THE GREAT SEASONS OF ISLAMIC ART

Page 1

LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA DEL MEDITERRANEO MEDIEVALE

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 1

03/11/16 09:38


ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 2

03/11/16 09:38


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA DEL MEDITERRANEO MEDIEVALE a cura di

GIOVANNI CURATOLA

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 3

03/11/16 09:38


International copyright Š 2000-2016 by Editoriale Jaca Book SpA, Milano All rights reserved Prima edizione italiana novembre 2016

Impaginazione Break Point/Jaca Book

Stampa e confezione Stamperia Scrl, Parma novembre 2016

ISBN 978-88-16-60535-0

Per informazioni: Editoriale Jaca Book via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48.56.15.20; fax 02 48.19.33.61 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 4

03/11/16 09:38


INDICE

7

LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA Giovanni Curatola

13

DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASIDE Giovanni Curatola

49

L’ARTE DI AL-ANDALUS E DELL’AFRICA DEL NORD Gonzalo M. Borrás Guali

71 LA PENISOLA IBERICA: INCONTRO, SCONTRO E INFLUENZE ARTISTICHE FRA IL MONDO OCCIDENTALE E QUELLO ARABO-ISLAMICO Jerónimo Páez López Rafael López Guzmán

97 LE ARTI IN SPAGNA E MAROCCO NEI PERIODI ALMORAVIDE E ALMOHADE Anna Contadini

121 LE ARTI DEL PERIODO FATIMIDE Anna Contadini

141 INFLUENZE CRISTIANE SULL’ARTE DELLA SIRIA E DELL’EGITTO Giovanni Curatola

159 I SELGIUCHIDI: UNA «CROCIATA» TURCA Giovanni Curatola

179 L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO Giovanni Curatola

207 L’ARTE ISLAMICA OCCIDENTALE AGLI ALBORI DEL RINASCIMENTO EUROPEO. NASRIDI E MERINIDI José Miguel Puerta Vílchez

233 BIBLIOGRAFIA E NOTE 240 INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 5

03/11/16 09:38


ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 6

03/11/16 09:38


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA Giovanni Curatola

Nonostante il gran parlare che ultimamente si fa di Islàm nelle sue più varie accezioni, in particolare in quelle sociologiche, religiose e politiche, l’arte espressa da quelle civiltà resta, ancora oggi, perlopiù confinata ai margini di una conoscenza che definire superficiale – e che, fra l’altro, viene costantemente appesantita da luoghi comuni e radicati pregiudizi immotivati quanto inamovibili; esempio lampante è la sua pretesa iconoclastia – è decisamente eufemistico. Questo a dispetto delle tristi circostanze che l’azione sconsiderata del più bieco e retrogrado fanatismo, proprio di recente esercitatosi – meglio ri-esercitatosi – nella dissennata distruzione di tanti insigni monumenti (anche di matrice islamica, non si creda il contrario), avrebbero dovuto portare al tentativo di un’analisi, o almeno alla timida presa di coscienza dell’esistenza di un mondo artistico islamico, niente affatto secondario o «neutro» nell’affermarsi di quella millenaria cultura. Invece, niente. Sorprendentemente, altra amara valutazione, neanche oltremare, dove un simile dibattito sarebbe dovuto emergere, almeno nelle locali «intellighenzie»; a conferma del presente e pesante appiattimento generale, nessuna voce si è levata per tentare una seria analisi, anche introspettiva (diciamo così), limitandosi le reazioni a riecheggiare l’insopportabile cicaleccio inconcludente già troppe volte ascoltato, sterile e certamente inutile. Si è a lungo strepitato di barbarie – indubbia – ma senza davvero affrontare il problema, senza cercare di capire le radici di tale fenomeno, e cioè se queste, paradossalmente, affondino davvero nel dettato Profetico e dunque musulmano. Qui da noi sdegno, sconcerto, condanna che sono tutti atteggiamenti largamente condivisibili, diciamolo con chiarezza adamantina; ma resta il fondato dubbio che senza un adeguato sforzo di analisi e di comprensione, rimarremo privi di strumenti atti alla prevenzione e cura di tali fenomeni, destinati rebus sic stantibus alla possibile se non probabile reiterazione. Ignoranza genera ignoranza. Eppure ci è stato insegnato che, per esempio, non possiamo capire il Partenone senza Pericle (e viceversa) o il Rinascimento senza la sua arte. Banale, certo, ma è una riflessione necessaria quando prendiamo in considerazione l’arte islamica, questa sconosciuta. Tanto più che in buona parte quella islamica è anche un’arte mediterranea, che ci riguarda da vicino, con la quale abbiamo avuto rapporti non sporadici e secondari, soprattutto sulle sponde meridionali del mare nostrum. Definire una cultura attraverso la sua arte è operazione difficile. Tanto più una (o più) civiltà come quelle islamiche che per varie ragioni anche storiche, ci siamo impegnati a ignorare fin troppo a lungo, scientemente, avrebbe chiosato un Edward Said; alla cui analisi, peraltro, potremmo proprio rimproverare di non aver preso in esame la sponda meridionale del Mediterraneo europeo (Francia, Spagna, Italia, Grecia), quei paesi che l’atteggiamento colonialistico non l’hanno certo evitato, ma forse se non schivato, mitigato, per atavica e storica frequentazione. Vero è che ancora oggi i riflessi, consci o inconsci,

7

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 7

03/11/16 09:38


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

di quel complesso eurocentrico di superiorità verso l’Islàm (comprendendo, ovviamente, anche le sponde al di là dell’Atlantico), quando decidono di dedicarsi a operazioni archeologiche nelle ricche e vetuste terre d’Oriente, prossimo o più lontano, lo fanno nella stragrande maggioranza dei casi dedicando tempo, denaro, energie, studi alle civiltà preislamiche, quasi considerando i millequattrocento e passa anni di storia un accidente di percorso, non sempre, fino a pochi decenni fa, degno nemmeno della documentazione archeologica di superficie. Riequilibrare tale tendenza non sarà facile – per le contingenze, ma anche per le esigue forze in campo – ma è compito necessario e impellente. Certo non ci si muove in un territorio inesplorato e vergine; le sintesi esistono e alcune di esse sono pure pregevoli. Ma non basta. In un panorama frammentato – anche storicamente – quale quello mediterraneo è forse opportuno soffermarsi anche sulle singole tessere che formano il mosaico complessivo. È lo scopo di questo volume nel quale le grandi stagioni dell’arte islamica nel Mediterraneo vengono affrontate, su un arco temporale abbastanza ampio da permetterci una ricognizione certo non esaustiva, ma abbastanza precisa e puntuale. Se vogliamo non un punto di arrivo, ma di partenza, soprattutto in relazione a quanto argomentato poco sopra. Gli Omayyadi e gli Abbasidi in questa ottica, e anche per cronologia, non possono che essere la tappa di avvio di questa ricognizione. La prima dinastia ereditaria (661-750), non solo si configura come la fase embrionale di un linguaggio artistico (debitrice consapevole degli augusti precedenti tardoantichi/bizantini su un versante e mesopotamici/sasanidi sull’altro), che però da subito chiarisce alcuni intenti e linee programmatiche ideologiche; periodo formativo, per dirla con il Monneret de Villard, poi ampiamente ripreso e con maggiore fortuna critica da O. Grabar, nel quale però se l’alfabeto è composto da lettere prese in prestito in piena coscienza, il linguaggio, appunto, si smarca e libera in autonomia e da subito si impone come innovatore, in particolare attraverso l’uso, tutto semitico e già affermato con forza nella natia penisola araba, della scrittura (in particolar modo coranica) quale marchio discriminante e distintivo nell’architettura (Cupola della Roccia, Gerusalemme), così come nella monetazione (la «rivoluzione» di Abd al-Malik, 696). Per inciso: fenomeno curioso questa esaltazione, anche artistica, della scrittura, per una cultura che inizialmente si fonda sull’oralità, tanto che nemmeno il Corano sarà opera scritta fino alla collazione del III Califfo, Othman (644-656). In più c’è da mettere in conto l’ispirazione romana imperiale che non dovette essere estranea alla creazione di grandi centri urbani e alla loro amministrazione. I problemi interni, non ultima una espansione vorticosa e la difficoltà dell’organizzazione di uno Stato, laddove la preoccupazione maggiore dell’azione profetica di Muhammad ci pare, invece, sia stata quella della creazione di una comunità coesa e solidale, e le spinte disuguali provenienti dalle conquiste anche lontane, hanno favorito se non determinato la disgregazione omayyade anche con un riequilibrio geografico (ma non solo) della prima epoca Abbaside. Quasi un pendolo, fra Mediterraneo e Asia Centrale, un equilibrio sempre precario e instabile, ma assai fecondo sul piano della creazione. E i frutti si vedono, perché a Samarra, nel IX secolo, prende corpo quel linguaggio artistico islamico internazionale che non a caso è richiamato fin dal titolo del primo saggio. L’Islàm ha il potere, ma non sa ancora come rappresentarlo: impara in fretta, pur senza snaturarsi e mantenendo ferme alcune caratteristiche distintive, pescate, di sicuro, nell’ampio ventaglio di

8

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 8

03/11/16 09:38


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

scelte che si proponevano, ma incanalate e rese funzionali a una ideologia precisa: arte geometrica, arabesco, calligrafia si sviluppano ed emergono, fresche e vitalissime, in questo contesto. Si diceva della doppia spinta propulsiva dell’Islàm – orientale e occidentale al contempo –, anche se in questa nostra cornice è quella occidentale per forza di cose a interessarci di più, pur rimanendo sullo sfondo il complesso intreccio di accadimenti più lontani. Spagna, ovvero Andalusia e Nordafrica, dunque. Si tratta di una lunga stagione di storia europea, caratterizzata da una importante fioritura di idee e da una civiltà (prevalentemente musulmana) che pur non sperimentando appieno il «meticciato» ne delineò degli aspetti che ancora oggi sono degni della massima attenzione. Il peculiare carattere governativo islamico se non favorì il policentrismo (sede del califfato abbaside fu comunque Baghdad, fino alla conquista mongola del 1258), tuttavia nemmeno l’ostacolò troppo. In Spagna non fu immediatamente proclamato un Califfo, bensì il governo fu appannaggio di un Emiro, il quale si adoperò per tenere rapporti tutto sommato buoni con i sudditi anche di fede cristiana ed ebraica. La Cordova di Abd al-Rahman I (731-788), ne è l’esemplificazione tangibile. Va da sé che largo spazio sia dedicato alla grande moschea di Cordova e alle sue fasi costruttive, essendo questa uno dei più insigni monumenti architettonici, non solo musulmani. L’analisi molto scrupolosa delle strutture cordobane (ma anche di Madinat al-Zahra’, la città/palazzo limitrofa e centro amministrativo omayyade) non è un esercizio fine a sé stesso, ma evidenzia prestiti e influenze (come gli straordinari mosaici della cupola antistante al mihrab, quella che ha «ispirato» il San Lorenzo di Torino di Guarino Guarini (1680)), che molto raccontano della permeabilità islamica nei confronti di fonti le più disparate. Tutto questo, ovviamente, senza trascurare il côté nordafricano, non meno importante seppure non così ricco di autorevoli testimonianze, almeno per quest’epoca storica. I riflessi di quest’arte (che si esalta negli oggetti: tessuti preziosi, ma soprattutto le vertiginose sculture del gruppo omogeneo di avori intagliati, pissidi, cofanetti e scatole di ineguagliata maestria e bellezza, non a caso in gran parte tesaurizzati nelle proprietà ecclesiastiche), sono pienamente avvertibili nel mondo occidentale, soprattutto iberico, nel quale lo scontro fu certamente più vivace, ma lo fu anche l’inevitabile scambio. Mediterranea, quanto meno nel sentire e nell’afflato, è anche l’architettura delle due grandi dinastie di origine magrebina, la Almoravide (1062-1147) e la Almohade (1130-1269), con tutto quello che ancora oggi possiamo vedere per esempio a Fez o Marrakesh, e così intimamente legato alle esperienze di Andalusia da risultare, talvolta, indistinguibile da quella in un rapporto di mutuo sostegno. Tracciando un profilo delle grandi stagioni islamiche del Mediterraneo un ruolo non solo non secondario, ma preminente spetta ai Fatimidi (907-1171), i quali nonostante la relativa brevità del loro dominio, hanno lasciato tracce profonde e indelebili non solo nelle arti, ma nelle società islamiche tout court. Sciiti, fondarono il potere più consolidato nell’attuale Tunisia (con capitale Mahdiyya), ma invasero l’Egitto da ovest, con azzardo temerario e inaudito, considerando la difficile impresa del superamento del Sahara libico ed egiziano. Il loro stabilire un califfato alternativo e concorrente a quello di Baghdad (dai Fatimidi ovviamente bollato come usurpatore e dunque illegittimo), smosse la politica islamica con la conseguenza che, in una ennesima spinta disgregatrice, anche in Spagna si passò dall’emirato al califfato, accentuando

9

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 9

03/11/16 09:38


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

così le fratture già esistenti. Cairo (al-madinat al-Qahira) reca un’impronta notevole del dominio fatimide dal momento che la sua urbanistica (con le porte monumentali ancora conservate) fu determinata abbastanza chiaramente da questa dinastia, anche se le successive fasi ayyubide (1171-1250) e in particolare mamelucca (1250-1517), l’hanno fortemente modificata, ma senza stravolgerla. La moschea di al-Azhar (9702) non è solo importante dal punto di vista architettonico (con la sua navata centrale in corrispondenza del mihrab più larga e alta rispetto alle altre, secondo un modello già attestato o sperimentato a Kairouan), ma è anche una delle più antiche università al mondo tutt’ora in attività. Proprio la questione dell’indottrinamento ideologico ivi svolto è anche all’origine della reazione, prima ayyubide e poi, con più decisione, mamelucca, dello sviluppo e del proliferare di quella istituzione peculiare che è la madrasa (ovvero scuola coranica), spesso con annesso mausoleo del mecenate. Se poco di fatimide ci resta quale testimonianza dei monumenti costruiti (i mausolei furono distrutti da una popolazione che mal aveva accettato il dominio forestiero e una ideologia, quella sciita, mai maggioritaria e pienamente condivisa), le tracce superstiti della cultura materiale, che così tanta parte hanno nell’arte islamica, ci autorizzano a qualificare questo periodo come una delle epoche d’oro dell’espressione anche figurativa, se la cappella Palatina a Palermo (1143) è anche se non soprattutto fatimide. Finissimi sono i tiraz, le stoffe iscritte della tradizione egiziana; però la vera gloria sono i cristalli di rocca scolpiti, oggetti di fattura squisita, ancora una volta vanto dei tesori delle cattedrali d’Europa (come i nuclei italiani, fra tutti a San Marco a Venezia e San Lorenzo a Firenze) e dei suoi principali musei. E proprio ricollegandosi a questo, chi scrive, ha voluto dedicare un capitolo alle «Influenze cristiane sull’arte della Siria e dell’Egitto», testo emblematico se riferito alla complessità delle società locali, anche alla luce delle persistenti crociate che fanno da sfondo politico e militare a quel periodo. Se talune opere potranno apparire decisamente sorprendenti, non dobbiamo mai dimenticare come il crogiolo mediterraneo dovrebbe averci resi avvezzi alla comprensione di tali volute e non episodiche commistioni. Con i Turchi selgiuchidi (data iniziale è il 1071 che segnò la sconfitta bizantina di Manzikert; quella finale il 1302 quando essi si arresero a un’altra invasione da Oriente, quella dei Mongoli), tocchiamo una diversa regione geografica nella quale l’Islàm si è fatto mediterraneo, ma giungendovi da tutt’altra direzione e con tutt’affatto difforme sostrato culturale, nomadico e centroasiatico. Ancora una volta, ma non può essere diversamente, il leitmotiv è quello del livello di assimilazione, dell’incontro fra sensibilità diverse e dei loro esiti; qui le grandi culture e civiltà cristiane, l’armena e la georgiana, forse un tantino provinciali rispetto alla Costantinopoli ancora di là da cadere o essere conquistata (incidentalmente: trauma più internazionale e nostro che non locale, dove in realtà si stabilì, all’inizio, una continuità percepita come assolutamente naturale), ma comunque ben insediate sul territorio, furono investite e costrette a raffrontarsi con la ventata orientale islamica. Esiti originali, certamente, e di altissima qualità: l’architettura in pietra (laddove gli stessi Selgiuchidi in Iran costruivano esclusivamente in mattone), rigorosissima nelle forme e nelle masse murarie, si traveste indossando decorazioni esuberanti e di stupefacente bellezza, estranee al repertorio precedente (Konya, ma anche Erzerum, Sivas, per culminare con quell’unicum «barocco» che è Divriéi), ma rimanendo strutturalmente debitrice di una storia secolare che mai rinnegata riaffiora onusta di tradizione. Marco Polo (1254-1324),

10

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 10

03/11/16 09:38


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

testimone in presa diretta, ci ricorda che «quivi si fanno i sovrani tappeti del mondo e di più bel colore», e anche se possiamo dubitare del suo personale gusto e senso estetico, si trattava pur sempre del giudizio di un abile mercante e uomo di mondo! I Mamelucchi (1250-1517), in prospettiva mediterranea, sono per l’Islàm la dinastia che meglio di ogni altra, perfino più della ottomana, incarna il passaggio da una fase medievale a quello che con i nostri parametri definiamo Rinascimento. Cairo è la protagonista indiscussa di questo interessante periodo nel quale una élite militare di ascendenza turca e circassa esercita fermamente il potere in un periodo tutto sommato lungo e abbastanza pacifico, lambito dagli ultimi echi delle Crociate e fatto salvo lo scontro di fine Duecento con le orde mongole, replicato poi dal sopraggiungere di Tamerlano, e del suo sacco di Damasco a inizio Quattrocento. Notevole è l’attività costruttiva, non solo dei sultani, ma anche dei potenti emiri e funzionari di una corte amministrativamente molto ben strutturata. Le arti decorative vivono una stagione fortunata: opulenti sono i tappeti che iniziano a circolare con frequenza anche nei mercati europei, dove la comunità ebraica veneziana esercita una sorta di monopolio. I vetri sono fra i più raffinati eseguiti all’epoca, con smalti policromi di accattivante lucentezza e i metalli appaiono sontuosi; il repertorio decorativo si basa soprattutto su assai vigorose iscrizioni, ma ingloba suggestioni estremo-orientali (forse per via dello scontro/incontro con i Mongoli, oppure per via dei commerci con la Cina, con transito dai porti dello Yemen), e raggiunge livelli qualitativi decisamente alti. Forse proprio mamelucchi sono quei metalli (prodotti da una vera e propria industria artistica con manifattura di raffinatissimo artigianato) che a fine Quattrocento influenzarono pure prodotti italiani, quelle opere che a lungo hanno sopportato la definizione, fuorviante quanto poche altre, di «veneto-saraceni», fenomeno peraltro già attestatosi da almeno un secolo. Gli stemmi nobiliari mamelucchi fanno bella mostra di sé nella pittura italiana, veneta in particolare, con artisti quali Carpaccio, Gentile Bellini, Belliniano e altri. E la chiusura, infatti, è riservata a quelle non poche tracce che vicinanza con l’Oriente – rivale, ma pur sempre partner commerciale imprescindibile – hanno lasciato in taluni nostri artisti, da Giotto a Gentile da Fabriano, a Pisanello. E non si tratta di citazioni inconsce o involontarie, bensì di scelte meditate, quasi sempre inserite in opere nelle quali si esalta il culto e la devozione per la Vergine. Insomma, il Mediterraneo è tutt’altro che estraneo sia alla definizione di «arte islamica», sia al suo sviluppo e diffondersi anche oltre i territori del suo stretto dominio politico. È storia anche nostra, una radice comune, un fenomeno senza artificiali barriere o confini geografici precisi, un mondo artistico (anche figurativo, come nella Cappella Palatina) complesso, talora sorprendente, che ci aiuta non poco, essendone un tassello imprescindibile, a inquadrare il nostro stesso modo di «fare arte».

11

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 11

03/11/16 09:38


VABÃ’LKNDDOBMD L GRANDE ARTE ISLAMICA DEL MEDITERRANEO

12

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 12

03/11/16 09:38


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASIDE Giovanni Curatola

L’orientamento mediterraneo dei primo Islàm e le sue diverse sensibilità artistiche

Questa rara pagina di Corano dell’VIII secolo presenta un modello tipico di moschea, ispirato a quella di Damasco: colonnati a due piani che corrispondono a navate che corrono parallele al muro della qibla e un transetto perpendicolare a esso che va dal mihrab alla porta centrale. L’artista mostra grande scioltezza, anche nella raffigurazione dei particolari. Sanaa, Dar al Makhtutat, n. 20-33.1.

Nel 632 d.C. Maometto muore a Medina. Non lascia dietro di sé uno Stato organizzato e nemmeno una versione scritta del Corano, compito questo che si assumerà il III Califfo «ben guidato»: ‘Othman Ibn Affan. Dunque sulle prime fasi posteriori alla scomparsa del Profeta regnerà una grande incertezza, fatta salva la straordinaria spinta espansionistica che caratterizzerà gli anni a cavallo della metà del VII secolo. Alla mancanza di coesione interna, ben esemplificata dalle lotte, anche ideologiche, per la successione (non si dimentichi che tre dei quattro Califfi «ben guidati» furono assassinati) corrispose un’unità di intenti verso l’esterno; insomma i sommovimenti interessarono sia il Dar al-Islàm sia il Dar al-Herb. Le alleanze tribali concluse da Maometto nella penisola arabica e l’islamizzazione di questa regione fecero sì che lo spazio di manovra militare (affidata alla pratica mai rinnegata della razzia) si rivolgesse verso i due grandi imperi dei Bizantini a Occidente e dei Sasanidi a Oriente, regni che fra loro si erano a lungo strenuamente combattuti. La forte spinta alla conquista si spiega con la delicata situazione interna (il carisma del Profeta, che tanta parte aveva avuto nello stabilire le alleanze fra tribù spesso rivali, non era certo sostituibile) e la necessità di trovare uno sbocco alle razzie che non si potevano più compiere presso altri musulmani, e quindi dovevano necessariamente trovare sfogo verso le sponde mediterranee da una parte e ad Oriente dall’altra. Tanto più che il Corano forniva ampie giustificazioni e promesse di gloria: «Combattete sulla via di Dio e sappiate che Dio ascolta e conosce» (II, 244); «E non chiamare morti coloro che sono stati uccisi sulla via di Dio, anzi, vivi sono, nutriti di grazia presso il Signore!» (III, 169); «Combattano dunque sulla via di Dio coloro che volentieri cambiano la vita terrena con l’Altra, ché a colui che combatte sulla via di Dio, ucciso o vincitore, daremo mercede immensa» (IV, 74). Ma il meccanismo della razzia non prevedeva, in realtà, lo stabilirsi di un’acquisizione territoriale duratura; queste avvennero molto più gradualmente per

13

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 13

03/11/16 09:38


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

assimilazione in virtù di meccanismi differenziati fra i quali quello forse più importante fu lo strumento fiscale. Infatti i Califfi e i comandanti militari musulmani non incoraggiarono le conversioni all’Islàm: essi stabilirono – nei confronti degli Ahl alKitab e cioè sostanzialmente di ebrei e cristiani – una sorta di protettorato per quelle comunità (il nome con cui questa istituzione sarà nota in epoca ottomana sarà quello di Millet) in cambio di un affitto per i terreni, tributi e imposte personali. Questo metodo aveva un precedente importante quando Maometto era ancora in vita: il gruppo ebreo dei an-Nadir esiliato da Medina nell’oasi di Haybar fu costretto a un accordo per cui poteva coltivare le proprie terre, ma una metà dei proventi doveva essere data ai musulmani (a coloro che avevano partecipato alla spedizione). I seguaci di Maometto si resero ben presto conto che il controllo di grandi comunità non era militarmente possibile (s’è detto, non erano attrezzati nemmeno da un punto di vista organizzativo, abituati com’erano ad azioni rapide più simili alla «guerriglia»), mentre una via amministrativa garantiva loro un introito molto maggiore. Questa visione

La decorazione dell’esterno della Cupola della Roccia, quale ci appare oggi è quella realizzata all’epoca di Solimano il Magnifico. I volumi tuttavia e la posizione sulla Sacra Spianata a dominare la città di Gerusalemme corrispondono a quelli della costruzione originaria, elevata a pochi decenni dalla conquista omayyade. Tra le varie e dibattute funzioni che dovette avere l’edificio, sono indubbie l’affermazione trionfale del nuovo potere e la proclamazione della fede nell’unicità di Dio.

14

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 14

03/11/16 09:38


ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 15

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

lungimirante e innovativa, perché la terra non veniva redistribuita ma diveniva nominalmente proprietà della comunità islamica (non possiamo ancora definirlo Stato), rimanendo di fatto in pieno possesso di quanti la lavoravano, fu imposta da ‘Umar Ibn al-Hattab, il quale si rese conto che le distanze ormai erano tali da richiedere guarnigioni importanti (come Kufa e Bassora in Iraq). Le tasse permettevano di mantenere un esercito efficiente composto dall’aristocrazia tribale musulmana senza necessità di altre fonti di reddito: allo stesso modo furono proibite le incursioni nei territori sottoposti a protezione, i quali vennero a migliorare il loro status rispetto agli anni precedenti quando risultavano taglieggiati dai governatori locali bizantini e sasanidi resisi di fatto indipendenti dai poteri centralizzati di corti ormai corrotte e decadenti. Un altro fattore importante dei primi anni di sviluppo del mondo musulmano è il debito o meglio l’influenza esercitata su Maometto dalle comunità ebraiche e, in mi-

Nella pagina precedente: L’interno della Cupola della Roccia ha un doppio ambulacro ottagonale con pilastri e colonne; al centro è la roccia sacra. L’estesissima decorazione a mosaico, di qualità eccezionale, svolge un programma iconografico originale che utilizza in modo nuovo temi presenti nel mondo mediterraneo e iranico. Al di sopra delle arcate centrali corre una lunga iscrizione in mosaico che contiene i passaggi cristologici del Corano.

sura minore, cristiane. Prima della Rivelazione Maometto sarà un mercante impegnato lungo la via dell’incenso, quella rotta commerciale che dalla penisola arabica (e dal Corno d’Africa) risalirà verso il bacino mediterraneo entrando in contatto con le comunità siriane e apprendendone usi, costumi e pratiche religiose. Il tratto del dinamismo è connaturato con l’Arabo; non solo nomade ma anche cittadino, egli sublimerà queste due tendenze antitetiche nella figura del mercante. Il pellegrinaggio annuale (obbligatorio almeno una volta nella vita) assomiglia molto all’istituzione giubilare e difatti ne assume alcune caratteristiche. Sarà un formidabile strumento di propaganda (ma anche di controllo), in grado di plasmare una struttura statuale policentrica eppure sempre riconducibile a un’unitarietà di fondo, un axis mundi inalienabile. È il colpo di genio più straordinario di Maometto che ridisegna il ruolo di Mecca (e della Ka’ba) per non disperdere una tradizione fortemente radicata nella memoria collettiva e nelle pratiche economiche della società tribale a lui contemporanea. Ma al contempo, s’è accennato, egli non può sottrarsi al fascino esercitato dai «fratelli maggiori ebrei». Nei primi anni dell’Egira, a Medina, il sostegno dei clan ebrei era necessario a Maometto il quale aveva bisogno di rafforzare la propria comunità e probabilmente riteneva possibili delle conversioni massicce dati alcuni tratti comuni delle due fedi; così, com’è noto, non fu, ma certe caratteristiche si erano ormai delineate e assieme a esse il ruolo particolare che assunse la città di Gerusalemme. In un primo momento questa fu indicata dal Profeta quale gibla, ossia direzione verso la quale rivolgersi

Nella costruzione della Cupola della Roccia venne utilizzato un modello architettonico molto diffuso nel Mediterraneo tardoantico e nella stessa Gerusalemme, segno del caratteristico modo di procedere degli Omayyadi: cercare nella tradizione del mondo conquistato le forme da utilizzare per le proprie necessità espressive. Pianta, sezione e, a fronte, interno della cupola.

16

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 16

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

17

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 17

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

all’atto della preghiera, poi sostituita (nel 624) con Mecca per ragioni politiche. Ma Gerusalemme non viene certo abbandonata; la sura XVII («Sura del viaggio notturno») si apre con questo versetto: «Gloria a Colui che rapì di notte il Suo servo dal Tempio Santo al Tempio Ultimo, dai benedetti precinti, per mostrargli dei Nostri Segni». Il Tempio Santo è inequivocabilmente la Mecca, o la Ka’ba come appare in altri passi coranici, mentre il Tempio Ultimo a seconda delle interpretazioni potrebbe essere o il Paradiso oppure (interpretazione corrente verso la fine dell’epoca omayyade) la città di Gerusalemme. Un gruppo di hadith (detti e fatti riguardanti la vita del profe-

ta, ovvero «sviluppi esegetici di allusioni coraniche») racconta di una isra’ – «viaggio notturno» – da Mecca a Gerusalemme da dove il Profeta avrebbe compiuto il mi’rag («ascensione») vuoi accompagnato da Gabriele o da Gabriele e Michele, vuoi dalla cavalcatura miracolosa Burak. Vicenda, quella del viaggio ultraterreno di Maometto, ripresa dal Liber de Scala e all’origine della mai sopita polemica sulle fonti arabo islamiche della Divina Commedia, innescata dal dottissimo studio di Asin Palacios, pubblicato nel 1919. In ogni caso Gerusalemme con la Qubbat as-Sahra (costruita sulla pietra, fra l’altro, del sacrificio di Abramo e Ismaele – secondo la versione musulmana –), sarà la terza Città Santa dell’Islàm, anche perché da quella stessa roccia sacra una tradizione vuole che abbia avuto inizio il mi’rag di Maometto. Della necessità dei musulmani di spingersi verso il Mediterraneo abbiamo accennato, ma c’è un’altra questione di primaria importanza di cui tener conto; e cioè: qual era il sentire islamico nei confronti dell’arte ai tempi di Maometto e nelle prime dinastie, l’omayyade e l’abbaside (rispettivamente 661-750 e 750-1258)? Innanzi tutto va detto che il Corano non si occupa praticamente mai di arte e in nessuna sua parte si accenna alla questione delle immagini umane e relativa proibizione, e nemmeno gli hadith sono prodighi di informazioni; dunque, per certi versi, ci troviamo su un terreno vergine in cui le elaborazioni teoriche (comunque scarse) saranno molto più tarde. Una visione occidentale e molto condizionata dal colonialismo ha spesso trat-

Costruita sul luogo dove esisteva il tempio di Giove Damasceno e poi la basilica di San Giovanni Battista, la grande moschea di Damasco è l’altro monumento eminente dell’età omayyade. Inserendosi in uno spazio già edificato, gli architetti orientano la moschea in modo perpendicolare alla precedente basilica così, in corrispondenza al muro esterno del temenos si trova ora il lungo muro della qibla. Parallele a esso furono elevate le navate della moschea; il transetto è perpendicolare alla nicchia del mihrab. Questo impianto divenne un modello per la successiva architettura islamica. La moschea al-Aqsa (la Lontana) dalla sua fondazione destinata certamente alla preghiera, ha una pianta rettangolare semplice con le navate perpendicolari al muro della qibla quella centrale più ampia.

18

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 18

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

Questa immagine di una navata della grande moschea di Damasco permette di apprezzare gli effetti del cambiamento introdotto dagli Omayyadi in uno spazio che, per altri aspetti è quello basilicale tradizionale. Anche l’interno della moschea era originariamente decorato a mosaico.

Nella doppia pagina seguente: Un’altra immagine della moschea con l’edicola contenente le reliquie di san Giovanni Battista. L’ampia corte della moschea circondata da un porticato entrò anch’essa a far parte del modello edilizio corrente. Originariamente, quasi tutte le pareti dei portici e la facciata erano ricoperte da mosaici. L’usura del tempo, un disastroso incendio nel 1893 e restauri problematici hanno molto alterato l’aspetto originario.

teggiato l’Arabia preislamica e coeva alla predicazione di Maometto come una sorta di scatola vuota, o meglio piena solo di sabbia, nella quale le tribù seminomadi si muovevano incessantemente in su e in giù come pesci in un acquario. Le più recenti ricerche archeologiche (per esempio nella regione yemenita, ma non solo) hanno invece dimostrato inequivocabilmente un grado di sviluppo, anche artistico, di una buona consistenza. Del resto la tradizione più attendibile vuole che nella Ka’ba si trovassero immagini scolpite: «Gli idoli che fece frantumare. Il più grande, quello di Hubal, che era di pietra, fu rovesciato e gettato davanti alla porta del tempio per fungere da soglia» come conferma Tabari; sculture e forse pitture distrutte appunto al momento della conquista di Mecca (630), salvo un’immagine della Vergine Maria, secondo una versione, a riprova della simpatia nei confronti dei cristiani. Questo ci rammenta il ferreo monoteismo islamico e l’avversione non già nei confronti delle immagini in quanto tali, ma nel fatto che esse potessero facilmente essere trasformate in idoli; si tratta forse di una distinzione sottile e capziosa (verrebbe da dire un bizantinismo…), ma ha una sua logica e un suo peso indiscutibile. Una sensazionale scoperta avvenuta a Sanaa nei lavori di rifacimento della locale moschea congregazionale (che si vuole costruita con il Profeta ancora in vita) ha portato alla luce alcuni manoscritti murati dietro una parete e fra questi pagine coraniche databili all’VIII secolo. Ebbene è sorprendente e significativo che tali pergamene siano decorate con dise-

19

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 19

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

20

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 20

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

21

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 21

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

gni architettonici interpretabili come la rappresentazione di una moschea. Allora nel considerare l’arte islamica, soprattutto nel suo periodo formativo (espressione quanto mai azzeccata, fulcro di un’importante opera di O. Grabar), si deve avere estrema cautela nelle definizioni di «iconoclastia», «anticonismo» (forse più rispondente il termine «aniconismo») che purtroppo sono divenuti luoghi comuni, patrimonio anche di qualche storico dell’arte poco avvertito.

Gerusalemme, la Città Santa L’espansione islamica verso la regione siriana e in Palestina fu decisamente rapida e in queste zone sorgono fra i monumenti più significativi del primo periodo della dominazione islamica. Gerusalemme ha, ovviamente, il ruolo fondamentale di Città Santa e dunque l’impatto, soprattutto psicologico, della presa fu straordinario. Innanzitutto non si tratta di una conquista armata ma di una resa, favorita dalla politica musulmana di protezione alle «minoranze» degli Ahl al-Kitab; nel caso di Gerusalemme a quella cristiana giacché non è documentata per il 636-638 (quest’ultima è la data più probabile dell’acquisizione) una significativa comunità ebraica. Sarà ‘Umar Ibn al-Hattab a entrare in Gerusalemme e a visitarla accompagnato dal venerabile patriarca Sofronio e a soffermarsi per primo sulla grande spianata (allora ricolma di rovine) dell’antico tempio di Erode e a dare importanza alla grande roccia associata a pratiche religiose care ai tre monoteismi. È il luogo – addirittura – su cui Dio avrebbe lasciato l’impronta del proprio piede secondo una dottrina antropomorfica (discutibile e discussa finché si vuole ma pur sempre tramandata!), ripresa anche nel mondo islamico (mujassimah) e dibattuta agli inizi dell’VIII secolo. Vi si compie il sacrificio di Ismaele o Isacco, a seconda delle versioni, ed è il punto da cui dopo la isra’ avrebbe avuto inizio il già menzionato mi’rag di Maometto. Va da sé che queste sono in buona misura ricostruzioni a posteriori, più congetture atte a spiegare la sacralità del luogo che non affermazioni suffragate da prove concrete. È però certo che la città – all’epoca non una grande capitale ma soprattutto un insuperabile centro spirituale – diviene fondamentale per quello che oggi chiameremmo il concetto di «propaganda» stabilitosi programmaticamente al momento dell’affermazione della dinastia omayyade, la prima dell’impero musulmano. Sarà infatti a Gerusalemme che nel 661 o 662 converranno i sempre inquieti capi militari arabi per assicurare appoggio e fedeltà a Mu’awiyah eletto califfo. Un gesto simbolico di primaria importanza che ci documenta lo spostamento dell’asse politico (a Damasco) e spirituale, di legittimazione del potere, a Gerusalemme. La costruzione della Qubbat as-Sahra (Cupola della Roccia) è datata al 691-692, ma se questa sia la data d’inizio dei lavori (come appare probabile) o dei suoi completamenti non è dato sapere. Va precisato che una caratteristica importante, a Gerusalemme, sarà sempre quella della coesistenza; i musulmani, ricordiamolo, sono arrivati da poco, il loro Profeta è morto da pochissimi anni al momento della presa della Città Santa, e i tratti caratteristici di quella nuova fede dovevano apparire confusi e nebulosi ai contemporanei. L’atteggiamento cristiano non sarà negativo dal momento che tutti i luoghi di culto saranno mantenuti intatti e neanche gli ebrei (pochissimi, s’è detto), ai quali l’Islàm appariva né più né meno come una filiazione del-

Il programma decorativo dei mosaici comprende, accanto a motivi vegetali anche temi architettonici e raffigurazioni urbane di complessa interpretazione.

22

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 22

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

Un’altra delle composizioni architettoniche raffigurate sui mosaici della moschea omayyade di Damasco. Scrive un autore arabo del x secolo: «Non c’è monumento né città importante che non sia rappresentata su queste pareti».

la loro fede, non saranno poi troppo scontenti nel vedere rivitalizzata e valorizzata un’area a loro cara. Infatti quando le comunità ebraiche lentamente rientreranno in città andranno a popolare i quartieri non lontani da quello che ormai sarà divenuto al-Haram al-Sharif («Sacra Spianata»). Dunque la scelta del luogo in cui costruire questo monumento, il primo eretto ex novo nell’Islàm e quindi particolarmente carico di significato, sia per i motivi religiosi sopra ricordati, sia per la pacifica suddivisione della città, deve essere apparso ai committenti (si tratta già di un progetto di Mu’awiyah o è interamente dovuto ad Abd al-Malik?) del tutto naturale anche perché la posizione si prestava bene agli scopi che probabilmente essi si prefiggevano. Nonostante sia una delle fabbriche più importanti dell’antichità (non foss’altro che per i 1280 m2 di mosaico) e fra i più celebri e studiati monumenti islamici (in particolare nella seconda metà del Novecento numerosi sono stati gli interventi di O. Grabar al quale le righe che seguono devono molto), paradossalmente non siamo in grado di precisare inequivocabilmente un aspetto fondamentale di esso: per quale scopo è stato costruito e che funzione rituale assolveva? Le praticamente inesistenti fonti contemporanee, infatti, non aiutano minimamente a definire le ragioni di tale scelta

23

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 23

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

ideologica, tipologica edecorativa – anche perché con molta probabilità tali ragioni sono molteplici e non tutte coerenti fra loro – per cui la cosa più semplice da fare è lasciar parlare di sé il monumento. Architettonicamente ci troviamo di fronte a un edificio a pianta centrale caratterizzato da una disposizione ottagonale (definito da un doppio ambulacro ottagonale con pilastri alternati a due colonne) con al centro, attorno alla roccia sacra, un alto cilindro sorretto da colonne e coperto da un ampio tamburo cupolato. La tipologia è ben attestata in tutta l’area mediterranea a partire dall’architettura funeraria romana (Santa Costanza a Roma) ai martirii, come quello di San Giovanni nei pressi di Efeso, per finire, proprio lì a Gerusalemme, con la Rotonda del Santo Sepolcro (le due cupole hanno un centimetro di differenza nel diametro!). Niente di nuovo sotto il sole! Più complesso il progetto decorativo musivo portato avanti da artisti provenienti da Costantinopoli o un altro centro (magari italiano) in grado di eseguire un piano così ambizioso. I mosaici si dipanano nella parte superiore e inferiore del tamburo, nell’arcata circolare, internamente ed esternamente nell’ottagono e negli intradossi delle arcate. Inoltre alcuni frammenti musivi reperiti durante i restauri documentano una presenza di mosaici anche esternamente (fatto inconsueto) sostituiti col tempo e in ogni caso rimossi dai lavori ordinati dal sultano ottomano Solimano il Magnifico ametà del Cinquecento. Sono di abbagliante bellezza: su un fondo oro il repertorio dispiegato è prevalentemente floreale (con tocchi naturalistici nell’uso di piante quali la palma e la vite e di frutti come i melograni), pur se una parte importante è costituita da corone, tiare, pettorali, gioielli che hanno origine da foglie di acanto e più spesso da vasi resi complessi da ornati a rabeschi talvolta desinenti in cornucopie. Rosette stellari a cinque punte isolano lo spazio nell’ottagono interno, mentre i vasi della parte inferiore del tamburo – che danno origine a un sistema integrato di doppi girali spiraliformi su ciascun lato – sono sormontati da gioielli montati su una doppia ala. Le tonalità prevalenti di verde, comprese stupende gradazioni di verde pavone, i tocchi di rosso, blu e altri colori, sono ravvivati dall’inserzione di tasselli di madre perla in grado di catturare e riflettere la luce, dando un senso di profondità tridimensionale alla superficie peraltro piatta. I mosaici sono eseguiti secondo la tecnica tradizionale del mondo tardoantico, eppure il repertorio decorativo sfugge, nel suo insieme, a possibili paragoni. La scelta cosciente dei committenti di basarsi sul repertorio vegetale (fiori e alberi) e minerale, i gioielli, segnala fin dall’inizio dell’arte islamica una precisa volontà di privilegiare alcuni aspetti decorativi su altri, certo anche in virtù del programma intrapreso e dell’uso – a noi sconosciuto – dell’edificio. Insomma, pur usando un linguaggio e un’articolazione familiare all’area mediterranea e iranica e assolutamente in linea con questa, l’esito è incontrovertibilmente e puramente islamico. Misteri dell’arte. L’attenta analisi a cui queste decorazioni sono state sottoposte evidenziano come accanto a elementi caratteristici dell’arte bizantina intesi come insegne di potere in quell’esperienza artistica (ci riferiamo ai gioielli), esistono stilemi (le ali a coronamento dei vasi) che sono d’indubbia ascendenza iranica. Ricordiamo, per inciso, che Gerusalemme sarà conquistata – questa volta sì! – da un’armata persiana nel 614 e come in ogni caso quel repertorio artistico travalicasse già da tempo i confini «naturali» di quell’area. Un discorso a parte meritano le rappresentazioni arboree, di fantasia eppure riconducibili a precise matrici naturalistiche, vero e proprio tripudio di forma e colore, che non possono non richiamare di primo acchito visioni paradisiache, quei «giardi-

In questa doppia pagina due esempi della decorazione in stucco della villa di Khirbat al-Mafjar, presso Jericho. Sopra: una delle numerose statue in stucco raffiguranti servitori, ballerine, musici e altri personaggi di corte che, secondo un uso orientale ripreso dagli Omayyadi, decoravano e abbellivano gli ambienti dove vivevano il califfo e la sua corte. Anche la corporatura massiccia della figura indica un’influenza persiana.

24

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 24

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

Una ricca decorazione floreale, delimitata da cornicette, circonda un fiore centrale dal quale fuoriescono sei testine. La raffigurazione umana a fine decorativo ricorre anche negli altri tondi che ornavano il monumentale diwan e in fregi dove le testine fuoriescono da una decorazione a intreccio. Gerusalemme, Rockefeller Museum.

Nella doppia pagina seguente: La villa incompiuta, fatta costruire da al-Walid II a Khirbat al-Mafiar, era un complesso grandioso costituito da diversi ambienti e spazi tra loro collegati secondo la tradizione classica. Le sue dimensioni fanno pensare che fosse destinato ad accogliere, con il califfo e la sua corte,un numero elevato di persone. Veduta del cortile, originariamente ad arcate con colonne e capitelli corinzi.

ni… verdi, verdi cupissimi… con frutti e con palme e con melograni…» (Corano, LV), così familiari ai fedeli musulmani. Se lo schema decorativo è unitario, e non potrebbe essere diversamente, si notano palesi difformità di esecuzione quasi che più gruppi avessero lavorato simultaneamente con libertà, circostanza non sorprendente stante l’eccezionale impegno che ha comportato un monumento di tale importanza. La grande iscrizione (lunga 240 m), anch’essa in mosaico, merita quantomeno un accenno. La scrittura è in stile cufico con rari segni diacritici e il contenuto, religioso, è coranico con intercalate parti relative all’essenza monoteistica, tipo: «Nel nome di Dio, clemente, misericordioso, non c’è Dio se non Dio, Uno senza Eguali». O. Grabar sostiene, giustamente, che il ritmo della recitazione dei passaggi coranici e di tali intercalari (che non variano di molto dall’esempio addotto, salvo contenere specifiche formule riguardanti il Profeta Maometto e la sua missione) hanno il valore di una litania paragonabile alla «liturgia dei catecumeni nella Messa cristiana». Degno di nota è però il fatto che fra i brani del Corano almeno due (IV, 171-172; XIX, 33-36) si riferiscano a Gesù e siano al contempo un’attestazione del ruolo profetico del Cristo ma pure tramite il celebre «non dite tre», la conferma della insostenibilità per i musulmani della Trinità. La Qubbat as-Sahra è stato autorevolmente sostenuto (Creswell) debba la sua forma (con il doppio ambulacro) all’esigenza di svolgere il rituale tawaf («circoambulazione») in un luogo alternativo rispetto a Mecca dove Ibn al-Zubayr, rappresentante di un clan rivale di quello omayyade, aveva il potere che, però, detenne fino a1692. Questo daterebbe l’edificio a prima di questa data che in genere è accettata come relativa agli inizi dei lavori; certo la pietra di Gerusalemme, a prescindere dalla situazione politica di Mecca, ha di suo titoli sufficienti a far immaginare che il rito della circoambulazione, così anticamente semitico, le si attagliasse perfettamente. La Cupola della Roccia che emerge alta sulla grande spianata del Tempio, con la brillantezza dei colori dei mosaici esterni che possiamo solo immaginare in contrasto col colore prevalentemente giallo della pietra locale, è visivamente – ieri come oggi – un indispensabile punto di riferimento per chiunque giunga a Gerusalemme: visibile da molto lontano (addirittura dal Monte Nebo se si ha la fortuna di una giornata molto limpida), tende a scomparire nell’approssimarsi allo Haram alSharif soffocata dal dedalo dei vicoli della città vecchia. Luogo di celebrazione del nuovo potere musulmano, santuario (con specifiche ritualità di tawaf ?) forse dedicato all’Ascensione del Profeta, magari nel luogo da dove si riteneva avesse avuto origine il mondo e che quindi fosse destinato ad accogliere la fine del medesimo. La Cupola della Roccia è un grande monumento nel quale il nuovo potere islamico riesce a «presentare quella che storicamente è una sintesi come un canone proprio, con tutti i crismi di un’ufficialità che è quasi ritualità» (G. Scarcia). Altri due monumenti sono costruiti dai musulmani sulle rovine del Tempio: la moschea di al-Aqsa e la Qubbat as-Silsilah («Cupola della catena»), ma va ricordato che questi interventi riguarderanno una piccola parte di una città che a lungo manterrà una grande e preponderante presenza cristiana (nel X secolo vi erano 81 istituzioni religiose cristiane nel distretto di Gerusalemme di cui una ventina entro la cerchia delle mura). La moschea congregazionale, al-Aqsa, è il più vasto complesso eretto nella spianata e per contrasto e sottrazione chiarisce come la Cupola della Roccia (con la quale, comunque, ha disposizione assiale) sia qualcos’altro rispetto a un comune luogo di preghiera. La struttura architettonica è piuttosto semplice, un grande rettangolo con copertura

25

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 25

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

26

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 26

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

27

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 27

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

ipostila e navate perpendicolari al muro qibli, quella centrale in corrispondenza del mihrab più ampia. Manca la corte, ma l’intera spianata può assolvere perfettamente a tale scopo. Naturalmente l’aspetto attuale della moschea ha subito notevoli modificazioni – forse anche sulla struttura principale, come la navata centrale più larga – e non è affatto certo che vi siano parti riconducibili alla pianta originaria dei tempi di Abd al-Malik. Documenti su papiro (709-714) parlano di operai egiziani impiegati a Gerusalemme per lavorare «alla moschea di Gerusalemme» e che si riferiscano ad al-Aqsa se non certo è probabile; il che ci porterebbe all’epoca di al-Walid, patrono di un’altra grande moschea, quella di Damasco su cui torneremo più oltre. La fonte letteraria più importante è la descrizione che ne fa il geografo al-Muqaddasi nel 985 (egli stesso nato a Gerusalemme), che permette di ricostruire come alla sua epoca si fossero già succedute almeno cinque fasi costruttive, la più antica delle quali sopravvive, più o meno circoscritta, nella zona del mihrab con bei mosaici; importante è anche la citazione dell’esistenza di una «magnifica cupola». I frammenti di mosaici esistenti, anch’essi basati su motivi floreali, sono coerenti seppur diversi da quelli della Cupola della Roccia: di fatto la moschea, opera di Abd al-Malik o di al-Walid non importa poi tanto stabilirlo, in asse con la Cupola della Roccia, serve da contraltare alla Nea bizantina di Giustiniano che era appunto in asse con il Santo Sepolcro. Le

In queste due pagine alcune immagini dei mosaici di Santo Stefano a Umm el-Rasas. Sopra: mosaico dell’aula centrale composto dal «tappeto» con scene di caccia, pastorizia e vendemmia racchiuso da una fascia animata immaginata come la corrente del fiume Nilo; lo spazio tra le colonne è decorato con vignette raffiguranti le città di Palestina e Giordania.

28

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 28

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

Sopra: particolare di una scena nilotica, ricca di reminiscenze antiche. Iscrizione dedicatoria e teoria dei benefattori prima del gradino dell’ambone; le immagini umane furono cancellate durante la crisi iconoclasta. A destra: il pannello centrale del bema decorato con motivi geometrici variamente articolati.

Nella doppia pagina seguente: La cupola delle terme di Qusayr Amra è decorata con una riproduzione della volta celeste e dei segni zodiacali, espressione di quella relazione tra mondi celeste e terrestre che il tardo ellenismo aveva ampiamente sviluppato. E la più antica decorazione architettonica di questo ttipo su superficie concava.

decorazioni interne, mosaici a parte, in marmo e con travi lignee intagliate, segnalano la scelta dell’edificio come vero centro di aggregazione quotidiana della comunità che, lo ricordiamo ancora una volta, era minoritaria anche se in rapida crescita. Il terzo edificio omayyade sulla grande «terrazza» non è meno suggestivo dei precedenti: la Qubbat as-Silsilah è un padiglione cupolato a base esagonale circondato da un poligono di undici lati (le colonne sono così in tutto 17) a cui è stato aggiunto un mihrab. L’attribuzione ad Abd al-Malik non è stata mai seriamente messa in discussione dagli studiosi e le fonti ne parlano già alla metà del IX secolo. I problemi maggiori, anche in questo caso, riguardano la funzione di questa struttura, indicata come bayt al-mal («Casa del Tesoro»), impiego quanto mai problematico per un edificio in pratica completamente aperto! Una circostanza interessante è la localizzazione del monumento, di fianco alla Cupola della Roccia e perfettamente al centro dei due ipotetici assi tracciabili sul Haram. Quel che possiamo dire, in conclusione, è che in epoca omayyade si è operato sulla spianata del Tempio un massiccio intervento urbanistico architettonico con un linguaggio artistico consono e all’area mediterranea e alla nuova committenza islamica, intervento del quale ignorando i presupposti ideologici (che non paiono univoci) non possiamo stabilire i fini se non in via ipotetica.

29

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 29

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

30

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 30

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

31

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 31

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

La grande moschea di Damasco e i mosaici pavimentali sito-palestinesi Se Gerusalemme è stata per gli Omayyadi l’occasione di un’appropriazione simbolica del più importante centro spirituale del monoteismo, a Damasco andrà in scena la legittimazione politica del giovane stato musulmano. Damasco era una città di grande importanza e secondo alcune fonti arabe, abbastanza tarde rispetto all’epoca della conquista (Ibn Jubayr 1184; al-’Amavi 1340 e Ibn Shakir 1362 sulla base di Ibn ‘Asakir 1176), questa avvenne con una manovra militare a tenaglia da est con Ibn ‘Ubayda e da ovest con Khalid Ibn al-Walid (che sarà poi califfo) con modalità difformi perché il fronte orientale sarebbe stato preso con la forza e quello occidentale con un accordo che avrebbe garantito, fra l’altro, la salvaguardia

0

5

10m.

delle chiese cristiane. Questa storia è all’origine della tradizione secondo la quale per un certo periodo di tempo (fino al 705 e cioè all’elezione a califfo di al-Walid) musulmani e cristiani avrebbero pregato fianco a fianco all’interno delle mura dell’antico temenos del tempio pagano di Giove Damasceno. Ipotesi suggestiva ma abbastanza inconsistente. Quel che invece è sicuro è come i luoghi sacri siano sempre stati soggetti ad appropriazione da parte del potere sopraggiunto; così come a Gerusalemme le rovine del tempio di Erode servirono per la Cupola della Roccia, a Damasco il tempio di Giove Damasceno era stato trasformato nella basilica di San Giovanni e i musulmani, consci dell’importanza della localizzazione e della tremenda forza della tradizione, rasero al suolo la chiesa e vi costruirono la loro moschea (fra il 706 e il 714-715). Questa si compone di tre navate (a doppio ordine) disposte in senso est-ovest parallele al muro qibli, di un grande sahn o corte circondato su tre lati da un riwaq o porticato costituito da pilastri alternati a colonne. Uno schema che, salvo la variante di una sorta di transetto cupolato posto di fronte al mihrab, diverrà classico nel mondo musulmano e sarà più volte ripreso (per esempio ad Aleppo o a Bosra per rimanere in Siria). Molto si è scritto su un’eventuale influenza cristiana (secondo alcuni la basilica sarebbe stata tout court trasformata in moschea, come Santa Sofia a Costantinopoli); è vero che data la situazione geografica siriana e la disloca-

Qusayr Amra – villa al centro di un’azienda agropastorale e luogo utilizzato per la riunione dei potenti locali – si presenta all’esterno come un edificio di dimensioni contenute. Le tre volte parallele sovrastano la sala centrale; la cupola corrisponde alle terme. La noria era contenuta nell’edificio a destra. La pianta mostra la complessità dell’insieme: sulla destra la grande sala con la navata centrale che dà accesso a un’alcova, forse luogo del trono; sulla sinistra, a pianta circolare, la sala delle terme.

32

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 32

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

zione a Oriente delle basiliche, per osservare il precetto islamico della preghiera in direzione di Mecca è sufficiente ruotare l’asse di 90°, ma i pochi dati archeologici a disposizione non confermano una tale ipotesi. Resta la suggestione dell’uso opposto degli assi degli edifici, ma ciò nell’Islàm si spiega con l’esigenza di far fronteggiare l’intero muro qibli (e non già solo il mihrab che lo identifica) al maggior numero di fedeli, mentre nelle basiliche il punto focale è sempre quello dell’altare. Damasco sarà la capitale degli Omayyadi e come tale abbellita da un monumento –

Veduta d’insieme della grande sala ricoperta di pitture con scene di vita quotidiana e di corte: caccia, bagno e giochi. Nell’alcova centrale sullo sondo è contenuta la raffigurazione di un principe omayyade sul trono, circondato da sei sovrani dell’epoca, la cui presenza legittima la sua sovranità.

Nella doppia pagina seguente: I riquadri di una delle tre volte a botte contengono una dettagliata raffigurazione dei lavori artigiani.

la grande moschea (misura circa 140 x 90 m) – degno della sua funzione. Il transetto, ovvero la facciata del santuario, con la triplice arcata d’ingresso sovrastata da un arco comprendente tre alte finestrature e il timpano triangolare, rimandano se non a una sovrapposizione con la precedente basilica quanto meno a una filiazione, alla riproposizione di un modello già consolidato. Tutte le fonti concordano sullo splendore della decorazione in marmo a libro aperto fino a un’altezza di circa due metri e dei mosaici che rivestivano le pareti, purtroppo distrutti dal tempo e compromessi da un incendio del 1893, salvo la parte ovest del riwaq, comunque molto restaurata, che permette di farsi un’idea della straordinaria qualità degli ornati originari. I motivi sono vegetali (grandi alberi) ma anche architettonici (palazzi a più piani, esedre, torri, cupole, balconi, tetti a spioventi che sembrano ispirarsi più a Roma che a Bisanzio), con l’aggiunta di spumeggianti corsi d’acqua. Non sono presenti figure animali o umane e neanche iscrizioni (queste indubbiamente vi erano ma sono andate perdute); le tre interpretazioni prevalenti sono che si tratti di una rappresentazione della città di Damasco con il fiume Barada, oppure delle città conquistate dagli arabi e, infine, di una visione evocante il Paradiso coranico. Per quanto nessuna di queste spiegazioni appaia del tutto convincente l’ultima raccoglie, giustamente, il maggior numero di motivate adesioni. Mosaici raffinati ed esteticamente non inferiori a quelli di Gerusalemme, una cui pallida eco rivive nella madrasa Zahiriyya (1279)

33

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 33

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

34

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 34

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

35

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 35

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

sempre a Damasco, a conferma che la scuola musiva fondata per il grande cantiere della moschea di al-Walid sopravvisse con buoni esiti fino al XIII secolo. Quanto l’arte del primo periodo islamico (e qui circoscriviamo l’arco temporale al dominio omayyade, cioè fino al 750) sia indebitata col mondo classico tardoantico (nella più vasta accezione del termine che comprende anche l’Iran sasanide) è dimostrato dai monumenti che discuteremo poco oltre e dalla persistenza dell’uso della tecnica decorativa dei mosaici pavimentali. Gli scavi e gli studi condotti nell’ultimo ventennio del XX secolo da M. Piccirillo in Giordania hanno dimostrato ampiamente come questa pratica comune alle officine industriali tardoantiche abbia continuato a essere in uso, nonostante il cambio politico intervenuto col dominio omayyade. Del resto va sottolineato come le mutate condizioni sociali alla fine del VII secolo non abbiano affatto avuto come conseguenza una decadenza delle arti (che in parte si era già verificata), ma anzi una loro

Il palazzo omayyade di Qasr al-Hair al-Gharbi, in Siria, presenta una decorazione iconica e aniconica: frammenti di due cornici di porta in stucco decorate l’una con una doppia greca e l’altra con motivi floreali; testina di una delle numerose figurine ritrovate nel palazzo. Damasco, Museo Nazionale.

ripresa; ricordiamo come per esempio a Jerash (Giordania) le ceramiche della prima fase islamica siano tecnicamente e decorativamente migliori di quelle dell’ultimo periodo bizantino. Ciò vale per i mosaici pavimentali dell’area siro-palestinese (e Antiochia non è molto distante) che saranno apprezzati anche dai nomadi provenienti dai deserti. Qui si inserisce una considerazione che in questa sede possiamo solo accennare ma che necessiterebbe di un’analisi assai più approfondita; la relazione fra mosaici pavimentali e arti tessili (in particolar modo le stuoie tessute – oggi note come kilim). Questo non relativamente ai grandi temi figurativi, quanto piuttosto ai semplici motivi geometrici di qualche bordo o di spazi di contorno come abbiamo notato nel piccolo ma significativo museo di Madaba in Giordania (cittadina nella quale si conserva uno dei più straordinari mosaici pavimentali di sempre con la carta geografica della regione). Un discorso che andrebbe a riprendere e ampliare quanto scritto da Riegl (e commentato da Sergio Bettini) per uscire dagli sterili esercizi di attribuzionismo e affrontare il problema dell’estetica e poetica del tappeto, non per questo scivolando sul terreno infido del misticismo orientale, magari sufi, che tanto affascina e stordisce alcuni studiosi e il grande pubblico.

I «castelli nel deserto» Una visione occidentale imbevuta di romanticismo e priva di riscontri testuali ha a lungo etichettato una serie di edifici morfologicamente diversi fra loro come

36

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 36

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

«castelli del deserto», accreditando la tesi di una sorta di nostalgia per i vasti spazi desertici che avrebbe colto i signori omayyadi, incapaci di resistere alla vita sedentaria cittadina (ma quanto scritto sopra sulle trasformazioni di Damasco e Gerusalemme vale già come smentita), e sempre anelanti al ritorno alla vita nomade. In realtà le cose non stanno affatto così e questo ragionamento è frutto di una sorta di strabismo, del non voler vedere alcune caratteristiche che subito appaiono palesi e saranno anche in seguito portanti e costanti dell’esperienza architettonica musulmana. Il dato è lo scarso interesse dimostrato dalla cultura islamica, anche sulla scorta degli hadith e della vita del Profeta, per lo sviluppo di un’architettura civile palatina principesca. La situazione di una città come Aleppo (ma potremmo citare anche la nuova città del Cairo) è emblematica: sulla classica ossatura romana – cardo e decumano – gli interventi mirano a due aspetti, quello religioso-politico con

l’edificazione di una grande moschea e annessi (lo hammam o «stabilimanto termale») e lo sviluppo di una struttura commerciale stabile attraverso il mercato (suq o bazar è lo stesso), mentre l’aspetto secolare, laico, è volutamente lasciato in secondo piano. I «castelli del deserto», per esempio Qusayr ‘Amra e Khirbat al-Mafjar, sono caratterizzati da ampi stabilimenti termali e se oggi sono in zone più o meno desertiche, dovevano essere all’epoca della costruzione autosufficienti anche per quel che riguarda le coltivazioni. Qusayr ‘Amra (712-715; epoca di al-Walid il più attivo fra i califfi per ciò che concerne l’edilizia) è un piccolo padiglione con una sala coperta da tre volte a botte e annesso bagno, caratterizzato da un grande ciclo di pitture comprendente scene di caccia, termali, di danzatrici semi nude, e con la prima rappresentazione astronomica architettonica su superficie concava. Alcune decorazioni si ispirano alle coeve ornamentazioni pavimentali e su una volta a botte sono rappresentati gli artigiani al lavoro. La raffigurazione del Califfo in trono e quella di sei sovrani a lui contemporanei, sconfitti ma non dipinti come tali (si tratta dell’imperatore bizantino, di Roderigo – visigoto di Spagna – Cosroe di Persia, del Negus e probabilmente del khaghan turco d’Asia Centrale e di un re forse africano, identificati da iscrizioni bilingui, greco e arabo, in parte leggibili) suggeriscono un contesto di legittimazione e autocelebrazione. Le pitture, restaurate, ma ciò nonostante assai rovinate, sono in uno stile bizantino provinciale con suggestioni diverse (si paragonino con i celebri ritratti del Fayyum…), e testimoniano un uso disinvolto delle fonti artistiche mediterranee coeve. La committenza califfale è per un edificio a uso privato (un avamposto, un casino di caccia, una sorta di fattoria)

37

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 37

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

e in quanto tale non è sorprendente, anche alla luce di quanto precede, l’uso di immagini naturalistiche e umane. Due strutture interessanti sono i Qasr al-Hayr al-Gharbi e as-Sharqi entrambi costruiti intorno al 730 e situati rispettivamente a sud-ovest e nord-est di Palmira lungo il percorso di una trafficata carovaniera. Degno di nota è il termine hayr che in arabo si riferisce al recinto di un giardino – un paradeisos – a conferma dell’esistenza di una più o meno larga oasi certamente irrigata anche artificialmente. Di Qasr al-Hayr al-Gharbi (databile epigraficamente al regno del califfo Hisham) resta veramente poco in sito essendo i reperti e anche il portale stati trasportati a Damasco al Museo Nazionale. La pianta quadrata con un grande cortile centrale è ispirata al castrum romano, componendosi di ampie mura intervallate da torri di rinforzo semicircolari. L’interno è funzionale sia all’uso come guarnigione lungo il limes sia come caravanserraglio su un percorso legato con Palmira, città decaduta ma comunque importante snodo commerciale. Artisticamente sono da segnalare le decorazioni del portale (che assolve la medesima funzione al Museo Nazionale di Damasco) in pannelli di stucco scolpito, una pratica importata dalla Persia sasanide che si diffonderà moltissimo in tutti i domini musulmani. Ai lati della porta sono due grandi torrioni semicircolari (nobili antecedenti di Bab al-Futuh al Cairo) con pannelli in stucco di disegno vegetale, incorniciati da una serie di perline bucate, tipiche del repertorio tessile iranico filtrato anche in quello bizantino, sormontate da arcatelle cieche e da una smerlatura scalare, anch’essa di origine orientale. Gli ornati, così come le sculturine e gli altri reperti, sono comunque di concezione ellenistica (basti osservare l’impiego della foglia di acanto) il che suggerisce una manifattura con manodopera siriana. Non dissimile è il Qasr al-Hayr as-Sharqi (orientale rispetto a Palmira e oggetto di ricerche archeologiche fra il 1964 e il 1972) non lontanissimo da Russafa (importante città bizantina dove il califfo Hisham – l’ultimo grande degli Omayyadi – fece costruire un palazzo e fu sepolto), che tuttavia presenta delle varianti essendovi presenti due grandi recinti quadrati. Il quadrato più piccolo con le massicce mura dai caratteristici torrioni semicircolari, più o meno intatte, ospita strutture analoghe a quelle dell’edificio discusso sopra, fra cui si segnalano coperture voltate a botte di

Il palazzo omayyade di Mshatta, Giordania, era fortificato, con torri semicircolari di rinforzo. Gli edifici erano concentrati nella fascia centrale: nella parte settentrionale si trovava la residenza califfale con la sala del trono basilicale triconca. A sinistra: Ricostruzione dell’accesso monumentale a tre archi alla sala del trono e pianta. Da Cresswell. Sotto: La raffinatissima decorazione della facciata di pietra dell’ingresso del palazzo di Mshatta è costruita organizzando in partizioni triangolari e in medaglioni motivi prevalentemente vegetali, dove non mancano però uccelli e animali affrontati. Berlino, Museum für Islamische Kunst.

La chiesa «dei leoni» a Umm el-Rasas dell’epoca del vescovo Sergio, documenta l’alto livello raggiunto dai mosaicisti della regione nel tardo VI secolo. Particolare del pannello del presbiterio con due teste di leone affrontate.

38

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 38

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

39

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 39

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

probabile concezione irachena o in ogni caso orientale. Il recinto più grande ospita una moschea, caravanserragli, e diversi bayt o unità abitative, confermando un uso commerciale o militare del grande campo. Ovviamente non manca uno stabilimento termale con l’acqua che veniva convogliata da una diga ad al-Qawun a circa 30 km a nord-ovest (provvista idrica usata anche per i circa 850 acri di «giardino» circondati da 22 km di mura in crudo). I risultati delle campagne archeologiche (reperti nei musei di Damasco e Raqqa, fra cui sculture, capitelli e pitture murali) hanno evidenziato una commistione di elementi bizantini, ellenistici e più orientali con la combinazione non sempre riuscita ed equilibrata del repertorio occidentale con quello orientale. La manodopera è prevalentemente siriana, da Homs, come indicato da lacerti epigrafici. Un sito di spettacolare importanza è la «villa» costruita da al-Walid II nei pressi di Jericho: Khirbat al-Mafjar (non completata; anteriore al 743). Si tratta di un vasto complesso composto da un palazzo, una moschea, un bagno sotterraneo, una grande corte con struttura colonnata circolare su una fontana e, inoltre, un sontuosissimo bagno cupolato e voltato, sale di ricevimento e, infine, una lussuosa latrina in grado di ospitare contemporaneamente una trentina di persone! Ovviamente l’ispirazione è tratta dalla tradizione classica, cioè romana (si potrebbe persino scomodare Tivoli…) con lo stupefacente mosaico pavimentale formato da 39 quadri (si rammenti quanto accennato a proposito di tappeti) di disegni geometrici policromi, un vero capolavoro assoluto. Il lusso è palesemente ostentato anche nelle rifiniture con l’uso di marmi (l’ordine prescelto è il corinzio) e stucchi e un repertorio ellenistico, ma di lavorazione siriana, di fregi di rosette, girali, foglie di acanto, motivi geometrici, e anche statue (davvero importanti queste ultime; alquanto massicce nell’impostazione tanto da richiamare come modello sculture partiche piuttosto che palmirene). L’esedra del divan («sala del consiglio» o «sala del giudizio») palatino è ornata da un mosaico pavimentale; al centro vi è un grande albero (melograno) con ai lati, a destra del sovrano due quadrupedi (gazzelle) che brucano delle foglie e a sinistra un leone che ghermisce un’altra gazzella in corsa (tema analogo a quello sul manto dell’incoronazione di Ruggero II, dov’è l’Islàm – il cammello – in quel caso a soccombere). È evidente l’intento didascalico: premio e punizione sono dispensati dal Califfo. L’ultimo grande monumento (anch’esso non finito e databile a circa il 744) è il palazzo di Mshatta, localizzato a pochi chilometri a sud-est di Amman, purtroppo oggi pressoché inglobato dall’aeroporto. La pianta è un grande quadrato recintato (con un lato di 144 m) e fortificato con le consuete torri semicircolari di rafforzamento. Lo spazio centrale può essere diviso in tre fasce rettangolari di cui solo quella centrale – di poco più ampia delle altre – è stata regolarmente costruita. All’accesso vi sono edifici interpretati come corpo di guardia con moschea e vari alloggiamenti e servizi; quindi un largo spazio vuoto, ovvero una corte, e sul lato nord la parte propriamente califfale, costituita da una sala basilicale triconca introdotta da un lungo accesso tripartito con ai lati sale coperte con volta a botte e bayt residenziali. Le tre «absidi» erano sicuramente coperte da semicupole, ma la parte centrale non sappiamo se fosse cupolata oppure vi fossero quattro pareti sfinestrate con copertura piramidale. La chiave di lettura funzionale di questo enigmatico monumento (in cui le due spinte caratterizzanti l’architettura omayyade,

40

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 40

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

Qasr al-Harrana offre un diverso esempio di architettura civile omayyade: il portale monumentale segnala l’unico ingresso, le mura sono costruite con pietre e calce e hanno una decorazione essenziale, che richiama l’oriente iracheno e persiano. Poiché le torri hanno una pura funzione ornamentale l’utilizzo dell’edificio resta incerto. A destra: Il palazzo omayyade recentemente ricostruito sulla cittadella di Amman, al centro di un insediamento antico e stratificato, suggerisce nuove dimensioni nell’interpretazione dell’architettura civile omayyade. La decorazione architettonica della sala centrale e l’impianto, ricostruito, della cupola che la ricopriva si inseriscono nella tradizione della tarda romanità, ripresa da abili maestranze. Sono presenti anche elementi sasanidi.

quella siriana-ellenistica e quella irachena-sasanide, si fondono armonicamente) sta nei due settori laterali in cui i lavori furono appena abbozzati e che erano intesi a dare una fisionomia precisa al sito. Architettonicamente già Creswell e più recentemente Hillenbrand citano il palazzo di Diocleziano a Spalato come raffronto, con questo portandoci a una riflessione: gli Omayyadi sembrano «saltare» nella disposizione planimetrica le suggestioni bizantine per rifarsi al mondo romano, mentre il linguaggio artistico è spesso una fusione di più istanze mediterranee, e quindi bizantine, integrate e mischiate da innesti orientali iracheno-iranici. La gloria di Mshatta risiede nella decorazione della facciata in pietra dell’ingresso, compresi i torrioni di sostegno, attualmente ai musei di Berlino. Il disegno è quello di triangoli a base dritta o capovolti con varie campiture fra cui spiccano notevoli rosette polilobate (ma tendenzialmente esagonali) nei triangoli dritti, e ottagonali nei rovesciati i quali non sono completamente decorati. Il repertorio è prevalentemente vegetale con grandi viticci con foglie e grappoli beccati da uccelli posati sui rami. Sotto i medaglioni possono esservi motivi a girale fogliata, oppure animali affrontati come leoni accosciati attorno a una coppa. Riccamente ornate con tralci, foglie di vite e di acanto, sono anche le modanature poste sopra e sotto i triangoli. Il processo di acculturazione subito dagli arabi omayyadi è ben

esemplificato da quanto avviene nella monetazione, spia sensibile dei mutamenti sociali, anche rapidi (i cambiamenti intervengono nell’arco di una decade). Già la terminologia – dinar e dirhana derivano rispettivamente da denarius e drachma – è indicativa, così come il fatto che a un iniziale rigido conservatorismo (argento in Oriente, la moneta iranica e oro in Occidente presso i Bizantini, e così anche per le tasse) per non alterare gli equilibri si aggiunsero gradualmente scritte in arabo ma con iconografia imperiale immutata e poi si procedette alla trasformazione dell’icona religiosa (la croce perde il tratto orizzontale), ad esempio col califfo in preghiera o stante in vesti beduine e armato, fino al passo finale col dinar d’oro del 696-697 puramente epigrafico, antesignano di gran parte della numismatica islamica successiva.

