni Bosco (1864), trova la risposta più piena alle sue intenzioni apostoliche: insieme, il 5 agosto 1872, fondano una nuova famiglia religiosa nella Chiesa a sostegno delle giovani. Nella quarta e ultima tappa (1872-1881), Maria Dome­ nica Mazzarello esercita la sua maternità spirituale attraverso la formazione delle suore, i numerosi viaggi intrapresi per visitare le nuove fondazioni, l’incremento e l’espansione missionaria dell’istituto, la parola scritta, la donazione quotidiana della vita consumata nell’esercizio della «carità paziente e benigna». Morì a Nizza Monfer­rato il 14 maggio 1881, lasciando alle sue figlie spirituali una solida tradizione educativa. Dio le conferì il dono del discernimento e la rese donna semplice e sapiente; la Chiesa ne comprese la vastità dell’opera elevandola agli onori dell’altare: il 20 novembre 1938 venne beatificata da papa Pio xi, Achille Ratti (1922-1939), e successivamente fu canonizzata da papa Pio xii, Eugenio Pacelli (1939-1958), il 12 giugno del 1951. Il 25 febbraio 1989 lo Studio del Mosaico presenta a suor Marinella Castagno un preventivo di spesa per «l’ese­cuzione in mosaico di un ovale di cm 140 × 86 (asse maggiore e asse minore), raffigurante S. Maria Domenica Mazzarello, secondo un bozzetto preparato dallo stesso Studio»74, sulla scorta di un modello pittorico fornito dall’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, come risulta da una lettera inviata dall’economa generale, suor Laura Maraviglia, a sua eccellenza mons. Lino Zanini, delegato della Fabbrica di San Pietro75. Come riferisce il «Foglio di lavorazione» dello Studio del Mosaico, datato 17 maggio 1989, per la realizzazione dell’opera vennero impiegati, sotto la guida del direttore Virgilio Cassio: per la lavorazione, Roberto Grieco e Valerio Marcelloni; per la spillatura, Valentino Bonaguro e, per l’applicazione, Dario Narduzzi.

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«Il giorno 21 luglio 1989» – come riporta una nota inviata dallo Studio del Mosaico a suor Marinella Castagno – «hanno avuto termine i lavori di collocamento del mosaico, raffigurante la Santa Maria Domenica Mazzarello, nella Cappella di S. Tommaso Apostolo nella Basilica Vaticana»76. Segue una lettera di suor Laura Maraviglia, indirizzata all’ufficio amministrativo della Fabbrica di San Pietro, nella quale l’economa generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice scrive: «Mi è gradito rinnovare a nome della Reverenda Madre Marinella Castagno, Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, la nostra riconoscenza per aver portato a termine i lavori di collocamento del mosaico, raffigurante la nostra Confondatrice Maria Domenica Mazzarello nella Cappella di S. Tommaso nella Basilica Vaticana»77.

Sepoltura e assunzione in cielo di Santa Petronilla Cappella dei Santi Michele e Petronilla parete ovest, altare di Santa Petronilla

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Sull’altare di sinistra della cappella dei Santi Michele arcangelo e Petronilla, campeggia la pala di grandi di­mensioni che rappresenta – in una composizione nel contempo originale e complessa – la Sepoltura e assunzione in cielo di Santa Petronilla. In merito alla vita di Petronilla, nonostante abbia avuto un culto molto diffuso, vi sono notizie piuttosto discordanti, come di frequente accade per molti santi e martiri della prima era cristiana. Il suo sarcofago fu rinvenuto a Roma nel cimitero di Domitilla, sulla via Ardeatina: le fonti archeologiche indicano la più antica testimonianza relativa alla Santa in un affresco della seconda metà del iv secolo – tuttora esistente in un cubicolo retrostante l’abside della basilica sotterranea edificata per desiderio di papa Siricio (384-399), tra il 390 e il 395 – che raffigura Veneranda introdotta in un paradiso fiorito di rose, tenuta per mano da una fanciulla col capo coperto al cui fianco è la scritta petronella mart[yr]. In contrasto con le fonti archeologiche, la tradizione letteraria ha ravvisato in Petronilla la figlia di San Pietro, morta, ma non martire, sotto Domiziano: la responsabilità della sua collocazione inter Martyrum va ascritta all’autore della Passio Nerei et Achillei, che da una parte sfruttò degli scritti apocrifi78, dall’altra venne forse ingannato da una presunta assonanza onomastica. Egli, inoltre, aggiunse che la vergine Petronilla, chiesta in sposa da un certo Flacco, chiese tre giorni per riflettere e, scaduto il tempo concessole, dopo aver ricevuto la Comunione dalle mani del presbitero Nicomede, placidamente spirò. Chiare tracce del culto della Santa sono documentate nell’antica basilica costantiniana fin dall’viii secolo: nel 753 papa Stefano ii (752-757), nel concedere a Pipino il Breve l’onore di considerare i re di Francia «figli di San Pietro», dichiarò Santa Petronilla protettrice della nazione francese: come Petronilla è considerata figlia di San Pietro, così la Francia è la figlia primogenita della Chiesa romana79. Il pontefice propose pertanto di trasferirne le reliquie dalle catacombe di Domitilla, in una cappella nella basilica vaticana. L’esumazione e la conseguente traslazione del corpo, insieme al sarcofago che lo conteneva80, ebbero luogo, di fatto, nel 757 durante il pontificato di papa Paolo i (757-767) – successore e fratello di Stefano ii – che le dedicò un altare in

una delle due rotonde paleocristiane situate all’esterno del transetto meridionale della basilica di San Pietro. Quando tale rotonda venne demolita, durante i lavori di edificazione dell’attuale basilica, le reliquie vennero collocate presso la rotonda superstite detta di Sant’Andrea, o di Santa Maria della Febbre (che verrà abbattuta solo molto più tardi per far posto all’attuale Sagrestia). Nel 1574 papa Gregorio xiii, Ugo Buoncompagni (1572-1585), dispose che le reliquie della Santa venissero collocate in un altare della navata della vecchia basilica, detto «del Croci­fisso» (in quanto ospitava un grande crocifisso ligneo medievale, oggi nella cappella delle Reliquie). Nel 1589 Antonio Gentile da Faenza (Faenza, 1519-Roma, 29 ottobre 1609), realizzò un artistico reliquiario d’argento a forma di busto (ora scomparso) destinato a contenere la reliquia del capo di Santa Petronilla81, da esporre alla pubblica venerazione. Nel 1606 papa Paolo v, Camillo Borghese (1605-1621), dispose la collocazione delle venerate reliquie nell’altare attuale, che venne dedicato alla Santa e, successivamente, ornato con il celebre dipinto che la rappresenta. La colossale tela della Sepoltura e assunzione in cielo di Santa Petronilla – dal 1815 nelle collezioni della Pinacoteca Capitolina presso il palazzo dei Conservatori, in Roma – venne realizzata appositamente per questo altare e firmata, nella primavera dell’anno 1623, da Gio­vanni Francesco Barbieri, detto il Guercino (Cento, 2 febbraio 1591-Bologna, 22 dicembre 1666), prescelto per tale incarico direttamente da papa Gregorio xv, Alessandro Ludovisi (1621-1623). In una supplica, purtroppo sine data, rivolta al pontefice, l’arista, a lavoro ormai ultimato, osava domandare un maggior riconoscimento economico per l’opera svolta: «Beatissimo Padre, Il Pittore Gio. Francesco Barbieri di Cento ha finito, e posto al suo luogo il Quadro di Santa Petronilla, fatto d’ordine di V. Santità per uno de gli altari di San Pietro. et havendo havuto a buon conto scudi cinquecento, supplica humilmente la Santità Vostra a degnarsi d’ordinare, che non ostante un asserto decreto di Paolo Quinto, gli sia pagata sua lunga fatica scudi 1500. almeno. E che di più gli sia rimborsata la spesa, fatta da lui di 137 scudi in comprare l’azzurro oltramarino, essendo solito, che i Pittori non mettino mai a spese proprie il medesimo azzurro. Et in tutto riceverà singolar gratia da Vostra Beatitudine. Quam Deus»82. Alla supplica fece seguito, il 26 aprile dello stesso anno, un’analoga petizione rivolta direttamente ai superiori della Congregazione della Fabbrica di San Pietro: «Illustrissimo et Reverendissimo Signore, Gio. Francesco Barbieri Pittore

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Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro 242 e 243. Basilica vaticana, cappella dei Santi Michele e Petronilla, parete ovest, altare di Santa Petronilla, Sepoltura e assunzione in cielo di Santa Petronilla, a fronte, particolare del volto della Santa assunta in cielo.

espone humilmente a V. Signoria Illustrissima et Reverendissima come havendo a buon termine l’Ancona di S. Petronilla, che va in S. Pietro, desidera gli sia dato, a buon conto, scudi quatrocento, per suoi affari: onde supplica V. Signoria Illustrissima et Reverendissima a favorirlo per cio, nella Congregazione della Fabrica; che haverà obligo perpetuo di pregare per V. Signoria Illustrissima et Reverendissima quam Deus. All’Illustrissimo et Reverendissimo Il Signor Cardinale del Monte [...] Die 26 Aprilis 1623 In Congregatione: Si saldi il prezzo»83. L’improvvisa scomparsa di papa Gregorio xv, che comportò fra l’altro il rientro a Cento del Guercino, lasciò priva di risposta la supplica suddetta, come si evince da una carta d’archivio datata al 6 ottobre dell’anno 1623: «Illustrissimi, et Reverendissimi Signori. Il Pittore Gio. Francesco Barbieri da Cento li mesi passati havendo collocato in S. Pietro il suo quadro di S. Petronilla supplicò a Papa Gregorio felice memoria per la sua lunga fatica derogando ad un decreto di Papa Paolo v gl’ordinas­se il pagamento di s. 1500 e perche la Santità sua concesse la derogatione ma non specificò la somma ricorse l’oratore a questa S. Congregatione per esser spedito nel suddetto modo, dove trovando allhora difficoltà, perche non gli fu acconsentito maggior prezzo di s. 1000 et una collana, al qual partito fu cortesemente esortato dal presente sommo Pontefice allhora Cardinale, et essendo dopo quella Congregatione seguita la sede vacante, et la longa suspensione di questo negotio con suo gran preiuditio. stracco hora di questa lunghezza ricorre alle SS. VV. Ill.me supplicando, che diano ordine a questa sua speditione nel modo stabilito da loro, ma con ordinare però, che li sia rifatta anche la spesa di 137 s. che egli ne ha messi di proprio nell’azurro oltramare solito menarsi buono a tutti l’altri, et offerto parimente a lui sino da principio dell’opera. Ut Deus [...] 1623 die 6 Octobris in Congregatione se li paghi quello si è dato al Civoli»84. Nel dipinto, che segna un momento fondamentale della brillante carriera artistica dell’autore, si armonizzano con stupefacente virtuosismo prospettico elementi barocchi e suggestioni caravaggesche. Il testo pittorico, informato alla lezione della Passio Nerei et Achillei, rappresenta – fatto di per sé piuttosto raro – il momento dell’inumazione, nella parte inferiore e, in quella superiore, l’apoteosi celeste della Santa. Nella parte bassa – marcatamente icastica e caratterizzata da un vivace dinamismo – spicca, in primo piano, la figura della giovane Petronilla: sotto lo sguardo, a un tempo mesto e attento, di

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alcuni osservatori, due uomini sono in atto di deporla nel sepolcro, mentre un terzo, di cui si intravede soltanto una mano, ne accoglie il corpo con delicata accortezza. La parte alta dell’opera mostra la Santa nell’istante in cui viene ricevuta dal Salvatore, in una ieratica cornice di angeli. Tra il 172585 e il 172686 la Congregazione della reverenda Fabbrica attribuì a Sebastiano Conca, detto «il Cavaliere» (Gaeta, 8 gennaio 1680-Napoli, 1° settembre 1764), l’incarico di eseguire una riproduzione del dipinto, che sarebbe dovuta servire quale modello-guida per la traduzione in mosaico della pala d’altare. Tuttavia Pietro Paolo Cristofari, che tra il 1728 al 1730 lavorò – come testimoniano in varie date numerosi mandati di pagamento87 – coadiuvato da Giuseppe Ottavia­ni88, alla rea­lizzazione del vasto impianto musivo, decise di avvalersi del confronto diretto con l’opera di Guercino; a riprova di ciò, un mandato di pagamento datato 26 luglio 1730, riporta quanto segue: «Al signor Pietro Paolo Cristofari scudi cinquanta moneta a conto del quadro Altare rappresentante Santa Petronilla. Al suddetto scudi centoottantuno moneta

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Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro A fronte: 244. Basilica vaticana, cappella dei Santi Michele e Petronilla, parete nord, Altare di San Michele, San Michele arcangelo sconfigge il demonio.

sono per resto e a compimento di scudi 200 e questi che si fanno pagare d’ordi­ne dell’Eminentissimo Signor Cardinale San Cle­mente Prefetto in compenso del lavoro di mosaico del quadro rappresentante Santa Petronilla cominciato sopra la copia e poi disfatto e rifatto sopra l’originale d’ordine di S. E., che li restanti s. 19 il medesimo l’ha ricevuti di più sopra li scudi 5350 riscossi in conto per detto quadro [...]»89. Pur essendo fra i primi eseguiti per la basilica vaticana, il mosaico di Santa Petronilla spicca per l’estrema perizia dei maestri mosaicisti, che nel realizzarlo si dimostrarono capaci di mantenersi fedeli alle linee plastiche e alle articolate suggestioni cromatiche proprie dell’originale pittorico.

San Michele arcangelo sconfigge il demonio Cappella dei Santi Michele e Petronilla parete nord, altare di San Michele Dal 1627 l’altare di destra nella cappella dei Santi Michele arcangelo e Petronilla è dedicato al Principe delle schiere angeliche, sotto la cui protezione si era posto papa Urbano viii, Maffeo Barberini (1623-1644), allora regnante. Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino (Arpino, 1568-Roma, 3 luglio 1640), venne incaricato di preparare il cartone per un mosaico dedicato al Santo e, a partire dal 1627, riceve danaro per «Il modello del disegno di San Michele Arcangelo»90; altri versamenti a suo favore sono registrati nel corso del 1628, alla data del 15 maggio91 e, in via definitiva, l’8 giugno: «Al Cavalier Giu­seppe Cesare scudi 100 per resto del cartone fatto di San Michele Archangelo che fa di musaico»92. La trasposizione in mosaico del modello suddetto avvenne ad opera del celebre maestro mosaicista Giovan Battista Calandra (Vercelli, 1586-Roma, 27 ottobre 1644)93 al quale, tra il 162794 e il 162895, vennero versate in più riprese cospicue somme di danaro – per un importo totale di circa 1797 scudi – come testimoniano i libri contabili della Fabbrica di San Pietro; inoltre, il 9 novembre 1628, a lavoro ormai ultimato, l’artista non mancò di avanzare una richiesta, in forma di supplica, allo scopo di poter ottenere una revisione – ovviamente al rialzo – della somma inizialmente pattuita: «Illu­strissimo et Reverendissimo Signore [...] Avendo Giovan Batista Calandra finito il san Michel Arcangello fatto di Mosaicho in San Pietro; suplicha V.S. Illustrissima e Reverendissima a degniarsi a ordinare che sia visto o stimato accio possa aver qualche satisfactione della sua fatica che il

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tutto ricevera per gratia di V.S. Illustrissima. Quam Deus et cetera [...] Al’Illu­strissimo e Reveren­dissimo signor Il signore Cardinal Gennasio»96. Fu questa la prima pala d’altare in mosaico posta in essere nella nuova basilica di San Pietro dove, solo nel corso del secolo xviii, si diffuse la tendenza a tradurre i dipinti in mosaici, sia perché i manufatti realizzati con tale tecnica apparivano di gran lunga più preziosi rispetto alle pale dipinte, e quindi affatto idonei a rappresentare immagini sacre, sia per la loro maggiore durevolezza che, a dispetto degli inevitabili guasti del tempo, offriva ga­ranzie di conservazione di gran lunga maggiori rispetto alle tele o agli affreschi. Ciò nonostante, nella seconda metà del Settecento, l’ope­ra musiva di Calandra iniziò a presentare evidenti segni di deterioramento, tali da suggerirne la rimozione; nella riunione della Congregazione della reverenda Fabbrica, tenutasi il 29 marzo 1756, al decimo punto in esame, si legge: «Per riparare alla ruina che minaccia il mosaico del quadro di S. Michele Arcangelo opera non appieno ap­plaudita del Cavalier d’Arpino, non si sarebbe bisogno di commettere a qualche moderno Pittore con grave spesa, e dilazione un nuovo Quadro, quando evvi alli Cappuccini l’inimitabile di Guido Reno [sic] rappresentante lo stesso Arcangelo S. Michele in larghezza, e lunghezza affatto eguale a questo del Cavalier d’Arpino. Di un si celebre autore non v’è nel Tempio nostro opera alcuna: Ma quello che più è da riflettersi ne pare è stato mai posto in Mosaico Quadro alcuno trasportato immediatamente dallo stesso suo proprio originale, e sarebbe questo un pronto lavoro alli mosaicisti, che sono attualmente oziosi. [...] Si cerchi di potere avere in S. Pietro il S. Mi­chele Arcangelo di Guido Reno per collocarlo in luogo di quello del Cavalier d’Arpino»97. Fra le motivazioni pratiche che suggerirono la sostituzione del mosaico suddetto non deve essere sottovalutato il fatto che, nel corso del secondo decennio del secolo xviii, Alessio Mattioli aveva elaborato una nuova tecnica per la produzione di tessere a pasta vitrea opaca – oltre a un celebre porporino – che consentiva l’espressione di un’amplis­sima gamma cromatica, rendendo di fatto obsoleta la tradizionale pasta vitrea muranese in uso fino a quel momento, che essendo troppo lucida e diafana non riusciva a rendere l’effetto-pittura. Quanto deliberato nella Congregazione del 29 marzo 1756 trovò immediata applicazione e, già il 21 dicembre di quell’anno, i mosaicisti Giovan Francesco Fiani e Bernardino Regoli ricevono un acconto di 400 scudi «per il Mosaico di S. Michele Arcangelo messo in opera»98.

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Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro A fronte: 245. Basilica vaticana, transetto settentrionale, altare di Sant’Erasmo, Martirio di Sant’Erasmo.

Nel corso della «Congregazione economica tenuta nel Palazzo di Sua Altezza Reale Eccellentissima il Signor Cardinale Duca di York il 15 marzo 1758», viene riferito «che per riparare alla ruina, che minacciava il Quadro di S. Michele Arcangelo opera non appieno applaudita del Cavalier d’Arpino, senza ordinare altro quadro simile a qualche moderno Pittore con dispendio, e maggiore dilazione del lavoro, si era ottenuta dalli Cappuccini la inimitabile di Guido Reni rappresentante lo stesso arcangelo S. Michele in larghezza, e lunghezza affatto eguale a quella del Cavalier d’Arpino, che si stava attualmente copiando dall’originale stesso di sì celebre autore, del quale non vi era in S. Pietro opera alcuna»99. Il 18 aprile 1759 Domenico Valeri, in qualità di Fattore generale della Fabbrica, retribuisce – prelevando direttamente dai fondi a sua disposizione per le spese correnti – alcuni manovali della Fabbrica di San Pietro per «aver levato d’opera» il quadro di San Michele arcangelo di Calandra e aver terminato «d’arrotare et allustrare il quadro nuovo di S. Michele di Guido»; lo stesso Fattore compensa poi con «40 bajocchi» un manovale «che fece la guardia tutta una notte sotto il Braccio di Carlo Magno il quadro di musaico vecchio di S. Michele Arcangelo che si trasporta allo Studio del Mosaico»100. Nel 1771 la pala musiva di Calandra venne donata da papa Clemente xiv, Gian Vincenzo Antonio (in religione Lorenzo) Ganganelli (1769-1774), al cardinale Mario Marefoschi Compagnoni, il quale lo fece collocare nella cattedrale di Macerata, dove è conservato a tutt’oggi101. Il dipinto autografo di Guido Reni (Bologna, 4 novembre 1575-Bologna, 18 agosto 1642) realizzato – con tecnica a olio su seta (cm 293 × 202) – su commissione di papa Urbano viii e del fratello Antonio Marcello Barberini, cardinale con il titolo di Sant’Ono­frio, per la chiesa romana di Santa Maria della Conce­zione, in via Veneto, entro il 1636, venne considerato espressione somma del «Bello ideale», poiché incarnava al meglio la sensibilità artistica espressa dalla temperie culturale settecentesca, affatto orientata in senso neoclassico contro le magniloquenze barocche o le frivole suggestioni rococò, ancora riscontrabili nel San Michele del Cavalier d’Arpino. Riferendosi al suo San Michele così Guido Reni scriveva in una lettera inviata al maestro di casa del papa: «Vorrei aver avuto pennello angelico, o forme di Paradiso per formare l’Arcangelo, o vederlo in Cielo; ma io non ho potuto salir tant’alto, ed invano l’ho cercato in terra».

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Martirio di Sant’Erasmo Transetto settentrionale, altare di Sant’Erasmo Alla sinistra dell’altare dei Santi Processo e Martiniano, è quello dedicato a Sant’Erasmo. La fonte più antica che attesta l’esistenza di un Erasmo, vescovo di Formia e martire, è il Martirologio Geronimiano, che ne colloca la memoria al 2 giugno. In età medievale il Santo venne annoverato fra i cosiddetti «santi ausiliatori» e invocato, in particolar modo, contro le epidemie, mentre i marinai lo venerano come patrono con il nome di Sant’Elmo. Secondo la Passio, compilata molto probabilmente verso il vi secolo e priva di effettivo valore storico, Erasmo era oriundo di Antiochia e, allo scopo di sfuggire alla persecuzione infiammata da Diocleziano contro i cristiani si rifugiò, per sette anni, in una caverna fra i monti del Libano. Ritornato in città venne arrestato e, con lusinghe e tormenti, l’imperatore cercò di persuaderlo a fare un sacrificio agli dei ma, essendo rimasto saldo nella fede, venne costretto in carcere. Liberato miracolosamente si trasferì nell’Illirico dove, in sette anni, convertì quattrocentomila persone. Arrestato nuovamente su mandato di Massimiano, venne condotto a Sirmio dove abbatté un simulacro e convertì altre quattrocentomila persone, molte delle quali vennero immediatamente uccise, mentre lui, dopo aver subito tremende torture, venne incarcerato. Liberato dall’arcangelo Michele, fu condotto a Formia dove, dopo sette giorni, morì placidamente. L’iconografia del Santo risente delle molteplici forme di supplizio alle quali si ritenne fosse stato sottoposto: «Attributo costante e distintivo nelle varie raffigurazioni è una manovella d’argano con un cavo attorcigliato. Tale elemento, allusivo alla pratica marinara, fu in seguito interpretato [...] come un attrezzo usato per il suo martirio e precisamente come l’argano con il quale gli sarebbero state strappate le viscere. Secondo [alcuni agiografi] questa nuova versione del martirio [...] sarebbe sorta a Gaeta nel xiv secolo [...] a partire da questo periodo, l’attributo viene diversamente interpretato e, invece del cavo, appaiono arrotolati alla manovella, frammenti di intestini»102. La pala raffigurante il Martirio di Sant’Erasmo (olio su tela, cm 320 × 186), già collocata sull’altare del Santo e oggi esposta nelle sale della Pinacoteca Vaticana, venne eseguita da Nicolas Poussin (Les Andelys, 15 giugno 1594-Roma, 19 novembre 1665) per la basilica di San Pietro, tra il 1628 e il 1629103, su commissione del cardinale Francesco Barberini: in essa la crudele drammaticità del martirio subito dal Santo

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Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro 246 e 247. Basilica vaticana, transetto settentrionale, altare di Sant’Erasmo, San Vladimiro e Santa Olga.

sembra quasi attenuarsi grazie all’estrema luminosità della scelta cromatica. Il Martirio di Sant’Erasmo costituisce il primo incarico pubblico di Nicolas Poussin a Roma, città nella quale il pittore francese si era trasferito nel 1624. Eseguito per l’altare del transetto destro della basilica di San Pietro, dove si conservavano le reliquie del Santo, il dipinto vi rimase fino a quando non venne sostituito da una copia musiva. Il pittore rappresenta il martire in primo piano, mentre gli fanno da contorno un sacerdote in atto di indicare la statua di Ercole (l’idolo pagano che Erasmo aveva rifiutato di adorare, subendo per questo il martirio sulla pubblica piazza); un soldato romano a cavallo, incaricato di porre in atto l’esecuzione; il carnefice, che estrae l’intesti­no avvolgendolo intorno a un argano da marinaio; un frammento architettonico di fattura classica e angeli che scendono verso la vittima recando la palma e la corona, simboli del martirio. Tale composizione divenne un vero e proprio prototipo per le successive rappresentazioni di episodi di martirio e ad essa si ispirò anche il maestro Valentin per la tela del Martirio dei Santi Pro­cesso e Martiniano eseguita per l’altare posto nelle immediate vicinanze. Il pittore francese ha rappresentato il Santo, privo dei paramenti episcopali e della mitra (poggiati a terra presso di lui), mentre, disteso con i polsi legati su di un basamento, subisce il terribile supplizio a opera di cruenti carnefici. L’eroismo del Santo, comprovato da due sereni angioletti che recano per lui la corona e la palma del martirio insieme a dei fiori, contrasta con il gesto vuoto di un anziano sacerdote pagano, che vanamente gli addita una statua di Ercole, la quale campeggia spavalda sullo sfondo. Nel 1627 una tela raffigurante l’episodio del martirio di Sant’Erasmo era stata affidata al pennello di Pietro Berrettini, detto Pietro da Cortona (Cortona, 1° novembre 1596Roma, 16 maggio 1669) per la quale l’artista realizzò anche alcuni studi preparatori. Tuttavia, essendogli stata commissionata la pala della Trinità (1628-1631) per la sagrestia nuova della basilica vaticana – poi collocata nella cappella del SS. Sacramento – rinunciò al primitivo incarico, che venne quindi affidato a Poussin: «Illustrissimo e Reverendissimo Signore. Intendendosi che di presente era stata destinata a Pietro Cortonese proveduto hora d’una maggiore Nicolò Pusin Pittore supplica V.S. Illustrissima restar servita di fargline gratia, che procurerà di mostarre al Mondo di non haver havuto in questa dimanda, altra mira che la gloria del Santo, la sodisfatione de Padroni Illustrissimi e la propria riputatione

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e di tale gratia resterà eternamente obligato a V.S. Illustrissima. Quam Deus. Si faccia»104. La pala d’altare venne resa in mosaico tra il 1737 e il 1739 sotto la direzione di Pietro Paolo Cristofari105, il quale si avvalse della collaborazione del maestro mosaicista Giuseppe Ottaviani, che in una memoria consegnata a una carta d’archivio, purtroppo sine data, rivendica la paternità dei seguenti particolari del suggestivo im­ pian­ to musivo: «La testa, braccia, mani, e corpo di detto San­to sin alle coscie, completati anche tutto il panno bianco, la testa, e braccia del Sacerdote, la testa, braccio, e panno turchino di quella figura, che guarda con ammirazione il Santo, la testa di quello, che cava l’interiora al Santo, con il braccio, che posa sopra il di lui corpo, e tutto il panno rosso della medesima figura; tutto il puttino, che porta la corona, palma, e testa, e metà del corpo dell’altro putto»106.

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La venerazione per Olga cominciò sotto il governo del nipote Vladimiro che, nel 996, ne fece trasportare il corpo nella chiesa da lui fatta costruire. La buona fama di Vladimiro, vissuto nel x secolo nel principato russo di Kiev, si formò grazie ai positivi mutamenti che caratterizzarono lo svolgersi del suo regno. Egli seppe mitigare le leggi in senso cristiano e pose, con inusitata generosità, i problemi dell’educazione e dell’assistenza agli indigenti fra i doveri dei regnanti: la condotta austera e mite dei suoi ultimi anni di vita contribuì a renderlo sempre più popolare, motivando ampiamente l’appellativo di «Santo» tributatogli dopo la morte. Il primo documento custodito nell’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro relativo alla collocazione degli ovali musivi che rappresentano i due Santi – rispettivamente nonna e nipote – nella basilica papale vaticana, è datato al 17 agosto del 1988. Si tratta di una lettera inviata da sua eccellenza mons. Basil H. Losten, vescovo di Stamford degli

Ucraini (Usa), a sua eccellenza mons. Lino Zanini, delegato della Fabbrica di San Pietro, nella quale, fra l’altro, si legge: «Vi scrivo in riguardo al mio desiderio di donare due mosaici dei Santi Vladimiro e Olga alla Basilica di San Pietro in Vaticano in commemorazione del Millennio della Cristianizzazione di Ucraina. Ho impegnato il Professore Ugo Mazzei come mediatore in questo affare. Il Professore è un mio vecchio amico che ha creato tanti mosaici nel suo studio in Italia per le chiese della mia diocesi ed è conosciuto in tutto il mondo per il suo squisito lavoro artistico in mosaico e marmo [...] Aspettando una risposta [...] nella speranza che questo nostro progetto per la più grande glorificazione di Dio simbolizzerà la stretta fedeltà della Chiesa Ucraina Cattolica alla Santa Sede e al Sommo Pontefice in quest’anno millenario della fede cristiana fra il mio popolo»107. Una settimana dopo, il mercoledì 24 agosto, mons. Zanini rispondeva in maniera affermativa alla richiesta suddetta e, il 20 ottobre di quello stesso anno, la Fabbrica di San Pietro

Santa Olga e San Vladimiro Transetto settentrionale, altare di Sant’Erasmo Olga – considerata trait d’union tra l’epoca pagana e quella cristiana, nella storia dei popoli russi – è fra i primi Santi russi-slavi inseriti nel calendario cattolico-bizantino. Le fonti che parlano di lei sono numerose e tutte di rilevanza storica: da esse si apprende che Olga – figlia di un capo variago (tribù normanna di origine scandinava) – nacque nell’890 nel villaggio Vybuti a pochi chilometri da Pskov, sul fiume Velika; nel 903, sebbene giovanissima, venne chiesta in sposa dal principe Igor Rjurikovic. Il loro matrimonio divenne il simbolo concreto della fusione del popolo russo-slavo con quello variago, che alla fine del secolo ix cominciava ad attuarsi sotto il benefico influsso del cristianesimo. Nell’anno 945, divenuta reggente del principato di Kiev in seguito all’assassinio del marito, governò con saggezza politica e venne amata dal popolo che le riconosceva il merito di essere giusta e misericordiosa. Verso il 957 si convertì al cristianesimo contribuendo attivamente all’evangelizzazione del regno Rus’. Olga pregava giorno e notte per la conversione del figlio Svjatoslav che, a differenza di quanto avvenne con il nipote Vladimiro, non ebbe la gioia di vedere cristiano. Al termine della reggenza, in ossequio delle leggi allora vigenti, si ritirò nei suoi possedimenti privati, proseguendo nell’opera di apostolato e costruendo alcune chiese, fra le quali quella in legno di Santa Sofia a Kiev. Visse piamente e morì a circa 80 anni l’11 luglio 969.

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San Pietro in Vaticano

Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro 248. Basilica vaticana, transetto settentrionale, altare dei Santi Processo e Martiniano, Sant’Antonio Maria Claret.

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inviava a mons. Losten un preventivo di spesa per: «l’esecuzione di due mosaici, da collocarsi nella Basilica Vaticana, raffiguranti rispettivamente San Vladimiro e Santa Olga. Ciascuno dei due mosaici di forma ovale di misure cm 140 × 80 (asse maggiore e asse minore) in cassina di ferro con riproduzioni musive, come da bozzetti pittorici che il prof. Ugo Mazzei ha messo a disposizione dello Studio Vaticano»108. Ai due ovali lavorarono contemporaneamente – sotto la supervisione del prof. Virgilio Cassio – i maestri Dario Narduzzi e Valentino Bonaguro, per il mosaico di Santa Olga109, e Roberto Grieco, per il mosaico di San Vladimiro110. Una lettera inviata il 28 febbraio 1989, dal prof. Mazzei a mons. Zanini, costituisce un inequivocabile encomio del buon operato dei mosaicisti: «A seguito della mia visita del 17 febbraio [...] a prendere visione della parte già iniziata dei due Mosaici di S. Vladimiro e di S. Olga [...] è mio doveroso riguardo di essere lieto di confermare quanto ebbi l’onore di dichiarare personalmente a Vostra Eccellenza Reverendissima [...] dopo aver guardato attentamente, il già iniziato, la eccellente sensibilità della interpretazione musiva dei due bozzetti pittorici approvati [...] che, con piacere espressi al valente Pittore Prof. Virgilio Cassio Direttore Tecnico dello Studio del Mosaico Vaticano e, ai suoi bravi esecutori»111. La nota delle spese sottoscritta in data 17 agosto 1989 dal prof. Giuseppe Zander, dirigente dell’ufficio tecnico della Fabbrica di San Pietro, testimonia in maniera affatto inequivocabile l’avvenuta «collocazione delle figure musive dei santi Vladimiro e Olga ai lati dell’altare di S. Erasmo lungo la crociera di destra detta dei Santi Processo e Martiniano, nella Basilica Vaticana»112.

Sant’Antonio Maria Claret Transetto settentrionale, altare dei Santi Processo e Martiniano Ordinato sacerdote nel 1835 a ventotto anni, Antonio Maria Claret (nato a Sallent, in Catalogna, il 23 dicembre 1807), nel 1839 si rivolse alla Congregazione di Propaganda Fide per essere inviato come missionario in qualsiasi parte del mondo. Non potendo raggiungere questo obiettivo, entrò come novizio nella Compagnia di Gesù ma, dopo pochi mesi, fece ritornò in patria perché ammalato. Per sette anni predicò numerosissime missioni popolari in tutta la Catalogna e le isole Canarie conquistando un’immensa popolarità anche come taumaturgo. Nel 1849 fondò

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la Congregazione Apostolica dei Figli dell’Immacolato Cuore di Maria, nota anche come Missionari Clarettiani. Nominato nel 1849 arcivescovo di Santiago di Cuba (all’epoca appartenente alla corona di Spagna), giunse in diocesi nel febbraio del 1851; nel suo strenuo lavoro apostolico ebbe ad affrontare i gravi problemi morali, religiosi e sociali dell’isola caraibica – concubinato, povertà, schiavitù, ignoranza – ai quali si aggiungevano epidemie e terremoti: calamità che, periodicamente, funestavano la popolazione. Insieme a un gruppo di Santi missionari percorse la sua vasta diocesi per ben quattro volte. Le sue preoccupazioni pastorali si riversavano, in gran parte, anche nel potenziamento del seminario e nella formazione del clero. In ambito sociale promosse l’agricoltura, creò in ogni parrocchia una cassa di risparmio, favorì l’educazione creando istituti religiosi e fondando, insieme alla Venerabile Maria Antonia Paris, la Congregazione delle Religiose di Maria Immacolata (Missionarie Clarettiane). La sua opera gli causò minacce e attentati, fra i quali uno a Holguin, dove venne gravemente ferito al volto. Nel 1857 la regina113 lo chiamò a Madrid come suo confessore e, nel 1868, la seguì nell’esilio parigino, dove proseguì instancabile la sua predicazione. Partecipò al Concilio Vaticano i, dove tenne un memorabile discorso che lo identificò quale strenuo difensore dell’infallibilità del romano pontefice. Perseguitato dai rivoluzionari trovò rifugio presso il monastero di Fontfroide presso Narbona, dove spirò santamente il 24 ottobre 1870. L’8 maggio 1950, papa Pio xii, Eugenio Pacelli (19391958), lo proclamò Santo. Il 20 novembre 1984 il direttore dello «Studium Claretianum», padre Jesus Bermejo c.m.f., scrivendo a nome del padre generale, Gustavo Alonso, si rivolgeva a sua eccellenza mons. Lino Zanini, delegato della Fabbrica di San Pietro, manifestando il vivo desiderio di poter collocare nella basilica vaticana, una rappresentazione della venerata immagine del Santo fondatore: «Da parte nostra [Congregatio Missionariorum Filiorum Immaculati Cordis B. Mariae Virginis] abbiamo pensato che, non potendo mettere, come sarebbe stato il nostro desiderio, una statua di Sant’Antonio Maria Claret in S. Pietro, per mancanza di nicchie, saremmo molto grati al Santo Padre e alla Reverenda Fabbrica di San Pietro se si potesse mettere, a nostre spese, il [...] mosaico»114. Circa un triennio separa questa prima richiesta dal preventivo di spesa inviato dal commendator Francesco Ricceri, a nome dello Studio del Mosaico, al padre Jesus Bermejo

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Jiménez, il 22 aprile 1987, per la realizzazione del «mosaico di un ovale di misura cm 140 × 86 (asse maggiore e asse minore) raffigurante S. Antonio Maria Claret come da bozzetto approvato. Tale mosaico verrà collocato al lato sinistro dell’altare centrale, dedicato ai SS. Processo e Martiniano, nella navata traversa di destra [...] della Basilica Vaticana»115. Il «Foglio di lavorazione» redatto dallo Studio del Mosaico della Fabbrica di San Pietro, in data 28 luglio 1988, riporta che, sotto la direzione del prof. Virgilio Cassio, vennero impiegati nella esecuzione del ritratto del Santo fondatore dei Missionari Clarettiani, i maestri mosaicisti Roberto Grieco, Valerio Marcelloni, Dario Narduzzi e Valentino Bonaguro, la cui opera non mancò di suscitare l’apprezzamento dei committenti, come si evince dalle parole di reiterata riconoscenza scritte da Padre Jesus Bermejo c.m.f., nella lettera inviata al direttore dello Studio del Mosaico, il 22 dicembre 1988: «Voglio ancora una volta esprimere [...] tutta la mia gratitudine per l’impegno e il lavoro svolto nella realizzazione del mosaico del nostro Fondatore»116. In merito all’impianto musivo raffigurante Sant’Antonio Maria Claret, costituisce una sorta di singolare expertise la

lettera con la quale il commendator Francesco Ricceri, a nome dello Studio del Mosaico, risponde a padre Eutimio Sostre Santos c.m.f., che, il 14 gennaio 1988, chiedeva notizie tecniche circa il mosaico, per la redazione di un articolo che sarebbe stato pubblicato su un periodico religioso: «Esso è stato realizzato conformemente all’approvazione del Consiglio Generalizio dei Missionari Clarettiani del 22 aprile 1987, in seguito ai relativi preliminari del 24 dicembre 1984. Per la relativa esecuzione, durata quattordici mesi, sono stati in gran parte impiegati gli smalti policromi fabbricati dallo stesso Laboratorio Vaticano nel 1727 sotto il Pontificato di Benedetto xiii117»118.

Il martirio dei Santi Processo e Martiniano Transetto settentrionale, altare dei Santi Processo e Martiniano L’altare centrale del transetto settentrionale della basilica vaticana è dedicato ai Santi Processo e Martiniano, il cui sepolcro, stando al Martirologio Geronimiano, era collocato al ii miglio della via Aurelia. Le reliquie dei due Santi vennero poste nell’antica basilica costantiniana da papa Pasquale i (817-824); il 28 dicembre 1605, in seguito a vari spostamenti, papa Paolo v, Camillo Borghese (1605-1621), dispose che esse venissero composte in un’urna di porfido e collocate sotto l’altare ad essi dedicato. Una passio redatta agli inizi del vi secolo119 – avvalorata dall’apocrifo Martirio di Pietro dello pseudo-Lino – annovera, in maniera affatto infondata, Processo e Martiniano fra i soldati incaricati di vigilare i Santi apostoli Pietro e Paolo durante la loro detenzione nel carcere Mamertino: convertiti e battezzati, vennero arrestati e subirono il martirio120. La grande rappresentazione iconografica che orna l’altare nella basilica vaticana, raffigura i Santi martiri in atto di subire l’atroce supplizio della ruota, mentre dal cielo un angelo reca loro la palma della gloria: a sinistra, con volto mesto e il capo velato, è rappresentata Lucina, una donna che, si tramanda, confortasse e incoraggiasse i Santi martirizzati; le si contrappone, sulla destra, l’inquietante figura di Paolino – orbato di un occhio per il crudele trattamento riservato ai due Santi – il quale, coprendosi l’orbita cava con una mano, indica con l’altra un simulacro pagano (probabilmente di Giove) posto sullo sfondo, sul cui basamento si intravede un bassorilievo con le storie di Ercole, probabile richiamo

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Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro A fronte: 249. Basilica vaticana, transetto settentrionale, altare dei Santi Processo e Martiniano, Il martirio dei Santi Processo e Martiniano.

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all’opera di Poussin – collocata nello stesso transetto – raffigurante il Martirio di Sant’Erasmo. La pala originale (olio su tela, cm 302 × 192) – ora nelle collezioni della Pinacoteca Vaticana – si deve a Jean Valentin, detto anche Valentin de Boulogne (Coulommiers, 1591Roma, 1632). L’artista francese, chiaramente informato al Caravaggio, si trasferì a Roma, probabilmente nel 1613, dove incontrò il favore del cardinale Francesco Barberini – nipote di papa Urbano viii, Maffeo Barberini (1623-1644) – dal quale ottenne numerosi incarichi, fra cui, nel 1629, quello di rappresentare il Martirio dei Santi Processo e Martiniano121, che gli diede fama definitiva. In questo dipinto risultano immediatamente evidenti riferimenti al Martirio di Sant’Erasmo, tanto che le due opere vennero considerate, fin dagli inizi, in stretta competizione tra loro: i contemporanei riconobbero che il dipinto d’impronta caravaggesca (per vivace realismo e uso sapiente della luce) di Jean Valentin superava quello di Poussin in naturalismo, forza, ricchezza e armonia di colore. La tela – come attesta, fra l’altro, una supplica del 1626122– non venne subito commissionata a Valentin de Boulogne, che ne ricevette l’incarico soltanto in seguito alla seduta della Congregazione del 9 maggio 1629, nel corso della quale i cardinali lo incaricano «di fare la tavola o icone già commessa ad Albano Bolognesi»123. Nel 1629 Jean Valentin inizia a ricevere denaro124 per il quadro d’altare raffigurante il Martirio dei Santi Processo e Martiniano – lungo palmi 81/3 e alto palmi 131/3 corredato di undici raffigurazioni – e, nel 1630, riceve denaro «a buon conto del quadro fatto in San Pietro dei santi Processo e Martiniano»125. Il 24 luglio del 1709 papa Clemente xi, Giovanni Francesco Albani (1700-1721), dispose la traduzione in mosaico dell’opera126: l’esecuzione venne affidata a Filippo Cocchi il Vecchio che, il 5 febbraio del 1710127, inizia a ricevere denaro per l’impianto musivo raffigurante il Martirio dei Santi Processo e Martiniano: «Philippo Cocchio petenti sibi subministrari aliquam summam pecuniarum ad computum operis musivi ab ipso jam incepti pro pictura SS.rum Processi et Martiniani. = Dentur ad computum scuta centum et in proxima Congregatione determinetur praetium»128. Altri pagamenti a favore del maestro mosaicista vengono registrati il 23 luglio 1710: «Scudi sessanta moneta sono a conto del quadro de Santi Processo e Martiniano nella basilica di S. Pietro, e per doverne rendere conto»129, e l’8 luglio 1711: «Che si diano scudi sessanta a Filippo Cocchi pittore

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de’ musaici a conto del quadro de’ Santi Processo e Martiniano, che da esso si fa di musaico»130. Il 24 settembre 1710 il cardinale Altieri venne incaricato di stabilire il prezzo del mosaico al quale stava lavorando Filippo Cocchi131 e, a tale mandato l’eminentissimo porporato, il 30 settembre 1711, risponde seccamente e in un certo qual senso impietosamente, con la relazione qua talis: «[...] Avendo ubidito a pregiabili comandi della Sacra Congregazione col riconoscere la copia di musaico, che si sta facendo dal musaicista Filippo Cocchi del quadro de’ Santi martiri Processo e Martiniano, lungo palmi 81/3 ed alto palmi 131/3 con figure n. xi = opera di Monsù Valentino, e considerar qual prezzo debba stabilirsi, sentito più volte il Cocchi, come anche i periti e ministri della R. Fabbrica, devo rappresentar, che nella Chiesa di S. Pietro vi sono due soli quadri d’altare di musaico, cioè il S. Michele Arcangelo opera del musaicista Gio. Batta. Calandra, ed il S. Niccolò opera di Fabio Cristofari [...]. Il Cocchi son poco meno di due anni, che ha principiato la copia di musaico di detto quadro uniforme al suddetto S. Michele Arcangelo, ma però sin’ora non ha fatto che due teste, ed in tutto misurato il lavoro è di palmi 5 in circa. A conto ha avuti dalli 5 Febbraro 1710 a tutto il mese di Luglio 1711 scudi duecento settanta, e da ministri della R. Fabbrica ho saputo, che la medesima ha di più spesi per l’arrotatura dei musaici altri scudi trecento. Se si trattasse di un opera non già principiata, stimerei che si avesse seriamente a riflettere se fosse di miglior servizio della R. Fabbrica l’ordinarla uniforme a detti quadri del Cristofari, che se non m’inganno, e dal parere anche dei periti della R. Fabbrica, son ben riusciti, e meritano di stare nella magnifica Chiesa di S. Pietro, e si sono fatti con spesa molto minore di quella che ha importato il quadro del Calandra, che per terminarlo vi sarà voluto molto più di tempo. E se col tanto necessario e lodevole oggetto di conservar i quadri di S. Pietro (de’ quali ho fatta formar, ed accludo, una descrizione con la distinzione di quelli sono in tela, e degli altri, che o sono in muro o in lavagna) si vogliono far tutti di musaico, molto importa il determinare e prevalersi di un modo con cui si conseguisca, e la minor spesa, ed il terminarsi l’opera nel minor spazio di tempo che sia possibile. Ma per non diffondermi in ciò, che non mi è stato concesso, e l’EE.VV. sapranno ben comprendere per provvedervi, per fine gl’espongo che il Valeri ministro della R. Fabbrica di mio ordine ha formata una perizia, di cui accludo copia, della spesa di scudi 1519 che potrà importar l’arrotatura e tagliatura delle pietre e smalti necessari per il quadro che sta fecendo detto Cocchi, a qual somma sarei

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San Pietro in Vaticano

Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro 250. Basilica vaticana, transetto settentrionale, altare dei Santi Processo e Martiniano, Santa Gioacchina de Vedruna.

di parere si dovessero accrescere altri scudi tremila, che egli riceverà per sua mercede, e di quelli artefici de’ quali dovrà prevalersi per terminar l’opera con maggior celerità; che in tutto verrebbe ad avere scudi quattromila cinquecento 19 da stabilirsigli con le seguenti condizioni: Che la Rev. Fabbrica date le pietre e musaici, che potranno importare scudi duecento cinquanta in circa, non habbia a soggiacer a veruna spesa di tagliatura, arrotatura o d’altro. Che il quadro non si arroti in faccia, perché in quello di S. Michele Arcangelo si vede, che simile arrotatura è poco ben riuscita, e disdice molto, e debba terminarsi nel tempo di due annui, ed il denaro a conto del prezzo si abbi a soddisfar presentemente nella somma di scudi duecento in circa, e poi ogni tre o quattro mesi a proporzione però del lavoro che si riconoscerà esser stato fatto. Ed avendo esso Cocchi ricevuti scudi 271 e la Rev. Fabbrica spesi per arrotatura scudi 300 che insieme ascendono scudi 571 questa somma se gli dovrà detrarre e buonificare alla R. Fabbrica in conto al prezzo determinato. Ma ha poi il Cocchi fatta istanza di procurargli in S. Pietro una stanza, affinché con suo grande incommodo e pregiudizio del buon servigio della Rev. Fabbrica non sia obbligato a perder il tempo coll’andare e tornare mattina e giorno da S. Pietro alla sua casa, lo partecipo alle EE. VV. parendomi convenevole di soddisfarlo, e che la Rev. Fabbrica verrebbe ad essere assai meglio servita. Questo di 29 settembre 1711 = L. Cardinal Altieri»132.

Santa Gioacchina de Vedruna Transetto settentrionale, altare dei Santi Processo e Martiniano

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L’ovale raffigura la Santa nata il 16 aprile 1783 a Barcellona. Nel 1799 Gioacchina andò in sposa a Teodoro de Mas, del quale rimase vedova nel 1816. Allevati con cura i suoi nove figli, nel 1826 fondò la Congregazione delle Suore Carmelitane della Carità, che diffuse in tutta la Catalogna, aprendo numerose case per l’assistenza agli infermi e per l’opera di prevenzione e recupero delle classi più esposte alle insidie della miseria e dell’ignoranza. Innamorata del Mistero Trinitario, vi trasse le caratteristiche portanti della sua spiritualità: preghiera, mortificazione, distacco dalle seduzioni terrene, umiltà e carità. Morì a Vich il 28 agosto 1854. Il 19 maggio 1940 papa Pio xii, Eugenio Pacelli (1939-1958) la proclamò Beata, mentre il 12 aprile 1959 ne venne riconosciuta la santità da papa Giovanni xxiii, Angelo Giuseppe Roncalli (1958- 1963)133.

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La prima espressione, documentata, del desiderio nutrito dalle suore della Congregazione di vedere la propria San?ta fondatrice effigiata in un mosaico collocato nella basilica di San Pietro in Vaticano, risale al 10 dicembre dell’anno 1984, quando, in una lettera inviata a sua eccellenza mons. Lino Zanini, delegato della Fabbrica di San Pietro, la reverenda suor Catalina Serena Serna, superiora generale delle Carmelitane della Carità, scrive con toni affatto appassionati: «Sería de desear que paralelamente al mosaico de San Antonio María Claret se colocara uno de nuestra Fundadora, Santa Joachina de Vedruna, Canonizada por Juan xxiii, el 12 de abril de 1959, por la estrecha vinculación que tuvieron en vida estos dos Santos, ya que San Antonio María Claret fue Director Espiritual de Santa Joachina de Vedruna e intervino en el desarollo de la Congregación, ayudando eficazmente en la redacción y aprobación de las Constituciones [...] en 1979 nos interesamos en un proyecto presentado por la Rvda. Fábrica de San Pedro para colocar estatuas de Santos Fundadores en los nichos de las Grutas Vaticanas, pero no se pudo llegar a su realización»134. Al documento citato fa seguito una nota con la quale lo Studio del Mosaico presenta a suor Nuria Fortuny, economa generale delle Suore Carmelitane della Carità, un preventivo di spesa per l’esecuzione di un «mosaico di un ovale di misura cm 140 × 86 (asse maggiore e asse minore) raffigurante Santa Joachina de Vedruna, come da dipinto approvato. Tale mosaico verrà collocato al lato destro dell’altare centrale, dedicato ai SS. Processo e Martiniano, della navata traversa destra [...], nella Basilica Vaticana»135. Il «Foglio di lavorazione» redatto dallo Studio del Mosaico il 1° luglio 1988, riferisce che il Direttore Virgilio Cassio impiegò per la realizzazione del ritratto della Santa i maestri mosaicisti Roberto Anselmi, Roberto Grieco, Valentino Bonaguro e Dario Narduzzi. Tra il 30 novembre e il 5 dicembre 1988 vennero eseguiti in basilica i lavori di muratura necessari alla collocazione dell’impianto musivo che, il martedì 6 dicembre, poteva già essere ammirato dai devoti della Santa.

