TERESA OF CALCUTTA

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Primi giorni del gennaio 1929: due suore d­ ell’ordine di

Loreto sono affacciate al parapetto della nave che dall’Europa le ha portate in India. Avevano celebrato il Natale a bordo, attraversando il Canale di Suez, il Mar Rosso, l’Oceano Indiano e il golfo del Bengala. Arri­varono a Colombo, nell’isola di Sri Lanka, la prima tappa indiana, e poi a Madras. Una delle due, piccolissima, vivace, dagli occhi scintillanti, aveva appena ricevuto il nome da monaca: Maria Teresa del Bambino Gesù. Col tempo, sarebbe stata celebrata in tutto il mon­­do come Madre Teresa di Calcutta. Teresa rimase affascinata dagli alti palmizi ca­richi di datteri, dall’esuberanza della natura, dalla maestosità dei templi indù. Ma rimase anche sbigottita per la povertà del paese, che in una lettera non riuscì a definire in altro modo che “indescrivibile”. L’impatto con quei milioni di sventurati avrebbe segnato la sua vita.

© 2005-2016, Editoriale Jaca Book SpA Tutti i diritti riservati Stampa e confezione ?, ? ottobre 2016 ISBN 978-88-16-57415-1 Editoriale Jaca Book Via Frua 11, 20146 Milano Tel. 02.48561520, fax 02.48193361 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici anche su

Piero Ventura & Gian Paolo Ceserani

TERESA DI CALCUTTA con la collaborazione di

Marisa Murgo Ventura


un paese difficile Madre Teresa, donna di grande modestia, p­ arlava

pochissimo dei suoi anni giovanili. Addirittura, non corresse mai la data di nascita (sbagliata!) che comparve per tanti anni in tanti libri: venne scritto 27 agosto 1910, ma Tere­­sa era nata un giorno prima, il 26. Ecco il vero nome di Madre Teresa: Agnes Bojaxhiu. Era nata a Skopje, che faceva parte della Serbia, in una zona turbolenta per le molte etnie e religioni che dovevano convivere: musulmani, cristiani ortodossi, cattolici. La sua famiglia era albanese: il padre Nikola, la madre Drana, un fratello e una sorella più vecchi di lei. Il padre, commerciante, era abbastanza

facoltoso, e la piccola Agnes crebbe in una famiglia serena e unita. Erano, da sempre, di fede cattolica. Le simpatie del padre andavano alla causa albanese: e ciò, a quanto pare, gli costò la vita. Nel 1919 andò a un raduno politico; tornò in carrozza, moribondo. Un intervento chirurgico non bastò; morì a 45 anni. Probabilmente era stato avvelenato. I figli si rifugiarono sotto l’ala protettiva del­­­la madre, una donna eccezionale, se è vero che – vedova con tre figli – aiutava i bisognosi e, addirittura, prese con sé i sei figli di un’altra vedova. La piccola Teresa-Agnes sentì fortemente l’educazione ricevuta, che precorreva la strada della sua vita.


la vocazione La parrocchia del Sacro Cuore di Skopje ebbe un

ruolo fondamentale nella vita della futura Madre Teresa. Fu in quella chiesa che la bambina venne battezzata e prese la cresima; lì ricevette la sua educazione religiosa. La madre Drana era una frequentatrice della comunità che si ritrovava al Sacro Cuore: le due figlie seguirono il suo esempio ed entrarono a far parte del coro parrocchiale. La piccola Teresa aveva una bellissima voce, tanto che – lei e la sorella – venivano chiamate “gli usignoli”. Una prova della sua capacità fu che imparò molto presto a suonare il mandolino.

