SAINT FRANCIS AND GIOTTO'S REVOLUTION

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FRANCESCO e la rivoluzione di giotto


FRANCESCO e la rivoluzione di giotto

Testi di

Engelbert Grau ofm, Raoul Manselli, Serena Romano


© 2018 Editoriale Jaca Book Srl tutti i diritti riservati

SOMMARIO

Prima edizione italiana settembre 2018

Si ringraziano le Edizioni Biblioteca Francescana per la preziosa collaborazione alla revisione dei capitoli Grau e Manselli San Francesco e la fondazione dell’ordine Engelbert Grau ofm p. 7 Il francescanesimo tra ideali evangelici e realtà della Chiesa Raoul Manselli p. 55 Copertina e grafica Paola Forini/Jaca Book

Giotto, Francesco, i Francescani Serena Romano p. 87

Fotolito Target Color, Milano Nota bibliografica alle fonti francescane p. 195 Note ai testi p. 197 Stampa e legatura Stamperia S.c.r.l., Parma settembre 2018

ISBN 978-88-16-60562-6

Editoriale Jaca Book via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48561520 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su


SAN FRANCESCO E LA FONDAZIONE DELL’ORDINE Engelbert Grau ofm

La storia dell’Ordine dei Frati Minori presenta varie forme di uno stretto legame con la figura di san Francesco d’Assisi che è stato, non tanto il fondatore e creatore di quest’Ordine, quanto piuttosto il suo iniziatore ed il suo modello. Non avviene così per tutti gli Ordini. La storia dell’Ordine benedettino è press’a poco la storia della Regula Sancti Benedicti e delle sue interpretazioni, e la Regula stessa rappresenta, più o meno, l’unico e determinante fondamento dell’Ordine, mentre la figura di san Benedetto rimane sullo sfondo. Analogo è il caso degli statuti dei frati predicatori e della figura di san Domenico che presso i Domenicani si trova per di più a dover indietreggiare di fronte all’incisività spirituale della filosofia e della teologia di san Tommaso d’Aquino. L’Ordine dei Frati Minori fu invece determinato in maniera costante da un corso oltremodo vivace ed assolutamente casuale che aveva il suo riferimento nella figura così piena di vita e di fascino dell’uomo Francesco, uno dei santi più amati di tutta la cristianità. Con un senso di profonda comprensione riguardo a queste correlazioni, l’autore di un’antifona in onore di san Francesco chiama quest’ordine Forma Minorum1. Benché lo stesso Francesco si sia opposto a questo stato di cose, e nonostante egli non si offra – soprattutto nella Regola – come modello di vita per i suoi fratelli, rimane tuttavia innegabile che esistano, a questo proposito, nessi reali ed organici. Per questo motivo ogni nuova fonte sulla vita di Francesco risveglia un interesse esistenziale, mentre l’interesse dei Benedettini si concentra semmai su manoscritti inediti, finora sconosciuti, della loro Regula, ed i loro interessi scientifici ruotano intorno all’interrogativo se la cosiddetta Regula Magistri o Regula Sancti Benedicti sia la più antica e rappresenti quindi il modello per le altre. Sicuramente, nella storia dell’Ordine dei Frati Minori, anche l’esatta comprensione della Regola ha rappresentato un momento stimolante; tuttavia dietro alla ricerca di una sua corretta interpretazione era sempre presente la viva figura di san Francesco. Ci fornisce un chiarissimo segnale in questa direzione quel commento anonimo della Regola, risalente alla metà del

xiv

secolo, che si trova conservato in un manoscritto del convento dei canonici agostiniani a

San Floriano, nell’Austria superiore. Ogni capitolo della Regola viene qui illustrato con parole ed esempi tratti dalla vita di san Francesco2.

7


Di conseguenza, qualora si desideri descrivere la nascita dell’Ordine dei Frati Minori, non si potrà

stenza c’era il Vangelo così come egli lo personificava nella sua vita. Quando il numero dei fratelli accanto

rinunciare a qualche preliminare notizia sulla vita di san Francesco per acquisire così le necessarie infor-

a Francesco ebbe raggiunto i dodici, egli scrisse loro con semplici parole una regola di vita. Tommaso da

mazioni relative al sorgere di quest’Ordine.

Celano riferisce a questo proposito: «Quando san Francesco vide che Dio ogni giorno aumentava il numero dei frati scrisse, per sé e per i frati presenti e futuri, usando poche e semplici parole, una norma di vita ed una Regola per la quale si servì principalmente delle parole del santo Vangelo, la cui perfezione era per lui

La vita di san Francesco

oggetto di fervido desiderio. Aggiunse poche altre prescrizioni che erano assolutamente necessarie per la vita dell’Ordine»5.

Francesco nacque nel 1182 (o 1181) in Assisi, da Pietro di Bernardone, un ricco mercante che aveva

Questa Regola – detta anche Protoregola, Regola primitiva – che non viene più considerata come tale,

una posizione di rilievo nella vita della città. Davanti al giovane si apriva quindi il mondo. In principio si

ottenne, dopo iniziali esitazioni, l’approvazione verbale di Innocenzo

iii.

Anche i fratelli ebbero dal papa

dedicò interamente all’esistenza movimentata del suo ambiente. È molto dubbio se i suoi genitori siano sta-

il permesso di svolgere una semplice predicazione quaresimale. Con la convalida papale della Regola la

ti così cattivi come appaiono nella prima Vita di Tommaso da Celano ed in Giuliano da Spira. Altrettanto

comunità raccolta intorno a Francesco diventava un Ordine inserito nella chiesa.

poco probabile si presenta anche la glorificazione postuma, soprattutto della madre, alimentata da leggen-

Il santo divenne padre e modello anche per il Secondo Ordine francescano, i cui inizi sono legati al

de tardive. Quanto sia stata riprovevole la gioventù di Francesco rappresenta un punto di discussione per

nome di santa Chiara d’Assisi. Chiara, proveniente da nobile famiglia, ammirava Francesco ed in seguito

i ricercatori moderni così come lo è stato per le fonti medievali. Quanto più queste sono antiche tanto più

alla predicazione del santo fu colta dal profondo desiderio di condurre la propria vita nel nome di Dio, in

descrivono a tinte cupe la giovinezza di colui che sarebbe diventato successivamente un santo; più sono

modo altrettanto radicale. Francesco stesso la rivestì del saio nel 1212 e diede a lei ed alle numerose don-

recenti tanto più mitigati sono i colori.

ne che presto si presentarono una Regola corrispondente a quella dei Frati Minori nella quale rimarcava

I soldi del padre, che il giovane spendeva con prodigalità, l’amabilità forse ereditata dalla madre – il cui nome non conosciamo con sicurezza – ed i suoi modi piacevoli fecero di lui il punto di riferimento della

soprattutto la povertà per amore di Cristo. Nel monastero di S. Damiano presso Assisi vide l’inizio e la sua fondazione questo ramo femminile di stampo contemplativo.

società giovanile di Assisi. Lentamente, ma con continuità si stava tuttavia trasformando in un altro uomo.

Un terzo gruppo si considera in obbligo verso Francesco e la sua vita: il cosiddetto Terzo Ordine. Molti

Incentivi provenienti dall’esterno furono un anno di reclusione nella vicina città di Perugia (1202-1203), un

laici che vivevano religiosamente e che per diversi motivi non potevano legarsi ad un Ordine, nel vero si-

sogno curioso fatto quando voleva recarsi in Puglia per ricevere l’accollata (1205), ed infine un’esperienza

gnificato del termine, uomini e donne, cercarono un legame con Francesco, in quanto questi personificava

profondamente toccante davanti all’immagine della croce di S. Damiano quando udì una voce che diceva:

ai loro occhi ciò che aleggiava come un ideale per i cristiani sensibili del tempo. Essi rimasero nel mondo,

«Francesco, non vedi che la mia casa crolla! Vai là e rimettila in piedi!» (1206) .

ma si associarono come «Fratelli e Sorelle della penitenza».

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La trasformazione interiore del giovane Francesco si compì in uno spazio di tempo di tre, quattro anni.

Anche se la Regola primitiva era stata scritta per i fratelli del momento e quelli futuri, era tuttavia

Egli riconobbe con sempre maggiore chiarezza che fino ad allora aveva vissuto solo di sfuggita la realtà di

qualcosa di ben diverso da un programma ben delineato. Anche a questo proposito Francesco ebbe sem-

Dio. Conseguenza esteriore del suo intimo mutamento furono la rinuncia a tutti i suoi averi pronunciata

pre presenti l’attenzione e l’ubbidienza al volere di Dio. Con l’accrescersi della comunità crebbe anche la

ad Assisi davanti al padre ed al vescovo, la sua assistenza a favore dei lebbrosi e dei poveri, e la sua opera

Regola. Esperienze buone e cattive lasciarono il segno. Vengono poste nuove finalità, si correggono quelle

per alcune chiese in rovina nelle vicinanze di Assisi. Questo periodo rappresentava però una ricerca ed

precedenti. L’aspetto organizzativo diventa più rigido, la crescita organica deve essere sostenuta più inten-

un’esplorazione in vista di una decisiva definizione, di una meta effettiva, in base al compito che il Signore

samente. Tutto questo è deducibile da quella redazione della Regola che è conservata accanto alla Regula

gli avrebbe affidato. Questa chiarificazione si palesò improvvisamente all’ascolto del Vangelo, dove narra

bullata del 1223. È chiamata anche Regula non bullata, o Regola del 1221 perché proprio in questo anno ha

dell’episodio sulla missione degli Apostoli. Era il 24 febbraio, forse del 1209, durante la celebrazione della

ricevuto la sua attuale redazione. Le necessarie modifiche di questa regola vennero di volta in volta intra-

Messa nella piccola cappella alla Porziuncola. Nel testamento alla fine dei suoi giorni Francesco ha così

prese nel corso degli annuali capitoli di Pentecoste alla Porziuncola.

descritto questo episodio: «Nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo» . 4

Questa Regola del 1221 ci fornisce preziosi chiarimenti circa l’incremento della comunità, i suoi iniziali obiettivi ed ideali. Tra le altre cose si viene così a sapere dell’introduzione dei Ministri, della divisione

A poco a poco si raccolsero attorno a lui uomini, affini per idee, che volevano condividerne l’esistenza.

dell’Ordine in province (1216-1217), dei primi tentativi missionari tra popolazioni non cristiane. France-

La nascita di questa comunità attorno a Francesco ed i suoi sviluppi erano condizionati in maniera del tutto

sco stesso aveva cercato di parteciparvi quando volle recarsi in Siria nel 1212, ed in Marocco attraverso la

insolita dal modello di vita e dalla figura del santo, che del resto non si presentò subito come fondatore

Spagna nel 1213-1214; circostanze avverse o, più precisamente, il grave stato di salute lo costrinsero ogni

di un Ordine. Il sodalizio francescano non sorse secondo un programma od un’idea, ma crebbe intorno

volta a far ritorno. Solo nel 1219 gli riuscì di andare in Oriente, dove predicò davanti al sultano d’Egitto,

alla persona di san Francesco che scosse molti con il suo ideale e la sua vita. A fondamento della sua esi-

Melek-el-Kamel; non ebbe però luogo l’agognato martirio. Una certa agitazione nell’interno dell’Ordine

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obbligò molto presto Francesco a tornare indietro. Entrambi i suoi sostituti (vicari) in Italia avevano ten-

con la quale poter ascendere al suo trono! Con una devozione ed un amore inauditi abbracciò tutte le cose,

tato di introdurre costumi di vita che non corrispondevano al rigore monastico, soprattutto per quanto

rivolse loro la parola parlando del Signore e le invitò a lodarlo»7. Non è possibile descrivere in maniera più

concerneva il digiuno. Del resto, durante la sua assenza, si erano lasciati andare a numerose mancanze e

bella ed approfondita come san Francesco interpretasse la creazione e le creature.

frequenti abusi. Francesco fu costretto a ritornare in Italia. In questo difficile frangente si rivolse per aiuto

Cantando, il santo salutò la morte: morì la sera del 3 ottobre 1226 presso la cappella della Porziuncola.

alla curia romana e l’ottenne. In seguito Francesco, nel Capitolo di Pentecoste del 1220, affidò la direzione

Il giorno successivo venne seppellito nella chiesetta di S. Giorgio vicino ad Assisi. Meno di due anni più

dell’Ordine al frate Pietro Cattani († 10 marzo 1221) e dopo la sua morte al frate Elia. Questo non gli im-

tardi, il 16 luglio 1228, venne canonizzato da Gregorio

pedì in alcun modo di svolgere anche successivamente le sue funzioni direttive come superiore dell’Ordine

25 maggio 1230 venne sepolto nella chiesa eretta in suo onore.

in sommo grado.

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(1227-1241), una volta cardinale Ugolino, ed il

La sua opera, l’Ordine dei Frati Minori, si era andata nel frattempo sviluppando e fu spesso costretta

A partire da E. Renan e P. Sabatier – a quest’ultimo le ricerche su san Francesco sono debitrici di una

a cercare la sua strada nella storia in mezzo a gravi difficoltà.

profonda riconoscenza – è risultato un «fatto» certo che Francesco sia entrato in contrasto ed in conflitto con il papato e la curia romana, che la chiesa abbia piegato e falsificato i primitivi ideali del santo servendosi del giovane Ordine per i suoi scopi. Proprio gli ultimi anni di vita del santo sarebbero stati dominati

L’Ordine dei Frati Minori nel suo periodo iniziale

ed offuscati da questo «dramma», e Francesco, in questo periodo, avrebbe espresso la sua protesta con le parole e l’esempio. Questa tesi del Sabatier viene da allora diffusa, con più o meno varianti, nella maggior

Contrariamente alle interpretazioni, spesso discordi, della letteratura moderna, è possibile trarre delle

parte delle biografie del santo. Di questo «dramma» si può dire in modo breve e conciso solo una cosa:

conclusioni in base alle testimonianze scritte di san Francesco, alle affermazioni dei contemporanei non

che non ha mai avuto luogo! Una severa indagine storica lo ha da tempo documentato. È e rimane curioso

appartenenti all’Ordine, ed alle prime fonti francescane, scevre della successiva problematica. Tutte queste

come la verità di un’opera venga sacrificata senza difficoltà quando si vogliono raggiungere certi effetti.

fonti ci offrono un quadro oltremodo unitario cosicché, per nessuna delle questioni essenziali, si potrebbe

In realtà gli ultimi anni di vita di san Francesco furono dominati da una gran quantità di dolori fisici e

riscontrare una qualche divergenza oppure una profonda disparità. La comunità si sviluppa spesso anche

spirituali, e di questi ultimi non fu la chiesa ad essere responsabile. Gravi malattie agli occhi, allo stomaco,

impetuosamente, sempre però in maniera conseguente rispetto ai suoi princìpi. Inizialmente le finalità non

alla milza e al fegato, e probabilmente anche la malaria, gli procurarono insopportabili tormenti. Quanto

si presentavano ben chiare in tutti i loro particolari, ma Francesco ed i suoi seppero di essere chiamati al

però addolorava Francesco in maniera ancora più profonda era la condotta di parecchi frati che avevano

servizio della chiesa e nella chiesa; essi non seguirono questa chiamata in modo arbitrario, ma propugnan-

tradito la loro vocazione ed avevano intrapreso strade proprie senza curarsi del vincolo dell’obbedienza.

do una salda obbedienza al volere ed alle disposizioni di Dio e apostolicae Sedi in omnibus oboedientes,

Anche se gli ultimi anni rappresentarono per Francesco, sia nei riguardi dello spirito che del fisico, una vera via crucis, egli tuttavia ebbe la forza di resistere. Divenne a lui familiare quella somiglianza col suo

come osserva nella sua Cronaca il preposto Burcardo di Ursperg8. Proprio qui è visibile un elemento genuinamente peculiare di questa nuova comunità.

Signore morto in croce che si rese poi ben visibile con la comparsa delle stimmate (intorno al 14 settembre

Secondo l’unanime testimonianza delle fonti citate, si tratta di una comunità di cristiani che abban-

1224); i suoi dolori però si fecero ancora più insistenti. Proprio nel periodo successivo alla comparsa delle

donano il mondo realizzando una completa rottura con il saeculum per mettere in pratica un’esistenza

stimmate, tra la fine del 1224 e l’inizio del 1225, Francesco compose il Cantico di Frate Sole, che è certa-

realmente cristiana. Segni esteriori di questa rottura sono rappresentati dall’expropriatio, mediante la quale

mente significativo per comprendere il sentimento della natura espresso dal santo, anche se trova il suo

nel mondo feudale e borghese del medioevo si diventava privi di posizione sociale e senza diritti politici;

senso più vero in un carattere di fondamentale religiosità. Tommaso da Celano spiega il significato del can-

rappresentava una forma di distacco anche l’interesse per l’assistenza ai poveri ed ai malati, soprattutto ai

tico con le seguenti parole: «Come una volta i tre giovani nella fornace ardente invitarono tutti gli elementi

lebbrosi, che venivano banditi dalla società del tempo. Ciò significa, con le parole di san Francesco poste

a lodare ed esaltare il creatore dell’universo (Dan. 3,51-90), così anche quest’uomo, pervaso dello spirito

proprio all’inizio del suo testamento, exire de saeculo. La situazione nella quale egli viene a trovarsi insieme

di Dio, non mancò di esaltare, lodare e glorificare in tutti gli elementi ed in tutte le creature il creatore e

ai suoi frati è descritta con molta chiarezza in una esortazione ad essi rivolta, che si trova nella Regola non

guida di tutte le cose» .

bollata: «E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli,

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Nel Cantico di Frate Sole Francesco loda la bellezza e la bontà del mondo materiale che appare come la rivelazione della bellezza e della bontà di Dio: «Per ogni opera elogiò l’autore; ricondusse al Creatore tutto

infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada»9. In quanto uomini del Vangelo non devono lasciarsi influenzare dalle opinioni del mondo, anche se questo si dichiara ancora cristiano.

ciò che aveva trovato nel mondo. Manifestò la sua esultanza per tutte le opere del Signore e, attraverso ciò

La giovane comunità dei Frati Minori non è affatto una pia lega di cristiani, né un’associazione reli-

che di più bello si offriva ai suoi occhi, indagò la causa prima e fonte di vita delle cose. Egli riconobbe nel

giosa, abbastanza approssimativa, come sostengono taluni studiosi, ma sin dal suo primo apparire viene

bello la perfezione; tutto ciò che è buono gli gridava: “Chi ci ha creato è il migliore!”. Seguendo le tracce

piuttosto considerata come un Ordine religioso, in quanto possiede quelli che ne erano allora i tipici segni

che sono impresse nelle cose inseguiva ovunque colui che gli stava a cuore e trasformava tutto in una scala

distintivi: regula, professio, habitus, oboedientia. Quest’ordine viene equiparato, in maniera del tutto natu-

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rale, a quelli preesistenti ed ottiene la stessa considerazione, viene anzi visto come il loro reale completa-

forma primitiva Ecclesiae, come dichiararono alcuni contemporanei, ed è anche de facto il superamento

mento. Così testimonia già prima del 1221 Giacomo da Vitry : «Viene così saldamente fondata la quaterna

della struttura feudale della chiesa d’allora.

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di coloro che vivono secondo una Regola, ai tre citati Ordini degli Eremiti, dei Monaci e dei Canonici il

Sin dalle origini l’Ordine non si presenta come un consapevole movimento di laici, come spesso oggi

Signore ha aggiunto in questi giorni l’istituzione di un quarto Ordine, i Frati Minori, che non si attengono

lo si descrive, in quanto ciò sarebbe troppo moderno, né come un’intenzionale comunità clericale secondo

tanto ad una nuova Regola, ma portano piuttosto un rinnovamento in quella vecchia della vita apostolica».

il vigente diritto. Sia i chierici che i laici sono quindi tutti fratelli: domestici invicem inter se15. Nessuno

Analoghe notizie ci riferisce il cronachista del convento dei Premonstratensi a Lauterberg presso Halle

ha illustrato questo punto con più chiarezza di quel benedettino bavarese (probabilmente dell’abbazia di

per l’anno 1224. Parla dei due nuovi Ordini dei Frati Predicatori e dei Frati Minori, accostandoli senza

Oberalteich) che nella sua Legenda Sancti Francisci scriveva: «Per far sì che tra i fratelli esistesse una cor-

esitazioni agli antichi Ordini, la considerazione dei quali, per la disordinata condotta dei loro appartenenti,

rispondenza d’amore quanto più profonda, Francesco volle che tutto il suo Ordine, mediante una grande

sarebbe giunta ad un punto così basso «che quelli che desiderano lasciare il mondo, vanno lì a cercare la

uniformità, fosse un cuore ed un’anima sola, dove i grandi ed i piccoli, gli istruiti e non, fossero uniti dallo

salvezza» . Questo e tutti gli altri autori, tra cui anche quello sconosciuto del Sacrum commercium, com-

stesso abito e dalla stessa vita, e dove i lontani fossero legati a coloro che erano vicini attraverso l’amichevo-

prendono chiaramente che, rispetto agli antichi ordini ecclesiastici, è possibile intravedere ora qualcosa di

le vincolo che si realizza nella comunione della mensa. Tra di loro devono sussistere gli stessi rapporti che

nuovo in senso rivoluzionario. Allo stesso modo si esprime anche Tommaso da Celano nella sequenza di

all’interno della famiglia che abita insieme, dove tutti godono degli stessi diritti. Così dispongono gli statuti

san Francesco a lui attribuita:

di questo Ordine»16. La novità viene posta particolarmente in risalto proprio dall’appartenente ad un Or-

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dine monastico che vede una netta separazione tra monaci e conversi, monaci del coro e monaci secolari. Novus ordo, nova vita

I Frati Minori, la cui comunità si andò formando intorno alla viva figura di san Francesco, dopo un’e-

Mundo surgit inaudita;

sitazione iniziale circa l’attribuzione del nome, non si chiamarono solo in questo modo ma, fedeli a questo

Restauravit lex sancita

nome, fecero subentrare alla concezione feudale della società, condivisa dalla maggior parte degli Ordini,

Statum evangelicum .

quella della comunità evangelica incentrata proprio sulla fraternitas. Questa comunità era quindi aperta

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a tutte le diverse situazioni della cristianità e, non ultima, questa felice circostanza può spiegarne la sua Contrariamente alle ipotesi di P. Mandonnet e di alcuni studiosi che lo hanno seguito su questa strada,

rapida diffusione in tutti i paesi del mondo cristiano contemporaneo. Francesco stesso ebbe a preoccupar-

non si tratta, nel caso di questo nuovo Ordine, di una comunità di penitenza ugualmente aperta ad uomini

sene in quanto gli sembrava troppo veloce e con buoni motivi temeva, come documentano ripetutamente

e donne, paragonabile press’a poco al successivo Terz’Ordine, in conseguenza del quale i Frati Minori e le

le fonti, il grosso numero.

Clarisse si caratterizzarono come Primo e Secondo Ordine, in maniera più o meno analoga agli Umiliati. Sin dall’inizio si ha invece a che fare con un Ordine di uomini che si dichiarano fermamente «fratelli», e concepiscono la loro comunità come fraternitas nel senso più esclusivo del termine. Francesco oppone

Le caratteristiche distintive in rapporto agli antichi Ordini

un’energica resistenza ad ogni genere di commistioni: «E nessuna donna in maniera assoluta sia ricevuta all’obbedienza da alcun frate (recipiatur ad oboedientiam), ma una volta datole il consiglio spirituale, essa faccia vita di penitenza dove vorrà» .

Anche se le fonti primarie trattano proprio dei caratteri del nuovo Ordine dei Frati Minori e lo equiparano a quelli preesistenti, è tuttavia possibile percepire in tutti i resoconti che era nato qualcosa di

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Gli appartenenti al nuovo Ordine provengono da tutti i ranghi della cristianità: «Se qualcuno, guidato dallo spirito divino, veniva per vestire l’abito del santo Ordine, era indifferente chi fosse o che cosa fosse, se

sorprendentemente nuovo che non rientrava nelle categorie sino ad allora usuali e non era riconducibile al vigente diritto canonico.

ricco o povero, se altolocato o di umile provenienza, se fosse una persona in vista o poco importante, intel-

La comunità dei frati, che si formò da sola intorno alla figura di san Francesco, aveva inizialmente dei

ligente o sciocca, colta o ignorante oppure un laico del popolo cristiano… Un umile natale, un’opprimente

legami interni molto labili. I frati giravano per i paesi predicando e si guadagnavano il proprio sostenta-

povertà non rappresentavano un ostacolo all’elevazione, mediante l’operato divino, di coloro che Dio voleva

mento col lavoro ed in caso di necessità anche mendicando: «I frati che sanno lavorare, lavorino ed eser-

elevare; la gioia di Dio è proprio stare con i semplici e con coloro che vengono rigettati dal mondo» .

citino quella stessa arte lavorativa che già conoscono… E in cambio del lavoro possano ricevere tutte le

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Non è quindi ammissibile interpretare l’Ordine come un tipo di reazione sociale o politica per mezzo

cose necessarie, eccetto il denaro. E quando sarà necessario vadano per l’elemosina come gli altri frati»17.

della quale i bassi strati della popolazione avrebbero conquistato la loro posizione nella chiesa e nella

Non avevano un convento, né sedi fisse. Il loro convento era in effetti il mondo, come aveva chiaramente

società. L’elemento vitale dell’Ordine è di natura genuinamente cristiana. La fraternitas francescana si

descritto l’autore del Sacrum commercium. I frati conducevano ovunque quella vita che era comune a tutti

fonda su riferimenti di natura essenzialmente evangelica. A questo riguardo, anche se non c’è mai stata

loro; l’esistenza era la medesima anche se non conoscevano affatto la vita delle comunità monastiche: quelli

un’espressa intenzione da parte di Francesco, l’ordine rappresenta effettivamente un rinnovamento della

«che vorranno intraprendere questa vita e verranno dai nostri frati… siano ricevuti all’obbedienza promet-

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tendo di osservare sempre questa vita e Regola»18. Francesco parla di questa vita anche nel suo Testamento

ha approvate»24. In seguito partono di nuovo in direzione di tutte le regioni d’Italia e presto anche di altri

affermando che dovrebbe essere condivisa da tutti.

paesi per ottemperare al servizio in favore del Regno di Dio. Ciò veniva svolto sempre in gruppi e mai indi-

La mancanza iniziale di elementi monastici fece sì che i legami tra i Frati Minori fossero più di tipo personale che locale. Essi non vengono accolti in un convento, ma fatti entrare in un rapporto di obbedien-

vidualmente in quanto la loro opera doveva essere una fraterna cooperazione, una genuina collaborazione in senso evangelico.

za verso i loro superiori: recipiantur ad oboedientiam. L’obbedienza rappresenta il loro spazio vitale. Per

Contribuiva alla coesione anche il dovere dell’autorità superiore di visitare spesso i frati, di esortarli

questo motivo appariva necessario che la fraternitas comprendesse tutt’una serie di vincoli, in parte di tipo

e di confortarli secondo lo Spirito, come viene prescritto nella Regola non bollata25. Francesco nel 1219 si

nuovo, che tenessero unita la comunità, così debole se vista dall’esterno.

recò in Oriente e, secondo quanto riferisce Giordano da Giano, lasciò in Italia due vicari: uno doveva rima-

Il primo e più importante vincolo era rappresentato dalla figura del superiore, a tutti comune, che di-

nere alla Porziuncola ed accogliere nell’Ordine i candidati, l’altro «viaggiare per l’Italia e recare conforto

rigeva l’Ordine piena potestate ed al quale tutti i frati dovevano un’obbedienza assoluta. Non è casuale che

ai frati»26. Questo «confortare» (consolari), recar conforto, mette in luce come la situazione dei frati non

questi doveri vengano espressi per due volte nella Regola non bollata19. Questa suprema autorità guiderà

fosse sempre rosea ed avessero necessità di parole di stimolo e di incoraggiamento. Lo stesso cronachista

in seguito tutta la comunità in maniera molto centralizzata attraverso i ministri provinciales di sua nomina.

parla anche del frate Cesare da Spira, il primo Ministro della provincia tedesca di questo Ordine: «Seguì

Questo centralismo della comunità originaria ci è testimoniato dal più antico cronachista dell’Ordine,

le tracce del frate precedente e rafforzò i frati mediante la giusta parola e l’esempio del bene»27. In primo

Giordano da Giano, che parla di frate Elia20: «Aveva l’intero Ordine in suo potere come era avvenuto con i

luogo il Ministro aveva quindi un compito di carattere pastorale, e mediante questi incontri personali il

suoi predecessori, san Francesco e frate Giovanni Parens». Il Ministro generale esercitava quindi il suo pie-

vincolo dell’obbedienza diventava più stretto. Per questo motivo nelle sue Regole Francesco parla di obbe-

no potere su tutto l’Ordine. Anche questo fatto rappresentava un elemento nuovo per la vita degli Ordini

dienza solo in concomitanza con il dovere dei superiori di visitare i frati: «I frati che sono ministri e servi

ecclesiastici. Mediante la figura del Ministro generale, sin dall’inizio, l’Ordine, in tutto il suo complesso,

degli altri frati, visitino e ammoniscano i loro fratelli e li correggano con umiltà e carità… I frati, poi, che

viene quindi a legarsi con la chiesa romana in un rapporto d’obbedienza di tipo nuovo: «Frate Francesco e

sono sudditi, si ricordino che per Dio hanno rinnegato la propria volontà. Perciò comando loro fermamen-

chiunque sarà a capo di questa Religione prometta obbedienza e riverenza al signor papa Innocenzo ed ai

te di obbedire ai loro Ministri in tutte quelle cose che hanno promesso al Signore di osservare e non sono

suoi successori. E gli altri frati siano tenuti ad obbedire a frate Francesco e ai suoi successori» . Anche se la

contrarie all’anima ed alla nostra Regola»28. Ai frati fu anche concesso il diritto, nonostante l’oboedientia,

somma autorità, il Ministro generale, ha pieno potere su tutto l’Ordine, egli deve però, come fratello, servi-

di ricorrere (recurrere) ai loro Ministri nel caso avessero compiuto una grave mancanza o si trovassero in

re il fratello e per questo motivo si chiama minister et servus – servitore e schiavo – degli altri in conformità

situazioni che diventavano pericolose per la loro vita di Frati Minori29. Proprio in questo genere di fatti

con quanto dice il Vangelo (Mt 20,25-27: «Voi sapete che i capi delle nazioni governano opprimendole ed

risaltava in particolar modo il carattere personale dell’organizzazione.

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i potenti abusano del loro potere sugli uomini. Presso di voi non sarà così, ma chi tra voi vorrà diventare

L’uniformità della vita era garantita soprattutto dalla Regola dell’Ordine e dalle disposizioni dei su-

grande, dovrà essere il vostro servo, e chi tra voi vorrà essere il primo, dovrà essere vostro schiavo»). Deve

periori e dei Capitoli che risultavano vincolanti per tutti i frati. Francesco, come riferisce egli stesso nella

quindi ricoprire la sua carica con lo spirito della lavanda dei piedi; così si esprime Francesco con assoluta

lettera ad un Ministro, lavorò alla stesura della Regola cum consilio fratrum, secondo una probabile consue-

chiarezza nella sua quarta Ammonizione: «Quelli che sono stati posti al di sopra degli altri dovranno van-

tudine, per un periodo di oltre dieci anni raggiungendo il felice esito di un documento, in definitiva, più

tarsi di questo ufficio superiore come farebbero se fossero stati destinati al servizio della lavanda dei piedi

di carattere spirituale e quindi valido per sempre, ma meno completo dal punto di vista organizzativo ed

ai fratelli». Proprio la massima autorità deve essere frater minor.

istituzionale. All’interno della storia dell’Ordine l’interpretazione della Regola seguì invece un indirizzo di

Un ulteriore vincolo coesivo per la debole struttura del giovane Ordine è rappresentato dai Capitoli,

carattere sempre più istituzionale, mentre si andava perdendo l’elemento carismatico. In questo contesto

che si tenevano inizialmente con maggiore frequenza, molto probabilmente due volte all’anno, e che ser-

non si deve tralasciare che il completamento della Regola con le Institutiones o le cosiddette Costituzioni

vivano alla costituzione della struttura sia interna che esterna della vita comunitaria dei frati, in quanto

era necessario per l’Ordine, diventato ormai internazionale. Francesco stesso ha indicato questa strada, e

il fine generale di questi incontri era il parlare de his quae ad Deum pertinent, come prescrive la Regola

proprio nel suo Testamento redatto unicamente allo scopo di far sì «che osserviamo più cattolicamente la

non bollata . I Capitoli erano quindi un po’ come «giorni di riflessione» per tutti. Oltre a ciò dovevano

Regola che abbiamo promesso al Signore»30. E proprio questo è il senso delle costituzioni. Questa strada

informare ogni volta i frati anche circa la pratica del loro stare insieme, come ci riferisce già per il 1216

delle costituzioni trovò in seguito, nella redazione di tutti gli statuti che vennero emanati nel frattempo,

Giacomo da Vitry: «Gli uomini di questo Ordine si riuniscono con grande vantaggio una volta all’anno in

la sua prima tappa conclusiva e fondamentale con san Bonaventura (Statuti generali di Narbona, 1260).

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un determinato luogo al fine di rallegrarsi insieme nel nome del Signore e per consumare il pasto in comu-

L’unione esistente tra i frati trovava la sua espressione esteriore nella comune scelta dell’abito, per il

ne» . I Capitoli erano in definitiva anche il luogo e l’occasione per parlare dell’organizzazione, della vita e

quale nella Regola si richiedono due requisiti, cioè che sia di poca spesa e quindi semplice e modesto: «E

della Regola, e per migliorarle sulla base dell’esperienza dei frati, come ci testimonia la stessa fonte: «Col

tutti i frati indossino vesti di poco prezzo» secondo quanto riferiscono entrambe le Regole con le medesi-

consiglio di uomini esperti fanno qui le loro sante leggi e le rendono note quando Sua Santità il Papa le

me parole31. D’altra parte il numero dei capi non deve superare la misura del necessario nello spirito delle

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parole che il Signore pronunciò istruendo gli Apostoli alla loro missione (Mt 10,10). Quei frati «che hanno

per Francesco, erano quindi consone al livello culturale dei frati. Da questa prescrizione della Regola del

promesso obbedienza abbiano una sola tonaca con il cappuccio e un’altra senza cappuccio, se sarà neces-

1221 appare evidente che recitare l’Ufficio latino non è un privilegio dei chierici, ma viene regolato da

sario, e il cingolo e le brache» . La Regola bollata lascia successivamente al singolo la decisione di posse-

premesse che sono necessarie per la sua comprensione. Nella Regola bollata si rinuncia a questo generoso

dere un secondo abito (qui voluerint habere). Anche se inizialmente non era ancora così stilizzato come

compromesso: «I chierici dicano il divino Ufficio secondo il rito della santa chiesa romana, eccetto Salterio,

oggi, l’abito uguale per tutti rappresentava per i frati anche un segno di riconoscimento che permetteva

e perciò potranno avere i breviari. I laici, invece, dicano ventiquattro Pater noster per il Mattutino, cinque

alla gente di individuarli come appartenenti al nuovo Ordine. Dopo l’introduzione, nel 1220, dell’anno di

per le Lodi; per Prima, Terza, Sesta, Nona, per ciascuna di queste ore sette; per il Vespro dodici, per Com-

prova, i frati novizi ricevevano abiti particolari che li rendessero riconoscibili, come viene indicato con pa-

pieta sette; e preghino per i defunti»39. In queste disposizioni il termine «chierici» indica tutti coloro che

role pressoché identiche in entrambe le Regole: «… due tonache senza cappuccio, il cingolo, le brache e il

appartengono, per la tonsura o per ordinazione, alla condizione di religiosi. Tutti gli altri, anche se sanno

capperone, [una corta pellegrina] fino al cingolo» . L’assunzione dell’abito comune significa l’inserimento

leggere, rientrano nella categoria dei «laici».

32

33

nella comunità così come l’estromissione per gravi colpe viene sancita dal ritiro della veste che contraddi-

Per la celebrazione dell’Ufficio i frati sono vincolati a quanto disposto dalla chiesa di Roma, però con

stingue l’Ordine: «… deponga del tutto l’abito e sia espulso totalmente dalla nostra Religione» . Sin dai

una eccezione: «eccetto il Salterio». Il Psalterium Romanum, una consuetudine nella liturgia papale e nel

primi tempi l’assunzione dell’abito viene sostenuta dall’alta gerarchia religiosa, mentre chi lo indossa senza

territorio di Roma, pieno del resto di molti errori, è la traduzione latina precedente alla revisione di san

averne diritto è soggetto a pene ecclesiastiche.

Gerolamo. Il Salterio gallicano è il testo rielaborato da Gerolamo. Con l’approvazione della Regola bol-

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Al legame interiore tra tutti i frati, ovunque si trovassero, contribuiva a quei tempi anche l’ora canonica

lata (29 novembre 1223) Francesco passò definitivamente al Salterio gallicano, un testo che era non solo

unificata secundum ordinem sanctae Romanae Ecclesiae excepto psalterio, come prescriveva Francesco nella

maggiormente diffuso, ma anche più comprensibile ed attendibile. Nella sua giovinezza Francesco aveva

Regola bollata . Ciò significa che l’Ordine, per quanto concerne la liturgia, non dipende dalle corrispon-

imparato a leggere con il Psalterium Romanum ed aveva quindi questo testo «nell’orecchio». Senza dubbio

denti chiese locali, ma si regola uniformemente secondo gli usi della chiesa di Roma. Anche a questo propo-

il cambiamento deve avergli imposto una certa fatica.

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sito si instaura uno strettissimo legame con la chiesa del papa, e il fatto che la liturgia romana diventi quindi

In conclusione si deve aggiungere che Francesco, anche nella sua Regola per gli eremi, parla dell’ora

quella della chiesa occidentale è annotato solo marginalmente. La disposizione di san Francesco nella Re-

canonica: «E sempre recitino la Compieta del giorno subito dopo il tramonto del sole… e dicano Prima

gola bollata rappresenta la conclusione di un processo di sviluppo. Nella Regola non bollata le indicazioni

all’ora conveniente (hora, qua convenit), e dopo Terza sciolgano il silenzio… in seguito dicano Sesta e

sul modo di espletare l’Ufficio divino sono le seguenti: «I chierici facciano l’ufficio e lo dicano eseguire

Nona; e i Vespri li dicano all’ora conveniente»40. Degno di nota è che il ritmo dell’ora canonica – le singole

l’Ufficio e pregare per i vivi e per i morti, secondo la consuetudine dei chierici»36. I frati pregavano quindi

ore di preghiera devono avvenire con puntualità! – regola il corso della giornata. Questa Regola, sorta tra

inizialmente «come gli altri chierici»; questo significa che pregavano com’era d’uso secondo il luogo e le

il 1217-18 ed il 1221, ci mostra in tutta semplicità indizi non trascurabili di una vita monastica che viene

tradizioni. Dal momento che, in principio, i frati non possedevano un proprio Ordine, si regolavano quindi

sostenuta dall’ora canonica ecclesiastica ed è praticata in comune dai frati. A quanto pare Francesco ha

semplicemente seguendo gli altri chierici. Questo fatto coincide con quanto Francesco scrive nel suo Te-

sempre attribuito un grande valore alla puntualità della preghiera nelle ore canoniche, come ci riferisce

stamento volgendo l’occhio al passato: «Noi chierici dicevamo l’ufficio come gli altri chierici…» . La vita

Tommaso da Celano: «Quando Francesco andava a piedi per il mondo, si fermò sempre nelle ore canoni-

liturgica del periodo iniziale si doveva svolgere tramite la partecipazione dei frati alla Messa e all’Ufficio

che; se era a cavallo, scendeva. Quando un giorno, sotto una pioggia incessante, stava ritornando da Roma,

divino che si tenevano nelle chiese dei preti secolari, con i quali celebravano le funzioni religiose di notte

scese da cavallo per recitare l’Ufficio. Rimase lì a lungo, completamente inzuppato di pioggia»41.

37

e di giorno. In quel tempo sicuramente non disponevano ancora dei testi necessari per l’Ufficio divino e

Dal momento che Francesco aveva una così alta considerazione delle ore canoniche della Chiesa e

non avrebbero potuto portarli con sé anche nei loro viaggi di predicazione. Se celebravano l’Ufficio divino

adoperava tutta la sua energia per compierle degnamente, rivolgeva a questo proposito delle sollecitazioni

con i preti secolari si rendeva necessaria solo la conoscenza del Salterio, che la maggior parte dei chierici

anche ai suoi frati usando parole commoventi come avviene nella lettera indirizzata a tutto l’Ordine: «…

conosceva a memoria; il Salterio era stato il loro abbecedario quando avevano imparato a leggere e scrivere.

prego in tutti i modi frate [Elia], ministro generale, mio signore, che faccia osservare da tutti inviolabil-

Parecchi avranno avuto anche un Salterio personale, facilmente trasportabile.

mente la Regola, e che i chierici dicano l’ufficio con devozione davanti a Dio, non preoccupandosi della

Per ciò che concerne i laici la Regola non bollata avanza una distinzione: «Anche ai laici che sanno

melodia della voce, ma della consonanza della mente, così che la voce concordi con la mente e la mente poi

leggere il Salterio, sia loro lecito averlo; agli altri, invece, che non sanno leggere, non sia lecito avere alcun

concordi con Dio, affinché possano piacere a Dio mediante la purezza del cuore, piuttosto che accarezzare

libro» . Seguono quindi precise disposizioni circa il modo in cui chi non sa leggere debba compiere l’Uf-

gli orecchi del popolo con la mollezza della voce. Io poi prometto fermamente di custodire queste cose,

ficio del Paternoster. Anche se nelle fonti mancano indicazioni precise è tuttavia giustificato supporre che

come Dio mi darà la grazia; e queste stesse cose insegnerò ai frati che sono con me perché le osservino

il primo gruppo di laici, quelli in grado di leggere – chierici in senso lato –, recitasse l’Ufficio divino con i

riguardo all’Ufficio ed alle altre disposizioni della Regola»42. L’ora canonica doveva quindi rappresentare

chierici veri e propri. Le preghiere a ore determinate, praticate dalla chiesa, le lodi di Dio, così importanti

uno stretto vincolo dal momento che creava legami tra i frati.