San Venceslao Transetto settentrionale, altare di San Venceslao A destra dell’altare dei Santi Processo e Martiniano, è posta la Mensa sacra dedicata a San Venceslao: già presso la Porta Romana, che si apriva sulla navata centrale dell’an-

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tica basilica costantiniana, intorno al 1326 era stato eretto, probabilmente dal vescovo di Olmütz, Hincone136, un sacello dedicato al re di Boemia riprodotto – sulla scorta di un disegno riportato da Giacomo Grimaldi – in una pittura parietale di Giovan Battista Ricci da Novara, ancora visibile in una lunetta che orna la cappella della Beata Vergine delle Partorienti, nelle grotte vaticane. Figlio del duca di Boemia Vratislao i e di Drahomirˇ, nipote del duca di Boemia Borivoj e di sua moglie Santa Ludmilla, il re santo giunse intorno al 924 al trono di Boemia. Tra il 929 e il 935 venne assassinato da cortigiani fedeli al fratello Boleslav e il suo corpo, divenuto ben presto oggetto di venerazione, ricevette una degna sepoltura a Praga nella chiesa da egli stesso dedicata a San Vito, presso l’altare dei Santi Apostoli eretto nell’abside meridionale. La domenica 17 settembre dell’anno 1628, durante il pontificato di papa Urbano viii, Maffeo Barberini (1623-1644), ebbe luogo la cerimonia di consacrazione dell’altare: «Haec tria Altaria eodem die h.e. xv Kal. Octobris 1628 fuerunt consecrata ab Antonio Ricciullo Episcopo Bellicastrense

Cardinalis Urbis Vicarii Vicesgerente, & in eis reconditae fuerunt Reliquiae. Videlicet in [...] [altari] Sancti Wenceslai, Sanctorum xl Martyrum, Sancti Alexii Confessoris, & Sanctae Mariae Aegyptiacae; ac de more Indulgentiae concessae fuerunt»137. Il 2 agosto del 1627 la Congregazione della reverenda Fabbrica di San Pietro affidò ad Angelo Caroselli (Roma 10 febbraio 1585-8 aprile 1652) – sostenuto dal cardinale Francesco Barberini – l’esecuzione di una tela che raffigurasse San Venceslao re di Boemia138: l’opera, conclusa nel 1630139, è esposta dal 1870 nel Kunsthistorisches Museum (Gemäldegalerie) di Vienna, mentre un primo bozzetto è conservato a Roma nelle collezioni di palazzo Braschi. L’artista – ormai professionalmente affermato e sempre più svincolato da primitive suggestioni caravaggesche a vantaggio di fascinazioni classicistiche d’impronta poussiniana – propone per la basilica di San Pietro un apparato iconografico affatto essenziale: il Santo re, rappresentato con il capo cinto dalla corona e rivestito con abiti militari, reca nella sinistra il vessillo con l’effige dell’aquila nera, mentre un angelo, dall’alto, gli mostra la vera corona della gloria; un bassorilievo, posto nell’angolo inferiore collocato alla sinistra del Santo, adombra il tragico episodio dell’atroce fratricidio, riproducendolo con accenti marcatamente classicheggianti. La traduzione in mosaico della pala d’altare, ultimata nel 1743140, venne affidata a Pietro Paolo Cristofari – il quale il 24 dicembre 1739 e il 31 dicembre 1740 riceve mandati di pagamento rispettivamente per 300 e 550 scudi141 – che si avvalse della collaborazione del valente mosaicista Giuseppe Ottaviani, al quale si deve la realizzazione di vari particolari della persona del Santo e della figura angelica, come si evince da un interessante dichiarazione – purtroppo sine data – conservata fra le carte dell’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro, nella quale il noto maestro mosaicista dichiara di aver eseguito: «Le braccia, mani, una gamba, e piede del Santo, e l’Angelo, che tiene la corona, e nuvola, ed altre cose in qua, e in la. Ho fatto altri lavori [...] de quali io non mi ricordo distintamente»142.

San Cirillo e San Metodio Transetto settentrionale, altare di San Venceslao Cirillo e Metodio, fratelli nel sangue e nella fede, nacquero in Grecia, a Tessalonica (l’attuale Salonicco) – città dove visse e operò San Paolo – all’inizio del ix secolo. Il principe

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Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro

Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro A fronte: 251. Basilica vaticana, transetto settentrionale, altare di San Venceslao, San Venceslao, particolare della figura del Santo.

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moravo Rostislav pregò l’imperatore Michele iii di Costantinopoli affinché inviasse nel suo regno, dove germogliava il primo seme del cristianesimo, un apostolo che sapesse esporre la dottrina nella lingua parlata dal popolo. I Santi evangelizzatori della Pannonia e della Moravia, diedero così origine all’alfabeto slavo detto glagolitico, meglio noto come alfabeto cirillico: tradussero nella nuova lingua sia la Sacra Scrittura sia i testi della liturgia latina, aprendo ai popoli che abitavano quelle terre i tesori della parola di Dio e la grazia dei Sacramenti. Per questa missione apostolica sostennero prove e sofferenze di ogni genere. Nell’867 i due Santi si recarono a Roma per far ordinare sacerdoti i loro discepoli ma, molto probabilmente, la loro visita fu dettata da un’esplicita convocazione da parte di papa Adriano ii (867-872) che, oltre a riservare loro una calorosa accoglienza, ordinò prete Metodio e approvò le loro traduzioni della Sacra Bibbia e dei testi liturgici che, per la prima volta vennero usati nel corso di una solenne celebrazione nella basilica di Santa Maria Maggiore. In quella circostanza Cirillo fece dono al pontefice delle venerate reliquie di San Clemente, da lui rinvenute in Crimea. Ammalatosi durante la permanenza nell’Urbe, Cirillo morì il 14 febbraio 869 e venne sepolto presso la basilica di San Clemente. Metodio fece ritorno in Moravia. Durante un successivo viaggio a Roma venne ordinato arcivescovo dell’antica sede di Sirmio e fu nuovamente inviato in Moravia dove, insieme ai suoi discepoli, proseguì con zelo e coraggio nella provvidenziale opera apostolica fino al termine della sua vita (6 aprile 885). Fu San Metodio a battezzare il principe boemo Borivoj e la sua consorte, Santa Ludmilla, nonni di San Venceslao, duca di Boemia. Il Martyrologium Romanum e il Calendario Liturgico fissano al 14 febbraio la festa dei Santi Cirillo e Metodio. Il Beato Giovanni Paolo ii, Karol Wojtyla (1978-2005), con la lettera apostolica Egregiae virtutis, del 31 dicembre 1980, li ha proclamati, insieme a San Benedetto abate, patroni d’Europa143. Il primo documento – conservato nell’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro – che riferisce l’intenzione di porre nella basilica vaticana una memoria dei due Santi evangelizzatori, risale al 12 maggio 1964. Si tratta di un preventivo di spesa per «il collocamento di immagini di S. Cirillo e S. Metodio nei due ovali di fianco all’altare di S. Venceslao nella Basilica Vaticana»144; tale altare, risalente al xiv seco-

lo, era stato demolito come molti altri durante la costruzione della nuova basilica ma, per volere di papa Urbano viii, venne ripristinato nella sua sede attuale. Sotto la direzione del prof. Virgilio Cassio vennero applicati alla realizzazione del progetto grafico, opera del prof. Michelangelo Bedini (Ostra, 1904-Roma, 1973)145, i mosaicisti Giovanni Secchi, Odoardo Anselmi, Valerio Marcelloni e Fabrizio Parsi146. Una lettera inviata dall’Accademia Cristiana Cecoslovacca, in Roma, a sua eccellenza mons. Primo Principi, segretario della Sacra Congregazione della reverenda Fabbrica di San Pietro, il 17 novembre 1964, testimonia, con accenti commossi, il vivo apprezzamento per il lavoro svolto: «Sono passati pochi giorni da quando il Santo Padre147 dopo aver partecipato alla solenne liturgia bizantina nella Basilica di S. Pietro, si degnò di benedire i due mosaici dei Santi Cirillo e Metodio, collocati ai lati dell’altare di S. Venceslao. Ci è rimasto il dolce ricordo di tale indimenticabile avvenimento»148. Uno spirito analogo anima la lettera inviata il 23 novembre 1964 da sua eccellenza mons. Francesco Tomasek, vescovo titolare di Buto, a sua eminenza il signor card. Paolo Marella, presidente della Fabbrica di San Pietro, nella quale, fra l’altro, si legge: «Mi reco a doverosa premura esprimere a Vostra Eminenza Reverendissima, prima di ripartire [per la] Cecoslovacchia, il mio profondo senso di ringraziamento e gratitudine nel nome dei Vescovi-Ordinari non presenti in Concilio [...] di aver generosamente permesso come Prefetto del Rev. ma Fabbrica di San Pietro collocare le immagini di San Cirillo e San Metodio, Patroni Principali dei nostri Paesi, di fianco all’altare di San Venceslao nella Basilica Vaticana. Questo fatto e poi che la Santità Nostra ha deciso di benedire personalmente questi quadri ci ha commosso profondamente. Sarà per noi Vescovi e certamente per il buon popolo cecoslovacco nuovo impulso di indiscutibile attaccamento alla Santa Sede e al Santo Padre»149. «L’Osservatore Romano» del sabato 14 novembre 1964, riferisce che il giorno precedente «Dopo la solenne Liturgia in rito bizantino il Santo Padre si è recato nella Cappella di S. Venceslao – nella stessa Basilica Vaticana, alla crociera dei Ss. Processo e Martiniano – ove ha benedetto due artistici mosaici [...] raffiguranti San Cirillo e San Metodio, apostoli degli Slavi. Si trovavano presso l’altare i Vescovi della Cecoslovacchia presenti al Concilio e i Vescovi di origine cecoslovacca, nonché la Colonia cecoslovacca di Roma [...] Dopo aver benedetto i due quadri musivi, l’Augusto Pontefice [rivolgeva] breve preghiera ai Santi Apostoli degli Slavi».

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San Pietro in Vaticano

Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro

Alle pagine precedenti: 252 e 253. Basilica vaticana, transetto settentrionale, altare di San Venceslao, San Cirillo e San Metodio.

La Messa di San Basilio Cappella Gregoriana, lato nord del pilone di San Longino, altare di San Basilio

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La grande pala musiva che orna questo altare – copia di un dipinto del celebre accademico di San Luca, Pierre Subleyras (Saint-Gilles, 25 novembre 1699-Roma, 28 maggio 1749), oggi esposto nella basilica romana di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, dove venne trasportato a cura di Luigi Vanvitelli150, venne realizzata da Giuseppe Ottaviani151, Guglielmo Paleat152, Enrico Enuò153 e Nicola Onofri154 nel triennio 1748-1751. Durante il pontificato di papa Benedetto xiv, Prospero Lorenzo Lambertini (1740-1758), in data 19 dicembre 1743, venne commissionato al pittore francese – particolarmente apprezzato per il suo valore dal coltissimo cardinale Silvio Valenti Gonzaga (Mantova, 1° marzo 1690-Viterbo, 28 agosto 1756), segretario di Stato e raffinato mecenate – il maestoso dipinto raffigurante la Messa di San Basilio, per decorare l’altare dedicato al Santo nella basilica vaticana, in sostituzione di un’altra opera di analogo soggetto dipinta da Girolamo Muziano (ca. 1532-1592)155, come risulta da un documento conservato presso l’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro, in Vaticano: «In seguito all’istrumento rogato il 13 settembre 1743 riceve duecento scudi a conto di scudi 1220 convenuti per il quadro rappresentante San Basilio, detto “La Messa greca”»156. Il soggetto prende spunto da un episodio della vita di San Basilio «il Grande» (329-379), riportato da San Gregorio Nazianzieno al capitolo lii dell’Orazione funebre in onore del grande Basilio. La tradizione attesta che Basilio il Grande, padre e dottore della Chiesa greca, per aver combattuto apertamente l’arianesimo dovette subire la persecuzione del prefetto Modesto, il quale gli impose di trovare un accordo con gli eretici, pena la confisca dei beni, l’esilio e la morte. «Confisca pure – fu la risposta fiera e serena del Santo – troverai una veste e pochi libri: il resto è dei poveri, né temo l’esilio e la morte». L’imperatore Valente, al quale vennero riferite le parole suddette, volle conoscere personalmente colui che le aveva proferite e ne rimase a tal punto colpito, che cessò di farlo perseguitare. L’episodio immortalato nella rappresentazione pittorica è quello in cui l’imperatore Valente, sostenitore dell’arianesimo, assistendo alla santa messa celebrata da Basilio a Cesarea, rimase a tal punto edificato dalla dignità e dalla fede

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254. Basilica vaticana, transetto settentrionale, altare di San Venceslao. 255. Basilica vaticana, pilone di San Longino, lato nord, cappella Gregoriana, altare di San Basilio, Messa di San Basilio.

con la quale il dottore della Chiesa greca officiava il sacro rito, che si sentì mancare e cadde a terra svenuto. Il dipinto si inscrive perfettamente nella più autentica tradizione settecentesca, per l’altissima sensibilità cromatica, la raffinatissima eleganza formale, l’amore per le antichità classicistiche – nutrito dal pittore e accresciutosi nel ventennio in cui fu attivo in Roma – che emerge prepotentemente nel fondale ricco di elementi architettonici, nelle eleganti colonne scanalate e, non ultimo, nell’abbigliamento dell’imperatore. La scelta di questo particolare soggetto può essere collegata con la trepidante attenzione manifestata in quegli anni da papa Benedetto xiv verso la Chiesa d’Oriente, che soffriva a causa dell’avanzata turca; inoltre, la filiale richiesta rivolta da San Basilio alla Chiesa di Roma di intervenire, per dirimere le controversie sorte fra i vescovi candidati alla Chiesa di Antiochia, lo poneva quale simbolo di concreto dialogo tra le due Chiese.

Per consentire ai maestri dello Studio del Mosaico di lavorare più agevolmente, Luigi Vanvitelli venne incaricato di copiare157 la tela di Pierre Subleyras, come attesta la ricevuta definitiva di pagamento, che data al 3 gennaio dell’anno 1724, conservata presso l’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro: «Al Signore Luigi Vanvitelli Pittore scudi cinquanta moneta sono per resto, et a compimento di scudi 320 cioè scudi 300 per pagamento del quadro rappresentante la messa siriaca da esso copiato nella basilica vaticana per servizio della Reverenda Fabrica, e scudi venti per li colori [...]»158.

icastica: il Santo viene infatti rappresentato con le sembianze di un vegliardo – provato da lunghi e frequenti digiuni, come svela, impietosamente, la sua parziale nudità – in atto di ricevere, sorretto da un discepolo, la sacra particola posta, di

La Comunione di San Girolamo Cappella Gregoriana lato est del pilone di San Longino, altare di San Girolamo

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La navata laterale di destra è chiusa dall’altare di San Girolamo159: collocato sul lato posteriore del pilone di San Longino, esso è sormontato dalla suggestiva pala musiva raffigurante la Comunione di San Girolamo, che riproduce la celebre tela di Domenico Zampieri, detto il Domeni­chino (Bologna, 21 ottobre 1581-Napoli, 6 aprile 1641): trafugata durante l’occupazione napoleonica venne trasferita a Parigi nel 1797 e, grazie alla benemerita opera di recupero compiuta da Antonio Canova, nel 1815 entrò a far parte delle collezioni della Pinacoteca Vaticana. Dipinta tra il 1611 e il 1614 su commissione dalla Con­ gregazione di San Girolamo della Carità, per l’omonima chiesa romana di via Giulia, ottenne al pittore bolognese – giunto in città nel 1602 chiamato dal concittadino Annibale Carracci – il primo riconoscimento di rilievo in Roma e suscitò, tranne rare eccezioni, i consensi entusiastici dei contemporanei, che annoverarono il dipinto fra i capolavori dell’arte italiana. Il tema, assai raro, è quello del pio eremita, ormai nonagenario, che giunto in punto di morte riceve l’ultima Comunione dalle mani di Sant’Efrem Siro, circondato dai suoi discepoli e assistito dalla matrona romana Santa Pao­la. Si tratta di un episodio di per sé apocrifo ma in linea con uno dei leitmotiv particolarmente cari alle tematiche dell’arte della Controriforma: l’accoglienza dell’Eucaristia prima del trapasso. Ispiratosi a un quadro di identico soggetto dipinto, un decennio prima, dal suo maestro Agostino Carracci, Domenichino elabora il suo testo pittorico in maniera affatto

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San Pietro in Vaticano

Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro

256 e 257. Basilica vaticana, pilone di San Longino, lato est, cappella Gregoriana, altare di San Girolamo, Comunione di San Girolamo e, a fronte, particolare del Santo in atto di ricevere la sacra particola.

fatto, al centro dell’intera scena, inquadrata in una elegante cornice classicheggiante. La realizzazione dell’imponente impianto musivo venne resa possibile grazie all’opera di Luigi Vanvitelli160 che, nel 1727, copiò il dipinto di Girolamo Muziani – al tempo collocato sull’altare di San Girolamo161 – e successivamente, a partire dal 1728, eseguì ben due copie del capolavoro di Domenichino, per la prima delle quali ricevette regolari mandati di pagamento il 18 dicembre 1728162 e il 23 aprile 1729163, mentre, per la seconda, gli vennero accreditati versamenti il 23 luglio e il 18 dicembre 1729164, il 3 aprile 1730165, il 26 luglio 1730166 e, in via definitiva, il 18 dicembre 1730: «Al Signor Luigi Vanvitelli Pittore scudi sessanta moneta sono per recognitione della diligenza, et attentione usata dal medesimo nella seconda copia del quadro d’altare maggiore della Chiesa di S. Girolamo della Carità dipinto dal Domenichino, e fatta per mettersi a Mosaico nella Basilica Vaticana»167. La trasposizione in mosaico, sulla scorta del modello vanvitelliano, si svolse sotto la direzione artistica di Pietro Paolo Cristofari il quale, a partire dal 26 luglio 1730168 fino al 6 aprile 1732169, riceve regolari mandati di pagamento170 da parte della Fabbrica di San Pietro; è dell’8 maggio 1732 la stima del lavoro ormai ultimato in tutte le sue parti: «Il quadro che ha messo a musaico per servitio della Reverenda Fabrica di S. Pietro il Signore Pietro Paolo Christofari Pittore dove fu rappresentato dal già Domenichino Pittore il San Girolamo, che è communicato per il Santissimo Viatico. Qual quadro è longo palmi 191/4 et è alto nel maggiore del suo semicircolo perfetto palmi 331/4 che misurato fa palmi quadrati seicento e un terzo [...]. Posto in lista delli 25 luglio 1732»171. Nella messa in opera di questa imponente pala musiva Cristofari poté avvalersi dell’importante contributo del valente mosaicista Giuseppe Ottaviani, al quale deve essere ascritta la realizzazione di «Buona parte del corpo del Santo, con la testa, eccettuato quel che sta tra il naso, e la fronte fatto dal quondam Cristofari, la mano con la Patena, la testa sotto la medesma, e la testa, e mano del vecchio, che sta accanto la stessa Patena»172.

San Francesco stimmatizzato Navata settentrionale, cappella del SS. Sacramento parete est, altare di San Francesco

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Il mosaico raffigurante San Francesco stimmatizzato è ripreso dal dipinto di Domenichino (Domenico Zampieri: Bo-

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logna, 21 ottobre 1581-Napoli, 6 aprile 1641), realizzato tra il 1628 e il 1630, e custodito nella chiesa romana di Santa Maria della Concezione: raffigurando il Santo stimmatizzato sorretto da un angelo, in una posizione simile a quella di Gesù sulla croce, il dipinto di Domenico Zampieri accentua in maniera estremamente marcata lo stretto rapporto tra il Salvatore e il Santo di Assisi. Una pala musiva analoga a quella attualmente esposta nella basilica vaticana venne realizzata, su committenza della Santa Casa di Loreto, dalle maestranze dello Studio del Mosaico della Fabbrica di San Pietro, diretto da Giovanni Battista Ponfreni, nel periodo che va dal 17 marzo 1788 al 3 settembre 1790 – per un compenso finale di 2.250 scudi – e orna la cappella di San Francesco, nella navata laterale di sinistra, della basilica Lauretana.

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Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro 258. Basilica vaticana, pilone di San Longino, lato est, cappella Gregoriana, altare di San Girolamo, particolare del leone ammansitosi dopo che il Santo lo aveva liberato dal tormento di una spina che aveva infissa nella zampa.

Papa Pio vi, Gian Angelo Braschi (1775-1799), dispose che lo stesso mosaico venisse riprodotto e, con biglietto dal Quirinale del 14 luglio 1795, diede incarico al direttore dello Studio, Domenico De Angelis, di copiare l’originale di Domenichino, dopo averlo ritirato personalmente presso il convento romano dei Padri Cappuccini173. L’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro conserva il documento in cui rivive, in tutta la sua verve, la vicenda del delicato trasferimento in Vaticano del prezioso dipinto, avvenuto il 15 luglio 1795: «Ieri alle ore 12 il Direttore dello Studio dei Mosaici De Angelis riceve dal Padre Generale de’ Cappuccini il Quadro di S. Francesco del Domenichino e contemporaneamente il Notaro della Fabrica istromentò l’Atto della consegna, e Descrizione [...]. Erano ivi già pronti per mio ordine i manuali Sanpietrini per calarlo e portarlo ben custodito al Casino dell’Economo a S. Pietro dove alle ore 22 vi feci trovare dei migliori Mosaicisti dello Studio, e lo Scarpellino Cartoni per ordinare subito il Sasso174 [...]. Dopo le ore 23 io stesso mi portai dove era il quadro, e trovai esattamente eseguito quanto avevo ordinato»175. L’inizio dei lavori finalizzati alla realizzazione della nuova pala musiva è regolato da un contratto, estremamente circostanziato, che reca la data del 3 agosto 1795; esso è articolato in cinque punti ed è ricco di dettagli di tipo economico e notazioni sia a carattere tecnico sia di natura strettamente operativa: «In esecuzione dei Sovrani Ordini dati dalla Santità di N.S. PP. Pio vi felicemente regnante a Mons. Ill.mo e Rev.mo Giovanni Bufalini Economo e Segretario della Rev. Fabrica di S. Pietro [...] vi è trasportato dalla Chiesa de’ Cappuccini allo Studio de’ Mosaici al Vaticano il Quadro Originale dipinto dal Domenichino rappresentate San Francesco d’Assisi ad effetto di copiarlo a Mosaico a disposizione della Stessa Santità Sua. A piacimento del S. Padre sono stati scelti per l’esecuzione di un tal lavoro dal Sig. Domenico De Angelis Direttore dello Studio li Sig.ri Bartolomeo Tomberli, Domenico Cera­soli e Filippo Cocchi Mosai­cisti addetti allo Studio Medesimo [...] noi infrascritti Mosaicisti [...] ci obblighiamo di eseguire intieramente il soprascelto Quadro in Mosaico per il prezzo di scudi duemilaottocento moneta a tenore annesso scandaglio fatto con intelligenza dal Domenico De Angelis [...] con l’espressa condizione però che ultimato che sarà il Quadro [...] ci siano pagati a titolo di ricognizione altri scudi duecento da ripartirsi egualmente fra noi infrascritti, ed inoltre con seguenti altri patti e condizioni cioè: 1° Che il Mosaico debba essere lavorato a tutta perfezione con smalti piccoli ad uso di arte secondo l’approvazione che

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dovrà farne il Direttore dello Studio. 2° Che nel prezzo di scudi duemilaottocento debba restarvi compresa l’Opera di Noi Sottoscritti Mosaicisti, ma ancora il valore della Pietra, degli Smalti, Traccia, Spillatura, Rotatura e Stuccatura e tutt’altro necessario [...]. 3° Che nei pagamenti a conto da farsi dalla Rev. Fabrica di bimestre in bimestre secondo il Foglio che ne darà detto Direttore regolato sopra la qualità del lavoro più, o meno difficile, che si andrà eseguendo, si debbano tenere sempre indietro scudi mille non solamente per sicurezza della buona esecuzione del medesimo lavoro, ma ancora per reintegrazione della [...] Rev. Fabrica delle diverse spese dalla medesima fatte e da farsi per compimento dell’Opera [...]»176. Al contratto suddetto si affianca un interessantissimo documento, che può essere considerato una sorta di corollario esplicativo, in cui lo scrivente instaura un parallelismo tra il mosaico lauretano e quello in fieri con la precisa intenzione di giustificare il costo maggiore del secondo manufatto rispetto al primo: «Nel 1788 fu principiata a Mosaico la copia del Quadro del Domenichino rappresentante S. Francesco d’Assisi per il Santuario di Loreto nella Marca e fu convenuto per la somma di scudi 2250. Il Suddetto Quadro era alto palmi 12 largo palmi 7 che riquadrati formavano palmi 84 da quali defalcati palmi 4.5/12 per il vuoto del Sesto restavano palmi 79.7/12 ripartiti agli appresso Mosaicisti: al fù Filippo Carlini [...] a Filippo Cocchi [...] a Gio. Battista Fiani e Giuseppe Regoli [...] Dovendosi al presente far nuova copia a Mosaico del predetto Quadro in grandezza maggiore senza il Sesto vi è stata fatta un’aggiunta di campo che forma riquadrati 37.5/12 [...]. è necessario avere in considerazione il tempo maggiore che vi vuole per un lavoro più fino, il maggior logoro de’ smalti per il taglio più minuto ed in quadrato perfetto. E le spese maggiori per le fodere di Peperino, arrotatura, stuccatura ed allucidatura del Quadro che almeno vanno valutate scudi trecento. Conché il vero prezzo deve considerarsi di scudi Duemilaottocento moneta»177. Preme notare come nonostante la chiarezza del dettato del contratto conservato nella filza delle Liste Bimestrali dell’anno 1795 della reverenda Fabbrica di San Pietro, il copista addetto alla registrazione degli atti continuò a riferirsi al mosaico in esame come se si trattasse ancora di quello destinato alla Santa Casa di Loreto (generando non pochi fraintendimenti fra gli studiosi del secondo manufatto), e ciò fino a quando, nei mandati di pagamento del 1796, il testo con la dicitura inesatta non venne abraso e modificato con il corretto riferimento al mosaico in corso d’opera!

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San Pietro in Vaticano

Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro 259 e 260. Basilica Vaticana, navata settentrionale, cappella del SS. Sacramento, altare di San Francesco, San Francesco stimmatizzato e, a fronte, particolare della mano del Santo che indica oggetti di devota meditazione.

I lavori che portarono alla definitiva collocazione in situ dell’impianto musivo destinato alla basilica vaticana, ebbero inizio a partire dal 10 marzo 1824, data in cui Giovanni Cesari viene impiegato presso lo Studio per «segare» il quadro di San Francesco, operazione che lo impegnerà fino al giorno 15 dello stesso mese. Da questo momento in poi i documenti178 riportano, con la consueta precisione, le varie fasi che, dal 10 marzo all’8 aprile 1824, conducono alla definitiva posa in opera del mosaico: il 16 marzo, lo stesso Cesari, mette delle «fascette di marmo» attorno al quadro; il 18 marzo, in basilica, Giuseppe Troncè, Sante Guarnieri, Giuseppe Costa e Paolo Paraccini – esperti carpentieri – «preparano l’armatura per il quadro»; il 20 e il 22 marzo Giovanni Cesari e Giacomo Paraccini fissano «fascette di marmo» attorno al quadro; il 23, 24, 26 e 27 marzo Giacomo Paraccini, nello Studio, assiste il mosaicista nelle operazioni di «arrotatura»; il 24, 26 e 27 marzo, in basilica, Giuseppe Troncè, Giuseppe Costa, Paolo Paraccini, Luigi Ciozzi e Giuseppe Scipioni, preparano il necessario «per mettere in opera il quadro», e – nelle giornate del 26 e 27 – si affianca loro Giuseppe Oslenghi che mura i «baggioli»; la giornata clou delle operazioni fu comunque quella del lunedì 29 marzo, che vide impegnati in basilica per «mettere in opera il quadro di San Francesco», Benedetto Angelelli, Luigi Ciozzi, Giuseppe Troncè, Sante Guarnieri, Giacomo, Giuseppe e Paolo Paraccini, Giuseppe Scipioni, Giuseppe Oslenghi, Giuseppe Costa, Ignazio Carosi, Filippo Boccanera e Lazzaro Giuliani! Il giorno successivo, con la consueta sollecitudine che caratterizza la vita della basilica, Luigi Ciozzi, Giuseppe Troncè, Giacomo, Giuseppe e Paolo Paraccini, Giuseppe Scipioni e Giuseppe Costa, vengono incaricati di «guastare l’armatura all’Altare di San Francesco»; all’altare, finalmente dedicato, nelle giornate del 3, 6, 7 e 8 aprile i mosaicisti – assistiti da Giacomo Paraccini – lavorano per «arrotare» la nuova pala d’altare.

trasferire parte delle reliquie nell’oratorio di San Gregorio180, riservando un prezioso reliquiario per il capo del Santo181 – ha preso il posto di un dipinto a olio su muro (alto 9,30 metri e largo 4,20) rappresentante il medesimo soggetto, commissionato a Domenico Zampieri detto il Domenichino (Bologna, 21 ottobre 1581-Napoli, 6 aprile 1641) nella ricorrenza del Giubileo del 1625182 ed eseguito in un arco di tempo compreso tra il 1625 e il 1631, anno in cui Domenichino lasciò Roma alla volta di Napoli. Il 1625 fu un anno funestato da una gravissima pestilenza, che aveva contribuito a raffor-

Martirio di San Sebastiano Navata settentrionale, cappella di San Sebastiano, altare di San Sebastiano

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L’altare sotto il quale riposa – dal 1° maggio 2011, data della sua beatificazione – il corpo del Beato Giovanni Paolo ii, Karol Wojtyla (1978-2005)179, è sovrastato dalla grande pala musiva che riproduce il Martirio di San Sebastiano – martire romano venerato nell’antica basilica costantiniana fin dal secolo ix, quando papa Gregorio iv (827-844) ne fece

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Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro A fronte: 261. Basilica vaticana, navata settentrionale, cappella di San Sebastiano, altare di San Sebastiano, Martirio di San Sebastiano.

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zare ancor più il culto verso il Santo taumaturgo al quale, fra l’altro, erano particolarmente devoti i membri della famiglia Barberini, cui apparteneva papa Urbano viii, Maffeo Barberini (1623-1644), allora regnante. Nel 1736 Nicola Zabaglia (1664-1750) – ingegnoso e perspicace operaio della Fabbrica di San Pietro, ideatore di macchine assolutamente straordinarie per la loro duttile e rigorosa essenzialità – intervenne con la realizzazione sia di un apparato tale da consentire la rimozione, senza danni, del dipinto sia di una solida impalcatura sulla quale potessero operare, in tutta sicurezza, mosaicisti e inservienti. La porzione di parete, sulla quale dal 1631 campeggiava il celebre dipinto, venne rimossa nella sua interezza e trasportata intatta, a cura di Luigi Vanvitelli, nella basilica romana di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, dove venne collocata sul lato destro del presbiterio183. Il vasto impianto iconografico che orna la basilica vaticana rappresenta il Santo legato all’albero del supplizio, prima di essere trafitto dalle frecce. La posizione e le fattezze somatiche del giovane martire, l’iscrizione (sebastianvs/christianvs) sul palo del patibolo (per altro molto simile a una croce), la presenza di soldati sulle scale proiettano il testo pittorico in una chiara dimensione cristologica, suggerendo uno spiccato parallelismo con la Passio Christi e suggellando, con inequivocabile chiarezza, l’immagine del martire quale autentico testimone del Maestro. Il Martirio di San Sebastiano, opera di ampio respiro no­ no­stante i numerosi personaggi che «affollano» la scena, pone in giusto risalto, in un insieme drammatico e movimentato ma pur sempre estremamente composto, la figura di Cristo che, a braccia aperte, attende il momento supremo in cui accoglierà nella gloria del Paradiso – prefigurata da uno stuolo di angioletti musicanti – il martire che fiducioso, mentre un angelo gli reca dal cielo la palma e la corona, rivolge lo sguardo verso l’Altissimo, quasi isolato dalla folla – perentoriamente allontanata da un centurione a cavallo – che lo circonda. Le fonti storiche degne di fede sulla figura di San Sebastiano possono sostanzialmente ridursi a due: la Depositio Martyrum del cronografo del 354184 e un passo di Sant’Ambrogio, nel commento al Salmo 118185: «Di Sebastiano quello che si conosce di storico si riduce al martirio romano, alla sepoltura in catacumbas, alla data della festività (20 gennaio). Eppure di questo martire fama e venerazione sono state amplissime dal Medioevo fino all’età moderna [...]. La passio leggendaria vi ha contribuito in non piccola misura influen-

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zando culto, arte, letteratura, iconografia»186. Secondo la Passio S. Sebastiani – redatta, ad avviso degli agiografi, verso la metà del secolo v da un romano – il Santo, membro della guardia imperiale, subì il martirio sotto gli imperatori Diocleziano e Massimiano: condannato al supplizio delle frecce, venne abbandonato sul luogo stesso del martirio dagli arcieri che lo avevano creduto morto. I suoi compagni, volendone recuperare il corpo per offrirgli una degna sepoltura, si accorsero che era ancora vivo; curato dalla nobile Irene riacquistò la salute e, contrariamente al parere dei membri della comunità cristiana, tornò coraggiosamente alla predicazione affrontando persino i due imperatori che si erano recati a pregare nel tempio di Ercole. Arrestato, venne brutalmente flagellato nell’ippodromo del Palatino e, quindi, gettato in una cloaca: apparso in sogno alla matrona Lucina, indicò il luogo in cui giacevano le sue spoglie affinché potessero trovare una convenevole sepoltura in catacumbas. Il mosaico, esemplato su un cartone del celebre incisore e disegnatore Giovan Domenico Campiglia (Lucca, 1692Roma, 1772) tra il 1725187 e il 1726188, venne ultimato nel 1736 da Pietro Paolo Cristofari, direttore dello Studio del Mosaico della Fabbrica di San Pietro189, che si avvalse della collaborazione dell’abile mosaicista Giuseppe Ottaviani, il quale riferisce – come riporta una carta d’archivio sine data – di aver realizzato per il quadro musivo di San Sebastiano: «Tutto il Santo, eccettuato un non so che cosa di poco nella mano destra, ho fatto anche il Titolo sul tronco del Santo, la maschera del Cristo; la schiena, ed un poco di panno di quella donna, che sta sotto al Santo, la mano, e braccio, che stende l’altra donna, che tiene una fanciulla con buona parte della veste turchina, e tutte e due le gambe di detta fanciulla, e quel piede, che sta accanto la medesima, con un poco di panno giallo»190.

San Nicola di Bari Navata settentrionale, cappellina delle Reliquie o del Crocifisso Di pianta ellittica e non accessibile ai pellegrini, trasformata in cappella tra il 1664 e i primi anni Settanta del secolo xvii da Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 7 dicembre 1598-Roma, 28 novembre 1680), questo spazio della basilica venne decorato, intorno alla metà del Settecento, da Luigi Vanvitelli (Napoli, 12 maggio 1700-Caserta, 1° marzo 1773) e sottoposto in toto a una delicata opera di ristrutturazione,

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Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro

Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro A fronte: 262. Basilica vaticana, navata settentrionale, cappella di San Sebastiano, altare di San Sebastiano, Martirio di San Sebastiano, particolare del Santo al palo del supplizio.

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nel 1888, sotto la supervisione dell’architetto della Fabbrica di San Pietro, Andrea Busiri Vici (Roma, 1818-1911). Dei tre altari che attualmente si trovano al suo interno, esisteva in origine unicamente quello dedicato a San Nicola di Bari: «1672. Giovedì 6 ottobre. La mattina Monsig. Suares Vicario [di S. Pietro] consagrò gli Altari del SS.mo Crocifisso [nella cappella adiacente] e di S. Niccola Vescovo e Confessore191 [...]»192. Nel 1749 l’assetto topografico della cappellina subì un primo, considerevole cambiamento, dettato, come suggerisce il Diario della Basilica Vaticana di quell’anno, dalla necessità di rispondere a problematiche affatto contingenti: «7 novembre, venerdì. La sera di detto giorno dopo le ore 24 a Porte chiuse fu trasportato il SS.mo Crocifisso dal suo Altare alla Cappella di S. Nicolo [sic], contigua all’Altare indicato, dovendovi in questo collocare la Statua della Pietà, levata con ordine del Papa dall’Altare del nostro Coro [...] Ritornata la Processione alla sua Cappella, entrò in quella di S. Nicola, fu collocata la Statua del Crocifisso sull’Altare, che prima era il quadro di S. Nicolò, avendo portato questo in una cappelletta mo-mentaneamente fabbricata in parte Evangelii [alla sinistra dell’altare centrale] di essa Cappella [...]»193. L’accuratissima pala musiva che orna l’altare del Santo – la seconda, in ordine diacronico, fra quelle realizzate nella Basilica Vaticana (la prima fu il San Michele di Giovan Battista Calandra) – può essere attribuita al celebre mosaicista Fabio Cristofari194, sulla scorta di una relazione stilata il 29 settembre 1711 e presentata dal cardinale Altieri, dinanzi ai membri della Sacra Congregazione della reverenda Fabbrica di San Pietro, il giorno seguente «[...] devo rappresentar, che nella Chiesa di S. Pietro vi sono due soli quadri d’altare di musaico, cioè il S. Michele Arcangelo opera del musaicista Gio. Batta. Calandra, ed il S. Niccolò opera di Fabio Cristofari, e nelle S. Grotte di essa Chiesa vi sono altri quattro quadri di musaico, opera di detto Cristofari. [...] Il quadro del Calandra e quelli del Cristofari non si uniformano né nella qualità del lavoro né respettivamente nel prezzo [...] detti quadri del Cristofari, che se non m’inganno, e dal parere anche dei periti della R. Fabbrica, son ben riusciti, e meritano di stare nella magnifica Chiesa di S. Pietro, e si sono fatti con spesa molto minore di quella che ha importato il quadro del Calandra [...]»195. Verisimilmente commissionato e finanziato in toto – elemento, quest’ultimo che giustificherebbe l’assoluta assenza nell’Archivio della Fabbrica di San Pietro di documenti comprovanti una qualsiasi forma di pagamento a favore di

Fabio Cristofari – da un canonico della basilica vaticana particolarmente devoto al Santo, il mosaico venne eseguito intorno al 1680: le Liste mestrue del 26 marzo 1681 riportano infatti la notizia che «Giacomo Borzati capomastro muratore riceve 207 scudi e 98 bajocchi per lavori fatti secondo le giustificazioni inviate il 7 agosto 1680: Mettitura del quadro alla Cappella di San Nicolò»196. Carlo Fontana fu il primo a suggerire il modello della pala musiva: «Il quadro sopra l’Altare messo a musaico da Fabio Cristofari, con il disegno corrispondente all’antico che sta nella Città di Bari»197: effettivamente il tesoro della cattedrale di San Nicola conserva una preziosa icona trecentesca di provenienza serba, dalla cui riza d’ar­gento emerge l’effige del Santo raffigurato con la mano sinistra benedicente e la destra in atto di sorreggere la Bibbia, ai suoi piedi una coppia di nobili committenti e, in alto, il Cristo e la Vergine. È affatto evidente che tra le due icone, accanto a una sostanziale concordanza figurativa, appaiono elementi divergenti, frutto dell’originalità interpretativa di Cristofari. Nel mosaico, in luogo degli offerenti, sono rappresentati – rispettivamente in basso a sinistra e a destra di San Nicola – un giovinetto con una coppa e tre fanciulli che fuoriescono da una tinozza: espliciti riferimenti ad altrettanti miracoli operati dal Santo taumaturgo. Il Santo vescovo di Myra è raffigurato in posizione frontale rispetto all’osservatore e rivestito con solenni paramenti episcopali; il volto sorridente il cui incarnato brunastro è reso più evidente dalle canizie, è incorniciato da una rada capigliatura e dalla barba, folta e ben curata, entrambe di colore bianco, mentre il suo capo è circondato da un ampio nimbo istoriato e gemmato. La mano destra è solennemente levata in atto di benedire alla maniera greca, mentre la sinistra sostiene con forza un libro aperto sul quale è incisa l’impresa del Santo; sulla sommità del volume sono posti, triangolarmente, tre globi d’oro, che costituiscono un’interessante rilettura dell’iconografia tradizionale, in cui il Santo reca in mano tre sacchetti (talvolta riassunti in uno solo) di monete d’oro, spesse volte resi più visibili sotto forma di tre sfere auree. Tramanda infatti una devota leggenda, che nella città dove si trovava il vescovo Nicola, un padre, privo del danaro necessario per assicurare la dote a ciascuna delle sue tre figliole, al fine di farle convenientemente maritare, avesse deciso di indurle alla prostituzione; il Santo vescovo, venuto a conoscenza dell’insano progetto, donò al genitore tre sacchetti di monete d’oro, che costituirono la dote delle fanciulle salvandone la purezza.

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Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro

Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro A fronte: 263. Basilica vaticana, navata settentrionale, cappellina delle Reliquie, San Nicola di Bari.

Nei quadranti alti della pala musiva, alla destra e alla sinistra di San Nicola, sono ritratti a mezzobusto il Cristo e la Vergine, rispettivamente in atto di porgergli l’Evan­gelo e il sacro pallio. Le precipue peculiarità iconografiche espresse dal mosaico realizzato da Fabio Cristofari, lo connettono intimamente alla temperie culturale controriformistica che, in una prospettiva etico-pedagogica, mostrò in campo agiografico una chiara predilezione per la rappresentazione di eventi a carattere miracoloso, con evidenti finalità parenetiche.

San Giuseppe e Gesù Bambino Navata settentrionale, cappellina delle Reliquie o del Crocifisso Sulla parete di destra della cappellina delle Reliquie è posto l’altare in onore di San Giuseppe, consacrato in seguito ai lavori di ristrutturazione dell’intero spazio sacro eseguiti sotto la direzione dell’architetto della Fabbrica di San Pietro, Andrea Busiri Vici (Roma, 1818-1911). L’idea di collocare nella basilica vaticana un’immagine di San Giuseppe risale ai primissimi anni del pontificato del Beato Pio ix, Giovanni Maria Mastai Ferretti (1846-1878), devotissimo del Santo: nel 1850, venne affidato al noto pittore Fabrizio D’Ambrosio l’incarico di dipingerne un’icona198 e, l’11 aprile di quello stesso anno, veniva emesso a favore dell’artista un mandato di pagamento pari a «Scudi 25 moneta in conto e diminuzione di scudi 80 prezzo concordato con la Fabbrica di San Pietro per la pittura di un quadro in tela rappresentante il Patriarca S. Giuseppe col divin Bambino in braccio alto detto quadro palmi nove 10/24 largo palmi cinque 18/24 compostogli per porlo in uno degli altari della Basilica Vaticana»199. Il dipinto non trovò una collocazione stabile in basilica ma molto probabilmente, in occasione della festività di San Giuseppe, veniva esposto nella cappellina delle Reliquie finché, nel 1896, l’opera di D’Ambrosio venne donata alla chiesa di Santa Maria d’Itria dei Siciliani, in via del Tritone a Roma200. Il 23 luglio 1883, di fronte alla promessa donazione di Lit. 60.000 da parte di una pia oblatrice – la signora Barbara Lastenia Vives De Rosa-Innes, di Santiago del Cile – il Capitolo di San Pietro decide di «sostituire il mosaico raffigurante la Deposizione della Croce esistente nella Cappella del SS.mo Sagramento con un mosaico rappresentante S. Giuseppe col

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S. Bambino in braccio [...] e in pari tempo servirsi del residuo della somma offerta per dare accesso alla Cappella di S. Nicola sotto la statua di Leone xii, munirlo di cancello, trasferire di fronte al nuovo accesso il SS.mo Crocifisso e decorare la detta Cappella. [...] Si dà incarico al R.mo Fiorani d’interpellare uno o due degli Architetti della Rev. Fabbrica circa il progetto in genere del mosaico di S. Giuseppe nella Cappella del SS.mo Sagramento [...]. Come pure sulla possibilità di eseguire il nuovo accesso alla Cappella delle SS.me Reliquie con quelle trasformazioni che si vorrebbero fare»201. I verbali dell’adunanza capitolare del 5 novembre 1883202 riportano la proposta di realizzare una «tela rappresen­tante S. Giuseppe col S. Bambino e collocarlo in luogo della Deposizione essendoché occorreranno circa 5 anni per compiere il quadro medesimo in musaico: adattarvi una cornice di metallo dorato ma non tanto vistosa essendo già ricchi e belli gli ornati che ora esistono [...]; levare la balaustra per avantaggiarre di spazio in caso di funzioni sacre che si dovessero compiere avanti la S. Im­magine come sembra essere pia intenzione dell’Obla­trice di fare eseguire»203. La domenica 11 novembre la relazione suddetta venne letta a Sua Santità Leone xiii, Gioacchino Pecci (1878-1903) il quale, fatte salve alcune lievi modifiche, ne approvò in toto il contenuto. Nel corso dell’adunanza del 29 agosto 1884 la «Reve­ rendissima Commissione Capitolare pel monumento a S. Giuseppe» affida al prof. Grandi l’incarico di «presentare il preventivo delle spese e competenze pel quadro originale, che sarà riprodotto in mosaico a seconda del bozzetto presentato ed approvato da Sua Santità. [...] Il prof. Grandi presenta il bozzetto presentato già e corretto secondo il desiderio di Sua Santità. Si osserva non essere naturale la mossa di S. Giuseppe che scende dal trono cogli occhi rivolti al cielo. [...] Il prof. Grandi poi aggiunge che si può fare il quadro secondo l’attuale bozzetto per £ 4.000 [...] si commette al Prof. Grandi la fattura del quadro secondo il bozzetto colle ultime correzioni»204. La collocazione dell’opera nella cappella del SS. Sacra­ mento, in luogo della Deposizione di Caravaggio, non dovette però riscuotere il pieno consenso dell’artista che, in una lettera del 14 maggio 1885, facendo leva sulla familiarità benevolmente concessagli dal pontefice, suggerisce una sua ipotesi alternativa: «Quando Sua Santità Papa Leone xiii che più volte si è degnata riporre in me una fiducia che temo appena di meritare, mi onorò nuovamente approvando la commissione del Capitolo Vaticano per il quadro di San

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San Pietro in Vaticano A fronte: 264. Basilica vaticana, navata settentrionale, cappellina delle Reliquie, San Giuseppe e Gesù Bambino.

Giuseppe da tradursi in mosaico, per la stessa Basilica, fui tanto ardito, esporre a Sua Beatitudine alcune riflessioni, sulla convenienza di rimuovere il mosaico della deposizione del Caravaggio, uno dei più belli e conosciutissimo per surrogarvi la nuova immagine [...] per il che, recatomi in S. Pietro ho trovato opportunissima la scelta dell’altare dei SS. Processo e Martiniano, e molto poi l’idea di richiamare la devozione dei due Santi, ivi sepolti, con le due immagini laterali egualmente in mosaico, tanto più che è avvalorata dall’esempio dei due Santi Simone e Giuda che abbiamo precisamente di contro, se non ché trovo la stessa difficoltà per la rimozione di quel mosaico che anch’esso è stupen­do per esecuzione e per essere l’originale opera del celebre Valentin, che non ha forse pari la fama al Caravaggio è stato certo uno dei robustissimi ingegni di quel tempo»205. A questa sommessa ma ferma dichiarazione d’intenti fa seguito, il 28 luglio 1885, un preventivo di spesa206, pari a Lit. 33.587, per una eventuale traduzione in mosaico – su un’area di palmi quadrati 108,15 – del quadro di San Giuseppe. Nell’adunanza del 13 marzo 1887, i membri della «Com­ missione Capitolare pel monumento di San Giuseppe» chiedono all’economo e segretario della Fabbrica di San Pietro di «convenientemente sistemare il quadro della Deposizione sull’altare in mezzo alla Sagrestia, rimuovendovi quello in pittura pur rappresentante la Deposizione stessa»207 e di porre nella cappella di San Nicola il simulacro di San Giuseppe «aprendovi l’accesso con cancellata in metallo dalla porta che trovasi sotto il monumento di Leone xii e sistemandovi i 3 altari in quella guisa che si reputasse migliore sulle 3 pareti interne, del SS. Crocifisso, di S. Giuseppe e di S. Nicola»208. In una lettera vergata la domenica 20 marzo 1887209, Francesco Grandi si rivolge a mons. De Ruggero, economo e segretario della Fabbrica, scusandosi per non aver realizzato con la dovuta sollecitudine l’opera commissionatagli, ma afferma, nel contempo, di aver comunque ricuperato il tempo perduto avendo «condotto a termine l’opera già dal mese trascorso [febbraio]». Dichiara inoltre di aver espresso direttamente al Santo Padre le sue perplessità in merito all’eventuale collocazione dell’opera nella cappella del SS. Sacramento e di aver invitato sua eccellenza mons. Sanminiatelli a visionare il cartone e che questi, recatosi presso il suo studio, «si compiacque approvare anzi encomiare il mio lavoro». Con dispaccio del 27 aprile 1887, il Santo Padre esprime il proprio placet sia in merito alla collocazione del quadro nella cappella delle Reliquie sia alle modifiche da apportare alla cappella stessa, suggerite dagli architetti Andrea Bisuri

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Vici, Francesco Vespignani, Augusto Bonanni e Francesco Azzurri. È del 15 luglio 1887 il documento contenente la delibera di tradurre in mosaico210 il pregevole dipinto – conservato, in un primo momento presso la «Sala M» al secondo piano del Museo Petriano e attualmente irrintracciabile – realizzato da Francesco Grandi (1831-1891), direttore dello Studio del Mosaico Vaticano, raffinato ritrattista romano ed esponente autorevole della corrente storica, narrativa e celebrativa del periodo, noto anche per alcuni ritratti di papa Leone xiii. L’autore – che fu allievo di Ludovico Venuti (1785-1872), presso l’Accademia Nazionale di San Luca e di Tommaso Minardi (1787-1871), personaggio di spicco nella corrente artistica del Purismo – propone, con linee di estremo nitore che lasciano trapelare una gradevole eco delle più eleganti ricerche stilistiche poste in essere dagli artisti preraffaelliti, un San Giuseppe ancor giovane e vigoroso, che con salda e paterna amorevolezza, sostiene sul braccio sinistro il Bambino Gesù: entrambi i personaggi si trovano in posizione frontale, rispetto all’osservatore, dinanzi a una elegante edicola architettonica, delimitata da due colonne tortili, al cui interno trova posto un solenne seggio marmoreo incorniciato da sobri motivi cosmateschi, che richiamano i prospetti frontali dei gradini sui quali è posto, nonché le modanature che riquadrano la parte bassa della superficie muraria di sfondo. L’arco a tutto sesto che sovrasta l’edicola reca la scritta tu eris super domum meam211, che ben si incarna nel volto, autorevole e rassicurante, del Santo patrono della Chiesa universale. La solenne staticità delle figure – non stemperata neppure dall’atto, appena accennato da parte del Santo, di discendere i due gradini del trono ricoperti da un raffinato tappeto, sul quale sono adagiati un rotolo212 solo in parte svolto, ed essenze floreali di varie specie213 – non impedisce un intimo dialogo con il fedele, sia in virtù di un intenso gioco di sguardi sia per l’estrema levità del tratto descrittivo, che conferisce al dipinto i canoni di una autentica icona moderna. La realizzazione del mosaico raffigurante San Giuseppe e Gesù Bambino, venne affidata ai mosaicisti Giovanni Ubizi, Pietro Bornia, Federico Campanili e Alessandro Agricola (al quale subentrerà Licinio Campanili, figlio di Federico), con un contratto del maggio 1888214, che prevedeva la realizzazione dell’impianto musivo nel tempo di quattro anni dalla data della stipula. Il 3 febbraio 1893 vengono ultimati i pagamenti per il lavoro svolto, a Giovanni Ubizi e Pietro Bornia; mentre, il 17 dicembre 1889, erano stati emessi mandati a favore di Federico Campanili e di suo figlio Licinio.