Sappiamo che la sua vocazione fu molto precoce: a dodici anni si sentì chiamata alla vita religiosa. In tanti le chiesero, molte volte, no­tizie su questo momento così importante: ma Teresa, sempre riservata, non amava parlarne. Diceva che non fu un fenomeno sovrannaturale: “È una faccenda privata. Non fu una vi­sione. Non ho mai avuto visioni”. È da notare che, fino al momento in cui lasciò la famiglia per la vita religiosa, Teresa non a­ve­va mai visto una suora. Le fu vicino un sa­cerdote della parrocchia, che insegnava ai giovani medicina, scienze, leggendo loro anche opere di poesia e di

teatro. Un gruppo di sa­cerdoti jugoslavi, a cui era legato, avevano lasciato la loro patria per recarsi come missionari in India, nel Bengala. Scrivevano, da là, lettere ai loro concittadini piene di fervore per la loro missione, e di notizie su quelle terre esotiche: indubbiamente la piccola Teresa sentì il fascino di quell’esperienza, l’attrazione per quel mondo strano e lontano, e ciò si rivelerà decisivo per il suo futuro. Decise, infatti, che voleva divenire suora missionaria.


una piccola suora Non era una decisione facile da prendere, quella

di farsi suora. Teresa era molto legata alla famiglia; una missionaria rischiava, in pratica, di non vedere più i suoi familiari e il suo paese. All’epoca viaggiare era difficile, e ben poche erano le possibilità che una suora potesse tornare a casa in visita. Quando la piccola Teresa (era davvero piccolissima di statura!) annunciò la sua intenzione, la madre, Drana, in un primo momento disse di no. Possibile? Una ragazza così vivace, ap­passionata delle buone letture, che aveva an­che parlato di voler divenire scrittrice! Pos­sibile? La madre, Drana, si chiuse nella sua stanza per 24 ore: alla fine, diede alla figlia la propria benedizione. La vita di Teresa era tracciata. Molti anni do­po, un giornalista le chiese se le era pesato di non avere una casa propria e dei figli: “Certa­men­te – rispose la madre – ma questo è il dono che offriamo a Dio”. E ricordò le miglia­ia di sorelle del suo ordine e i tanti bambini che venivano aiutati: quella era, ormai, la sua famiglia! Teresa scelse di far parte delle suore della Beata Vergine Maria di Loreto, la cui casa madre era in Irlanda. Nel 1928 (aveva appena 18 anni) si mise in viaggio con un’altra giovane che aveva fatto la sua stessa scelta. La prima tappa fu Parigi, dove l’ordine aveva una sede. Qui la direttrice le raccomandò alla Madre Generale, che stava nella casa di Rathfarnham, vicino a Dublino, capitale della repubblica d’Irlanda. Appena giunte, le due ragazze ricevettero il velo da postulanti; la via era iniziata, ma... nessuna delle due conosceva una parola d’inglese! Come andare nel mondo? Studiarono, si esercitarono duramente, arrivando a parlare inglese anche fra di loro. Nel dicembre 1928 si imbarcarono per l’India, la terra che era già nella loro fantasia. Una nuova vita cominciava.


fra i poveri di calcutta Nei primi anni Teresa fu assegnata alle scuole

del suo ordine a Calcutta. Questo lavoro, per lei, non era tutto: la domenica si recava negli slums, le baraccopoli della città, dove viveva un’umanità derelitta.

Lei stessa ce ne lasciò un terribile esempio descrivendo l’esperienza sul giornale del suo ordine. Un uomo arrivò al convento portando un fagotto da cui spuntavano due rami secchi: con sgomento Teresa vide che erano invece le gambe di un bambino debolissimo, in fin di vita. Ecco le sue testuali parole: “L’uomo temeva che non avremmo accolto il bambino e ci disse che in questo caso l’avrebbe gettato in un prato. Gli sciacalli non l’avrebbero rifiutato! Il mio cuore fu stretto da una morsa. Pove­ro bambino! Debole e

completamente cieco. Presi il piccolo fra le braccia e lo avvolsi nel mio grembiule. Aveva trovato una seconda mamma”. Queste esperienze furono decisive per il futuro di Teresa. Venne colpita, soprattutto, dalla capacità di questi disgraziati di divenire di colpo felici: bastava il gesto di mettere la mano sulla testa di un bambino per vederlo animato da una gioia straordinaria, bastava recarsi in visita da una povera donna per vederla invasa dalla gioia. Non tutto era perduto, quindi: bisognava lavorare per offrire a questi disgraziati sempre più momenti di serenità.