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La comparsa di crisi

consapevolmente in tale peccato»47. Non c’è dubbio che Francesco consideri questo abbandono dell’ubbidienza da parte di taluni frati come un grave pericolo per il giovane Ordine che era così minacciato di

Si è facilmente tentati di descrivere con tinte romantiche la vita dei Frati Minori nella fase iniziale

rottura. Ugualmente severe sono le parole del santo nella sua Lettera indirizzata a tutto l’Ordine e scritta

dell’Ordine e di considerare rosea la loro situazione. Questa vita però non costituiva solo una novità inau-

probabilmente nel 1225: «Quei frati, poi, che non vorranno osservare queste cose [la preghiera delle ore

dita, ma sotto molti aspetti si presentava dura e difficile. Risulta quindi più che comprensibile che taluni,

canoniche, come prescrive la Regola, e le restanti disposizioni della Regola], non li ritengo cattolici né miei

dopo averla accettata, nello slancio del primo entusiasmo, abbiano poi sofferto sotto il peso e la fatica che

frati; inoltre non li voglio vedere, né parlare con loro finché non abbiano fatto penitenza. Lo stesso dico

essa comportava. Questo poteva avvenire tanto più facilmente in quanto, in principio, questa vita mancava

anche di tutti gli altri che vanno vagando, incuranti della disciplina della Regola»48.

di ogni tranquillità derivante da una sede fissa; a ciò si aggiunga anche l’indulgenza nell’ammissione dei

Con questo extra oboedientiam evagari non si intende altro che il vincolo principale e più importante

frati dimostrata da Francesco, che teneva in scarsa considerazione tutte le sicurezze terrene e seguiva irre-

del nuovo Ordine, l’obbedienza, che legava ogni frate al comune superiore. Sottrarsi all’obbedienza signi-

movibile la sua profonda e singolare vocazione. Questa complessa situazione veniva ad essere ulteriormen-

ficava, a quanto pare, abbandonare l’Ordine ed andare per la propria strada. In questo genere di situa-

te aggravata in quanto, almeno per il primo decennio, i nuovi arrivati non dovevano sottoporsi ad alcun

zioni Francesco pronuncia le dure parole della terza ammonizione: «Ci sono molte persone appartenenti

periodo di prova, ma venivano accolti subito e definitivamente all’interno dell’Ordine.

all’Ordine che, con il pretesto di vedere qualcosa di meglio di quanto i superiori ordinano loro, si volgono

In verità, questi momenti ebbero probabilmente un effetto negativo limitato finché la superiore figura spirituale di san Francesco costituì il centro vivo ed unificante della giovane comunità e fino a quando la sua

indietro e rifiutano le loro precedenti intenzioni. Sono assassini ed ottengono, con il loro cattivo esempio, che molte anime vadano perse».

personalità trainante riuscì a coprire tutte le difficoltà. Vennero chiaramente in luce alcuni inconvenienti

Nel caso di questa recisione del vincolo dell’obbedienza si tratta di un abbandono dell’Ordine come

quanto più cresceva il numero dei frati ed il contatto personale con il padre dell’Ordine, in quanto Forma

risulta nel medesimo ammonimento: «Se tuttavia il superiore ordinasse [al subalterno] qualcosa contro la

Minorum determinante, diventava difficile o del tutto impossibile. Con il rapido incremento del numero

sua coscienza, è consentito a questi di non obbedirgli, non deve però lasciarlo. E se venisse perseguitato

dei frati i particolari vincoli coesivi del nuovo Ordine si dimostrarono insufficienti per quel tempo e per

da alcuni, per amore, di Dio dovrà amarli ancora di più. Chi, infatti, preferisce sopportare la persecuzione

gli uomini d’allora e premevano in direzione di una riforma, o più precisamente di un ulteriore sviluppo.

piuttosto che essere diviso dai suoi fratelli persiste, in verità, nella perfetta ubbidienza poiché impegna la sua vita per i suoi fratelli». Le testimonianze di questa situazione negativa fanno vedere da un lato che questi casi non erano affatto isolati, dall’altro che il giovane Ordine è caduto in non poco discredito.

Situazioni negative

Un altro pericolo, da non sottovalutare, che minacciava il giovane Ordine era rappresentato dai frati che si allontanavano abbracciando le eresie del tempo, o meglio dagli elementi eretici che si infiltravano

Ben presto l’assenza della sicurezza proveniente da una dimora e la mancanza di un periodo di prova

nell’Ordine. Per averne una dimostrazione non è necessario ricercare altre testimonianze, Francesco stesso

si rivelarono la radice di molti mali. Nella primavera del 1220 Giacomo da Vitry, solitamente amico ed

esterna in varia maniera le sue gravi preoccupazioni a questo riguardo. Tra Francesco ed il movimento

ammiratore dell’Ordine, scrive: «Questo Ordine ci sembra molto pericoloso, in quanto al suo interno si

religioso del suo tempo ci sono molti punti di contatto: ha accolto l’ideale della predicazione errante e

mandano a due a due in giro per il mondo non solo gli uomini fidati, ma anche persone giovani, non ancora

lo ha caro, poiché esso appartiene all’imitazione di Cristo e degli Apostoli; riconosce però, in tutta la sua

messe alla prova, che dovrebbero essere sottoposte all’esercizio ed al controllo della disciplina monastica

pienezza, la volontà della chiesa. Nel suo Testamento dice di non voler predicare in alcuna chiesa i cui preti

per un certo periodo di tempo» . Anche il re inglese Enrico iii (1216-1272), un grande benefattore dell’Or-

non siano d’accordo su questo punto, anche se sono peccatori49. Non considera quindi determinanti il

dine, esorta i frati ad essere discreti in recipiendis fratribus44. Le testimonianze abbastanza numerose, com-

meritum, il carisma, ma l’ufficio, l’ordinazione, la missione affidata dalla chiesa. A questo proposito entra

prendenti anche lo scritto papale Cum secundum consilium di Onorio

in contrasto con l’atteggiamento di tutti quelli, che abbracciano i movimenti religiosi e si allontanano dalla

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iii

45

, fanno riferimento quasi tutte

all’anno 1220.

chiesa; nonostante la personale consapevolezza della sua missione e le sue doti individuali si sottomette al

La mancanza di una disciplina monastica porta con sé un altro male: infatti i frati «vanno vagando fuori dall’obbedienza» , come dice Francesco nella Regola del 1221 con le parole di Onorio

iii.

volere di un onesto funzionario. La stessa cosa richiede anche ai suoi frati. Assoggetta con naturalezza alla

Non solo

volontà della chiesa anche il grande obiettivo di tutte le vitali energie religiose del suo tempo, cioè il vivere

i contemporanei ci forniscono molteplici testimonianze di questa situazione negativa, ma abbiamo anche

secundum formam sancti Evangelii, obiettivo questo cui anche Francesco si è dedicato con tutta l’anima.

la prova schiacciante di Francesco stesso che non cessa mai di ammonire e minacciare questi frati. France-

Nella stessa frase del suo Testamento in cui esprime, in modo così chiaro e determinato, la consapevolez-

sco non risparmia a questo proposito dure parole già nella Regola del 1221: «Tutti i frati, ogni volta che si

za della sua missione attraverso la rivelazione divina (nemo ostendebat michi… ipse Altissimus revelavit

saranno allontanati dai comandamenti del Signore e andranno vagando fuori dall’obbedienza, come dice

michi) si trovano anche le parole, tanto risolute quanto naturali: et dominus papa confirmavit michi50. Già

il profeta (Sal. 118, 21), sappiano che essi sono maledetti fuori dall’obbedienza, fino a quando rimarranno

nella Regola del 1221 Francesco si era completamente sottomesso alla chiesa, come riferisce il prologo. La

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Regola bollata termina con le parole brevi, ma significative: ut semper subditi et subiecti pedibus eiusdem

Esiste un’altra circostanza che non deve essere trascurata. La responsabilità per la sempre crescente

sanctae Ecclesiae stabiles in fide catholica paupertatem et humilitatem et sanctum evangelium Domini nostri

schiera di frati diventò troppo pesante, e Francesco sentì di non essere più all’altezza di questo problema. La

Jesu Christi, quod firmiter promisimus, observemus. Per comprendere questa frase in tutto il suo senso è ne-

responsabilità diventò per lui troppo gravosa ed insediò quindi un vicario che al suo posto prendesse su di sé

cessario leggerla dalla fine: i frati, come l’hanno lodata, così devono sempre condurre una vita evangelica,

tutto il lavoro organizzativo. Sfortunatamente nomina questo suo vicario «Ministro generale», designandolo

non come i dissidenti o gli eretici, ma stabiles in fide catholica e perciò sempre ai piedi della santa chiesa,

quindi con il nome della più alta autorità dell’Ordine, cui egli stesso vuole sottomettersi, al quale però – come

ad essa sottomessi e subordinati.

risulta chiaramente dal suo Testamento – impartisce ordini, severo nell’esigerne il rispetto. In rapporto con la

È qui espressa tutta la preoccupazione del santo per la possibilità che i suoi confratelli imbocchino

rapida crescita del numero dei frati, che rendeva quasi impossibile una loro accurata formazione, si presentò

la strada degli eretici e dei dissidenti. Francesco conosceva troppo bene il pericolo cui era allora esposto

il problema di una reale insicurezza nelle questioni giuridiche, in quanto Francesco, nella sua ricerca della

un uomo che conducesse un’esistenza secondo le forme del santo Vangelo. Per questo motivo un ammo-

virtù, voleva essere o doveva essere contemporaneamente subalterno e superiore. La domanda per i frati era:

nimento: vivere fedelmente secondo il Vangelo, ma sottomessi alla chiesa. Questo, in primo luogo, dà la

chi è ora veramente il responsabile? Il frate Pietro Cattani non doveva portare a lungo il peso della sua fun-

garanzia d’essere cattolici. È disposto a perdonare tutti i peccati e con nessuna colpa si dimostra sempre

zione di vicario che ricadde, con tutta la sua forza, su frate Elia. Questi svolse magistralmente il suo compito,

inflessibilmente duro a meno che non si tratti della condizione di cattolici: «Tutti i frati siano cattolici,

in realtà non semplice; dimostrò di comprendere effettivamente Francesco, cercò di seguire i suoi desideri

vivano e parlino cattolicamente. Se qualcuno poi a parole o a fatti si allontanerà dalla fede e dalla vita

e d’altra parte risolse in modo straordinario la questione organizzativa della comunità in continua crescita.

cattolica e non si sarà emendato, sia espulso totalmente dalla nostra fraternità . Proprio immediatamen-

Ciò sia detto in considerazione del prestigio di frate Elia. È certo che l’insicurezza giuridica si trasformò per

te prima della sua morte Francesco minaccia durissime pene ai frati che «non fossero cattolici» . Chi

parecchi frati in conflitti di coscienza e divenne per altri una porta verso una falsa libertà.

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non è cattolico non appartiene ai suoi frati. Francesco conosceva probabilmente molto bene l’eventualità che esistesse un contrasto tra la vita apostolica e quella cattolica, tra la «vita secondo il Vangelo» e la vita

In questa situazione, oltremodo grave per il giovane Ordine ed evidente soprattutto tra il 1219 ed il 1220, Francesco si rivolse alla Curia romana chiedendo ed ottenendo aiuto.

ecclesiastica. Le sue parole di ammonizione, di avvertimento e persino di minaccia non vogliono solo richiamare l’attenzione sul pericolo, ma rappresentano anche la reazione agli episodi che hanno visto i

Provvedimenti per riuscire a dominare la crisi

frati scivolare nell’eresia. Anche la gravissima povertà costituiva una difficoltà per i frati, soprattutto in altri paesi, e taluni si lasciavano indurre ad una comoda inattività. Per questo motivo Roberto Grossatesta (ca. 1175-1253), il

Nel 1220 con l’introduzione dell’anno di prova si ebbe il primo tentativo per cercare di superare le

fautore dell’Ordine in Inghilterra, diceva che esisteva una forma di povertà più alta che non quella dei Frati

avverse circostanze; ciò avvenne con lo scritto già citato di Onorio

Minori, cioè vivere del proprio lavoro. I Beghini rappresenterebbero quindi l’Ordine più santo e perfetto

secundum consilium. Quest’anno di noviziato fu introdotto, come si legge qui, ut regulares observantias

in quanto vivevano del proprio lavoro e non erano quindi di peso al mondo con le questue. Quanto Fran-

suscepturi certo tempore ipsas probent et probentur in eis. Onorio iii proibisce severamente che sia permes-

cesco abbia combattuto contro questa tendenza all’inattività appare chiaro non solo dai suoi ammonimenti,

so ad alcuno nisi per annum in probatione fuerit di fare professione dei voti, dopo dei quali nessuno può

dalle Regole e dal Testamento, ma anche dalle taglienti parole che pronuncia contro la spudoratezza degli

lasciare l’Ordine. A nessuno è permesso di accogliere chi ha abbandonato l’Ordine, ed inoltre nessuno

oziosi: «A casa avrebbero dovuto vivere col sudore della fronte ed ora, dediti a far niente, campano col

può extra obedientiam evagari indossando l’abito dei Frati Minori. Al superiore viene concesso il potere

sudore dei poveri» .

di procedere con pene ecclesiastiche contro i frati che hanno mancato su questo punto finché non si sono

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iii

datato al 29 settembre 1220: Cum

Col tempo la Regola si rivelò insufficiente, dato il rapido accrescimento del numero dei frati, e per

corretti. È evidente che con tutte queste misure si vogliono combattere in modo semplice e preciso le mol-

questo motivo i Ministri, in quanto direttamente responsabili dei frati, chiedevano una delle antiche e già

te e giustificate preoccupazioni e lagnanze che si trovano espresse nelle fonti principali; inoltre viene così

sperimentate Regole di Ordini religiosi, qui docent sic et sic ordinate vivere . In un primo tempo Francesco

indicata una strada per far fronte alle difficoltà. Con queste misure si faceva anche un importante passo

non comprese questa richiesta, e le difficoltà perdurarono finché l’ordine non trovò la via degli statuti che

verso un’organizzazione ed un istituto più solidi. La libertà e la duttilità dell’«aureo» periodo iniziale, sotto

riempirono questa lacuna nella definizione di apposite leggi. Nel caso di uomini del medioevo si deve an-

la spinta del crescente numero dei frati, devono lasciare il posto ad una maggiore severità anche nel senso

che considerare un’altra semplice osservazione che aveva già trovato espressione nel 1220 nella bolla Cum

del diritto canonico.

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secundum di Onorio

iii:

ai superiori mancava la possibilità di disporre pene canoniche contro frati ribelli

In considerazione della consuetudine medievale di vivere e lavorare in gruppi di stretta formazione

ed infedeli. Diede quindi il potere di agire contro questi frati e donec resipuerint, censuram ecclesiasticam

associativa (grandi famiglie, corporazioni, gilde, comunità), anche la vita dei Frati Minori doveva evolversi

exercere. Anche l’opposizione di taluni vescovi nei confronti del movimento francescano esercitò sui frati,

verso queste forme più rigide di vita comunitaria. L’inizio di questo sviluppo è rappresentato dalle «pro-

la cui vocazione non era proprio ferma e sincera, un effetto non del tutto incoraggiante.

vince» dell’Ordine ed in secondo luogo dalle sedi fisse (hospitia, eremitoria, habitacula, loca), che fornivano

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all’esistenza dei Frati Minori la sicurezza di una dimora ed una comunità dalla struttura più solida. Con

spressione chiara ed esteriormente visibile a quell’originaria verità cristiana secondo cui Cristo, in questo

l’introduzione della sede stabile intorno al 1220 gli eremi originari acquistano, in quanto forme organizza-

mondo ed in quest’epoca, è «pellegrino e forestiero». I frati non dovevano avere alcuna fissa dimora e non

tive, un significato esemplare anche se non tutti i dettagli sono rimasti altrettanto edificanti.

dovevano quindi trovare nessuna comoda sistemazione prestando così testimonianza per il mondo a venire

Sulla questione della sede stabile Francesco interviene anche nel suo Testamento: «Si guardino bene

attraverso la loro vita senza radici. Francesco aveva chiaramente espresso queste indicazioni anche nel sesto

i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e tutto quanto viene costruito per loro, se

capitolo della Regola bollata, ed anche qui si era richiamato a Pt 2,11 affermando che i frati, «pellegrini e

non fossero come si addice alla santa povertà che abbiamo promesso nella Regola, sempre dimorandovi da

forestieri in questo mondo» dovrebbero «servire il Signore in povertà ed umiltà». Nel Testamento fa ancora

ospiti come pellegrini e forestieri (cfr. 1Pt 2,11)» . Queste parole ci informano con molta chiarezza sullo

ricorso a queste stesse parole. Anche nelle loro sedi i frati dovrebbero considerarsi come «pellegrini e fo-

sviluppo che si era nel frattempo verificato. I frati accettavano chiese ed abitazioni che però erano state

restieri». Sottolinea questo concetto con l’aggiunta: semper ibi hospitantes in quanto dovranno soggiornare

costruite per loro da altri. Francesco non prende qui alcuna posizione nei riguardi di questa linea evolutiva,

e trattenersi lì come ospiti. L’ospite non ha né diritto di proprietà, né poteri discrezionali sugli ambienti o

emerge anzi dal testo la sua approvazione. Desidera unicamente che lo sviluppo sia adeguato allo spirito

sugli arredi. È lieto di avere un tetto per breve tempo e non pensa di sistemarsi a lungo, contento di quello

della Regola che deve rappresentare il fondamento della vita dei frati. Per questa ragione non discute più se

che trova e di quanto gli viene donato dalla bontà degli uomini. I frati devono attenersi a tutto questo se-

i frati debbano avere o no una sede stabile. Dovranno sì averla, ma devono osservare che non sia in contra-

condo le ammonizioni contenute nel Testamento del santo, anche se abitano ora in sedi fisse.

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sto con la professione della Regola. In altre parole, l’interesse principale di Francesco riguarda le modalità di questo sviluppo, che egli illustra indicando una duplice direzione:

In conclusione, quanto alla questione della fissa dimora, per l’epoca in cui visse san Francesco si può dire che, se ha risposto a questa grave e determinante istanza senza preoccuparsi eccessivamente del futuro e dell’aspetto giuridico, ha però controllato in modo esemplare la nuova situazione, senza discostarsi dallo

1 – Anche se i frati possono accettare delle sedi stabili con chiese e abitazioni costruite per loro, Fran-

spirito della Regola e dallo spirito originario della Sacra Scrittura del Nuovo Testamento.

cesco vuole però sapere che venga mantenuto un limite netto che non è lecito oltrepassare: la povertà così

Nel corso successivo di questa linea di sviluppo si verificò l’adattamento a quelle che erano le forme di

come, nella sua basilare importanza, è stata illustrata nella Regola con tutti i suoi dettagli ed a cui i frati

vita monastica già esistenti. Tale processo si rese evidente soprattutto nelle richieste di un orario giornalie-

nella professione dei voti hanno dato il loro consenso. A questo proposito nel sesto capitolo della Regola

ro conventuale e di specifiche consuetudini che possiamo esaminare soprattutto in una provincia, l’Anglia,

bollata si legge: «I frati non devono possedere niente, né una casa, né un luogo, né alcun genere di cosa».

grazie alla cronaca di Tommaso da Eccleston. Lì, ai tempi di san Francesco, questo processo aveva già

Questa fondamentale prescrizione della Regola deve essere salvaguardata anche se ora i frati accettano

raggiunto il suo pieno corso per concludersi negli anni Trenta. La fraternità dei rapporti all’interno della

delle sedi con le chiese. Non è concesso che ricevano come fosse una proprietà quanto viene costruito per

vita dei Frati Minori viene progressivamente integrata attraverso forme monastiche di vita comunitaria

loro. Si presenta subito naturale la domanda: a chi appartengono queste sedi? Nella sua santa noncuranza

entro le quali si sviluppò la cura degli studi che rappresentava una assicurazione contro le eresie, ma anche

Francesco non si pone affatto questa domanda, né qui, né in altri luoghi dei suoi scritti dove tratta di analo-

un mezzo per combatterle. La semplice predicazione, svolta in origine dai Frati Minori, si dimostrava ora

ghi argomenti. È pienamente sufficiente che le sedi non appartengano ai frati. Probabilmente desidera che

inadeguata nella disputa con i Catari, in parte molto istruiti. Anche se in un primo tempo era bastato ricor-

il diritto di proprietà rimanga semplicemente affidato ai donatori e che i frati vi abitino quindi a pigione

rere a quei frati che, prima di entrare nell’Ordine, avevano già ricevuto un’adeguata formazione teologica,

come faceva egli stesso per esempio alla Porziuncola. Non destava però in lui alcuna preoccupazione che

ben presto queste forze non furono più sufficienti. Non deve quindi sorprendere se si manifestarono sforzi

in questo modo risorgesse nuovamente il pericolo del cosiddetto diritto canonico autonomo dal quale la

tesi a consentire ai frati la possibilità di studi convenienti come avvenne dapprima in Italia settentrionale

chiesa medievale si era appena liberata compiendo sforzi immani. Il cardinale Ugolino, il successivo papa

dove l’eresia del tempo, quella catara, infieriva con particolare virulenza. Antonio da Padova, quando il

Gregorio

si dimostrava molto preoccupato circa questa questione ed era ben consapevole del pericolo

suo Ministro della Romagna venne a conoscenza della profonda cultura teologica del giovane portoghese,

che in taluni luoghi aveva portato con sé fatali conseguenze per i frati. Il pericolo sussisteva, Francesco

ricevette subito non solo l’incarico di predicare, ma anche immediate sollecitazioni perché istruisse e for-

però non l’ha sicuramente individuato. Gregorio

masse altri frati. Francesco diede volentieri la sua approvazione purché gli studi non compromettessero la

ix,

ix

stabilì quindi nel 1230

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che, in ogni caso, tutte le

chiese costruite per i Frati Minori diventassero proprietà della Santa Sede, le abitazioni lo divenissero solo

disposizione di spirito dei Frati Minori.

se i donatori non se ne riservavano il diritto di proprietà. In questo modo si evitava che l’Ordine venisse a

Nel corso del globale processo di sviluppo, che si era così avviato, si delineò anche la funzione del

dipendere dalle potenze mondane che nella fattispecie potevano far sì che i frati non adempissero ai loro

superiore locale, che dopo iniziali esitazioni venne indicato con nome di «Guardiano», che ha lo stesso

compiti religiosi.

significato di Custos. La Regola bollata non parla delle funzioni del Guardiano anche se esisteva già questa carica, com’è chiaramente dimostrato dalla Lettera di san Francesco a un Ministro, di alcuni anni prece-

2 – Francesco attribuiva un’importanza decisiva al fatto che i frati mantenessero le loro sedi vivendo in

dente. Questa lettera prova anche che il Guardiano è subordinato al Custos, cioè al Ministro provinciale.

una conveniente condizione di spirito. Nel corso della loro vita apostolica errante avevano conferito un’e-

Francesco stesso nel suo Testamento considera i Guardiani come superiori che, forti dell’obbedienza, di-

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spongono di un’autorità praticamente illimitata sui loro subalterni. Essi rappresentano il diretto superiore

imboccò una determinata linea di indirizzo monastico, senza mai diventare tale nel senso degli antichi

di ogni frate. Se Francesco nella sua lettera ai Custodi raccomanda loro di trasmettere la lettera, ad essi

Ordini, ma, pur allineandosi con le forme monastiche, rimase però di orientamento essenzialmente aposto-

diretta, anche a quelli che «hanno l’ufficio... della custodia dei frati» , dobbiamo sicuramente pensare

lico, circostanza questa che si è rivelata molto proficua per la storia della chiesa.

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che si tratti qui dei Guardiani. A proposito di questo ufficio non è dato sapere niente di sostanziale, ma, se confrontato con le due maggiori cariche direttive di Ministro generale e di Ministro provinciale, risulta ancor più soggetto ad ulteriori sviluppi. In verità, è necessario osservare che la Regola bollata del 1223, alla

Stimoli religiosi della nuova comunità

pari delle altre fonti, non ha discusso ed ordinato tutto quanto era già in vigore all’epoca dell’approvazione della Regola stessa.

Si tratta qui di quell’interrogativo che, come disputa sugli «ideali originari» di san Francesco, è stato

Francesco usa molto spesso nei suoi scritti la parola Custos e di frequente nell’accostamento «Ministro

sì certamente molto utile e stimolante, ma ha rappresentato nello stesso tempo per la moderna ricerca un

e Custode». Si tratta qui non di due cariche o titoli, ma della stessa persona come avviene sovente quando

motivo di appesantimento e di divisione. Francesco non si è occupato di ideali nel senso moderno del ter-

Francesco dice: «Ministro e servitore», intendendo così solo una persona.

mine, ma si è interessato ad una vita che si sviluppasse seguendo diverse tappe sotto la guida di Dio. Dio

Tra l’altro dagli scritti del santo si può desumere che Custos è forse un nome collettivo per i superiori dell’Ordine che poteva servire per rivolgersi non solo al Ministro generale, ma anche al Ministro provin-

gli donò gli stimoli che sospinsero in avanti sia la sua vita che quella dei suoi frati, e conformarono, quasi ne fossero elementi costitutivi, l’esistenza e la spiritualità dell’Ordine dei Frati Minori.

ciale; in alcune fonti persino il Guardiano di una sede viene occasionalmente indicato come Custos. Nel

Francesco inizia la sua vita sotto il segno del richiamo evangelico alla penitenza: «Dominus ita dedit

suo Testamento Francesco fa un uso probabilmente ancora differente dell’espressione Custos. In questa oc-

michi fratri Francisco incipere faciendi poenitentiam», così incomincia il suo Testamento. Questo richiamo

casione fa una reale distinzione tra «Ministro» e Custos: chi non svolge la sua mansione in conformità con

indica la strada di Dio all’uomo, che la percorre ubbidiente. Francesco prosegue: Et ipse Dominus conduxit

la Regola apportando delle modifiche e non è cattolico, dev’essere condotto davanti al Custos… che però

me inter illos [leprosos]… postea parum steti et exivi de saeculo… Postea Dominus dedit mihi et dat tantam

deve «consegnarlo di persona nelle mani del suo Ministro» . Qui si parla dunque di due diversi funzionari.

fidem… Dominus dedit michi de fratribus… ipse Altissimus revelavit michi, quod deberem vivere secundum

Se Francesco non intende riferirsi al «Guardiano» parlando di Custos – cosa che in genere non fa – si

formam sancti Evangelii. Quanto è affermato nel Testamento dimostra che l’uomo, nel facere poenitentiam,

avrebbe allora l’indicazione della nuova carica del Custode che si creò con la ripartizione delle province

ha completamente rinunciato a se stesso per sottomettersi senza riserve all’autorità divina. Francesco si

troppo estese nelle cosiddette «custodie», i cui superiori furono chiamati appunto «Custodi»; questi ultimi

impegna a far sua la misericordiosa chiamata di Dio e serve il Regno di Dio conducendo una vita essenzial-

non disponevano del pieno potere di un Ministro e rimanevano suoi subalterni. Giordano da Giano ci ri-

mente cristiana che si esplica nell’assistenza ai lebbrosi e nell’aiuto alla comunità della chiesa. Per questa

ferisce nella sua Cronaca che la provincia tedesca dell’Ordine, già prima della Regola bollata, richiese una

ragione la penitenza era indissolubilmente legata alla predicazione, ma anche al servire in modo amorevole.

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Il richiamo alla penitenza rappresentò un radicale cambiamento di vita e, dopo che il Signore ebbe dato

decentralizzazione di questo tipo. Questo fenomeno divenne presto una necessità anche per le altre province cosicché l’ufficio del Custos

dei frati a san Francesco, si rivelò un richiamo divino di «particolare natura che il santo accettò, dimostran-

iniziò a delinearsi intorno agli anni 1223-1226. I superiori dei frati, Ministro generale, Ministri provinciali,

do di ubbidire insieme ai suoi frati per condurre una «vita secondo le forme del santo Vangelo». Tutti loro

Custode e Guardiano sono tutti inizialmente anche i padri spirituali dei frati. La loro carica aveva dunque

aspiravano a questo nuovo modo di essere all’interno della chiesa del tempo che si conformava al Vangelo.

un’impronta carismatica, col tempo però prevalse il carattere ufficiale dal momento che, come già accen-

Non nutrivano spiccati interessi per una particolare attività nel Regno di Dio, né per una riforma della

nato, avevano anche l’autorità di punire. A margine si osservi che in questo modo si arrivò, partendo dal

chiesa e della società contemporanea che fosse consapevolmente perseguita, ma si indirizzavano verso un

1239, a riservare l’ufficio di superiori ai chierici.

semplice rinnovamento di quella forma di vita che Cristo nel Vangelo aveva destinato agli Apostoli ed ai

Per concludere si deve osservare che né Francesco, né la Chiesa o l’Ordine stesso hanno radicalmente respinto o consapevolmente accelerato lo sviluppo di cui si è detto. Questo processo si verificò come ri-

suoi seguaci. Il movimento francescano divenne perciò la parte preminente di quel movimento apostolico che animava allora la vita religiosa al suo interno e la metteva anche in grande pericolo.

sultato degli sforzi tesi ad eliminare le difficoltà che si andavano delineando. Le premure di san Francesco

«I Frati Minori erano in tutto ubbidienti alla Santa Sede», così testimonia il preposto Burcardo di

mirarono anzi a conciliare i nuovi elementi con lo spirito della sua comunità. In questo intento si trovarono

Ursperg nella sua Cronaca59. In contrasto con il movimento ereticale del loro tempo ed in conformità con

concordi tutti coloro che avevano una responsabilità all’interno dell’Ordine e la curia romana si unì a loro.

la loro professione dei voti dovevano paupertatem et humilitatem… Domini nostri Jesu Christi… observare,

Nelle fonti del xiii secolo non si parla affatto di pesanti interventi da parte della chiesa.

ma stabiles in fide catholica ed ancor meglio: semper subditi et subiecti pedibus eiusdem sanctae Ecclesiae,

Tutti i tentativi di padroneggiare la situazione di crisi sono documentabili a partire dagli anni 1220-

così desidera Francesco al termine della Regola bollata.

1221, di conseguenza proprio l’ultimo periodo della vita di san Francesco dovrà essere considerato decisi-

Ancora sul letto di morte Francesco è tormentato dalla profonda preoccupazione ut regulam, quam

vo per il futuro dell’Ordine. Certamente lo sviluppo più incisivo si ebbe quando l’Ordine dei Frati Minori

Domino promisimus, melius catholice observemus60. Dall’inizio alla fine, senza interruzioni o debolezze,

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Dalla fraternitas originaria alla costituzione dell’Ordine

accanto alla forma sancti Evangelii comparve dunque anche quell’altra: la forma sanctae Romanae Ecclesiae. Il rinnovamento della vita in senso evangelico – o meglio secondo quelle forme indicate da Cristo ai suoi Apostoli quando li inviò ad annunciare il Regno di Dio – condusse in modo del tutto naturale France-

Si tratta qui di una delle questioni più importanti per comprendere la storia dell’Ordine dei Frati

sco ed i suoi seguaci verso un’attività apostolica di predicazione che in un primo tempo non era legata ad

Minori: qual è stato il reale processo che ha trasformato l’originaria comunità francescana nell’Ordine

un luogo determinato e tanto meno ad un convento nel senso usuale del termine.

dei Frati Minori di diffusione internazionale? Nella parte precedente si è visto quanto fosse straordinaria

Era solo importante che si predicasse non contra formam et institutionem sanctae Ecclesiae, risoluta prescrizione di Francesco ai suoi frati nella prima frase del xvii capitolo che tratta dei predicatori. La pre-

la concezione di san Francesco: Novus ordo, nova vita, mundo surgit inaudita. Questo nuovo doveva però permanere nelle strutture come elemento vitale ed efficace.

dicazione dei Frati Minori doveva servire il Regno di Dio e mostrare le vie del Signore all’intera cristianità

Le forze vitali di questo sviluppo

e a tutti gli uomini, anche non cristiani (Saraceni ed altri infedeli). Sin dall’inizio l’orientamento era così universale come la missione affidata da Cristo ai suoi Apostoli. I Frati Minori non servono il Regno di Dio solo annunciando la sua parola, ma anche con la testimonianza di tutta la loro vita.

Francesco era un uomo decisamente carismatico. In seguito alla chiamata di Dio iniziò a condurre la

Francesco sentì provenire dal Vangelo anche il richiamo alla povertà. Viveva con i suoi frati – anche in

«vita di penitenza» che si concretizzò poi in una «vita secondo la forma del santo Vangelo». In un primo

questo nuovi Apostoli di Cristo – in gravissima povertà, come il Vangelo richiedeva agli Apostoli stessi. La

tempo seguì la chiamata del Signore in modo personale, senza pensare alla fondazione di un Ordine, ma il

vita dei predicatori erranti non era legata a luoghi e conventi fissi, né era vincolata ad un punto fisso come

Signore gli concesse dei frati. Questi ultimi vennero senza che Francesco li avesse chiamati. In assenza di

fondamento dell’esistenza.

un suo intervento e forse con sua stessa sorpresa divenne il punto di riferimento di una comunità cristiana

A questo proposito i Frati Minori si differenziavano in maniera sostanziale da tutti gli altri Ordini re-

molto attiva.

ligiosi fino ad allora esistenti all’interno della chiesa. In questo modo erano quindi liberi di dedicarsi con

La fraternitas si cristallizza intorno alla sua viva figura. Il carisma della comunità è quello di san Fran-

instancabile assiduità al servizio ed alla missione in favore del Regno di Dio che, proprio mediante questa

cesco, la cui affascinante personalità rappresenta la sua legge di vita: Francesco diventò la Forma Minorum.

vita, veniva ad avverarsi. La vita nella più grave povertà non era dunque fine a se stessa ma, in quanto

I frati che vengono a far parte della nuova comunità vivono secondo il Vangelo come Francesco aveva

espressione della vita evangelica, diventava servizio prestato al Regno di Dio.

loro mostrato. È una comunità carismatica, strutturata sulla singola persona.

Dal momento che la vita dei frati, ispirata al Vangelo ed alla missione degli Apostoli, si svolgeva secon-

Ben presto, già in questo piccolo gruppo, si delinearono però delle condizioni che dovettero avviare

do il principio dell’assoluta povertà, anche la loro sopravvivenza non era mai sicura. Come gli Apostoli si

e favorire lo sviluppo in direzione di un Ordine religioso, non appena crebbe il numero dei frati ed i loro

guadagnavano il necessario per vivere con il lavoro delle loro mani, il che però non avveniva mai a titolo

compiti si fecero più numerosi ed impegnativi.

legale, ma sempre sotto il segno della carità. Accoglievano anche con riconoscenza quanto la vita cristiana offriva loro spontaneamente, senza es-

Comuni regole di vita

sere in questo ostacolati da disposizioni dell’Ordine. In caso di necessità recurramus ad mensam Domini, petendo eleemosynam ostiatim61, così testimonia Francesco nel suo Testamento. Una mendicitas, garantita da leggi ecclesiastiche, non era nelle sue intenzioni.

È chiaro che molto presto Francesco constatò la necessità di regole di vita che fossero uguali per tutti. A quanto pare sapeva interpretare correttamente la crescita della comunità, in quanto, non appena furono

Questa insicurezza rappresentava però un fertile elemento formale per la nuova comunità ispirata alla

in dodici, scrisse, secondo il resoconto di Tommaso da Celano, la vitae formam et regulam dove usa princi-

vita evangelica, in quanto l’esistenza fraternamente intesa di ognuno veniva sempre e costantemente esor-

palmente le parole del Vangelo aspirando al loro completo adempimento. Aggiunse solo in misura limitata

tata a porre rimedio allo stato di necessità dell’altro e ad offrirgli aiuto.

altre prescrizioni che erano assolutamente necessarie per la vita di un Ordine, ad convensationis sanctae

In un’epoca di potenza e ricchezza, priva di autentico spirito cristiano, nella loro expropriatio, nella

usum62. Fece approvare questa primitiva Regola dal papa Innocenzo iii: ancora un importante passo in dire-

loro rinuncia a se stessi, fornivano un esempio di quello che è l’elemento essenziale per i cristiani: la fratel-

zione del futuro! Questa forma vitae crebbe col crescere della comunità per trovare poi la sua forma defini-

lanza. La fraternitas è la realtà dell’uomo povero che è stato salvato ed ha sentimenti benevoli.

tiva nella Regola bollata del 1223. La comunità ebbe così, come tutti gli Ordini ecclesiastici, una sua regula.

Nella loro povertà essi attuavano l’essenziale del Regno di Dio, proprio la fratellanza nata dalla realtà

L’habitus sanctae conversationis

della salvezza di Cristo. La comunità di coloro che aspiravano a rinnovare la vita in senso evangelico mediante un’assoluta povertà giunse quindi a trasformarsi, in misura sempre maggiore, in una vera e propria fraternità che doveva dar prova di sé nella pratica concreta dell’amore. Divenne l’Ordo fratrum minorum.

26

Nel suo Testamento Francesco dice: Et illi qui veniebant ad recipiendam vitam istam… eramus contenti tunica una, intus et foris repeciata, cum cingulo et braccis63. Già il terzo che andò presso di lui, Egidio d’As-

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sisi, viene condotto da Francesco in città per «procurargli un saio e vestirlo» dal momento che aveva ancora

ortodosso, rimanendo all’interno della chiesa. La sua forma di vita possedeva quindi una forza dinamica

gli abiti secolari. Francesco diede dunque a tutti i frati che si presentavano da lui un determinato abito:

enorme e dette origine ad un movimento di dimensioni internazionali. Egli stesso ne rimase certamente stu-

«la veste che ora portano i frati» come testimonia Giordano da Giano . Sin dall’inizio compare l’esigenza,

pito, spesso persino spaventato. Temeva, come abbiamo già detto, la gran quantità numerica. Con l’inaudi-

subito realizzata, di un abbigliamento come signum distinctivum, la cui introduzione non avviene quindi

ta crescita e la stupefacente espansione della comunità i suoi principi costitutivi dovettero necessariamente

in un secondo tempo, ad esempio per effetto delle Regole, che ne presuppongono invece l’esistenza in

subire delle modificazioni. I frati non potevano più, come avveniva in principio, vivere tutti con Francesco,

modo del tutto naturale. Già nel 1220 Onorio

e questo neppure di tanto in tanto. Per parte sua egli non poteva più guidare e conoscere tutti i frati.

64

iii

lo tutelò secondo il diritto canonico nel Cum secundum,

in quanto habitus vitae vestrae. La fraternitas aveva quindi anche agli inizi un abito religioso caratteristico come avveniva per tutti gli altri Ordini ecclesiastici.

Ne consegue inevitabilmente che fu necessario considerare la questione di una direzione da lontano. Ciò poteva avvenire con la Regola. Nello stesso tempo però la vita del singolo, nel suo complesso, doveva conformarsi a norme oggettive in modo più severo di quanto non fosse avvenuto sino ad allora. La parte istituzionale

L’ora canonica

doveva quindi conseguire maggior risalto. Taluni elementi del modello originario, legati ai tempi ed ai luoghi, dovettero adeguarsi alle mutate condizioni, in quanto l’Umbria ed Assisi non sono tutto il mondo. In conse-

Non è possibile accertare con sicurezza quando i frati abbiano introdotto l’ora canonica. Francesco,

guenza di ciò si presentavano a Francesco due diverse possibilità.

nel suo Testamento, la include tra i primi segni di vita della giovane comunità. Già prima del 1221 l’ora

Potevano rimanere una comunità di frati conducente una vita evangelica sotto la tutela delle norme ori-

canonica dei frati consisteva nell’Ufficio divino della chiesa di Roma. Dal momento che l’Ufficio divino era

ginarie: ecco quanto probabilmente aleggiò davanti ai loro occhi in un primo momento. Esclusi dai grandi

da sempre uno tra gli elementi formativi più efficaci, anche i Frati Minori vi furono conformati, tanto più

eventi religiosi, vivendo nell’auspicata modestia di se stessi, avrebbero dovuto condurre, nel corso del loro

che si differenziava in maniera consistente dall’usus degli Ordini del tempo.

processo di sviluppo, una vita esemplare in povertà ed umiltà secondo il Vangelo. Si sarebbero così limitati ad un piccolo gruppo di cristiani carismatici, con meriti particolari; ciò significa che avrebbero dovuto intro-

Il rapporto fra superiori e subalterni

durre un rigido principio di selezione basato su severe esigenze che avrebbero fornito le necessarie garanzie. L’altra possibilità consisteva nel lasciare che l’evoluzione in atto proseguisse verso la costituzione di un

Sin dall’inizio Francesco si sente responsabile per i suoi frati. Li dirige come padre spirituale, ma anche

Ordine internazionale con incidenza sulle masse e sui tempi a venire, lasciando cioè che l’elemento apo-

come guida della comunità. Li invia in missione ricevendo il resoconto di tutto quanto essi affrontano. Esor-

stolico della vita evangelica esplicasse il suo ampio potere d’azione, capace di abbracciare tutto. L’esempio

ta e rimprovera, punisce. Dopo l’approvazione di papa Innocenzo

della loro vita doveva però adeguarsi alle possibilità pratiche di un tale Ordine internazionale ed a quelle di

iii,

i frati di Francesco devono obbedire

anche alla chiesa.

un cristianesimo di livello più ordinario. Il destino della comunità poteva quindi assimilarsi solo a quello di

Anche nei primi tempi esisteva chiaramente la consuetudine di nominare un superiore per ciascuno dei singoli gruppi che andavano in missione apostolica. Pur nei loro rapporti di profonda fratellanza si ricercano e si approvano da parte dei frati l’inquadramento e la gerarchia necessari. La carica rimane però fraterna: frater praelatus, così Francesco in quanto superiore di tutti, è chiamato «il frate con particolari meriti» . 65

Da queste figure a guida dei gruppi si delinearono successivamente le cariche dei Ministri e dei Guardiani, nominati e destituiti da Francesco stesso che ha infatti tutta la comunità in suo potere.

tutta la chiesa che è destinata a far sentire i suoi effetti con grande diffusione ed è tenuta ad avere riguardo anche dei più deboli. Non sappiamo se Francesco sia stato consapevole di questa alternativa. Di quando in quando sembra protendere verso la prima soluzione. Nel momento però in Cui il Signore gli diede dei Frati, si sentì in misura troppo grande strumento della divina provvidenza per poter intervenire frapponendo ostacoli. La decisione circa lo sviluppo storico ebbe così luogo in modo spontaneo. Già dopo pochi anni il numero dei

Questi germi si sviluppano in virtù della loro forza intrinseca. Francesco diventa, senza intervenire, il

frati si era talmente accresciuto che non era più pensabile una prosecuzione dell’originaria forma di vita.

fondatore e la guida di un Ordine che si trova ad essere equiparato a tutti gli altri Ordini ecclesiastici esi-

Apparve evidente la necessità di dare un altro fondamento alla comunità dei frati. L’Ordine derivò dalla

stenti a quel tempo. Se così si può dire, il movimento diventò l’Ordine dei Frati Minori quasi sottobanco.

vita monastica quelle forme e quelle strutture che si erano affermate sino ad allora all’interno della chiesa.

