VATICAN GARDENS

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MONUMENTA VATICANA SELECTA


ALBERTA CAMPITELLI

GLI HORTI DEI PAPI I GIARDINI VATICANI DAL MEDIOEVO AL NOVECENTO

MUSEI VATICANI

LIBRERIA EDITRICE VATICANA


INDICE

Nuova edizione febbraio 2021 Copyright © 2009 by Editoriale Jaca Book Srl, Milano Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano Musei Vaticani, Città del Vaticano All rights reserved International copyright handled by Editoriale Jaca Book Srl, Milano Per tutte le immagini a colori dei Giardini Vaticani © Musei Vaticani Foto Archivio Fotografico Musei Vaticani, L. Giordano Prima edizione italiana ottobre 2009 Copertina, grafica e impaginazione Jaca Book / Alessandra Prina Stampa e legatura Grafiche Stella Srl San Pietro di Legnago (VR) febbraio 2021 ISBN 978-88-16-60637-1 Editoriale Jaca Book via Giuseppe Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48561520 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su

INTRODUZIONE pag. 7

Capitolo primo

LE ORIGINI E I PRIMI INTERVENTI DA NICCOLÒ III (1277-1280) A NICCOLÒ V (1447-1455) pag. 17

Capitolo secondo

IL BELVEDERE DI INNOCENZO VIII (1484-1492) E IL CORTILE-TEATRO-GIARDINO DI GIULIO II (1503-1513) E DONATO BRAMANTE pag. 33

Capitolo terzo

IL GIARDINO SEGRETO DI PAOLO III (1534-1549) E L’INTERVENTO DI JACOPO MELEGHINO pag. 67

Capitolo quarto

LA CASINA DI PIO IV (1559-1565) E IL GIARDINO DEI SEMPLICI pag. 83

Capitolo quinto

I PRIMI DECENNI DEL SEICENTO: LE FONTANE DI PAOLO V (1605-1621) E JOHANNES FABER «GIARDINIERE» D’ECCEZIONE pag. 127

Capitolo sesto

TRA SEICENTO E SETTECENTO: PRATICHE DI GIARDINAGGIO E INNOVAZIONI BOTANICHE pag. 177

Capitolo settimo

L’OTTOCENTO: L’OCCUPAZIONE FRANCESE, IL GUSTO ALL’INGLESE E I PONTEFICI «GIARDINIERI» pag. 203

Capitolo ottavo

LA NUOVA IMMAGINE DELLA CITTÀ-STATO: GIARDINI, FONTANE, EDIFICI E MONUMENTI pag. 239

Capitolo nono

LE VILLEGGIATURE DEI PONTEFICI E LA VILLA DI CASTEL GANDOLFO pag. 297 NOTE pag. 336 BIBLIOGRAFIA pag. 343 INDICE DEI NOMI DI LUOGO E DI PERSONA pag. 349


A fronte: 1. Pietro del Massaio, Pianta di Roma, dalla Cosmografia di Tolomeo, 1469, BAV, Vat. Lat. 5699, fol. 127.