41

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 41

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

I nuovi orientamenti del mondo abbaside La caduta traumatica della dinastia omayyade e la sua sostituzione con quella abbaside (il riferimento è alla figura di al-‘Abbas zio del Profeta), segna la fine di un’aristocrazia araba sostanzialmente minoritaria e l’allargamento della cerchia del potere ai mawali (convertiti musulmani non necessariamente arabi) con conseguente cambiamento della base politica e una forte internazionalizzazione. Le date di riferimento per gli Abbasidi sono il 750 e il 1258, ma quest’ultimo termine rappresenta solo il momento in cui il califfato sarà abolito in seguito all’invasione mongola, perché ormai da tempo (già nel x secolo) il mondo musulmano si sarà politicamente disgregato in potentati o stati locali, in sostanza autonomi e non di rado in accesa rivalità fra di loro. Per questo le nostre considerazioni non andranno oltre gli inizi del x secolo. La prima immediata conseguenza di questo terremoto fu lo spostamento della capitale e di conseguenza dell’asse politico a Oriente, in una posizione più centrale rispetto all’impero e soprattutto più vicina alle nuove energie militari di ceppo turco che fecero sentire con forza la loro influenza. Il califfo al-Mansur, eletto nel 754, otto anni dopo diede inizio (il 1° agosto secondo le indicazioni degli astrologi di corte) ai lavori di costruzione della nuova capitale nella zona dell’attuale Baghdad. La descrizione che ce ne hanno lasciato al-Ya’qubi (m. 897) e al-Khatib (1002-1071) evidenzia il cambiamento di rotta: il modello non è più quello romano essendo la pianta circolare (secondo uno schema centrasiatico ben attestato nella sasanide Firuzabad, o a Merv), con quattro settori circolari separati fra loro da altrettante porte in asse con i principali centri geografici musulmani (Kufa a sud-ovest; Basra – e Mecca – a sud-est; Damasco a nord-ovest e il Khurasan – Iran orientale – a nord-est). Al centro della città, i cui quartieri erano separati gli uni dagli altri da mura onde poter isolare e reprimere eventuali rivolte, un grande spazio vuoto con nel mezzo la moschea congregazionale e, adiacente, il palazzo del califfo, chiaro segnale dell’identificazione e sovrapposizione del potere religioso con quello temporale. Alcune modifiche alla connessione fra moschea e palazzo furono apportate da Harun al-Rashid (786-809) il califfo reso celebre dalle Mille e una notte. Il diverso approccio architettonico è esemplificato anche dalla costruzione della residenza fortificata di Ukhaidir (nel Wadi ‘Ubayd a 200 km a sud di Baghdad e datato 775-776 circa) che sancisce il passaggio dalla concezione della «villa» a quello del Palazzo/città (l’anello mancante potrebbe essere proprio Mshatta). Di mole impressionante (la cinta misura 175 x 169 m e il palazzo 112 x 82 m), testimonia anche l’adozione, accanto a formule già conosciute, di modi architettonici iranici come gli iwan (tre lati chiusi, uno aperto e copertura a botte) affacciantisi su grandi corti, e l’uso del mattone cotto a fini decorativi. L’attuale dislocazione in pieno deserto è abbastanza stupefacente anche considerando che il nome di Ukhaidir significa «il piccolo verde».

Samarra e la formazione del linguaggio internazionale abbaside La grande tappa successiva sarà la costruzione di Samarra (836), una pietra miliare dell’arte e dell’architettura islamica, scavata agli inizi del Novecento da archeologi tedeschi guidati da Sarre ed Herzfeld. Samarra, il cui nome sulle monete califfali era

42

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 42

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

Di dimensioni monumentali, la moschea abbaside di Samarra ha una semplice pianta rettangolare: mura fortificate, una grande corte con portico a quattro colonne e una sala di preghiera con venticinque navate individuate da pilastri in mattone con colonnine di marmo murate. Il tetto in legno poggiava direttamente sui pilastri. All’esterno del recinto, sull’asse principale della moschea e contrapposto al mihrab si eleva il minareto di forma elicoidale, ispirato all’architettura mesopotamica degli ziggurat. Come nel resto della città il materiale costruttivo principale è il mattone.

scritto surra man ra’a «stupito colui che la vede», fu costruita a circa 100 km a nord di Baghdad sulle sponde orientali del Tigri, e le sue rovine coprono un’area di svariati chilometri quadrati. Le ragioni di tale scelta furono essenzialmente politiche e dettate dalla necessità di allontanare da Baghdad le turbolente truppe turche, ormai padrone della situazione, invise ai cittadini arabi, e in grado di determinare i principali indirizzi anche amministrativi. Fu il generale turco abbaside Ashnas, al servizio del califfo al-Mu’tasim bi’llah a edificare la nuova capitale, che rimase tale fino all’anno 889. Il palazzo califfale di Jausaq al-Khaqani meriterebbe una descrizione dettagliata della planimetria, tanto variate e interessanti sono le soluzioni prescelte: basti pensare che all’interno di questa struttura trovava posto un campo per il gioco del polo (180 x 65 m) con tanto di stalle e loggia per gli spettatori. La grande moschea è opera del califfo al-Mutawakkil (847) ed è la maggiore per estensione dell’Islàm

43

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 43

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

(256 x 156 m) coprendo con gli annessi una superficie di 38.000 mq (le proporzioni guida sono sempre 3:2); la pianta è estremamente semplice e classica con sedici porte d’ingresso nel muro fortificato con torri semicircolari, una grande corte, una sala di preghiera (ipostila) con venticinque navate e quattro navate di riwaq o porticato. Ma la struttura più celebre di Samarra è il minareto malwiya («spirale»), dalla caratteristica forma elicoidale che si ispira alle ziggurat («torri di Babele») mesopotamiche: le proporzioni sono perfette con un basamento quadrato di 33 m di lato e la spirale che alla sommità è alta esattamente 100 cubiti (il cubito era l’unità di misura arabo, un braccio dal gomito alla punta del medio, variabile, ma corrispondente a 48-50 cm). Al-Mutawakkil pochi anni dopo Samarra fondò (859-860), a nord di questa, una nuova città chiamata Ja’fariya (17 km2 di rovine), con palazzi, abitazioni e, ancora, una grande moschea (213 x 135 m; corte 115 x 130 m) che si è conservata all’interno, mentre sono crollati i muri d’ambito, esattamente il contrario di quanto è dato vedere a Samarra. Insomma anche da queste notizie, scarne in relazione alla mole dei reperti, risulta come nel IX secolo in Iraq si è assistito a un’attività costruttiva a dir poco frenetica. Ya’qubi, citato da Creswell, scrive che «operai, muratori e artigiani come fabbri, falegnami e tutta l’altra mano d’opera specializzata, oltre al teak e ad altre essenze di legno e ai tronchi di palma che dovevano venire da Basra […] ed anche far arrivare marmisti e uomini pratici di pavimentazione in marmo». Molti edifici classici furono spoliati dei loro materiali e si calcola che non meno di 100.000 fra operai e artigiani abbiano partecipato all’impresa. Samarra, fra l’altro, è cara anche agli sciiti, perché vi si trovavano le tombe del 10° e 11° Imam, e anche il luogo dell’occultamento (nel 941) del 12° Imam, Muhammad al-Qa’im. Ovviamente la rapidità dell’esecuzione si è riflessa sulla scelta dei materiali decorativi (in primis lo stucco, su cui torneremo fra breve), mentre il cosmopolitismo degli artigiani è responsabile della commistione di stili diversi che hanno creato e canonizzato un linguaggio profondamente coerente e solidale con le radici stabilitesi nel primo periodo (quello omayyade), ma ormai autonomo e in grado di imporre le proprie opzioni su un terreno ideologico oltre che artistico. Appunto lo stucco può servire da esemplificazione. L’esigenza di costruire rapidamente e al contempo quella di coprire grandi superfici, oltre alla coerenza con i materiali costruttivi (mattone cotto e crudo si integrano perfettamente con lo stucco, mentre la stessa cosa non è della pietra), hanno fatto dello stucco (gesso di diversa composizione), spesso dipinto in vivace policromia, il materiale principe in diverse realtà architettoniche islamiche (compresi il Maghreb e la Spagna). A Samarra sono stati individuati tre stili principali sulla cui cronologia ancora oggi gli studiosi non sono affatto concordi, ma sulle cui ascendenze tardoantiche (sempre Iran compreso) non è possibile dubitare. Il primo stile si presenta con divisione in compartimenti esagonali e ottagonali (si vedano i triangoli di Mshatta…), tra fasce di contorno bordate di perline bucate e con tralci continui di foglie di vite, campiti con foglie di vite o di fico; è quello più vicino a un’arte venata di naturalismo. Nello stile seguente i pannelli sono di forma geometrica più rigida, mentre le campiture di foglie, palmette, semipalmette (alle volte rovesciate e disposte come il celebre motivo dello yin e yang) e altri disegni floreali appaiono acquistare una solida carnosità carica di slancio vitale. Assai diverso è il terzo stile fatto con degli stampi lignei intagliati e quindi riempiti di argilla poi cotta a formare dei punzoni in grado di essere usati su su-

I due battenti in legno di una porta dell’VIII secolo, da una tomba presso Baghdad, presentano una partizione accuratamente progettata e una decorazione la cui minuziosa precisione richiama quella di Mshatta. Atene, Museo Benaki.

44

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 44

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

45

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 45

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

perfici assai vaste con un ornato di tipo modulare, caratteristica questa ripresa dalle decorazioni delle grate geometriche delle finestre di monumenti come la al-Aqsa, la moschea di Damasco, etc. L’intaglio è obliquo e la superficie più piatta che nei casi precedenti: l’andamento è curvilineo, assai morbido e fluttuante, di fatto un ornato astratto di grande potenza visiva che è stato anche definito «sensuale». Analoghi a questi stucchi sono anche numerosi frammenti lignei conservati al Cairo. Samarra avrà un impatto tremendo sulle espressioni artistiche successive e molti degli sviluppi posteriori dell’arte islamica (un’arte già solidamente «vegetariana») sono in nuce già presenti nel repertorio dei monumenti di questa città. Per esempio i frammenti di pittura come le celebri danzatrici/coppiere del palazzo di Jausaq al-Khaqani sono classicheggianti nella fisionomia e nell’atteggiamento, ma fanno presagire le miniature del manoscritto astronomico sulle stelle fisse di as-Sufi (1009, Oxford, Bodleian Library) e anche altre miniature islamiche. Indubbiamente sotto la spinta dell’esportazione dalla Cina delle celebri porcellane, in epoca abbaside, per la prima volta, la ceramica diverrà a pieno diritto un’arte vera e propria. Fra i numerosi prodotti delle botteghe di Samarra i più importanti saranno gli oggetti decorati con la tecnica dei rilessi metallici (lustri) che saranno tanto pregiati da essere esportati fino in Maghreb (si vedano le mattonelle che decorano la parete attorno al mihrab di una moschea importante come quella congregazionale di Kairouan in Tunisia). Metalli e vetri saranno anch’essi di grande qualità e lasciate da parte le nobili ascendenze (sasanidi nel primo caso e romane nel secondo), imboccheranno un percorso stilistico vicino a quello del terzo stile degli stucchi samarreni. Dopo aver tanto scritto delle influenze subite dal mondo artistico islamico nel suo affacciarsi sulla ribalta mediterranea, influenze interculturali necessarie a una civiltà aperta e sostanzialmente nuova, vorremmo sottolineare come questo «internazionalismo» sia poi anche stato restituito dai musulmani (grandi viaggiatori di terra e grandi mercanti) ai vicini. È il caso della chiesa armena della Santa Croce di Aght’amar (915) su un isolotto omonimo nel lago di Van, Anatolia di sud-est; monumento tipicamente cristiano nei temi biblici ed evangelici delle pitture all’interno e dei rilievi esterni. Ma proprio in quest’ultimi un’analisi attenta rivela particolari stilistici e decorativi – dal senmurv della storia di Giona, alla posizione a gambe incrociate («alla turca») di certi patriarchi, ai fregi vegetali con semipalmette – che sono parte del linguaggio internazionale abbaside, un movimento di grande portata per lo sviluppo dell’arte medievale non solo orientale.

Gli artigiani della prima età abbaside applicarono alla ceramica una tecnica già usata dagli egiziani per il vetro. Il lustro metallico, che permette di ottenere un effetto decorativo lucente, è una tecnica che si diffonderà tutt’attorno al Mediterraneo. Uno dei più antichi esempi è il piatto della pagina a fronte, decorato con un motivo di bande intrecciate e palmette attorno a una rosetta centrale in un modo che ricorda l’oro lavorato a sbalzo. New York, Metropolitan Museum of Art; Berlino, Museum für Islamische Kunst; Washington, The Freer Gallery of Art.

Alla decorazione dei palazzi di Samarra contribuivano gli stucchi utilizzati con copiosa abbondanza per la facilità e l’efficacia dell’applicazione. Il pannello rappresenta lo stile più innovativo dei tre presenti a Samarra. Il disegno è astratto, con motivi modulari ripetuti, il taglio profondo e obliquo, unito alla forte solarità mesopotamica, fa risaltare gli ornati con notevole precisione. Lo stesso modello di lavorazione si riscontra anche nel materiale ligneo: porte, finestre, minbar. Berlino, Museum für Islamische Kunst.

Il frammento di pittura, proveniente da Samarra, raffigurante la testa di un vescovo, presenta caratteristici tratti orientali. Berlino, Museum für Islamische Kunst.

46

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 46

03/11/16 09:39


DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASSIDE

47

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 47

03/11/16 09:39


VABÃ’LKNDDOBMD L GRANDE ARTE ISLAMICA DEL MEDITERRANEO

48

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 48

03/11/16 09:39


L’ARTE DI AL-ANDALUS E DELL’AFRICA DEL NORD Gonzalo M. Borrás Gualis

La conquista araba dell’Africa del Nord

L’architettura abbaside influenzò anche quella dell’estremo occidente. A Kairouan (Tunisia) la moschea omayyade fondata dal conquistatore Sidi Uqba, venne riedificata dagli aghlabiti nel IX secolo, rielaborando modelli costruttivi presi dall’Oriente, dalla Palestina alla Mesopotamia Il minareto è posto sul muro periferico, spostato dall’asse del mihrab. La sua base, a tronco di piramide, costituisce la parte più antica, di epoca omayyade, dell’intero edificio.

L’accentuazione della sacralità dell’area del mihrab, spazio su cui concentrare l’attenzione del fedele, è ottenuta grazie alla cupola che lo sovrasta e alla ricchezza della decorazione in marmo e mosaico. Parte del materiale decorativo proviene da Baghdad, da dove venne importato anche il legno di tek utilizzato per costruire il minbar, il più antico pulpito conosciuto (c. 862).

Ha sempre richiamato l’attenzione degli storici la celerità con la quale si produsse storicamente l’espansione territoriale dell’Islàm durante il primo secolo della sua esistenza. La prima espansione musulmana ebbe luogo durante il governo dei due primi califfi elettivi, Abu Bakr e Umar, che annetterono le province e le terre appartenenti agli imperi bizantino (Siria, Palestina ed Egitto) e persiano sasanide (Mesopotamia e Persia occidentale e centrale). Il tutto avvenne in meno di un decennio, tra l’anno 635, data della conquista di Damasco, e l’anno 641, data di fondazione di Fustat, la nuova capitale dell’Egitto islamico. Questa annessione di paesi di cultura bizantina e persiana sasanide sarebbe poi stata determinante nello sviluppo della prima arte islamica. La seconda fase di espansione territoriale islamica ebbe luogo durante il periodo dell’impero omayyade (661-750), quando entrarono a far parte del mondo islamico i territori dell’Africa settentrionale e di al-Andalus. Già nell’anno 670 il generale Uqba, dopo la conquista dei territori africani, fonda la città di Kairouan, lontano dalla costa per evitare gli attacchi dal mare. Alcuni decenni più tardi, durante il califfato di Walid I, nell’anno 711, viene attraversato lo stretto di Gibilterra e viene annesso, con una rapida campagna, il regno visigoto di Hispania che da allora riceve il nome arabo di al-Andalus. Per questa ragione nell’arte islamica dell’Africa settentrionale e di al-Andalus, conosciuta anche come arte islamica d’occidente1, saranno determinanti tanto gli elementi apportati dai conquistatori omayyadi quanto quelli della tradizione locale di terre fortemente romanizzate. Nell’Africa del Nord il monumento islamico più antico è la grande moschea di Kairouan, fondata dal conquistatore Sidi Uqba nell’anno 670, anche se nulla si è conservato di quest’epoca, poiché i resti più antichi della moschea, quelli che si trovano nella parte inferiore del minareto, sono di derivazione omayyade e databili all’anno 724. Concluso l’arco dell’esperienza omayyade in Oriente, i nuovi signori, gli abbasidi fomentarono in Africa del Nord la creazione di un emirato indipendente, quello di Ifriqiya, con lo scopo di frenare la crescente influenza dell’emirato omayyade indipendente sorto in al-Andalus a partire dall’anno 756, nonché di contenere lo smembramento politico

49

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 49

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

del Maghreb tra i diversi principati kharigiti e quello idrisita. In tale modo, come risultato di questa politica di consolidamento delle frontiere da parte dell’impero abbaside tanto in Oriente quanto in Occidente, sorse nell’Africa del Nord l’emirato indipendente di Ifriqiya, formato dall’attuale Tunisia e dalla parte orientale dell’Algeria, governato da Ibn Aghlab, che dà il nome alla dinastia che governò per oltre un secolo, la dinastia degli Aghlabiti (800-909). Essa da un lato era economicamente indipendente dal dominio di Baghdad ma dall’altro rappresentava in Occidente la fedeltà teorica all’impero abbaside, la cui frammentazione, politica prima e religiosa poi, sarebbe quindi divenuta inevitabile.

Il monumento più importante dell’arte aghlabita2 in Ifriqiya è la grande moschea di Sidi Uqba a Kairouan che, a eccezione della parte inferiore del minareto, come

La pianta della moschea di Kairouan è a T, secondo il modello della moschea al-Aqsa di Gerusalemme. La navata del mihrab e il transetto che corre parallelo al muro della qibla sono più larghi e sopraelevati rispetto al resto dell’edificio; all’incrocio del transetto e della navata centrale si erge una cupola. L’altra cupola, all’inizio della navata centrale, è legata all’ampliamento della sala di preghiera verso il cortile, avvenuto qualche decennio dopo. Il cortile presenta un portico con doppio colonnato, costruito in mattone e di epoca posteriore.

già accennato unico resto di epoche precedenti, fu nuovamente edificata dall’emiro Ziyadat Allah nell’anno 836. È a pianta rettangolare, leggermente irregolare, di 120 m di lunghezza per 70 m di larghezza nel muro della qibla e per 65 m di larghezza nel muro del cortile, forma condizionata senza dubbio dalle caratteristiche dell’area disponibile per la costruzione. La moschea è circondata da un muro di cinta dotato di robusti speroni, di forma prismatica in origine, come si può apprezzare nel muro della qibla, e di altri a scarpata, di differenti proporzioni, aggiunti posteriormente. La moschea costruita da Ziyadat Allah non era provvista di portici nel cortile e il suo minareto, eretto sulla parte inferiore di epoca omayyade, presentava solo i due primi corpi, essendo il terzo corpo, nonché i portali di accesso alla moschea e la relativa copertura a cupole, un’opera tarda dell’anno 1294. Lo haram o sala di preghiera, con 17 navate perpendicolari al muro della qibla e sette campate ciascuna, presenta un’interessante pianta a T che si accentua volumetricamente nel tetto a terrazza, caratterizzato dalla maggiore larghezza e altezza della navata centrale e del transetto, quest’ultimo parallelo al muro della qibla. Il sostegno della sala di preghiera, che ripete il modello omayyade della moschea

La sala di preghiera è un esempio perfetto di ambiente ipostilo con colonne e capitelli di reimpiego, di provenienza bizantina, romana e anche punica. Rispetto ad analoghe esperienze orientali, a Kairouan si cercarono le proporzioni ottimali per dare rigore formale allo spazio della sala ipostila.

La grande moschea di Sidi Uqba a Kairouan

50

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 50

03/11/16 09:39


L’ARTE DI AL-ANDALUS E DELL’AFRICA DEL NORD

51

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 51

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

egiziana di ‘Amr ben al-As, è formato da colonne di epoca romana riutilizzate, alle quali si sovrappone un frammento di pilastro, assicurato originalmente in tutte le direzioni da tiranti di legno, sostituiti in epoca moderna da tiranti metallici. Gli archi sono a ferro di cavallo, costruiti in pietra squadrata, e oltre alla serie di arcate perpendicolari alla qibla, che separano le navate, esistono tre arcate trasversali, una che delimita il transetto, e altre due, fra la terza e quarta e la sesta e settima campata. Questa prima moschea di Ziyadat Allah riceve nuove dotazioni, databili all’anno 862-863, all’epoca dell’emiro Ibrahim I il quale ordina di costruire il nuovo mihrab, la cupola che copre lo spazio antistante il mihrab e il minbar, considerabili senza dubbio gli elementi di maggior bellezza della moschea. È in questa occasione che si utilizza per la prima volta l’arco a ferro di cavallo cuspidato, detto arco sforzato, nuova forma che appare sia nell’arco del mihrab sia nei grandi archi che sorreggono la cupola. La pianta del mihrab è ad arco a ferro di cavallo, con le pareti della nicchia rivestite di lastre di marmo assemblate in quattro registri orizzontali. Sia l’archivolto che la facciata dell’arco sono decorati con mattonelle di ceramica dorata o a lustro metallico, monocrome o policrome, disposte a forma romboidale. La cupola antistante il mihrab è a spicchi e poggia su pennacchi angolari, collegati lateralmente da archi ciechi lobati. Il mobile del minbar è di legno tek, in pezzi assemblati. Tutti questi elementi risentono di una profonda influenza orientale e, stando ai cronisti arabi dell’epoca, le mattonelle e il legname sarebbero stati importati da Baghdad dall’emiro Ibrahim I. Alcuni anni più tardi, all’epoca dell’emiro Ibrahim II (875-902), viene rafforzata la navata centrale della moschea, innalzando al suo interno una nuova serie di arcate sforzate appoggiate su quelle già esistenti, ragione per cui in pianta la navata centrale presenta colonne accoppiate; inoltre viene ampliata la sala di preghiera di due ulteriori campate in direzione del cortile e si edifica, nello spazio ampliato, un’ulteriore cupola all’inizio della navata centrale. A questo periodo risale, come è logico, la nuova facciata del cortile, ritmata da archi sforzati che poggiano su colonne binate o accoppiate; tuttavia i portici o riwaqs del cortile sono di epoca posteriore essendo stato utilizzato il mattone come materiale di costruzione. In conclusione, nella grande moschea di Sidi Uqba di Kairouan permangono elementi artistici che appartengono alla tradizione omayyade e locale, come la pianta del minareto (a base quadrata, con il maschio centrale quadrato, collocato all’interno del cortile, di tradizione siriana), i materiali (predominio della pietra squadrata), i sostegni della sala di preghiera (colonna a cui si sovrappone un frammento di pilastro, di origine omayyade egiziana) e l’arco a ferro di cavallo (di tradizione romana e utilizzato tanto in oriente come nell’occidente islamico). D’altro canto, a partire dell’epoca dell’emiro Ibrahim I, irrompono con forza i nuovi apporti di origine abbaside, come la volta delle cupole su pennacchi, l’introduzione degli archi lobati e l’uso della ceramica dorata. Ma è innanzitutto interessante sottolineare l’originalità della pianta della sala di preghiera a forma di T, che segue il modello della moschea di al-Aqsa II (780) di Gerusalemme. Bisogna tenere in considerazione che questa pianta a T della grande moschea di Kairouan è anteriore cronologicamente alla moschea di Abu Dulaf a Samarra e che servirà poi da modello per l’ampliamento della moschea aljama di Cordova realizzato da al-Hakam II. Si deve inoltre ricordare l’osservazione fatta da Christian Ewert3 sulla particolare disposizione dei capitelli della sala di preghiera, che confi-

La sezione assiale della cupola del mihrab permette di apprezzare le matrici tardoantiche tanto del sistema costruttivo che della decorazione. Quattro grandi archi creano il quadrato di base, sul quale quattro pennacchi a forma di conchiglia e quattro archi ciechi impostano l’ottagono di transizione alla cupola. Su di esso si aprono otto finestre e sedici nicchie cieche ed infine si innalza la cupola in pietra a nervature.

52

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 52

03/11/16 09:39


L’ARTE DI AL-ANDALUS E DELL’AFRICA DEL NORD

Sotto il governo aghlabita si svilupparono anche forme di architettura militare, i ribat. Destinati ad accogliere asceti guerrieri, votati alla difesa della fede, erano semplici strutture fortificate con una corte centrale circondata da un porticato su cui si aprono le stanze di abitazione. Qui il ribat di Susa, con porticato a due piani e moschea al piano superiore, sovrastante la porta d’accesso.

gurano una sottile seconda pianta in alzato, seguendo in questo caso il modello centralizzato della Cupola della Roccia. In questo modo si coniugano armoniosamente i due principi compositivi dell’arte islamica, la fedeltà alla tradizione e l’innovazione. La grande moschea di Sidi Uqba a Kairouan costituisce un modello per le moschee di Susa (850), della Zaytuna di Tunisi (856-863) e di Sfax (894), anche se tutte sono state oggetto di importanti modifiche e ampliamenti in epoche posteriori al periodo aghlabita. Oltre all’architettura religiosa gli aghlabiti fomentarono la costruzione di ribat, splendide fortezze difensive sul mare, da dove poteva giungere il pericolo esterno, e in cui alloggiavano i soldati che partecipavano alla guerra santa, in una forma di vita comunitaria tra il religioso e il militare. E monumento più importante di questo tipo di architettura militare del periodo aghlabita è il ribat di Susa (821) la città sulla costa orientale che difendeva l’accesso a Kairouan. Eretto quindi sul litorale, il ribat di Susa è costituito da una cinta muraria fortificata, di pianta quadrata, con torrioni semicircolari agli angoli e nel mezzo dei

53

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 53

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

La moschea di Mahdiyya, distrutta e ricostruita più volte, conserva la struttura originaria della prima età fatimide. La sua pianta venne ripresa da quella di Kairouan con alcune modifiche: le torri agli angoli dei muri principali, l’accentuazione ancora più marcata della navata della sala di preghiera e il portico aggettante d’accesso al cortile. Quest’ultimo, ispirato alla tradizione imperiale romana, ha riscontri anche nei portali e nei palazzi omayyadi e nell’abbaside Samarra.

lati, costruito in buona muratura. Il congiunto è disposto intorno a un cortile interno, anch’esso quadrato e porticato, su cui danno gli ambienti abitativi coperti da volte a botte semicircolari, trasversali al cortile. Questa tipologia militare si diffonderà per tutto l’occidente islamico, anche se in al-Andalus non acquisirà tanta importanza come nell’emirato di Ifriqiya.

La prima arte fatimide L’emirato aghlabita del Nordafrica scomparve nell’anno 909 con la conquista della città di Kairouan da parte di Ubayd Allah, un imam ismailita emigrato in Occidente, considerato dai suoi seguaci il discendente legittimo di Maometto tramite sua figlia Fatima e suo genero ‘Ali. A differenza del califfo, che era un capo temporale dell’Islàm e la cui autorità si basava sul consenso, l’imam, o guida, era un capo dotato d’ispirazione divina, infallibile, che reclamava l’obbedienza totale dei credenti. In questo modo Ubayd Allah si proclamò Mahdì, cioè l’imam reincarnato, e fondò una nuova città che ricevette il nome di Mahdiyya. Affacciata sul mare, a differenza di Kairouan situata verso l’interno, la nuova città divenne capitale del califfato fatimide di Ifriqiya. Dall’Africa settentrionale i Fatimidi si sposteranno verso l’est del Mediterraneo, sottomettendo nell’anno 969 l’Egitto. La proclamazione del califfato fatimide nell’Africa settentrionale nell’anno 909 provocherà indirettamente la proclamazione del califfato omayyade di Cordova due decenni più tardi, nel 929, dovuta al fatto che i cordovesi vedevano messa in pericolo la loro tradizionale influenza sul Maghreb di fronte all’attrazione religiosa esercitata dalla nuova presenza fatimide. In questo modo nel secolo X si assiste alla frammen-

Le principali fasi costruttive della moschea di Cordova, uno dei grandi cantieri di al-Andalus, dove si avvicendarono nell’arco di circa due secoli maestranze di diversa provenienza, anche dalla lontana Costantinopoli. Sopra: la pianta quadrata della moschea originaria, fondata dal primo omayyade, che richiama l’impianto quadrato dei palazzi del deserto in Siria e Giordania. Al centro: l’ampliamento effettuato da al-Hakam II dopo la metà del X secolo. Sotto: l’ultimo ampliamento, di poco successivo, che dilatò a dismisura le dimensioni della moschea e del cortile, con l’aggiunta dell’ala di sinistra.

54

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 54

03/11/16 09:39


L’ARTE DI AL-ANDALUS E DELL’AFRICA DEL NORD

tazione religiosa dell’Islàm in tre califfati: l’abbaside di Baghdad, il fatimide di Mahdiyya e del Cairo e l’omayyade di Cordova. Il monumento più importante dell’arte fatimide nell’Africa settentrionale è la grande moschea di Mahdiyya (916), nell’odierna Tunisia, la cui pianta segue il modello locale aghlabita della grande moschea di Kairouan. La moschea fatimide di Mahdiyya venne profondamente trasformata in epoche posteriori e della sua fabbrica originale si conserva solo il monumentale portale d’entrata al cortile, simile a un arco di trionfo; è costituita da un portale aggettante, costruito in pietra squadrata, aperto sul fronte da un grande arco a ferro di cavallo, prolungato in una volta a botte, con muri decorati da due ordini sovrapposti, uno costituito da archi ciechi a ferro di cavallo, nell’ordine inferiore, e l’altro costituito da nicchie, nel superiore. Tutti gli elementi artistici di questa moschea, vincolati alla tradizione locale aghlabita, faranno sentire il proprio influsso nel futuro sviluppo dell’arte fatimide in Egitto.

La conquista e il governo di al-Andalus La conquista musulmana della penisola iberica fu realizzata a partire dall’Africa settentrionale con grande rapidità, tra il 711 e il 714, da Tariq e Musa Ibn Nusayr. Già dal 716, secondo una testimonianza numismatica di un dinar di testo bilingue, le antiche terre di Hispania occupate dai musulmani ricevono il nome di al-Andalus. I primi tre secoli di storia di al-Andalus avranno come capitale Cordova. Il periodo, denominato per questa ragione cordovese4, si articola in tre diverse organizzazioni politiche successive: dal 711 al 756, un emirato dipendente da Damasco, con wali o governatori con potere delegato dal califfato omayyade; dal 756 fino al 929, un emirato indipendente dal califfato abbaside di Baghdad, governato da Cordova da una dinastia omayyade instaurata da Abd al-Rahman I l’Immigrato, che volle trasformare la città in una nuova Damasco d’Occidente; dal 929 al 1031, un califfato, proclamato da Abd al-Rahman III e sorto come emulo del califfato fatimide africano. Dopo la distruzione del califfato cordovese, iniziata con la fitna o guerra civile interna degli anni 1009 e 1010, nel periodo corrispondente al secolo XI il territorio di al-Andalus rimane smembrato in molteplici regni o cantoni (tawaif), in cui numerose dinastie locali sorgono in seguito al tramonto del potere centrale omayyade di Cordova.

Il cantiere della grande moschea di Cordova Il monumento religioso più importante del periodo cordovese (emirale e califfale) è la moschea aljama di Cordova, moschea grande o del venerdì della capitale, che conobbe tappe costruttive successive in cui rimangono emblematicamente riflesse le caratteristiche artistiche di questo periodo. La prima moschea di Cordova fu costruita dall’emiro Abd al-Rahman I, tra gli anni 786 e 788, sull’area della basilica cristiana di San Vicente; la sua pianta configurava un quadrato perfetto, con la metà nord come cortile senza portici e la metà sud come sala di preghiera, di undici navate, con dodici campate o intercolonni ciascuna, disposte longitudinalmente al muro della qibla, orientato verso sud. La sepa-

55

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 55

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

razione delle navate è realizzata mediante un caratteristico sistema di archi a ordini sovrapposti che migliora le soluzioni costruttive anteriori di Fustat e Kairouan: nella parte inferiore viene disposta la colonna, da cui si eleva un arco a ferro di cavallo con funzione di supporto, a cui si sovrappone sulla parte superiore un pilastro, da cui si erge un arco a tutto sesto che sostiene i tetti delle navate a due spioventi. L’ingegnosa soluzione, atta a evitare cedimenti laterali, rappresentata da questo sistema di elementi di sostegno sovrapposti si regge su un sostegno cruciforme su cui si innestano in senso trasversale un pilastro impostato su un modiglione con decorazioni cilindriche e, in senso longitudinale, un arco a ferro di cavallo con funzione di supporto; il tutto perfettamente solidale. Sia le colonne che i capitelli, corinzi e composti, sono riutilizzi dell’epoca romana e visigota. Del recinto esterno della prima mo-

Due particolari degli archi e della cupola della moschea di Cordova nella zona del mihrab, sottolineano alcune delle novità introdotte nella decorazione architettonica dell’edificio, grazie alle quali semplici strutture si trasformano in combinazioni complesse di linee, di forme e di superfici decorate. L’innovazione venne subito ripresa in altre costruzioni della Spagna musulmana.

schea si è conservato solo il muro occidentale, costruito in pietre squadrate disposte per lungo e per traverso e culminante in una merlatura scalettata. In questo muro si apre la facciata detta di Santo Stefano o Bab al-Uzara, il cui portale ad arco a ferro di cavallo fu trasformato posteriormente da Muhammad I nell’anno 855-856; la facciata è disposta su un triplo asse verticale, con portale e fregio continuo ad archetti ciechi a ferro di cavallo nel centro e false porte e vani chiusi con inferriate ai lati. La moschea fu completata da Hisam (788-799) che eresse un piccolo minareto, a pianta quadrata, esterno al cortile. In questa prima moschea sono presenti numerosi elementi di tradizione locale, romana e visigota, come i materiali riutilizzati, la costruzione del muro con pietre disposte per lungo e per traverso, il modiglione con decorazione a cilindri che deriva dall’acanto classico, l’alternanza di pietre squadrate e fila di mattoni nei conci rastremati degli archi; mentre per altri si tratta senza dubbio di apporti omayyadi, come la

La torre barocca che, dal XVII secolo, racchiude il minareto originario.

56

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 56

03/11/16 09:39


L’ARTE DI AL-ANDALUS E DELL’AFRICA DEL NORD

57

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 57

03/11/16 09:39


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

pianta della moschea che segue la tradizione di al-Aqsa I, con le navate che si estendono longitudinalmente alla qibla, o le inferriate e la merlatura scalettata che ha i suoi precedenti nella grande moschea di Damasco. L’arco a ferro di cavallo è di tradizione romana, anche se non esclusiva dell’arte andalusì, mentre la sovrapposizione delle arcate, che formalmente ha dei precedenti locali nell’acquedotto romano di Mérida, era anch’essa presente nella grande moschea di Damasco. Il primo ampliamento della moschea di Cordova fu realizzato da Abd al-Rahman e fu terminato nell’848; si trattò di un prolungamento della sala di preghiera verso sud che l’ampliò di otto campate. Le novità formali sono molto scarse: le colonne partono direttamente dal suolo, senza plinto né basamento, il modiglione decorato è sostituito da una modanatura a tondino e per la prima volta vengono lavorati alcuni capitelli, tra i quali quelli dell’attuale mihrab. Da parte sua, Muhammad I dotò la moschea della maqsura e restaurò l’arco del portale di Santo Stefano nell’855-56; le proporzioni di questo arco, secondo Camps Cazorla, sono caratteristiche dell’arte emirale cordovese: è innalzato a metà del raggio, con l’intradosso e l’estradosso concentrici e con i conci allineati al centro dell’arco. Il secondo ampliamento della moschea di Cordova non riguardò la sala di preghiera

La monumentale porta di accesso alla sala di preghiera della moschea di Cordova, decorata con pietra, stucco e mattone, ha un’elevazione verticale che corrisponde a uno dei tratti caratteristici dello spazio interno. Il cortile della moschea. La sala di preghiera ha un’altezza maggiore di altre sale ipostile contemporanee. Questo risultato innovativo è ottenuto utilizzando nelle navate longitudinali un modulo di archi sovrapposti, quelli inferiori leggermente a ferro di cavallo e quelli superiori a tutto sesto. La caratteristica richiama tanto l’architettura omayyade di Siria quanto quella dell’Iberia romana. Nella doppia pagina seguente: La parte della sala di preghiera corrispondente all’ampliamento di al-Hakam II con il caratteristico sistema degli archi intrecciati a sostegno delle cupole. Il disegno polilobato dell’arco introduce nella moschea un elemento di probabile tradizione abbaside.

58

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 58

03/11/16 09:40


L’ARTE DI AL-ANDALUS E DELL’AFRICA DEL NORD

59

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 59

03/11/16 09:40


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

60

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 60

03/11/16 09:40


L’ARTE DI AL-ANDALUS E DELL’AFRICA DEL NORD

61

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 61

03/11/16 09:40


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

bensì il cortile, usato anche per pregare, e fu realizzato da Abd al-Rahman III che rinforzò la facciata della sala di preghiera, realizzata nel 958 anteponendole un’altra arcata, e ampliò il cortile verso nord, dotandolo di portici con struttura alternata di un pilastro e due colonne come a Damasco, e costruì un nuovo minareto, realizzato in solo tredici mesi tra il 951 e il 952. La parte bassa di questo minareto, a pianta quadrata e con doppia tromba di scale, è rimasta racchiusa all’interno dell’attuale torre della moscheacattedrale, costruita tra il 1593 e il 1653 seguendo i bozzetti di Hernán Ruiz. Lo studio monografico del minareto di Abd al-Rahman III è stato condotto da Félix Hernández. L’aspetto più importante, dal punto di vista formale, è che qui appaiono già tutte le novità dell’arte califfale, tra cui i capitelli a foglie lisce e le nuove proporzioni degli ar-

Gli scavi di Madinat al-Zahra hanno restituito un complesso progetto urbanistico di età califfale. La città fu voluta da Abd al-Rahman III quale suggello del proprio potere, nel confronto soprattutto con l’affermazione dei Fatimidi sull’altra riva del Mediterraneo. Questa pianta mostra la parte della città destinata all’alcázar: i due quadrati della parte inferiore corrispondono a due giardini quadripartiti, secondo l’uso persiano (9 e 10); alla loro destra, fuori dall’alcázar, è la moschea (11); immediatamente al di sopra del giardino è il salone di Abd al-Rahman, o salone orientale o «salón rico» (8); più sopra ancora si trova una serie di edifici e spazi di abitazione e di servizi, tra i quali si segnalano la casa di Hayib Ya’far (5) e la casa dei Visir, Dar al-Wuzara (12).

chi a ferro di cavallo, con l’intradosso decentrato e i conci allineati alla linea d’imposta. Il terzo ampliamento della moschea di Cordova fu intrapreso da al-Hakam II nell’anno 962, mentre il mihrab fu terminato nel dicembre del 967 e i lavori musivi nel 971. Venne di nuovo prolungata verso sud la sala di preghiera, questa volta ampliata a dodici campate, introducendo in questa parte il tipo di pianta a forma di T e dotandola di quattro cupole con funzione di lucernario, formate da archi intrecciati, una all’inizio della navata centrale e tre, a crociera, nello spazio della maqsura, caratterizzato da un sistema di archi intrecciati atti al sostegno delle cupole che è stato analizzato da Ewert. C’è un doppio muro di qibla, con cinque sale per il sabat, o passaggio del califfo dall’alcázar, nel lato occidentale, e con altre cinque sale per il tesoro, nel lato orientale. Il mihrab è a pianta ottagonale e la monumentale facciata dello stesso è disposta ad arco a ferro di cavallo inquadrato da una modanatura (alfiz) e con fregio continuo ad archi ciechi lobati. Alcune caratteristiche di questo ampliamento sono state valutate come tratti volutamente arcaicizzanti del califfatto omayyade, come l’impiego del mosaico bizantino nel rivestimento della facciata del mihrab e della cupola antistante. Un mosaicista inviato dal basileus bizantino Niceforo Foca fondò una scuola locale il

Il salone orientale, destinato ad aula di rappresentanza del califfo, ha una semplice struttura basilicale a cinque navate che danno su un vestibolo. Qui, le arcate monumentali che sottolineanoil passaggio tra i due ambienti. Particolare di uno dei pannelli del salone orientale, recentemente restaurato. Secondo l’uso siriano e palestinese la maggior parte delle pareti era rivestita di pannelli di stucco che, come un tappeto, ripetevano disegni geometrici e, soprattutto, vegetali. La decorazione di questa sala di rappresentanza era completata da marmi e mosaici.

Veduta d’insieme dei quartieri della parte superiore, presso la porta nord dell’alcázar di Madinat al-Zahra.

62

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 62

03/11/16 09:40


L’ARTE DI AL-ANDALUS E DELL’AFRICA DEL NORD

cui influsso è apprezzabile nelle facciate laterali del sabat e del tesoro. Allo stesso modo si considera tarda l’introduzione della pianta a forma di T. Naturalmente, però, in questo ampliamento si è concentrato tutto lo splendore dell’arte del califfato cordovese, formatasi anteriormente nella scuola di Madinat al-Zahra’, dove appaiono per la prima volta numerosi elementi orientali di tradizione abbaside, tra i quali sono da rilevare oltre alle cupole ad archi intrecciati, l’arco lobato, la proliferazione del rivestimento in stucco e la lavorazione del legno della copertura piana (salvatasi per essere stata reimpiegata come sostegno del tetto nella trasformazione barocca del 1713). Il quarto e ultimo ampliamento della moschea di Cordova, realizzato da al-Man-

sur a partire dal 987-988, e che impiegò per l’opera due anni e mezzo, consistette nell’ampliamento, questa volta verso est, di tutta la superficie della moschea, tanto del cortile come della sala di preghiera, che venne dotata di ulteriori otto navate e che provocò il definitivo decentramento del mihrab di al-Hakan II. Questo ampliamento è stato tradizionalmente considerato dalla critica classica spagnola come un’opera non necessaria e megalomane di Abi Amir che non apporta novità artistiche, anche se oggi si tende ad apprezzare altri aspetti come il rispetto per la tradizione e la necessità di un ampliamento dovuto ai numerosi contingenti di mercenari berberi di Abi Amir. Nonostante tutto, la grande moschea di Cordova rimane un monumento singolare e irripetibile, consona, nelle enormi dimensioni della versione definitiva, alla capitale del califfato. La moschea di una città di dimensioni medie, come ad esempio quella di Madinat al-Zahra’, aveva abitualmente una sala di preghiera di cinque navate. Esistono anche moschee di quartiere molto più piccole, con tipologie di pianta alquanto singolari, come la moschea di Bab al-Mardum, anche detta del Cristo de La Luz, a Toledo. Secondo le iscrizioni presenti sulla facciata, la moschea fu costruita nell’anno 9991000, per opera dei maestri Musa Ibn Ali e Saada. È di proporzioni assai ridotte, di

63

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 63

03/11/16 09:40


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

64

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 64

03/11/16 09:40


L’ARTE DI AL-ANDALUS E DELL’AFRICA DEL NORD

Per consolidare il proprio potere in al-Andalus i califfi di Cordova realizzarono diverse linee fortificate attraverso tutto il paese, facendole presidiare da truppe reclutate nel Maghreb. I costruttori di Baños de la Encina (Jaén), adattarono alla morfologia del territorio lo sviluppo del castello, che controllava la sicurezza del percorso tra Cordova e Toledo.

La casa di Hayib Ya’far è un importante edificio di rappresentanza aggiunto in un secondo momento al palazzo califfale di Madinat al-Zahra.

pianta quadrata con lati di 8 m, il cui interno rimane diviso in nove campate mediante quattro colonne che conformano una croce greca inscritta in un quadrato seguendo modelli aghlabiti del secolo IX. Questa tipologia permane nella stessa città di Toledo nella moschea, risalente ai tempi dei regni di taifa, detta de Las Tornerías o del Solarejo. Il suo disegno rappresenta una permanenza del sistema compositivo cordovese, come ha dimostrato Ewert, con l’aggiunta di elementi locali come la muratura toledana. Un altro aspetto interessante dell’architettura religiosa dell’epoca cordovese fa riferimento a una determinata struttura di minareto che fu studiata da Félix Hernández: il minareto di pianta quadrata, che presenta una disposizione interna della tromba delle scale a chiocciola, cioè con maschio centrale cilindrico. Si sono conservati, riutilizzati come torri cristiane, quello della collegiata del Salvatore nella città di Siviglia e quelli di Santiago e di San Juan de los Caballeros nella città di Cordova.

65

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 65

03/11/16 09:40


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Madinat al-Zahra’, città capitale Il toponimo Madinat al-Zahra’ significa «città brillantissima». Manuel Acién ha segnalato che la fondazione di questa città da parte di Abd al-Rahman III ai piedi della Sierra Morena, a 5 km a ovest di Cordova, è una conseguenza della sua proclamazione a califfo nell’anno 929, dato che la nuova dignità califfale si manifestava mediante il conio di monete d’oro e la fondazione di nuove città. Tradizionalmente viene segnalato l’anno 936 come data di fondazione, anche se si considera tra le opere più antiche la costruzione della moschea nell’anno 941, mentre la conclusione delle attività edilizie coincide con la morte di al-Hakan II nel 976. La città venne poi distrutta durante le rivolte civili degli anni 1009 e 1010 e fu trasformata in cava di materiale da costruzione, prima per opere musulmane fino all’anno 1236 e posteriormente per opere cristiane. Lo studio scientifico del giacimento archeologico di Madinat al-Zahra’ venne iniziato nel 1910 con gli scavi dell’architetto Ricardo Velázquez Bosco, a cui seguirono in modo sistematico quelle dell’architetto Félix Hernández a partire dal 1944. Dal 1985 il direttore responsabile dei lavori è Antonio Vallejo. È stata scavata solamente una parte dell’alcázar, nella zona nord del perimetro urbano. La città era a pianta rettangolare, di un chilometro e mezzo di lunghezza nel lato maggiore, in direzione est-ovest, per la metà di larghezza in direzione nord-sud, ed era dotata di una cinta muraria semplice con torrioni quadrati. Secondo al-Idrisí, si estendeva su tre terrazze verso valle: la zona nord (l’unica scavata nella sua parte centrale), maggiormente elevata, era occupata dall’alcázar, mentre nella zona meridionale, più bassa, era situata la medina propriamente detta che proseguiva verso Oriente, mentre la moschea aljama del 941 si trovava nel mezzo. Non bisogna dimenticare che rimanevano fuori delle mura gli arrabal, i sobborghi, con le loro numerose attività artigianali. Madinat al-Zahra’ era ben collegata con Cordova e circondata da tenute delle quali a ovest si conserva la tenuta califfale, detta Rummaniyya, e a est la tenuta di Turruñuelos. Le conoscenze su Madinat al-Zahra in nostro possesso mantengono un certo carattere di provvisorietà, accentuato dalla circostanza che i dati apportati dalle fonti arabe e dagli scavi archeologici non concordano facilmente. Antonio Vallejo ha stabilito alcune tappe relative alla costruzione: nel decennio del 940, oltre alla moschea aljama, si costruisce la parte occidentale dell’alcázar, cioè la cosiddetta zona residenziale, dove si trova la casa del califfo, mentre nel decennio del 950, e come conseguenza della grande riforma amministrativa del califfato, si produce un ampliamento della zona dell’alcázar verso est, a cui corrispondono due saloni basilicali, il «salón grande», scavato da Ricardo Velázquez Bosco, e il «salón rico» scavato da Félix Hernandez. Per quel che riguarda la moschea aljama, gli scavi realizzati nel 1964 hanno messo in mostra l’esistenza di alcune novità che vanno poi a incidere sulla moschea cordovese: da un lato l’esistenza di portici nel cortile e dall’altro il doppio muro della qibla. Nonostante costituiscano essenzialmente un giacimento archeologico, le rovine di Madinat al-Zahra’ rappresentano anche, come nel caso del salone dei ricevimenti, scavato a partire dal 1944 dall’architetto Félix Hernández, un formidabile sforzo di anastilosi o ricostituzione totale a partire dai resti conservati. Questo «salón rico» corrisponde al «maylis al-sarqi» o salone orientale delle fonti arabe, cioè il salone de-

Piatto a decorazione verde e bruna, con raffigurazione di un cavallo guidato da un uccello. Granada, Museo Archeologico ed Etnologico. Da Madinat Elvira.

Tessuto di tiráz, in lino, decorato con un’iscrizione e una banda di medaglioni con raffigurazioni di piccoli animali e di volti umani. Madrid, Real Academia de Historia.

66

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 66

03/11/16 09:40


L’ARTE DI AL-ANDALUS E DELL’AFRICA DEL NORD

Piatto di ceramica. Cordova, Museo Archeologico.

gli ambasciatori del califfo Abd al-Rahman III. È formato da un portico con alcove laterali che precede un grande salone basilicale a tre navate separate da arcate; ai fianchi di esso e separate da muri si estendono due navate collaterali, a guisa di alcove. Antistante il salone è disposto il cosiddetto «giardino alto» che prosegue, circondato da mura, sulla zona meridionale, con una distribuzione a croce di tipo persiano, mediante due viottoli che si incrociano perpendicolarmente nel centro, suddividendo la zona del giardino in quattro parti. L’interesse degli studi su Madinat al-Zahra’ radica nel fatto che qui si formò e raggiunse il suo massimo splendore l’arte califfale cordovese. Nella città si può riscontrare la presenza di tipologie architettoniche di enorme interesse come, ad esempio, la casa, il bagno, il salone dei ricevimenti, il corridoio a volta, il giardino quadripartito di tipo persiano, presentando quindi tutti gli elementi che anticipano il successivo sviluppo dell’architettura civile andalusì. Inoltre si possono constatare novità ornamentali, in cui alla tradizione cordovese locale si aggiunge la presenza di un nuovo stile decorativo di origine orientale. Né si deve dimenticare che fu il grande laboratorio di tutte le manifatture califfali, centro di creazione artistica delle arti dell’avorio, dei tessuti e delle ceramiche.

Le fortificazioni

Nel vaso d’avorio detto «di Subh» (madre del futuro califfo Hisham II), motivi geometrici e forme vegetali sono integrati con grande abilità. Nel loro movimento si inseriscono armonicamente immagini di animali quali pavoni, colombe, antilopi. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Dalla cattedrale di Zamora.

D’altro canto le fortificazioni del periodo cordovese, costruite per l’organizzazione, il controllo e la difesa del territorio, adottano una morfologia molto variata a seconda delle funzioni da loro svolte. Juan Zozaya ha proposto le seguenti tipologie, ordinate da un minore a un maggior grado di complessità funzionale: a) torre di guardia di pianta circolare per la comunicazione mediante un sistema di segnali; b) torre di difesa di pianta quadrata, di tipo «burj», chiusa da cupola, morfologia che si riflette nella toponimia («Alcova», «Cubo»), in particolare la torre di Noviercas nella provincia di Soria; c) roccaforte, del tipo «sajra»; d) castello, del tipo «qala», che costituisce un sistema amministrativo signorile, dipendente in una fase successiva dal potere centrale cordovese; e) cittadella fortificata, del tipo «medina», in particolare quella di Medinaceli; f) fortificazione del tipo «hisn» (plurale «husun») che istituzionalmente costituisce un sistema di protettorato militare. Del periodo emirale devono ritenersi i complessi dell’alcazaba di Mérida, dell’epoca di Abd al-Rahman II e di Calatrava la Vieja, dell’epoca di Muhammad I. Quest’ultimo presenta una torre di vedetta e un portale di accesso articolato a gomito. Già all’epoca del califfato era stato disposto un complesso sistema, tanto di difesa esterna, come di controllo del territorio e delle vie di comunicazione. Queste fortezze califfali, costruite in pietra squadrata, a secco o con malta, presentano mura con torrioni quadrati e in alcuni casi, come a Gormaz, con grandi e fastosi portali.

Le arti minori Infine, la vita raffinata e lussuosa della corte cordovese ci ha lasciato un’importante produzione di elaborati pezzi in avorio, in oro e in argento, in bronzo, nonché ricchi tessuti e ceramiche invetriate, arti sontuose, in definitiva, appartenenti nella maggior parte

67

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 67

03/11/16 09:40


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

dei casi al periodo di splendore del califfato cordovese. Quasi tutti questi pezzi di raffinata fattura si sono conservati fino ai nostri giorni nei tesori dei monasteri e delle cattedrali cristiane grazie all’apprezzamento suscitato dalla loro ricchezza e dalle loro qualità artistiche, che ne hanno favorito il riutilizzo come reliquiari e per altre funzioni sacre. Da sottolineare in primo luogo la lavorazione dell’avorio, materiale proveniente dall’Africa, con il quale si elaborarono scrigni cilindrici e cofanetti prismatici, di piccole dimensioni, oggetti da regalo di gran bellezza che servivano a custodire gioielli e sostanze aromatiche e terapeutiche come l’ambra, il muschio e la canfora. Un buon numero di pezzi d’avorio, datati grazie alle iscrizioni che presentano, si concentrano nel periodo tra il 964 e il 970. Si distinguono due scuole, una di tradizione locale, rappresentata dallo scrigno della cattedrale di Zamora, conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Madrid e un’altra, con decorazioni d’influsso orientale, le cui opere sono firmate dal maestro Halaf, e di cui fanno parte lo scrigno della Hispanic Society di New York, il cofanetto di Fitero in Navarra e lo scrigno di al-Mugira, del Museo del Louvre. Un altro gruppo di avori cordovesi sono più tardi, dell’epoca di Abd alMalik al-Muzaffar, come lo scrigno della cattedrale di Braga o il cofanetto di Leyre. Tra gli oggetti d’argento califfali spicca il cofanetto della cattedrale di Girona, opera dell’anno 976, mentre tra i bronzi sono da rilevare alcuni pezzi in stile animalistico utilizzati come elementi di fontane, in particolare due cervi, uno del museo di Cordova e un altro del museo di Madrid. Di grande interesse sono anche i tessuti cordovesi che ricevono il nome di tiraz, lo stesso della fabbrica che li produce (dar al-tiraz), manifattura già documentata dall’epoca dell’emiro Abd al-Rahman II, in cui si tessevano fini tele di seta, lana e cotone. Ciò che si è conservato è di carattere frammentario, di particolare interesse un velo o almaizar del califfo Hisam II, proveniente da una chiesa di Santo Stefano di Gormaz, nella provincia di Soria, conservato nell’Accademia di Storia di Madrid. Per concludere, i pezzi di ceramica invetriata sono più abbondanti, poiché ne vengono continuamente recuperati in scavi archeologici. In questo periodo cordovese domina la serie decorata in verde e nerastro, colori ottenuti rispettivamente a partire da ossidi di rame e di manganese, e in smalto stannifero, con eccellenti pezzi conservati nei musei archeologici di Cordova e di Granada, provenienti dagli scavi di Madinat alZahra’ e di Hadira Elvira.

Cofanetto decorato in avorio con medaglioni polilobati che racchiudono scene di vita di corte. Pamplona, Museo di Navarra. Dal monastero di Leyre. Cofanetto fatto eseguire da al-Hakam II per il figlio Hisham II, in argento dorato con lavorazione a niello, decorato a viticci e palmette. Girona, Tesoro della cattedrale. Dell’arredo urbano di Madinat al-Zahra faceva parte questo cervo in bronzo cesellato che abbelliva il bordo della vasca di una fontana. Cordova, Museo Archeologico.

Il castello di Gormaz (Soria), nella valle del Duero, doveva fronteggiare gli attacchi dei regni cristiani del nord. Le dimensioni ampie, caratteristiche dei forti di frontiera, sono conservate nel portale monumentale.

68

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 68

03/11/16 09:40


L’ARTE DI AL-ANDALUS E DELL’AFRICA DEL NORD

69

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 69

03/11/16 09:40


VABÃ’LKNDDOBMD L GRANDE ARTE ISLAMICA DEL MEDITERRANEO

70

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 70

03/11/16 09:40


LA PENISOLA IBERICA: INCONTRO, SCONTRO E INFLUENZE ARTISTICHE FRA IL MONDO OCCIDENTALE E QUELLO ARABO-ISLAMICO Jerónimo Páez López Rafael López Guzmán

L’esercito in marcia sotto lo stendardo con la Madre di Dio ed il Bambino, raffigurato in una miniatura delle Cántigas de Santa María fatta redigere dal re di Castiglia Alfonso X il Saggio. Biblioteca del Escorial, Madrid, XIII secolo.

La sala delle colonne del palazzo dell’Aljafería di Saragozza, costruito nell’XI secolo. Alla fine del 1118 la città si arrese all’esercito di Alfonso I d’Aragona «el Batallador»; quando si consolidò il governo aragonese, i nuovi signori utilizzarono il palazzo e maestranze musulmane rimasero a lungo attive nella città.

Dopo la morte di al-Mansur, il «Vittorioso», l’Almanzor della storiografia cristiana (978-1002), il califfato omayyade di Cordova entra in una fase di declino che sfocerà infine nella guerra civile e si concluderà con la sua stessa disgregazione. La nascita dei regni di taifas, molto ricchi e assai difficili da difendere, presuppone l’avvio di un processo di «riconquista» da parte dei sovrani cristiani del nord della penisola destinato a diventare irreversibile, nonostante le battute d’arresto – soltanto provvisorie – imposte dai movimenti unificanti rappresentati dalle dinastie degli Almoravidi e degli Almohadi. L’evento cruciale che provocò la decisa modificazione della situazione politica a favore dei re cristiani del nord si verificò probabilmente nell’anno 1085, con la conquista della città di Toledo, l’antichissima capitale dei Visigoti, da parte di Alfonso VI, che si proclamò sovrano «delle due religioni». La pressione militare ed economica cui le piccole taifas musulmane erano sottoposte le obbligò, se volevano sopravvivere, a ricorrere al sostegno del nascente potere degli Almoravidi, che era sorto nel Nordafrica e sarebbe stato sostituito, nel giro di un secolo, da quello degli Almohadi. Entrambe queste dinastie intrapresero la guerra santa contro i cristiani come se si trattasse di una «crociata», caricandola di significati religiosi, laddove ai sovrani andalusi, che erano interessati soprattutto a cercare protezione nei confronti delle mire egemoniche dei potenti regni cristiani, ispirava concetti eminentemente politici. Mentre nella penisola iberica si venivano intrecciando queste alleanze e si affacciavano le dinastie sahariane e magrebine, in Europa erano in gestazione le prime crociate. In occasione del concilio di Clermont, nel 1095, l’accorato appello del papa Urbano II alla lotta per la riconquista dei Luoghi Santi suscitò una risposta massiccia ed entusiastica che ebbe importanti ripercussioni nella penisola iberica, dove si era focalizzato lo scontro fra l’Islàm e la cristianità. Riesce difficile attualmente comprendere come la chiamata del papa Urbano possa aver provocato un movimento così irresistibile, destinato a segnare in modo indelebile e traumatico i rapporti fra Oriente e Occidente nel corso dei secoli, e che ancor oggi, così lontano nel tempo, continua a condizionare le mutue percezioni delle due civiltà. I proclami di papa Urbano, in ogni caso, non avrebbero prodotto quei risultati,

71

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 71

03/11/16 09:40


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

o comunque gli esiti del suo appello sarebbero stati completamente diversi, se in precedenza, e per molti anni, non si fosse sviluppato un clima di contrapposizione e se non fossero sorte determinate aspettative messianiche. Soltanto così poté nascere il brodo di coltura che consentì in seguito quell’esplosione di religiosità, fanatismo, violenza, generosità, ansia di avventura, pazzia e furore che prese il nome di «crociata». Le crociate infatti, per lo meno all’inizio, e indipendentemente da altre motivazioni più pragmatiche eppure assai reali, furono un movimento che si ispirava alla lotta contro l’Islàm e alla volontà di recuperare i Luoghi Santi e affondava le sue radici nella situazione che esisteva in precedenza in Sicilia e soprattutto nella penisola iberica. Di fatto, l’espansione dei regni cristiani peninsulari verso Sud, pur avendo inizialmente come motivo principale le conquiste territoriali e la riscossione di tributi, che avrebbero consentito di intaccare la ricchezza della Spagna musulmana indebolendola, si trasformò a poco a poco in uno scontro fra le due civiltà. Il movimento iniziato come un’avanzata dei regni cristiani verso Sud si riconferma grazie all’ispirazione religiosa, si cristallizza e si rafforza con l’ideologia della crociata che venne importata dall’Europa e soprattutto dalla Francia. La mappa politica della Spagna medievale cristiana comincia a definirsi invirtù di queste coordinate, sotto il segno della progressiva crescita dell’influenza dei nobili francesi, dell’abbazia di Cluny e del papato, che finiranno per diventare una forza politica di primo piano nel nord cristiano della penisola iberica. Senza voler entrare nel merito della questione circa il carattere di crociata assunto dalla «riconquista», si può senz’altro affermare che i conflitti che si svilupparono nella penisola iberica hanno influenzato in modo decisivo la nascita delle crociate, le quali, a loro volta, hanno finito per suscitare un clima incandescente di scontro ideologico sul suolo di Spagna. Questo aspetto di contrapposizione non si era manifestato in precedenza, perché, al di là dei conflitti endemici fra cristiani e musulmani, le relazioni fra questi popoli erano molteplici e le più diverse, sia per la presenza, nella Spagna musulmana, di un gran numero di mozarabi – come venivano chiamati i cristiani che vivevano in territorio musulmano – sia per i continui accordi in campo militare, politico ed economico tra i regni cristiani e le taifas. L’influenza dell’Europa continentale, tanto nei suoi aspetti ideologici che nella realtà politica e militare, cominciò durante il regno di Ferdinando I il Grande, grazie ai suoi rapporti con Cluny, e si rafforzò con Alfonso VI e l’arrivo di membri della nobiltà francese, le cui alleanze matrimoniali avrebbero portato alla costituzione dei regni di León, Castiglia e del Portogallo. Un altro evento piuttosto significativo, nonostante alcuni autori abbiano la tendenza a minimizzarlo, fu l’assedio e il saccheggio della città di Barbastro, quando si assistette al primo consistente intervento di eserciti europei nel conflitto che infiammava la penisola. A partire da questo primo intervento, l’influenza di Roma continuerà a crescere e lo «spirito della crociata» porterà con sé, insieme a uno sviluppo delle nuove tecniche militari, l’aumento dei cavalieri da oltre Pirenei che venivano a combattere contro l’infedele nelle schiere dei sovrani di Castiglia-León, Navarra e Aragona. Nel 1118, per esempio, un concilio celebrato a Tolosa con la partecipazione di arcivescovi provenienti dai territori francesi e ispanici aveva conferito il titolo di

Santiago

Templari

Alcántara

Ospedalieri di San Giovanni Sulla scorta dell’autorevole parere di Bernardo di Chiaravalle, nel XII secolo fu accolta nella chiesa d’Occidente la pratica di unire vita militare e vita monastica. Tanto gli Ordini militari sorti in Terrasanta quanto, particolarmente, quelli f ondati nella penisola iberica ebbero un ruolo determinante nella colonizzazione e nella difesa delle terre riconquistate dai sovrani spagnoli contro gli Almohadi.

72

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 72

03/11/16 09:40


LA PENISOLA IBERICA: INCONTRO, SCONTRO E INFLUENZE ARTISTICHE FRA IL MONDO OCCIDENTALE E QUELLO ARABO-ISLAMICO

La maggior testimonianza artistica della presenza degli Ordini militari è nell’architettura, come in questa chiesafortezza di San Giovanni a Portomarín, costruita dagli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme (poi Ordine di Malta) sul Cammino di Santiago. Se la decorazione romanica del rosone e dei portali testimonia l’influenza francese diffusa lungo il Cammino, l’architettura massiccia e la merlatura di coronamento ricordano gli edifici fortificati di Terrasanta.

«crociata» alla spedizione contro la taifa di Saragozza. In seguito a questa convocazione, fecero la loro comparsa sulle rive dell’Ebro personaggi come Gastone di Béarn, Céntulo di Bigorre e Bernardo di Aton, che avevano già partecipato alla prima crociata in Terrasanta. Costoro, insieme ad altri nobili e aristocratici francesi, allestirono le macchine da guerra nei dintorni della città di Saragozza, che si arrese alla fine per mancanza di viveri e rifornimenti nel dicembre del 1118. Alfonso I volle ricompensare con generosità questi combattenti della fede, per esempio assegnando la signoria di Saragozza a Gastone di Béarn. Questi dati, confermando le reiterate segnalazioni di alcuni storici, dimostrano che la riconquista della valle dell’Ebro fu in qualche misura una deviazione della spinta della crociata verso il sud dell’Europa. Questo spirito avrebbe indotto Alfonso I, negli ultimi anni del suo regno, a meditare addirittura la conquista di Lérida, Tortosa e Valenza, e a inviare una spedizione a Gerusalemme. Questa «febbre» crociata si ritrova nel suo testamento, nel quale assegnava i suoi regni agli Ordini del Santo Sepolcro, degli Ospedalieri e dei Templari, che poterono dividerseli in tre parti uguali. Tutto ciò mostra fino a che punto le crociate ebbero le più svariate e significative ripercussioni nella penisola iberica, dove gli Ordini

73

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 73

03/11/16 09:40


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Nelle contee pirenaiche della vecchia Marca Ispanica, che nell’XI e XII secolo furono riunite sotto l’autorità dei conti di Barcellona, scultura e pittura esprimono una sensibilità artistica particolare, che si alimenta di matrici diverse: il romanico lombardo, la tradizione bizantina e orientale, il gusto mozarabico nel colore e in molti temi iconografici. Quattro figure di una Deposizione dalla croce attribuita a una «bottega di Erill», dal nome di una località nell’alta valle di Boí. L’eleganza e la forte stilizzazione hanno paralleli nella contemporanea scultura italiana, nel quadro dell’influenza bizantina. Proveniente da Santa Maria di Taiill (Catalogna). MNAC, Barcellona, tardo XII secolo.

militari erano destinati a svolgere un ruolo preponderante negli scontri ai confini e dove sarebbero sorti inoltre nuovi Ordini, specificamente spagnoli, con caratteristiche peculiari. Durante il regno di Alfonso I i Templari si erano stabiliti in Aragona, ma nel giro di poco tempo si procedette alla fondazione di altri Ordini autoctoni iberici, come quelli di Calatrava, Alcántara e Santiago, destinati a far sì che quei monaci guerrieri, ispirati da un’ardente fede religiosa, difendessero le frontiere più difficili dell’Islàm. Comunque sia, quel che è certo è che il fanatismo religioso e la ricerca dell’ideale cavalleresco suscitarono movimenti analoghi su entrambi i lati della frontiera cristianità-Islàm. Un’istituzione per certi versi simile, infatti, era sorta anche nell’Islàm, anche se in precedenza: i cosiddetti ribat musulmani. Ebbene, nel campo cristiano occorre ricordare l’importante influenza esercitata dal monachesimo cistercense sull’organizzazione e il funzionamento di questi Ordini. La forza della fede religiosa appare un elemento fondamentale per comprendere la creazione dell’Ordine di Calatrava. Così, quando nel 1158 i Templari si dichiararono incapaci di difendere la città di Calatrava dagli attacchi degli Almohadi, un gruppo di cavalieri e monaci cistercensi al comando di Raimundo de Fitero riuscì a tenere a bada i musulmani. Il carattere quasi miracoloso della loro azione bellica li avrebbe spinti in seguito a fondare l’Ordine, che ricevette l’approvazione papale nel 1167. Le cose andarono diversamente per quanto concerne l’Ordine di Santiago. Dopo la conquista di Cáceres nel 1170, Ferdinando II di León fondò la confraternita dei cavalieri di Cáceres, cui affidò il governo della città, la difesa della conquista dell’Estremadura e il compito di sostenere nuove incursioni contro i musulmani. Queste confraternite proliferavano anche in altre città, ma quella di Cáceres un

La testa del Cristo della Maestà «Battló» (dal nome del collezionista) segue il tipo iconografico del Cristo trionfante, di origine siriaca e diffuso tutt’attorno al Mediterraneo. Di provenienza sconosciuta. MNAC, Barcellona, metà del XII secolo.

74

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 74

03/11/16 09:40


LA PENISOLA IBERICA: INCONTRO, SCONTRO E INFLUENZE ARTISTICHE FRA IL MONDO OCCIDENTALE E QUELLO ARABO-ISLAMICO

75

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 75

03/11/16 09:40


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

anno dopo prendeva già il nome di «Ordine di Santiago» (il cambiamento si deve al fatto che l’arcivescovo di Santiago le aveva conferito le insegne del santo, nominando il santo stesso cavaliere onorario dell’Ordine). La regola adottata dal nuovo Ordine ricalcava quella dei Templari e ottenne l’approvazione del papato nel 1175. L’Ordine di Alcántara nacque nell’intento di difendere gli interessi della corona d’Aragona di fonte all’invasione almoravide. Nei primi tempi si installò a San Julián de Pereiro e da questa località assunse il suo primo nome. In seguito, nel 1218, l’Ordine di San Julián de Pereiro ricevette la città di Alcántara, la cui difesa avrebbe consentito di sbarrare il passo agli Almohadi verso il regno di León. A partire da quel momento il nuovo Ordine di Alcántara svolgerà un ruolo decisivo nella conquista e protezione del territorio dell’Estremadura, ampliandone costantemente i possedimenti e le ricchezze. Il ruolo positivo svolto dagli Ordini nella difesa del territorio e nella lotta contro gli Almohadi fruttò loro numerose concessioni di terre e castelli, e finì per trasformarli in autentici signori feudali, che disponevano di ampi possedimenti e di beni. Gli Ordini organizzarono i loro territori intorno a castelli – di solito situati in posizioni strategiche – e a monasteri nei quali gruppi di cavalieri conducevano un’esistenza con caratteristiche in parte militari in parte monastiche. Se i Templari riuscirono a disporre di un certo potere in Aragona, Castiglia, León e in Portogallo, in genere gli Ordini internazionali ricevettero poche donazioni, dal momento che queste andarono a favore degli Ordini autoctoni di Calatrava, Santiago e Alcántara. In questo modo, per esempio, a partire dalle sue umili origini a Cáceres, l’Ordine di Santiago poté crescere in misura tale che le sue terre coprivano gran parte delle regioni del nord-est, del centro, e del sud della penisola. Va da sé, naturalmente, che non erano in gioco soltanto aspetti come la fede o le concezioni cavalleresche medievali. Un episodio che pone in evidenza il fatto che si verificarono anche contraddizioni fra lo spirito di crociata e gli interessi economici è la battaglia delle Navas di Tolosa, nel 1212, che mise termine al potere degli Almohadi in Andalusia. I personaggi che presero parte all’organizzazione di questa crociata furono Alfonso VIII di Castiglia, l’arcivescovo di Toledo Rodrigo Jiménez de Rada e il papa Innocenzo III. Il sovrano sollecitò presso il papa la denominazione di «crociata» tramite l’arcivescovo di Toledo, inviato come rappresentante e ambasciatore, il quale se ne fece promotore in Italia, Francia, Germania e in Provenza, accogliendo poi i crociati che incominciarono ad arrivare a Toledo verso la fine di maggio dell’anno 1212. La città sul Tago accolse Pietro II di Aragona-Barcellona e Sancho VII di Navarra. Inoltre arrivarono quasi 70.000 cavalieri e soldati francesi, provenzali e italiani guidati, fra gli altri, dagli arcivescovi di Narbona e Bordeaux, il vescovo di Nantes, il conte Céntulo de Astarc, il visconte Raimond de Touraine e Teobaldo de Blazon. Questa spedizione, tuttavia, ebbe presto modo di palesare lo stato di disunione e la diversità di intenti che regnava nelle sue file. Gli stranieri volevano conquistare le terre dell’Islàm, saccheggiarle, impadronirsi di bottino e proprietà, mettendo in fuga o uccidendo gli abitanti. L’atteggiamento dei sovrani ispanici, invece, era alquanto diverso: per loro si trattava di conservare lo spazio conquistato, perciò avevano bisogno di insediamenti stabili e cercavano di applicare con i mori che

Questa scultura di san Giovanni, particolare di una Deposizione dalla croce, è attribuita anch’essa alla «bottega di Erill». Proveniente dalla chiesa di Santa Eulalia d’Erill la Vall (Catalogna). MNAC, Barcellona, metà del XII secolo.