Sicuramente Francesco non si è opposto a questo processo di sviluppo, cui, fino alla fine, ha sempre cercato

Anche se questo processo si svolse in modo naturale, portò tuttavia ad uno stato di crisi, in quanto dovette

di conferire la giusta impronta religiosa rimanendo in costante ascolto di quanto Dio richiedesse.

affermarsi accanto al modello originario, ancorato alla Regola bollata, o addirittura contro di esso.

Esigenze di una fraternità che cresce

La posizione di san Francesco all’interno di questo sviluppo

Francesco, con la concezione di una vita secondo la forma sancti Evangelii, aveva colto un profondo

Questa domanda controversa è diventata tale probabilmente solo dopo che Sabatier ha reso nota la sua

desiderio del suo tempo, religiosamente così agitato, ed aveva offerto la possibilità di realizzarlo in modo

tesi, secondo cui Francesco avrebbe accettato protestando la trasformazione della sua fraternitas in un Or-

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29


dine religioso. Nel suo intimo avrebbe respinto il processo avviato dalla chiesa e sostenuto dal partito dei

similitudine, però giustificabile»67. Se in una situazione di questo genere ha pronunciato affermazioni che

Ministri e dei dotti, elevando proteste soprattutto nel suo Testamento. Sabatier si è richiamato a successive

destano stupore, non è certo lecito generalizzarle.

fonti medievali, provenienti soprattutto dai circoli degli Spirituali, anch’essi contrari a questo sviluppo, e che, per legittimare la propria, facevano risalire questa protesta al tempo di san Francesco. In contrasto con

I compiti del Ministro nel corso di questo processo di sviluppo

questa tesi ci sono anche altri argomenti. In primo luogo la posizione di Francesco, che dopo la sua conversione viveva nell’incondizionata ub-

È ora necessario fare qualche precisazione: negli ultimi anni della sua vita Francesco si trovava sotto

bidienza a Dio. Il Signore diede inizio alla sua vita di penitenza, il Signore gli diede dei frati. Il Signore gli

l’influenza di frati che sicuramente dedicavano poca attenzione alla necessità di uno sviluppo e che proteg-

rivelò che doveva vivere con loro secondo il santo Vangelo. Il Signore gli fece scrivere la Regola in modo

gevano il santo, spesso in fin di vita. A questi frati risale la maggior parte dei resoconti ostili ai Ministri che

semplice e schietto, anche se sappiamo che il cardinale Ugolino, nonché il Capitolo dei frati collaborarono

fecero la loro comparsa all’inizio del xiv secolo. Cos’è successo veramente?

offrendo il loro aiuto, che la viva fede di Francesco interpretò come l’aiuto stesso di Dio. Per questo motivo

Il capitolo 104 della Vita secunda Sancti Francisci di Tommaso da Celano porta questo titolo: «Come

non avrebbe mai lasciato che prevalesse un suo programma personale in contrasto con quello di Dio che si

Francesco rinunciò alla carica di superiore nel corso di un Capitolo; la preghiera che pronunciò in questa

manifestava in questo processo di sviluppo, entro il quale egli si inserì sempre come uno strumento.

occasione». La preghiera dice: «Signore, ti raccomando la famiglia che tu mi hai affidato sino ad ora. Dal

In secondo luogo, sin dagli inizi della sua conversione e fino alla morte, la sua posizione fu sempre di

momento che io attualmente, a causa delle mie malattie che tu conosci, o carissimo Signore, non posso

costante, fiduciosa e devota ubbidienza alla chiesa. Sicuramente, di fronte ad essa si è sempre presentato

più provvedere a lei, la raccomando così ai Ministri. Nel giorno del giudizio saranno tenuti a render conto

come il depositario della chiamata di Dio, ma ciò in piena umiltà. Si può anzi dire che Francesco ha acqui-

davanti a te, o Signore, se uno qualsiasi dei frati è andato disperso per la loro negligenza e per un duro

sito la chiesa per il novum del suo Ordine, piuttosto che la chiesa si sia servita di lui per i suoi piani. Egli

rimprovero». Tutto questo avveniva durante il Capitolo di Pentecoste del 1220, dopo che erano stati par-

lavorò in conformità con la chiesa, e si trattò di una fiduciosa collaborazione.

zialmente accantonati i dissensi sorti in occasione del viaggio in Oriente del santo. Francesco affidò quindi

In terzo luogo è innegabile che Francesco sottolineò con sempre maggior vigore quegli elementi che

ai Ministri la responsabilità per i suoi frati e compì quest’atto rimanendo proprio nello spirito della Regola

tendevano alla formulazione di una vita monastica. Basti pensare alla sua interpretazione dell’obbedienza

non bollata68. Questi uomini si trovarono di fronte a tutte le difficoltà che si manifestarono nel primo mo-

che trovò proprio nel Testamento la sua impronta più decisa in questa direzione. Si consideri anche la re-

vimento francescano. Francesco richiamò energicamente i Ministri alle loro responsabilità e fece questo

citazione dell’Ufficio divino che, proprio nel Testamento, ebbe il suo più forte rilievo e venne sanzionata

a ragione, senza però indicar loro vie concrete e vincolanti per adempiere a queste loro responsabilità.

da severe misure punitive mediante le quali era inoltre possibile intravedere una via gerarchica di tipo

Nessuna meraviglia quindi se i Ministri cercarono aiuto là dove veniva loro offerto: sull’esempio degli

giudiziario. Si pensi alla Regola, il cui testo viene canonizzato proprio nel Testamento, oppure alle dispo-

Ordini esistenti, cioè quelli monastici. Due esempi soprattutto possono chiarire questo fatto, esempi sui

sizioni monastiche e alla disciplina imposta dalla Regola stessa che nella Lettera a tutto l’Ordine, vengono

quali la storia dell’Ordine si presenta ben informata: l’inserimento dell’Ordine nella situazione germanica

enunciate come segni distintivi della cattolicità destinata ai frati.

con la figura di Cesare di Spira e nel mondo anglosassone con Agnello da Pisa69. Erano entrambi chierici,

Quarto punto: nessuno conosceva i propri limiti meglio di Francesco. Per questo motivo si rivolge egli

entrambi dotti e Francesco stesso li aveva scelti ed inviati in missione. I due ministri adattarono la vita dei

stesso alla chiesa con la richiesta di aiuto quando non si sente più capace di affrontare le difficoltà e, come

loro frati a forme di tipo monastico. Dovettero far fronte a difficoltà e vivere esperienze decisamente tristi.

si esprime Giordano da Giano, implora per l’Ordine il «suo papa» , proprio il cardinale Ugolino. Nomina

Si trovavano però molto lontani mentre in Italia i Ministri rimanevano nel campo d’osservazione del santo.

come «suoi» Ministri generali dei frati esperti che abbiano una cultura giuridica e si limita, nell’ultimo

Essi invece davano sviluppo alle loro province sul modello delle abbazie cosicché il loro compito, riportato

periodo della sua vita, a quanto risulta conforme alle sue forze: la funzione di guida spirituale, anche se

nella Regola in modo non sufficientemente chiaro, ottenne una precisa definizione. Francesco vi si oppose

rimane come prima la massima autorità di tutto l’Ordine. Francesco non era infatti né un giurista, né un

presentando, come conseguenza della sua consegna di responsabilità, un allontanamento tra sé ed i frati.

organizzatore e neppure un esperto di amministrazione. Era l’uomo carismatico, il santo che non comprese

Con riferimento a questa situazione, nel capitolo 141 della Vita secunda di Tommaso da Celano, troviamo le

mai che altri individuavano problemi dove per lui non ne esistevano. I suoi ultimi anni di vita furono quindi

seguenti parole: «Tra i superiori ne esistono alcuni che li guidano [i frati] su altre strade: propongano loro

offuscati dal dolore che gli procurava il fallimento di taluni frati. Questa fu per lui la croce più pesante.

come esempio gli antichi [cioè i fondatori degli antichi Ordini monastici] e tengono in poco conto le mie

66

Da ultimo si aggiunga ancora che la comunità ai suoi inizi poté godere dell’amore indiviso di san Fran-

esortazioni. Quello che fanno sarà infine manifesto». Ancora una volta viene chiaramente in luce il dissidio

cesco, in quanto i pochi frati si rimettevano interamente alla sua personale direzione e guida, in gara con lui

tra carisma ed istituzione, che si palesa in modo impressionante quando, secondo il resoconto del Celano e

per veder realizzata la loro vocazione, mentre davano vita insieme alla fraternitas, così genuina e familiare.

sempre nel medesimo contesto, Francesco si solleva dal suo giaciglio, ormai mortalmente malato, e grida:

«Francesco era una natura poetica. Aveva più inclinazione e comprensione per la fiorente primavera con

«Chi sono quelli che hanno strappato dalle mie mani il mio Ordine e quelli dei miei frati? Quando verrò al

tutto il suo germogliare che non per il pesante carico di un’estate, e persino di un autunno. Sia pure una

Capitolo Generale, mostrerò loro qual è il mio volere».

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L’evoluzione esteriore dell’Ordine

Il cammino intrapreso dai Ministri era però per il tempo il solo valido, come insegnò poi la pratica. L’uomo medievale era abituato a vivere in associazioni cooperativistiche con un rigido ordinamento. Ordo e religio erano concetti tra loro sinonimi per la vita di un Ordine. Fu il tragico dell’Ordine che i suoi re-

Non a caso e non senza ragione Tommaso da Celano inserisce al primo posto per importanza, tra i fatti

sponsabili dovettero intraprendere de facto il cammino che avevano ritenuto giusto senza però che venisse

meravigliosi della vita di san Francesco, lo sviluppo e la rapida diffusione dell’Ordine dei Frati Minori,

riconosciuto de iure. Occorsero decenni prima di risolvere questi interrogativi nel loro aspetto giuridico. Si

come scrive nel primo capitolo della terza parte della sua trilogia francescana: «In conclusione noi abbiamo

pensi solo alla carica dei superiori locali: ancora negli anni 1241-1242, dal momento che la loro carica non

visto questo vigneto espandersi nel più breve tempo possibile, mentre i suoi tralci e i germogli si estendono

trova una denominazione nella Regola, i Quatuor Magistri propongono di chiamarli più opportunamente

da mare a mare.

Custodes seu Ministri domus cosicché nessuno potrà più affermare, in base alla Regola, di non essere tenuto

Da tutto il mondo accorrono popoli, si riversano schiere che si congiungono come pietre, diventate

all’obbedienza verso i Guardiani . Basti questo esempio, che rende evidente il problema in tutta la sua

improvvisamente vive e destinate alla magnifica costruzione di questo meraviglioso tempio». La sua te-

acutezza, cioè quanto fosse difficile il compito dei Ministri che vissero questa evoluzione dell’Ordine, ma

stimonianza trova ampia conferma tra i contemporanei. Così scrive il sopraccitato Giacomo da Vitry già

anche quanta riconoscenza debba loro l’Ordine.

nell’anno 1220: «Questo Ordine si è espanso in tutto il mondo» e quasi contemporaneamente nella sua

70

Bisogna infatti considerare che anche i Ministri erano uomini e più d’uno può aver ceduto alla ten-

Historia Occidentalis: i frati, «in poco tempo, sono così aumentati di numero che difficilmente si troverebbe

tazione del potere. Nel capitolo già citato della Vita secunda Tommaso da Celano fa riferimento a fatti di

una provincia della cristianità dove non abbiano propri frati»71. Attorno al 1240 l’autore della Vita Gregorii

questo genere, dichiara però subito che erano delle eccezioni. Anche se talvolta troppo «buon senso» e

ix

molt’acqua si sono versati nel vino del primo entusiasmo, una cosa rimane però certa: questi uomini apri-

dimensione che non avesse esperienza di venerabili rapporti con loro»72. Non è quindi esagerato se Frate

rono la strada alla fioritura vissuta dall’Ordine nel

Elia, nella sua lettera a tutto l’Ordine per la morte di san Francesco, scrive nel 1226: Francesco «preparò

xiii

secolo. Il «secolo francescano» è, non in piccola

confermò «che nella grande orbe terrestre non si trovava probabilmente nessun luogo di una qualche

per il Signore un nuovo popolo su tutta la terra»73.

parte, anche opera loro!

Questa tendenza all’attività missionaria era già ben delineata nel primo gruppo di Frati Minori; infatti,

Il compito della chiesa in questo processo di sviluppo

con riferimento al periodo della prima approvazione del loro modello di vita ad opera di Innocenzo

iii,

quindi prima del 1209-1210 quando erano solo sette frati, Tommaso da Celano ci riferisce che Francesco Soprattutto negli studi più recenti è sorto di frequente ed ha trovato risposte molto diverse l’inter-

aveva consolato la piccola schiera con le seguenti parole: «Abbiate coraggio, miei cari, e gioite nel Signore e

rogativo circa l’attività e l’influenza della chiesa nell’evoluzione della nuova comunità. È completamente

non lasciatevi intristire perché apparentemente siamo solo in pochi! Non vi deve spaventare né la mia, né la

fuorviarne parlare di un «conflitto» tra il santo e la Chiesa. Francesco si è sottomesso alle sue decisioni

vostra semplicità, in quanto questo, in verità, mi è stato mostrato dal Signore: che Dio ci farà diventare una

subito e senza condizioni: ad esempio, per quanto riguarda le determinazioni del Concilio lateranense

iv,

schiera molto grande che si moltiplicherà e si diffonderà fino ai confini della terra… Ho visto una grande

l’introduzione del noviziato e il potere giurisdizionale dei padri superiori. Si è servito di buon grado dei

moltitudine di gente venire verso di noi desiderando convivere con noi secondo l’abito e la Regola del no-

privilegi papali concessi all’Ordine: come avere oratori propri dove celebrare la Messa e l’Ufficio divino.

stro santo Ordine; e vedete, io ho ancora adesso nell’orecchio il rumore di coloro che andavano e venivano

Ha collaborato a mantenere quelli che si dimostravano favorevoli alla vita della comunità, anche al suo

secondo l’incarico impartito loro della santa ubbidienza. Ho visto, per così dire, i sentieri ricolmi delle

aspetto monastico, ma come mostra il suo testamento – sia pure per reazione spontanea ed esasperata – ha

loro schiere che si incontravano arrivando da quasi tutti i popoli. Vengono Francesi, accorrono Spagnoli,

però rifiutato quei privilegi che contraddicevano allo spirito di povertà ed umiltà della sua comunità, so-

si uniscono Tedeschi ed Inglesi, affluisce qui anche un’immensa moltitudine parlante diverse lingue»74. Il

prattutto quando portavano a malumori e controversie con il clero.

giovane uomo conosceva il mondo; era cresciuto lungo il tragitto dei pellegrini diretti a Roma ed in un

Per la stesura della Regola bollata Francesco si servì dell’aiuto del Cardinal protettore e fino alla sua

ambiente commerciale di respiro internazionale. Si sentiva inoltre responsabile per tutti. Desiderava che

morte ebbe parole di approvazione per le funzioni da lui svolte a favore dell’Ordine, desiderando che ot-

tutti, sin dall’inizio, fossero inclusi nella sua missione. Tutti dovevano essere accolti nella sua comunità,

tenessero il giusto riconoscimento.

che qui viene descritta con molta precisione già come un Ordine: in habitu sanctae conversationis beataeque

Si può dire, in generale, che l’intervento della Curia papale si ebbe solo quando fu richiesto. Tutti gli

religionis regula… secundum oboedientiae mandatum.

studiosi concordano su questo punto. La Curia si sforzò sinceramente di dare una risposta al novum che ve-

Non appena furono in otto, Francesco li inviò in missione «in quattro gruppi, ciascuno di due persone,

niva incontrando. Si può discutere se ciò sia sempre completamente riuscito, il che, tuttavia, non dipendeva

e disse loro: “andate, miei cari, di due in due, verso le diverse regioni del mondo e annunciate agli uomini

solo dalla buona volontà ma, in misura maggiore, dalla semplice circostanza che mancavano le categorie

il messaggio di pace e di penitenza per il perdono dei peccati!”… I frati accolsero con esultanza e gaudio

per inserire questo novum nella vita organica della chiesa e nella sua organica composizione. In definitiva

l’incarico della santa ubbidienza»75. Erano nati i predicatori erranti che avevano per convento il mondo

è concesso dire che allora è avvenuto l’umanamente possibile.

interno. Nella chiesa si era così avviato un nuovo periodo di attività missionaria.

32

33


La creazione delle province Anche se inizialmente si trattava solo di viaggi di predicazione il cui percorso prima o poi riconduceva i frati ancora alla Porziuncola, tuttavia, a partire dal 1216-1217 circa, si pensò ad una suddivisione dei diversi ambiti di lavoro e delle aree di missione che vennero chiamate «province». Per i frati che si trovavano in queste province era responsabile il Minister provincialis. L’atto di introduzione di questi Ministri è ancora contenuto nei capitoli 4-6, una chiara aggiunta alla Regola non bollata. Non si sa in base a quali principi siano state costituite queste province, ed è oscuro anche il periodo della loro creazione. È comunque certo che il loro numero era in Italia di gran lunga più consistente che non al di là delle Alpi. Ben presto la loro importanza divenne considerevole. Il xviii capitolo della Regola non bollata prevede che i Ministri residenti al di là delle Alpi e del mare si rechino ogni tre anni alla Porziuncola per partecipare al Capitolo, mentre gli altri, cioè gli Italiani, dovranno farlo ogni anno. Si profila già a questo punto una suddivisione tra province cismontane e province oltremontane che in tempi successivi procurerà molte difficoltà all’Ordine. Nel 1219 si ebbe la prima grande missione in quasi tutti i paesi d’Europa e d’oltremare in Oriente. I risultati che ne seguirono furono scarsi. In Germania ed in Ungheria si verificò addirittura un pieno insuccesso. I frati erano del tutto impreparati, non conoscevano la lingua, i loro abiti erano inadatti al clima. La maggior parte di loro tornò in Italia impaurita e delusa come ci riferisce Giordano da Giano76. Dei primi che si recarono in Spagna, cinque frati passarono in Marocco trovandovi il martirio. Giordano scrive per concludere: «La prima attività missionaria rappresentò dunque una chiara sconfitta, probabilmente perché non era ancora venuto il tempo della loro missione, “infatti tutto sulla terra ha bisogno del suo tempo”»77. Proprio in questo passo appare evidente che all’Ordine di quelle proporzioni veniva a mancare l’istituzione che è necessaria per compiti di questo tipo. Nel 1221 seguì il tentativo determinante. Questa volta si ebbero stabili e durature fondazioni di province, anche al di là delle Alpi. Giordano ci fornisce informazioni particolarmente accurate sullo sviluppo e sulla stabilità della Teutonia che in un primo tempo comprendeva tutta la Germania. L’ultima fondazione di provincia, promossa da Francesco stesso, dovrebbe essere quella dell’Anglia nell’autunno del 1223. Anche la storia della sua fondazione trova un ampio resoconto nella Cronaca di Tommaso di Eccleston. Alla morte di san Francesco dovevano esistere probabilmente dodici province, sei in Italia ed altrettante fuori d’Italia. I confini di queste ultime coincidevano per lo più con i confini degli stati. L’attiva figura di san Francesco aveva suscitato, col suo esempio di vita e la sua forza irradiante, un movimento altrettanto attivo che desiderava vivere seguendo in tutto il modello del Vangelo ed era legato alla chiesa romana da strettissimi vincoli. Dall’originaria comunità si sviluppò in breve tempo, anche se con sofferenza a dolori d’ogni tipo, l’Ordine dei Frati Minori, diffusione internazionale, che rappresentò per la chiesa un deciso sostegno ed un valido aiuto per affrontare i difficili e pesanti compiti del tempo.

1. Crocifisso di San Damiano, xii secolo, Assisi, basilica di Santa Chiara.

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L’antica immagine era custodita nella chiesetta di S. Damiano, fuori dalle mura di Assisi. Il giovane Francesco sentì questo Crocifisso parlargli e invitarlo a riparare la chiesa che era in rovina. Fu il primo impegno della sua vita nuova, il lavoro manuale di restauro di questa e di altre chiese nei dintorni di Assisi.


2. Ritratto di san Francesco, xiii secolo, Subiaco, Sacro Speco. Secondo alcuni si tratta del più antico ritratto esistente di san Francesco, risalente a una visita allo Speco di Francesco: il santo è identificato come «Fr[ater] Franciscus», non ancora canonizzato, non ha i segni delle stimmate, ma è riconoscibile da quello che diverrà un attributo iconografico: la corda che gli cinge l’abito.


3. Cimabue, Tavola di san Francesco, 1290 circa, Assisi, Santa Maria degli Angeli, Museo della Porziuncola. Forse una tavola preparatoria per l’affresco della Basilica superiore di Assisi, Francesco appare con i tipici segni che lo identificano: le stimmate in evidenza sulle mani, sui piedi e sul costato, attraverso uno strappo dell’abito all’altezza del petto. Contrasta con la povertà della sua figura il libro tenuto tra le mani, rilegato, prezioso, con un doppio fermaglio: il libro del Vangelo, che Francesco ha scelto come primaria norma di vita.

4. Pittore umbro o romano, San Francesco, xiii secolo, Parigi, Musée du Louvre. La tavola, di autore ignoto, testimonia la diffusione del culto a Francesco, ormai noto in tutto il mondo cristiano. Il libro della Bibbia è aperto sulla pagina del profeta Isaia (61, 1): «Lo Spirito del Signore è su di me e mi ha mandato...».


6. Maestro di san Francesco, San Francesco tra due angeli, 1260 circa, Assisi, Santa Maria degli Angeli, Museo della Porziuncola. 5. Margaritone d’Arezzo, San Francesco, 1250 circa, Città del Vaticano, Pinacoteca. Il santo, con i tradizionali attributi iconografici, è raffigurato in modo quasi realistico, come si trattasse di un ritratto. Da notare la particolare attenzione ai tratti somatici (occhi grandi, fronte bassa, naso lungo e affilato).

Il santo porta in mano non più il libro dei Vangeli, ma una croce, secondo un modello iconografico che diventerà anch’esso tipico. L’iscrizione ricorda che la tavola su cui venne dipinta l’immagine sarebbe stato il fondo della cassa mortuaria che avrebbe custodito il corpo di Francesco nella sua sepoltura temporanea, prima dello spostamento nella grande basilica costruita in suo onore.


7. Bonaventura Berlinghieri, San Francesco e storie della sua vita, 1235, Pescia, Chiesa di San Francesco. La tavola dipinta per Pescia è il primo esempio di un genere che conobbe una grande fortuna: la tavola istoriata, nella quale l’immagine del santo veniva circondata da piccoli riquadri in cui si narrano storie della sua vita. Questo tipo di raffigurazione nasce proprio per san Francesco: si afferma una visione della santitĂ come frutto di scelte storiche operate in questa vita.


8. Maestro della croce 434 e Maestro di Santa Maria Primerana, San Francesco e otto storie della sua vita, 1255 circa, Pistoia, Museo Civico. Un’altra testimonianza della rapida diffusione delle tavole istoriate, diventate in breve strumenti fondamentali per far conoscere la biografia del santo e mettere in rilievo gli episodi ritenuti volta per volta piÚ istruttivi per la comunità cristiana.


9. Maestro del san Francesco Bardi (Coppo di Marcovaldo), San Francesco e venti storie della sua vita, 1250-1260, Firenze, Santa Croce, Cappella Bardi. Un esempio particolarmente ricco di tavola istoriata è quella presente nella cappella Bardi, risalente all’originaria chiesa di Santa Croce, prima di quella attuale costruita verso la fine del ’200. Sono rappresentate venti storie della vita del santo, che appare spesso circondato dai compagni, quasi a sottolineare un’ideale corale di santità, influenzato dalla radicale scelta di fraternità operata da Francesco.


10. Giunta Pisano, Dossale di san Francesco e sei miracoli, 1255 circa, Pisa, Museo Nazionale di San Matteo. In questo caso le raffigurazioni che circondano la figura del santo narrano non piĂš episodi della sua vita, ma guarigioni miracolose avvenute dopo la sua morte, riprese dal racconto del primo biografo Tommaso da Celano nel suo Trattato dei Miracoli, scritto intorno al 1248/50.


11. Maestro di san Francesco, Crocifisso di Perugia, 1272, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria. Nella seconda metà del ’200 si diffuse un altro tipo di raffigurazione di san Francesco: il santo viene rappresentato inginocchiato alla base della croce di Cristo, quasi abbracciando i suoi piedi e venerandone le ferite. Si tratta di una rappresentazione meno preoccupata di raccontare fatti storici, ma attenta all’identificazione tra il santo e Cristo.


12. Cimabue, San Francesco, dettaglio della Maestà, 1285-1288 circa, Assisi, basilica inferiore, crociera. È probabilmente il ritratto più noto del santo di Assisi. Cimabue lo raffigura a fianco di una Madonna in trono, circondata da angeli, ma staccando la figura di Francesco. Elimina il fondo oro usato tradizionalmente per la rappresentazione dei santi: Francesco indossa un abito del colore della terra, su uno sfondo azzurro come il cielo; le sue mani sono tese nel custodire l’unica cosa preziosa, il Vangelo, libro della vita da cui è tratta anche la Regola scritta per lui e per i suoi frati.


IL FRANCESCANESIMO TRA IDEALI EVANGELICI E REALTÀ DELLA CHIESA Raoul Manselli

Alla morte di Francesco, i Minori erano già in aumento continuo, avvertendo in questo loro processo di crescita una serie di difficoltà che, nel seno dell’Ordine, finivano con l’essere motivi di accanite dispute e contrasti. Un primo grave problema fu sollevato pochi anni dopo la morte di san Francesco a proposito del valore giuridico da attribuirsi al Testamento, e non tanto per le norme che riguardavano la vita religiosa e che riprendevano, in rapida sintesi, le prescrizioni della Regola, quanto per il divieto preciso e perentorio di chiedere privilegi di qualsiasi genere e per qualsiasi motivo, fosse anche per salvare la propria vita, alla Curia Romana. La ragione di un così rigoroso divieto è facilmente comprensibile se si pensa che, proprio per questi privilegi, numerosi Ordini – e Francesco aveva certo sentito parlare dei Cistercensi, della loro decadenza spirituale e della reazione florense1 – avevano perso di vista il loro ideale originario e snaturato la loro funzione nel seno della Chiesa. Se però ci collochiamo anche nella situazione concreta dei Francescani, obbligati ad operare in una realtà storica ove tutto è regolato ed organizzato da privilegi, che tentano, in un lento processo di reciproco adattamento, di coordinarsi per un normale andamento di vita, ma che eliminano perciò tutto quel che non è sorretto, appunto, da privilegi, ci renderemo conto come spesso nella loro attività e, aggiungiamo, proprio per il successo che loro innegabilmente arrideva, si debbano esser sentiti soffocati, limitati e ristretti, nella loro ulteriore espansione. Tale dovette essere, del resto, anche l’obiettiva constatazione di Gregorio

ix

se, dopo un esame della

situazione ed aderendo alla richiesta dei frati, si decise ad emanare la bolla Quo elongati il 28 settembre 12302. Nella bolla, dopo aver sottolineato le difficoltà in cui i Minori erano venuti a trovarsi, riafferma la sua condizione di confidente e consigliere di san Francesco, per rivendicare a sé il diritto – che gli spetta, però, anche come pontefice – di interpretare su di un piano giuridico e spirituale insieme le intenzioni del santo. E su queste basi decide che il Testamento non aveva valore giuridico e non obbligava quindi i frati all’obbedienza. Era un’inevitabile, certo, ma anche grave deviazione dall’ideale del santo, e ben si comprende come potesse ferire il sentimento e la pietà di coloro – e non erano pochi né di poco rilievo nell’Ordine –, che al di là di ogni norma giuridica, sentivano operante, come quando Francesco era ancor vivo, l’esempio trascinante della sua personalità e della sua spiritualità.

55


Non meno importanti erano altre trasformazioni, che lentamente, ma con continuità, s’introducevano

Gli abusi più gravi, specialmente la prepotenza e la faziosità, vennero a cessare, ma non fu più possi-

nell’Ordine, delle quali una almeno va qui ricordata: quella relativa agli studi. San Francesco non era stato,

bile riportare l’Ordine a quell’impostazione di vita cara a san Francesco, da cui s’era venuto sempre più

in linea di principio, ostile ad essi, accogliendo nel suo ordine dotti ed illetterati con eguale amore, sen-

allontanando; anzi vennero formandosi in seno all’Ordine due indirizzi che si mostreranno, nel corso del

tendosi in realtà indifferente alla cultura in quanto tale, convinto com’era che la Chiesa avesse bisogno di

tempo, sempre più ostili, fino a diventare due veri e propri partiti duramente in contrasto. Il primo, per

esempi di santa vita più che di luminari di scienza.

raccogliere il più gran numero di frati, prendeva il nome di comunità, conglobando gruppi tra loro assai

Con l’aumento dei frati, con l’affluire specialmente dei giovani e dei giovanissimi, il problema degli studi diventava, invece, sempre più urgente ed inevitabile. Gregorio

diversi: si passava infatti, con le più diverse sfumature, da personalità come Crescenzio da Jesi, generale dal

comprese ben presto l’importanza

1244 al 1247, disposto, anche per debolezza di carattere, ad ogni concessione ed alleggerimento della Re-

di formare in seno ai Minori, sorti come ordine misto, in cui chierici e laici avevano la stessa importanza e

gola, a spiriti moderati, come, per esempio, un Giordano da Giano, che si rendevano conto della difficoltà

potevano legittimamente aspirare su un piede di parità alle cariche, un buon gruppo di chierici che potes-

di mantenere un ordine numeroso e complesso come quello francescano nei binari d’una regola, prevista

sero appoggiare il clero nel suo ministero sacerdotale .

per condizioni storiche assai diverse, e che pensavano di poterla adattare e trasformare nei particolari ac-

ix

3

Così, se già durante la vita del santo la cultura aveva una sua modesta presenza in seno all’Ordine, poco

cessori, serbandone intatti gli elementi basilari ed essenziali. Diversamente da loro, e poi contro di loro, il

dopo la sua morte, nel 1231, i Francescani erano già validamente rappresentati all’Università di Bologna, a

secondo raggruppamento di frati, che ben presto si dissero Spirituales, sosteneva la necessità di mantenere

quella di Parigi ed all’altra, appena allora istituita, di Oxford. Ancora qualche anno, e i Francescani avran-

interamente intatto ed intangibile l’ideale di san Francesco, qual era stato indicato, con chiarezza, nella

no una loro organizzazione di studi che, se non potrà certo ancora eguagliare quella dei Domenicani, ha

Regola e nel Testamento, che costituivano una unità inscindibile8.

ormai un prestigio indiscusso in seno alla Cristianità4.

Questo contrasto venne aggravato da un fatto estraneo alla storia dell’Ordine, ma tale da condizionarla

Ne venne ai Francescani un altro accrescimento di importanza e di responsabilità con l’autorizzazione

e da influenzarne l’ulteriore sviluppo.

ad esercitare in maniera sempre più estesa il ministero apostolico sia della predicazione, – che anche per

Già mentre Francesco era vivo, la sua attività e la sua opera erano sembrati, come s’è accennato, ma-

l’esigenza della lotta contro l’eresia s’estese, al di là della pura esortazione alla penitenza ed alla santità, alla

nifestazione nel tempo d’una eccezionale provvidenzialità divina: proprio Giacomo da Vitry non aveva

vera e propria discussione teologica – sia della cura d’anime, specialmente della confessione .

esitato a dichiarare che il francescanesimo andava inquadrato e compreso nel quadro dello svolgimento dei

5

Una crisi più grande si ebbe, in seno all’Ordine, durante il generalato di frate Elia da Cortona, tra il 1232 ed il 1239 . Fra i più cari a Francesco, dotato d’un raro talento d’organizzazione e di una indiscutibile 6

tempi finali della chiesa e dell’umanità, in attesa dell’ormai imminente ritorno di Cristo, con tutti gli eventi già profeticamente previsti e preannunciati, che dovevano accompagnarlo9.

energia di comando, egli si era già fatto notare per l’entusiasmo e la competenza con cui aveva diretto la co-

Morto Francesco, di fronte all’eccezionalità indiscussa della sua figura, i contemporanei avevano ri-

struzione della basilica di Assisi in onore del santo: la sua elezione fu perciò accolta con generale consenso.

nunciato ad inquadrarlo, come era pur consuetudine dell’agiografia corrente, in un tipo di santità già

Il suo ideale era senza dubbio ambizioso quanto consapevole: l’Ordine di san Francesco doveva acquistare

nota: non era solo un fondatore di Ordine, o un eremita predicatore, o un monaco, o un asceta. Con una

su tutti i piani una posizione di primato in seno alla Chiesa, per il numero dei frati, per la loro cultura, per

sensibilità storica, di cui bisognerà ben tener conto, sotto l’influenza di tutta la sua vita, per l’impressione

l’importanza dei compiti a loro affidati, per l’efficienza organizzativa e la disciplina dei suoi membri.

delle stimmate – «A seculo non est auditum tale signum, preterquam in Filio Dei, qui est Christus Deus»,

Tutti questi traguardi di grandezza e potenza, se non sono condannabili certo, sono però assai lontani

disse frate Elia nella sua pubblica notifica delle piaghe scoperte sul corpo del santo – gli uomini del secolo

dalla spiritualità di san Francesco: ed è quanto sentirono con vivacità molti dei frati dell’Ordine che, per

xiii

osarono confrontarlo con l’Unico, che Francesco aveva sempre visto come il suo solo ideale, Cristo, e

esser stati vicini al Fondatore o per aver avvertito il profondo valore religioso del suo ideale, avrebbero

dissero Francesco typus Christi10. Lo collocavano in tal modo in un’eccezionale altezza di santità e, insieme,

voluto alterare il meno possibile le linee originarie e fondamentali dell’Ordine.

lo caricavano d’un significato storico e provvidenziale nuovo, che a sua volta s’inserì, impadronendosene

Si forma così un’opposizione precisa alla politica di frate Elia, specialmente da parte di coloro che

proprio mentre fermentava il contrasto fra Comunità e Spirituali, in tutto un sistema di idee che s’era venu-

erano stati i socii di Francesco e che ne coltivavano con cura gelosa e venerazione appassionata il ricordo,

to diffondendo con grande successo in Italia e nell’Europa tutta proprio tra la fine del secolo xii ed i primi

e tra essi frate Leone, frate Masseo, frate Egidio, che raccolsero persino le loro memorie confluite poi nelle

decenni del xiii: la concezione storiografica gioachimitica11.

varie fonti su san Francesco7.

Com’è noto, per Gioacchino da Fiore come all’unità di Dio corrispondeva l’unità fondamentale della

Attorno a loro, ed in antitesi, per vari motivi non tutti e non sempre di ordine religioso, si venne rac-

storia umana, così alle tre persone della Trinità corrispondevano tre articolazioni fondamentali della stessa

cogliendo un’opposizione che, profittando degli abusi di potere davvero gravi di frate Elia ed agitando

storia: in particolare l’ultima età, quella della gioiosa manifestazione dello Spirito Santo, doveva essere

dinanzi agli occhi di Gregorio

il preoccupante fantasma di un’alleanza del potente Ministro generale

l’epoca della manifestazione nella storia d’un ordine nuovo, che, con la gerarchia della Chiesa, avrebbe ac-

con Federico ii, suo protettore ed amico, allora in rotta completa col pontefice, ottennero la deposizione

compagnato il genere umano verso la sua ultima tappa. Quest’ordine, per Gioacchino da Fiore, non doveva

di frate Elia.

essere il suo proprio Ordine Florense, costituito come riforma in senso rigorista dell’Ordine Cistercense,

ix

56

57


ma un nuovo Ordine. Restava così nell’aria l’attesa di questo nuovo Ordine Religioso e sembrò presto ai

vanni da Parma riusciva a creare intorno a sé un consenso nel quale le opposizioni, se non erano scomparse,

Minori che la profezià di Gioacchino preannunciasse i Francescani, tanto più che a Francesco s’andò rife-

si erano per lo meno sopite.

rendo un passo preciso dell’Apocalisse, quello dell’angelo del sesto sigillo, che sorgeva da Oriente ed aveva

Questo sviluppo così sereno venne interrotto dalla grave e lunga lotta tra maestri secolari e regolari,

il signum Dei vivi. Questo angelo era appunto il santo d’Assisi, che con le sue stimmate ripeteva appunto

in seno alla facoltà di Teologia all’Università di Parigi, in cui peraltro confluivano, accrescendo gli odi ed i

il signum di Cristo e che col suo Ordine, proprio secondo quanto era stato profetato, riuniva i fedeli e li

contrasti, tutte le opposizioni che i nuovi Ordini erano venuti suscitando, oltre e più che per la loro opera

guidava in attesa del giudizio .

d’insegnanti a Parigi, per la loro attività pastorale16.

12

La completa inserzione del francescanesimo nel quadro del profetismo gioachimitico è conclusa tra

San Francesco aveva limitato l’intervento suo e dei suoi frati nella vita religiosa del suo tempo alla sola

il 1243 ed il 1260, quando trova la sua realizzazione nelle due opere pseudogioachimitiche, senza dubbio

esortazione alla penitenza mediante la predicazione, dopo aver avuto il consenso del vescovo o addirittura

sorte in seno al francescanesimo stesso , i due commenti cioè a Geremia e ad Isaia. Vi è chiaramente in-

del parroco del luogo. Confermava, in tal modo, la sua rispettosa obbedienza ai sacerdoti, ed eliminava

dicata la missione provvidenziale dei due Ordini mendicanti, quello francescano e quello domenicano, il

alla radice ogni possibilità di slittamento verso l’eresia a causa di contrasti con le autorità ecclesiastiche17.

significato apocalittico della manifestazione nella storia di san Francesco, insieme con tutta una valutazione

Del resto ben sapeva che a nulla di più poteva aspirare, avendo appena ricevuto il diaconato. Quando però

escatologica delle vicende storiche contemporanee.

molti dei francescani furono chierici e venne loro concesso il diritto d’aprire chiese, sia pur modeste, e di

13

Se il successo delle due opere fu grande, esso tuttavia fu conseguenza, più che causa, dell’adesione al

esercitare cura d’anime, inevitabilmente cominciarono a manifestarsi contrasti tra Minori e clero, che ve-

gioachimismo di alcune fra le più grandi personalità del francescanesimo: ricorderemo i due più famosi,

deva di malanimo le festose accoglienze fatte, anche dai propri fedeli, ai frati e constatava quanto successo

Ugo di Digne, frate spirituale di grande rilievo nella Francia meridionale, e Giovanni da Parma, uno degli

questi avessero per capacità di rivolgersi alle folle, per sensibilità verso i loro problemi spirituali, per la

uomini più in vista in Italia . Mi riferisco al gioachimismo nel senso più ristretto della parola, perché la

preparazione senza dubbio più alta ed accurata.