INTRODUZIONE

Negli studi sui giardini storici è spesso usuale iniziare con la definizione della tipologia alla quale si ritiene che appartengano: giardino segreto, giardino all’italiana, giardino alla francese, queste le categorie più comunemente adottate. Si tratta, tuttavia, di definizioni di comodo, inadeguate a rendere l’idea della complessità dei giardini e, per di più, fuorvianti, in quanto una stessa tipologia viene spesso indicata per contesti storicamente molto lontani e per “prodotti” di temperie culturali molto diverse. Il caso del cosiddetto giardino all’italiana è emblematico, in quanto lo si intende riferito ai giardini rinascimentali ma, in realtà, viene spesso accostato a giardini realizzati nei primi decenni del secolo scorso, quando si affermò un preteso ritorno alle armoniose geometrie dei giardini italiani del Cinquecento, quelli, per intenderci, che sono stati immortalati nelle celebri lunette di Giusto Utens del 1599, testimonianza unica dell’assetto delle tredici ville dei Medici a Firenze e dintorni. Di fatto, giardini creati meno di un secolo fa, sono diventati celebri esempi di quel modello e spesso millantati come risalenti al glorioso Rinascimento. Queste classificazioni semplicistiche sono state applicate ai Giardini Vaticani, dove si affiancano porzioni residue di assetti del Cinquecento e del Seicento ad altre ideate completamente ex novo negli anni Trenta del secolo scorso, ma che richiamano tipologie più antiche, proposte senza alcun riferimento a dati storici e filologici. È quindi difficile per il visitatore odierno poter riconoscere il passaggio della storia e seguire le vicende di un complesso, tra i più celebri e visitati, senza adeguate informazioni che permettano di distinguere le varie fasi e l’apporto che molti pontefici hanno dato a questo luogo. Nell’attuale estensione a verde di circa 22 ettari, la metà dell’intero Stato del Vaticano, si alternano, infatti, architetture e giardini, fontane e boschetti,

monumenti e panorami, testimonianze di una storia di molti secoli, dell’avvicendarsi di personalità committenti estremamente diverse e dell’evoluzione del gusto nell’arte dei giardini. Il viridarium, documentato fin dal Duecento all’interno della cinta muraria fatta edificare da Leone IV, attesta trattarsi del più antico giardino di Roma pervenuto, seppur con sostanziali modifiche di assetto, ai giorni nostri. Alla straordinaria continuità nei secoli corrisponde tuttavia una complessa stratificazione di fasi costruttive, la cui individuazione e ricostruzione è stata possibile grazie a un’indagine condotta a largo spettro, che ha permesso scoperte di grande interesse basate su una ricca documentazione inedita. I Giardini Vaticani sono noti e famosi in tutto il mondo ma, nonostante ciò, non sono riscontrabili studi specialistici su basi scientifiche e documentate, rivolti a indagarne la storia e le trasformazioni in modo complessivo, dalle origini duecentesche fino alle innovazioni che hanno fatto seguito al Concordato, stipulato tra il Regno d’Italia e la Chiesa nel 1929. Molti e approfonditi studi sono peraltro stati dedicati ai nuclei architettonici di maggior rilievo, in particolare al Palazzetto del Belvedere, al Cortile delle Statue, alle Logge e alla Casina di Pio IV, presi in esame, però, come manufatti compiuti in sé e non quali elementi di un complesso straordinario e quindi non indagati in connessione con gli spazi a giardino che, in origine, ne erano il contesto inscindibile. Per comprendere appieno la complessità dei Giardini Vaticani va considerato in primo luogo l’elemento caratterizzante costituito dalla discontinuità di committenza, dovuta alla successione di pontefici di provenienza, cultura e famiglia diverse lungo il periodo temporale preso in considerazione. L’appartenenza ininterrotta alla Chiesa potrebbe apparire fattore di continuità, in analogia con quella di alcune ville nobiliari che, per secoli, sono state di pertinen-

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GLI HORTI DEI PAPI

za della medesima famiglia. Ne è un esempio, per restare in ambito romano, Villa Borghese, residenza della stessa famiglia per quattro secoli, dove ogni intervento promosso dai discendenti del cardinale Scipione, primo committente, era mirato a esaltare la continuità con l’opera degli avi, in un processo di emulazione virtuosa che ha permesso l’evolversi armonico e organico dei giardini, pur nel mutare del gusto. Completamente diverso è il caso dei Giardini Vaticani, la cui evoluzione è frutto, come si è detto, della committenza di innumerevoli pontefici, spesso succedutisi a cadenza molto ravvicinata, ciascuno dei quali interessato a lasciare un segno individuale e definito del proprio passaggio. Anche se non sono mancati interventi caratterizzati dalla volontà di continuità con l’opera del predecessore, la diversa impostazione politica e l’appartenenza a famiglie a volte in rivalità tra loro, nella maggioranza dei casi hanno indotto a promuovere opere originali e non sempre in armonia con l’assetto dei luoghi che si era