76

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 76

03/11/16 09:40


LA PENISOLA IBERICA: INCONTRO, SCONTRO E INFLUENZE ARTISTICHE FRA IL MONDO OCCIDENTALE E QUELLO ARABO-ISLAMICO

Paliotto con la Maestà di Maria e scene evangeliche del ciclo dell’infanzia di Cristo, opera di una bottega catalana influenzata dalla maniera greca diffusa in tutta Europa intorno alla metà del XII secolo. Proveniente dalla chiesa di Santa Maria d’Avià (Catalogna). MNAC, Barcellona, tra il 1170 e 1190.

Nelle due pagine seguenti: Diversi oggetti decorati a smalto champlevé di produzione limosina, giunti nella contea di Catalogna: cofanetto-reliquiario di santo Stefano, colomba per contenere le specie eucaristiche, pisside, pastorale con san Michele che uccide il drago. Come era uso in Occidente, gli smalti sono applicati su supporto di rame e presentano le figure frontali e stilizzate caratteristiche di tutta l’area in cui si è diffusa la produzione di Limoges. MNAC, Barcellona, prima metà del XIII secolo. Un mondo artistico più tardo è rappresentato dall’urna reliquiario di san Candido, in basso a sinistra: nella banda inferiore la crudeltà del martirio viene descritta con l’eleganza di una scena cavalleresca mentre la Maestà raffigurata sul coperchio risente di echi orientali. MNAC, Barcellona, dopo il 1292.

vivevano nei loro territori la politica di conciliazione già sperimentata a Toledo, tramite la concessione di capitolazioni che salvaguardavano la vita e i beni degli abitanti musulmani. La diversità di questi atteggiamenti portò al ritiro dell’esercito internazionale dopo la conquista di Calatrava e fece sì che la campagna del 1212 si concludesse alle Navas di Tolosa con una battaglia che vide contrapposte le truppe almohadi e l’alleanza di leonesi, castigliani, aragonesi e catalani. Dando uno sguardo alla storia precedente, molti dei territori annessi ai regni cristiani verso la fine dell’XI secolo furono perduti durante i contrattacchi degli Almoravidi e degli Almohadi, e nella Meseta meridionale rimasero in potere dei castigliani e dei leonesi solo le città di Talavera, Toledo, Madrid, Maqueda e Guadalajara, che furono organizzate secondo criteri analoghi a quelli impiegati nei comuni della valle del Duero. La conquista e il definitivo ripopolamento del regno toledano, specialmente delle zone situate a sud del fiume Tago, furono opera degli Ordini militari, che riuscirono a stabilire dei legami al di là delle divisioni esistenti fra i vari regni e a garantire la continuità della difesa insieme alle milizie comunali. L’importanza dell’impegno volto al ripopolamento da parte degli Ordini, secondo le analisi di José Luís Martin, non si spiega solo in base alle loro attività militari ma anche con i tentativi del papato di accentuare i processi di centralizzazione ecclesiastica. Nel XII secolo gli Ordini militari e quelli mendicanti svolgeranno un ruolo analogo a quello dei cluniacensi nell’XI: quello di agenti della politica pontificia. Per questo motivo saranno loro concessi numerosi privilegi,

77

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 77

03/11/16 09:40


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

78

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 78

03/11/16 09:40


LA PENISOLA IBERICA: INCONTRO, SCONTRO E INFLUENZE ARTISTICHE FRA IL MONDO OCCIDENTALE E QUELLO ARABO-ISLAMICO

79

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 79

03/11/16 09:40


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

talvolta persino a scapito delle sedi vescovili. Così, per esempio, Alessandro III, redigendo la bolla che sanciva la costituzione dell’Ordine di Santiago, ne confermò tutte le proprietà, esentò i cavalieri dalla tutela vescovile e garantì loro il pacifico possesso di tutte le terre in precedenza e da tempo immemorabile disabitate o in possesso dei musulmani e conquistate dai cavalieri stessi grazie ai loro sforzi o per donazione dei sovrani. Gli Ordini militari sostituirono il re, i vescovi e persino i consigli comunali nelle zone da loro ripopolate, dal momento che nella grande maggioranza dei casi i loro possedimenti erano immuni ed esenti dalla tutela vescovile. In queste regioni, l’Estremadura e la Mancia, non vi furono né grandi circoscrizioni comunali né importanti monasteri, e gli Ordini colonizzarono le loro proprietà mediante la concessione di diritti ad alcuni nobili o attraverso l’emanazione di leggi simili a quelle dei comuni della valle del Duero. Non si arrivò mai, tuttavia, alla nascita di grandi città, dal momento che gli Ordini si riservavano diversi privilegi signorili che riducevano la libertà e coartavano l’entusiasmo dei nuovi coloni. Sul piano artistico, l’importanza degli Ordini militari e dello spirito di crociata di cui si facevano portatori diede vita a una serie di costruzioni relative al funzionamento stesso dell’Ordine e alle esigenze degli abitanti dei territori sottoposti al loro dominio. Prenderemo in considerazione alcune di queste opere che si sono conservate fino ai nostri giorni, molte purtroppo in pessime condizioni, che costituiscono un’esemplificazione basilare dell’importanza e del grande sviluppo artistico cui diede vita questo movimento nei regni ispanici durante il basso medioevo. Gli edifici degli Ordini militari muovono dai presupposti generici dell’ultimo periodo romanico, ma senza dimenticare la presenza di elementi islamici, a causa di quel carattere «di frontiera» che consentiva, oltre tutto, la partecipazione di manodopera proveniente dall’altro lato oppure delle popolazioni musulmane che, in base agli accordi capitolari, continuavano a risiedere nei territori occupati in precedenza. Questo carattere simbiotico caratterizzò soprattutto le fortezze, come succede del resto con quelle costruite dai crociati in Terrasanta, e costituisce la singolarità di queste costruzioni rispetto alle cittadelle fortificate che si realizzavano nella stessa epoca in Europa. Analogamente, occorre analizzare l’evoluzione della conquista dal XII al xv secolo, quando le fortificazioni, da enclavi facilmente difendibili situate in zone di frontiera, con scarsa popolazione nei dintorni, si trasformano in spazi istituzionali, proporzionalmente all’allontanarsi dei confini. In tal modo si vengono delineando nuovi spazi, come le case di encomienda, che presentano maggiori somiglianze con le concezioni in base alle quali sono stati realizzati gli edifici gotici e mudéjar. Sempre nello stesso modo si procede alla trasformazione degli spazi adibiti a usi militari, come avvenne per il castello di Belmonte, dotandoli di locali abitabili. Inoltre, gli Ordini militari provvederanno a dotare i diversi insediamenti di chiese che, pur inizialmente alquanto modeste, divennero via via sempre più ricche, mano a mano che le popolazioni e l’economia della regione trovavano un assestamento. Alcuni di questi spazi religiosi sarebbero stati completati con la realizzazione delle cappelle funerarie dei maestri o di personalità importanti dei diversi Ordini. Come ha segnalato José María Azcárate, l’arte degli Ordini militari «era retta

Il gusto per ornamenti personali vistosi più che di fine lavorazione si esprime in questo anello d’oro con un granato circondato da otto piccoli berilli: Dalla tomba dell’infante Fernando de la Cerda (m. 1275), Museo de Telas Medievales del Real Monasterio de las Huelgas, Burgos.

Nel XII secolo a Toledo, ormai passato sotto il governo cristiano, architettura e decorazione restano appannagio di maestranze andalusì che, continuando quella tradizione e mescolandola con elementi di più chiara ispirazione romanica, danno origine al particolare stile detto mudéjar. Gli archi a ferro di cavallo della chiesa di San Román richiamano la sinagoga di Santa María la Blanca. Nella doppia pagina seguente: Il gran rosone è l’elemento dominante nella facciata della chiesa del convento-fortezza di Calatrava la Nueva (Ciudad Real). L’Ordine militare di Calatrava, che ebbe qui il suo quartier generale dopo la sconfitta degli Almohadi a Las Navas di Tolosa (1212), era affiliato all’abbazia cistercense francese di Morimond.

80

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 80

03/11/16 09:40


LA PENISOLA IBERICA: INCONTRO, SCONTRO E INFLUENZE ARTISTICHE FRA IL MONDO OCCIDENTALE E QUELLO ARABO-ISLAMICO

81

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 81

03/11/16 09:40


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

82

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 82

03/11/16 09:40


LA PENISOLA IBERICA: INCONTRO, SCONTRO E INFLUENZE ARTISTICHE FRA IL MONDO OCCIDENTALE E QUELLO ARABO-ISLAMICO

83

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 83

03/11/16 09:40


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

fondamentalmente dai principi basilari dell’estetica cistercense che, nelle costruzioni, in una prima fase presenta caratteristiche tipiche delle tecniche del protogotico, o fase iniziale del gotico. Il ricorso alle nuove tecniche costruttive nella configurazione delle fondamenta e delle strutture murarie, così come nei sistemi di edificazione delle cupole – sia negli edifici adibiti a usi militari sia in quelli destinati a ospitare abitazioni o a svolgere altre funzioni di carattere utilitario –, è favorito da motivi di carattere economico, dal momento che ci si doveva servire dei materiali che si trovavano sul posto o nelle immediate vicinanze. Così, in queste costruzioni assistiamo spesso al ricorso alla pietra grezza e al mattone, che si alternano con la pietra lavorata, più complessa da preparare, utilizzare e disporre». Un’enclave di grande importanza all’interno della geografia dell’Estremadura è la città di Llerena, che dopo la sua conquista verso la metà del XIII secolo venne assegnata da Fernando III all’Ordine di Santiago, cui fu concesso il fuero (lo statuto giuridico) nel 1297. Quando, nel XIV secolo, si stabilirono in questa città diversi maestri dell’Ordine, il suo prestigio aumentò e, nel xv secolo, Llerena divenne la capitale del priorato di San Marcos de León dell’Ordine di Santiago. È il caso di menzionare, fra i monumenti collegati con l’Ordine di Santiago che si sono conservati fino ai nostri giorni, la chiesa di Nuestra Señora de la Granada, una fondazione che risale all’ultimo terzo del XIV secolo e venne realizzata dal

84

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 84

03/11/16 09:40


LA PENISOLA IBERICA: INCONTRO, SCONTRO E INFLUENZE ARTISTICHE FRA IL MONDO OCCIDENTALE E QUELLO ARABO-ISLAMICO

Tre immagini del convento-fortezza di Calatrava la Nueva; le volte in mattone, dalla forma caratteristica, sono state attribuite all’opera di maestri formati in al-Andalus.

Nella doppia pagina seguente: La città di Segovia con, a destra, l’Alcazar, costruito nel XIII secolo sullo sperone che domina la valle. In primo piano la chiesa del Santo Sepolcro o della Vera Cruz, consacrata nel 1208, nella cui costruzione ebbero parte cavalieri del Santo Sepolcro e Templari.

maestro di allora, García Fernández Mexia y Guzmán. Di questo primitivo tempio sappiamo che era formato da tre navate, separate da archi e coperte da strutture in stile mudéjar, anche se oggi è rimasta soltanto la torre. Questo elemento architettonico, che svolge le funzioni di facciata, è realizzato completamente in pietra per quanto concerne i due piani inferiori e riprende lo schema dei minareti della dinastia almohade, con rampe di accesso intorno a un corpo centrale, dove si sovrappongono diverse stanze. Le decorazioni esterne, tanto nei vani come sulla facciata, mescolano il lessico gotico con quello proveniente dal mondo islamico. A Calera di León, nei pressi di Badajoz, si è conservato fino ai nostri giorni il monastero di Tentudía, che viene messo in relazione con il maestro dell’Ordine di Santiago Pelay Pérez Correa e con un intervento miracoloso della Vergine nella lotta contro i musulmani. A partire da un primitivo luogo di eremitaggio, il monastero si venne trasformando in un importante monumento che aveva quasi caratteristiche militari, uniformandosi al concetto di chiesa-fortezza. Il complesso è costituito da una chiesa con due cappelle funerarie, dalla cappella maggiore, da un chiostro e da una serie di vani indipendenti. Quello che ci interessa maggiormente è il tempio, che ha subito molte trasformazioni e inizialmente si ispirava alla tipologia di tre navate separate, coperte da archi realizzati

85

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 85

03/11/16 09:40


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

86

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 86

03/11/16 09:40


LA PENISOLA IBERICA: INCONTRO, SCONTRO E INFLUENZE ARTISTICHE FRA IL MONDO OCCIDENTALE E QUELLO ARABO-ISLAMICO

87

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 87

03/11/16 09:40


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

in mattoni, mentre il presbiterio (che divenne la tomba del maestro Pelay Pérez Correa) presentava una volta gotica. Le navate erano costruite con strutture in carpenteria. Delle due cappelle funerarie addossate all’estremità della chiesa segnaliamo quella denominata «dei maestri», coperta da una cupola di tradizione islamica con i raccordi a tromba. La seconda cappella funeraria, che ha preso il suo nome da Juan Zapata, commendatore di Medinas de las Torres, è coperta da un tetto in stile mudéjar. La distruzione quasi completa di Calatrava la Vieja nel 1195 e la situazione di pace relativa che si venne a creare dopo la battaglia delle Navas di Tolosa spinsero i confratelli di Calatrava a decidere la costruzione di un nuovo edificio. Scelsero allo scopo le alture del colle di Alacranejo, di fronte alla fortezza di Salvatierra. Nel 1227 si consideravano conclusi i primi lavori e, in quello stesso anno, il maestro don Martín Fernández de la Quintana vi trasferì la comunità dalla sua casa madre, trasportandovi anche le spoglie mortali di maestri e cavalieri. Nel secolo XIV i maestri si trasferirono ad Almagro, cambiando l’insediamento medievale con il palazzo urbano. Ciononostante, qui si conservò la parte monastica dell’Ordine fino al XIX secolo, quando ebbe inizio un processo di accelerato deterioramento degli edifici; oggi ne rimangono solo dei resti che segnalano il perimetro del complesso. Fra questi reperti dobbiamo ricordare il maschio, il chiostro e la chiesa. Quest’ultima si può datare intorno alla metà del XIII secolo, se ci atteniamo alla data che figura sulla tomba di «Dominicus Rodericus Ferdinandi», sepolto nel 1246. La struttura interna era formata da tre navate coperte da volte a forma di ogiva. Se si eccettua il rosone della facciata sul portale gotico, denominato «della stella» per l’elemento che vi appare sovrapposto, le rimanenti decorazioni dell’edificio si adeguavano alla sobrietà delle sue caratteristiche militari. Come abbiamo già segnalato in precedenza, agli inizi del XIII secolo i maestri di Calatrava posero probabilmente le fondamenta di Almagro su un piccolo insediamento antecedente. Ciononostante, la fondazione rispondeva a una nuova pianta, ispirata al concetto delle bastide, le città nuove medievali fortificate. A partire da quel momento si procedette al ripopolamento che, tramite il fuero, conferiva una serie di vantaggi ai suoi abitanti, come per esempio l’assegnazione del suolo per edificarvi la casa e di un lotto di terreno nelle sue vicinanze. Erano numerose le costruzioni dei confratelli di Calatrava all’interno della cinta muraria di Almagro ma fra queste occorre senz’altro segnalare l’Ospedale della Misericordia, la cui fondazione fu ordinata da don Gutierre de Padilla nei primi anni del XVI secolo e che costituisce l’inizio della penetrazione delle forme rinascimentali nella città. L’Ospedale, annesso al convento dell’Assunzione, si distribuisce intorno a un cortile centrale che ospitava nelle sue gallerie le infermerie e gli altri servizi. Allo stile romanico segoviano appartiene indubbiamente la chiesa della Vera Cruz, il suo monumento più originale. La dedica della fabbrica risale all’anno 1203 e, tradizionalmente, la sua realizzazione viene attribuita all’Ordine dei Templari, data la sua somiglianza con la Cupola della Roccia di Gerusalemme, il luogo commemorativo degli Omayyadi che i crociati confusero con il tempio di Salomone. Tuttavia, la presenza dell’iscrizione «Beatis Sepulcris» segnalerebbe il legame della chiesa segoviana con i cavalieri del Santo Sepolcro piuttosto che con i Templari. Il complesso è costituito da un poligono di dodici lati, cui si addossa una tor-

Particolare dell’abito di Fernando de la Cerda, decorato con lo stemma di Castiglia e León. Museo de Telas Medievales del Real Monasterio de las Huelgas, Burgos.

88

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 88

03/11/16 09:40


LA PENISOLA IBERICA: INCONTRO, SCONTRO E INFLUENZE ARTISTICHE FRA IL MONDO OCCIDENTALE E QUELLO ARABO-ISLAMICO

L’attuale chiesa di San Benito di Alcántara (Cáceres), successiva all’epoca crociata, sorge dove fu la sede dell’omonimo ordine militare, uno dei tre grandi Ordini fondati nella penisola iberica, al quale fu affidato nel 1218 il compito di difendere, da questa fortezza, la frontiera meridionale contro gli Almohadi.

re mal rifinita. Il piano geometrico viene spezzato dall’estremità della struttura, dotata di una triplice abside. Esteriormente, su ogni abside laterale vi sono una finestra e due portali. All’interno ci si ritrova in uno spazio incentrato intorno a un tempietto a dodici lati, disposto su due piani. Il piano inferiore avrebbe svolto la funzione di cripta, mentre quello superiore è una sala ariosa coperta da una volta con nervature parallele che ricordano il modello della moschea di Cordova. Il legame della città di Alcántara con l’Ordine che porta lo stesso nome implica, evidentemente, la collocazione in questa località di alcune opere di carattere istituzionale in sintonia con l’importanza della confraternita. Fin dal suo insediamento ad Alcántara, l’Ordine utilizzò la fortezza musulmana ivi esistente, apportandovi i cambiamenti necessari per le sue nuove destinazioni d’uso. Tuttavia, il deterioramento in seguito al trascorrere del tempo spinse, già all’epoca dei Re Cattolici, a decidere la realizzazione di un nuovo convento che, dopo diverse collocazioni, fu costruito finalmente nel centro della città, a partire dal 1504, sotto la direzione del maestro architetto Pedro Larrea. L’impronta gotica impressa da quest’ultimo venne poi modificata, a partire dal 1544, con l’intervento del gran maestro dell’Ordine di quel periodo, Pedro de Ybarra.

89

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 89

03/11/16 09:41


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Nei confini del territorio dell’Estremadura, inoltre, occorre segnalare il castello di Montánchez. La posizione strategica che occupa, fra Trujillo e Mérida, fece sì che diventasse una delle strutture difensive e delle località più importanti della zona per quanto concerne il controllo del territorio. Dopo aver avuto diversi padroni, nel 1230 fu conquistato definitivamente da Alfonso IX e da questi affidato all’Ordine di Santiago, che lo trasformò in una encomienda che portava lo stesso nome. Il castello, essenzialmente di epoca islamica, conserva cisterne e muri che risalgono a quella data. Ciononostante, dopo la conquista venne ampliato e ristrutturato per adattarlo alle nuove esigenze. Attualmente, benché molte sue dipendenze si trovino in uno stato penoso, reca ancora sulle sue torri, sulle mura, nei cortili e sui bastioni un’immagine idillica della sua importanza passata, così come la sua capacità di definizione del paesaggio circostante. Jerez de los Caballeros fu ceduta all’Ordine del Tempio da Alfonso IX dopo la sua conquista, avvenuta nell’anno 1240, e diventò la capitale dell’Ordine in questa regione. Se il castello fu un’eredità dell’occupazione musulmana, la muraglia che circonda la città fu eretta immediatamente dopo la conquista, costringendo a uno sviluppo urbanistico all’interno del perimetro murario. In una delle parti più elevate, sopra la primitiva cittadella musulmana, l’Ordine del Tempio costruì una fortezza che sarebbe stata modificata in seguito, quando la città passò sotto il dominio dell’Ordine di Santiago. Fra i reperti giunti fino a noi, vale la pena di segnalare il maschio: una grande mole rettangolare con muri di pietre e sassi e cantonali di pietre squadrate. Nelle vicinanze di questa torre si conserva la cappella a pianta quadrangolare, coperta da una cupola con raccordi a tromba che ricorda alcune tipiche soluzioni musulmane relative al concetto di qubba. La geografia spagnola è ricca di resti di castelli e palazzi che intrattengono relazioni reali o immaginarie con le attività degli Ordini militari. Un ulteriore esempio potrebbe essere quello del castello di Ponferrada, che fu realizzato in diverse tappe e poi affidato all’Ordine del Tempio da Ferdinando II, dopo la sua conquista nel 1185, affinché fosse ripopolato. L’Ordine fu espulso nel 1312, la sua presenza dunque fu limitata nel tempo ma comunque alquanto significativa nell’immaginario quasi romantico del medioevo cavalleresco. Per i sovrani ispanici la vera crociata, come abbiamo già segnalato, si svolgeva sul loro stesso territorio, mentre lo sviluppo delle crociate in Oriente costituì sempre per loro un motivo di preoccupazione e di attenzione. L’esempio più significativo è forse quello del re Sancho IV, che ordinò la stesura di una cronaca delle crociate intitolata La Gran Conquista de Ultramar. Forse fu la perdita di San Giovanni d’Acri, nel 1291, a spingerlo ad affidare a un amanuense l’incarico della redazione di questo manoscritto, magnificamente studiato da Fernando Gutiérrez Baños (Las empresas artísticas de Sancho IV el Bravo). Non tutti gli studiosi che hanno accostato il testo ritengono che sia opera esclusiva di Sancho IV: alcuni ne attribuiscono l’inizio ad Alfonso x e la conclusione al periodo successivo al regno di Sancho. In ogni caso, quel che interessa a noi sono le preoccupazioni e l’interesse dei sovrani dell’epoca nei confronti delle crociate in Terrasanta. L’editio princeps fu realizzata a Salamanca nel 1503, e il manoscritto più importante è quello conservato nella Biblioteca Nazionale di Madrid. Consta di 360

Sopra e a fronte: due immagini del monastero di Uclés (Cuenca), sede dal 1174 dell’Ordine militare di Santiago dopo che il luogo era stato oggetto di aspre contese, con alterne fortune, tra i re di Castiglia, gli Almoravidi e, poi, gli Almohadi. Sotto: il ponte detto di Alcántara, con la torre mudéjar del XIII secolo, che controlla il passaggio del Tago e l’accesso a Toledo.

90

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 90

03/11/16 09:41


LA PENISOLA IBERICA: INCONTRO, SCONTRO E INFLUENZE ARTISTICHE FRA IL MONDO OCCIDENTALE E QUELLO ARABO-ISLAMICO

fogli in pergamena di 410 x 270 millimetri, contrassegnati con numeri romani e scritti su due colonne con epigrafi in rosso e capilettera rossi e blu e fregi nei quali, insieme a motivi figurativi, si ripetono più volte sui margini teste di lupi e di frati. Questo manoscritto equivale a un terzo del totale di quanto è contenuto nell’opera edita; vi figurano anche due miniature, e non sappiamo se la parte del manoscritto non conservata ne contenesse altre. Nell’unico volume che ci è pervenuto dei tre che presumibilmente formavano il testo originale, vi sono due miniature corrispondenti ai fogli 1r e 2r. Di quella che doveva figurare sul foglio 4r per illustrare «Il capitolo dove si racconta come gli uomini del duca Ruggero di Puglia presero il patriarca di Antiochia in viaggio per Roma» è stato tracciato il riquadro, mentre delle altre settantuno previste sono prova gli spazi in bianco appositamente riservati. Le uniche due miniature che furono effettivamente realizzate nel manoscritto conservato alludono a tematiche belliche. Illustrano infatti singoli episodi della conquista della fortezza di Baniyas (Paneas), evento che ebbe luogo nell’anno

91

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 91

03/11/16 09:41


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

1140, mentre a Gerusalemme regnava Folco (1131-1143), e che viene raccontato in La Gran Conquista de Ultramar, secondo la narrazione di Guglielmo di Tiro, fonte principale dell’opera. Vedendosi minacciato dal potente Zengi (‘Jmad al-Din), il mamelucco Önör, autentico uomo forte dello stato turco di Damasco, sollecitò l’aiuto di Folco, sovrano di Gerusalemme. Gli promise in cambio una ricompensa di tipo economico e la cessione della fortezza di Baniyas, conquistata pochi anni prima dai damasceni, il cui governatore era passato nello schieramento di Zengi. Una volta che gli eserciti di Önör e di Folco si furono riuniti, Zengi preferì non dare battaglia e tolse l’assedio a Damasco. Gli alleati si diressero allora su Baniyas che, dopo un lungo assedio, capitolò senza che fosse necessario scatenare un assalto, grazie alla mediazione di Önör. Nel testo di Sancho, Baniyas viene chiamata Belinas, Damasco è Domas, Zengi è Seguin, Önör è Anyart e Folco è Folques. La miniatura del foglio 1r, che potrebbe intitolarsi «L’assedio di Baniyas», raffigura il momento in cui l’assalto alla fortezza prende nuova forza con l’arrivo di altri principi cristiani e grazie alla costruzione di una grande macchina da guerra dalla quale era possibile intensificare gli attacchi alla fortezza. Alcuni elementi che compaiono qui raffigurati hanno i loro antecedenti nella ricchezza di immagini che contraddistingue le Cántigas de Santa María di Alfon-

Il castello, fortemente restaurato, di Ponferrada (Bierzo), affidato ai Templari, difendeva il Cammino di Santiago al passaggio del fiume Sil.

Due miniature con scene di battaglia tratte dalle Cántigas de Santa María di Alfonso il Saggio. Biblioteca del Escorial, Madrid, XIII secolo.

92

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 92

03/11/16 09:41


LA PENISOLA IBERICA: INCONTRO, SCONTRO E INFLUENZE ARTISTICHE FRA IL MONDO OCCIDENTALE E QUELLO ARABO-ISLAMICO

Qui e nella doppia pagina seguente: due miniature che raffigurano episodi dell’assedio di Baniyas, dal manoscritto La Gran Conquista de Ultramar, preparato per incarico di Sancho IV «el Bravo». Biblioteca Nazionale, Madrid.

so X. È certo che esistono dei precedenti, almeno francesi, di storie delle crociate illustrate da miniature, ma non vi sono elementi che non possano essere spiegati a partire dalla tradizione miniaturistica di corte in Castiglia. Se il progetto d’illustrazione dell’opera fosse stato completato, ci troveremmo di fronte a uno dei più importanti corpus di miniature del basso medioevo. Sembra che la causa principale dell’interruzione sia stata la morte di Sancho IV nell’anno 1295, poiché, a causa della minore età di Fernando IV, nacquero una serie di problemi di governo, motivo per cui fu dedicata scarsa attenzione a tutto quanto si riferiva all’ambito culturale. In qualsiasi caso, le due uniche miniature di quest’opera conosciute fino ai nostri giorni rivelano l’abilità degli artisti che lavorarono per Sancho IV nel trarre profitto dall’imponente eredità alfonsina e nel dar vita ad alcune fra le opere più interessanti della miniatura gotica spagnola, benché la qualità della loro opera non eguagli quella dei maestri che lavorarono per Alfonso X.

93

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 93

03/11/16 09:41


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

94

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 94

03/11/16 09:41


LA PENISOLA IBERICA: INCONTRO, SCONTRO E INFLUENZE ARTISTICHE FRA IL MONDO OCCIDENTALE E QUELLO ARABO-ISLAMICO

95

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 95

03/11/16 09:41


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

96

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 96

03/11/16 09:41


LE ARTI IN SPAGNA E MAROCCO NEI PERIODI ALMORAVIDE E ALMOHADE Anna Contadini

Introduzione storica

Il minareto e la pianta della moschea Kutubiyya di Marrakesh. Per il califfo almohade ‘Abd al-Mu’min, che la fece costruire a metà del XII secolo nella capitale del suo impero, la moschea era edificio di prestigio oltre che spazio di culto. La pianta della sala di preghiera è a T, con la navata centrale più larga; sul minareto, a pianta quadrata, si concentra la maggior parte della decorazione architettonica esterna.

La storia degli Almoravidi è legata all’islamizzazione dei Sinhaja, tribù berbere della zona del Sahara Occidentale, che controllavano le rotte commerciali che ponevano in relazione il Nordafrica con le regioni subsahariane. L’islamizzazione di questi Sinhaja si effettuò attraverso il contatto con i mercanti musulmani che frequentavano queste rotte. Per rafforzare l’islamizzazione che era altrimenti superficiale, fu mandato ‘Abd Allah Ibn Yasin, intellettuale marocchino di scuola malichita, su richiesta di uno dei capi Sinhaja. Il ribat, o fortezza, era utilizzato come centro di diffusione della dottrina, dalla quale uscivano i «guerrieri della fede», o murabitun, parola che dà origine alla spagnola almoravides. Gli Almoravidi (1090/483 AH-1146/541 AH), dunque, si costituirono in una comunità che si ingrandì rapidamente. Uno dei capi organizzatori, Ibn Tashfin, fu il fondatore della dinastia che doveva raggruppare sotto la sua egida la quasi totalità (Ifriqiya a parte) dell’Occidente musulmano. Dopo una rapida conquista nel terzo quarto dell’XI secolo di tutto il Marocco (dove fu fondata Marrakesh, nel 1062/454 AH) e il Maghreb centrale, gli Almoravidi passarono in Spagna. I re taifa erano incapaci di opporsi allo spirito di reconquista che si sviluppava nel nord della penisola e, quando Toledo fu conquistata, chiesero aiuti a Ibn Tashfin. La battaglia di Zallaqa (Sagrajas, 1086/479 AH) salvò la Spagna musulmana dalle armate di Alfonso VI, e gli Almoravidi assunsero il controllo dell’Andalusia. Questo non significò un’annessione immediata all’impero almoravide e vari principati, quali la Valenza di Rodrigo Diaz il Cid, il feudatario cristiano che governava un principato biconfessionale, continuarono a sussistere. Comunque, agli inizi del XII secolo tutta la parte musulmana della penisola riconosceva gli Almoravidi1. Come gli Almoravidi, gli Almohadi (1147/542 AH-1232/630 AH), da muwahhidun, o «coloro che affermano l’unità divina», erano guerrieri berberi, ma appartenenti a una tribù ostile, originaria delle montagne dell’Atlante2. Intellettualmente essi rappresentarono una protesta contro il legalismo conservativo del malichismo prevalente in Nordafrica, e contro i costumi opulenti che gradualmente gli Almoravidi avevano

97

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 97

03/11/16 09:41


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

assunto. Ispirati dal loro leader politico e religioso Ibn Tumart (1089-1128), gli Almohadi, sotto una bandiera di puritanesimo simile a quello degli Almoravidi al tempo della loro conquista, iniziarono una guerra santa contro di loro nel 1121. Gradualmente gli Almohadi conquistarono il Marocco, dove mantennero come capitale Marrakesh, e dal 1163 fu anche consolidata la loro posizione nell’al-Andalus, dove elessero come capitale Siviglia. Nel terzo quarto del XII secolo quello almohade era un vasto e solido regno; le conquiste nordafricane furone estese all’Ifriqiya con Tunisi e Tripoli; nella penisola iberica, Alfonso VIII fu sconfitto nel 1195 ad Alarcos, e le isole Baleari furono conquistate nel 1202. La sconfitta che però subirono a Las Navas de Tolosa nel 1212 fu un colpo da cui gli Almohadi non si ripresero. La penisola era in preda a continue ribellioni e battaglie contro i cristiani che avanzavano sempre di più. Siviglia fu presa nel 1248, e solo il piccolo regno nasride di Granada, fondato nel 1238, vassallo del regno di Castiglia, era destinato a durare ancora a lungo, fino al 1492, quando Ferdinando e Isabella entrarono a Granada e posero fine alla dominazione musulmana in Spagna3.

Architettura Nel Maghreb e nell’Andalusia almoravide dell’inizio del XII secolo la cultura, le arti e l’architettura ebbero una rinascita brillante, seppure in una tradizione artistica che si rifà al periodo califfale e a quello dei regni taifas. Ma le testimonianze che restano oggi dell’architettura e della produzione artistica degli Almoravidi sono piuttosto scarse. Anche la corte almohade era un centro splendido di arte e sapere, come, per esempio, la filosofia, associata a personaggi illustri quali Ibn Tufayl e Ibn Rushd (Averroè), entrambi impiegati come medici personali dei sultani almohadi. Come per gli Almoravidi, anche per gli Almohadi le espressioni artistiche più conosciute sono dovute all’architettura, la quale sembra inserirsi nella tradizione precedente. I pochi resti individuati in al-Andalus mostrano, forse, un’esecuzione più accurata di quella incontrata in Marocco, nella quale interviene, insieme con la pietra, anche il mattone cotto, come testimoniano i famosi esempi della Giralda, alcune parti dell’Alcazar e la Torre del Oro a Siviglia4. I più importanti monumenti religiosi del periodo sono strettamente legati alla crescita delle città della parte occidentale del Nordafrica e della Spagna. Algeri (1096), Tlemcen (1136), Fez (soprattutto la moschea Qarawiyyin, 1135), Tinmal (ca. 1035), Marrakesh (1146-96), Rabat (1196-1197) e Siviglia (1171) acquistarono moschee congregazionali nuove o completamente ricostruite5, di varie dimensioni. L’impiantito continua a essere quello ipostilo a T, come nelle moschee precedenti, ma una nuova enfasi è data all’elemento T attraverso file di cupole che marcano la navata centrale e il muro qibli (che segna la direzione della Mecca). Seguendo il modello della moschea di Cordova, i mihrab sono profondi e di solito sporgenti al di fuori del muro esterno. I minareti, dei quali i più celebri sono quelli di Siviglia, Rabat e Marrakesh, sono tradizionalmente edifici a pianta quadrata e sono rivestiti da pannellature con il caratteristico reticolo di tralci a rilievo, sormontate, a volte, da larghe fasce in mosaico ceramico, come, per esempio, nel minareto della moschea Kutubiyya di Marrakesh.

I due particolari dei minareti della Kutubiyya di Marrakesh e della grande moschea di Siviglia mettono in evidenza gli archi frastagliati e festonati e gli intrecci scolpiti, caratteristici della decorazione architettonica almohade.

Il minareto di Siviglia, detto «Giralda», costruito tra 1184 e il 1198 fu l’ultima opera dell’architetto Ahmad ben Bass, forse di origine sivigliana.

98

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 98

03/11/16 09:41


LE ARTI IN SPAGNA E MAROCCO NEI PERIODI ALMORAVIDE E ALMOHADE

99

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 99

03/11/16 09:41


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Delle poche costruzioni civili che restano, sono da segnalare quelle militari. Diverse fortezze rimangono in parte del Marocco e in Spagna6, e le imponenti porte almohadi come, per esempio, la Oudaia di Rabat, con i loro ampi e pesanti archi a ferro di cavallo, stabiliscono le linee architettoniche di base per tutte le porte che d’ora in poi si costruiranno nell’Occidente islamico. Nella penisola iberica da segnalare è il Castillejo de Monteagudo nella zona di Murcia7. Il castello fu considerato per lungo tempo una costruzione almoravide, ma ricerche recenti hanno stabilito che fu costruito durante il periodo almohade8. Sotto gli Almoravidi un certo numero di governatori locali, che erano riusciti a rimanere indipendenti, diventarono patroni delle arti, compreso il governatore di Murcia. Questo stato di cose continuò nel periodo almohade e Muhammad Ibn Mardanish (1146-1172), conosciuto dai cristiani sotto il nome di «Re Lope», era riuscito a imporre la sua autorità su Valenza e Murcia, e quest’ultima, la sua capitale, divenne un centro politico, economico e culturale di notevole importanza. Il Castillejo de Monteagudo, molto probabilmente costruito sotto il suo patronato, è un’elegante struttura rettangolare con un giardino. Esso fu considerato per molto tempo il primo dei giardini quadripartiti dell’Andalusia e del Maghreb ma scavi condotti negli anni Cinquanta hanno rivelato che uno dei giardini di Madinat al-Zahra’ è pure quadripartito, antecedendo, dunque, di due secoli quello del Castillejo di Murcia9. Le decorazioni intagliate a rilievo includono elementi vegetali quali foglie, stemmi, semi palmette asimmetriche, che sono ancora nella tradizione decorativa del periodo taifas, mentre l’ornamentazione geometrica su stucco dipinta è caratterizzata da elementi originari del Maghreb10. Questi elementi decorativi e la struttura del giardino costituiscono nuovi sviluppi che anticipano quelli pienamente realizzati in palazzi e giardini a Siviglia, Granada e in Marocco, seppure si mescolano a elementi che riprendono il linguaggio dell’arte califfale del x secolo. Le costruzioni dell’Occidente islamico del XII e XIII secolo continuano in molti rispetti le tradizioni del passato. Supporti, colonne e pilastri sono chiaramente relazionati a quelli del periodo califfale e taifas. Di grande interesse sono gli archi, semplici o a ferro di cavallo, o, più spesso, polilobati con effetti decorativi notevoli e più complessi di quelli visti nella moschea di Cordova.

Gli Alcazar reali di Siviglia, pur trasformati da interventi successivi, sono quanto resta del quartiere dei palazzi di governo che gli Almohadi edificarono nel XII secolo nella loro capitale provinciale, su tracciati almoravidi, omayyadi e romani. Il Patio del Yeso (a destra) conserva l’unica facciata rimasta intatta di un palazzo dell’epoca; la decorazione a intreccio di rombi (sebka) ricorda quella della Giralda.

La Torre del Oro, edificata nel 1221 lungo il Guadalquivir a difesa del porto e della città, appartiene all’ultima fase della presenza almohade a Siviglia; è uno dei primi edifici andalusì decorati con ceramica invetriata, bianca e verde.

100

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 100

03/11/16 09:41


LE ARTI IN SPAGNA E MAROCCO NEI PERIODI ALMORAVIDE E ALMOHADE

101

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 101

03/11/16 09:41


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Forse i due aspetti più importanti dei monumenti islamici d’Occidente sono lo sviluppo della muqarnas (decorazione «a stalattiti») e la varietà e uso di motivi, decorativi. Nel XII secolo la cupola a costoloni tende a scomparire11, ed è di solito rimpiazzata da una cupola con motivo a muqarnas, già da tempo presente nel mondo islamico d’Oriente e usato in Nordafrica su piani quadrati o rettangolari. Non è strutturale, ma è come uno schermo di stucco che nasconde le linee architettoniche della volta, raggiungendo degli effetti decorativi molto intricati, come nella moschea Qarawiyyin di Fez (1135)12. Un altro aspetto decorativo notevole è da ritrovarsi nei minareti, specialmente nel celebre trio di Siviglia, Rabat e Marrakesh, e nelle porte. Esso consiste in un motivo derivato dai precedenti archi polilobati intersecantesi, che si è ora trasformato in una sorta di tessuto che va a coprire gran parte delle superfici. Motivi epigrafici, combinazioni geometriche e arabeschi continuano a essere i temi decorativi più comuni, di solito posti a demarcare i pennacchi degli archi o le fiancate del mihrab, o ad aggiungere una dimensione nuova alle muqarnas. La foglia d’acanto, le palmette e viticci tipici della decorazione di epoca omayyade sono ancora presenti, anche se ora il disegno è meno naturalistico, più lineare e decorativo.

Le arti del libro Si sono conservati pochi manoscritti spagnoli del Corano del XII e XIII secolo, poiché molti furono deliberatamente distrutti dai conquistatori cristiani e tra i numerosi

La grandiosa spianata della moschea di Hassan a Rabat, fu fatta iniziare dal fondatore della città, Ya‘qub al-Mansur (m. 1199). Il minareto, incompiuto come del resto la moschea, esprime una scelta architettonica e una sensibilità decorativa che lo accomunano a quello della Kutubiyya e alla Giralda. La sinagoga di Santa María la Blanca a Toledo dimostra nei suoi principi fondamentali uno stretto legame con l’architettura almohade. Costruita nel XIII secolo, quando Toledo era da tempo sotto il governo cristiano, è una splendida testimonianza della tradizione architettonica e artistica mudéjar.

Nella pagine seguenti: La decorazione del mihrab della moschea di Sidi ben Hassan a Tlemcen, in Algeria, appartiene al tardo XIII secolo; Maghreb centrale, orientale e penisola iberica erano allora sotto principi diversi, tuttavia il gusto per la raffinata decorazione di stucco si ritrova in ognuna delle regioni. Di poco precedente all’instaurarsi del governo almoravide, la piccola moschea ottagonale dell’Aljafería di Saragozza, fatta costruire da Ja‘far al-Muqtadir (1046-1081), introduce elementi innovativi con le arcature dell’ordine superiore, gli archi lobati e la decorazione in stucco.

102

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 102

03/11/16 09:41


LE ARTI IN SPAGNA E MAROCCO NEI PERIODI ALMORAVIDE E ALMOHADE

103

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 103

03/11/16 09:41


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

104

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 104

03/11/16 09:41


LE ARTI IN SPAGNA E MAROCCO NEI PERIODI ALMORAVIDE E ALMOHADE

105

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 105

03/11/16 09:41


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

manoscritti nordafricani pochi sono gli esempi che si possono attribuire al periodo medievale13. Notevole è il gruppo prodotto a Valenza, come riportano i colophon, generalmente in pergamena, scritti nella tipica calligrafia maghribì-andalusì, caratteristica della penisola iberica. Il pezzo più fine, datato 1143 (AH 538), fu prodotto a Cordova sotto gli Almoravidi, ed è qui illustrato14. Lo stile calligrafico è un bell’andalusì, e il manoscritto è superbamente miniato in oro, rosso, blu, nero e verde, una combinazione coloristica che ricorda quella dei mosaici del mihrab della moschea di Cordova. Tra i manoscritti illustrati rimasti ricordiamo in particolare la Storia di Bayad e Riyad15, un commovente racconto d’amore a lieto fine che si rifà a un genere letterario antico. I due amanti, dopo essersi dichiarati il loro amore, vengono separati da un avverso destino e devono passare attraverso una serie interminabile di difficoltà prima di poter essere finalmente riuniti, di solito, come nel presente caso, tramite una vecchia e astuta mezzana, che, per una buona somma di denaro, accetta di aiutare i due giovani. Il manoscritto presenta lo stile calligrafico maghribì, o pertinente all’Occidente islamico, ma un’attribuzione in particolare alla Spagna è anche basata sulla impressionante architettura rappresentata nelle miniature. I tetti spioventi, i frequenti miradores, gli archi polilobati e gli edifici con corsi di pietra sistemati in direzioni alterne sono tutte caratteristiche tipiche dell’architettura islamica medievale di Spagna. Nonostante questo, nella composizione le miniature tradiscono delle connessioni strette con lo stile delle miniature delle aree centrali dell’impero islamico. Inoltre, particolarmente di rilievo è, come ricordato per la pittura fatimide, l’influsso «classico», cioè elementi che si possono ricollegare all’arte tardoellenistica come, per esempio, le foggie degli abiti, ma anche a quella centrale asiatica come espressa nelle pitture murali di Samarra, soprattutto nei visi, con riccioli di fronte alle orecchie e grandi occhi allungati16. Dettagli architettonici e paleografici suggeriscono che il manoscritto sia stato illustrato nel periodo almohade, alla fine del XII o all’inizio del XIII secolo in uno dei grandi centri culturali del periodo, probabilmente Siviglia, la capitale spagnola degli imperi almoravide e almohade.

Le arti decorative Secondo i documenti commerciali trovati nella Geniza del Cairo, la Spagna dei periodi almoravide e almohade era la regione in testa per quanto riguarda la produzione di tessili, sia grezzi che finiti. In particolare è da segnalare Almería dove, secondo le fonti, si producevano i migliori broccati di tutta la penisola, e che non solo aveva le relazioni commerciali più estese con il resto del mondo islamico, ma anche sostanziali rapporti con quello cristiano. Si dice che avesse non meno di ottocento telai per la tessitura di indumenti di seta, mille per i broccati e altri mille per vari altri tipi di tessili. Altri centri importanti erano Murcia, Malaga, Granada, Baeza e Siviglia17. Uno dei gruppi più noti include diversi frammenti di una casula creata con pezze di seta le cui iscrizioni menzionano il principe almoravide ‘Ali Ibn Yusuf Ibn Tashfin, il fondatore della dinastia, che governò tra il 1107 e il 114318. Per via della tecnica di lavorazione caratteristica e dello schema coloristico, in cui rosso aranciato e blu-verde scuro su campo d’avorio sono combinati con broccato d’oro, è pos-

Pianta e veduta da settentrione di Castillejo de Monteagudo (Qasr Ibn Sa‘d, Murcia): sullo sfondo il castello, in primo piano la villa fortificata utilizzata come buen retiro da Muhammad Ibn Mardanish, l’emiro che, sfruttando le incertezze del passaggio di potere tra Almoravidi e Almohadi, riuscì a governare in modo indipendente Murcia, Valencia e Almería (1147-1172). L’organizzazione dello spazio trova corrispondenze nella Zisa di Palermo e nel palazzo ziride di Ashir nella Qal‘a dei Banu Hammad in Algeria.

106

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 106

03/11/16 09:41


LE ARTI IN SPAGNA E MAROCCO NEI PERIODI ALMORAVIDE E ALMOHADE

Veduta e particolare della facciata interna della porta fatta aprire a fine XII secolo da Ya‘qub al-Mansur nella Qasba degli Oudaya a Rabat, edificata mezzo secolo prima come castello. Per la decorazione a intrecci e per i sobri fregi epigrafici a caratteri cufici, rappresenta un apogeo dell’arte almohade.

sibile associare questa seta a diversi altri pezzi e datare l’intero gruppo al XII secolo. La decorazione della casula consiste di grandi medaglioni che racchiudono due leoni addorsati con in mezzo un albero stilizzato. Ai piedi dei leoni si trovano due altri piccoli animali, mentre alcune sfingi addossate a elementi vegetali sono disposte intorno alle cornici dei medaglioni. Questa combinazione di medaglioni che racchiudono animali, simmetricamente posti, si rifà a un’antica tradizione di disegno tessile tipica del Vicino Oriente. Un bellissimo frammento, pure del XII secolo, conservato al Victoria and Albert Museum di Londra19, raffigura due pavoni affrontati con una palmetta in mezzo e un’iscrizione in arabo in caratteri cufici che si ripete: «benedizione perfetta». Il frammento faceva parte di una casula che è ora conservata nella basilica Saint-Sernin di Tolosa e che, secondo testimonianze documentarie, servì ad avvolgere le reliquie di sant’Exupère (vescovo di Tolosa nel V secolo). È anche conosciuta come «mantello del re Roberto» di Napoli (r. 1309-1343), e per questa ragione è stata attribuita, da alcuni studiosi, alla Sicilia. In realtà il tessuto è da affiancarsi a diversi altri prodotti in al-Andalus in epoca almoravide, sia per i dettagli stilistici della decorazione che per somiglianze epigrafiche. Almería continua a essere un attivo centro durante il periodo almohade, quando produce pezzi di grande bellezza, con forte impiego di oro. Le decorazioni dei tessuti sono sempre meno figurative, per dare spazio a intrecci geometrici e a iscrizioni, a volte di notevoli dimensioni, sia in cufico, ma più spesso in naskhì. La cosiddetta bandiera di Las Navas di Tolosa, tradizionalmente ritenuta proveniente dalla tenda del sultano almohade al-Nasir, che fu sconfitto da Alfonso VIII nella famosa battaglia del 1212, sembra sia, in realtà, uno dei trofei acquistati da Ferdinando III durante le sue campagne di reconquista e da lui successivamente donata al monastero di Santa María la Real de las Huelgas, tra il 1212 e il 125020. Lo schema decorativo e coloristico mescolato alle iscrizioni in caratteri naskhì che circondano il quadrato centrale fanno di questa bandiera uno dei pezzi almohadi più interessanti. Mattonelle e utensili ceramici invetriati furono introdotti in Nordafrica con l’islamizzazione dell’area. La tecnica di tagliare mattonelle monocrome in pezzi più piccoli così da poter formare pannelli mosaici di diversi colori sembra datare dal XII secolo,

107

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 107

03/11/16 09:41


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Corano in pergamena compilato a Valenza sotto gli Almohadi. Questo frontespizio segna il passaggio da uno schema decorativo di elementi geometrici sparsi a uno in cui questi si organizzano in uno spazio definito, generalmente un cerchio iscritto in un quadrato. Questa nuova organizzazione dello spazio dà un’impressione di monumentalità all’insieme decorativo. Biblioteca Universitaria, Istanbul, A. 6754 f. 1r, datato 1182.

quando, infatti, comparve nel Nordafrica e nella Spagna islamica, dove probabilmente si sviluppò come alternativa ai più costosi mosaici in vetro e marmo. Il mosaico di pezzi di mattonelle è conosciuto in Marocco come zillij, che significa invetriato o vetrificato21. Questi pannelli di mosaico di mattonelle erano impiegati come decorazione architettonica di costruzioni civili – case e palazzi –, religiose – moschee. Alcuni di questi pannelli si trovano ancora in situ, come per esempio in pavimenti e zoccolature di edifici a Fez e nella fascia superiore del minareto della moschea Kutubiyya di Marrakesh22. Forse i pannelli più famosi sono quelli dell’Alhambra di Granada. Di solito la complessa geometria ottenuta in questi pannelli è basata su un disegno a stella a otto punte, che si moltiplica ad infinitum. La ceramica prodotta sotto gli Almoravidi e Almohadi si caratterizza essenzialmente per la decorazione prevalentemente geometrica (ma non mancano ceramiche con decorazione figurativa), dipinta23, sgraffiata e a stampo (estampillada), vale a dire con disegni impressi con stampi, a rilievo. Anche se quelle sgraffiate e a stampo erano state usate precedentemente, fu soprattutto sotto gli Almohadi che queste due tecniche raggiunsero livelli di grande perfezione. La tecnica a stampo richiede un’ampia superficie, vista la pressione che si deve esercitare per imprimere lo stampo, per cui si adatta perfettamente a grandi contenitori come, per esempio, le giare almohadi conservate al Museo dell’Alhambra24. Alcuni degli esemplari migliori di ceramica sgraffiata provengono dalla Spagna. Questo tipo di decorazione è adesso applicato a tutta la superficie dell’oggetto, spes-

Corano in vellum compilato a Cordova sotto gli Almoravidi. È forse il pezzo più raffinato dei Corani spagnoli medievali, con un’armoniosa scrittura andalusi e uno schema cromatico che ripropone quello dei mosaici della moschea degli Omayyadi di Cordova. Biblioteca Universitaria, Istanbul, A. 6755 ff. 146r e 3r, datato 1143.

Nella pagina precedente: Questa pagina miniata della Storia di Bayad e Riyad mostra la doppia influenza che agì sull’artista: l’architettura è andalusì mentre la composizione e le particolarità dell’immagine di rifanno a modelli siriani o iracheni dello stesso periodo. Il manoscritto fu probabilmente prodotto in al-Andalus all’inizio del XIII secolo. Biblioteca Vaticana, Vat. Ar. 3368 f. 23r.

108

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 108

03/11/16 09:41


LE ARTI IN SPAGNA E MAROCCO NEI PERIODI ALMORAVIDE E ALMOHADE

109

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 109

03/11/16 09:41


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

so su ossido di manganese ancora fresco, e la precisione dei finissimi dettagli ricorda lavori in metallo. Un bellissimo esempio, tra i numerosi pezzi rinvenuti negli scavi di Murcia, è costituito da una piccola giara con due maniglie allungate risalente al tardo periodo almohade con decorazione sgraffiata su manganese, senza invetriatura25. Altra tecnica rinvenuta durante i periodi almoravide e almohade è quella a cuerda seca che consiste nel tracciare sopra l’oggetto di argilla non ancora cotto il contorno della decorazione che si richiede, impiegando del manganese26. Gli spazi interni si decorano con invetriature di diversi colori e, in ambito di cottura, il manganese agisce da limite tra i vari colori impedendo loro di mescolarsi. L’origine della tecnica è molto discussa: alcuni studiosi sostengono che sia originaria dell’Andalusia, anche se bisogna segnalare che frammenti che sembrano decorati con questa tecnica sono stati rinvenuti nella città palatina abbaside di Samarra, risalenti al IX secolo27. Continua la produzione della ceramica dipinta a lustro, con decorazioni floreali spesso mescolate a iscrizioni in caratteri naskhì di tipo benedicente, come, per esempio, un piatto conservato a Palma di Maiorca28. Tra i cosiddetti bacini inseriti sulle mura esterne di chiese italiane – clamoroso l’esempio delle chiese di Pisa29 – ci sono molti pezzi dipinti con motivi figurativi attribuiti a produzione nordafricana del XII-XIII secolo. Essi sono per lo più conservati al Museo Nazionale di San Matteo di Pisa, come l’esemplare che illustriamo con la raffigurazione di una nave, figure umane e pesci30. Sotto Almoravidi e Almohadi l’intaglio del legno raggiunge la sua massima espressione, in particolare nella realizzazione di minbar, o pulpiti. Grazie a una serie di notevolissimi esempi datati o databili, possiamo seguire in dettaglio l’evoluzione dei minbar in legno intagliato31. Il più antico, nella grande moschea di Algeri, data dal 1097. Seguendo una pratica consueta nel Maghreb, il pulpito è posto su ruote, così che si possa portarlo fuori per il sermone del venerdì e poi riporlo in un locale apposito per il resto della settimana. La sua composizione a pannelli quadrati è simile a quella del ben più antico minbar della grande moschea di Qayrawan, ma i motivi vegetali e geometrici seguono qui uno schema più integrato. In contrasto, il minbar del tardo periodo almoravide nella moschea Qarawiyyin di Fez (ca. 1143) ha una composizione di tralicci intersecantesi che formano quadrati con stelle a otto punte al loro punto d’incontro. Un’innovazione consiste nell’aggiunta d’intarsio in avorio e legni preziosi di diversi colori. L’apogeo di questo stile si ritrova nel minbar della moschea Kutubiyya di Marrakesh, che fu eseguito a Cordova nella prima metà del XII secolo. La decorazione geometrica di quattro esagoni che circondano una stella a otto punte e l’intarsio e intaglio dei riquadri è più intricato ma allo stesso tempo più bilanciato degli esempi precedenti. La data è ora perduta, ma secondo l’iscrizione in raffinati caratteri cufici il pezzo fu ordinato da un membro della famiglia almoravide ed eseguito a Cordova, informazione particolarmente importante visto che il minbar della moschea di Cordova non si è conservato. Simile nella struttura è il minbar della moschea della Qasba di Marrakesh, ordinato dall’almohade Abu Yusuf Ya‘qub al-Mansur nel 1195 ca. Qui, però, l’intreccio geometrico è su scala più ampia, e l’intarsio è usato sia per le bande geometriche, sia per le decorazioni interne, così che l’effetto totale è estremamente sontuoso. La lavorazione dell’avorio continua la grande tradizione del periodo califfale, anche se con stili e forme diverse. L’intaglio è meno comune, mentre la pisside, caratte-

La bandiera almohade detta «de Las Navas de Tolosa» (ca. 1212-1250) dalla località della battaglia che fu «causa della rovina di al-Andalus», ha scritte con citazioni dal Corano, proclamazioni di fede ed esortazioni. Museo de Telas Medievales del Real Monasterio de las Huelgas, Burgos.

Nella pagina seguente: Tessuto in seta rappresentante due pavoni affrontati con un’iscrizione in caratteri cufici che si ripete: «benedizione perfetta». Il tessuto è da affiancarsi a diversi altri prodotti in al-Andalus in epoca almoravide, sia per i dettagli stilistici della decorazione che per somiglianze epigrafiche. Victoria and Albert Museum, Londra, XII secolo. Medaglione centrale del cuscino della regina di León e Castiglia Berenguela. Museo de Telas Medievales del Real Monasterio de las Huelgas, Burgos, 1180-1246.

110

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 110

03/11/16 09:41


LE ARTI IN SPAGNA E MAROCCO NEI PERIODI ALMORAVIDE E ALMOHADE

111

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 111

03/11/16 09:41


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

ristica del periodo califfale, scompare per far posto a cofanetti a coperchio piramidale con un’anima di legno e ricoperti da lamine d’avorio. La decorazione è poi dipinta in oro e vari colori o, come nel caso del bellissimo cofanetto di Tortosa, è a intarsio, con animali che si stagliano dal fondo scuro dei medaglioni, e dipinta in oro per dare ulteriore rilievo agli animali e alle bande epigrafiche32. Se è vero che per le arti della Spagna e del Maghreb di questo periodo in generale molti sono i punti interrogativi e tanto è il materiale ancora da studiare, è anche vero che si sta cominciando ad avere un quadro un poco più chiaro per quanto riguarda i tessili e la ceramica. Per la metallistica, d’altro canto, un tentativo di studio coerente deve ancora iniziare. Questo è dovuto alla relativa scarsità di materiale sicuramente attribuibile al periodo e alla regione, per cui è a volte estremamente difficile distinguere tra metalli fatimidi, magrebini, spagnoli o persino iraniani. Nonostante ciò, possiamo classificare con un certo margine di sicurezza un numero di oggetti di metallo come spagnoli del periodo tardo X-inizio XIII secolo. Tra questi possiamo menzionare un gruppo di mortai di bronzo generalmente attribuiti alla Spagna del XII secolo, in uso anche in Nordafrica. Sono di forma cilindrica, con due maniglie e una serie di sporgenze triangolari, ad alette. Undici mortai di questo tipo sono stati rinvenuti nel

Nelle grotte maiorchine dove gli abitanti musulmani cercarono rifugio di fronte agli armati di Giacomo d’Aragona (1229), la ricerca archeologica ha portato alla luce, oltre a oggetti di uso comune, anche gioielli come quelli raffigurati, che documentano il gusto dell’ornamento personale in una periferia almohade. Collare di elettro e perle di vetro, orecchini d’oro e collana d’oro, pietre dure e monete. Dalla Cova del Tresor, Museo di Palma di Maiorca, XII-inizio XIII secolo.

Nella doppia pagina seguente: Uno splendido esempio dello stile mudejar, che sente ancora vivissima l’arte almohade è questo soffitto in legno a cassettoni (artesonado) dipinto con motivi decorativi, personaggi di corte e scene di caccia. Teruel, cattedrale, fine del XIII secolo.

112

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 112

03/11/16 09:42


LE ARTI IN SPAGNA E MAROCCO NEI PERIODI ALMORAVIDE E ALMOHADE

113

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 113

03/11/16 09:42


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

114

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 114

03/11/16 09:42


LE ARTI IN SPAGNA E MAROCCO NEI PERIODI ALMORAVIDE E ALMOHADE

115

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 115

03/11/16 09:42


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

carico di una nave affondata vicino alla costa di Orano, in Algeria, probabilmente diretta in uno dei porti algerini33. Altri sono conservati in varie collezioni pubbliche e private34, ma una gran quantità di mortai di questo tipo è stata trovata in Spagna e Portogallo e il tipo di calligrafia usata per le iscrizioni è stata associata all’Andalusia dell’XI-XII secolo. Altri oggetti famosi sono dei metalli a forma di animali, tra cui il leone di Monzón. Databile al XI-XII secolo, il pezzo è stato trovato tra le rovine di una fortezza islamica vicino a Palencia, acquistato, alla fine dell’Ottocento, dal collezionista Fortuny, e ora conservato al Museo del Louvre35. L’animale ha una decorazione sul dorso che richiama quella di un tessuto, e una stilizzazione e rigidità di forme. Poiché ha un’apertura sul ventre e sulla bocca si pensa che sia stato usato come getto di fontana. L’organizzazione della decorazione della superficie in settori delimitati da iscrizioni e da bande decorative è comune non solo al leone di Monzón, ma anche al grifone di Pisa36, all’acquamanile in forma di uccello di Cagliari37 e a quello in forma di pavone del Louvre38, oggetti tutti attribuibili alla Spagna del XII-XIII secolo. Come nel grifone di Pisa, anche nel leone appaiono le decorazioni a scudo che rappresentano la zona di attaccatura delle gambe al corpo. Se è vero che questi pezzi spagnoli hanno delle relazioni con la scultura animalistica persiana di questo periodo nella semplicità e stilizzazione delle forme, è anche vero che l’approccio generale dell’oggetto

Il motivo della stella a otto punte, ricorrente allora e in seguito nella decorazione architettonica come nella ceramica, consente la ripetizione illimitata del modello decorativo.

Il leone in bronzo, detto «di Monzón» dal luogo del ritrovamento, era probabilmente utilizzato come getto di fontana. Da Palencia (Spagna), Parigi, Museo del Louvre, XII-XIII secolo, periodo almohade. Incensiere in ottone composto di tre elementi. L’esterno del coperchio presenta una banda epigrafica in caratteri cufici incisa: «Benedizione perfetta, prosperità e gloria. Benedizione completa e gloria. Benedizione». Lo stile calligrafico permette di datare il pezzo all’inizio del XII secolo. Museo dell’Alhambra, Granada, periodo almoravide.

116

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 116

03/11/16 09:42


LE ARTI IN SPAGNA E MAROCCO NEI PERIODI ALMORAVIDE E ALMOHADE

117

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 117

03/11/16 09:42


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

è diverso, e la tecnica a traforo, spesso usata nei pezzi animalistici persiani, non sembra presente in Spagna. Altri esemplari comprendono incensieri, quali quello conservato al Museo dell’Alhambra, che fa parte di un gruppo di metalli attribuibili al periodo almoravide39; o l’impressionante candeliere almohade della moschea dei Qarawiyyin di Fez40. Famosi sono i capitelli di marmo spagnoli del periodo califfale, in particolare il gruppo proveniente da Madinat al-Zahra’41. Questi sembrano essere d’ispirazione bizantina, piuttosto che classica, nella forma e decorazione più fitta e meno naturalistica. Con l’andar del tempo le forme dei capitelli cambiano, la funzione di sostegno è meno nascosta, e il blocco di marmo, spesso poligonale, più in vista. La decorazione diventa a basso rilievo anziché a traforo, molto stilizzata. Uno sviluppo delle forme e decorazioni in questa direzione si nota a cominciare dal periodo taifas (XI secolo) con esempi provenienti dall’Aljafería di Saragozza42, ma raggiunge il suo apice, con esemplari molto suggestivi, nel periodo almohade (XII-XIII secolo), con esempi dall’Alcazar di Siviglia e dall’Alhambra a Granada43. Lo stile almohade continuerà in epoca nasride (XIV secolo), come si vede da esempi pure dall’Alhambra di Granada, che presentano però, in aggiunta, bande epigrafiche con il tipico motto dell’Alhambra «Dio è l’unico vittorioso».

La nave e i pesci raffigurati sul bacino di sinistra sono tipici delle scene di vita quotidiana che i ceramisti nordafricani usavano riprodurre, dalla metà dell’XI secolo. In Italia bacini come questo furono murati nelle facciate di alcune chiese a scopo decorativo. Pisa, Museo Nazionale di San Matteo, databile al tardo XII-inizio XIII secolo. Piatto di ceramica a lustro. Dalla Cova dels Amagatalls, Museo di Palma di Maiorca, tardo XII-inizio XIII secolo.

Cofanetto con decorazione a motivo zoomorfo proveniente da Tortosa. Capitolo della cattedrale di Tortosa, tardo XII-inizio XIII secolo. Cofanetto almohade in avorio con decorazione dipinta a inchiostro e oro. Il motivo dei grandi cerchi che racchiudono stelle a otto punte e rosette si riscontra anche su tessuti almohadi dello stesso periodo quale, ad esempio, la bandiera de Las Navas de Tolosa. Instituto de Valencia de Don Juan, Madrid, tardo XII-inizio XIII secolo.

118

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 118

03/11/16 09:42


LE ARTI IN SPAGNA E MAROCCO NEI PERIODI ALMORAVIDE E ALMOHADE

119

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 119

03/11/16 09:42


VABÃ’LKNDDOBMD L GRANDE ARTE ISLAMICA DEL MEDITERRANEO

120

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 120

03/11/16 09:42


LE ARTI DEL PERIODO FATIMIDE Anna Contadini

Introduzione storica

La tecnica ceramica del «lustro metallico», che permette di ottenere un effetto lucente, è peculiare del mondo islamico e fu usata in Mesopotamia, Siria, Egitto e Iran in tempi diversi. Gli artisti fatimidi eccelsero nell’utilizzo del lustro per raffigurare scene di vita di corte, come questo personaggio con bicchiere in mano sullo sfondo di una preziosa decorazione floreale. Pisa, Museo Nazionale di San Matteo.

I Fatimidi erano un ramo del movimento sciita ismailita, le cui origini risalgono all’VIII secolo1. Discendendo dalla linea di ‘Ali, cugino del Profeta Maometto, i Fatimidi presero il loro nome da Fatima, figlia del Profeta Maometto e moglie di ‘Ali. A differenza della maggioranza sunnita della popolazione, gli sciiti adottarono una struttura religiosa e sociale gerarchica, con a capo la figura ereditaria dell’imam (guida) che doveva essere necessariamente un diretto discendente di ‘Ali. In qualità di guida della comunità, l’imam aveva l’autorità di definire la dottrina religiosa, nella sua duplice accezione, «esplicita», universale, e «nascosta», esoterica, a cui solo pochi iniziati potevano accedere. Dagli ortodossi (sunniti) Abbasidi di Baghdad i Fatimidi furono considerati eretici e la loro dottrina era, inoltre, considerata una minaccia all’ortodossia degli emiri omayyadi di Spagna. È, infatti, evidente che una delle ragioni principali per la costituzione di un califfato omayyade indipendente in Andalusia fu al fine di ostacolare il potere crescente dei Fatimidi in Nordafrica e la minaccia della loro espansione nella penisola iberica2. Di conseguenza, si venne a creare una curiosa situazione storica: allorché, nel 972, il fatimide al-Mu‘izz entrò trionfante al Cairo, ben tre sovrani proclamavano di avere il titolo di «califfo», al-Mu‘izz, l’abbaside al-Muti’ a Baghdad, e l’omayyade al-Hakam II a Cordova. Ma, mentre il califfato abbaside era già a quel tempo solo nominale e il califfato di Spagna stava entrando nella crisi che l’avrebbe portato alla caduta nel 1031, il califfato fatimide aveva appena iniziato a consolidare il suo potere in Egitto. Da un punto di vista storico e culturale, i Fatimidi rappresentarono una delle maggiori potenze del Mediterraneo. Durante la prima metà dell’XI secolo, quello fatimide era l’impero più esteso e potente, il cui dominio delle rotte commerciali del Mediterraneo contribuì al fatto che divenne anche il più ricco3. Con la conquista dell’Egitto, i Fatimidi, per necessità di legittimazione dinastica, adottarono un cerimoniale pubblico complesso derivato da quello bizantino4. Questo, associato allo splendore di nuove moschee, palazzi e altri edifici pubblici e privati, contribuì alla fama della capitale, il Cairo, che divenne una delle più ricche e scintil-

121

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 121

03/11/16 09:42


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

lanti città del medioevo, rivaleggiando persino con le leggendarie Bisanzio e Baghdad. La dinastia data dal 909 (297 AH), quando il primo sovrano, ‘Ubayd Allah al-Mahdi, conquistò l’Ifriqiya (oggi Tunisia) dagli Aglabiti e fondò una nuova capitale, Mahdiyya5. Una volta stabilito in Tunisia, il potere fatimide fu presto esteso alla Sicilia6, ma l’obiettivo espansionistico principale rimaneva l’Egitto e fu sotto il quarto califfo fatimide, al-Mu‘izz, che la conquista fu effettuata. Jawhar, generale di al-Mu‘izz e architetto della conquista, entrò a Fustat nel 969 (358 AH)7, e un anno dopo fondava una nuova capitale, il Cairo (al-Qahira, la Vittoriosa) con una nuova moschea, al-Azhar. In seguito i Fatimidi si spinsero ulteriormente verso Est, raggiungendo, durante il califfato di al-‘Aziz nel tardo X secolo, la massima espansione territoriale. Ottennero il controllo dei due luoghi sacri Mecca e Medina, e dello Yemen ma, anche se ebbero il controllo intermittente di Gerusalemme, Damasco e Aleppo (e, per un breve tempo, di Mosul), la Siria e la Palestina non furono mai, in verità, un solido possedimento dei Fatimidi8. E con l’andar del tempo, il messaggio portato dai missionari, inteso come preparazione per l’espansione e il controllo politici transnazionali, restò lettera morta e non fu più coronato da successi. Le forti tensioni createsi a causa della contraddittorietà tra le aspettative ideologiche/religiose9 e la realtà dei fatti portarono a divisioni scismatiche all’interno della comunità ismailita e, dalla seconda metà dell’XI secolo in poi, il regno fatimide cominciò a indebolirsi. Nel 1071 i Normanni avevano completato la conquista della Sicilia e, in successivi conflitti con i Bizantini, Selgiuchidi e crociati, la morsa fatimide sulle città di Siria e Palestina cominciò ad allentarsi; l’ultima fortezza, Ascalona, cadde in mano crociata nel 1153. Subito dopo, il regno fatimide cominciò a crollare e non fu difficile per Saladino, il primo sovrano ayyubide, di distruggerlo definitivamente nel 117110. Il periodo fatimide in Egitto coincide con un incremento inconsueto dei commerci mediterranei, che ha come protagonista l’Egitto11. Infatti, il geografo al-Muqaddasi (tardo X secolo) riporta che le città di Fustat e il Cairo erano centri cosmopoliti del commercio mondiale12. Una delle ragioni principali per questo sviluppo è da attribuirsi al fatto che i Fatimidi controllavano rotte commerciali importantissime. I commerci transahariani portavano non solo schiavi, ma anche oro delle miniere del Sudan13. Allo stesso tempo i Fatimidi dominarono ed espansero la rotta dell’India14 attraverso il mar Rosso; si formò così una stretta alleanza tra i Fatimidi e i Sulayhidi dello Yemen. Nel Mediterraneo i Fatimidi svilupparono legami con città italiane quali Amalfi, Pisa, Genova e Venezia, i cui mercanti divennero visitatori assidui dei porti di Damietta, Alessandria e dei principali porti siriani15. Le merci di scambio attorno al Mediterraneo erano numerose e varie: da ricchi tessuti a preziose spezie indiane16.