Passarono gli anni, e allo scoppio della guerra Teresa non volle andare con le altre suore in conventi fuori città, e rimase a Calcutta. Que­sto le procurò la riconoscenza dei suoi allievi e dei poveri che visitava. Poi, il 10 settembre 1946, avvenne un fatto che fu ricordato come “il Giorno dell’Ispirazione”: su un treno sferragliante ebbe un messaggio da Dio, anche se lei non rivelò mai in che maniera. Ecco come ne descrisse le conseguenze: “Dovevo lasciare il convento e aiutare i poveri vivendo con loro. Era un ordine. Venirvi meno sarebbe equivalso a mancare alla parola data”. Teresa capì che doveva lasciare il convento e dare vita a una nuova congregazione, che a­vrebbe lavorato in favore dei più poveri.


vani donne, nell’ottobre 1950, divennero ufficialmente Missionarie della Carità, secondo il nome della nuova congregazione. Fu Madre Teresa in persona a tagliar loro i capelli, il che non era cosa da poco per una ragazza bengalese: si trattava di un vero e proprio sacrificio. Dopo la tonsura, poterono indossare il saio a strisce azzurre che oggi tutti conosciamo. La grande avventura era iniziata.

le missionarie della carità I superiori di Teresa rimasero stupefatti dalla

sua richiesta. Una semplice suora, per di più straniera, in mezzo alla miseria e ai pericoli de­gli slums? Teresa aveva però un’idea ben chiara in testa. Non bisognava, semplicemente, far venire i bambini poveri nelle scuole: bisognava andare fra i poveri. Il direttore spirituale delle suore di Loreto, padre Van Exem, la capì e l’aiutò; ma gli ostacoli furono tanti, soprattutto per lo scetticismo delle autorità religiose. Finalmente i problemi furono risolti. La sera del 16 agosto 1948 Teresa si spogliò dell’abito di suora di Loreto, che aveva indossato per vent’anni, e indossò l’abito della nuova congregazione: le Missio­narie della Carità. Quest’abito è divenuto famoso, ma ecco come fu scelto: Teresa andò in un bazar locale e acquistò tre sari bianchi, il comune abito della donna indù, della stoffa più modesta che riuscì a trovare. Erano bordati da tre strisce azzurre, e ciò piacque a Teresa, perché questo è il colore della Madonna. Ebbe il permesso di aprire una scuola nel quar-

tiere di Motijhil. Scuola non è forse la parola giusta: era un semplice spiazzo fra le baracche, i bambini stavano seduti fra mucchi di immondizia. E la lavagna? Semplice, dice Teresa: “Come lavagna abbiamo usato la strada”. Era una povera strada di fango, e la maestra con un bastoncino vi tracciava le lettere dell’alfabeto. I bambini, però, aumentavano ogni giorno; qualcuno cominciò ad aiutare la Madre con piccole somme di denaro o col proprio lavoro; padre Van Exem le trovò una stanza in una vera casa: quella divenne la sua abitazione e la sede della scuola. La presenza di Madre Teresa diveniva di giorno in giorno più forte e visibile. Vennero altre donne, come lei votate ad aiutare i poveri: erano undici nel 1950. Qualcuno ha parago­nato i primi momenti di Teresa a quelli di Francesco d’Assisi: non c’era una Regola vera e propria, Teresa scriveva via via le sue intenzioni su un taccuino, senza alcuna conoscenza di diritto canonico, e ciò non poteva soddisfare le gerarchie ecclesiastiche. Molto chiara era però la base del gruppo: l’ideale francescano della povertà e del donare se stessi agli altri. E lo strano abito? Per farselo approvare dalla Chiesa, Madre Teresa posò da... indossatrice, e le foto furono inviate a Roma. Pian piano le cose si sistemarono. Le undici gio-