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2. Cupola di San Pietro vista dai Giardini Vaticani.

ereditato. Si sono infatti verificati casi di brusche variazioni di progetti già avviati o appena conclusi e anche traumatiche distruzioni di pregevoli elementi di arredo. Nell’estensione a verde dei giardini non si ha quindi una successione armonica tra i vari spazi, ma una sommatoria di essi, ciascuno con proprie caratteristiche e individualità che non dialogano tra loro. Percorrendoli si ha la sensazione di passare da un “brano” all’altro, ognuno in sé compiuto, che si presentano come parti autonome non inserite in un disegno unitario. Questa caratteristica è, come si è detto, frutto della particolarissima storia di questi giardini, e va quindi considerata non solo nei suoi limiti ma, soprattutto, quale occasione per una lettura storica dell’evoluzione del gusto e della funzione che ai giardini veniva assegnata da ciascun pontefice, come dimostrano alcuni casi esemplari. Tra gli esempi più eclatanti di discontinuità va segnalata la vicenda della Casina di Pio IV, simbolo

3. Veduta dei giardini di Castel Gandolfo.

insuperato di armoniosa coesistenza di simbologia cristiana e di edonismo pagano, «moralizzata» una prima volta immediatamente dopo la conclusione dei lavori dal pontefice Pio V, in accordo con il nuovo clima controriformista, e di nuovo nei primi anni dell’Ottocento da Leone XII, quale frutto di radicali mutamenti nella politica della Chiesa. Altre trasformazioni – con sostanziali modifiche dell’assetto precedente – sono da imputarsi invece a una evoluzione del gusto, come nel caso della sostituzione dello scenografico e vignolesco rustico fondale della Fontana della Galera con una piatta e banale parete a finto bugnato, realizzata a fine Settecento per volere di Pio VI. Un emblematico caso di trasformazione nei secoli è dato dal cosiddetto “giardino quadrato” commissionato da Paolo III Farnese negli anni Quaranta del XVI secolo, cinto da muri quale “giardino segreto” e scandito da un grandioso pergolato a crociera per passeggiare all’ombra osservando l’esterno da ap-

INTRODUZIONE

posite “finestre” aperte nella verzura. La cartografia dei luoghi documenta un’evoluzione continua: nel Seicento non vi è più il pergolato ma un disegno di aiuole delimitate da basse siepi di bosso, quindi agli inizi Ottocento il giardino assume un assetto irregolare all’inglese per poi tornare nel Novecento a un disegno regolare, in omaggio al revival dei giardini rinascimentali. Esempio delle alterne vicende di continuità e discontinuità che hanno nei secoli caratterizzato i Giardini Vaticani è anche la storia del Giardino dei Semplici, l’Orto Botanico Vaticano impiantato nei pressi della Casina di Pio IV nel 1561 e smantellato nel 1659. In un primo tempo, dopo la sua realizzazione da parte dell’insigne naturalista Michele Mercati, per incarico di Pio V, il Giardino dei Semplici ha goduto di cure e attenzioni, con l’arrivo di piante esotiche e rare dalle Americhe, coniugando bellezza e ricerca scientifica. Nei primi decenni del Seicento, secondo una ricostruzione qui per la prima volta