Architettura Anche se ben poco rimane, sembra evidente che progetti architettonici e urbanistici notevoli erano già stati intrapresi durante gli anni nordafricani della dinastia17. Della capitale al-Mahdiyya le fonti citano che vi erano molti palazzi, case, bagni e caravanserragli18 ma le testimonianze archeologiche sono scarse e solo la grande moschea ci dà un’idea della tipologia19. L’impianto era chiaramente ispirato alla grande

122

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 122

03/11/16 09:42


LE ARTI DEL PERIODO FATIMIDE

Pianta e portale monumentale della grande moschea di Mahdiyya (Tunisia), la cui costruzione originaria risale all’età fatimide, 916 circa. Nella sala di preghiera, seguendo il modello della moschea di Qayrawan vengono sottolineate la navata centrale e quella del mihrab, con una cupola alla loro intersezione. Il portale, ricostruito più volte, richiama gli archi trionfali romani e i portali dei castelli omayyadi e di Samarra, segno dell’ambizione imperiale che spinse i Fatimidi dall’Ifriqiya alla conquista dell’Egitto.

moschea di Qayrawan, ipostilo a T, ma con un portale centrale sporgente e bastionato, un tipo di costruzione ispirata agli archi trionfali romani e all’architettura palatina del periodo omayyade. Nel 947 al-Mansur, il terzo califfo regnante in Nordafrica, fondò una nuova capitale: Sabra Mansuriyya20, situata a sud-ovest di Qayrawan, che rimase la capitale fatimide fino al 972, quando al-Mu‘izz si trasferì in Egitto. Il sito è stato solo parzialmente scavato, quindi, ancora una volta, è alle fonti che ci rivolgiamo: al-Muqaddasi ci rivela che la città era modellata su quella di Baghdad, circolare, con il palazzo del sultano al centro21. Due altri monumenti nell’Algeria centrale di questo periodo sono da segnalare, entrambi prodotti da dinastie minori sotto controllo fatimide: il palazzo di Ashir, costruito intorno al 947 quando gli Ziridi fondarono la loro capitale22, e la Qal‘a (cittadella) dei Banu Hammad23, una città con un enorme complesso palatino, fondata intorno al 1010. La cronologia della Qal‘a non è chiara, ma viste certe similarità con edifici come la Cuba e specialmente la Zisa a Palermo24, sembrerebbe che la sua architettura influenzò quella della Sicilia normanna del XII secolo. Dopo la conquista egiziana, la prosperità economica rese possibile una fiorente produzione artistica e la costruzione di edifici su larga scala. Di questi non molto rimane, molto di più è stato tramandato da storici e geografi, quali, per esempio, Nasiri Khusraw che, nel 1047, ci riporta che il palazzo reale sorgeva al centro della cinta muraria del Cairo e che le varie parti del complesso, che includeva cucine e bellissime sale di ricevimento, erano connesse da passaggi sotterranei25. Lo splendore del palazzo è attestato anche dalla testimonianza di due emissari crociati, ricevuti dall’ultimo dei califfi fatimidi, al-‘Adid nel 1167, che riportano che dovettero passare attraverso molti bei cortili prima di arrivare alla impressionante sala dove il califfo era seduto su un trono d’oro26.

123

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 123

03/11/16 09:42


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Molto di più rimane dell’architettura religiosa. Tipiche moschee del primo periodo fatimide sono la moschea di al-Azhar e di al-Hakim27. La loro decorazione si rifà a stili precedenti già visti a Samarra28 e consiste di rilievi in stucco, pietra e legno con motivi geometrici, vegetali ed epigrafici. Fortunatamente si conserva un certo numero degli splendidi legni intagliati a rilievo di al-Hakim, alcuni ancora in situ29. Le moschee di al-Azhar e al-Hakim hanno una pianta ipostila, tipica delle grandi moschee congregazionali, mentre nel tardo periodo fatimide la pianta delle moschee cambia notevolmente: esse diventano piccoli santuari, probabilmente connessi al culto di santi. Un numero notevole di complessi funerari e commemorativi del periodo fatimide rimane in Egitto. Si tratta di mausolei quali, per esempio, quello di Sayyida Nafisa (1089/482 AH) e di santuari, tra cui quello di Umm Kulthum (1122/516 AH) e Sayyida Ruqayya (1133/527 AH)30. Ma forse le più spettacolari costruzioni del periodo fatimide sono le massicce mura cittadine e, in particolare, le tre principali porte fortificate: Bab al-Nasr, Bab al-Futuh e Bab al-Zuwayla, costruite in solida pietra e fornite di bastioni e torri31.

Le arti del libro La biblioteca dei Fatimidi era una delle più grandi e fornite del mondo medievale. Conteneva libri (molti dei quali illustrati) in diverse lingue e di soggetti diversi: scientifici, letterari, filosofici, religiosi. Sfortunatamente la biblioteca fu distrutta e dispersa quando la dinastia cadde per mano degli Ayyubidi nel XII secolo32. Persino manoscritti del Corano del periodo sono estremamente rari, anche se un esempio intatto ci è pervenuto ed è stato recentemente segnalato: si trova alla Chester Beatty Library di Dublino ed è datato 1037 (428 AH)33. Ma forse l’esempio più eclatante è il cosiddetto Corano blu, scritto in lettere d’oro su pergamena tinta in indaco, che si può assegnare al Nordafrica fatimide del X secolo34. Vari altri fogli di Corani possono essere attribuiti al periodo fatimide, compreso uno al Victoria and Albert Museum di Londra35, ma per quanto riguarda la produzione di manoscritti non religiosi poco si è conservato, a parte un manoscritto completo dell’XI secolo: un compendio di un musicista alla corte fatimide, Ibn al-Tahhan36, che operò sotto il califfo al-Zahir (1021/411 AH -1036/427 AH). Per quanto riguarda la pittura, ci possiamo formare un’idea dello stile del periodo fatimide37 sulla base dei frammenti trovati a Fustat con schizzi, disegni e miniature, la maggior parte dei quali è adesso conservato alla Collezione Keir di Londra38. Alcuni sono semplici schizzi in inchiostro nero, altri sono dipinti con colori tenui, mentre altri ricordano lo stile impressionistico delle pitture murali del periodo classico39. Un foglio, ora conservato al Metropolitan Museum of Art a New York40, è di particolare interesse. Il frammento è databile all’inizio del XII secolo e contiene due miniature, una di una lepre, l’altra di un leone: si tratta probabilmente di uno dei primi esempi di quella che diventerà in seguito una fiorente tradizione di bestiari illustrati41. Sulla base del poco materiale rimasto, è impossibile stabilire un coerente sviluppo delle arti del libro ma è almeno possibile tracciare un’idea degli stili di pittura sulla base non solo dei frammenti citati, ma anche di pitture murali, su legno e su altri materiali quali ceramiche42. Un ciclo pittorico di estrema importanza per la ricostru-

Ricostruzione della moschea di al-Hakim al Cairo, conclusa nei primi anni dell’XI secolo: l’architettura è quella egiziana ma il portale monumentale di accesso al cortile riprende quello di Mahdiyya illustrato alla pagina precedente; sono innovativi anche i due minareti della facciata, anticipazione di successivi sviluppi dell’epoca mamelucca. Pianta della moschea di al-Azhar, costruita al Cairo nel 970-72 e divenuta subito importante centro d’insegnamento. I portici del cortile (sahn) furono aggiunti all’epoca del califfo al-Hafiz (1130-1149) mentre le madrase tutt’intorno e il colonnato oltre la parete della qibla sono aggiunte successive.

124

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 124

03/11/16 09:42


LE ARTI DEL PERIODO FATIMIDE

La sala di preghiera dall’alto e il cortile. La navata centrale che conduce al mihrab è sottolineata dal portale monumentale. Il parapetto balaustrato che lo corona e ricorda precedenti omayyadi, nasconde la seconda cupola, edificata anch’essa sotto il califfo al-Hafiz. Il raddoppio della cupola era usato in Africa settentrionale e fu forse importato in Egitto dai Fatimidi.

125

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 125

03/11/16 09:42


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

zione di una «maniera fatimide» si conserva nella Sicilia normanna, con il soffitto ligneo della cappella Palatina di Ruggero II, completata nel 114343. Altre pitture simili si trovano nel soffitto ligneo della cattedrale di Cefalù44. L’ipotesi che gli artisti provenissero dal regno fatimide o che comunque lavorassero in una tradizione fatimide ben stabilita è avvallata dalla scoperta recente di un soffitto del X secolo al Cairo, dipinto con fiori e animali, stilisticamente simile alle pitture della cappella Palatina45. Sulla base dei frammenti cartacei, delle pitture lignee e del materiale ceramico, la pittura fatimide si situa nel cosiddetto «stile classico»46, un termine che in questo contesto usiamo sia per designare le tradizioni greco-romane che per sottolineare tratti stilistici, per esempio delle facce umane, che si rifanno alle pitture centroasiatiche di Miran del III secolo47. Lo studio della pittura fatimide è quindi da porsi in un contesto storico-artistico più ampio, che tenga in considerazione i legami con entrambi i suoi antecedenti «classici» (tardoellenistici e centroasiatici), e con gli echi posteriori aldilà dell’Egitto fatimide: per esempio nelle pitture della cappella Palatina di Palermo del XIII secolo o in miniature nordafricane del XIII secolo, come quelle della Storia di Bayad e Riyad48.

Le arti decorative Sono pochi gli esempi rimasti delle varie arti decorative che erano praticate nell’Africa del Nord. Tra i tessili, un tiraz del periodo del califfo al-Mu‘izz (datato 965/354 AH) è considerato come il più antico tessuto fatimide datato49. L’iscrizione contiene una formula sciita che proclama l’appartenenza di al-Mu‘izz alla linea degli Alidi e che diventerà parte della fraseologia fatimide ufficiale. Una scatola rettangolare d’avorio, anch’essa prodotta a Mansuriyya, cita ugualmente al-Mu‘izz nella sua iscrizione dedicatoria: si può dunque datarla tra il 952/341 AH e il 972/362 AH, quando al-Mu‘izz si trasferì in Egitto50. I lati sono decorati con una bordura di volute dipinta in verde e in rosso, richiamando gli avori più tardi detti siculo-arabi. Esiste un notevole numero di ceramiche fatimidi prodotte nell’Africa del Nord, e, oltre alle mattonelle dipinte a lustro della Qal‘a dei Banu Hammad51, abbiamo molti esempi di vasellame policromo d’una ragguardevole diversità52. Il repertorio decorativo comprende figure umane occupate in differenti attività (soprattutto caccia e guerra), animali e bande epigrafiche. Simili lavori rappresentano una tradizione locale anteriore, che i Fatimidi continuarono anche dopo la conquista dell’Egitto, dove, però, nacque e si sviluppò una ceramica completamente differente. Anche se la ceramica fatimide d’Egitto si può collegare a uno stile mediterraneo più ampio, che comprende anche elementi bizantini, essa ha più affinità con la Persia e la Mesopotamia che con l’Ifriqiya. Tuttavia, la ceramica fatimide presenta forme e motivi ornamentali distinti: i motivi geometrici e vegetali appartengono a un repertorio comune nell’Egitto del periodo, come negli stucchi, i legni scolpiti ed i tessuti, mentre le figure umane sono in uno stile improntato sulla tradizione classica – e a volte con elementi umoristici, assenti dalle convenzioni abbasidi più formali. La cronologia si basa in larga misura sulle iscrizioni, con tre oggetti dipinti a lustro che possono essere datati al regno di al-Hakim (996/386 AH-1021/411 AH) e che servono da punto di riferimento53. Molta ceramica fatimide è stata trovata tra le rovine di Fustat, ma le chiese italiane ornate di bacini ceramici risalenti al periodo tra l’ini-

Nella moschea abbaside di Ibn Tulun, al Cairo, al-Afdal, visir del califfo fatimide al-Mustansir fece aggiungere un mihrab in stucco riccamente decorato con iscrizioni in caratteri cufici; lo stile e la realizzazione con una cornice incassata nell’altra fanno pensare a un’influenza persiana. Museo di Arte Islamica, Il Cairo, datato 1094.

126

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 126

03/11/16 09:42


LE ARTI DEL PERIODO FATIMIDE

127

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 127

03/11/16 09:42


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

zio dell’XI e il XV secolo, sono una sorgente inaspettata di cognizione54. Nella maggior parte dei casi, questi bacini furono inseriti nei muri al momento della costruzione; ora, dato che la costruzione di alcune di queste chiese è ben documentata, se ne possono dedurre dei preziosi indici cronologici, poiché si può supporre che molte delle ceramiche utilizzate siano contemporanee. Il tipo di fornace utilizzato per la cottura di queste ceramiche era a fiamma diretta, diffuso nell’insieme del mondo islamico. La fornace consisteva in una costruzione piana circolare od ovale, divisa in due camere e coperta da una cupola forata che provocava una corrente d’aria ascendente. Per i pezzi a lustro, la seconda cottura si faceva in una fornace a riduzione che estrae l’ossigeno dagli ossidi d’argento e rame applicati sulla superficie fredda dell’oggetto dopo la prima cottura, e li fissa sotto forma di pellicola di metallo puro. Questa seconda cottura era un’operazione particolarmente delicata, perché, per ottenere una colorazione regolare, era necessario mantenere la stessa temperatura in tutta la camera di cottura55. La gamma normale va da riflessi metallici brunastri a rossastri o gialli dorati, che danno l’impressione di pittura d’oro. Il repertorio decorativo e figurativo della ceramica a lustro è estremamente interessante, poiché comprende temi differenti, da scene relative ai piaceri della corte (principi seduti con una coppa in mano, o pronti per la caccia al falcone, musici, danzatrici) a scene della «vita quotidiana» (schiavi che conducono animali nei loro recinti, lottatori, combattimenti di galli, attività agricole). Questo ha portato alla formulazione dell’ipotesi di un «realismo» nell’arte fatimide56. Ma lo stile si rifà, piuttosto, allo stile fluido tardoellenistico, e la maggior parte dei temi, compresi quelli relativi ad attività quotidiane, sono parte del ciclo della vita principesca, che si manifesta in tutte le sue sfaccettature57. Questo rafforza l’ipotesi, in mancanza di fonti documentarie che possano aiutarci a ricostituire l’economia della produzione ceramica, che la maggior parte dei pezzi più fini fossero fabbricati per la corte. Gli scavi effettuati a Fustat dal Centro Americano di ricerche in Egitto, tra il 1965 e il 1981, non soltanto furono fondamentali per lo studio della ceramica, ma furono anche d’importanza capitale per la storia del vetro fatimide. Essi hanno riportato alla luce numerosi reperti che comprendono sia oggetti domestici che di lusso58. La scoperta di un carico di un relitto al largo della costa turca a Serce Limani, presso Bodrum, fu ugualmente d’importanza fondamentale. Si sono infatti ritrovati più di ottanta recipienti di vetro intatti, e con l’esame delle decine di migliaia di frammenti si è potuto ricostituire un numero sorprendente di oggetti più o meno completi. Precisato che il naviglio andò a fondo probabilmente nel secondo quarto dell’XI secolo e che il carico era senza dubbio di produzione recente, questa scoperta ci dà delle nuove testimonianze dirette sulla vetreria fatimide59. Tutto questo riguarda in una volta sia la forma sia la tecnica; a fianco alle forme tradizionali (per esempio la caraffa) che possono essere collegate a una tradizione e tecniche classiche e sassanidi (intaglio e soffiatura a stampo), si vedono comparire delle forme nuove (per esempio bottiglie ad alto collo con corpo a forma di martello o a campana). Una delle tecniche di decorazione più diffuse era la soffiatura a stampo, perché era più facile produrre dei motivi in rilievo con questo metodo che con il taglio, riservato agli oggetti rari e costosi e che necessitava di particolari competenze. Questa tecnica permetteva una produzione in serie e gli oggetti stampati erano un sostituto a buon mercato del vetro intagliato.

A Qayrawan, in Tunisia, venne copiato un Corano in caratteri cufici dorati con ornamenti d’argento su pergamena tinta di blu. Il metodo di colorazione della pergamena, noto in Oriente e a Bisanzio, ha fatto supporre l’intento di rivaleggiare con i documenti più preziosi degli imperatori bizantini. Le pagine che costituivano questo Corano sono disperse in diverse collezioni. Parigi, Institut du Monde Arabe, AI 84-9. Il frammento con raffigurazione di un gallo, a inchiostro e aquarello su carta è una testimonianza della sopravivenza della tradizione di pittura classica in Egitto in epoca islamica. Per tipo di pennellata e schema cromatico il dipinto si rifà a pitture murali romane e tardoantiche. Proveniente da Fustat (Egitto). Institut du Monde Arabe, Parigi, AI 87-31, XI-XII secolo.

128

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 128

03/11/16 09:42


LE ARTI DEL PERIODO FATIMIDE

129

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 129

03/11/16 09:42


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Si trova anche un certo numero di vetri dipinti a lustro – la tecnica impiegata è praticamente la stessa che per la ceramica dipinta a lustro – e si può supporre che gli stessi artigiani li elaborassero e utilizzassero le stesse fornaci. Tuttavia, la pittura a lustro su vetro sembra nascere in Egitto nel IV o V secolo AD, mentre quella ceramica sembra essere un’invenzione del periodo islamico, nell’area mesopotamica (Samarra) del IX secolo60. Una delle realizzazioni artistiche più grandi del periodo fatimide è certamente la produzione di oggetti in cristallo di rocca61. Al-Biruni (prima metà dell’XI secolo), grande spirito universale, considerava il cristallo di rocca – tipo di quarzo purissimo – come «la pietra più preziosa. Il suo valore sta nella sua limpidezza, e al fatto che fonde due dei quattro elementi: l’aria e l’acqua»62. La brocca di al-‘Aziz conservata nel Tesoro di San Marco a Venezia costituisce, assieme alle altre quattro rimaste63, l’apogeo di questa produzione, e la padronanza degli artigiani egiziani fu certamente il frutto di una lunga tradizione. Disgraziatamente, non abbiamo alcun ragguaglio sull’evoluzione di questa tecnica né sul suo stato economico (e sociale) durante il periodo fatimide. Ricordando la fabbricazione a Basra, al-Biruni riporta che il blocco di cristallo greggio era innanzitutto esaminato da un esperto che stabiliva quale oggetto poteva venire elaborato prima di essere consegnato all’artigiano, dandoci, quindi, un’indicazione della fase preliminare della produzione. Inoltre, le osservazioni di Nasir-i Khusraw sulla lavorazione e la vendita del cristallo di rocca al bazar del Cairo permettono almeno di concludere che, anche se esisteva un laboratorio di palazzo che produceva i pezzi più fini e più costosi, esistevano certamente botteghe che fabbricavano per il mercato64. Un aspetto interessante e dibattuto è il rapporto tra la produzione del vetro e il cristallo di rocca intagliati a rilievo. Sappiamo di una tale produzione nell’area mesopotamica e in Iran che risale al periodo sassanide. Ma almeno a partire dal IX secolo, il cristallo di rocca e il vetro intagliato in rilievo furono apparentemente prodotti tanto nelle regioni iraniane e mesopotamiche che in Egitto e, per la produzione egiziana, si possono citare un certo numero di pezzi che potrebbero essere contemporanei agli oggetti fatimidi di cristallo di rocca. Vi si trova un repertorio comune di tecniche e forme che rinforza l’ipotesi della concomitanza della produzione in questi due diversi materiali e la probabilità che venissero prodotti negli stessi laboratori dagli stessi specialisti65. Per quanto riguarda la tecnica d’intaglio, per ottenere i dettagli delicati della faccia esterna degli oggetti in cristallo di rocca, il lapidario utilizzava probabilmente un tornio ad archetto. Questo si componeva di una barretta di metallo fissa alla cui estremità era attaccato un trapano o una piccola ruota. L’abrasivo era molto probabilmente di sabbia mista ad acqua, o di una pasta composta di polvere di diamante. Una mano faceva girare la barretta spingendo l’arco in avanti e indietro, mentre l’altra mano stringeva l’oggetto di cristallo e l’appoggiava contro il trapano o il disco; si trova proprio una dimostrazione di questa operazione nel margine d’una delle pagine di un album per l’imperatore mogul Jahangir, prodotto intorno al 162066. Molti degli oggetti fatimidi in cristallo di rocca sono conservati in collezioni europee. Una volta arrivati in Europa diventarono parte di tesori principeschi o religiosi e, nella maggior parte dei casi, vennero impreziositi da montature metalliche in oro o argento67. L’ampolla in cristallo di rocca conservata nel tesoro di San-

L’intaglio a rilievo su questo pannello ligneo egiziano raffigura un principe libante seduto a gambe incrociate tra arabeschi. Nel tipo d’intaglio e nelle tematiche relative al ciclo principesco è molto simile ad alcuni dei pannelli originariamente parte della decorazione del palazzo reale fatimide. Victoria and Albert Museum, Londra, XI secolo.

Due esempi di ceramica fatimide africana dell’XI secolo. Grande piatto con raffigurazione di un’antilope con la testa voltata all’indietro su uno sfondo decorato con fiori, un albero stilizzato e le lettere che compongono il nome di Allah. Museo del Bardo, Tunisi. Bacino con l’immagine di una grande imbarcazione a vela, prodotto in Tunisia o a Maiorca con iconografia che ricorda la pittura fatimide del periodo. Proveniente da San Pietro a Grado, Museo Nazionale di San Matteo, Pisa.

130

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 130

03/11/16 09:42


LE ARTI DEL PERIODO FATIMIDE

131

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 131

03/11/16 09:42


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

ta Chiara in Assisi, per esempio, fu trasformata, con l’aggiunta di una montatura in argento dorato e pietre preziose, in un reliquiario contenente le unghie di santa Chiara68. Ma uno dei casi più spettacolari è rappresentato dal reliquiario del Sangue Miracoloso, nel Tesoro di San Marco a Venezia. La splendida montatura in oro zecchino realizzata a Venezia nel XIII secolo sostiene elegantemente la bottiglia in cristallo di rocca fatimide del X-XI secolo che contiene un’iscrizione benedicente in arabo. Ma su uno degli anelli d’oro della montatura un’altra iscrizione, in latino, dice: hic est sanguis Christi69. L’industria e il commercio tessile nel Mediterraneo durante il medioevo fu un fattore vitale per l’economia egiziana e la produzione e lavorazione del lino contribuì molto alla prosperità dell’Egitto fatimide, servendo di base a tutto un reticolo di commerci e di industrie. Il tiraz è un tipo di tessuto di cui si sono conservate quantità considerevoli del periodo fatimide; si tratta di una stoffa ornata di bande epigrafiche o decorative, ricamate, tessute, dipinte o impresse. In origine, questa parola indicava, sembra, un vestito riccamente ricamato adatto al sultano e alla corte, o un vestimento onorifico offerto in ricompensa o donato a un dignitario. Ma siccome numerosi tiraz portano iscrizioni con il nome del califfo che chiariscono se sono khassa o ‘amma, termini che possono essere tradotti con «privati» o «pubblici», la parola tiraz designa anche tessuti prodotti per un più vasto mercato70. Infatti numerosi tessuti di tipo simile hanno iscrizioni che sono semplici formule, talvolta addirittura senza significato preciso e pertanto tiraz può ugualmente intendersi come termine più generico indicante vestimenti ornati da una banda decorativa qualsiasi. La maggior parte dei tiraz del periodo fatimide vengono dall’Egitto, ove il sole e il clima sono particolarmente favorevoli alla conservazione delle materie organiche, e spesso hanno iscrizioni indicanti la loro origine. I luoghi menzionati – Misr, Damietta, Shata, Bura, Tuna, Tinnis e Dabiq – sono confermati dalle fonti scritte, e tutti, eccetto Misr, sono posti a nord-est del delta del Nilo e beneficiavano della vicinanza di un porto in questo periodo di commercio internazionale crescente71. Dalla fine del X fino all’XI secolo, con l’espansione dei mercati europei e i nuovi progressi tecnici della navigazione, la situazione economica generale diventò particolarmente favorevole allo sviluppo dell’industria tessile nelle città costiere; i tessuti della regione del delta che si conoscono rappresentano un largo ventaglio qualitativo, che sembra corrispondere a una industria diversificata. I tessuti fatimidi che ci sono pervenuti sono in maggioranza a base di lino filato nel senso S, che vuol dire che l’arcolaio ha girato i fili verso destra, seguendo la loro torsione naturale. Questa uniformità rende impossibile individuare differenti laboratori e non permette distinzioni cronologiche, poiché lo stesso modo di filare era caratteristico del lino egiziano dall’epoca faraonica. Questi tessuti presentano tutt’al più un contrasto particolare con differenti tessuti abbasidi, tulunidi e ikscididi, che sono per la maggior parte filati nel senso Z. Le bande epigrafiche od ornate di motivi decorativi dei tiraz sono di lana o di seta. La lana era impiegata per realizzare l’ornamento dei tessuti copti e le testimonianze scritte e materiali mostrano che in Egitto si produceva ancora lana per i musulmani all’inizio del periodo islamico. La lana fu tuttavia a poco a poco soppiantata dalla seta, utilizzata lungo tutto il periodo fatimide, pur essendo un prodotto d’importazione costoso.

Nell’Egitto fatimide l’arte dell’intaglio del cristallo di rocca raggiunse il suo apogeo, producendo oggetti preziosi diffusi poi in tutto il Mediterraneo. Uno dei pezzi più splendidi è questa brocca, dalle pareti molto sottili e con una decorazione a rilievo – un uccello da preda che attacca una gazzella tra racemi e foglie – estremamente complessa, che fa uso di differenti tipi di tagli. Victoria and Albert Museum, Londra, XI secolo.

132

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 132

03/11/16 09:42


LE ARTI DEL PERIODO FATIMIDE

133

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 133

03/11/16 09:42


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Alla seta si mescolavano a volte dei fili d’argento o d’oro (questi erano attorcigliati attorno a un filo di seta). Il «Velo di sant’Anna», datato durante il regno del califfo al-Musta’li (1094/487 AH-1101/495 AH), è un celebre esempio di tessuto con bande di tappezzeria di seta e filo d’oro72. L’avorio impiegato per fabbricare i prodotti di lusso del periodo islamico era avorio di elefante, proveniente, molto probabilmente, dall’Africa orientale. L’avorio di tricheco poteva servire per i manici dei pugnali, e l’osso per le placche d’incrostazione, ma non si sono ancora identificati oggetti fatti dalle zanne d’ippopotamo, malgrado la scoperta recente a Gao (Mali) di una grande quantità di zanne destinata verosimilmente al commercio trans-sahariano con l’Africa del Nord. Restano pochi avori fatimidi scolpiti con immagini. Tra i pezzi più celebri si contano i sei pannelli scolpiti e traforati del Museo Nazionale del Bargello a Firenze, con un taglio in ugnatura che dona volume alle figure. Altri pannelli paragonabili si trovano a Parigi e a Berlino73. Si rilevano delle forti somiglianze tra gli oggetti fatimidi di avorio e di legno, e una stretta parentela tra i pannelli summenzionati di Firenze, Parigi e Berlino e quelli in legno del palazzo fatimide (reimpiegati in seguito nel maristán, ospedale, di Qala’un), che risalgono all’XI secolo74. La loro iconografia riprende il ciclo principesco, con delle scene della vita della corte, dei domestici che attendono alle loro occupazioni, e il sovrano stesso circondato dal suo seguito, musicisti, danzatrici. Come per la ceramica, il realismo di certi elementi si collega alla sopravvivenza della tradizione classica ed ellenistica nell’Egitto fatimide, fonte di un’iconografia a cui gli artigiani attingono a volte direttamente. L’Egitto fatimide vide una grande fioritura della scultura su legno. Risultato della commistione degli stili copto e tulunide, i tavolati fatimidi si caratterizzano per un intaglio più complesso e un repertorio iconografico più ampio. Questa complessità si intensifica nei motivi geometrici e negli intrecci dei due mihrab (nicchia indicante la direzione della Mecca) delle moschee Sayyida Nafisa e Sayyida Ruqayya sopra menzionati75. L’impiego di motivi figurativi diventa più frequente e anche più vario. Le tecniche di scultura sono egualmente d’una grande diversità. Benché non si ritrovino più gli effeti ampli e rotondi risultanti dal taglio in ugnatura della scultura abbaside e tulunide, esso resta ancora utilizzato, come, per esempio, nello spettacolare pannello raffigurante due gazzelle tra volute vegetali nel Museo Nazionale del Kuwait. La profondità del taglio può variare, come sull’avorio, per produrre un rilievo su due livelli; alcuni dei fregi reimpiegati nel maristán di Qala’un ne sono un esempio, le figure umane si staccano dal fondo di viticci. Inevitabilmente, la cura dell’esecuzione varia da un pezzo all’altro, ma occorre rilevare la delicatezza e la raffinatezza del dettaglio ottenuti nell’esecuzione dei pannelli provenienti dal palazzo reale, come, per esempio, i costumi e gli animali d’uno dei pannelli ora conservato al Louvre76. Visti i paralleli tematici e tecnici, si può supporre che gli stessi artigiani lavorassero il legno e l’avorio. Le testimonanze mancano e, benché si sappia che i Fatimidi controllavano lo sfruttamento dell’acacia nell’Alto-Egitto, non si posseggono documenti sull’organizzazione e l’economia dell’industria del legno. Il pino, l’acacia, il cipresso, il bosso, l’ebano e il teck sono alcune delle materie prime – indigene e importate – utilizzate nell’epoca fatimide. Si pensa che l’Egitto fosse allora più abbondantamente boscoso; tuttavia, l’essenziale dell’approvvigionamento era importato, senza dubbio con grandi spese.

Alcuni pezzi di gioco degli scacchi in cristallo di rocca importati nella penisola iberica. Provenienti dalla Collegiata di Sent Pere d’Ager, Lerida, Museo Diocesano d’Urgell. Nella doppia pagina seguente: Quattro placchette d’avorio ripropongono la passione per la raffigurazione della vita di corte, tanto la rappresentazione dei suonatori quanto quella delle danzatrici corrispondono a motivi divenuti ormai celebri nell’ultima arte fatimide. La tecnica utilizzata, del rilievo e del traforo, consente un risultato di grande delicatezza nel modellato dei corpi e nella sinuosità dei movimenti. Museo Nazionale del Bargello, Firenze.

134

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 134

03/11/16 09:42


LE ARTI DEL PERIODO FATIMIDE

135

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 135

03/11/16 09:42


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

136

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 136

03/11/16 09:42


LE ARTI DEL PERIODO FATIMIDE

137

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 137

03/11/16 09:42


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

138

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 138

03/11/16 09:42


LE ARTI DEL PERIODO FATIMIDE

Queste boccole d’oro sono tra gli esempi più belli di filigrana fatimide; originariamente erano imprezosite anche da perle e pietre preziose montate intorno ai bordi. Provenienti dall’Egitto o dalla Siria fatimide, Metropolitan Museum of Art, New York, XI secolo.

Si conosce poco sui metalli fatimidi e gli esempi che restano sono rari. Le figure animali a tutto tondo sono spesso attribuite all’Egitto fatimide, anche se molte furono prodotte in Iran, in Spagna e in Sicilia. L’acquamanile in forma di leone conservato al Museo d’Arte Islamica del Cairo è generalmente considerato come fatimide, così come il cervo dell’XI secolo che si trova al Museo di Capodimonte a Napoli77. L’origine del grifone di Pisa resta incerta, nondimeno l’attribuzione fatimide sembra poco plausibile78. Uno dei pezzi importanti che contribuisce alla nostra conoscenza dei metalli fatimidi è un cofanetto d’argento dorato e niellato, ornato da un fine motivo a spirali che copre tutta la superficie. Sui bordi del coperchio un’iscrizione cufica niellata attesta che fu eseguito per il tesoro di Sadaqa Ibn Yusuf, personaggio recentemente identificato come visir del califfo al-Mustansir fra il 1044 e il 104779. Il periodo fatimide vede anche una produzione notevole di gioielli, soprattutto provenienti dagli scavi di Fustat, ma anche da siti archeologici siriani e nordafricani80. Essi sono di una raffinata lavorazione soprattutto a granulazione e filigrana d’oro, come, per esempio, una serie di orecchini a forma di navicella o crescente con due anelli alle estremità e un filo d’oro di connessione per l’inserimento del lobo.

L’acquamanile in forma di cervo ha tutta l’eleganza e la grazia dei metalli fatimidi. Questi oggetti differiscono dagli analoghi prodotti persiani per la loro concezione più naturalistica e il disegno più fluido. Oggetti di questo tipo servirono poi da prototipo per analoghi bronzi romanici. Museo di Capodimonte, Napoli.

139

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 139

03/11/16 09:42


VABÃ’LKNDDOBMD L GRANDE ARTE ISLAMICA DEL MEDITERRANEO

140

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 140

03/11/16 09:42


INFLUENZE CRISTIANE SULL’ARTE DELLA SIRIA E DELL’EGITTO Giovanni Curatola

Natività, evangeliario proveniente dalla regione di Mosul, 1216-1220. Posta nell’attuale Iraq settentrionale, la regione ha caratteristiche originali all’interno della produzione artistica islamica. La miniatura dei codici vi fu svolta spesso anche in monasteri cristiani; una ventina di maestri vi fecero fiorire un’importante scuola metallistica. Stilisticamente le miniature (come i metalli) presentano figure allungate, con la testa sottolineata da un’aureola, con caratteristiche somatiche e del panneggio delle vesti che richiamano la produzione bizantina. British Library, Londra, Add 7170 f. 21.

Il mondo islamico in tutte le sue espressioni culturali è stato essenzialmente dinamico, anzi su questo dinamismo ha costruito buona parte della propria identità. Il precetto coranico del pellegrinaggio alla Mecca è stato uno straordinario veicolo di movimento – nel tempo e nello spazio – con conseguenze importanti in quasi tutti i settori dello scibile umano. L’arte non fa eccezione. Il peculiare linguaggio artistico musulmano, dopo il periodo formativo1 nel quale le radici affondano in terreni disparati, tende a elaborare una originale concezione decorativa caratterizzata da una duplicità di segno. Da un lato l’impostazione teorica, coerentemente con un’ideologia politica che a partire dall’epoca abbaside (metà dell’VIII secolo) viene precisandosi e strutturandosi sempre più puntualmente, risponde a un sentire che si basa su pochi ma precisi concetti: non dare scandalo in pubblico; assoluta libertà per l’artista purché non pretenda mai di entrare in competizione con l’opera creatrice di Dio; rappresentazioni tendenzialmente interscambiabili nelle quali si gioca consapevolmente con un difficile equilibrio fra naturalismo vegetale floreale (acanto/vite/rosetta/palmetta) e iterazioni geometriche astratte con ornati modulari di fatto a schema infinito. D’altro canto le specificità locali – come nel caso dell’Iran, ma anche dell’India e della regione siro-egiziana – non vengono affatto negate, ma piuttosto esaltate nella loro individualità; su tutto un velo – verrebbe quasi da dire un’intonacatura – unificante e coprente che è dato dall’epigrafia, la vera cifra stilistica del trionfante Islàm. Scrittura, coranica indubitabilmente, che diviene non solo strumento di comunicazione in una civiltà che era stata fin dai suoi albori soprattutto impostata su valenze orali, ma che si può individuare come il genuino tratto unificatore dell’arte musulmana e il più significativo – addirittura unico (!) – elemento dominante arabo (e cioè semitico) in un contesto affatto composito. La questione non è per niente secondaria: in un suo recente saggio G. Scarcia2 sostiene la tesi che l’estetica islamica non sia altro che la continuazione della più genuina tradizione classica, che a quest’ultima vada fatta risalire e anzi ne costituisca l’esito più necessario ancorché originale. Tesi non nuova per ciò che concerne altri campi d’indagine3, ma che non era stata formulata – seppure in modo articolato come fa lo studioso chiamato in causa – in ambito artistico. Ora per quel che ci concerne, qui, si tratta di considerare la straordinaria fioritura artistica

141

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 141

03/11/16 09:42


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

La cittadella di Aleppo, edificata agli inizi del XIII secolo, costituisce uno dei maggiori esempi di architettura militare islamica, nella quale confluirono anche influssi crociati. L’imponenza delle mura è ancora oggi spettacolare e insuperato è il nitore formale delle linee architettoniche, che alleggeriscono la considerevole massa muraria. Si tratta di un capolavoro di stile e funzionalità.

islamica fra XI e XIII secolo e di osservare quegli elementi che sono più propriamente occidentali – ma forse sarebbe il caso di scrivere mediterranei – che ri-affiorano nelle arti musulmane di Siria ed Egitto. Pare singolare trattare unitariamente queste due aree geografiche ma allo stato attuale delle nostre conoscenze, che non sono molte, e in assenza di adeguati riscontri archeologici, non siamo in grado (soprattutto per quanto riguarda le arti decorative, così importanti nell’Islàm) di assegnare le opere all’uno o all’altro atelier (Cairo o Damasco). Ciò, comunque, non è poi così sorprendente: infatti abbiamo accennato sopra alla mobilità tipica del mondo musulmano e va ricordato come una tale situazione fosse diffusa né più né meno in tutto il mondo medievale. Artisti (ma anche artigiani specializzati) si muovevano e andavano al servizio del migliore offerente, senza troppe remore; insomma una mobilità del mercato del lavoro artistico che non soffre per niente nel paragone con questo nostro secolo che consideriamo tanto moderno in un mondo preteso «villaggio globale». In tema di radici artistiche la Siria con le sue strutture classiche – ancora ben leggibili, anche urbanisticamente per esempio ad Aleppo o a Bosra4 – rappresenta una fonte importante per l’evoluzione musulmana in campo figurativo. Il tardo antico con la sua «industria artistica»5 è parente stretto di quei mosaici che decorano la Cupola della Roccia di Gerusalemme (685-705)6 e la grande moschea di Damasco (706-715)7. Temi importanti che talvolta riemergono, magari con un linguaggio meno equilibrato e preciso; è il caso, a Damasco, dei mosaici della madrasa Zahiriyya (XIII sec.)8 che, in quanto cosciente riproposizione della grande tradizione omayyade, possono considerarsi un esempio di «neoclassico». Diverso è quanto avviene nella grande moschea di Cordova, e anche nella Zisa a Palermo, perché in questo caso non si tratta certo di una riproposizione (un «neo» o «post» secondo l’accezione che si preferisce), ma piuttosto di una legittimazione nel segno del più alto esempio di continuità. Mosaico

Nel 1296 il mamelucco al-‘Adil Kitbugha fece iniziare al Cairo la costruzione di questo straordinario complesso di madrasa (scuola coranica) e mausoleo, poi concluso dal suo successore, il sultano al-Nasir Muhammad. Il portale gotico viene dalla conquista di San Giovanni d’Acri, l’ultimo porto dei crociati in Terrasanta, operata dal fratello di al-Nasir, al-Ashraf Khalil. Il minareto che sovrasta il portale, riprodotto a pagina 143, è di uno stile completamente diverso e costituisce un unicum nel panorama cairota.

142

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 142

03/11/16 09:42


VBÃ’LKNDDOBMD

143

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 143

03/11/16 09:42


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

tardoantico e dunque siriano, quasi sempre anche al Cairo – per esempio nella madrasa del sultano al-Mansur Qalawun (1284-1285)9 – a rendere palese, in questo contesto, come un apporto bizantino (nell’accezione più ampia che si può dare a questo termine) provenga dall’esperienza siriana, mentre da terre più orientali (pensiamo a Samarra in Mesopotamia) provengono suggestioni diverse, quali sono quelle che filtrano, al Cairo, nella moschea di Ibn Tulun (876-879)10, sia nell’impianto architettonico (e non ci riferiamo al minareto che è certamente rifatto) se pensiamo alla ziyada, sia negli elementi decorativi se pensiamo ai legni e agli stucchi palesemente d’ispirazione irachena. Dunque al Cairo – il luogo più interessante perché risultato di una nuova edificazione (peraltro lo era già Samarra), e per le dimensioni e per l’importanza che la città venne ad assumere – troviamo influenze disparate che sono comunque abbastanza agevolmente discernibili. Ma l’elemento forse più interessante è quello cristiano copto, decisivo per tentare di comprendere le tendenze artistiche che si sono venute esplicando nell’Egitto islamico. Infatti l’Islàm, anche a livello artistico, ha elaborato e si è reso interprete di movimenti già ampiamente presenti nei territori che via via occupava11. Naturalmente il rischio che corrono gli storici è quello dell’oscillazione fra i due estremi dell’esaltazione o della negazione dell’importanza delle precedenti o concomitanti esperienze artistiche12. Ma l’Egitto copto ha in effetti un ruolo decisivo anche in virtù del fatto che quella cultura non venne né sradicata né completamente assorbita ma continuò a essere coltivata, sia pure in posizione minoritaria spesso decentrata (come nei monasteri). Dal punto di vista della storia dell’architettura islamica è certamente una grave perdita che un edificio importante come la moschea di ‘Amr (641-642) a Fustat13 di fatto sia stato completamente ricostruito e dunque non permetta alcuna valutazione critica; la posizione – contigua alle più importanti strutture cristiane che si conservino al Cairo – è assai interessante, e lo è anche la circostanza che il minbar (ovvero pulpito) ligneo usato da ‘Amr Ibn al-‘As, secondo le fonti letterarie, sarebbe stato preso da una chiesa, oppure si tratterebbe del dono di un re cristiano di Nubia. Torneremo fra breve sui materiali lignei. Anche il più significativo monumento di epoca fatimide la moschea di al-Azhar (970) posta al centro della nuova città di al-Qahira – purtroppo è stato notevolmente alterato (strutturalmente e decorativamente), avendo subito trasformazioni già a partire dal regno dei califfi successori del fondatore al-Mu‘izz. La nicchia del mihrab è decorata in stucco14, con una ornamentazione che: «Non è in puro stile di Samarra, ma è unita con girali di palmetta tipici della decorazione bizantina»15. Ancora una volta sono le strutture lignee ad avere per noi un interesse particolare, tenendo conto del fatto che in età ayyubide (1171-1250) Saladino preferì per la preghiera congregazionale la moschea di al-Hakim (990-1003)16, che, però, è ormai anch’essa in gran parte moderna. La piccola moschea di al-Aqmar (1125)17 – urbanisticamente assai interessante perché la facciata segue l’andamento della strada, mentre la sala di preghiera è ovviamente orientata su Mecca – presenta all’esterno un partito decorativo (grande nicchia in forma di conchiglia stilizzata con al centro un rosone; questo elemento è ripreso anche nelle nicchiette sopra le muqarnas della porta d’ingresso) che anche se già presente nell’architettura musulmana, per esempio a Qasr al Hair as-Sharqi in Siria (inizi dell’VIII secolo)18, «è frequente nell’arte copta...»19 come testimoniano, per esempio, alcune nicchie del Convento Bianco (metà del V secolo)20. All’esempio della nicchia di al-Aqmar, classico nella concezione, ma

Il minareto in pietra della moschea Zakariyya di Aleppo, a pianta quadrata, deve probabilmente la rigorosa scansione della partitura architettonica all’influenza dei monumenti antichi presenti nella regione; gli archi lobati richiamano piuttosto la mesopotamica Samarra e la cornice superiore a muqarnas risente di influssi turchi. Fu costruito nel 1090, sotto il governo selgiuchide, dall’architetto Hassan Ibn Mufarrag alSarmani. L’opera dovette esercitare una certa influenza sugli architetti crociati che la videro.

144

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 144

03/11/16 09:42


INFLUENZE CRISTIANE SULL’ARTE DELLA SIRIA E DELL’EGITTO

Il minareto del mausoleo e della madrasa del sultano di origine turca al Din Qala’un ha tre corpi a base quadrata sovrapposti; l’arco tondo a ferro di cavallo delle finestre, che si ripete più volte all’interno, richiama un uso corrente nella Cordova omayyade. Il Cairo, 1283. Il minareto della madrasa di al-Nasir Muhammad, opera probabilmente di artisti nordafricani, presenta una decorazione in stucco eccezionale per finezza e minuziosità del dettaglio. Il Cairo, fine XIII secolo.

nel quale il medaglione circolare invece della croce ospita un’iscrizione con al centro il nome di ‘Ali e intorno quello di Muhammad, si rifanno le nicchie cieche della moschea del vizir al-Salih Tala’i (1160)21 e il mihrab in stucco del santuario (mashhad ru’ya e cioè un «memoriale visivo») della Sayyida Ruqayya22, uno degli esempi più equilibrati di decorazione in stucco nell’intera Cairo. La dinastia Fatimide – proveniente da occidente e cioè dal Maghreb – stabilì al Cairo la sede del califfato23, ma nonostante i due secoli di dominio, forse perché la maggioranza della popolazione rimase sunnita, non riuscì a integrarsi perfettamente: da un punto di vista artistico fu uno dei momenti di massimo splendore, in assoluto, dell’arte islamica24. Si riscontrano elementi copti, bizantini e anche samarreni in un insieme decisamente affascinante, ma nel quale ciascuna ascendenza sembra essere ancora riscontrabile, e orgogliosa (!) di esserlo. Il potere politico fatimide si estendeva dall’Africa settentrionale all’intera penisola arabica, avendo così il controllo su due delle vie commerciali più importanti dell’antichità: quella dall’Africa centrale e quella dall’India, peraltro in coincidenza con seri travagli per altre due rotte, ovvero la terrestre centroa-

145

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 145

03/11/16 09:42


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Piatto fatimide con decorazione a lustro, che rappresenta due personaggi che reggono dei galli. La scioltezza del movimento e il realismo dei dettagli segnalano una nuove sensibilità figurativa, debitrice alla tradizione ellenistica. The Keir Collection, Londra, XI-XII secolo.

Non sono assenti nel periodo decorazioni che si richiamano esplicitamente a temi cristiani. L’artista, Saad, ha firmato sul retro il piatto dipinto a lustro con raffigurazione di un monaco copto che tiene nella mano destra un turibolo o una lampada; alla sua destra un albero stilizzato o la particolare forma della croce copta. Un frammento di piatto presenta l’immagine del Cristo benedicente. Victoria and Albert Museum, Londra e Museo di Arte Islamica, Il Cairo.

siatica e quella iranica del Golfo Persico. Potere esteso anche alla Siria e alla Palestina ed esercitato, a livello d’influenza, anche sulle regioni limitrofe, quali la Sicilia. Questo dominio delle rotte commerciali è assai importante e avrà un ruolo decisivo per esempio nella diffusione dei tessili, i materiali per certi versi più significativi nel contesto degli scambi economici, insieme alle spezie; essi i tessuti – sono, poi, i maggiori responsabili delle trasmissioni di iconografie fra Oriente e Occidente. Varrà la pena di rammentare che la corte fatimide aveva mutuato il cerimoniale di corte bizantino 25. I tessili fatimidi26 dimostrano, senza ombra di dubbio, che la secolare tradizione copta non solo è ben presente in Egitto e conosciuta dai musulmani, ma che su tale scuola si fondano le opere islamiche ben oltre le fasi d’esordio. Una comparazione fra i materiali di manifattura cristiana scavati nelle necropoli di Akhmim e di Antinoé, di cui una importante collezione è conservata a Lione al Musée Historique des Tissus27 e quelli più tardi, e cioè databili dai primi secoli dell’Islàm fino all’XI e XII secolo, suggerisce l’ipotesi che vi fosse una integrazione piuttosto ampia, tecnica e iconografica, fra gli artigiani. Le manifatture, i famosi tiraz, erano sì sotto il controllo reale, ma, ad esempio, la circostanza che in alcuni esemplari si trovino intessute delle pseudoiscrizioni28 dovrebbe fare riflettere abbastanza seriamente sulla possibilità che in settori così specialistici come quello tessile (ma anche per la scultura lignea le considerazioni sono analoghe) l’importanza della mano d’opera cristiana non vada sottovalutata. Del resto è pur vero che molti studiosi29 hanno sottolineato come lo sviluppo artistico di età fatimide sia straordinario, non solo per la quantità e qualità delle opere eseguite, ma anche per il fatto di ospitare motivi esornativi figurativi con

Nelle due pagine seguenti: Diversi oggetti in metallo prodotti nelle botteghe siriane documentano che nel corso del XIII secolo l’iconografia cristiana divenne parte del repertorio decorativo islamico. Fiasche di questa forma, allora comuni in Siria e Mesopotamia, richiamano le ampolle dei pellegrini usate fin dai primi tempi cristiani. Questa, di bronzo ageminato, unisce iconografia araba e cristiana. A sinistra c’è un dettaglio del rovescio: nel fregio centrale le lance e i gonfaloni dei cavalieri al galoppo introducono un inconsueto sapore franco nella tradizionale iconografia dei giochi di corte e di guerra; sulla banda esterna si susseguono figure di santi e di monaci. Sul diritto sono raffigurate scene cristiane: al centro la Madre di Dio con il Bambino, sul f regio esterno la Natività, la Presentazione al Tempio, l’Entrata a Gerusalemme; l’ispirazione bizantina è forte ma alcuni dettagli dell’abbigliamento riportano al contesto arabo-islamico. Freer Gallery of Art, Smithsonian Institution, Washington.

146

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 146

03/11/16 09:42


VBÃ’LKNDDOBMD

147

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 147

03/11/16 09:43


VBÃ’LKNDDOBMD

148

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 148

03/11/16 09:43


VBÃ’LKNDDOBMD

149

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 149

03/11/16 09:43


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

un’ampiezza che non è dato vedere in altri periodi islamici. Non pensiamo che questa fioritura, quasi naturalistica, abbia a che fare con una ideologia religiosa30, bensì con contingenze anche politiche – e dunque religiose – che hanno portato all’emergere di un linguaggio artistico nel quale una componente figurativa (mai completamente scomparsa) riemerge nell’Islàm sino-egiziano in virtù dei contatti con i cristiani copti e della continuità che quella corrente artistica (peraltro già vicina all’Islàm in alcuni suoi esiti), riuscirà a esprimere, diremo fino alla fine del XII secolo. Una conferma in questo senso è fornita, a nostro avviso, dalla produzione ceramica. Una famosissima coppa in lustro metallico del Victoria and Albert Museum di Londra31 mostra quello che viene definito un «prete copto», mentre molto più probabilmente si tratta di un monaco, rappresentato con un incensiere/turibolo (o lampada) in mano. Del resto anche le figure di pesci – ad esempio in un vaso sempre del Victoria and Albert32 o di una coppa già inserita nella parete esterna di una chiesa pisana33 – possono essere viste come tematiche cristiane. Ma quello che ci appare in modo forse ancora più evidente è lo stile generale delle figure34 che, mutatis mutandis, fa pensare alle ben più celebri (ed eleganti) pitture del Fayyum. Già agli inizi degli anni venti del XX secolo Ugo Monneret de Villard dedicava un capitolo del volume sulla chiesa di Santa Barbara al Cairo35 alle sculture lignee trovate durante i lavori di restauro dell’edificio e, nell’ampio studio comparativo che ne faceva – condotto con il consueto acume e larghezza di dottrina – esaminava non solo le porte della chiesa ma anche un’altra struttura indubitabilmente in uso presso la chiesa (lo Higab), giungendo alla conclusione che «… siamo davanti a un lavoro derivato da modelli islamici, e forse eseguito da un musulmano»36. E ovvio, allora, che gli scambi reciproci siano stati all’ordine del giorno e non è azzardato supporre che esistesse un notevole grado d’integrazione per cui il lavoro veniva svolto con stile analogo, salvo la committenza che poteva essere indifferentemente cristiana o islamica. Va da sé che le crociate37 hanno in qualche modo modificato il quadro d’insieme. Perché la situazione bellica (non solo il fatto che gli scontri fossero con i cristiani!) ha spinto a una politica differente, e il combinarsi di fattori interni ed esterni ha portato al decadere della dinastia fatimide e all’affermazione di sovrani di provenienza siriana: gli Ayyubidi (1171-1250). Non si tratta di una fase storica liquidabile come un breve periodo interlocutorio prima della lunga fase mamelucca (1250-1517); certamente fu un momento transitorio ma in ogni caso fondamentale, soprattutto se pensiamo ai quindici anni dominati da una delle figure più straordinarie del medioevo islamico: Salah al-Din al-Ayyubi (Saladino) (1169-1183)38. Saladino, musulmano sunnita, fu un grande sovrano che si appoggiò su un esercito composto principalmente da elementi turchi e curdi; e anche se è ricordato nella storiografia come colui che riconquistò Gerusalemme nel 1187 e dunque il più strenuo oppositore dei crociati, la sua azione non fu affatto persecutoria nei confronti degli «aql al-kitab» (le genti del libro), cristiani ed ebrei. Cahen, per esempio, sostiene che «il periodo ayyubide in Egitto fu di grande vitalità per la chiesa copta»39. Del resto in età ayyubide le comunità cristiane ed ebraiche di Siria (pensiamo a centri importanti e variamente articolati come Aleppo e Damasco) non furono affatto isolate o emarginate, continuando una vita abbastanza normale: «Cristiani ed ebrei furono tutto sommato ben trattati sotto gli Ayyubidi e i cristiani furono frequentemente impiegati nella burocrazia egiziana»40. Naturalmente nei momenti di maggiore tensione tale «fair play» non era sempre esercitato. Con

150

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 150

03/11/16 09:43


INFLUENZE CRISTIANE SULL’ARTE DELLA SIRIA E DELL’EGITTO

Nelle due pagine seguenti: Il bacino detto «di Arenberg», di forma tradizionale, creato per il sultano ayyubide alSalih Najm al-Din Ayyub presenta sul registro centrale una scena di giocatori di polo e su quello superiore medaglioni con scene della vita di Cristo, qui la Resurrezione di Lazzaro; lungo tutta la superficie interna si allinea una schiera di personaggi cristiani. British Museum, Londra. Il bacile noto come «Battistero di san Luigi», forse il capolavoro assoluto della metallistica islamica, è opera del maestro Muhammad Ibn al-Zain, che lo eseguì fra il 1290 e il 1310. L’impianto dell’ornato è classico, con decorazioni in oro e argento all’interno e all’esterno del bacile; figure stanti si alternano a medaglioni, anch’essi figurati nei quali è stupefacente la qualità del dettaglio e l’attanzione scrupolosa al particolare, tanto da far ritenere plausibili intenti ritrattistici. I soggetti sono scene di battaglia, cacce, divertimenti di corte, oltre a fregi con animali passanti e splendidi motivi floreali. Museo del Louvre, Parigi.

il dominio ayyubide la Siria – anche nelle sue regioni settentrionali – ritornò sotto il pieno controllo di un’unica dinastia; infatti nell’epoca fatimide molte erano state le ribellioni e di fatto intere regioni (come Mosul, nell’odierno Iraq, luogo di provenienza di Nur al-Din (Norandino) e importante centro culturale e manifatturiero) furono indipendenti e dominate da dinastie locali di stirpe curda. Architettonicamente il regno ayyubide – segnato com’è da continui scontri con i crociati – si segnala per la costruzione di grandi fortificazioni: viene edificata la cittadella del Cairo (1183-1184)41, e anche a Damasco e Aleppo gran parte delle strutture difensive (comprese le porte di accesso che interrompono le mura) risalgono a questo periodo. La cittadella di Aleppo42 è attribuibile agli inizi del XIII secolo e costituisce una delle architetture militari più notevoli mai costruite. In alcune componenti, per esempio i barbacani, queste fortificazioni denunciano una vicinanza cospicua con l’architettura cristiana. Il Crac des Chevaliers43 è del resto non solo il più bel caso di gotico presente in Oriente, ma anche un esempio di struttura militare concepita con intelligenza e vitalità. Le decorazioni architettoniche con l’uso insistito della bicromia bianca e nera, soprattutto in Siria come, appunto, nella cittadella di Aleppo, ma anche altrove, richiamano alla mente i partiti a due colori delle chiese toscane di poco posteriori al Mille. Al Cairo questo uso di fasce alternate di colore sarà in voga anche successivamente (la prima occorrenza è nella moschea del sultano al-Zahir Baybars 1266-1269), come nel portale della madrasa della madre del sultano Sha ‘ban del 1368-1369. Incidentalmente va ricordato che fu proprio in epoca ayyubide e per reazione alla propaganda fatimide (fra i primi edifici adibiti a università e ufficialmente sciita fu quella di al-Azhar) che vennero fondate le prime madrase (scuole coraniche). L’insegnamento del testo sacro si è sempre svolto nelle moschee, ma è proprio con gli Ayyubidi che si costruiscono strutture pubbliche che hanno come scopo l’apprendimento della Legge e della Teologia, secondo un «programma di studi» ufficialmente approvato. Un’altra tipologia architettonica che nasce e si afferma in questa fase è la khanqah44, una sorta di monastero, rifugio dei mistici sufi, il primo asilo di questo genere fu fondato al centro di al-Qahira, mentre la prima madrasa fu costruita vicino alla tomba dell’Imam Shafi ‘i (fondatore di una delle quattro principali scuole giuridiche islamiche). Che i rapporti con i cristiani crociati e con le loro opere siano stati sì conflittuali, ma anche di scambio e ammirazione, è dimostrato dal portale della madrasa del sultano al-Nasir Muhammad Ibn Qalawun (databile al 1295-1303)45. È un portale gotico in marmo (islamizzato dalla parola Allah che lo sormonta), preso da una chiesa di Palestina come trofeo dopo una vittoriosa campagna condotta da al-Malik al-Ashraf Khalil. Il grande storico e topografo al-Maqrizi (1363-1442), fonte imprescindibile per la storia dell’Egitto, nel suo Khitat ne parla come di uno dei più belli in assoluto di tutta Cairo. Fra le arti decorative, oltre ai tessili (come sempre molto ricercati e materia prima del commercio fra Oriente e Occidente), un ruolo interessante è da attribuire alla toreutica. A questo proposito va citata la testimonianza del viaggiatore trecentesco fiorentino Simone Sigoli che nel 1384 si trova a Damasco: «Qui vi si fanno grande quantità di drappi di seta d’ogni ragione e colore, e più belli e de’ migliori del mondo… Ancora vi si fa grande quantità di bacini e mescirobe d’ottone, e propriamente paiono d’oro, e poi nei detti bacini e mescirobe vi si fanno figure e fogliami e altri lavori sottili in ariento, ch’è una bellissima cosa a vedere»46. Quel che doveva colpi-

151

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 151

03/11/16 09:43


VBÃ’LKNDDOBMD

152

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 152

03/11/16 09:43


VBÃ’LKNDDOBMD

153

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 153

03/11/16 09:43


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

re i viaggiatori, e comunque gli occidentali in genere – e che ancora oggi in effetti stupisce – non è tanto il materiale prezioso (pochissimi sono i pezzi in oro o argento massiccio), quanto quelle figure e fogliami (i motivi a rabesco), e cioè la grande qualità dell’intervento, quell’ageminatura47 che nelle fonti viene appunto definita «azzimina», oppure lavoro «domaschino» (pur se, tecnicamente, la damaschinatura non è una forma di decorazione ma un sistema per temperare gli acciai, le lame di Damasco che erano ben famose nel medioevo e successivamente…), mentre il termine «alla domaschina» sarebbe da riferirsi alle imitazioni italiane. Una delle principali scuole metallistiche islamiche fu quella fiorita a Mosul (città lungo il Tigri nell’Iraq settentrionale) alla corte dell’emiro Badr al-Din Lulu (1210-1259); vi si fabbricavano oggetti che una fonte letteraria – il contemporaneo geografo iberico Ibn Sa ‘id – sostiene essere già stati apprezzati ed esportati un po’ dovunque. I medaglioni figurativi delle opere eseguite a Mosul, come la cosiddetta brocca Blacas del British Museum48, presentano un repertorio particolare con scene di caccia, astrologiche, di battaglia e di vita quotidiana e rappresentazioni che sono simili a quelle eseguite dai miniaturisti e dai ceramisti, a conferma di un ambiente molto coeso nel quale l’influenza tardoantica, classica e bizantina, era ancora molto forte. Un vaso in ottone conservato a Firenze49 è datato al 1259 e il committente fu tale Qusta Ibn Tudra (Costantino figlio di Teodoro [?]), una indicazione circa la possibilità che si trattasse di un cristiano. Col 1261-1262 Mosul fu saccheggiata dai mongoli (che già l’avevano risparmiata nel 1244 quando l’emiro si era sottomesso alla loro autorità) e il patrimonio artistico e umano si disperse verso Tabriz e Damasco; l’appellativo di al-Mawsili (cioè proveniente da Mosul) si troverà nel nome di diversi maestri a conferma dell’indiscusso prestigio assunto da questa scuola, presupposto importante per gli sviluppi posteriori. Nell’ambito della metallistica islamica il periodo ayyubide non è solo un momento transitorio: anzi molte caratteristiche in voga in questa fase saranno poi affinate e sviluppate in età mamelucca. La qualità artistica delle opere in metallo (principalmente ottoni battuti e incrostati in argento, oro e niello) è altissima e fra queste spicca un gruppo di oggetti decorato con ornati d’inequivocabile ascendenza e tematica cristiana. Un grande bacino (diametro del bordo di 50 cm) in ottone incrostato in argento e niellato, fatto per il sultano Najm al-Din Ayyub, l’ultimo della sua dinastia50, e conservato a Washington presso la Freer Gallery è – insieme a una fiasca del medesimo museo – fra le opere più interessanti proprio in virtù delle raffigurazioni cristiane. Vi sono scene della vita del Cristo in medaglioni alternati a iscrizioni (a contenuto elogiativo): «Annunciazione», «Adorazione», «Resurrezione di Lazzaro», «Entrata a Gerusalemme», «Ultima Cena». Temi di facile lettura e in ogni caso inequivocabili; di questo oggetto si è pensato che fosse un dono di Najm al-Din nel 1240 in occasione di un trattato di amicizia fatto con Teobaldo di Champagne, re di Navarra51. È possibile ma non plausibile, anche perché fra le iscrizioni compare il titolo khalil amir al-mu‘minin («il beneamato dei comandanti dei credenti», ovvero il califfo), che il sovrano acquisì solo nel 1247. La fiasca da pellegrino uno dei più sontuosi oggetti islamici in metallo52 ornato in niello e incrostato in argento – appartiene al medesimo gruppo di opere. In questo caso di fatto tutta la decorazione (a parte la rappresentazione di un «torneo» cavalleresco), disposta sulle due facce dell’opera, ruota attorno a un’iconografia cristiana: figure di santi, forse un’«Annunciazione» e poi – molto dettagliate – «Natività», «Presentazione al Tempio» ed «Entrata a Gerusalemme»,

La lapidazione di santo Stefano raffigurata su un evangeliario siriaco in una piccola miniatura d’impianto classico presenta una scena assai vivace su un bellissimo fondo rosso. Le figure col panneggio ampio e, soprattutto, il tentativo di contestualizzazione paesaggistica con le montagne, serviranno a ispirare anche i coevi maestri musulmani. Biblioteca Vaticana, Syr 559 f. 20v.

154

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 154

03/11/16 09:43


VBÃ’LKNDDOBMD

155

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 155

03/11/16 09:43


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Miniatura delle Maqamat o Adunanze di al-Hariri. Si tratta di un celebre manoscritto, composto nel 1111, che illustra delle novelle picaresche di Abu Zayd, uomo divertente ma poco raccomandabile e grande parlatore. Queste novelle servivano, con le opportune illustrazioni, da traccia per i cantastorie che si spostavano nei villaggi oppure operavano negli affollati mercati cittadini. Dal punto di vista stilistico c’è da notare come lo stile sia ancora fortemente legato ai moduli bizantini, soprattutto per ciò che concerne la paletta coloristica e il panneggio delle vesti. Biblioteca Nazionale, Parigi, Arabe 3929 f. 122.

sono descritte con precisione pittorica e grandissima abilità descrittiva. Non si sono ancora trovate risposte adeguate alle fondamentali domande poste da un oggetto singolare e unico53 per forma: dove e per chi è stato eseguito tale capolavoro? Se il luogo, in fondo, è probabilmente Damasco, sulla figura del committente sono lecite maggiori perplessità. Infatti l’idea che si tratti di un lussuoso «souvenir» d’Oriente d’epoca medievale, sebbene affascinante, è niente di più che un’ipotesi; certo è, invece, che fino al 1845 tale straordinaria opera si trovava nella collezione del principe Filippo Andrea Doria. L’ambiente artistico, culturale in genere, nel quale maturano queste opere e tale scuola artistica è lo stesso nel quale si producono miniature che, pur essendo di esecuzione islamica, presentano un’ispirazione bizantina come negli esemplari del De materia medica54. In estrema sintesi, sembrerebbe di poter affermare che se con gli Ayyubidi da una parte c’è, ovviamente, maggiore vicinanza con i cristiani (complici i carissimi nemici crociati), dall’altra si abbandonano, ovvero ci si emancipa dai temi bizantini/copti. Cioè quando si eseguono delle opere di «sapore cristiano» ciò diviene una citazione consapevole, un calco o un prestito, determinato con salda consapevolezza. L’incubazione di questo salto iconografico e tematico è di età fatimide, ma saranno gli Ayyubidi a creare il vero e proprio superamento di un «melting pot» dagli elementi diversi che troverà piena maturità in epoca mamelucca.

In questa miniatura delle Nozze di Cana, appartenente a un vangelo copto, colpisce l’impostazione architettonica, con i personaggi disposti su due registri e la grande capacità di organizzazione dello spazio. I personaggi, infatti, pur slegati tra loro (lo sfondo architettonico potrebbe fors’anche essere omesso) sono disposti in modo da interagire perfettamente. Le influenze sicuramente reciproche confermano che artisti cristiani e musulmani conoscevano gli uni i lavori degli altri. Biblioteca Nazionale, Parigi, 1180.

156

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 156

03/11/16 09:43


VBÃ’LKNDDOBMD

157

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 157

03/11/16 09:43


VABÃ’LKNDDOBMD L GRANDE ARTE ISLAMICA DEL MEDITERRANEO

158

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 158

03/11/16 09:43


I SELGIUCHIDI: UNA «CROCIATA» TURCA Giovanni Curatola

La tomba munumentale (kümbeti) per la sepoltura dei sovrani e dei signori è il segno più evidente, in architettura, del retaggio nomade che i turchi selgiuchidi portarono dall’Asia Centrale nel Vicino Oriente, imponendolo in modo duraturo. È costruita su base poligonale, più raramente cilindrica, con un tetto conico o piramidale; la stanza interna ha il soffitto a cupola, una particolarità architettonica la cui origine non cessa di far discutere. Sopra: una tomba dalla decorazione essenziale, a base ottagonale, della regione del lago di Van, Turchia. A fronte: la Hüdavend Hatun Kümbeti, a base ottagonale, con un ordine superiore di 14 pannelli la cui ricca decorazione richiama quella, ancora più esuberante, del portale. Nifde (Cappadocia, Turchia), 1312.

Le regioni dell’Asia Centrale sono state un immenso serbatoio di cultura con importanti risvolti artistici. Le tribù delle stirpi turche e mongoliche che hanno colonizzato quelle terre, per quanto spesso tenute ai margini di importanti culture sedentarie (India, Cina, Persia, la stessa Europa), da queste hanno assorbito molti elementi e si sono fatti tramite di influenze in direzioni diverse. L’elemento seminomadico che ha caratterizzato la storia di quelle tribù1 non è stato semplicemente negativo o di scarsa rilevanza; si è organicamente inserito in una realtà complessa con grande naturalezza. Se abbandoniamo il luogo comune secondo il quale la civiltà sedentaria, in ogni sua forma, è «superiore» a quella nomadica (stando in ogni caso ben attenti a non rovesciare l’assunto), ma consideriamo l’interagire di sistemi diversi come necessario e in ogni caso funzionale al progredire di una globalità di valori e al mantenimento di un equilibrio, dobbiamo allora riconoscere che il «caso» Asia Centrale andrebbe analizzato e studiato molto più da vicino. Infatti quella smisurata regione geografica e i popoli e le culture che l’hanno abitata costituiscono un tramite – mai semplicemente passivo – tra le grandi civiltà del mondo: appunto la Cina, l’India e il bacino mediterraneo (senza comunque sminuire le differenze macro e micro regionali; il mondo iranico, ma anche quello russo meridionale, per esempio, non sono affatto da sottovalutare), quasi sempre determinando modi, ritmi, qualità degli incontri. I nomadi d’Asia Centrale hanno avuto in un certo qual modo un ruolo simile a quello delle api in un frutteto: correndo di qua e di là in un vastissimo territorio hanno svolto una funzione d’impollinazione culturale. E come nell’organizzazione naturale, ciò è divenuto un fattore importante, decisivo, di scambio, anche artistico, contribuendo al rafforzamento della individualità di ciascun territorio. E dunque non è possibile trascurare quello che avveniva in una zona che per quanto periferica (ma solo in una visione dichiaratamente eurocentrica) è stata per secoli – soprattutto nell’Islàm e per l’Islàm – una riserva di energie che si sono riversate, a ondate, verso Occidente. I Selgiuchidi, i Mongoli, i Timuridi sono tutti nomi di dinastie corrispondenti ad altrettanti momenti in cui l’Asia Centrale si è riversata in Occidente. Il fatto che questo sia avvenuto per «ondate», anche all’interno di un singolo periodo storico, ha la sua importanza: ciò garantiva lo scivolamento di uno strato sull’altro, una grande

159

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 159

03/11/16 09:43


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

freschezza di motivazioni ed intenti che non era facile incanalare in una sola direzione. Liquidare il tutto come superiorità militare «bar barica» che non intacca i valori stabiliti sarebbe un errore storiografico, anche se è ovvio che la civiltà sedentaria, per sua propria natura, tende ad assorbire le spinte esterne e ricondurle a un ordine prestabilito. Il combinarsi di motivi cinesi con altri sciti e poi ellenistici, iranici, nomadici, è il sostrato sempre presente nell’arte dell’Asia Centrale. Da Oriente le tribù turche si spingevano inesorabilmente verso Occidente, con flussi migratori imponenti: le vie percorse erano sostanzialmente due: una settentrionale (a Nord del Mar Caspio e con puntate in Crimea e irradiazioni in tutte le Russie) e l’altra meridionale con passaggio obbligato dell’Iran orientale (in questo comprendendosi, ovviamente, l’attuale Afghanistan). Il mondo islamico fu sostanzialmente interessato dal percorso meridionale2, e già in epoca abbaside gruppi di turchi di provenienza khorasanica saranno presenti nell’esercito musulmano e acquisteranno ruoli di primo piano alla corte: è il caso del governatore del Cairo Ahmad Ibn Tulun, nato a Samarra ma di famiglia orientale. Nell’analizzare le cause di queste ricorrenti invasioni da Est vanno tenute presenti ragioni di ordine economico3 e anche la tipologia dell’aggregazione sociale dei gruppi nomadi per i quali la guerra di razzia4 era un fatto non solo normale, ma codificato secondo precise regole. L’Islàm delle origini dà grande spazio a questa dimensione tribale e una cultura, quale quella musulmana, estremamente dinamica e anche tendenzialmente egualitaria e meritocratica, non fa fatica ad assorbire quelle entità semistatuali – per esempio i Selgiuchidi – perfettamente organizzate sotto il profilo militare, fermo restando che l’«intellighenzia» musulmana è sempre stata di provenienza difforme. Del resto non è privo d’interesse e di significato il fatto che nell’Islàm l’arabo è la lingua della fede, il persiano quella della poesia e il turco quella militare (e con gli Ottomani, ovviamente, anche amministrativa). In effetti le tribù erano organizzate secondo un sistema «confederale» piuttosto avanzato e, in assenza di rivalità fra i gruppi che costituivano la regola e hanno spesso penalizzato una politica di espansione continuativa, emergeva la naturale propensione al controllo delle fonti di ricchezza, sia a Oriente che a Occidente. Una situazione fluida e nemmeno troppo chiara se pensiamo a una figura fantastica quale il «prete Gianni», mitico sovrano cristiano dell’Asia Centrale che avrebbe dovuto essere l’alleato privilegiato della cristianità nelle terre d’Oriente5. Il sistema di vita islamico, sebbene non possa definirsi tollerante della diversità e specificità (ma neanche intollerante…), ha lasciato ampia autonomia a credenze locali, inglobando tutta una serie di elementi anche estranei (ma di fatto non in contrasto o comunque neutri rispetto all’impianto ideologico e teologico complessivo), riconducibili a tradizioni autonome. E in questo l’Asia Centrale già preislamica costituisce un formidabile laboratorio non tanto politico, quanto iconografico. Si pensi all’ellenismo di tanta scultura buddista del Gandhara, associato a influenze cinesi, indiane e iraniche come a Pandjikant6, in un confluire e confondersi di elementi che ha lasciato testimonianze importanti anche in un settore così specifico come la pittura7. I numerosi cicli leggendari di saghe e racconti epici – in gran parte tramandati per via orale8 – che costituiscono la tradizione turca oghuza sono importanti per comprendere non solo l’organizzazione sociale delle tribù, ma anche per ricostruire un percorso religioso tutt’affatto singolare che è stato in grado di non perdere del tutto financo le tracce dello sciamanesimo originario9. Per esempio l’epopea di Er Toshtuk10 è un

160

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 160

03/11/16 09:43


I SELGIUCHIDI: UNA «CROCIATA» TURCA

Alcuni esempi di chiese armene documentano l’imponenza e la qualità dell’architettura incontrata dai Selgiuchidi. In alto: la chiesa di Santa Maria a Bdjiní, XI secolo; la chiesa principale del monastero di Geghard, XIII secolo. In basso: la cappella a due piani del monastero di Amaghú Noravank’, XIII secolo; la cappella a una sola navata del monastero di Djughavank’.