sempre di corsa Un magistrato di Calcutta, di fede islamica, stava

meditando di trasferirsi in Pakistan, e di vendere quindi la sua casa cittadina. Un giorno conobbe Madre Teresa e questa gli chiese se poteva acquistare la sua casa. L’uomo rimase stupefatto: non aveva ancora parlato con nessuno del suo progetto! Era un uomo di fede: prima di decidere si raccolse in meditazione, poi andò davanti alla sua casa, la guardò a lungo mentre gli occhi gli si inumidivano, e disse fra sé: “Ho ricevuto questa casa da Dio, e a Dio la rendo”. Vendette la casa alle Suore Missionarie a un prezzo molto basso. Madre Teresa e le sue sorelle si trasferirono in questo edificio, che ancora oggi è la loro Ca­sa Madre. La strada era centrale, rumorosissima; traffico, richiami, grida, spesso coprivano le preghiere delle religiose: ma quanto spazio! Ci fu posto per una grande cappella e un re­fettorio, e Teresa poté avere una stanza tutta per sé.

La vita che le Missionarie svolgevano era sempre basata sulla regola della povertà. Possede­vano soltanto il loro sari, un paio di sandali, il crocifisso, un rosario, un ombrello per pro­teggersi da vento e sole, un secchio di metallo per lavarsi. A volte mancavano anche queste cose es­senziali. Grande divertimento suscitò il fatto che, un giorno, una sorella cui si erano rotti i sandali trovò, fra gli oggetti donati, soltanto un paio di scarpe: rosse e coi tacchi a spillo! La poveretta dovette indossarle e andò alla messa barcollando, fra il divertimento generale. Un altro scherzo riguardava la biancheria, ri­cavata da vecchi sacchi, che a volte avevano ancora le etichette commerciali: così, sotto il leggero sari di una sorella, comparve un giorno questa scritta: “Merce non rivendibile”!

Come la fondatrice, erano sempre gioiose. Le loro giornate erano assai dure, fra servizio religioso e aiuto ai bisognosi; a volte dovevano attraversare fossi o guadare pozze d’acqua; a volte i parenti, vedendole così messe, si vergognavano di loro e glielo dicevano con a­sprezza. Ma molti, sempre di più, invece le stimavano. A Calcutta le chiamavano scherzosamente “le Missionarie sempre di corsa”. Per farle felici bastava poco: una bella festa di Natale, con il refettorio decorato con strisce colorate e palloncini, e i piccoli doni che Ma­dre Teresa aveva trovato per loro. Per esempio, matite colorate, immaginette, qualche piccolo dolce... Ma sai la cosa che era più apprezzata? Una buona saponetta!


dare un po’ di conforto ai tanti disgraziati che si spegnevano, abbandonati come cani, per le strade. Lei disse, suscitando stupore, che voleva dare loro “una morte meravigliosa”. E spie­gò cosa intendeva: “Una morte meravigliosa è, per persone vissute come bestie, poter morire come angeli, amati e desiderati”. Madre Teresa sapeva anche come rispondere alle critiche che le venivano fatte. Per esempio: a che serviva aiutare qualche centinaio o migliaio di disgraziati, quando ve n’erano milioni? “Io non

in auto per dovere Una grande ed elegante automobile americana

attraversava lentamente le strade di Calcutta. La gente guardava dentro, riconosceva l’occupante, salutava festosamente. Dalla macchina una donna piccola piccola, vestita di un sari bianco a righe azzurre, rispondeva agitando la mano. Sì, era proprio Madre Teresa! Ma che cosa ci faceva a bordo di un’auto lussuosa? La storia è questa. Poco tempo prima (siamo nel 1946) il papa Paolo

VI era stato in visita in India. Per i suoi spostamenti era stata impiegata un’imponente vettura americana. Alla partenza, il pontefice volle donare la vettura a Madre Teresa, la cui fama cresceva e cresceva. Ecco perché una donna, di cui era ben nota la pratica della povertà, si trovava in quella strana situazione. Il lavoro della Madre richiedeva sempre più spostamenti, e l’auto era il solo modo per arrivare velocemente dove c’era bisogno. Alle prime Missionarie si erano uniti medici, infermiere, volontari. Molte altre iniziative vennero intraprese. Madre Teresa volle una Casa del Morente per

ragiono alla sua maniera”, controbatteva. Lei vedeva il Cristo in ogni sventurato; per questo, continuava, “la matematica non mi interessa”. Nacquero case per bambini abbandonati e per lebbrosi. Aiutava i lebbrosi con la stessa d ­ e­­dizione con cui, secoli prima, li soccorreva Francesco d’Assisi. Una volta un tale le disse: “Non toccherei un lebbroso neppure per mille sterline!”. “Oh, neanche io – rispose Teresa – ma per amore di Dio lo faccio vo­lentieri”.