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GLI HORTI DEI PAPI

formulata, il Giardino accrebbe fama e splendore sotto la direzione di Johannes Faber, illustre membro dell’Accademia dei Lincei, confermato nel suo incarico da ben cinque pontefici, il quale fu promotore di scambi internazionali di piante pregiate tra i maggiori collezionisti del tempo. Ma, nonostante così illustri precedenti, nel 1659 Alessandro VII ne decretò la fine, trasferendo l’Orto Botanico sul Gianicolo e privando i Giardini Vaticani di un’attrazione che aveva richiamato eruditi visitatori da tutta Europa. Purtroppo, oggi, nessuna traccia permette di ricordare la storia di un “episodio” di collezionismo botanico di altissimo livello e una conseguente interessante sistemazione degli spazi che ci è nota solo dai documenti. Esempi di continuità sono le opere di Donato Bramante, il quale, su incarico di Giulio II, avviò la costruzione delle Logge, consolidate e riprese dalla committenza di Paolo III, e del Cortile della Pigna, il cui Nicchione fu successivamente completato da Pirro Ligorio per volere di Pio IV, rispettando l’impostazione iniziale. Indubbiamente, risultava relativamente più semplice modificare aiuole, fioriture, arredi o decori piuttosto che architetture, le quali, in genere, potevano essere ampliate e abbellite, suggellate da scritte e da iscrizioni celebrative del nuovo pontefice in carica, ma raramente distrutte. Per lo stesso motivo si sono conservate nel sito originario le monumentali e architettoniche Fontane volute da Paolo V, sebbene in molti casi decontestualizzate e private dell’arredo verde che ne era complemento, mentre le fontane più semplici sono state spesso rimosse, riesumate o spostate più volte con il mutare delle esigenze d’uso di cortili o giardini. La trasformazione più rilevante risale però al secolo scorso ed è direttamente collegata al radicale cambiamento dello scenario politico, a conferma di come i giardini siano diretta emanazione di determinate coordinate storico-politiche. Dopo il Concordato, infatti, con il riconoscimento della Città del Vaticano come Stato sovrano, tutta l’area compresa all’interno delle mura è stata interessata da una mole

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4. Il cortile del Belvedere.

di interventi che ne hanno cambiato radicalmente l’assetto, con numerose nuove costruzioni disseminate su tutta l’area, funzionali alla gestione del nuovo stato. In questo modo è stata purtroppo per sempre eliminata una caratteristica presente lungo tutta la storia dei Giardini Vaticani: ai giardini di delizia, in origine situati nei pressi dei Palazzi Apostolici, quindi estesi a occupare tutta l’area compresa tra questi

INTRODUZIONE

e il Palazzetto del Belvedere, si affiancava la tenuta agricola. La presenza delle Mura leonine ha avuto, fino a un secolo fa, il ruolo di delimitazione tra due settori distinti: da un lato fiori pregiati e spettacolari provenienti da paesi lontani, boschetti di agrumi in varietà, pergolati, spalliere di rose e di mirto, elaborati parterres, nei quali si inserivano fontane, statue, arredi antichi e moderni; dall’altro vigne e canneti, frutteti e orti, con attorno rustiche casupole

usate come fienili, ricoveri di attrezzi, abitazioni dei coloni. I terrazzamenti coltivati che si succedevano nei terreni retrostanti la Basilica, in contrasto con le curate aiuole dei giardini, sono ancora ben evidenti in alcune belle riproduzioni fotografiche di inizio Novecento, che confermano la duplicità di funzioni delle due aree che i documenti d’archivio attestano fin dal XIII secolo. Più nulla resta di questa tradizione produttiva, con la sola eccezione del minuscolo orto

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GLI HORTI DEI PAPI

5. I Giardini del Belvedere, realizzati negli anni ’30.

Alle pagine seguenti: 6. Veduta aerea dei Giardini Vaticani, in primo piano il Cortile della Pigna.