161

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 161

03/11/16 09:43


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

esempio calzante di saga centroasiatica nella quale elementi disparati – molti più o meno riconducibili a un sostrato turco – emergono in un contesto molto interessante anche in sede comparativa: l’eroe compie il suo viaggio ultraterreno e per ritornare nel mondo dei vivi viene aiutato da un enorme uccello (aquila, fenice o quel che si vuole) al quale a sua volta il protagonista della storia aveva salvato i piccoli sul nido minacciati da uno spaventoso drago. Il mito (tante volte rappresentato come in un classico e bellissimo piatto d’argento sasanide dell’Ermitage) è sempre lo stesso visto con tante varianti: può trattarsi di Gilgamesh così come di Ganimede, oppure possono leggervisi riferimenti all’apoteosi di Alessandro. Siamo cioè in presenza di un mito universale che non è patrimonio di una singola specifica cultura: è evidente che l’uomo centroasiatico posto dinanzi, mettiamo, al medesimo soggetto dipinto sul soffitto della cappella Palatina di Palermo (1143) dà di quel ciclo una interpretazione basata sui tanti racconti relativi agli eroi nomadici di cui è buon conoscitore. I Selgiuchidi attraversano l’Asia e si impadroniscono dell’Iran. Un confronto fra le architetture selgiuchidi d’Iran e di Anatolia è estremamente interessante. In Iran i Selgiuchidi costruiscono in mattoni, raggiungendo vertici artistici assoluti e probabilmente ineguagliati come nella splendida cupola di Taj al-Mulk (1088-1089), oggi nella moschea congregazionale di Isfahan11, mentre in Anatolia (dove i Selgiuchidi sconfiggono i Bizantini a Manzikert nel 1071 e regnano su buona parte del paese fino al 1302), costruiscono quasi esclusivamente in pietra. Non è ovviamente differenza di poco conto. Il fatto è che questi «crociati» orientali, che probabilmente non si erano posti il problema di una conquista stabile dei territori, imponevano sì il proprio modello culturale (ricco di tutti quei sostrati ai quali abbiamo accennato), ma lasciavano ampia autonomia di realizzazione alle genti che avevano assoggettato. E in questo la diversità con i crociati d’Occidente è lampante: questi ultimi, infatti, non solo portavano il proprio modello ideologico-culturale, ma anche gli strumenti per realizzarlo, restando in buona misura impermeabili (ma solo in Oriente! e questa specificità dell’approccio, cioè il fatto che ciò avvenisse solo in Oriente, va sottolineata) agli influssi locali, quasi a marcare più che una superiorità un’accentuata diversità. Per cui di qua dal mare, una volta ritornati in patria – al sicuro con un sistema che, nonostante i contrasti politici e di supremazia, era grosso modo unitario quanto a ideologia, almeno fino al Rinascimento e alla Riforma – i crociati non disdegnavano affatto di adottare quanto d’interessante erano in grado di reperire in Oriente (ma anche nell’estremo Occidente: si pensi al ruolo decisivo per la scienza di Toledo). I cristalli di rocca, i vetri, i tessuti, giunti come dono nelle principali abbazie e cattedrali d’Europa sono lì proprio a testimoniare questo interesse. E, se ha ragione il Mayer12, financo l’araldica confermerebbe tale impatto, come nelle insegne celeberrime dei Visconti, che sarebbero di origine musulmana13. L’impatto, l’incontro turco col mondo occidentale, cioè con la Bisanzio provinciale e il regno di Rum (Roma), ha una forza notevole. I turchi nell’XI secolo – fermo restando quel potente background d’Asia Centrale fatto di sciamanesimo ma anche di nestorianesimo e buddismo – sono già islamizzati e l’incontro con l’Iran (anch’esso con un passato complesso ma di fatto musulmano da diversi secoli) tutto sommato avviene su un terreno compatibile, mentre in Anatolia si scontrano con culture cristiane importanti e tradizionalmente molto compatte, nelle quali non è affatto difficile scorgere venature nazionalistiche particolari: ci riferiamo all’Armenia e alla

La chiesa monastica di Hovhannavank’ presenta una soluzione caratteristica e variamente ripetuta per il tamburo e la copertura della cupola. Armenia, XIII secolo.

162

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 162

03/11/16 09:43


I SELGIUCHIDI: UNA «CROCIATA» TURCA

Sheyh Egirt Kümbeti, Ahlat, nella regione del lago di Van. Stele funeraria con raffigurazione di una nicchia decorata con motivi geometrici stellari; il contorno ospita un’epigrafia. I due elementi, insieme a quello floreale, costituiscono la base essenziale di gran parte della decorazione islamica, anche architettonica. Cimitero selgiuchide di Ahlat (Turchia).

Georgia. Lo spostamento dei turchi «a ondate» verso Occidente ha dunque portato genti d’Asia a contatto con realtà cristiane evolute senza che l’islamismo – a livello artistico – potesse dirsi canonizzato e assorbito in un linguaggio internazionale14, ma piuttosto essendo ancora estremamente aperto alle influenze locali. Certo esistono già stilemi (come l’uso delle iscrizioni coraniche) che individuano quest’arte come prettamente islamica, tuttavia con differenziazioni regionali forti in uno stesso arco cronologico. In Anatolia si costruisce in pietra non tanto per ragioni climatiche (la situazione geografia del limitrofo Iran non è poi così diversa: l’altopiano è comunque molto freddo in inverno), quanto perché in quelle terre la tradizione bizantina (armena e georgiana) ha sempre usato quei materiali e con tecniche specifiche15. L’uso della pietra in epoca selgiuchide in Anatolia segue un percorso «naturale»: si tratta di materiale tufaceo abbastanza morbido e ben plasmabile appena estratto dalla cava che poi, col passare del tempo, per così dire solidifica rendendo il manufatto stabile e non più lavorabile con facilità. Come abbiamo avuto modo di scrivere già qualche anno fa16 non è negli impianti architettonici (troppo diverse per planimetria una chiesa e una moschea) che dobbiamo andare a ricercare le analogie, ma a livello di tecnica

163

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 163

03/11/16 09:43


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

costruttiva e di soluzioni architettoniche adottate. Uno studio interessante, in sede comparativa, sarebbe quello dei marchi impressi dagli scalpellini (secondo una pratica mai abbandonata e di fatto universale) sui monumenti del periodo che ci interessa (che in questo caso va dal XII al XIV secolo); questo permetterebbe di confermare su solide basi una tesi che comunque non è questionabile, e cioè che le maestranze impiegate nelle costruzioni erano perlopiù le stesse e in esse la prevalenza era cristiana. È altresì evidente che la banale contabilità del dare e dell’avere, per civiltà e culture che in tempi passati si sono incontrate e hanno convissuto, non ha ragion d’essere e soprattutto mai dovrebbe essere inquinata da esacerbati nazionalismi. La cultura architettonica cristiana dell’Anatolia e del Caucaso è ben nota17 e indubbiamente per imponenza e qualità si impone come una delle più originali e complete. Osservando le planimetrie e gli sviluppi compatti delle chiese si ha una grande impressione di solidità d’impianto e costruzione18, indubbiamente frutto di una tecnica (muri a sacco; talvolta cupole autoportanti) molto sperimentata e raffinata col tempo. E gli alti tamburi delle cupole talvolta piani e massicci, talaltra sfinestrati con copertura conica o a ombrello – di cui si possono citare innumerevoli esempi da Sanahin19 (X-XIII secolo) a Hovhannavank’20 (XII-XIII secolo) – non sono estranei, anzi costituiscono antecedenti necessari e indispensabili, alla definizione di una tipologia di kumbet (torre funera-

Nel cimitero selgiuchide di Ahlat, sulla riva del lago di Van, si ergono tuttora numerose le stele musulmane, normalmente decorate con motivi geometrici ed epigrafici. Questi monumenti funerari hanno strette relazioni con stele armene ancor più antiche.

164

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 164

03/11/16 09:43


I SELGIUCHIDI: UNA «CROCIATA» TURCA

Questa volta della cupola a muqarnas e archi incrociati ripropone, oltre a quello delle tecniche costruttive, anche il tema della fluidità del passaggio di motivi decorativi tra i diversi ambiti culturali e religiosi. Monastero di Gandzasar XII-XIII secolo.

ria) quale quella che si viene definendo sulle sponde del lago di Van (soprattutto ad Ahlat)21. Indubbiamente nella scelta di tali soluzioni architettoniche possono aver pesato suggestioni di diversa provenienza, come la struttura della tenda centroasiatica (yurta), forma di architettura domestica caratterizzante le steppe siberiane. Ovvero la forma viene riconosciuta come propria e dunque non v’è alcuna difficoltà a impossessarsene, anche se alcuni particolari di molte kumbet (accesso alla camera rialzato rispetto al piano del terreno) di nuovo sono vicini a esperienze cristiane. La Sirchali Kumbet a Kayseri (1247) nella sua severa struttura cilindrica (purtroppo mancante della copertura), appena ingentilita da grandi portali rettangolari, ha una tale linearità da poter essere confrontata utilmente con moltissimi monumenti cristiani delle regioni anatolica e caucasica22. Uno dei monumenti chiave dell’architettura religiosa dell’epoca selgiuchide è la moschea di Alaeddin di Niéde del 122323. La struttura è tipicamente turca e cioè priva di corte; interamente costruita in pietra e sostanzialmente intatta permette con i suoi volumi e l’uso sapiente della pura forma di organizzare lo spazio e i valori plastici secondo una concezione che attraverso l’impiego di arcature (con intradossi costolati), volte a botte e passaggi del tamburo con nicchie appena sagomate, portano al raggiungimento di un’atmosfera di sacralità (il ritmo e la scansione matematica delle proporzioni anche nel taglio e adattamento prospet-

165

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 165

03/11/16 09:43


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

tico dei blocchi sono dettati da regole ferree) analoga e completamente compatibile con quanto ci rimane di più alto nella tradizione cristiana. D’altra parte le influenze assai raramente viaggiano in una sola direzione, e così non stupisce più di tanto che nel complesso monumentale armeno di Geghard24 del XIII secolo si trovino soluzioni di copertura della tipologia delle muqarnas (nicchie ad alveoli, ovvero coperture «a stalattite»), secondo il più puro stile monumentale musulmano. Non si tratta sicuramente di contaminazioni: pur negli usi e planimetrie diversi, questi edifici dimostrano come esistessero più committenti e uno stile piuttosto consolidato (ma aperto e disponibile all’innovazione), in grado di soddisfare – attraverso un linguaggio analogo – esigenze non comparabili. Perciò, in questo contesto, sarebbe davvero fuorviante (e non per un maldestro tentativo di equilibrio salomonico) andare alla ricerca di false primogeniture o pretese superiorità: siamo di fronte a un maestoso albero con radici estremamente solide ed estese, con un solo solidissimo tronco dal quale si dipartono tanti rami che possono o meno essere stati innestati, ma i cui frutti sono sempre e comunque riconoscibili. Il lago di Van è in una regione splendida naturalisticamente e ricca di singolari testimonianze del passato: fra queste spiccano, da un lato la chiesa armena di Santa Croce di Aght’amar25 (915), un capolavoro assoluto per il ciclo di pitture murali interne e, soprattutto, per ciò che concerne gli altorilievi – quasi a tutto tondo se si guardano con la luce giusta – e dall’altro il cimitero selgiuchide di Ahlat26. Il ciclo di Aght’amar è considerato fra i più interessanti, sia per i temi trattati, sia per l’iconografia nella quale si riscontrano tracce di influssi abbasidi27, evidenti nel registro superiore, come nelle figure sedute a gambe incrociate (anche il re di Ninive nell’episodio di Giona), in alcune fiere e nell’animale che riespelle Giona in quel ciclo biblico, palesemente imparentato a un senmurv28, mitico animale dalle tre nature (acqua, aria, terra) che ha una storia importante (anche in Asia Centrale) e della cui diffusione occidentale sono documento importante, fra gli altri, alcuni amboni campani quali quelli di Ravello. Aght’amar è un caso clamoroso, ma anche l’analisi delle decorazioni scultoree di molte altre chiese, per esempio per ciò che riguarda il tema della lotta fra animali (leone che ghermisce un bue, uccelli da preda e quadrupedi, ecc.)29, o quegli elementi strutturali compositi (sgocciolatoi e soprattutto elementi dei capitelli), rende palese la circostanza che svariate influenze e tematiche anche apparentemente estranee hanno giocato un ruolo particolare: cristiane o musulmane che siano queste decorazioni sono comunque anatoliche. Diverso è il caso del cimitero selgiuchide di Ahlat, sempre sulle rive del lago di Van30. Le lapidi tombali, decine e decine, sono in pietra e oltre a classiche iscrizioni presentano un ricchissimo e assai vario campionario di ornamentazioni prevalentemente geometriche. La forma di queste stele è quasi sempre quella del parallelepipedo; esse sono disposte in verticale e sulla faccia principale è spesso accennata una nicchia (marcata da una fascia iscritta a forma di arco a sesto acuto), un palese riferimento alla funzione del mihrah quale indicatore della direzione della preghiera e anche della sepoltura. Accanto agli innumerevoli motivi geometrici (perlopiù basati su variazioni incentrate su intrecci ripetuti che hanno come centro stelle ottagonali e altre geometrie), sono anche presenti disegni che tipologicamente possono essere catalogati come «arabeschi». Un importante motivo – che è stato lungamente discusso dagli studiosi – è quello di un serpente a due teste (talvolta impropriamente definito drago) che decora, con preciso intento apotropaico, la som-

Il profeta Giona inghiottito da un pescecane (e non da una balena, come erroneamente si pensa) su un bassorilievo della basilica di Aght’amar (lago di Van) viene espulso da un animale fantastico in un mosaico dell’ambone della cattedrale di Ravello (Italia meridionale): la raffigurazione del tema biblico offre lo stimolo per la diffusione a largo raggio di un tema iconografico.

166

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 166

03/11/16 09:43


I SELGIUCHIDI: UNA «CROCIATA» TURCA

La chiesa armena di Santa Croce di Agh’tamar è ornata all’esterno da una ricchissima decorazione, nella quale confluiscono elementi artistici disparati: motivi dell’arte abbaside, come nel bassorilievo raffigurato a fronte, e tradizione cristiana, come nell’altorilievo della Madonna in trono con il Bambino. Costruita durante il governo abbaside su un’isola del lago di Van, X secolo.

mità di alcuni di questi monumenti funerari. Questo repertorio decorativo essenzialmente geometrico può essere utilmente messo a confronto con una delle più tipiche espressioni artistiche armene: i khatchk’ar31. Queste sono delle stele di antichissima origine32 caratterizzate dalla presenza di una croce, con iscrizioni dedicatorie e vasto contorno di arabeschi e motivi geometrici: soprattutto formelle a forma di stelle ottagonali che sembrano desunte dalle ceramiche parietali; altri motivi assai in voga sono gli intrecci a canestro e i nodi senza fine che, invece, presentano analogie con i coevi manoscritti. Costante è ovviamente la presenza della croce, laddove le stele funerarie musulmane di Ahlat mostrano in posizione analoga la nicchia del mihrab, e pure se ogni generalizzazione è un tantino pericolosa, sembra proprio che nei khatchk’ar la parte inferiore della croce, su entrambi i lati, presenti delle fioriture: dunque una «croce fiorita», un legno vivificante, un palese riferimento al rinnovamento primaverile e alla Resurrezione nel segno del Cristo. Alla purezza di linee e volumi caratteristiche degli interni delle moschee d’epoca selgiuchide, corrisponde, all’esterno, un graduale aumento della complessità della decorazione che ha l’esito più alto negli edifici di Divriéi: ospedale e moschea33. Il più antico monumento architettonico selgiuchide che resti in Anatolia, la moschea di Alaeddin a Konya (1155 ca.), ha una struttura esterna poco appariscente (forse complici i numerosi restauri) e un portale segnato da giochi geometrici di intrecci lineari, molto eleganti. Notevole è anche l’interno con una organizzazione semplicissima di navate parallele su colonne talvolta di riutilizzo. Elementi bizantini (colonne, pulvini, capitelli, etc.) sono spesso impiegati negli edifici selgiuchidi, e la loro integrazione è assolutamente perfetta, naturale. La mole massiccia degli esterni34 è una costante dell’architettura selgiuchide, e tutto sommato rimarrà invariata sino alla successiva dinastia osmanica; quel che viene mutando è l’interesse – tutt’affatto nuovo – per i portali di accesso, trattati con notevole dispendio decorativo, sia che si tratti di mo-

167

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 167

03/11/16 09:43


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Sezione e pianta della madrasa e dell’ospedale di Divrifi (Turchia); il complesso monumentale, uno dei culmini dell’architettura selgiuchide del XIII secolo, presenta una struttura rigorosa, quasi austera, a cui si contrappone l’esuberante decorazione dei portali.

Una delle innovazioni dell’architettura selgiuchide che avrà poi applicazione in tutto il mondo islamico è l’edificio destinato all’insegnamento, o madrasa: l’istituzione della scuola coranica separata dalla moschea e dalla semplice catechesi domestica è, grosso modo, contemporanea all’istituzione dell’università in Europa. La Gök madrasa a Sivas (Turchia), della fine del XIII secolo, costituisce un modello esemplare per l’organizzazione dello spazio. Pianta e sezione da A. Gabriel.

Il portale monumentale della madrasa Ince Minareli di Konya (Turchia), costruita tra 1260 e 1265 dall’architetto Kölük bin Abdullah, esemplare per la monumentalità imponente, si distacca per la finezza e l’intensità della decorazione in pietra scolpita.

168

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 168

03/11/16 09:43


I SELGIUCHIDI: UNA «CROCIATA» TURCA

169

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 169

03/11/16 09:44


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

schee, madrase (scuole coraniche), mausolei o altro. Gli esempi sono numerosi da Niéde a Kayseri, da Konya a Sivas ed Erzerum, l’enfasi sugli alti portali rettangolari (l’ingresso vero e proprio è poi in genere risolto con una struttura conica concava a muqarnas) è sempre accompagnata da cornici con fasce successive (come nei tappeti, ma anche come nei mibrab) di minuti intrecci geometrici, talvolta palesemente ispirati da motivi a canestro. Certo non solamente disegni geometrici, che sono stati analizzati anche da un punto di vista matematico35, ma arabeschi e una serie di altorilievi, quasi delle sculture, di tipo più naturalistico (animali vari), un bel campionario dei quali è ospitato a Konya nel museo dell’Ince Minareli Madrasa. Si diceva del progressivo (e comunque innegabile) svilupparsi delle decorazioni sui portali degli edifici selgiuchidi: la ricchezza dell’ornato esterno di Divriéi è tale che una definizione di protorococò selgiuchide è tutt’altro che inadeguata, anche se va limitata alle sole decorazioni dei portali di accesso. Infatti la planimetria e i muri esterni del complesso sono molto regolari, solidi e compatti, senza alcuna concessione a giochi di profondità: l’aspetto esterno è imponente e dà l’impressione di uno spazio fortificato posto a difesa della cupola centrale con copertura a ombrello. I portali sono grandiosi: talvolta vi prevale la «tradizione» di geometrie e arabeschi ben legati fra loro (e si individuano anche influenze dei contemporanei tessuti), altre, come in quelli principali, la composizione è estremamente ricca con elementi quasi a rilievo. Il materiale impiegato è sempre

Sulla parete d’ingresso della moschea di Alaeddin a Konya, pietra e marmo creano un’elaborata decorazione bitonale che influenzerà diverse esperienze architettoniche, fino alla Siria. È la più antica moschea selgiuchide costruita in Anatolia, XII secolo.

Dettaglio della decorazione con motivi geometrici e floreali del pulpito in legno della moschea Esrefoflu, esempio della magistrale abilità dell’artigiano Isa, che ha firmato la propria opera. Beysehir, Turchia.

170

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 170

03/11/16 09:44


I SELGIUCHIDI: UNA «CROCIATA» TURCA

171

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 171

03/11/16 09:44


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

la pietra (in una calda tonalità di nocciola rosato), ma l’idea è quella che gli artisti si siano ispirati alla decorazione in stucco, anticipando quello stile a «nido d’ape» che sarà caratteristico della quasi contemporanea epoca ilkhanide (ancora una invasione proveniente da Oriente…) in Iran. Per contrasto gli interni sono quasi spogli, salvo il gioco della giustapposizione delle pietre come nella stupenda volta dell’ospedale, nella quale è disegnata una perfetta spirale che richiama quella che emerge dalla fontana al centro dell’ambiente principale. L’architettura selgiuchide è una grande architettura; non si possono non citare la madrasa Ince Minareli di Konya36 (1260-1265) (con i suoi splendidi «nastri» epigrafici che ornano il portale con una concezione artistica originale e perfettamente risolta), a Sivas la madrasa Chifte Minareli37 (1271) (uno schema pressoché perfetto nel quale spicca la proporzione della muqarnas conica) e nella stessa città la Gök madrasa38 (fine XIII secolo) con un portale sontuoso e gli angoli dell’edificio (come è caratteristico nelle strutture fortificate) impreziositi da colonne aggettanti decorate con fitte semipalmette a rilievo (un effetto scultoreo ben riuscito che, di nuovo, richiama gli stucchi ma anche i velluti controtagliati o broccati), e, infine, – ma gli esempi potrebbero continuare –, la madrasa Chifte Minareli di Erzerum (XIII secolo) che presenta, all’esterno, una coppia di splendide palme con un crescente lunare sul tronco e due teste di serpente (corpo annodato e lingua biforcuta), queste nella medesima posizione delle fioriture alla base delle croci del khatchk’ar.

La commistione di influenze caratteristica di un’epoca di ricchi scambi culturali ritorna negli smalti che decorano questo secchiello; nel medaglione centrale è raffigurata l’ascensione di Alessandro, sul bordo corre un’iscrizione in arabo col nome del sovrano artugide Rukn ad-Daula Dawud (1108-1145). Museo Ferdinandeum, Innsbruck.

L’aquila bicipite e la coppia di leoni tra arabeschi dipinti su questo leggio per Corano sono motivi iconografici che hanno riscontro nella decorazione architettonica e nei legni intagliati. Proveniente dalla loggia dei dervisci. Mevlevi, Museo di Konya.

172

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 172

03/11/16 09:44


I SELGIUCHIDI: UNA «CROCIATA» TURCA

173

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 173

03/11/16 09:44


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

174

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 174

03/11/16 09:44


I SELGIUCHIDI: UNA «CROCIATA» TURCA

175

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 175

03/11/16 09:44


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Non che gli ornati a geometria variabile (torna sempre buona la definizione di arte o effetto caleidoscopico) siano estranei all’architettura cristiana (e spesso sono tipologicamente vicini agli esempi musulmani), proprio nelle medesime posizioni, cioè sui portali, a conferma – se ancora ce ne fosse bisogno – di un integrarsi fra civiltà strette parenti fra loro. È probabile che l’uso insistito della geometria sia di filiazione musulmana39: per esempio il portale della chiesa di Noravank’40 (XIII-XIV secolo) ha il Cristo scolpito sulla lunetta, ma entro cornici di arabeschi e «piastrelle» in pietra geometriche (stelle ottagonali). Una decorazione geometrica molto simile a quella reperibile sui minbar lignei selgiuchidi41 è nel gavit di Haichavank’ (XIII secolo) e nella chiesa Nord di Nor Varagvank’ (XII-XIII secolo)42. L’intreccio che orna il portale della chiesa di Kirac’vank43 (XIII-XIV secolo) è assolutamente compatibile con qualsiasi struttura architettonica musulmana. Lo spazio sacro veniva delimitato da un tappeto44, e dunque la Vergine con il Bambino di alcune lunette armene45 siede su un tappeto annodato; l’esempio di Noravank’ è assolutamente straordinario perché col consueto sfondo arabescato si intrecciano lettere armene a comporre un’iscrizione. A epoca selgiuchide sono attribuiti alcuni tappeti trovati nella moschea Alaeddin di Konya (oggi al Museo di Arte Turca e Islamica di Istanbul) e presumibilmente coevi con la fondazione dell’edificio. I disegni, rigorosamente geometrici con schemi ripetuti all’infinito, sono piuttosto semplici e traducono in tessile le ben più ardue realizzazioni architettoniche alle quali sono comunque legati. Il gul (rosa, fiore, ma anche emblema tribale) ripetuto nel campo ci riporta alla matrice d’Asia Centrale, mentre le pseudoiscrizioni cufiche sui bordi suggeriscono contesti molto dinamici46. Abbiamo già accennato, trattando di decorazioni architettoniche, alla singolare massiccia incidenza del motivo del serpente posto sui portali47, un uso che in ambiente sismico ha forte valenza protettiva (le rappresentazioni sono sempre all’esterno! per esempio il battente della porta della moschea di Cizre oggi a Copenhagen)48 e che può essere preso a emblema del sincretismo anche simbolico (i Selgiuchidi adottano il calendario turco-mongolico di origine cinese con gli animali)49, con diffusione in tutta l’Anatolia, la Jazira e propaggini fino a Baghdad con lo stupefacente rilievo (distrutto nel 1917) della Porta del Talismano (1225) nel quale un personaggio assiso a gambe incrociate controlla (tenendoli con le mani per la lingua biforcuta) due bellissimi draghi alati dal sinuoso corpo annodato. È un’iconografia che rimanda al frontespizio di un celebre manoscritto (Kitab al-Diryak, «Libro della Teriaca o degli Antidoti», Mossul 1119)50 che, sebbene in stile persiano, presenta un sostrato iconografico con echi bizantini. Al centro di un cerchio formato dal corpo di due serpenti intrecciati è seduto il sovrano (o l’emiro), circondato da attendenti e con in mano il crescente lunare, mentre ai quattro angoli stanno figure angeliche. Benché molto più tardo, il frontespizio di un manoscritto di Hariri51 riprende lo stile del manoscritto di Mossul: un sovrano assiso sul trono con attendenti a lui vicini ha alle spalle due angeli che reggono una sciarpa (convenzione per il tendaggio di tradizione bizantina), mentre in basso vi è un suonatore e ai piedi del sovrano un acrobata contorsionista. L’acrobazia è presente anche in un oggetto unico per lavorazione e iconografia attribuibile a epoca artuqide52 conservato presso il Ferdinandeum di Innsbruck53. Si tratta di una bacinella metallica con smalti policromi decorata su entrambi i lati con medaglioni circolari e una iscrizione corsiva araba col nome del sovrano artuchide Rukn ad-Daula Abu Sulaiman Daud Ibn Artuq (regnò fra il 1114 circa e il 1144). Di

Nella doppia pagina precedente: Signore di Mossul era Badr ad-Din Lu‘lu, titolo onorifico che significa secondo alcuni «luna piena» e secondo altri «crescente lunare». Questo celebre frontespizio ritrarrebbe il sovrano (atabeg o governatore) seduto a gambe incrociate con in mano un crescente lunare. Il medaglione centrale è formato dalle spire incrociate di due esseri serpentiformi annodati, con le teste affrontate. Negli spazi di risulta figure angeliche – dai tratti asiatici ma dalle posture occidentali – e attendenti. La splendida policromia e la fantasia della rappresentazione suggeriscono che a dipingere quest’opera sia stato un grande maestro. Libro della Teriaca o degli antidoti (Kitab al-Diryaq), Mossul 1119. Parigi, Biblioteca Nazionale, Arabe 2964 f. 37.

Il tema del frontespizio delle Maqamat (Adunanze) di al-Hariri raffigurato sulla destra è quello classico del sovrano su trono con la coppa di vino. Vivacissimo è il contorno con musici e, ai piedi del sultano, un acrobata. In alto due figure angeliche sostengono un drappo (contrazione della tenda) secondo una convenzione artistica bizantina e, prima ancora, classica. Gli abbigliamenti sontuosi dei personaggi e la ricca cornice arabescata sono trattati con vivacità. I volti, con occhi allungati, piccola bocca e naso appena accennato sono ormai molto diversi da quelli più pronunciati di appena un secolo prima: l’ideale di bellezza è centroasiatico. Vienna, Biblioteca Nazionale, AF 9 f. 1r, 1334.

176

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 176

03/11/16 09:44


I SELGIUCHIDI: UNA «CROCIATA» TURCA

manifattura georgiana o costantinopolitana, presenta nel medaglione centrale la scena dell’ascensione di Alessandro (analoga a quella scolpita su un fianco della basilica di San Marco a Venezia), e negli altri sei medaglioni più piccoli, combattimenti fra animali alternati ad altri, fra loro molto simili, con aquile araldiche54. Sul retro manca il medaglione centrale e gli altri mostrano combattimenti fra animali, un Pegaso, suonatori e, forse, lottatori. Negli spazi di risulta troviamo palme alternate a figure di danzatrici e un vivacissimo gruppo di acrobati; sul retro ancora tre palme alternate a danzatrici. Questo eccezionale reperto è di per se stesso la celebrazione di un’epoca nella quale gli scambi culturali rappresentavano la regola piuttosto che l’eccezione. Un bellissimo piatto d’argento inciso e sbalzato, casualmente ritrovato a Muzi (piccola città alla foce del fiume Ob) nella Siberia settentrionale, per certi versi e per

Due lunette in bassorilievo del gavit e della chiesa di San Giovanni Battista a Noravank’, Armenia, raffigurano rispettivamente la Madre di Dio con il bambino e Cristo tra gli apostoli; il soggetto cristiano è trattato nel contesto di una decorazione architettonica di tipo islamico.

così dire chiude il cerchio del nostro percorso. Databile al 1208 o alla seconda metà del Duecento55, presenta al centro un’altra rappresentazione dell’ascensione di Alessandro in argento sbalzato, mentre intorno, incisi, sono dieci medaglioni con raffigurazioni astrologiche (il sole, la luna e Giove – ma potrebbe essere anche la stella personale di Alessandro –) nei medaglioni superiori, e l’oceano e la terra in quelli inferiori. Inoltre medaglioni con Bellerofonte sul Pegaso e re David, oltre a episodi bellici. Iconografia indubbiamente bizantina ma con prestiti da Oriente e Occidente, a dimostrazione – insieme ad altri ritrovamenti nel bacino dell’Ob di oggetti con specifiche caratteristiche siriane, iraniche, centroasiatiche e anche europee – che i nomadi delle steppe sono stati protagonisti importanti nell’elaborazione e diffusione della cultura artistica degli anni delle crociate.

177

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 177

03/11/16 09:44


178

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 178

03/11/16 09:44


L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO Giovanni Curatola

Certamente uno dei periodi più interessanti e fecondi nella storia dell’arte islamica è stato quello del dominio mamelucco su Siria ed Egitto (1250-1517). Infatti, temporalmente e culturalmente, tale epoca ha corrisposto al passaggio dal mondo medievale a quello moderno, rappresentato nell’Islàm dalla presa turca di Costantinopoli (29 maggio 1453), necessaria premessa allo sviluppo del più grande e variegato dei tre imperi islamici del Cinquecento, quello ottomano, coevo dei Safavidi in Iran e dei Moghul in India. Ma la vicenda mamelucca – interamente mediterranea – che è possibile seguire attraverso i monumenti architettonici (soprattutto al Cairo che essenzialmente è oggi definibile anche città mamelucca) e le non poche opere d’arte, costituisce un fenomeno importante per continuità storica e stilistica, una sorta di età campione dello sviluppo musulmano, in grado di fornire un paradigma cognitivo validissimo anche se applicato, cum grano salis, ad altre realtà.

I caratteri innovativi del periodo mamelucco

Cupola del complesso religioso e funerario fatto erigere da sultan al-Ashraf Barsbay, Il Cairo, 1437. Del complesso facevano parte, oltre alla moschea, l’edificio destinato alla residenza dei sufi (khanqah) e il mausoleo del sultano.

Un brevissimo cenno storico servirà egregiamente allo scopo di illustrare le peculiarità dell’esperienza siro-egiziana e a rammentare le premesse da cui il nostro argomentare trae fondamento. Va detto subito che il continuare a scrivere di Siria ed Egitto – trattati unitariamente e senza una netta divisione – pur nella prevalenza accordata al secondo in questo saggio, corrisponde perfettamente allo stato attuale delle ricerche archeologiche e degli studi storici artistici, fotografando quello che è il livello delle conoscenze. Infatti, pur se fra mille distinguo e tentativi di analisi, finora gli studiosi sono sostanzialmente d’accordo almeno su un dato: l’impossibilità di separare una produzione siriana da una egiziana. Questa circostanza, che non va vista esclusivamente come un limite, emerge dall’unitarietà politica che per più di tre secoli – in questo arco di tempo va anche considerata la dinastia Ayyubide (11711250) per la quale valgono note similari –, ha caratterizzato la regione e che unita

179

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 179

03/11/16 09:44


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

a fattori interni al mondo islamico è responsabile di un sentire e fare omogeneo. La lingua araba – la lingua usata da Dio per trasmettere il Corano – è comune e così l’esperienza religiosa (comprese ampie e non isolate enclave cristiane); la mobilità all’interno e all’esterno del territorio (con esterno si intende soprattutto la possibilità d’incontro fornita dal precetto coranico dello Hajj, il pellegrinaggio rituale alla Mecca) garantiva il confronto, anche in virtù di comunicazioni terrestri facili e della notevole dinamica sociale che ha sempre dominato la società musulmana. Inoltre, a differenza di altre realtà islamiche, l’incidenza del nomadismo in quest’area è stata decisamente ridotta, per cui possiamo parlare a pieno titolo di una civiltà a cultura stanziale, con una decisa urbanizzazione; è cittadina l’arte islamica mamelucca, anche se da incontri e scontri diversi (pensiamo ai mongoli ilkhanidi, il potere concorrente più forte al momento dell’insediamento della dinastia, e più tardi alla scossa provocata da un Tamerlano…), trarrà impulsi e linfa vitale. Sono fattori molto importanti per capire l’arte che stiamo descrivendo. Un altro elemento decisivo in quest’esperienza è una sostanziale discontinuità con parte del passato. Vediamo perché. Fra il 968 e il 1169 la dinastia locale è quella Fatimide, dunque sciita, e anche se gli esiti artistici furono incredibilmente elevati (è questa, probabilmente, una delle età d’oro dell’arte islamica tout court, sulla quale si veda il volume a cura di R. Cassanelli, Il Mediterraneo e l’arte. Nel Medioevo, 2000), tale dominio, imposto da Occidente – il movimento nasce ad al-Mahdiyya, città della Tunisia che deve il proprio nome al fondatore della dinastia al-Mahdi ‘Ubayd Allah (nato nel 873 e regnante fra il 910-934), che violò una frontiera desertica considerata, non del tutto a torto in realtà, praticamente insuperabile –, non fu mai percepito come integrato al comune sentire delle popolazioni a maggioranza sunnita. Questo non è vero dappertutto; nello Yemen, per esempio, i sunniti Sulayhidi fornirono un sostegno deciso alla dinastia, controbilanciato dalla tiepida accoglienza in Siria ed Egitto. Se i Fatimidi resero di fatto indipendente la Sicilia ed ebbero buone relazioni con gli imperatori bizantini, furono assai defilati nei confronti dei crociati i quali ebbero opposizione assai più ferma dagli emiri turchi di Siria. Inoltre, e per finire, il potere califfale (autorità con sede a Baghdad ma ormai de facto solo nominale), fu molto indebolito durante tutto il periodo. Questo stato di cose diede origine a una reazione ferma e di segno opposto di fatto durissima: non è dunque un caso che a fronte di una notevole attività architettonica, comparativamente poche tracce ne rimangono per esempio al Cairo, con la straordinaria eccezione di qualche moschea fra cui spicca la al-Azhar (970) e con un unico mausoleo, quello di Yahya al-Shalih (1160). Furono dunque gli Ayyubidi a guidare una sorta di riscossa sunnita, e sebbene il periodo del loro dominio sia stato effettivamente breve (1171-1250), gettarono le basi del consolidamento successivo e furono vivacissimi sul piano militare e politico, grazie a personalità forti quali alMalik al-Nasir I Salah al-Din (Saladino), già formatosi presso la corte zanghide di Nur al-Din Muhammad Ibn ‘Imad al-Din (Norandino), entrambi resisi celebri e indimenticati protagonisti ed eroi nella guerra contro i crociati che li ebbero antagonisti, e che amplificandone le gesta li resero popolari anche in Europa. Un’istituzione fondamentale che si sviluppò per reazione all’insegnamento sciita che aveva il suo centro privilegiato in al-Azhar al Cairo, fu la madrasa. Gli Ayyubidi erano sunniti, s’è detto, e seguivano la scuola shafi’ita, una delle quattro istituzioni

180

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 180

03/11/16 09:44


L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO

giuridiche dell’Islàm così chiamata dal nome dell’Imam Abu ‘Abd Allah Muhammad al-Shafi’i (767-820), il cui mausoleo (1211) sorge nel cimitero meridionale del Cairo nei pressi di al-Fustat. Lo straordinario impulso dato alla madrasa (ovvero scuola coranica) come edificio costruito ex novo, corrisponde alla norma sunnita, seguita dagli Ayyubidi, per cui doveva esistere solo una moschea congregazionale nell’ambito di un determinato contesto urbano. Date queste premesse sorge spontanea una domanda: chi furono i mamelucchi? Il termine mamluk letteralmente significa «schiavo» e segnala l’origine etnica – turca – di queste genti provenienti dall’Asia Centrale e prevalentemente impiegate con compiti militari; una tradizione antica se pensiamo, ad esempio, che la prima dinastia indipendente d’Egitto fu fondata da Ahmad Ibn Tulun (nato nell’835 e regnante fra 868-884), anch’egli uno schiavo d’origine turca, ma nato a Samarra. Il periodo mamelucco viene tradizionalmente diviso in due parti, rispettivamente chiamate Bahri (1250-1390) e Burji (o Circassi, 1382-1517). I primi devono la loro denominazione al corpo di guardia del sultano ayyubide al-Salih Najm al-Din (morto nel 1249), che aveva il proprio campo nella località chiamata al-Bahriyya al-Salihiyya, ovvero «gli schiavi di al-Salih [acquartierati] presso il fiume [il Nilo]» da cui deriva il nome bahri, in arabo «mare» ma anche «grande fiume» e per eccellenza il Nilo. In sostanza un pronunciamento militare favorito dalla crisi provocata dalla crociata di san Luigi del 1249 e dall’invasione mongola della Siria di dieci anni dopo. Gli avvenimenti presero avvio dalla salita al trono di Shajar al-Dur (moglie di al-Salih; sì, una donna!) e la nomina di al-Mu’izz ‘Izz al-Din Aybak a capo dell’esercito. Il regno di Shajar fu brevissimo (otto giorni) perché il califfo obbligò la donna a sposare Aybak: matrimonio non proprio riuscito se Shajar uccise il marito nel 1257, senza risolvere il problema, tant’è che pochi giorni dopo fu assassinata dalle concubine del marito. In ogni caso, come spesso avviene nella storia a tutte le latitudini, il duro lavoro compiuto in un’epoca precedente (ayyubide), andò a tutto favore di una dinastia successiva: i mamelucchi. In questo lungo periodo di relativa pace furono capitalizzati ed espansi gli sforzi compiuti in precedenza, e l’epoca fu segnata da una prosperità non indifferente in cui i traffici e i commerci (anche con l’Occidente) ripresero vigore. In questo non va taciuta la straordinaria personalità di alcuni sovrani, a partire da Baybars I al-Bunduqdari (1260-1277), e molti altri, che garantirono uno standard di vita elevato alla popolazione, realizzando importanti imprese nel campo artistico, specialmente in architettura. L’intensa attività costruttiva è ben testimoniata dal centro storico del Cairo nel quale una serie importante di edifici illustra le capacità di trasformazione di cui si resero protagonisti i sovrani mamelucchi, in questo coadiuvati e favoriti da una tradizione artistica e artigianale di prim’ordine.

Architetture del primo periodo mamelucco Già con Shajar al-Dur inizia la «moda» di costruire un mausoleo annesso a un’istituzione religiosa principale (in realtà madrasa, moschea, o khanqah – termine composito di origine persiana che designa un edificio riservato a mistici musulmani, una sorta di monastero sede di una confraternita di dervisci); questo, naturalmente,

181

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 181

03/11/16 09:44


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

accresce il prestigio del personaggio coinvolto e in qualche maniera costituisce un’assicurazione sulla continuità dell’opera (non di rado parte di un waqf o fondazione pia), che viene «protetta» dall’essere contigua a un edificio il cui uso è appannaggio dell’intera comunità. I mausolei vengono quindi a essere, per tutto il periodo mamelucco, un elemento caratterizzante l’architettura, e comportano delle modificazioni planimetriche sensibili, poiché l’orientamento deve essere, o dovrebbe essere, in direzione di Mecca e l’edificio accessibile dall’esterno. Quando ciò non sarà possibile, la strada costituirà l’asse di riferimento principale: una conseguenza immediatamen-

Pianta del complesso fatto costruire al Cairo da sultan al-Mansur Qalawun, 1284-1285; lo compongono il mausoleo del sultano, la madrasa con la sala di preghiera e l’ospedale (maristán).

te percettibile è l’enorme varietà delle soluzioni adottate a livello di spazio impiegato (non sempre i vincoli urbanistici posti dalle proprietà preesistenti potevano essere aggirati), con variazioni piene di fantasia che costituiscono la croce e la delizia degli studiosi, sempre alla ricerca di criteri di sistematizzazione per categorie. Come è naturale che sia, l’esperienza mamelucca, per quanto originale e innovativa, non può e non vuole assolutamente rinnegare ciò che è stato in precedenza. Esaminando, per esempio, il caso della moschea del vizir al-Salih Tala’i (una delle poche sopravvissute dell’epoca Fatimide, datata al 1160), si osserva come nei muri esterni laterali si proceda con un andamento che alterna piani rientranti (con finestre in basso e finestre cieche ad arco acuto in alto) a lesene/pilastri aggettanti, una partitura che troverà nell’opera intitolata a sultan an-Nasir ad-Din al-Hasan (13561361) l’esempio più insigne e importante. L’uso del portale è anch’esso una reminiscenza del passato e vi prevale l’impiego della muqarnas (volta a stalattite o alveoli), che seppure non esclusivo è di gran lunga il più adoperato, con soluzioni tecniche di ottimo livello, dalla semplicità riscontrabile nella madrasa/mausoleo di Umm al-Sultan Sha‘ban (1368-1369), alla massa am-

182

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 182

03/11/16 09:44


L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO

plificata dei portali della madrasa/khanqah e del maristán (ospedale) di al-Mu’ayyad Sayf al-Din (rispettivamente 1416-1421 e 1418-1420), fino alla complessità piena di fantasia del portale del complesso religioso di uno dei più grandi sultani mamelucchi: al-Ashraf Sayf al-Din Qa’it Bay (1472-1474). I minareti subiscono un’evoluzione, ma mantengono il loro aspetto originale. K.A.C. Creswell, uno dei maggiori storici dell’architettura islamica, in particolare egiziana, ha definito la tipologia del minareto come a mabkhara (ovvero «incensiere», termine peraltro fuorviante giacché non si conoscono oggetti islamici di tale forma!), alludendo alla calotta terminale del minareto a forma di cupoletta (una specie di elmetto), costolata,

La cupola del mausoleo di sultan al-Mansur Qalawun.

sostenuta da un fusto rettangolare a sua volta sormontato da una forma solida a base ottagonale. Anche le cupole sono, inizialmente, rigorosamente costolate. Sempre a proposito di cupola va segnalato come quelle di due monumenti, segnatamente la madrasa dell’emiro Sarghitimish (1356) e quelle del mausoleo a doppia cupola di Sultaniyya (localizzato nel cimitero a sud della cittadella, si tratta di un monumento enigmatico di cui non conosciamo la data esatta – comunque intorno al 1360 – e i destinatari) presentino un doppio scafo, evidentemente d’influenza straniera e in particolare mongola, come dimostrano ampiamente i coevi e precedenti monumenti ilkhanidi dell’Iran. Tipologie, o meglio suggestioni, forestiere non sono estranee al repertorio mamelucco e ciò è conseguenza degli scontri (le cronache storiche e in particolare il testo di al-Maqrizi – attivo nell’epoca a cavallo fra Bahri e Burji, 1364-1442 – sono la fonte storica più importante e precisa del periodo) con i poteri rivali: da una parte i crociati e dall’altra i mongoli. Soprattutto questi ultimi furono responsabili di enormi devastazioni nelle regioni siriane e, dunque, dello spostamento di ingenti masse popolari (compresi gli artigiani) nelle più ospitali e protette terre d’Egitto.

183

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 183

03/11/16 09:44


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Il riflesso di ciò è palpabile nelle decorazioni interne degli edifici, nei quali lo stucco, ancora presente come reminiscenza di una influenza orientale selgiuchide, viene gradatamente sostituito da piccoli intarsi in marmi policromi che non disdegnano l’aggiunta della madreperla. Il caso più interessante, e clamoroso, è quello del complesso che reca il nome del sultano al-Mansur Sayf al-Din Qalawun (mausoleo/ madrasa e ospedale 1284-1285), recentemente ben restaurato a cura dell’Istituto Archeologico Tedesco del Cairo. Da una via, oggi affollatissima e centrale, una bella porta originale (col battente leonino coevo e una finestra con griglia in ferro attribuita da Creswell a manifattura crociata, francese) immette in un lungo corridoio che separa la madrasa (a sinistra) dal mausoleo, mentre le strutture ospedaliere sono quelle che hanno sofferto di più il trascorrere del tempo (anche se un soffitto ligneo – probabilmente fatimide – in fatiscente stato di conservazione e non protetto, oltre che praticamente sconosciuto, testimonia dell’importanza, già prima dell’insediamento mamelucco, dell’area). La facciata di Qalawun presenta una scansione di pilastri parallelepipedi aggettanti alternati a singole finestre al piano inferiore e bifore al registro superiore; forse il parallelo con l’architettura siciliana – nonostante i sicuri contatti – è azzardato, anche se le influenze non sono mai state univoche. Splendida è, comunque, la vigorosa banda iscritta in caratteri thuluth (si veda oltre) che localmente è conosciuta come tiraz, termine molto appropriato dedotto dal linguaggio tessile. La madrasa aveva una pianta a quattro iwan (e non di derivazione diretta iranica; Creswell ha dimostrato come questa tipologia si sviluppi più o meno autonomamente in Egitto), ancora intelligibile nonostante i restauri anche recenti (a tutto il 1999). L’iwan qibli (diretto verso la Mecca e con il mihrab coincidente con l’asse viario) funge da sala di preghiera, ed è introdotto, sulla corte (un tempo piacevolmente alberata) da tre arconi sovrapposti – d’indubbia ascendenza bizantina e, quindi, siriana – che corrispondono a tre navate. Il sapore siriano dell’ambiente è confermato dalla lunetta della nicchia del mihrab (questo, in realtà, decorato con marmi policromi tipicamente mamelucchi), ornato con un motivo di vasi fioriti eseguiti in mosaico di pasta vitrea. Ma è il mausoleo, senza dubbio, l’architettura più interessante, anche perché servì da modello per le opere successive. Lungo il corridoio si aprono due passaggi, uno a metà che introduce direttamente nella sala col cenotafio e uno all’estremità del medesimo che porta a una piccola corte, ancora una volta con influenze bizantine, e stucchi di grande personalità e ottima fattura. L’interno del mausoleo è un tripudio di forma e colore. Quattro pilastri e altrettante colonne creano un ottagono centrale in qualche modo reminescente della Cupola della Roccia a Gerusalemme, creando un deambulatorio intorno al cenotafio. Notevole è il paravento ligneo di protezione dell’ottagono, commissionato dal figlio di al-Qalawun, al-Nasir Muhammad, patrono di un complesso di grande rilevanza artistica contiguo a quello del padre. L’interno è decorato con, in basso, pannelli di marmi policromi (e inserzioni di madreperla) d’insuperata qualità e bellezza, forse, come ha suggerito M. Meinecke, di manifattura bizantina (del resto i rapporti di Qalawun con quell’impero possono solo essere definiti ottimi), particolare rivelato da affinità tecniche e stilistiche con le migliori produzioni costantinopolitane. Compaiono per la prima volta, al Cairo e in Egitto, pannelli epigrafici in cufico geometrico stilizzato che esaltano il nome di

184

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 184

03/11/16 09:44


L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO

Il minareto del complesso di sultan al-Mansur Qalawun e, a sinistra, quello di sultan al-Nasir, 1303 circa.

Muhammad, Maometto. Del pari notevolissimo è l’imponente mihrab, ovviamente anch’esso in asse con la strada, introdotto da una doppia serie di tre colonne e ornato con fine lavoro di marmi policromi. Completano l’insieme iscrizioni in marmo e anche in legno dorato, sempre di fattura pregevole. Anche ideologicamente questa pia fondazione ebbe una vita rimarchevole: al suo interno le quattro principali scuole giuridiche islamiche celebravano a turno i riti della legge. Numerosa è la serie di edifici che si susseguono al Cairo, ciascuno portando con equilibrio il suo carico di tradizione mitigata da novità. Abbiamo già accennato alla madrasa voluta dal figlio di al-Qalawun, il sultano al-Nasir Muhammad (1295-1303), ed è davvero difficile dimenticare qualcuna di queste prodigiose architetture, come la madrasa/khanqah (l’uso e la planimetria delle due istituzioni spesso si confonde fino a sovrapporsi), dell’emiro Sanjar al-Jawli (1303-1304), dalla sorprendente pianta con due mausolei paralleli e particolari decorativi, per esempio le porte/paravento in pietra a ornamentazione arabescata, d’indubbia originalità e grande qualità artistica. La khanqah/mausoleo di sultan Baybars al-Jashankir (jashankir in persiano significa «assaggiatore», l’ufficio ricoperto da Baybars prima di usurpare il trono di al-Nasir Muhammad), è la più antica struttura di questo genere che si sia conservata (1307-1310); ha una pianta a quattro iwan con annesso un grande mausoleo. La moschea di Altinbugha al-Maridani (1340) deve il suo nome a un alto dignitario («coppiere») di sultan al-Nasir Muhammad, e fu concepita dall’architetto in capo dell’impero: Mu’allim al-Suyufi. La pianta della sala di preghiera, ipostila, ci rammenta quanto persistenti sono stati, comunque, i caratteri dominanti dell’architettura islamica; colonne e capitelli – splendidi graniti – sono di recupero e quindi preislamici, mentre il minareto, per la prima volta, è interamente ottagonale nelle tre sezioni del fusto, marcate da coronamenti di muqarnas e desinente in una cupoletta

185

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 185

03/11/16 09:44


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

bulbosa che, d’ora in poi, diverrà caratteristica sostituendo il tipo mabkhara. Fra corte e sala di preghiera sopravvive uno schermo ligneo in parte iscritto (una mashrabiyya, struttura importante usata anche nell’architettura civile, sia come divisorio degli harem, sia come «gabbiotti» o finestre aggettanti all’esterno), ampiamente rimaneggiato, sebbene la posizione sia chiaramente originale. Del 1356-1361 è uno dei capolavori assoluti dell’architettura cairota e islamica in genere: la moschea di sultan an-Nasir ad-Din al-Hasan. La concezione del monumento può a ragione definirsi magniloquente già nella scelta del sito, ai piedi della cittadella, al posto di un palazzo demolito e vicino all’ippodromo e al mercato cittadino dei cavalli. Oggi l’imponenza è appena sbiadita dall’altrettanto massiccia sagoma della moschea Rifa’i (1869-1912), ma niente riesce a turbare la grandiosità dell’opera. Curiosa è la circostanza che sultan Hasan non sia stato un sovrano importante: raggiunto il trono da bambino nel 1347 il suo regno ebbe un’interruzione di tre anni (1351-1354) e si concluse tragicamente col suo assassinio nel 1361; il corpo non fu mai ritrovato e il più grande mausoleo del Cairo rimase vacante per circa un secolo! Il complesso fu madrasa e moschea, la prima scuola a raggiungere lo status di moschea congregazionale. Vi convivevano le quattro scuole giuridiche (Hanabila, Hanafiyya, Malikiyya, Shafi’iyya), ed era in grado di ospitare contemporaneamente ben quattrocento studenti. Il monumento, isolato, presenta tre facciate; la prima è quella del mausoleo, verso la cittadella, fiancheggiato da due minareti, e risulta abbastanza rimaneggiata da interventi di restauro. Il lato nord ospita il grandioso portale che segue una scansione tipicamente mamelucca di pieni e vuoti con ampie finestre; il portale rammenta abbastanza da vicino, come ha sottolineato M. Rogers in un suo magistrale articolo, la Gök madrasa a Sivas (1271-1272) in Anatolia. È altresì interessante notare come nel repertorio decorativo compaiano motivi estremo orientali floreali (loto e peonia), familiari nelle arti applicate (si veda infra), ma estranei all’architettura; è il clima complessivo che è responsabile di tali «intrusioni», peraltro risolte in piena armonia, se pensiamo che i bazar cairoti erano colmi di merci «esotiche», soprattutto porcellane e sete. Maqrizi, la nostra principale e più attendibile fonte storica, riporta come alla costruzione del complesso di sultan Hasan (il quale, per inciso, pareva intenzionato a rinunciare a una fabbrica così onerosa se non avesse avuto vergogna dell’ «opinione pubblica» una volta annunciato il progetto, e vedersi bollato come un sovrano non all’altezza...), abbiano partecipato «operai di tutto il mondo», e anche se non è ipotizzabile l’intervento di cinesi, artigiani anatolici hanno sicuramente dato il loro esemplare contributo, ciò che non va certo a detrimento dello spirito pienamente mamelucco della moschea. Il lato di gran lunga più interessante è certamente quello meridionale; nella parte adiacente al minareto si compie un miracolo di pulizia e modernità che non ha equivalenti in nessun’altra opera islamica in qualsivoglia latitudine e periodo. Grandi lesene separano sei file di otto registri di finestre, alternate fra più ampie e più piccole, con un andamento omogeneo paragonabile alla più elegante architettura razionalista contemporanea. Non si esagera nell’affermare che estraniandosi dal traffico caotico e dall’inquinamento acustico assordante (così tipicamente vicino-orientale), pare di essere davanti alla facciata di un palazzo nordamericano anni Cinquanta sulla Quinta Strada di New York!

186

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 186

03/11/16 09:44


L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO

Reso il doveroso omaggio alla genialità della soluzione esterna va considerato anche il magnifico interno, scompartito nella consueta divisione in quattro iwan, di cui quello qibli (che precede il mausoleo) sensibilmente più ampio (ma non più alto) degli altri tre: fu il primo a essere completato per potervi permettere la preghiera comunitaria. Gli spazi di risulta, in altre parole gli angoli, sono occupati dalle madrase, ciascuna con una piccola corte interna e tutte assai luminose (la più ampia è quella a destra dell’iwan qibli, dedicata al rito hanafita, quello prediletto dai sovrani mamelucchi, mentre sul lato sinistro vi è la shafi’ita, preferita dalla popolazione), e la parte dietro il portale di accesso (che ruota rispetto alla massa dell’edificio e forma con questo un ampio angolo acuto), è destinata a uso comunitario. Al centro della corte, circondata da mura altissime, che pure non provocano alcun senso claustrofobico, si erge una bella fontana per le abluzioni (1362), mentre la pavimentazione (moderna) è in marmo bianco, arricchita da porfidi e marmi policromi usati con profusione (si tratta, spesso, di colonne tagliate a fette). Il grande iwan è davvero notevole; Maqrizi sostiene che esso sia più grande perfino di quello celeberrimo sasanide di Ctesifonte (26 m di ampiezza e 29 di altezza!), ma sono le proporzioni a renderlo unico. Un’alta fascia iscritta in cufico su sfondo di arabeschi floreali è il principale motivo decorativo, certamente ispirato dalla contemporanea arte calligrafica coranica. Il mihrab denuncia influenze crociate e indubbiamente siriane; una bella immagine di questa sala e della sua suggestione è nell’opera del pittore orientalista francese Jean-Léon Gérôme (1824-1904). Al centro dell’iwan vi è una dikka (piattaforma sopraelevata da cui si salmodiava il Corano e che poteva essere vista anche dalla corte), marmorea, mentre l’illuminazione era garantita da splendide lampade in vetro smaltato (ora al Museo d’Arte Islamica del Cairo; v. oltre). Infine, vanno segnalate le porte che immettono nel mausoleo (quest’ultimo, posto dietro al mihrab, è in posizione inconsueta, decorato con belle iscrizioni sotto la cupola, originariamente in legno – del tipo di quella della fontana per le abluzioni – e poi rifatta), in particolare quella a destra del minbar (o pulpito) marmoreo: si tratta di un capolavoro della fusione in bronzo con ageminatura in argento e oro contenente motivi geometrici e floreali (ancora una volta con influenze cinesi) e i nomi e i titoli di sultan Hasan.

Innovazioni e continuità nel secondo periodo mamelucco (Burji) La seconda fase del potere mamelucco è conosciuta come periodo Burji (13821517); il termine esattamente significa «torre» poiché questo clan – costituito principalmente da circassi provenienti dal Caucaso, per cui furono chiamati anche Dawlat al-Jarkas, stato circasso – era acquartierato nelle torri della cittadella. Gli emiri – alti funzionari con compiti amministrativi – acquisirono via via maggiore potere e il loro controllo sulla corte divenne sempre più stretto. Ovviamente in molte circostanze troviamo una notevole continuità con il periodo precedente. Si sviluppano le piante degli edifici e prende vigore l’idea di un complesso multifunzionale (già lo era, in parte, sultan Hasan) di moschea/madrasa/khanqah, con l’esito, ben evidenziato da Doris Behrens Abouseif, che ogni moschea congregazionale (ne esiste più d’una) viene chiamata madrasa (anche se non vi si svolgeva un insegnamento curricolare)

187

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 187

03/11/16 09:44


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

e in ciascun edificio (moschea, madrasa o khanqah non importa) si svolgono rituali sufi, anche se i mistici non vivono più necessariamente in essi. A proposito di mistici è il momento in cui prende piede una particolare istituzione, privata, chiamata zawiya. Si tratta di una fondazione religiosa o confraternita (tariqa) guidata da quello che in termini moderni definiremmo un «santone» o shaykh che vi viveva all’interno e spesso, alla morte, vi veniva seppellito dando origine a un santuario. Questi personaggi furono di sovente assai venerati ed ebbero l’appoggio esplicito della corte e di qualche sultano, in modo tale che gli edifici furono ingranditi e abbelliti in varie forme; insomma il privilegio costruttivo non era più esclusivo appannaggio del sovrano e dei suoi emiri. La mancanza di spazi edificabili ha come conseguenza l’avvicinamento dell’architettura religiosa a quella civile (di cui in realtà sappiamo pochissimo), la cui conseguenza più evidente è l’assenza della corte. Le modificazioni più interessanti, ed evidenti, sono quelle che riguardano le cupole, non a livello di struttura, bensì di decorazione. La struttura sarà in pietra e poggerà, quasi immancabilmente, su un alto tamburo sfinestrato (bifore o trifore con sopra un oculo) sovrastato da una fascia con iscrizione (praticamente sempre in corsivo o stile thuluth) e quindi una cupola di tipo bulboso. In età ayyubide e in alcune architetture bahri le cupole sono lisce (per esempio nel complesso di al-Qalawun), mentre una prima evoluzione sarà una copertura costolata. La cupola della madrasa/mausoleo dell’emiro Iljay al-Yusufi (1373) e quella della moschea dell’emiro Aytimish al-Bajasi (di un decennio più tarda), iniziano a creare un movimento con il semplice artificio della rotazione ad andamento leggermente spiraliforme delle costolature. Questo accorgimento può essere stato desunto da una pratica analoga impiegata sulle colonne (e viene in mente il classico esempio di Apamea in Siria, comunque troppo distante temporalmente e culturalmente), ma anche dalle calotte degli elmi che, talvolta, presentano il medesimo andamento a spirale, non a costolatura ma strigilato. Le doppie cupole dei mausolei gemelli della Khanqah di al-Nasir Nasir al-Din Faraj Ibn Barquq (1400-1411), un edificio importante localizzato nell’attuale quartiere del cimitero settentrionale nei dintorni della al-Qahira fatimide, evolvono, presentando una costolatura a chevron sovrapposti, con un esito a zig zag paralleli dalla base fino alla sommità. Anche le zone angolari di transizione (gli altri quattro lati sono trapezoidali con trifore sormontate da tre oculi) sono piuttosto particolari, eseguite con una serie di larghi e bassi cilindri lisci che conferiscono un aspetto di estrema eleganza (quasi barocca) a una struttura nevralgica delle costruzioni, quasi mai risolta con questa semplicità. Per tutto il Quattrocento si assisterà alla letterale fioritura delle cupole. Per esempio le cupole dei mausolei fatti costruire dal grande sultano al-Ashraf Sayf al-Din Barsbay (1422-1437) presentano una decorazione basata su uno schema geometrico di complesse forme stellari disposte a ragnatela tutto intorno alla cupola. La difficoltà insita nell’adattare un disegno geometrico regolare (gli schemi in alcuni casi prevedono delle stelle a sette/dodici/otto punte a partire dalla sommità) alla superficie di una cupola, sono talmente evidenti, che a qualsiasi osservatore un minimo avvertito l’abilità degli architetti appare prodigiosa. La più alta concentrazione di tali monumenti è nel cimitero settentrionale che, a

188

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 188

03/11/16 09:44


L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO

partire dal già citato intervento di Faraj Ibn Barquq con la khanqah, viene a essere in un certo qual senso una zona di nuova urbanizzazione. In questa ottica sono importanti, e innovative, le opere di sultan Barsbay, come il complesso religioso funerario che fece costruire per se stesso (1432). La planimetria non riserva grandi sorprese, e la cupola offre un reticolato di stelle regolari campite da rosette a sei petali, una soluzione perfino leggiadra, quasi in contrasto con la massiccia e severa architettura degli esterni con ampie lisce partiture aggettanti alternate a finestre rettangolari in basso e arcuate in alto. Molto elegante è il mihrab, introdotto da due colonne ottagonali con l’interno della nicchia decorato in bicromia e un motivo con punte di freccia alternate nella direzione. La lunetta ha un disegno di zig zag, sempre bicromi, ed è incorniciato ad ablaq, un termine che designa strisce di blocchi di marmo di differente colore, una tecnica ormai molto evoluta le cui origini risalgono con certezza all’arte ayyubide siriana. Il punto di arrivo di questo processo si ha con le opere legate all’ultimo grande sovrano mamelucco: al-Ashraf Sayf al-Din Qa’it Bay, protagonista di un lungo (1468-1496), prospero e pacifico regno. A ciò c’è da aggiungere, poi, che il sovrano provava evidente diletto nel fondare istituzioni pie e dunque questa fase finale del regno mamelucco è di palese espansione e con essa giunge a completa maturazione una scuola architettonica di valore. Gli edifici fatti costruire da Qa’it Bay non sono monumentali nelle proporzioni, come una moschea di sultan Hasan per fare un esempio, ma paiono puntare, soprattutto, sull’equilibrio delle proporzioni e sulla raffinatezza degli ornati e dei particolari. Datato 1472-1474 è il complesso funerario del sultano, sempre localizzato nel cimitero settentrionale. Qui l’armonia che detta la regola del periodo, e vive una stagione aurea, è pienamente affermata. Infatti è una sorta di scrigno prezioso. I due elementi che emergono a una prima occhiata sono la cupola del mausoleo e il minareto. Impostata in modo tradizionale la cupola è un capolavoro nel suo genere; è accentuata la verticalità e curato con attenzione ogni settore: la trifora sormontata dai tradizionali tre oculi è incorniciata da una doppia cordonatura che nei triangoli di risulta laterali ospita due circonferenze legate con snodi al dispositivo lineare. Gli sguinci o raccordi angolari esterni sono piuttosto inclinati – data la verticalità – e assorbono la lezione di Faraj Ibn Barquq, pur essendo decorati con chevron. La griglia geometrica, partendo dal basso, sopra le finestrelle arcuate a tutto tondo e la consueta banda iscritta, si compone di una mezza stella a dieci punte, di una stella, pienamente visibile, a nove vertici e di un coronamento che gira attorno alla sommità con sedici angoli o punte. La novità consiste nel fatto che questa «rete» geometrica appare come sovrapposta a un dispositivo (o griglia sottostante) di motivi arabescati floreali, anch’essi formanti una stella a nove punte al centro della «sorella» geometrica. Detto così può apparire complicato (e in effetti sul piano del disegno e della messa in opera lo è stato di sicuro!), ma l’esito è tutt’altro che pesante pur essendo estremamente ricco. Per esempio la cupola della moschea dell’emiro Janin al-Bahlawan (1478-1510) riprenderà uno schema floreale (la cui origine, nel caso specifico, sembra essere tessile), con losanghe romboidali alternate, campite con arabeschi. Anche il minareto del complesso di Qa’it Bay è degno di nota. La base è un corto

189

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 189

03/11/16 09:44


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

parallelepipedo (con una porta che immette sulle coperture della moschea) con una rastrematura angolare triangolare che trasforma immediatamente il dispositivo in ottagonale con finestrelle sui quattro lati e finestrelle cieche sui rimanenti, marcate da soprarchi e separate da doppie colonnine fino all’impostazione di un primo balconcino, sostenuto dalla classica struttura di muqarnas aggettanti. Il fusto prosegue con andamento cilindrico e decorazione di cordonatura geometrica fino a un nuovo balconcino, sempre retto da muqarnas, su cui stanno otto colonnine che reggono la cupoletta terminale assai bulbosa. L’interno della moschea non tradisce le aspettative dell’esterno; il portale, molto alto e slanciato, è piuttosto originale come abbiamo già segnalato, e il dispositivo si organizza su due iwan e due spazi rettangolari rientranti, una planimetria certamente derivata dal qa’a: grande ambiente atto al ricevimento, tipico dell’architettura civile. Il pavimento è in marmo con decorazioni policrome (oggi coperte, purtroppo da uno strato di moquette) e i soffitti lignei – ampiamente restaurati ma non rifatti – offrono un bel repertorio di forme floreali. In particolare la lanterna ottagonale lignea superiore (visibile anche all’esterno) interamente finestrata in modo da offrire un taglio completo di luce e dare l’impressione di una copertura come staccata e ap-

0

10

20

30

40 m.

pesa al cielo, è un compendio di decorazione mamelucca se non, tout court, islamica. Il disegno è ottagonale (uno dei preferiti dalla Cupola della Roccia di Gerusalemme in poi) e l’insieme è sostenuto da una «corona» di muqarnas lignea; al centro sempre una stella, ovviamente ottagonale regolare, con un cerchio (iscritto in thuluth con versi coranici), quindi tutte intorno altre otto stelle a otto punte regolari (legate fra loro da uno schema di intrecci geometrici) con al centro una circonferenza con campiture floreali arabescate alternate fra loro. Le campiture sono tutte ad arabeschi. Così le tre opzioni a disposizione del decoratore islamico (epigrafia, geometria, arabesco) sono mirabilmente fuse in un unico motivo. È il pendant interno della cupola del mausoleo. Almeno un altro monumento commissionato da Qa’it Bay va segnalato: è il sabil-quttab (è la combinazione di due istituzioni caritative differenti: il sabil è una fontana pubblica, e ve ne sono moltissime costruite al Cairo, generalmente avendone

Pianta della madrasa di sultan Hasan, 1356-1363; l’iwan più grande, sulla sinistra, è quello della moschea; dietro di esso, il mausoleo.

190

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 190

03/11/16 09:44


L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO

Veduta esterna del mausoleo di sultan Hasan, a sinistra nella foto.

ciascun complesso una; il quttab è una piccola scuola coranica per bambini, spesso orfani), costruito ai piedi della cittadella nel 1479. Il recente restauro (ma l’inquinamento è rapido nel creare patine!) ha restituito al Cairo un edificio di grande sontuosità, dove i giochi di ablaq del portale trilobo, le inserzioni di marmi colorati, le epigrafie esaltanti i nomi e i titoli del sultano, sono perfettamente leggibili e di grande suggestione. Non abbiamo scritto di architettura civile: poco ne resta: qualche palazzo, qualche loggiato e strutture non di grande rilevanza. I quartieri e i palazzi residenziali mamelucchi nella cittadella che domina lo spazio urbano furono distrutti dal viceré d’Egitto Muhammad ‘Ali Pasha a metà Ottocento, per far posto a una moschea in stile ottomano intitolata a suo nome (gli studiosi al seguito di Napoleone descrivono questi edifici, sebbene fatiscenti, come le più impressionanti architetture del Cairo; trincee archeologiche dimostrano che la spianata e le strutture sono state riempite

191

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 191

03/11/16 09:44


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

La facciata meridionale della madrasa di sultan Hasan, caratterizzata da una decorazione architettonica dalla modernità assoluta. L’imponente cupola del mausoleo del complesso di sultan Qa’it Bay, 1472-74, nel cimitero settentrionale del Cairo.

con almeno dieci metri di detriti e pietrisco). La moschea più kitsch di tutta Cairo, forse la più brutta, indubbiamente la più frequentata e amata dai turisti i quali nella profusione di stucchi dorati e marmi, ritrovano quella dimensione di lusso ed esotismo vagheggiato, che sono il frutto avvelenato donato dall’Occidente all’Oriente.