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San Pietro in Vaticano

Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro 265. Pianta delle grotte vaticane con l’indicazione dei luoghi in cui si trovano i mosaici descritti nel testo: 1. Cappella di Sant’Andrea; 2. Cappella di Santa Veronica; 3. Cappella di Sant’Elena; 4. Cappella di San Longino; 5. Cappella Polacca.

Il 25 ottobre del 1888, l’architetto Andrea Busiri Vici viene nominato direttore dei lavori per la cappella di San Giuseppe e, il 27 luglio dell’anno successivo, con una lettera al segretario economo della Fabbrica di San Pietro, torna ancora una volta sulla annosa, quanto dibattuta, questione della giusta collocazione del mosaico di San Giuseppe, con la proposta di situarlo nella cappella della Madonna del Soccorso «dove non si eliminerebbe l’immagine della Madonna ma il mosaico di S. Giuseppe vi starebbe sotto e aumenterebbe la devozione nei fedeli che vedrebbero entrambe le immagini»215. Il 24 luglio 1893, con il saldo di tutte le spese per i diversi lavori posti in essere nella cappella, la vexata quaestio sembra trovare una soluzione definitiva, fatto salvo il contenuto di un appunto Ex Audientia SSmi, del 13 marzo 1961216, steso da sua eccellenza mons. Primo Principi, delegato della Fabbrica di San Pietro. Appena varcato il cancello d’ingresso della cappellina delle Reliquie, su una lesena della parete di sinistra, è ben visibile una sobria lapide commemorativa – collocata in situ il 7 novembre 1938 con il benestare dell’economo e segretario della Fabbrica di San Pietro – in ricordo della devota benefattrice, che fu generosa committente degli importanti lavori ivi svolti: pietate mvnificentia qve/barbarae lasteniae vives/de rose-innes/domo s. iacobo de chile/altare iosepho sancto/cvstodi dei pveri/extrvctvm/simvlacrvm eivs/opere mvsivo impositvum/cella vsqveqvaqve excvlta/an. mdccclxxxviii217.

Grotte vaticane Cappelle di Santa Veronica, Sant’Andrea (già di San Longino), San Longino (già di Sant’Elena), Sant’Elena (già di Sant’Andrea)

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Le quattro pale musive – Cristo «porta Croce» e Santa Veronica; Sant’Andrea adora la Croce del martirio; Il martirio di San Longino; Sant’Elena e il miracolo della vera Croce – che ornano gli altari absidali delle cappelline ipogee sottostanti i piloni che sorreggono la grande cupola del tempio vaticano e custodiscono le quattro reliquie maggiori della basilica218, vennero realizzate dal celebre mosaicista Fabio Cristofari sul modello delle tele eseguite da Andrea Sacchi (Nettuno, 30 novembre 1599-Roma, 21 giugno 1661), nella prima metà del secolo xvii.

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Le pale d’altare originali – dopo un lungo iter che le ha viste esposte nella Sala del Concistoro in Vaticano, nel palazzo del Quirinale (1704-1730), nella Residenza Pontificia di Castel Gandolfo (1924) e nel Museo Pe­triano (1925) – sono conservate, attualmente, nella Sala Capitolare adiacente la sagrestia della basilica di San Pietro. Dai documenti custoditi nell’Archivio della Fabbrica di San Pietro si apprende che nel corso della Congregazione del 22 gennaio 1633, il Poli riferì che era desiderio del papa219 poter celebrare quanto prima sui quattro altari da lui fatti realizzare nelle grotte vaticane e, «pertanto si faccino [sic] dipingere le quattro Pale»220: l’incarico venne affidato ad Andrea Sacchi che infatti, a partire da quell’anno, iniziò a ricevere danaro «a conto dei 4 quadri che fa per li 4 altari sotto le reliquie»221. I pagamenti da parte della Fabbrica si susseguono con regolarità anche nel corso del 1634 e il computista continua, in varie riprese, ad annotare che il pittore riceve denaro «a conto delli 4 quadri c’ha fatto e fa per li 4 altarini sotterranei»222. Il 28 aprile 1649, avendo già da alcuni anni preso a dipingere la prima delle quattro tavole da porsi nelle cappelle sotterranee e non essendosi fatto più vivo, la Congregazione decide di citarlo per la restituzione dei danari ricevuti fino a quel momento223! Il 5 settembre 1650, però, il pittore Andrea Sacchi è nuovamente da «porre in lista per scudi 150 per residuo della quarta icona fatta da lui in ultimo luogo all’Altare sotterraneo di Santa Elena, come altre tre dipinte nello stesso modo furono saldate a ragione di scudi 200»224. Il 7 settembre di quello stesso anno, la Congregazione stabilisce di ultimare i pagamenti a suo favore per i quattro dipinti realizzati per gli altari posti nelle Sacre Grotte Vaticane225 e pertanto, entro la fine del 1650, riceve danaro «per intero pagamento di tutti quattro li quadri che il detto ha depinto sotto le grotte compresoci in detto numero il quadro con l’historia quando Santa Elena trovo la Croce di N. S. sotto a Santa Elena di marmo [...]»226. Di fronte alla sensibile alterazione delle pregevoli pale d’altare dipinte dall’artista laziale, i membri della Congregazione stabilirono che le stesse venissero tradotte in mosaico allo scopo di preservarle dal deterioramento causato dall’umidità del luogo, che perdurava nonostante lo stesso Bernini avesse tentato di risolvere il problema della scarsa salubrità di tali ambienti ipogei, preoccupandosi di ampliarli e dotarli di griglie tali da migliorarne l’aerazione e la luminosità. Il mosaicista Fabio Cristofari venne prescelto per com-

piere la delicata opera di riproduzione, a partire dall’estate del 1682: il 20 agosto di quell’anno, infatti, gli vengono consegnate cinquanta scodelle di legno che do­vranno contenere gli smalti policromi utilizzati per realizzare «li quattro quadri che vanno di mosaico sotto le grotte e li altari delle quattro cappellanie dotate da Papa Urbano viii, sotto le quattro statue»227 e, il giorno 26 il signor «Mugini Girolamo fornisce smeriglio per lustrare li quadri che vanno di mosaico sotto le grotte di San Pietro d’ordine di Nostro Signore Papa Innocenzo undicesimo»228. Fabio Cristofari riceve il primo pagamento per l’opera commissionatagli – insieme agli emolumenti che andava via via riscuotendo per altri importanti impianti musivi che stava realizzando su varie superfici murarie della basilica – nell’ottobre dell’anno 1682: «Il signor Fabio Christofani Pittore ha fatto di lavoro di musaico nelli pilastri del Tamburo, fregio, e zoccolo della Cuppola della Presentazione della beata Vergine in S. Pietro, e quadro che va sotto le grotte circa s. 415 ne ha hauto acconto s. 250 resta havere s. 165 se gli dà acconto»229. Da quel momento una lunga teoria di versamenti a suo favore istoria i libri contabili della Fabbrica di San Pie­ tro. Nell’anno 1683: 27 gennaio, 31 marzo, 9 giugno230, 22 settembre231, ottobre e novembre232; nel 1684: 23 febbraio, aprile, giugno, luglio233, 20 settembre, 22 novembre234; nel

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1685: 21 febbraio, 11 aprile, 11 luglio, 26 settembre, 12 dicembre235; nel 1686: 13 marzo, 15 maggio, 25 settembre, 27 novembre236. I pagamenti a favore del maestro mosaicista vengono registrati, parallelamente, nella «Lista dell’Operarii» per i mesi di: dicembre 1685, gennaio e febbraio 1686237; marzo e aprile 1686238; maggio, giugno e luglio 1686239; dicembre e febbraio 1687240; maggio, giugno e luglio 1687241; giugno e luglio 1688242. Fabio Cristofari attese ininterrottamente e con risultati affatto ragguardevoli all’opera intrapresa, fino al momento della sua morte, che sopravvenne il 27 gennaio dell’an­no 1689: la Fabbrica di San Pietro non mancò di onorare i contratti stipulati in precedenza con l’artista, con versamenti in danaro a vantaggio dei suoi eredi, in tre diverse tranches, il 27 luglio 1689243, il 26 settembre 1691244 e, in via affatto definitiva, il 14 marzo 1714245. Un interessante documento d’archivio del 1691 riporta un singolare «Bilancio del Signore Fabio Christofani Pittore per li musaici fatti per servitio della Reverenda fabrica di San Pietro. Dalli 18 febraro 1682 a tutto dicembre 1688» in cui vengono elencate, con estrema dovizia di particolari, sia le opere eseguite sia i pagamenti ricevuti dall’artista, restituendo l’esatta diacronia dei suoi mosaici nelle grotte vaticane: «[...] Il lavoro fatto dal medesimo nelli quattro quadri sotto le grotte cioè il Quadro del Christo [Santa Veronica] fatto rotare e lustrare a spese del signore Christofani importano s. 400. Due altri quadri, cioè il S. Andrea e S. Longino che sono poi stati fatti rotare, e lustrare a spese della Reverenda fabrica [...]. Il Quadro della S. Elena, del quale n’è fatto tre quarti, e l’altro quarto remasto imperfetto per quantità e fatto im­portano s. 225. [...]»246. Le opere di Andrea Sacchi, magistralmente rese in mosaico da Fabio Cristofari, si impongono per l’armonica distribuzione delle parti che le compongono, soprattutto in considerazione degli spazi affatto ridotti quali sono quelli delle superfici murarie sovrastanti gli altari delle cappelline nelle grotte vaticane. Le scene descritte, pur nelle loro precipue peculiarità, presentano tutte una intensa carica emotiva, derivante sia dalla drammaticità delle vicende descritte sia dall’elevatissimo pathos mistico emanato. Le sacre rappresentazioni sono tutte inscritte in suggestivi scenari naturali, che vengono liricamente chiamati a partecipare all’evento descritto, sostenendo, evidenziando e soprattutto trasmettendo al pio osservatore la giusta at-

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San Pietro in Vaticano 266. Grotte vaticane, cappella di Santa Veronica, Cristo «porta Croce» e Santa Veronica.

mosfera spirituale ed emozionale nella quale collocare l’episodio contemplato. Tutte le pose, siano esse ieratiche o marcatamente dinamiche, in cui vengono ritratti i personaggi, che a vario titolo popolano le scene rappresentate, sono affatto naturali: in accordo con il dettato tridentino (Decretum de invocatione, veneratione, et reliquiis Sancto rum et sa­cris imaginibus) da esse traspare chiarezza, verità, aderenza alle Scritture. Come in una sorta di rinnovata Biblia pauperum, il criterio della piena e immediata leggibilità e del massimo decoro formale si impone quale caratteristica imprescindibile, che si traduce in descrizioni classicamente composte che, solo a tratti, riverberano una moderata eco della più raffinata temperie barocca, che informava il primo scorcio del xvii secolo.

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Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro 267. Grotte vaticane, cappella di Sant’Andrea, Sant’Andrea adora la Croce del martirio.

San Józef Bilczewski Grotte, cappella di Nostra Signora di Czestochowa (cappella Polacca) Nato il 26 aprile 1860 a Wilamowice, presso Kȩty, nella odierna diocesi di Bielsko-<ywiec, venne ordinato sacerdote il 6 luglio 1884 a Cracovia e, nel 1886 conseguì il dottorato in teologia all’Università di Vienna. Dopo un ciclo di studi a Roma e a Parigi, nel 1891 Józef Bilczewski divenne professore di teologia dogmatica all’Università Giovanni Casimiro di Leopoli, di cui fu anche rettore. Come professore fu molto apprezzato dagli studenti e godette della stima e dell’amicizia dei colleghi. Le sue straordinarie capacità intellettuali e umane vennero notate dall’imperatore d’Austria, Francesco Giuseppe, che lo indicò come candidato alla sede metropo-

268. Grotte vaticane, cappella di San Longino, Il martirio di San Longino.

litana di Leopoli. Papa Leone xiii, Gioacchino Pecci (18781903), accolse positivamente la proposta e, il 17 dicembre 1900, nominò il quarantenne mons. Józef Bilczewski, arcivescovo di Leopoli dei Latini. La complessa situazione sociale, economica, etnica e religiosa rese impegnativa la cura della grande diocesi e richiese al pastore una cospicua forza morale, una fede vigorosa e una grande fiducia in Dio. Monsignor Bilczewski si distinse per bontà, comprensione, umiltà, pietà, laboriosità e zelo pastorale, che scaturivano dal suo immenso amore per Dio e per il prossimo: prendendo possesso dell’arcidiocesi di Leopoli indicò molto chiaramente il suo programma pastorale: «Sacrificarsi totalmente per la santa Chiesa». Nelle lettere pastorali e negli appelli indirizzati ai sacerdoti e ai fedeli dell’arcidiocesi unitamente ai problemi di fede e morale trat-

269. Grotte vaticane, cappella di Sant’Elena, Sant’Elena e il miracolo della vera Croce.

tava le questioni più attuali in campo sociale. Si preoccupava di coltivare numerose e sante vocazioni sacerdotali, e dedicò molta cura anche alla preparazione dei bambini alla piena partecipazione alla santa messa. Promosse la costruzione di chiese, cappelle, scuole e asili; sviluppò l’inse­gnamento per far crescere l’i­struzione dei fedeli. La sua vita santa, scandita da preghiera, lavoro e opere di misericordia, gli procurò apprezzamento e rispetto da parte di tutte le confessioni, riti e nazionalità presenti nell’arcidiocesi: fu un infaticabile propugnatore di unità, pace e concordia, e sotto la sua guida pastorale non sorsero conflitti nazionalistici o religiosi. Nelle questioni sociali fu sempre dalla parte del popolo e dei poveri, sostenendo che il fondamento della vita sociale deve essere la giustizia perfezionata dall’amore cristiano.

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San Pietro in Vaticano

Martiri e Santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro

270. e 271. Grotte Vaticane, Cappella Polacca, San Józeph Bilczewski e, a fronte, San Józeph Sebastian Pelçzar.

Durante la Prima guerra mondiale, quando gli animi erano invasi dall’odio, predicava l’amore infinito di Dio, capace di perdono di ogni sorta di peccato e di offesa. La sua vasta e lungimirante azione pastorale si concluse con la morte, il 20 marzo 1923: secondo la sua volontà fu sepolto nel cimitero di Janów, “il cimitero dei poveri”, a Leopoli, desiderando riposare fra coloro per i quali era sempre stato padre e protettore.

Il 17 dicembre 1997 il Beato Giovanni Paolo ii, Karol Wojtyla (1978-2005) dichiarò l’eroicità delle virtù dell’arcivescovo Józef Bilczewski. Nel mese di giugno 2001 venne riconosciuta, dalla Congregazione delle Cause dei Santi, come miracolosa, la rapida, duratura e inspiegabile «quoad modum» guarigione di Marcin Gawlik, ragazzo di 9 anni, da ustioni molto gravi, ottenuta da Dio per l’intercessione dell’arcivescovo Bilczewski. Si apriva in tal modo la via per la beatificazione, che ebbe luogo il 26 giugno 2001, nella stessa Leopoli, durante la visita apostolica in Ucraina del Beato Giovanni Paolo ii. Il successore Benedetto xvi lo ha canonizzato nel corso della solenne cappella papale celebrata in piazza San Pietro, la domenica 23 ottobre 2005, Giornata Missionaria Mondiale, a conclusione dell’xi Assemblea Generale Or­dinaria del Sinodo dei Vescovi e dell’Anno dell’Eucaristia. Il realistico mosaico a figura intera247 del Santo arcivescovo di Lviv dei Latini è stato realizzato dal 16 marzo al 1° giugno dell’anno 2007, sotto la guida del dottor Paolo Di Buono248, dai mosaicisti Claudiu Ungureanu, Nicoletta Marino ed Emanuela Rocchi, dello Studio del Mosaico della Fabbrica di San Pietro, secondo la tecnica classica degli smalti tagliati e filati, applicati con stucco oleoso su cassina metallica. Il giovedì 27 settembre 2007, sua eminenza il signor card. Marian Jaworski, arcivescovo di Lviv dei Latini – devoto committente del raffinato quadro musivo – al termine di una solenne celebrazione eucaristica, da egli stesso presieduta all’altare della tomba di San Pietro, nelle grotte vaticane, ha benedetto alla presenza di alcuni presuli e di numerosi pellegrini provenienti dall’Ucraina il mosaico raffigurante San Józef Bilczewski, collocato sulla parete occidentale – di destra – della cappella Polacca, nelle grotte vaticane.

San Józeph Sebastian Pelçzar Grotte, cappella di Nostra Signora di Czestochowa (cappella Polacca) Nato il 17 gennaio 1842 a Korczyna – un piccolo paese ai piedi dei monti Carpazi – crebbe in un’atmosfera permeata dall’antica religiosità polacca. Ancora studente ginnasiale, Giuseppe Sebastiano prese la decisione di dedicarsi al servizio di Dio; scrisse nel suo diario: «Gli ideali terreni impallidiscono, l’ideale della vita lo vedo nel sacrificio e l’ideale del sacrificio lo vedo nel sacerdozio».

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Ordinato sacerdote il 17 luglio 1864, nel biennio 18661868 studiò a Roma contemporaneamente nel Collegium Romanum (oggi Università Gregoriana) e nell’Istituto di Sant’Apollinare (oggi Università Lateranense), acquisendo una profonda cultura e sviluppando un solido amore per la Chiesa e il papa. Per oltre un ventennio fu docente dell’Università Jaghellonica di Cracovia; come professore e preside della Facoltà di Teologia si guadagnò fama di uomo illuminato, ottimo insegnante, organizzatore e amico dei giovani: segno di apprezzamento della comunità accademica fu la sua nomina a rettore della Almae Matris di Cracovia (18821883). Oltre al lavoro scientifico don Pelçzar si dedicò con passione ad attività sociali e caritatevoli; fu membro attivo della Società di San Vincenzo de’ Paoli e della Società dell’Educazione Popolare, di cui fu preside per sedici anni promuovendo biblioteche, corsi gratuiti, distribuzioni di libri e l’apertura di una scuola per le persone di servizio. Nel 1891 fondò la Confraternita della San­tissima Maria Vergine Regina della Polonia – con lo scopo di promuovere la fede e l’aiuto agli artigiani, ai poveri, agli orfani, ai servi malati e ai disoccupati – e nel 1894, a Cracovia, eresse la Congregazione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, desiderando che le suore della nuova congregazione diventassero segno e strumento di tale amore verso le ragazze bisognose, i malati e quanti avessero bisogno di aiuto. Nominato vescovo ausiliare di Przemyvl nel 1899, per ben venticinque anni fu pastore zelante della diocesi: nonostante le condizioni di salute non buone visitava spesso le parrocchie, si prodigava per accrescere il livello morale e intellettuale del clero. Ardente adoratore del SS. Sacramento, invitava i fedeli ad accostarsi assiduamente all’Eucaristia. Mostrò particolare cura verso i più indigenti: giardini d’infanzia, mense per i poveri, ricoveri per i senza tetto, scuole d’avviamento professionale per le ragazze, insegnamento gratuito nei Seminari per i ragazzi bisognosi sono soltanto alcune delle opere nate grazie alle sue iniziative. Ebbe molto a cuore la condizione degli operai, i problemi dell’emigrazione e quelli dell’alcolismo. Nelle lettere pastorali, negli articoli pubblicati e in altri numerosi interventi, indicava sempre la necessità di attenersi fedelmente all’insegnamento sociale del papa Leone xiii. Giuseppe Sebastiano Pelçzar morì nella notte tra il 27 e il 28 marzo del 1924 lasciando il ricordo di un uomo di Dio sempre aperto alla volontà del Signore.

Il 2 giugno del 1991, durante il suo quarto pellegrinaggio in patria, il Beato Giovanni Paolo ii, Karol Wojtyla (19782005) ha proclamato Beato il vescovo Giuseppe Seba­stiano Pelçzar, successivamente canonizzato nel corso di una solenne cappella papale in piazza San Pietro, il 18 maggio 2003, v domenica di Pasqua, rito al quale, il giorno successivo, fece seguito la celebrazione in piazza San Pietro della Santa Mes-

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San Pietro in Vaticano

sa di Ringraziamento presieduta da sua eminenza il signor card. Józef Glemp, arcivescovo di Varsavia, alla presenza di oltre undicimila pellegrini. Fortemente voluto dalle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù – congregazione della quale il Santo fu fondatore, e le cui religiose hanno svolto con premurosa dedizione il loro prezioso servizio presso l’Appartamento Pontificio durante il pontificato del Beato Giovanni Paolo ii – il realistico mosaico a figura intera249 del santo vescovo di Przemyvl è stato realizzato dal 2 febbraio al 17 marzo dell’anno 2006, sotto la guida del dottor Paolo Di Buono, dai mosaicisti Cesare

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Bella, Claudiu Ungureanu ed Ema­nuela Rocchi dello Studio del Mosaico, secondo la tecnica classica degli smalti tagliati e filati, applicati con stucco oleoso su cassina metallica. Il mercoledì 25 ottobre 2006, dopo una solenne celebrazione eucaristica presieduta all’altare della tomba di San Pietro, nelle grotte vaticane, sua eminenza il signor card. Stanislaw Dziwisz, Arcivescovo di Cracovia, ha benedetto, alla presenza di numerose suore della Congregazione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, il mosaico raffigurante San Giuseppe Sebastiano Pelçzar, collocato sulla parete orientale, di sinistra, della cap­pella Polacca, nelle grotte vaticane.


Pittori e mosaicisti alla Fabbrica di San Pietro in Vaticano dal xvi al xxi secolo Assunta Di Sante

L’elenco raccoglie i nomi dei pittori e mosaicisti che in più di cinque secoli hanno contribuito a decorare la basilica di San Pietro in Vaticano e a dar gloria allo Studio del Mosaico. I nomi e gli anni di attività sono stati individuati attraverso lo spoglio della documentazione e degli strumenti di corredo prodotti dalla Fabbrica di San Pietro e custoditi presso il suo Archivio Storico. La tipologia delle fonti consultate è varia: principalmente si è tenuto conto dei Registri di spesa, delle Liste mestrue e giustificazioni e, per il xix secolo, dei Protocolli: documenti che riportano minuziosamente le uscite della Fabbrica con l’indicazione dei modi, tempi e costi di esecuzione dei lavori. Strumento prezioso è anche la raccolta dei decreti della Congregazione della Fabbrica (Summa decretorum) realizzata a fine Ottocento dall’archivista Giuseppe Fortini. Indispensabile inoltre lo Schedario Cipriani, un repertorio alfabetico di oltre 20.000 schede, che ha il grande merito di individuare un livello descrittivo molto analitico della documentazione, in particolar modo dei faldoni miscellanei. Utile, soprattutto per il xx secolo, è infine l’Inventario dello Studio del Mosaico Vaticano redatto da suor Teresa Todaro. Il nome dell’artista è seguito dall’indicazione del ruolo che ha svolto presso la Fabbrica di San Pietro (pittore, mosaicista, direttore dello Studio del Mosaico, ispettore dello Studio del Mosaico, ecc.)1. Il range cronologico indica il periodo di attività documentata: la prima indicazione temporale risale il più delle volte al pagamento iniziale effettuato dalla Fabbrica e potrebbe essere quindi successiva all’effettiva presa in carico del lavoro. Dalle suppliche degli artisti (richieste autografe inviate ai ministri della Fabbrica per richiedere un aumento di retribuzione o un sussidio vitalizio, in genere scritte dopo molti anni di lavoro) emerge infatti che gli anni di attività sono in genere maggiori rispetto a quelli desunti dalle liste ufficiali di pagamento: questo si può forse spiegare anche con il fatto che i primi anni di servizio erano di apprendistato e non retribuiti. La forma del nome, infine, laddove è difficile identificare l’artista nei repertori di settore, è quella maggiormente attestata nei documenti consultati.

Abbatini Guidubaldo, pittore, 1630-1656 Adami Pietro, mosaicista, 1715-1728 Adriani Giovanni Battista, mosaicista, 1816 Agricola Alessandro, mosaicista, 1856-1888 Agricola Filippo, pittore e direttore dello Studio del Mosaico, 1839-1857 (nel 1844 viene nominato «direttore dello Studio del Mosaico») Agricola Luigi, pittore, 1810 Aguatti Antonio, mosaicista, 1828-1848 Albani Francesco, pittore, 1627 Albertoni Paolo, pittore, 1695-1699 Aldovrandini Pompeo, pittore, 1722-1725 Alfani Emanuele, pittore, 1726-1731 Allegretti Flaminio, pittore, 1628 Ambrosi Sacconi Valentina, mosaicista, attiva dal 2007 Angelelli Nicola, mosaicista, 1812-1818 Angelici Mellito, mosaicista, 1853-1855 Angelo da Orvieto, mosaicista, 1634 Angeloni Giovanni, pittore, 1760-1770 Angeloni Stefano, pittore, 1785-1839 Angeloni Vincenzo, pittore, 1781-1815 Anselmi Odoardo, mosaicista, 1954-1980 Anselmi Roberto, mosaicista, 1953-1980 Aretino Andrea, soprastante del mosaico, 1601-1608 Ascanio romano, mosaicista, 1578 Baglione Giovanni, pittore, 1604-1631, cit. 1636

Bagnoli Pompeo (o Domenico), pittore, 1622 Barberi Domizio, mosaicista, 1848-1894 Barbieri Giovanni Francesco, detto il Guercino, pittore, 1621-1623 Bartoli Cosimo, pittore, 1628 Bartolini Domenico, mosaicista, 1850 Barzotti Biagio, mosaicista, 1867-1894 Batoni Pompeo, pittore, 1746-1769 Battaglia Pompeo, mosaicista, 1857 Bella Cesare, mosaicista, attivo dal 1990 Belliomini Giuseppe, mosaicista, 1814 Bencivenga Francesco, direttore dello Studio del Mosaico, 1948-1951 Benedetto da Parma, pittore, 1513 Benefial Marco, pittore, 1722 Beretta Francesco, pittore, 1628 Bernascone Cinzio, pittore, 1622 Bernascone Pietro Paolo, monizioniere del mosaico, 1603-1625 Berrettini Pietro, pittore, 1627-1668 Biagetti Biagio, direttore dello Studio del Mosaico, 1931-1936 (la nomina a direttore risale al 10 luglio 1931) Bianchi Pietro, pittore, 1733-1740, cit. 1741 Bindi Giuliano, pittore, 1720 Boccanera Filippo, custode dello Studio, 1868-1873 Bombelli Filippo, pittore, 1823-1838 Bompiani Roberto, pittore, 1848-1849 Bonet Luigi, pittore, 1735-1738

Bornia Pietro, mosaicista, 1849-1901 Borti Costantino, pittore, 1773-1777 Bosco Marcantonio, pittore, 1590-1596 Bovio Agostino, mosaicista, 1609-1612 Bresciano Giacomo, mosaicista, 1601-1609 Brughi Giovanni Battista, mosaicista, 17251731 Bucci Giovanni Battista, pittore, 1612 Buonaguro Valentino, mosaicista, 1953-2010 Calandra Giovanni Battista, mosaicista e soprastante del mosaico, 1622-1644 (la nomina a «soprastante delle opere di mosaico» risale al 12 novembre 1629) Caldani Ernesto, mosaicista, 1867-1870 Camasci Andrea, pittore, 1630-1635 Campanili Federico, mosaicista, 1860-1910 Campanili Licinio, mosaicista, 1883-1922 Campanili Luigi, mosaicista, ?-1917 Campiglia Giovanni Domenico, pittore, 17181742, cit. 1751 Camuccini Vincenzo, pittore e direttore dello Studio del Mosaico, 1804-1844 (la nomina a «soprintendente ai lavori di mosaico nello Studio Vaticano» risale al 12 marzo 1804) Canino Giovanni Angelo, pittore, 1647 Capri Raffaele, pittore, 1848-1849 Cardi Ludovico detto il Cigoli, pittore, 16041613 Cardoni Pietro, mosaicista, 1735-1746

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Carlini Filippo, mosaicista, 1775-1789 Carnesecchi Luigi, mosaicista, 1953-1971 Caroselli Angelo, pittore, 1626-1632 Cassio Giuseppe, mosaicista, 1920-? Cassio Lorenzo, mosaicista e direttore dello Studio, 1903-1956 Cassio Virgilio, mosaicista e direttore dello Studio del Mosaico, 1930-1990 (la nomina a «direttore tecnico dello Studio» risale al 1962, quella a «direttore artistico dello Studio» al 14 dicembre 1985) Castellini Antonio, mosaicista, 1771-1823 Castellini Cesare, mosaicista, 1846-1867 Castellini Giuseppe, mosaicista, 1760-1805 Castellini Raffaele, mosaicista, 1812-1865 Castellini Vincenzo, mosaicista, 1762-1811 Castello Bernardo, pittore, 1604-1629 Cavallucci Antonio, pittore, 1783-1784 Celio Gaspare, pittore, 1624-1638 Cerasoli Domenico, mosaicista, 1758-1818 Ceretta Alberto, mosaicista, 1955-1972 Cerrini Domenico, pittore, 1644 Cervi Domenico, pittore, 1776 Cesari Giuseppe, detto il Cavalier d’Arpino, pittore, 1603-1629 Chatelain Antonio, pittore, 1849 Chiari Giuseppe Bartolomeo, pittore, 17081727 Chiaserotti Luigi, mosaicista, 1903-1930 Chibel Bartolomeo, mosaicista, 1817-1850 Chibel Felice, mosaicista, 1832 Chibel Guglielmo, mosaicista, 1814-1851 Ciampelli Agostino, pittore, 1625-1630 Ciarpa Baccio, pittore, 1628 Civolaro (o Ciccolaro) Giovanni, mosaicista, 1578 Clori Prospero, mosaicista, 1721-1739 Cocchi Alessandro, mosaicista, 1722-1779 Cocchi Filippo, mosaicista, 1696-1720 Cocchi Filippo, junior, mosaicista, 1762-1818 Cocchi Nicola, mosaicista, 1798-1810 Cocchi Raffaele, mosaicista, 1812-1858 Cocchi Vincenzo, mosaicista, 1771-1833 Colombo Bartolomeo, mosaicista, 1661-1662 Conca Sebastiano, pittore, 1725-1726 Consoni Nicola, direttore dello Studio del Mosaico, 1863-1884 (il 21 gennaio 1863 viene nominato «coadiutore con diritto di successione al direttore dello Studio Tommaso Minardi», la nomina a direttore risale al 1870) Conti Giuseppe Michele, mosaicista, 16891725 Cordieri Enrico Scipione, pittore, 1727-1738 Costanzi Placido, pittore, 1735-1758 Cresti Domenico detto il Passignano, pittore, 1602-1627 Cristofari Fabio, mosaicista, 1657-1691 Cristofari Pietro Paolo, mosaicista e «soprintendente del mosaico», 1711-1743 (la nomina a «soprintendente a tutte le opere pittoriche e musive della Fabbrica di San Pietro» risale al 9 luglio 1727) D’Ambrosio Fabrizio, mosaicista, 1846-1875 de Angelis Antonio, mosaicista, 1814-1816 de Angelis Domenico, pittore e direttore dello Studio del Mosaico, 1788-1804 (la nomina a «soprintendente ai lavori di mosaico nello Studio» risale all’8 gennaio 1795) de Angelis Gioacchino, mosaicista, 1850-1887

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de Leliis Silverio, mosaicista e fabbricante di smalti, 1735-1740 Dell’Oro Pasquino, mosaicista e fornitore, 1578, 1606-1609 de Rossi Mattia, mosaicista, 1719-1725 de Rossi Tommaso, mosaicista, 1704-1713 de’ Vecchi Giovanni, pittore e mosaicista, 1598-1599 de Vecchis Giovanni, mosaicista, 1848-1855 de Vecchis Nicola, mosaicista, 1796-1833 de Vecchis Pietro, mosaicista, 1838-1879 Del Pozzo Leopoldo, mosaicista, 1715-1718 Depoletti Francesco, mosaicista e fabbricante di smalti, 1820 Di Buono Paolo, mosaicista e responsabile dello Studio del Mosaico, attivo dal 1998, (responsabile dal 2004) Dionoro romano, mosaicista, 1578 Domenico da Anguillara, mosaicista, 1578 Donato da Arezzo, mosaicista, 1578 Donini Tomasso, pittore, 1630 Durantini Luigi, pittore e ispettore dello Studio del Mosaico, 1829-1848 (la nomina a «ispettore dello Studio del Mosaico» risale al 25 febbraio 1840) Durantini Pietro, pittore, 1823-1832

Giannini Eradio, mosaicista, 1846-1855 Giovanni Battista da Casteldurante, mosaicista, 1578 Giovanni Battista da Viterbo, mosaicista, 1578 Giovanni Battista della Marca, mosaicista, 1578 Giovanni da San Giovannino, pittore, 16261627 Giovanni da Udine, pittore, 1530-1532 Giovanni del Ciabattino, mosaicista, 1533 Giovanni Francesco da Viterbo, pittore, 1635 Giusti Alessandro, mosaicista, attivo dal 2002 Gossoni (o Bussoni) Giovanni Domenico, mosaicista, 1716-1762 Gramiccia Lorenzo, pittore, 1721-1722 Grandi Carlo, mosaicista, 1760 Grandi Francesco, pittore e direttore dello Studio del Mosaico, 1857-1891 (la nomina a «direttore dello Studio del mosaico» risale al 14 gennaio 1885) Grieco Roberto, mosaicista, 1978-2004 Grondona Virginio Maria, pittore, 1793-1800 Grossi Gregorio, pittore, 1631 Guerra Giovanni, pittore, 1593-1607 Guidotti Paolo, pittore, 1627-1629

Minardi Tommaso, pittore e direttore dello Studio del Mosaico, 1858-1868 (la nomina a «direttore dello Studio del Mosaico» risale al 4 gennaio 1858) Minù Giovanni, mosaicista, 1822 Moglia Augusto, mosaicista, 1874-1917 Monosilio Ludovico, pittore, 1816-1821 Monosilio Salvatore, pittore e direttore dello Studio del Mosaico, 1750-1776 (la nomina a «soprintendente ai lavori di mosaico» risale al marzo 1755) Montani Giuseppe, pittore, 1689-1719 Monticelli Evandro, mosaicista, 1894-1927 Monticelli Tullio, mosaicista, 1920 Morelli Giuseppe, mosaicista, 1818 Moretti Mattia, pittore, 1720-1753 Moroni Giuseppe, pittore, 1837-1855 Muccetti Aldo, mosaicista, 1955-1958 Muccioli Carlo, direttore dello Studio del Mosaico, 1920-1931 (la nomina a direttore dello Studio del Mosaico risale all’aprile 1920) Muziano Girolamo, pittore, non attestata la sua presenza nei registri di conti della Fabbrica Muzio Felice, mosaicista, 1852-1880

Haldovera Simone, pittore, 1760

Enuò Enrico, mosaicista, 1722-1756 Ercolano Giovanni, mosaicista, 1610-1644

Koeck Francesco, pittore, mosaicista e ispettore dello Studio del Mosaico, 1825-1860 (la nomina a «ispettore dello Studio» risale al 1830) Koeck Michael, pittore e ispettore dello Studio, 1814-1825

Nappi Francesco, mosaicista, 1601-1602 Narduzzi Dario, mosaicista e direttore tecnico dello Studio del Mosaico, 1956-2003 (direttore dal 1990) Nasini Giuseppe Nicola, pittore, 1716-1719 Nebbia Cesare, pittore e mosaicista, 1593-1628 Nobili Salvatore, pittore e direttore dello Studio del Mosaico, 1886-1922 (la nomina a direttore dello Studio risale al 1906)

Farfallini Ventura, pittore, 1605-1606 Fattori Liborio, mosaicista, 1724-1777 Fedi Filippo, mosaicista, 1834 Ferrazzi Ferruccio, direttore artistico dello Studio del Mosaico, 1969-1973 Ferri Ciro, pittore, 1670-1689 Ferriolo Nicola, pittore, 1647 Fiani Giovanni Francesco, mosaicista, 17221780 Fiani Giovanni Battista, mosaicista, 1770-1814 Finos Giuseppe, mosaicista, 1958-1959 Forte Nello, mosaicista, 1962-1963 Franceschini Marcantonio, pittore, 1709-1719 Francesco da Settignano, mosaicista, 1578 Francesco da Amelia, mosaicista, 1578 Franciosi Vincenzo, mosaicista, 1815-1818 Galdani Ernesto, mosaicista, 1867 Galise Adriano, mosaicista, attivo dal 1994 Galli Giovanni Antonio detto Lo Spadarino, pittore, 1626-1649 Gamba Paolo, pittore, 1697-1698 Gapei Giovanni, mosaicista, 1578 Gavardini Carlo, pittore, 1849 Garelli Carlo, mosaicista, 1815-1816 Gaudenzi Pietro, direttore dello Studio, 19511955 Gaudi Giovanni, custode e munizioniere della fabbrica di smalti, 1853-1889 Gaulli Giovanni Battista detto il Baciccio, pittore, 1708-1709 Gemignani Giacinto, pittore, 1661 Gentileschi Orazio, pittore, 1601-1619 Ghezzi Pier Leone, pittore e soprintendente ai lavori di mosaico, 1731-1755 (la nomina a «soprintendente ai lavori di mosaico» risale al 18 febbraio 1743) Ghirotti Claudio, mosaicista, 1961-1963 Gianfredi Luigi, mosaicista, 1913 Gianmaria da Gubbio, mosaicista, 1578

Labus Antonio, mosaicista, 1931 Lamberti Bonaventura, pittore, 1717-1721 Lanfranco Giovanni, pittore, 1619-1632 Lapiccola Nicola, pittore, 1768-1779 Lattanzio da Crema, mosaicista, 1578 Leto Nicola, mosaicista, 1979 Lombardi Gregorio, pittore, 1631 Lucatelli Vincenzo, mosaicista, 1817-1818 Lucci Aldo, mosaicista, 1956-1959 Lucietto Ludovico, mosaicista, 1893-1934 Maldura Costanzo, mosaicista, 1853-1852 Malusardi Spiridione, mosaicista, 1848-1892 Mancini Francesco, pittore, 1744-1749 Manenti Orazio, mosaicista e fabbricante di smalti, 1656-1675 Mannozzi Giovanni, pittore, 1626 Maratta Carlo, pittore, 1670-1713 Marcelloni Valerio, mosaicista, 1961-1994 Marco veneziano, pittore, 1531-1532 Marini Filippo, mosaicista, 1815-1818 Marino Nicoletta, mosaicista, attiva dal 1998 Martinelli Francesco, mosaicista, 1609 Martinelli Lodovico, mosaicista, 1599-1609 Marullo Michelangelo, pittore, 1670 Masucci Agostino, pittore, 1735-1744 Mattia Antonio, mosaicista, 1815-1822 Mattiacci Gabriele, mosaicista, attivo dal 2003 Mazzolini Ermenegildo, mosaicista, 1815-1818 Mazzoni Achille, pittore, 1848-1849 Mazzoni Pietro, pittore, 1725 Mendruzzi Bartolomeo, pittore, 1630 Meres Pietro, arrotatore di mosaici, 1833-1834 Michelini Domenico, pittore, 1718-1754 Miglioretti Paolo, custode dello Studio, 18731882

Oddi Alfredo, mosaicista, 1932-1934 Olivieri Giovanni Battista, pittore restauratore, 1750-1753 Onofri Nicola, mosaicista, 1737-1749, cit. 1756 Orazio romano, mosaicista, 1578 Orsi Prospero, mosaicista, 1601-1602 Ottaviani Giuseppe, mosaicista, 1715-1765 Pagani Matteo, pittore, 1612 Palazzetti Filippo, pittore, 1742 Paleat Guglielmo, mosaicista, 1744-1768 Pallini Cesare, mosaicista, 1903 Pallini Innocenzo, mosaicista, 1878-1915 Papi Angelo, pittore, 1773-1777 Paraccini Giacomo, custode dello Studio del Mosaico, 1846-1856 Parasole Rosato, mosaicista, 1598-1612 Parigi Donato, mosaicista, 1601-1612 Parsi Fabrizio, mosaicista, 1953-1974 Passeri Giuseppe, pittore, 1709-1711 Passerini Stefano, mosaicista, 1578 Patiente Ascanio, mosaicista, 1607-1608 Pellegrini Carlo, pittore, 1630-1640 Pennacchini Domenico, mosaicista, 1813-1827 Pennacchini Gaetano, mosaicista, 1847-1877 Perusca Giovanni Antonio, mosaicista, 1578 Peters Antonio, mosaicista, 1817-1818 Piccioni Matteo, mosaicista, 1653-1669 Pietro da Città di Castello, mosaicista, 1578 Pirolli Carla, mosaicista, attiva dal 1998 Pitorri Vincenzo, pittore, 1795-1796 Pizzola Paolo, pittore, 1848-1849 Poggesi Angelo, mosaicista, 1849-1886 Polverelli Pietro, mosaicista, 1756-1801 Pomarancio Antonio, pittore, 1619-1629

Pomodoro Pietro, fornitore e mosaicista, 1605-1629 Pompeo da Campo di Lago, mosaicista, 1578 Ponfreni Giovanni Battista, direttore dello Studio del Mosaico, 1776-1794 (la nomina a «soprintendente ai lavori di mosaico» risale al 1 novembre 1776) Poussin Nicolas, pittore, 1628-1632 Pozzi Giuseppe, pittore, 1756-1762 Pozzi Stefano, pittore, 1756-1767 Procaccini Andrea, pittore, 1710-1711 Provenzale Marcello, mosaicista, 1600-1622 Puglieschi Filippo, mosaicista, 1815-1818 Purificati Giulio, mosaicista, 1953-1970 Puti (o Putti) Ascanio, pittore, 1631 Quadrini Angelo, pittore, 1834-1844 Raddi Giulio, pittore, 1634 Raffaello veronese, mosaicista, 1578 Rasina Pietro, pittore, 1702-1709 Ratta Filippo, mosaicista, 1812-1816 Regoli Bernardino, mosaicista, 1715-1780 Regoli Giuseppe, mosaicista 1773-1804 Reni Guido, pittore, 1626-1628 Renzi Vincenzo, mosaicista, 1953-1972 Ricci Giovanni Battista, pittore, 1608-1627 Ricciolini Nicola, pittore, 1718-1736 Ridolfi Mariano, pittore, 1754-1757 Rinaldi Costantino, mosaicista, 1853-1854 Roccheggiani Antonio, mosaicista, 1856-1866 Roccheggiani Cesare, mosaicista, 1859 Roccheggiani Lorenzo, mosaicista, 1770-1809 Roccheggiani Nicola, mosaicista, 1799-1834 Rocchi Emanuela, mosaicista, attiva dal 2003 Romanelli Giovanni Francesco, pittore, 16351644 Roncalli Carlo, pittore, custode, conservatore, e restauratore dei quadri della Basilica di San Pietro, 1715-1736 Roncalli Cristoforo detto il Pomarancio, pittore, 1599-1622 Rosati Panvini Costantino, mosaicista, 18691873 Rossetti Cesare, mosaicista, 1609-1611 Rossetti Paolo, mosaicista, 1598-1612 Rossi Stanislao, mosaicista, 1894-1895 Rostagni Giovanni Battista, mosaicista, 17281729 Rovello Giovanni, mosaicista, 1533 Rubicondi Luigi, mosaicista, 1849 Sacchi Andrea, pittore, 1625-1650 Salandri Carlo, mosaicista, 1856 Sartori Luigi, mosaicista, 1885 Saulini Antonio, mosaicista, 1851-1854 Secchi Giovanni, mosaicista, 1955-1980 Secchi Silvio, mosaicista, 1953-1986 Sellini Romolo, mosaicista, 1917-1954 Semprevivo Ranuccio, mosaicista, 1600-1612 Senepa Vincenzo, mosaicista, 1854-1855 Seno Carlo, mosaicista, 1817-1836 Seno Vincenzo, custode dello Studio del Mosaico, 1795-1848 Silvestri Giuseppe, pittore, 1756-1758 Simonetti Carlo, mosaicista, 1901-1930 Sozzi Marcello, pittore, 1852-1855 Spagna Pietro, mosaicista, 1678-1679 Spallucci Camillo, mosaicista, 1578, 1601 Speranza Giovanni Battista, pittore, 1631

Stella Vincenzo, mosaicista, 1601-1602 Stern Ludovico, pittore, 1740-1742 Strada Cepione, mosaicista, 1578 Subleyras Pierre, pittore, 1743-1747 Tani Luigi, custode dello Studio del Mosaico, 1867 Teibaker Luigi, mosaicista, 1794 Tempesta Antonio, pittore, 1612 Tiberio romano, mosaicista, 1578 Tognoni Bartolomeo, pittore, 1631 Toietti Domenico, pittore, 1848-1849 Tomberli Bartolomeo, mosaicista, 1768-1830, cit. 1835 Tomberli Vincenzo, mosaicista, 1811-1812 Torelli Cesare, mosaicista, 1601-1612 Tornioli Niccolò, pittore, 1647-1650 Torriani Francesco, pittore, 1609 Trémolières Pierre Charles, pittore, 1734 Trevisani Francesco, pittore, 1711-1745 Tronchet (o Troncè) Giuseppe, custode dello Studio del Mosaico, 1858-1865 Ubizi Giovanni, mosaicista, 1848-1890 Ungureanu Claudiu Ioan, mosaicista, attivo dal 2004 Valentin de Boulogne, pittore, 1629-1630 Vangelini Benigno, pittore, 1605-1633 Vanni Francesco, pittore, 1602-1606 Vanni Michelangelo, pittore, 1644-1663 Vanni Raffaele, pittore, 1658-1664 Vannutelli Ettore, mosaicista, 1851-1900 Vanvitelli Luigi, pittore, 1723-1736 Vassalli Costantino, mosaicista, 1815-1818 Villari Pier Luigi, mosaicista, attivo dal 2008 Vincenzo romano, mosaicista, 1578 Vinciotti Sandro, mosaicista, 1959-1962 Volpini Andrea, mosaicista, 1756-1814 Volpini Michele (o Michelangelo), mosaicista, 1787-1844 Volponi Gherardo, mosaicista, 1812-1869 Vouet Simon, pittore, 1624-1627 Willaume Giuseppe, mosaicista, 1814-1818 Zampieri Domenico detto Domenichino, pittore, 1625-1643 Zecchini Angelo, pittore, 1845-1858 Zoboli Giacomo, pittore, 1742-1748 Zucchi Francesco, mosaicista, 1600-1612

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In questa sede si è scelto di inserire, nel caso in cui è stata rintracciata nella documentazione, la data di nomina dei direttori dello Studio. Per ragioni di uniformità, nel ruolo compare il sostantivo «direttore», anche se fino alla prima metà del xix secolo circa (come si evidenzia dalle informazioni inserite fra parentesi) la nomina era a «soprintendente allo Studio del Mosaico»; solo in seguito verrà sostituita con quella di «direttore dello Studio del Mosaico». 1

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NOTE

Capitolo primo Le diverse lezioni del frammento sono oggetto di discussioni controverse; cfr. da ultimo la scheda di D. Mazzoleni in Petros eni. Pietro è qui 2006, pp. 236s. 2 templi petri instauracio, Iscrizione sulla medaglia di fondazione del 1506. ³ Grayson 1957, p. 17. 4 Dalla dedica della pianta della nuova basilica incisa da Matthäeus Greuter, 1613. 5 Bowersock 2005. 6 Per la topografia della zona e la necropoli, vedi, da ultimo, [Zander] 2007b. 7 Così denominato nella Storia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, biografo di Costantino il Grande. [Zander] 2007b, p. 126. 8 In merito a quanto segue, vedi Krautheimer 1977. 9 Kinney 2005, pp. 24 e 31-34. 10 A.K. Frazer, in Krautheimer 1977, tav. viii. 11 Gregorio di Tours, cit. da Kinney 2005, p. 29. Sulle colonne in genere, Ibid., pp. 27-34. 12 Krautheimer 1990, p. 151; cfr. anche Kinney 2005, p. 29 («bricolage») e passim. 13 De Blaauw 1994, ii, p. 567, n. 303 (cit. Häussling). 14 Notitia ecclesiarum urbis Romae 1942, pp. 67ss., l’appendice dedicata a San Pietro, pp. 94-99. Cfr. Bauer 2004, p. 158. 15 Petri Mallii descriptio 1942; Angelis 1646. 16 In merito a quanto segue vedi in genere De Blaauw 1994 e Borgolte 1989. La fonte principale è sempre il Liber Pontificalis: cfr. lp 1886-1892 e 1955-1957. 17 Niebaum 2007. 18 De Blaauw 1994, pp. 477s. 19 Krautheimer 1985a, pp. 20s. 20 Cfr. Notitia ecclesiarum urbis Romae 1942. 21 De Blaauw 1994, ii, p. 532. 22 Ibid., p. 485. 23 Ibid., fig. 25. 24 Borgolte 1989, p. 110. 25 Ibid., pp. 228s. 26 In merito a quanto segue cfr. anche Roser 2005. 27 Modigliani 2005, pp. 54 e 177 (ii, 16). 28 Ibid., pp. 88-103 e 190-199 (ii, 45-64). 29 Firenze, gdsu 20 A. Cfr., da ultimo, Niebaum 2004, pp. 94s. 30 Vedi la sinossi delle restituzioni grafiche a partire dal 1619 (Ferrabosco/Grimaldi), in Curti 1997, pp. 111-118; Roser 2005, pp. 80s. 31 Modigliani 2005, pp. 95 e 193 (ii, 53). 32 Burckhardt 1930, p. 87. 33 Bolla del 12 febbraio 1507, cit. da Frommel 1996a, p. 58. 34 Egidio da Viterbo, Historia viginti saeculorum, cit. da Frommel 1996a, p. 52. 35 Breve del 26 settembre 1508 al re di Polonia, in Frommel 1996a, p. 67. 36 Frommel 1996b p. 85-118; da ultimo, Frommel 2008, pp. 83-110. 37 Cfr. i giudizi negativi in Alberti 1966, i, pp. 63 e 75, e ii, p. 999; Sigismondo dei Conti, in Frommel 1996a, p. 79. 38 Egidio da Viterbo, in Frommel 1996a, p. 52. 39 In merito a quanto segue cfr. Thoenes 1996a, pp. 281-303. 40 Firenze, gdsu 8 A r/v; il modello era la «pianta di pergamena» gdsu 1 A. Thoenes 1996a, pp. 289s. 41 Cfr. Thoenes 1996b, pp. 149-158, spec. 153s. 42 Cfr. i contributi di C.L. Frommel e R. Tuttle in Una basilica per una città, 1994, pp. 223-250. 43 Ackerman 1974, pp. 339-349, spec. 347s. 44 Come alternativa del genere si consideri l’«opinione» di Frate Giocondo, gdsu 6 A. 45 È stato proposto di vedere le quattro cupole mi1