che le Clarisse curano per il pontefice, situato accanto al loro convento. L’immagine dei Giardini Vaticani oggi più diffusa e nota si basa sulle sistemazioni novecentesche, spesso revival spettacolari di tipologie molto più antiche, mentre le vestigia storiche, per essere individuate, richiedono attenzione e conoscenza delle vicende di trasformazione che si sono succedute nei secoli. Proprio questo è lo scopo di questo libro: ritessere il processo storico che ha determinato l’aspetto attuale dei Giardini, riconnettere i vari elementi che li compongono, evocare quegli elementi oggi non più visibili ma che ne hanno determinato l’evoluzione e, in molti casi, lasciato un segno nella storia dell’arte dei giardini. Mi auguro che il lettore, ripercorrendo questi secoli di storia in un contesto così complesso, riesca a cogliere il fascino di un luogo nel quale si è riflessa la vita della nostra città, attraverso la committenza di personalità eminenti che hanno lasciato così forti segni del proprio passaggio e, soprattutto, vi trovi spunti per approfondire una ricerca che, come sappiamo, non ha mai fine e che potrà completare con nuovi tasselli la ricostruzione di questa secolare vicenda. L’auspicio finale è che la conoscenza contribuisca alla tutela e alla conservazione del nostro patrimonio, nel cui ambito i giardini sono il settore più fragile e più soggetto a manomissioni. I Giardini Vaticani hanno subito nei secoli danni profondi che ne hanno alterato l’armonia e meritano ora, alla luce di una nuova consapevolezza della loro storia e del loro valore, di essere un esempio di corretta manutenzione e valorizzazione. Sotto la sapiente guida di Barbara Jatta, Direttrice del complesso museale del quale sono parte integrante, sarebbe anche possibile intraprendere iniziative di recupero di assetti storicamente documentati e oggi non più leggibili, per permettere di far rivivere, almeno in parte, una vicenda affascinante ed esemplare.

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INTRODUZIONE

RINGRAZIAMENTI Molti sono i debiti di riconoscenza che, in vario modo, ho contratto nella ricerca alla base di questo libro e nella sua scrittura. In primo luogo sono grata a mio marito Gianni, impagabile supervisore e critico, ad Alessandro Cremona che ha contribuito alla ricerca d’archivio, a Sofia Varoli Piazza, amica generosa di suggerimenti, a Elisabetta Mori sempre pronta a discutere i miei dubbi, a Chiara Stefanori per le sue dettagliatissime ricostruzioni grafiche, ad Anna Maria de Strobel per avermi segnalato documenti di grande interesse. Un grazie ad Antonio Pinelli, Christoph Frommel, Louis Godart, Francesco Colalucci, Giuseppina Lauro, Maria Angela San Mauro, Aloisio Antinori, Sandro Santolini, Lucia Tongiorgi Tomasi, Nicole Dacos, Ester Piras, Barbara Steindl, Giuliana Ericani, David Freedberg, Cristina Pantanella, Simonetta Tozzi, Simonetta Sergiacomi, Mario Gori Sassoli, Camilla Fiore, Lucia Calzona, per avermi fornito materiali, informazioni o consigli. Ho potuto condurre la ricerca in tempi molto ristretti grazie alla grande disponibilità della direzione e del personale dell’Archivio Segreto Vaticano, dell’Archivio di Stato di Roma, della Biblioteca Hertziana, della Biblioteca Marco Besso, della Biblioteca e dell’Archivio dell’Accademia dei Lincei, della Biblioteca dell’Archivio Storico Capitolino, della Biblioteca Casanatense, della Biblioteca della British School at Rome, della Biblioteca dell’Istituto di Cultura Svedese. La collaborazione di Rosanna Di Pinto e di Filippo Petrignani è stata fondamentale. Sono grata a Vera Minazzi, Sante Bagnoli e Roberto Cassanelli per avermi offerto l’opportunità di affrontare un argomento così affascinante e per molti aspetti inedito, e di rinnovare il piacere della ricerca e della scoperta; ringrazio infine Barbara Miccolupi che ha seguito il lavoro di riedizione del libro.