Le arti decorative In un così lungo periodo di dominio e pacificazione quale quello mamelucco (1250-1517) è solo naturale trovare una grande massa di oggetti prodotti dai principali laboratori siriani ed egiziani; non è poi privo d’interesse segnalare che date le buone relazioni diplomatiche e commerciali intrattenute dai mamelucchi – spesso ancora designati dalle nostre parti col termine «saraceno» (etimologicamente derivante dall’arabo sharqi, in altre parole «orientale») e, dunque, nella sua vaghezza, in fondo, abbastanza appropriato – col mondo occidentale, sono molte le opere mamelucche presenti nelle collezioni europee, per esempio in Italia e Francia, che devono essere giunte assai per tempo. Materiali molto importanti, ma purtroppo non facilmente documentabili data la loro deperibilità, sono stati i tessuti. Non solo le sete e i broccati preziosi che tesaurizzati hanno finito per arricchire i tesori delle cattedrali ed essere impiegati per scopi ecclesiastici (casule, pianete etc.), ma anche prodotti meno raffinati che tuttavia sappiamo essere stati scambiati massicciamente. Del resto la tradizione della qualità ottima del cotone e del lino egiziani si basa su una capacità produttiva notevole (i

192

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 192

03/11/16 09:44


L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO

Il cortile della madrasa di sultan Hasan, sulla quale si aprono gli iwan, con al centro la fontana. L’iwan maggiore della madrasa di sultan Hasan, nel quale è collocata la sala di preghiera.

due raccolti regalati dal Nilo), e la tecnica poco dispendiosa – ma rapida ed efficace – delle opere stampate con blocchi lignei mobili, permetteva sicuri risultati con un investimento relativamente basso. Questo accanto al sempre attivo tiraz: manifattura sultaniale posta sotto il diretto controllo della corte con un emiro preposto al suo funzionamento; un vocabolo, tiraz, che designa anche una tipologia di stoffa (con iscrizione) e un abito, dove la banda iscritta cade sul braccio all’altezza dell’omero. L’epigrafia è dunque una delle forme principali di decorazione di questi tessili, spesso confinata in bande all’inizio e alla fine delle pezze (magari con motivi geometrici e/o floreali ripetuti), con termini generici reiterati e frasi bene augurali: «Gloria e sublimità», oppure sentenze moraleggianti: «La pazienza è benedetta dal successo e ogni azione ricompensata». La più importante collezione di reperti è al museo islamico del Cairo. Anche le botteghe attive nella fabbricazione dei metalli saranno importanti e rinomate; il fiorentino Simone Sigoli compie nel 1384 un viaggio a Santa Caterina al Monte Sinai e quando visita Damasco e i suoi negozi non può che entusiasmarsi; ascoltiamolo: «Ancora vi si fa grande quantità di bacini e mescirobe d’ottone, e propriamente paiono d’oro, e poi nei detti bacini e mescirobe vi si fanno figure e fogliami e altri lavorii sottili in ariento ch’è bellissima cosa a vedere». Anche la cronaca, coeva, di Giorgio Gucci – già in affari nel settore dell’abbigliamento (?!) – è parimenti positiva, raccontando di «drappi di seta, panni di bambagia, tele line, lavorio d’oro e d’ariento, di rame, d’ottone [...] e di tutte ragioni di vetro». Osservando la splendida ciotola del Bargello a Firenze (di manifattura siriana e databile alla fine del Duecento o inizi del Trecento), ben si comprende cosa intendes-

193

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 193

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

194

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 194

03/11/16 09:45


L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO

La grande sala di preghiera del complesso di sultan Qa’it Bay, dal lato opposto a quello del mihrab. L’impianto per il rifornimento d’acqua ai viandanti e agli abitanti (Sabil) e, al terzo piano, una scuola per l’istruzione primaria e l’apprendimento del Corano (Kuttab), edificio indipendente fatto costruire nel 1479 da sultan Qa’it Bay.

195

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 195

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

sero i nostri viaggiatori che pure venivano da terre non insensibili all’arte. Non tanto la preziosità del materiale (la base è quasi sempre ottone o bronzo), ma la capacità della lavorazione con incrostazioni in argento e oro. La ciotola con parete rastremata è interamente ornata sia sulla parete – un ampio registro con medaglioni circolari con anatre (simbolo di devozione) alternati a fasce iscritte – sia sul fondo con 19 medaglioni anch’essi circolari. Al centro vi è il sole, legato ai sei medaglioni con i pianeti a loro volta connessi con i dodici segni zodiacali. È un’opera estremamente elaborata (stilisticamente vicina al più celebre «Battistero di san Luigi», al Louvre, pezzo firmato dal maestro Muhammad Ibn al-Zayn), in cui l’influenza ayyubide è ancora presente, come dimostra anche l’interno con una serie di pesci (anch’essi ageminati in argento) disposti radialmente attorno a una rosetta. La descrizione dei pianeti e dei segni astrologici è quasi miniaturistica e la tematica non è affatto estranea al repertorio metallistico medievale islamico fatto su committenza principesca. Un bruciaprofumi sferico a due valve in ottone ageminato in argento ora al British Museum reca un’iscrizione col nome di un emiro mamelucco (Badr al-Din Baysari) che morì incarcerato nel 1298; di esecuzione damascena (1264-1279) reca dei tondi con uno stemma regale ma non araldico di aquila bicipite. Due bruciaprofumi traforati analoghi nella morfologia erano nelle collezioni medicee fiorentine e sono oggi vanto del locale Museo Nazionale (Bargello), raggruppati in una vetrina con altri oggetti in metallo provenienti dalle collezioni granducali e documentati archivisticamente già nel Cinquecento. Ancora in Italia, a Bologna, presso il Museo Civico Medievale, è una brocca in ottone battuto e incrostato in argento risalente al periodo di regno di Qalawun (1279-1290) e quindi appartenente al medesimo gruppo di oggetti rammentato sopra. Anche in questo caso si tratta di un oggetto opulento, caratterizzato da una decorazione scompartita in fasce orizzontali in cui si alternano medaglioni e rappresentazioni figurate con bande epigrafiche a contenuto elogiativo ma anche col nome del committente, l’emiro «Sua eccellenza Turuntay al-Tabakhi» capo dei wazir («ministri») di Qalawun, ahilui fatto giustiziare dal figlio e successore del sultano. Nei quattro medaglioni circolari sono rappresentati cavalieri che danno sfoggio della loro abilità: il gioco del polo, la caccia col falco, il tiro con l’arco e l’uccisione di un animale feroce, una sorta di concorso ippico completo ante litteram (solo l’aristocrazia militare poteva montare un cavallo). Via via che si affermerà il potere mamelucco col suo carico ideologico in qualche modo improntato alla restaurazione di una specie di «ortodossia», gli aspetti artistici dominanti si trasformeranno, come è dato vedere in un raro secchiello in ottone fuso conservato a Treviso (Museo Diocesano) nel quale si conserva parte dell’originale incrostazione nei due metalli nobili. Non ci sono più raffigurazioni umane nei quattro medaglioni alternati a vigorose fasce (bordate, sopra e sotto, da rosettine a sei petali e arabeschi correnti), iscritte in stile thuluth (in questa tipologia grafica le aste hanno una verticalità accentuata e il rapporto è definito come 1:3, ovvero l’altezza della lettera, in genere astata, è tre volte il suo sviluppo orizzontale), bensì due peonie (l’influenza cinese diffusa dai mongoli a partire dal Duecento è responsabile del rinnovarsi del repertorio) e due

Ciotola in ottone incrostato in oro e argento, riccamente decorata su tutta la superficie esterna e su parte dell’interna, seconda metà XIII-inizio XIV secolo. Proveniente dalla Siria è conservata al Museo Nazionale del Bargello a Firenze.

Bacile in ottone inciso e incrostato con pasta nera; la decorazione è disposta in fasce orizzontali, quella centrale è di carattere epigrafico. Seconda metà del XV secolo, Galleria Regionale della Sicilia, Palermo.

196

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 196

03/11/16 09:45


L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO

Brocca con versatoio in ottone incrostato in argento; si alternano fasce con decorazione epigrafica e con decorazione figurativa. Museo Civico di Bologna.

aquile ad ali spiegate sorprese nell’atto di attaccare altrettante anatre. Un’altra grande brocca (h. cm 52,6) al Bargello in ottone battuto e incrostato in argento – eseguita probabilmente in Egitto per il sultano Rasulide dello Yemen (al-Malik al-Afdal Dirgham al-Din al-Abbas, 1363-1377) – esemplifica egregiamente il sentire del nuovo stile. Sempre scompartita in più fasce con prevalenza di quelle epigrafiche (da notare l’uso del cufico ad aste intrecciate e di un vigorosissimo e ampio thuluth sulla spalla della brocca), l’esigenza di astrazione è appena sbiadita da medaglioni con fiori di peonia e arabeschi, assolutamente in linea con l’osservanza sunnita, aliena da suggestioni naturalistiche. Più o meno quel che capita a una brocchetta del British Museum (fine del XIV secolo) che col pezzo fiorentino ha non pochi raffronti e che la studiosa R. Ward classifica – a causa dei minuti girali floreali – come influenzata dai motivi tessili estremo orientali. Al Cairo (già nella raccolta Harari) si conserva una lampada in metallo in cui l’epigrafia è praticamente l’unico elemento esornativo impiegato. Accanto a tali opere, eseguite per una committenza alta, esistono molti altri oggetti – tipici dell’ultima fase del potere mamelucco – eseguiti in rame, talvolta stagnato, che sono di buona fattura, pur se intesi per un diverso mercato. Un bacino in ottone a Palermo (Galleria Regionale della Sicilia), con lavorazione incisa e incrostato non più in metallo ma con pasta nera (una sostanza bituminosa atta a far risaltare la naturale lucentezza del metallo), documenta la moda seguita ai tempi di Qa’it Bay nel secondo Quattrocento. Fasce orizzontali con intrecci di arabeschi e nodi senza fine stanno sopra e sotto una banda centrale più ampia con epigrafie in thuluth, riquadri a campitura geometrica e uno stemma araldico (si veda anche infra) composito – fazzoletto, due coppe, scatola portapenne, due corni per la polvere da sparo (?) – che si trova anche in altri oggetti non datati ma attribuibili a funzionari mamelucchi di rango elevato. L’iscrizione principale, nella traduzione di S. Carboni, suona così: «Uno [degli oggetti] prodotti per [sua] eccellenza [il funzionario] più nobile, eminente, elevato, padronale, / grande principe, soccorritore, preservatore, possessore, ben servito, signorile, padronale, magnanimo del sultano [...]». La brigandine o giacca da parata in velluto rosso con borchie in ottone (forse dorato) e l’interno in due strati di lino trapuntato con lanetta, è iscritta sulle maniche (tiraz) e sul collo rialzato, col nome del sultano al-Malik al-Zahir Abu Sa‘id Jaqmaq (1438-1453), ed è l’unico pezzo di epoca mamelucca sopravvissuto, impreziosito ulteriormente dalla datazione certa. Altrettanto interessante è l’ascia in acciaio (erano speciali e apprezzatissimi gli acciai di Damasco) ageminata in oro e iscritta col nome di Qa’it Bay; altre due asce mamelucche oggi allo Historisches Museum di Dresda – inventario del 1606 – «sono state inviate dal duca di Firenze per mezzo di Heinrich van Hagen», a riprova del fatto che la città toscana, e i suoi signori, dovevano intrattenere ottimi rapporti con l’Oriente Vicino. È azzardato ipotizzare che un Lorenzo de’ Medici quando celebrava le sue mascherate e feste all’insegna del «chi vuol esser lieto sia...» si presentasse in piazza su un destriero di sangue arabo, vestito con la smagliante brigandine da parata e armato con la sua scintillante ascia? Un altro materiale in cui si produssero opere magnifiche durante buona parte dell’epoca mamelucca fu il vetro. La tecnica impiegata fu quella del vetro prima soffiato e poi smaltato; è ormai circostanza assodata che i vetrai veneziani, meglio

197

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 197

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

muranesi, appresero le medesime tecniche alla fine del XIII secolo, anche se la superiorità mamelucca – almeno finché durò la fabbricazione, cioè fino al 1400 circa – è indiscutibile. Anche l’arte vetraria subirà le medesime mutazioni di gusto intervenute verso la fine del Trecento nella metallistica e che abbiamo commentato prima: a opere vicine al sentire ayyubide, con raffigurazioni umane, si sostituiscono motivi arabescati, grandi iscrizioni in thuluth oppure in corsivo, stemmi araldici. La tecnica, piuttosto complessa soprattutto nella fase di smaltatura eseguita in una muffola (gli smalti fondono a temperature diverse a seconda del colore e un’eccessiva temperatura rischia di deformare l’opera rifondendola), era perfettamente padroneggiata dagli artigiani (conosciamo solo un maestro vetraio: ‘Ali Ibn Muhammad al-Rammaki, siriano), che produssero oggetti di forme molto diverse: lampade da moschea, bottiglie, bicchieri, vasi, bacili e altro. La tipologia più rappresentata nelle collezioni museali (soprattutto al Cairo) è quella della lampada – sarebbe più corretto definirle lanterne in assenza di un serbatoio per l’olio – eseguita per una moschea o altro edificio a uso religioso. Si tratta, indubbiamente, di una produzione artigianale ma seriale (centinaia e centinaia di pezzi), almeno per quel che riguarda la forma (piede strombato, reminiscenza di un doppio uso: appoggiato o sospeso mediante anelli; corpo globulare e collo ad ampia svasatura), mentre la decorazione era applicata in un secondo tempo e, pur con ovvie analogie stilistiche, poteva essere variata a seconda della committenza. Molto spesso – anche se non si tratta di un precetto – l’iscrizione sui pezzi destinati a uso religioso è fatta con il versetto coranico detto ayat al-nur (della luce; XXIV,35), o, come nella lampada del Bargello di Firenze un’altra citazione coranica (II,255). Il pezzo citato fu eseguito per la khanqah di Tughaytimur (1343-1347), emiro di Qalawun e segretario (l’ufficio era quello di dawadar) con ben tre sultani prima di cadere in disgrazia ed essere assassinato durante un esilio siriano. È l’iscrizione encomiastica a darci i titoli e a spiegare l’emblema araldico tripartito (una coppa rossa su sfondo bianco al centro, un portapenne nel campo superiore e una banda monocroma in basso); gli stemmi non erano ereditari ma corrispondevano alla funzione esercitata al momento. Questa degli stemmi, o blasoni, o scudi, o insegne è una caratteristica importante dell’arte mamelucca, studiata approfonditamente in numerosi saggi da L.A. Mayer, la massima autorità scientifica del settore. In effetti sia nell’architettura sia nelle arti applicate (per esempio nella ceramica, per cui si veda infra) uno dei «segni» privilegiati fu proprio questo, spesso esplicitato dalle iscrizioni. Molti uffici amministrativi avevano il loro emblema: il coppiere (saqi) con una coppa, il segretario (dawadar, un portacalami), il jashankir («assaggiatore», un tavolo tondo), e inoltre il guardarobiere (un fazzoletto e cioè un rombetto), il mazziere o capo militare (una scimitarra), il palafreniere responsabile delle scuderie (due bastoni del gioco del polo), l’armiere (due corni per polvere da sparo). È significativo notare come anche nella pittura veneziana si trovi rappresentata tale moda come documentato in uno studio di J. Raby (Venice, Dürer and the Oriental Mode); lo stemma raffigurato non è sempre il medesimo: Mansueti raffigura lo stemma dell’epoca di Qa’it Bay nelle Scene dalla vita di san Marco (Venezia, Accademia) e una sua variante nel San Marco battezza Aniano (Milano, Brera) e nel San Marco guarisce Aniano (Venezia, Accademia): in questo caso dietro il trono del sultano, questi essendo riconoscibile dal particolarissimo tipo di copricapo. In versione semplificata e poco visibile è comunque presente nella Predica di san Marco ad Alessandria del Bellini

Lanterna in vetro decorato, destinata a un edificio di carattere religioso. In alto è raffigurato l’emblema del committente, Tughaytimur, segretario di stato (dawadar) di al-Malik al-Salih. L’oggetto, prodotto tra il 1343 e il 1347 probabilmente per una fondazione religiosa (khanqah) da lui promossa, si trova nel Museo Nazionale del Bargello a Firenze.

198

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 198

03/11/16 09:45


L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO

Giara in terracotta invetriata dipinta in nero e blu. Victoria and Albert Museum, Londra.

(Milano, Brera). Il caso più clamoroso è forse quello del dipinto di anonimo (talvolta attribuito a Vittore Belliniano) conservato al Louvre e intitolato Ricevimento degli ambasciatori; la scena, ambientata con notevole precisione a Damasco di cui si riconosce la Grande moschea degli Omayyadi, ha qualche incongruenza – il sultano sul divan, all’esterno (!) con due funzionari seduti sul medesimo scranno (!) – ma lo stemma vi è ripetuto con esattezza ben otto volte. Sempre legata agli stemmi araldici (un bellissimo stemma mamelucco in lana è conservato al Metropolitan di New York), vi è un’altra curiosa vicenda sulla quale vale la pena spendere qualche parola. Si tratta del gioco delle carte: già nella seconda metà del Trecento si introdusse questo gioco in Italia: «Anno 1379 fu recato a Viterbo el gioco delle carti, che venne de saracinia e chiamasi tra loro Naib» (Giovanni di Iuzzo di Covelluzzo), primogenitura contestata da una Provvigione Fiorentina del 23 marzo 1376, ove ugualmente si parla di naibi. Ora, indubbiamente, gli indizi di una derivazione orientale (in particolare mamelucca dove la tradizione era consolidata) sono forti; per esempio le attuali carte da gioco piacentine (le più diffuse) hanno il seme delle spade nel quale l’asso è una scimitarra (arma esclusivamente islamica), e la coppa straordinariamente simile a quella degli stemmi mamelucchi. Gli ori sono semplicemente dirham, la moneta d’oro usata in Egitto. Completamente travisati sono i bastoni che nella cultura occidentale non hanno riferimenti, rappresentando certamente le mazze del gioco del polo (gli inglesi lo hanno importato molto più tardi dall’Afghanistan o dall’India). Quanto questi stemmi fossero popolari è dimostrato dai frammenti di un tappeto – ovviamente mamelucco – conservato a Firenze e parte del lascito di U. Bardini (un frammento angolare del medesimo tappeto è attualmente al Textile Museum di Washington), con un classico disegno a più colori – rosso, avorio, giallo, rosa, verdastro, blu pallido, marrone – dai fitti motivi geometrici. I tappeti sono un altro capitolo importante dell’arte di questo periodo. Se ne conoscono numerosi esemplari (anche eccentrici nella forma: i circolari sono di enorme complessità tecnica) e di vari formati, come quello, estremamente grande (circa 10 x 4 m) che chi scrive ha avuto la fortuna di «scoprire» orsono vent’anni presso l’Arciconfraternita di San Rocco a Venezia, e che i documenti provano essere stato acquistato nel 1541 per la visita di «Imbassadori over altri signori alla Visitation...», oppure di molta più modesta grandezza. Tecnicamente costituiscono un gruppo a parte (interamente in lana – unica eccezione un superbo esemplare in seta custodito a Vienna –, sono annodati con nodo asimmetrico e generalmente hanno una paletta di soli tre colori: rosso, verde chiaro e azzurro pallido), e si distinguono per una decorazione molto fitta dominata da un medaglione ottagonale centrale (il cosiddetto tappeto Simonetti al Metropolitan di New York ha ben 5 medaglioni, ma su una lunghezza di ben 896 cm), certamente eseguito seguendo un cartone (con disegno di uno a uno). Una delle difficoltà maggiori nella lavorazione consiste nel diverso spessore dei nodi, in orizzontale e in verticale, per cui per ottenere figure regolari non è sufficiente eseguire lo stesso numero di nodi (poniamo 4 su ciascun lato per fare un quadratino), ma si devono inserire dei correttivi; il rapporto fra chi disegnava lo schema e l’artigiano doveva dunque essere molto stretto. Questi tappeti hanno avuto immensa fortuna anche in Europa dove venivano importati via Venezia che deteneva una sorta di monopolio (in mano ebraica) su tale traffico: il potente cardinale Wolsey, Lord Cancelliere di Enrico VIII,

199

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 199

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

innesta una intensa trattativa diplomatica con la Serenissima (la vicenda, più volte citata dallo scrivente, dura due anni, dal giugno 1518 all’ottobre 1520), al fine di ottenere una sessantina di tappeti della tipologia predetta che, infine, ottiene. I tappeti, anche molto grandi, costituiscono il naturale pendant delle architetture religiose; nonostante i pavimenti in marmo, dovevano essere questi caldi manufatti a ospitare i fedeli; è facile immaginare che la lanterna ottagonale della già ricordata moschea di Qa’it Bay avesse come contrappunto a terra uno di questi magnifici tappeti. E, da ultimo, accenniamo al fatto che i più gloriosi tappeti ottomani derivano anche da qui: a uno schema geometrico ripetuto si sostituirà nel Cinquecento (non a caso dopo il sacco di Tabriz in Persia nel 1514 e la caduta del Cairo del 1517), un disegno centralizzato con medaglione centrale e quarti del medesimo agli angoli. Con un editto di Murad III (1565) artigiani egiziani furono forzati a trasferirsi in Turchia (probabilmente a Bursa), con tanto di lane già colorate, a riprova del fatto che al Cairo la produzione in stile mamelucco continuò abbastanza a lungo, e ciò nonostante le fonti storiche egiziane, ovviamente di parte, abbiano esagerato nel descrivere le distruzioni patite dal paese sotto il giogo ottomano. Durante i quasi tre secoli di dominio mamelucco, ovviamente, non mancò una produzione fittile, ma in questo caso il materiale, sebbene quantitativamente rilevante, non sembra essere raffinato come ad esempio la metallistica o vetraria. In molti casi è difficile discernere tra fabbricazione egiziana e siriana (entrambe le regioni vantavano una tradizione di tutto rispetto), almeno a giudicare dai frammenti recuperati negli scavi archeologici in Siria (soprattutto a Hama e Damasco) e in Egitto (in particolare Fustat, ma pure Alessandria). La classe più particolare e riconoscibile (esclusivamente mamelucca) e anche comune, è una ceramica con corpo in terracotta rossa ingobbiata di bianco e sgraffiata, e quindi coperta da una pesante invetriatura, spesso monocroma gialla, marrone o verde. La forma, coppa su alto piede strombato, rammenta quella rappresentata nell’araldica, ed è molto simile a quella della ceramica bizantina, in particolar modo alla produzione cipriota. La decorazione imita i metalli – e probabilmente fu fatta per emiri di rango inferiore, mentre gli ufficiali superiori avevano accesso alla toreutica – e dunque presenta motivi epigrafici nel vigoroso corsivo dell’epoca e i consueti stemmi araldici. Non è una ceramica di qualità, nonostante l’aspetto molto brillante dell’invetriatura, e francamente stona abbastanza se paragonata ad altre arti (come la calligrafia, per esempio). Una spiegazione potrebbe essere l’altissimo numero di porcellane cinesi importate (soprattutto della dinastia Ming, 1368-1644), come si desume dai reperti degli scavi archeologici, che possono avere agito come un freno allo svilupparsi di una fabbricazione locale di qualità, dal momento che tecnologicamente la porcellana era inimitabile e inarrivabile per colore, traslucenza, sottigliezza e solidità. Non solo porcellane, in ogni caso, ma anche i céladon prodotti in migliaia di pezzi e avidamente raccolti (si veda la collezione dei sultani ottomani al Topkapi), che furono ripresi con una invetriatura grigio/verde oliva.

Pannello con mattonelle in terracotta invetriata dipinte in blu, nero e verde. Provenienti dalla Siria o dall’Egitto, di età mamelucca, sono conservate al Victoria and Albert Museum di Londra.

Particolare di un tappeto mamelucco con l’emblema di un emiro del sultano al-Ashraf Qa’it Bay. Ritrovato in diciassette pezzi, il tappeto è conservato nella Galleria di Palazzo Mozzi Bardini, Firenze.

200

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 200

03/11/16 09:45


L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO

201

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 201

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Una conferma è data dalle imitazioni (nel caso di un celebre piatto scavato a Hama più che d’imitazione è il caso di parlare di copia!) dei blu e bianchi e dalla comparsa massiccia dell’ornato alla cinese (nastri, fiori di peonia e di loto) sulle mattonelle esagonali, una moda questa – del rivestimento parietale a piastrelle – che accomuna la Turchia e anche l’Iran, la Siria e l’Egitto e pare avere un punto di riferimento fisso nella città di Tabriz (la nisba, cioè «provenienza» – il nostro «da Vinci» – al-Tawrizi). Anche a costo di allargare troppo il campo ricordiamo qui l’albarello blu e bianco col giglio fiorentino oggi al Musée des Arts Décoratifs di Parigi, che potrebbe essere uno dei tre «alberegli domaschini» appartenuti a Piero il Vecchio de’ Medici secondo un inventario del 1463 pubblicato da M. Spallanzani. Cosa plausibilissima, anche stilisticamente, perché lo scudo col giglio sembra «applicato» su una decorazione dotata di autonomia propria. Cina, dunque. Nel XIII e XIV secolo si hanno forme come coppe (su piede ad anello alto e strombato), giare, albarelli, tazze con manici, con corpo bianco e ingobbio sempre bianco, decorate sotto invetriatura nei colori verde, nero, turchese e blu, con motivi radiali (sei, otto o più raggi) arabescati. La prevalenza netta è del blu e del nero su fondo bianco. I blu e bianchi sono caratterizzati dalle firme, o più probabilmente marchi, di artisti o botteghe. Il più prolifico pare essere stato tal Ghaibi (con consueta nisba al-Tawrizi, cioè tabrizeno), ma si ricordano anche al-Shami (damasceno), al-Misri (cairota), al-Hormuzi (da Hormuz), tutte denominazioni non necessariamente nominative ma che potevano alludere a uno stile, una bottega, una moda. Giarette in blu e bianco ornate con grandi animali (per esempio cavalli), trovate in stato frammentario a Fustat, segnalano un’influenza ilkhanide o dei mongoli dell’Orda d’Oro. Non mancano i lustri – l’invenzione peculiare dei ceramisti islamici – prodotti esclusivamente in Siria (ma si trovano anche frammenti d’importazione spagnola e maioliche italiane, queste ultime non a lustro metallico), e indubbiamente fatti su committenza della corte. Un gran numero di questi oggetti sono stati acquistati in Sicilia, come un bellissimo vaso con iscrizioni e uccelli in volo, proveniente da Trapani, dove fu acquistato nel 1888, e ora conservato al Victoria and Albert Museum di Londra. L’attività ceramica è per sua natura una di quelle che non si interrompe mai del tutto, perché risponde a una delle esigenze essenziali dell’uomo (come il cibo, l’abbigliamento, la religione), e dunque ceramiche furono sicuramente prodotte anche per tutto il Quattrocento, ma è indubbio che il sacco timuride di Damasco (1401), inferse un duro colpo all’attività ceramistica d’arte, esattamente come a quella vetraria. Le officine e botteghe che avevano standard artistici di eccellenza e capacità produttive industriali furono annientate e gli operatori superstiti dovettero ricominciare l’attività dal nulla senza poter più contare su un circuito materiale virtuoso ben collaudato e portato ai vertici dall’affinamento del gusto che solo un ambiente con una profonda conoscenza e cultura della propria tradizione poteva garantire. L’ultimo grande capitolo da affrontare in questa panoramica dell’arte mamelucca è quello relativo alle arti del libro e dunque ai materiali cartacei. I sultani mamelucchi (con la sola eccezione del penultimo fra questi, al-Ashraf Qansuh al-Ghawri), non furono interessati al patrocinio di opere miniate, e questo aspetto dell’arte che altrove (Iraq, Iran, Asia Centrale) proprio in epoca coeva ebbe una fioritura a dir poco interessante, resta decisamente nell’ombra sia in Siria che in Egitto. Si produssero testi a carattere scientifico, opere abbastanza ripetitive come due celebri testi, gli Automata di al-Jaziri e le Maqamat («Assemblee») di al-Hariri. Anche il Khalila wa Dimna – un testo originaria-

202

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 202

03/11/16 09:45


L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO

mente indiano con favole di animali a contenuto morale edificante, una specie di Fedro o Esopo – nella versione araba di Ibn al-Muqaffa‘ ha una discreta fortuna, ma niente di più. Un genere praticato – e tipicamente mamelucco – fu quello della Furusuyyia («arte del cavalcare»), testi che ben si adattavano alla struttura sociale del regno nel quale le origini della dinastia erano sempre presenti e il prestigio marziale tenuto in gran conto. Se si registra una certa indifferenza per l’arte della miniatura non si può sostenere altrettanto nei confronti della copiatura del Corano, vera e propria gloria dell’arte mamelucca assieme all’architettura. Ciò ha una spiegazione. La dinastia, s’è detto, era formata soprattutto da soldati, stranieri, spesso appena convertiti, insomma dei parvenu, nuovi ricchi, che attraverso l’opera più sublime e ricompensata nell’aldilà per l’uomo, appunto la copia di un Corano, ottenevano attraverso il Libro Sacro una sorta di legittimazione religiosa. Le commissioni attraverso i waqf erano registrate e furono conservate all’interno delle istituzioni religiose preposte fino al XIX secolo quando sono confluite nella Biblioteca Nazionale del Cairo, che oggi conserva la più impressionante collezione del genere. Altre opere importanti sono nella Kütüphanesi (Libreria) del Topkapi, portatevi dagli Ottomani dopo la conquista; non vi si registrano opere sottratte da moschee o altri edifici religiosi che furono integralmente rispettati dai nuovi dominatori. Collezioni notevoli sono anche quella della Chester Beatty Library di Dublino (studiata a fondo da D. James) e la British Library. In Italia un buon livello è quello della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia. Copiare un Corano era letteralmente un’impresa che coinvolgeva più competenze trattandosi di un lavoro di gruppo con il calligrafo, il decoratore (che si dedicava ai frontespizi, ai titoli delle sure, alla fine dei versetti, ovviamente sempre a contatto di gomito con il copista) e infine con il rilegatore. La misura standard dei Corani era in trenta (!) volumi e le loro dimensioni assolutamente ragguardevoli, fino a un metro di altezza. Il più famoso e controverso Corano in trenta volumi fu forse eseguito nel 1313 per al-Malik al-Nasir Muhammad (Biblioteca Nazionale, Cairo), anche se non si può escludere che sia invece stato fatto per il sovrano mongolo di Persia Oljaitu (1304-1317), convertitosi all’Islàm e patrono, fra l’altro, di uno dei più splendidi mausolei in Iran, a Sultaniyya. Almeno tre circostanze importanti puntano in direzione di una manifattura ilkhanide: il nome del copista, ‘Abdallah Ibn Muhammad Ibn Hamadani (cioè di Hamadan, la gloriosa Ecbatana), il titolo onorifico di «Nasir al-Dunya wa’l-Din Ghiyath alDunya wa’l-Din» mai usato dai sultani mamelucchi e, infine, un elogio dei dodici Imam sciiti (Oljaitu, pare, che in un primo tempo si fosse avvicinato allo sciismo e che il mausoleo di Sultaniyya fosse appunto stato concepito per ospitarvi le spoglie degli Imam). Questo vero e proprio monumento all’arte calligrafica islamica è plausibile sia giunto in Egitto come dono di Abu Sa‘id (successore di Oljaitu) che sottoscrisse un trattato di pace con i mamelucchi nel 1323. In ogni caso il suo impatto sugli esemplari successivi fu enorme. Il maggior concentrato di abilità fu riservato ai frontespizi, in genere con decorazione radiante dal centro con stella a dodici o sedici punte contornate da poligoni. Le campiture sono arabescate e floreali (qui compaiono per la prima volta i motivi cinesi: loti e peonie), con sfondi in oro zecchino e dipinte in blu intenso, rosso, bianco e nero. Si tratta di disegni complessi che, a opinione della studiosa E. Atil, rappresentano dei microcosmi astrologici destinati a riflettere la superiore armonia del creato. Anche i calligrafi davano il meglio di loro stessi. Lo stile cufico era piuttosto ridotto e usato per le intestazioni al pari del thuluth, mentre il testo veniva composto in muhaqqaq («scritto meticolosamente») o nel più ridotto rihani (letteralmente «basilico», con lette-

203

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 203

03/11/16 09:45


A GRANDE ARTE ISLAMICA DEL EDITERRANEO GRANDE ARTE ISLAMICA DEL MM EDITERRANEO LLE ALGRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

204 204 204

islam-204-231.indd 204 ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 204 ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 204

25/10/1608:53 08:51 25/10/16 03/11/16 09:45


L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO

Doppia pagina di Corano del 1306-15, Chester Beatty Library, Dublino, n. 1479 f. 1r-2v.

Pagina di Corano del 1306-10, Chester Beatty Library, Dublino, n. 1457 f. 293v.

re minute e molto aggraziate). Pochi copisti – relativamente al numero di esemplari eseguiti – scrivono il loro nome e ancor meno decoratori. Pure le rilegature sono di grande qualità: in genere in pelle o cuoio, che venivano incisi e successivamente dorati, riprendono i motivi impiegati nel frontespizio col disegno radiale originato da una stella, oppure da una figura geometrica piana (esagono e ottagono), o più semplicemente seguono uno schema di motivi geometrici ripetuti, questi eseguiti con appositi punzoni metallici. Una tipologia che ha incontrato una discreta fortuna è stata quella a filigrana. Il disegno veniva intagliato nel cuoio, quindi inciso e dorato, per poi essere adagiato su una superficie sottostante, spesso una seta monocroma. A conclusione di questo excursus attraverso l’arte mamelucca, soprattutto cairota, si può serenamente affermare come questa sia stata un’epoca importante dell’esperienza artistica islamica, uno di quei periodi nei quali circostanze politiche ed economiche hanno permesso l’elaborazione e la piena affermazione di uno stile facile da riconoscere, non solo in architettura, ma anche nelle arti decorative. La tradizione artistica e artigianale fatimide, in parte sopita ma mai probabilmente scomparsa con gli Ayyubidi, fornisce il sostrato indispensabile su cui si innestano gli apporti stranieri (cinesi mediati attraverso la Persia ed europei attraverso i crociati), tutti leggibili in un contesto che in ogni caso non è affatto privo di originalità.

205

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 205

03/11/16 09:45


206

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 206

03/11/16 09:45


L’ARTE ISLAMICA OCCIDENTALE AGLI ALBORI DEL RINASCIMENTO EUROPEO. NASRIDI E MERINIDI José Miguel Puerta Vílchez

Quando nell’Europa delle cattedrali le forme straordinarie del gotico mutano la fisionomia dei borghi e si riordinano la struttura economica, la pratica delle corporazioni, i rapporti di potere e le loro espressioni simboliche, nell’Occidente islamico ha inizio una rinascita dell’architettura e delle arti, circoscritta, è vero, nell’arco dei secoli XIII-XV, e nello spazio ai territori dei modesti e instabili regni nasride di Granada e merinide di Fez. Entrambi i momenti di apogeo rappresentano, come ha osservato la storiografia posteriore, il canto del cigno dell’arte islamica medievale, o, per essere più precisi, dell’arte araba islamica classica. Perciò essi rivestono un’importanza capitale per la storia dell’arte del Mare Nostrum. In questo periodo si ricreano i concetti e le tecniche di una ricchissima tradizione radicata nelle arti medio-orientali antica, grecoromana, bizantina e asiatica, che viene incessantemente vagliata e rielaborata negli stati islamici che si susseguono in al-Andalus, fino a formare il meraviglioso universo artistico nasride, con la figura luminosa dell’Alhambra, che finirà per divenire un’immagine ideale e idealizzata di tutta un’estetica e una civiltà giunte al loro apice.

Origini dell’arte nasride

Il giardino del Partal, o patio de la acequia, del palazzo del Generalife di Granada, visto dal portico meridionale, 1273-1302.

L’arte nasride, così chiamata in riferimento alla famiglia dei Banu Nasr, che governò l’ultimo stato islamico di al-Andalus fino alla caduta di Granada nel 1492, si delinea nel corso del XIII secolo sviluppando un’architettura particolare con edifici come il palazzo di Abencerrajes, ormai franato, all’interno del recinto dell’Alhambra, la casa de los Girones e, soprattutto, la stanza reale di Santo Domingo, un’interessante torre-palazzo edificata nel cammino di ronda della muraglia occidentale dell’antico quartiere dei vasai di Granada, legata alla tradizione dei palazzi di campagna di epoca almohade, che si estendevano dalla Sabika e dal Nayd, a sud dell’Alhambra di Granada, fino al fiume Genil, e che le fonti arabe attribuiscono al governante almohade Abu Malik ‘Abd al-Wahid. Nella stanza reale di Santo Domingo si notano già le forme essenziali dell’architettura palatina nasride che, attraverso gli antecedenti citati e l’arte

207

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 207

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

califfale, affondano le loro radici nella storia dell’arte islamica e delle culture medio orientali preislamiche: combinazione di torre e palazzo, portico e giardino con getto d’acqua o cisterna; ubicazione, nell’asse centrale, della qubba o salone regio con pianta tripartita, che presenterà diverse modifiche nei successivi monumenti nasridi; uso di archi molto rialzati con dentellature, abbondanza di muqarnas, piastrellature con stuccature a fogliami e motivi a intreccio (lacería) sia sulle superfici invetriate che su lavori in gesso e sui tetti, oltre a uno sviluppo speciale dell’epigrafia, con programmi calligrafici sempre più ricchi e complessi. Tuttavia, sarà il fondatore stesso della dinastia nasride, Muhammad Ibn Yusuf Ibn Nasr Ibn al-Ahmar (1237-1273), a prendere la decisione più importante per il futuro politico, architettonico e artistico della Granada nasride all’inizio del suo regno, quando trasferì la sede reale dall’Albaicín alla collina della Sabika, dove iniziò a costruire la rocca (Alcazaba), con un magnifico panorama sulla città e sulla pianura, e tracciò il Canale Reale d’irrigazione (Acequia Real) per rifornire d’acqua i suoi edifici. Questo primo sultano nasride, Muhammad I – che adottò il laqab o soprannome di «Vincitore in nome di Dio» (al-Galib billah) e istituì il noto motto dinastico «Solo Dio è Vincitore» (Wa-la galiba illa Allah), che sarà impresso sui documenti ufficiali e riprodotto sui monumenti e sulle opere della casa regnante – con le sue costruzioni sulla Sabika dà inizio all’appropriazione di un nuovo spazio simbolico che con il passare del tempo si sarebbe trasformato in una variopinta città palatina, centro amministrativo della Granada nasride e cuore della sua utopia ideologica ed estetica.

La città palatina dell’Alhambra Fisionomia e funzioni militari. La rocca Gli edifici della fortezza dell’Alhambra, il cui nome «la rossa» designava, sin dalla fine del IX secolo qualche piccola costruzione militare ubicata sulla Sabika, orientano le forme militari del periodo almohade verso uno stile propriamente nasride, caratterizzato dalla maggiore elevazione e snellezza delle torri, ottenute grazie a un progressivo assottigliamento dei muri e a sistemi di copertura a volta più vari ed eleganti di quelli precedenti. Tale evoluzione costruttiva sembra avere una doppia motivazione, ovvero offrire una sensazione esteriore di maggior potere militare e incrementare l’abitabilità interna delle torri, come accade nella torre della Veglia (26,80 m di altezza), nella torre spezzata, e soprattutto, nella torre dell’Omaggio (26 m di altezza), il cui ultimo piano si trasforma in un’abitazione intorno a un piccolo patio centrale scoperto che, come ha suggerito Gómez-Moreno, poté servire come residenza al primo sultano nasride. L’Alcazaba dell’Alhambra, al centro della quale si estende il quartiere militare, è dotata di bagni, cisterna e scuderie al piano inferiore, ed è circondata da un grande barbacane e da mura doppie che le conferiscono un’evidente solidità e funzionalità difensiva. Nonostante ciò, il contesto specificamente militare dell’Alhambra dovette essere modificato dai discendenti di Ibn al-Ahmar, che, mentre edificavano nuove muraglie e palazzi sulla Sabika, ristrutturarono l’Alcazaba e vi aggiunsero edifici importanti, come per esempio la torre e la porta delle Armi, orientata in modo da

208

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 208

03/11/16 09:45


L’ARTE ISLAMICA OCCIDENTALE AGLI ALBORI DEL RINASCIMENTO EUROPEO. NASRIDI E MERINIDI

Mihrab dell’oratorio del Mexuar dell’Alhambra, 1354-1365. Lanterna della sala de las Camas del bagno reale dell’Alhambra, 1333-1354, con successivi restauri.

aprire un collegamento con l’Albaicín, che arricchiscono considerevolmente il suo tracciato primitivo. L’architettura difensiva del complesso dell’Alhambra è completata, nelle varie epoche, dalle grandi torri-porta della Giustizia, dei Sette Piani e dei Becchi con la porta del Borgo (Arrabal), oltre all’importante serie di torri-palazzo, tra cui spiccano quelle di Abu ’l-Hayyáy, di Comares, delle Dame, della Prigioniera e delle Infante, tutte collegate con muraglie, cammini di ronda, barbacani e altre torri minori come quelle del Cadí, su cui si fonda la poderosa dimensione militare degli spazi aulici dell’Alhambra. Il Generalife, il Partal e il Mexuar Alla morte di Ibn al-Ahmar, il suo successore, Muhammad II (1273-1302), il principale artefice del rinnovamento culturale del sultanato nasride, completa le opere dell’Alcazaba ed erige la tenuta reale del Generalife fuori dalle mura dell’Alhambra, la quale avrebbe subito in seguito notevoli modifiche, soprattutto all’epoca di Isma‘il I e Yusuf III, e più tardi a opera dei Re Cattolici. Nella tradizione degli orti e dei piccoli palazzi di campagna almohadi citati in precedenza, il Generalife fu un vero e proprio palazzo con qubba reale e giardino chiuso, o riya, solcato dall’Acequia Real, secondo la ben nota tipologia di giardino intimista di origine persiana, anche se più ricco e vario dal punto di vista ornamentale rispetto agli edifici almohadi precedenti. Muhammad II introdusse inoltre il visirato nel regno nasride per snellire l’amministrazione dello

209

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 209

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

stato, e il Diwan al-Insha’, o Ufficio di redazione, in cui si regolavano i rapporti fra i funzionari-poeti e la corte. Questi poeti avevano, fra i vari incarichi, il compito di comporre casside per il sultano, che erano fondamentalmente panegirici dedicati al monarca nelle celebrazioni ufficiali: festività religiose, nozze, nascite, circoncisione dei principi, viaggi, rassegne militari, ritorno di eserciti vittoriosi, cerimonie funebri, epitaffi delle tombe dei sultani e poemi da imprimere sui muri dei palazzi e sugli oggetti artistici della corte. Sotto la direzione del politico e letterato Ibn al-Akim di Ronda (1261-1309) ha inizio la grande saga di funzionari-poeti che domina il XIV secolo granadino, i quali comporranno casside da incidere nei vari palazzi dell’Alhambra: Ibn al-Yayyab (1274-1349), il suo discepolo Ibn al-Khatib (1313-1374), e l’alunno, e in seguito nemico di quest’ultimo, Ibn Zamrak (1333-ca. 1393), cui bisogna aggiungere il sultano Yusuf III (1376-1417) e il suo poeta aulico Ibn Furkun (ca. 1379/1380-s.XV). Anche se i membri dell’Ufficio di redazione producevano una poesia filomonarchica confezionata in modo artigianale, la loro opera è molto importante per il ritratto della vita e degli ideali di corte che essa offre e per lo sviluppo di tutto un sottogenere poetico destinato all’esaltazione degli edifici e al consolidamento dei segni del sultanato negli stessi monumenti e negli oggetti di lusso della corte. Con i loro poemi, essi conferiranno agli edifici e alle arti nasridi una dimensione letteraria senza uguali nell’arte islamica in quanto ad abbondanza, finezza e significato. Dopo l’assassinio di Muhammad II, il suo successore, Muhammad III (1232-1273), dette impulso definitivamente alla trasformazione dell’Alhambra in un ambiente di palazzo, edificando il Partal, la torre delle Dame e la grande moschea dell’Alhambra con i bagni attigui. Attraverso Ibn al-Khatib e altre fonti sappiamo che questa moschea era particolarmente bella e che fu costruita attorno al 1305 con tre navate di dimensioni moderate e materiale murario in mattone (Torres Balbás, 1945); è giunta fino a noi la sua bellissima lampada di bronzo con decorazione traforata di stuccature a fogliami, motto nasride e iscrizione commemorativa del 1305 conservata nel Museo Archeologico Nazionale. Muhammad III fece costruire anche un piccolo palazzo nel Nayd dotato di qubba, cisterna e fontana con leoni, a giudicare dai poemi di Ibn al-Yayyab e Ibn Zamrak che lo descrivono. Nasr (1309-1314) aggiunse alle opere dei suoi predecessori la torre di Abu ’l-Hayyay, mentre Isma‘il I (1314-1325) eresse quello che dovette essere un palazzo reale o un’area amministrativa fra il cosiddetto portico di Machuca e il Mexuar, così come i bagni di quello che sarebbe stato il palazzo di Comares; inoltre, per celebrare la sua vittoria del 1319 sui principi Pietro e Giovanni, realizzò un’importante ristrutturazione del Generalife ed eresse la tenuta di campagna reale dell’Alcázar Genil, situata nella Vega, la pianura, accanto all’eremo di San Sebastiano, l’unico ribát granadino di epoca musulmana conservato. Quando Yusuf I e Muhammad V intrapresero le loro grandi imprese architettoniche, l’Alhambra iniziò a trasformarsi di conseguenza in una cittadella palatina con caratteristiche ben consolidate: fortezza di dimensioni considerevoli, medina artigianale e di servizi legati alla corte, belle fortificazioni e palazzetti con patii centrali porticati attorno a una cisterna, logge con bifore raffinate che si affacciavano sul panorama della città, piccoli armadi a muro decorati con poemi e giare per l’acqua all’ingresso delle stanze auliche, decorazioni epigrafiche con il motto nasride accanto a legende votive, regali, e a brevi poemi di contenuto devoto, anche se, sotto Ismail I, Ibn al-Yayyab comincia a imprimere, nel Generalife, casside in onore dei palazzi e del sultano, con i

Particolare della facciata del palazzo di Comares, costruito nell’Alhambra dopo il 1369. Nella doppia pagina seguente: Cortile dei Mirti e torre di Comares, Alhambra. La torre fu costruita nel 1333-1364 e il patio dopo il 1369.

210

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 210

03/11/16 09:45


L’ARTE ISLAMICA OCCIDENTALE AGLI ALBORI DEL RINASCIMENTO EUROPEO. NASRIDI E MERINIDI

211

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 211

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

212

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 212

03/11/16 09:45


L’ARTE ISLAMICA OCCIDENTALE AGLI ALBORI DEL RINASCIMENTO EUROPEO. NASRIDI E MERINIDI

213

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 213

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

contenuti che vedremo riprodotti negli edifici nasridi successivi: idealizzazione della bellezza architettonica in termini di nuzialità, raffronti fra l’ornamentazione murale e i tessuti o il giardino, presentazione di tutta un’iconografia del sovrano, vittorioso, grande costruttore, munifico, ispirato e protetto da Dio, di lignaggio eccelso, luminoso e colmo di virtù.

Il cortile dei Leoni, successivo al 1363, Alhambra.

Il palazzo di Comares Nel regno di Yusuf I (1333-1354), concluso bruscamente dal suo assassinio, l’Alhambra, e l’architettura nasride in generale, entra nella sua fase di massimo splendore, non solo per il proliferare di edifici, ma soprattutto per la notoria monumentalità degli stessi, per il classicismo formale dei diversi elementi decorativi e costruttivi impiegati e per il loro profondo significato simbolico. Yusuf I costruisce le torri del Cadí e della Prigioniera, quest’ultima particolarmente interessante per la sua ornamentazione murale e per i poemi epigrafici di Ibn al-Yayyab incisi in essa, nei quali egli riprende la figurazione poetica dell’architettura, caratterizzando la fortificazione come una combinazione di edificio militare e palazzo, e facendo una descrizione interessante della decorazione con una terminologia tratta dalla retorica araba, in cui paragona

Dipinti di uno dei soffitti della sala dei Re dell’Alhambra. La pittura è stata realizzata verso il 1380 su un supporto di cuoio.

214

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 214

03/11/16 09:45


ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 215

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

espressamente le arti della parola alle arti visive della tradizione islamica. A Yusuf I si devono anche le torri monumentali delle Armi e della Giustizia (1348), con porte a gomito, la ristrutturazione dei bagni reali e l’aggiunta dell’oratorio del Partal. La sua opera più prodigiosa sono senza alcun dubbio la torre di Comares, che con i suoi 45 m di altezza è la più elevata dell’Alhambra, e l’imponente sala del trono ubicata al suo interno (11,30 m di lato e 18,20 di altezza). Spinto, com’è noto, da un proposito devoto, questo grande promotore del sapere, fondatore della madrasa Yusufiyya nel 1349 ed egli stesso compositore di poemi, si fece costruire una sala del trono ispirata alla descrizione dei sette cieli contenuta nella sura coranica del Potere divino (Corano, LXVII), che fu incisa integralmente nella trave di legno del tetto della sala, uno dei vertici della carpenteria araba islamica. Il dialogo di forme artistiche che percorre la sala è completato dal poema inciso nell’alcova centrale, di attribuzione ancora incerta, destinato a stabilire una precisa e grandiosa simbologia monarchica: il sovrano, come un sole splendente, è assiso in trono al centro delle costellazioni che circondano la sala quali figlie dell’eccelsa cupola celeste (al-qubba al-‘ulya), nel cui punto culminante si trova il trono divino, da cui emana la luce che discende dai sette cieli per illuminare il sultano. Costui, quale nuovo Cosroe nel suo iwan, è intronizzato sulla città sotto la protezione, ispirazione e guida divine provenienti da quel firmamento, evocato degnamente da un’opera d’intarsio incomparabile per la ricchezza e l’originalità dei suoi motivi geometrici, per la policromia basata su fonti escatologiche e sufiche e per la maestà delle dimensioni (le stelle maggiori del tetto misurano 2,5 m di diametro). Questo tipo di cupola, con la rappresentazione dei sette cieli, o sette livelli di ascesa al mondo superiore di altri simbolismi, suole accompagnare i riti d’intronizzazione reale o sacerdotale di numerose culture, soprattutto paleorientali, poiché colloca il sovrano in una posizione ideale intermedia fra i tre livelli cosmici: cielo, terra, averno; si stabilisce così un passaggio immaginario dal tempo storico e terreno corrispondente alla base quadrata della sala fino al tempo divino e atemporale nelle sfere superiori, rappresentate nel cupolino che corona il tetto quale riassunto del disegno geometrico e policromo di tutta la cupola. Queste reminiscenze mistiche manifestano, secondo Mircea Eliade, la nostalgia di «vivere in un Cosmo puro e santo, come era in principio, quando usciva dalle mani del Creatore», come afferma la sura coranica incisa nella sala di Comares, menzionata in precedenza, richiamando l’attenzione dello spettatore sull’universo e, in questo nuovo contesto, anche sul meraviglioso soffitto a cassettoni policromo, quale opera sublime e perfetta: «Benedetto colui che ha creato i sette cieli, uno sull’altro, perché tu veda che nell’opera creatrice dell’Abbondante in misericordia tutto è armonioso. Guardati attorno: scorgi tu fenditure? Guardati attorno altre due volte: lo sguardo tornerà a te smarrito e stanco» (Corano, LXVII). La decorazione a intreccio del tetto della sala di Comares cerca di riprodurre con esattezza tale ordine cosmico, ma la simmetria delle stelle che la compongono si dissolve nelle quattro diagonali del soffitto a cassettoni, dove i nastri disegnano figure indipendenti che rappresentano probabilmente l’albero del paradiso islamico, Tuba (della Felicità), che affonda le sue radici nell’ultima sfera dell’universo e diffonde la luce e la bontà divine in tutta la Creazione. Riguardo al patio de los Arrayanes o dei Mirti (noto anche come patio de la Alberca o della Cisterna, e di Comares; 36,60 x 23,5 m), occorre dire che fu costruito da Muhammad V per completare, insieme alla cosiddetta sala della Barca, le opere di suo

216

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 216

03/11/16 09:45


L’ARTE ISLAMICA OCCIDENTALE AGLI ALBORI DEL RINASCIMENTO EUROPEO. NASRIDI E MERINIDI

padre, Yusuf I. Si tratta di uno spazio bello e solenne, che si integra in modo del tutto armonioso con la torre e la sala di Comares e stabilisce una transizione sottile fra la superficie liquida della cisterna e la massa elevata della torre di Comares attraverso le fini colonne e il traforo delle arcate, che producono, da un lato, un ampliamento visivo sostanziale del contesto aulico, e, dall’altro, una meravigliosa sensazione di leggerezza e dematerializzazione architettonica. Il patio fa parte di uno dei tre tipi di giardino presenti nell’Alhambra, insieme a quelli del Generalife e al patio dei Leoni. La sua originale tipologia intimista è alterata dalla collocazione nell’asse della sala del trono, che lo inserisce in un contesto di forte carattere rappresentativo. Muhammad V collocò inoltre nel patio segni importanti di vittoria facendo iscrivere nel portico settentrionale la cassida composta da Ibn Zamrak per commemorare il trionfo nella battaglia di Algeciras del 1369, ultima grande vittoria musulmana nella penisola iberica, con cui i Nasridi recuperavano momentaneamente il controllo dello stretto di Gibilterra e la comunicazione con lo stato merinide. Alla struttura di casa mediterranea romana del celebre patio si uniscono i remoti antecedenti iranici di giardino con vasca centrale, così come le fonti poetiche e storiche arabe, che constatano la funzione estetica e simbolica di queste superfici d’acqua, disposte in modo tale da produrre l’effetto di uno specchio. Nella poesia araba si è soliti paragonare tali vasche al pavimento di cristallo costruito da Salomone per Bilqis, la regina di Saba, una scena interessante riportata nel Corano ed evocata nel poema di Ibn Zamrak inciso nell’armadietto sinistro all’ingresso del belvedere di Lindaraja; e si gioca soprattutto con l’immagine del riflesso degli astri nell’acqua e con i luccichii che la vasca stessa proietta sui muri che la circondano, attraverso cui si vuole suscitare un’illusione di movimento e anche rappresentare la sottomissione degli astri celesti all’opera architettonica e al suo padrone. La cisterna è inoltre il luogo in cui l’architettura guarda se stessa con autocompiacimento, usando la vasca come uno specchio al pari di una sposa, secondo l’immagine espressiva di Ibn al-Khatib, messa in versi per il suo palazzo di Aynadamar: «Sono una sposa che indossa i mirti come tuniche, mentre il padiglione è la mia corona e lo stagno il mio specchio». La stessa figura luminosa del sovrano si riproduce, a distanza, al centro del suo universo palatino tramite questo dispositivo speculare. Il Giardino Felice o palazzo dei Leoni

Nella doppia pagina seguente: Il giardino del Partal del palazzo del Generalife di Granada, visto dal portico settentrionale, 1273-1302.

Muhammad V (1354-1359 e 1362-1391), il maggior costruttore dell’Alhambra – che non solo completò il palazzo incompiuto del padre, ma, quando riacquistò il trono nel 1362, ristrutturò tutta l’area amministrativa del Mexuar e vi fece costruire una qubba reale – edificò anche le facciate della sala di Comares e della porta del Vino e innalzò in seguito uno dei monumenti più originali ed eccezionali dell’arte islamica: il palazzo di al-Riyad al-Sa‘id o Giardino Felice, noto con il nome di palazzo dei Leoni. Tre zone formano questo vero paradiso estetico: il patio rettangolare (di 28,50 x 15,70 m) che fa convergere nella fonte dei Leoni tutto il complesso, il corridoio di colonne con i due padiglioni laterali, le sale delle Due Sorelle e degli Abencerrajes, al centro delle quali si innalzano a loro volta le rispettive cupole, e le sale dei Re e delle Muqarnas, quest’ultima distrutta dall’esplosione di una polveriera nel 1590. Tutto ciò è completato dalle successive suddivisioni di queste stanze in alcove minori e, nella parte superiore, dal

217

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 217

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

218

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 218

03/11/16 09:45


L’ARTE ISLAMICA OCCIDENTALE AGLI ALBORI DEL RINASCIMENTO EUROPEO. NASRIDI E MERINIDI

219

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 219

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

secondo piano dell’edificio, dotato di due belle logge e del patio dello Harem sul lato meridionale. La concezione claustrale del patio, con la sua maestosa disposizione di colonne (124 in tutto), crea un magnifico gioco di spazi che, fra l’altro, fa sembrare il palazzo più ampio di quanto non sia in realtà. L’insieme ritmato e armonico delle colonne di marmo bianco, tutte della stessa altezza, e delle alte architravi che sostengono archi dal rialzo elevato influisce direttamente sulla creazione di un’architettura eterea e leggera. Non appena si entra nel recinto – obliquamente, come nel giardino islamico classico – lo spettatore vede dinanzi a sé innumerevoli prospettive estetiche: possiamo fare il giro di tutto il passaggio centrale e contemplare il patio verso il centro da qualunque angolo, o giungere fino alla fontana e procedere in senso contrario, entrare nei tempietti, e così via. Anche le prospettive sono eccellenti, e sempre diverse, dalle alcove laterali, le quali dovettero essere usate in modo discontinuo in epoca nasride, aprendosi o chiudendosi con le porte di alcuni alloggi. L’architettura pare moltiplicarsi da qualunque punto si guardi, riflettendo se stessa come in un sistema di specchi; ciò è dovuto al progetto del portico con colonne, concepito secondo cinque assi di simmetria sovrapposti, che accentuano l’incertezza percettiva, la ricchezza architettonica e l’illusione di movimento. In questo progetto minuzioso è necessario mettere in evidenza i padiglioni laterali, che delineano spazi a pianta quadrata solo tramite il colonnato e penetrano all’interno del patio in modo insolito nell’architettura islamica, se eccettuiamo il probabile antecedente del castelletto di Murcia del XII secolo. La simmetria che li contraddistingue è rigorosa e comprende le colonne, gli archi e la decorazione, e i loro lati estremi a nord e a sud hanno una corrispondenza nel colonnato dei lati maggiori del patio. Giungendo ai tempietti, il ritmo delle colonne varia, ed esse si raggruppano, in uno spazio tanto ridotto, in insiemi di una, due, tre e perfino quattro. I loro fusti slanciati sostengono due corpi da cui iniziano le muqarnas degli archi, rifinite da superfici alveolate (sebka) traforate, che trasformano l’architettura in puro ricamo. Le masse pesanti compaiono di nuovo al di sopra, invertendo il presumibile ordine architettonico a vantaggio della leggerezza. Di fronte all’impiego statico dell’acqua nel patio dei Mirti, o nel Partal, come superficie speculare, nel palazzo dei Leoni l’acqua appare in perpetuo movimento, unificando nelle quattro direzioni tutte le stanze dell’edificio. L’acqua sgorga da erogatori rasenti il terreno sotto le cupole delle Due Sorelle, degli Abencerrajes e quelle dei padiglioni laterali, così come dal prolungamento dell’asse più lungo, sotto i portici delle sala dei Re e delle Muqarnas e confluisce nei due canali trasversali per riunirsi, dalle quattro direzioni, nella fontana centrale; poi sgorga di nuovo sulla vasca della fontana, che la nasconde ancora una volta per lanciarla poi in tutte le direzioni attraverso i leoni. Come in un’oasi, o nel paradiso coranico, gli erogatori sono situati all’ombra e l’acqua è diretta verso il centro di luce del patio, dove si trovano i segni della forza e della magnanimità della regalità. L’acqua, sempre protagonista di questa architettura, possiede qui chiare connotazioni totalizzanti: mette in relazione tutti gli spazi del giardino-paradiso, non solo al livello del terreno, ma anche al di sopra di esso, sgorgando dal sottosuolo e spargendosi verso l’alto a partire dai luoghi ubicati al centro, da cui proviene; assicura rinnovamento continuo, abbondanza e purezza; vivifica il giardino, calma la sete e ritorna sempre al suo stato iniziale e immutabile; perfino il poema della fonte dei Leoni le attribuisce le qualità proprie della pietra.

220

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 220

03/11/16 09:45


L’ARTE ISLAMICA OCCIDENTALE AGLI ALBORI DEL RINASCIMENTO EUROPEO. NASRIDI E MERINIDI

Due vedute dell’interno della sala delle Due Sorelle dell’Alhambra, 1354-1359.

Artisticamente, come segno tratto dalla natura, è sottoposta a un forte processo di razionalizzazione e controllo per integrarsi nel disegno simmetrico di un contesto che si oppone a ogni casualità, disordine e caducità del mondo esteriore. Non a caso, la stessa denominazione del Giardino Felice e il proliferare del concetto di giardino (rawd, riyad) nei poemi composti per le sue stanze, insieme alla posizione, quasi contigua al palazzo della Rawda o cimitero reale nasride, conferiscono uno speciale significato escatologico al complesso: fusione simbolica fra il giardino di questo mondo e quello dell’Aldilà e riposo perpetuo del sovrano di fronte alla sua opera, con una chiara allusione alla rawda per eccellenza, la sepoltura del Profeta. Questa idea ci viene suggerita dal noto hadith profetico che recita «La sepoltura è uno dei giardini (rawda min riyad) del Paradiso (al-yanna)» ed è confermata dall’epitaffio a Muhammad V scritto e recitato da Ibn Zamrak, responsabile del programma poetico del palazzo: «All’ombra del Paradiso tu possa restare in eterno e la tua discendenza possa sopravvivere nell’immortalità, / il Compassionevole conduca fino a te l’acqua della fossa del suo Profeta (hawd nabi-hi), lo stesso che concesse la migliore fontana a colui a cui sei succeduto». Il bosco di colonne del Giardino Felice può essere immaginato, inoltre, come pietrificazione dell’idea di oasi, unita a una diretta evocazione del tempio di Salomone e delle architetture fantastiche descritte nella letteratura araba classica con grande profusione di colonne. Le meravigliose cupole con muqarnas della sala degli Abencerrajes e della sala delle Due Sorelle, che raggiungono i livelli più alti in questo tipo di

221

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 221

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

copertura dal punto di vista del progetto e dell’esecuzione tecnica, sovrastano stanze disposte come patii coperti, con erogatori d’acqua al centro nell’asse di ogni qubba – emanazione divina e, simultaneamente, della vita – che le conferiscono la dimensione celeste voluta per questo ambiente aulico. L’idealizzazione dell’architettura splendente, elevata, mobile ed eterna realizzata dal poema della sala delle Due Sorelle di Ibn Zamrak è completata dalla descrizione del belvedere di Lindaraja come sede del trono reale, dove brilla il monarca con la sua luce e da cui egli vede, come se si trattasse dei suoi occhi, la sua città; e si conclude con i contenuti della fonte dei Leoni, il cui poema – opera dello stesso autore e tratto dalla stessa cassida del poema della sala delle Due Sorelle – attribuisce al sultano la creazione di questi begli edifici per ispirazione divina, mentre con la simbologia dei leoni e dell’acqua ne esalta la forza, la magnanimità e l’alto lignaggio. Lo stesso Yusuf III, nipote di Muhammad V e compilatore del divano poetico di Ibn Zamrak, presenta il poema della celebre fontana come «allegoria del valore (ba’s) e della generosità (yud)» del sovrano. Il palazzo dei Leoni è in se stesso, da questo punto di vista, una proclamazione dei segni del sovrano islamico come nuovo Salomone, costruttore in difesa dell’Islàm. Nella sua opera il panegirista non dimenticò neppure di definire il suo monarca il re più nobile e saggio del mondo. Forse bisognerebbe interpretare alla luce di quest’ultimo significato la splendida pittura del tetto dell’alcova centrale della sala dei Re dello stesso palazzo di al-Riya alSa‘id, la cui iconografia non ha potuto ancora essere precisata totalmente, ma che non è del tutto eccezionale nella storia dell’arte islamica se pensiamo alla pitture dei sei re del mondo nei bagni di Qusayr ‘Amra in Giordania (VIII secolo). Un altro magnifico esempio di pittura murale nell’Alhambra è costituito dalle pitture del Partal dell’inizio del XIV secolo, le cui tematiche cortigiane – con attività cinegetiche, tende da campo con personaggi maschili e femminili, scene di musica e intrattenimento, così come motivi bellici – presentano tutta una gamma di elementi figurativi tradizionali nell’arte islamica. Questa raffigurazione pittorica murale si somma ai tipici leoni a tutto tondo da cui zampilla l’acqua di tanti edifici nasridi e alle figure di animali e persone abituali nelle arti decorative; ricordiamo la grande giara delle Gazzelle dell’Alhambra e molti altri pezzi in ceramica o in marmo scolpito dell’epoca; tutto questo dimostra che l’idea diffusa circa l’esistenza di una presunta proibizione canonica di tali rappresentazioni nell’Islàm è contraddetta ancora una volta dalla stessa pratica artistica.

Altre opere nasridi Fra le grandi opere di Muhammad V dobbiamo ricordare anche la residenza di campagna reale che egli si fece costruire fuori dalle mura dell’Alhambra, alla maniera del Generalife, dell’Alcázar Genil o di Dar al-Arusa, ovvero il palazzo degli Alixares, distrutto ben presto da un terremoto. Degli Alixares si sono conservati alcuni resti archeologici, descrizioni letterarie e l’interessante programma epigrafico-poetico che Ibn Zamrak compose per esso, progettandolo come un lussuoso luogo di svago e una nuova corona elevata sopra la Sabika. Intorno all’Alhambra si innalzarono successivamente edifici come la torre delle Infante, all’epoca di Muhammad VII (1392-1408), o il palazzo di Yusuf III (1408-1417), che dovette essere un edificio importante ubicato su un’altura di fronte al Partal e di cui si conserva solo la pianta, dato che fu demolito dal

222

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 222

03/11/16 09:45


L’ARTE ISLAMICA OCCIDENTALE AGLI ALBORI DEL RINASCIMENTO EUROPEO. NASRIDI E MERINIDI

conte di Tendilla quando Filippo V lo destituì dalla sua carica di alcalde dell’Alhambra nel 1718. Risale ugualmente al XV secolo il palazzo di Daralhorra, eretto però nell’Albaicín, che segue lo schema di altre case arabe precedenti, come la casa de los Girones e la casa de Zafra con patii centrali, doppio portico, stucchi e altri elementi architettonici e decorativi nasridi, così come fuori Granada si conserva la casa dei Giganti di Ronda dell’epoca di Muhammad V. L’attività architettonica della Granada nasride non si limita alla costruzione di edifici aulici e residenziali, ma include anche importanti opere pubbliche – oltre alla ristrutturazione e all’ampliamento delle mura e delle porte della città – come la madrasa Yusufiyya, citata in precedenza, costruita probabilmente emulando le madrase merinidi e di cui si conserva solo una parte dell’oratorio e frammenti di marmi con iscrizioni commemorative, e il maristán, unico ospedale dell’al-Andalus di cui possediamo qualche informazione. Quest’ultimo fu fondato da Muhammad V nel 1367 restaurando un edificio anteriore cui fu aggiunto un secondo piano, un patio centrale con una grande cisterna e leoni da cui zampilla l’acqua. A giudicare dai resti archeologici conservati, il maristán di Granada aveva la pianta caratteristica di molti edifici pubblici islamici, come il funduq del Corral del Carbón, con antecedenti che rimandano a Madinat alZahra’ e a madrase, ribat e caravanserragli orientali (Aleppo, Susa) e ad altri bimaristanat del Cairo.

Creazioni artistiche merinidi L’architettura e le arti della Granada nasride furono destinate ad avere una grande risonanza sull’altra sponda del Mediterraneo. Grazie a Ibn Sa‘id al-Magribi e a Ibn Khaldun, sappiamo che, nel XIII e nel XIV secolo, artigiani granadini furono inviati a Tunisi dove lavorarono al servizio dei Merinidi (1244-1465), con cui i granadini minacciati dagli stati cristiani della penisola intensificarono gli scambi culturali, artistici e diplomatici. Fra di essi si insediò anche Isma‘il Ibn al-Ahmar (1324/7-1404/8), nipote del sultano granadino Isma‘il I, che da giovane prestò servizio nell’amministrazione merinide e ne divenne il cronista più attivo. I Banu Marin erano una tribù berbera zeneta del Sahara, che finì col soppiantare gli Almohadi nel Maghreb occidentale dopo che questi ultimi persero il potere a partire dalla battaglia di Las Navas de Tolosa nel 1212. Insieme a Yahya Abu Bakr Ibn ‘Abd al-Haqq (1244-1258), il quarto dei loro leader e in pratica il primo dei loro sultani, i Merinidi entrarono dapprima a Meknès (1244) e poi a Fez (1248), di cui fecero la loro capitale. Questo stesso sovrano ampliò il loro dominio fino al mare, impossessandosi di Salé e Rabat. Nel 1269 strapparono Marrakech agli Almohadi, per i quali sarebbe iniziata la decadenza definitiva. I Merinidi cercarono anche di esercitare la loro influenza sulla penisola iberica, perciò vi fecero varie incursioni, accompagnando certe volte gli Almohadi, come nella battaglia di Alarcos contro Alfonso VIII, re di Castiglia, o ad esempio appoggiando i Nasridi nella battaglia del río Salado del 1339, dove avrebbero partecipato all’ultima grande disfatta islamica in al-Andalus. Con i sultani Abu ’l-Hasan ‘Ali (1331-1351) e suo figlio Abu ‘Inan Faris (1351-1358), che godettero di ottimi rapporti con la Granada nasride, raggiunsero l’apice del loro influsso politico e del loro splendore architettonico e artistico. La decadenza inizierà comunque subito dopo, allorché caddero nel clientelismo

223

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 223

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

dei wattasí (1358-1374) e degli stessi Nasridi (1374-1393), e la loro dinastia scomparve dopo l’insurrezione della popolazione di Fez nel 1465, durante la quale morì il loro ultimo sultano ‘Abd al-Haqq (1421-1465). Dal punto di vista artistico i Merinidi elaborarono il loro stile sulla base delle antiche opere almoravidi e almohadi, ma con una predilezione speciale per le novità che giungevano in continuazione dalla Granada nasride, la quale aveva già consolidato le sue forme ed esercitava un forte influsso sul mudéjar spagnolo e su diverse regioni del Maghreb. Con questi presupposti, i Merinidi cominciarono a disseminare Fez e le loro città principali di un’architettura semplice, anche se caratterizzata da un’ornamentazione abbondante e versatile, destinata soprattutto a realizzare il loro programma ambizioso che mirava a creare madrase, a costruire zawiya e monumenti funebri e a ristrutturare ed edificare alcune moschee. Le madrase Ibn Khaldun (1332-1407), lo straordinario storico tunisino, affermava nella sua «Introduzione» (al-Muqaddima) alla Storia Universale che l’unica cosa che distingue il cittadino dal nomade è «lo splendore raggiunto nelle arti (sana‘i) e nell’istruzione (ta‘lim)» e stabiliva che il punto di flessione verso il declino degli stati coincide con l’abuso delle arti superflue e con la mollezza del lusso (taraf), una teoria che sembra ispirarsi alle corti nasride e merinide presso cui prestò servizio questo fondatore della sociologia della storia, nonché storico arabo classico più eminente. È certo che i Merinidi concentrarono i loro sforzi costruttivi principali nell’edificazione di madrase – luoghi d’insegnamento di carattere religioso poste sotto il patronato statale – più per assicurarsi il potere che per diffondere il sapere in sé. Com’è noto, tale istituzione scolastica nacque nell’Oriente islamico e si diffuse nel Maghreb in epoca tarda. Erano centri in cui si insegnava soprattutto fiqh, giurisprudenza islamica, e dove il resto delle scienze religiose, e ancor più, quelle letterarie e filosofiche, non erano impartite quasi per niente, tranne come materie ausiliarie o secondarie. Queste madrase si finanziavano con un waqf, ovvero una fondazione costituita con uno stanziamento da parte di una persona o di un’istituzione, nel nostro caso lo stato stesso, e concedendo alloggi agli studenti. Dopo la madrasa eretta dal sultano hafside di Tunisi Abu Zakariyya nel 1249, il vero momento di splendore di queste istituzioni nel Maghreb coincise con l’epoca dei Merinidi, che ne fondarono più di quaranta solo nel XIV secolo. Cabanelas attribuisce il fenomeno al fatto che i Merinidi non raggiunsero il potere grazie a un movimento religioso, come gli Almoravidi e gli Amohadi, perciò attraverso la fondazione di madrase, meno costose delle moschee, cercarono di legittimare la nuova dinastia e di formare una rete di eruditi affini incaricati di diffondere la dottrina ufficiale e di far fronte ai movimenti ribelli, sciiti e sufici. La più antica madrasa di Fez, tuttora conservata, è quella di al-Saffarin, fondata dal sultano merinide Abu Yusuf nel 1271 presso Wadi Fez, quando iniziava lo sviluppo culturale e artistico della nuova Fez merinide. L’iscrizione relativa alla sua fondazione ricorda i fini della celebre madrasa Nizamiyya, di Nizam al-Mulk a Baghdad (fondata nell’XI secolo), annunciando la necessità di rivitalizzare la fede islamica. A tutto ciò occorre aggiungere, ovviamente, il progetto di ristabilire la capitale del nuovo stato,

224

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 224

03/11/16 09:45


L’ARTE ISLAMICA OCCIDENTALE AGLI ALBORI DEL RINASCIMENTO EUROPEO. NASRIDI E MERINIDI

Cupola riccamente decorata a muqarnas della sala delle Due Sorelle, 1354-1359.