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nori bramantesche in relazione alle quattro reliquie maggiori della basilica, che però all’epoca erano soltanto tre; vedi sotto a nota 85. Non credo neanche al senso liturgico-funzionale dei «deambulatori» di Bramante; cfr. Thoenes 2001, pp. 316s. 46 Modigliani 2005, pp. 122 e 212 (iii, 11). 47 Egidio da Viterbo, Historia viginti saeculorum, cit. da Frommel 1996a, p. 52. 48 Londra, Sir John Soane’s Museum, Cod. Coner, f. 24v (n° 31). Cfr. Graf Wolff Metternich, Thoenes 1987, pp. 105-108. 49 Bolla del 19 marzo 1513, in Frommel 1996a, pp. 80s. 50 Serlio 1619, Libro Terzo, f. 64v. 51 Cerrati 1914, p. 61. Al punto indicato però («ab arcu triumphali inter tertiam et quartam columnam in hac mediana navi a parte sinistra ad aquilonem») era in costruzione già dal marzo 1507 il pilone nord-orientale. 52 Da ultimo, Tronzo 1997. 53 Shearman 2003, i, pp. 180-184. 54 Vasari 1878-1885, iv, p. 599. 55 Prodi 1994. 56 Saalman 1978, p. 491. 57 Thoenes 2000. 58 Thoenes 1992a; Thoenes 2006. 59 Da ultimo, Bredekamp 2008. 60 Thoenes 2009, pp. 483-496. 61 Barocchi, Ristori 1965-1983, p. 35. 62 Ibid., p. 84. 63 Cfr. Jobst 1997. 64 Cerrati 1914; cfr. De Maio 1978, pp. 328s. (Il mito dell’unità storica delle due basiliche). 65 Thoenes 2009. 66 Silvan 1989-1990; Bentivoglio 1997. 67 «Est enim novum templum divi Petri parum aptum ad celebrandum, nec secundum ecclesiasticam disciplinam fuit constructum»; Cerrati 1914, pp. 24s. 68 Cfr. De Maio 1978, p. 327. 69 Pollak 1915, p. 73. 70 De Blaauw 2008. 71 Grimaldi 1972. 72 Cfr. il testo citato a nota 4. 73 Hibbard 1971; Thoenes 1992b. 74 Thoenes 1992b, p. 176; Thoenes 2006, pp. 80-83. 75 Cfr. la copia della pianta della nuova basilica incisa da Matthaeus Greuter con le iscrizioni autografe del Grimaldi, riprodotta in Spagnesi 1997, p. 271. 76 In merito a quanto segue cfr. Rice 1997; Schütze 2006. 77 Echinger-Maurach 2007. 78 Nel noto affresco di Paris Nogari nella Biblioteca Sistina. 79 Riebesell 2008. 80 Zollikofer 2008; Brodini 2009, pp. 147-167. 81 Kummer 2008. 82 Ibid., pp. 249ss. 83 Torrigio 1618. 84 In merito a quanto segue vedi Lavin 1968; Preimesberger 1991; Schütze 1994; Dobler 2008. 85 Dobler 2008, pp. 312ss. 86 Schütze 2008; per la «Cattedra» cfr. anche Roser 2005, pp. 269-273. 87 Krautheimer 1985b. Capitolo secondo Per le opere musive presenti nella basilica vaticana si è fatto principalmente riferimento alle schede di catalogo e alla bibliografia riportata in Pinelli 2000. Per la citazione dei documenti dei Concili si fa riferimento ad Alberigo 1991. 1 Cfr. Bombelli 1792, ii, pp. 1ss. 2 Cfr. [Lanzani] 2009b. 3 Cfr. Alfarano 1981, p. 39, nota 4. *

Cfr. Grimaldi 1972, p. 406; [Lanzani] 2009b. Cfr. Benedetti, Zander 1990, p. 275. Cfr. Alberigo 1991, p 775. 7 Cfr. Borromeo 2000, p. 71. 8 Cfr. Pastor 1931-1933, ix, p. 23. 9 Cfr. Pastor 1931-1933, ix, p. 707. 10 Cfr. asv, Segreteria di Stato, Venezia, 20, n° 45, c. 38. 11 Cfr. afsp, arm 53, 148, c. 313. 12 Cfr. Siebenhüner 1962, p. 289. 13 Cfr. Tomei 1989, pp. 153-161. 14 Cfr. Hibbard 1971, p. 71. 15 Cfr. Ostrow 2000, schede nn. 1385-1453, p. 801. 16 Nel 1648 Torrigio chiede alla Fabbrica «di tenere in conto le fatiche che fa continuamente si dell’effigie e lettere dei sommi pontefici che si fanno nelle medaglie de’ bassi rilievi delle sei cappelle, come anco delle statue di stucco e figure sacre [...] che si operano in San Pietro» (afsp, Schedario Cipriani, ad vocem Torrigio Francesco Maria). 17 Cfr. Fontana 1694, p. 394. 18 A mons. Virgilio Spada, membro dell’Oratorio di San Filippo Neri ed Elemosiniere segreto di Innocenzo x, fu conferita la responsabilità di far osservare la volontà del papa alla Fabbrica di San Pietro e di supervisionare l’impresa decorativa della navata centrale della basilica per il Giubileo del 1650. Nella Congregazione della Fabbrica del 3 gennaio 1647, mons. Spada fu anche deputato a stabilire il prezzo delle dodici statue di stucco da farsi e ad assegnarne l’esecuzione ad altrettanti scultori «sibi magis benevisis» (a lui maggiormente accetti), cfr. [Todaro] 2002, p. 1. 19 Cfr. afsp, Arm. 16, A, 165, c. 19r/v. 20 Cfr. Noè 1996. 21 Cfr. Paleotti 2002, pp. 263-264. 22 Cfr. Bartoli 1831, pp. 127ss. 23 Cfr. Borromeo 2000, p. 13. 24 Cfr. Lanzani 1999a. 25 Cfr. Zander 2010, pp. 4-33. 26 Cfr. Ballardini 2004, pp. 9-10. 27 Cfr. Lanzani 2010, pp. 242-243. 28 Cfr. lp, ii, p. 14. 29 Cfr. lp, ii, pp. 113-114. 30 Cfr. [Lanzani] 2009c. 31 Cfr. afsp, Arm 1, A, 8, n° 74. 32 Cfr. afsp, Arm. 12, D, 4c, fasc. 41, ff. 255-257. 33 Cfr. Alberigo 1991, p. 672. 34 Cfr. Ibid., p. 862. 35 Cfr. Ibid., p. 859. 36 Cfr. Ibid., p. 859. 37 Cfr. Ibid., p. 896. 38 Cfr. Ibid., p. 855. 39 Cfr. Ibid., p. 856. 40 Cfr. afsp, Arm. 12, D, 4c, fasc. 45, sine data, sine nomine, cc. 496-500. 41 Cfr. afsp, Arm. 26, C, 246, c. 12r. 42 Cfr. afsp, Arm 1, A, 6, n° 59 c. 216. 4 5 6

Capitolo terzo Baglione 1995, p. 81. L’originale pianta eseguita durante il periodo costantiniano fu in parte modificata dal progetto sangallesco, ma mantenne l’originaria struttura a croce per esaltare il significato insito in tale forma. Lo stesso Alfarano ci riferisce: «Il piissimo Imperatore Costantino fece questo (la basilica antica a croce latina) affinché la figura della basilica esprimesse il segno della Santa Croce, attraverso la quale Cristo vinse la morte [...], e ridonò a noi la vita eterna, e Pietro vicario di Cristo vinse i Gentilii, e piantò la fede cattolica e la Chiesa a Roma» (Alfarano 1981, p. 7). 3 «La plasticità dell’abside michelangiolesca si attenua quasi totalmente all’interno della cupola 1 2

dove ritroviamo soltanto la decorazione del catino. Il tamburo, all’interno, ha paraste binate di poco rilievo, che contrastano nettamente con i potenti contrafforti a colonne dell’esterno. Se idealmente «puliamo» tutto il vano cupola dalle successive decorazioni abbiamo l’impressione che Michelangelo in questo punto abbia voluto rendere più semplice possibile la copertura alla tomba dell’apostolo per dare il senso di una pacata e serena presenza dell’infinito» (Carpiceci 1983, p. 194). 4 Oggi il disegno è conservato Cabinet des Dessins di Parigi, con numero di inventario 2980. 5 «Sopra di queste nicchie si vedono li triangoli della Cupola maggiore, dove sono quattro tondi grandi, dentrovi i quattro Evangelisti, il S. Giovanni e ‘l S. Luca è disegnato da Gio. de Vecchi dal Borgo; il S. Marco e ’l S. Matteo è disegno di Cesare Nebbia da Orvieto; gli otto puttini che scherzano intorno con palme e con corone, son disegno de Cavalier Cristoforo Roncallo dalle Pomarancie; ed il tutto è opera di musaico» (Baglione 1995, p. 64). 6 Documenti relativi a Giovanni de’ Vecchi: Il 12 giugno 1598 riceve 50 scudi a conto del lavoro ai quattro tondi (Arm. 26, A, 157). Lavora al San Giovanni della cupola maggiore (Arm. 26, A, 157; Arm. 26, A, 162). Il lavoro viene saldato il 12 febbraio 1599. Lavora al San Luca della cupola maggiore (Arm. 26, A, 157; Arm. 26, A, 162). Il lavoro viene saldato il 3 settembre 1599. Documenti relativi a Cesare Nebbia: 1598 Lavora ai quattro tondi degli evangelisti della cupola. 1598 Lavora al S. Matteo della cupola maggiore (afsp, Arm. 26, A, 157; Arm. 26, A, 162). Lavora al San Marco della cupola maggiore (afsp, Arm. 26, A, 157; Arm. 26, A, 162). Viene saldato per San Matteo il 12 febbraio 1599. Viene saldato per San Marco il 3 settembre 1599. Viene saldato per S. Luca il 3 settembre 1599. Viene saldato per San Giovanni il 12 febbraio 1599. Il 19 novembre 1599 «Ricevono scudi 1710.25 per la figura di San Marco che hanno fatto di mosaico» (afsp, Arm. 26, A, 162, cc. 11, 45). 7 1599, 5 marzo (de’ Vecchi) «Riceve scudi 2132 per la figura di San Matteo che hanno fatto di mosaico». Lavorava con lui Paolo Rossetti (afsp, Arm. 26, A, 162, cc. 11, 45). 8 1600 Fa i cartoni per i triangoli della cupola (afsp, Arm. 26, A, 162, cc. 53, 65, 72). Il 5 maggio 1600 «Riceve scudi 100 a buon conto delli cartoni che lui fa per il mosaico che si fa nelli triangoli della cupola» (afsp, Arm. 26, A, 162, cc. 53, 65, 72). 9 (Paolo Rossetti) 1598 Lavora ai quattro tondi degli evangelisti della cupola. 1599, 26 novembre-1601, 16 febbraio «Riceve scudi 2099.70 per i mosaici che insieme a Martinelli Ludovico ha fatto nelli triangoli della cupola grande attorno alli archi delli Evangelisti a giuli 3 il palmo» (afsp, Arm. 26, A, 162, cc. 63, 73). (Marcello Provenzale) 1600, 10 novembre «Riceve scudi 169.86 per il mosaico che ha fatto in un triangolo accanto al tondo di San Giovanni» (afsp, Arm. 26, A, 162, c. 82). 10 «D’ordine di Papa Clemente gli furono dati dati da’ Signori della Fabbrica di San Pietro li cartoni della Cupola, per farli numerosi e, belli musaici, come hora con buona compartitura di angeli, di Santi Pontefici, di S.S. Apostoli, di S. Gio. Battista, di Maria Vergine e di N. Signore si vide. E quest’opera, che molto l’occupò, fu nuova cagione, che si tralasciasse il lavoro della Sala del Campidoglio» (Baglione 1995, p. 372). 11 1603, 11 luglio «Riceve denaro a buon conto delli disegni che fa per il musaico della Cupola» (afsp, Arm., 26, A, 174, c. 36v). 12 Per esempio i pagamenti a Francesco Zucchi attestano la durata dei lavori: 1600, 26 agosto «Riceve il primo acconto di scudi 20 per il mosaico. Uguale trattenimento lo hanno Paolo Rossetti; Ludovico Martinelli, Vincenzo Stella, Marcello Provenzale; Francesco Zucchi» (afsp, Arm. 17, D, 12, c. 13). 1612, 7 gennaio-3 febbraio «Insieme a Donato Parigi per scudi 412 mette in mosaico la figura di San Mattia nel circolo degli apostoli sotto la cupola» (afsp, Arm. 26, B, 204, c. 2, 16v). 13 «Il tamburo è ornato di trentadue pilastri accoppiati, di ordine corinto, che gli girano intorno, fra i quali sono sedici finestre. Questi pilastri sostengono un cornicione, sopra il quale è uno zoccolo da cui principio la concavità della cupola, divisa in

sedici costoloni che vanno a terminare all’occhio della lanterna» (Vasi 1804, ii, p. 470). 14 Per esempio Paolo Rossetti lavora sia per eseguire a mosaico le figure di Patriarchi che quelle di Vescovi: 1610 Lavora ai Patriarchi (afsp, Arm. 26, B, 195, c. 113v); 1610 Lavora al Cristo della cupola e a un Vescovo sotto al Cristo (afsp, Arm. 26, B, 195, c. 121v). 15 Cesare Baronio (Sora 1538-Roma 1607) fu un personaggio storico della Chiesa italiana. Uomo dotto e pio, votato a opere di carità, seguace prediletto di San Filippo Neri, fu anche predicatore famoso. Clemente viii lo fece cardinale contro la sua volontà nel 1596, e lo scelse come confessore. Dal 1597 fu bibliotecario della Vaticana. I suoi Annales Ecclesiastici vennero pubblicati a Roma, dalla tipografia vaticana, fra il 1588 e il 1607, in dodici volumi in folio. Si tratta di un’opera imponente, sintesi grandiosa della storia della Chiesa, dal primo anno di Cristo sino al 1198. L’intenzione prima del Baronio, nello scrivere la sua opera, era polemica; egli voleva dimostrare agli storiografi luterani che la Chiesa non aveva subito sostanziali mutamenti nei secoli. A tal fine egli non esitò, a volte, a deformare le fonti, tuttavia, nell’insieme, l’erudizione storica del Baronio è di ottima lega e bisogna riconoscergli il merito, a lui «padre della storia ecclesiastica», di aver introdotto lo spirito critico nella tradizione apologetica. Proprio perché il suo fine gli imponeva di dar nuova luce a secoli che erano spesso trascurati o male studiati, il Baronio trovò molti documenti e rispolverò molte vecchie cronache. Gli Annales sono scritti in elegante prosa umanistica; la struttura generale dell’opera è chiara, anche se le nuoce l’ordinamento annalistico, che spezza lo svolgersi degli avvenimenti (queste brevi notizie su Cesare Baronio sono tratte da Boroli 1985, vol. ii, p. 83). 16 Dai documenti di afsp si evince che Honorio Fanelli fornisce le stelle necessarie alla decorazione: 1605 Riceve denaro per «tre milia stelle di metallo che ha dato per servitio del musaico della Cupola» (afsp, Arm., 26, A, 178, c. 25r); 1607 Riceve denaro per le stelle per il mosaico della cupola grande (afsp, Arm. 26, A, 183, c. 70v e passim). 17 La rappresentazione del coro di angeli, cherubini e serafini è ispirata dal De coelesti Hierachia dello Pseudo Dionigi (l’Areopagita). 18 Rocco Solaro fu l’artista designato dalla Congregazione della Fabrica di San Pietro per eseguire gli stucchi che ornano il tamburo della cupola maggiore insieme ad altri stuccatori. Nei documenti presi dall’Archivio della Fabrica si evincono i pagamenti a lui fatti per questo lavoro: Il 16 luglio 1604 riceve il primo mandato di scudi 20 a buon conto degli stucchi per l’ornato del fregio e del cornicione sotto la cupola (afsp, Arm. 17, E, 21, c. 446ss.); 16051606, 1607-1609 Continua la sua opera di stucco sotto la cupola e nel cornicione della chiesa e poi sotto la cupola grande (afsp, Arm. 26, A, 178, 183, 185, 189, cc. 10ss.). 19 Ludovico Martinelli insieme a Rosato Parasole erano addetti all’indoratura delle stelle di metallo fornite da Onorio Fanelli: 1603, 19 dicembre (Martinelli) riceve denaro per l’indoratura di 344 stelle che ha indorate per il mosaico della cupola (afsp, Arm., 26, A, 174, c. 58r); 1604, 30 gennaio (Parasole) riceve denaro per aver indorato 1419 stelle (afsp, Arm. 26, A, 174, c. 63r) il 6 febbraio per 700 stelle (64r), il 12 marzo 1000 stelle (67r), il 30 aprile 1850 stelle (71r), il 14 maggio 2463 (73v). 20 Il fatto che Clemente viii decida di rendere gloria a papa Sisto v lasciando l’iscrizione commemorativa in onore di papa Peretti ci fa capire il rispetto che l’Aldobrandini nutriva sia per gli uomini d’arte sia per i promotori di essa. Il Pastor stesso esalta questo atteggiamento di Clemente viii poiché constata che è una caratteristica non comune a tutti i pontefici: «Nella volta della lanterna si scorge la figura benedicente di Dio Padre e nell’anello che chiude la cupola l’iscrizione: s. petri gloriae sixtus p.p. v anno 1590, pontificatus v. Testimonia assai bene in favore del sentimento di giustizia di Clemente viii il fatto che egli sebbene di solito vivamente attento ad immortalare il suo nome, abbia lasciato ivi al suo predecessore l’onore che gli aspettava; ciò fece pur anche in altro modo: le costole che por-

tano sul fondo azzurro delle stelle d’oro, finiscono in una testa di leone in bronzo, stemma di Sisto v» (Pastor 1922-1934, vol. xi, cap. xii, p. 660). 21 1609, 14 agosto «Si pagano scudi 19.61 all’erede di Lodovico Martinelli e per lui a Gio. Girolamo pittore per resto di lavori fatti da lui nel fregio di chiaro scuro sotto le finestre che lasciò di fare detto Lodovico» (afsp, Arm. 26, B, 185, cc. 159, 161). 22 1605 (Farfallini) «Riceve denaro per i cartoni per le lettere per il fregio della Cupola dove andrà scritto ‘Tu es Petrus’» (afsp, Arm., 26, A, 178, c. 27v). 23 Un documento datato 4 gennaio 1613 registra che i pagamenti fatti al Cavalier d’Arpino dalla Congregazione della Fabbrica di San Pietro per l’esecuzione dei cartoni serviti alla decorazione della cupola sono terminati. Da questo documento possiamo inoltre notare la totalità dell’ingente cifra che il Cesari riceve a conclusione del lavoro svolto: «Al cavalier Gioseppe Cesari resto de’ scudi 7277, sua mercede de’ lavori fatti interi e cartoni per il musaico della cuppola grande dal cornicione tondo sino alla cima del lanternino, dove è il Dio Padre, misurato dal soprastante palmi 72.660 2/3 a baiocchi 10 il palmo, che scudi 7061: 10 ha avuto in 77 mandati dall’11 luglio 1603 per tutto il 15 gennaro 1612 et se li pagano per tutto quello potesse pretendere da detta fabrica» (afsp, Cod. 206. f. 29b). 24 Zen 1994, p. 291. 25 Il Baronio segue i canoni iconografici tradizionali dettati del periodo della Controriforma espressi chiaramente nella seconda metà del xvi secolo dai maggiori esponenti della Chiesa ma anche da molti artisti tra i quali annovero: Gilio 1564; Molanus 1570; Borromeo 1577. 26 A parte le figure inserite entro le lunette delle quali non si conosce l’identità (ma che hanno anche loro diversi simboli che li caratterizzano), tutte le altre hanno gli attributi tradizionali derivanti dall’iconografia che le fonti storiche hanno tramandato per secoli. 27 L’esempio che ci fa capire il modo in cui si vuole esprimere il grande potere della Chiesa è l’utilizzo di materiali preziosi come le tessere di mosaico dalle tonalità più lucenti e ricche: l’oro e l’azzurro, colori che tra l’altro, secondo l’iconografia tradizionale, rappresentano il Regno Celeste (Campanelli 1994). 28 da Varagine 1995. 29 Lewine 1960. 30 Freedberg 1971, Libro ii, cap. xlii, p. 17. 31 «D’ordine di Papa Clemente gli furono dati da’ Signori della Fabbrica di San Pietro li cartoni della Cupola, per farli numerosi e, belli musaici, come hora con buona compartitura di angeli, di Santi Pontefici, di S.S. Apostoli, di S. Gio. Battista, di Maria Vergine e di N. Signore si vide. E quest’opera, che molto l’occupò, fu nuova cagione, che si tralasciasse il lavoro della Sala del Campidoglio» (Baglione 1995, p. 372). 32 Uno dei più pesanti giudizi sul Cesari è stato formulato dal Venturi: «[...] chiude la sua carriera artistica il pittore del belletto e degli orpelli, [Giuseppe Cesari] che aveva scorazzato spensieratamente per l’intera vita dal campo veneto al campo romano, vedendo tutto in falso: la luce, non fusa col colore, la forma di cui più non sa intendere il ritmo plastico. Campione a parole, dell’idealismo cinquecentesco, egli scambia il lustro per la luce, il turgido per il grande, il leziosismo per la grazia. Si compiace di un tipo di bellezza paffuto e vacuo, sovrappone sciocche teste di bambola a gonfi torsi di cartapesta, sbandiera drappi, arrotola cartelle, fa stridere le tinte sui fondi torbidi; diffonde a Roma, festeggiato, acclamato, salutato maestro, la depravazione del gusto, il regno del falso pittorico. Mentre il Genio di Michelangelo da Caravaggio si apriva la vita tra lotte e ostilità, incompreso, il Vasari e gli Zuccari profanavano con le loro macchine eroiche la cupola del Brunellesco a Firenze, e il Cavalier d’Arpino ritagliava santi di cartone per la cupola michelangiolesca» (Venturi 1932). 33 Non sempre però la critica è stata dura nei confronti dell’Arpinate, tant’è che molti scrittori e artisti tra il xvii e il xviii secolo lodarono la sua maniera, come per esempio il Cortona: «Il Cavaliere seguitò il proprio genio nel dipingere, e s’avanzò

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all’eccellenza d’uno stile manieroso, e gratioso tanto, che ben di lui si può dire, che sia stato un personaggio di mirabile singolarità» (Berrettini 1652, p. 26); anche Sebastiano Resta esprime giudizi favorevoli sul conto del Cesari: «Sebbene hora tutti sprezzano il Cavaliere Gioseppe non è che egli non fusse gran Maestro e non havesse studiato le cose di Michelangelo. Ma la maniera ideale e di solo spirito lo tenne a’ soli Carracci e tutti poi han abbaiato il cane ferito» (Resta [1670 ca.], postilla alle Vite del Baglione; esemplare dell’Accademia dei Lincei, 31 E 14). Infine un giudizio autorevole è quello dato dal Lanzi nella sua opera sulla storia pittorica dell’Italia: «Egli [il Cesari] finalmente era nato per la pittura: in San Giovanni in Laterano e in San Crisogono non solo disegnò di gran maniera, ma colorì eccellentemente» (Lanzi 1968, i, p. 617). 34 L’archivio storico della Fabbrica di San Pietro è collocato nei due ambienti denominati «ottagoni» (per la loro forma geometrica), situati sopra la cappella della Madonna della Colonna. La scelta di questa sede, inaugurata dal Santo Padre Giovanni Paolo ii il 22 ottobre 1984, è legata a motivi ben precisi. La tradizione, infatti, vuole che in queste stanze si riunissero Gian Lorenzo Bernini e i suoi collaboratori per deliberare di aspetti tecnici ed artistici del lavoro di progettazione e successive decorazioni della basilica vaticana. I primi documenti cartacei che si conservano nell’archivio risalgono al 1506, anno di inizio dei lavori di costruzione del nuovo San Pietro. Si tratta di un immenso patrimonio archivistico attraverso il quale è possibile ricostruire la storia della basilica. La documentazione è divisa in tre sezioni: la parte amministrativa, testimonianza di quanto si andava demolendo e successivamente veniva costruito, le spese per i materiali da acquistare, le relazioni degli architetti e degli artisti impegnati, tra i quali si ricordano Michelangelo, Carlo Maderno, G.L. Bernini, le loro retribuzioni e quelle delle maestranze. La parte giuridica, con i protocolli tra la Fabbrica e i suoi rappresentanti, e in ultimo, il nucleo del Contenzioso, con tutti gli incartamenti delle cause, delle controversie e le istanze discusse dinanzi al Tribunale della Fabbrica (queste notizie sono ricavate da Dragone 1998, p. 152). 35 1603, 22 agosto (Ranuccio Semprevivo) «Riceve denaro per 1777 palmi di mosaico fatto nella lanterna della cupola grande» (afsp, Arm. 26, A, 174, c. 41v, 45r, 46r, 48r), il 10 ottobre viene saldato per 2602 palmi di mosaico (c. 49, 56r/v, 50r, 51v), il 7 novembre palmi 2806 (c. 53r). 1603, 19 dicembre «Riceve scudi 40.83 per resto e saldo di palmi 29401/2 di mosaico fatto nella lanterna della cupola, che a baiocchi 271/2 il palmo montano a scudi 810.83» (afsp, Arm. 26, A, 172, c. 59). 36 Questa considerazione è stata fatta per la prima volta dal Röttgen e, a ben vedere, si riscontra una fortissima somiglianza tra i soggetti delle due opere, tanto da far pensare che il Cesari abbia utilizzato un unico cartone per rappresentare il Dio Padre; l’uno nel lanternino della cupola di San Pietro e l’altro nella cappella Santori in San Giovanni in Laterano (Röttgen 1973, p. 120). 37 Grimaldi 1972. 38 Cod. Vat. Barb. lat. 2733, f. 246v (documento pubblicato da Pollak 1915, p. 136). 39 Per molte di queste tempere l’attribuzione al pittore Cesari è stata difficoltosa, come è stato complicato riconoscere che tali opere furono eseguite per la decorazione della cupola. 40 Il Röttgen riporta così la fonte di questa notizia: «Distribuzione di figure o quadri del Card.le Baronio lasciati a diverse religiose monache sue nipoti» (1612-1613 ca.); Archivio dei Filippini P i 1, pacco Baronio. 41 Come afferma il Röttgen «L’idea di una decorazione divisa in compartimenti era condizionata dalla goià realizzata decorazione architettonica, come si può vedere da un disegno del 1590 ca. del Cabinet des Dessins di Parigi (n. inv. 2980) già attribuito al Cesari, ma non di sua mano; invece è piuttosto vicino alla mano di Cesare Nebbia» (Röttgen 1973, p. 42). 42 Ibidem. 43 Questi pagamenti si riferiscono a Pietro Pomodoro: 1605, 22 agosto «Instrumento sopra gli

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smalti per la fascia sotto il cornicione della cupola. Smalti d’oro e turchini buoni oltre alla messa dello stucco, che siano simili nella loro perfezione a quelli della cappella Gregoriana, tagliatura minuta [...]» (asr, 30 Notai Capitolini, Uff. 38, vol. 5, c. 232, notaio Paulus Roverius). 1606 Riceve denaro per tagliatura di mosaico (Arm., 26, A, 178, c. 59v). 1607 Riceve denaro per la fornitura di smalti per la cupola grande (afsp, Arm. 26, A, 183, c. 67r). 1628, 12 luglio «A messer Pietro Pomodoro, e Gerardo Zua scudi dugento sei baiocchi 50 moneta per resto d’un conto di diversi smalti dati alla fabrica, come per il conto, quale pagarete con intervento di m. Gio. Fabro fattore e non altrimente scudi 206.50» (asr, Camerale iii, Chiese e Monasteri, Busta 1912, fasc. 12). 44 Una prima prova che realizzò il Cesari per comporre raffigurazioni entro un’architettura preesistente si era già verificata, anche se in maniera meno rigida, tra il 1596-1597 nel suo intervento decorativo per la Sagrestia della Certosa di San Martino a Napoli. Qui infatti si vede già la costruzione formalistica nel modo con cui la figura è inserita tra le cornici del pennacchio, ma questa costruzione, tornerà in maniera più astratta nei mosaici della cupola di San Pietro infatti la Certosa è ancora equilibrata dalla spontaneità del movimento. 45 Un testo nel quale possiamo seguire in maniera piuttosto completa le maggiori opere di questi artisti eseguite a Roma negli anni che vanno dal Pontificato di Gregorio xiii a quello di Paolo v è quello di Pastor 1929, voll. iv-xii. 46 Questo documento è conservato nell’Archivio Segreto Vaticano; Segreteria di Stato, Arch. Nunz. di Venezia, 20: «A Venezia 1578, ’79, ’80, ’81» (Minute di lettere della Segreteria al Nunzio), c. 45r. 47 Da questo periodo in poi si può iniziare a parlare della presenza in San Pietro di uno Studio del Mosaico. L’illustre storia di questo studio, iniziata nel xvi secolo, al tempo di Gregorio xiii, è indicibilmente collegata a quella della basilica vaticana. Per dare inizio alla decorazione del Nuovo San Pietro il papa fece chiamare a Roma esperti maestri di mosaico da Venezia che, insegnando la tecnica ad allievi del posto, crearono una prima équipe stabile di mosaicisti romani. Per quei primi tentativi furono utilizzati degli smalti (miscele di vetro colorate in fusione con ossidi metallici) prodotti a Venezia. Per fissare alle cupole il «tappeto musivo» si utilizzò, per la prima volta e con grande successo, uno speciale stucco a base di olio di lino (la cui ricetta, gelosamente custodita per oltre quattro secoli, viene ancora oggi utilizzata dai mosaicisti dello Studio). Per ottenere la grandissima varietà di colori in smalto necessaria, venne costruita, nel 1731, una fornace direttamente in Vaticano. Sperimentando nuove miscele si produssero circa 28.000 smalti di tonalità di colore differenti, in parte ancora oggi custoditi nei magazzini dello studio, e utilizzati per i restauri. Nel 1727 per volontà di papa Benedetto xiii, il «laboratorio» fu organizzato come istituzione permanente, con il nome di «Studio Vaticano del Mosaico». Oggi lo studio, sotto la direzione del dott. Paolo Di Buono della Fabbrica di San Pietro, ha una duplice funzione: la conservazione dei mosaici della basilica (con interventi mirati di restauro) e la produzione di opere musive per la vendita al pubblico. 48 L’esistenza nell’archivio della Fabbrica di San Pietro di una ricetta che riferisce sulle modalità di preparazione di una «colla buonissima» per lavorare il mosaico potrebbe riferirsi alla ricetta del Muziano: «Pigliano calcina viva di sasso, fatta di recente, perché riesce migliore, e la bagnano, e l’adoprano subito bagnata perche fà miglior opera, ma prima la depurano con sedazzo e la mischiano per metà colla seg[uen]te materia. Pigliano herba detta maluischio, orzo con scorzo, e semenze di lino, di tutto ugual portione, e fanno bollire insieme con acqua, fino che si consumino li due terzi della med[esi]ma. E q[ues]ta mista colla sud[dett]a calcina fa colla buonissima per il lavoro, e di q[ues]ta si servono. Eccettuato però nei lavori de pavimenti, dove alla calcina sudetta uniscono coppi pistati in polvere. Oltre lo smalto adoprano pietre di colore conforme il bisogno perche vi vorrebbe troppo smalto, e troppa spesa. Onde uniscono pietre ta-

gliate, e per ben unirle le fanno lavorare alla mola. Tutto guesto e venuto da Venezia onde pare che si possa lasciare di scrivere a Mr Nuntio. Et se si vorra qualche dichiaratione di avantaggio si potra scrivere a chi ha mandato guanto di sopra» (afsp, Arm. 1, A, 8, n. 10, Materie Diverse 1543-1671). L’invenzione da parte del Muziano di un nuovo stucco è confermata anche da Borghini 1967. 49 Anche negli stessi lavori decorativi della cupola di San Pietro si nota questa grande disparità nella somma da pagare se l’interessato è un pittore o un mosaicista. Per esempio nei documenti possiamo vedere con chiarezza che il Cavalier d’Arpino percepiva una retribuzione molto maggiore rispetto a un Marcello Provenzale, che pur era un rinomato artista, anche solo per aver eseguito un’opera di minor fatica rispetto al mosaico. Capitolo quarto Capitani 2000, schede 443-472, pp. 532-533. Al xx secolo risalgono anche la pala raffigurante San Giuseppe, nel transetto meridionale, e le pale in mosaico realizzate per le nuove cappelle delle grotte vaticane. Si vedano qui rispettivamente i saggi di A. Grimaldi e S. Turriziani. 3 Quella del Fonte Battesimale è stata la prima delle sei cappelle della navata della basilica ad essere dedicata. Era tradizione consolidata, infatti, che la prima cappella, a sinistra o a destra, fosse destinata a ospitare il fonte battesimale. Carlo Borromeo, l’autorità della Controriforma, in merito alla progettazione e allestimento di chiese, era stato irremovibile: nelle Instructiones Fabricae et Supellectilis Ecclesiasticae, pubblicate a Milano nel 1577, aveva specificato che il battistero avrebbe dovuto «essere costruito all’interno vicino alla porta principale sul lato sinistro» (a cornu evangelii), cfr. Rice 1997, p. 187. 4 afsp, Arm. 1, A, 6, n. 102. 5 L. Rice 1997, pp. 186-189. 6 Celio non fu soddisfatto della somma percepita e nel 1638 scrisse alla Congregazione per chiedere un pagamento supplementare, ma senza risultato (afsp, Arm. 1, A, 6, n° 101). 7 C. Savettieri, Navata meridionale. Cappella del Battesimo, Altare sud, Il battesimo di Cristo, in Pinelli 2000, p. 521. Si legge da Giovanni Baglione: «finalmente gli fu concesso dal Cardinal Ginnasio la prima Cappelletta a man manca in S Pietro Vaticano, ou è la Fonte del Battesimo, nella cui volta egli fece vn Dio Padre con diuersi Agnoli, e Puttini e nelli mezi tondi ne’ fianchi della volta vi ha dipinto alcuni Angeli grandi coloriti a olio sopra lo stucco; & anche formò nel quadro dell’Altare S. Giò. Battista che battezzaua N. Signore con Agnoli, ma perché non diede gusto, fu l’opera dell’Altare cancellata, et in cambio vi fu posta la Cathedra di S Pietro, Principe de gli Apostoli»; Baglione 1642, p. 379. 8 C. Savettieri, Navata meridionale. Cappella del Battesimo..., in Pinelli 2000, p. 521. 9 L. Capitani, Navata meridionale. Cappella del Battesimo..., in Pinelli 2000, p. 517. 10 afsp, Arm. 43, A, 51, n° 21. 11 afsp, Arm. 43, A, 51, n° 21. 12 Il saldo risale all’autunno del 1711 (afsp, Arm. 27, C, 396, cc. 97ss.). 13 afsp, Arm. 43, A, 52, n° 2. Dal saldo delle spese del fattore della Fabbrica, datato 8 luglio 1711, emerge che fino a quella data erano stati «fatti e disfatti più volte li Ponti al Tamburo della Cuppola del Battesimo tanto per li stuccatori, quanto per li musaichisti» (afsp, Arm. 43, A, 52, n° 16). 14 Il saldo risale al 30 settembre del 1711 (afsp, Arm. 43, A, 52, n° 30). 15 afsp, Arm. 43, B, 58, c. 58v. 16 afsp, Arm. 43, B, 65, s.n. 17 Alla data del 20 luglio 1740 erano stati realizzati i cartoni per le sei lunette e otto cartoni per la volta (afsp, Arm. 43, D, 81, s.n.). 18 afsp, Arm. 50, B, 17, c. 1171 e afsp, Arm. 27, E, 424, c. 78. Per la descrizione dell’esecuzione dei diversi cartoni si veda anche Di Federico 1983, p. 71. 19 Una dettagliata considerazione del vantaggio che avrebbe portato alla Fabbrica la modalità di esecuzione dei cartoni da parte di Trevisani è in afsp, 1 2

Arm. 43, D, 79, n. 19. Oltremodo interessante è una nota del 20 luglio del 1740 con la quale si informa monsignor Altoviti, allora economo e segretario della Fabbrica, della dislocazione dei cartoni di Trevisani già trasposti in mosaico: i cartoni delle sei lunette e alcuni della volta erano conservati in basilica, presso gli ottagoni della cupola della Madonna della Colonna, sede attuale dell’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro; altri cartoni della volta presso lo studio dell’architetto della Fabbrica Antonio Montauti, e i cartoni per il fregio del tamburo, eseguito molti anni prima, nella stanza dello stucco, anch’essa situata in basilica (afsp, Arm. 43, D, 81, s.n.). 20 afsp, Arm. 43, C, 67, s.n. 21 afsp, Arm. 43, C, 67, s.n. 22 afsp, Arm. 43, D, 78, s.n. 23 afsp, Arm. 43, D, 78, s.n. e afsp, Arm. 43, D, 79, s.n.; cfr. anche Di Federico 1983, p. 71. 24 Si veda qui a p.167. 25 Maratta percepì dalla Fabbrica anche 300 scudi «per l’inventione e disegno» della pala realizzata da Passeri (afsp, Arm. 43, A, 52, n° 6). 26 afsp, Arm. 42, G, 36, s.n. 27 afsp, Arm. 42, G, 36, s.n. 28 afsp, Arm. 42, G, 36, s.n. 29 C. Savettieri, Navata meridionale. Cappella del Battesimo..., in Pinelli 2000, p. 522. 30 afsp, Arm. 42, G, 37, s.n. 31 19 novembre 1698: «Essendo stato soddisfatto Carlo Maratta pittore dell’intera mercede del quadro maggiore di mezzo fatto per la Cappella del Fonte Battesimale in S. Pietro, né avendolo sin ora posto in opera, e potendo la Santità di Nostro Signore trasferirsi a S. Pietro, si stima necessario ordinare che detto quadro sia posto nel luogo destinatogli quanto prima acciò la Santità Sua possa vederlo» (afsp, Fortini, Liber decretorum). 32 afsp, Arm. 43, A, 39, s.n. 33 afsp, Arm. 43, A, 39, s.n. 34 afsp, Arm. 43, A, 39, s.n. 35 Bellori 1976, v. 3, p. 220, Pascoli 1730-1736, p. 141. 36 afsp, Arm. 43, C, 73, s.n. e afsp, Arm. 43, C, 75, s.n. 37 afsp, Arm. 43, C, 75, s.n. 38 C. Savettieri, Navata meridionale. Cappella del Battesimo..., in Pinelli 2000, p. 523. 39 Cfr. [Lanzani] 1997; cfr. anche [Lanzani] 1990. 40 afsp, Arm. 42, G, 35, s.n. 41 afsp, Arm. 43, A, 43, s.n. 42 afsp, Arm. 43, A, 41, s.n. 43 afsp, Arm. 43, A, 41, s.n. 44 afsp, Arm. 43, A, 42, s.n. 45 afsp, Arm. 43, A, 43, s.n. 46 afsp, Arm. 43, A, 43, c. 349. 47 afsp, Arm. 43, B, 53, n° 17. 48 afsp, Arm. 43, A, 52, n° 16. 49 afsp, Arm. 43, A, 52, n° 27. 50 afsp, Arm. 43, B, 53, n° 17. 51 afsp, Arm. 43, B, 58, c. 129v. 52 Ottaviani realizzò «alcune teste di quei vecchi, et Angeli, Panni, Campi» (afsp, Arm. 12, G, 14a, cc. 848-849). 53 afsp, Arm. 50, B, 15, cc. 647-649. 54 afsp, Arm. 43, B, 54, n° 29. 55 afsp, Arm. 43, B, 54, n° 29. 56 afsp, Arm. 52, A, 88, c. 47. 57 afsp, Arm. 43, B, 62, c. 272r/v. 58 «Cupola del Signor Franceschini. Questa fu la Cupola della Capella del Coro consistente in sedici cartoni a ragione di scudi 200 per cadauno, in altro quattro cartoni per i sordini a ragione di scudi 150 per ciascuno e compresa la ricognizione l’imballatura, tela, e porto. In tutto gli furono pagati in diverse volte scudi 4042» (afsp, Arm. 12, G, 14, cc. 850-851). 59 afsp, Arm. 43, B, 62, c. 249. 60 afsp, Arm. 43, B, 64, s.n. Un ulteriore pagamento è attestato nell’aprile dell’anno successivo (afsp, Arm. 43, B, 65, s.n.). 61 Cfr. [Lanzani] 1997; cfr. anche [Lanzani] 1990. 62 [Lanzani] 1992. 63 afsp, Arm. 1, A, 3, n° 44, cc. 195-196. 64 afsp, Arm. 17, E, 28, c. 106. 65 Nel settembre del 1667 Cortona aveva ricevuto solo 5200 scudi per i cartoni della cappella del SS.

Sacramento e di San Sebastiano. Successivamente chiese e ottenne una ricompensa totale di 7900 scudi per aver dipinto trentadue cartoni per le volte, otto cartoni per pennacchi, e due cartoni per lunette della cappella di San Sebastiano. Si veda qui a pp. 182, 186. 66 afsp, Arm. 26, D, 292, c. 238 e afsp, Arm. 1, A, 6, n° 60. 67 afsp, Arm. 26, D, 277, c. 298 e afsp, Arm. 26, D, 292, c. 163. 68 afsp, Arm. 26, D, 277, cc. 306, 310, 312. 69 afsp, Arm. 1, B, 16, n° 41. 70 afsp, Arm. 1, B, 16, n° 41, c. 221. 71 afsp, Arm. 1, A, 6, n. 15 e afsp, Arm. 50, A, 13, cc. 113-114. 72 Aveva fatto 165 palmi circa di lavoro (afsp, Arm. 26, E, 313, cc. 31-32v). 73 afsp, Arm. 42, E, 4, c. 46. 74 afsp, Arm. 42, E, 1, c. 370. 75 afsp, Arm. 42, E, 3, c. 199. 76 In merito si veda qui a pp. 188-190. 77 Nell’ottobre del 1665 13 muratori «lavorarono di notte a fare il ponte alla Cuppola del Santissimo, dove cadde un pezzo di musaico» (afsp, Arm. 42, E, 6, c. 49). Il 5 ottobre 1678 venivano pagati uomini per aiutare i mosaicisti nei restauri della cupola del SS. Sacramento «fatti per rimediare, et accomodare il musaico che cadeva, [...]» (afsp, Arm. 42, F, 19, s.n.). Negli ultimi mesi del 1689 si lavorava al restauro dei pennacchi (afsp, Arm. 42, G, 31, s.n.). 78 afsp, Arm. 43, A, 48, s.n. 79 afsp, Arm. 43, A, 48, s.n. 80 afsp, Arm. 16, A, 168, c. 53v. Il 30 gennaio 1692 troviamo infatti un pagamento a dei manovali che «assistono quotidianamente per risarcimento della Cuppola del S.mo Sacramento con mettere stelle chiodi per fermare lo stucco, et altro [...]» (afsp, Arm. 42, G, 33, s.n.). 81 afsp, Arm. 43, A, 48, s.n. 82 afsp, Arm. 43, A, 48, s.n. 83 Nel 1717 vengono pagati i manuali per aver fatto il Ponte reale sopra la cornice del tamburo della cupola del SS. Sacramento per risarcire il mosaico che stava per cadere (afsp, Arm. 43, B, 58, c. 14). Il 20 settembre 1719 vengono pagati alcuni manuali per dividere e ripulire dallo stucco e dalla polvere gli smalti «gettati giù dalla Cuppola del Santissimo Sagramento» (afsp, Arm. 43, B, 60, s.n.). Il 20 marzo 1720 pagati manuali per «fare li calcinari di stucco per darlo addosso alli muri delle Cuppole della Presentatione, del SS.mo Sagramento, e sordino della Cuppola del Coro» «per altri manuali che hanno raschiato li smalti, puliti, e capatili, e metterli nelle sue degradationi per le cuppole del SS.mo Sagramento» (afsp, Arm. 43, B, 61, c. 54v). Il 31 luglio 1720 si paga il coloraro Giacomo Maria Pelucchi «per haver fatto tele di più altezze datevi di colla, et ingessate, cioè n° 4 servite per li cartoni delli sordini della Cuppola del Coro, altre due per li sordini della Cuppola di S. Michele Arcangelo, e due altre per l’abbozzi per la cuppola del SS.mo Sacramento [...]» (afsp, Arm. 43, B, 61, c. 121v). Il 15 dicembre 1720 si pagano due manuali «che tagliano gli smalti per i mosaicisti, fanno i calcinacci di stucco per li muri delle Cuppole della Presentatione, e del SS.mo Sacramento, sordini della Cuppola del Coro, e Triangoli del SS.mo Sacramento» (afsp, Arm. 43, B, 61, c. 265v-266). Il 31 marzo 1721 vengono pagati cinque manuali «che servono li Pittori di mosaico, portano li smalti sopra il lavoro, fanno lo stucco per la Cuppola della Presentatione, triangoli del SS.mo Sacramento, e sordini della Cuppola di S. Michele Arcangelo, e nove manuali che hanno lavorato a fare diversi ponti, cioè il Ponte reale della Cuppola di S. Sebastiano, disfare due ponti ai triangoli della cupola del SS.mo Sacramento, e fare l’altri due incontro per poterli rifare di mosaico» (afsp, Arm. 43, B, 62, c. 43v-44). 84 afsp, Arm. 43, B, 60, s.n. 85 afsp, Arm. 43, B, 62, c. 271. 86 [Lanzani] 1992. 87 Rice 1997, pp. 205-213; Savettieri 2000, scheda n. 1037. 88 afsp, Arm. 1, B, 16, n° 52. 89 afsp, Arm. 26, C, 245, cc. 6v, 69v, 75r. 90 Rice 1997, pp. 205-210. 91 Savettieri 2000, scheda n. 1037.

92 93

afsp,

afsp,

c. 28.