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GLI HORTI DEI PAPI

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GLI HORTI DEI PAPI

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1. Basilica Costantiniana 2. Chiesa di Santo Stefano 3. Mura di Leone IV 4. Palazzi Vaticani 5. Torrione di Niccolò V 6. Palazzetto del Belvedere

Capitolo primo LE ORIGINI E I PRIMI INTERVENTI DA NICCOLÒ III (1277-1280) A NICCOLÒ V (1447-1455)

Ogni capitolo è corredato da una piantina della Città del Vaticano, nella quale sono evidenziate in nero le realizzazione dell’epoca presa in considerazione nel testo. La legenda corrispondente prevede un ordine numerico per gli edifici e i giardini e un ordine per lettera alfabetica per le fontane.


A fronte: 1. I resti delle Mura di Leone IV e la Torre della Radio.

LE ORIGINI E I PRIMI INTERVENTI

2. Una torre medioevale inglobata nella Casa del Giardiniere.

La storia dei Giardini Vaticani è strettamente connessa con le vicende dello sviluppo della Basilica di San Pietro e delle adiacenti residenze pontificie e con la costituzione di quella che fu chiamata in origine Città Leonina e quindi Città del Vaticano. La costruzione della prima cinta di mura a protezione della Basilica fu voluta da Leone IV (847-855), dal quale derivò la primitiva denominazione, e qualche tratto di quelle mura è ancora oggi visibile nei Giardini. Alcuni edifici furono quindi realizzati, nell’area a nord della Basilica, da Innocenzo III (1198-1216) e di essi si conserva una piccola torre inclusa nella casa del giardiniere1; non si hanno però notizie, a quell’epoca, di sistema-

zioni particolari dell’area verde compresa all’interno delle Mura leonine. Innocenzo IV (1243-1254) continuò a impegnarsi per l’ampliamento del complesso vaticano e, secondo la biografia scritta dal francescano Nicola da Calvi, nel 1253 «apud Sanctum Petrum palatium, cameras et turrim pulcherrimas hedificari et vineas ibi emi fecit»2. Per la prima volta, accanto alla notizia relativa agli edifici realizzati, compare un accenno ad acquisti di terreni e alla presenza di usi di carattere agricolo all’interno della cinta leonina. Sicuramente, tuttavia, non si trattava ancora di sistemazioni a giardino, come l’uso della parola «vigne» chiaramente attesta.

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GLI HORTI DEI PAPI

Le origini dei Giardini Vaticani sono concordemente fatte risalire all’opera del cardinale Giovanni Gaetano Orsini, uomo di grande cultura ed esperto di piante medicinali3, che in un primo tempo affiancò il pontefice Giovanni XXI e quindi come pontefice egli stesso, eletto al soglio pontificio col nome di Niccolò III (1277-1280). Nonostante il breve periodo di pontificato, all’illustre esponente di casa Orsini si deve un consistente incremento del territorio del Vaticano, che giunse ad occupare un’estensione quasi corrispondente a quella attuale, espandendosi ben oltre la primitiva cinta leonina. Vennero allo scopo acquistati numerosi terreni e vigne, situati per lo più sulla collina a nord di San Pietro, il Mons Saccorum4. Ne risultò, accanto ai palazzi e alle nuove costruzioni, una vasta area libera cinta da mura, che si estendeva fino all’altura dove poi sarebbe sorto il Palazzo con il Cortile del Belvedere e che comprendeva prati, orti, vigne e boschi. È noto, peraltro, che Niccolò III volle stabilire per primo al Vaticano la propria residenza, abbandonando i Palazzi lateranensi e dando l’avvio alla realizzazione di quello che sarà poi definito «palazzo in forma di città»5. Perduta Gerusalemme nel 1244, Roma, nelle intenzioni del pontefice, doveva assumere il ruolo di unica capitale della cristianità ed anche quello di «Gerusalemme

3. Alessandro Strozzi, Pianta di Roma, 1447, disegno a penna. All’estremità in alto a destra è raffigurata la Porta Viridaria.