Fez, come grande centro spirituale e ideologico. Fra le numerose madrase che furono costruite a Fez, metteremo in evidenza quella di Fez el-Jedid (Nuova Fez), costruita da Abu Sa‘id nel 1320, e quella di al-Sahriǧ, della Cisterna, edificata dal sultano Abu ’l-Hasan (1331-1351) in memoria di suo padre. In questa precoce opera merinide, di modeste dimensioni, si osserva la forte impronta lasciata dall’arte nasride: distribuita attorno a un piccolo patio centrale con una cisterna rettangolare da cui prende il nome l’edificio, osserviamo i colori vivaci delle piastrelle nei pavimenti e nelle zoccolature, le fasce di stucchi epigrafici in calligrafia di al-Andalus, su cui s’impostano i pannelli decorativi delle pareti, e – quale elemento che definisce con maggior chiarezza l’estetica merinide – le superfici lisce dei paramenti, culminanti con grandi pannelli intarsiati che scendono fino a segnare il profilo dei delicati archi a tutto sesto, innalzandosi poi

225

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 225

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

fino a formare un voluminoso fregio che circonda tutto il patio. In questo coronamento in legno del patio, sostenuto da pilastri a base rettangolare addossati alle pareti, si inseriscono decorazioni geometriche, con stuccature a fogliami derivate chiaramente dall’Alhambra e nuove calligrafie magrebine. Tuttavia, l’esempio più riuscito dell’arte merinide è indubbiamente la famosa madrasa al-‘Attarin, dei profumieri, eretta fra il 1323 e il 1325 dal sultano Abu Sa‘id ‘Utman (1310-1331) nel mercato dei commercianti di spezie, con un ingresso ad angolo pensato per riparare la vita degli studenti, le cui camere si trovavano al piano superiore, dal rumore del quartiere. Il suo patio estremamente bello e ricco, con una fontana centrale di marmo, è circondato da un portico che si apre attraverso grandi archi lobati, sostenuti da delicate colonne di marmo con collarini, capitelli e abachi con colonnette fittizie e muqarnas nel più puro stile nasride. I lati più stretti sono caratterizzati da un ampio arco a tutto sesto con dentellature realizzato in legno, che si innalza al di sopra degli archi lobati incorniciati da una modanatura decorativa (alfiz) che danno accesso alle stanze, ed è impostato sul lato superiore dei pannelli decorati in gesso che si innalzano da due fini colonnine. Come nella madrasa della cisterna, il grande arco centrale ospita una triplice gelosia di stucco con disegni geometrici; il legno intagliato raggiunge un’impressionante precisione tecnica, osservabile anche nei fini passafuori che compongono e sorreggono la gronda che corona e protegge il vano del patio. Negli angoli, alcune belle opere di decorazione ad alveoli su falsi archi acuti con muqarnas evocano di nuovo il modello ideale e prestigioso dei palazzi nasridi. Le belle zoccolature murali, nella cui parte superiore si inseriscono alcune finissime calligrafie ceramiche di colore nero con sfondi di stuccature a fogliami, così come i pannelli epigrafici superiori in stucco, quasi sempre in corsiva magrebina – anche se a volte vi sono eleganti legende cufiche che paiono tracciate da calligrafi granadini – si uniscono alla particolare partizione delle superfici murali in rettangoli e quadrati decorativi di dimensioni diverse, alla distribuzione della decorazione, a intarsio nella parte superiore e in gesso nei tre quarti inferiori, per creare un’atmosfera d’indubbio gusto nasride, ma non meno originale e magnifica dal punto di vista estetico, che illustra la piena maturità raggiunta dall’arte merinide. In questo edificio metteremo in evidenza, per concludere, l’insolita ma studiata ubicazione dell’asse della qibla, nella sala di preghiera, che si sviluppa trasversalmente fino all’asse del patio. Questa sala è di dimensioni ridotte, quasi quadrata, e contiene un mihrab con limpida ornamentazione e accurata piastrellatura. La madrasa Bu ‘Inaniyya di Fez (1350-1355), fondata dal sultano Abu ‘Inan Faris (1351-1358), figlio di Abu ’l-Hasan, è la più monumentale della città (1680 m2, di fronte ai 680 m2 di quella di ‘Attarin, la seconda per dimensioni), poiché oltre a essere una scuola le fu concesso anche il ruolo di Moschea Maggiore. Ancora oggi, come nel caso di altre madrase, gli abitanti del quartiere continuano a pregare in essa. Non è superfluo ricordare che lo storico e letterato granadino Ibn Yuzayy al-Kalbi (1321-1357) dedicò al fondatore di questa madrasa, Abu ‘Inan – che mantenne legami privilegiati con la Granada di Muhammad V – lunghi panegirici analoghi a quelli dedicati a Yusuf I e corresse e riprodusse per lui la celeberrima rihla di Ibn Battuta; o che l’altrettanto erudito granadino Ibn al-Hayy al-Numayri (1313-1383) narrò i viaggi di Abu ‘Inan nella sua opera Fayd al-’ubab, dotò la sua grande madrasa e moschea di un pulpito

226

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 226

03/11/16 09:45


L’ARTE ISLAMICA OCCIDENTALE AGLI ALBORI DEL RINASCIMENTO EUROPEO. NASRIDI E MERINIDI

Giara delle Gazzelle, XIV secolo, Museo dell’Alhambra, Granada.

per la jutba e costruì un minareto, allora il più alto della città, con una clessidra per segnare le ore della preghiera. Si conserva ancora una parte del carillon con tredici campane di bronzo donate da Abu ‘Inán. La doppia funzione dell’edificio si riflette nella complessità della pianta. La madrasa ha due porte d’ingresso con ricche guarnizioni di bronzo: attraverso una di esse, percorrendo un lungo corridoio, si entra nell’ampio patio rettangolare, con una cisterna centrale, in cui scorre il canale del fiume Fez che, attraversato da due ponti piatti, serve da vasca per le abluzioni, e attraverso l’altra porta, quella principale, si accede all’interno lungo l’asse stesso dell’edificio. Il patio, di circa 18 m di lato, ha il pavimento in marmo ed è fiancheggiato, su tre lati, da un chiostro a due piani edificato su una serie di robusti pilastri. Le facciate del chiostro hanno un alzato ricco e interessante, caratteristico dei progetti architettonici merinidi: a metà altezza, ampie travi di legno intagliato a forma di architrave collegano i pilastri e sostengono il piano superiore, in cui si aprono le celle degli studenti, che circondano il patio attraverso piccole finestre con archi a tutto sesto rialzati, incorniciate da falsi archi acuti con muqarnas e stucchi di notevole valore ornamentale; il settore superiore culmina di nuovo con un’ampia traversa di legno con gronda che si prolunga, sugli archi degli ingressi principali, «cullando», per così dire, la parte superiore di tali vani, cosicché il legno diviene ancora una volta il protagonista dell’estetica merinide. Al centro dei lati orientale e occidentale spiccano due spaziose sale di lettura (di 5 x 5 m) disposte, come due iwan affrontati, su due piani e coperte con grandi volte nervate di legno. Queste sale, rare nell’Occidente islamico, benché simili a quelle che alcuni anni dopo saranno costruite nella moschea cairota di al-Hasan, comunicano attraverso un corridoio con le gallerie che conducono alle stanze degli studenti, agevolando così l’accesso alle aule dalle loro celle. La facciata della sala di preghiera (17,25 x 13 m), costruita da Abu Sa‘id, dà sul patio attraverso cinque archi, il più alto dei quali è quello centrale, e riproduce la divisione in due piani della madrasa. La sala di preghiera ha due navate trasversali rispetto al patio, separate ugualmente da cinque archi su pesanti colonne di onice e capitelli e tetto in legno; entrambe le navate sono orientate parallelamente al muro della qibla, dove occorre evidenziare la ricca decorazione del mihrab, anche se la finezza e l’ottima esecuzione delle opere in gesso e legno della madrasa al-‘Attarin si riduce notevolmente qui, e ha inizio una fase di stasi che preannuncia l’imminente declino dell’arte merinide. Per concludere con il peculiare fenomeno artistico-sociale delle madrase merinidi, ne menzioneremo altre fra le molte fondate da Abu ’l-Hasan ‘Ali (1331-1351), il maggiore promotore di queste istituzioni, che intratteneva inoltre tali vincoli di amicizia con i Nasridi che questi gli inviavano tessuti realizzati nella stessa Alhambra con versi ricamati di Ibn al-Yayyab; fra le sue fondazioni vi sono le madrase di al-Saba‘iyyin di Fez (1321-1323), quella di Salé (1341), in cui spicca di nuovo la bella decorazione di evidente ispirazione nasride – ricordiamo che Salé fu la residenza di importanti dignitari granadini, come Ibn al-Khatib – la madrasa Misbahiyya di Fez, edificata dallo stesso sovrano nel 1346 insieme alla moschea di al-Qarawiyyin, la madrasa Jadid di Ceuta del 1347, o quella di Tlemcen, eretta anch’essa da Abu ’l-Hasan ‘Ali fra il 1338 e il 1349.

227

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 227

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Zawiya, monumenti funerari e moschee

Il cortile della madrasa al-‘Attarin, di Fez, 1323-1325.

Come accadde nel regno nasride di Granada, il misticismo si diffuse anche nel Maghreb, cosicché si costruirono numerosi ribat o conventi fortificati, eremi per venerare certi anacoreti, e, soprattutto in epoca merinide, zawiya sufici che offrivano ospitalità a una certa religiosità popolare, a fermenti sociali, e servivano perfino da rifugio per ricchezze personali depositate come fondazioni perpetue. Di fronte al proliferare di questi centri, i sovrani nasridi e merinidi non poterono fare altro che cercare di guadagnarsi la fiducia degli ampi strati di popolazione che a essi si riferivano e aderire in qualche modo alla loro simbologia e ai loro rituali ascetici. In questo contesto, il sultano Abu ‘Inan eresse la zawiya al-Nussak (ritiro di asceti o eremiti) a Salé, su un insediamento romano di fronte a Rabat, città in cui era ubicato un antico e celebre ribat almohade. A partire da questa zawiya si sviluppò la cosiddetta necropoli di Chella (1310-1339), dove furono sepolti i sovrani merinidi fino a Abu ’l-Hasan, deceduto nel 1351. Il complesso funerario era fortificato ed è dotato di un ingresso monumentale con arco acuto fiancheggiato da due torri a pianta ottagonale terminanti con singolari baluardi quadrati. Accanto alle numerose camere sepolcrali della necropoli vi sono due piccole moschee con minareti riccamente decorati, così come una fontana, bagni

228

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 228

03/11/16 09:45


L’ARTE ISLAMICA OCCIDENTALE AGLI ALBORI DEL RINASCIMENTO EUROPEO. NASRIDI E MERINIDI

Due particolari della splendida decorazione in stucco e legno della madrasa al-‘Attarin di Fez.

e alloggi per visitatori devoti. La nozione di Rawda che vedevamo espressa nella città palatina dell’Alhambra è qui ampiamente superata, anche se questo centro merinide, insieme necropoli e luogo di pellegrinaggio, cadde presto in disuso. Se, come abbiamo detto, la fondazione di moschee da parte dei Merinidi fu sostituita in larga misura dalla costruzione di madrase, è pur vero che essi ne edificarono alcune particolarmente interessanti e che lasciarono una chiara impronta della loro arte nella ristrutturazione di altre. Appartiene al primo gruppo la moschea di Abu Yusuf (1258-1286) a Fez. Nel marzo 1276 questo sultano decise di insediarsi nella valle del fiume Fez, dove eresse un palazzo chiamato «Dar al-Majzan», costruì mura poderose, tuttora in piedi, e ordinò di edificare la grande moschea della Nuova Fez, che sarebbe stata riformata nel 1398. La nuova moschea, a pianta rettangolare (54 x 34 m circa), possiede una sala di preghiera quasi quadrata e, dirimpetto, un patio allungato con gli altri tre lati costituiti da semplici gallerie. Al centro della galleria aperta di fronte al patio, vi sono due ingressi, a sinistra quello per le donne e a destra quello principale. Vi sono anche altri ingressi nei lati del patio e attraverso la stessa sala di preghiera. Nell’angolo nordorientale si innalza un minareto semplice ed elegante. La sala di preghiera consta di sette navate di sei campate ciascuna formate da archi a ferro di cavallo. Dinanzi alla qibla si apre una navata trasversale che riprende la tipica pianta

229

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 229

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

a T delle moschee almoravidi e almohadi, che i Merinidi mantennero nel XIII secolo per poi propendere per la disposizione quadrata dello spazio. Ricordiamo, al riguardo, la moschea di al-Mansur a Tlemcen, terminata sotto la dominazione merinide di questa città a opera di Abu ’l-Hasan ‘Ali. Tornando al mihrab della grande moschea di Fez el-Jedid, occorre dire che possiede un’interessante decorazione in stucco e che lo spazio quadrato che lo precede è ricoperto da una grande cupola a nervature dotata di una ricca ornamentazione che mette notevolmente in risalto il mihrab stesso, ricordando quello monumentale di al-Hakam II nella moschea omayyade di Cordova. La decorazione rigorosamente geometrica degli Almohadi si arricchisce in questi interni con belle stuccature a fogliami e iscrizioni prolisse che ricoprono di testi, alla maniera nasride, gran parte dei paramenti. All’inizio della navata centrale, un’altra cupola sottolinea l’asse longitudinale dell’edificio rivolgendo la nostra attenzione verso la qibla e il mihrab. Nell’ambito delle ristrutturazioni merinidi, emerge quella realizzata nell’antica moschea di al-Qarawiyyin di Fez. Questa celebre moschea, fondata nel IX secolo, fu ampliata notevolmente in epoca almoravide, divenendo il principale centro spirituale e culturale della città e di tutto il paese, cui era annessa la più importante università del Maghreb. Dato che questi spazi di preghiera, insegnamento e rifugio per fedeli e passanti erano organismi realmente vitali, intorno a essa crebbe inoltre il grande mercato della medina, attivo ancora oggi, con cui la moschea è collegata attraverso le sue quattordici porte. Fu nominato imam e predicatore proprio della moschea di al-Qarawiyyin l’insigne asceta e pensatore xadilí Ibn ‘Abbad (1332-1389) di Ronda (Malaga), città andalusa che fu sotto la tutela merinide prima di passare sotto il dominio nasride ed essere conquistata infine da Ferdinando il Cattolico nel 1485; il che dimostra, ancora una volta, l’entità degli scambi politici, artistici e spirituali fra questi stati islamici delle due sponde del Mediterraneo. L’intervento merinide nella secolare moschea di al-Qarawiyyin è osservabile innanzitutto, e non a caso, nei vistosi padiglioni che penetrano nell’asse longitudinale del patio, riproducendo il modello del cortile dei Leoni dell’Alhambra; tanto il gioco di colonne di tali padiglioni, molto più sobrio che nel celebre palazzo nasride, quanto gli stucchi e la copertura dei tetti, imitano senza dubbio il tracciato del Giardino Felice dell’Alhambra, ma in modo molto più sobrio, convenzionale e senza la speculazione sulle possibilità di movimento, rigenerazione dell’architettura o pietrificazione dell’idea di paradiso che avevamo osservato nella residenza reale di Muhammad V a Granada.

230

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 230

03/11/16 09:45


L’ARTE ISLAMICA OCCIDENTALE AGLI ALBORI DEL RINASCIMENTO EUROPEO. NASRIDI E MERINIDI

Il cortile della moschea al-Qarawiyyin di Fez, che risente dell’influsso del cortile dei Leoni dell’Alhambra granadina.

231

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 231

03/11/16 09:45


ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 232

03/11/16 09:45


BIBLIOGRAFIA E NOTE

DALL’ARTE OMAYYADE AL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE ABBASIDE ASÍN PALACIOS M., Dante e l’Islam. L’escatologia islamica nella Divina Commedia, Parma 1994. Il Corano, a cura di A. Bausani, Firenze 1966. CRESWELL K.A.C., Early Muslim Architecture, Oxford 1932-1940. CUNEO P., Storia dell’urbanistica. Il mondo islamico, Roma-Bari 1986. CURATOLA G., SCARCIA G., Le arti nell’Islam, Roma 1990. GRABAR O., Arte islamica. La formazione di una civiltà, Milano 1989. GRABAR O., The Mediation of Ornament, Washington D.C. 1992. GRABAR O., The Shape of the Holy. Early Islamic Jerusalem, Princeton 1996. HERZFELD E., Der Wandschmuck der Bauten von Samarra and seine Ornamentik (Die Ausgrabungen von Samarra), vol. I, Berlino 1928. HILLENBRAND R., Islamic Art and Architecture, Londra 1999. HOAG J., Architettura Islamica, Milano 1989. KUHNEL E., Die Arabesque, Wiesbaden 1949. MICHELL G. (a cura di), Architecture of the Islamic World, Londra 1978. MONNERET DE VILLARD U., Introduzione allo studio dell’archeologia islamica, Roma-Venezia 1966. MONTGOMERY WATT W., WELCH A.T., L’Islam, Maometto e il Corano, Milano 1981. OTTO-DORN K., Türkische Grabsteine mit Figurenreliefs aus Kleinasien, in «Ars Orientalis», III, 1959, pp. 63-76. PAPADOPOULO A., L’Islam e l’arte musulmana, Milano 1992. PICCIRILLO M., The Mosaics of Jordan, Amman 1993. RIEGL A., Antichi tappeti Orientali, Macerata 1998. SAID E., Orientalism, Londra 1978. SCARCIA G., Il volto di Adamo. Islam: la questione estetica nell’altro Occidente, Venezia 1995. AL-TABARI IBN GARIR, Vita di Maometto, a cura di S. Noja, Milano 1985.

L’ARTE DI AL-ANDALUS E DELL’AFRICA DEL NORD Per l’arte del periodo cordovese è possibile trarre ancora sommo profitto dalla consultazione, come visione d’insieme, di due opere ormai classiche, come quella di MANUEL GOMEZMORENO, El arte arabe espanol hasta los almohades. Arte Mozarabe, vol. III

di Ars Hispaniae, Plus Ultra, Madrid 1949, e quella di LEOPOLDO TORRES BALBAS: Arte Hispanomusulmàn. Hasta la calda del califato de Córdoba, Espana musulmana, vol. V della «Historia de Espana» diretta da Ramón Menéndez Pidal, Espasa-Calpe, Madrid 1957. Posteriormente sono apparse alcune sintesi attualizzate su questo periodo come quella di FERNANDO VALLES FERNANDEZ: Arqueología de al-Andalús de la conquista arabe a la extinción de las primeras taifas, El fallido intento de un estado hispanico musulman (711-1085), vol. III della «Historia General de Espana y América», Ed. Rialp, Madrid 1988, o quella di RAFAEL LOPEZ GUZMAN (coord.), La arquiteotura del Islam occidental, Lunwerg Ed., BarcellonaMadrid 1995. Una buona sintesi sulla moschea e la sua evoluzione in Spagna e in Nordafrica è contenuta in ANTONIO FERNANDEZ PUERTAS, «6. Spain and North Africa», in MARTIN FRISHMAN e HASAN-UDIN KHAN, The mosque. History, architectural development and regional diversity, Thames and Hudson, Londra 1994, pp. 101-117, 274-275 e 280. Tra gli studiosi dell’arte andalusì del periodo cordovese spiccano, per il complesso delle loro ricerche, due architetti, Féliz Hernández e Christian Ewert. Di FÉLIX HERNÁNDEZ si devono citare la monografia su El alminar de Abd al-Rahman III en la mezquita mayor de Córdoba. Génesis y repercuciones, Patronato de la Alhambra, Granada 1975, e l’opera postuma su Madinat al-Zahra, Patronato de la Alhambra, 1985, quest’ultima di difficile lettura a causa della sua pubblicazione senza piante né illustrazioni. Christian Ewert si è specializzato nell’analisi del sistema cordovese di archi intrecciati, particolare a cui ha dedicato vari lavori di notevolissima estensione, quasi tutti pubblicati in tedesco: sulla moschea di Cordova (Berlino 1968), sulla moschea del Cristo de la Luz di Toledo (Madrider Mitteilungen, 1977). Imponenti risultano essere anche gli studi monografici su aspetti di questo periodo dell’arte andalusì. Tra i più classici è necessario segnalarne particolarmente tre: l’opera di JOSÉ FERRANDIS, Márfiles árabes de occidente, 2 voll., Madrid 1935 e 1940; quella di Emilio Camps Cazorla, Módulo, proporciones y composición en la arquitectura califal cardobesa, Inst. «Diego Velázquez», Madrid 1953; e quella di Manuel Ocaña, El cúfico hispano y su evolución, Instituto Hispa-

no-árabe de Cultura, Madrid 1970. La principale rivista scientifica spagnola sull’arte e l’archeologia andalusì è stata «al-Andalus», pubblicata senza interruzioni tra il 1973 e il 1978. Attualmente viene pubblicata in modo saltuario, dal 1987, la rivista monografica «Cuadernos del Madinat al-Zahra». 1 Questa è la denominazione coniata da GEORGES MARÇAIS nel suo manuale, ormai classico, intitolato, per l’appunto, L’Architecture musulmane d’Occident: Tunisie, Algérie, Maroc, Espagne et Sicilie, Parigi 1954. 2 Il massimo studioso della prima arte islamica è stato K.A.C. CRESWELL, la cui opera Early Muslim Architecture, 2 voll., Oxford 1932-1940, è il riferimento classico per quanto riguarda questo periodo dell’arte islamica. Un riassunto delle sue ricerche sul tema, sotto forma di manuale scolastico, è A Short Account of Early Muslim Architecture, pubblicato nel 1958 per la Penguin Books (opera di cui esistono riedizioni attualizzate, come quella di James W. Allan, Scolar Press, 1989, nonché la sua traduzione spagnola, voluta da Alfonso Jimenez, con il titolo Compendio de arquitectura paleoislámica, Publicaciones de la Universidad de Sevilla 1979). Altri manuali qui tenuti in considerazione relativamente a questo periodo sono quelli di MARTHE BERNUS-TAYLOR, L’art en terres d’Islam. I. Le Premiers siècles, Desclée De Brouwer, Parigi 1988, e il manuale di RICHARD ETTINGHAUSEN e OLEG GRABAR, Arte y arquitectura del Islam, 650-1250, Cátedra, Madrid 1996 (l’edizione inglese è del 1987 e il progetto del libro del 1959). 3 Cfr. CHRISTIAN EWERT e JENS-PETER WISSAK, Forschung zur almohadischen Moschee: I. Vorstufen, Magonza 1981. Si vedano inoltre altri contributi di C. Ewert nelle note bibliografiche relative ad al-Andalus. 4 Un’introduzione critica alla bibliografia sull’arte di al-Andalus può trovarsi in GONZALO M. BORRÁS G UALIS , «El arte hispanomusulmáan. Estado de la cuestión», Anuario del Departamento de Historia y Teoría del Arte (U.A.M.), vol. III, 1991, pp. 11-18. Inoltre si può trovare un più ampio sviluppo del tema trattato in questo articolo in GONZALO M. BORRÁS GUALIS, España.Crisol de tres culturas, vol. 3 della Historia del Arte Español, Barcellona, Plawerg, 1995.

LA PENISOLA IBERICA: INCONTRO, SCONTRO E INFLUENZE ARTISTICHE FRA IL MONDO OCCIDENTALE E QUELLO ARABO-ISLAMICO AA.VV., Atti del Simposio «El Arte y las Ordenes Militares», Comité Espanol de Historia del Arte, Càceres 1985. Arte Gotico (Historia del Arte en Castilla y León), tomo III, Ambito, Valladolid 1995. AZCARATE RISTORI J.M., Las Ordenes Militares y el Arte, in AA.VV, Atti del Simposio «El Arte y las Ordenes Militares», Càceres 1985, pp. 27-31. CASTAN LANASPA J., Arquitectura templaria castellano-leonesa, Universidad, Valladolid 1983. COOPER L., La Gran Conquista de Ultramar, Biblioteca Nacional, ms. 1187, Hispanic Seminary of Medieval Studies, Madison 1989. DIEZ DE BALDEON C., Almagro. Arquitectura y Sociedad, Junta de Comunidades de Castilla-La Mancha, Toledo 1993. DOMINGUEZ BORDONA J., AINAUD DE L ASARTE J., Miniatura. Grabado. Encuadernación, «Ars Hispaniae», vol. XVIII, Madrid 1958. GARCÍA GUIJARRO L., Papado, Cruzadas y Ordenes Militares, siglos XI-XIII, Càtedra, Madrid 1995. GARRIDO SANTIAGO M., Fortificaciones en Extremadura. «Castillos de la Orden de Santiago», in Atti del Congesso Internazionale «Llerena, Extremadura y América», Junta de Extremadura, Badajoz 1994, pp. 109-123. GUERRERO LOVILLO J., Miniatura gotica castellana. Siglos XIII y XIV, C.S.I.C., Madrid 1956. GUTIÉRREZ BANOS F., Las empresas artísticas de Sancho IV el Bravo, Junta de Castilla y León, Burgos 1997. LEHMANN J., Los Cruzados, Martínez Roca, Barcellona 1989. LOMAS D., La Orden de Santiago, C.C.I.C., Madrid 1965. MACKAY A., La España de la Edad Media (Desde la frontera hasta el impecio. 1000-1500), Càtedra, Madrid 1995. MARTIN J.L., Origen de la Orden Militar de Santiago (1170-1175), C.S.I.C., Barcellona 1970. MARTIN J.L., Una sociedad en guerra. Reinos cristiano, y musulmanos (siglos XI-XIII), Historia XVI (1980), Madrid. O’CALLAGHAN J.E., The Order of Calatrava: Years of Crisis and Survival, 1158-1212, in AA.VV., The Meeting of two Worlds. Cultural Exchange between East and West during the Period of the Crusades, Medieval

233

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 233

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Institute Culture, Michigan 1986, pp. 419-430. RUNCIMAN S., Historia de las Cruzadas, «Revista de Occidente» (3 voll.), Madrid 1958. SCALES P.C., The fall of Caliphate of Cordoba: Berbers and Andalusis in Conflict, Brill, Leida 1994. SICART GIMENEZ, A., La Orden de Santiago: Aportación al desarrollo de la Iconografia Jacobea, in AA.VV., Atti del Simposio «El Arte y las Ordenes Militares», Comité Espanol de Historia del Arte, Càceres 1985, pp. 287-292. YARCA LUACES J., La Edad Media (Historia del Arte Hispdnico), vol. 2, Madrid, Alhambra, 1988.

LE ARTI IN SPAGNA E MAROCCO NEI PERIODI ALMORAVIDE E ALMOHADE

ARTE R., L’Espagne musulmane au temps des Nasrides (1232-1492), Parigi 1973. BASSET H., TERRASSE H., Sanctuaires et forteresses almohades, Parigi 1932. BAZZANA A. et al., La ceramica islamica en la ciudad de Valencia, vol. I, Valenza 1983. BERNIS C., Tapicería hispano-musulmana (siglos XIII-XIV), Archivo Español de Arte, 29, 1956, n. 114, pp. 95-115. BERTI G., e TONGIORGI L., I bacini ceramici medievali delle chiese di Pisa, Roma 1981. BLOOM J. et al., The Minhar from the Kutubiyya Mosque, New York 1998. BOSCH VILÁ J., Los Almoravides, Granada 1990. CONTADINI A., La Spagna dal II/VIII al VII/XIII secolo, in Eredità dell’Islam Arte Islamica in Italia, a cura di G. Curatola, Cinisello Balsamo 1993, pp. 105-132 e 504-506. CONTADINI A., ad. v. Murcia, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, vol. VIII, Roma 1997, pp. 614-615. CONTADINI A., Fatimid Art at the Victoria and Albert Museum, Londra 1998. CRESSIER P., Les chapiteaux de la grande mosquée de Cordue (oratoires d’Abd ar-Rahman I et d’Abd ar-Rahman II) et la sculpture de chapiteaux à l’époque émirale, I e II parte, in «Madrider Mitteilungen», 25, 1984, e 26, 1985, rispettivamente pp. 216-281 e 257-313. GOLVIN L., Sur quelques mortiers de bronze trouvés récemment à proximité de la cote Oranaise, in «Annales de l’Institut d’Etudes Orientales - Université d’Alger», vol. XX, 1962, pp. 241-276. GOMEZ MORENO M., Ars Hispaniae - El arte árabe español basta los Almohades, vol. III, Madrid 1951. GUICHARD P., Les musulmans de Valence et la Reconquéte (XIe-XIIIe siècle), Damasco 1990-1991. GRANADA E NEW YORK, Al-Andalus - Las artes islámicas en España, catalogo della mostra a cura di J. Dodds, New York 1992.

GRANADA, Arte islamico en Granada, catalogo della mostra a cura di J. Bermúdez Lopez, Granada 1995. JAMES D., The Master Scribes - Qur’ans of the 10th to the 14th centuries AD, The Nasser D. Khalili Collection of Islamic Art, vol. II, Londra e Oxford 1992. HEDGECOE J., DAMLUJI S.S. (a cura di), Zillij – The Art of Maroccan Ceramics, Reading, 1992. HUICI MIRANDA A., Historia politica del imperio almohade, 2 voll., Tetuan 1956-1957. MARCAIS G., L’Architecture musulmane d’Occident, Parigi 1954. MARINETTO SANCHEZ P., El capitel almoràvide y almohade en la peninsula ibérica, in Estudios dedicados a Don Jesús Bermúdez Pareja, Granada 1988, pp. 55-70. MONNERET DE VILLARD U., Un codice arabospagnolo con miniature, La Bibliofilia, vol. XLIII, 1941, pp. 209-223. NAVARRO PALAZÓN J., GARCÍA AVILÉS A., Aproximación a la cultura material de Madinat Mur siya, in Murcia musulmana, Murcia 1989, pp. 253-356. NAVARRO PALAZÓN J., Una casa islamica en Murcia: estudio de su ajuar (siglo XIII), Islam y arqueología, vol. I, Murcia 1991. OCANA JIMÉNEZ M., Capiteles epigrafiados de Madinat al-Zahra, in Al-Andalus, vol. IV, 1936-1939, pp. 158-168. Parigi, Arabesques et jardins de parades - collection francaises d’art islamique, Musée du Louvre, Parigi 1989. PUERTAS TRICAS R., La Ceramica Islamica de cuerda Seca en la Alcazaba de Malaga, Malaga 1989. SABRE F., Die Keramik von Samarra, Berlino 1925. SERJEANT RB., Materials for a History of Islamic Textiles to the Mongol Conquest, Ars Islamica, XV-XVI, 1951, pp. 29-40, 55-56. SIJELMASSI M., Les Enluminures des Manuscrits Royaux au Maroc, Parigi 1987. TERRASSE H., L’art hispano-mauresque, Parigi, 1932. TERRASSE H., La mosquée al-Qaraouiyin à Fez, Parigi 1968. TORRES BALBÁS L., «Monteagudo y ‘El Castil lejo’ en la Vega de Murcia», in «Al-Andalus», II, 1934, pp. 366-370. T ORRES BALBÁS L., Ars Hispaniae – Arte Almohade, Arte Nazarí, Arte Mudéjar, vol. IV, Madrid 1949. TORRES BALBÁS L., Artes almoravide y almohade, Madrid 1955. TORRES BALBÁS L., Patios de Creucero, in «Al-Andalus», 23, 1958, pp. 171-192. VENTRONE G., Bacino in ceramica smaltata con decorazione monocroma, in Eredità dell’Islam - Arte Islamica in Italia, a cura di G. Curatola, Cinisello Balsamo 1993, n. 73. 1 Per la storia degli Almoravidi si veda BOSCH VILÁ 1990. 2 Per la storia del periodo almohade si veda HUICI MIRANDA 1956-1957; anche GUICHARD 1990-1991.

3 Per la storia del periodo nasride si veda ARIÉ 1973. 4 Per l’architettura e l’arte sotto gli Almohadi si veda TORRES BALBÀS 1949. 5 Per queste moschee si veda MARÇAIS 1954, da p. 191; TERRASSE 1932, da p. 298; TORRES BALBÁS 1955. 6 BASSET e TERRASSE 1932. 7 Per la Murcia islamica e il Castillejo si veda CONTADINI 1997. 8 Il Castillejo de Monteagudo era stato datato all’epoca almohade da TORRES BALBÀS 1934; ridatato al periodo almoravide da GÓMEZ MORENO 1951, p. 279. Solo recentemente è stato riattribuito al periodo almohade sotto Muhammad ibn Mardanish (1147-1172) da NAVARRO PALAZÓN e GARCIA AVILÉS 1989, pp. 253-256 e 298. 9 TORRES BALBÀS 1958 parla del giardino quadripartito di Madinat alZahra’, scoperto durante gli scavi degli anni Cinquanta. 10 Le stanze e i corridoi del Castillejo conservavano gran parte degli zoccoli dipinti a motivi geometrici in rosso. Questi sono andati distrutti col tempo, ma ci sono rimaste delle fotografie riprodotte in GÓMEZ MORENO 1951, fig. 336. 11 Un esempio notevole di cupola a costoloni è a Tlemcen, MARÇAIS 1954, p. 196, un altro nella moschea Qarawiyyin, TERRASSE 1968. 12 TERRASSE 1968, figg. 21-23 e tav. 28. 13 Istanbul, Biblioteca Universitaria, ms. A 6755, illustrato in GRANADA E NEW YORK 1992, n. 75. Per questo e gli altri del gruppo si veda JAMES 1992, pp. 86-91. 14 Si veda SIJELMASSI 1987. 15 MONNERET DE VILLARD 1941. 16 Si veda CONTADINI 1998, p. 13. 17 Si veda SERJEANT 1951, pp. 20-40, 55-56. 18 La casula si trova nel tesoro della chiesa parrocchiale di Quintanaortuña (Burgos). Si veda GRANADA E NEW YORK 1992, p. 106 e fig. l (a colori). 19 Inv. 828-1894. È parte di un tessuto i cui frammenti sono sparsi in varie collezioni pubbliche e private. Si veda GRANADA E NEW YORK 1992, n. 87. 20 Museo de Telas Medievales, 040/001. Si veda BERNIS 1956. Per una foto a colori si veda GRANADA E NEW YORK 1992, n. 92. 21 Per questo tipo di ceramica si veda HEDGECOE e DAMLUJI 1992. 22 Per quest’ultima si veda un’illustrazione a colori in GRANADA E NEW YORK 1992, p. 84. 23 Per un esempio probabilmente nordafricano tipico sia nella forma sia nella decorazione dipinta si veda CONTADINI 1993, n. 37. 24 Si veda Pérez Lopez in GRANADA 1995, nn. 105-106. 25 Murcia, Centro de Estudios Arabes y Arqueológicos «Ibn Arabi», M18-1-84-A-16. Questa ceramica è stata trovata nella cosiddetta «casa

26

27 28 29

30 31 32 33 34

35 36

37 38 39 40 41

42 43 44

araba» del distretto di San Nicola a Murcia. Si veda NAVARRO PALAZÓN 1991. Per esemplari del periodo almoravide e almohade si veda BAZZANA et al. 1983; anche PUERTAS TRICAS 1989. Si veda SARRE 1925. Museo di Maiorca, inv. 13505. Si veda GRANADA E NEW YORK 1992, n. 106. BERTI e TONGIORGI 1981. Per uno splendido esempio di bacino dipinto a lustro di produzione spagnola, secondo quarto del XIII secolo, si veda CONTADINI 1993, n. 36. Inv. 292. Si veda VENTRONE 1993, n. 73. Per questi si veda BLOOM et al. 1998. Tortosa, Tesoro della Cattedrale. Si veda GRANADA E NEW YORK 1992, n. 51. Si veda GOLVIN 1962. Per un esemplare conservato a Palermo, Nuovo Museo di Arte Islamica, si veda CONTADINI 1993, n. 40. N. inv. 7883. Si veda GRANADA E NEW YORK 1992, n. 54. Pisa, Museo dell’Opera del Duomo. Per la discussione più aggiornata sul grifone di Pisa si veda CONTADINI 1993, n. 43. Pinacoteca Nazionale, n. inv. 1445. Si veda CONTADINI 1993, n. 42. N. inv. MR 1569. Si veda Parigi 1989, p. 148, n. 119. Granada, n. inv. R.E. 3085. Si veda Zozaya in GRANADA 1995, n. 52. Si veda G RANADA E N EW Y ORK 1992, n. 55. Si veda CRESSIER 1984 e 1985 e O CANA J IMÉNEZ 1936-1939. Per l’esemplare conservato a Pisa, Museo dell’Opera del Duomo, si veda CONTADINI 1993, n. 39. Si veda Granada e New York 1992, n. 45. Si veda MARINETTO SANCHEZ 1988 e Marinetto Sanchez in GRANADA 1995, nn. 67-72. Si veda Marinetto Sanchez in GRANADA 1995, nn. 91-94.

LE ARTI DEL PERIODO FATIMIDE AMARI M., Storia dei Musulmani di Sicilia, II ed., Catania 1933-1938. ANGLADE E., Catalogue des boiseries de la section islamiche - Musee du Louvre, Parigi 1988. ASHTOR E., Studies on the Levantine Trade in the Middle Ages, Variorum, Londra 1978. BASS G.F., Shipwrecks in the Bodrum Museum of Underwater Archaeology, Ankara 1996. B ELLAFIORI G., La Zisa di Palermo, Palermo 1978. BERTI G., TONGIORGI L., I bacini ceramici medievali delle chiese di Pisa, Roma 1981. BLOOM J., The Mosque of al-Hakim in

234

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 234

03/11/16 09:45


BIBLIOGRAFIA E NOTE

Cairo, in «Muqarnas», 1, 1983, pp. 15-36. BLOOM J., The Origins of Fatimid Art, in «Muqarnas», 3, 1985, pp. 20-38. BLOOM J., The Blue Koran. An early Fatimid Kufic manuscript from the Maghrib, Les Manuscrits du MoyenOrient. Essais de codicologie et paléographie, a cura di E Déroche, Istanbul e Parigi 1989, pp. 95-99. BRETT M., Ifrigiya as a market for Saharan trade from the tenth to the twelfth century AD., Journal of African History, X, 1969, pp. 343-364. BRETT M., Islam in North Africa, The World’s Religions, a cura di P. Clarke et al., Londra 1987. BRETT M., The Mim, the ‘Ayn, and the Making of Isma‘ilism, Bulletin of the School of Oriental and African Studies, LVII, 1, 1994, pp. 25-39. BRETT M., The Realm of the Imam. The Fatimids in the Tenth Century, Bulletin of the School of Oriental and African Studies, LIX, 1996, part 3, pp. 431-449. BUSSAGLI M., Central Asian Painting, Ginevra 1963. CAHEN C., Les merchands etrangers au Caire sous le Fatimides et les Ayyubides, Colloque internationale sur l’histoire du Caire, Cairo 1972, pp. 97-101. CANARD M., Le ceremonial fâtimite et le ceremonial byzantin: essai de comparaison, in «Byzantion», XXI, 1951, pp. 355-420. CARBONI S., «Casket», The Art of Medieval Spain, ad. 500-1200, The Metropolitan Museum of Art, New York 1993, n. 47. CONTADINI A.,The Kitab Manafi‘al-Ilayawan in the Escorial Library, Islamic Art, III, 1988-1989, pp. 33-57. CONTADINI A., La Spagna dal II/VIII al VII/ XIII Secolo, Eredità dell’Islam - Arte Islamica in Italia, a cura di G. Curatola, 1993, pp. 105-132. CONTADINI A., The Ibn Bukhtishu Bestiary Tradition. The text and Its Sources, in Medicina nei Secoli Arte e Scienza, a cura di L.R. Angeletti e A. Touwaide, vol. VI, n. 2, 1994, pp. 349-364. CONTADINI A., Fatimid Art at the Victoria and Albert Museum, Londra 1998. CRESWELL K.A.C., The Muslim Architecture of Egypt, 2 voll., Oxford 1952. CRONE P., HINDS M., God’s Caliph. Religious authority in the first centuries of Islam, Cambridge 1986. DACHRAOUI E., Le Califat fatimide au Maghreb. Histoire politique et institutions, Tunisi 1981. DAFTARY E, The Isma‘ilis: Their History and Doctrine, Cambridge 1990. ERDMANN K., Opere islamiche, in Il Tesoro di S. Marco: il tesoro e il museo, a cura di H.R. Hahnloser, II, Firenze 1971, pp. 100-127. ETTINGHAUSEN R., Painting in the Fatimid Period: A Reconstruction, Ars Islamica, 9, 1942, pp. 112-124. ETTINGHAUSEN R., The ‘Bevelled Style’ in the Post-Samarra Period, Archaeologica Orientalia in Memoriam Ernst

Herzfeld, a cura di G.C. Miles, Locust Valley (New York) 1952. ETTINGHAUSEN R., Early Realism in Islamic Art, Studi orientalistici in onore di Giorgio Levi Della Vida, I, Roma 1956, pp. 250-273. ETTINGHAUSEN R., GRABAR O., The Art and Architecture of Islam 650-1250, Yale University Press, Pelican History of Art, 1987. GABRIELI E, SCERRATO U., Gli Arabi in Italia, Garzanti-Scheiwiller (I ed. 1979) 1985. GELFER-JØRGENSEN M., Medieval Islamic Symbolism and the Paintings in the Cefalù Cathedral, Leida 1986. GOITEIN S.D., Mediterranean trade in the eleventh century: some facts and problems, Studies in the Economic History of the Middle East, a cura di M.A. Cook, Londra 1950. GOITEIN S.D., A Mediterranean Society, 5 voll.: vol. I, Economic Foundations, 1967; vol. II, The Community, 1971; vol. III, The Family, 1978; vol. IV, Daily Life, 1983; vol. V, The Individual, 1988; vol. VI, Indici Cumulativi, 1993; Los Angeles (University of California Press) e Londra 1967-1988. GOLVIN L., Le Maghrib central à l’époque des Zirides, Parigi 1957. GOLVIN L., Recherches archéologiques à la Qala des Banu Hammad, Parigi 1965. GRUBE E.J., Three Miniatures from Fustat in the Metropolitan Museum of Art in New York, Ars Orientalis, V, 1963, pp. 89-95. GRUBE E.J., The Classical Style in Islamic Painting, Lugano 1968. GRUBE E.J., Fostat Fragments e PreMongol and Mamluk Painting, in The Keir Collection. Islamic Painting and the Arts of the Book, a cura di B.W. Robinson, Londra 1976, pp. 25-128. G RUBE E.J., Realism or Formalism: Notes on Some Fatimid Lustrepainted Ceramic Vessels, Studi in onore di Francesco Gabrieli nel suo ottantesimo compleanno, Roma 1984, pp. 423-432. GRUBE E.J., A Drawing of Wrestlers in the Cairo Museum of Islamic Art, Quaderni di Studi Arabi, 3, 1985, pp. 89-106. GRUBE E.J., A Coloured Drawing of the Fatimid Period in the Keir Collection, Rivista degli Studi Orientali, LIX, 1987 pp. 147-174. GRUBE E.J., La pittura islamica nella Sicilia normanna del XII secolo, in La Pittura in Italia. L’Altomedioevo, Milano 1994, pp. 416-431. HILLENBRAND R., Islamic Architecture, Edinburgo 1994. IBN HAWQAL, Surat al-Ard, Leida 1938. JENKINS M., KEENS M., Islamic Jewelry in the Metropolitan Museum of Art, New York 1982. JOHNS J., Re normanni e califfi fatimiti: nuove prospettive su vecchi materiali, Giornata di Studio del Nuovo sulla Sicilia Musulmana, Roma, 3 maggio 1993, Accademia Nazionale dei Lincei-Fondazione Leone Caetani, XXVI, 1995, pp. 3-50.

KAHLE-BONN P., Bergkristall, Glas und Glasflusse nach dem Steinbuch von el-Beruni, Zeitschrift der Deutschen Morgenlandischen Gesellschaft, XC, 1936, pp. 322-356. KUBIAK WB., Al-Fustat: Its Foundation and Early Urban Development, Cairo 1987. K Ü H N E L E., Die islamischen Elfenbeinskulpturen, VIII.-XIII. Jahrhundert, 2 voll., Berlino 1971. LEV Y., The Fatimid conquest of Egypt, military political and social aspects, Israel Oriental Studies, IX, 1979, pp. 315-328. LEV Y., Fatimid Policy towards Damascus (358/968-386/996) - Military, Political and Social Aspects, Jerusalem Studies in Arabic and Islam, III, 1981, pp. 165-183. LEV Y., State and Society in Fatimid Egypt, Leida (Brill) 1991. LEWIS B., The Fatimids and the route to India, Revue de la Faculté des Sciences Economiques, Univ. Istanbul, XI, 1949-1950, pp. 50-54. LEWIS AR., Naval Power and Trade in the Mediterranean, AD 500-1100, Princeton 1951. LEWIS B., An interpretation of Fatimid history, Colloque internationale sur l’histoire du Caire, Cairo 1972, pp. 287-295. LÉZINE A., Mahdiya: recherches d’archeologie islamique, Parigi 1965. LYONS MC., JACKSON D., Saladin: the Politics of the Holy War, Cambridge 1981. AL-MAQRIZI, AHMAD IBN ‘ALI, Al-Mawa’iz wa’li‘t‘ihar hi-dhikr al-khitat wa’l-athar, 2 voll., Cairo 1853. AL-MAQRIZI, AHMAD IBN ‘ALI, Description topographique et historique de l’Egypte, traduzione di U. Bouriant, Parigi 1895. AL-MAQRIZI, AHMAD IBN ‘ALI, Itti‘az al-hunafa’ hi-akhbar al-a’imma al fatimiyyin al-khulafa’, 3 voll., Cairo 1967-1973. MARCAIS G., Les poteries et faiences de la Qal‘a des Beni Hammad, Constantine 1913. MARCAIS G., L’Architecture musulmane d’Occident, Parigi 1954. MARZOUK M.A.A., The Earliest Fatimid Tiraz (Tiraz al-Mansuriya), Bulletin of the Faculty of Arts Alexandria University, XI, 1957, pp. 37-56. MEINECKE-BERG V., Materialien zu fatimidischen Holzdekorationen in Kairo, I, Holzdecken aus dem fatimidischen Westpalast in Kairo, Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Abteilung Kairo, 47, 1991, pp. 227-233. MONNERET DE VILLARD U., Un codice arabospagnolo con miniature, La Bibliofilia, XLIII, 1941, pp. 209-223. MONNERET DE VILLARD U., Le pitture musulmane al soffitto della Cappella Palatina in Palermo, Roma 1950. A L -M UQADDASI , A BU ‘A BD A LLAH MUHAMMAD B. AHMAD, Ahsan alTaqasim fi Ma‘rifat al-Aqalim, tradotto e curato da B.A. Collins e M.H. al-Tai, Reading, 1994.

NASIR-I KHUSRAW, Safer Nameh, a cura di C. Schefer, Parigi 1881. PARIGI 1989, Arabesques et jardins de paradis, Musée du Louvre. PARIGI 1998, Trésors fatimides du Caire, a cura di M. Barrucand, Institut du Monde Arabe. P AUTY E., Les Bois sculptés jusqu’à l’epoque ayyoubite, Catalogue Generale du Musée Arabe du Caire, Cairo 1931. PHILON H., Early Islamic Ceramics - The Benaki Museum, Londra 1980. PINDER-WILSON R., SCANLON, G., Glass Finds from Fustat 1964-1971, Journal of Glass Studies, xv, 1973, pp. 12-30. SCERRATO U., Metalli Islamici, Milano 1966. VENTRONE G., La problematica della ceramica islamica del Nord Africa, Atti del VII Convegno Internazionale della ceramica, Albisola 1974, pp. 85-102. ZBISS SM., Mahdiyya et Sabra Mansouriya: Noveaux documents d’art fatimite et d’Occident, Journal Asiatique, 244, 1956, pp. 79-93. WIET G., Recherches sur les bibliothèques egyptiennes au Xe et XIe siecles, Cahiers de Civilisation Médiévale, 6, 1963 pp. 1-11. WRIGHT O., Music at the Fatimid Court: the evidence of the Ibn al-Tahhan Manuscript, L’Egypte Fatimide - son art et son histoire, a cura di M. Barrucand, Parigi 1999, pp. 537-545. 1 Sull’ismailismo si veda DAFTARY 1990 e BRETT 1994. Per la storia e l’interpretazione della dinastia fatimide si veda BRETT 1996 che fa il punto sugli studi attuali sull’argomento. 2 Su questo punto si veda CONTADINI 1993, in particolare p. 108. 3 ASHTOR 1978. 4 Per il cerimoniale fatimide e le sue connessioni con quello bizantino si veda CANARD 1951. 5 Per i Fatimidi in Nordafrica si veda DACHRAOUI 1981 e BRETT 1987. 6 Per i rapporti dei Fatimidi con la Sicilia si veda AMARI 1933-1938; JOHNS 1995; per la dominazione araba in Sicilia in generale, si veda GABRIELI e SCERRATO 1985, pp. 35105. 7 Per la conquista fatimide d’Egitto si veda AL-MAQRIZI 1895; LEV 1979. 8 Per i Fatimidi in Siria e Palestina si veda LEV 1981. 9 Per il tentativo fallito dei Fatimidi di combinare il potere politico con l’autorità religiosa si veda CRONE e HINDS 1986. 10 Per Saladino e la fine dell’impero fatimide si veda LYONS e JACKSON 1981. 11 GOITEIN 1950. 12 AL-MUQADDASI 1994, pp. 181-183. Per la città di Fustat si veda KUBIAK 1987. 13 Per i commercianti transahariani si veda BRETT 1969 e 1983. 14 LEWIS 1949-1950. 15 CAHEN 1972. 16 GOITEIN 1967-1988.

235

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 235

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

17 Per un resoconto delle origini dell’arte fatimide si veda BLOOM 1985. 18 AL-MAQRIZI 1967-1973, vol. I, p. 79; IBN HAWQAL 1938, vol. I, p. 71. 19 CRESWELL 1952, pp. 5-9. Per l’architettura fatimide di Nordafrica si veda MARÇAIS 1954; LÉZINE 1965, pp. 65ss. per la moschea di Mahdiyya. 20 MARÇAIS 1954, pp. 79-81; ZBISS 1956. 21 AL-MUQADDASI 1994, p. 203. 22 G OLVIN 1957, pp. 180ss.; H IL LENBRAND 1994, p. 438, 7.172. 23 GOLVIN 1965; HILLENBRAND 1994, pp. 439-441, 7.173, 7.176-177, 7.179. 24 B ELLAFIORI 1978; H ILLENBRAND 1994, pp. 440-442. 25 NASIR-I KHUSRAW 1881, p. 128. 26 CRESWELL 1952, p. 33. 27 Per la moschea di al-Azhar si veda CRESWELL 1952, pp. 36-64 e per la moschea di al-Hakim si veda CRESWELL 1952, pp. 65-106; e BLOOM 1983 per un’interpretazione dei minareti. 28 ETTINGHAUSEN 1952, tav. X, n. 3. 29 In particolare nel Museo di Arte Islamica al Cairo e al Museo del Louvre. Per una fotografia di legni in situ si veda ETTINGHAUSEN e GRABAR 1987, fig. 169. 30 CRESWELL 1952, pp. 257-258 e 239253 rispettivamente. 31 Per questi si veda CRESWELL 1952, pp. 166-217. 32 WIET 1963. 33 Is 1430: si veda CONTADINI 1998, figg. 7 e 8. 34 BLOOM 1989. 35 CONTADINI 1998, fig. 9. 36 Ora alla Dar al-Kutub al Cairo, ms. funun jamila 539: WRIGHT 1999. 37 Circa 158 frammenti sono stati segnalati da GRUBE 1985. 38 GRUBE 1976. 39 Come nel caso della rappresentazione di un gallo, ora al Metropolitan Museum of Art di New York, Acc. n. 54.108.1: GRUBE 1963. 40 Acc. n. 54.108.1: CONTADINI 1998, figg. 12 e 13. 41 Per questa tradizione si veda CONTADINI 1988-1989 e 1994. 42 ETTINGHAUSEN 1942. 43 Per queste pitture si veda MONNERET DE VILLARD 1950 e per riproduzioni a colori GABRIELLI e SCERRATO 1985. Anche GRUBE 1994. 44 GELFER-JØRGENSEN 1986. 45 MEINECKE-BERG 1991. 46 GRUBE 1968, in particolare pp. 1115. 47 BUSAGLI 1963, specialmente le illustrazioni a pp. 18 e 25. 48 Roma, Biblioteca Vaticana, ms. Ar. 368: MONNERET DE VILLARD 1941. 49 Cairo, Museo di Arte Islamica, acc. n. 13165: MARZOUK 1957. 50 Madrid, Museo Archeologico, inv. n. 887: KÜHNEL 1971, n. 20, tav. VIII. 51 MARÇAIS 1913. 52 Per la ceramica nordafricana si veda VENTRONE 1974, pp. 82-102; anche PHILON 1980, figg. 124-130.

53 CONTADINI 1998, pp. 79-80. 54 BETTI e TONGIORGI 1981. 55 Per le fornaci e le tecniche di cottura si veda CONTADINI 1998, pp. 7778. 56 ETTINGHAUSEN 1956. 57 GRUBE 1984. 58 PINDER-WILSON e SCANLON 1973. 59 BASS 1996, pp. 37-53. 60 CONTADINI 1998, pp. 96-98. 61 CONTADINI 1998, cap. I. 62 KAHLE-BONN 1936. 63 La brocca del Palazzo Pitti a Firenze è andata recentemente distrutta. Per questa e le altre cinque si veda CONTADINI 1998, pp. 18-19. 64 KAHLE-BONN 1936, p. 332; NASIR-I KHUSRAW 1881, p. 149. 65 CONTADINI 1998, pp. 22-25. 66 CONTADINI 1998, pp. 25-27 e fig. 23. 67 CONTADINI 1998, pp. 27-32. 68 GABRIELLI E SCERRATO 1985, fig. 520. 69 N. inv. 63: ERDMANN 1971, n. 128. 70 CONTADINI 1998, pp. 39-40. 71 CONTADINI 1998, pp. 41-43. 72 PARIGI 1998, n. 209. 73 Per quelli pure di Parigi, Museo del Louvre, si veda PARIGI 1989, n. 180; per quelli a Berlino, Staatlichen Museen für Islamische Kunst, si veda Parigi 1998, n. 81. 74 PAUTY 1931, tavv. XLIV, XLVI-LIX. 75 Per quello di Sayyida Nafisa si veda PARIGI 1998, n. 90; per quello di Sayyida Ruwayya si veda CONTADINI 1998, fig. 36. 76 ANGLADE 1988, fig. 32. 77 SCERRATO 1996, tav. 31. 78 CONTADINI 1993, n. 43. 79 Il cofanetto è conservato a León Real Colegiata de San Isidoro: CARBONI 1993, n. 47. 80 Per esempi di gioielli fatimidi si veda JENKINS e KEENE 1982 e PARIGI 1998, nn. 60-78.

INFLUENZE CRISTIANE SULL’ARTE DELLA SIRIA E DELL’EGITTO AKERMANN PH., Le décor sculpté du Couvent Blanc. Niches et Frises, IFAO, 507, Bibliothèque d’Études Coptes, XIV, 1976. ATIL E., CHASE W.T., JETT P., Islamic Metalwork in the Freer Gallery of Art, Washington D.C. BEHRENS-ABOUSEIF D., Islamic Architecture in Cairo. An Introduction, Leida, 1989. Cahen C., ad v. Ayyubids, in The Encyclopaedia of Islam, II ed., vol. I, Leida 1960. CANARD M., Le cérémonial fâtimite et le cérémonial byzantin: essai de comparaison, in «Byzantion», XXI, 1951, pp. 355-420. CONTADINI A., Fatimid Art at the Victoria and Albert Museum, London 1998. CRESWELL K.A.C., Early Muslim Architecture, II, Oxford 1940. CRESWELL K.A.C., The Muslim Architecture of Egypt, Oxford 1952. CUNEO P., MARAZZI U., Glossario dei

termini urbanistici del mondo islamico, in «Storia della città», 46, 1989, pp. 55-80. CURATOLA G., Metalli siriani al Museo Nazionale di Firenze, in «Il Veltro», XXVIII, 3-4, 1984, pp. 295-303. CURATOLA G., SCARCIA G., Le arti nell’Islam, Roma 1990. DUHMAN M.A., «al-Madrasa al-Zahiriyya» (La madrasa Zahiriyya), in «Majallat al-Majma ‘al- ‘Ilmi al‘Arabi bi-Dimashq», 23, 1948, pp. 573-582. Eredità dell’Islam. Arte Islamica in Italia, (a cura di G. Curatola), Venezia, Palazzo Ducale, ottobre 1993-aprile 1994, Milano 1993. FINSTER B., Die Mosaiken der Umayyadenmoscheee von Damaskus, in Kunst des Orients, 1970-1971, 7, pp. 83-141. FONTANA M.V., La miniatura islamica, Roma 1998. GABRIELI E., Storici arabi delle crociate, Torino 1963. GRABAR O., Islamic Art and Byzantium, in «Dumbarton Oaks Papers», 1964, 18, pp. 67-88. GRABAR O., Imperial and Urban Art in Islam: The Subject Matter of Fatimid Art, in Colloque Internationale sur l’Histoire du Caire, Cairo 1969, pp. 173-189. GRABAR O., The Formation of Islamic Art, New Haven, London 1973. GRABAR O., City in the desert: Qasr alHayr East, Cambridge, Mass. 1978. GRABAR O., The Shape of the Holy. Early Islamic Jerusalem, Princeton 1996. KATZENSTEIN R.A., LOWRY GD., Christian Themes in Thirteenth-Century Islamic Metalwork, in «Muqarnas», 1, 1983, pp. 53-68. LANZA A., TRONCARELLI M., Pellegrini scrittori, Firenze 1989. LAWRENCE TE., I castelli dei crociati, (a cura di F. Cardini), Venezia 1989. LYONS M.C., JACKSON D.E.P., Saladin. The Politics of the Holy War, Cambridge 1981. MACKENZIE N.D., Ayyubid Cairo. A Topographical Study, Cairo 1992. M ARTINIANI -R EBER M., Lyon, musée historique des tissus. Soieries sassanides, coptes et byzantines Ve-XIe siècles, Paris 1986. MOUGDAB S., ORY S., Bosra, cité islamique, in «Archéologia», 178, 1980, pp. 22-30. Paris 1998: Trésors fatimides du Caire, Paris, Institut du monde arabe, 28 avril-30 aoút 1998, Parigi 1998. PATRICOLO A., MONNERET DE VILLARD U., The Church of Sitt Burbâra in Old Cairo, Firenze 1922. RIEGL A., Industria artistica tardoromana, Firenze 1981. ROGERS J.M., The Spread of Islam, Londra 1976. RUNCIMAN S., A History of the Crusades, Cambridge 1951. SCARCIA G., Il volto di Adamo. Islam: la questione estetica nell’altro Occidente, Venezia 1995. SHATZMILLER M. (a cura di), Crusaders & Muslims in Twelfth-Century Syria,

Leida-New York-Colonia 1993. WARD R., Islamic Metalwork, Londra 1993. WILLIAMS C., The Qur’anic Inscriptions on the Tabut of al-Husayn», in «Islamic Art», II, 1987, pp. 3-13. WILLIAMS C., The Cult of the ‘Alid Saints in the Monuments of Fatimid Cairo, I, The Mosque of Al-Aqmar, in «Muqarnas», I, 1983. 1 GRABAR 1973. 2 SCARCIA 1995. 3 È quasi opinione comune (uno dei non rari luoghi comuni e pregiudizi ben radicati circa l’Islàm) che l’apporto dei musulmani alla storia delle scoperte scientifiche sia consistito soprattutto nell’essere stati grandi traduttori, ma di fatto solo trasmettitori, e cioè tramite fra il sapere antico – non solo greco, ma anche egizio e semitico – e quello moderno, nostro, in una parola occidentale. 4 MOUGDAB, ORY 1980. 5 Il riferimento, ovviamente, è a Riegl. 6 GRABAR 1996. 7 FINSTER 1970-1971. 8 DUHMAN 1948. CURATOLA, SCARCIA 1990, p. 54. 9 BEHRENS-ABOUSEIF 1989, p. 98. 10 È interessante come una fonte degli indizi dell’XI secolo (riportata da CRESWELL 1940, p. 333) vuole che la costruzione della sala di preghiera non sia stata impostata sulle tradizionali colonne in marmo (semplici o abbinate ne sarebbero occorse più di 300), ma su pilastri per intervento di un architetto cristiano. L’iscrizione musiva della parte superiore del mihrab risale al restauro del XIII secolo (1296) ad opera del sultano Lajin: CURATOLA, SCARCIA 1990, p. 54. 11 Con l’eccezione, forse, dell’India. Il caso andrebbe esaminato e discusso con attenzione. 12 Per esempio, e curiosamente, la disciplina insegnata dal grande storico dell’arte Ugo Monneret de Villard si intitolava «Storia dell’arte Copta e Musulmana». 13 CRESWELL 1940, pp. 171-196. 14 È il materiale decorativo di gran lunga più impiegato nel mondo musulmano a partire dal califfato abbaside. 15 BEHRENS-ABOUSEIF 1989, p. 60. 16 CRESWELL 1952, pp. 65-106. 17 WILLIAMS 1983. 18 GRABAR 1978. 19 BEHRENS-ABOUSEIF 1989, p. 73. 20 AKERMANN 1976, pp. 20-21. 21 CRESWELL 1952, pp. 283ss. 22 Una discendente di ‘Ali e dunque sciita, come ufficialmente sciita fu la dinastia dei Fatimidi (969-1171), da Fatima, figlia del Profeta e sposa di ‘Ali. 23 E fu per reazione a questo fatto che in Spagna si proclamò l’indipendenza del califfato omayyade, rendendo palese – dal momento che, nominalmente almeno, la sede del

236

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 236

03/11/16 09:45


BIBLIOGRAFIA E NOTE

califfato era Baghdad – quel policentrismo politico che è rimasto, mutatis mutandis, pressoché intatto fino ai giorni nostri. 24 Basti pensare ai cristalli di rocca o agli avori, che sono fra le opere più raffinate prodotte in ambito musulmano. 25 CANARD 1951. 26 Sull’arte di questo periodo si vedano il catalogo della recente mostra a Parigi (Paris 1998) e il recentissimo nel volume di A. Contadini sulla collezione del Victoria and Albert Museum di Londra. 27 MARTINIANI-REBER 1986. 28 CONTADINI 1998, tavv. 28, 30, pp. 69, 70. 29 Soprattutto GRABAR 1969. 30 La tesi è quella per cui i Fatimidi in quanto sciiti sarebbero meno osservanti di un codice rigido di comportamento artistico aniconico. È certamente un’idea inesatta che non ha alcuna base teologica. 31 CONTADINI 1998, tav. 34. 32 CONTADINI 1998, tav. 35. 33 Eredità dell’Islam, n. 47. 34 Si vedano rappresentazioni in ceramica (Paris 1998; nn. 35, 37-38, 101) per esempio raffrontandole a quelle di un celebre manoscritto del Vangelo di scuola copta (Paris 1998, n. 102). 35 PATRICOLO, MONNERET DE VILLARD 1922, pp. 45-59. È significativo che il volume sia dedicato a Josef Strzygowski. 36 PATRICOLO, MONNERET DEL VILLARD 1922, p. 54. 37 RUNCIMAN 1951. GABRIELI 1963. SCHATZMILLER 1993. 38 LYONS, JACKSON 1982. 39 CAHEN 1960, p. 803. 40 MACKENZIE 1992, p. 24. 41 BEHRENS-ABOUSEIF 1989, pp. 78-81. 42 ROGERS 1976, pp. 43ss. 43 LAWRENCE 1989. 44 Sul lessico architettonico nell’Islàm si veda l’utile lavoro di CUNEO, MARAZZI 1989. 45 BEHRENS-ABOUSEIF 1989, p. 100. 46 LANZA, TRONCARELLI 1990, p. 239. 47 Termine che deriva dall’arabo alazam, straniero, persiano per designare una tecnica artistica orientale (khorasanica e quindi persiana) in voga nell’arte dei metalli. 48 Eseguita a Mosul nell’aprile del 1232 da Shuja ibn Man ‘a. WARD 1993, pp. 80, 82. 49 CURATOLA 1984, pp. 300-301, fig. 2. 50 Regnò su Diyarbakir (1232-1239), Damasco (1239, 1245-1249) e Cairo (1240-1249) e ricevette l’investitura califfale nel 1247. Morì combattendo contro i crociati nel 1249. ATIL, CHASE, JETT 1985, n. 18, pp. 137147. 51 ATIL, CHASE, JETT 1985, p. 145. 52 ATIL, CHASE, JETT 1985, n. 17, pp. 124-136. 53 In tutto si conoscono sedici metalli ayyubidi con raffigurazioni cristiane; KATZENSTEIN, LOWRY 1983. 54 Fontana 1998, p. 48.

I SELGIUCHIDI: UNA «CROCIATA» TURCA

ABEGJAN M., Vishapner’ Koch’vac kot’ognern ibrev Astik-Deketo dic’num arjanner, Erevan 1941 (ristampato in «Erker», VII, 1975, pp. 103-75). AZARIAN L., Khatchkar, Documenti di Architettura Armena, 2, Milano 1977. B ELENITSKIJ A.M., Monumental’noe iskusstvo Pendzhikenta, Moskva 1973. BORATAV P., Adventures merveilleuses sous terre et ailleurs de Er Toshtuk le géant des steppes, Paris 1965. BRECCIA FRATADOCCHI T., La Chiesa di S. Ejmiacin a Soradir, Roma 1971. BUSSAGLI M., Painting of Central Asia, Geneva 1963. CHADWICK N.K., ZHRIMUNSKIJ V.M., Oral Epics of Central Asia, Cambridge 1969. CUNEO P., Architettura Armena, Roma 1988. CURATOLA G., Draghi. La tradizione artistica orientale e i disegni del tesoro del Topkapi, Venezia 1989. CURATOLA G., Architettura armena e selgiuchide: tentativo di analisi, in K’asakhi Vank’er, Documenti di Architettura Armena, 15, Milano 1986, pp. 18-26. CURATOLA G., Il «vishap» di Aght’amar; nota sulla diffusione occidentale di un motivo iconografico, in «Oriente Moderno», LVIII,1978, pp. 285-302. DAVIES J.C.; Medieval Armenian Art and Architecture. The Church of the Holy Cross, Aght’amar, London 1991. DER NERSESSIAN S., Aght’amar Church of the Holy Cross, Cambridge Mass. 1965. ERTUG A. (a cura), The Seljuks. A Journey Through Architecture, Istanbul 1991. FOLSACH K. VON, Islamic Art. The David Collection, Copenhagen 1989. GALDIERI E., Isfahan: Masgid-i Gum’a - 3. Research and Restoration Activities, 1973-1978; New Observations, 19791982, Roma 1984. GAP’ANC’YAN G.A., O kamennych stelach na gorach Armenii, Erevan 1952 (ristampato in Istoriko-lingvi sticheskie raboty II, EREVAN 1975, pp. 317-341). G HAFADARIAN K., Il monastero di Hovhannavank, in K’asakhi Vank’er, Documenti di Architettura Armena, 15, Milano 1986, pp. 5-10. KARAMAGARALI B., Ahlat Mezatashlari, Ankara 1972. MALACARNE G., Araldica Gonzaghesca, Modena 1992. MARR N., SMIRNOV J., Les Vichaps, Leningrad 1931. MARSHAK B., KRAMAROVSKY M., Treasures from the Ob’ Basin, San Pietroburgo 1996. MAYER L.A., Saracenic Heraldry, Oxford 1933. Mulayim S., Anadolu Turk Mimarisinde Geometrik Suslemler-Selçuklu çagi, Ankara 1982. ONEY G., Dragon Figures in Anatolian

Seljuk Art, in «Belleten», XXXIII, 1969, pp. 193-216. ONGE Y., ATESH I., BAYRAM S. (a cura), Divrigi Ulu Cami ve Darussifasi, Ankara 1978. O TTO -D ORM K., Darstellungen des turco-chinesischen Tierzyklus in der Islamischen Kunst, in Beiträge zur Kunstgeschichte Asiens. In Memoriam Ernst Dize, O. Aslanapa ed., Istanbul 1963, pp. 131-165. OTTO-DORM K., Figural Stone Reliefs on Seljuk Sacred architecture in Anatolia, in «Kunst des Orients», XII, 1-2, 1978-1979, pp. 103-149. OTTO-DORM K., Turkische Grabsteine mit Figurenreliefs aus Kleinasien», in «Ars Orientalis», III, 1959, pp. 63-76. SAHINIAN A., G(h)eghard, Documenti di Architettura Armena, 6, Milano 1978. SCHMIDT H.P., The Senmurv. Of Birds and Dogs and Bats, in «Persica», IX, 1980, pp. 1-85. SOZEN M., Diyarbakir’da Turk mimarisi, Istanbul 1971. TAPPER R. (a cura), The Conflict of Tribe and State in Iran and Afghanistan, New York 1983. TREVER C.V., Téte de senmurv en argent des Collections de l’Ermitage», in «Iranica Antiqua», IV, 1964, pp. 162-170. VELMANS T., ALPAGO NOVELLO A., L’arte della Georgia, Milano 1996. VERCELLIN G., Istituzioni del mondo musulmano, Torino 1996. Yucel E., Selchukler agaç isçiligi», in «Sanat dunaymiz», 4, 1975, pp. 2-11. ZAGANELLI G. (a cura), La lettera del Prete Gianni, Parma 1990. 1 TAPPER 1983; VERCELLIN 1996. 2 Con ampie diramazioni: una cosa è andare verso la Mesopotamia, un’altra verso il Caucaso. 3 Le «crociate», da Est o da Ovest che vengano, sono sempre in buona misura basate anche su ragioni, diciamo così, economiche. 4 Esattamente come nel periodo preislamico e in quello iniziale della predicazione di Muhammad. 5 ZAGANELLI 1990. 6 BELENITSKIJ 1973. 7 BUSSAGLI 1963. 8 CHADWICK, ZHIRMUNSKIJ 1969. 9 E non solo di sciamanesimo si tratta. Abbiamo accennato sopra alla figura del «prete Gianni». Orbene, questa si inquadra in una presenza cristiana non indifferente e non secondaria. Le due pietre tombali con iscrizioni in turco antico e incise con il segno della croce – conservate nel museo nazionale del Kazakistan ad Alma Ata – si collegano agevolmente a uno dei più straordinari e singolari monumenti tombali d’Asia: la stele di Sian Fu (datata 781), cristiana nestoriana, ma decorata con due draghi tipologicamente affatto classici in Cina. 10 BORATAV 1965. 11 GALDIERI 1984, pp. 25-28. 12 MAYER 1933, p. 2, n. 2.