in tutto il mondo Nei primi dieci anni il lavoro delle Missiona­rie fu

limitato a Calcutta. Poi, via via, la con­gregazione fondò Case in altre città indiane: a Delhi, Mumbai, Ranchi. Il passo successivo fu il vero e proprio decollo internazionale. Nel 1960 Teresa andò negli Stati Uniti; al ritorno si fermò a Roma, e fu ricevuta da papa Giovanni XXIII. Lì ottenne formalmente il riconoscimento pontificio, lì fu colpita dalla maestosità di San Pietro. Sempre nel 1960, fu aperta la prima Casa fuori dell’India, in Venezuela; nel 1968 Teresa andò con alcune sorelle a lavorare a Roma, e così, oltre allo splendore dei palazzi, vide anche la realtà delle borgate e degli immigrati del Sud. Nello stesso anno fu la volta di una Casa in

Tanzania. Si allargò anche il campo di intervento: ci furono cliniche per tubercolotici e per maternità, asili notturni, case per bambini abbandonati, nidi d’infanzia, scuole ele­mentari. Nel 1970 le Missionarie erano a Londra e l’anno successivo a New York. L’impatto con la società occidentale fece fare molte riflessioni a Madre Teresa. Eccone una: “Qui avete la società del benessere. Nessuno muore di fame. Ma c’è un’altra povertà. La povertà dello spirito, della solitudine”. Figuriamoci cosa accadde alla sua prima intervista televisiva. Rivide il filmato, e questo portava, naturalmente, interruzioni per gli spot pubblicitari. Uno di questi riguardava prodotti... dimagranti! Teresa era allibita: “E io passo tutto il mio tempo a cercare di far mettere su un etto di carne a gente tutta pelle e ossa!”. Ormai, Madre Teresa era divenuta un personaggio conosciuto in tutto il mondo. Ciò non le fece abbandonare i suoi princìpi. Cercava denaro per

i suoi poveri, ma rifiutava le entrate regolari che tanti le proponevano: “Non voglio che il lavoro diventi un business, ma che rimanga un’opera d’amore”. Dio le avrebbe sempre fornito l’aiuto per i suoi sforzi. Gli esempi non mancavano. Una volta, a Londra, necessitava di 6000 sterline per acquistare una sede, ma le casse della congregazione erano vuote. Teresa fece un giro di conferenze, parlò del suo progetto, ma non chiese soldi. I presenti, ogni volta, misero spontaneamente del denaro nella borsa del lavoro ai ferri, con le maniglie di legno, che Teresa portava sempre con sé. Alla fine i soldi furono contati: nella borsa vi erano 5995 sterline! “Dio vuole che comperiamo la casa”, fu il commento della Madre.


i fratelli della carità All’inizio degli anni Sessanta a Madre Teresa

venne un’idea: una nuova fondazione, simile a quella delle Sorelle, ma destinata agli uomini. Una congregazione di Fratelli Missionari della Carità. Padre van Exem fu subito d’accordo: gli uomini potevano svolgere compiti che per le donne erano difficili. Madre Teresa si occupò personalmente dei primi tre giovani che si presenta­rono, e ideò il loro abito: camicia bianca e pantaloni bianchi. Ben presto la congregazione si allargò, sotto la guida di un australiano, che prese il nome di Fratel Andrea. Nel 1967 la Chiesa approvò l’istituzione dei Fratelli Missionari; questi trovarono una residenza a Calcutta, ma ben presto cominciarono a viaggiare. Nei primi anni Settanta le Missionarie fondarono nuove case in Giordania, Bangladesh, Mau­ritius,