Arm. 16, A, 159, cc. 66v, 107v, 124, 94. Arm. 3, D, 170, n° 3; afsp, Arm. 17, D, 14b,

afsp, Arm. 26, C, 245, c. 117r; afsp, Arm. 26, C, 252, cc. 80v, 86v. Savettieri 2000, scheda n. 1037, p. 701. 96 Il 4 dicembre del 1651 la Congregazione della Fabbrica decise di incaricare, «purché lo voglia» Pietro da Cortona per l’esecuzione dei cartoni delle cappelle della navata maggiore della basilica (afsp, Arm. 16, A, 162, cc. 207v, 252v). 97 afsp, Arm. 1, A, 6, n. 59, c. 215. 98 afsp, Arm. 27, A, 348, c. 20. 99 afsp, Arm. 26, D, 292, c. 238. 100 afsp, Arm. 42, E, 4, c. 18. 101 Piccioni fu saldato per la metà del mosaico della volta e del tamburo della cupola il 22 settembre 1660 (afsp, Arm. 42, E, 1, cc. 307-308). 102 Il 1656 è l’anno di morte dell’Abbatini: il 3 marzo del 1657 furono saldati gli eredi (afsp, Arm. 26, D, 277, c. 345). 103 Cristofari realizzò la parte del corpo della cupola lasciata incompiuta dall’Abbatini (afsp, Arm. 42, E, 1, cc. 305-306). 104 afsp, Arm. 26, D, 277, c. 351. 105 Pagamenti postumi sono stati effettuati nel 1660 agli eredi dell’Abbatini per i pennacchi di Abele e Isaia (afsp, Arm. 42, E, 1, cc. 305-306). 106 Fino ad ora non era stata attribuita la paternità di due pennacchi. Dallo spoglio sistematico della documentazione è stata rintracciata la «misura e stima» dei lavori realizzati in mosaico da Colombo: fra il 1661 e il 1662 realizzò due triangoli «inc[ontr]o il triangolo dell’Abele, et Isaia» (afsp, Arm. 42, E, 3, c. 375). 107 afsp, Arm. 42, E, 2, c. 292. 108 afsp, Arm. 42, E, 4, c. 46. 109 afsp, Arm. 42, E, 4, c. 157; afsp, Arm. 42, E, 3, c. 278; afsp, Arm. 42, E, 4, c. 14v. 110 afsp, Arm. 42, E, 4, c. 46. 111 afsp, Arm. 42, E, 7, c. 60v. 112 Il giorno della festa di San Rocco (16 agosto) del 1666, a soli tre anni dalla fine dei mosaici, i manovali della Fabbrica lavorarono «attorno al musaico caduto» dalla cupola di San Sebastiano (afsp, Arm. 42, E, 7, c. 46r). Il 23 settembre 1671 si costruì un ponte alla cupola di San Sebastiano «per nettare il Musaico e riconoscere il danno che possa aver fatto l’acqua, et il caldo dell’estate, non essendo questa Cuppola ancor difesa come l’altra et altri lavori e risarcimenti che occorrono alla giornata» (afsp, Arm. 42, E, 12, c. 39), ma già nel 1669 lo stesso Cristofari aveva risarcito parte di un mosaico caduto ed aveva fatto «legature di filo di rame con chiodi» per evitare che cadesse un altro pezzo di mosaico accanto a quello già risarcito (afsp, Arm. 42, E, 10, c. 371r). Il 23 agosto 1673 il fattore Giacomo Balsimelli viene pagato «per fare e tirare sopra il Ponte a bilancia alla Cuppola di S. Sebastiano, dove cadde un pezzo di musaico». È lo stesso Cristofari che nel settembre del 1679 risarcisce ancora il mosaico della cupola della nostra cappella e «lava tutta la detta Cuppola» (afsp, Arm. 42, F, 20, s.n.). 113 Si veda qui a p. 181. 114 Tale spiegazione è riportata in una memoria della fine del xvii secolo, legata ai lavori eseguiti sotto l’economato di Vespignani. Quanto successo ai tempi di Berrettini è riportato come avvertimento per le successive realizzazioni di decorazioni in mosaico (afsp, Arm. 49, F, 7, cc. 1048-1055). 115 afsp, Arm. 42, G, 31, s.n. 116 afsp, Arm. 42, G, 37, s.n. 117 afsp, Arm. 43, A, 39, s.n. 118 Adami fu saldato per il lavoro il 24 agosto del 1725 e nel 1726 fece una ricognizione del mosaico da lui stesso rifatto (afsp, Arm. 43, B, 62-67). Successivamente, il 29 gennaio del 1744, si decretò di rifare il mosaico caduto da una lunetta: afsp, Arm. 16, A, 170, c. 4v; nella Congregazione del 29 marzo 1756 si stabilì di rifare «tre angoli della Cuppola di S. Sebastiano» (afsp, Arm. 16, A, 170, cc. 23-26), «li quali erano calcinati, e cadenti» (afsp, Arm. 16, A, 170, cc. 28-38). 119 afsp, Arm. 1, A, 2, n° 12. 120 Sulla vita e attività del Calandra nella Fabbrica di San Pietro si veda Cifani, Monetti 2006. 121 afsp, Arm. 16, A, 159, cc. 166, 169v. 94 95

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Arm. 26, C, 246, c. 33r. Arm. 26, C, 245, c. 114r, 120v, 129v. 124 afsp, Arm. 26, C, 245, c. 120v. 125 afsp, Arm. 16, A, 160, c. 89. 126 afsp, Arm. 1, A, 7. 127 Si veda qui a p. 167. 128 Capitani 2000, schede nn. 1151, 1156-1157, 1180-1184, p. 736. 129 Cfr. [Lanzani] 1999b; cfr. anche [Lanzani] 2003; da ultimo [Lanzani] 2009d. 130 afsp, Arm. 42, E, 7, c. 41. 131 afsp, Arm. 42, E, 9, c. 62r. 132 afsp, Arm. 42, E, 9, c. 334r. 133 afsp, Arm. 1, A, 2, n° 10 e afsp, Arm. 42, E, 10, c. 43. 134 bav, Barb. lat. 6463, c. 157. 135 afsp, Arm. 42, E, 10, c. 55. 136 afsp, Arm. 42, E, 10, c. 60r. 137 Riceve pagamenti per il mosaico eseguito fra il 1661 e la fine del 1662; lavora al tamburo della cupola (afsp, Arm. 42, E, 3, c. 375). 138 afsp, Arm. 42, E, 4, c. 46. 139 afsp, Arm. 42, E, 13, c. 35r. 140 La bolla di indizione del nuovo Anno Santo (Apostolicae vocis oracolum) venne letta nel portico di San Pietro il 3 maggio del 1674, giorno dell’Ascensione del Signore; cfr. Nati, Rossi 1999, p. 101. 141 «Nota di Alcuni lavori imperfetti, necessarij da compirsi dalla R. Fabrica di S. Pietro avanti l’Anno Santo prossimo. E prima nella Chiesa di S. Pietro [...] Finire tutti li Cartoni del musaico nella Cuppola a Cappella del S.mo Crocifisso, cioè nelli sordini, e triangoli, perche non potendosi finire a tempo con li smalti, si possino almeno afligere gl’esemplari, per cuoprire i muri nudi, stando immediatamente sopra la Porta Santa» (afsp, Arm. 1, A, 6, n° 21). Per l’occasione furono anche «lavati» con cenere di feccia (cenere fatta con feccia di vino calcinata) i mosaici della cupola grande (afsp, Arm. 42, F, 15, c. 72r) e fu restaurato il mosaico raffigurante San Pietro collocato sopra la Porta Santa (afsp, Arm. 42, F, 15, cc. 77r, 336r; in merito a questo mosaico attribuito a Giovanni Battista Calandra e restaurato nel 1674 da Fabio Cristofari si veda il saggio P. Zander in questo volume). 142 Nel sommario e ristretto degli smalti occorsi per la decorazione della cupola della cappella del Crocifisso, si dichiara che questa fu terminata entro il 1674 e che nel complesso aveva richiesto l’utilizzo di circa trentamila libbre di smalti; cfr. afsp, Arm. 42, F, 24, s.n. 143 afsp, Arm. 42, F, 22, s.n. 144 Capitani 2000, schede nn. 1151, 1156-1157, 1180-1184, p. 728. 145 afsp, Arm. 42, F, 22, s.n. 146 afsp, Arm. 43, C, 70, s.n. 147 La pala, commissionata per la cattedrale di Narbonne dal cardinale de’ Medici, fu collocata nell’altare principale della chiesa di San Pietro in Montorio nel 1523 e ivi rimase sino al 1797, anno in cui fu portata in Francia come bottino napoleonico, per poi essere riportata in Italia nel 1815 e collocata nella Pinacoteca Vaticana, sua sede attuale; da Savettieri 2000, scheda n. 610, p. 566. 148 afsp, Arm. 27, E, 425, ff. 43r, 45r, 48v; afsp, Arm. 43, C, 76, s.n. 149 Savettieri 2000, scheda n. 610, pp. 565-566. 150 Masucci non terminò la sua copia a «causa delle indisposizioni sopravvenutegli» (afsp, Arm. 12, D, 4c, cc. 117-120). Nella lista delle spese della Fabbrica dell’anno 1744 sono elencate le spese per la copia da lui eseguita del quadro rappresentante la Trasfigurazione (afsp, Arm. 27, D, 412, cc. 586ss.; Liste mestrue 1734 (v. 75), voll. 97-98-100). 151 La relazione di Barigioni è in Liste mestrue 1744 cc. 383-384. Il 30 dicembre 1744 Masucci fu rimborsato del denaro speso per l’affitto della stanza presa per eseguire il lavoro: «Al signor Agostino Masucci Pittore scudi ottantatré b. 25 moneta, quali sono per suo rimborso di tanti pagati per la piggione di anni 9, e mesi tre, a tutto dicembre cadente del fienile o sia stanza ritenuta a piggione dal medesimo per dipengervi la copia del quadro rappresentante la Trasfigurazione di Nostro Signore dipinto da Raffaello, essendoli di già stati pagati scudi 9 per il primo anno maturato a tutto settembre 1735 con lista delli 27 luglio 1735, intendendosi 122 123

afsp, afsp,

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con questo pagamento abolita la suddetta piggione a tutto dicembre 1744 in conformità dell’ordine e giustificazione nella presente lista, scudi 83.25 (Liste mestrue 1744, cc. 32v). 152 afsp, Arm. 12, D, 4c, cc. 117-120. 153 afsp, Arm 16, A, 170, cc. 23-26. 154 afsp, Arm. 12, D, 4c, c.124. 155 afsp, Arm. 16, A, 170, cc. 28-38. Vedi anche Savettieri 2000, scheda n. 610, p. 566. 156 Savettieri 2000, scheda n. 610, p. 566. 157 In realtà il mosaico della Trasfigurazione verrà collocato sopra l’altare della Trasfigurazione (1768) nel posto occupato sino a quel momento dal mosaico raffigurante la Morte di Anania e Saffira, che a sua volta nello stesso anno andrà ad occupare il posto del dipinto del Passignano. Da Chattard (Chattard 1762, pp. 101-102) sappiamo che il dipinto di Pozzi appena terminato (1759) fu collocato per mostra al posto del quadro di Passignano e subito dopo portato allo Studio del Mosaico per essere copiato. Al momento però non è chiaro quale opera abbia sostituito il dipinto di Passignano dal 1759 al 1768. Nel 1826 Briccolani rileva il dipinto di Pozzi nella cappella Paolina al Quirinale da cui provenne quando, dopo il rientro in Vaticano, negli anni Venti del 1900 andò ad arricchire il Museo Petriano che successivamente se ne privò in favore dell’Aula delle Benedizioni in Vaticano; cfr. Savettieri 2000, scheda n. 610, p. 566. 158 afsp, Liste mestrue, anno 1759. 159 afsp, Arm. 43, F, voll. 103, 104. 160 23 dicembre 1765: «Misurato da noi sottoscritti il quadro di Raffaele costituisce riquadrati palmi 604. Tutte le figure sono riquadrati palmi 3491/2. Il campo, e terrazzo di detto quadro sono palmi 2541/2, che assieme sommano li suddetti palmi 604. Filippo Marchionni Ingegnere / Michelangelo Simonetti. Avendo li pittori di mosaico consegnata l’opera di Raffaello d’Urbino rappresentante la Trasfigurazione del Signore, e siccome prima d’incominciarla esposero, che l’opera suddetta esiggeva maggior tempo, e studio per l’altre per la difficoltà delle figure, perciò fu loro promesso che infine del lavoro gli sarebbe stata data una competente ricognizione, sicche essendo stata riconosciuta la detta opera eseguita ad uso di tutta la buon’arte, potrà perciò il computista porre in lista li medesimi Pittori e per essi il signor Giovanni Francesco Fiani, per scudi trecento, avendo li medesimi già conseguita la mercede a raggione di scudi sette il palmo stabilita per i quadri andanti. M.A. Marcolini Economo e Segretario» (afsp, Arm. 43, F, 106, s.n.). 161 Di Federico 1983, p. 77. 162 afsp, Arm, 45, B, 59, n. 105. 163 Baglione 1642, p. 130. 164 Bellori 1976, p. 207. 165 Savettieri 2000, scheda n. 1564. 166 Bellori 1976, p. 207. 167 afsp, Arm. 45, B, 59, nn. 134, 152. 168 afsp, Arm. 45, B, 59, nn. 134, 152. 169 afsp, Arm. 12, G, 14, cc. 354-355. 170 afsp, Arm. 12, G, 14, c. 183. 171 afsp, Arm. 12, G, 14, c. 183. 172 afsp, Arm, 12, G, 14, cc. 334. 173 afsp, Arm. 19, B, 15, n. 315. 174 1821, 4 settembre: Angelo Cartoni, scalpellino, prepara la fodera del quadro in mosaico rappresentante La Deposizione e fa la traccia corrispondente all’altare detto di San Maurizio per porvi il quadro (Arm. 19, C, 10, s.n.). 1821 20 settembre: Francesco Rinaldi, intagliatore, «farà una contro cornice intagliata a norma del disegno del Signor Valadier da porsi al nuovo quadro in mosaico posto all’Altare laterale alla Cappella del SS.mo Sacramento» (Arm. 19, C, 8, n. 423); 1821, 5 novembre: l’indoratore Luigi Sabbatini, nel conto dei lavori eseguiti, dice di «aver dato una mano di colla e cinque mano di gesso alla Cornice del Quadro di Mosaicho rapresentante la Deposizione situato nell’altare laterale alla Cappella del SS.mo Sagramento» (afsp, Arm. 19, C, 8, n. 422). 175 afsp, Arm. 19, D, 13, n. 287. 176 Savettieri 2000, scheda n. 1564, p. 842; Di Federico 1983, pp. 78-79. 177 Arm. 1, B, 14, n° 67, c. 225ab e Arm. 1, B, 16, n° 59. 178 Baglione 1642, p. 333.

Rice 1997, p. 242. Camuccini dipinse il quadro in tela e l’intera opera fu contrattata, nel rescritto del 16 maggio 1806, per 550 scudi, saldati il 9 agosto 1806 (afsp, Arm. 28, B, 473, cc. 462-463). 181 afsp, Arm. 12, G, 14, cc. 52-77, 149-162, 213, 220-221, 223-228, 231-233. 182 Di Federico 1983, pp. 77-78. 183 afsp, Arm. 20, F, 68, n. 3. 184 afsp, Arm. 19, C, 11, n. 434. 185 Riceve altri acconti il 29 novembre 1606 e il saldo finale è del 4 dicembre 1606: afsp, Arm. 17, E, 12, 1603 cc. 4, 6v; 1604 c. 3v; 1606 cc. 15v, 16v; afsp, Arm. 26, A, 178, cc. 87v, 95. 186 afsp, Arm. 84, B, 10, n. 276. 187 Da [Lanzani] 2009c. 179 180

Capitolo quinto Urbano viii Barberini 1623-1644. Cfr. afsp, Arm. 26, C, 252, c. 21v, Arm. 26, C, 246, c. 51r e Arm. 26, C, 252, c. 50v, 53v, 63r, 69r. Cfr. anche Noè 1994, p. 190, Lanzani 2010, p. 77. 2 Cfr. Amato 1988, p. 138. 3 Luca, secondo un’antica tradizione, era originario di Antiochia e collaboratore di Paolo. Fu un medico molto colto e scrisse in un greco purissimo come dimostrano il suo Vangelo e gli Atti degli Apostoli. Particolarmente interessato alla nascita e all’infanzia di Gesù, ci dà il resoconto più completo della vita del Redentore, avendo attinto molte informazioni direttamente da Maria, che Luca considera il personaggio biblico più importante e insigne dopo Gesù. Nelle molte parabole che Luca riporta, vuole mettere in luce soprattutto la misericordiosa bontà del Cristo. Cfr. Principe 2008, p. 41. 4 Una copia di questi, seppure siano mai esistiti, dovrebbe essere quella che si conserva nella chiesa di Santa Maria Nova in Roma. 5 Cfr. Baldinucci 1767, tomo i e Decennale v del secolo ii dal mcccxl al mcccl. Narrazione della fondazione della Compagnia di S. Luca Evangelista, stata istituita, e fondata per la prima volta, nella Città di Firenze da’ Pittori di essa Città l’anno 1349, p. 96. 6 Il Baldinucci (1767, tomo i, p. 105) ci riferisce anche le seguenti notizie: «[...] Che all’ultimo fine dell’uomo conduca, che è appunto l’onore di Dio e l’eterna salvezza nostra, e considerando ancora quanto bene si accomodi col nostro ultimo fine la bell’arte della pittura, di cui è proprio, e principale attributo il rappresentarci le imagini, e l’egregie, e sante operazioni di Dio, e de’ Santi Suoi, con che al culto, ed all’imitazione insieme, per quanto è nostra possa, c’inanimisce, anzi ci sprona; risolsero, per così dire di spiritualizzare l’arte medesima colla fondazione d’una Compagnia sotto l’invocazione dell’Evangelista San Luca, in cui potessero esser descritti tutti coloro che non solo alla pittura, ma anche a cose, che in qualsivoglia modo a disegno appartenessero, non escludendo dalla medesima qualunque si fosse anche artefice di metallo, o legname, nella cui opera o molto, o poco avesse luogo il disegno» (1767, tomo i, p. 98); la compagnia fu consacrata «[...] al nome di Santo Luca, che fu il primo che fra’ cristiani espose all’adorazione imagini di Gesù Cristo, e di Maria Sempre Vergine da se stesso effigiate [...]» (Ibidem). Cfr. anche Decennale v del secolo ii dal mcccxl al mcccl..., p. 96. 7 Cfr. Baldinucci 1767, p. 96. 8 Cfr. Goosen 2000, pp. 224-227 e 240-288: Oltre al Vangelo di Matteo, il Vangelo di Luca è l’unico a riportare notizie sull’infanzia di Gesù. Innanzitutto Luca è l’unico che riporta l’ascensione (Lc 24,5052 e At 1,9-11); inoltre il suo Vangelo manifesta un interesse particolare per i poveri e per le donne intorno a Gesù. In particolare Luca, il cui simbolo e attributo principale è il toro, è patrono dei medici, delle loro facoltà e delle loro comunità, dei macellai (per via del toro) e infine, sulla scia di una leggenda del vi secolo secondo la quale avrebbe dipinto il ritratto della Vergine, dei pittori. All’origine di questa leggenda sta la profonda attenzione espressa da questo evangelista per la madre di Gesù. Dal xv secolo tra gli attributi di Luca compare talvolta una piccola immagine (statua o dipinto) di Maria con il 1

bambino. Svolgono la funzione di attributi anche il rotolo o il codice e gli strumenti della scrittura o della pittura. La festa di San Luca si celebra il 18 ottobre. L’immagine di San Luca che ritrae la Vergine nacque ed ebbe diffusione in Oriente (per es. codice di Patmos, 1427: Luca dipinge un’icona della Vergine) e fu ripresa dall’Occidente. Questa immagine fu amata soprattutto nei secoli xv e xvi, particolarmente nei Paesi Bassi e in Italia. Nei paesi mediterranei in particolare queste raffigurazioni, sotto forma di affreschi o tavole, si conservano ancora, per la maggior parte, nei luoghi originari di destinazione. Alcune opere non raffigurano il momento dell’esecuzione del ritratto, ma l’immagine di Maria che, come attributo di Luca, allude a questo atto. 9 Cfr. Noè 1994, pp. 189-190. 10 Cfr. Noè 1994, p. 189. 11 Cfr. Pisani 2003, pp. 15-16. 12 Cfr. Battaglia 2007, vol. x, mee-moti, pp. 977-979. La tecnica ebbe particolare fioritura nell’arte romana e bizantina e più tardi si avvalse dei disegni e dei cartoni forniti da artisti famosi. 13 Cfr. Baldinucci 1767, p. 102. 14 Cfr. Baldinucci 1767, p. 102. In questo caso si tratta di mosaico di rilievo. 15 Cfr. Baldinucci 1767, p. 102. Il Bartoli sostiene che «sia il musaico di rilievo che quello piano ambedue imitano la pittura con vari colori di pietre, di vetri e di nicchi». Cfr. Bartoli 1550 e anche Battaglia 2007, vol. x, mee-moti, pp. 977-979. 16 Cfr. Baldinucci 1767, p. 102: in particolare l’ar­ te del musaico era già allora considerata come una sorta di pittura ma «la più durevole che si trovava». 17 afsp, Arm. 12, G, 14a, cc. 352-354: breve saggio sul mosaico del 13 maggio 1764 inviato dal cardinal Carlo Rezzonico Veneziano, futuro pontefice Clemente xiii (1758-1769), a mons. Marcantonio Marcolini, economo e segretario della Fabbrica di San Pietro dal 1756 al 1767; il testo continua dicendo: «la pensata è buona e santissima». Cfr. anche Basso 1987, p. 77. 18 Cfr. afsp, Arm. 20, B, 43, gennaio 1845: in una relazione del 9 gennaio 1845 scritta dal Cavalier Filippo Agricola, allora Direttore dello Studio del Mosaico Vaticano, a mons. Lorenzo Lucidi, economo e segretario della Fabbrica di San Pietro e nello stesso tempo presidente dello Studio, si afferma che «l’arte del mosaico è nata qui fra di noi e fu sempre tenuta in tal pregio che la gran mente di Sisto v volle persino accoglierla e darle seggio sublime nel Vaticano, ed i suoi successori mantenerla a ogni costo e perfezionarla [...]». Cfr. anche afsp, Arm. 12, G, 14b, cc. 438-441. 19 Cfr. afsp, Arm. 12, G, 14b, cc. 438-441. 20 afsp, Arm. 12, G, 14, c. 40, L’Album – Roma – Studio del Musaico al Vaticano, Anno xii, 5 aprile 1845: La bellissima arte del dipingere in musaico, da secoli ricoverata e protetta dai Romani Pontefici all’ombra del Vaticano. 21 Cfr. Fabbrica di San Pietro 2008, pp. 5-8. 22 Cfr. Pisani 2003, pp. 15-16. 23 Cfr. Argan 1971, vol. i. 24 «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12), ed ancora: «Dio è luce [...]. Se camminiamo nella luce, come Egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri e il sangue di Gesù, suo figlio, ci purifica da ogni peccato» (1 Gv 1,5-7). 25 I contatti tra le due antichissime Fabbriche di Venezia e Roma erano molto intensi in quel periodo. Cfr. Tedeschi 2007, pp. 21-30. Cfr. anche Valeriani 1999, p. 51. 26 Cfr. Fabbrica di San Pietro 2008, pp. 5-8. 27 Cfr. asv, Segreteria di Stato, Venezia, 20, n. 45, c. 38. «Al Nunzio di Venezia, a x di Maggio [1578] Illustre e molto Reverendo Monsignore La Santità di Nostro Signore fa fare una Capella in la chiesa nuova di S. Pietro, et volendola ornare di figure, et altri fregi di mosaico, fatti per mano di maestri eccellenti /sapendo che costi fioriscono e se ne trovano piu che in ogni altro luogo d’Italia/ mi ha ordinato di scrivere a V.S. che usi exactissima diligenza di trovare sino a quattro huomini intendentissimi, et piu eccellenti che sia possibile ne le cose del detto mosaico, et li mandi qua quanto prima,

dove troveranno i disegni delle figure che si hanno a fare, et potranno subito metter mano a l’opera: et quando non se ne trovassero così al presente quattro, veda in ogni modo di mandarne tre, o dui almeno, et che venghino presto. Dice anchora Sua Santità che con la rispettiva di questa V.S. mandi tre o quattro pezzetti di mostra di mosaico d’oro il più bello che si possa havere acciò se piacerà si possa dar ordine che se ne facci quella quantità che bisognerà. Et sapendo che ne l’una et ne l’altra cosa V.S. non mancherà di usare exquisita diligenza, non mi stenderò in dirle altro, se non che me le offro, et raccomando di bon core. Di Roma». asv, Segreteria di Stato, Venezia, 20, n. 45, c. 38. Cfr. anche per i rapporti tra Venezia e Roma afsp, Arm. 12, G, 14, cc. 1-5: «Nel secolo xvi [il mosaico] fiorì mirabilmente in Venezia, e con l’aiuto delle paste colorate, che ivi si fabbricavano, si sollevò ad un particolare grado di miglioramento, come ad evidenza, lo dimostrano li varj mosaici, che ornano la Chiesa di San Marco. La Scuola Veneziana, che nella pittura risalta per la vivezza del colorito, non è fuori di proposito, che apprendesse lo spirito, e vaghezza delle tinte imitando i vari colori dei mosaici. [...] Fu per consiglio e ad insinuazione del Tiziano, proseguito con maggior impegno l’orna­mento del mosaico nella Chiesa di San Marco, e questo valente pittore dimostrò in ogni occasione la più gran premura acciò fosse coltivata quest’arte in Venezia [...]». In Roma vi era «la mancanza delle paste colorate, che allora (fine 1500) non vi era l’arte di comporle in Roma»; ciò obbligò gli artisti di «servirsi per alcune tinte della pietra detta di cottanella, e per altre tinte di una quantità di smalti fatti venire da Venezia [...]». 28 Cfr. D’Amelio 2002. 29 Cfr. [Noè] 1989a, n. 3, pp. 1-2. 30 afsp, Arm. 25, C, 72, c. 82: L’abbandono dell’incarico da parte del Vignola, seguito a distanza di un mese dalla morte di Pio v, Ghislieri (1566-1572), segnano una nuova serie di importanti cambiamenti: a partire dal 13 luglio 1574, Giacomo Della Porta risulta retribuito in qualità di primo architetto della Fabbrica anche se la vera ripresa del cantiere avviene solo a partire dalla fine del 1575. L’impegno costruttivo, fino al 1588, punterà al completamento del volume basilicale concentrandosi sulle strutture angolari della crociera che vengono portate avanti sinergicamente, a completare i vertici del quadrilatero della basilica, affinché tutto sia pronto per girare la grande cupola. I documenti d’archivio redatti durante la gestione del cantiere risultano essere di carattere contabile in quanto registrano le spese per l’acquisto e la fornitura dei materiali che si accompagnano, generalmente, a una descrizione estremamente sintetica dell’oggetto di spesa. Il forte impulso alla ripresa del cantiere viene direttamente da papa Sisto v, Peretti (1585-1590). 31 Cfr. Chattard 1762, tomo i, cap. xii, pp. 60-64, Della Cappella Gregoriana: «Ed eccoci pur finalmente alla Gregoriana Cappella fondata da Gregorio xiii, da cui ella prese tal denominazione, [...]. Questo Pontefice dopo averla eretta ornolla coll’opera di Giacomo Della Porta Architetto non solo di Cupola e di Volta coperta di stucchi dorati, ma etiandio di preziosi marmi, de’ quali vedonsi mirabilmente rivestite le mura, il pavimento della medesima, e l’Arco a quella contiguo. Asserisce il Torrigio (Torrigio 1639, § 2, p. 177) che «la spesa per questa cappella ammontò a 80 mila scudi. La cupola è di figura rotonda ed è stata la prima ad essere compiuta prima di ogni altra, vedendosi adorna di vari arabeschi, e fogliami tutti dorati. Ella è come la cupola di S. Michele Arcangelo, della Madonna della Colonna, e della Cappella Clementina, di figura sferica nella sua prima apertura, ma ottangolare al di sopra della di lei elevazione». 32 Essa è proprio la testimonianza più chiara della devozione a Maria, quale viene proposta più volte nella basilica vaticana, ed è certamente la cappella più mariana dell’intero edificio basilicale. 33 Pasquale ii, Raniero (1099-1118). Cfr. Annuario Pontificio per l’anno 2010, p. 14*. 34 Cfr. afsp. Arm. 1, B, 18, n. 46, c. 136: in una «Misura e Stima del lavoro fatto in Santo Pietro per mastro Pietro Trevisano et compagni Capomastri muratori della Fabbrica, per me Jacomo Mele-

ghino computista della detta Fabrica in presentia di mastro Vaselio Ceselio secretario della Fabrica predetta et stimato a pretij infrascritti per mastro Battista da San Gallo del 30 dicembre 1535» risulta che già nel 1535 stavano lavorando al «Muro de mattoni fatto intorno ala Cappella della Madonna che è appresso lo altare maggiore di Santo Pietro». 35 Cfr. Savettieri 2000, schede nn. 952-953. 36 Cfr. afsp, Arm. 2, A, 71, c. 567: Fu collocata nel presente luogo nel mese di febbraio 1578: «quelli che hanno più de giornate n. 12 hanno lavorato di notte per causa dell’affrettare la Cappella Gregoriana dove se messo la Madonna del Soccorso». 37 Ostrow nota che questa fu una tipologia di tabernacolo atto a custodire immagini miracolose che riscosse un grande successo in età postridentina, quando il culto mariano e dei Santi viveva una fase di ampio rilancio in funzione antiprotestante. Cfr. Ostrow 1996, pp. 155-156 e Ostrow 2000, schede nn. 938-979, pp. 666-667. Cfr. anche [Noè] 1989a, pp. 1-2. 38 Gli otto cherubini in bronzo dorato sono opera di Sebastiano Torregiani. Cfr. Siebenhüner 1962. 39 Cfr. anche afsp, Arm. 12, D, 4c, c. 94 e afsp, Arm. 12, F, 11, cc. 491-602. Cfr. anche Bonci 2004, pp. 59-62. L’immagine della Madonna del Soccorso verrà incoronata dal Capitolo Vaticano nella cappella Gregoriana il 17 novembre 1643, esattamente un secolo dopo aver «staccato» il suo ritratto dal contesto originario. 40 Cfr. afsp, Arm. 2, A, 71, c. 567. 41 Cfr. Lanzani 2010, p. 10. La quota pavimentale di tale cappella (il cui rivestimento marmoreo con lo stemma del medesimo pontefice reca ancora oggi la data del 1580) segnò in futuro non solo il livello della navata centrale, ma anche quello di tutta la basilica, essendo stato il primo settore ad essere realizzato alla quota indicata circa sessant’anni prima dal Sangallo. 42 afsp, Arm. 16, A, 170, cc. 24-26, Libro delle Congregazione 1744-1760: «Congregazione Particolare dell’11 dicembre 1752: [...] La Cappella della Madonna Gregoriana è stata nobilitata ed arricchita da Gregorio xiii, il quale voll’espressi in Musaico negli Angoli della Cuppola quattro Dottori due latini, e questi S. Gregorio Magno, e S. Girolamo; due greci, e questi S. Basilio, e S. Gregorio Nazianzeno opera di Girolamo Mutiani, ma non delle più applaudite [...]». 43 afsp, Arm. 1, D, 34, c. 457. Cfr. anche asr, Camerale i, Tesoreria Segreta 1305, f. 73: «25 aprile 1578 – A Sta di N. S. Papa prego di dare a di detto scudi quatrocento e otto e b. quaranta cinque di moneta di mente di Nostro Signore et ordine del Signore Nostro di Camera pagati a Mercurio Rejmondo al quale si sono pagati perché ne possa e debba pagarne vari homini che giornalmente lavorano de stuccho, muratori, scarpellini, segatori, lustratori, et altre spese che si fanno a la Fabrica et ornamento della Capella Gregoriana di Sua Beatitudine in S.to Pietro». 44 afsp, Arm. 25, C, 79, c. 47r passim: «mastro Marino chiavaro in borgo vechio» doveva fare «una serratura alla porta delli pittori» che dovevano ivi lavorare e doveva preparare «due serrature maschie per le porte dove dorme il vetraro» e «4 bandele e 4 cancani» sempre «per le stanze del vetraro». «Mastro gisepo falegname» consegnava intanto diverse «robe a mastro gapei musaicere: una tavola d’onta­no con 5 trespoli che serve per capare il mosaico, 2 bancete» di castagno per far «sedere quelli che capano il mosaico, una finestra d’ontano, due sparbieri da sbucio, 6 cassette con trentasei cassettini» ognuna, e «4 store» per i capatori di mosaico; e ancora «smalti, terra gialla, setole per fare i pennelli, spago per legare i pennelli, martelline» e «una rota» per arrotarle. Venivano inoltre acquistati «vernice, minio» e «targinio», della «bambagia» per coloro che dovevano mettere l’oro, alcuni cartoni e della «colla caravela, carta reale», tavolette per fare le righe, terra gialla, trementina, smalti. Da la bottega di «messer Pietro Putini» venivano comprati «vetriolo, alume di roccha, fumo, cinabro, galolino, sale armoniaco, solimato, catini e pimatini, fiaschi grandi, stanio a bruciato e rota provenzale; da mastro guglielmo da riva le uova per fare el bolo e i corteli per taliare li cartoni»; da «mastro

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isepo falegname» prendevano il legno, da «mastro micele ferraro a samartinelo» e da «mastro marino cavaro» sempre «a samartinelo» prendevano i ferramenti, dalla bottega di «mastro Antonio Mabrila in Navona» le bandele e i cancani, dalla bottega di «mastro Benedetto Copelaro a samartinelo» i secchi «per lavare el musaico cerchiato di fero». 45 Per la spiegazione e la comprensione di alcuni termini utilizzati nella descrizione del cantiere cfr. Marconi 2008, pp. 125-152; cfr. anche Battaglia 2007, ad vocem. Cfr. afsp, Arm. 25, C, 79, c. 47r passim. 46 Da una nota del 13 maggio 1578. Cfr. afsp, Arm. 25, C, 79, c. 47r passim. 47 La fornace era situata all’incirca dietro l’abside della basilica nel lato sud-ovest nell’attuale piazza Santa Marta. Cfr. afsp, Arm. 1, F, 46, c.205. 48 I nomi delle persone sono riportati così come trascritti nei documenti dell’Archivio della Fabbrica di San Pietro. I cognomi di molti indicano generalmente la provenienza degli stessi, soprattutto la città o il paese da dove venivano. afsp, Arm. 25, C, 79, c. 73v e c. 74r: Dal 24 marzo per tutto il 4 aprile 1578 vengono pagati a b. 71/2 la giornata «li omini del datario che capono el musaico per la capella gregoriana in San Pietro: Agostino di Lelio Perugino, Domenico di Fabrizio Rugiero, Lodovico di Pulita da Lasera, Giobatista di Marco, Pietro Francesco da Trevi, Aniolo Paschale da Norcia, Aniolo e Nicolo da Lex.ro, Marino Maroro di Ceco col fratelo, Francesco e Marco Dadrea Perugino, Francesco Granoto del Regnio, Quido in Salvo Martini, Paulo di Micele Lucese, Gulio di Margute Perugino, Francesco di Gorgio Vitale, Giova Grazia Cartaginese, Bramante Dantonio e Pietro Santi, Antonio di Guliano Lucese el fratelo, Martino di Ceco da la Pieve Lucese». Dal 5 al 19 aprile vengono pagati a b. 71/2 la giornata «li omini del datario che capono el musaico per la capella gregoriana in San Pietro: Antonio di Guliano col suo fratelo, Martino di Ceco da la Pieve Lucese, Pompilio di Salvato, Paulino di Micele Lucese, Hetore Curcio da Pulicastro, Tomaso di Mateo Ferarese». Dal 3 di giugno fino alla fine del mese vengono pagati a b. 71/2 la giornata «li omini del datario che capono el musaico per la capella gregoriana in San Pietro: Paulo di Gianaiolo, Antonio di Giamaria, Gulio Perugino, Jerolimo Menafra, Vincenzio di Nardo, Jacomo da Uria e Paulo Latino». 49 Cfr. anche asr, Camerale i, Tesoreria Segreta 1305, f. 77v: x maggio 1578 «E a di detto scudi cento d’oro in oro in scudi 23 di moneta di mente et mandato quale di N. S. et ordine del Signore nostro di Camera pagati a Gio. Cappei sono per la sua provisione del presente mese per haver a fare in mosaico o pittura nella cappella gregoriana e continuare sino a che non si ha altro ordine come per mandato quale s. 23». 50 afsp, Arm. 17, F, 32, vii. Cfr. anche asr, Camerale i, Tesoreria Segreta 1305, f. 73v: 27 aprile 1578 «a di detto scudi vinticinque di moneta di mente di N. S. et ordine del Signore Nostro di Camera pagati a Targinio di Christoforo vetraro al quale si sono pagati a bon conto di più strumenti da farsi per lui per posser comentare a lavorare il mosaico che si ha da fare per ornamento della cappella gregoriana». 51 La registrazione di alcuni piccoli lavori e di alcuni pagamenti arrivano però fino all’anno 1579. 52 afsp, Arm. 25, C, 79, cc. 47r passim. 53 afsp, Arm. 25, C, 79, c. 72r: 22 maggio 1578 giorno in cui vengono presi «2 arcarecioni lunghi palmi 47 l’uno dal magazzino di messere Orazio Cianti per mettere per saetoni al ponte del musaico». 54 Cfr. Turcio 1946, p. 104. Cfr. anche 17 agosto 1578 «E a di 19 detto scudi 25 d’oro in oro de parola di N. S. pagati a Hier.mo Muziano pittore al quale Sua Beatitudine ha fatto darsi per la sua provvisione del presente mese per le fatiche che fa per la Capella Gregoriana di N. S. in Santo Pietro al quale si ha da pagare scudi 25 simili ogni mese il primo di 7bre prossimo come per mandato quale firmato da N. S. questo di detto scudi 27.50» (asr, Camerale i, Tesoreria Segreta 1306, f. 16v); mandato di pagamento asr, Camerale i, Tesoreria Segreta 1307, f. 50. 55 Girolamo Muziano da Brescia (1528-1592). 56 Muziano, Girolamo, pittore 1578: 17 agosto 1578

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«E a di 19 detto scudi 25 d’oro in oro de parola di N. S. pagati a Hier.mo Muziano pittore al quale Sua Beatitudine ha fatto darsi per la sua provvisione del presente mese per le fatiche che fa per la Capella Gregoriana di N. S. in Santo Pietro al quale si ha da pagare scudi 25 simili ogni mese il primo di 7bre prossimo come per mandato quale firmato da N.S. questo di detto scudi 27.50» (asr, Camerale i, Tesoreria Segreta 1306, f. 16v) mandato di pagamento asr, Camerale i, Tesoreria Segreta 1307, f. 50. 57 Cfr. afsp, Arm. 12, G, 14c, 583-587. Borghini 1584, p. 577 e Tedeschi 2007, p. 25. 58 Muziano è autore del quadro dell’altare di San Girolamo ricopiato da Luigi Vanvitelli nel 1727: cfr. afsp, Arm. 27, E, 425, c. 1. Il 5 maggio 1727 infatti Luigi Vanvitelli pittore riceve denaro «a conto della copia del quadro dell’altare di S. Girolamo del Muziani che dal medemo si fa per servizio della Reverenda Fabbrica»; afsp, Arm. 43, C, 68, s.n. 59 Nel vii secolo nascono le grandi feste dedicate a Maria: la Natività (8 settembre), l’Annunciazione (25 marzo), la Purificazione (Candelora; 2 febbraio), la Dormizione, in seguito detta Assunzione al cielo (15 agosto), fino, nel xix secolo, all’Immacolata Concezione (8 dicembre). Le più antiche immagini di Maria sono funzionali, nel senso che sono in primo luogo raffigurazioni di una Madre con il Bambino, da sola o entro cicli (Natività). Cfr. Goosen 2000, pp. 224-227 e 240-288. 60 afsp, Arm. 26, A, 174, c. 71v. 61 afsp, Arm. 26, C, 246, c. 31r; afsp, Arm. 26, C, 245, c. 111r; afsp, Arm. 26, C, 252, c. 29r.; Arm. 26, C, 252, c. 38v. 62 asr, 30 Notai Capitolini, Uff. 38, vol. 5, c. 232, notaio Paulus Roverius. 63 afsp, Arm. 1, A, 3, n. 20, cc. 60-61 e Arm. 1, B, 18, c. 354. Cfr. Per Gio. Batta Ricci da Novara anche tmb, vol. 28, 1934, p. 248. I lavori continuano almeno fino al 1621. 64 afsp, Arm. 26, C, 245, c. 76r e passim. 65 afsp, Arm. 26, D, 277, c. 294 e Arm. 1, A, 6, n. 61: il lanternino della cupola della cappella Gregoriana era «alto circa palmi 30 e 40 di circuito: piedistalletti, mascherine, 8 pilastrelli, capitelli ionici, architrave, una Gloria di Cherubini con lo Spirito Santo, archetti delle 8 finestre, puttini dentro fogliami, e ombrato dove ha bisogno l’oro». 66 Precisamente dal 27 luglio 1690 a tutto il 23 gennaio 1691. 67 afsp, Arm. 42, G, 32, s.n. e afsp, Arm. 43, A, 40, s.n.: «per aver rinettato, pulito, lavato con lescia per levargli la polvere incozzata che vi era sopra, e asciugato con sponga e rifatto di musaico n. 20 lettere in uno di detti sordini [...]». 68 afsp, Arm. 43, A, 52, n. 6; Arm. 43, A, 52, n. 27. 69 afsp, Arm. 43, B, 53, n. 8. 70 afsp, Arm. 43, B, 58, c. 369v; Cfr. anche afsp, Arm. 43, B, 58, c. 448: «Per haver fatto una cornice nova di rame et indorata a macinato per la Madonna SS.ma della Gregoriana che stenne palmi 9 e 1/4 di contorno di faccia 11/60 d’angolo 1/12 con sue vite n. 6 saldate ad argento alla medesima cornice ovata con suo battente che va fino dentro il cristallo, e per haver fatto i modelli novi per la medesima e per essere andato più volte a misurare in tutto scudi 40». 71 Le Litanie Lauretane: papa Sisto v le approvò con un decreto pontificio nel 1587. La Chiesa cattolica ne raccomanda la recita alla fine del rosario. papa Leone xiii, in particolare, le raccomandava per il mese di ottobre. Infatti è durante questo mese che la Chiesa cattolica festeggia la Madonna del Rosario, la cui memoria cade il 7 ottobre. Per l’argomen­ to in generale cfr. Basadonna, Santarelli 1997. 72 Cfr. Ostrow 1996, pp. 155-156 e Ostrow 2000, schede nn. 970-978. 73 Marcantonio Marcolini fu economo e segretario della Fabbrica di San Pietro dal 1756 al 1767. 74 afsp, Arm. 16, A, 170, cc. 24-26, Libro delle Congregazione 1744-1760: «Congregazione Particolare dell’11 dicembre 1752: n. 11: Anche col fine di occupare i detti professori di mosaico si sono nelle settimane passate risarciti tutti i piccioli danni, che nella visita generale, minutamente fatta, si seppero rinvenire. Nella cupola della Madonna Gregoriana apparisce con pregiudizio notabile, avendo essa tutti quattro i suoi angoli calcinati, e cadenti. L’o-

pera è del Muziani, ed il lavoro ascende a più migliaia di palmi, rappresentandosi i quattro antichi Dottori della Chiesa, S. Gregorio, S. Girolamo, S. Basilio, e S. Gregorio Nazianzeno, de quali li originali cartoni non si rinvengono. Si giudica atto a copiare l’angoli del Muziano Giuseppe Pozzi, e si stabilisce, che la suddetta Cuppola si rifaccia». «[...] La Cappella della Madonna Gregoriana è stata nobilitata e arricchita da Gregorio xiii, il quale voll’espressi in Musaico negli Angoli della Cuppola quattro Dottori due latini, e questi S. Gregorio Magno, e S. Girolamo; due greci, e questi S. Basilio, e S. Gregorio Nazianzeno opera di Girolamo Muziani, ma non delle più applaudite. Sarebbe necessario rifare li suddetti quattro angoli, che sono calcinati, e cadenti, onde si potrebbe far prendere l’idea de medesimi, e forse migliorarli da uno de due Professori Pozzi, e poscia di nuovo porli in mosaico. Questo lavoro si giudica ancora necessario in vista del riattamento, che fra poco dovrà farsi alla Cuppola dirimpetto detta della Gregoriana, la quale è molto pregiudicata ne mosaici; onde in questa occasione si propone altresì di aggiungere ad ambedue queste cuppole qualche ornamento, che faccia semitria, e che renda queste due Cuppole meno dissimili dalle altre cuppole della Chiesa, le quali sono magnifiche, e ricchissime d’oro. Risoluzione: Che nella Cuppola della Madonna Gregoriana si rifaccino in mosaico li quattro angoli, che sono calcinati e cadenti, facendone fare i bozzetti da Giuseppe Pozzi, ora meno occupato, e degualmente stimabile. Nel resto, si concede quando si porrà mano all’opere di uniformare in ornato, e semetria le due Cuppole». 75 afsp, Arm. 16, A, 170, cc. 26, 36v. 76 afsp, Arm. 43, F, 106, s.n. 77 Nicola La Piccola 1730-1790. 78 afsp, Arm. 43, G, 111, cc. 74, 97, 241. 79 afsp, Arm. 43, G, 112, cc. 97, 221, 367 e Arm. 43, G, 113, cc. 177 e 277. 80 afsp, Arm. 44, A, 117, s.n. 81 Egli completò i lavori tra il 1770 e il 1779. 82 afsp, Arm. 43, G, 116, s.n. 83 Per l’argomento in generale cfr. Basadonna, Santarelli 1997. 84 Clemente viii, Aldobrandini (1592-1605). 85 La cappella Clementina nei documenti dell’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro viene indicata come la «cappella di rincontro la Gregoriana». 86 asr, 30 Notai Capitolini, Uff. 38, vol 5, c. 4. 87 afsp, Arm. 26, A, 171, cc. 10, 14. 88 afsp, Arm. 26, A, 171, cc 12, 15, 32, 75. 89 afsp, Arm. 26, A, 174, c. 22v. 90 Cfr. afsp, Arm. 42, G, 33, s.n. 91 Per il Cavalier D’Arpino cfr. afsp, Arm., 26, A, 178, c. 11r, Arm. 26, A, 183, c. 82r, 138v, Arm. 26, B, 185 c. 93v e passim, Arm. 26, B, 195, cc. 19, 36, 54, 67v, 72v, 84, 90v, 100, 114. Per Orazio Gentileschi cfr. afsp, Arm. 26, B, 195, cc. 51, 53, 56, 58, 64, 68v, 70. 92 Innocenzo viii Cibo 1484-1492. 93 Cfr. afsp, Arm. 1, A, 8, n. 60, cc. 231-232. 94 Rice 1997, pp. 198-199. 95 Cfr. [Noè] 1991f, n. 7, pp. 1-2; cfr. anche Capitani 2000, schede nn. 443-472. Tali testi raggiunsero grande popolarità nel Medioevo grazie alla Leggenda Aurea. 96 Da lì la Presentazione della Beata Vergine Maria divenne una memoria liturgica della Chiesa cattolica di origine devozionale, celebrata anche dalla Chiesa ortodossa come Ingresso della Madre di Dio al tempio, che ricordava la presentazione di Maria al tempio di Gerusalemme. Viene celebrata il 21 novembre di ogni anno da entrambe le Chiese. La giornata è diventata la festa della Presentazione di Maria al Tempio ed è stata dedicata dal pontefice Giovanni Paolo ii a tutte le donne religiose, in qualità di giornata Pro orantibus. 97 Cfr. afsp, Arm. 26, C, 247, c. 40v, 52v, 58r, Arm. 26, C, 246, c. 21r, Arm. 26, C, 248, c. 10r, 15v, 40r, Arm. 26, C, 245, c. 50r, 51v, 53v, 61v, 64r, c. 72r e Arm. 26, C, 248, c. 33v, 45r, 51v, 57v. 98 Il 14 maggio del 1627 veniva dedicato l’Altare alla Presentazione della Vergine. 99 Cfr. afsp, Arm. 16, A, 159, cc. 91, 94. Intanto tra il 1628 e il 1632 il Bettoni e Francesco Castelli venivano pagati per aver fatto alcuni lavori

all’Altare della Presentazione della Vergine: Cfr. Arm. 26, C, 245, c. 82r: nel 1628 il Bettoni riceve denaro «per lavori fatti all’altare della Presentazione della Beata Vergine dipinta dal Cavalier Passignano»; afsp, Arm. 26, C, 245, c. 122v: nel 1629 riceve denaro «per resto di dui conti di lavori fatti all’altare della Presentazione della Madonna per una voltarella di peperino alla fonderia». Francesco Castelli invece nel 1628 riceve denaro per lavori fatti all’Altare della Presentazione della Beata Vergine dipinta dal Cavalier Passignano (afsp, Arm. 26, C, 245, c. 82r); nel 1630-1632 «A Francesco Castelli scudi venticinque moneta per disegnare in grande l’intagli che ha fatto in grande» (asr, Camerale iii, Chiese e Monasteri, Busta 1912, fasc. 12). 100 [Noè] 1991f, n. 7, pp. 1-2. Secondo il Nissman 1979, pp. 199-200, il Pollack 1931, pp. 218-219, nn. 668-672 e la Rice 1997, pp. 202-203, la pala in mosaico venne realizzata troppo velocemente e a olio su muro. Questa è la ragione per la quale il dipinto si deteriorò presto. Una volta installata, l’ope­ra suscitò le critiche di Michele Lonigo, che sostenevano una pretesa infrazione del decorum in cui Passignano sarebbe caduto più volte. Cfr. Savettieri 2000, scheda n. 468 e Rice 1997, pp. 311314. 101 Francesco Romanelli fu discepolo di Pietro da Cortona che fu dunque suo maestro. Ciò è confermato da una lettera scritta dall’artista Ciro Ferri ai cardinali della Fabbrica il 26 novembre 1681, in cui il Ferri chiede di essere pagato 1000 scudi come somma data a tutti gli artisti come Pietro da Cortona, Francesco Romanelli, il Lanfranco, il Baglioni e il Domenichino, per i lavori dei cartoni preparatori dei mosaici. Ivi emerge la suddetta notizia. Alla fine del suo lavoro anche il Ferri verrà comunque pagato con 1000 scudi per i cartoni della cupola del Santissimo Crocifisso. Cfr. afsp, Arm. 42, F, 22, Lista delle Giustificazioni del novembre 1681. 102 Cfr. afsp, Arm. 26, D, 272, c. 106r, Arm. 26, D, 276, c. 54, Arm. 26, D, 277, c. 40, Arm. 26, D, 272, c. 137r, 139r, Arm. 26, D, 276, c. 54 e Arm. 26, D, 277, c. 86. 103 In quel giorno la Congregazione della Fabbrica gli assegnava la somma di scudi 1000 per la realizzazione della tavola a lui richiesta. Cfr. afsp, Arm. 26, D, 276, c. 54, Arm. 29, B, 618, c. 215, 218. 104 Cfr. afsp, Arm. 43, C, 69, s.n. Per il lavoro fatto egli riceve circa 5300 scudi. 105 Cfr. afsp, Arm. 43, C, 67, s.n. 106 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 66, s.n. e Arm. 43, B, 67, s.n. 107 Cfr. afsp, Arm. 42, F, 22, s.n. 108 Cfr. afsp, Arm. 42, F, 22, s.n. 109 Cfr. afsp, Arm. 27, B, 359. 110 Cfr. afsp, Arm. 27, B, 375, cc. 170, 193 e 199, Arm. 42, F, 25, s.n., Arm. 42, F, 26, s.n., Arm. 42, F, 27, s.n., Arm. 42, F, 28, s.n., Arm. 42, G, 29, s.n., Arm. 42, G, 30, s.n. 111 Cfr. afsp, Arm. 42, G, 31, s.n. e Arm. 27, B, 375, c. 269v. 112 Cfr. afsp, Arm. 16, A, 167, cc. 174, 191v, 196, Arm. 27, C, 391, c. 166v. 113 Cfr. afsp, Arm. Arm. 52, A, 88, f. 3-4: 24 maggio 1704. 114 Cfr. afsp, Arm. 43, A, 45, s.n., Arm. 27, C, 403, cc. 12, 103v, 125, 128 e 175 e Arm. 27, C, 396, c. 59. 115 Cfr. afsp, Arm. 56, F, 389, 85v. 116 Cfr. afsp, 43, B, 54, n. 28. 117 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 62, c. 165v. La patente di soprintendente del mosaico alla cupola della Presentazione gli venne data dal cardinale Albani, prefetto della Fabbrica, il 26 gennaio 1721. 118 Cfr. asv. spa, Computisteria 3035, c. 3. Cfr. Anche afsp, Arm. 43, B, 65, s.n.; cfr. afsp, Arm. 43, C, 67, s.n. 119 Cfr. afsp, Arm. 43, C, 68, s.n. 120 Cfr. afsp, Arm. 42, F, 23, s.n. 121 Cfr. afsp, Arm. 42, F, 23, s.n. e Arm. 42, F, 28, s.n.: dal 1682 al 1687. 122 Cfr. afsp, Arm. 42, F, 24, s.n.; cfr. afsp, Arm. 42, G, 29, s.n. 123 Nel 1691 viene steso un bilancio del Signore Fabio Christofari Pittore «per li musaici fatti per servitio della Reverenda Fabrica di San Pietro dal 18 febbraio 1682 a tutto dicembre del 1688 che riafsp,

assume tutti i lavori fatti dall’artista per la Cupola della Cappella della Presentazione della Vergine: dal di sotto dell’architrave del tamburo della cuppola sino l’imposta dell’arconi nella cuppola della Presentazione della Beata Vergine nella Chiesa di S. Pietro consistente detti lavori nel Musaico figurato delli quattro triangoli nundimeno sei sordini dalle parti delle finestre, zoccolo sopra la cornice, campi d’oro dalle bande delle fenestre, e nicchie del tamburro, sodi tra l’intercolumni de pilastri in detto tamburro, e fregio tra l’architrave, e cornice sopradetti triangoli. Il tutto in conformità de Cartoni». 124 CFr. afsp, Arm. 42, G, 30, s.n. 125 Cfr. afsp, Arm. 42, G, 31, s.n. 126 Cfr. afsp, Arm. 43, A, 45, s.n. 127 Il 4 marzo del 1705: cfr. afsp, Arm. 43, A, 46, s.n., Arm. 43, A, 46, s.n. Cfr. anche afsp, Arm. 43, A, 46, s.n.: 27 marzo 1705, scudi 100 per il cartone della Vergine. 128 Saldo finale all’artista: cfr. afsp, Arm. 43, A, 51, n. 30. 129 Cfr. afsp, Arm. 43, A, 52, n. 20. Un resoconto del lavoro fatto dal mosaicista Giuseppe Michele Conti del novembre 1714 riporta la descrizione analitica di tutta la sua opera: «Misura e stima di tutta quella portione di lavoro di musaico, che il Si- gnore Giuseppe Conti sino al sudetto giorno ha fatto con li cartoni del quondam Signor Cavaliere Carlo Maratti nella Cuppola della Presentatione della Beata Vergine in S. Pietro con haver fatto di musaico li quattro cartoni principali, che sono nel mezzo di detta cuppola dove è figurato il Dio Pa- dre con Angeloni attorno, e dove è figurata la Ma- donna Santissima con angeli sopra, e teste di che- rubini, e fatto tutto il giro attorno l’occhio del lan- ternino di detta cuppola ornato con teste de cherubini con intreccio di palme, gigli, rose, et altro, e fatto alcuni angeloni tanto dalla parte di Dio Pa- dre, quanto dalla parte della Madonna Santissima. Il tutto fatto con ordine della Sacra Congregatione della Reverenda Fabrica [...]»; cfr. AFSP, Arm. 43, B, 55, c. 303. Il 17 settembre 1715 viene ancora pa- gato per «un pezzo a mano destra del Dio Padre, dove è figurato un Angelo anzi in sedere con panno giallo cangiante, e veste pavonazza [...]»; cfr. afsp, Arm. 43, B, 56, c. 300. Cfr. anche per il 1716 afsp, Arm. 43, B, 57, c. 130v. 130 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 61, c. 53v. 131 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 56, c. 311v, Arm. 43, B, 57, c. 61, Arm. 43, B, 58, c. 58, Arm. 43, B, 58, c. 216v, Arm.43, B, 58, c.358 e Arm.43, B,59, c.10: dal 6 giugno 1715 al 16 marzo 1718. 132 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 57, c. 364 e Arm. 43, C, 70, s.n.: dal 24 settembre 1716 al 18 dicembre 1729. Interessante è un pagamento del 29 luglio 1723 in cui a Domenico Gossoni danno 30 scudi per andare a «Cottanella a proveder pietre carnagioni [...]»; cfr. afsp, Arm. 43, B, 64, s.n. 133 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 61, c. 168v e Arm. 43, B, 66, s.n.: dal 26 marzo del 1720 al 24 agosto 1725. 134 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 58, c. 216v e Arm. 43, C, 67, s.n.: dal 16 luglio 1717 al 25 settembre 1726. Interessante è un documento dove si riassume la sua parte di mosaico nella cappella della Presentazione: «[...] nella Cuppola di Carlo Maratta sotto i piedi di S. Michele ho fatto tre figure rappresentanti tre Demoni, e l’Angelone che li fulmina, la metà di quell’altro Demonio, che sta d’appresso, con la me- tà d’un Angelone, che lo caccia, ed anche la testa d’un altr’Angelo, che caccia il medesimo Demonio, siccome ancora tutto il Demonio, che precipita a capo all’ingiù tutto nudo, che sta sotto all’Idra, e fi- nalmente alcune gambe delle medesime figure, nuvole e stelle». Lavoro figurato di mosaico. Cfr. afsp, Arm. 12, G, 14a, cc. 848-849, sine data. 135 Cfr. afsp, Arm. 27, B, 400, fascicolo sciolto fra ff. 190v-191r: 10 dicembre 1722 «Misura e stima del lavoro di musaico parte figurato parte piano fatto per servitio della Reverenda Fabrica di San Pietro dal Signor Matthia De Rossi nella Cuppola della Presentazione della Beata Vergine nella Chiesa di San Pietro, misurato e stimato da me sottoscritto, secondo suoi soliti prezzi, et in conformità del lavoro: per il lavoro di musaico figurato fatto nella suddetta Cuppola dove è un angelo volante con pannino verde cangiante [...] quale si deve rifare

essendo che non è a soddisfatione del Sig. Giuseppe Chiari Pittore [...]». Cfr. anche afsp, Arm. 43, B, 60, s.n. e Arm. 43, B, 66, s.n.: dal 20 settembre 1719 al 7 aprile del 1725. 136 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 65, s.n. e Arm. 43, C, 69, s.n.: dal 27 luglio del 1724 all’8 gennaio del 1728 «compresovi il lavoro tra li candelieri e festoni». 137 12 luglio 1725: Stima dei lavori fatti dai seguenti mosaicisti per la cupola della Presentazione della Vergine Maria: Gioseppe Conti: palmi 27711/2 scudi 1662.90; Leopoldo Del Pozzo: palmi 3241/4 scudi 194.50; Domenico Gossoni: palmi 922 scudi 553.20; Mattia Moretti: palmi 3751/4 scudi 225.20; Giuseppe Ottaviani: palmi 7221/4 scudi 433.35; Mattia de Rossi: palmi 1172/3 scudi 70.60; Prospero Clori: palmi 852/3 scudi 51.40 [...]». Cfr. afsp, Arm. 43, B, 66, s.n. monsignore Ludovico Sergardi economo e segretario della Fabbrica di San Pietro dal 1713 al 1726. 138 [Lanzani] 2004. 139 Sisto iv, Della Rovere (1471-1484). 140 Gregorio xv, Ludovisi (1621-1623). 141 Cfr. [noè] 1989c. 142 Cfr. afsp, Arm. 16, A, 159a, c. 67v: 13 marzo 1624. 143 Cfr. afsp, Arm. 1, A, 2, n. 7. 144 Cfr. afsp, Arm. 26, C, 246, c.9v, Arm. 26, C, 247, c.10v e Arm. 26, C, 245, c. 20r. 145 Cfr. afsp, Arm. 1, A, 2, n. 5. Il «re cristianissimo» era Luigi xiii di Borbone, detto il Giusto, Fontainebleau 1601-Saint-Germainen-Laye 1643. 146 Cfr. afsp, Arm. 16, A, 159a, c. 94v e Arm. 1, B, 16, n. 48. 147 Cfr. afsp, Arm. 26, C, 234, c. 40r, passim e Arm. 26, C, 248, c. 9v, 15r, 21r, 26v, 33r. 148 Pietro Bianchi, 1694-1740. 149 Cfr. afsp, Arm. 43, D, 82, n. 20. 150 Cfr. afsp, Arm. 43, D, 85, c. 6v. 151 Cfr. afsp, Arm. 43, D, 86, s.n. e Arm. 43, D, 85, c. 6v. 152 Cfr. afsp, Arm. 43, D, 86, s.n. 153 Cfr. [Noè] 1989c. Cfr. anche [Noè] 1990d. Cfr. anche Forti 2010. 154 [Zander] 1996, n. 12, pp. 2-3. 155 Grimaldi 1972, p. 227: il Grimaldi ricorda che «la pia mano di un antico pittore l’aveva dipinta su una delle colonne maggiori che sostengono la basilica [costantiniana e medievale] e, in particolare, sulla terza a sinistra per chi entra». 156 afsp, Arm. 26, A, 183, c. 25v. 157 afsp, Arm. 16, A, 159a, c. 10. 158 Grimaldi 1972, p. 227. 159 Gregorio xiii, Boncompagni (1572-1585). 160 Innocenzo x, Pamphili (1644-1655). 161 afsp, Arm. 27, C, 396, c. 154. 162 Paolo vi, Montini (1963-1978). 163 Cfr. afsp, Arm. 16, A, 160, cc. 56v e 74. 164 Cfr. afsp, Arm. 26, C, 252, c. 60r. 165 Cfr. asr, Camerale iii, Chiese e Monasteri, Busta 1912, fasc. 12. Cfr. anche afsp, Arm. 26, D, 272, c. 10v, Arm. 26, D, 272, c. 25v. Cfr. anche afsp, Arm. 2, A, 73, cc. 49 e 85: L’artista viene saldato 200 scu- di il 12 maggio del 1635 per il cartone del suddetto Santo. 166 Cfr. afsp, Arm. 26, C, 246, c. 33r, Arm. 26, C, 245, c. 75r, 83r, 89r, 92v, 96r, c. 99r, 102r, Arm. 26, C, 252, c. 89v e c. 96r. 167 Cfr. afsp, Arm. 2, A, 73, cc. 49 e 85, Arm. 26, C, 252, c. 39r, 41v, 44v, 47v, Arm. 1, A, 3, ff. 63-70, Arm. 26, C, 252, c. 54r, c. 80r, 82v, c. 96r, c. 98r, c. 106v, c. 109r, c. 121r, c. 123r, 126r, 128v, 130v, 132r, Arm. 1, B, 16, n. 42. Cfr. anche afsp, Arm. 26, C, 252, c. 135v, 138r, 142r: mosaico di San Ciril- lo saldato il 2 maggio 1634. Cfr. anche afsp, Arm. 26. D, 272, c. 40r e c. 46v. 168 Cfr. afsp, Arm. 26, D, 272, c. 11r, 13v, c. 23r, c. 44v, c. 95v, Arm. 26, D, 276, c. 43r, Arm. 26, D, 277, c. 28. 169 Cfr. afsp, Arm. 26, D, 276, c. 128, Arm. 26, D, 277, c. 157, Arm. 26, D, 277, c. 157. 170 Cfr. afsp, Arm. 29, A, 610, c. 563, Arm. 26, D, 276, c. 128, Arm. 26, D, 292, c. 55: il Romanelli riceve 300 scudi per due cartoni che ha dipinto a guazzo raffiguranti «uno la Madonna con il figlio e l’altro San Giuseppe in sogno con l’Angelo». 171 Cfr. afsp, Arm. 16, A, 162, cc. 4, 5v, 42, 50, Arm. 26, D, 276, c. 128, c. 131, Arm. 26, D, 277, c. 162 e c. 163: 29 maggio 1644.