13 Sulla scorta dell’autorità di Bonvesin de la Riva la tradizione vuole che la «vipera» viscontea «… che inghiotte un saraceno rosso» (MALACARNE 1992, p. 55) sia stato un privilegio concesso: «… in considerazione delle vittoriose imprese compiute in Oriente contro i saraceni da un Ottone Visconti, valorosissimo guerriero che avrebbe ucciso un saraceno che aveva sullo scudo la vipera portata nell’insegna come trofeo sul proprio scudo» (MALACARNE: ibidem); è in ogni caso interessante l’accenno all’Oriente, ma in realtà è abbastanza evidente – almeno a noi – che la scena raffigurata è quella biblica di Giona, nella fase in cui l’animale salvifico riespelle il Profeta. Tale animale, che in altra sede abbiamo definito senmurv-arlez-pistrice (CURATOLA 1978), ha una complessa simbologia alla quale non è estraneo il contributo di diffusione dato proprio dall’Oriente islamico selgiuchide. 14 Ciò di fatto avverrà solo con i grandi imperi cinquecenteschi, con i Safavidi in Persia, i Moghul in India e, soprattutto, con gli Ottomani. 15 Diversa non è forse tanto la concezione architettonica fra cristiani d’Oriente e cristiani dell’Occidente balcanico, quanto i materiali e la tecnica impiegata: da una parte pietre di grande formato di tipo tufaceo e muri a sacco, dall’altro pietre di formato molto più piccolo spesso alternate a duplici corsi di mattoni cotti. 16 CURATOLA 1986 pp. 15-26. 17 Sull’architettura armena si veda CUNEO 1988. Per l’arte georgiana, VELMANS, ALPAGO NOVELLO 1996. 18 Del resto nella capitale armena di Ani, lungo l’Arasse, al visitatore appare non tanto miracolosa, quanto premio a una tecnica di sperimentata efficacia la circostanza che, nonostante una quasi ininterrotta attività sismica, molti edifici siano a tutt’oggi sì da restaurare ma ancora in condizioni di offrire un panorama leggibile. 19 CUNEO 1988, n. 142, pp. 290-298. 20 GHAFADARIAN 1986. 21 KARAMAGARALI 1972. 22 In particolar modo col gruppo di edifici della tipologia di Soradir: BRECCIA FRATADOCCHI 1971. 23 ERTUG 1991, pp. 146-151. 24 SAHINIAN 1978. CUNEO 1988, n. 31, pp. 136-39. 25 DER NERSESSIAN 1965. DAVIES 1991. 26 KARAMAGARALI 1972. 27 OTTO-DORN 1963. 28 TREVER 1964. SCHMIDT 1980. 29 OTTO-DORN 1978-1979. 30 KARAMAGARALI 1972. 31 AZARIAN 1977. 32 Forse da mettere in relazione con i vishap precristiani, monumentali stele ritrovate in particolare nelle zone montagnose del lago Sevan; sui vishap vi è ampia letteratura (M ARR , S MIRNOV 1931; A BEGJAN 1941; GHAP’ANC’YAN 1952) e in

237

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 237

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

33

34

35 36 37 38 39

40 41 42 43 44

45

46

47

particolare Abegjan sostiene una funzione di queste stele simile ai khatchk’ar (che ne sarebbero la versione cristianizzata) e cioè pietre scolpite «totemiche» con croce iscritta, inizialmente elevate per allontanare la siccità e poi trasformate in monumenti di devozione popolare. Il wagf della fondazione della moschea, a nome di Ahmad Shah e di sua madre Fatima Hatun è del luglio 1243. Sui due monumenti si veda il volume monografico curato da ONGE, ATESH, BAYRAM 1978. Il capolavoro assoluto è la cinta muraria di Diyarbakir (XII secolo) (SOZEN 1971), probabilmente la più imponente e bella costruzione di mura conservatasi al mondo. MULAYIM 1982. ERTUG 1991, pp. 114-117. ERTUG 1991, p. 36. ERTUG 1991 pp. 106-113. L’ornato geometrico, in età selgiuchide, non è limitato all’architettura in pietra: il mihrab ligneo della moschea Tashkin Pasha di Ürgüp (XIV secolo), con il suo repertorio geometrico e di arabeschi, è un esempio importante della continuità dell’esperienza artistica del periodo in esame, espressa in numerosi minbar (pulpiti mobili) prodotti fra il XII e il XIV secolo (YÚCEL 1975). In legno sono anche le moschee, sempre selgiuchidi, di Kasabakoy (a Kastamonu) e la Esrefoélu Cami di Beyshehir sulle sponde di quello stesso lago ove sorgeva il palazzo di Kubadabad (1236). CUNEO 1988, n. 202, p. 394. YUCEL 1975. Rispettivamente: CUNEO 1988, nn. 112 e 160, p. 327. CUNEO 1988, n. 165, pp. 336-337. Ancora oggi si conserva questa tradizione; essendosi però compiuto il passaggio da sacro a profano, per cui quello spazio non è più del Religioso (come delimitazione del luogo di culto o di sacrificio, passato poi a rappresentare il rito tout court) ma definisce il Potere – che un tempo si manifestava per scelta divina –, ecco che nell’omaggio al potente il terreno è sempre coperto da un tappeto… Chiesa di Areni, 1321, portale occidentale attribuito a Mastro Momik (CUNEO 1988, n. 202 p. 394); complesso di Noravank’, rilievo sul portale del Gavit (atrio), 1330 ca. (CUNEO 1988, n. 201, pp. 390-393). Non si vuole con questo assolutamente sposare la tesi che la pseudo iscrizione musulmana sia segno di una manifattura o di un uso cristiano; pseudo iscrizioni sono frequentissime in ambito islamico – esclusa l’architettura – e sono attestate un po’ in tutti i materiali (ceramiche, vetri, metalli, tessuti) in un vasto arco temporale. Nel caravanserraglio di Sultan Han fra Sivas e Kayseri (1232-1236),

48 49 50 51 52

53 54

55

oppure nel Karatay Han di Niéde (opera iniziata da Sultan Alaeddin Keykubad e completata da Giyaseddin Keyhusrev, ca. 1229; ONEY 1969. Sulla problematica dell’identificazione degli animali si veda comunque CURATOLA 1989, pp. 60-63. FOLSACH 1989, n. 323. OTTO-DORN 1963. Parigi, Biblioteca Nazionale, ms. arabe 2964, f. 37. Hariri, al-Maaamat; Egitto 1334. Vienna, Biblioteca Nazionale, Af. 9, fol.1. Dinastia turcmena localizzata nelle zone di Diyarbakir; a Hasankeyf e Amid (1102-1408) e Mardin, Mayyafariqin (1104-1408). STEPPAN (et al.) 1995. Incidentalmente un’aquila (bicefala) in posizione araldica è dipinta su un leggio coranico ligneo conservato al museo di Konya e già appartenuto alla confraternita dei dervisci Mevlevi. Oltre all’aquila centrale la decorazione (trattandosi di uno spazio circolare) è composta da un fitto sottofondo di girali foliati di semi palmette e sette coppie di leoni affrontati o addorsati. MARSHAK, KRAMAROSKY 1996.

L’IMPERO MAMELUCCO CENTRO DEL RINASCIMENTO ISLAMICO ABEL A., Ghaiby et les grands faienciers égyptiens d’epogue mamlouke, Cairo 1930. ALLAN J.W., Later Mamluk metalwork. A series of dishes, in «Oriental Art», NS, XV, n.1, Spring 1969, pp. 38-43. ALLAN J.W., Venetian Saracenic Metalwork: The Problems of Provenance, in Venezia e l’Oriente Vicino, a cura di E.J. Grube, Venezia 1989, pp. 167-183. ATIL E., Renaissance of Islam. Art of the Mamluks, Washington 1981. ATIL E., CHASE, W.T., JETT, P., Islamic metalwork in the Freer Gallery of Art, Washington 1985. AYALON D., L’esclavage du Mamelouk, Gerusalemme 1951. BAER E., Metalwork in Medieval Islamic Art, Albany 1983. BACHARACH J.L. (a cura), The Restoration and Conservation of Islamic Monuments in Egypt, Cairo 1995. BEHRENS-ABOUSEIF D., Islamic Architecture in Cairo, Leida 1989. BOSWORTH C.E., The Islamic Dynasties, Edinburgh 1967. CARBONI S., WHITEHOUSE D., Glass of the Sultans, New York 2001. CRESSWELL K.A.C., The Muslim Architecture of Egypt, vol. II, Oxford 1959. CURATOLA G., SCARCIA G., Le arti nell’Islam, Roma 1990. ELLIS C.G., Mysteries of the Misplaced Mamluks, in «Textile Museum Journal», II, n. 2,1967, pp. 2-20. ERDMANN K., Keirener Teppiche, Teil II, Mamluken and Osmanenteppiche, in «Ars Islamica», 7, 1940, pp. 55-81.

ETTINGHAUSEN R., Arab Painting, Ginevra 1962. GABRIELI E., Storici arabi delle crociate, Torino 1973. GAUDEFROY-DEMOMBYNES M., La Syrie à l’Epoque des Mamelouks d’après les auteurs arabes, Parigi 1923. HALDANE D., Mamluk Painting, Warminster 1978. HERZ BEY M., La Mosquée du Sultan Hasan au Caire, Cairo 1899. HITTI P.K., History of Syria, New York 1957. JAMES D., Qur’ans and Bindings from the Chester Beatty Library, Londra 1980. JAMES D., Qur’ans of the Mamluks, Londra 1988. KING D., Islamic astronomical instruments, Londra 1987. LAMM C.J., Mittelalterliche Gliser and Steinschnittarbeiten aus dem Nahen Osten, Berlino 1929-1930. LANE A., Early Islamic Pottery, Londra 1947. LANE-POOLE S., A History of Egypt in the Middle Ages, rist. IV ed., Londra 1968. LANE-POOLE S., The Arts of the Saracens in Egypt, Londra 1986. LAPIDUS I.M., Muslim Cities in the Later Middle Ages, Cambridge (Mass.) 1967. LINGS M., The Quranic Art of Calligraphy and Illumination, Westerham 1976. LITTLE D.P., An Introduction to Mamluk Historiography: An Analysis of Arabic Annalistic and Biographical Sources for the Reign of al-Mamlik an-Nasir Muhammad ibn Qala’un, Wiesbaden-Montreal 1970. Mayer L.A., Saracenic Heraldry, Oxford 1933. Mayer L.A., Saracenic Arms and Armor, in «Ars Islamica», X, 1943, pp. 1-12. Mayer L.A., Mamluk Costume, Ginevra 1952. Mayer L.A., Islamic Woodcarvers and Their Works, Ginevra 1958. Mayer L.A., Mamluk Playing Cards, Leida 1971. MEINECKE M., Zur mamlukische Heraldik, in «Mitteilungen des Deutchen Archaeologischen Institut» Abteilung Kairo, 28, n. 2, pp. 214-287. MEINECKE M., Patterns of Stylistic Changes in Islamic Architecture. Local Traditions versus Migrating Artists, New York 1996. PARKER R.B., SABIN R., WILLIAMS C., Islamic Monuments in Cairo, Cairo 1974. Pauty E., Les palais et les maisons d’époque musulmane au Caire, Cairo 1938. PORTER V., Medieval Syrian Pottery, Oxford 1981. QUATREMERE E.M., Histoire des Sultans Mamelouks de l’Egypte, Parigi 1845. RICE D.S., Two unusual Mamluk Metal Works, in «Bulletin of the School of Oriental and African Studies», 20, 1957, pp. 487-500. R OGERS J.M., Evidence for MongolMamluke Relations 1260-1360, in Colloque International sur l’Histoire du Caire, marzo-aprile 1969, Lipsia e Berlino 1973, pp. 385-404.

ROGERS J.M., The Spread of Islam, Oxford 1976. RUNCIMAN S., A History of the Crusades, Cambridge 1951. SCERRATO U., Metalli Islamici, Milano 1967. WARD R., Islamic Metalwork, Londra 1993. WIET G., Catalogue Général du Musée Arabe du Caire: Objets en cuivre, Cairo 1932. ZIADA M., The Mamluk Sultans to 1293, in A History of the Crusades, II, The Later Crusades, 1191-1311, a cura di H. Lazard, Madison-Londra 1969, pp. 735-758. Z IADA M., The Mamluk Sultans to 1291-1517, in A History of the Crusades, III, The Fourteenth and Fifteenth Centuries, a cura di H. Lazard, Madison-Londra 1975, pp. 486-512.

L’ARTE ISLAMICA OCCIDENTALE AGLI ALBORI DEL RINASCIMENTO EUROPEO. NASRIDI E MERINIDI AA.VV., Casas y palacios de al-Andalus, siglos XII y XIII, Granada 1995. ‘ABBÁDI AL- A.M., El remo de Granada en la época de Muhammad V, Madrid 1973. Al-Andalus: las artes islámicas en España, Madrid-New York 1992. Arte islámico en Granada. Propuestas para un museo de la Alhambra, Granada 1995. BERMÚDEZ PAREJA J., Pinturas sobre piel en la Alhambra de Granada, Granada 1987. BORRÁS G.M., La Alhambra y el Generalife, Madrid 1989. CABANELAS D., Literatura, arte y religión en los palacios de la Alhambra, Granada 1984. CABANELAS D., El techo del Salón de Comares en la Alhambra. Decoración, Policromía, Simbolismo y Etimología, Granada 1988. CABANELAS D., La Madraza árabe de Granada y su suerte en época cristiana, «Cuadernos de la Alhambra», XXIV, 1988, p. 35. ELIADE M., Lo sagrado y lo profano, Barcellona 1985. ETTINGHAUSEN R., GRABAR O., Arte y arquitectura del Islam, 650-1250, Madrid 1996. FERNÁNDEZ PUERTAS A., La Fachada del Palacio de Comares, I, Granada 1980. FERNÁNDEZ PUERTAS A., Arte nazarí. Conocimiento, investigación y bibliografía, in C. Castillo Castillo (a cura di), Estudios nazaríes, Al-Mudun, Granada 1995, pp. 111-145. FERNÁNDEZ PUERTAS A., The Alhambra: From the Ninth Century to Yusuf I (1354), vol. I, Londra 1997. GARCÍA GOMEZ E., Ibn Zamrak, el poeta de la Alhambra, Granada 1975. GARCÍA GOMEZ E., Poemas árabes en los muros y fuentes de la Alhambra, Madrid 1985.

238

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 238

03/11/16 09:45


BIBLIOGRAFIA E NOTE

GARCÍA GOMEZ E., Foco de Antigua luz sobre la Alhambra, Madrid 1988. GARCÍA GRANADOS J.A., GIRÓN IRUESTE E., SALVATIERRA CUENCA V., El Maristán de Granada, un hospital islámico, Granada 1989. GONZALEZ ALCANTUD J.A., MALPICA CUELLO A. (a cura), Pensar la Alhambra, Granada 2001. GRABAR O., La Alhambra: iconografia, formas y valores, Madrid 1980. HATTSTEIN M., DELIUS P. (a cura di), El islam. Arte y arquitectura, Colonia 2000. IBN AL-ARMAR, Ismaíl, Rawdat al-nisrín fi dawlat Baní Marín, intr. e trad. di M.A. Manzano, Madrid 1989. IBN AL-JATÍB, Diwán Lisán al-Din Ibn al-Jatíb, 2 voll., a cura di M. Miftáh, Casablanca 1989. IBN AL-JATÍB, Historia de los Reyes de la Alhambra, trad. di J. Mª Casciaro e intr. di E. Molina, Granada 1998. IBN LUYÚN, Tratado de agricultura, Granada 1988. IBN ZAMRAK, Diwáin Ibn Zamrak al-

Andalusí, a cura di M.T. al-Nayfar, Beirut 1997. LAFUENTE ALCANTARA E., Inscripciones árabes de Granada, Madrid 1859 (riedizione Granada 2000). Les jardins de L’Islam 2eme Colloque International sur la Protection et Restauration des Jardins organisé par l’ICOMOS et l’IFLA, Granada 1976. LÓPEZ GUZMÁN R. (a cura di), La arquitectura del Islam occidental, Granada 1995. MANZANO RODRÍGUEZ M.A., La intervención de los benimerines en la Península Ibérica, Madrid 1992. MARINETTO SÁNCHEZ P., Los capiteles del Palacio de los Leones en la Alhambra, Granada 1997. MARTÍNEZ ENAMORADO V., Epigrafia y Poder. Inscripciones árabes de la Madrasa al-Yadida de Ceuta, Ceuta 1998. MEHREZ G., Las pinturas murales islámicas en el Partal de la Alhambra, Madrid 1951. NYKL A.R., Inscripciones árabes de la Alhambra y del Generalife, «Al-

Andalus», IV 1936, pp. 174-194. PAVÓN MALDONADO B., La Alcazaba de la Alhambra, «Cuadernos de la Alhambra, 7, 1971, pp. 4-34. PAVÓN MALDONADO B., El arte hispanomusulmán en su decoración geométrica, Madrid 1989. PAVÓN MALDONADO B., El Cuarto Real de Santo Domingo de Granada (Los orígenes del arte nazarí), Granada 1991. PAVÓN MALDONADO B., El arte hispanomusulmán en su decoración floral, Madrid 1991. PÉREZ GOMEZ R. (a cura di), La Alhambra, aggiorn. Epsilon, Granada 1995. PUERTA VÍLCHEZ J.M., Los códigos de utopía de la Alhambra de Granada, Granada 1990. PUERTA VÍLCHEZ J.M., Historia del pensamiento estético drabe. Al-Andalus y la estética árabe clásica, Madrid 1997. PUERTA VÍLCHEZ J.M., La cultura y la creación artística [nel regno nasride], in M. Barrios Aguilera e R. Peinado Santaella (a cura di), Historia del Reino de Granada, vol. I, De los orígenes a la época mudéjar (hasta

1502), Granada 2000, pp. 349-413. PUERTA VÍLCHEZ J.M., L’architecture parlante, «Al-Qantara», 37, Paris 2000, pp. 41-44. P UERTA V ÍLCHEZ J.M., Le Jardin de Bonheur, «Al-Qantara», 39, Paris 2001, pp. 43-45. PUERTA VÍLCHEZ J.M., El vocabolario estético de los poemas de la Alhambra, in J.A. González Alcantud e A. Malpica Cuello (a cura di), Pensar la Alhambra, 2001, pp. 69-88. RUBIERA MATA Mª J., La arquitectura en la literatura árabe. Datos para una estética del placer, Madrid 1981. RUBIERA MATA Mª J., Ibn al-Yayyáb, el otro poeta de la Alhambra, Granada 1982. TORRES BALBAS L., La Mezquita Real de la Alhambra y el baño frontero, «Al-Andalus», X 1945, pp. 196-214. TORRES BALBAS L., Arte almohade. Arte nazarí. Arte mudéjar, vol. IV di Ars Hispaniae, Madrid 1949. VÍLCHEZ VÍLCHEZ C., El Generalife, Granada 1991. YARRAR S., Diwdn al-Hamra’, BeirutAmman 1999.

239

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 239

03/11/16 09:45


INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

al-‘Abbas: 42 Abbasidi: 42, 121 Abd Allah Ibn Yasin: 97 ‘Abd al-Haqq (1421-1465): 224 Abd al-Malik: 8, 23, 28, 29 ‘Abd al-Mu’min: 97 Abd al-Rahman I l’Immigrato (731-788): 9, 55 Abd al-Rahman II: 58, 67, 68 Abd al-Rahman III: 55, 62, 62, 66, 67 Abdallah Ibn Muhammad Ibn Hamadani: 203 Abi Amir: 63 Abramo: 18 Abu ‘Abd Allah Muhammad al-Shafi’i: 181 mausoleo: v. Il Cairo, cimitero meridionale Abu Bakr: 49 Abu ‘Inan Faris (r. 1351-1358): 223, 226 Abu ’l-Hasan ‘Ali (r. 1331-1351): 223, 227, 230 Abu Malik ‘Abd al-Wahid: 207 Abu Sa‘id: 225-227 Abu Sa‘id ‘Utman (r. 1310-1331): 226 Abu Yusuf (1258-1286): 224, 229 Abu Yusuf Ya‘qub al-Mansur (1160-1199): 102, 107, 110 complesso di: v. Rabat Abu Zakariyya: 224 Abu Zayd, novelle di: 156 Acién, Manuel: 66 al-‘Adid: 123 al-‘Adil Kitbugha: 142 al-Afdal, visir: 126 Afghanistan: 160, 199 Africa del Nord o Africa settentrionale o Nordafrica: 49-50, 54, 55, 71, 97, 98, 102, 107, 108, 112, 121, 123, 124, 126, 134 Aght’amar, ciclo di: 166, 166 Santa Croce, chiesa della: 46, 166, 167 Ahl al-Kitab (Gente del Libro): 14, 22 Ahlat: 163, 164, 165-167 Sheyh Egirt Kümbeti: 163 Ahmad Ibn Tulun: 160, 181 Akhmim, necropoli di: 146 Alacranejo, colle di: 88 Alarcos, battaglia di: 98, 223 Albaicín, v. Granada Alcántara: 76, 89 Ordine: 74, 76 Aleppo: 32, 37, 122, 142, 142, 150, 150, 151, 223 moschea Zakariyya: 144 Alessandria: v. Egitto Alessandro (Magno): 162, 172, 177 Alessandro III, papa: 80 Alfonso I (d’Aragona), «el Batallador»: 71, 7374 Alfonso VI : 71, 72, 97 Alfonso VIII, re di Castiglia: 76, 98, 107, 223 Alfonso IX: 90

Alfonso X il Saggio, re di Castiglia: 71, 90, 92, 92, 93 Algeciras, battaglia di: 217 Algeri: 98 grande moschea: 110 Algeria: 50, 102, 106, 123 Ashir, palazzo: 106 Orano: 116 Qal‘a dei Banu Hammad: 106 ‘Ali (‘Ali Ibn Abi Talib): 54, 121, 145 ‘Ali Ibn Muhammad al-Rammaki: 198 ‘Ali Ibn Yusuf Ibn Tashfin: 106 Alidi (discendenza): 126 Aljafería, palazzo e moschea: v. Saragoza Almagro: 88 Assunzione, convento: 88 Ospedale della Misericordia: 88 Vera Cruz, chiesa della: 88 Almanzor: v. al-Mansur Almería: 106, 107 Almohadi: 9, 71, 72, 74, 76, 77, 80, 89, 90, 97, 98, 100, 106, 108, 108, 110, 223, 224, 230 Almoravidi: 9, 71, 77, 90, 97-98, 100, 106, 106, 108, 108, 110, 224 Altinbugha al-Maridani, moschea di: v. Il Cairo Amaghú Noravank’, monastero di: 161 Amalfi: 122 al-’Amavi: 32 Amman: 40, 41 ‘Amr o ‘Amr ben al-As, moschea: v. Fustat ‘Amr Ibn al-‘As: 144 Ani: 237 Anatolia: 46, 162-164, 167, 170, 176, 186 Van, lago: 46, 159, 163, 164, 165-166, 166, 167 Santa Croce di Aght’amar, chiesa: 46, 166, 167 Sheyh Egirt Kümbeti: 163 al-Andalus: 49, 54-55, 54, 65, 85, 98, 107, 110, 207, 223 calligrafia: 225 Andalusia (v. anche al-Andalus): 76, 97-98, 100, 110, 116 Antinoé (o Antinopoli), necropoli: 146 Antiochia: 36 Anyart, v. Önör Apamea: 188 al-Aqmar, v. Il Cairo al-Aqsa, moschea: v. Gerusalemme Arabia: 19 Aragona: 72, 74, 76 Arasse, fiume: 237 Arenberg, bacino detto: 151 Armenia: 162, 162, 167 Ascalona: 122 Ascensione del Profeta: 25 Ashir, palazzo di: 106, 123

Ashnas: 43 al-Ashraf Barsbay: 179 al-Ashraf Khalil, v. al-Malik al-Ashraf Khalil al-Ashraf Qansuh al-Ghawri 202 al-Ashraf Sayf al-Din Barsbay: 188 al-Ashraf Sayf al-Din Qa’it Bay: 183, 189, 190, 195, 197, 198, 200 complesso (la cittadella): v. Il Cairo mausoleo: v. Il Cairo minareto: v. Il Cairo moschea: v. Il Cairo Asia Centrale: 37, 159, 159, 160, 162, 166, 176, 181, 202 Asin Palacios, (Miguel): 18 Assisi santa Chiara, reliquiario: 132 Atene Museo Benaki: 44 Atil, E.: 203 Atlante, catena nontuosa: 97 al-‘Attarin, madrasa: v. Fez Avià chiesa di Santa Maria: 77 ayyubide, arte: 189 Ayyubide, dinastia: 179 Ayyubidi, dinastia: 124, 150-151, 156, 180181, 205 Azcárate, José María: 80 al-Azhar, moschea: v. Il Cairo 122, 124, 124, 144, 151, 180 al-‘Aziz: 122 brocca: 130 Bab al-Futuh: v. Il Cairo Bab al-Mardum o Cristo de La Luz, moschea: v. Toledo Bab al-Nasr: v. Il Cairo 124 Bab al-Uzara o facciata di Santo Stefano: v. Cordova, grande moschea: 56 Bab al-Zuwayla: v. Il Cairo Babele, torri: 44 Badajoz: 85 Badr al-Din Baysari (m. 1298): 196 Badr ad-Din Lu‘lu: 176 Baeza: 106 Baghdad: 42, 43, 44, 49, 50, 52, 55, 121, 122, 123, 176, 180, 224 Nizamiyya, madrasa: 224 Porta del Talismano: 176 bahri, architetture: 188 Bahri, periodo (1250-1390): 181, 183 al-Bahriyya al-Salihiyya: 181 Baleari, isole: 98 Baniyas, assedio: 92, 93 Baniyas o Paneas, fortezza: 91, 92 Baños de la Encina: v. Jaén Banu Hammad 123, 126

240

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 240

03/11/16 09:45


Qal‘a dei Banu Hammad (Algeria): 106, 123, 126 Banu Marin: 223 Banu Nasr: 207 Barada, fiume: 33 Barbastro: 72 Barcellona Santa Maria di Taiill: 74 Barcellona, conti di: 74 Bardini, U., lascito: 199 Basra o Bassora: 16, 42, 44, 130 Battistero di san Luigi, bacile: v. Parigi, Louvre Baybars al-Jashankir 185 khanqah/mausoleo di: v. Il Cairo Baybars I al-Bunduqdari (r. 1260-1277): 181 Bdjiní chiesa di Santa Maria: 160 Behrens Abouseif, Doris: 187 Belinas: v. Baniyas Bellerofonte: 177 Bellini, Gentile: 11, 198 Bellini, Giovanni: 198 Belliniano, Vittore: 11, 199 Berenguela regina di León e Castiglia (Berengaria Alfonso): 110 Berlino: 41, 134 Bernardo di Aton: 73 Bernardo di Chiaravalle: 72 Bettini, Sergio: 36 Beysehir Esrefoflu Cami, moschea: 170, 238 Bierzo: 92 Bilqis: 217 al-Biruni: 130 Bisanzio: 33, 122, 128, 162 Bizantini: 13, 41, 122, 162 Blacas, brocca: 154 Bodleian Library: v. Oxford Bologna: 196 Museo Civico Medievale: 196 Bonvesin de la Riva: 237 Bordeaux: 76 Bosra: 32, 142 Braga cattedrale: 68 British Library: v. Londra British Museum: v. Londra Bura: 132 Burak: 18 Burgos Santa María la Real de las Huelgas: 107 Burji o Circassi, periodo (1382-1517): 181, 183 Bursa: 200 Cáceres: 74, 76, 89 San Benito di Alcántara, chiesa: 89 Cagliari acquamanile: 116 Cahen, (Claude): 150 Cairo: v. Il Cairo Calatrava: 74, 77 la Nueva (Ciudad Real), convento-fortezza: 80, 85 la Vieja: 67, 88 Ordine: v. ordini cavallereschi

Calera di León (Badajoz): 85 Cammino di Santiago: 73, 92 Cántigas de Santa María: 71, 92, 92 Cappadocia (Turchia): 159 Carboni, S.: 197 Carpaccio, (Vittore): 11 Cassanelli, R.: 180 Castiglia: 76, 88, 93, 98 regno: 72, 98 sovrani: 72, 90 Catalogna: 74,77 Caucaso: 164, 187 Cavalieri del Santo Sepolcro, v. anche Ordine del Santo Sepolcro: 85, 88 Cazorla, Camps: 58 Cefalù: 126 Céntulo de Astarc: 76 Céntulo di Bigorre: 73 Ceuta madrasa Jadid: 227 Chella necropoli: 228 Chifte Minareli, madrasa: v. Sivas Cina: 46, 159, 202 Città Santa: v. Gerusalemme 18, 22 Cizre, moschea: 176 Clermont, concilio: 71 Cluny: 72 abbazia: 72 Convento Bianco (o di Atripe): 144 Copenhagen: 176 Corano: 13, 13, 18, 25, 102, 108, 110, 124, 128, 172, 180, 187, 195, 203, 205, 216, 217 Corano blu: 124 Cordova 52, 54-55, 54, 56, 58, 58, 62-63, 6566, 68, 71, 89, 98, 100, 106, 108, 110, 121, 142, 145, 230 grande moschea: 55-63, 89, 98, 100 Bab al-Uzara o facciata di Santo Stefano: 56 mihrab di al-Hakam II: 230 moschea degli Omayyadi: 108. 230 Museo di Cordova: 68 San Juan de los Caballeros, minareto: 65 San Vicente, basilica: 55 Santiago, minareto: 65 Turruñuelos: 66 Corno d’Africa: 16 Cosroe di Persia: 37 Costantinopoli 24, 32, 54, 179 Santa Sofia, basilica: 32 Crac des Chevaliers: 15 Creswell, K.A.C.: 41, 44, 183, 184 Crimea: 160 Cristo o Gesù: 25, 74, 77, 167, 176 scene della vita di Cristo: 77, 151, 154 Cristo benedicente: 146 Cristo della Maestà «Battló»: 74 Cristo tra gli apostoli: 177 Dabiq: 132 damaschinatura: 154 Damasco: 13, 19, 22, 23, 28, 32-33, 36-37, 40, 42, 46, 49, 55, 58, 62, 92, 122, 142, 150, 151, 154, 156, 193, 199, 200, 202, 237 Giove Damasceno, tempio: 18, 32

grande moschea di Damasco: 13, 18, 19, 32, 28, 58, 142 Museo Nazionale: 38 San Giovanni Battista, basilica: 18, 19, 32 edicola delle reliquie: 19 Zahiriyya, madrasa: 33, 142 Damasco, acciai di: 154, 197 Damasco, sacco di: 11, 202 Damietta: 122, 132 Dar al-Herb: 13 Dar al-Islàm: 13 Dar al-Kutub: v. Il Cairo Dar al-Majzan, palazzo: v. fiume Fez David, re: 177 De materia medica: 156 Deposizione dalla croce: 74, 76 Din Qala’un, madrasa, mausoleo e minareto: 145 Divina Commedia: 18 Divriéi: 10 moschea e ospedale: 167, 168, 170 Diyarbakir: 237, 238 Djughavank’, monastero: 161 Domas: v. Damasco Dominicus Rodericus Ferdinandi, tomba: 88 Dresda Historisches Museum: 197 Dublino Chester Beatty Library 124, 203, 205 Duero, valle del: 68, 77, 80 Ebro, fiume: 73 Efeso: 24 San Giovanni (Evangelista), basilica: 24 Egira: 16 Egitto 49, 54, 55, 121, 121, 122, 123, 123, 124, 125, 126, 128, 128, 128, 130, 132, 132, 134, 139, 139, 142, 144, 146, 150, 151, 179, 180, 181, 183, 184, 191, 197, 199, 200, 202, 203 Alessandria: 122, 200 Centro Americano di ricerche: 128 Sayyida Nafisa, moschea: 134 Sayyida Ruqayya, moschea: 134 Las empresas artísticas de Sancho IV el Bravo: 90 Enrico VIII: 199 Erill, bottega: 74, 76 Erill la Vall, Santa Eulalia, chiesa: 76 Ermitage 162 Erode, tempio: v. Gerusalemme Erzerum (Turchia): 10, 170, 172 Estremadura: 74, 76, 80, 84, 90 Europa: 71-73, 77, 80, 130, 159, 162, 168, 180, 199, 207 Ewert, Christian 52, 62, 65 Exupère, santo: 107 Faraj Ibn Barquq (1400-1411): 188, 189 Fatima, figlia di Maometto: 54, 121, 236, 238 Fatimidi, dinastia: 9, 54, 62, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 134, 180 Fayyum, ritratti del: 37, 150, Ferdinando I di León o Ferdinando I il Grande (ca. 1016-1065): 72, Ferdinando II (1137-1188; r. 1157-1188): 74, 90

241

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 241

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Ferdinando il Cattolico (Ferdinando II d’Aragona; 1452-1516): 98 Fernando III (di Castiglia, detto il Santo; 12011252): 84, 107, 230 Fernando IV (di Castiglia; 1282-1312): 93 Fernando de la Cerda (m. 1275): 80, 88 Fez: 9, 98, 108, 207, 223, 224, 225 Abu Yusuf, moschea di: 229 al-‘Attarin, madrasa: 226, 227, 228, 229 Bu ‘Inaniyya, madrasa: 226 Dar al-Majzan, palazzo: v. 229 Misbahiyya, madrasa: 227 Qarawiyyin, moschea di: 98, 102, 110, 118, 227, 230, 231 al-Saba‘iyyin, madrasa: 227 al-Saffarin, madrasa: 224 Fez o Wadi Fez, fiume: 224, 227, 229 Fez el-Jedid (Nuova Fez): 224, 225, 230 Abu Sa‘id, madrasa: 225 grande moschea: 225, 229-230 Filippo V (1683-1746): 223 Filippo Andrea Doria: 156 Firenze: 134, 154, 197, 199 Museo Nazionale del Bargello: 134, 193, 196198, 196, 198 Palazzo Mozzi Bardini: 200 Palazzo Pitti: 236 San Lorenzo, basilica: 10 Firenze, duca di: 197 Firuzabad: 42 Fitero, cofanetto: 68 Folco: 92 Folques: v. Folco Fortuny, (M.): 116 Francia: 72, 76, 192 al-Fustat: v. Il Cairo Gandhara: 160 Gandzasar, monastero di: 165 Ganimede: 162 Gao (Mali): 134 García Fernández Mexia y Guzmán (o García Fernández Mejía): 85 Gastone di Béarn: 73 Geghard, monastero di: 161, 166 Genil, fiume: 207 Genova: 122 Gentile da Fabriano: 11 Georgia: 163 Germania: 76 Gérôme, Jean-Léon: 187 Gerusalemme 14, 16, 16, 18, 22, 24, 25, 28, 32, 33, 37, 50, 73, 92, 122, 150 al-Aqsa (la Lontana) o al-Aqsa I O al-Aqsa II, moschea congregazionale: 18, 25, 28, 46, 50, 52, 58 Città Santa: 18, 22 Cupola della Roccia o Qubbat as-Sahra: 8, 18, 22, 25, 88, 142, 184, 190 Nea (Ekklesia o Nea Santa Maria): 28 Qubbat as-Silsilah o Cupola della catena: 25, 29 Rotonda del Santo Sepolcro: 24 Santo Sepolcro: 29 spianata del Tempio: 25, 29

tempio di Erode: 22, 32 Gesù: v. Cristo Ghaibi: 202 Giacomo d’Aragona: 112 Giardino Felice: v. Granada Gibilterra: 49, 217 Gilgamesh: 162 Giona: 46, 166, 166, 237 Giordania 36, 28, 54 Giotto: 11 Giovanni (di Castiglia): 210 Giovanni Battista, santo: 19 Giovanni di Iuzzo di Covelluzzo: 199 Giove: 177 Giove Damasceno, tempio di: v. Damasco Girona, cattedrale: 68 Giyaseddin Keyhusrev: 238 Gök, madrasa: v. Sivas Golfo Persico: 146 Gómez-Moreno: 208 Gormaz (Soria): 67 castello: 68 Santo Stefano, chiesa di: 68 Grabar, O.: 22, 23, 25 La Gran Conquista de Ultramar: 90, 92, 93 Granada 68, 98, 100, 106, 108, 207, 208, 223, 224, 226, 228, 230 Albaicín: 208-209 Alcazaba: 208 Alcázar Genil: 210, 222 Alhambra 108, 118, 207-210, 210, 214, 216, 217, 221, 222, 223, 226, 227, 229 Abencerrajes, cupola: 220 Abencerrajes, sala: 207, 217, 220, 221 Abu ’l-Hayyay (o Peinador de la Reina), torre: 210 Lindaraja, belvedere: 217, 222 Barca, sala della: 216 Cadí, torre: 209, 214 Comares, palazzo o torre: 209, 210, 210, 214, 216, 217 bagno reale de: 209 Camas, sala de las: 209 Comares, patio: 216, 220 Comares, sala: 216, 217 Corral del Carbón: 223 Dame, torre delle: 209, 210 Due Sorelle, sala delle: 217, 220, 221, 221, 222, 225 cupola: 220 Generalife, palazzo: 207, 209, 210, 217, 217, 222 Giardino Felice o palazzo di al-Riya alSa‘id o palazzo dei Leoni: 217, 220, 221, 222, 230 grande moschea: 210 Leoni, fonte: 217, 220, 222 Leoni, patio: 214, 217, 230 Machuca, portico: 210 Mexuar, oratorio: 209, 209, 210, 217 Mirti o de los Arrayanes o de la Alberca o della Cisterna, patio: 210, 216 Muqarnas, sala delle: 217, 220 Museo dell’Alhambra 108, 118, 227 giara delle Gazzelle: 222, 227

Partal 209, 210, 220, 222 giardino: 207, 209, 217 oratorio: 210, 216 patio: 220 Prigioniera, torre della: 209, 214 Re, sala dei: 214, 217, 220, 222 Veglia, torre della: 208 Vino, porta del: 217 Aynadamar, palazzo: 217 Dar al-Arusa o palazzo degli Alixares: 222 Daralhorra, palazzo: 223 Giganti di Ronda, casa dei: 223 Girones, casa de los: 207, 223 maristán: 223 Museo Archeologico Nazionale 66, 68, 210 Reale, canale: 208 Sabika, collina: 207, 208, 222 San Sebastiano, eremo: 210 Santo Domingo, stanza reale: 207 Vega: 210 Yusufiyya, madrasa: 216, 223 Zafra, casa de: 223 Guadalajara: 77 Guarini, Guarino: 9 Gucci, Giorgio: 193 Guglielmo di Tiro: 92 Gutierre de Padilla: 88 Gutiérrez Baños, Fernando: 90 Hadira Elvira: 68 al-Hafiz (1130-1149): 124, 125 Hagen, Heinrich van: 197 Haichavank’: 176 al-Hakam II: 52, 54, 58, 62, 68, 121, mihrab: v. Cordova al-Hakim (996/386 ah-1021/411 ah): 126, 144 moschea: v. Il Cairo Halaf: 68 Hama: 200, 202 Hanabila: 186 Hanafiyya: 186 al-Haram al-Sharif o Sacra Spianata: 14, 23, 25 al-Hariri: v. Maqamat Harun al-Rashid (786-809): 42 Hassan Ibn Mufarrag al-Sarmani: 144 Haybar, oasi: 14 Hernández, Félix: 62, 65, 66 Herzfeld, (Ernst Emil): 42 Hillenbrand, (Robert): 41 Hisham, regno (724-743): 38, 56 Hisham II, (965-1013): 67, 68 Hispania: 49, 55 Hispanic Society, New York: 68 Homs: 40 Hormuz: 202 al-Hormuzi: 202 Hovhannavank’: 162, 164 Hubal: 19 Iberia romana: 58 Ibn ‘Abbad (1332-1389): 230 Ibn al-Akim: 210 Ibn ‘Asakir: 32 Ibn Battuta: 226 Ibn Furkun: 210

242

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 242

03/11/16 09:45


INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

Ibn al-Hayy al-Numayri (1313-1383): 226 Ibn Khaldun (1332-1407): 223, 224 Ibn al-Khatib (1313-1347): 210, 217, 227 Ibn Jubayr: 32 Ibn al-Muqaffa‘: 203 Ibn Rushd (Averroè): 98 Ibn Sa‘id al-Magribi: 223 Ibn Shakir: 32 Ibn al-Tahhan: 124 Ibn Tashfin: 97, 106 Ibn Tufayl: 98 Ibn Tumart: 98 Ibn ‘Ubayda: 32 Ibn al-Yayyab (1274-1349): 210, 214, 227 Ibn Yuzayy al-Kalbi: 226 Ibn Zamrak 210, 217, 221, 222 Ibn al-Zubayr: 25 Ibrahim I: 52 Ibrahim II (875-902): 52 al-Idrisí: 66 Ifriqiya (Tunisia), emirato di: 49, 50, 54, 97, 98, 122, 123, 126 Il Cairo o al-Qahira, la Vittoriosa: 10, 37-38, 46, 55, 121, 122, 123, 126, 126, 142, 142, 144, 145, 145, 151, 160, 179, 179, 180, 181, 182, 184, 185, 190-192, 197, 198, 200, 223 Altinbugha al-Maridani, moschea di: 185 al-Azhar, moschea: 10, 122, 124, 124, 144, 151, 180 Bab al-Futuh: 38, 124 Bab al-Nasr: 124 Bab al-Zuwayla: 124 Baybars al-Jashankir, khanqah/mausoleo: 185 bazar: 130 Biblioteca Nazionale: 203 cimitero meridionale: 181 Imam Shafi ‘i, tomba/mausoleo: 151, 181 cimitero settentrionale: 192 cittadella sultan Hasan, madrasa: 192, 193 Sultaniyya, mausoleo: 183, 203 Dar al-Kutub: 236 al-Fustat o Fustat: 49, 56, 122, 124, 126, 128, 128, 139, 144, 181, 200, 202 ‘Amr o Amr ben al-As, moschea di: 52, 144 Geniza: 106 al-Hakim, moschea: 124, 124, 144 (v. anche Santa Barbara, chiesa) al-Hasan, moschea: 186, 227 Ibn Tulun, moschea: 126, 144 Istituto Archeologico Tedesco: 184 al-Mansur Qalawun, complesso: 182, 183, 185 Museo d’Arte Islamica: 139, 187, 193 raccolta Harari: 197 an-Nasir Badr ad Din al-Hasan, moschea e complesso: 182, 186, 187, 189, 190, 191, 192, 193, 227 al-Nasir Muhammad, madrasa: 145, 151 Qa’it Bay, moschea: 200 minareto: 189 mausoleo: 192, 200 Rifa’i, moschea: 186

al-Salih Tala’i, moschea: 145, 182 Santa Barbara, chiesa: 150 (v. anche alHakim, moschea) Sayyida Ruqayya: 124, 145 Yahya al-Shalih, mausoleo: 180 ilkhanide: 172, 202, 203 ilkhanidi: 183 Iljay al-Yusufi: 188 Imam Shafi ‘i, tomba/mausoleo: v. Il Cairo, cimitero meridionale India: 122, 141, 145, 159, 179, 199 Innocenzo III, papa: 76 Innsbruck Museo Ferdinandeum: 176 Iran 36, 42, 44, 121, 130, 139, 141, 160, 162, 163, 172, 179, 183, 202, 203 Iraq: 16, 44, 141, 141, 151, 154 Isa, artigiano: 170 Isabella (di Castiglia): 98 Isacco: 22 Isfahan moschea congregazionale: 162 Taj al-Mulk, cupola: 162 Islàm: 13, 14, 18, 23, 33, 40, 43, 49, 54-55, 71, 72, 74, 76, 141, 142, 144, 146, 150, 159, 160, 179, 181, 203, 222 Ismaele: 18, 22 Isma‘il I (r. 1314-1325): 209, 210 Isma‘il Ibn al-Ahmar (1324/7-1404/8): 223 Istanbul Museo di Arte Turca e Islamica: 176 Topkapi: 200, 203 Kütüphanesi: 203 Italia: 76, 118, 118, 166, 192, 196, 199, 203 iwan: 42, 184, 185, 187, 190, 190, 193, 216, 227 Jaén (Andalusia) Baños de la Encina: 65 Ja‘far al-Muqtadir: 102 Jahangir: 130 James, D.: 203 Janin al-Bahlawan (1478-1510): 189 Jausaq al-Khaqani, palazzo di: 43, 46 Jawhar: 122 Jazira: 176 al-Jaziri: 202 Automata: 202 Jerash (Giordania): 36 Jerez de los Caballeros: 90 Jericho (o Gerico): 24, 40 Jiménez de Rada, Rodrigo: 76 Ka’ba: 16, 18, 19 Kairouan (Tunisia): 10, 49-50, 52, 53, 54, 56 Sidi Uqba, moschea congregazionale: 46, 49, 50, 50, 52, 53, 54, 55 Kastamonu Kasabakoy, moschea: 238 Kayseri: 165, 170, 238 Sirchali Kumbet: 165 khaghan: 37 Khalid Ibn al-Walid: 32 Khalila wa Dimna: 202 Khanqah di al-Nasir Nasir al-Din Faraj Ibn Barquq, mausolei: 188

al-Khatib (1002-1071): 42 Khirbat al-Mafjar, «villa»: 24, 25, 37, 40 Khurasan: 42 kilim: 36 Kirac’vank: 176 Kölük bin Abdullah: 168 Konya: 10, 170, 176 Alaeddin, moschea: 167, 170, 176 Ince Minareli, moschea: 168, 172 Kubadabad, palazzo: 238 Kufa: 16, 42 Kütüphanesi: v. Istanbul, Topkapi Kuwait Museo Nazionale: 134 Larrea, Pedro: 89 Las Navas: v. Tolosa Las Tornerías o del Solarejo, moschea: v. Toledo León, regno: 72, 76 León Real Colegiata de San Isidoro: 236 leone di Monzón: 116, 116 Lérida, conquista di: 73 Leyre, cofanetto di: 68 Liber de Scala: 18 Libro della Teriaca o degli Antidoti: 176, 176 v. Mossul, Kitab al-Diryak Libro Sacro: v. Corano Lione Musée Historique des Tissus: 146 Llerena: 84 Nuestra Señora de la Granada, chiesa: 84 Londra: 124, 150 British Library: 203 British Museum: 154, 196, 197 Collezione Keir: 124 Victoria and Albert Museum: 107, 124, 150, 202 Luoghi Santi: 71-72 Madaba (Girodania): 36 Madinat al-Zahra’: 9, 63, 62, 65, 66-68, 68, 100, 118, 223, 234 alcázar: 62, 62, 66 Abd al-Rahman, salone: 62 Hayib Ya’far, casa: 62, 65 moschea: 63 scuola di: 63 Madrid: 77 Accademia di Storia (Real Academia de la Historia): 68 Biblioteca Nazionale: 90 Museo Archeologico Nazionale: 68 Maghreb: 44, 46, 50, 54, 65, 97-98, 100, 102, 110, 112, 145, 223-224, 228, 230 Mahdì: 54 al-Mahdi ‘Ubayd Allah (r. 910-934): 180 al-Mahdiyya: v. Tunisia grande moschea: v. Tunisia Maiorca: 130 Palma: 110 Malaga 106, 230 Mali: 134 al-Malik al-Afdal Dirgham al-Din al-Abbas (r. 1363-1377): 197

243

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 243

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

al-Malik al-Ashraf Khalil: 142, 151 al-Malik al-Nasir Muhammad: 203 Malik al-Nasir I Salah al-Din (Saladino): 180 (v. anche Salah al-Din al-Ayyubi) al-Malik al-Zahir Abu Sa‘id Jaqmaq (r. 14381453): 197 Malikiyya: 186 Mamelucchi: 11 Mancia: 80 al-Mansur, moschea: v. Tlemcen al-Mansur (Abu Ja‘far ‘Abd Allah Ibn Muhammad al-Mansur; ca. 712-775): 42 al-Mansur o Almanzor (Muhammad Ibn Abi ‘Amir; 938-1002; r. 978-1002): 63, 71 al-Mansur o al-Mansur bi-llah (913-953): 123 al-Mansur il «Vittorioso»: v. al-Mansur o Almanzor al-Mansur Qalawun: 144, 182, 183 al-Mansur Qalawun, complesso: v. Il Cairo al-Mansur Sayf al-Din Qalawun, complesso di: 184 Mansuriyya: v. Sabra Masuriyya mantello del re Roberto: 107 Manzikert: 10, 162 Maometto: 13, 14, 16, 18, 19, 22, 25, 54, 121, 185 Maqamat o Adunanze/Assemblee di al-Hariri: 156, 176, 176, 202 al-Maqrizi: 151, 183, 186, 187 Maqueda: 77 Mar Caspio: 160 Marocco: 97, 98, 100, 108 Marrakesh: 9, 97, 97, 98, 102, 110 moschea Kutubiyya: 97, 98, 98, 102, 102, 108, 110 Qasba: 110 Martin, José Luís: 77 Martín Fernández de la Quintana: 88 Mastro Momik: 238 al-Mawsili, appellativo: 154 Mayer: 162 Mecca: 16, 18, 19, 25, 33, 42, 98, 122, 134, 141, 144, 180, 182, 184 Medici, Lorenzo de’: 197 Medina: 13, 14, 16, 122 Medinaceli: 67 Medinas de las Torres: 88 Mediterraneo: 16, 18, 46, 54, 62, 74, 121, 122, 132, 132, 180, 223, 230 Meinecke, M.: 184 Meknès (Marocco): 223 Mérida: 90 acquedotto romano: 58 alcazaba: 67 Merinidi: 207, 223, 224, 229, 230 Merv: 42 Mesopotamia: 49, 49, 121, 126, 144, 146 Mevlevi, dervisci: 172, 238 Milano Brera: 198, 199 Mille e una notte: 42 Millet: 14 Ming, dinastia: 200 Miran (Cina): 126

Mircea, Eliade: 216 Misr: 132 al-Misri: 202 Moghul: 179 Mongoli: 159 Monneret de Villard, Ugo: 8, 150, 236 Montánchez, castello di: 90 Monte Nebo: 25 Morimond: 80 Mosul o Mossul: 122, 141, 151, 154, 176 Kitab al-Diryak: 176, 176 Mshatta: 40-42, 44, 44 palazzo omayyade di Mshatta: 38 triangoli di Mshatta: 44 Mu’allim al-Suyufi: 185 Mu’awiyah: 22, 23 al-Mu’ayyad Sayf al-Din: 183 al-Mugira, scrigno: 68 Muhammad (Maometto): 145, 185 Muhammad I: 56, 58, 67, 208 Muhammad II: 209, 210 Muhammad III: 210 Muhammad V: 210, 216-217, 221, 223, 226, 230 Muhammad VII: 222 Muhammad ‘Ali Pasha: 191 Muhammad al-Qa’im: 44 Muhammad Ibn al-Zayn: 151, 196 Muhammad Ibn Mardanish «Re Lope»: 100, 106 Muhammad Ibn Yusuf Ibn Nasr Ibn al-Ahmar (1237-1273): 208, 209 al-Mu‘izz: 121-123, 126, 144 al-Mu’izz ‘Izz al-Din Aybak: 181 al-Muqaddasi (tardo X secolo): 28, 122, 123 Murad III, editto di: 200 Murcia: 100, 106, 106 110 Castillejo de Monteagudo: 100, 106, 220, 234 Musa Ibn Ali: 63 Musa Ibn Nusayr: 55 al-Musta’li (1094/487 ah-1101/495 ah): 134 al-Mustansir: 126, 139 al-Mu’tasim bi’llah: 43 al-Mutawakkil: 43, 44 al-Muti’: 121 Muzi (Siberia): 177 an-Nadir: 14 Najm al-Din Ayyub: 151, 154 Nantes, vescovo di: 76 Napoleone: 191 Napoli: 107, 139 Museo di Capodimonte: 139 Narbona: 76 al-Nasir: 107 Nasir al-Dunya wa’l-Din Ghiyath al-Dunya wa’lDin, titolo onorifico: 203 an-Nasir Badr ad-Din Abu al-Ma ‘Ali al-Hasan o an-Nasir al-Hasan, moschea di: v. Il Cairo al-Nasir Muhammad Ibn Qalawun 142, 145, 151, 184, 185, 185 Nasir-i Khusraw: 123, 130 Nasr Ibn al-Ahmar: v. Muhammad Ibn Yusuf Ibn Nasr Ibn al-Ahmar Nasridi: 207, 217, 223, 224, 227 Nayd: 207

Nea (Ekklesia o Nea Santa Maria): v. Gerusalemme Negus: 37 New York Metropolitan Museum of Art 124 Niceforo Foca: 62 Nifde: 159, 170 Alaeddin, moschea: 165 Hüdavend Hatun Kümbeti: 159 Karatay Han: 238 Nilo: 28, 132, 181, 193 Ninive, re di: 166 Nizam al-Mulk: 224 Noravank’: 176, 238 San Giovanni Battista, chiesa: 177 Normanni: 122 Noviercas, torre di: v. Soria Nozze di Cana: 156 Nubia: 144 Nuestra Señora de la Granada, chiesa: v. Llerena Nur al-Din Muhammad Ibn ‘Imad al-Din (Norandino): 151, 180 al-Nussak, zawiya: v. Salé Ob, fiume: 177 Oljaitu (r. 1304-1317): 203 Omayyadi: 16, 19, 24, 32-33, 38, 41, 42, 88, 108 Önör: 92 Orano: v. Algeria Orda d’Oro: 202 ordini cavallereschi: Cavalieri del Santo Sepolcro: 73, 85, 88 Ordine di Alcántara: 76 Ordine di Calatrava: 74, 80, 88 Ordine di Santiago: 72, 74, 76, 78 80, 84, 85, 90 San Marcos de León, priorato: 84 Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme (poi Ordine di Malta): 72, 73, 73 Templari: 72, 73, 74, 76, 85, 88, 90, 92 ‘Othman Ibn Affan: 8, 13 Ottomani:160, 203 Oxford: 146 Bodleian Library: 46 Palermo: 106, 142 cappella Palatina di Ruggero II: 10, 11, 126, 162 Cuba: 123 Galleria Regionale della Sicilia: 197 Zisa: 106, 123, 142 Palestina: 22, 28, 49, 49, 122, 146, 151 Palma di Maiorca: v. Maiorca Palmira: 38 Pandjikant: 160 Parigi: 68, 134 Louvre: 68, 116, 134, 196, 199 Battistero di san Luigi, bacile: 151, 196 Musée des Arts Décoratifs: 202 Pedro de Ybarra: 89 Pegaso: 177 Pelay Pérez Correa: 85, 88 Persia: 38, 49, 126, 159, 200, 203, 205 Piccirillo, M.: 36

244

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 244

03/11/16 09:45


INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

Piero il Vecchio de’ Medici: 202 Pietro (di Castiglia): 210 Pietro II di Aragona-Barcellona: 76 Pisa: 110, 116, 122, 139 Museo Nazionale di San Matteo: 110 Pisanello (Antonio Pisano, detto): 11 Polo, Marco (1254-1324): 10 Ponferrada (Bierzo), castello di: 90, 92 Portogallo: 72, 76, 116 Portomarín: 73 San Giovanni, chiesa-fortezza: 73 Predica di san Marco ad Alessandria: 198 prete Gianni: 160, 237 priorato di San Marcos de León: v. ordini cavallereschi Provenza: 76 al-Qahira, v. anche Il Cairo: 122, 144, 151, 188 Qal‘a dei Banu Hammad: v. Algeria Qalawun, regno: 196 Qasr al-Hayr al-Gharbi: 38 Qasr al-Hayr as-Sharqi: 38, 144 Qasr Ibn Sa‘d: v. Murcia, Castillejo de Monteagudo al-Qawun: 40 Qayrawan: 110, 123, 128 grande moschea: 110, 123, 123 Qubbat as-Sahra: v. Gerusalemme, Cupola della Roccia Qubbat as-Silsilah: v. Gerusalemme, Cupola della Catema Qusayr Amra (Giordania): 32, 37 bagni: 222 terme: 29 villa: 32 Qusta Ibn Tudra (Costantino figlio di Teodoro ?): 154 Rabat: 98, 100, 102, 223, 228 Abu Ysuf Ya‘qub al-Mansur, spianata della moschea di: 102 Hassan, moschea di: 102 Oudaia, porta: 100 Qasba degli Oudaya 107 Raby, J. 198 Raimond de Touraine: 76 Raimundo de Fitero: 74 Raqqa: 40 Rasulide: 197 Ravello: 166 cattedrale: 166 Riegl: 36 Rifa’i, moschea: v. Il Cairo Riforma: 162 Rinascimento: 162 río Salado, battaglia del: 223 Rivelazione: 16 al-Riyad al-Sa‘id, palazzo, o Giardino Felice: v. Granada Roderigo, imperatore: 37 Rogers, M.: 186 Roma: 24, 33, 72, 90, 91, 162 Santa Costanza: 24 Ronda (Malaga): 210, 230 casa dei Giganti: 223

Rotonda del Santo Sepolcro: v. Gerusalemme Ruggero II: 40, 126 Ruggero di Puglia: 91 Ruiz, Hernán: 62 Rukn ad-Daula Abu Sulaiman Daud Ibn Artuq (r. ca, 1114-1144): 172, 176 Rummaniyya, tenuta: 66 Russafa: 38 Saada: 63 Sabika: 207, 208, 222 Sabra Masuriyya: 123, 126 Sacra Spianata: v. al-Haram al-Sharif Sadaqa Ibn Yusuf, tesoro: 139 Safavidi: 179 Sagrajas, battaglia di (o battaglia di Zallaqa; 1086/479 AH): 97 Sahara: 9, 223 Sahara Occidentale: 97 al-Sahriǧ, madrasa: 225 Saladino: v. Salah al-Din al-Ayyubi; v. anche Malik al-Nasir I Salah al-Din Salah al-Din al-Ayyubi (r. 1169-1183): 122, 144, 150, 180 (v. anche Malik al-Nasir I Salah al-Din) Salamanca: 90 Salé: 223, 227, 228 al-Nussak, zawiya: 228 al-Salih Najm al-Din Ayyub (o al-Malik al-Salih; 1206-1249): 151, 181 al-Salih Tala’i: 145, 182 al-Salih Tala’i, moschea: v. Il Cairo Salomone: 217 Salomone, tempio: 88, 221 Salvatierra, fortezza di: 88 Samarra (Mesopotamia): 8, 42, 44, 46, 46, 54, 106, 110, 123, 124, 130, 144, 144, 160, 181 moschea di Abu Dulaf: 43, 52 San Giovanni, basilica: v. Damasco edicola delle reliquie: v. Damasco San Giovanni, chiesa-fortezza: v. Portomarín san Giovanni Battista: v. Giovanni Battista, santo San Giovanni Battista, chiesa: v. Noravank’ San Giovanni d’Acri: 90, 142 San Giovanni (Evangelista), basilica: v. Efeso San Isidoro, Real Colegiata: v. León San Julián de Pereiro: 76 san Luigi (1249), crociata di: 181 San Marco, Tesoro di: v. Venezia San Marco battezza Aniano: 198 San Marco guarisce Aniano: 198 San Román, chiesa: v. Toledo San Sebastiano, eremo: v. Granada San Vicente, basilica: v. Cordova Sanaa: 19 Sanahin: 164 Sancho IV: 90, 93, 93 Sancho VII di Navarra: 76 Sangue Miracoloso, reliquiario: v. Venezia Sanjar al-Jawli: 185 Santa Caterina al Monte Sinai: 193 Santa Costanza: v. Roma Santa Croce di Aght’amar, chiesa: v. Anatolia Santa Maria di Taiill: v. Barcellona

Santa María la Blanca, sinagoga: v. Toledo Santa María la Real de las Huelgas: v. Burgos Santa Sofia, basilica: v. Costantinopoli Santiago: 74, 76 Santiago, Cammino di: 73, 92 Santiago, minareto: v. Cordova Santiago, Ordine di: v. ordini cavallereschi Santo Domingo, stanza reale di: v. Granada Santo Sepolcro: v. Gerusalemme Santo Sepolcro o della Vera Cruz, chiesa: v. Segovia Santo Stefano, facciata detta: 56 (v. anche Bab al-Uzara) Santo Stefano, lapidazione: 154 Santo Stefano, mosaici: v. Umm el-Rasas Santo Stefano di Gormaz: v. Soria Saragozza 73, 71 Aljafería, moschea: 102 palazzo: 71, 118 Sarghitimish: 183 Sarre, (Friedrich): 42 Sasanidi: 13 Sayyida Ruqayya, santuario: v. Il Cairo Scarcia, G.: 25, 141 Scene dalla vita di san Marco: 198 Segovia: 85 Santo Sepolcro o Vera Cruz, chiesa: 85 Seguin: v. Zengi Selgiuchidi: 10, 122, 159, 160, 161, 162, 176 Serenissima (Repubblica di Venezia): 200 Sergio, vescovo: 38 Sevan, lago: 237 Sfax, moschea: 53 Sha ‘ban: 151 Shafi’iyya, scuola: 186 Shajar al-Dur: 181 al-Shami: 202 Sheyh Egirt Kümbeti: v. Anatolia Shuja ibn Man ‘a: 237 Siberia: 177 Sicilia: 72, 107, 122, 123, 126, 139, 146, 180, 202 Sidi Uqba: 49, 49, 50, 52, 53 Sidi Uqba, moschea: v. Kairouan Sierra Morena: 66 Sigoli, Simone: 151, 193 Sil, fiume: 92 Sinhaja: 97 Sirchali Kumbet: v. Kayseri Siria: 32, 36, 49 54, 58, 121, 122, 139, 142, 144, 146, 146, 150-151, 170, 179-181, 188, 196, 200, 200, 202 Qasr al-Hair al-Gharbi, palazzo: 36 Sivas (Turchia): 10, 170, 238 Gök, madrasa: 168, 186 Chifte Minareli, madrasa: 172 Siviglia: 98, 100, 100, 102, 106 Alcazar: 98, 100, 118 Giralda: 98, 98, 102 grande moschea: 98 Salvatore, collegiata: 65 Torre del Oro: 98, 100 Sofronio: 22 Solimano il Magnifico: 14, 24 Soria: 67, 68

245

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 245

03/11/16 09:45


LE GRANDI STAGIONI DELL’ARTE ISLAMICA

Noviercas, torre: 67 Santo Stefano di Gormaz: 68 Spagna: 37, 44, 56, 72, 97, 98, 100, 106, 108, 112, 116, 118, 139 Spalato Diocleziano, palazzo: 41 Spallanzani, M.: 202 spianata del Tempio: v. Gerusalemme Storia di Bayad e Riyad: 106, 108, 126 Strzygowski, Josef: 237 Sudan: 122 as-Sufi: 46 Sulayhidi: 122, 180 Sultan Alaeddin Keykubad: 238 Sultan Han, caravanserraglio: 238 Sultan Hasan: 186, 187, 189, 190 Sultan Hasan, madrasa: v. Il Cairo, cittadella Sultaniyya, mausoleo: v. Il Cairo, cittadella Susa: 223 moschea: 53 ribat di Susa: 53, 53 Tabari: 19 Tabriz: 154, 200, 202 Tago, fiume: 76, 77, 90 taifa: 97 Taj al-Mulk, cupola di: v. Isfahan Talavera: 77 Tamerlano: 11 Tariq (ibn Ziyad): 55 al-Tawrizi: 202 Templari: v. ordini cavallereschi Tendilla, conte di: 223 Tentudía, monastero di: 85 Teobaldo de Blazon: 76 Teobaldo di Champagne, re di Navarra: 154 Terrasanta: 72, 73, 73, 80, 90, 142 Tigri, fiume: 43, 154 Timuridi: 159 Tinmal: 98 Tinnis: 132 Tivoli: 40 Tlemcen (Algeria): 98 madrasa: 227 al-Mansur, moschea di: 230 Sidi ben Hassan, moschea di: 102 Toledo: 63, 65, 65, 71, 76-77, 80, 80, 90, 97, 102, 162 Bab al-Mardum, moschea di, o del Cristo de

La Luz: 63 Las Tornerías o del Solarejo, moschea: 65 San Román, chiesa: 80 Santa María la Blanca, sinagoga di: 80, 102 Tolosa: 72, 107 Las Navas, bandiera di: 107, 110, 118 Navas, battaglia delle: 76-77, 80, 88, 98, 223 Saint-Sernin, basilica: 107 Topkapi: v. Istambul Torino San Lorenzo, chiesa: 9 Torres Balbás, (Leopoldo): 210 Tortosa: 73, 112, 118 cofanetto: 112, 118 Trapani: 202 Treviso Museo Diocesano: 196 Tripoli: 98 Trujillo: 90 Tughaytimur: 198 Tughaytimur, khanqah: 198 Tuna: 132 Tunisi: 53, 98, 223 Zaytuna, moschea: 53 Tunisia, (v. anche Ifriqiya): 46, 49, 50, 55, 122, 123, 128, 130, 130, 180 al-Mahdiyya: 9, 54, 122, 180 Grande Moschea: 54, 55, 122, 123, 124 Turchia: 159, 170, 200, 202 Turruñuelos: v. Cordova Turuntay al-Tabakhi: 196 Ubayd Allah: 54 Ukhaidir, residenza di: v. Wadi ‘Ubayd Umar: 49 ‘Umar Ibn al-Hattab: 16, 22 Umm al-Sultan Sha‘ban, mausoleo: 182 Umm el-Rasas Santo Stefano, mosaici: 28 Umm Kulthum, santuario di: 124 Urbano II, papa: 71 Ürgüp Tashkin Pasha, moschea: 238 Valencia o Valenza: 73, 97, 100, 106, 106, 108 Valle di Boí: 74 Vallejo, Antonio: 66 Van, lago: v. Anatolia Velázquez Bosco, Ricardo: 66

Venezia: 122, 130, 132, 198, 199 Arciconfraternita di San Rocco: 199 Biblioteca Nazionale Marciana: 203 Gallerie dell’Accademia: 198 San Marco, Basilica: 10, 177 Tesoro di San Marco: 130, 132 Sangue Miracoloso, reliquiario: 132 Vergine Maria: 19 Visconti: 162 Visconti, Ottone: 237 Visigoti: 71 Viterbo: 199 Yahya Abu Bakr Ibn ‘Abd al-Haqq (r. 12441258): 223 Yahya al-Shalih, mausoleo di: v.Il Cairo Ya‘qub al-Mansur:102, 107 al-Ya’qubi (m. 897): 42, 44 Yemen: 122, 180, 197 Yusuf I (r. 1333-1354): 209, 210, 214, 216, 217, 226 Yusuf III (1376-1417): 209-210, 222 Yusufiyya, madrasa: v. Granada Wadi Fez: 224 Wadi ‘Ubayd: 42 Ukhaidir, residenza: 42 al-Walid: 28, 32, 36, 37 al-Walid I: 49 al-Walid II: 25, 40 Washington: 154, 199 Freer Gallery: 154 Textile Museum: 199 Wolsey, (Thomas): 199 al-Zahir (1021/411 AH -1036/427 AH): 124 al-Zahir Baybars (r. 1266-1269): 151 Zahiriyya, madrasa: v. Damasco Zallaqa, battaglia di: v. Sagrajas Zamora cattedrale: 67, 68 Zapata, Juan: 88 Zaytuna, moschea: v. Tunisi Zengi: 92 Zengi (‘Jmad al-Din): 92 Ziridi: 123 Ziyadat Allah: 50, 52 Zozaya, Juan: 67

246

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 246

03/11/16 09:45


CREDITI FOTOGRAFICI

Adriano Alpago Novello: 161, 162, 165, 177 (2) Alpha Edition, Tunis: 48, 49, 50, 51, 53 (3), 54 Archivio Jaca Book: 12, 14, 17, 24, 25, 26, 36, 37, 43, 46, 47 (alto), 229 Archivio Lunwerg: 56 (2), 57, 58 (2), 59, 63, 64, 65, 66 (2), 67 (2), 68 (2 alto), 69, 206 Basilio Rodella, Montichiari: 20, 21, 22, 23, 30-31, 34, 35 Benaki Museum, Atene: 45 Biblioteca Apostolica Vaticana: 109, 155 Biblioteca dell’Università di Istanbul: 108 Biblioteca Nacional, Madrid: 93, 94, 95 Bibliothèque Nationale de France, Paris: 156, 174 Bildarchiv Preussischer Kulturbesitz, Museum für Islamische Kunst, Berlin: 38, 47 Carlos Rodriguez, Xunta de Galicia: 92 Cecilia Guidetti, Milano: 32, 41 (2) Domi Mora, Barcellona: 82-83, 84, 85, 89, 90, 91 Eduard Widmer, Zürich: 173 Francisco Ontañon, Madrid: 103 Freer Gallery of Art, Smithsonian Institution, Washington D.C. 148, 149, 152 Gérard Degeorge, Paris: 125 (2), 127, 142, 143, 144, 145 (2), 169, 170 Institut du Monde Arabe, Paris: 129 Jean-Louis Arbey: 228, 231 Joaquín Cortés: 227 Joaquín Cortés - Monasterio de El Escorial: 92 Luca Mozzati, Milano: 158, 159, 171, 178, 183, 185, 191, 192, 193, 194, 195 Marc Limargas i Pons: 212-213 Marc Llimargas, Barcellona: 70, 81, 98, 99, 105, 114-115 Marco Ravenna, Correggio: 15 Marina Miquel - Museu de Mallorca: 113 Matias Briansó - MNAC: 74, 75, 76, 77, 78, 79, 119 Mattia Guidetti, Milano: 19, 33

Max Mandd, Milano: 28, 29 (3), 39 Monasterio de las Huelgas de Burgos: 80, 111, 112 Museo Civico Medievale di Bologna: 197 (in alto) Museo d’Arte Islamica, Il Cairo: 147 (basso) Museo de Telas Medievales del Real Monasterio de las Huelgas de Burgos. Patrimonio Nacional, Madrid: 111, 112 Museo del Bargello, Firenze (foto Orsi Battaglini): 136, 137 Museo Nazionale San Matteo, Pisa: 118 (sin.), 120 Museu de Mallorca: 113, 118 Oesterreichische Nationalbibliothek, Wien: 175 Oronoz, Madrid: 60-61, 68 (basso), 209, 215, 221, 225 Oronoz, Madrid Museo de la Alhambra, Granada: 88, 117 (basso) Ramón Masats, Madrid: 100, 211, 214, 218-219 Ramon Manent, Barcellona: 135 Regione Siciliana, Assessorato Beni Culturali, Ambientali e P.I.: 197 (in basso) RMN, Paris: 117 (alto) Hervé Lewandowski: 153 Soprintendenza Speciale per il polo Museale Fiorentino: 196, 198, 201 The Metropolitan Museum of Art: 139 The Metropolitan Museum of Art, Theodore M. Davis Collection, Bequest of Theodore M. Davis, 1915 (30.95.3839). Photograph (e) 1998 The Trustees of the Chester Beatty Library, Dublino: 204, 205 Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum, lnnsbruck: 172 Victoria & Albert Museum, London: 112 (sin.), 130, 133, 147 (alto) Xurxo S. Lobato, A Coruña: 73

247

ISLAM_Impaginato_ccprint.indd 247

03/11/16 09:45


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.