Israele, Yemen, Perù; ma anche i Fratelli si stabilirono all’estero. Nel 1975 cinque Fra­telli giunsero a Los Angeles, un altro gruppo si stabilì a Saigon; poi fu la volta del Giap­po­ne, di Hong Kong, dell’Europa. L’esperienza più traumatica non fu l’incontro con povertà e malattie, ma con una moltitudine di infelici che vivevano in solitudine, senza più prospettive. Fratel Andrea descrisse bene la situazione: “A volte la gente si chiede perché andiamo in posti dove regna il benessere, come Los Angeles, Tokyo, Hong Kong, quando in India c’è tanta povertà. Io ritengo che qui vi sia una povertà molto più terribile”. Madre Teresa era già arrivata alle stesse conclusioni: la povertà peggiore è quella dello spirito.


chi ha fatto di più? Per natura e per convincimento interiore, Ma­dre

Teresa era schiva verso il mondo, ma la sua fama continuava a crescere, le richieste di in­terviste erano sempre più pressanti. Una volta disse, scherzando su se stessa, che per ogni foto che le facevano doveva essere liberata un’ani­ma del Purgatorio! Il suo comportamento rimase sempre quello di una donna semplice; quando, ad esempio, fu intervistata dalla televisione inglese, la BBC, si dimostrò nervosa, impacciata; secondo i normali parametri l’intervista fu un disastro, tanto che i produttori pensarono di non ­mandarla in onda. Alla fine decisero di programmarla per la tarda serata: e qui si ebbe la grande sorpresa. La trasmissione incontrò un successo enorme; arrivarono lettere da ogni dove, che spesso recavano offerte d’aiuto; il tono era quasi sempre lo stesso: “Questa donna ha detto cose che mi hanno commosso, che non ho mai udito prima, e ho sentito che dovevo aiutarla”. Madre Teresa viaggiava molto. Venne a Roma, dove incontrò papa Paolo VI; tornò in Italia nel 1973, a Milano, dove guidò una marcia di sette chilometri; poi fu ricevuta da Filippo di Edimburgo, consorte della regina d’Inghilterra, e dal senatore Ted Kennedy: entrambi le affidarono notevoli somme per il suo lavoro.

Andò in Messico per partecipare al “Convegno Internazionale per l’Anno della Donna”, dove espresse il suo punto di vista sul ruolo tradizionale delle donne; poi fu in India, invitata da Indira Gandhi. Madre Teresa capì che aveva la possibilità di estendere il suo sforzo e aiutare ancor più bisognosi. Creò quindi un’organizzazione di volontari laici, che definì Collaboratori. Il nome le era stato suggerito dalla stima che aveva per la figura di Gandhi, che chiamò proprio così i suoi sostenitori. Col tempo si creò un vero legame planetario all’interno della grande famiglia dei Colla­boratori: chi aiutava le vittime di un terremoto in Oriente era affratellato a chi, a Londra, a­veva creato una Teresa Boutique che vendeva capi di seconda mano e dava tutto l’incasso alle organizzazioni della Madre. Nel 1975 si celebrò il venticinquesimo anniversario delle Missionarie della Carità. Teresa non volle concerti, discorsi, fotografie. Ma i festeggiamenti, meritatissimi, ci furono. La Ma­dre era riuscita davvero a portare il suo aiuto in tutto il mondo: 1100 sorelle in 80 case fecero festa insieme ai Fratelli e a migliaia di Collaboratori e simpatizzanti. Chi era riuscito a fare così tanto in così poco tempo?


il nobel per la pace Madre Teresa era diventata una star? Si poteva

pensarlo, visto l’enorme interesse che il mondo intero aveva per lei. La cosa più giusta al riguardo fu scritta da un giornalista norvegese al conferimento del Premio Nobel per la Pace nel 1979: “Una star? Sì, ma una stella che brilla di luce vera. Una star senza parrucca, senza il viso coperto di cerone, senza occhi bistrati, senza ciglia finte, senza visoni e senza diamanti. Il suo unico pensiero è usare il Premio per i più poveri dei poveri”. E fu veramente questo il pensiero di Teresa. Le Missionarie avevano fatto i loro calcoli, arrivando alla conclusione che con il denaro del Premio si sarebbero potute costruire duecento case per i lebbrosi. Bastò questo perché Teresa, che all’inizio era titubante, prendesse l’aereo per Oslo. Era dicembre, e si era fatta accompagnare dal­le