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172 Cfr. afsp, Arm. 26, D, 276, c. 130 e Arm. 26, D, 277, c. 163 e Arm. 26, D, 292, c. 56. 173 Nei documenti dell’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro il nome dell’Abbatini compare in diversi modi: Guido Baldo Abbatini, Guidobaldo Abbatini, Guido Ubaldo Abbatini. 174 Cfr. afsp, Arm. 26, D, 276, c. 65 e Arm. 26, D, 277, c. 166. 175 Cfr. afsp, Arm. 26, D, 276, c. 135, Arm. 26, D, 277, c. 169, Arm. 26, D, 276, c. 135, Arm. 26, D, 277, c. 178, Arm. 26, D, 277, c. 264 e Arm. 26, D, 292, c. 146. 176 Cfr. afsp, Arm. 26, D, 277, c. 288, Arm. 26, D, 276, c. 220 e Arm. 26, D, 277, c. 289. 177 Cfr. afsp, Arm. 42, E, 10, c. 50. 178 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 61, c. 50 e Arm. 43, B, 63, c. 4v: il 20 marzo 1720 l’artista viene pagato 25 scudi. 179 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 62, c. 205 e c. 415v. 180 Cfr. afsp, Arm. 43, C, 71, s.n. 181 Cfr. afsp, Arm. 16, A, 169, c. 299. 182 Cfr. afsp, Arm. 12, D, 4a, cc. 115-116. 183 Cfr. afsp, Arm. 43, D, 84, c. 50 e Arm. 43, E, 87, Lista e Giustificazione del mese di dicembre 1746: «Instromento d’oblico di Giacomo Zoboli Pittore sotto li 4 maggio 1742 per gli atti del Notaro della Rev.da Fabbrica. Prezzo conventuto per la somma di scudi 3.000 ad effetto di dipingere a olio la Cup-pola della Madonna SS.ma della Colonna nella Basi- lica Vaticana nel termine d’anni quattro consistente in n. 16 Angioli di palmi 16 in circa. Numero 16 putti di palmi 10 in circa. Numero 8 cherubini di palmi uno e mezzo in circa con festoni di gigli e rose per ornato a detti cherubini, e putti. Numero 8 geroglifici nello spazio d’otto tondi et finalmente al- tri 8 geroglifici che vanno appresso li suddetti 8 cherubini. Il tutto deve essere fatto con l’approvazione del Cavalier Cristofari sopraintendente de lavori di mosaico. Li disegni non si vedono inserti nell’Istromento, e manca l’approvazione del cavalier Cristofari. Il suddetto lavoro doveva farsi a tutte e singole spese di detto Zoboli, e ridurlo a perfezione nel termine di anni 4 da principiare dal giorno della stipolazione dell’istromento». Alla data del 21 dicembre del 1746 erano passati già quattro anni e sette mesi e ancora il lavoro non si vedeva terminato. Giacomo Zoboli (Modena, 1681-Roma, 1767). 184 Cfr. afsp, Arm. 43, D, 84, c. 50. 185 Cfr. afsp, Arm. 43, D, 85, c. 31v; Arm. 27, C, 424, c. 117 e Arm. 34, E, 180, Jura Diversa 1744. 186 Luigi Vanvitelli, architetto della Fabbrica di San Pietro dal 1736 al 1773. 187 Cfr. afsp, Arm. 43, E, 87, n. 19, Lista e Giustificazione del mese di dicembre 1746. 188 Il Cristofari era l’allora direttore dello Studio del Mosaico Vaticano. 189 Cfr. afsp, Arm. 43, E, 89, Lista delli mesi di Maggio, Giugno e Luglio, 1748. 190 Cfr. per Liborio Fattori afsp, Arm. 43, E, 92, s.n., Arm. 43, E, 95, s.n., Arm. 43, E, 96, s.n. Per Bernardino Regoli afsp, Arm. 43, E, 94, s.n., Arm. 43, E, 95, s.n. e Arm. 43, E, 96, s.n. Per Pietro Polverelli afsp, Arm. 43, F, 97, s.n. 191 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 63, c. 51r. 192 Cfr. afsp, Arm. 43, D, 81, s.n. 193 Cfr. afsp, Arm. 43, E, 94, s.n., Arm. 43, E, 95, s.n., Arm. 43, E, 96, s.n. 194 [Noè] 1989b. 195 Lanzani 2010, pp. 132-137, 197-207 e 215-219. 196 Ibidem. 197 Ibidem. 198 [Noè] 1991c. 199 [Noè] 1991a. 200 Cfr. afsp, Arm. 49, F, 7, cc. 1048-1055. 201 Mons. Carlo Giovanni Vespignani iniziò a lavorare come economo e segretario per la Fabbrica di San Pietro nel 1680, durante il pontificato del Bea- to Innocenzo xi, Odescalchi (1676-1689). Egli ter- minò il suo incarico nel 1700.

Capitolo sesto 1 Cfr. Lanzani 2010, p. 243. In particolare San Pietro è collocato alla sinistra del Salvatore (quindi alla destra di chi osserva), e San Paolo a destra.

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È pertanto seguita la disposizione canonica e non quella gerarchica: in una condizione di pari dignità, la sinistra indica la vita attiva e la destra sta a indicare la contemplazione divina. Pietro è alla sinistra perché ha la guida attiva e il pascolo di tutto il gregge. Paolo è alla destra perché illumina la Chiesa con la sua dottrina e teologia. Sulla posizione degli apostoli Pietro e Paolo ai lati del Cristo si veda [Lanzani] 2008. 2 Cfr. Baglione 1733, p. 104; Rice 1997, p. 31. 3 Cfr. Caglioti 2000, pp. 811-820; Zander 2010, pp. 4-33. 4 Intorno alla metà del Settecento la volta della cappella Clementina nelle grotte vaticane, subì importanti restauri con nuove decorazioni in stucco dorato di Giovanni Battista Maini. Vennero allora eseguiti ovali e riquadri con le Storie di San Pietro, riprese dai Vangeli, dagli Atti degli Apostoli e dagli Atti Apocrifi. Sull’argomento cfr. Lanzani 2010, pp. 23-26, 154-159. 5 I diciotto medaglioni in stucco sopra i sei altari delle tribune meridionali e settentrionali vennero realizzati tra il 1597 e il 1599 come testimoniano i documenti di archivio (afsp, Arm. 26, A, voll. 152, 156, 159, 162, 171). Sulle tre nicchie della tribuna meridionale troviamo rappresentati avvenimenti della vita degli apostoli Giovanni, Pietro e Andrea, mentre sulla tribuna nord sono narrati fatti della vita di Tommaso, Paolo e Giacomo Maggiore. Una annotazione manoscritta nella pianta del Cigoli, datata all’anno 1606, per il completamento della nuova basilica di San Pietro (Firenze, Uffizi A 97), offre un ulteriore informazione su questo irrealizzato progetto di Clemente viii che interessava anche la tribuna ovest: «3 Altari con statue, e così a riscontro e da capo, che saranno 9». Sull’argomento cfr. Rice 1997, pp. 27-34; Zalum 2000, schede nn. 907-910. 6 Cfr. afsp, Arm. 1, A, 8, n° 74 (sine data, 1607 ca.): «Nell’Altari grandi che sono sei, si fanno le pitture concernenti li miracoli di S. Pietro, et perché tre ne sono finiti, saria bene che si consacrassero, et si cominciassero a offitiare, come si fa nella Gregoriana, perché oltre l’aumento del Culto Divino si manterriano più puliti». 7 Un documento del 28 marzo 1616 registra un pagamento di 33 scudi e 60 baiocchi in favore di Giovanni Bellucci, fattore della Fabbrica di San Pietro «per pagare giornate 99 n.° 21 huomini – manuali che hanno servito a smantelare la porta che entra nella cappella Gregoriana e levare l’istoria di marmo che era sopra la suddetta porta» (afsp, Arm. 17, D, 20, c. 488). Sull’argomento cfr. [Zander] 2007a, pp. 1-2. 8 Cfr. Grimaldi 1972, ff. 490-491, pp. 502-503. 9 Cfr. Petrucci 2008a. 10 Cfr. bav, acsp, H 55, cc. 32b-32c. Il documento, datato all’ottobre del 1626 è pubblicato in Rice 1997, Documentary Appendix, n. 8, pp. 294-296, in particolare p. 296. Cfr. inoltre Savettieri 2000, scheda n. 468. 11 Cfr. Moraldi 1994, Ps. Marcello, Act., 72-77, pp. 130-131. 12 Cfr. Savettieri 2000, scheda n. 711; [Silvan] 1995. 13 Cfr. bav, acsp, H 55, cc. 32b-32c. Il documento è pubblicato in Rice 1997, Documentary Appendix, n. 8, pp. 294-296. 14 Cfr. bav, acsp, H 55, c. 103v e 106. I documenti sono pubblicati in Rice 1997, Documentary Appendix, nn. 11 e 12, pp. 297-301. 15 bav, acsp, H 55, c. 127. Il documento è pubblicato in Rice 1997, Documentary Appendix, n. 14, p. 303. 16 L’iscrizione in mosaico del fregio all’imposta della cupola, venne eseguita su cartoni di Farfallini Ventura dai mosaicisti Ranuccio Semprevivo, Rosato Parasole e Donato Parigi, tra il 1605 e il 1606 (Arm. 12, D, 3a, fasc. 6, ff. 262-263v). Pagamenti si registrano anche in favore del mosaicista Giovanni Antonio Zappa fin dal 1606: afsp, Arm. 17, D, 12 (1606, c. 1v e segg.; Arm. 26, A, 178, cc. 75v-91. 17 Le iscrizioni evangeliche petrine ricoprono il fregio dell’ordine maggiore della basilica per una lunghezza complessiva di circa 593 metri. Vi lavorarono i mosaicisti Alessandro Agricola, Pietro de Vecchis, Ettore Vannutelli e Domenico Tani. Su tali lavori di mosaico cfr. afsp, Arm. 72, D 50, sub die. L’opera musiva, rimasta incompiuta per sessantaquattro anni, fu ripresa nel giugno del 1934 e venne conclusa nel febbraio

dell’anno successivo. Sull’argomento cfr. «L’Osservatore Romano», 1934, p. 2; Capponi 1935. 18 La notizia è tramandata dal cosiddetto Liber Benefactorum della basilica vaticana (bav, acsp, H 56, f. 87r). Sull’argomento cfr. Tomei 1989. 19 Nella pianta dell’antica basilica di San Pietro elaborata da Tiberio Alfarano, il mosaico della Navicella di Giotto è indicato con il n. 118 presso il braccio orientale del portico: Alfarano 1981, pp. 88-89, 110. Per la visualizzazione del mosaico nella sua originaria collocazione si veda la stampa di Giovanni Battista Falda con la ricostruzione dell’atrio di San Pietro e Andaloro 2006, pp. 21-44: 22, 28-29. 20 Sulle vicende conservative del mosaico della Navicella si veda principalmente: Muñoz 1924-1925, pp. 433-443; Kören-Jansen 1993; Savettieri 2000, scheda n. 314. 21 Cfr. Bonanni 1696, tav. 81. 22 Cfr. afsp, Arm. 1, A 7, vol. 7, cc. 81, 83, 85, 87. Cfr. anche: Pogliani 2009, pp. 53-65. 23 Cfr. afsp, Arm. 1, A, 2, c 28r. 24 Cfr. afsp, Arm. 1, A, 2, n° 29r. Sull’argomento si veda: Fiore 2010, pp. 71-72 e pp. 124-126 (Appendice documentaria); Muñoz 1924-1925. L’interven­ to di Marcello Provenzale è inoltre descritto nella biografia dell’artista redatta da Giovanni Baglione: Baglione 1995, p. 349. 25 Cfr. afsp, Arm. 26, C, 240, c. 51r. 26 Per il pagamento del 21 ottobre 1625 cfr. afsp, Arm. 1, B, 16, n° 43. 27 Cfr. Cifani, Monetti 2006, pp. 40-41; Pogliani 2009, p. 57; Savettieri 2000, scheda n. 314, p. 503. 28 Cfr. afsp, Arm 16, A, 159, c 151r. 29 Cfr. Torrigio 1639, pp. 162-165; Cascioli 1925, pp. 8-9. 30 Nel 1629 Giovanni Battista Calandra viene pagato dalla Fabbrica di San Pietro per lavori da lui eseguiti sul mosaico della Navicella: afsp, Arm. 26, C, 246, c. 39r; Arm. 26, C, 245, c. 128r, c. 129v. 31 Cfr. G. Gigli 1994, p. 561. 32 Nel 1649 Guidobaldo Abbatini riceve denaro «a conto della restaurazione del Musaico che fa per la Navicella» (afsp, Arm. 26, D, 276, c. 197) e (afsp, Arm. 26, D, 277, c. 259, 260). Misura e stima del restauro della Navicella (afsp, Arm. 17, E, 26, c. 221). Per lo spostamento del mosaico si veda anche Gigli 1994, p. 561. 33 Cfr. Baldinucci 1861, p. 45. 34 Cfr. afsp, 9/2.4 (olim Diari 31), Giornale vaticano incominciando dalli x di agosto 1668, di d. Francesco Quadrani orvietano, fogli non numerati, sub die. Si veda inoltre afsp, Arm. 27, B, 373, cc. 34, 37, 40. Sull’argomento cfr. Savettieri 2000, scheda n. 314, p. 504. 35 Sulla realizzazione del mosaico è particolarmente interessante una lettera di Giovanni Francesco Fiani, non datata, custodita presso l’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro: afsp, Arm. 12, G, 14, cc. 108-109. Sull’opera di Alessandro Cocchi cfr. afsp, Arm. 43, D, 79, n. 22; Arm. 43, D, 80, n. 4. 36 Cfr. Capitani 2000, schede nn. 405-410. 37 Il 7 maggio 1738, Domenico Gossoni e Nicola Onofri ricevettero denaro per il sordino (lunetta) della cappella del Fonte Battesimale rappresentante il Battesimo del centurione (afsp, Arm. 43, D, 79, n. 22). Sull’argomento cfr. Capitani 2000, schede nn. 405-410. 38 Cfr. afsp, Arm. 43, A, 52, n° 16. 39 Di Federico 1983, p. 80. afsp, Arm. 43, C, 70, s.n.; C, 71, s.n.; C, 72, s.n. Per il documento riferito all’opera di Liborio Fattori (5 aprile 1727) cfr. afsp, Arm. 43, C, 72, s.n. Cfr. inoltre: Savettieri 2000, scheda n. 421. 40 Cfr. Di Federico 1968, p. 197; Savettieri 2000, scheda n. 422. 41 Cfr. afsp, Arm. 12, G, 14, c. 858r/v. L’epoca originale è nelle Liste mestrue del 1779: afsp, Arm. 44, A, 121, cc. 590-591. 42 Cfr. Cancellieri 1784, pp. 73-74. 43 Cfr. [Lanzani] 2009a. 44 Per la successione delle pale d’altare sull’altare orientale del transetto sud, cfr. Savettieri 2000, scheda n. 654. 45 Cfr. Rice 1997, p. 28. Cfr. Petrucci 2008b, pp. 35-36. 46 Cfr. afsp, Arm. 1, B, 14, n° 67, c. 225r; Arm. 1, B, 16, n° 59.

Per la decisione di sostituire il dipinto della Crocifissione di San Pietro di Domenico Cresti detto il Passignano si veda la relazione fatta nella Congregazione del 29 marzo 1756 da monsignor Marcolini: afsp, Schedario Cipriani, Arm. 16, A, 170, c. 25v. Cfr. inoltre: Chattard 1762, pp. 101-102. 48 Cfr. Chattard 1762, pp. 104-105. 49 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 63, c. 321v. 50 Cfr. afsp, Arm. 43, C, 73, s.n. (25 luglio 1732). 51 Cfr. afsp, Arm. 27, D, 412, c. 611. 52 Cfr. in particolare afsp, Arm. 43, C, 68, s.n.: «A Gioseppe Ottaviani scudi cento cinquanta moneta a conto di s. 358.25 resto, e saldo di s. 1058.25 del quadro di musaico detto dello stroppiato già terminato» (17 dicembre 1727). 53 Cfr. afsp, Arm. 16, A, 170, cc. 23-26; Cfr. inoltre: afsp, Arm. 16, A, 170, c. 29. 54 Sull’argomento cfr. Petrucci 2008b, pp. 32-35. 55 Cfr. afsp, Arm. 43, C, 71, s.n. (18 dicembre 1730); afsp, Arm. 43, C, 72, s.n. (18 marzo 1731). 56 Cfr. afsp, Arm. 49, F, 6, c. 720; Arm. 1, B, 16, n° 62. 57 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 61, cc. 50r/v-51. 58 Cfr. afsp, Arm. 29, C, 628°, p. 82. 59 Cfr. afsp, Arm. 12, G, 14, c. 856: «Il Collegio degli Eminentissimi e Reverendissimi Cardinali della sacra Congregazione della Reverenda Fabrica di San Pietro di Roma. Al diletto nostro in Cristo Pietro Paolo Cristofari Pittore di mosaico, salute. Avendo voi con somma nostra sodisfazione, e commune applauso terminato e posto al Pubblico nella Sagrosanta Basilica Vaticana il quadro rappresentante San Pietro in Atto di naufragare, chiamato volgarmente della Navicella dipinto dal Cavaliere Lanfranco, e da voi ridotto a mosaico, e considerando noi quanto conferisca alla manutenzione, ed aumento di quest’arte il deputare una persona che sopraintenda non solo ai pittori, che operano li Mosaici tanto nei lavori incominciati, quanto in quelli, che in qualsivoglia tempo siano per farsi si nelli quadri, e Cuppole, ma anche assiste alla Costruzione de smalti per ordinare al fonditore di essi a suo luogo, e tempo le qualità delle tinte, e colori per disporli poi, e adattarli nelle monizioni. Quindi è che col tenore del presente dichiariamo e nominiamo Voi Pietro Paolo Cristofari in sopraintendente e capo di tutti i Pittori di Mosaico, che opereranno nelle Cuppole, e Quadri della Basilica Vaticana, ed in ogni altra opera, che occorrerà farsi, con tutti li onori, facoltà, prerogative, che godeno godere (sic) gli altri Ministri, e coll’emolumento di scudi 10 al mese. Ordiniamo e commandiamo, che da tutti siate per tale riconosciuto. In fede. Dato in Roma nel nostro Collegio predetto questo di 9 luglio 1727. A Card. S. Clemente Prefetto. Fabrizio Sinibaldi Economo Generale e Segretario». 60 Sull’argomento cfr. Savettieri 2000, scheda n. 874. 61 Sui pagamenti effettuati dalla Fabbrica di San Pietro a favore di Bonaventura Lamberti cfr. afsp, Arm. 43, B, 61, c. 50 (20 marzo 1720 con precedente attestazione 23 dicembre 1719); afsp, Arm. 43, B, 61, c. 260v (15 dicembre 1721); afsp, Arm. 43, B, 62, c. 46v (31 marzo 1721); afsp, Arm. 43, B, 62, c. 165 (24 luglio 1721). 62 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 62, c. 416v e c. 480r/v: nota delle spese sostenute per il funerale. Per i pagamenti a favore di Gennaro Giannelli cfr. afsp, Arm. 43, B, 63, c. 4v. 63 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 62, c. 417; Arm. 43, B, 63, c. 3v-4r. 64 Cfr. afsp, Arm. 43, B, 63, c. 9, c. 53v, c. 329v; Arm. 43, B, 64, s.n. 65 lp, ii, p. 14. 66 Ci si riferisce in particolare alla leggenda tramandata da Giovanni Belet, teologo parigino del xii secolo, il quale racconta che San Silvestro papa riconobbe e divise le ossa dei due apostoli Pietro e Paolo, da lui ritrovate mischiate, per destinarle, in parti uguali, alle due omonime basiliche costruite dall’imperatore Costantino in Vaticano e sulla via Ostiense. Nell’antica basilica di San Pietro «uno dei sette altari privilegiati» era appunto l’altare chiamato «de Ossibus Apostolorum», perché in esso si custodiva parte di una lastra di porfido rosso, dove, secondo una pia tradizione, erano state divise le ossa dei due apostoli. Sull’argomento cfr. Zander 2009, in particolare pp. 223-224. 47

67 Per l’analisi dei documenti sulla realizzazione di questo mosaico da parte di Giovanni Battista Calandra, cfr. Cifani Monetti 2006, pp. 106-107 e 210-211. Su precedenti interventi eseguiti all’interno della nicchia dei palli cfr. Spagnolo 2000, pp. 789-790. 68 Cfr. afsp, Arm. 16, A, 159a, c. 73; Cifani, Monetti 2006, p. 210 (Appendice documentaria). 69 Cfr. Pascoli 1730-1736, p. 25. 70 Per i pagamenti del 1626 cfr. afsp, Arm. 26, C, 247, cc. 17v, 28r, 46r; C, 245, cc. 23r, 28r, 32r, 35v, 37v. Per il 1629: afsp, Arm. 26, C, 246, c. 33r; C, 245, c. 114r. Per il 1632: afsp, Arm. 26, C, 246, c. 54r; Per il 1633: afsp, Arm. 26, C, 252, 109r; Arm. 1, B, 16, n° 42. 71 Il dipinto su tavola è oggi esposto nel Museo Storico Artistico del Capitolo di San Pietro presso la basilica vaticana. Sull’argomento cfr. Stocchi 2009. 72 Cfr. Torrigio 1639, p. 464. 73 Per la descrizione degli interventi eseguiti da Tommaso de Rossi, particolarmente significativi sono i seguenti documenti, custoditi presso l’Archivio della Fabbrica di San Pietro: afsp, Arm. 43, A, 49, s.n; 49, s.n.; 50, s.n. 74 «A di 19 9bre 1674. Misura e stima di un pezzo di lavoro di musaico fatto per resarcimento della figura di S. Pietro di musaico posta sopra la Porta Santa dalla parte dentro la Chiesa di S. Pietro, dal sr. Fabio Christofani Pittore, d’ordine della Sacra Congregatione della R. fabrica [...] Per il musaico di uno pezzo di panno, libro, e nuvolo verso la Bussola [...] Per il musaico di campo dorato dalle parti di detta figura [...]» (afsp, Arm. 42, F, 15, c. 336r). Cfr. anche: afsp, Arm. 42, F, 15, c. 77r. 75 Roma, Archivio di Stato, Camerale i, Giustificazioni, 42, 2, f. 2r. Sull’argomento cfr. Cifani, Monetti 2006, pp. 204-205 (trascrizione del documento) e pp. 95-99. 76 Cfr. acsp, 9/2.4 (olim Diari 31), Giornale vaticano incominciando dalli x di agosto 1668, di d. Francesco Quadrani orvietano, ff. 93v e 94r. «Adì 11 7bre fu condotta l’imagine di S. Pietro fatta di musaico che era nell’horologio di Palazzo Vecchio, per collocarla dentro la chiesa sopra la Porta Santa» (f. 93v); «Adì 26 detto fu messo il primo pezzo di cornice, cioè tutta la parte di sotto, sopra la Porta Santa, per ornamento della figura di S. Pietro di musaico della Navicella vecchia» (f. 94r); «il medesimo giorno (scil 3 ottobre 1674) fu alzata sopra la Porta Santa l’imagine di S. Pietro che stava sotto l’horo­logio vecchio fatto scaricare da papa Alessandro vii» (f. 94r). 77 Cfr. Furietti 1752, p. 107; Chattard 1762, p. 34, il quale attribuisce il cartone del mosaico a Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino. Simile attribuzione è sostenuta da: Di Federico 1983, p. 60. 78 Cfr. [Zander] 2000. 79 Cfr. [Grimaldi] 2006; [Zander] 2008. 80 Cfr. Teza 1996; Sperandio, Zander 1999, pp. 3675; Gabrielli, Zander 2001.

Capitolo settimo 1 «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»; Mt 16,18-19. 2 Catechismo della Chiesa Cattolica, parte i, sez. ii, cap. iii, art. 9, § 5. 3 «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). 4 Benedetto xvi, Udienza Generale, Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, mercoledì 20 agosto 2008. 5 Nel corso della sua carriera artistica, svolta prevalentemente a Roma, Sacchi ebbe importanti protettori e committenti. Fra questi va innanzitutto ricordato il cardinale Francesco Maria del Monte, tra i principali protagonisti della corte romana del primo Seicento, amante delle arti e mecenate, protettore dell’Accademia di San Luca. 6 Giovanni Diacono, Vita di San Gregorio, cap. 42. 7 Il santo pontefice dimostra a una rappresentanza di Greci increduli, che vera reliquia degli apostoli

può essere considerata, a buon diritto, anche ciò che ha soltanto sfiorato la loro sepoltura. 8 «A Roma si ebbe fino al secolo vii un rigoroso rispetto e quasi un sacro timore per le tombe e i resti mortali dei martiri [...] nella basiliche [...] si era pertanto stabilito l’uso, malvisto dalle Chiese d’O­riente, di concedere come reliquie i brandea [...] attribuendo a essi la medesima potenza taumaturgica del corpo santo». La modalità è spiegata da San Gregorio Magno nella lettera alla imperatrice Costantina [Lib. iv, ep. xxx]: «Conosca dunque la serenissima Imperatrice che i Romani, quando con­ cedono reliquie, non hanno l’usanza di toccare la benché minima parte del corpo, ma soltanto viene messo un pezzetto di stoffa in una teca e viene così collocata sulle veneratissime sepolture dei santi [...]»; [Lanzani] 1994. 9 Ibidem, settembre 1994, p. 3. 10 afsp, Arm. 26, C, 246, c. 12r. 11 Nella Congregazione del 27 settembre 1627 viene deliberato a favore di Sacchi un versamento di 300 scudi; in afsp, Schedario Cipriani, Arm. 16, A, 159, cc. 93v, 112v.; afsp, Arm. 26, C, 245, cc. 62r, 67r. 12 afsp, Arm. 26, C, 248, cc. 33v, 40v, 52r. 13 afsp, Arm. 1, A, 6, na 5; Arm. 26, C, 246, c. 11; Arm. 29, E, 690, c. 40. 14 afsp, Summa decretorum del Fortini, ad vocem. 15 afsp, Arm. 16, A, 170, 80r e 80v. 16 afsp, Arm. 43, G, 113. 17 Cfr. Positio super Martyrio, Roma 1979, pp. 478479. 18 Tommaso Gismondi (Anagni, 1906-26 aprile 2003) ancora ragazzo si trasferì a Roma con la famiglia; nella Capitale si avvicinò con grande interesse al mondo dell’arte e, in modo particolare, alla scultura. Fu una passione che non lo abbandonò mai e lo portò a diventare un scultore molto apprezzato non solo in Italia ma anche all’estero. Divenne noto come «lo scultore del Papa» per le opere realizzate su commissione di papa Paolo vi e di papa Giovanni Paolo ii, tra le quali si ricordano le porte della Biblioteca Vaticana e dell’Archivio Segreto Vaticano (1985), alcuni bronzi della basilica papale di San Pietro, la cattedra di Giovanni Paolo ii e la Via Crucis. 19 afsp, 84, D, 28, 1026. 20 Il professor Virgilio Cassio (Roma, 5 giugno 1914-24 aprile 2001) frequentò gli studi superiori presso l’Accademia di Arti Libere; nel 1930 entrò a far parte dello Studio del Mosaico Vaticano, di cui era direttore tecnico lo zio, il prof. Lorenzo. Il 1° novembre del 1945 venne assunto in qualità di «mosaicista in soprannumero dello Studio del Mosaico» e più tardi, nel 1953, venne nominato «professore mosaicista di ruolo». Nel 1962 sua eccellenza mons. Primo Principi, economo della Fabbrica di San Pietro, gli affidò la direzione tecnica dello Studio, di cui, il 14 dicembre 1985 divenne direttore artistico. Nel periodo in cui mantenne tale incarico vennero eseguiti numerosissimi manufatti alcuni dei quali, di particolare pregio e importanza, furono esportati anche all’estero. Notevoli, fra questi, gli impianti musivi che ornano gli interni della basilica di Yaoundé (Camerun); la facciata della cattedrale di Porto Alegre (Brasile); gli interni della basilica dell’Immacolata Concezione in Washington (usa), la stele illustrata e istoriata con caratteri grafici dell’arabo antico realizzata a Bagdad (Iraq). Il conferimento dell’onorificenza pontificia dell’Ordine di San Gregorio Magno con il grado di Commendatore, avvenuto il 15 gennaio 1990, concluse la sua operosa presenza in Vaticano. Il professor Cassio mise poi termine alla sua carriera di pittore e mosaicista con una mostra personale che ebbe luogo, tra il 20 settembre e il 12 ottobre 1990, presso la galleria Saggiatore di via Margutta, in Roma. 21 afsp, 84, D, 28, 1026. 22 Ibidem. 23 afsp, 84, D, 28, 1040. 24 Un documento d’archivio, alla data del 20 giugno 1987, riporta che la lavorazione del manufatto era iniziata da circa due mesi; Ibidem. 25 Ibidem. 26 Cfr. «Foglio di lavorazione» del 9 gennaio 1988; Ibidem.

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Arm. 26, A, 178, cc. 37v, 40, 62. Il bozzetto venne approvato da sua eccellenza mons. Primo Principi con una lettera datata al 14 giugno 1961, in cui esprimeva, fra l’altro, suggerimenti finalizzati ad apportare alcune lievi modifiche; afsp, 84, C, 24, 898. 29 Dal 1910 – adottato il nome di Achille – si avvicinò agli ambienti del nascente Futurismo, le cui istanze innovative incrinarono la sua salda formazione accademica; le opere che eseguì negli anni Dieci dimostrano comunque la ricerca di una solidità costruttiva capace di sintetizzare richiami cubisti e temi futuristi. Rientrato a Milano, dopo aver partecipato alla Grande Guerra, tra il 1920 e il 1923 modificò la sua tecnica pittorica, transitando verso un nuovo intimismo figurativo preludio alle tematiche del gruppo «Il Novecento». Sarfatti, in una monografia edita da Hoepli nel 1925, considerava l’artista erede della tradizione classica e rinascimentale ferrarese, ritenendo che i caratteri di essenzialità e grandezza del comporre, che gli erano propri, avrebbero potuto tradursi in efficaci soluzioni ad affresco, prefigurando la fortuna della successiva attività di decoratore murale, che Funi svolse a partire dal 1930. Insegnante – prima di figura disegnata poi di affresco – quindi direttore dell’Accademia di Brera nell’ottobre del 1944, quando gli eventi bellici provocarono la sospensione delle attività didattiche si trasferì nel bergamasco. Nel 1945, rassegnate le dimissioni da direttore dell’Accademia, accettò dapprima l’incarico di professore di pittura poi di direttore dell’Accademia Carrara di Bergamo. Nel 1947 riottenne la cattedra di affresco anche all’Accademia di Brera, proseguendo l’atti­ vità didattica fino al 1961; intanto, dal 1957, fu direttore della Braidense. In questi anni fu molto attivo in ambito scolastico, partecipando a numerose commissioni giudicatrici di concorsi e dedicandosi con passione alla formazione, dimostrando grande apertura verso le tendenze artistiche degli allievi. Realizzò inoltre molte imprese decorative – in ambito civile ed ecclesiastico – informate a un rinato classicismo a tratti venato di trascendente lirismo. 30 Gn 41,40 («Tu sarai sopra la Mia Casa»). 31 La tela di grandi dimensioni rappresentante San Giuseppe patrono della Chiesa Universale, è conservata attualmente nei locali di pertinenza della Sagrestia della basilica vaticana. 32 afsp, 84, C, 24, 898. 33 Ibidem. 34 «L’Osservatore Romano», 20-21 marzo 1963, p. 2. 35 Ibidem. 36 «Uniti in una stessa comunione veneriamo anzitutto la gloriosa sempre Vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo: * e veneriamo pure quella del beato Giuseppe, Sposo della stessa Vergine, dei tuoi beati Apostoli e Martiri». 37 afsp, 84, C, 24, 898. 38 Si veda al riguardo [Grimaldi] 2010. 39 Giacomo Grimaldi, a testimonianza della vetustà dell’altare riporta un brano particolarmente significativo in cui Benedictus Canonicus, riferendosi al cerimoniale della Statio vespertina compiuta dal Santo Padre in San Pietro nella Domenica «Gaudete», scrive: «deinde [incensat] duo altaria in media navi ad Crucifixos, ubi ab antiquis patribus audivimus quiescere apostolos Simonem et Iudam»; Grimaldi 1972, p. 69. 40 «Non longe ab hoc altari [della Beata Vergine delle Partorienti] ad januas Basilicae, inter 17am et 18am columnam adhuc superest antiquissimum altare Sanctorum Apostolorum Symonis et Iudae, in quo eorum Corpora requiescunt»; in T. Alpharani, De Basilicae Vaticanae antiquissima et nova structura, Roma 1914, pp. 63s. 41 Grimaldi 1972, pp. 69-74. 42 Appartenenti al gruppo delle dodici colonne tortili provenienti dal Tempio di Gerusalemme. 43 Piero di Giovanni Bonaccorsi (detto Perino o Perin del Vaga); Firenze, 23 giugno 1501-Roma, 19 ottobre 1547. 44 De Basilicae Vaticanae antiquissima..., op. cit., p. 64. 45 Sindone 1744. 46 «Apertum fuit sepulcrum in quo quiescebant ex veteri traditione corpora eorumdem sanctorum»; Grimaldi 1972, p. 69. 27 28

afsp,

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In un decreto emanato il 12 novembre 1629 si legge: «[...] al posto del [...] Calandra [Giovanni Battista], soprastante della Fabbrica, sia ammesso Agostino Ciampelli, fiorentino» (afsp, 16, 160, c. 16r); l’ultimo atto firmato da Ciampelli con la qualifica di Soprastante risale al 13 marzo 1630. 48 Vangeli Apocrifi, Memorie Apostoliche di Abdia, primo Vescovo di Babilonia, Libro vi, Storia dei beati fratelli Giacomo, Simone e Giuda, vv. 1-18. 49 afsp, Arm. 26, C, 246, 35. 50 afsp, Arm. 29, E, 690, 53v. 51 Gli eredi di Agostino Ciampelli riscossero anche un altro mandato di pagamento emesso il 20 aprile 1630, per affreschi eseguiti nelle grotte vaticane: sul documento contabile, un piccolo segno di Croce posto accanto al nome ne ricorda la morte avvenuta soltanto due giorni prima; afsp, Arm. 26, C, 252, c 15v. 52 [Gio. Gherardo Rossi], Vita di Antonio Cavallucci da Sermoneta, Pittore, In Venezia 1796. 53 Prima del quadro di Ciampelli, sulla parete sovrastante l’altare dei due apostoli era affisso un famoso Crocifisso – attribuito a Pietro Cavallini (Roma, 1250 ca.-1325 ca.) – ricollocato, dapprima presso l’Altare di Santa Petronilla, e oggi venerato nella seconda cappella a destra della basilica, detta appunto del Crocifisso; Galassi Paluzzi 1975, p. 259. 54 Il dipinto di Ciampelli, dopo una lunga permanenza nella Sagrestia della basilica vaticana e nei depositi della Fabbrica di San Pietro, nel 1925 venne collocato nella «Sala L» del Museo Petriano, dove rimase esposto per circa un ventennio. Nel 1994 – nell’ambito del programma di conservazione e recupero delle proprie opere d’arte avviato dalla Fabbrica di San Pietro – il quadro, dopo essere stato rintelato e restaurato (si veda al riguardo: «La Basilica di San Pietro», giugno 1994, p. 2), è stato collocato nella Sala Studiosi dell’Archivio Storico della Fabbrica stessa. 55 afsp, Arm. 19, C, 7, n. 167. Due interessanti «spigolature» raccolte fra i documenti dell’Archivio della Fabbrica di San Pietro sono eloquenti testimonianze dell’estrema sollecitudine con la quale venne posta in essere la suddetta delibera: 25 maggio 1821, «Il falegname ha fatto li due modelli per il sesto delle tavole di rame per l’altare di S. Simone, onde potranno passarsi al caldararo per fare li rami per il pittore Signore Cavaliere Camuccini» (Arm. 19, C, 7, n. 213); 25 giugno 1821, «Conto di lavoro ad uso di caldararo [...] per formare li duo ovati di rame da porsi lateralmente all’Altare de SS. Simone e Giuda con l’effigie di detti Santi ad olio, il tutto a spese, robba e fattura di Filippo Bertagna Caldararo alle Muratte» (Arm. 19, C, 8, n. 249); 6 aprile 1822, Conto dei lavori fatti dai fratelli Giovanni e Pietro Sabbatini e Annamaria vedova Marini doratori «All’altare di S. Simone e Giuda per aver ammannito con due mano di color a oglio una delle Cornicie Ovale che restano ai lati di detto altare le medeme scorniciate al piano al di fuori e risalto e fusarola e piano e riflesso [...] e poi datogli il mordente e dorato di oro zecchino che tra spesa e fattura che per n. 2 simili importa scudi 14» (Arm. 19, C, 10, n. 293). 56 In data 6 aprile 1822 (Ordine filza 74 Registro 21): «A Vincenzo Camuccini, Direttore dello Studio de’ Mosaici, Scudi Duecentoventi moneta per prezzo dei due quadri rappresentanti li SS. Apostoli Simone e Giuda»; afsp, 28, C, 510, f. 102. Alla consegna degli ovali seguì l’immediata posa in opera degli stessi: 7 agosto 1822, «Attestazione degli architetti Giuseppe Valadier e Giuseppe Marini sui lavori da farsi in Basilica: [...] come anche era necessario di fare due cornucopi da servire per il giorno della festa de’ SS. Simone, e Giuda alli due nuovi ovati per rappresentanti detti Santi situati all’Altare ove riposano li Santi Corpi [...]» (Arm. 19, C, 10, n. 242); 8 agosto 1822, Conto del metallaro doratore «Per aver fatto le forme e gettato in metallo n. 12 lettere alte ciascuno onc. 6 min. 2 di grossezza min. 2 con perni sotto per fermarle, tutte tirate con lima fina, pomiciate e data la pelle col cisello per renderle appannate, e dorate con oro fino ad uso di Francia terminate, e finite; servono per le due iscrizioni sopra alle due Cornici delli due quadri fatti dall’Illustrissimo Signore Camon47

cini rappresentanti S. Simon = S. Judas» (Arm. 19, C, 12, n. 2). 57 afsp, 19, C, 9, 94. 58 Esposti, dopo essere stati rimossi, nella «Sala M» del Museo Petriano. 59 Eradio Giannini, nella realizzazione del mosaico raffigurante S. Giuda Taddeo, venne in parte coadiuvato da alcuni giovani allievi dello Studio: Gaetano Pennacchini, Cesare Castellini (afsp, Arm 98, C, 33, nr. 9) e Antonio Saulini (afsp, Arm 98, C, 33, s.n.). 60 Un documento del 1° maggio 1849, alla voce «Soprannumeri entrati per concorso nello Stabilimento de’ grandi Musaici nel Vaticano» riferisce che «Fabrizio D’Ambrosio si è occupato in questo mese nel eseguire parte del panno rosso e tunica color azzurro che ricopre l’antibraccio della mezza figura il S. Simone l’Apostolo pittura del Barone Camuccini [...] il Signor [Eradio] Giannini ha avanzato il campo dal lato sinistro nella mezza figura il S. Giuda Apostolo pittura del Camuccini [realizza anche parte del libro e della mano sinistra]», in afsp, Arm. 20, C, 47, n.40. 61 afsp, 28, D, 539. 62 afsp, Arm. 98, C, 33, s.n. 63 Data in cui Giuseppe Troncé, in qualità di Custode dello Studio, ricevette dal latore di una quietanza conservata fra le carte dell’Archivio della Fabbrica di San Pietro «le note dei musaici consegnati, e li avanzi ricevuti del ritratto eseguito di S. Giuda Apostolo»; in afsp, 20, D, 56, n. 20. L’ultimo prelievo di smalti risale al 26 aprile 1858. 64 afsp, 28, D, 541. 65 «A Fabrizio D’Ambrosio per compenso della spillatura, e stuccatura del quadro rappresentante l’A-postolo S. Simone»; Ibidem. 66 «A Fabrizio D’Ambrosio per compenso delle correzioni, fatte nel quadro rappresentante l’Apostolo S. Simone»; Ibidem. 67 afsp, Arm. 98, C, 33, s.n. 68 afsp, 84, D, 29, 1048. 69 Ibidem. 70 Ibidem. 71 Ibidem. 72 Asportazione accurata, mediante l’utilizzazione di strumenti acuminati, del supporto temporaneo costituito da malta. 73 afsp, 84, D, 29, 1048. 74 afsp, 84, D, 29, 1049. 75 Ibidem. 76 Lettera del 21 agosto 1989; Ibidem. 77 Ibidem. 78 Negli Atti Apocrifi di Pietro, del secolo ii, è scritto di una figlia dell’apostolo, colpita da paralisi e guarita dallo stesso padre. A una figlia di Pietro si accenna ancora, sempre senza darne il nome, negli atti apocrifi di Filippo, dall’inizio del iv secolo. 79 L’Imperatore Carlo Magno, nell’anno 800, visitò e venerò la cappella dedicata alla Santa patrona, con grande partecipazione di popolo e soldati. 80 «Exinde eius venerabile ac sanctum corpus (Petronillae) cum sarcofago marmoreo in quo reconditum inerat, abstulit, sculptum litteris eodem sarcofago legente: aureae [aur(eliae)] petronillae filiae dulcissimae. Unde non dubium est quia sculptura illa litterarum propria beati Petri apostoli manu designata esse dinosci ob amorem suae dulcissimae natae»; lp 1886-1892 e 1955-1957, i, p. 464. Tale iscrizione, che non indica la martire e, tanto meno, la presunta figlia di Pietro, è comunque all’origine della relativa leggenda. 81 Bulgari 1958, p. 510. 82 afsp, Arm. 1, A, 6, na 8. 83 afsp, Arm. 1, A, 6, na 6. 84 afsp, Arm. 1, A, 6, na 7. Finalmente, il 6 ottobre 1623, Giovanni Francesco Barbieri poté avere ampia soddisfazione delle sue richieste: «A Gio. Francesco Barbieri che ha dipinto il quadro di santa Petronilla si paghi per il prezzo di esso, quello che si diedi al Civoli pittore cioè mille scudi di moneta in tutto e una collana d’oro di peso di cinquanta scudi d’oro»; in afsp, Arm. 16, A, 159a, c. 61r. 85 20 dicembre 1725: «A Bastiano Conca Pittore scudi quaranta moneta sono a conto della copia del quadro d’altare di S. Petronilla del Guercini, che dal medemo si fa [...]»; in afsp, Arm. 43, B, 66, s.n. 86 25 settembre 1726: «A Sebastiano Conca Pittore

scudi cinquanta moneta sono a conto del quadro dell’Altare di Santa Petronilla del Guerrini (sic), che dal medemo si copia per servitio della Reverenda Fabrica [...]»; in afsp, Arm. 43, C, 67, s.n.; idem il 17 dicembre: afsp, Arm. 43, C, 67, s.n. 87 23 luglio 1728: «Al medesimo Cristofari scudi trecento moneta a conto del quadro dell’Altare di San Petronilla dipinto dal Guercino, che dal medesimo si mette a musaico» (afsp, Arm. 43, C, 69, s.n.); 18 dicembre 1728: «Al signor Pietro Paolo Cristofari soprintendente alli lavori di musaico scudi 50 per mesi cinque» (afsp, Arm. 43, C, 69, s.n.); 18 dicembre 1728: «Al medesimo Cristofari scudi trecento moneta a conto del quadro dell’Altare di San Petronilla dipinto dal Guercino, che dal medesimo si mette a musaico» (afsp, Arm. 43, C, 69, s.n.); 23 aprile 1729: «Al signor Pietro Paolo Cristofari sopraintendente alli lavori di Musaico che si fanno per servitio della Reverenda Fabbrica scudi 40 per suo assegnamento di mesi 4» (afsp, Arm. 43, C, 70, s.n.); idem il 18 dicembre; 23 aprile 1729: «Al signor Pietro Paolo Cristofari pittore di musaico scudi seicento moneta sono a conto del quadro dell’Altare rappresentante S. Petronilla dipinto dal Guercino, che dal medesimo si mette a musaico» (afsp, Arm. 43, C, 70, s.n.); idem il 23 luglio; idem il 18 dicembre; 3 aprile 1730: «Al signor Pietro Paolo Cristofari sopraintendente alli lavori di Musaico che si fanno per servitio della Reverenda Fabbrica scudi 40 per suo assegnamento come sopra» (afsp, Arm. 43, C, 71, s.n.); idem il 26 luglio; idem il 18 dicembre; 3 aprile 1730: «Al signor Pietro Paolo Cristofari pittore di musaico scudi trecento moneta sono a conto del quadro dell’Altare rappresentante S. Petronilla dipinto dal Guercino, che dal medesimo si mette a musaico» (afsp, Arm. 43, C, 71, s.n.). 88 Sine data: «Quadro di Santa Petronilla del Guercino. Ho fatto le due donne, che stanno piangendo dietro la bara, colla mano, e panni, che hanno la testa di quello, che tiene la torcia, tutta la figura intera di quello, che leva dalla sepoltura la Santa, cioè quello, che porta i calzoni alla marinara, e la testa, e petto della medesima Santa Petronilla, cioè di quella, che rappresenta il cadavero»; afsp, Arm. 12, G, 14a, cc. 848-849. 89 afsp, Arm. 43, C, 71, s.n. 90 afsp, Arm. 26, C, 246, c. 21v; Arm. 26, C, 248, c. 33v. 91 «Siano dati al cav. D’Arpino scudi 100 oltre ai 100 saldati per il cartone di S. Michele Arcangelo»; in afsp, Summa decretorum del Fortini. 92 asr, Camerale iii, Chiese e Monasteri, Busta 1912, fasc. 12. 93 Trasferitosi a Roma nel 1602, divenne amico e allievo del mosaicista Marcello Provenzali e, ben presto, collaborò con il maestro nei suoi lavori in Vaticano e in San Pietro, affermandosi nell’ambiente pontificio anche per la sua lunga attività come «soprastante» dei lavori in basilica. Il grande successo ottenuto con il mosaico di San Michele arcangelo fu probabilmente una delle ragioni per le quali il Calandra venne designato, il 12 novembre 1629, come curatore di tutti i lavori in mosaico nella basilica di San Pietro. 94 afsp, Arm. 26, C, 245, cc. 57v, 62r, 67r, 72v; afsp, Arm. 26, C, 246, c. 21r; afsp, Arm. 26, C, 248, cc. 27v, 40v, 45r, 51v, 57v, 63v. 95 afsp, Arm. 26, C, 245, cc. 76v, 77v, 83r, 89r, 92v, 96r, 98v; 29 gennaio 1628: «Al signor Gio. Batta Calandra soprastante scudi cinquanta moneta a bon conto del Santo Michel Archangelo di musaico, che deve fare»; in Archivio di Stato di Roma (asr), Camerale iii, Chiese e Monasteri, Busta 1912, fasc. 12; 4 aprile 1628: «Al signor Gio. Batta Calandra scudi cinquanta moneta a bon conto del San Michele, che fa di musaico oltre a scudi 650 hauti in 8 mandati»; in asr, Camerale iii, Chiese e Monasteri, Busta 1912, fasc. 12. 96 afsp, Arm. 1, B, 16, na 38. 97 afsp, Arm. 16, A, 170, cc. 23-26. 98 afsp, Arm. 43, F, 97, alla lista di dicembre. 99 afsp, Arm. 16, A, 170, c. 29. 100 afsp, Arm. 43, F, 100, alla lista di aprile. 101 afsp, Arm. 12, G, 14, f 185. 102 Bibliotheca Sanctorum, ivi, col. 1290 e 1293. 103 12 luglio 1629 «A Monsù Pusi pittore scudi cen-

to di moneta a bon conto del quadro fatto in San Pietro di S. Erasmo, oltre a scudi 100 hauti in altro mandato» (asr, Camerale iii, Chiese e Monasteri, Busta 1912, fasc. 12); maggio 1629: riceve scudi 100 a conto del quadro del Santo Erasmo (afsp, Schedario Cipriani, Arm. 1, A, 7, na 16; Arm. 17, E, 21, cc. 742v e seg.); 1629 riceve denaro per il quadro che deve fare di Sant’Erasmo (Arm. 26, C, 245, c. 121v, 127v, 133r); 1629; 12 giugno-17 ottobre: riceve scudi 300 per la pittura fatta di S. Erasmo e più scudi 100 per donativo del buon servizio (afsp, Schedario Cipriani, Arm. 26, C, 246, c. 37v; Arm. 29, E, 690, c. 53v). 104 afsp, Arm. 1, B, 16, na 56. 105 In data 24 dicembre 1739, un documento attesta un saldo a suo favore «a spese per il quadro di musaico rappresentante il Martirio di S. Erasmo scudi 100 moneta pagati a Paolo Cristofari per resto et a compimento di scudi 2000 moneta»; in afsp, Arm. 27, D, 412, f. 552. 106 afsp, Arm. 12, G, 14a, cc. 848-849. 107 afsp, 84, D, 29, 1047. 108 Ibidem. 109 Foglio di Lavorazione del 29 marzo 1988; Ibidem. 110 Foglio di Lavorazione del 7 aprile 1988; Ibidem. 111 Ibidem. 112 Ibidem. 113 Maria Cristina Ferdinanda di Borbone, principessa delle Due Sicilie (Palermo, 27 aprile 1806-Le Havre, 22 agosto 1878). 114 afsp, 84, D, 28, 1042. 115 Ibidem. 116 Ibidem. 117 Pietro Francesco (in religione Vincenzo Maria) Orsini (1724-1730). 118 afsp, 84, D, 28, 1042. 119 Bibliotheca hagiographica latina antiquae et mediae aetatis, Bruxelles 1898-1901, vol. ii, p. 1011, n. 6947. 120 «Si può con certezza affermare che dei Santi Processo e Martiniano niente si conosce di sicuro, né sulla loro identità, né sul tempo del loro martirio; ma ciò non pregiudica affatto la loro esistenza storica e il culto loro tributato fin dall’antichità e attestato da documenti degni di fede»; Bibliotheca Sanc­torum, vol. x, ad vocem. 121 «1629 9 maggio: la tavola o icona concessa da dipingere al Albano Bononiensi [Francesco Albani: Bologna, 17 marzo 1578-1660] per volontà del card. Barberino commisero a Valentino De Bononia pittore»; in afsp, Summa decretorum del Fortini. 122 «Illustrissimo et Reverendissimo Signore/Stefa­ no Landi Rettore, et Cappellano perpetuo della Cappella delli SS. Processo e Martiniano in S. Pietro, intendendo doppo la Visita, che è mente di N.S. si facciano le immagini a tutti li altari di S. Pietro; e perche la cappella delli SS.ti detti, nella quale si conservano li loro Santi corpi è una delle principali, e più antiche di detta Chiesa come apparisce nel nostro Archivio, e fu ultimamente dotata dal card. Constantiense Arciprete all’hora, come apparisc per questa iscrittione, nella chiesa vecchia sotto all’organo/Riccardus Episcopus Portuensis Card. Constan=/tiensis Normannia oriundus, hoc altare ve=/tustissimum nova facie, et dote nova testa=/mento iussit ornavi, ubi in pace requiescit/m cccc lxx/et particolarmente da molti Papi insignita d’infiniti privilegi per l’anime de morti: et essendo stato posto un quadro in detto altare, che era nella chiesa vecchia che non ha che far niente con la historia dei detti SS.ti supplica VS Illustrissima et tutti l’Illustrissimi Signori della Congregazione della fabrica voler eseguir la mente del N.S. e della visita. Et l’oratore propone a VS Illustrissima un pittore eccellentissimo chiamato Gio. Giacomo Bolognese [Giovanni Giacomo Sementi: Bologna, 1583-Roma, 1640 ca.] che stà in casa del Ser.mo Principe Card. Di Savoia, et lo serve di pittore con provisione Continua, che e sicuro che darà compita soddisfazione/All’Illustrissimo et Reverendissimo il Signor Card. Ginnasio»; in afsp, Arm. 1, A, 6, na 3. 123 afsp, Schedario Cipriani, Arm. 16, A, 160, c. 3. 124 afsp, Arm. 26, C, 245, c. 121v; afsp, Schedario Cipriani, Arm. 1, A, 7, na 16; afsp, Schedario Cipriani, Arm. 26, C, 246, cc. 37v-38, Arm. 29, E, 690.