14

convinzione che Francesco fosse l’angelo apocalittico del sesto sigillo era ferma e sicura in tutto l’Ordine

La situazione si complicò ben presto, aggravandosi, quando anche i papi s’accorsero di quale prezioso strumento essi si fossero trovati a disporre. I Francescani, infatti – e lo stesso discorso, anche se per motivi

francescano e assai diffusa anche fuori dell’Ordine. Ai contrasti in seno al francescanesimo il gioachimismo portò nuovo alimento, irrigidendo le rispettive

diversi, vale per i Domenicani – per la loro stessa struttura originaria di Ordine dipendente solo da un

posizioni nel desiderio di rispondere alla missione provvidenziale affidata ai Minori. Non è casuale neppure

Ministro generale e poi, tramite il cardinale protettore, direttamente dal papa, pur senza aver mai avuto

il legame fra i gruppi Spirituali e le idee gioachimitiche, se pensiamo che proprio per essere la guida del

uno speciale riconoscimento d’esenzione e pur essendo obbligati al rispetto della gerarchia ecclesiastica,

popolo cristiano verso i difficili eventi della fine dei tempi gli Spirituali volevano restare fedeli, in tutto e

godevano però, in seno alla Chiesa, di una libertas per molti aspetti analoga a quella di cui usufruiva la

per tutto, alle norme di vita del loro fondatore, che quelle profezie indicavano come l’iniziatore e, insieme,

Chiesa stessa nel corpo degli stati medioevali. Inoltre, attraverso il Ministro generale, il papa poteva, per il

il redentore della nuova età.

tramite dei frati, far giungere le sue decisioni ed attuare le sue direttive ovunque avesse voluto, al di fuori

Il trionfo di questa posizione, in seno ai gruppi francescani in contrasto, sembrò ottenuto nel 1247, con

della stessa gerarchia ecclesiastica, oltre ogni confine di diocesi o di metropoli.

l’elezione a Ministro generale di fra Giovanni da Parma. Nel pieno della maturità – era sulla quarantina –

Quale massa di manovra obbediente, fedele e decisa, il papa avesse ottenuto con gli Ordini mendicanti,

proveniva dal gruppo dei frati che avevano compiuto studi superiori, avendo studiato teologia a Parigi, ed

ed in modo speciale coi Francescani, più numerosi, più a contatto diretto con le popolazioni in una comu-

aveva l’appoggio della Comunità .

nità di vita – e purtroppo lo storico può intuirla più che coglierla nella sua operante immediatezza – ben

15

Ben presto egli seppe tuttavia porsi al di sopra di ogni contrasto, con un acuto senso di ciò che era davvero e permanentemente valido nella regola e ciò che invece si poteva considerare caduco. Inoltre avvertì la

comprese Federico ii, che all’inizio di ogni crisi col papato si preoccupava di rendere inoffensivi i frati, di far tacere la diffusione di notizie a lui ostili, di tagliare i loro legami col papa.

difficoltà di tenere in pugno un Ordine, che s’era ormai diffuso in tutta la Cristianità, nei paesi più diversi,

In seno alla chiesa la situazione era più complessa: mentre i vescovi, specialmente nei primi decenni,

mentre i frati più coraggiosi non avevano esitato a recarsi fra gli infedeli, e non solo nel Vicino Oriente, ma

erano favorevoli a questi movimenti che mettevano a loro disposizione nuove forze per la cura delle

addirittura nei paesi più lontani dell’Asia, risvegliando in seno alla Chiesa lo stimolo missionario, che non

anime e per la lotta contro l’eresia, parroci e pievani più spesso vedevano nei frati dei concorrenti, che

è uno dei fatti meno interessanti della storia, e non solo religiosa, del secolo xiii.

toglievano loro decime e diritti, che sottraevano fedeli in vita e per la sepoltura.

Giovanni da Parma, quindi, fu quasi sempre in viaggio, visitando conventi, risolvendo con un buon senso che tutti gli riconobbero questioni spinose e contrasti locali, mentre un suo procuratore s’interessava

Ne venne, più tardi, una situazione difficile per gli stessi vescovi, perplessi fra le proteste dei loro chierici, le esigenze dei fedeli e i vantaggi che venivano dai nuovi Ordini.

in Curia degli affari dell’Ordine. Furono questi, senza dubbio, fra gli anni migliori del francescanesimo nel

Queste diffidenze del clero si precisarono ed ebbero, per così dire, la loro espressione più vivace,

Duecento, quando s’ebbe contemporaneamente un ininterrotto sviluppo di fervore religioso, di progresso

come si accennava, a Parigi, ove i Francescani avevano iniziato nel 1231 il loro magistero di Teologia,

culturale, di penetrazione vivace e positiva nella vita della Chiesa, mentre l’equilibrio di governo di Gio-

mantenendolo con alto successo anche durante gli scioperi magistrali del 1252, accrescendo così ancor

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più il malanimo contro di loro, specialmente perché molti degli scolari finivano per entrare negli Ordini

dimissioni. Anzi, proprio a Giovanni chiesero di designare il suo successore; e fu indicato Bonaventura da

dei loro maestri.

Bagnoregio, eletto allora all’unanimità. Giovanni da Parma si ritirò nell’eremitaggio di Greccio19. I dicias-

Il contrasto, scoppiato verso la metà del secolo

xiii ,

fu di colpo rinfocolato nel 1254 dalla pubblica-

sette anni del governo di Bonaventura, già maestro a Parigi e brillante difensore dell’Ordine al momento

zione dello Introductorius in Evangelium aeternum di un francescano, Gerardo da Borgo San Donnino,

della lotta universitaria contro i secolari, teologo di grande forza speculativa e insieme asceta d’alta spiri-

in cui ancora una volta il profetismo gioachimitico, quello però delle opere autentiche di Gioacchino,

tualità, segnarono dal 1257 al 1274 un periodo d’espansione tranquilla dell’Ordine, che gli ultimi attacchi

veniva rivolto a meditare sulle vicende della chiesa stessa e dell’umanità, nel senso favorevole al france-

di Guglielmo di Saint Amour e dei suoi fautori o altri contrasti col clero o coi vescovi nelle varie diocesi

scanesimo .

non riusciranno veramente a turbare20.

18

L’occasione di sferrare un colpo decisivo ai Mendicanti non fu lasciato cadere: il capo dell’opposizione

Il movimento francescano ne profittò per continuare i suoi progressi: è una diffusione lenta, continua,

secolare, Guglielmo di Saint Amour, rovesciava contro di loro lo stesso sentimento escatologico di cui così

sempre più capillare, che porta i frati di città in città, a preferenza tra la gente di modesta condizione, con

bene avevano saputo giovarsi e Francescani e Domenicani. Sarebbe però grave errore credere l’opera del

cui riesce ad intendersi, a cui parla il suo linguaggio, di cui comprende esigenze e bisogni.

Maestro parigino, il De periculis novissimorum temporum, uno sfogo di livore o solo un’esplosione di rabbia

Alla loro diffusione s’accompagnano pie consuetudini religiose, la predilezione per Cristo povero e

mal contenuta. Guglielmo ha ben compreso, più e meglio di tanti altri suoi contemporanei, che la perma-

sofferente, come l’aveva amato e sentito lo stesso Francesco; un più vivace culto per Maria, l’esaltazione

nenza dei Francescani e dei Domenicani nel seno della chiesa comportava tutta una diversa concezione

del loro Maestro, Francesco.

della struttura ecclesiastica, e quindi una nuova ecclesiologia. Guglielmo, raccogliendo abilmente auctori-

Questo tranquillo stato di cose, appena turbato dall’accanito rigore di Bonaventura contro i seguaci

tates bibliche, patristiche e conciliari, batte tenacemente su di un tasto: nulla, in tutta la tradizione della

del gioachimismo – vittima illustre fu lo stesso Giovanni da Parma, processato ed assolto poi solo per l’in-

chiesa, giustifica ed autorizza i Francescani ed i Domenicani; essi rappresentano perciò una novità, che non

tervento deciso e massiccio del potente cardinale Ottobono Fieschi, il futuro Adriano

ha nessuna ragione di sussistere e va perciò considerata manifestazione diabolica. Essi sono i pericoli di

vera scossa neppure quando, divenuto Bonaventura cardinale, e nel 1274 successogli Girolamo d’Ascoli,

cui san Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi parla come segno della imminenza degli ultimi tempi.

l’Ordine dovette ancora una volta superare la tempesta del concilio di Lione.

v

–, non ebbe una

All’opera di Guglielmo s’affiancava intanto la vibrante, pungente satira di Rutebeuf, che in versi di ef-

Tra le molte questioni, che in quell’assemblea furono sollevate, una richiedeva addirittura la soppres-

ficacia insuperata beffava i nuovi Ordini, ne irrideva le pretese di santità e di perfezione, esaltando i buoni

sione pura e semplice dei Mendicanti: ma il papa stesso intervenne in loro aiuto, additandoli ad esempio di

maestri secolari dell’Università di Parigi e soprattutto Maistre Guillaume de Saint Amour.

tutto il clero, cui rivolse l’esortazione di imitarne la vita, attiva insieme e contemplativa. Ancora una volta

L’eco di queste lotte portate a Roma, alla presenza del papa Innocenzo

iv,

proprio dallo stesso Guil-

laume e, senza dubbio, le altre proteste che, in tono più o meno vibrato, giungevano al pontefice da molte

il papato appoggiava quei frati, di cui aveva ormai così sperimentati ed apprezzati i servizi21. E quando, nel 1279, i Minori chiesero al papa – era Niccolò

iii

– che, per troncare ogni lotta contro

parti, dovettero indurlo ad emanare la bolla Etsi animarum il 21 novembre 1254. In essa, cedendo, ma solo

di loro da parte del clero secolare, e per eliminare ogni contrasto all’interno dell’Ordine, provvedesse ad

in parte, all’opposizione contro i Mendicanti, ne limitava l’attività specialmente per quanto riguardava la

una solenne dichiarazione della Regola, Niccolò iii, dopo un’ampia consultazione di giuristi, di teologi e di

cura delle anime, eliminando quegli «abusi» che più irritavano il clero, come il ricevere fedeli di domenica

maestri, così francescani come a loro estranei, emanò la bolla Exiit qui Seminat del 14 agosto, la più famosa

e nei giorni di festa religiosa o il predicare prima della messa solenne del parroco o, nelle città sedi del

dopo la Quo elongati di Gregorio

vescovo, prima che il vescovo avesse parlato nella sua cattedrale.

seno alla Chiesa, nella seconda passa in rassegna e risolve varie difficoltà connesse con l’applicazione della

Se la Etsi animarum si rivelò un ben magro successo perché, pochi giorni dopo la sua notifica, Innocen-

ix.

Nella sua prima parte è un elogio fervido dell’opera dei Minori in

Regola22. Era la vittoria completa del francescanesimo.

zo iv moriva, ed il suo successore Alessandro iv prima sospendeva la bolla con l’altra sua Nec insolitum del

Proprio in questi anni tuttavia la tensione, sempre latente in seno all’Ordine a proposito della povertà

22 dicembre 1254 e poi rovesciava la situazione appoggiando in pieno i Mendicanti con la bolla Quasi li-

e dell’applicazione della regola, venne via via manifestandosi per l’azione autonoma, anche se per varie vie

gnum vitae del 14 aprile 1255, durò invece la lotta contro il gioachimismo, travolgendo Giovanni da Parma.

concorde, di alcuni personaggi di notevole statura.

Dalla lotta accanita contro il gioachimismo venne prima la condanna di Gerardo da Borgo San Donni-

Un gruppo ebbe il suo centro d’azione nella Marca d’Ancona e cominciò ad agitarsi quando si diffuse

no e di talune proposizioni dello stesso Gioacchino da Fiore; era inevitabile poi che dovesse essere colpito

la voce che il Concilio li avrebbe obbligati ad accettare la proprietà in comune: l’intervento d’un anziano

colui che aveva accettato e protetto nell’Ordine l’infiltrazione delle idee dell’abate calabrese: appunto

e comprensivo frate Beniamino risparmiò loro, per il momento, una punizione23. Ma quando, invece di

Giovanni da Parma.

acquetarsi nel silenzio, cominciarono ad elevare ancora più forte le loro richieste di rigorosa osservanza

Egli fu certo vittima delle circostanze e nessuna colpa poté essergli imputata, se risulta sicuramente dal

della Regola, ottenendo consensi nelle Marche e nell’Umbria, ove più vivo era il ricordo di san Francesco e

corso delle vicende che il papa gli consigliò di dimettersi per motivi di opportunità nel Capitolo generale di

dove più numerosi erano coloro che erano stati in contatto col santo o con i suoi più immediati discepoli,

Roma del 1256 e che i membri del Capitolo resistettero un’intera giornata prima di decidersi ad accettare le

vennero processati ed imprigionati a vita, pare verso il 1280.

60

61


Fra i cinque colpiti era quel Pietro da Fossombrone che, più noto poi come Angelo Clareno, doveva fino alla sua morte, in tarda età, rimanere fermo assertore dei suoi ideali .

– a resistere, nella speranza che fosse ancor possibile con un altro papa, forse col vero papa «angelico», riottenere la separazione32.

24

Lontano dalle Marche, legato da una consonanza spirituale se non da una diretta dipendenza all’Ugo

Invero proprio l’abdicazione di Celestino e l’elezione di Bonifazio

viii

provocarono in seno agli Spi-

di Digne, di cui abbiamo già parlato, Pietro di Giovanni Olivi, anch’egli zelatore fervente della regola,

rituali una divisione profonda, le cui radici affondano nella diversa formazione culturale dei gruppi in

cominciava ad affrontare, anch’egli poco dopo la Exiit qui seminat, l’ostilità degli altri frati . Più duttile

contrasto e, insieme, nella diversità del mondo in cui essi si trovavano ad operare33.

25

ed abile dei suoi confratelli delle Marche, l’Olivi fu inattaccabile sul piano della disciplina, che egli accettò

Gli Spirituali italiani erano dei frati che affrontavano e dibattevano soprattutto problemi di interpre-

sempre, anche quando l’obbligava a sacrifici pieni d’amarezza. L’ostilità contro di lui si manifestò allora

tazione della regola, spinta al rigorismo estremo ed illuminata anche, dopo il ritorno dall’Armenia, dall’e-

in un incessante esame delle sue opere, alla ricerca di dottrine erronee, ardite ed ereticali, in una serie di

sperienza spirituale greco-bizantina: non a caso Pietro da Fossombrone-Angelo Clareno aveva tradotto dal

misure disciplinari, così accanite ed ingiustificate che il generale allora in carica, il teologo e filosofo Matteo

greco la Scala del Paradiso di Giovanni Climaco e la regola monastica di Basilio34. Ne verrà a questo gruppo

d’Acquasparta, pensò di nominarlo lettore e di mandarlo a Firenze, allo studio minoritico del convento di

la passione per l’eremitismo, la tendenza a rifiutare – espressamente o anche solo di fatto – il potere giuri-

Santa Croce .

sdizionale e disciplinare della gerarchia ecclesiastica, nell’attesa o nella speranza della nuova Chiesa dello

26

A Firenze incontrava, anch’egli lettore dello studio, Ubertino da Casale che, già predisposto al rigori-

Spirito. Non a caso da questo gruppo sorse il rifiuto d’obbedienza a Bonifazio viii, accusato d’aver capzio-

smo per la sua amicizia con Angelo da Foligno e poi con Giovanni da Parma, trovò nell’Olivi un maestro,

samente estorto le dimissioni al santo, umile Celestino, e poi addirittura, grazie all’appoggio dei cardinali

a cui offrì la devozione di tutta la sua vita. Ed a Firenze forse il frate provenzale conosceva Pietro da Fos-

Jacopo e Pietro Colonna, una ribellione aperta, culminata nel manifesto di Collazzone35.

sombrone che, liberato dal carcere dal nuovo Ministro generale Raimondo Gaufridi, s’accingeva a lasciare

Nella Francia meridionale gli Spirituali, che nell’Olivi ebbero fino al 1297 il loro capo indiscusso,

l’Italia per recarsi missionario in Armenia . Ascoltò inoltre le tradizioni di frate Leone trasmesse a Corrado

non erano solo un gruppo di frati, quanto piuttosto le guide spirituali di vastissimi strati di popolazione;

da Offida, che ricordò sempre con parole di altissima venerazione .

l’Olivi rivolgeva così le sue operette d’edificazione a dei principi, come i figli di Carlo

27

28

ii

d’Angiò, tenuti

Resi inoffensivi o almeno ridotti al silenzio i più coraggiosi dei rigoristi, sembrò che la Comunità potes-

quali ostaggi e prigionieri in Catalogna – il tono allora è alto e severo –, o a personaggi di qualche cultura

se godere della sua vittoria, quando un fatto del tutto nuovo ed estraneo all’Ordine sopraggiunse a riaprire

ed elevazione spirituale, o persino a gruppi popolani, cui si rivolgeva con parole semplici ed esempi, alla

la questione ed a renderla anzi addirittura di dominio pubblico.

portata di tutti37. Ne viene a questi gruppi di Francia una maggior prudenza nei riguardi della gerarchia

Alla morte di Niccolò

iv,

36

lunghi e gravi contrasti dividevano il pur sparuto collegio dei cardinali, che

ecclesiastica, che non è giudicata certo con maggior benevolenza, ma di cui si accetta l’autorità, non fosse

a lungo esitarono prima di procedere nel conclave all’elezione del pontefice. Alla fine, cedendo alle sugge-

altro che per maggiore mortificazione e perfezionamento spirituale nell’obbedienza. Non a caso perciò

stioni della diffusa aspettazione d’un papa «angelico», che doveva con la sua travolgente santità rinnovare

l’Olivi, all’indomani dell’abdicazione di Celestino, ne difendeva la validità sul piano giuridico in una cele-

la chiesa, concentrarono i loro voti su di un personaggio estraneo al Sacro Collegio e fuori d’ogni maneggio

bre Quaestio, rivolgendo a Corrado da Offida – ch’egli evidentemente riteneva la personalità di maggior

politico, il monaco eremita Pietro del Morrone, ormai d’età avanzata e privo d’ogni esperienza di curia, ma

rilievo fra gli Spirituali italiani – una lettera, in cui giudicava con severità e durezza i conati di ribellione ed

anche rigorosamente e profondamente religioso, che nel suo Ordine aveva cercato di rinnovare la tradizio-

esortava alla sottomissione, in umiltà, al Pontefice38.

ne cenobitica d’origine benedettina alla luce dell’esperienza pauperistica francescana29.

Se l’Italia, la Francia meridionale e la Catalogna vivevano queste agitazioni, bisogna ora aggiungere che

È noto quanto breve e drammatico sia stato il pontificato di Celestino fra l’elezione, il 5 luglio, e l’abdicazione del 13 dicembre 1294: in quei pochi mesi però il gruppetto di frati esuli in Armenia ebbe la

la loro eco giungeva estremamente smorzata alle altre parti d’Europa, ove la cosiddetta Comunità raggiungeva sempre più prestigio, potenza e prosperità economica.

possibilità di raggiungere il nuovo papa e di esporgli le proprie difficoltà, ottenendone l’autorizzazione a

Chiese e conventi erano sempre più numerosi, ampi e belli; l’antica commistione fra laici e chierici in

formare un gruppo religioso a sé – e il nome stesso di pauperes eremitae domini Celestini li legava al ponte-

parità perfetta si era andata risolvendo tutta a vantaggio dei chierici, i quali, anche per la loro utilità nella

fice – e di accogliere quanti avessero voluto, silenziosamente, in vita solitaria, obbedire alla regola minori-

cura pastorale dei fedeli, costituivano la cospicua maggioranza nell’Ordine. Le antiche e lunghe opposizio-

stica e, insieme, anche al Testamento, intesi nella loro primitiva e rigorosa interpretazione .

ni del clero, anche per l’incessante appoggio elargito dai pontefici ai Mendicanti, avevano ceduto il passo

30

Quest’autorizzazione mostrava in pieno il contrasto in seno ai Frati Minori ed il consenso, cospicuo

ad una convivenza non senza difficoltà, ma nel complesso tranquilla. Infine, l’afflusso di elemosine, di do-

seppur non travolgente, dell’iniziativa del Clareno ne sottolineava tutta la portata. Se i pauperes eremitae

nazioni, di aiuti economici, che i frati non amministravano direttamente, ma di cui potevano disporre con

ebbero solo pochi mesi di effettiva esistenza, limitata per di più alle sole regioni dell’Italia centrale ed in-

facilità, grazie ad un accorto sistema di consegnatari e rappresentanti di piena fiducia, toglieva all’Ordine

terrotta ben presto dalla bolla di Bonifazio viii Olim Celestinus, che annullava tutte le decisioni di Celestino

ogni preoccupazione di ordine pratico per il futuro.

e dall’altra, Sepe sacram ecclesiam, che cassava proprio il gruppo del Clareno , rimase il fatto d’un’appro31

vazione pontificia al movimento, con l’incoraggiamento per gli Spirituali – possiamo ormai chiamarli così

62

I Minori, al di là d’ogni contrasto interno, avevano da parte loro corrisposto ben oltre le speranze alla fiducia accordata loro dai pontefici.

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Nel campo degli studi, una fioritura di maestri di teologia, da Bonaventura da Bagnoregio a Duns

Spirituali la ragione dal punto di vista dell’esegesi della Regola, riaffermando quindi al papa il diritto di

Scoto, per ricordare solo i due più insigni, aveva consentito la formazione d’un vero e proprio indirizzo

interpretarla alla luce delle esigenze concrete delle circostanze, dichiarava però, non meno esplicitamente,

teologico, che senza rifiutare il rinnovamento apportato dall’aristotelismo, specialmente in fisica, preferiva

che il modo di vita degli Spirituali era ben più conforme all’ideale di san Francesco che non quello della

ricollegarsi piuttosto al filone agostiniano-patristico , mentre l’umana dolcezza della religiosità france-

Comunità, a cui venivano inoltre rimproverati gravi abusi e precise deviazioni.

39

scana esaltava la povertà in una serie di operette, ispirate ora al sentimento cavalleresco, come il Sacrum

Come accade con decisioni del genere, le due parti gridarono alla vittoria; ma per la Comunità fu un

Commercium Sancti Francisci cum domina Paupertate, ora all’unione, per lei, in Cristo, come la Meditatio

grave smacco la concessione ai frati di Narbona e di Béziers di vivere nei loro conventi, con superiori di

pauperis in solitudine, ora alla suprema speranza della pace in Cristo, come il Tractatus de pace di Gilberto

loro gradimento, e la punizione larvata di fra Buonagrazia da Bergamo, che degli Spirituali era stato l’im-

di Tournai . Né qui possiamo più che accennare alle biografie di san Francesco, le due di Tommaso da

placabile, abilissimo avversario.

40

Celano, quella di san Bonaventura, o le altre fonti su cui ancora discute la critica, come la Legenda trium

La situazione cambiò, anzi si rovesciò addirittura, quando a Clemente v, dopo un agitato conclave, suc-

sociorum, la Legenda Perusina, lo Speculum Lemmens, il Ms. Little, lo Speculum Perfectionis , a quelle di

cesse Giovanni xxii. Personalità in prima linea di politico, con formazione essenzialmente giuridica, rigido

santa Chiara, di sant’Antonio da Padova ; né mancano le prime storie dell’Ordine come il prezioso De

ed intollerante, non era fatto per comprendere una questione così piena di delicata religiosità, di tradizioni

Adventu fratrum minorum in Angliam di Tommaso di Eccleston .

in contrasto, come quella che divideva i Francescani.

41

42

43

Nella lotta contro l’eresia, prescindendo dall’opera capillare e puntuale svolta giorno per giorno nelle

Egli ridusse, infatti, tutte le questioni in termini di pura e semplice disciplina: in una serie di bolle

chiese, per le strade, con la predicazione e con l’esempio, i Francescani hanno validamente contribuito alla

intimò agli Spirituali di sottomettersi ai loro superiori e di accettarne le decisioni. I riottosi ed i disob-

vittoria della fede vera, costituendo in Italia, dopo il 1254, la spina dorsale dell’inquisizione, e formando

bedienti, consegnati all’inquisizione e dichiarati eretici, vennero processati: quattro, ostinati e pervicaci,

alcuni importanti polemisti, fra cui ricordiamo specialmente Giacomo de Capellis .

finirono sul rogo, eretici impenitenti per la chiesa, martiri e santi per i loro seguaci, gli altri frati Spirituali

44

Né meno preziosi si erano mostrati i Francescani nei momenti di crisi della chiesa: contro Federico

ed i loro fedeli, i Beghini.

o contro Manfredi, Ezzelino da Romano od Oberto Pelavicino essi avevano, talvolta con prudenza, ma

Si iniziò così una tragica catena di persecuzioni e di processi, conclusi con numerose condanne al rogo,

sempre senza incertezza, identificato le loro posizioni con quelle del pontefice, di cui vollero essere i col-

che fecero vittime in tutta la Francia meridionale e che ancor più s’accrebbero dopo le decisioni del 1322,

laboratori fedeli.

prese da Giovanni xxii, sulla povertà minoritica.

ii

In questo stretto legame, intercorso per decenni, tra i pontefici ed i Francescani non è un caso che la

La necessità di una solenne dichiarazione su questo problema così dibattuto, emersa in occasione d’un

crisi di struttura, che la curia papale subì in conseguenza del trapianto ad Avignone, provocasse reazioni e

processo appunto a Narbona, indusse il pontefice a diramare un vero e proprio questionario sulla povertà,

crisi, ancora una volta, e più profonde che mai, anche in seno all’Ordine dei Minori.

che fu mandato ai cardinali, ai vescovi, ai prelati e teologi di maggiore fama e dottrina. Le risposte, una

Fin quando il papato era rimasto in Italia, la sua attenzione era stata attirata dalle vicende interne ita-

buona parte delle quali è giunta fino a noi, non nascondono in molti casi la volontà di compiacere al pon-

liane dell’Ordine: così Angelo Clareno ed i suoi compagni avevano preoccupato Bonifazio viii ben più dei

tefice, che si sapeva già ostile al radicalismo degli Spirituali, né la tendenziosità di chi voleva eliminare uno

gruppi beghini, che intorno all’Olivi ed ai suoi discepoli spirituali s’erano formati, specialmente a Narbona

degli aspetti caratteristici del francescanesimo. Non mancarono, a dire il vero, uomini di coraggio, come il

e a Béziers, ma anche in altre località della Francia meridionale .

cardinale Vitale de Furno, che, pur parteggiando per la Comunità, mantenne la tesi originaria del france-

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L’Olivi era morto, dopo una vita di esemplare pietà, in perfetto accordo con la chiesa, che nella sua gerarchia locale nulla aveva trovato a ridire sulla fama di santità e di miracoli di cui fu ben presto circondata la sua tomba, meta di pellegrinaggi e di preghiere. Morti Bonifazio

xi,

come Roberto d’Angiò, che tentò d’opporre il suo prestigio regale alla imperiosità del pontefice. Questi emanò allora la solenne bolla Cum inter nonnullos del 1322, nella quale si dichiarava eretica la

mentre gli Spirituali italiani in pratica sparivano, rifugiandosi nel

dottrina dell’assoluta povertà di Cristo e degli Apostoli, sottraendo così al francescanesimo quel tratto che,

silenzio dei romitori o protetti dalla benevolenza degli altri frati, i papi d’Avignone furono sempre più

prescindendo da ogni problema teologico o dogmatico, ne aveva costituito uno degli aspetti più caratteristici.

costretti ad occuparsi degli Spirituali o Beghini di Provenza. La Comunità infatti, nel desiderio di schiac-

Se la lotta dell’Inquisizione continuò in Francia meridionale più accanita che mai contro gli Spiritua-

ciare l’opposizione che gli veniva dai frati, discepoli Spirituali dell’Olivi, arroccati nei conventi di Narbona

li ed i Beghini, questi, dopo la bolla papale, credettero realizzata l’indicazione data dall’Olivi nella sua

e Béziers forti dell’appoggio delle popolazioni, provocò una decisione pontificia di chiarificazione della

Lectura super Apocalipsim per cui un Anticristo mistico avrebbe preceduto il vero e proprio Anticristo: ed

Regola che fu oggetto di discussione addirittura in un Concilio, quello di Vienne del 1311. Ne uscì ricon-

Anticristo mistico divenne il papa. Ne conseguì la condanna dell’opera dell’Olivi nel 1326.

viii

e Benedetto

scanesimo d’una povertà totale dell’individuo e dell’Ordine – ma perse per sempre il favore del papa –, o

fermata l’ortodossia dell’Olivi – solo due sue tesi vennero condannate, ma senza neppur nominarlo – e ciò offrì al pontefice Clemente

Ad accrescere confusione e turbamento il Ministro generale dell’Ordine minorita, Michele da Cesena,

le basi per una decisione anche sui contrasti in seno all’Ordine francescano.

nel capitolo di Perugia del 1328, si ribellava alla Cum inter nonnullos, riconfermando il valore dell’origi-

Egli emanava infatti una bolla, la Exivi de Paradiso, che in un meditato equilibrio di giudizio, se negava agli

naria povertà francescana. Poi, per salvarsi, si rifugiava in Germania, accompagnato da Buonagrazia da

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v


Bergamo e da Guglielmo d’Occam, pensatore insigne quanto vivace polemista: ma con l’Ordine perse ogni contatto. Rimasero suoi seguaci, dispersi ma non inefficaci, diffusi dovunque in Italia, i Michelisti. Durante le drammatiche vicende che dovevano condurre alla condanna degli Spirituali e dei Beghini erano stati ridotti al silenzio – e avevano scampato il peggio, grazie ai loro potenti protettori – anche Ubertino da Casale ed Angelo Clareno. A loro, per non travolgerli nella generale rovina dei compagni, il papa aveva offerto la possibilità di passare al monachesimo. Ubertino si fece benedettino e finì in Austria, Angelo Clareno, fattosi Celestiniano, sempre indomito, fu costretto a fuggire in Italia, finendo eremita a Subiaco. Col 1335, domato e distrutto il movimento Spirituale in Francia ed in Italia e sedate così le discordie interne, Giovanni xxii poteva ritenere d’aver risolto il problema. In realtà il francescanesimo, ridotto ad essere un Ordine che differiva da quelli monastici appena per alcune caratteristiche strutturali – come la centralizzazione accentuata, la mobilità dei suoi frati, la possibilità della cura d’anime – accettò con disciplina la nuova situazione, che segna una tappa fondamentale nella sua storia e conclude la linea dello svolgimento, iniziato da san Francesco. Ne venne ancor più prestigio, potenza e prosperità, ma anche un indebolimento dell’importanza culturale e spirituale in seno alla Chiesa e, fatto ancora più grave, uno scadimento preciso della sua influenza sulla massa dei fedeli. Rimangono nel segreto delle celle i ricordi dei vinti, le loro opere, le loro idee, fermento vivo ogni qualvolta potranno in qualche modo operare, in Venturino da Bergamo, in Petrarca, in Cola di Rienzo, in santa Caterina da Siena, fino all’Osservanza, a san Bernardino da Siena.

13. Assisi, cattedrale di San Rufino, consacrata nel 1253.

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La chiesa dedicata al santo patrono di Assisi, presente sin dal v secolo, venne insignita del titolo di cattedrale della città nel 1036; da quel momento si succedettero imponenti lavori di ampliamento, che non erano ancora finiti quando Francesco era in vita. Nel fonte battesimale, ancor oggi visibile, venne battezzato san Francesco, così come santa Chiara e, secondo la tradizione, Federico ii di Svevia.


14. Grande rosone centrale sulla facciata della cattedrale: intorno al rosone, i simboli degli Evangelisti e, in basso, i tre telamoni che sembrano sostenerlo.

15. Uno dei leoni che inquadrano il portale maggiore rappresentato nell’atto di divorare un uomo.


16. Assisi, convento di San Damiano, veduta aerea. San Damiano ricorda l’incontro di Francesco con il Crocifisso, ma ricorda soprattutto la forma di vita creata da santa Chiara. La giovane Chiara abbandona di nascosto la casa paterna per seguire l’esempio di Francesco: dopo alcune esperienze in comunità monastiche femminili si stabilisce a S. Damiano conducendo una vita di preghiera, fraternità e povertà, sino alla sua morte, nel 1253.

17. Assisi, chiostro del convento di San Damiano.


19. Eremo di Greccio. 18. Assisi, Eremo delle Carceri. San Francesco scelse di continuare a vivere dove viveva la gente, senza ritirarsi in monasteri isolati e lontani dalle città. Ma il desiderio di un’autentica vita con Dio lo conduceva, per diversi periodi dell’anno, a ritirarsi in luoghi appartati e isolati per favorire un’esperienza di preghiera. L’Eremo delle Carceri è un esempio dei luoghi immersi nella natura che Francesco amava.

In questo piccolo borgo della valle reatina Francesco mise in scena, per la prima volta della storia, la rappresentazione vivente della natività, in una grotta naturale, coinvolgendo gli abitanti del luogo, pastori e contadini. Voleva, secondo quanto racconta il biografo, vedere con gli occhi del corpo le difficoltà che la Vergine madre aveva dovuto affrontare; vedere con i suoi occhi come Dio avesse deciso di entrare nella storia non da trionfatore, ma condividendo la fragilità della natura umana.


20. Assisi, chiesa della Porziuncola, all’interno della basilica di Santa Maria degli Angeli.

21. Arezzo, santuario di La Verna.

È un luogo centrale nell’esperienza cristiana di Francesco d’Assisi. Da giovane riparò anche questa chiesetta con le sue mani. Qui ascoltò il Vangelo che gli chiarificò la vocazione di andare e annunciare la parola di Dio. A questa chiesetta tornava con i suoi fratelli, dopo i vari viaggi apostolici. Accanto a questa chiesa volle essere portato per morire, chiedendo di essere sdraiato nudo sulla nuda terra.

Un altro dei tanti eremi che hanno visto la passione di Francesco per l’incontro prolungato con Dio. Ma anche il luogo venerato e custodito con cura dove avvenne il misterioso incontro tra Francesco e il Serafino crocifisso che impresse nella sua carne i segni della passione di Cristo.


22. Assisi, basilica superiore di San Francesco. La splendida basilica venne costruita per ordine di papa Gregorio ix, il famoso cardinale Ugolino che fu amico personale di Francesco. La direzione dei lavori fu affidata a frate Elia, vicario di Francesco quando questi era in vita e suo successore alla guida dell’Ordine dei Minori. Iniziata nel 1228, in occasione della canonizzazione del santo, nel 1230 accolse il suo corpo, sepolto in un luogo segreto che venne identificato solo a metà del xix secolo. I lavori per la basilica continueranno a lungo, per tutto il xiii secolo e anche oltre, sino a farne il più importante cantiere artistico dell’occidente medievale, che coinvolgerà maestranze da tutta Europa (architetti, vetrai, scultori) e i grandi artisti di allora (Cimabue, Giunta Pisano, Giotto, Simone Martini).


23. Il grande rosone della facciata della basilica superiore.

24. Assisi, veduta aerea del complesso della basilica e del convento di San Francesco.

Al contrario delle altre chiese medievali, la grande basilica è orientata verso ovest. Il rosone consente alla luce del primo sole di illuminare la stupefacente ricchezza delle decorazioni pittoriche della basilica superiore. Attorno al rosone sono scolpiti i simboli dei quattro evangelisti.

I lavori per la costruzione della basilica furono seguiti personalmente da papa Gregorio ix, che volle farne un grandioso monumento al santo che aveva fedelmente servito la Chiesa cattolica. Fu necessario sbancare un intero colle, fuori dalle mura della città , chiamato Colle dell’Inferno; una volta eretta la basilica il nome del luogo fu trasformato in Colle del Paradiso.


26. La piazza di accesso alla basilica. 25. Il chiostro interno del convento attiguo alla basilica. La chiesa fu dichiarata da papa Gregorio ix «Caput et mater» dell’Ordine dei Minori, ospitando fin dagli inizi una numerosa e qualificata comunità di frati provenienti dalle diverse Province dell’Ordine.

La devozione a Francesco si diffuse rapidamente in tutto il mondo, grazie alla testimonoianza dei suoi frati; davanti alla basilica venne costruita un’enorme piazza fiancheggiata da un portico coperto in grado di riparare i numerosi pellegrini che vi giungevano in ogni periodo dell’anno.


27. Assisi, basilica di Santa Chiara. Il Comune di Assisi, dopo la morte di Chiara, costruÏ per le Sorelle una nuova chiesa all’interno delle mura cittadine, dato che San Damiano era un luogo troppo isolato e non sicuro. La prima funzione della nuova basilica doveva essere quella di custodire il corpo della santa, cosÏ come era avvenuto per san Francesco. Le clarisse iniziarono a trasferirsi nel 1260, portando con loro il prezioso Crocifisso che aveva parlato a san Francesco, e altre reliquie di Chiara, di Francesco e dei primi compagni.


29. Assisi, veduta aerea della basilica di Santa Chiara e del monastero delle Clarisse.

28. Rosone sulla facciata della basilica di Santa Chiara.

La Regola scritta da Chiara prevede un’unica eccezione alla rigorosa povertà: ogni monastero può possedere un poco di terra da cui le sorelle cercano di trarre il necessario per il proprio sostentamento. Anche l’imponente monastero costruito a fianco della basilica di Santa Chiara è circondato da un appezzamento di terra utilizzata soprattutto come oliveto.


GIOTTO, FRANCESCO, I FRANCESCANI Serena Romano

“Giotto, Francesco, i francescani” è una storia di lunga durata. I lavori che il più grande pittore del Medioevo italiano realizzò per l’Ordine, nella casa madre di Assisi e in vari altri conventi e chiese sparsi per l’Italia, coprono infatti interi decenni della sua vita: a partire dall’ultima decade del Duecento, quando Giotto appare, giovane e rivoluzionario, nella basilica superiore di San Francesco, fino al pieno Trecento, nelle due cappelle di Santa Croce a Firenze, in date che è ancora difficile precisare con sicurezza ma che certo si scalano almeno lungo tutti gli anni Dieci del secolo e, a contare il polittico Baroncelli, sfiorano gli anni Trenta. In mezzo, le altre grandi imprese per il San Francesco a Pisa; per i francescani di Rimini, questa, purtroppo, perduta, e per quelli di Padova, nella basilica di Sant’Antonio; di nuovo ad Assisi, per il cantiere della chiesa inferiore. Moltissimi anni di periodica attività, attraverso la quale Giotto, che nel frattempo evolveva da enfant prodige a grande imprenditore della pittura, raccontò più volte la storia di Francesco, meditò sulla sua figura e lo rappresentò, orchestrandone la leggenda in cicli narrativi o in scene isolate e “iconicizzate”; lo studiò, certo non esente dall’emozione che la figura di Francesco era costantemente capace di provocare nei suoi contemporanei; ma ogni volta ne aggiornò l’immagine con in mente ben chiare le esigenze e la realtà storica dei suoi committenti. Un rapporto così stretto e una storia così ricca producono ben più di un capitolo di storia dell’arte medievale italiana. Sono uno spaccato di storia tout court: una storia che deve essere cercata nelle immagini e nelle strategie narrative degli affreschi e delle tavole dipinte da Giotto, che tutti abbiamo sotto gli occhi ma che non sono talvolta semplici da decifrare. Le pagine che seguono cercheranno di raccontarle.

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ASSISI

tuale, del disegno provvidenziale, e i suoi atti entrano in parallelo con quelli dei patriarchi, dei profeti, e naturalmente di Cristo stesso, ricevendone un’investitura speciale e acquisendone una grandezza come nessun

Il lancio del progetto e l’ingresso di Giotto nel cantiere Giotto e sua moglie Ciuta ebbero sei figli: il maggiore dei maschi venne chiamato Francesco, la mag-

santo prima di lui e, credo si possa aggiungere, forse nessun altro neanche dopo.