sue Sorelle più vecchie e fedeli, suor Agnese e suor Gertrude. La temperatura, a Oslo, era di dieci gradi sotto zero. Le tre donne si presentarono con i loro sari di cotonina, i sandali, i piedi nudi. Bisognò munirle di abiti pesanti, foderati di pelliccia, di stivali e di calze di lana. Il 10 dicembre 1979, alla presenza di re Olaf V, sotto il lampeggiare dei flash e nel ronzio delle telecamere, Teresa ricevette la medaglia d’oro e l’assegno del Premio. Commentò: “Non mi considero degna, ma piena di gratitudine, a nome dei poveri, degli affamati, di coloro che sono soli”. Parlava, come sempre, senza aver preparato alcun discorso. Chiese ai presenti di recitare la preghiera di San Francesco: “Signore, fai di me uno strumento della tua pace, così che dove vi è odio io possa portare amore”.


un papa per amico Le personalità dell’intero pianeta facevano ormai

a gara per incontrare Madre Teresa. Fu ricevuta dal presidente americano Reagan, da Carlo d’Inghilterra e dalla moglie Lady Diana, dalla regina Elisabetta e da Indira Gandhi quando si recò in India; ma la vollero incontrare anche stelle del cinema come Gina Lollobri­gida e sportivi famosi. Lei, ci dicono, rimase sempre la stessa persona semplice, dai gusti perfino troppo semplici, che lasciavano perplessi i big: per esempio, amava le statuette di plastica della Ma­donna, o i santini con su dipinto il cuore sanguinante di Gesù. Ma c’era chi amava proprio quella semplicità. Il papa Giovanni Paolo II divenne un vero amico di Teresa, che lo incontrò varie volte a Roma; nel 1980 il pontefice la invitò a Roma, dove tenne un discorso al “Sinodo Mondiale dei Vescovi”, che aveva come tema la famiglia cristiana nel mondo moderno.

Nel 1986 fu il papa a recarsi in India. Quando arrivò alla Casa del Morente, in automobile direttamente dall’aeroporto, Madre Teresa salì sul predellino e fece per entrare nella vettura per baciare, secondo l’etichetta, il piede del papa: ma questi la precedette abbracciandola e baciandola sulla fronte. Quando poi gli offrirono una ghirlanda, se la tolse e la mise al collo di Teresa. Fu proprio Giovanni Paolo II a sgridarla affettuo-

samente quando, nella sede delle Missio­narie di Roma, cadde e si ferì a un piede. La ricoverarono in ospedale: figurarsi! Teresa, zoppicando, tornò alla Casa per lavorare, ma il piede le dava acuti dolori. Fu il papa a telefonarle, dicendole: “Tutto il mondo ha bisogno di lei, quindi per favore vada in ospedale, si curi, si prenda un po’ di riposo”. Madre Teresa obbedì e, per una volta, rimase qualche tempo a riposare.


le ultime avventure Nel 1985 Madre Teresa ricevette una lettera da

parte di un americano che le descriveva le pene dei pazienti di AIDS. Rimase molto colpita, e lo stesso anno si recò a Washington per visitare quei malati. Poco dopo fece ciò che i giornali statunitensi chiamarono “Miracolo a Manhattan”: aprì la prima casa per malati di AIDS in una canonica del Greenwich Village. C’era una certa ostilità verso i portatori di quel male; ma il sindaco di New York disse testualmente che era impossibile dire di no a Madre Teresa. Riuscì da sola a fare ciò che, nonostante molti sforzi, a nessuno era riuscito: portare quegli sventurati al centro dell’attenzione. Quanto alle cause che avevano portato a contrarre quella malattia, che colpiva soprattutto gli omosessuali, Teresa disse così: “Non siamo qui per fare il processo a questa gente. La nostra missione è aiutarli”. Venne poi a sapere che tre carcerati di New York erano malati terminali di AIDS: ottenne dal governato­re Mario Cuomo che fossero ricoverati in ospedale. Un anno dopo, nel 1986, riuscì ad aprire nei pressi di Washington la Casa della Pace dedicata esclusivamente ai malati di AIDS. Non fu cosa semplice:

chi abitava nelle vicinanze protestò vivacemente, ma contro la volontà di quella donnina indomabile non la spuntarono. Madre Teresa era davvero, o davvero sembrava, costruita in modo speciale: “Sono fatta di ferro”, diceva. Non faceva che lavorare e, negli ultimi anni, il lavoro consisteva in continui viaggi. Fu a Cuba, a San Francisco, varie volte a Roma, in Austria, in Polonia, in Unione So­vietica per visitare i sopravvissuti di Cher­nobyl, in Sud Africa, in Perù, in Svizzera, in Albania.

Durante una visita in Tanzania l’aereo su cui viaggiava cadde sulla pista durante il decollo, investendo la gente che salutava i partenti: cinque persone rimasero uccise, fra cui tre bambini e una Sorella, suor Serena. Anche una donna di ferro può stancarsi. Quando Madre Teresa arrivò vicina agli 80 an­ni, la sua salute cominciò a presentare il conto.


santa! Nel 1989 Teresa ebbe un blocco cardiaco. Una

cosa molto seria, che faceva seguito a tanti altri disturbi a cui non aveva voluto dar peso. Dovette delegare molte delle sue re­sponsabilità; diede così le dimissioni da Supe­riora della Missionarie. Ma come si fa a sostituire una simile donna? Non ci riuscirono, e dovette rimanere al suo posto. Commentò così: “Credevo di essere li­bera, ma Dio ha i suoi piani. Dobbiamo fare ciò che egli ci chiede”. L’attività di questa donnina indomabile era stata qualcosa di prodigioso. Nell’anno della sua crisi, le Sorelle avevano più di 400 case in 90 paesi; i Fratelli, 82 comunità in 26 paesi; i Collaboratori raggiungevano l’imponente cifra di tre milioni. E sarebbero ancora aumentati. Eppure, la Madre non era esente da critiche. Soprattutto da parte degli attivisti del sociale, che

le rimproveravano di non occuparsi dei problemi della giustizia e dell’oppressione. La sua risposta fu molto indicativa: “Al primo posto non ci sono i problemi, ma le persone che soffrono per i problemi”. Lei viveva – materialmente – fra gente con la carne che pendeva dalle ossa per la fame, fra bambini dal ventre gonfio per i vermi, fra lebbrosi deturpati dalle piaghe: il primo impulso era di aiutarli, di soccorrerli. Subito, immediatamente. “Non è leggendo qualcosa sugli slums o facendovi una rapida visita – scrisse una volta – che possiamo capire la miseria. Dobbiamo immergerci in essa, viverla, condividerla”. Così capiamo perché volle sempre che le Missionarie usassero i mezzi più umili: non perché fosse una retrograda, ma perché in questo modo le Sorelle avrebbero compreso meglio i più deboli. Nel 1996 Madre Teresa ebbe altre crisi cardiache e, all’inizio del 1997, diede nuovamente le dimissioni da Superiora: e questa volta bisognò proprio

accettarle. Poco dopo, il 5 settembre 1997, il cuore della Madre cedette. Aveva 87 anni. Morì alla vigilia del funerale di una sua amica e protetta, Lady Diana, rimasta uccisa in un misterioso incidente a Parigi. Il funerale si svolse il 13 settembre a Calcutta: da tutto il mondo arrivarono personalità, e decine di migliaia di persone si affollarono per le strade al passaggio del feretro, portato sullo stesso affusto di cannone che era stato usato per i funerali di Gandhi e di Nehru. Era morta una santa? Lei, una volta, a chi già in vita la chiamava così, rispose: “La santità è un dovere, per voi come per me. Ogni essere umano è chiamato a essere santo”. E Teresa, sicuramente, rispose alla chiamata. Dopo la sua morte, la Chiesa abbreviò i tempi per il processo di beatificazione e il 4 settembre 2016 quella suora minuta e dallo sguardo scintillante, la grande Madre Teresa, è stata canonizzata e riconosciuta, finalmente, santa.



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