Arm. 26, C, 252, cc. 14r, 16v. Summa decretorum del Fortini. afsp, Arm. 43, A, 51, s.n. 128 afsp, Summa decretorum del Fortini. 129 afsp, Arm. 43, A, 51, na 28. 130 afsp, Summa decretorum del Fortini. 131 afsp, Summa decretorum del Fortini. 132 afsp, Summa decretorum del Fortini. 133 «Guardate Santa Gioacchina de Vedruna! Viene da un’illustre famiglia della nobile terra di Spagna, ed avrebbe tutte le doti per percorrere con distinzione le brillanti vie del successo mondano. Eppure anch’essa è conquistata dall’amore di Dio e del prossimo, e negli stati più diversi vive eroicamente il Vangelo fino a fondare una famiglia di Carmelitane, che nella carità trovino l’unica ragione di essere e di immolarsi; sicché, madre di ben nove figli, diventerà madre, tuttora benefica, di innumerevoli poveri. E in tutta la vita, un filo la dirige, invisibile e sicuro: il far la volontà di Dio. ‘Figlio mio – sono sue parole –, abbandoniamoci alla divina Provvidenza, lasciamo a Dio la cura di tutto [...] e facciamo in tutto la sua dolce volontà [...]’. E ancora: ‘Iddio paga il cento per uno. Se vogliamo ottenere grazie, bisogna fare il bene’. Ecco il suo insegnamento: parole semplici, alla portata di tutti: eppure sono state il segreto della sua santità»; Ioannes pp xxiii, Discorso [...] ai pellegrinaggi giunti a Roma per onorare i nuovi Santi Carlo da Sezze e Gioacchina de Vedruna de Mas, Aula della Benedizione, lunedì, 13 aprile 1959. 134 afsp, 84, D, 28, 1042. 135 Ibidem. 136 «Altare sancti Vincislai Regis Boemorum martyris ab Hincone Episcopo Holomicense dotatum, nunc etiam sancti Bartholomei Apostoli ac sancti Herasmi Episcopi et martyris propter eius imaginem huc traslata», in De Basilicae Vaticanae, op. cit., pp. 188s. 137 Sindone 1744, p. 25. 138 «L’Illustrissimo e Reverendissimo Signor Cardinale di S. Sisto riferì in Congregazione, che l’Illustrissimo Cardinale Barberino desiderava che una delle tavole, che fino ad ora rimane da dipingere in Basilica, fosse data da dipingere ad Angelo Carosello, ed assegnarono al detto pittore quella da dipingere per giusta mente dell’Ill.mo Card. Barberini»; in afsp, Summa decretorum del Fortini. 139 Angelo Caroselli nel 1627 «riceve denaro per una tavola in pittura» (afsp, Arm. 26, C, 245, c. 62r; Arm. 26, C, 246, c. 21v; Arm. 26, C, 248, c. 40v) e analogamente, nel 1630, «riceve denaro per la tavola di San Venceslao» (afsp, Arm. 26, C, 252, c. 31v). Tuttavia, nel 1632, l’artista rivolge alla Fabbrica di San Pietro la seguente supplica: «Eminentissimi et Reverendissimi Signori/Angelo Caroselli servitore devotissimo delle EE. VV. riceve gratia di dipingere il S. Vincislao in S. Pietro, et gli fu però destinata la Cappella incontro a quella di S. Tommaso dipinta dal Passignani, et ne fece i disegni colorati col principio dell’opra. Ma havendo dopo havuto ordine di dipingere il quadro medesimo nella Cappella incontro a S. Erasmo di Monsù Possino, fu forzato per la varietà del lume far nuovi disegni, et nuove fatiche, li quali havendoli finalmente ridotte in essere con quella perfettione, ch’è nota all’EE. VV. riceve dalla Sacra Congregazione per a buon conto scudi 250 e perché gl’altri quadri sono stati pagati almeno 350 della medesima grandezza, supplica l’EE. VV. a voler ordinare, ch’ancor esso sia interamente sodisfatto con quella ricognitione di più, che può sperare dalla benignità loro, mediante le fatiche che doppiamente gli convenne di fare»; in afsp, Arm. 1, A, 6, na 4. 140 Sindone 1744, p. 25. 141 afsp, Arm. 27, D, 412, ff. 552 e 558. 142 afsp, Arm. 12, G, 14a, cc. 848-849. 143 «Alle illustri figure dei santi Cirillo e Metodio si rivolgono di nuovo i pensieri ed i cuori in quest’anno in cui ricorrono due centenari particolarmente significativi. Si compiono infatti cent’anni dalla pubblicazione della lettera enciclica Grande Munus del 30 settembre 1880, con la quale il grande pontefice Leone xiii ricordava a tutta la Chiesa le figure e l’attività apostolica di questi due santi e, al tempo stesso, ne introduceva la festività liturgica nel calendario della Chiesa cattolica [Leonis xiii Acta,

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vol. ii, pp. 125-137]. Ricorre inoltre l’xi centenario della lettera Industriae Tuae [cfr. Magna Moraviae Fontes Historici, t. iii, Brno 1969, pp. 197-208], inviata dal mio predecessore Giovanni viii al principe Svatopluk nel giugno dell’anno 880, nella quale veniva lodato e raccomandato l’uso della lingua slava nella liturgia, affinché ‘in quella lingua fossero proclamate le lodi e le opere di Cristo nostro Signore’ [Magna Moraviae Fontes Historici, t. iii, Brno 1969, p. 207]»; Ioannes Paulus pp ii, Egregiae virtutis. 144 afsp, 84, C, 25, 919. 145 Cfr. «L’Osservatore Romano», sabato 14 novembre 1964. 146 Studio del Mosaico della Fabbrica di San Pietro «Foglio di lavorazione», del 27 ottobre 1964; afsp, 84, C, 25, 919. 147 Paolo vi, Giovanni Battista Montini (1963-1978). 148 afsp, 84, C, 25, 919. 149 Ibidem. 150 Il dipinto si trova nel lato sinistro all’ingresso del transetto accanto alla Caduta di Simon Mago di Pompeo Batoni e di fronte l’Immacolata di Pietro Bianchi. A partire dal 1727 – sotto i pontificati di Benedetto xiii, Pier Francesco Orsini (1724-1730) e Clemente xii, Lorenzo Corsini (1730-1740) – vennero trasferite a Santa Maria degli Angeli dodici grandi pale d’altare che, attualmente, si trovano, quattro nel presbiterio e otto nella navata trasversale, allorché i pontefici regnanti decisero di sostituirle, nella nuova basilica di San Pietro, con copie in mosaico corrispondenti alla grandezza dei nuovi altari e per salvare i quadri dai guasti derivati dall’umidità. Il trasferimento venne completato sotto il pontificato di Benedetto xiv, Prospero Lambertini (1740-1758), come ricorda l’iscrizione posta in alto, sul lato interno della parete d’ingresso della basilica: benedicto xiv pont. max./quod in vaticana basilica collocatis/e vermiculato emblemate structis aliquot tabulis/egregias picturas inde amotas huc transferri iusserit/ carthusianos ad nobilissimam aedem exornandam/tanto munere impvlerit carth. ordo. Per accogliere tutte queste opere imponenti, l’architet­to Clemente Orlandi – preposto alla direzione dei lavori di ristrutturazione di Santa Maria degli Angeli, prima di Luigi Vanvitelli – si vide costretto ad apportare alcune modifiche all’impianto formale del progetto michelangiolesco relativo al sistema decorativo del presbiterio. 151 16 dicembre 1748: riceve denaro dopo il primo scandaglio fatto al quadro di San Basilio dipinto da Subleyras (afsp, Arm. 43, D, 89, s.n.); 11 agosto 1751: riceve denaro per una porzione di mosaico del quadro di San Basilio (afsp, Arm. 43, E, 92, s.n.). 152 Ibidem. 153 Ibidem. 154 Dopo aver ricevuto, al pari dei suoi colleghi mosaicisti, il primo versamento in danaro il 16 dicembre 1748 (afsp, Arm. 43, D, 89, s.n.), il 3 agosto 1750 per «sua indigenza» non può terminare la parte assegnatagli del quadro di San Basilio e, la parte a lui spettante, viene assegnata ai suoi compagni mosaicisti Ottaviani, Enuò e Paleat (afsp, Arm. 43, E, 91, s.n.). 155 Girolamo Muziano dipinse per la basilica di San Pietro nel periodo in cu lavorò come sovrintendente ai lavori per papa Gregorio xiii. Il dipinto raffigurante la Messa di san Basilio è perduto, benché esso sia stato riprodotto in un’acquaforte di Jacques Callot (Nancy, 1592-1635). 156 afsp, Arm. 43, D, 84, c. 492. 157 Il disegno (cm 321 x 198) della Messa di San Basilio è conservato attualmente nel Museo di San Martino a Capodimonte (Napoli). 158 afsp, Arm. 43, B, 65, s.n. 159 Nella nicchia sottostante l’altare di San Girolamo riposa – dal 3 settembre 2000, data della sua beatificazione – il corpo del Beato Giovanni xxiii, Angelo Roncalli (1958-1963). 160 Lodewijk van Wittel (Napoli, 12 maggio 1700-Caserta, 1 marzo 1773), nacque da una famiglia di artisti originaria di Amersfoort (Olanda); il suo cognome venne italianizzato in Vanvitelli dal padre Gaspar, celebre vedutista stabilitosi a Roma nel 1674. Il 13 novembre 1736 Luigi viene assunto dalla Fabbrica di San Pietro con la qualifica di architetto revisore delle misure e il 1° gennaio 1754 subentra a Filippo Barigioni nel ruolo di architetto

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soprastante, nel quale permane fino al 1° marzo 1773 (afsp, Arm. 43, C, 77, fil. 33; Arm. 27, E, 427, c. 144). 161 Il 5 maggio del 1727 Luigi Vanvitelli riceve danari «a conto della copia del quadro dell’altare di S. Girolamo del Muziani che dal medesimo si fa per servizio della Reverenda Fabbrica»; in afsp, Arm. 43, C, 68, s.n. 162 «Al Signor Luigi Vanvitelli a conto della copia del quadro dell’Altare maggiore della Chiesa di S. Girolamo della Carità dipinto dal Domenichino che si fa per mettersi a musaico nella Basilica Vaticana»; in afsp, Arm. 43, C, 69, s.n. 163 «Al Signor Luigi Vanvitelli scudi trenta moneta sono a conto della copia del quadro dell’Altare maggiore della Chiesa di S. Girolamo della Carità dipinto dal Domenichino, che d’esso si fa per mettersi a musaico nella Basilica Vaticana»; in afsp, Arm. 43, C, 70, s.n. 164 «Al Signor Luigi Vanvitelli Pittore scudi centoventi moneta a conto della seconda copia del quadro d’altare Maggiore della Chiesa di S. Girolamo della Carità [...]»; in afsp, Arm. 43, C, 69, s.n. 165 «Al Signor Luigi Vanvitelli pittore scudi trenta moneta a conto della seconda copia del quadro dell’Altare maggiore della Chiesa di S. Girolamo della Carità che dal medesimo si fa per mettersi a mosaico nella Basilica Vaticana»; in afsp, Arm. 43, C, 70, s.n. 166 «Al Signor Luigi Vanvitelli Pittore scudi venticinque moneta sono per il resto et a compimento di scudi 320 intiero prezzo della seconda copia del quadro d’altare Maggiore della Chiesa di S. Girolamo della Carità dipinto dal Domenichino fatta per mettersi a Mosaico nella Basilica Vaticana»; in afsp, Arm. 27, D, 412, cc. 492 e 499. 167 afsp, Arm. 43, C, 71, s.n. 168 «Al suddetto [Pietro Paolo Cristofari] scudi trecento moneta sono a conto del quadro rappresentante San Girolamo dipinto dal Domenichino che dal medesimo si mette a mosaico»; in afsp, Arm. 43, C, 71, s.n. 169 «Al signor Pietro Paolo Cristofari pittore di Musaico scudi seicento moneta sono a conto del quadro dell’Altare rappresentante San Girolamo dipinto dal Domenichino che dal medesimo si mette a mosaico»; in afsp, Arm. 43, C, 73, s.n. 170 18 dicembre 1730: «Al signor Pietro Paolo Cristofari Pittore di mosaico scudi cinquecento moneta sono a conto del quadro d’altare rappresentante San Girolamo dipinto da Domenichino e copiato dal Vanvitelli che si mette a mosaico» (afsp, Arm. 43, C, 71, s.n.); 18 marzo 1731: «Al signor Pietro Paolo Cristofari sopraintendente alli lavori di Musaico che si fanno per servitio della Reverenda Fabbrica scudi 40 per suo assegnamento come sopra» (afsp, Arm. 43, C, 72, s.n.), idem il 25 luglio, idem il 18 dicembre; 18 marzo 1731: «Al signor Pietro Paolo Cristofari Pittore di mosaico scudi cinquecento moneta sono a conto del quadro d’altare rappresentante San Girolamo dipinto da Domenichino che dal medesimo si mette a mosaico» (afsp, Arm. 43, C, 71, s.n.), idem il 25 luglio, idem il 18 dicembre. 171 afsp, Arm. 43, C, 73, s.n. 172 afsp, Arm. 12, G, 14a, cc. 848-849, sine data. 173 afsp, Arm. 44, E, 30. 174 Cassina lapidea nella quale incastonare il mosaico stesso. 175 afsp, Arm. 44, E, 30. 176 Ibidem. 177 Ibidem. 178 Ibidem. 179 Dal 7 ottobre 1956 – data in cui venne elevato alla gloria degli altari da papa Pio xii – era esposta nel vano sottostante l’Altare di San Sebastiano l’ur­na di cristallo contente il corpo del Beato Innocenzo xi, Benedetto Odescalchi (1676-1689), già tumulato in un sepolcro progettato da Carlo Maratta ed eseguito da Pierre-Etienne Monnot, collocato sul terzo pilastro di destra della navata meridionale. Attualmente il pontefice della Liberazione di Vienna (11 settembre 1683) riposa nella nicchia sottostante la mensa dell’Altare della Trasfigurazione (adiacente alla cappella Clementina – lato est del pilone di Sant’Andrea). 180 lp 1886-1892 e 1955-1957, ii, 74.

Il reliquiario venne trasferito da papa Leone iv (847-855) nella chiesa romana dei SS. Quattro Coronati, ove è tuttora venerato. Gli altri resti di San Sebastiano rimasero nella basilica vaticana fino al 1218, quando papa Onorio iii (1216-1227) concesse ai monaci cistercensi della basilica di San Sebastiano, di custodirne le venerate reliquie. 182 Al 1625 risalgono infatti le prime notizie in merito a una «tavola grande che ha da fare alla Cappella di mezzo della nave grande verso palazzo» (afsp, Arm. 26, C, 246, c. 12r). Nel 1628 riceve denaro per «la pittura o tavola che fa in San Pietro» (afsp, Arm. 26, C, 245, c. 92r, 96r, 102r); lo stesso avviene il 15 luglio «Al signor Domenico Zampieri Pittore scudi settanta di moneta a buon conto della Pittura, o tavola che fa in S. Pietro oltre a scudi 70 havuti in altro mandato tempo fa scudi 70» (asr, Camerale iii, Chiese e Monasteri, Busta 1912, fasc. 12) e il 9 settembre «Al signor Domenico Zampieri scudi settanta moneta a bon conto dell’opera che fa di pittura in S. Pietro oltre a scudi 270 in 3 mandati» (asr, Camerale iii, Chiese e Monasteri, Busta 1912, fasc. 12). Anche nel 1632 riceve denaro «a bon conto della tavola di S. Bastiano» (afsp, Arm. 26, C, 252, c. 96r) e così nel 1633 risulta abbia ricevuto denaro «a bon conto della tavola di S. Bastiano» (afsp, Arm. 26, C, 252, c. 107r). tra il 1633 e il 1635 supplica che li venga interamente pagata la tavola di San Sebastiano (afsp, Arm. 1, A, 6, nn° 10, 11, 12) e, finalmente, nel 1643 gli eredi di Domenico Zampieri chiedono che venga fatta stimare la tavola di San Sebastiano affinché venga loro pagato il resto della somma avuta dallo Zampieri stesso (afsp, Arm. 1, A, 6, nn. 13, 14). 183 A partire dal 1727 vennero trasferite nella basilica romana di Santa Maria degli Angeli – sotto i pontificati di Benedetto xiii, Pier Francesco Orsini (1724-1730) e Clemente xii, Lorenzo Corsini (1730-1740) – dodici grandi pale d’altare – che attualmente si trovano, quattro nel presbiterio e otto nella navata trasversale – allorché si decise di sostituirle, nel nuovo S. Pietro, con copie in mosaico corrispondenti alla grandezza dei nuovi altari, anche per preservarle dai guasti dell’umidità. Il trasferimento venne completato sotto il pontificato di Benedetto xiv, Prospero Lambertini (1740-1758), come ricorda l’iscrizione che si legge in alto, sul lato interno della parete d’ingresso della basilica: benedicto xiv pont. max./quod in vaticana basilica collocatis/e vermiculato emblemate structis aliquot tabulis/egregias picturas inde amotas huc transferri iusserit/carthusianos ad nobilissimam aedem exornandam/tanto munere impvlerit carth. ordo. Per accogliere questa grandissima pala in S. Maria degli Angeli, insieme ad altre tre altrettanto imponenti, l’architetto Clemente Orlandi, preposto alla direzione dei lavori di ristrutturazione della chiesa prima di Luigi Vanvitelli, modificò il sistema decorativo del presbiterio chiudendo le finestre michelangiolesche, ancora visibili all’esterno, aprendone delle nuove e alterando l’intero sistema di illuminazione; dovette poi procurarsi, con il tamponamento di tre degli arconi all’incrocio dei bracci del transetto, superfici murarie sufficientemente vaste per disporvi altri otto dipinti di misura affatto comune. 184 «xiii Kal. Feb. Fabiani in Callisti et Sebastiani in Catacumbas». 185 Cfr. Patrologia Latina, xv, col. 1574. 186 Bibliotheca Sanctorum, xi, col. 777. 187 20 dicembre 1725: «A Gio. Domenico Campiglia Pittore scudi cento moneta a conto del quadro d’Altare di S. Sebastiano del Domenichino che dal medemo si copia per servitio della Reverenda Fabrica [...]»; in afsp, Arm. 43, B, 66, s.n. 188 25 settembre 1726: «Al Signor Gio. Domenico Campiglia Pittore scudi cinquanta moneta a conto del quadro d’Altare di S. Sebastiano detto del Domenichini, che dal medemo si copia per servitio della reverenda Fabrica [...]»; in afsp, Arm. 43, C, 67, s.n.; 17 dicembre 1726 «A Domenico Campiglia Pittore scudi centoventi moneta sono cioè s. 100 per compimento di s. 300 prezzo della copia del quadro d’Altare di S. Sebastiano del Domenichino dal medemo fatta per servitio della Reverenda Fabrica, e s. 20 per li colori secondo il solito»; in afsp, Arm. 43, C, 67, s.n. 181

Arm. 27, D, 412, ff. 527, 531. Arm. 12, G, 14a, cc. 848-849. «Altare hoc pridie nonas Octobris mdclxxii Joseph Maria Suares Episcopus Vasionen. dedicavit, in quo repositae fuerunt Reliquiae Sanctorum Martyrum Innocentii, Victoris, andidi, & Laureati una cum ampulla Mannae dicti Sancti Nicolai; prout patet ex Instrumento rogat. per Joannem Baptistam Balduinum Notarium publicum»; Sindone 1744, p. 6. 192 Diario della Basilica Vaticana; acsp/ii, 9/2.17 (D.32) f 111v. 193 Diario della Basilica Vaticana; acsp/ii, 9/2.29 (D.36) p. 438. 194 Nacque a Carbognano del Cimino (VT) forse nel secondo decennio del Seicento. Sposatosi con Prudenza Cellini, ebbe tre figli: Giulio Cesare, Pietro Paolo, Filippo Antonio. Il secondo lo seguirà nell’attività di mosaicista, raggiungendo una cospicua fama. Ebbe rapporti di lavoro continuativi con la Fabbrica di San Pietro di cui fu pittore mosaicista. Morì a Roma il 27 gennaio 1689. 195 afsp, Summa decretorum del Fortini. 196 afsp, 42, F, 22. 197 Fontana 1694, p. 5. 198 afsp, Arm. 28, D, 539, c. 87. 199 afsp, Arm. 84, A, 4, n. 61a: Agostino Vannutelli, computista della Fabbrica di San Pietro in Vaticano, registrava nelle Liste dei Mandati del 1850 il mandato di pagamento che il Signor Ignazio Aquari, in qualità di Depositario della Fabbrica, doveva rilasciare a favore del pittore Fabrizio D’Ambrosio. Il documento è firmato da Lorenzo Lucidi economo e segretario della Fabbrica. 200 «1896. Posizione la quale contiene quanto si è ricevuto e fatto dalla nostra Arciconfraternita, affidatone lo incarico a Mons. Primicerio, nella ricorrenza del iii Centenario della fondazione della Chiesa, per il ricollocamento dell’antica Immagine allo Altare maggiore, per la festività annuale della Vergine Ss.ma d’Itria, unitamente celebrata con solenne Triduo 15. 16. 17. Maggio, e finalmente per la situazione del dipinto dal d’Ambrosio Napolitano rappresentante S. Giuseppe Sposo posto allo Altare della 1a. Cappella della nostra Chiesa, prezioso dono a noi pervenuto dalla R.da Fab. A richiesta del nostro Primicerio [Sua Em.za il Signor Card. Mariano Rampolla del Tindaro, Segretario di Stato di Leone xiii]»; Chiesa di Santa Maria d’Itria (Roma), Archivio Arciconfraternita Santa Maria Odigitria dei Siciliani. 201 afsp, Arm. 84, A, 7, n. 96. 202 Ibidem. 203 Ibidem. 204 Ibidem. 205 afsp, Arm. 84, A, 3, n. 61a, cc. 3-4. 206 Ibidem, c. 6. 207 afsp, Arm. 84, A, 7, n. 96. 208 Ibidem. 209 Ibidem. 210 Ibidem. 211 Gn 41,40. 212 Probabile richiamo al Decreto Quemadmodum Deus, con il quale il Beato Pio ix, l’8 dicembre 1870, in una temperie storica piuttosto complessa, volendo affidare la Chiesa alla speciale protezione del Santo patriarca Giuseppe, lo dichiarò «Patrono della Chiesa cattolica», e all’Enciclica Quamquam Pluries, con la quale papa Leone xiii, il 15 agosto 1889, tracciava le linee di una teologia di San Giuseppe, definendone chiaramente i titoli che lo inseriscono nella storia della salvezza, sia a livello dell’incarnazione, come sposo di Maria e padre di Gesù, sia a livello della vita della Chiesa, della quale è il naturale protettore. A significare l’importanza dottrinale di questa enciclica leonina e della sua indiscussa validità, nel primo centenario della sua pubblicazione, il 15 agosto 1989, il Beato Giovanni Paolo ii non solo ha dettato l’esortazione apostolica Redemptoris Custos, ma ha voluto inserirla proprio nel cuore del suo magistero caratteristico, ossia la Redenzione. Ciò significa che la figura e la missione di San Giuseppe fanno parte integrante della storia della salvezza, in stretta unione con il mistero dell’incarnazione (Gesù e Maria) e della redenzione (la Chiesa). 213 Esplicito richiamo al motivo tradizionale dell’a189 190 191

afsp, afsp,

sarotos oikos introdotto nella decorazione musiva di epoca ellenistica da Sosos di Pergamo (ii secolo a.C.), ancora vivo nella pittura pavimentale ceramistica. 214 afsp, Arm. 84, A, 7, n. 96. 215 Ibidem. 216 afsp, 84, C, 24, 898. Cfr. Ibid., scheda «S. Giuseppe Patrono della Chiesa Universale». 217 «Questo altare è stato costruito in onore di San Giuseppe Custode del Divin Fanciullo grazie alla pietà e alla munificenza di Barbara Lastenia Vives De Rosa-Innes di Santiago del Cile. La Sua immagine musiva è stata collocata nella Cappella recentemente restaurata nell’anno 1888». 218 Attualmente se ne conservano soltanto tre: il Velo della Veronica, la punta della Santa Lancia, un frammento del Legno della Santa Croce; il quarto reliquiario, contenente il Capo di Sant’Andrea giunto a Roma durante il pontificato di papa Pio ii, Enea Silvio Piccolomini (1458-1464), venne donato da papa Paolo vi al patriarca Atenagora, nel settembre del 1964. 219 Urbano viii, Maffeo Barberini (1623-1644). 220 afsp, Schedario Cipriani, Arm. 16, A, 160. 221 afsp, Arm. 26, C, 252, cc. 109r, 115v, 120r, 126r, 129r, 133v, 136r. 222 afsp, Arm. 26, D, 272, c. 4v. 223 afsp, Schedario Cipriani, Arm. 16, A, 162, cc. 148, 156. 224 afsp, Summa decretorum del Fortini. 225 afsp, Schedario Cipriani, Arm. 16, A, 162. 226 afsp, Arm. 26, D, 277, c. 276. 227 afsp, Schedario Cipriani, Arm. 12, F, 10. 228 afsp, Arm. 27, B, 382. 229 afsp, Arm. 42, F, 23, s.n. 230 Riceve danaro «a conto della pittura di musaico che ha fatto e fa nelli pilastri del tamburro, fregio e zoccolo della Cuppola della Presentazione della Beata Vergine nella Chiesa di San Pietro e quadro di Andrea Sacchi che va sotto le grotte»; in afsp, Arm. 42, F, 24, s.n. 231 Riceve danaro «a conto delli lavori di musaico che ha fatto e va facendo nelli pilastri del Tamburo e fregio e zoccolo, e principiato un Triangolo della cuppola della Presentatione della Beata Vergine nella Chiesa di San Pietro, e quadro del Signore Andrea Sacchi che va sotto le grotte in detta Chiesa»; in afsp, Arm. 42, F, 24, s.n. 232 Riceve denaro per aver «fatto di lavoro di musaici nelli due quadri, che vanno sotto le grotte, e Cuppola della presentatione della Beata Vergine, che fa il Signor Carlo Maratta nella Chiesa di S. Pietro circa s. 1000 moneta ne ha hauti acconto s. 810 resta havere s. 190 se gli dà acconto»; in afsp, Arm. 42, F, 24, s.n. 233 Riceve denaro «a conto delli lavori di musaico delli due quadri che vanno sotto le grotte, e Cuppola della Presentatione della Beata Vergine nella Chiesa di San Pietro che dipinge il Signor Carlo Maratta»; in afsp, Arm. 42, F, 25, s.n. 234 Riceve denaro «a conto de lavori de musaici che ha fatto e va facendo alli Triangoli della Cuppola della Presentatione della B. Vergine nella Chiesa di San Pietro, e quadri che vanno sotto le grotte alle quattro Nicchie di detta Chiesa»; in afsp, Arm. 42, F, 25, s.n. 235 Riceve denaro «a conto de lavori de musaici che ha fatto e va facendo alli Triangoli della Cuppola della Presentatione della B. Vergine nella Chiesa di San Pietro, e quadri che vanno sotto le grotte alle quattro Nicchie di detta Chiesa»; in afsp, Arm. 42, F, 26, s.n. 236 Riceve denaro «a conto della pittura de musaici che ha fatto e va facendo alli Triangoli della Cuppola della Presentatione della B. Vergine nella Chiesa di San Pietro, e quadri che vanno sotto le grotte delle quattro Nicchie della detta Chiesa»; in afsp, Arm. 42, F, 27, s.n. 237 «Il signor Fabio Christofani Pittore, che ha fatti li musaici delli Triangoli della Cuppola della Presentatione della Beata Vergine, e quadri che devono andare sotto le grotte nelle quattro nicchie, ha fatto di lavoro circa s. 2200, ne ha hauti s. 1970 resta havere s. 230 se gli dà acconto»; in afsp, Arm. 42, F, 27, s.n. 238 Riceve denaro «per aver fatti li musaici delli quattro triangoli della Cuppola della presentatione

della Beata Vergine et hora sta lavoranno alli sordini, e quadri, che devono andare sotto le grotte nelle quattro nicchie, ha fatto di lavoro circa 2230, ne ha hauti s. 2070, resta havere s. 160, se gli dà acconto s. 80»; in afsp, Arm. 42, F, 27, s.n. 239 «Il signor Fabio Christofani Pittore, che ha fatti li musaici delli quattro triangoli della Cuppola della Presentatione della Beata Vergine, fregio attorno, et hora sta lavoranno alli sordini, e quadri che devono andare sotto le grotte nelle quattro nicchie, ha fatto di lavoro circa s. 2300, ne ha hauti s. 2150 resta havere s. 150 se gli dà acconto s. 80»; in afsp, Arm. 42, F, 27, s.n. 240 «Il signor Fabio Christofani Pittore, che ha fatti li musaici delli quattro triangoli della Cuppola della Presentatione della Beata Vergine, fregio attorno, n° tre sordini della medesima, e quadri che vanno alle quattro nicchie sotto le grotte, ha fatto di lavoro circa s. 2530, ne ha hauti s. 2355 resta havere s. 175 se gli dà acconto s. 100»; in afsp, Arm. 42, F, 28, s.n. 241 «Il signor Fabio Christofani Pittore, che ha fatti li musaici delli quattro triangoli, tamburo, fregio, e tre sordini della Cuppola della Presentatione della B. Vergine in S. Pietro, e quadri che vanno sotto le grotte, ha fatto di lavoro circa s. 2560, ne ha hauti acconto s. 2455 resta havere s. 105 se gli dà s. 50»; in afsp, Arm. 42, F, 28, s.n. «A Pietro Antonio Mariani et Oratio lustratori per giornate 6 poste a lustrare il quadro di San Longino di musaici che va sotto le grotte»; in afsp, Arm. 42, F, 28, s.n. 242 «Il signor Fabio Christofani Pittore, che ha fatti li musaici delli quattro Triangoli, Tamburo in giù della Cuppola di S. Pietro, come anco fenito tre quadri, che vanno nelle nichie sotto le grotte, e hora sta facendo l’altro [...]»; in afsp, Arm. 42, G, 29, s.n. 243 «A Giulio Cesare, Pietro Pavolo e Felippo Antonio Christofani figlioli et heredi del quondam Fabio Christofani e per essi alla signora Prudenza Cellini ne Christofani loro madre e tutrice, e curatrice deputata da Monsignor Illustrissimo Viceregente gli atti di Gieremia de Rossi notaro dell’Eminentissimo Vicario sotto li 10 febraro 1689 come per fede di detta deputatione delli 10 Giugno passato e riconosciuta dal Signore Ludovico Leonetti Procuratore della reverenda fabrica di S. Pietro consegnata in Com.ria della medesima s. cento moneta a conto della Pittura de musaici fatta dal suddetto quondam Christofano, tanto nella Cuppola della Presentatione nella Chiesa di San Pietro quanto alli 4 quadri che vanno sotto le grotte di detta Chiesa s. 100»; in afsp, Arm. 42, G, 30, s.n. 244 «A Giulio Cesare, Pietro Paolo e Filippo Antonio Christofani figli et eredi del quondam Fabio Christofani, e per essi alla signora Prudenza Cellini Christofani loro madre tutrice e curatrice deputata da Monsignore Illustrissimo Viceregente per gli atti di Geremia De Rossi notaro dell’Eminentissimo Vicario sotto li 10 febraro 1689 posta nelle giustificationi del detto anno al n° 29 per scudi seicentocinquantasette b. 531/2 moneta per resto di s. 3668.53/2 simili per saldo e final pagamento di diversi lavori di pitture di musaico fatti dal sudetto quondam Fabio Christofani mentre visse per servitio della nostra Reverenda fabrica compresovi anche li quattro quadri che vanno sotto le Grotte nella Chiesa di San Pietro il tutto come da conti e misure fatte dalli soliti ministri della detta Reverenda fabrica approvati nella presente Congregatione che gli altri s. 3011 a compimento sono cioè s. 2885 pagatili dalla sudetta nostra Reverenda Fabrica in più volte e s. 126 per la pigione della casa che habita per tutto luglio 1691»; in afsp, Arm. 42, G, 32, s.n. 245 «Si pongano in lista li signori Pietro Pavolo, e Filippo de Cristofarii figli del quondam Fabio Pittore de mosaici per scudi settecento, quali se li fanno pagare ex mera gratia, et dummodo non transeat in exemplum d’ordine della S. Congregatione della R. Fabrica coll’approvazione della Santità di N. S. per tutto ciò, che li medemi Pietro Pavolo, e Filippo potessero mai pretendere per l’opera delli quattro quadri esistenti nelle grotte della basilica Vaticana fatti già di mosaico dal detto quondam Fabio lor padre, et ogn’altra opera, e lavoro dal medemo esistente in detta Basilica Vaticana, e fatto per

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servizio, o d’ordine della R. Fabrica, intendendosi con il presente pagamento saldare, e terminare qualunque differenza, e pretensione, che potessero mai avere per qualsivoglia opera del detto lor Padre, imponendo per ciò un pieno, e totale silenzio [...]»; in afsp, Arm. 43, B, 55, c. 83. 246 afsp, Arm. 42, G, 32, s.n. 247 La dimensione del quadro musivo, eccettuata la cornice marmorea che lo racchiude, è pari a cm 64 x 130.

248 Responsabile dello Studio del Mosaico della Fabbrica di San Pietro dal maggio 2004. 249 La dimensione del quadro musivo, eccettuata la cornice marmorea che lo racchiude, è pari a cm 64 x 130.

ABBREVIAZIONI Archivio Capitolare di San Pietro afsp Archivio Fabbrica di San Pietro asr Archivio di Stato di Roma asv Archivio Segreto Vaticano bav Biblioteca Apostolica Vaticana gdsu Gabinetto Disegni e Stampe Uffizi, Firenze lp Liber Pontificalis, a cura di L. Duchesne, Paris 1886-1892, 1955-1957 acsp

Vergine ornate della corona d’oro dal R.mo Capitolo di S. Pietro: con una breve ed esatta notizia di ciascuna immagine, Stamperia Salomoni, Roma 1792. Bonanni 1696 F. Bonanni, Numismata Summorum Pontificum Templi Vaticani Fabrica indicantia, Chronologica ejusdem Fabricae narratione ac multiplici eruditione explicata, sub typis Dominici Antonii Herculis, Romae 1696 (17152), tav. 81. Bonci 2004 P. Bonci, Madonne Coronate in Italia e nel mondo, Servizio Editoriale Fiesolano, Fiesole 2004. Borghini 1584 R. Borghini, Il riposo di Raffaello Borghini in cui della pittura, e della scultura si favella, de’ più antichi pittori, e scultori, e delle più famose opere si fa mentione; e le cose principali appartenenti, in Firenze appresso Gio. Marescotti, 1584.

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A Abacuc 14, 121, 125, 173, 176 Abbatini, Guidobaldo 74, 180, 181, 186, 213, 227, 251 Abele 13 Abinadab 128 Abramo 106, 127 Adami, Pietro 176, 181, 188, 257 Adamo 15, 94, 172 Adriano, imperatore 29 Adriano di Nicomedia, santo 31 Adriano i, papa 32 Adriano ii, papa 299 Adriano iv (Nicholas Breakspear), papa 32 Adriani, Giovanni Battista 325 Africa 94, 106, 170, 182 Agnese, santa, mausoleo di 275, 277 Agnolo di Baccone 248 Agostino di Ippona, santo 11, 115 Agricola, Alessandro 316 Aio 128 Alacoque, Margherita Maria, santa 82, 204, 239 Albani, Annibale 193, 196, 255 Albani, Francesco Albano detto 294, 325 Alberti, Gasparo 163 Alberti, Leon Battista 18, 43 Albertini, Pietro 250 Albertoni, Paolo 172 Alcuino 32 Aldovrandini, Pompeo 325 Alessandro da Settignano 212 Alessandro iv (Rinaldo dei Signori di Jenne), papa 36 Alessandro vi (Rodrigo Llançol Borgia), papa 38 Alessandro vii (Fabio Chigi), papa 17, 18, 58, 62, 63, 204, 239, 251 Alfani, Emanuele 262, 325; 203 Alfarano, Tiberio 46, 53, 336; 6, 277 Algardi, Alessandro 63; 55 Alighieri, Dante 247 Allegretti, Flaminio 325 Alonso, Gustavo 293 Altieri, Lorenzo 294, 296, 313 Altoviti, Luigi 331 Ambrogio di Milano, santo 11, 310 Ambrosi Sacconi, Valentina 325 America 95, 170, 232; 85 Amos, profeta 13 Anania 11, 90, 239, 257; 217-219 Ancona 36 Andrea, apostolo 11, 31, 36, 38, 59, 157, 322; 267 Angelelli, Benedetto 310 Angelelli, Nicola 325 Angelici, Mellito 325 Angelo da Orvieto 325 Angeloni, Giovanni 325 Angeloni, Stefano 325 Angeloni, Vincenzo 325 Anna, madre di Samuele 120, 177 Anna, santa 85, 112, 217 Anselmi, Odoardo 275, 302, 325 Anselmi, Roberto 297, 325 Antiochia 288, 304 Antonio da Padova, santo 82, 223, 224, 225 Appiano Gentile 275 Aretino, Andrea 217, 325 Arfaxat, mago 277 Arnolfo di Cambio 32, 36 Aronne 12, 14, 15, 118, 120, 123, 128, 177, 219; 147 Arpino 286 Ascanio romano 325 Asia 95, 170; 87 Assisi 277 Atanasio, santo 11 Attila 63, 55 Avignone 29, 34 Azaria 14, 123, 177; 148

Azzurri, Francesco 316 B Babilonia 121 Baglione, Giovanni 135, 155, 200, 202, 212, 237, 243, 262, 325; 203, 204 Bagnoli, Pompeo (o Domenico) 325 Bajazet ii, sultano 38 Balaam 15, 118, 219 Baldinucci, Filippo 207, 208, 251 Balsimelli, Giacomo 331 Balthasar, Hans Urs von 271 Barak 14, 123, 176 Baratta, Francesco 74 Barberi, Domizio 325 Barberini, Antonio Marcello 227, 288 Barberini, Francesco 181, 192, 220, 288, 294, 297 Barbieri, Giovanni Francesco, v. Guercino Bari, Tesoro della cattedrale di San Nicola 313 Barigioni, Filippo 196, 228, 332, 340 Baronio, Cesare 32, 53, 148, 151, 152, 153, 154, 155, 161, 163, 262, 329 Barozzi, Giacomo, v. Vignola Bartoli, Daniello S.J. 75 Bartoli, Cosimo 251, 325 Bartolini, Domenico 325 Bartolomeo, apostolo 11 Barzotti, Biagio 325 Basilio Magno, santo 11, 210, 212, 215, 237, 302; 176, 255 Batoni, Pompeo 241, 325, 340 Battaglia, Pompeo 325 Bedini, Michelangelo 302 Belet, Giovanni 337 Bella, Cesare 324, 325 Belliomini, Giuseppe 325 Bellori, Giovanni Pietro 200 Bellucci, Giovanni 226 Bencivenga, Francesco 325 Benedetto da Norcia, santo 299 Benedetto da Parma 325 Benedetto ii, papa 74 Benedetto xiii (Pietro Francesco Orsini), papa 294, 330, 339, 340 Benedetto xiv (Prospero Lambertini), papa 303, 304, 340, 341 Benedetto xv (Giacomo Della Chiesa), papa 82, 204, 205, 274 Benedetto xvi (Joseph Alois Ratzinger), papa 8, 9, 82, 93, 271, 323, 337 Benefial, Marco 325 Beretta, Francesco 251, 325 Bermejo, Jesus Jiménez c.m.f. 293 Bernanos, Georges 271 Bernardo della Volpaia 37 Bernardo di Clairvaux, santo 10 Bernascone, Cinzio 325 Bernascone, Pietro Paolo 212, 325 Bernasconi, Giuseppe 202 Bernini, Gian Lorenzo 22, 53, 59, 62, 73, 74, 120, 126, 154, 182, 186, 213, 231, 251, 266, 310, 318, 330; 57 Berrettini, Pietro, v. Pietro da Cortona Bescapè, Ruggero 237 Bessarione, Basilio (o Giovanni) 36 Biagetti, Biagio 325 Bianchetti, Ludovico 226 Bianchi, Pietro 82, 225, 325, 340 Bielsko-<ywiec 322 Bigieri, Giuseppe 257 Bilczewski, Józef, santo 93, 320, 322, 323; 270 Bilhères de Lagraulas, Jean 38 Bindi, Giuliano 325 Bisanzio 28, 210; v. anche Costantinopoli e Istanbul Bobbio 274 Boccanera, Filippo 325

Boemia 297, 299 Boleslav di Boemia 297 Bolgi, Andrea 74 Bologna 43, 47, 163, 164, 172, 176, 182, 226, 283, 288, 303, 304, 308, 310 basilica di San Petronio 47 Bombelli, Filippo 325 Bompiani, Roberto 325 Bonaccorsi, Piero di Giovanni, v. Perin del Vaga Bonanni, Augusto 318 Bonanni, Filippo 248 Bonaventura da Bagnoregio, santo 10 Bonet, Luigi 325 Bonifacio, Natale 6 Bonifacio iv, papa 32 Bonifacio viii (Benedetto Caetani), papa 32 Bonifacio ix (Pietro Tomacelli), papa 35 Borivoj, duca di Boemia 297, 299 Bornia, Pietro 318, 325 Borromeo, Carlo, santo 70, 71, 75 Borromini, Francesco 181, 231, 335 Borti, Costantino 325 Borzatti (o Borzati), Giacomo 219, 315 Bosco, Giovanni, santo 282 Bosco, Marcantonio 325 Bovio, Agostino 145, 163, 325 Bramante, Donato 18, 41, 42, 43, 45, 46, 47, 48, 51, 53, 69, 70, 328; 7, 32, 33, 35 Bresciano, Jacopo 163, 325 Brigida di Svezia, santa 74 Brughi, Giovanni Battista 80, 170, 173, 252, 255, 325 Bucci, Giovanni Battista 325 Bufalini, Giovanni Ottavio 307 Bufalini, Leonardo 41 Buonaguro, Valentino 273, 274, 281, 283, 292, 293, 297, 325 Buonarroti, Michelangelo 46, 48, 51, 53, 58, 70, 73, 135, 145, 153, 154, 173, 182, 190, 209, 232, 236, 247, 271, 329, 330; 29, 43, 44, 116 Busiri Vici, Andrea 313, 315 C Caccianiga, Francesco 215 Caetani degli Stefaneschi, Jacopo 34, 248, 250 Caffarelli, Francesco 215 Calandra, Giovanni Battista 164, 190, 192, 227, 247, 251, 267, 286, 288, 294, 313, 315, 325, 332, 336-339 Caldani, Ernesto 325 Camasci, Andrea 325 Callisto iii (Alfonso de Borja y Cabanilles), papa 32, 36 Callot, Jacques 340; 196, 199, 207 Campanili, Federico 318, 325 Campanili, Licinio 318, 325 Campanili, Luigi 325 Campiglia, Giovanni Domenico 260, 313, 325, 341 Camuccini, Vincenzo 200, 202, 280, 325, 332, 338 Canarie, isole 292 Candace, regina 15, 170, 251; 141 Canino, Giovanni Angelo 325 Canova, Antonio 303 Canton Ticino 269 Capovilla, Loris 276 Cappei, Giovanni, v. Gapei, Giovanni Capponi, Francesco o.m. 8 Capri, Raffaele 325 Caracalla, imperatore 22 Caravaggio, Michelangelo Merisi detto il 200, 294, 315, 316 Cardi, Ludovico, v. Cigoli Cardoni, Pietro 170, 172, 231, 325 Carlini, Filippo 308, 325 Carlo Magno, imperatore 32, 339 Carlo v, imperatore 47 Carnesecchi, Luigi 325 Caroselli, Angelo 299, 325, 340 Carpazi, monti 323