La Leggenda di Francesco come biografia visiva

giore delle femmine Chiara. È un indizio semplice, ma evidente, di quella che molto probabilmente era

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una devozione anche personale del pittore, del quale però non sono noti precoci rapporti con i conventi

Questi rapidissimi accenni forse bastano per dare la misura della sfida che Giotto affrontò, nel mettere

francescani fiorentini: nemmeno con Santa Croce, per cui invece lavorerà molto più tardi. A notarlo, pre-

in scena un racconto così fortemente religioso, così legato alla rinnovata spiritualità del Duecento italiano,

stissimo, dovette invece essere l’élite dell’élite, cioè la massima dirigenza dell’Ordine, che controllava la

ma anche così politicamente cruciale per la vita della Chiesa che controllava da vicino quanto si faceva ad

casa madre di Assisi in strettissimo contatto con l’ex-Generale dell’Ordine, Girolamo da Ascoli, ora primo

Assisi, perché con Francesco essa aveva acquisito un “attore” formidabile ma, proprio in quanto tale, da

papa francescano Nicolò

gestire con la più grande attenzione.

iv

(1288-1292). Furono quindi, molto verosimilmente, strade romane, non poi

così distanti da quelle fiorentine, visto che la corte pontificia era stata in rapporto con il fiorentino Cimabue

Fu anche, naturalmente, una sfida specificamente artistica, pittorica e figurativa, attraverso la quale

già negli anni Settanta del Duecento, e attorno al 1280 lo aveva poi chiamato ad Assisi, per dipingere il coro

l’intero linguaggio visivo dell’Italia medioevale venne rivoluzionato. Giotto, nel progettare il più vasto

e il transetto della chiesa superiore. Giotto, che Lorenzo Ghiberti e Giorgio Vasari ci mostrano bambino

ciclo mai realizzato sulla vita di Francesco, non si sentì in debito verso il bagaglio della precedente icono-

intento a disegnar pecore sotto lo sguardo ammirato del più anziano Cimabue, quando appare ad Assisi,

grafia del santo. Le duecentesche tavole dipinte che lo ritraevano, soprattutto toscane, avevano struttura

nella navata della chiesa superiore, mostra una tale familiarità con il mondo romano, con il suo paesaggio

arcaica – la figura centrale e le storie allineate o raggruppate attorno, in numero variabile – e di Francesco

antico e contemporaneo e con il suo retaggio iconografico e simbolico, da far pensare che il suo rapporto

sottolineavano soprattutto l’aspetto taumaturgico: i miracoli, le guarigioni, oltre ad alcune scene-chiave

con Roma non possa assolutamente ridursi a semplici “viaggi”, dunque a trasferte da straniero, limitate

che invece Giotto conservò, pur interpretandole in modo estremamente rinnovato; mi riferisco a quelle che

nel tempo e negli effetti; ma che la città sia stata per lui un autentico polo mentale, culturale, e lavorativo,

sottolineano il rapporto del santo con la Chiesa (l’Approvazione della Regola), la sua inedita forma di san-

e che egli fosse precocemente inserito nei suoi ambienti di maggior potere e splendore culturale: in una

tità modellata sul Cristo (le Stigmate) e l’episodio che più doveva aver colpito l’immaginazione collettiva e

parola, che fosse vicino alla corte pontificia e – come subito dimostrò nella Leggenda – fosse perfettamente

soddisfatto la nuova spiritualità “romanza”, cioè la Predica agli uccelli. Più rilevante, anche perché dipinto

in grado di intercettarne e rappresentarne il punto di vista.

sulle pareti della chiesa inferiore di Assisi, dovette essere il vecchio ciclo di affreschi dovuto all’anonimo

È però ipotesi non unanime, ma largamente accettata e condivisa da chi scrive, che il giovane e rampante

Maestro di San Francesco attorno al 1260: un ciclo breve – cinque storie da una parte, cinque dall’altra – in

pittore entri nel cantiere della basilica di Assisi non per lavorare al ciclo delle ventotto storie di Francesco – la

cui le scene relative a Francesco si affrontano a quelle della Passione di Cristo, così da imporre il concetto

Leggenda – ma ancora prima, nelle storie dell’Inganno di Giacobbe e di Isacco che respinge Esaù, e nel Com-

del parallelismo, con Francesco che rimane per così dire sempre un gradino sotto il Cristo ma ne echeggia

pianto, dunque nel ciclo dell’Antico e del Nuovo Testamento che occupa la parte alta delle pareti, al di sopra

gli stadi di maggior patetismo (la Rinuncia ai Beni, con Francesco che si spoglia delle vesti, cade ad esem-

delle storie francescane (si veda pianta a p. 99). Eseguendo quei dipinti, il giovanissimo Giotto dimostrò, per

pio proprio di fronte alla scena in cui Cristo si spoglia delle sue vesti per salire sulla Croce) e si modella su

così dire, quello che sapeva fare, superando di un balzo il livello pur buonissimo del gruppo dei pittori roma-

di lui. Giotto non poté non vedere questi affreschi, pur se dovette considerarli del tutto superati, vecchi

ni che al seguito di Iacopo Torriti avevano assunto il compito di dipingere le storie dell’Antico e del Nuovo

com’erano di trenta o quarant’anni di già; ma rispetto al concetto e al programma della chiesa inferiore,

Testamento nella navata; e, una volta entrato nel cantiere, prese in mano la tranche successiva, appunto quella

quello della basilica superiore ha respiro e ambizioni incomparabilmente più vasti, e la stessa idea del rap-

della Leggenda di Francesco, certamente prevista fin dall’apertura del cantiere stesso, sulla base dell’articolato

porto tra Francesco e Cristo suo modello obbedisce a un disegno molto più fortemente articolato rispetto

e complesso progetto che riguardava l’intero apparato figurativo della navata. Un progetto, e un programma

al breve, intenso discorso del ciclo della chiesa inferiore. E la storia che Giotto dipinse, e che ancora si

iconografico, in cui le parti dedicate all’Antico e al Nuovo Testamento non erano state concepite a sé stanti,

legge, intatta, sulle pareti della chiesa superiore è, appunto, un romanzo estremamente nuovo.

ma costituivano una sorta di cosmica premessa a quanto poi si raccontava nel registro basso, cioè la storia di

La figura di Francesco è presente in ciascuna delle scene, eccezion fatta, come si vedrà, per la Visio-

Francesco. Il mondo prima della venuta di Cristo e il mondo della vita di Cristo si rapportano alla vita e alle

ne di frate Agostino e del vescovo Guido d’Assisi e per la Canonizzazione; ma cambia via via, disegnando

opere di Francesco nello spazio della navata: lo spettatore, spostandosi da campata a campata, guardando a

anche – ed è già, questa, una innovazione straordinaria per la storia dell’arte italiana – la mutazione fisica

destra e a sinistra, levando lo sguardo in alto sulla parete, crea rapporti, confronti, stabilisce analogie tra i vari

dell’uomo. Nelle prime cinque scene (la prima, l’Omaggio di un uomo semplice come si sa fu dipinta per ul-

piani del racconto e tra le fasi della storia umana e divina avendo sempre negli occhi l’immagine e la vicenda

tima, ma il progetto iconografico sicuramente la comprendeva fin dall’origine) Francesco è un bel giovane

del santo fondatore dell’Ordine. La vicenda di Francesco diventa quindi il punto d’arrivo, strettamente at-

elegante, avvolto in una veste costosamente azzurra: l’azzurro è pigmento lussuoso e caro, che si dà a secco

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sul fresco sottostante e tende a cadere, come è successo infatti nella Preghiera a San Damiano, dove l’inten-

e antico corso della storia cosmica, sorta di canovaccio umano denso di risonanze, annunci e conferme, ago

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zione originaria rimane comunque chiara. Azzurra è la veste di Francesco che dona il suo giallo mantello

di una bilancia che la Chiesa teneva saldamente in mano.

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al “povero”, nella scena del Dono: un povero agiato, si potrebbe dire, per nulla straccione, con un’ottima

Quanto fu eliminato ci dice dunque molto, al pari di quanto fu scelto; e l’altro aspetto intrigante

veste rossa e un bel cappello. Poi, nella quinta scena – la Rinuncia ai Beni – il vestito elegante si vede an-

riguarda la scelta della sequenza degli avvenimenti. Come si è detto, essi sono ordinati a costruire la bio-

cora ma è sul braccio del padre: forse non a caso, di un simile azzurro è il manto del vescovo di Assisi che

grafia di Francesco in ordine cronologico, così come la intesse Bonaventura che costantemente incrocia lo

ne usa un lembo per proteggere il pudore di Francesco il quale si è spogliato delle sue vesti e di qualsiasi

svolgimento della vita dell’“eroe” con grappoli di episodi, che in parte rispecchiano la geografia dei tragitti

altra cosa, e si separa dal padre, tutto teso verso un altro Padre. Da qui comincia la storia della sua santità,

di Francesco – dunque mantenendo ricordi e tradizioni testuali e orali – e in parte si raggruppano secondo

e da ora egli comparirà solo avvolto dal saio: è ancora giovane nel Sogno di Innocenzo

la natura di eventi e miracoli, con un occhio alle categorie della santità sancite dagli articoli dei processi di

iii,

dove sostiene

energicamente il Laterano cadente, ma poi il suo volto va segnandosi, diventa più scavato e più ascetico,

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canonizzazione.

spesso accigliato, ombreggiato da una corta barba; non a caso – credo se ne possa esser sicuri, al di là

Raramente il racconto figurato contraddice quello bonaventuriano, e in realtà le deviazioni sono soltan-

delle “mani” che intervennero nella pittura – sempre più diverso dalla paffuta fisionomia del Francesco

to tre. La terza di esse – nell’ordine cronologico – la vedremo tra poco a proposito dell’Apparizione al Capi-

borghese dell’inizio. È anche l’unico dei suoi frati costantemente ritratto con i piedi nudi, laddove gli altri

tolo di Arles. Le altre due riguardano invece le scene in controfacciata, e segnalano la geniale indipendenza

portano sempre calzari: e non si tratta di un dettaglio da poco. In questo modo infatti Giotto comincia

del progetto figurativo e il ruolo dei suoi elementi costitutivi – lo spazio della basilica e la dinamicità degli

ad affermare un concetto cruciale, e totalmente di parte per così dire ecclesiastica, perché rispecchia il

assi visivi che lo attraversano – nella costruzione del discorso. Così si comprende la scelta di estrapolare

punto di vista pontificio, ben chiaro nei documenti e nelle bolle papali: Francesco è un modello di santità

dalla sequenza testuale bonaventuriana il Miracolo della Fonte e la Predica agli Uccelli e di situarli insieme

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legittimo e ortodosso e degno della più totale ammirazione, ma è anche inarrivabile e inimitabile, chi lo

sulla controfacciata della basilica. Incastonate nella finta architettura che cinghia l’intero ciclo facendolo

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segue deve scendere a più miti consigli, rinunciare a forme di ascetismo e povertà estrema, sapere che

scorrere sotto un portico sorretto da colonne, le due scene sono le uniche a svolgersi in un paesaggio, e così

la distanza nei confronti di Francesco e di Cristo, “coppia” mimetica dell’uno nei confronti dell’altro,

“aprono” la parete come se i gesti miracolosi di Francesco mettessero in comunicazione lo spazio chiuso

non può essere colmata. I frati, in sostanza, devono seguire i precetti della Chiesa e le sue norme di vita

della chiesa con quello aperto della natura circostante, in una trasparente metafora dell’universalità del suo

monastica, senza cedere a personalismi ed eccessi di ascesi: la sottomissione alle regole della Chiesa è la

carisma. La Predica esalta la capacità di Francesco di dialogare con tutti, compresi gli esseri non capaci di

volontà di Francesco stesso, come si vede nell’Approvazione della Regola, preceduta dal Sogno profetico

parlare ma anch’essi figli della Creazione e capaci di captare il messaggio di Francesco al di là del linguag-

del papa Innocenzo.

gio umano. Quanto alla Fonte, non sfugge che il miracolo di percuotere una roccia e di farne sgorgare la

Così chiaramente impostata, la storia prosegue in modo ampio e tuttavia lineare: è la prima biografia

salvifica acqua – il medium del battesimo e della Salvezza – non è inedito, perché nella Bibbia è attribuito

“moderna” di un eroe, e lo accompagna, seguendo la traccia del racconto di Bonaventura da Bagnoregio e

a Mosè e poi, nel pensiero e nell’iconografia paleocristiana, a Pietro: è un esempio molto parlante di quel

della sua Legenda Maior ma ad essa apportando qualche sapiente deviazione, che si spiega non solo con i

sistema di appropriazione per associazione mentale (e, aggiungo, visiva) tramite il quale il personaggio di

diversi ingredienti di una storia figurata rispetto a quella letteraria – lo spazio, il muoversi dell’osservatore

Francesco si costruì e si ampliò, progressivamente, addizionato di risonanze cristologiche, apostoliche e

– ma con l’accresciuta intenzione di puntualizzare alcuni elementi, specialmente “politici”, del racconto,

profetiche.

aggiustando il testo bonaventuriano, aggiornandolo, rendendolo ancora più funzionale alle esigenze della dirigenza dell’Ordine e della Chiesa. A confrontare il testo di Bonaventura e il racconto di Giotto, si vede

Visioni, estasi e scene di massa

come sia in fondo banale individuare il primo come fonte del secondo: basterebbe ricordare che i tituli che corrono sotto ogni scena siano praticamente citazioni della Legenda Maior bonaventuriana. Attorno al

Un’analisi dettagliata dell’immenso ciclo di Assisi non è evidentemente possibile, nei limiti di un saggio

1290, essa era ormai l’unica versione ammessa della storia di Francesco, avendo l’Ordine già fatto distrug-

come questo: cercheremo quindi di toccare almeno alcuni elementi-chiave, seguendo il racconto figurato

gere, fin dal 1266, tutte le altre, da quelle di Tommaso da Celano ad altre molto meno “ortodosse”. Che

che si svolge sulla parete destra dall’incrocio con il transetto verso l’ingresso, gira – come abbiamo visto –

qualche testo sopravvissuto alla censura continuasse lo stesso a circolare è cosa certa: ma l’uso della Legen-

sulla controfacciata e prosegue sulla parete sinistra andando a concludersi all’attaccatura con il transetto e

da Maior da parte del programmatore del ciclo assisiate era del tutto prevedibile, si potrebbe dire ovvio.

così abbracciando interamente lo spazio della navata.

Il punto che qui ci interessa è però quello della selezione, di ciò che fu scelto per esser messo in figura e

Sulla parete destra, dopo l’Approvazione della Regola, Giotto dà, per la prima volta nella storia icono-

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ciò che fu amputato: moltissima materia fu eliminata, peraltro, e non solo per ragioni di spazio, ma perché

grafica del santo, grande spazio al suo lato visionario e mistico: la Visione del Carro di Fuoco, quella dei

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la narrazione che si voleva esporre sulle pareti della basilica affollata di pellegrini e fedeli di ogni status e

Troni, sono episodi raramente o addirittura mai messi in figura (e non si può tacere come il Carro di Fuoco

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provenienza non era quella del Francesco “uomo di tutti i giorni”, ma del Francesco interprete di un nuovo

contenga esplicite analogie con la storia del profeta Elia); la Cacciata dei diavoli da Arezzo e la Prova del

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Fuoco davanti al Sultano celebrano la sua forza morale che, nei confronti dei diavoli, diventa quasi magica;

loro si graffiano il volto per esprimere il dolore, sulla sinistra dell’affresco, sotto una tettoia con un soffitto

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pure di iconografia inedita è l’Estasi di San Francesco, che rappresenta la levitazione – manifestazione e

a cassettoni che simboleggia il salone da pranzo della magione del cavaliere, Francesco guarda la realizza-

simbolo dell’unione mistica dell’anima con Dio – facendo librare Francesco in aria con le braccia spalanca-

zione della sua profezia, assistito da un frate accompagnatore che sembra star lì per registrare il miracolo,

te, nello stesso gesto con cui le anime dei defunti vanno verso Dio in tanti monumenti e affreschi funebri.

colto anche lui di sorpresa con un coltello in mano mentre si apprestava a mangiare. Davanti a loro, una

Dopo l’Estasi, l’architettura della basilica – ancora una volta – viene sfruttata da Giotto per mettere a

tavola imbandita, con una raffinata coperta bianca a quadri che ricorda i prodotti dell’artigianato umbro

punto un raffinato escamotage visivo. La struttura della navata, infatti, è organizzata in quattro campate,

di oggi, e brocche, bicchieri, un grande pesce (ovviamente simbolo cristiano) e pani rotondi, uno dei quali

ognuna delle quali, nella parte del ciclo francescano, contiene tre storie; l’ultima è invece più ampia, e inol-

appare spartito in quattro parti da un’incisione a croce. Inutile dire che la tavola imbandita, e specialmente

tre l’ingresso non si attacca direttamente a questa ultima campata, ma è preceduto da uno spazio coperto

il dettaglio del pane, hanno risonanze eucaristiche, ed evocano l’Ultima Cena; per quanto l’allusione non

da un arco (dipinto con figure di santi, danneggiate nell’ultimo terremoto) la cui ampiezza permette l’in-

sia del tutto pertinente il senso dell’episodio, pure essa converge ad accrescere l’aura del personaggio di

serzione di una quarta storia accanto alle tre della campata su ambedue le pareti, suggerendo l’idea di una

Francesco, evidenziandone la grandezza profetica e la capacità salvifica e fungendo, una volta di più, da

sorta di nartece o di spazio introduttivo. Giotto lo ha usato per dipingere una di fronte all’altra due scene

annuncio della sua Passione e Morte, che ormai si avvicinano.

34 e 38

che, proprio per esser poste accanto all’ingresso, hanno per così dire un target molto ampio e popolare:

Le stigmate

non sono scene ecclesiastiche, né di ardente e solitario misticismo, ma sono scene di massa e di popolo. 54

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A destra, il celebre Presepe di Greccio, dove Francesco fa ripetere, come in una pièce teatrale, la nascita di Gesù Cristo: Bonaventura la racconta quale evento in un luogo isolato e sperduto, tra rovine di un castello

La storia del cavaliere di Celano ha dato avvio alla seconda metà della storia di Francesco: su questa pa-

in un paesaggio montagnoso e arido, Giotto invece lo fa accadere in un luogo che gli arredi liturgici ritratti

rete, la sinistra della navata, il racconto va quindi verso la conclusione. Siamo in prossimità dell’evento che

con acrobatica bravura – la croce lignea mostrata obliqua e dal retro, ma anche il recinto con l’ambone

segna Francesco in modo diverso rispetto a qualsiasi altro precedente santo: le stigmate, che Bonaventura,

cosmatesco, il ciborio di tipo arnolfiano, l’altare con un leggio ligneo complicato – palesemente qualificano

sulla scia di tutta la tradizione francescana, situa nel paesaggio montagnoso ed eremitico della Verna, due

come lo spazio del santuario di una chiesa visto, è chiarissimo, dalla parte del coro e dell’altare, verso la na-

anni prima della morte di Francesco. È quindi non solo un miracolo straordinario, ma ancora una volta è

vata. L’evento si produce tra una popolazione di frati che cantano, e di laici ben vestiti, con le donne ferme

un annuncio di morte. Sui modi in cui il miracolo si era prodotto – l’apparizione di un serafino, o un sera-

alla porta del coro per non “contaminare” lo spazio vicino all’altare ad esse negato. E al centro, ambedue

fino in Croce, che poi si rivela il Cristo stesso crocifisso – la polemica all’interno e all’esterno dell’Ordine

raggianti di aureole, il piccolo Cristo tutto avvolto in fasce del colore liturgico della festa, il rosso, e Fran-

era stata bruciante: basti pensare che la bolla di canonizzazione di Francesco, emessa da papa Gregorio

cesco, che per una volta non indossa il saio ma un abito sacerdotale: perché il gesto di deporre il Bambino

ix

sull’altare è un gesto palesemente eucaristico, il Bambino è l’Ostia e Francesco è ora il prete che rinnova il

d’Igny, eremita e mistico francese che aveva preteso di aver ricevuto le ferite di Cristo sul suo corpo, era

miracolo, e l’unica allusione alla “vera” nascita di Gesù nella grotta sta nei due animali accovacciati in pri-

stato bruciato come eretico dalla Chiesa. Il fatto, dunque, era stato difficile da accettare, da parte della

mo piano, un piccolo asino e un piccolo bue, perfettamente adeguati alla piccola taglia del Bimbo vicino.

Chiesa e anche degli stessi francescani, e cambiano infatti testimonianze e attestazioni nelle fonti letterarie

Di fronte, la Morte del cavaliere di Celano propone un contesto di alto livello sociale – sempre si con-

a nemmeno due anni dalla sua morte, non menziona le stigmate. Non molti decenni prima, Humbert

francescane, e anche nelle testimonianze figurative.

ferma il fatto che Giotto non dà certo spazio agli umili, nel suo ciclo, tutti gli interlocutori di Francesco

Nella rappresentazione del gruppo Francesco-Cristo, Giotto assume integralmente la versione di Bo-

sembrano essere come minimo buoni borghesi, se non addirittura aristocratici – e racconta una storia

naventura: a Francesco appare il Cristo crocifisso, dalle cui cinque ferite partono raggi che vanno a colpire,

forse non facilmente accettabile dalla sensibilità di oggi. Narra infatti Bonaventura che Francesco era stato

simmetricamente, il corpo di Francesco e lo trasformano in una specie di copia, o di sigillo impresso dalla

invitato a mangiare a casa di questo nobile personaggio della regione abruzzese, non lontano dall’Umbria;

sua matrice. Altri elementi però in Bonaventura non esistono. Davanti a una specie di chiesetta, sulla

ma arrivato alla casa di questi, che in apparenza era in ottima salute, gli predice la vicinissima morte, e lo

destra, un frate seduto per terra – frate Leone? – non guarda direttamente il miracolo; con in mano un

spinge a confessarsi. Morto effettivamente subito dopo il cavaliere, il succo del racconto è che Francesco,

libro, immerso nella lettura, sembra garantire la relazione dell’evento straordinario con le Scritture, e in

predicendogli la morte e inducendolo a confessarsi, gli ha impedito di morire nel peccato e quindi ha per-

ogni caso va detto che il fatto di rappresentare un frate in atto di leggere e studiare in un libro dall’aria

messo la salvezza della sua anima. Giotto non mette in scena la premessa, dunque guardando l’affresco noi

preziosa è agli antipodi delle scelte tutte povere del Fondatore. Sulla sinistra, un altro edificio rosato che

non captiamo il subitaneo e sinistro passaggio dallo scenario festoso – l’invito a pranzo – a quello luttuo-

ha un piccolo portale sovrastato da una lunetta con una croce: un’altra chiesetta, o una cappella, perché

so – il memento mori così frequente nella sensibilità medievale. Rappresenta invece, così come fa sempre

dalla porta socchiusa si intravvede forse un altare coperto da una decoratissima tovaglia, e davanti ad esso

nell’intera sua carriera d’artista, il clou del racconto, quindi il frangente della morte, con il cavaliere disteso

un inginocchiatoio. La scena del miracolo, di fatto, è stata addomesticata: anche rispetto alla narrazione

a destra e circondato dalle donne piangenti in uno schema che ricorda il Compianto sul Cristo; mentre

di Bonaventura, esso non si svolge più nell’assoluta e desertica solitudine della Verna, dove Francesco si

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era ritirato in eremitaggio e dove aveva incontrato il suo Dio in una specie di fulminante identificazione

usando uno schema di composizione ampio e avvolgente come un’abside di chiesa, dove l’osservatore ha

e sofferenza; ora il paesaggio è, sì, montagnoso, ma è già popolato di presenze, è già difeso da chiese e da

l’impressione di essere presente all’evento, inglobato nello spazio della rappresentazione, vicino al luogo

cappelle, e Francesco non è oramai veramente solo di fronte a Cristo perché di quello che gli è accaduto

dove si piange il santo. In primo piano, il corpo di Francesco, con il saio, disteso su una tavola: rappre-

deve, per così dire, render conto ai suoi frati, alla Chiesa, e al resto del mondo. Ed è infatti la relazione

sentarlo nudo avrebbe evocato troppo da vicino il corpo di Cristo, e anche la scelta “estrema” della nuda

di Francesco con il suo Ordine e il suo impegno nei confronti di tutta la Chiesa il tema che precede e

terra, testimoniata con certezza dalle fonti, è stata evitata, ma il saio è opportunamente aperto per far ve-

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prepara la scena delle Stigmate: la Predica davanti Onorio

assicura del carisma di Francesco in seno

dere la ferita al costato, e piedi e mani forati da quelli che Bonaventura definisce come “chiodi di carne” e

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alla comunità ecclesiastica, e l’Apparizione al capitolo di Arles racconta dell’ubiquità del santo, che riesce

che qui appaiono come fori rotondi, senza sangue e senza dettagli impressionanti. Le fonti unanimemente

a esser presente alla riunione annuale dei frati dell’Ordine, in Provenza, pur in realtà lontano da loro, in

testimoniano che Francesco teneva assolutamente nascoste le ferite e non permetteva ad anima viva di

Umbria. Che l’Apparizione sia stata prelevata dalla sequenza bonaventuriana che la situa molto presto, in

vederle: diventare santo per lui ha significato la totale perdita, diremmo oggi, della privacy, e l’inevitabile

prossimità dell’Approvazione della Regola, è l’altra delle eclatanti deviazioni della Legenda figurata rispetto

trasformazione nell’icona di se stesso.

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iii

a quella letteraria. Le ragioni possono essere state svariate. Da un lato, infatti, la scena è l’affermazione

Attorno al suo corpo disteso e offerto alla vista, i suoi frati gli baciano un piede, lo piangono, gridano

dell’ubiquità di Francesco, e quindi nel ciclo viene usata per mostrare come egli fosse capace di essere

dal dolore o semplicemente meditano: sono disposti tutt’attorno, in modo non dissimile da come appaiono

sempre e comunque accanto ai suoi frati, anche nel momento in cui egli è ritirato in mistica solitudine

i dolenti del Compianto sul Cristo – ma i frati sono undici, così come sono anche nell’Approvazione della

sulla Verna e sta per ricevere le stigmate – come narra il riquadro seguente. Da un altro punto di vista, si

Regola che appare nella medesima campata, sulla parete di fronte; ancora una volta, l’eccessiva identifica-

potrebbe sospettare che la scena contenga una messa a punto nei confronti di Antonio da Padova, la cui

zione è accuratamente evitata, Francesco è il dodicesimo apostolo, non è Cristo in persona. Subito dietro il

importanza e notorietà crescevano di continuo. Nell’Apparizione, Antonio è presente, aureolato; torreggia

letto funebre e i frati appare poi una folla mista di altri frati e di chierici: le teste sono talmente tante che è

autorevolmente sugli altri frati, ma è per così dire schiacciato da Francesco che appare a mezz’aria come

impossibile contarle, ma in primo piano si stagliano le figure di coloro che reggono giganteschi ceri; altri,

una creatura soprannaturale. E infine, è stato forse ancora una volta il principio delle corrispondenze visi-

al centro, con il cestello e l’aspersorio per l’acqua benedetta. Il lutto intimo e dolorosissimo, che ancora

ve che ha pesato nell’organizzazione degli strumenti narrativi, perché il gesto di Francesco sospeso in aria

si percepisce nella pur molto ufficiale lettera che frate Elia scrisse a tutti i frati a poche ore dalla morte di

con le braccia tese echeggia quello identico dell’Estasi, dipinta sulla parete di fronte nella stessa campata:

Francesco, si è trasformato in una cerimonia liturgica.

levitazione, apparizione, echi funerari, capacità soprannaturali, legano i due episodi e forniscono un’ulteriore punteggiatura alla narrazione pittorica.

Anzi, in qualcosa di ancor più grande. Nella parte superiore dell’affresco, infatti, accompagnata da sei angeli in volo e sorretta da altri quattro angeli, compare in una specie di conchiglia/medaglione oggi molto deteriorato, la figura di Francesco a mezzo busto, con un saio rosso – di nuovo il colore liturgico della festa

Francesco muore

– aperto per mostrare la ferita al costato. L’omaggio, qui arriva a un vertice prima inattinto. Il medaglione o la mandorla portata al cielo dagli angeli è infatti iconografia usata per il Cristo, quale sorta di rappresen-

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Il personaggio che Giotto sta narrando e costruendo è ormai terribilmente lontano da quello giovane

tazione abbreviata dell’Ascensione. Lo schema è quello antico delle Vittorie che portano la corona d’alloro

e ben vestito delle prime scene. Autore di grandi miracoli, segnato dalle stesse ferite di Cristo, modello a

dell’imperatore vittorioso. Così appare, ad esempio, sulla volta mosaicata del Sancta Sanctorum a Roma,

sua volta per il suo Ordine ma a disagio nel dover svolgere un ruolo di guida in cui egli, forse, non si rico-

circa il 1280: un luogo che magari Giotto aveva potuto vedere con i suoi occhi, se i suoi contatti ad alto

nosceva, a Francesco in certo modo non resta che morire. E muore, infatti, nella scena che Giotto dipinge

livello gli avevano garantito un accesso privilegiato così importante. Nel Medioevo, il Cristo assiso in trono

subito dopo le Stigmate: Bonaventura sa che passarono due anni dopo il miracolo, ma Giotto accosta le due

è talvolta sorretto e portato dagli angeli, per esempio nella cimasa di croci dipinte come quella duecente-

storie una dopo l’altra, come se dopo l’una non ci possa che essere, appunto, l’altra.

sca di San Pierino a Pisa. Gli angeli portano in cielo anche l’animula della Vergine, che nella scena della

Francesco muore: lo spazio della parete assume un ritmo sinfonico. Se nella prima parte del ciclo

Dormitio e dell’Assunzione entra così direttamente in paradiso accanto al Figlio. Ciò che l’affresco di Assisi

Giotto aveva inventato scenari essenziali, con pochi personaggi e quinte architettoniche atte a concentrare

suggerisce, quindi, è lo speciale e altissimo status di Francesco, del quale non viene raccontato il tragitto

l’attenzione sui protagonisti del racconto, ora la scelta va quasi in senso contrario. Attorniato da moltissimi

dell’anima raccolta in un drappo, come si usava spesso rappresentare in tanti monumenti funebri e come

aiuti, per le ultime tappe della vicenda di Francesco egli inventa scene popolatissime di figure e personaggi

ancora fa la tavola dipinta da Coppo di Marcovaldo in Santa Croce a Firenze, un’opera che certamente

che non hanno ruolo nella narrazione se non quello di accompagnare coralmente l’evento, rendendolo

Giotto conosceva. Il metodo dell’associazione visiva e mentale sposta il suo personaggio vicino alla Vergine

solennissimo, come una messa cantata, come una cerimonia pubblica. La scena della morte non rispecchia,

e al Cristo, suggerendo per lui un destino dopo la morte che non passa per la trafila dei comuni mortali:

ancora una volta, la lettera della tradizione delle fonti scritte: Francesco morì alla Porziuncola, disteso

egli viene direttamente assunto in cielo, e nessun santo, questo si vuol dire, può stargli a pari. Lo spunto

nudo sulla nuda terra e attorniato dai suoi pochi fedelissimi compagni, mentre Giotto inscena l’evento

per questa audacia straordinaria Giotto lo trovò probabilmente nel vecchio ciclo della basilica inferiore,

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95

48


dove la scena della Morte – tanto più sobria e limitata ad alcune figure di frati – mostra, in un dettaglio

di qua dell’iconostasi; qui siamo al di là, nello spazio dove possono stare anche i laici. Quasi svanita per il

di piccole dimensioni e tra l’altro oggi anche molto rovinato, un analogo medaglione portato da angeli.

danno alla pellicola pittorica, un’abside cassettonata conferma la nozione spaziale, pur decentrata rispetto

L’importanza dell’immagine è però tutt’altra rispetto all’affresco della chiesa superiore: il medaglione è

al fuoco della scena costituito dalla figura distesa di Francesco.

piccolo, decentrato rispetto alla scena, sistemato in uno spazio al di sopra dell’architettura che contiene le

La Morte e la Verifica dunque stringono tra loro il primo episodio in cui Francesco è fisicamente as-

figure: l’enfasi dell’affresco giottesco è invece gigantesca. Non stupisce che Giotto medesimo, una ventina

sente, e non appare nemmeno in effigie, o quale visione. La sua persona torna però a dominare la triade

d’anni più tardi, abbia adattato – o gli sia stato urgentemente richiesto di adattare – questo stesso schema

di scene della campata successiva, che è anche quella dove la programmazione dei contenuti arriva a un

nel polittico Stefaneschi, in San Pietro in Vaticano, questa volta attribuendolo a san Pietro e a san Paolo

vero vertice di complessità e di perfezione, incrociando i temi delle due pareti affrontate e della volta

che dopo il martirio sono portati in paradiso dagli angeli.

e coordinandoli magistralmente attorno a una questione di straordinaria novità e attualità: quella della donna. La prima scena dopo la Verifica è infatti il tenerissimo Pianto delle Clarisse: un episodio che oggi

La fine del racconto

60

sembra naturale, abituati come siamo a contemplarlo sulle pareti della basilica, ma che deve essere compreso nella sua assoluta e rivoluzionaria novità. Francesco vi compare disteso sul letto funebre, una sorta

59 e 39

54

La parete della Morte non poteva che concludersi con la scena, simmetrica e necessaria, della Verifica

di barella coperta da un drappo che i portatori hanno posato per terra davanti alla facciata della chiesa di

delle Stigmate: in mezzo, l’infelice riquadro della Visione di frate Agostino e del vescovo Guido d’Assisi, un

San Damiano, che ospita Chiara e le clarisse. Le religiose traboccano fuori dalla chiesa, e Chiara raggiunge

episodio già in partenza complicato per essere in realtà l’unione di due distinti momenti narrativi, e per di

per prima – già aureolata – il corpo di Francesco, mette una mano a coprire la ferita del costato e sembra

più mal risolto nella composizione, ottenuta tramite la giustapposizione di uno spazio dove l’infermo Ago-

volerlo abbracciare, addirittura rialzare dal letto. Le altre donne baciano la mano o il piede stigmatizzati,

stino si tende verso la visione di Francesco (che appare infatti alla sinistra del riquadro, nella scena della

altre ancora si avvicinano, secondo Chiara Frugoni distinte in due precise categorie, le suore (con il soggo-

Morte, con lo sguardo rivolto verso destra: un ulteriore indizio che il ciclo fu composto in modo organico,

lo) e le altre, addette ai lavori manuali e non obbligate alla clausura. Sulla sinistra, la folla di cittadini che

tenendo conto dei legami tra i riquadri) e di un ulteriore sgangherato cubicolo, dove il vescovo di Assisi

assiste all’evento è riunita sotto un albero su cui si arrampica un ragazzino, allusione all’analogo dettaglio

dorme, quasi copia dell’Innocenzo

sognante della parete opposta. È il tratto finale dell’impresa, in cui

della cristologica Entrata a Gerusalemme e associazione visiva e mentale per Francesco che, anche lui, sta

verosimilmente Giotto abbandona il cantiere o lo velocizza per poterlo chiudere in fretta: non ne abbiamo

entrando nella Città celeste. La facciata della chiesa, come è ormai opinione comune, è anacronistica: al

prova documentaria, ma si vede con chiarezza come la qualità, sia dell’esecuzione pittorica che della stessa

tempo della morte, Chiara e le sue compagne stavano nella diroccata San Damiano, la chiesetta che nella

invenzione compositiva, non sia sempre all’altezza del resto del ciclo. Ma l’altissimo livello torna nella

Preghiera a San Damiano, situata proprio di fronte al Pianto, Francesco vuole restaurare. Il ruolo e lo spa-

Verifica, scena compositivamente gemella della Morte, eppure variata. La folla absidata di frati e chierici

zio femminile nel francescanesimo sono così ben definiti – si sa che all’inizio di quella esperienza, Chiara

sembra non essersi mossa rispetto al momento della Morte: anche i portatori di ceri sono sempre lì. La folla

voleva condividere la vita vagabonda dei primi compagni ma che Francesco si rese presto conto dell’impos-

però è aumentata – la notizia si è sparsa – e insieme a chierici solennemente vestiti, con libri e strumenti

sibilità di una scelta così scandalosa, e acconsentì a chiuderla in convento secondo l’obbligo ecclesiastico.

liturgici, e a molti frati con lunghe ed esili candele, appaiono anche molti laici (una volta di più, tutti ben

Ma il ruolo della donna, dice il programma affrescato, non è così passivo e limitato: sulla parete di fronte

vestiti) e ai due lati ci sono anche soldati armati: il furto di spoglie venerate era abituale, nel Medioevo,

(si veda cartina a p. 101), la Creazione di Eva e il Peccato originale ricordano la colpa di Eva, ma, di fronte,

tanto che Francesco, nella realtà, fu sepolto di notte e di nascosto per impedire che i suoi resti fossero

la Natività di Gesù mostra la via del riscatto, e la volta che congiunge le due pareti mostra il medaglione

sottratti e magari dispersi. Francesco non giace più sulla tavola di legno, ma su un giaciglio coperto di una

con la figura della Vergine che intercede presso suo Figlio per l’umanità. Né le precise corrispondenze si

stoffa preziosa e decorata: la spada di un soldato sembra proteggerlo, posta diagonalmente verso terra. I

arrestano qui: perché, appena superato il Pianto, la scena affollatissima della Canonizzazione di Francesco si

frati si sono allontanati dal letto funebre, e ora inginocchiato davanti ad esso c’è un laico – il cavalier Giro-

contrappone, sulla parete opposta, alla Rinuncia ai beni, diventandone quasi il premio; e ancora oltre, il So-

lamo – vestito con un manto rosso e una mantellina a strisce, molto elegante: con il volto intento, egli apre

gno di Gregorio ix, che così ha la conferma della verità delle stigmate, si incrocia con quello di Innocenzo iii

il saio di Francesco per ispezionare la ferita al costato, ed è inutile dire che l’atto richiama direttamente il

in diagonale sulla parete di fronte.

iii

san Tommaso incredulo che mette le mani nel fianco del Cristo per sincerarsi della sua identità. Rispetto

L’ultima campata non può che mostrare e commentare il potere salvifico del santo e orchestrare i suoi

alla Morte, che sembra svolgersi a cielo aperto, la Verifica comunica informazioni anche contraddittorie:

miracoli postumi, scegliendoli accuratamente al fine di puntualizzare aspetti diplomaticamente e politi-

il fondo dell’affresco è azzurro come se la scena avesse luogo in esterno, ma le figure sono poi inquadrate

camente importanti. Il semplice potere di taumaturgo non è in questione: per soddisfare questo tipo di

sotto un architrave a motivi cosmateschi su cui posano le immagini più care alla devozione di Francesco,

credenze e attese Giotto si è limitato a citare una delle guarigioni più celebri, raccontata da tutte le fonti

la Vergine, il Cristo crocifisso, e l’Arcangelo Michele. Siamo quindi in uno spazio di chiesa, per così dire

e rappresentata nelle tavole duecentesche, quella della bambina “dal collo torto” guarita dopo esser stata

rivoltati rispetto a quello del Presepe di Greccio dove vedevamo la croce dal retro, ed eravamo quindi al

posta vicino alla tomba di Francesco: la vediamo nell’affollata Canonizzazione, un po’ confusa tra i molti

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97

45

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61


S. Luca

S. Giovanni

S. Marco NUOVO TESTAMENTO

41

altri personaggi. I miracoli conclusivi del ciclo sono invece molto più orchestrati: la Guarigione di Giovanni di Lerida sottolinea il potere salvifico di Francesco in una terra, la Spagna, che era la patria di san Domeni-

Gesù Cristo – nuovo Adamo –

Passione di Cristo figura neotestamentaria

ANTICO TESTAMENTO Nuova creatura Imitatio Christi

S. Matteo

La creazione e il suo peccato – vecchio Adamo –

Nuova creatura Imitatio Christi

Figura veterotestamentaria

Noè, il giusto, costruisce l’arca

Creazione del mondo

Creazione di Adamo

co – non a caso, ovviamente. Segue il Miracolo della donna resuscitata: ancora Francesco che resuscita una donna per darle modo di confessare un peccato che lei aveva omesso. E infine Francesco che interviene nella Liberazione di Pietro d’Alife: un eretico pentito e liberato dal santo. In tutte e tre le scene, la figura di

Annunciazione

Nozze di Cana

Francesco appare presso il letto del malato, o inginocchiato in alto davanti al Cristo per impetrare la grazia, o in volo nel cielo, come partito dalla scena del miracolo dopo averlo compiuto. Impossibile dire se proprio

Liberazione di Pietro d’Alife

28

1

Omaggio di un uomo semplice

Miracolo della donna resuscitata

27

2

Dono del mantello

questi tre miracoli siano stati fin dall’origine previsti nel progetto del ciclo: certo, si vede come la rigorosa concatenazione di temi che nella campata precedente tanto colpisce l’attenzione, qui sia meno forte, quasi che alla fine di un racconto così straordinariamente intenso e politico, i programmatori abbiano sentito

Visitazione (distrutto)

Risurrezione di Lazzaro (distrutto)

Guarigione di Giovanni di Lerida

26

3

La visione del palazzo pieno d’armi

Ingresso di Noè nell’arca

Natività

Tradimento di Giuda

Sogno di Gregorio ix

25

4

Preghiera a San Damiano

Abramo, padre della fede sacrifica Isacco

la necessità di accontentare anche sensibilità più semplici, e abbiano voluto dare spazio a narrazioni più popolari, pur associate a dettagli attualizzanti, come quelli alla famiglia Colonna che sono stati individuati nella Liberazione di Pietro d’Alife e nella grande colonna tortile, la Traiana, che domina la scena.

Canonizzazione di san Francesco

Adorazione dei Magi

Fuga in Egitto

Gesù insegna nel tempio

Battesimo di Gesù nel Giordano

Sogno di Innocenzo iii

22

7

Approvazione della Regola

Visione di frate Agostino e del vescovo Guido d’Assisi

21

8

Visione del carro di fuoco

Morte di san Francesco

20

9

Visione dei Troni

Stigmate di san Francesco

19

Apparizione al capitolo di Arles

18

L’andata al calvario

Verifica delle stigmate

Le donne al sepolcro

Predica davanti a Onorio iii

98

Francesco

S. Gregorio maestro della Chiesa

S. Ambrogio maestro della Chiesa

10

Cacciata dei diavoli da Arezzo

11

Prova del fuoco davanti al Sultano

12

Estasi di san Francesco

S. Agostino maestro della Chiesa

17 S. Gerolamo maestro della Chiesa

16

15

Predica agli uccelli

Ascensione di Gesù

14

Maria

13

Miracolo della fonte

Pentecoste

Creazione di Eva

Rinuncia ai beni

6

23

Sepoltura di Gesù

5 Giovanni Battista

Maria

Pianto delle Clarisse

Morte del cavaliere di Celano

Pianta della basilica superiore di Assisi con schema dei soggetti rappresentati negli affreschi. In grigio e numerate secondo il percorso di lettura, le Storie francescane realizzate da Giotto.

24

Gesù condannato a morte (distrutto)

Morte di Gesù sulla Croce

Cristo

Presepe di Greccio

Visita degli Angeli ad Abramo

Il peccato originale

Isacco benedice Giacobbe quale capostipite di un nuovo popolo

La cacciata dal Paradiso

Esaù davanti a Isacco

Le fatiche di Adamo ed Eva (distrutto)

Giuseppe ebreo calato nel pozzo dai suoi fratelli

Il sacrificio di Caino e Abele

Giuseppe perdona ai fratelli

Caino uccide Abele


30. Veduta della navata della basilica superiore di Assisi, dall’ingresso verso l’abside.


31

32

33

34

31-34. Giotto, Storie francescane, parete destra, dalla i alla iv campata, Assisi, basilica superiore [sulla piantina soggetti 1-13].


35-37. Controfacciata: veduta d’insieme e dettaglio del Miracolo della fonte e della Predica agli uccelli [sulla piantina soggetti 14-15].


38

39

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41

38-41. Giotto, Storie francescane, parete sinistra, dalla i alla iv campata, Assisi, basilica superiore [sulla piantina soggetti 16-25].


42. Assisi, basilica inferiore, veduta della navata con gli affreschi duecenteschi.


43. Omaggio di un uomo semplice.

44. Dono del mantello.


45. Preghiera a San Damiano.

46. Rinuncia ai beni.


47. Sogno di Innocenzo iii.

48. Approvazione della Regola.


49. Visione del carro di fuoco.

50. Visione dei troni.


51. Cacciata dei diavoli da Arezzo.

52. Prova del fuoco davanti al Sultano.


53. Estasi di san Francesco.

54. Presepe di Greccio.


55. Morte del cavaliere di Celano.

56. Apparizione al capitolo di Arles.


57. Stigmate di san Francesco.

58. Morte di san Francesco.


59. Verifica delle stigmate.

60. Pianto delle Clarisse.


61. Canonizzazione di san Francesco.


DOPO ASSISI: IL NETWORK FRANCESCANO Nel 1312 il ferrarese Riccobaldo, filologo, antiquario, cronista, ben inserito nelle cerchie degli intellettuali veneti con cui andava a caccia dei manoscritti delle Decadi di Tito Livio, scrive di Giotto. Lo aveva forse addirittura conosciuto personalmente: a Roma, chissà, dove Riccobaldo era attorno all’anno 1300, o più probabilmente durante le fasi del lavoro del pittore a Padova, nei primi anni del secolo. Riccobaldo costruisce il ritratto di Giotto attorno alle opere che il pittore aveva prodotto per i francescani, e le elenca in ordine geografico e – se gli studi hanno ragione – anche cronologico: «Il maestro che [Giotto] fu, lo testimoniano le opere fatte nelle chiese dei frati minori di Assisi, Rimini e Padova», e poi aggiunge «e quelle dipinte nel palazzo del Comune di Padova e nella cappella dell’Arena di Padova»; in uno dei codici della sua cronaca ulteriormente si aggiunge «e nella cappella fuori della chiesa di Sant’Antonio». È curioso che Riccobaldo usi il passato, essendo Giotto ben vivo a quell’epoca: forse, a quel punto, il pittore aveva abbandonato il Veneto e lavorava ormai in Toscana e in altri luoghi, lontani da quelli dove risiedeva lo scrittore. Inutile dire che questo passo, anche se breve, ha nutrito la storiografia giottesca e ha permesso di tracciare i tragitti di Giotto, includendo nel disegno anche opere del tutto sparite, come quasi tutte quelle dipinte a Rimini; e recentemente ha sostenuto una nuova attribuzione, direi anche una straordinaria riscoperta, quella degli affreschi nella cappellina della Mora, presso la basilica del Santo di Padova. Essendo Riccobaldo un laico, e non conoscendogli affiliazioni francescane, il fatto che egli individui nell’attività di Giotto la colonna vertebrale della committenza francescana è informazione del tutto rilevante. Certo, egli aggiunge l’opera per il Palazzo della Ragione di Padova (perduta) e la celeberrima cappella dell’Arena per Enrico Scrovegni, i cui nessi con l’Ordine dei frati minori non sono centrali: ma l’impressione che si deduce dalla cronaca è che uno dei tratti più specialmente caratteristici di Giotto, cioè la sua “internazionalità”, il suo essere noto e chiamato ovunque in Italia (e forse anche ad Avignone), ricercato e voluto da tutte le cerchie elitarie della società del primo Trecento, abbia avuto un canale possente in quello che senza difficoltà si può definire come un network. Era la rete dei conventi francescani che attorno a questa data – 1300, e gli anni a seguire – avevano ormai totalmente rimosso i divieti delle origini, ormai privi di sospetto o timore rispetto alle immagini scolpite o dipinte, ed erano dediti ad adornare incessantemente, con tavole dipinte, cicli ad affresco, monumenti funebri, le loro chiese, dando alle famiglie aristocratiche e danarose grandi spazi ad uso funerario e di auto-rappresentazione familiare. Francesco è lontanissimo, e il suo Ordine è diventato una delle strutture della società dell’epoca: la povertà è forse ancora, talvolta, un’esigenza individuale, ma le istituzioni francescane sono potenti e danarose, colte e politicizzate, i loro membri più influenti vengono quasi sempre dalle famiglie in vista della società, e l’intesa con la corte pontificia, seppure talvolta suscettibile di attriti, è al di là di qualsiasi discussione. Il network disegnato da Riccobaldo è tutto nella carta geografica del Nord-Est, diremmo oggi: ma la mappa che ne deriva non è sufficiente, perché nella stessa tipologia di committenza rientra anche il convento dei francescani di Pisa, per il quale Giotto lavora, così unanimemente si riconosce, pochissimo tempo dopo aver concluso il cantiere della chiesa superiore di Assisi. Ed è anzi, quella di Pisa, l’opera più vicina a quella assisiate, non solo in termini stilistici e, presumibilmente, cronologici. A voler dunque mettere in fila

129


le opere “francescane” di Giotto negli anni grosso modo indicabili nel primo decennio del Trecento, sem-

una Chiesa specifica, quella autorevole e autoritaria di Bonifacio

brerebbe proprio di poter seguire l’irraggiamento del maestro che, fattosi un grandissimo nome ad Assisi,

spezzava il potere dei suoi nemici Colonna. Così infatti si spiega la rilevanza che assume visivamente il

viene chiamato dai vicini pisani, e poi, tramite i nessi garantiti dai frati minori e certamente anche dagli altri

dettaglio della colonna spezzata nella scena del Sogno: enorme, in apparenza parte del portico davanti alla

suoi contatti specie romani e pontifici, compie il “salto” verso il Nord-Est e va a dipingere per il convento

basilica, in realtà non appartiene a nulla perché è piantata molto più avanti, davanti alla chiesa, ed è isolata.

riminese simbiotico, lo ricordiamo, con il signore della città, Malatesta, e poi per il santuario antoniano di

L’allusione onomastica è trasparente, e induce a datare l’opera attorno o poco dopo il 1297 – e comunque

Padova e – primizia con grande futuro – per un laico ricchissimo e influente, Enrico Scrovegni.

non dopo il 1303, anno della morte di Bonifacio – perché in quell’anno, nel mese di maggio, Bonifacio viii

viii

nel momento in cui il papa Caetani

vinceva, apparentemente, la lunga lotta contro la famiglia Colonna destituendo i due cardinali Jacopo e

Pisa: la Stigmatizzazione di san Francesco

Pietro, privandoli del titolo ed esiliandoli. I francescani di Pisa, insomma, erano ben schierati su parte pontificia, e l’immagine di Francesco si

62

La figura di Francesco domina la tavola dipinta per la chiesa di San Francesco a Pisa, che oggi è appesa

ritrova ad essere una sorta di argomento in un discorso fortemente politico. Ma certo i frati pisani non

nella prima sala del museo del Louvre, dove la portò Napoleone. Nella pala della Stigmatizzazione Giotto

furono soli in questa politica, perché la pala giottesca non fu il frutto dell’iniziativa del solo convento, ma

evidentemente rispondeva alle conseguenze del suo successo assisiate: perché i frati – a giorno di quanto

fu, verosimilmente, finanziata dalla famiglia i cui stemmi ancora si vedono sulle mura di due cappelle del

appariva ormai sulle pareti della basilica di Assisi – dovettero chiedergli di avere, per la loro chiesa, una

transetto della chiesa di San Francesco, forse quelle tra le quali era affissa la tavola giottesca che li reca

replica delle immagini più importanti relative a Francesco, e di averle uguali a quelle dipinte per Assisi.

anch’essa sulla cornice, ai lati della predella e quindi nel punto più visibile per l’osservatore. Sono i Cinqui-

Quello che si produce è insomma un fenomeno nuovo, che ha paralleli solo nell’ambito delle immagini di

na, i più importanti banchieri pisani, negli anni finali del Duecento solidamente attestati nell’entourage di

Cristo o della Vergine, le cui procedure di replica da prototipi venerati sono ben conosciute. La novità è

papa Bonifacio viii: l’intreccio di denaro e politica è ormai d’acciaio, e Giotto sta diventando il più grande

che Giotto, per l’occasione, inventa un nuovo tipo di pala dipinta: iconizza, per così dire, una storia, un

narratore di questo intreccio, colui che eleva le necessità pratiche e diplomatiche ad altezze squisite.

episodio, e lo fissa in dimensioni gigantesche.

Negli studi, l’autografia del dipinto pisano è stata spesso messa in dubbio, e con buoni argomenti, se si

Gli elementi fondamentali dell’affresco di Assisi sono tutti replicati fedelmente. La figura di Francesco

guarda ad esempio a qualche durezza nella figura di Francesco: ma queste opinioni hanno dovuto trovare

si staglia contro il paesaggio roccioso ma integrato da alberi, e nel cielo – non più azzurro, ma dorato – ap-

spiegazioni all’altro dato, questa volta poco discutibile, cioè alla firma di Giotto, una delle tre firme da lui

pare l’essere coperto di ali che è in realtà, e con tutta evidenza, il Cristo crocifisso, dalle cui ferite partono

mai apposte su tavole dipinte, che limpidamente suona “opus

raggi che vanno a colpire, simmetricamente, il corpo di Francesco. La rosata cappellina sulla sinistra è pure

re il prodotto, fabbricato nella sua bottega e quindi anche dai suoi aiuti? Firmò anche per attestare che

presente, con la porta aperta e l’altare coperto dalla tovaglia decorata, e sulla destra l’altra chiesetta, anche

l’invenzione delle quattro scene era sua, e quindi anche per marcare il loro prototipo, il ciclo di Assisi di

questa con porticina aperta da cui si vede, sembrerebbe, un inginocchiatoio, e certamente il braccio destro

cui nessuna firma accerta la paternità? Come nel caso del polittico Stefaneschi, o del Baroncelli (anch’esso

di una croce dipinta. Piuttosto rovinato com’è l’affresco di Assisi, non sappiamo se la croce vi apparisse

firmato), la questione dell’autografia va evidentemente discussa nei termini più larghi del progetto e – se

come a Pisa: certamente, nella tavola pisana manca la figura del frate, tagliata via per limitare i dettagli

si vuole usare un vocabolo vasariano – dell’“idea” dell’opera: con la sua firma, credo indubitabilmente,

descrittivi, isolare la figura di Francesco e ipostatizzare l’evento.

Giotto a Pisa ci dice che la storia di Francesco è composta di alcuni momenti ineludibili, così come egli

Nemmeno la cristologica Orazione nell’Orto, che delle Stigmate è il modello iconografico e concettuale,

iocti florentini”.

Giotto firmò per avalla-

stesso li ha espressi e fissati negli affreschi di Assisi.

era mai stata così nettamente prelevata dal suo contesto narrativo e isolata quale immagine iconica a sé stante. Francesco, ormai, si identifica con le sue ferite, che lo rendono simile a Cristo e lo allontanano dal

Dall’Italia Centrale al Nord-Est

resto del mondo elevandolo in una solitudine assoluta. La pala pisana, però non si accontenta di citare da 63

vicino il riquadro assisiate; nella predella, Giotto aggiunge altre tre emblematiche storie, anch’esse replica

Per quanto castigate dal tempo, tante perdute, altre rovinate o mutilate, le opere che conosciamo di

mimetica di quelle di Assisi – a parte qualche aggiustamento, come vedremo deliberato. Sono, nell’ordine,

Giotto disegnano agevolmente il suo sviluppo come grande imprenditore della pittura, star “internazio-

il Sogno di Innocenzo

con Francesco che sostiene sulla spalla il Laterano cadente; l’Approvazione della

nale” ricercato da frati, chierici e laici e rapidamente convinto a costruirsi un modus operandi in grado di

Regola, ben al centro della predella; e a destra, la Predica agli uccelli. Ad eccezione della Predica, in cui la

rispondere alle richieste che diventavano sempre più numerose, impegnative, e sparpagliate sul territorio

figura di Francesco assume l’afflato della vicinanza a tutta la Creazione, due su tre delle vignette della pre-

italiano. Il Giotto possidente terriero e affittatore di telai, che i documenti fiorentini ci fanno intravvedere,

della sono quindi scene “pontificie”, la prova che Francesco e i francescani sono dentro la Chiesa – anzi,

il Giotto che si fida dei suoi figli, li delega a sostituirlo, che dota generosamente la figlia, è un uomo che

sono stati ad essa profetizzati in sogno, il modo medievale di conoscere la verità – e obbediscono alle sue

ha saputo approfittare del suo talento e lo ha messo a frutto, dobbiamo immaginare con spirito assoluta-

Regole, che li inquadrano e li tengono al loro posto. E non una Chiesa astratta, ma, gli studi hanno ragione,

mente pratico, ben lontano da tratti di eccentricità e genio quali potrebbe concepire un’immaginazione

130

131

iii,


Rimini

romantica. L’organizzazione del lavoro nei suoi vari cantieri, la distribuzione dei compiti all’interno della sua bottega fiorentina ma anche sui luoghi forestieri dove veniva chiamato a lavorare, il reclutamento di

64

manodopera stabile o di altra più effimera reperita lì dove l’esigenza si manifestava: tutti questi elementi,

A Rimini Vasari testimonia molto lavoro di Giotto: una parte del quale, però, è decisamente da scartare – le

vitali a garantire il più ampio irraggiamento della sua produzione, devono essere valutati quando si intra-

storie della Beata Michelina, una devota pesarese morta nel 1356 e quindi non compatibile con le date della vita

prenda il discorso difficile dell’autografia, e quando ci si trovi a decidere se quanto appare ai nostri occhi

di Giotto – o è oggi impossibile da rintracciare, come il supposto ritratto del signore Malatesta. È proprio Vasari

e al nostro gusto debba essere giudicato degno di Giotto perché ci sembra bello, o più bello di altre parti

però a presentarci il panorama riminese in modo un po’ diverso da quello che abbiamo visto in Riccobaldo: nel

di opere che vediamo meno sapientemente dipinte, con errori o ingenuità. Ma l’idea, dunque il progetto

racconto vasariano, non sono i francescani ad attirare Giotto in città, perché il vero committente è Malatesta,

di un’opera, non è questione del tutto sovrapponibile alla sua esecuzione: ne danno prova opere capitali,

signore di Rimini per lunghissimo tempo – il “centenario”, che Dante chiama il “mastin vecchio” – e morto nel

come il polittico Stefaneschi, o il Baroncelli, frutto di esecuzione “mista” ma, soprattutto il primo, di un

1312. Malatesta, comunque, era a sua volta legato a filo doppio agli ordini mendicanti cittadini, tanto che la

programma e di alcune idee che non si saprebbe a chi altro attribuire se non a Giotto in persona.

chiesa del convento francescano già a partire dalla fine del Duecento stava assumendo un rilievo straordinario

Via via che passano gli anni, Giotto sembra mantenere legami duraturi soprattutto con due mondi:

perché diveniva gradualmente il luogo delle sepolture della famiglia, in pratica il mausoleo familiare. È difficile

quello del denaro – i banchieri – e quello francescano, spesso misto al primo. Da un luogo, però, Giotto

pensare che la chiamata di Giotto in città sia stata appannaggio di una sola di queste due forze – il signore, o i

non si staccò per lunghissimi anni, e fu la basilica di Assisi: nella quale, concluso il grande primo ciclo,

frati minori – per ambedue le quali, invece, la chiesa cittadina era, o stava diventando, il luogo di autorappresen-

lavorò poi quasi soltanto a distanza, tramite nutriti gruppi di pittori, capeggiati da altri più capaci e più

tazione. Una convergenza di volontà appare quindi come l’ipotesi più probabile – anche a causa dei costi ingenti

personali, che con lui di sicuro mantenevano un forte contatto. Poco, o pochissimo presente di persona fu

che, a quel punto, Giotto imponeva a chi lo voleva – pur se magari la conoscenza dell’artista possa esser stata

nella cappella di San Nicola, la prima a essere dipinta alla testata del transetto della chiesa inferiore: eppure

agevolata dalle notizie che correvano attraverso la rete francescana: e in ogni caso, ancora una volta registriamo

cappella fondata dal potente cardinale Napoleone Orsini, nipote di quel papa Nicolò

che Giotto, quando si sposta da Firenze, e accetta lavori, si muove sempre al grado più alto della scala sociale.

iii

– Gian Gaetano

Orsini – così importante anche per la storia dell’Ordine. Negli affreschi non domina la figura di Francesco,

La chiesa in cui Giotto aveva lavorato non esiste più: il Tempio malatestiano di Leon Battista Alberti,

ma quella del “titolare” san Nicola, eponimo del suddetto pontefice: Francesco vi compare in alcuni dei

Matteo de’ Pasti, Agostino di Duccio, Piero della Francesca, l’ha completamente sostituita. Non sapremo

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brani più belli, sempre in parallelo con san Nicola, sia nella lunetta sopra l’ingresso – dove tiene per mano

dunque mai cosa lui vi avesse dipinto: della sua opera resta soltanto la croce, mutila della cimasa che Federico

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il cardinale per presentarlo al Cristo – che nel finto retablo, in realtà un altro affresco, posto al di sopra

Zeri individuò nel 1957 in una collezione privata inglese e che da allora si è inabissata nel buio e nel silenzio,

del monumento funebre del giovane Gian Gaetano, omonimo del papa e fratello di Napoleone, morto in

senza più dar segno di sé, forse distrutta, forse misconosciuta, forse semplicemente secretata da proprietari

giovane età nel 1294. Francesco si affaccia nella finta loggia del retablo, stagliato contro il fondo oro, tutto

gelosi. Più recentemente però è stata formulata un’ipotesi che suona intrigante, anche se per qualche verso

rosato per il colore del saio che non assomiglia affatto alla bigia e umile stoffa rappezzata che lui imponeva

difficile: riguarda la serie di sette tavolette, disperse in vari musei di Monaco, Londra, New York, Firenze e

a sé stesso e ai suoi frati; ha maniche amplissime e un solo piccolo taglio che si apre per mostrare la ferita

Boston ma originariamente forse tutte pertinenti a un’unica pala d’altare strutturata, arcaicamente, come un

al costato. Torna poi nel sottarco, figura tra le altre figure, affiancato ad Antonio da Padova che ormai era

dossale orizzontale. Vi si affiancano alcune storie dell’Infanzia di Cristo (la Natività fusa con l’Adorazione dei

saldamente attestato al numero 2 della santità dell’Ordine.

Magi e la Presentazione al Tempio) e altre della Passione (la Cena, la Crocifissione, la Deposizione e la Discesa al

Lo stile degli affreschi nella cappella è alquanto misto, con parti bellissime ed altre più corsive, con

Limbo). Nella Crocifissione, ai piedi della croce è inginocchiato un san Francesco, bellissimo, con il volto ap-

brani degni del nome di Giotto e altri che davvero sembrano venire quasi da un’altra cultura. Ma vi affiora

pena scorciato mentre si tende verso i piedi di Cristo; dall’altra parte, pure in ginocchio, una coppia composta

qualche elemento – il gusto per i legni complicati e intagliati, le prospettive provocatoriamente complesse

da una donna austeramente vestita e con il velo sulla testa, e da un signore elegantissimo in abito cilestrino

– che permette di avvicinarli alle prime opere che a Rimini attestano molto precocemente l’impatto del

ornato da un collo ricamato in oro e addizionato da una sciarpa preziosa che svolazza fino a toccare la croce.

passaggio di Giotto in città: specialmente quelle attribuite al pittore Giovanni, attivo in Sant’Agostino già

Emblematico, a dir poco, a mostrare come della figura di Francesco si siano appropriate le classi più nobili

attorno al 1300 o nei primissimi anni del secolo. Sembra lecito supporre, quindi, che quando, attorno al

e abbienti della società, il ritratto non è facile da riferire a precisi personaggi storici: qualcuno ha voluto che

1300, ad Assisi era in corso il cantiere della cappella di San Nicola, Giotto era già “in corsa” verso Rimini,

il dossale fosse quello, menzionato da Vasari, di San Francesco a Sansepolcro, ma la sopracitata proposta,

e forse proprio da lì aveva gestito il lavoro assisiate, così che ben emerge la sostanziale lontananza del mae­

dovuta a Dillian Gordon, è invece andata in direzione riminese, suggerendo che si possa trattare del dossale

stro e il suo controllo limitato soprattutto alle parti di maggior rilevanza iconica, come appunto la lunetta

per l’altare di San Francesco a Rimini, e che nelle due figure di committenti inginocchiati siano ritratti proprio

con il Cristo e la processione dei cardinali, e il finto retablo d’altare.

Malatesta, con la sua terza moglie Margherita. I dipinti non sono facili da situare cronologicamente entro l’anno della morte di Malatesta, il 1312: la proposta rimane ugualmente intrigante, e la pertinenza francescana del dossale certamente assicurata.

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67

68 a-g


Padova

in Veneto, dove viene più volte replicata, ad esempio nel grande santuario francescano di San Fermo Maggiore a Verona. A Padova però compare una variante significativa: inginocchiato davanti alla scena – dove

Arrivato finalmente a Padova, Giotto approda in un territorio molto speciale, fortemente guelfo e

si vede il Sultano in trono e il mucchio dei frati, alcuni già decapitati, altri in via di esserlo, e il carnefice

legatissimo al potere pontificio, ma anche strutturato da forze e componenti non identiche a quelle fioren-

con la spada levata – c’è un altro frate in preghiera e con le mani giunte, aureolato, non altri che Antonio da

tine; e soprattutto, giunge in una città dove il francescanesimo ha meno il volto di Francesco, che quello,

Padova che in realtà non era presente sul luogo del martirio ma vide i resti mortali dei martiri nel convento

amatissimo e identitario per l’intera collettività locale, di Antonio, il frate iberico la cui maggiore attività

di Santa Cruz a Coimbra, in un momento per lui cruciale: giovanissimo, aveva avuto esperienze eremitiche,

si concentrò su Padova, tanto da esserne poi definitivamente anche nominato. Anche per Padova vale il

ma la vista dei martiri ne orientò decisamente la scelta verso il francescanesimo. Quello di Marrakech è

medesimo interrogativo che per Rimini: chi chiamò Giotto, e in quale ordine di priorità si devono disporre

dunque un episodio che per Antonio fu vocazionale; degno di esser posto in parallelo con quello, per così

le sue opere, che – contrariamente a quanto si è visto prima – a Padova sono in buona parte conservate, a

dire definitivamente vocazionale di Francesco, la sua stigmatizzazione.

partire naturalmente da quello che è il capolavoro sopravvissuto di Giotto, la cappella dell’Arena dipinta

Rispetto al clima di Assisi, quello di Padova sembra in qualche modo più fosco, più passionale, più

per Enrico Scrovegni? Fu forse Enrico, in quanto maggiorente danarosissimo padovano in rapporti stretti

concentrato su temi di morte e di martirio. Sulle pareti restanti – che non mostrano temi narrativi ma solo

e ottimi con il papa trevigiano Benedetto

a sapere di Giotto probabilmente attraverso contatti romani;

figure di santi e profeti in piedi entro una monumentale, finta architettura ad arcate che struttura intera-

o forse furono, appunto, i francescani, che sicuramente avevano avuto sentore di quanto accaduto ad As-

mente le pareti – se ne ha una conferma. Le figure di profeti sono quelle di David, Isaia, e Daniele, tutti con

sisi, a Pisa, a Rimini. Ancora una volta una convergenza di volontà è possibile: ma non c’è vero accordo,

cartigli recanti citazioni dai loro libri della Bibbia, senza eccezione scelte in allusione alla morte di Cristo

ancora, negli studi, circa la sequenza dei lavori compiuti a Padova. La cappella dell’Arena, magnifica e ben

e alle sue ferite. I santi sono Chiara e Caterina (senza alcun cartiglio, forse in quanto donne), Giovanni

conservata, si impone all’attenzione, datata com’è con ogni verosimiglianza al 1303-1305; ma consistenti

Battista, e naturalmente Francesco, il cui cartiglio è una citazione da san Paolo ma allude alle stigmate di

tracce giottesche esistono anche al Santo, specialmente nella sala del Capitolo, e in misura ridottissima in

Cristo «io porto nel mio corpo le stigmate del signore Gesù Cristo». La teoria di figure è conclusa dalle

una delle cappelle del deambulatorio, dedicata a Santa Caterina e originariamente – questo è il punto – di

due affiancate di Antonio – il cui cartiglio è citazione dal libro di Giobbe e ricorda l’«uomo che una volta

proprietà Scrovegni. Infine, una recente scoperta di Giacomo Guazzini ha individuato nella rovinata deco-

morto è consunto e denudato» – e della Morte, rappresentata come uno scheletro e per la quale è stata

razione pittorica della cappellina “della Mora”, una piccola struttura addossata sull’esterno del transetto

usata una citazione dal libro di Sirach che termina con il terribile «sic enim erit et tuum; Heri mihi hodie

nord della chiesa del Santo, tratti che con buone ragioni gli hanno permesso un’attribuzione a Giotto, forse

tibi», «quello che sono sarai anche tu, ieri a me, oggi a te», un trasparente memento della peribilità della

addirittura alla sua mano. Rimane ancora da ricordare che a Giotto i cronisti locali – e lo stesso Riccobaldo,

vita umana e dell’incombenza della fine.

xi,

che doveva conoscere molto bene la città – attribuiscono la decorazione, oggi perduta, del Palazzo della

Seppure questi toni foschi non siano sorprendenti in un contesto monastico, pure la sottolineatura

Ragione: l’edificio che è documentato in corso di ampliamento nel 1306 e 1307, ed è citato nel 1312 da

della corruttibilità del corpo, della ripugnante trasformazione della carne morta, l’insistente predizione

Riccobaldo Ferrarese quale opera completata e da Giotto dipinta.

della morte e l’ostentazione della sua immagine in forma di scheletro, fanno di questo programma un caso

L’aspetto che qui ci occupa non è però, ora, quello della cronologia delle opere, quanto quello del

unico tra tutti quelli noti per le sale capitolari d’Italia. Per queste ragioni ho messo in rapporto l’esecuzione

rapporto della figura e della persona di Francesco con le cerchie locali, e in particolare con l’intero sistema

degli affreschi con il Capitolo Generale francescano, tenutosi a Padova nel 1310, in occasione del quale fu

devozionale riunito attorno al personaggio di Antonio da Padova. Sembra di intravvedere una soluzione

organizzata la solenne traslazione dei resti di sant’Antonio: difficile precisare i luoghi esatti in cui vennero

per così dire gemellare, che affiora anche in molti altri luoghi, compresa la stessa Assisi, per non parlare

movimentate le reliquie del santo, ma il doppio evento è accertato, e l’ostensione delle reliquie deve aver

di Roma, dove ad esempio nelle duecentesche absidi del Laterano e di Santa Maria Maggiore le due figure

attirato l’attenzione collettiva proprio sul corpo perito del santo. La decisione di organizzare a Padova

vengono affiancate in quanto Dioscuri dell’affermazione del francescanesimo. A Padova, nella cappella

il Capitolo Generale non era certo presa a caso: si inquadrava infatti nel difficile momento vissuto dalla

di Santa Caterina non c’era forse alcuna pittura narrativa, ma solo decorazioni geometriche e medaglioni

Chiesa, nell’aspra e anche violenta contrapposizione tra spirituali e conventuali cui il papa Clemente v e il

con immagini di santi, oggi totalmente rifatte; nella cappellina “della Mora” si vede la Vergine tra David e

Generale dell’Ordine Consalvo di Valboa cercavano di porre argine facendo concessioni agli Spirituali in

Isaia, e angeli. Più tardi, al Palazzo della Ragione verrà eseguito un programma astrologico senza apparenti

termini di rigore, mortificazione del corpo, austerità e rinunce nel quadro della vita monastica. La cornice

tangenze con il francescanesimo. Nella sala del Capitolo, invece, doveva campeggiare sulla parete lunga

storica e ideologica sarebbe quindi molto ben compatibile con l’ipotesi dell’esecuzione degli affreschi in

una grande Crocifissione, soggetto abituale e quasi obbligatorio nelle sale capitolari conventuali: oggi non

vista del Capitolo – le cui riunioni si tenevano nella sala capitolare – che culminò nella traslazione dei resti

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ne restano che frammenti. Ai lati di essa appaiono però due riquadri, a sinistra la Stigmatizzazione di san

di Antonio. Altre ipotesi vogliono invece retrodatare l’impresa, e situare gli affreschi nei primissimi anni

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Francesco – mutilata nella fascia bassa e anche molto ritoccata e ridipinta – e a destra l’episodio del martirio

del secolo, addirittura prima del 1303 in cui, verosimilmente, Giotto iniziava il lavoro per Enrico Scrove-

dei cinque frati francescani massacrati a Marrakesh, in Marocco: una storia, quest’ultima, molto popolare

gni. Una retrodatazione che avvalorerebbe il primato francescano della chiamata di Giotto a Padova – in

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questo caso, Giotto sarebbe arrivato in città appositamente per dipingere il “capitolo nuovo” che appare nei documenti del Santo già dal 1303. Rimango scettica sulla datazione “stilistica”, ai miei occhi ardua per lo stato dei dipinti; la cornice storica sarebbe, a questo punto, assente, o limitata a una “normale” decisione decorativa. Aggiungo che – come vedremo tra poco – una “coppia” costituita dalle figure affiancate di Francesco e della Morte, rappresentata come uno scheletro, appare sulla parete del transetto destro della chiesa inferiore di Assisi, brano di un programma pittorico gestito da Giotto e dalla sua bottega, a una 73

data che ho indicato come subito successiva al 1310, e in un quadro di committenza cui partecipò proprio Consalvo di Valboa, ritratto insieme a san Francesco e sant’Antonio ai piedi della croce di Cristo, nella scena della Crocifissione dipinta di fronte alla “coppia” del memento mori. Seppure mai conclusivi, questi indizi vanno quanto meno discussi e valutati al pari di quelli stilistici, nel caso padovano resi perigliosi dai rifacimenti e dalle ridipinture. E più che ardua, infine, è la datazione che è stata attribuita all’ultimo lacerto che ci rimane da analizzare, e che si trova in un ambiente attiguo alla sala capitolare del Santo, il cosiddetto parlatorio. Lì, uno a fianco dell’altro, appaiono i resti assolutamente massacrati e al limite della totale illeggibilità, di due Lignum Vitae, uno con la figura centrale del Cristo crocifisso, l’altro con san Francesco. Quest’ultimo è circondato da medaglioni, ben 48 secondo Alessandro Simbeni, recanti, si direbbe, le sue storie e miracoli. Ragionevolmente, quanto si vede oggi sulle pareti del parlatorio non può indurre nessuno studioso dotato di sufficiente prudenza a pronunciare giudizi definitivi: l’unica considerazione possibile è quella attinente al tema generale, di radice bonaventuriana e centrato sul parallelismo tra Francesco e Cristo, così radicato nella forma mentis francescana da non aver bisogno di ulteriori commenti. Partire dalle larve sopravvissute sulle pareti per azzardare una datazione prima o dopo la cappella dell’Arena, o emettere valutazioni sulla qualità delle stesure pittoriche è a mio avviso scelta impercorribile. Per quello che ne resta, la costruzione delle architetture, e qualche tratto delle figure umane, appaiono ben lontani dalle altezze Scrovegni, e parlano piuttosto degli effetti del soggiorno di Giotto a Padova e dell’adesione di pittori locali alle sue formule: non certo della prima apparizione in città del più grande pittore del Trecento italiano.

62-63. Giotto, pala della Stigmatizzazione, Parigi, Musée du Louvre. Visione d’insieme e dettagli della predella con – dall’alto – il Sogno di Innocenzo iii, l’Approvazione della Regola e la Predica agli uccelli.


64. Veduta della cappella di San Nicola, Assisi, basilica inferiore. 65. Lunetta sopra l’ingresso.


66. Retablo affrescato sopra il monumento funebre.

67. Giotto, croce dipinta, Rimini, Tempio Malatestiano.


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68 a. Giotto, NativitĂ , New York, Metropolitan Museum of Art. 68 b. Id., Presentazione al Tempio, Boston, Isabella Stewart Gardner Museum. 68 c. Id., Ultima Cena, Monaco, Alte Pinakothek. 68 d. Id., Crocifissione, Monaco, Alte Pinakothek. 68 e. Id., Deposizione, Firenze, Villa i Tatti, Fondazione Berenson. 68 f. Id., Discesa al Limbo, Monaco, Alte Pinakothek. 68 g. Id., Pentecoste, Londra, National Gallery.


69-70. Giotto, Stigmatizzazione di san Francesco e Martirio dei francescani, Padova, basilica del Santo, sala capitolare.


71. Parete con figure di santi e profeti.


72. Dettaglio delle due figure di Antonio e dello scheletro. 73. Assisi, basilica inferiore, transetto destro, Francesco e lo scheletro.


DI NUOVO ASSISI

La cronologia relativa e la sequenza esecutiva dei segmenti di programma sono state accertate mediante l’osservazione delle stesure di intonaco: le sovrapposizioni parlano chiaro, fu dipinto per primo il ciclo dell’In-

Francesco e Giotto nella chiesa inferiore di Assisi. Il transetto e le Vele

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fanzia, poi la Crocifissione, poi le Vele, infine il transetto sinistro lorenzettiano; i tre pannelli con i Miracoli

74-75, 77-81,

post mortem nel transetto destro sono sovrapposti all’intonaco dell’Infanzia e all’Annunciazione che sovrasta

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Già alla fine del Duecento, quando Giotto dava inizio al grande ciclo della Leggenda nella chiesa supe-

l’arco della cappella di San Nicola e furono quindi eseguiti dopo tutti gli altri, difficile dire perché e a quale

riore, i responsabili del convento dovevano aver preso la decisione di variare in modo consistente la struttura

distanza di tempo. Se, come proposto da chi scrive, il francescano inginocchiato ai piedi della Crocifissione è

della basilica, ampliando la chiesa inferiore e aggiungendo all’originaria pianta a una navata, piccolo transetto

identificabile come ritratto del Generale dell’Ordine Consalvo di Valboa (1304-1313), la presenza imponente

e abside semicircolare, due vasti spazi alle due testate del transetto e, progressivamente, una serie di cappelle

di Antonio da Padova, subito dietro di lui, si può spiegare con la relazione devota di Consalvo, iberico di

aperte sui fianchi della navata. Queste ultime danneggiarono pesantemente il vecchio ciclo delle “vite paralle-

nascita, con il Santo anch’egli iberico, e rinviare quindi a quanto si è visto nel capitolo precedente, cioè alla

le” di Francesco e Cristo, dipinto proprio sulle pareti della navata: il confronto con la nuova smagliante serie

decorazione della sala capitolare del Santo a Padova e al momento, il 1310, in cui Consalvo gestì il capitolo

di storie della chiesa superiore certo doveva aver fatto sembrare i dipinti medioduecenteschi ormai superati,

generale dell’Ordine e la traslazione dei resti di Antonio. Non stupisce certo il fatto che Consalvo, Generale

e quindi aver indotto a danneggiarli senza troppi scrupoli.

dell’Ordine, prestasse la massima attenzione ai santuari dei due santi francescani più importanti, Padova e

L’apertura dei nuovi spazi fu funzionale a quanto ormai era normale nelle chiese mendicanti: i conventi

Assisi; né stupisce che egli abbia voluto comparire in un quadro devoto come quello della Crocifissione. Il do-

li attribuivano, per non dire li vendevano, a famiglie e personaggi in grado di ottenerli e di usarli, preva-

cumento circa le preoccupazioni conservative del 1311, per quanto non molto eloquente, combacia bene con

lentemente come mausolei familiari e, ovviamente, come strumenti di autorappresentazione e prestigio di

queste indicazioni cronologiche. Si può dunque ipotizzare che il gruppo Infanzia-Crocifissione possa essere

individui e stirpi. Ad Assisi, ambedue le testate del transetto furono prese dal cardinale Napoleone Orsini,

datato attorno al 1311-12; le Vele potrebbero seguire subito, o qualche tempo dopo, considerando anche che

che in origine voleva usarle per la propria sepoltura ma che poi preferì la basilica vaticana. Della cappella di

il team dei pittori fu a evidenza rinnovato e integrato rispetto a quello dell’Infanzia; Pietro Lorenzetti inter-

San Nicola, divenuta anche sepoltura del giovane Gian Gaetano, abbiamo già visto; l’altra testata rimase di

venne ancora dopo. Il colpo di stato ghibellino ad Assisi e i relativi tumulti e bellicosità di certo sconsigliano

fatto vuota e incompleta. Via via che si aprivano le cappelle laterali sui lati della navata, la chiesa inferiore

di pensare a lavori in corso fra il 1319 e il 1322; è possibile che tutto il progetto fosse realizzato entro il 1319,

rischiava però di diventare un luogo malconcio, con i vecchi affreschi danneggiati, i nuovi spazi appaltati a

sospeso tuttavia il giudizio sui tre pannelli post mortem.

singoli personaggi che vi svolgevano tematiche da loro preferite, e nessuna coerenza complessiva. La neces-

Il programma, nato presumibilmente con intenti di generale coerenza, rimane di fatto composito. Appa-

sità di garantire una nuova veste iconografica e decorativa allo spazio che circondava l’altare e la sottostante

rentemente, la scelta di strutturarlo sull’asse tematico cristologico suona del tutto coerente non solo con le più

tomba di Francesco dovette apparire chiara ai responsabili del convento e alla dirigenza dell’Ordine, il cui

generali esigenze della religione cristiana, ma anche con lo specifico profilo di Francesco, il cui rapporto strettis-

Generale era fin dal 1304 quel Consalvo di Valboa di cui abbiamo discusso a proposito del programma del

simo con Cristo ha già occupato tutte le precedenti pagine di questo saggio. Tuttavia, il “trattamento” imposto

Capitolo di Padova. Una data possibile per agganciarvi la decisione potrebbe essere – con ulteriori ragioni cui

poi al segmento di soggetto specificamente francescano, quello delle Vele, si differenzia in modo radicale da

si accennerà più avanti – il 1311, quando a seguito di un allagamento i frati scrissero al Comune per chiedere

qualsiasi altro realizzato nella chiesa stessa o, di fatto, altrove nell’Ordine. Guardando le allegorie delle Vele, e

che la basilica fosse curata e protetta, forse un indizio di pitture appena realizzate o dell’intenzione di farne.

immaginando anche la Gloria nell’abside, è evidente che la scelta ha deliberatamente perseguito due obiettivi.

Mentre gli apparati pittorici delle cappelle, inclusa quella di San Nicola e, a venire, quelle della Maddalena

Il primo, è un’esaltazione della figura di Francesco quale nemmeno il ciclo della chiesa superiore aveva

e di Gentile Partino da Montefiore, erano inevitabilmente sottomesse a un compromesso fra le esigenze del

tentato. A chi celebrava la messa all’altare, ai pellegrini che percorrevano la navata avvicinandosi all’altare e

committente “privato” e i desiderata del convento, il discorso sviluppato nel transetto, nella volta del coro e

alla tomba, via via appariva sulla volta – dunque in corrispondenza della tomba – l’immagine di Francesco

nell’abside riguardò di fatto spazi non appaltati, quindi ricadenti sotto il solo controllo dei frati e nell’ambito

assiso in trono come il Cristo nelle Maestà absidali romane. Tutto parato d’oro, con un vestito che ne nascon-

delle loro piene facoltà decisionali.

de il corpo mostrato assolutamente frontale, stagliato contro il drappo rosso dello schienale e in asse con lo

Il programma, però, non si salvò da problemi, incoerenze e intoppi. L’asse strutturale fu cristologico, con

stendardo anch’esso rosso con croce e stelle dorate, Francesco ha perso ogni connotazione “realistica”, è tra-

le storie dell’Infanzia di Cristo nel transetto destro (affidate a un pittore e a maestri verosimilmente controllati

sformato in una creatura atemporale e soprannaturale. Alle spalle di questa Vela, la Gloria perduta e descritta

a distanza da Giotto) e quelle della Passione nel transetto sinistro (dipinte da Pietro Lorenzetti); nell’abside,

da Ghiberti non poteva se non ripercuotere questa stessa impressione, accentuarla, forse ribadirne il contesto

i cui dipinti sono oggi seicenteschi, a metà Quattrocento Ghiberti vedeva una Gloria di san Francesco e della

paradisiaco abitato da angeli; e altri angeli accompagnano la figura di Francesco in trono nella vela, disposti in

Croce che egli riferisce a Stefano, il grande allievo di Giotto; nella volta del coro, il cosiddetto Maestro delle

gruppi simmetrici rispondenti alla ripartizione delle nove gerarchie angeliche e obbedienti al ritmo sinfonico

Vele, anche lui un pittore di ambito giottesco, dipinse le allegorie dell’Obbedienza, della Castità, della Povertà,

e simmetrico, quindi fortemente cerimoniale, della rappresentazione in cui anche le trombe suonate da due

e un San Francesco in trono fra una moltitudine di angeli.

degli angeli segnano assi perfettamente convergenti.