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Carracci, Agostino 304 Carracci, Annibale 303 Carrara 74 Cartoni, Angelo 307, 332 Caserta 313 Cassio, Giuseppe 325 Cassio, Lorenzo 205, 325, 338 Cassio, Virgilio 226, 273, 274, 275, 282, 283, 292, 293, 296, 299 Castagno, Marinella 282, 283 Castelli, Francesco, v. Borromini Castellini, Antonio 200, 202, 204, 326 Castellini, Cesare 326, 338 Castellini, Giuseppe 326 Castellini, Raffaele 202, 204, 326 Castellini, Vincenzo 202, 204, 273, 326 Castello, Bernardo 182, 243, 245, 262, 326; 207 Catalogna 292, 296 Cavalier d’Arpino, v. Cesari, Giuseppe Cavallini, Pietro 190, 338 Cavallucci, Antonio 277, 326 Cecoslovacchia 302 Celestino iii (Giacinto Bobone Orsini), papa 32 Celio, Gaspare 167, 172, 326, 330 Cento 163, 164, 248, 283, 284 Cerasoli, Domenico 200, 255, 307, 326 Cerati, Michele 277 Ceretta, Alberto 326 Cerrini, Domenico 326 Cervi, Domenico 326 Cesarea di Cappadocia 306 Cesarea Marittima 252 Cesari, Giovanni 310 Cesari, Giuseppe, detto il Cavalier d’Arpino 58, 72, 76, 113, 145, 148, 151, 152, 153, 155, 157, 161, 162, 163, 164, 212, 217, 247, 286, 288, 326, 329, 330, 337, 339; 133-135 Cesellio, Valentino 333 Chatelain, Antonio 326 Chattard, Giovanni Pietro 267 Chiaramonti, Luigi Barnaba 280 Chiari, Giuseppe Bartolomeo 113, 219, 220, 255, 326, 335 Chiaserotti, Luigi 205, 326 Chiavari 274 Chibel, Bartolomeo 326 Chibel, Felice 326 Chibel, Guglielmo 326 Ciampelli, Agostino 277, 326, 338 Ciarpa, Baccio 325 Cifani, Arabella 267 Cigoli (o Civoli), Ludovico Cardi detto il 226, 241, 260, 284, 325, 336, 339; 199 Ciozzi, Luigi 310 Cirillo di Tessalonica, santo 10, 227, 299, 302; 252 Città del Messico, santuario di Santa Maria de Guadalupe 232 Città di Castello 212 Civolaro (o Ciccolaro), Giovanni 212, 325 Claret, Antonio Maria, santo 292, 293, 297; 248 Clemente, papa e santo 299 Clemente vii (Giulio de’ Medici), papa 47 Clemente viii (Ippolito Aldobrandini), papa 11, 53, 54, 58, 72, 73, 76, 77, 90, 135, 145, 148, 151, 152, 153, 154, 155, 163, 182, 215, 237, 239, 241, 262, 329, 334, 336; 123 Clemente ix (Giulio Rospigliosi), papa 63 Clemente x (Emilio Bonaventura Altieri), papa 106, 168, 267 Clemente xi (Giovanni Francesco Albani), papa 63, 74, 121, 168, 176, 193, 255, 294 Clemente xii (Lorenzo Corsini), papa 85 Clemente xiii (Carlo Rezzonico), papa 333 Clemente xiv (Giovanni Vincenzo Antonio Ganganelli), papa 288 Clori, Prospero 172, 177, 223, 325 Cocchi, Alessandro 170-172, 197, 231, 251, 260, 273, 326 Cocchi, Filippo 168, 176, 181, 188, 200, 294, 296, 326 Cocchi, Filippo junior 273, 308, 326 Cocchi, Nardo 217 Cocchi, Raffaele 202, 204, 326 Cocchi, Vincenzo 200, 204, 326 Colombo, Bartolomeo 186, 192, 326 Colonna, Cosimo 197 Conca, Sebastiano 286, 326 Consoni, Nicola 326 Contarello, Matteo 70

348

Conti, Giuseppe Michele 176, 181, 188, 213, 217, 219, 223, 326, 335 Contugi, Geremia 277 Cordieri, Enrico Scipione 181, 326 Corfù 36 Cornelio, centurione 11, 15, 102, 106, 170, 172, 236, 251, 252, 255; 213, 215 Cortona 290 Costa, Giuseppe 310 Costante i, imperatore 22 Costantino il Grande, imperatore 15, 17, 18, 22, 24, 25, 26, 29, 45, 47, 53, 102, 152, 170, 235, 241, 251 Costantinopoli 36, 147, 224, 299; v. anche Bisanzio e Istanbul Costanzi, Placido 92, 262, 326 Coulommiers 294 Cracovia 322, 323, 324 Università Jaghellonica 323 Crescenzi, Pietro Paolo 167 Cresti, Domenico, v. Passignano Crimea 299 Cristofari, Fabio 106, 180, 186, 188, 192, 219, 223, 228, 267, 296, 313, 315, 319, 320, 321, 326, 331, 332, 335-337, 341, 342 Cristofari, Pietro Paolo 80, 170, 173, 219, 252, 265, 286, 290, 299, 307, 313, 326, 337, 339 Cur 14, 123, 177; 147 D Damaso i, papa e santo 28, 29 D’Ambrosio, Fabrizio 280, 315, 316, 326, 338, 341 Daniele, profeta 11, 13, 14, 121, 126, 176; 159 Dante, Enrico 276 D’Antonio, Paolo 212 Davide, re 10, 11, 14, 88, 90, 121, 173, 275 De Angelis, Antonio 326 De Angelis, Domenico 307, 308, 326 De Angelis, Gioacchino 326 De Bisogno, Giuseppe 204 De Bonis, Giovanni Battista 265 Debora 14, 123, 176 De Comitibus, Josefo 220 Dee, Howard Q. 274 De Leliis, Silverio 170, 326 Delgado, Antonio C. 273 Della Porta, Giacomo 55, 69, 73, 135, 145, 154, 209, 226, 333 Della Porta, Guglielmo 58 Dell’Oro, Pasquino 212, 326 Del Monte, Francesco Maria 248, 284, 337 Del Piombo, Sebastiano 196 Del Pozzo, Leopoldo 223, 326, 335 De Mas, Teodoro 296 Depoletti, Francesco 326 De Rossi, Domenico 74 De Rossi, Geremia 341 De Rossi, Mattia 223, 326, 335 De Rossi, Tommaso 213, 267, 326, 337 De Ruggero, Gaetano 318 De’ Vecchi, Giovanni 135, 138, 144, 155, 163, 326, 329 De Vecchis, Giovanni 326 De Vecchis, Nicola 326 De Vecchis, Pietro 326, 336 Di Buono, Paolo 323, 324, 326, 330 Diocleziano, imperatore 288, 310 Dionoro romano 212, 326 Domenichino, Domenico Zampieri detto il 124, 202, 303, 304, 307, 308, 327, 335, 340, 341 Domenico da Anguillara 212, 326 Domenico di Guzmán, santo 74 Domiziano, imperatore 283 Donato da Arezzo 212, 326 Donato da Lugano 212 Donini, Tommaso 326 Donnini, Enrico Celso 131 Drahomirˇ di Boemia 297 Drei, Benedetto 248, 251 Drei, Pietro Paolo 213 Dupérac, Étienne 51, 52, 53, 55, 58; 43 Durantini, Luigi 326 Durantini, Pietro 326 Dziwisz, Stanislaw 324 E Efeso 43 Efrem Siro, santo 304

Egidio, santo 35 Egidio da Viterbo 45 Egitto 207, 219 Eleazaro 13, 126, 188; 160 Elena, santa 38, 265, 319, 321; 269 statua di 62, 241 Elia, profeta 10, 12, 126, 177, 196, 219, 269 Elisabetta, cugina di Maria, santa 11, 87, 215, 217; 178 Enuo, Enrico 170, 172, 225, 231, 260, 303, 326, 340 Erasmo, santo 11, 288, 290, 291, 292, 294; 245 Erasmo da Rotterdam 154 Ercolano, Giovanni 145, 163, 326 Ercole 290, 293, 310 Etiopia 102 Eugenio iii (Bernardo Paganelli), papa 32 Eugenio iv (Gabriele Condulmèr), papa 36, 41 Europa 29, 32, 72, 95, 152, 170, 208, 299; 86 Eusebio di Cesarea, santo 241 Eva 15, 93, 94, 172 Ezechiele, profeta 11, 13, 126, 144, 186, 210, 212, 215 F Fabiano, santo 32 Fabri, Giovanni 250 Faenza 283 Falda, Giovanni Battista 336 Fallani, Giovanni 276 Fancelli, Cosimo 74 Fancelli, Giacomo Antonio 74 Fanelli, Onorio 163, 329 Farfallini, Ventura 145, 151, 163, 164, 326, 336 Farnese, Alessandro 70 Fattori, Liborio 170, 172, 231, 326, 337 Fedi, Filippo 326 Ferrara 275 Ferrabosco, Martino 124 Ferrazzi, Ferruccio 326 Ferri, Ciro 106, 121, 124, 173, 176, 192, 193, 326, 335 Fiani, Giovanni Battista 308, 326 Fiani, Giovanni Francesco 172, 197, 231, 251, 262, 288, 326, 332, 337 Filarete, Antonio Avertino detto il 36, 43, 236 Filippo, apostolo 11, 15, 148; 127 Filippo, diacono 102, 170, 251; 141 Finos, Giuseppe 326 Fiorentino, Pietro 212 Firenze 48, 72, 157, 163, 202; 32-35 chiesa di San Marco 72 Flacco 283 Fontana, Carlo 74, 167, 315 Fontfroide 292 Formia 288, 290 Formoso, papa 29 Forte, Nello 326 Fortuny, Nuria 297 Franceschini, Marcantonio 121, 176, 177, 326, 331 Francesco da Amelia 212, 326 Francesco da Settignano 212, 326 Francesco d’Assisi, santo 11, 197, 202, 224, 225, 255, 307, 310; 70, 183, 259, 260 Francesco da Torino 212 Francesco di Giorgio 43 Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria 322 Francesco Saverio, santo 197, 273 Francia 31, 32, 38, 182, 202, 224, 228, 283 Franciosi, Vincenzo 326 Funi, Virgilio Socrate (Achille) 275, 276, 338 Furietti, Giuseppe Alessandro 267 G Gabriele, arcangelo 11, 15, 86, 114, 148, 212, 215; 97 Gaeta 284, 288 Gaio, prete romano 22, 266; 5 Galdani, Ernesto 326 Galeazzi, Enrico 276 Galilea, mare di, v. Genesaret Galise, Adriano 326 Galli, Giovanni Antonio detto Lo Spadarino 326 Gallio, Tolomeo 71 Gamba, Paolo 326 Gapei (o Cappei) Giovanni, detto Giovanni da Cherso 71, 212, 326, 334 Gavardini, Carlo 326 Garelli, Carlo 326 Gaudenzi, Pietro 326 Gaudi, Giovanni 326

Gaulli, Giovanni Battista 168, 326 Gawlik, Marcin 322 Gedeone 15, 118 Gemignani, Giacinto 326 Genesaret, lago di 92 Geremia, profeta 13, 14, 109, 123, 176 Ginnasio (o Gennasio), Annibale 286 Gentile, Antonio 283 Gentileschi, Orazio 163, 326 Gerusalemme 62, 91, 112, 123, 154, 155, 241, 260, 338; 200 Getsemani 106, 269; 232 Ghetti, Carlo 213 Ghezzi, Pier Leone 170, 326 Ghirotti, Claudio 326 Giacobbe 88, 219 Giacomo Maggiore, apostolo 11, 86, 112, 157, 204, 217, 269, 336, 338 Giacomo Minore, apostolo 11, 157 Giaele 15, 118, 219 Giaffa 262 Gianelli, Antonio Maria, santo 274; 236 Gianfredi, Luigi 326 Gianmaria da Gubbio 212, 326 Giannelli, Gennaro 265, 337 Giannini, Eradio 280, 326, 338 Giannuzzi, Domenico 193 Giappone 273 Gioacchina de Vedruna, santa 296, 297; 250 Gioacchino, santo 112, 217 Giocondo da Verona, fra 328 Giona 14, 123, 173, 176; 145 Gionata 12, 128; 111 Giordano, fiume 80, 94, 173, 236 Giosuè 15, 219, 120, 123, 177 Giotto di Bondone 34, 59, 62, 72, 92, 235, 248, 251, 265, 267, 336; 24, 25, 210, 211 Giovanni, apostolo ed evangelista 11, 106, 138, 144, 145, 155, 329; 119 Giovanni Battista, santo 11, 76, 145, 149, 151, 152, 153, 247, 251; 64, 80 Giovanni Battista da Casteldurante 326 Giovanni Battista da Viterbo 326 Giovanni Battista della Marca 326 Giovanni Crisostomo, santo 11, 85, 223, 224, 225; 70, 183 Giovanni Damasceno, santo 10, 227; 186 Giovanni da San Giovannino 326 Giovanni da Udine 326 Giovanni da Venezia 212 Giovanni del Ciabattino 326 Giovanni Diacono 272 Giovanni Francesco da Viterbo 326 Giovanni vii, papa 29, 31, 32 Giovanni viii, papa 340 Giovanni xxiii (Angelo Giuseppe Roncalli), papa e beato 275, 276, 296, 297 Giovanni Paolo ii (Karol Wojtyla), papa e beato 129, 226, 232, 273, 281, 299, 310, 322-324, 330, 335, 337, 341 Giove 293 Girolamo, santo 11, 144, 210, 212, 215, 237, 303, 304, 307; 256, 257 Gismondi, Tommaso 273 Giuda Iscariota, apostolo 106, 112, 192 Giuda Taddeo, apostolo 275-277, 280, 316, 338; 239 Giuditta 14, 15, 118, 121, 123, 176, 219 Giulio ii (Giuliano della Rovere), papa 18, 36, 38, 41, 42, 43, 46, 48; 1 Giulio veneziano 212 Giuseppe, santo 10, 11, 87, 88, 90, 217, 237, 257, 274, 275, 276, 277, 315-318, 324, 330, 335, 338, 341; 73, 74, 237, 264 Giusti, Alessandro 326 Glemp, Józef 324 González, Antonio 273 Gossoni (o Bussoni), Giovanni Domenico 170, 172, 223, 252, 325, 326, 335, 337 Gramiccia, Lorenzo 265, 326 Grandi, Carlo 326 Grandi, Francesco 205, 276, 316, 318, 326 Grecia 297 Gregorio di Nazianzo, santo 11, 58, 209, 210, 212, 215 Gregorio di Tours (o Taumaturgo), santo 10, 11, 124, 328 Gregorio i Magno, papa e santo 11, 26, 29, 32, 42, 54, 48, 144, 210, 215, 271, 272; 233, 234

Gregorio iii, papa 29, 32 Gregorio iv, papa 32, 124, 310 Gregorio ix (Ugolino dei Conti di Segni), papa 32; 21 Gregorio xiii (Ugo Boncompagni), papa 58, 69, 70, 71, 135, 153, 154, 163, 164, 208, 209, 210, 212, 226, 237, 283, 330, 333, 336, 340 Gregorio xv (Alessandro Ludovisi), papa 224, 284 Greuter, Matthäus 237, 328; 195 Grieco, Roberto 273, 274, 281, 283, 292, 293, 297, 326 Grimaldi, Giacomo 54, 80, 157, 226, 237, 277, 297, 328, 338 Grondona, Virginio Maria 326 Grossi, Gregorio 326 Guarnieri, Sante 308 Guercino, Barbieri Giovanni Francesco detto il 224, 283, 284, 286, 325, 339 Guerra, Giovanni 72, 135, 326 Guidotti, Paolo 326 Guio, Claudio 172 Guitton, Jean 271 H Haldovera, Simone 326 Hincone, vescovo di Olmütz 297 Holguin 292 I Illirico 290 Inghilterra 32 Innocenzo iii (Lotario dei Conti di Segni), papa 32, 72, 77, 277; 65 Innocenzo viii (Giovanni Battista Cibo), papa 36, 38, 59, 217 cappella di, 90 Innocenzo x (Giovanni Battista Pamphili), papa 62, 73, 74, 106, 154, 226, 251, 336 Innocenzo xi (Benedetto Odescalchi), papa 63, 320 Innocenzo xii (Antonio Pignatelli), papa 80, 167, 172 Inverno, Francesco 213 Inverno, Marcantonio 219 Irene, nobile 313 Isacco 13, 106 Isaia, profeta 11-13, 15, 112, 120, 126, 128, 177, 186, 210, 212, 215; 110, 112 Isaia da Pisa 36, 77 Israele/Israeliti 77, 106, 118, 128, 217, 219 Istanbul, basilica di Santa Sofia (Hagia Sophia), 43; v. anche Bisanzio e Costantinopoli Italia 28, 71, 163, 182, 200, 274, 292 J Jacopo da Varagine 153 Jaworski, Marian 232, 323 K Koeck, Francesco 326 Koeck, Michael (Michele Keck) 200, 202, 326 Kiev 290, 291 Korczyna 322 Krautheimer, Richard 24; 13 L Labacco, Antonio 58 Labus, Antonio 326 Lamberti, Bonaventura 228, 265, 303, 326, 337 Landi, Stefano 339 Landini, Taddeo 237 Lanfranco, Giovanni 92, 106, 181, 186, 190, 192, 227, 243, 262, 263, 326, 335, 337; 206 Lanzani, Vittorio 69, 235 Lapiccola, Nicola 87, 215, 326 La Spezia 274 Lastenia Vives De Rosa-Innes, Barbara 316, 319 Lattanzio da Crema 212, 326 Leone i Magno, papa e santo 10, 11, 28, 32, 63, 69, 272; 55 Leone ii, papa e santo 32, 69 Leone iii, papa e santo 69, 80, 267, 334 Leone iv, papa e santo 32, 69, 80, 340 Leone ix (Brunone dei Conti di Egisheim-Dagsburg), papa e santo 277 Leone x (Giovanni di Lorenzo de’ Medici), papa 46, 47 Leone xii (Annibale della Genga), papa 316, 318 Leone xiii (Gioacchino Pecci), papa 86, 316, 318, 322, 324

Leopoli (Lviv), Università Giovanni Casimiro 322 Les Andelys 288 Leto, Nicola 326 Lewine, Milton 153 Libano 288 Lidda 262 Limoges 76 Lodovico dall’Aquila 205 Lombardi, Gregorio 326 Longino, santo 38, 62, 321, 322; 268 Lonigo, Michele 335 Loreto, santuario 200, 307, 308 cappella di San Francesco 307 Losten, Basil H. 291, 292 Luca, santo ed evangelista 11, 138, 144, 145, 152, 207, 332, 333; 120, 173 Lucatelli, Vincenzo 326 Lucca 310 Lucci, Aldo 326 Lucidi, Lorenzo 341 Lucietto, Ludovico 205, 326 Lucifero 115, 118, 223; 101 Lucina, matrona romana 294, 313 Ludmilla, santa 297, 299 Luigi xiii di Borbone 335 Lviv, v. Leopoli M Maccabei 13, 125, 188; 108 Macerata, cattedrale 288 Maddalena Gabriella di Canossa, santa 281; 240 Maderno, Carlo 29, 38, 55, 59, 73, 173, 177, 213, 217, 224, 237, 248, 251, 330; 48, 49, 195 Madrid 157, 292 Maini, Giovanni Battista 336 Malachia, profeta 11 Maldura, Costanzo 326 Mallius, Petrus 26 Malusardi, Spiridione 326 Mancini, Francesco 91, 241, 260, 326; 200 Manenti, Orazio 181, 186, 188, 251, 326 Manetti, Gianozzo 41, 45 Manila 273, 274 Manozzi (o Mannozzi), Giovanni da San Giovanni 190, 326 Mantova 302 Maratta, Carlo 80, 95, 113, 121, 168, 170, 172, 173, 176, 219, 220, 219, 220, 231, 252, 255, 326, 331, 335, 340, 341 Maraviglia, Laura 282, 283 Marcelloni, Valerio 283, 293, 302, 326 Marchionni, Filippo 332 Marco, santo ed evangelista 11, 72, 138, 139, 144, 145, 332; 101, 122 Marco da Pesaro 212 Marcolini, Marcantonio 215, 332-334, 337 Marco veneziano 326 Marefoschi Compagnoni, Mario 288 Marella, Paolo 276, 302 Maria (o Miriam), sorella di Aronne 15, 219 Maria Cristina Ferdinanda di Borbone 339 Maria del Rosario, superiora delle Figlie di Maria SS. dell’Orto 274 Marina di Omura, santa 273 Marini, Filippo 326 Marini, Giuseppe 280, 338 Marino, mastro 210, 333 Marino, Nicoletta 323, 326 Marone, santo 74 Martinelli, Francesco 163, 326 Martinelli, Lodovico 144, 145, 217, 326, 329 Martiniano, santo 11, 31, 93, 106, 172, 236, 252, 290, 294, 296; 214, 249 Martino v (Oddone Colonna), papa 36 Marullo, Michelangelo 326 Massimiano, imperatore 288, 310 Masucci, Agostino 196, 197, 326, 332 Mattatia 13 Matteo, apostolo ed evangelista 11, 138, 139, 144, 145, 151, 329, 332; 121 Matteo da Siena 248 Mattia, apostolo 11 Mattia, Antonio 326 Mattiacci, Gabriele 326 Mattioli, Alessio 288 Mazzarello, Maria Domenica, santa 282, 283; 241 Mazzei, Ugo 291

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Mazzolini, Ermenegildo 326 Mazzoni, Achille 326 Mazzoni, Pietro 326 Medici, Cosimo i de’ 51 Melchisedek 12, 126, 177, 180 Meleghino, Jacopo (o Jacomo) 333 Mendruzzi, Bartolomeo 326 Menghini, Nicolò 74 Mengs, Anton Raphael 241 Menico da Larione 212 Mercurio Rejmondo 333 Meres, Pietro 326 Merisi, Michelangelo, v. Caravaggio Metodio, santo 299, 302; 253 Michelangelo, v. Buonarroti, Michelangelo Michele, arcangelo 11, 15, 223, 286, 288, 290, 296, 313, 315, 339; 98 Michele iii di Costantinopoli, imperatore 299 Michelini, Domenico 326 Miglioretti, Paolo 326 Milanese, Jerolimo 212 Milano, duomo 43 Milardi, Valentina 274 Minardi, Tommaso 318, 327 Minù, Giovanni 327 Moglia, Augusto 327 Molanus, Jan van 154 Monetti, Franco 267 Monnot, Pierre-Etienne 340 Monosilio, Ludovico 327 Monosilio, Salvatore 88, 200, 215, 327 Montani, Giuseppe 327 Montauti, Antonio 331 Monticelli, Evandro 205, 327 Monticelli, Tullio 326 Moravia 299 Morelli, Giuseppe 326 Morelli, Lazzaro 74 Moretti, Mattia 223, 327, 335 Mornese 282 Moroni, Giuseppe 327 Mosè 13-15, 102, 109, 118, 123, 128, 172, 177, 196, 219, 269; 102, 147, 230 Mucante, Giovanni Paolo 53 Muccetti, Aldo 327 Muccioli, Carlo 82, 205, 327 Mugini, Girolamo 320 Muziano (o Muziani), Girolamo 71, 87, 88, 135, 138, 164, 210, 212, 215, 237, 303, 307, 327, 330, 333, 334, 340 Muzio, Felice 327 N Nabucodonosor 13, 186 Nagasaki 273 Naldi, Giovanni Battista 39 Napoli 286, 304, 307, 310, 313 basilica di San Lorenzo Maggiore 43 certosa e museo di San Martino 330, 340 Nappi, Francesco 327 Narbona 292, 332 Narduzzi, Dario 268, 274, 281, 283, 292, 293, 297, 327, 329 Nasini, Giuseppe Nicola 327 Nebbia, Cesare 71, 72, 135, 138, 145, 155, 163, 327, 330 Neri, Filippo, santo 71, 154, 200, 329 Nerone, imperatore 22, 204, 208, 235, 239 Nettuno 272, 318 Niccolò iii (Giovanni Gaetano Orsini), papa 32, 235 Niccolò v (Tommaso Parentucelli), papa 17, 18, 28, 36, 41, 42, 43, 45, 46, 51; 30 Nicodemo, santo 10 Nicola di Bari, santo 11, 313, 315; 263 Nicomede 283 Nicomedia 92 Nishizaka, collina 273 Nizza Monferrato 282 Nobili, Salvatore 327 Noè 13, 15, 102, 109, 118, 172, 219; 140 Nogari, Paris 328; 8 O Oddi, Alfredo 327 Olivieri, Giovanni Battista 327 Olga, santa 290, 291, 292; 247 Oloferne 14, 15, 118, 121, 123, 176

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Onofri, Nicola 170, 172, 225, 231, 252, 303, 327, 337 Onorio, imperatore 28, 31 Onorio iii (Cencio Savelli), papa 32 Orazio da Castello 212 Orazio romano 212, 327 Orlandi, Clemente 340, 341 Orsi, Prospero 327 Osea, profeta 13 Oslenghi, Giuseppe 308 Ostra 302 Ottaviani, Giuseppe 170, 176, 197, 219, 225, 260, 262, 265, 286, 290, 299, 303, 307, 313, 327, 331, 335, 337, 340 Ottoboni, Pietro 92 Ottone ii, imperatore 78, 235 Ottoni, Lorenzo 73 Ozia, re 14, 123, 177; 148 P Pagani, Matteo 327 Palazzetti, Filippo 327 Palazzolo, Luigi Maria 276 Paleat, Guglielmo 197, 225, 260, 262, 303, 327, 340 Paleotti, Gabriele 74 Pallini, Cesare 327 Pallini, Innocenzo 327 Pallotta, Giovanni Evangelista 226, 277 Pamphili, Ridolfo 226 Pannonia 299 Pantheon 18, 26, 43 Panvinio, Onofrio 53 Panurio, Camillo 212 Paola, santa 304 Paolo di Tarso, santo 11, 29, 31, 36, 72, 76, 78, 80, 135, 146, 149, 151, 157, 167, 204, 235, 237, 239, 247, 252, 267, 294, 299; 66, 129, 193, 227 Paolo i, papa 29, 31, 32, 283 Paolo ii (Pietro Barbo), papa 36; 31 Paolo iii (Alessandro Farnese), papa 47, 48, 58, 62, 63, 70, 277 Paolo v (Camillo Borghese), papa 18, 54, 58, 59, 145, 163, 164, 226, 237, 248, 283, 284, 294 Paolo vi (Giovanni Battista Montini), papa 226, 271, 336, 337, 341 Paolo romano (Paolo di Mariano di Tuccio Tacconi da Sezze) 77, 237; 27 Papi, Angelo 327 Paraccini, Giacomo 310, 327 Paraccini, Paolo 308 Parasole, Rosato 163, 164, 327, 329, 336 Parigi 303, 320 Parigi, Donato 145, 163, 327 Parsi, Fabrizio 275, 302, 327 Pascoli, Lione 267 Pasquale i, papa e santo 32, 294 Pasquale ii, papa 32, 69, 209 Passeri, Giuseppe 106, 168, 172, 236, 252, 327 Passerini, Stefano 212, 327 Passignano, Domenico Cresti detto il 73, 90 197, 202, 219, 239, 257, 336, 332, 335, 337, 340; 196, 197 Patiente, Ascanio 327 Patrasso 36 Pelagio ii, papa 29, 42 Pelçzar, Józeph Sebastian, santo 322, 323, 324; 271 Pellegrini, Carlo 207, 327 Pelucchi, Giacomo 196, 228, 331 Pennacchini, Domenico 204, 327 Pennacchini, Gaetano 327, 338 Perin del Vaga, Piero di Giovanni Bonaccorsi detto 277, 338 Perugino, Pietro Vannucci detto il 36 Perusca, Giovanni Antonio 212, 327 Peruzzi, Baldassarre 43, 45, 47, 48; 38 Pestarino, Domenico 281 Peters, Antonio 202, 327 Petronilla, santa 10, 11, 22, 31, 190, 265, 266, 283, 284, 286; 225, 242, 243 rotonda di, 22, 31, 38 Piccioni, Matteo 180, 186, 188, 327, 331 Pietro, apostolo 10, 11, 15, 17, 29, 31, 32, 36, 38, 58, 59, 62, 72, 74-76, 78, 80, 90-94, 102, 106, 129, 151153, 157, 167, 170, 172, 181, 182, 197, 202, 204, 217, 224, 235-237, 239, 241, 243, 245-248, 250-252, 255, 257, 260, 262, 265-269, 271, 273-275, 277, 283, 294; 2, 3, 66, 76, 77, 193, 196, 197, 200-207, 209, 212-216, 220-222, 225-232, 235 Pietro da Città di Castello 212, 327

Pietro da Cortona, Pietro Berrettini detto 106, 124, 125, 126, 180, 181, 182, 188, 190, 192, 193, 290, 325, 331, 335 Pietro da Foiano 212 Pio da Carpi, Alberto 154 Pio ii (Enea Silvio Piccolomini), papa 36, 42, 341 Pio iv (Giovanni Angelo Medici), papa 53 Pio v (Antonio Michele Ghislieri), papa e santo 71 Pio vi (Gian Angelo Braschi), papa 277, 307 Pio vii (Luigi Barnaba Chiaramonti), papa 280 Pio ix (Giovanni Maria Mastai Ferretti), papa e beato 225, 245, 267, 315 Pio x (Giuseppe Melchiorre Sarto), papa e santo 225 Pio xi (Achille Ratti), papa 205, 274, 281, 282 Pio xii (Eugenio Pacelli), papa 232, 274, 281, 282, 293, 296 Pipino il Breve 31, 283 Pirolli, Carla 327 Pistolesi, Erasmo 202 Pitorri, Vincenzo 327 Pizzola, Paolo 327 Poggesi, Angelo 327 Poli dei conti di Segni, Ottaviano 277 Pollaiolo, Antonio del 38 Pollaiolo, Pietro 38 Polonia 323 Polverelli, Pietro 327 Pomarancio, Antonio 327 Pomarancio, Cristoforo Roncalli detto il 87, 91, 155, 217, 239, 257, 327, 329 Pomodoro, Pietro 163, 164, 327, 330 Pompeo da Campo di Lago 212, 327 Ponfreni, Giovanni Battista 307, 327 Poussin, Nicolas 290, 294, 327, 339 Pozzi, Giuseppe 215, 327, 334 Pozzi, Stefano 196, 197, 327, 332 Praga 297 Prezadio, Francesco 215 Principi, Primo 205, 276, 302, 318 Procaccini, Andrea 95, 168, 172, 236, 252, 255, 327 Processo, santo 11, 31, 93, 106, 172, 236, 252, 290, 294, 296; 214, 249 Provenza 32 Provenzale, Marcello 144, 145, 148, 162, 163, 164, 248, 250, 251, 327, 329, 330, 336, 339 Przemyvl 323 Pseudo Dionigi (Dionigi l’Areopagita) 10, 149, 329 Pseudo Marcello 239, 336 Pseudo Matteo 217 Pseudo Lino 294 Pskov 291 Puglieschi, Filippo 327 Purificati, Giulio 275, 327 Puti (o Putti), Ascanio 327 Putini, Pietro 334 Q Quadrani, Francesco 251, 267 Quadrini, Angelo 327 R Raddi, Giulio 327 Raffaello Sanzio 45, 47, 58, 82, 92, 196, 197, 239, 257, 332 Raffaello veronese 212, 327 Raggi, Antonio 74 Rampolla del Tindaro, Mariano 341 Rasina, Pietro 327 Ratta, Filippo 327 Ravenna 28, 29 Recob 128 Regoli, Bernardino 172, 197, 231, 262, 288, 327 Regoli, Giuseppe 308, 327 Reni, Guido 90, 182, 236, 255, 288, 327 Renzi, Vincenzo 327 Ricceri, Francesco 281, 292 Ricci, Giovanni Battista 213, 267, 269, 297, 327; 24 Ricciolini, Nicola (o Niccolò) 177, 196, 228, 265, 327 Ricciullo, Antonio 297 Ridolfi, Mariano 327 Rinaldi, Costantino 327 Rinaldi, Francesco 332 Rjurikovic, Igor 290 Roccheggiani, Antonio 327 Roccheggiani, Cesare 327 Roccheggiani, Lorenzo 255, 327 Roccheggiani, Nicola 204, 327

Rocchi, Emanuela 323, 324, 327 Roma Accademia Nazionale di San Luca 212, 277, 303, 318 basilica di San Clemente 299 basilica di San Giovanni in Laterano (basilica lateranense) 24 cappella Santori 155 basilica di San Paolo fuori le Mura (basilica ostiense) 280 basilica di Santa Maria degli Angeli 173, 219, 241, 257, 262, 340 basilica di Santa Maria del Popolo 58 cappella Chigi 58 basilica di Santa Maria Maggiore 299 basilica di Sant’Anastasia 62 carcere Mamertino 95, 293 catacomba (cimitero) di Domitilla 31, 282, 283 chiesa di Gesù Bambino all’Esquilino 196 chiesa di San Paolo alle Tre Fontane 255 chiesa di San Pietro in Montorio 193, 196, 332 chiesa di San Salvatore in Campo 265 chiesa di Santa Maria della Concezione 251, 307 chiesa di Santa Maria d’Itria dei Siciliani 316 chiesa di Santa Maria in Vallicella (Chiesa Nuova dei Filippini) 154, 200, 332 chiesa e monastero di Santa Maria in Campomarzio 58, 210 Collegio Romano, oggi Università Gregoriana 323 ippodromo del Palatino 313 Istituto Sant’Apollinare, oggi Università Lateranense 323 palazzo Braschi 297 palazzo Colonna 157 palazzo dei Conservatori 283 palazzo della Cancelleria 42 palazzo del Quirinale 176, 220, 237, 307, 318 cappella Paolina 332 Sala Regia 34, 176, 237 palazzo Doria Pamphilj 228 palazzo Farnese 228 Pinacoteca Capitolina 283 ponte Milvio 36 ponte Sant’Angelo (Pons Aelius) 22 via Ardeatina 283 via Aurelia 294 via Cornelia 22, 23 via del Tritone 315 via Giulia 304 via Veneto 288 Romanelli, Giovanni Francesco 85, 87, 109, 182, 219, 227, 327, 335, 336 Romolo Augustolo, imperatore 28 Roncalli, Carlo 327 Roncalli, Cristoforo, v. Pomarancio Rosati Panvini, Costantino 327 Rosselli, Cosimo 269 Rosselli, Giovanni 248 Rossetti, Cesare 145, 146, 163, 327 Rossetti, Paolo 138, 144, 145, 146, 163, 164, 217, 327, 329 Rossi, Clemente 265 Rossi, Stanislao 327 Rostagni, Giovanni Battista 327 Rostislav, principe di Moravia 299 Rovello, Giovanni 327 Rubicondi, Luigi 327 Ruiz, Lorenzo, santo 273, 274; 235 Rusconi, Giuseppe e Camillo 56 Rustichelli, Cosimo 219 S Sabbatini, Giovanni 338 Sabbatini, Luigi 332 Sabbatini, Pietro 338 Sacchi, Andrea 168, 182, 226, 271, 272, 273, 318, 319, 327, 337, 341 Saffira 11, 90, 239, 257; 217-219 Saint-Gilles 302 Salandri, Carlo 327 Sale, Nicolò 74 Sallent 292 Salomone, re 10, 88, 227 Salonicco, v. Tessalonica Sangallo, Antonio da 41, 46, 48, 53, 55, 58, 135, 144, 248; 40 Sangallo, Giuliano da 43; 34

Sangermano, Giacomo 132 Sanminiatelli, monsignore 318 Sansovino, Andrea 248 Santiago del Cile 315 Santiago di Cuba 292 Santini, Agostino 212 Santucci, Scipione 223 Sanzio, Raffaello, v. Raffaello Sanzio Sartori, Luigi 327 Sassi, Gaetano 197 Saul, re 12, 128, 177; 111 Saulini, Antonio 327, 338 Scipioni, Giuseppe 310 Sebastiano, santo 11, 124, 182, 310, 313, 340; 261, 262 Secchi, Giovanni 273, 275, 302, 327 Secchi, Silvio 275, 327 Sellini, Romolo 205, 327 Sementi, Giovanni Giacomo 339 Semprevivo, Ranuccio 163, 327, 336 Senepa, Vincenzo 327 Seno, Carlo 327 Seno, Vincenzo 327 Sergardi, Ludovico 223, 335 Sergio i, papa 29, 32 Sergio ii, papa 32 Serlio, Sebastiano 45, 46, 47, 58; 36, 38 Sermoneta 277 Serna, Catalina Serena 296 Severino, papa 29 Silvestri, Giuseppe 327 Silvestro i, papa e santo 15, 102, 235, 251, 267, 337 Silvestro, Marcello 212 Simmaco, papa 28, 29, 31 Simone, apostolo 11, 80, 151, 246, 275, 280, 316, 338; 129, 238 Simonetti, Carlo 205, 327 Simonetti, Michelangelo 215 Simon Mago 91, 204, 205, 237, 239, 241, 198 Sindone, Raffaele 277 Sinibaldi, Fabrizio 337 Sirmio 288, 299 Sisara 15, 118, 121, 219 Sisto ii, papa e santo 251 Sisto iii, papa e santo 28 Sisto iv (Francesco della Rovere), papa 36, 38, 59, 223, 277 Sisto v (Felice Peretti), papa 51, 53, 58, 86, 112, 135, 151, 163, 329, 333, 334 Solaro, Rocco 149, 329 Sosos di Pergamo 341 Sostre Santos, Eutimio c.m.f. 293 Sozzi, Marcello 327 Spada, Virgilio 74, 328 Spagna 292 Spagna, Pietro 327 Spagnolo, Luigi 212 Spallucci, Camillo 212, 327 Speciani, Cesare 71 Speranza, Giovanni Battista 327 Spinola, Giovanni Battista 220 Staffetta, Giorgio 251 Stefano i, papa e santo 251 Stefano ii, papa e santo 283 Stella, Giacomo 145, 163 Stella, Vincenzo 327, 329 Stern, Ludovico 327 Stoccolma, Nationalmuseet 7 Strada, Cepione 327 Stuart, Enrico Benedetto 272, 288 Suares, Joseph Maria 313, 341 Subleyras, Pierre 302, 303, 304, 327, 340 Svatopluk, principe della Grande Moravia 340 Svjatoslav, principe di Kiev 291 T Tabita 11, 92, 241, 262; 76, 201-204, 222 Taddeo, apostolo 11 Tani, Luigi 327, 336 Targinio di Christoforo, fornitore 212, 334 Teibaker, Luigi 327 Tempesta, Antonio 327 Tessalonica (Salonicco) 297 Testa, M. Elide 281 Theophilus Presbyter 154 Tiberio romano 212, 327 Titta romano 212

Tobia 10 Todi 205 Tognoni, Bartolomeo 327 Toietti, Domenico 327 Tokugawa, Yemitsu 273 Tomasek, Francesco 299 Tomberli, Bartolomeo 200, 202, 204, 255, 307, 327 Tomberli, Vincenzo 327 Tommaso, apostolo 11, 200, 202, 204, 281, 336; 171 Tommaso d’Aquino, santo 10, 227; 185 Torelli, Cesare 145, 163, 327 Tornioli, Niccolò 177, 327 Torriani, Francesco 327 Torrigiani, Sebastiano 69 Torrigio, Francesco Maria 74, 251, 267, 328, 333 Trémoliès, Pierre Charles 241, 327 Trento, concilio di 70, 71, 72, 75, 94, 153 Trevisani, Francesco 93, 95, 102, 168, 170, 236, 251, 252, 327, 331 Trevisano, Pietro 333 Trivosino 248 Tronchet (o Troncè), Giuseppe 310, 327, 338 Turcio, Genesio 212 U Ubizi, Giovanni 318, 327 Ucraina 291, 322 Ungureanu, Claudiu Ioan 322, 324, 327 Urbano viii (Maffeo Barberini), papa 55, 59, 62, 63, 124, 182, 202, 207, 235, 243, 251, 262, 267, 286, 288, 294, 297, 299, 310, 320, 332, 341 Urbino 47, 193, 220, 252, 255 chiesa di Santa Chiara 196 Uzzà 12, 128, 177 V Valadier, Giuseppe 202, 277, 332, 338 Valente, imperatore 302 Valenti Gonzaga, Silvio 303 Valentin de Boulogne 294, 296, 327, 339 Valentiniano iii, imperatore 28 Valeri, Domenico 288, 296 Vangelini, Benigno 327 Van Heemskerck, Marteen 20, 38 Vanni, Francesco 90, 204, 206, 239, 241, 327 Vanni, Michelangelo 327 Vanni, Raffaele 125, 180, 186, 327 Vannucci, Pietro, v. Perugino Vannutelli, Ettore 327, 336, 341 Vanvitelli, Luigi (Van Wittel, Lodewijk) 219, 228, 303, 304, 307, 310, 327, 334, 336, 340, 341; 44 Vasari, Giorgio 46, 47; 42 Vassalli, Costantino 327 Vaticano Appartamento Pontificio 324 Aula delle Benedizioni 251, 260, 332; 200, 206 Aula del Centauro 173 Basilica Costantiniana (antica basilica) 17, 18, 22, 2426, 36, 41, 42, 43, 53, 63, 69, 70, 72, 77-80, 82, 124, 135, 209, 217, 223, 226, 237, 248, 266, 271, 277, 283, 294, 297, 310, 337; 6, 10, 12-19, 21, 22, 65, 193, 194 cappella del Re (di Francia) 31 cappella di San Martino, v. oratorio di San Martino Coro Capitolare o dei Canonici 28, 29, 32, 34, 36, 38, 41, 46 Cripta anulare 29; 20 mausoleo di Probo 36 mausoleo di Sant’Agnese 277 Memoria Apostolica 18 oratorio dei Santi Processo e Martiniano 32, 36 oratorio dei Santi Sisto e Fabiano 32 oratorio di Giovanni vii 72, 82, 237; 22 oratorio di San Gregorio 124, 310 oratorio di San Martino 31, 32, 36 porta Romana 297 rotonda di Santa Petronilla 22, 31, 38 rotonda di Sant’Andrea (o di Santa Maria della Febbre) 29, 31, 38, 283 Basilica di San Pietro in Vaticano (nuova basilica) altare dei Santi Processo e Martiniano 11, 38, 237, 288, 292, 294, 296, 297, 316; 248-250 altare dei Santi Simone e Giuda Taddeo 280, 338 altare della Bugia 11, 257 altare della Crocifissione di San Pietro 11, 255, 273, 274; 196, 235, 236 altare della Guarigione dello storpio 11

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altare della Madonna della Colonna 11 altare della Madonna del Soccorso 11, 69, 70 altare della Madonna Immacolata 11 altare della Navicella 11 altare della Pietà 11 altare della Presentazione della Vergine 11 altare della Resurrezione di Tabita 11 altare della Trasfigurazione 11 altare del Sacro Cuore 11 altare del Santissimo Sacramento 11 altare di San Basilio 11, 302; 255 altare di San Francesco d’Assisi 11, 307; 259, 260 altare di San Girolamo 11, 334, 340; 256-258 altare di San Giuseppe 11, 277, 318; 237-239 altare di San Gregorio Magno 11, 217, 271, 272; 233, 234 altare di San Leone Magno 11, 209 altare di San Michele arcangelo 11, 286 altare di San Nicola 11, 313 altare di San Pietro clavigero 11 altare di San Sebastiano 11, 188, 310, 340; 261, 262 altare di Santa Petronilla 11, 283, 338, 339; 242, 243 altare di Sant’Erasmo 11, 288, 291; 245-247 altare di San Tommaso Apostolo 11, 281, 283; 240, 241 altare di San Venceslao 11, 297, 299, 302; 251-254 baldacchino del Bernini 59, 62, 231, 266; 53, 118 cappella Clementina 11, 58, 72, 87, 154, 164, 196, 215, 217, 239, 267, 271, 272, 333, 340; 59, 60, 65, 69, 123, 166-169, 173, 178, 233, 244 cappella dei Santi Michele e Petronilla 11, 154, 190, 247, 265, 283, 286, 331, 333; 60, 76, 225, 242, 243, 244 cappella del Coro 14, 38, 42, 43, 48, 55, 73, 74, 85, 120, 124, 173, 176, 182, 223, 224, 225, 277, 331; 59, 60, 65, 70, 103, 104, 144-148, 150-153, 183 cappella del Fonte Battesimale 15, 80, 93, 95, 167, 172, 181, 192, 236, 251, 252, 330, 331, 337; 59, 60, 65, 68, 78-88, 103, 104, 138-143, 213-215 cappella della Madonna della Colonna 11, 88, 89, 225, 227, 228, 231, 252, 330, 331, 333, 336; 55, 58, 74, 75, 172, 184-188 cappella della Pietà 13, 73, 74, 106, 124, 173, 190, 223, 267; 58, 60, 64, 89-94, 161-165 cappella della Presentazione della Vergine 15, 73, 90, 112, 170, 173, 176, 217, 220, 223, 255, 335, 341, 342; 60, 65, 71, 96-102, 114, 180-182 cappella delle Reliquie (o del Crocifisso) 190, 283, 313, 315, 316, 318, 332, 335, 338 cappella del SS. Sacramento 12, 55, 73, 120, 126, 177, 182, 188, 190, 202, 223, 231, 277, 290, 307, 318, 331, 332; 60, 64, 109, 110, 111, 149-151, 153, 259, 260 cappella di San Francesco, v. altare di San Francesco cappella di San Giuseppe, v. altare di San Giuseppe cappella di San Nicolò, v. cappella delle Reliquie cappella di San Sebastiano 13, 73, 123, 182, 310, 331; 58, 60, 64, 105-108, 112, 113, 154 160, 261, 262 cappella di San Tommaso Apostolo, v. altare di San Tommaso cappella Gregoriana (o della Madonna del Soccorso) 11, 36, 59, 70, 71, 72, 73, 86, 88, 135, 154, 164, 182, 190, 208, 209, 210, 212, 213, 215, 226, 237, 303, 304, 318, 330, 333, 334, 336; 58, 60, 62, 64, 72, 174-177, 255-258 Cattedra (Cathedra Petri) 11, 59, 62, 73, 74, 167, 246, 280; 54 Confessione 11, 28, 29, 32, 36, 59, 77, 80, 236, 247, 266, 267; 67 Coro Capitolare o dei Canonici, v. cappella del Coro cortile di San Gregorio l’Illuminatore 268; 229-232 cupola grande (o maggiore) 11, 46, 51, 58, 75, 78, 113, 135, 153, 154, 155, 212, 217, 247, 319, 329, 330, 332, 333; 77, 115-132, 136, 179, 205, 209 crociera dei Santi Simone e Giuda Taddeo (attualmente di San Giuseppe) 276 crociera di destra (detta dei Santi Processo e Martiniano) 292, 302

352

crociera di sinistra (detta di San Giuseppe) 274 grotte vaticane 78, 82, 93, 207, 231, 232, 235, 237, 297, 319, 321, 323, 324, 330, 336, 338, 341, 342; 4, 10, 24, 65-67, 189-193, 265-271 cappella di San Longino 207, 319; 173, 265, 268 cappella di Sant’Andrea 319, 322; 265, 267 cappella di Santa Veronica 319; 265, 266 cappella di Sant’Elena 265, 269 cappella Polacca 322, 323; 192, 265, 270, 271 navata centrale 31, 32, 35, 36, 38, 72, 73, 74, 126, 208, 226, 246, 277, 297; 9, 56, 57, 208 navata meridionale 82, 217, 225, 236, 239, 340; 59, 114 navata settentrionale 106, 124, 182, 190, 192, 267, 304, 307, 310, 313, 315; 50, 58, 89, 228, 259-264 nicchia dei Palli 11, 247, 266, 267, 337; 67, 226, 227 ottagono della Trasfigurazione 241 ottagono di San Basilio 44 ottagono di San Girolamo 40 ottagono di San Gregorio 91; 198, 211 pilone di San Longino 11, 237, 303, 304; 255-258 pilone di Sant’Andrea 11, 237, 239, 257; 217, 218 pilone di Santa Veronica 11, 226, 239, 241, 260; 220, 221 statua di Santa Veronica 62 pilone di Sant’Elena 11, 38, 241, 262; 219, 222- 224 statua di Sant’Elena 62, 241 Porta Santa 92, 190, 193, 226, 247, 267, 332, 337; 106, 228 sagrestia 26, 38, 59, 90, 167, 181, 182, 197, 202, 257, 283, 290, 316, 319, 338; 170 sala capitolare 271, 319 tomba di San Pietro 24, 58, 62, 69, 80, 167, 231, 247, 271, 323, 324; 4, 5 transetto meridionale (detto di San Giuseppe) 32, 73, 90, 202, 236, 247, 255, 257, 273, 274, 277, 281-283; 171, 216, 235-241 transetto settentrionale (detto dei Santi Processo e Martiniano) 73, 208, 246, 252, 274, 288, 290-292, 294, 296, 297, 299; 245-254 Trofeo (tropaion) di Gaio 22; 5 Biblioteca Apostolica Vaticana 237, 332, 336, 338; 1 Biblioteca Sistina 51, 328 Braccio di Carlo Magno 204, 288 Capitolo di San Pietro in Vaticano 70, 90, 120, 182, 209, 225, 226, 276, 277, 316 Cappella Sistina (Cappella Magna) 32, 224, 231, 268 Casino dell’Economo 307 Castel Gandolfo, residenza pontificia 319, 337 Concilio Vaticano ii 144, 226, 275 Confraternita di San Giacomo di Scossacavalli 70 Fabbrica di San Pietro in Vaticano 8, 9, 71, 90, 92, 93, 120, 126, 135, 146, 155, 164, 196, 197, 204, 212, 215, 217, 219, 223, 224, 225, 226, 228, 232, 237, 239, 241, 248, 250, 251, 252, 255 257, 262, 265, 267, 268, 271, 272, 273, 274, 276, 277, 280, 281, 282, 283, 284, 286, 288, 292, 293, 297, 299, 302, 303, 304, 307, 308, 310, 313, 315, 317, 318, 319, 320, 321, 323, 328-331, 333-342; 2, 3, 28, 197, 201, 202, 204 Archivio Storico 9, 208, 212, 248, 252, 277, 292, 299, 303, 304, 307, 329-331, 334, 336 338; 27, 131, 132 Museo Petriano 204, 241, 251, 318, 332, 338 necropoli vaticana 17, 22, 23, 328; 10, 11, 14 Studio del Mosaico Vaticano 170, 196, 197, 200, 202, 205, 219, 223, 226, 232, 268, 272, 273, 274, 275, 276, 280, 281, 282, 283, 288, 292, 293, 297, 304, 307, 313, 318, 323, 324, 330, 332, 333, 336, 338, 340, 342 Musei Vaticani 200, 243; 25 palazzi apostolici 226; 8 palazzo Innocenziano 38 piazza San Pietro 225, 226, 248, 273, 323, 324; 51 Pinacoteca Vaticana 239, 255, 290, 294, 304, 332; 25 Sala del Concistoro in Vaticano 318 Sala Regia (Aula Prima) 32 Vecellio, Tiziano 333 Velika, fiume 290 Venceslao, santo 11, 297, 299, 339; 251, 254 Venezia 71, 162, 163, 164, 208, 228, 330, 333 basilica di San Marco 208, 333 Ventimiglia 274 Venuti, Ludovico 316 Veronica, santa 80, 318, 319; 266 statua 62 sudario 31, 32, 38

Vespignani, Francesco 316 Vespignani, Carlo Giovanni 232, 331, 336 Vich 296 Vienna Kunsthistorisches Museum (Gemäldegalerie) 299 Università 322 Vignola, Giacomo Barozzi detto il 209, 333 Villari, Pier Luigi 327 Vincenzo di Saragozza, santo 31 Vincenzo de’ Paoli, santo, Istituto di 323 Vincenzo romano 212, 327 Vinciotti, Sandro 327 Visso 163 Viterbo 303 Vito, santo 297 Vitruvio 43 Vittrice, Pietro 200 Vladimiro, santo 291, 292; 246 Volpini, Andrea 327 Volpini, Michele (o Michelangelo) 204, 327 Volponi, Gherardo 327 Vouet, Simon 181, 182, 224, 327 Vratislao i 297 Vybuti 290 W Wilamowice 320 Willaume, Giuseppe 327 Z Zabaglia, Nicola 310 Zaccaria, profeta 13, 108, 125, 144, 186; 158 Zampieri, Domenico, v. Domenichino Zander, Giuseppe 135, 292 Zanini, Lino 274, 281, 282, 292, 293, 297 Zappa, Giovanni Antonio 336 Zaroen, mago 277 Zecchini, Angelo 327 Zefirino, papa e santo 266 Zen, Stefano 152 Zenone i, imperatore 28 Zoboli, Giacomo 88, 228, 231, 327 Zua, Gerardo 330 Zucchi, Francesco 145, 163, 327, 329, 336


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