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Il secondo punto è più complesso, perché riguarda le complicatissime tre allegorie delle virtù francesca-

al pagamento del dipinto) ma che sono a evidenza “buoni”, e quindi fanno da contrappeso all’exemplum

ne, disposte nelle tre restanti vele della volta. Qui si vede chiaro come il linguaggio che prevale non sia più

“cattivo” dall’altra parte, lo scomposto Centauro che sta scandalizzando l’angelo a lui vicino e, selvatico e

quello icastico e brillante del Giotto della chiesa superiore, intrinseco alle ragioni profonde e costanti della

bestiale, simboleggia la Superbia. Miracolosamente, sul tetto della sala capitolare tra altri due angeli appare

sua ispirazione lungo tutta la sua carriera; è invece un linguaggio popolato di simboli, di dettagli, di allusioni

Francesco – escamotage compositivo perché riempie la punta della vela, ma anche presenza dominante – con

a noi spesso ostiche o addirittura oscure; strutturato da un’argomentazione che procede per exempla, spesso

mani e piedi nudi e stigmatizzati e il saio tagliato per esporre il costato ferito, e anche lui con il giogo sulle

di significato contrapposto per mostrare le facce del Bene e del Male; sostenuto da una sintassi paratattica,

spalle, ma con le mani di Dio che si tendono verso di lui porgendogli la corda cui cui cingersi.

additiva e frammentata, peraltro estremamente fascinosa se si ha il tempo di seguire con lo sguardo il succe-

Di fronte all’Obbedienza, la “cortese” Castità, per la quale il pittore ha preso in prestito le rappresentazio-

dersi di particolari, di figure e di colori, e di lasciarsi andare verso le molte sponde possibili dell’interpreta-

ni profane, francesi e italiane, dell’assalto al castello di Amore, e ha ritratto una fortezza con una torre – molto

zione. Julian Gardner, cui si deve il tentativo più recente e riuscito, di interpretare questo testo pittorico così

simile a quella di Palazzo Vecchio a Firenze, terminata nel 1313 – nella quale una fanciulla, la Castità, prega

complesso, ha giustamente insistito sul suo carattere non narrativo, quindi a-temporale: frutto di una forma

davanti a un trittico tutto d’oro appeso alla parete mentre due angeli le offrono una corona d’oro e un vaso

mentis certamente colta – e lo dimostra anche il modo in cui le iscrizioni, abbondantissime, collaborano alla

con fiori e foglie. La Purezza e la Fortezza, affacciate alle mura, accompagnano con il gesto delle mani altri

comprensione del significato, indirizzate a chi era in grado di leggerle e quindi in primo luogo alla comunità

due angeli che stanno battezzando una figura nuda immersa in un prezioso fonte marmoreo: altri angeli anco-

dei frati – ma anche aperta a linguaggi correnti, a gesti popolareschi o a topoi della cultura cavalleresca e cor-

ra attendono con in mano i drappi per asciugare il battezzato, un gesto tipico dell’iconografia del Battesimo

tese che forse erano ormai largamente condivisi da svariati strati e componenti della società e qui accentuano

di Cristo. Guardie armate proteggono il castello: sulla sinistra, Francesco aureolato e a piedi nudi accoglie

il sapore “contemporaneo” del programma. L’obiettivo, dunque, è stato quello di sperimentare un linguaggio

tre persone, un frate, una monaca, e un laico, tirandole verso di sé sulla piattaforma rocciosa – metafora

mai ancora utilizzato nell’ambiente francescano, ampliandone il bacino di pescaggio e includendovi elementi

paradisiaca – che sostiene tutte e tre le allegorie; a destra invece, angeli guerrieri e una figura vestita come

e immagini apparentemente propri della cultura profana anche più che di quella monastica. La specifica pa-

un frate col cappuccio ma munita di ali e qualificata dall’iscrizione come la Penitenza, respingono l’assalto

ternità del programma rimane questione aperta, e la regia di Giotto da valutarsi nei termini di una direzione

di mostruose personificazioni che le scritte identificano come Mors, Amor, Ardor e Immunditia e le buttano

generale del cantiere poi controllato da ulteriori figure intermediarie; d’altronde sono perdute opere di Giot-

giù dalla roccia. L’amore, dunque, quello non spirituale e sublimato, è definito quale passione disordinata e

to – ad esempio il celebre “Comune rubato” di Firenze – che, chissà, potevano forse mostrare simili aperture

immonda, sinonimo di morte.

verso il simbolo e l’allegoria in un momento in cui la progressiva pubblicazione delle cantiche della Divina Commedia accendeva sicuramente l’attenzione nei confronti di questo tipo di colta espressività.

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Infine, dalla parte della navata – e però la più facile a guardarsi da parte dei frati seduti nel coro – l’allegoria della Povertà, sempre messa in rapporto con l’anonimo Sacrum commercium S. Francisci cum Domina Pau-

Tuttavia, e anche al di là di questo tipo di considerazioni, questi affreschi sono anche un segnale eviden-

pertate. Il testo risale probabilmente ai primi decenni di vita del francescanesimo, ed è noto e ripreso anche da

tissimo delle vicende dell’Ordine, perché intervengono sui punti più bollenti del dibattito che agitava i frati e

Bonaventura: da lì viene l’idea dell’unione di Francesco e della Povertà come un vero e proprio matrimonio.

la Chiesa, e sulle questioni vitali che obbligavano ad attualizzare gli insegnamenti di Francesco e ad adeguarli

Anche qui, sulla destra, ai margini della rappresentazione appaiono due figure di laici, che un angelo sembra

alle nuove condizioni storiche. L’Obbedienza, la Castità, e soprattutto la Povertà appaiono veramente quale

invitare ad avanzare verso il centro, dunque verso Francesco. L’invito, verosimilmente, vale anche per indurli

debito pagato alle controversie tra i conventuali e i rigoristi: sia che si mantenga l’esecuzione delle Vele a se-

a rinunciare ai loro agi e ricchezze, invito che il primo gentiluomo, alla moda fino al punto di reggere sulla

guire strettamente il ciclo dell’Infanzia e la Crocifissione, sia che le si distanzi un po’, esse ricadono negli anni

mano inguantata un falcone, sembra accettare, mentre l’altro accanto a lui è ancora girato dall’altra parte e

della più aspra contrapposizione fra i gruppi, con i tentativi di mediazione di Consalvo di Valboa († 1313)

accenna con la mano verso il compagno, come additandolo alla figura più lontana, quella di un chierico ben

e di Clemente v († 1314) e fino all’elezione dell’autoritario papa Giovanni xxii (1316) e del nuovo Generale

avvolto nelle vesti e con in mano un rotolo di pergamena, che si sta anche lui girando verso la scena centrale

dell’Ordine Michele da Cesena (1316). Alla destra dei frati riuniti nel coro appariva l’allegoria dell’Obbedien-

e forse non è del tutto convinto di aderire al concetto che la ispira. All’estremo opposto, nell’angolo sinistro

za, che Giovanni xxii raccomandava ai frati – non a caso – come la virtù più importante. È inscenata in una

della vela, appare un gruppo che palesemente richiama la scena del Dono del Mantello, ben compatibile con

sala capitolare in cui appare anche una Crocifissione dipinta sulla parete; il gruppo centrale è quasi violento, vi

il tema della povertà. Domina invece il centro della scena, osservata da gruppi d’angeli, la triade con il Cristo

si vede l’Obbedienza – tutte le personificazioni di virtù sono connotate da un’aureola esagonale – che con viso

che unisce le mani di Francesco e di una donna alta ed emaciata, vestita di una veste chiara tutta rappezzata ed

cereo si porta il dito davanti alla bocca nel gesto del silenzio, e che impone il giogo a un frate inginocchiato

emergente da un fitto rovo spinoso che le copre la parte inferiore del corpo: ovviamente, la “Santa Povertà”,

che non ha volto ma ha il cranio nudo di un teschio, verosimile allusione al fatto che Francesco obbligava i

come attesta anche l’iscrizione. Speranza e Carità le sono vicine, e dietro di lei sorge un arbusto fiorito; invece,

frati a obbedire “come corpo morto”. Prudenza e Umiltà l’affiancano – nessun dubbio sulle identificazioni, i

in primo piano, due bambini le tirano sassi, e anche il cagnolino accucciato probabilmente le sta abbaiando con-

nomi sono inscritti a grandi lettere dietro le figure – mentre accanto al frate inginocchiato appare, a sinistra,

tro. Al di sopra del gruppo però appare il premio che attende Francesco: un angelo regge un abito scarlatto – il

un angelo che ‘presenta’ due nobili personaggi la cui identità non è chiara (forse nobili che hanno collaborato

medesimo con il quale egli ascende al cielo nella scena della Morte, nel ciclo della chiesa superiore – e un altro

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porta sulle mani un edificio con un portico, un corpo di fabbrica alto e merlato, e, dietro, un giardino cinto da

eloquenti gesti con le mani.

mura, verosimilmente allusione alla vita conclusa di frati e monaci. Le fasce che ornano i costoloni della volta

A dir poco marginalizzato nel ciclo della Leggenda giottesca, del tutto assente nell’acceso misticismo delle

sono fitte di simboli e immagini riferiti all’Apocalisse: lo sfondo di tutta la rappresentazione è dunque fortemen-

Vele, il Francesco taumaturgo viene ora a galla, con tre racconti che si svolgono in scenari urbani e sono po-

te escatologico, e gli elementi che proiettano l’intero insieme in una dimensione ultra temporale – le piattaforme

polati di laici e gente “normale”. L’identificazione degli episodi non è stata unanime ed è, questo, un ulteriore

rocciose, i fondi oro – sono funzionali a questa sottolineatura. Gli elementi realistici sono molti, ma sono per

indizio della sostanziale genericità dei temi attestati da Bonaventura e qui messi in figura. Come nelle prime

così dire annegati in questa a-temporalità e resi emblematici dalla proiezione apocalittica.

tavole francescane dipinte, ma anche come in tanti altri casi della pittura trecentesca italiana – il primo esempio che viene in mente è il retablo di Agostino Novello di Simone Martini – ciò che importa non è l’analisi

I miracoli post mortem

della figura di Francesco, e tanto meno il riferimento a questioni teologiche e storiche complesse; i santi sono coloro che aiutano la gente nelle loro difficoltà quotidiane, rimediano ai loro errori, salvano i loro cari, pro-

Il lungo tragitto attraverso gli affreschi di Assisi va a concludersi sulle tre scene dei miracoli post mortem: tre

teggono dai pericoli. I racconti rispondono dunque a queste categorie di necessità: così Bonaventura scrive

pannelli sostanzialmente anomali, aggiunti al ciclo dell’Infanzia nel transetto destro senza apparente coerenza.

dei miracoli compiuti da Francesco dopo la morte, li suddivide in categorie, i morti resuscitati, i salvataggi

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Due di essi sono situati sulla parete nord del transetto, ai lati dell’arcone aperto verso la cappella di San Nicola,

dai naufragi, insomma tutte le casistiche in cui le difficoltà della vita esigono un intervento soprannaturale.

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il terzo è invece sulla parete est, ad angolo con l’altra. Le evidenze materiali dicono che i due riquadri del-

Se questa apertura alla normalità di Francesco quale santo si debba alla committenza di qualcuno che aveva

la parete nord furono eseguiti inglobando una fascia sottile di intonaco che appartiene invece alla stesura

qualche ragione per ringraziare, qualche grazia ricevuta di cui rispondere, oppure se sia stato il convento a

dell’Annunciazione dipinta alla sommità dell’arcone e a sua volta pertinente la fase pittorica della cappella

volere questo segno di santità vicino alla tomba del santo, è interrogativo che rimane per ora senza risposta.

di San Nicola. Sembrerebbe possibile concludere che su quella parete la decorazione fu interrotta e non conclusa; meno probabile, per ragioni tecniche, che quanto già eseguito sia stato tolto e poi sostituito. Non ci si sottrae a un’impressione di disordine: per di più, sulla superficie pittorica del pannello della parete est, accanto all’angelo in volo, si vede una sorta di aureola dorata e la traccia di un tessuto dorato o forse di una grande ala; ma la pittura è cancellata e grattata fino a non lasciar capire se si trattasse, forse, di Francesco. Più a destra, sul cielo giusto a lato della chiesa affiorano due figure (Cristo e Pietro?) probabilmente campite sulla vela di una barca. Simili manipolazioni sono un fatto del tutto anomalo nella storia della basilica, dove non si potrebbe immaginare qualcuno libero di andare ad aggiungere dettagli o figurine su uno degli affreschi, poniamo, della Leggenda della chiesa superiore. Le storie raccontate nei tre pannelli affrescati raccontano dei miracoli compiuti da Francesco dopo la 86

morte. Nel pannello della parete est si vede un fanciullo giallovestito che cade a testa in giù da una torre; il momento del salvataggio non è messo in scena – o forse è stato cancellato dalle manipolazioni pittoriche – ma poco più in là rivediamo il ragazzo in piedi, in buona salute, attorniato da molte donne inginocchiate, da qualche gentiluomo e dai chierici che compaiono davanti a una chiesa; al centro della cerchia di donne si vedono due frati di profilo, uno tonsurato e l’altro no, mentre sulla destra appaiono due gentiluomini, uno in ginocchio, l’altro in piedi: sono forse meglio caratterizzati rispetto alle altre figure, e ci si chiede se possano rappresentare i committenti che forse così si “disobbligavano” di una grazia ricevuta. Bonaventura ambienta

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il miracolo in San Marco a Roma. Gli altri due pannelli invece raccontano la storia del ragazzo di Suessa, ucciso dal crollo della sua casa rappresentata in pezzi, con l’interno rovinoso: sulla destra del primo riquadro, la folla addolorata attorno ai due uomini che reggono in braccio il ragazzo riverso, ovviamente morto, sul corpo del quale donne scarmigliate inscenano un compianto simile a quello sul Cristo. Dall’altra parte dell’arco, la felice conclusione della storia: al primo piano di un edificio-loggia si vede Francesco in volo che tira su il ragazzo, e poi di nuovo il miracolato, che tre donne contemplano a mani giunte dall’interno della casa, scende la scala e si dirige verso il corteo di chierici ed elegantissimi laici (questi, senza eccezione, tutti uomini) facendo

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74. Assisi, veduta del transetto destro della chiesa inferiore.


75. Crocifissione.

76. Dettaglio della precedente: il gruppo inginocchiato ai piedi della croce.


77. Volta della crociera.


78. La Vela con San Francesco in Gloria.


79. La Vela con l’Obbedienza.


80. La Vela con la CastitĂ .


81. La Vela con la PovertĂ . Alle pagine seguenti 82-83. Dettagli del San Francesco in Gloria e della Vela con la PovertĂ .



84-85. Assisi, basilica inferiore, i due miracoli post mortem sulla parete di fondo del transetto.

86. Il miracolo vicino alla scala che sale alla chiesa superiore.


FIRENZE, SANTA CROCE. LE CAPPELLE DEI BANCHIERI

suo santo Fondatore e le sue più importanti devozioni, lasciando però altrettanto spazio a figure del tutto emblematiche per la storia della Chiesa.

Nel 1295 venne posta la prima pietra della nuova, magnifica chiesa di Santa Croce a Firenze. Sostituiva

La parte della fotografia che riguarda Giotto è, purtroppo, in parte strappata. Se è vero quello che aveva

le due precedenti e più piccole chiese, e siglava la straordinaria crescita, sociale, finanziaria e intellettuale

scritto Lorenzo Ghiberti, in Santa Croce Giotto aveva dipinto quattro cappelle e quattro pale d’altare, si sup-

dell’istituzione francescana fiorentina. Un importante motore della decisione fu il dono della reliquia della

pone, quelle per le cappelle in questione. Di conseguenza, ci manca quasi la metà dell’opera: abbiamo solo, e

Croce, che Luigi ix di Francia aveva comprato per una cifra favolosa dal re Baldovino di Fiandra, imperatore

in parte danneggiate, le due cappelle di san Francesco e dei due Giovanni (rispettivamente, Bardi e Peruzzi)

di Costantinopoli, costruendo per essa la Sainte-Chapelle a Parigi e donandone un frammento a Firenze. La

e possiamo forse includere anche la Baroncelli, che venne fondata nel 1328 alla testata del transetto destro

reliquia fu racchiusa in una croce di cristallo di rocca, opera del veneziano Maestro Bertuccio, e attorno ad

ed ebbe la pala d’altare firmata da Giotto e il ciclo d’affreschi di Taddeo Gaddi che forse in qualche modo

essa fu, per così dire, costruita la chiesa, che intorno al 1310 doveva essere completata almeno per quanto

seguiva linee di progetto ancora da Giotto stesso – a quella data al lavoro a Napoli per Roberto d’Angiò –

riguarda tutta la metà orientale, quindi il coro, il transetto e la prima campata della navata.

indicate e controllate. Anche questo stato di informazioni un po’ tarlato, tuttavia, ci dice che a Santa Croce

Si trattò di un progetto ambiziosissimo, in cui si legge con assoluta chiarezza la realtà storica del convento,

si erano insediate le due Compagnie più ricche e potenti del Trecento, i Bardi e i Peruzzi, e che i loro mecca-

la sua posizione in seno alla società fiorentina e la sua relazione con la storia e con la tradizione dell’Ordine. A

nismi di autorappresentazione e prestigio familiare trovarono ampio spazio nella chiesa francescana grazie al

guardarne la pianta (si veda a p. 178), oggi, e se si segue il filo delle dedicazioni delle cappelle che affiancano

pennello del più importante artista del Trecento italiano. Il quale – ed è un dato mai ben spiegato ancora dagli

la cappella maggiore sui lati del transetto, si vede come esse disegnino una mappa precisa delle devozioni fran-

studi – usò per soddisfarli due tecniche molto diverse: il buon fresco per i Bardi, la fragile pittura a tempera

cescane, e anche, a verificarne poi l’assegnazione sociale, come precisamente e saldamente situino il convento

su muro per i Peruzzi, implementata e impreziosita da applicazioni metalliche che dovevano renderla simile

fiorentino all’assoluto vertice dell’élite cittadina. Nel concedere gli spazi della chiesa alle famiglie che li voleva-

ad un elaborato, mirabile dipinto su tavola. Vicine l’una all’altra, le due cappelle dovevano essere ambedue

no per il proprio uso specialmente funerario, i francescani di Firenze non ebbero dubbi nella scelta dei gruppi

magnificamente superbe, scarsamente visibili a chiunque si trovasse nel transetto perché chiuse da grate di

familiari che nel corso della prima metà del Trecento guidavano l’economia della città e, si può ben dire, dell’I-

ferro e quindi riservate allo stretto uso familiare – e, si può supporre, accessibili però ai frati del convento.

talia e dell’Europa: i banchieri, nati come imprese locali e rapidissimamente trasformati in società ramificate

I problemi cronologici che gli affreschi giotteschi continuano a sollevare non sembrano del tutto risolti,

ovunque, dal nord Europa alle coste mediterranee mediorientali, arbitri del potere di città e di sovrani e ad essi

e certo non possono essere sbrogliati usando l’argomento della tecnica: qui non ne discuteremo nel dettaglio,

legati anche negli svolgimenti del loro proprio tragitto, fino al disastro che li fece alla fine fallire e li travolse.

ma diremo che secondo la verosimiglianza stilistica, i dipinti Peruzzi sembrano plausibili a non eccessiva

La pianta del coro e del transetto, si diceva, parla chiaro. La cappella maggiore fu inevitabilmente de-

distanza da quelli per Enrico Scrovegni a Padova, mentre gli affreschi Bardi appaiono già più inoltrati verso

dicata alla Croce. A destra e a sinistra di essa, le cappelle dedicate alla Vergine e a san Francesco disegnano

il “punto di stile” del Giotto maturo, difficilmente prima della fine del secondo decennio del secolo. Un utile

una vera e propria Deesis, cioè la preghiera di intercessione che nell’iconografia medievale più tradizionale

aggancio per la datazione è la presenza, negli affreschi Bardi, di San Ludovico da Tolosa, il fratello di Roberto

vede la Vergine accanto al Figlio, e dall’altra parte, come in una versione simbolica della scena della Croci-

d’Angiò canonizzato nel 1317. Quanto al ciclo Peruzzi, una recente proposta di chi scrive ha usato il “ritrat-

fissione, Giovanni Evangelista. Talvolta, al posto dell’Evangelista può figurare il Battista (come nel Giudizio

to” della torre delle Milizie riconoscibile in uno dei riquadri, per legarlo agli eventi dello scontro dell’armata

di Pietro Cavallini a Santa Cecilia in Trastevere, a Roma); nella volta della seconda campata della basilica

guelfa con l’imperatore Enrico

di Assisi ne appariva una sorta di versione condensata in quattro medaglioni, dove accanto al Cristo, alla

all’estate-autunno 1312. Il drastico cambiamento di stile tra i due appartiene a quanto di Giotto resta comun-

Vergine e al Battista, Francesco faceva ingresso nel sommo Olimpo cristiano. A Santa Croce, la cappella al

que inesplicabile, e non cessa di stupire la sua capacità di mutare, inventare, adattarsi, e molto probabilmente

posto d’onore alla destra della Croce è riservata alla Vergine (il punto di vista è sempre quello dell’altare,

anche organizzare équipes di lavoro con maestri dotati spesso di forte autonomia e di personalità forse intri-

quindi con spalle all’abside verso la navata) mentre dall’altra parte, a sinistra, c’è quella dedicata a Fran-

gante e influente anche sullo stesso maestro e direttore del cantiere.

iv,

e quindi orientare la datazione del ciclo a un momento subito successivo

cesco. Accanto a questa si apre quella consacrata ai due Giovanni, il Battista e l’Evangelista: figure cruciali

L’altro argomento talvolta usato per individuare almeno la cronologia relativa tra le due cappelle è quello

nella devozione francescana e nella storia personale di Francesco, in quanto “titolari” della basilica del

del soggetto dei cicli: talvolta è infatti sembrato poco plausibile che nell’ordine di esecuzione non sia stata data la

così come

priorità ai Bardi, che fecero eseguire un ciclo di storie di san Francesco e possedevano la cappella subito accanto

la attestano le fonti letterarie e figurative. All’estremo del transetto destro, la devozione di Francesco a san

a quella absidale, rispetto ai dipinti Peruzzi che trattarono le due storie parallele del Battista e dell’Evangelista

Michele Arcangelo detta la dedicazione di un’altra cappella, mentre nel transetto sinistro prevalgono figure

nello spazio attiguo alla Bardi. L’argomento, tuttavia, ai miei occhi è molto fragile: come si sa, e si dirà anche

“pontificie”, san Silvestro, e i diaconi e protomartiri Lorenzo e Stefano. Per quanto è noto, sembra dunque

tra poco, le ansie di primato tra i gruppi familiari fiorentini dovevano essere ben complesse, e le circostanze dei

che la scelta delle dedicazioni sia stata il frutto di un progetto complessivo e deliberato, tenuto saldamente

loro progetti in Santa Croce dipendenti da una somma di fattori – di storia cittadina e familiare, e forse anche di

in mano dal convento, che diede pochissimo o nessuno spazio a devozioni o a santi locali, e “fotografò” il

questioni più occasionali e congiunturali – impossibili da ridurre, oggi, a un presunto “dover” dare la priorità

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Laterano, che Francesco sostiene sulle sue spalle nella celebre scena del Sogno di Innocenzo

iii,

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all’esecuzione del ciclo di storie del Fondatore o all’ordine di decorazione di cappelle comunque appaltate e

no numerosi, ognuno ammantato nel saio di sfumature cromatiche variabili, dal beige al rosa al marrone più

quindi almeno in parte controllate dalle decisioni private dei proprietari. Più ragionevole, credo, sarebbe pen-

scuro, senza alcuna traccia di rappezzature; le maniche sono enormi, la stoffa sbuffa in vita lì dove la corda la

sare a un progetto generale, con una serie di dedicazioni e quindi di nuclei concettuali e iconografici stabiliti

trattiene, e arriva fino a terra. Nessun frate mostra i piedi, Francesco incluso: nella scena dell’Approvazione

dal convento sulla base della logica di cui più sopra abbiamo esposto alcuni elementi; e poi una realizzazione

della Regola, lui è in ginocchio e un suo piede sembra uscire dal saio e poggiarsi sulla veste del compagno

snodata nel corso di vari anni, concordata con le famiglie secondo le loro esigenze, possibilità e volontà.

retrostante, ma si può esser sicuri che si tratti di un’interpretazione del restauratore, dovuta agli interventi

Il tema di questo saggio impone di concentrare la maggiore attenzione sui dipinti Bardi, appunto in quan-

non filologici sofferti dai dipinti nel corso del tempo. La lunghezza e l’ampiezza del saio erano state oggetto

to strettamente attinenti la figura e la storia di Francesco. È un ciclo a dir poco innovatore: per lo stile, che

di feroci dibattiti tra i rigoristi e i conventuali: gli affreschi Bardi, e Giotto con loro, prendono posizione

come si è detto segna una svolta e un punto di non ritorno nella pittura di Giotto, ma anche in quanto raccon-

nettissima in favore dei conventuali. Gli studi di Julian Gardner hanno molto ben contestualizzato e stori-

to rivoluzionario rispetto ai modelli esistenti, ivi compresi quelli di Giotto stesso, ad Assisi. Le condizioni era-

cizzato anche questa “presa di posizione”, spiegandola non solo con la pressione, per così dire, dell’opulenta

no del tutto diverse, e diversissima è la concezione del ciclo. Giotto forse andò a riguardare e rimeditare le sue

società fiorentina sul convento francescano, ma individuando anche gli individui specifici a cui far risalire la

ventotto scene assisiati, e altrettanto magari fecero i frati del convento: ma pittore e committenti dovevano

responsabilità degli orientamenti e delle decisioni del convento. Personaggi come fra Jacopo de’ Tondi, fra

tutti essere consci che lo spazio della cappella era di fatto un vano molto stretto e molto alto, nulla a che fare

Illuminato, fra Manfredo Bondi, fra Andrea Tolomei, tutti frati a Santa Croce, erano stati attaccati dal grande

con le vaste proporzioni della navata assisiate. Il che non comportava soltanto l’eliminazione della maggior

accusatore, Ubertino da Casale, “capo” degli Spirituali e rigorista implacabile, proprio in quanto responsa-

parte della materia narrativa, ma anche condizioni di visibilità molto più difficili – l’osservatore, chiunque

bili del rilassamento dei costumi, dell’abbandono dei principi di umiltà e povertà predicati da Francesco, e

egli fosse, non poteva se non guardare da sotto in su sbirciando in tralice le scene alte – e, per chiunque non

dell’adesione a comportamenti mondani e a scelte lussuose. Ubertino ce l’aveva moltissimo contro gli abiti

fosse della famiglia, quasi impossibili per la distanza e per la presenza delle grate, non si sa quanto fitte. Più

troppo comodi e costosi: la polemica in favore delle stoffe rozze e rappezzate dà chiaro il senso di quanto

che significativa fu dunque la decisione di prelevare la scena-chiave della santità di Francesco, la Stigmatiz-

invece i frati a Santa Croce si vestissero nel modo che Giotto ritrae, con soffici tessuti di ampiezza avvolgente

zazione, e di affiggerla come un manifesto al di fuori della cappella, sulla parete prospiciente il transetto: lì,

e comoda. Fra Illuminato era collezionista di libri, un’idea che avrebbe orripilato san Francesco ma che deve

tutti potevano vederla, stando nel transetto o anche guardando dalla navata, essendo l’affresco situato così in

aver incrementato il tasso di cultura, per così dire, del convento; Jacopo de’ Tondi fu a Santa Croce fino al

alto da superare anche lo sbarramento del tramezzo che nel Trecento divideva in due lo spazio della chiesa.

1310, poi, come Gardner ha indicato, passò ad Assisi come ministro provinciale fino al 1314, una circostanza

Come a Pisa, Francesco appare assolutamente solo nel paesaggio roccioso: non c’è frate Leone a testimonia-

non innocente in rapporto agli svolgimenti pittorici e contenutistici delle decorazioni nei due conventi.

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re il miracolo, e anche la cappella – con finestre e rosoncino ornati di marmi traforati – ha come sempre la

Seguendo il filo “biografico” della storia di Francesco, il senso della lettura inizia dalla lunetta sini-

porta socchiusa ma nulla traspare dell’arredo interno, mentre sulla sinistra, il varco di una grotta è forse il

stra, con la Rinuncia ai Beni, di fronte alla quale c’è l’Approvazione della Regola; sotto questa si vede la

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luogo in cui aveva trovato asilo il santo. Ma in modo assolutamente nuovo rispetto a tutte le altre versioni del

Prova del Fuoco e, di fronte, l’Apparizione al Capitolo di Arles; sotto l’Apparizione, le due scene conflate della

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miracolo, l’occhio di chi guarda viene assorbito dalla luminescenza che proviene dal Cristo e avvolge di un

Morte e della Verifica delle stigmate, e infine, a destra, la Visione di Agostino e del vescovo Guido di Assisi,

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chiarore morbido il centro della scena, strutturandola con un’unica, possente diagonale indicata dal corpo

risolte in un unico riquadro come già era ad Assisi. La scelta è stata dunque in parte inaspettata: sono state

del Cristo e dal profilo delle rocce. Francesco ha un ginocchio posato al suolo e l’altro sollevato, come colto

lasciate fuori scene celebri e molto identitarie come il Presepe di Greccio o la Predica agli uccelli, si direbbe

di sorpresa e bloccato a metà di un movimento, con il corpo ritorto verso l’apparizione e le braccia aperte in

proprio in quanto scene “di massa” e di sensibilità vasta, se non addirittura popolare. L’interesse dei commit-

un drammatico gesto di resa. Molto più che nelle precedenti versioni, Giotto ha lavorato sulla psicologia del

tenti, manifestamente, non andava in quella direzione. Il programma, a volerne tentare uno schizzo essenzia-

protagonista, dipingendone la sorpresa e l’abbandono totale, insistendo sull’espressione del volto: è la quarta

le, sembra offrire tre “tagli”, corrispondenti alle coppie affrontate di scene, il primo in alto con l’inevitabile

volta che ritorna sul tema, e ogni volta lo approfondisce, lo medita, ne fornisce una lettura diversa.

dittico fra la scelta della povertà e la copertura che a tale scelta impone la Chiesa; il secondo, mediano, con

Nella cappella, una finta struttura architettonica inquadra soprattutto la parete di fondo, dove le figure

l’irraggiamento della missione di Francesco presso gli infedeli e il suo miracoloso esser comunque presente

dei santi sono incastonate su piedistalli e all’interno di nicchie con archi trilobati; negli angoli con le pareti

con i suoi frati; infine, la morte e la verità delle stigmate, e la certezza della sua santità in coloro che rimango-

laterali ci sono finte colonne tortili, e tutta l’incastellatura era certamente integrata dallo zoccolo a finti marmi

no. Il senso della lettura è bustrofedico, si svolge cioè in sequenza serpentiforme da sinistra a destra in alto,

oggi molto mutilo. Le scene delle pareti laterali invece non entrano in nessun particolare dispositivo illusivo:

poi scende da destra a sinistra nel registro mediano, in basso si conclude da sinistra a destra; l’Apparizione al

tre su una parete, tre sull’altra, sono separate tra loro solo da fasce di finta decorazione cosmatesca. Come

Capitolo di Arles è quindi posposta alla Prova del Fuoco, come ad Assisi, e non come in Bonaventura. Rispetto

è già stato ben rilevato, l’invenzione di tutte e sei le storie non dà alcuno spazio al paesaggio, e introduce il

ad Assisi, tuttavia, la variante è molto meno significativa: nella cappella, le storie non intendono più raccon-

fondo azzurro solo dove serve come puro contorno e complemento alla scenotecnica narrativa. I racconti si

tare la biografia di Francesco, bensì discuterne concetti emblematici, in cui il ‘filo’ della storia personale del

svolgono in scenari urbani o in interni di ambienti, popolati di figure monumentali e solenni; i frati vi appaio-

santo è diventato sottilissimo.

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La portata simbolica del programma è accentuata, infine, dalle figurazioni della volta. Nelle vele della

chiara. Al centro però i dubbi svaniscono. Il papa vestito del liturgico manto rosso è assiso tra due cardinali, e

crociera, quattro tondi fintamente scorciati contengono le personificazioni delle virtù francescane, le stesse

regge il rotolo con la Regola che Francesco prende in mano compunto, tenendo l’altra mano posata sul petto.

che nelle Vele di Assisi avevano ricevuto l’ampia e dettagliata redazione di cui abbiamo visto più sopra.

Dietro di lui, la turba dei compagni: questa volta, le teste sono dodici (e soltanto una, è chiaramente tonsurata),

Sull’ingresso si vede l’emaciata Povertà; al di sopra dell’Approvazione, l’Obbedienza, e di fronte, al di sopra

dunque a Francesco viene di fatto assegnata una dignità cristologica.

della Rinuncia, una rovinatissima Castità ormai quasi cancellata; del tutto perso è il quarto medaglione che, se

Il meccanismo di contrapposizione, ovviamente favorito dalle condizioni dello spazio a disposizione,

il confronto con Assisi è valido, certamente doveva rappresentare San Francesco in gloria. Nonostante la di-

funziona anche nella successiva coppia di scene, la Prova del Fuoco e l’Apparizione al capitolo di Arles. Qui,

versissima redazione, la coincidenza è significativa, sia per quel che attiene la cronologia dei due programmi,

le dinamiche sono meno affidate alla descrizione degli spazi, e sono piuttosto imperniate sui gesti e, però, ac-

sia per l’eventuale ruolo di figure-ponte – come il citato Jacopo de’ Tondi – presenti in ambedue i conventi.

compagnate da un’espressività del colore particolarmente deliberata. Nell’episodio della Prova racconta che

Gli aggiustamenti nei confronti delle scene assisiati convincono del fatto che una forte volontà e un’im-

Francesco andò dal Sultano e si offrì di affrontare il fuoco per mostrare la propria fede. Giotto, ancora una

placabile intenzionalità vigevano dietro il dettaglio delle composizioni. Molto è già stato scritto circa la nuova

volta, cambia sostanzialmente la scenotecnica impiegata ad Assisi. Lì, il ritmo della scena era quasi ternario,

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ambientazione della Rinuncia: rispetto ad Assisi, Giotto ha rivoluzionato la messa in scena, l’ha di fatto ribaltata.

con i teologi mussulmani (gli ‘alim) raggruppati all’estrema sinistra, Francesco e il suo compagno frate al cen-

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L’affresco di Assisi era incernierato sul vuoto che occupa il centro dello spazio della rappresentazione e funge

tro, e tra loro il grande fuoco; a destra invece il Sultano nel trono dai gradini ornati di leoni dorati, protetto

da visualizzazione semplice ed efficacissima del succo simbolico della storia: a sinistra la folla degli astanti e il

dai soldati. Nella Bardi, il cambiamento è impressionante. Il centro della scena è occupato dalla solenne figura

padre di Francesco con in mano gli abiti rifiutati, a sinistra il gruppo dei due chierici e del vescovo che copre

del Sultano ammantato di rosso e assiso in trono, in un ambiente stereometrico quanto quello della Regola,

Francesco. Il vuoto era interrotto soltanto dalle mani giunte di Francesco, in diagonale con quella di Dio be-

bianco di marmi e con la sommità decorata di creature scolpite con cornucopie. Assiso al giusto centro della

nedicente, in alto. Gli edifici che fungevano da quinte architettoniche erano connotati come residenze civili, a

composizione, il Sultano mostra con il suo corpo i segni di un contrasto interiore, e invece di dominare sem-

sinistra, e con elementi di tipo liturgico, a destra. A Firenze, un edificio grandissimo, munito di un impenetra-

plicemente la scena si torce in un forte contrapposto, indicando con il braccio destro il grande fuoco, e vicino

bile e altissimo zoccolo senza aperture e, al di sopra di esso, di una loggia aperta e ornata, è posto ad angolo,

ad esso, Francesco con la mano levata nell’enfasi retorica, e un frate con le mani giunte; e invece voltando il

così da evitare del tutto la noia di una rappresentazione troppo stereometrica; la figura di Francesco, nuda ma

capo dall’altro lato per guardare con occhi incupiti il gruppo di persone alla sua destra. Tre figure, gli anziani

coperta dall’abbondante manto azzurro del vescovo che lo abbraccia, coincide con lo spigolo del palazzo. Il

teologi, sono colti in atto di fuggire spaventati dal fuoco: uno, il più lontano, già passa per la porta, il secondo

padre, Pietro di Bernardone, appare ancora più arrabbiato rispetto ad Assisi, e i due bambini che lì sembravano

è di profilo e si dirige fuori, il terzo – figura straordinariamente sottolineata dal gesto ampio delle braccia

semplicemente assistere alla scena ora tirano pietre contro Francesco – ricordiamo gli altri cattivi ragazzini della

levate nel terrore ma nascoste dal manto di un giallo intensissimo – sembra arrestarsi un momento perché

Vela con la Povertà ad Assisi – trattenuti da donne che li afferrano per la mano e per i capelli. Gli astanti sono

i due personaggi vicini, di pelle nera, con bianchi turbanti e vesti bianchissime e azzurre, si rivolgono a lui

tutte persone perbene e molto ben vestite, incluso il vescovo il cui manto è azzurro e morbido, e che è salito

e uno accenna con il dito verso il coraggio di Francesco. Come Michael Schwarz ha ben mostrato, Giotto

su una specie di gradino per meglio abbracciare Francesco – e, incidentalmente, per essere più alto di tutti gli

qui attinge a fonti perfettamente informate sulla cultura egiziana, e dipinge figure motivandone l’attitudine

altri personaggi. Il palazzo loggiato è stato interpretato quale ritratto della residenza del vescovo: e certamente

e calibrando il giudizio su di loro: i teologi, ovviamente non cristiani, si mostrano vigliacchi, mentre le due

la posizione della figura di Francesco – pietra angolare, è stato sempre detto, della Chiesa simboleggiata dalla

figure col turbante sono schiavi nubiani, non cattolici ma cristiani monofisiti e quindi, se non ortodossamente

“casa” del vescovo – avalla questa interpretazione, laddove pensarlo quale palazzo del Comune, in fedeltà al

credenti, certo cristiani, e quindi più sensibili all’esempio di Francesco. I contatti dei banchieri fiorentini con

testo di Bonaventura, e in una variante più lussuosa rispetto allo scenario dell’affresco di Assisi, ridurrebbe la

l’Oriente e i viaggi missionari dei francescani in Egitto, in Siria, in tutto il Medio Oriente, dovevano aver enor-

portata simbolica dell’identificazione visiva che il dipinto certamente propone. Giotto tuttavia ha palesemente

memente ampliato gli orizzonti: i loro diari, verosimilmente i loro racconti orali, arrivarono a Giotto, o ai suoi

giocato sulla contrapposizione fra il palazzo angolare e l’altra struttura architettonica che domina la lunetta di

concepteurs, informandoli dettagliatamente e permettendo un’ambientazione che, si suppone, gli osservatori

fronte, e che accoglie l’Approvazione della Regola. La quale è assolutamente frontale e stereometrica: quanto il

e in particolare la famiglia destinataria potevano essere in grado di comprendere.

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93

palazzo della Rinuncia è posto di spigolo, tanto la sala in cui appare la corte pontificia è uno spazio rettangolare

La coloratissima ed esotica Prova contrasta, e di sicuro non a caso, con la quasi monocroma Apparizione

perfettamente simmetrico, spalancato allo sguardo che viene attirato all’interno e guidato dalla prospettiva del

al capitolo di Arles, in cui la sala capitolare è severissima, con gli unici tocchi di colore dell’affresco con la

soffitto cassettonato la cui stereometria si ripercuote nella decorazione a riquadri della parete di fondo; il timpa-

Crocifissione che appare sulla parete di fondo, oggi purtroppo danneggiatissimo. Né casuale è certamente la

no è siglato al centro dal medaglione monocromo, dunque di finto marmo scolpito, con il busto di san Pietro.

contrapposizione tra il gesto a X del Sultano, avvitato nella contraddizione fra la propria fede e l’ammirazione

Questo spazio, davvero dogmatico, è accompagnato ai lati da due vani minori, forse da intendersi come portici,

per quella di Francesco, e le braccia aperte di Francesco, che occupa esattamente il centro della scena e vola a

o anticamere, in ogni caso capaci di suscitare l’associazione mentale con le navate di una basilica; in ognuno si

mezz’aria, simile alla sua stessa figura in levitazione, quale appariva ad Assisi nell’Estasi e nell’Apparizione. La

inquadrano due monumentali figure, apparentemente di laici, la cui relazione con la scena centrale rimane non

figura panciuta di sant’Antonio guarda la scena, tenendosi su un lato; gli altri frati, distribuiti sui banchi negli

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175

94, 96

52

96


spazi della sala o del corridoio attiguo, mostrano un ventaglio di attitudini, molti apparentemente consci del

te ripresa dell’altro Sogno assisiate; il letto di Agostino sembra anch’esso uno sviluppo delle lignee acrobazie del

miracolo cui dirigono il volto e lo sguardo, altri invece ancora immersi nella lettura, con il volto abbassato e

letto di Isacco nell’Inganno di Giacobbe e nell’Isacco respinge Esaù. Il divanetto accostato al letto, lì ornato della

non ancora toccati dall’evento straordinario. Noi guardiamo la scena attraverso il filtro e lo schermo delle sottili

balaustra lignea, qui è una panca che con la sua ampiezza misura la distanza tra il piano di affioramento dello

colonne poggianti sullo zoccolo in finto marmo che delimita lo spazio della sala capitolare e anche quello della

sguardo e il letto del frate. Dall’altra parte del letto, ancora un escamotage che rimanda subito al brano in cui

rappresentazione; Giotto, qui, ha giocato moltissimo sulla moltiplicazione dei piani, quello dello sguardo, poi

Rebecca e Giacobbe appaiono vicino al letto di Isacco: una tenda sollevata – quindi un’ulteriore profondità che

quello dei banchi dove siedono i frati, e ancora l’ulteriore divisione che individua il corridoio: e in mezzo a tutto,

si fa intuire – e, questa volta, un frate che si affaccia, sbirciando curioso di quanto sta accadendo e così creando

la figura volante di Francesco che sorge su un fondo ocra forse molto rovinato dai restauri ma apparentemente

un gioco complesso di interazioni tra gli sguardi veri o virtuali, attuali o rappresentati, tra osservatore reale e

senza indicazioni spaziali. Sant’Antonio, secondo i testi, stava predicando ad Arles, in occasione del Capitolo;

osservatore inscenato, un’idea di attualità e modernità assolutamente impressionanti.

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è curioso, o forse comprensibile nel contesto fiorentino, che alla sua presenza sia stato riservato uno spazio in

Fine della storia

certa misura marginale e collaterale. Infine, la coppia di scene nel registro basso conclude la vicenda di Francesco mostrandone la Morte e 97

Verifica delle stigmate, mentre di fronte Giotto riprende, e incomparabilmente migliora, la doppia storia della

La storia del rapporto di Giotto con Francesco e con l’Ordine francescano sembra concludersi nella cap-

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Visione di fra Agostino e del vescovo Guido. Due riquadri, ognuno con una doppia storia: una sfida rappre-

pella Bardi. Altre sporadiche informazioni, come quella di Vasari che parla di lavori di Giotto in San Francesco

sentazionale per Giotto, che ancora una volta si misura con messe in scena corali, affollate e cerimoniali. Per

a Verona, non possono essere in nessun modo verificate: a Verona, San Francesco – che viene in realtà sempre

la Morte e Verifica delle stigmate la soluzione scelta è estremamente unitaria, come se i due momenti – che i

chiamata San Fermo Maggiore – è piena di affreschi trecenteschi, che potrebbero aver tratto in inganno il Va-

testi specificano essere avvenuti separatamente – fossero stati del tutto contemporanei. Attorno al letto ligneo

sari che, comunque, non aveva buona conoscenza del Veneto, specie medievale. Non è improbabile che Giotto

coperto da un drappo di color giallo dorato, i frati sono raccolti vicino al corpo di Francesco (sono dieci,

abbia potuto visitare Verona, e forse lavorare per Cangrande Della Scala, ma tutto questo scenario è, comple-

quindi il loro numero non sembra avere alcun speciale significato), baciandogli mani e piedi o semplicemente

tamente accecato dall’assenza di dati concreti. Così come non sarebbe impossibile immaginare qualche opera a

inginocchiati presso il letto. Uno solo, il frate anziano vicino al capezzale, alza la testa e la mano in segno di

tema francescano che Giotto potrebbe aver compiuto mentre era a Napoli al servizio del re Roberto d’Angiò: a

stupore, e guarda verso l’alto, dove appare Francesco con un roseo saio e tutto raggiante, portato in cielo in

Napoli egli restò per circa quattro anni, e sono ben noti i rapporti della casa angioina con i francescani, carissimi

una mandorla di luce da quattro angeli. Fra gli altri astanti sono altri frati che reggono lunghi ceri, alcuni chie-

a Roberto e a sua moglie Sancia, e illustrati dalla figura del “santo in famiglia”, Ludovico da Tolosa. Ma la grande

rici e due laici all’estrema sinistra; ma, inginocchiato di spalle all’osservatore, un altro laico, il cavalier Girola-

pala di San Ludovico l’aveva dipinta Simone Martini attorno al 1317: di Giotto, nulla si sa, nella perdita totale

mo, con manto rosso e mantellina di vaio, infila la mano nella ferita del costato, l’unica visibile delle stigmate.

delle grandi cose che egli deve aver realizzato a Napoli per il re, e, pure, la curiosità rimane, anche calcolando le

È dunque non solo il tema della morte e della santità, ma anche quello della visione, quello che Giotto sviluppa

tendenze Spirituali di Roberto e soprattutto di Sancia, in notevole contrasto con quanto Giotto si era trovato a

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98

47

nell’affresco; e ancora di più vi si misura nell’ultimo dei riquadri, dove sembra conscio del fallimento della versione

creare nell’ambiente dei francescani di Santa Croce.

assisiate – goffa e poco eloquente – e intenzionato a fare invece, questa volta, un capolavoro. Ci riesce, infatti, in un

Congetture, dunque, ma nessun fatto concreto. Giotto, negli anni Venti del secolo e poi fino al momento

modo che ancora oggi appare evidente a onta del gravissimo danno subito dall’affresco, mutilato dall’inserzione

della morte, per i francescani realizzò soltanto il grande polittico per l’altar maggiore della cappella Baroncelli,

di un monumento funebre alla fine del Settecento e quindi fastidiosamente afflitto da una grande lacuna a forma

ancora una volta a Santa Croce. Un’opera largamente delegata agli aiuti, ma impossibile a fraintendersi nella

di lunetta. Come ad Assisi, Giotto probabilmente non rappresentò la figura di Francesco che appare in visione al

qualità avveniristica del progetto. Un polittico a cinque scomparti e predella, dove per la prima volta la scena

morente Agostino e in sogno al vescovo Guido: la lacuna impedisce di averne certezza. Unifica però i due spazi giu-

è unica: un’Incoronazione della Vergine fra schiere di angeli musicanti e di santi che occupano interamente gli

stapposti, facendone una specie di grande stanza i cui limiti sono segnati da una sottile incorniciatura a decorazioni

scomparti laterali. Al centro dei due scomparti più vicini al centro, spiccano le teste di Pietro e di Paolo; nei due

cosmatesche, poco più bassa dell’altezza del riquadro e con il soffitto in prospettiva per segnalare la profondità.

più lontani, quella di Francesco (con accanto Chiara) e di Ludovico da Tolosa. L’evidenziazione ottica è molto

La larghezza invece è scandita da due bianche colonne: la prima, in parte coperta dalla figura di un frate con le

astutamente realizzata, l’occhio si accorge che al centro della folla ci sono personaggi più in vista degli altri, ma

mani levate in segno di sorpresa, delimita il campo del miracolo, con la figura di Agostino che riprende vita e si

nessuna speciale tematica francescana vi è poi sviluppata, solo la sinfonica orchestrazione delle figure e l’insi-

siede sul letto; fra le due c’è la turba dei frati raccolta ai piedi del letto di Agostino; la seconda segna il limite del

stenza sul tema della musica, in accordo con le cerimonie liturgiche che si svolgevano nella cappella. A questa

letto del vescovo, che dorme con due accoliti accovacciati per terra esattamente come nel Sogno di Innocenzo iii

data, Giotto era ormai un imprenditore di tale ampia notorietà, di così immensa reputazione in patria e altrove,

ad Assisi, uno dormiente anche lui, l’altro sveglio e rivolto verso il punto della visione. La composizione sembra

che è difficile immaginarlo intento a poggiare il pennello sulla tavola da dipingere. Di lì a poco, il progetto per il

deliberatamente in debito verso le prime prove della carriera di Giotto, una sorta di fusione, rimeditata e messa a

Campanile e la supervisione su tutte le opere fiorentine lo avrebbero trasformato in uno degli uomini più illustri

giorno, delle prove di bravura da lui messe in atto nella basilica di Assisi. Non solo il brano del Sogno è un’eviden-

di Firenze; così illustre, da essere inviato a rappresentare la città presso il signore di Milano, Azzone Visconti.

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Pianta della chiesa di Santa Croce a Firenze con l’indicazione delle dedicazioni delle cappelle.

87. Veduta delle cappelle Bardi e Peruzzi con punto di vista dal transetto, Firenze, Santa Croce.


88. Cappella Bardi, esterno, la Stigmatizzazione.

89. Cappella Bardi, veduta della parete d’altare.


90. Veduta dall’interno verso sinistra e verso l’alto. 91. Veduta dall’interno verso destra e verso l’alto.


92. La Rinuncia ai Beni.

93. L’Approvazione della Regola.


94-95. La Prova del Fuoco e dettaglio dei teologi mussulmani.


96. L’Apparizione al Capitolo di Arles.

97. Morte di san Francesco e Verifica delle stigmate.


98-99. Visione di fra Agostino e del vescovo Guido e particolare.


100. Firenze, Santa Croce, Polittico Baroncelli.


NOTA BIBLIOGRAFICA ALLE FONTI FRANCESCANE Il lettore italiano desideroso di approfondire la riflessione sull’esperienza cristiana di Francesco d’Assisi può oggi fare riferimento all’intera serie delle fonti storiche che ci hanno tramandato quella esperienza. Anzitutto i testi originali latini: Fontes Franciscani, a cura di Enrico Menestò e Stefano Brufani, Edizioni Porziuncola, S. Maria degli AngeliAssisi, 1995. Franciscus liturgicus: editio fontium saeculi xiii, efr-Editrici Francescane, Padova 2015. Quindi la ricca serie delle fonti del Duecento tradotte in italiano: Fonti francescane. Terza edizione rivista e aggiornata. Scritti e biografie di san Francesco d’Assisi. Cronache e altre testimonianze del primo secolo francescano. Scritti e biografie di santa Chiara d’Assisi. Testi normativi dell’Ordine Francescano Secolare, efr-Editrici Francescane, Padova 2011. Fonti Clariane. Documentazione antica su santa Chiara d’Assisi: Scritti, biografie, testimonianze, testi liturgici e sermoni, efr-Editrici Francescane, Padova 20152. Fonti agiografiche dell’Ordine francescano, EFR-Editrici Francescane, Padova 2014. Fonti normative francescane, efr-Editrici Francescane, Padova 2015. Fonti liturgiche francescane: l’immagine di san Francesco d’Assisi nei testi liturgici del

xiii

secolo,

efr-Editrici

Francescane, Padova 2015. Ogni anno sono centinaia i libri, le monografie, gli studi e gli articoli dedicati al santo di Assisi, ai suoi seguaci, al suo influsso sulla storia della spiritualità, della teologia, dell’arte, della cultura in genere. In Italia la Società internazionale di Studi francescani, fondata ad Assisi nel 1902 e di cui fanno parte i più importanti studiosi provenienti da tutto il mondo, organizza annualmente un Convegno intorno alle più svariate tematiche francescane. I risultati di questi Convegni sono regolarmente pubblicati nella collana Atti dei Convegni della Società internazionale di Studi francescani di Assisi e del Centro interuniversitario di studi francescani, edita dalla Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo di Spoleto, dal 1973 a oggi. Si tratta di un’autentica miniera di dati storici, contenutistici e bibliografici in grado di soddisfare tutte le curiosità e di offrire orientamenti per ogni tipo di ricerca.

195


NOTE AI TESTI San Francesco e la fondazione dell’Ordine I testi degli Scritti di san Francesco sono stati rivisti in base all’edizione critica definitiva: Francisci Assisiensis, Scripta, critice edidit Carolus Paolazzi ofm, Collegii S. Bonaventurae, Grottaferrata (rm) 2009. Per tutti i testi citati, le note rimandano a due pagine della nuova edizione: nelle pagine pari si trova l’originale latino, in quelle dispari la traduzione italiana. 1 Antifona Salve, sancte pater, attribuita al Cardinal Tommaso da Capua (1216-1243), in Analecta Franciscana [= Anal. Franc.], x, 387. 2 K. Esser ofm, «Una Expositio Regulae Ordinis Fratrum Minorum riferibile al xiv secolo», in: Franziskanische Studien, 37 (1955), 18-52. 3 2 Cel 10 (Anal Franc. x, 136-137). 4 Testamentum, 14, in Scripta, 396-397. 5 1 Cel 32 (Anal. Franc, x, 25). 6 1 Cel 80 (loc. cit. 60). 7 2 Cel 165 (loc. cit. 226). 8 In: Testimonia minora saeculi

xiii

de S. Francisco Assisiensi, ed. L. Lemmens

ofm,

Ad Claras Aquas 1926

[= Test. min.], 18. 9 Regula non bullata, ix, 2 (Scripta, 256-257). 10 Jacobus Vitriacensis, Historia Occidentalis, ed. J.F. Hinnebusch op, Fribourg 1972, capp. xxxii (158, 10-15). 11 Test. min., 18-19. 12 Anal Franc. x, 402, iii. 13 Regula non bullata, xii, 4 (Scripta, 262-263). 14 1 Cel 31 (Anal Franc., 25). 15 Regula bullata, vi, 7 (Scripta, 330). 16 Legenda Monacensis, n. 54 (Anal. Franc. x, 709). 17 Regula non bullata, vii, 3.7.8 (Scripta, 252-253). 18 Regula bullata, ii, 1.11 (Scripta, 322/324-323/325). 19 Regula bullata, i, 3; x, 3 (loc. cit. 322-323; 334-335). 20 Chronica fratris Jordani, ed. H. Boehmer, Paris 1908, n. 61 (54-55). 21 Regula non bullata, Prologo, 3.4 (Scripta, 242-243); cfr. Regula bullata, i, 2.3 (loc. cit. 322-323). 22 Regula non bullata, xviii, 1 (Scripta, 270-271). 23 Epistulae Jacobi de Vitriaco: édition critique par R.B.C. Huygens, Leiden 1960, i, 124-126 (76). 24 Loc. cit., i, 126-128 (loc. cit.). 25 Cfr. Regula non bullata, iv, 2 (Opuscula, 248-249). 26 Chronica, n. 11 (ed. Boehmer, 10-11).

197


27 Loc. cit., n. 24 (loc. cit., 28).

64 Vita beati fratris Aegidii, n. 2, in: Documenta antiqua Franciscana, ed. L. Lemmens ofm, Paris i, Ad Claras

28 Regula bullata, x, 1-3 (Scripta, 334-335). Cfr. Regula non bullata, iv, 2-3 (loc. cit., 248-249).

Aquas 1901, 40. Chronica fratris Jordani, n. 2 (ed. Boehmer, 3).

29 Regula non bullata, vi, 1 (loc. cit., 252-253). Regula bullata, vii, 1 (loc. cit., 330-331).

65 Loc. cit., n. 17 (loc. cit., 18).

30 Testamentum, 34 (loc. cit., 402-403).

66 Loc. cit., n. 14 (loc. cit., 14).

31 Regula non bullata, ii, 14 (loc. cit., 244-245). Regula bullata, ii, 16 (loc. cit., 324-325).

67 K. Esser ofm, Das Testament des heiligen Franziskus von Assisi. Eine Untersuchung über seine Echtheit und

32 Regula non bullata, ii, 13 (loc. cit., 244-245).

seine Bedeutung, Münster/Westf. 1949, 120.

33 Regula non bullata, ii, 8 (loc. cit., 244-245). Regula bullata, ii, 9 (loc. cit., 324-325).

68 Regula non bullata, iv e v (Opuscula, 248/249-250/251).

34 Regula non bullata, xiii, 1 (loc. cit., 262-263).

69 Chronica fratris Jordani, nn. 19-31 (ed. Boehmer, 21-32). Thomas de Eccleston, Coll. i-xiv (ed. Little, 3-78).

35 Regula bullata, iii, 1 (loc. cit., 326-327).

70 Expositio quatuor Magistrorum super Regulam Fratrum Minorum (1241-1242) ed. L. Oliger

36 Regula non bullata, iii, 4 (loc. cit., 246-247).

ofm,

Roma

1950, 161-162.

37 Testamentum, 18 (loc. cit., 308-309).

71 Epistolae Jacobi de Vitriaco, vi, 244-246 (b, c) (ed. Huygens, 131). Jacobus Vitriacensis, Historia Occidentalis,

38 Regula non bullata, iii, 8-9 (loc. cit., 246-247).

cap. xxxii (ed. Hinnebusch, 160, 15-17).

39 Regula bullata, iii, 1-4 (loc. cit., 326-327).

72 «Vita Gregorii ix» in: Test. min. 12.

40 Regula pro eremitoriis data, 3.4.6 (loc. cit., 344-345).

73 Epistola encyclica de transitu S. Francisci a Fr. Helia ad omnes Provincias Ordinis missa, n. 3 (Anal. Franc. x,

41 2 Cel 96 (Anal. Franc. x, 188).

526).

42 Epistola toti Ordini missa, 40-43 (Scripta, 218/220-219/221).

74 1 Cel 27 (Anal. Franc. x, 22-23).

43 Epistolae Jacobi de Vitriaco, vi, 248-256 (ed. Huygens, 131-132).

75 1 Cel 29 (loc. cit., 23-24).

44 Fratris Thomae vulgo dicti de Eccleston Tractatus de adventu Fratrum Minorum in Angliam [= Tommaso da

76 Chronica fratris Jordani, nn. 5-6 (ed. Boehmer 5-7).

Eccleston], ed. A.G. Little 1951, Coll. iii (19).

77 Loc. cit., n. 7 (loc. cit., 7).

45 Honorius iii, «Cum secundum consiulium» dell 22 settembre 1220, in: Bullarium Franciscanum, i, 6. 46 Regula non bullata, ii, 10 (Scripta, 244-245).

Il francescanesimo tra ideali evangelici e realtà della Chiesa

47 Regula non bullata, v, 16 (loc. cit., 250-251). 48 Epistola toti Ordini missa, 44-45 (loc. cit., 220-221). 49 Testamentum, 7 (loc. cit., 394-395).

1 Cfr. in proposito L.J. Lekai, Les moines blancs. Histoire de l’Ordre Cistercien, Paris 1957; G. Penco, Storia

50 Testamentum, 14.15 (loc. cit., 396-397).

del monachesimo in Italia. Dalle origini alla fine del Medioevo, Milano 1983 (Complementi alla Storia della

51 Regula non bullata, xix, 1-2 (loc. cit., 272-273).

Chiesa, diretta da H. Jedin), soprattutto le pp. 240-253.

52 Testamentum, 31 (loc. cit., 400-401).

2 Cfr. H. Grundmann, «Die Bulle Quo elongati Papst Gregors ix», in Archivum Franciscanum Historicum, 54

53 2 Cel 162 (Anal. Franc. x, 224)

(1961), pp. 3-25.

54 «Compilatio Assisiensis» dagli Scritti di fr. Leone e Compagni su S. Francesco d’Assisi, a cura di M. Bigaroni ofm,

Porziuncola 1975, 56.

3 Cfr. R. Manselli, «La clericalizzazione dei Minori e S. Bonaventura», in S. Bonaventura francescano, Todi 1974 (Convegni del Centro di studi sulla spiritualità medievale, 14), pp. 181-208; R. Manselli, «I Frati

55 Testamentum, 24 (Scripta, 398-399).

Minori nella storia del secolo xiii», in Quaderni Catanesi di studi classici e medievali, 1 (1979), pp. 7-24.

56 Gregorius ix, «Quo elongati» del 28 settembre 1230 in: Bullarium Franciscanum, i, 68-70. 57 Epistola ad Custodes i, 9 (Scripta, 146-147).

4 Cfr. il complesso degli studi contenuti negli atti del

xvii

Convegno tudertino del Centro di studi sulla

spiritualità medievale, sotto il titolo Le scuole degli Ordini Mendicanti (secoli xiii-xiv), Todi 1978.

58 Testamentum, 31-32 (loc. cit., 400/402-401/403).

5 Cfr. Gratien de Paris, Histoire de la fondation et de l’évolution de l’Ordre des Frères Mineurs au xiiie siècle,

59 Test. min. 18.

seconda ed., Roma 1982 (Bibliotheca Seraphico-Capuccina 29), particolarmente le pp. 135-138: «Extension

60 Testamentum, 34 (loc. cit., 402-403).

du ministère apostolique».

61 Testamentum, 22 (loc. cit., 398-399).

6 Ivi, pp. 139-145; R.B. Brooke, Early Franciscan Government. Elias to Bonaventure, Cambridge 1959; J.

62 1 Cel 32 (Anal. Franc. x, 25).

Moorman, A History of the Franciscan Order from its Origin to the Year 1517, Oxford 1968, pp. 96-104:

63 Testamentum, 16 (loc. cit., 396-397).

«Brother Elias, 1232-1239».

198

199


7 Cfr. R. Manselli, «Nos qui cu meo fuimus». Contributo alla questione francescana, Roma 1980, seconda edizione 1985 (Bibliotheca Seraphico-Capuccina, 28). 8 Cfr. gli atti del iii Convegno della Società Internazionale di studi francescani: Chi erano gli Spirituali?, Assisi 1976.

Manselli, «Due biblioteche di Studia Minoritici: Santa Croce di Firenze e il Santo di Padova», in Le scuole degli Ordini Mendicanti, cit., pp. 353-371. 27 R. Manselli, «Spirituali missionari: l’azione in Armenia e in Grecia. Angelo Clareno», in Espansione del francescanesimo tra Occidente e Oriente nel secolo xiii, Assisi 1979, pp. 271-291.

9 Cfr. J.Fr. Hinnebusch, The Historia Occidentalis of Jacques de Vitry. A Critical Edition, Fribourg 1972,

28 Cfr. E. Pasztor, Frate Leone, cit., p. 44.

pp. 158, 162; si veda in proposito R. Manselli, La Lectura super Apocalipsim di Pietro di Giovanni Olivi.

29 Cfr. P. Herde, Cölestin v (1294). (Peter von Morrone) Der Engelpapst, Stuttgart 1981.

Ricerche sull’escatologismo medievale, Roma 1955 (Studi Storici 19-21), pp. 109-111.

30 Cfr. R. Manselli, Spirituali missionari, cit.

10 Cfr. R. Manselli, «L’Umbria nell’età di Dante», in Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria,

31 Cfr. su Bonifacio viii la voce di E. Dupré Theseider in Dizionario Biografico degli Italiani, 12, pp. 146-170,

62 (1965), pp. 156-176; R. Manselli, «L’apocalisse e l’interpretazione francescana della storia», in The Bible

con ricchissima bibliografia: per la Sepe sacram si veda A. Frugoni, Celestiniana, Roma 1954 (Studi Storici

and Medieval Culture, Leuven 1979, pp. 157-170.

6-7), p. 145.

11 Cfr. su tutto ciò R. Manselli, La Lectura, cit., pp. 81-134; R. Manselli, «A proposito del cristianesimo di

32 Cfr. M. Reeves, The Influence, cit., pp. 401-415: «The Emergence of the Idea of the Angelic Pope»; P.

Dante: Gioacchino da Fiore, gioachinismo, spiritualismo francescano», in Letteratura e critica. Studi in

Herde, «Papts Cölestin v und die franziskanische Spiritualität», in Aus Kirche und Reich, Festschrift für fr.

onore di N. Sapegno, ii, Roma 1974, pp. 163-192.

Kempf, Sigmaringen 1983, pp. 405-418.

12 Cfr. R. Manselli, «L’apocalisse e l’interpretazione francescana della storia», cit.; si può vedere anche Stanislao da Campagnola, L’angelo del sesto sigillo e l’Alter Christus. Genesi e sviluppo di due temi francescani nei secoli xiii-xiv, Roma 1971.

33 Cfr. R. Manselli, «Divergences parmi les Mineurs d’Italie et de France Méridionale», in Les Mendiants en pays d’Oc au xiiie siècle, Toulouse 1973 (Cahiers de Fanjeaux, 8), pp. 355-373. 34 Cfr. Expositio regulae fratrum Minorum auctore Fr. Angelo Clareno, ed. L. Oliger, Ad Claras Aquas

13 Afferma il contrario M. Reeves, attribuendole ad ambiente florense, ma senza argomenti convincenti, nel suo The Influence of Prophecy in the Later Middle Ages. A Study in Joachimism, Oxford 1969. 14 Su tutte queste vicende mi soffermo con molta ampiezza in un mio lavoro di imminente pubblicazione: R. Manselli, I primi cento anni di storia francescana.

(Quaracchi 1912); R. Manselli, Spirituali missionari, cit. 35 Cfr. R. Manselli, «L’Anticristo mistico: Pietro di Giovanni Olivi, Ubertino da Casale e i papi del loro tempo», in Collectanea Franciscana, 47 (1977), pp. 5-25. 36 Cfr. R. Manselli, «L’idéal du Spirituel selon Pierre Jean-Olivi», in Franciscains d’Oc: Les Spirituels ca 1280-

15 Cfr. Gratien de Paris, op. cit., pp. 239-146: «Jean de Parme, Ministre général (1247-1257)». 16 Cfr. R. Manselli, La Lectura, cit., pp. 115-134; M.M. Dufeil, Guillaume de Saint-Amour et la polémique universitaire parisienne, 1250-1259, Paris 1972.

1324, Toulouse 1975 (Cahiers de Fanjeaux, 10), pp. 99-138. 37 Cfr. R. Manselli, «Les opuscules spirituel de Pierre Jean-Olivi et la piété des béguins de Langue d’Oc», in La religion populaire en Languedoc du xiiie siècle à la moitié du xive siècle, Toulouse 1976 (Cahiers de Fanjeaux,

17 Cfr. E. Pasztor, «Frate Leone testimone di S. Francesco», in Collectanea Franciscana, 50 (1980), pp. 35-84, in particolare le pp. 62-65.

11), pp. 187-216. 38 Cfr. L. Oliger, «Peter Johannis Olivi de renuntiatione papae Coelestini v», in Archivum Franciscanum

18 Cfr. H. Denifle, «Protokoll der Commission zu Anagni», in Archiv für Literatur- und Kirchengeschichte des Mittelalters, 1 (1885), pp. 99-142; B. Töpfer, «Eine Handschrift des Evangelium aeternum des Gerardino von Borgo San Donnino», in Zeitschrift für Geschichtswissenschaft, 8 (1960), pp. 156-163. 19 Cfr. Gratien de Paris, op. cit., pp. 244-246.

Historicum, 11 (1918), pp. 309-373; si vedano, in particolare, le pp. 366-373. 39 Cfr. J. Moorman, A History of the Franciscan Order from its Originis to the Year 1517, Oxford 1968, pp. 240-255: «The Schoolmen». 40 Cfr. R. Manselli, S. Francesco e Madonna Povertà, Firenze 1953; F. Delorme, Meditatio pauperis in solitudine,

20 Su san Bonaventura esiste una bibliografia ricchissima, di cui sarà sufficiente, in questa sede, rinviare al volume di Todi, S. Bonaventura francescano, cit., e ai volumi degli Atti del convegno del settimo centenario della sua morte: S. Bonaventura 1274-1974, i-v, Grottaferrata 1973-1974. 21 Cfr. Gratien de Paris, op. cit., pp. 321-323; si veda anche la voce di A. Franchi, «Lione ii», in Dizionario degli Istituti di Perfezione, v (1978)

auctore anonymo saec. xiii, Ad Claras Aquas 1929; Tractatus de pace, auctore fr. Gilberto de Tornaco, ed. E. Longpré, Ad Claras Aquas 1925. 41 Cfr. R. Manselli, «Nos qui cum eo fuimus», cit. 42 Cfr. F. Pennacchi, Legenda S. Clarae Virginis, Assisi 1910; L. de Kerval, S. Antonii de Padua Vitae duae, Parigi 1904.

22 Cfr. Gratien de Paris, op. cit., pp. 326-333.

43 Cfr. De adventu fratrum minorum in Angliam, ed. A.G. Little, Manchester 1951.

23 Ivi, pp. 378-380.

44 Cfr. R. Manselli, L’eresia del male, Napoli, seconda edizione 1980, passim.

24 Cfr. L. von Auw, «À propos d’Angelo Clareno», in Chi erano gli Spirituali, cit., pp. 205-220.

45 Cfr. su quel che segue R. Manselli, Spirituali e Beghini in Provenza, Roma 1959 (Studi Storici 31-34).

25 Cfr. R. Manselli, «Pietro di Giovanni Olivi spirituale», in Chi erano gli Spirituali, cit., pp. 181-204. 26 Cfr. R. Manselli, «Firenze nel Trecento: S. Croce e la cultura francescana», in Clio, 9 (1973), pp. 325-342; R.

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Francesco, Giotto, i francescani

I documenti e le fonti su Giotto sono raccolti in Michael Viktor Schwarz e Pia Theis, Giottus pictor. Bd. i: Giottos Leben, Wien-Köln-Weimar 2004; del solo Schwarz è il secondo volume, Michael Viktor Schwarz,

Un saggio senza note rischia a ogni frase di non dare sufficientemente atto di tutti gli studi che ne hanno nu-

Giottus. Bd. ii. Giottus Werke, Wien-Köln-Weimar 2008.

trito le pagine e che sono stati assolutamente indispensabili alla maturazione delle idee che vi sono espresse. La natura e i limiti di questo saggio tuttavia hanno imposto di rinunciare a un vero e proprio apparato di note,

Il ciclo degli affreschi di Assisi ha dato origine a un numero enorme di studi, tra i quali posso qui citare solo

che – data la vastità del tema e l’ampiezza delle molte storie critiche che lo attraversano – lo avrebbero tra-

alcune monografie, che rinviano poi agli altri saggi apparsi in riviste o in volumi miscellanei. Una svolta negli

sformato in un libro e certamente ne avrebbero appesantito il tono narrativo. Per quanto estremamente som-

studi è stata segnata da Hans Belting, Die Oberkirche von San Francesco in Assisi, Berlin 1977; ricordo anche

marie, le indicazioni che seguono hanno quindi l’unico obiettivo di ricordare alcune delle tappe più recenti

Lionetto Tintori e Millard Meiss, The Painting of the Life of Saint Francis in Assisi, New York 1962. Più di

e importanti della letteratura esistente, in questo modo fornendo ai lettori qualche pista per approfondire gli

recente, segnalo i libri di Gerhard Ruf, Francesco e Bonaventura, Assisi 1974, e Die Fresken der Oberkirche San

aspetti trattati e per verificare quanto qui ho raccontato.

Francesco in Assisi. Ikonographie und Theologie, Regensburg 2004; di chi scrive, La basilica di S. Francesco ad Assisi. Pittori, botteghe, strategie narrative, Roma 2001, e La O di Giotto, Milano 2008, parte prima; Donald

La prima cosa da dire è che – a mia conoscenza – non esistono saggi o libri strutturati esattamente sul tema

Cooper e Janet Robson, The Making of Assisi: the Pope, the Franciscans and the Paintings of the Basilica, New

che ho svolto; laddove, naturalmente, la bibliografia sulle singole questioni è davvero immensa. Lo studio

Haven, Yale University Press 2013; e Chiara Frugoni, Quale Francesco? Il messaggio nascosto negli affreschi

che più si avvicina al “taglio” che guida questo saggio è quello di Julian Gardner, Giotto and His Publics.

della basilica superiore ad Assisi, Torino 2015, nonché la monografia di Giovanni Previtali, Giotto e la sua bot-

Three Paradigms of Patronage, Harvard University Press 2011 (di cui c’è anche l’edizione italiana, Giotto e i

tega, Milano 1967, 3a edizione a cura di Alessandro Conti, Milano 1993. Su Giotto, il lavoro monografico più

francescani. Tre paradigmi di committenza, traduzione di Serena Romano, Roma 2015), che prende in esame

recente è quello sopracitato di Michael Viktor Schwarz; ricordo infine il volume di Francesca Flores D’Arcais,

la Stigmatizzazione di Pisa, la cappella Bardi e le Vele di Assisi; lo richiamerò anche nei successivi paragrafi.

Giotto, Milano 1995, e sull’architettura dipinta di Giotto, ad Assisi e in tutte le altre sue opere, Francesco Benelli, The Architecture in Giotto’s Paintings, Cambridge (Mass.) 2012. Il punto di vista tecnico in Bruno

Per quanto il linguaggio figurativo obbedisca a leggi, convenzioni e tradizioni del tutto autonome, talvolta an-

Zanardi, Il cantiere di Giotto, con note iconografiche di Chiara Frugoni, Milano 1996; alcune importanti pre-

che separate da quelle del mondo letterario, pure ovviamente le fonti, i testi, i documenti, restano indispensabi-

cisazioni e obiezioni in Fabio Fernetti, in Manipulating Light in Premodern Times. Architectural, Artistic and

li per comprendere i fenomeni storici di cui sono espressione al pari di quanto esprime il mondo della visualità.

Philosophical aspects, International conference, Accademia di architettura, Mendrisio – Università della Sviz-

Per capire Francesco e il francescanesimo dunque non si può fare a meno della raccolta dei testi, riuniti ora in

zera, 3-4 November 2011, a cura di Vladimir Ivanovici e Daniela Mondini, Cinisello Balsamo 2014; l’Atlante

alcune raccolte estremamente utili, di cui ho usato soprattutto i Fontes franciscani, a cura di Enrico Menestò e

di tutti gli affreschi, con le relative schede, e saggi storico-artistici, in La Basilica di San Francesco ad Assisi, a

Stefano Brufani, Assisi 1995; in particolare sulla questione delle stigmate, il libro di Chiara Frugoni, Francesco

cura di Giorgio Bonsanti (Mirabilia Italiae, 11), Modena 2002.

e l’invenzione delle stimmate, Torino 1993. Sulla storia dell’Ordine si veda ad esempio Malcolm David Lambert, Franciscan Poverty: the Doctrine of the Absolute Poverty of Christ and the Apostles in the Franciscan Order

Sulla Stigmatizzazione di Pisa, si vedano Chiara Frugoni, «La colonna spezzata», Ricerche di storia dell’arte

1210-1323, London 1961; Rosalind B. Brooke, Early Franciscan Government. Elias to Bonaventure, Cambridge

102 (2010), pp. 79-82; Donal Cooper, «Redefining the Altarpiece in Renaissance Italy: Giotto’s Stigmati-

1964; John Moorman, A History of the Franciscan Order from its Origins to the Year 1517, Oxford 1968; Sta-

zation of Saint Francis and Its Pisan Context», Art History 36 (2013), 4, pp. 687-713; e in Gardner, Giotto

nislao da Campagnola, Le origini francescane come problema storiografico, Perugia 1974; David Burr, The Spir-

and his Publics, il capitolo «Giotto at Pisa. The Stigmatization for San Francesco», pp. 17-45. Sulla testi-

itual Franciscans. From Protest to Persecution in the Century after Saint Francis, The Pennsylvania University

monianza di Riccobaldo, A. Teresa Hankey, Riccobaldo da Ferrara: His Life, Works and Influence, Rome

Press, University Park 2001; Neslihan Xenocak, The Poor and the Perfect. The Rise of Learning in the Franciscan

1996, e Massimo Giansante, in Dizionario Biografico degli Italiani, 87, Rome 2016, pp. 384-386. Su Rimini,

Order, 1209-1310, Ithaca and London 2012. Su Assisi, Silvestro Nessi, La basilica di S. Francesco in Assisi e la

Alessandro Volpe, Giotto e i riminesi. Il gotico e l’antico nella pittura di primo Trecento, Milano 2002; in

ediz. riv. e agg., Assisi 1994; e Pietro Scarpellini, Fra Ludovico da Pietralunga,

particolare per il contesto storico e sociale, la mia citata O di Giotto, pp. 144-154; per la croce, con la sua

sua documentazione storica,

ii

Descrizione della Basilica di S. Francesco e di altri santuari di Assisi, Treviso 1982.

cimasa, Federico Zeri, «Due appunti su Giotto: i: la cuspide centrale del Polittico Baroncelli»; ii: la cimasa del crocefisso del Tempio Malatestiano”, Paragone viii (1957), 85, pp. 75-87 (ora in Federico Zeri, Giorno

Per l’iconografia di Francesco in quanto immagine iconica, isolata o con le storie della vita e i miracoli, si veda

per giorno nella pittura. Scritti sull’arte toscana dal Trecento al primo Cinquecento, Torino 1991, pp. 11-16).

William R. Cook, Images of St. Francis of Assisi, Firenze-University of Western Australia, Perth 1999; Rosa-

Per la ricomposizione del polittico forse commissionato da Malatesta, Dillian Gordon, «A Dossal by Giot-

lind Brooke, The Image of Saint Francis, Cambridge University Press 2006; può essere utile Milvia Bollati,

to and His Workshop: Some Problems of Attribution, Provenance and Patronage», Burlington Magazine

Gloriosus Franciscus: un’immagine di Francesco tra agiografia e storia, Padova 2012.

131 (1989), pp. 524-31.

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Sulle questioni padovane, Enrica Cozzi, «Giotto e bottega al Santo: gli affreschi della sala capitolare, dell’an-

Sui Miracoli post-Mortem, al di là delle menzioni nelle monografie su Giotto e delle schede di Alessandro

dito e delle cappelle radiali», in Cultura, arte e committenza nella basilica di S. Antonio di Padova nel Trecento,

Volpe nel citato volume dei Mirabilia Italiae (p. 423), non c’è a mia conoscenza uno studio specifico; rimando

a cura di Luca Baggio e Luciano Bertazzo, atti del convegno internazionale di studi (Padova, 24-26 maggio

quindi al saggio di Gosebruch in Giotto e i giotteschi in Assisi, citato più sopra.

2001), Padova 2003, pp. 77-91; Luca Baggio, «Il cantiere pittorico di primo Trecento al Santo: note di lettura

Su Santa Croce, il suo contesto storico e le personalità di frati presenti nel convento, è importante il saggio

e riflessioni», ibidem., 50, 2010, 141-158; Serena Romano, «La sala capitolare del Santo di Padova: gli eventi

di Gardner in Giotto and his Public; sull’architettura e i partiti decorativi, Santa Croce: origini. Firenze 1300,

del 1310», in Padova 1310. Percorsi nei cantieri architettonici e pittorici della basilica di Sant’Antonio (Il Santo

frammenti di un discorso sugli ornati e gli spazi (edito come numero 102 di Ricerche di storia dell’arte, 2010).

51, 2011), atti del Convegno internazionale “Varia et inmensa mutatio 1310”, a cura di Luca Baggio e Lu-

La tormentata storia conservativa delle due cappelle Peruzzi e Bardi è stata oggetto di importanti studi, di

ciano Bertazzo, Centro Studi Antoniani 2012, pp. 417-30; Alessandro Simbeni, «Le pitture del “parlatorio”

cui cito brevemente Eve Borsook e Leonetto Tintori, Giotto. La cappella Peruzzi, Torino 1965; Cristina

nel convento di Sant’Antonio e l’intervento di Giotto», ibidem, pp. 431-52. Sulla cappellina “della Mora”,

Danti, «Gli interventi ottocenteschi alle pitture murali di Giotto nelle cappelle Bardi e Peruzzi», Santa Croce

Giacomo Guazzini, «Un nuovo Giotto al Santo di Padova: la cappella della Madonna Mora», Nuovi studi 20

nell’800, a cura di, Firenze 1986, pp. 203-10; e Giorgio Bonsanti, «Il Medioevo sepolto», Il colore negato e il

(2015), pp. 5-40.

colore ritrovato. Storie e procedimenti di occultamento e descialbo delle pitture murali, a cura di, Firenze 2008, pp. 55-88.

Il cantiere della bottega giottesca nella basilica inferiore di Assisi è stato oggetto di alcuni importanti studi,

Sulla famiglia e la Compagnia Peruzzi, Armando Sapori, I libri di commercio dei Peruzzi, con una premessa

tuttavia ormai non recentissimi: Martin Gosebruch, «Gli affreschi di Giotto nel braccio destro del transetto

di Vincenzo Azzolini, Milano 1934, e Edwin S. Hunt, The Medieval Super-companies: a Study of Peruzzi Com-

e nelle “vele” centrali della chiesa inferiore di San Francesco», in Giotto e i giotteschi in Assisi, a cura di Giu-

pany of Florence, Cambridge (Mass) 1994; sulla cappella, con la precedente bibliografia, Alessio Monciatti

seppe Palumbo, Roma 1969, pp. 129-98, e Giovanni Previtali, «Le cappelle di S. Nicola e di S. Maria Madda-

e Cecilia Frosinini, «La cappella Peruzzi in Santa Croce a Firenze», Medioevo: i committenti, a cura di, atti

lena nella chiesa inferiore di San Francesco», ibidem, pp. 93-127. La sequenza degli interventi è stata stabilita

del convegno (Parma 2010), Milano 2011, pp. 617-27, e Serena Romano, Giotto e il paesaggio romano. La

sulla base delle stesure degli intonaci da Almamaria Tantillo, «Restauri alla Basilica Inferiore di Assisi», Bol-

Torre delle Milizie e la data dei dipinti Peruzzi (e della Navicella), in Rivista d’Arte (Mélanges en l’honneur de

lettino d’Arte s. v, 60 (1975), pp. 217-23, e Hayden B. Maginnis, «The Passion Cycle in the Lower Church of

Fabienne Joubert), 2018, in corso di pubblicazione.

San Francesco, Assisi: the Tecnical Evidence», Zeitschrift für Kunstgeschichte 39 (1976), pp. 193-208.

Molto interessanti le osservazioni su alcuni affreschi di ambedue le cappelle Peruzzi e Bardi in Michael Viktor

Sulla cappella di San Nicola, Irene Hueck, «Il cardinale Napoleone Orsini e la cappella di S. Nicola nella

Schwarz, «Ephesos in der Peruzzi-, Kairo in der Bardi-Kapelle», Roemisches Jahrbuch der Bibliotheca Hert-

basilica francescana di Assisi», in Roma anno 1300, atti della

settimana di studi di storia dell’arte medie-

ziana 27-28 (1991-1992), pp. 24-57; si può aggiungere John V. Tolan, Saint Francis and the Sultan, Oxford

vale dell’Università di Roma “La Sapienza” (Roma 1980), a cura di Angiola Maria Romanini, Roma 1983,

2009. Sulla cappella Bardi, segnalo Rona Goffen, Spirituality in Conflict: Saint Francis and Giotto’s Bardi

pp. 187-93, ma successivamente, con diverse conclusioni, Serena Romano, «Le botteghe di Giotto. Qualche

Chapel, University Park 1988, ma il citato saggio di Gardner supera a mio avviso la precedente bibliografia,

novità sulla cappella di San Nicola nella basilica inferiore di Assisi», in Medioevo: l’officina, atti del convegno

da reperire nelle note.

iv

(Parma, 22-27 settembre 2009), a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Milano 2010, pp. 584-96. Serena Romano La data della Crocifissione utile anche per la datazione del ciclo dell’Infanzia, e il contesto storico tra Assisi e Padova, in Serena Romano, «Per la data della “Crocifissione” nel transetto nord della chiesa inferiore di Assisi», Zeischrift für Kunstgeschichte 78 (2015), pp. 345-55. Sulle Vele, la bibliografia è tutto sommato scarsa: oltre a saggi molto vecchi e ormai anche molto invecchiati (cito per esempio Salvatore Minocchi, Le mistiche nozze di San Francesco e Madonna Povertà, Firenze 1901; ma anche, più di recente, H.M. Thomas, «Documenti di identità francescana. Per la datazione e le fonti delle allegorie di Giotto nel quadrato della Chiesa inferiore di S. Francesco ad Assisi», Libri e Documenti (1984), pp. 1-13), la lettura più intelligente è invece quella di Gardner, «The Lull before the Storm», nel citato Giotto and his Publics, pp. 83-112.

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Crediti fotografici DA COMPLETARE

© Louvre, Paris, France/Bridgeman Images: 62 © De Agostini Picture Library/C. Sappa/Bridgeman Images: 20 © Alte Pinakothek, Munich, GermanyTarker/Bridgeman Images: 68 c © National Gallery, London, UK/Bridgeman Images: 68 g

Volumi di riferimento Padova 1310. Percorsi nei cantieri architettonici e pittorici della basilica di Sant’Antonio, a cura di Luca Baggio e Luciano Bertazzo, atti del Convegno internazionale “Varia et inmensa mutatio 1310”, a cura di Luca Baggio e Luciano Bertazzo, Centro Studi Antoniani 2012: 69-72. Serena Romano, La basilica di San Francesco ad Assisi. Pittori, botteghe, strategie narrative, Roma 2001: pianta a p. 99.



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