4. G. Lauro, Palazzo Vaticano, inizi XVII secolo. Nei pressi dell’ingresso al Cortile del Belvedere è riconoscibile il torrione fatto erigere dal pontefice Niccolò V.

celeste», quale sede del vicario di Cristo, ed il Vaticano doveva costituirne il simbolo. In questo quadro non poteva mancare un giardino, quale richiamo al paradiso e quale raffigurazione in terra della Vergine Maria e delle sue virtù, con la presenza imprescindibile dell’acqua, elemento di vita e di salvezza6. Tra i documenti di acquisto per ampliare l’area vaticana ve ne è uno, datato 27 giugno 1279, particolarmente interessante in quanto riferito ad una stradina «pergens a porta viridaria», che ci permette di stabilire l’esistenza, già in quella data, della Porta Viridaria e di conseguenza di dedurre che vi fosse un viridarium nei pressi7. La Porta Viridaria, scomparsa all’epoca della costruzione del colonnato berniniano, è documentata chiaramente da alcune piante successive, quali quella di Alessandro Strozzi del 1447: si trovava nei pressi del grande torrione rotondo fatto edificare da Niccolò V8, ancor oggi visibile per chi, entrando da Porta Sant’Anna, si dirige verso il Cortile del Belvedere. La citazione della Porta già nella seconda metà del XIII secolo, attesta che nell’area vaticana vi era certamente un viridarium e, sebbene la denominazione sia alquanto generica, ci conferma l’esistenza di una sistemazione a verde con caratteri non solo utilitari ma anche di decoro.

La realizzazione della nuova cinta muraria voluta da Niccolò III a racchiudere palazzi e giardini è chiaramente ricordata da una lapide, oggi conservata nei Musei Capitolini, che così riferisce: «ANNO SECONDO PONTIFICATUS SUI FIERI FECIT CIRCUITUM MURORUM POMERII HUIUS...»9. Questo primo nucleo di «palazzo-villa» è stato considerato una sorta di domus aurea, evocata peraltro dalla prossimità delle memorie neroniane del circo e della naumachia10. Non a caso nella prima raffigurazione nota dell’area, contenuta nella pianta di Roma di fra’ Paolino da Venezia, del 1323, si evoca appunto un circo, un invaso allungato con gli edifici collocati in ordine sparso lungo una immaginaria spina e con numerosi animali che scorazzano in libertà, inseguiti da cavalieri armati, secondo una iconografia che rinvia alle scene di caccia degli antichi sarcofagi. Lo

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LE ORIGINI E I PRIMI INTERVENTI

spazio raffigurato è situato sul colle a nord della Basilica, quello che poi sarebbe stato occupato dal Belvedere, ai limiti con la campagna romana. Una preziosa descrizione di Martino Polono (Opava?–Bologna 1278), creato vescovo da Niccolò III, ci permette di delineare ulteriormente la consistenza degli interventi attuati, in particolare per quanto riguarda l’aspetto del viridarium. Riferisce, infatti, che «hic palatium Sancti Petri multum augmentavit. Et plurima aedificia faciens, iuxta illud parvum pratum inclusit, & fontem, ibidem profluere paravit, moenibus & turribus munivit: hortus magnus diversis arboribus decoratum includendo»11. Si trattava, evidentemente, di un hortus conclusus, un giardino cinto da muri secondo l’uso medievale, che in genere comprendeva un frutteto e la coltivazione dei semplici. Per «semplici» si inten-

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GLI HORTI DEI PAPI

5. Iscrizione marmorea che ricorda la costruzione del pomerio voluto da Niccolò III nel 1279, Roma, Musei Capitolini. A fronte: 6. Fra’ Paolino da Venezia, Pianta di Roma, con il «Barco Vaticano» popolato di animali, 1323, BAV, Vat. Lat. 1960, fol. 270v.

devano le erbe medicinali, ma con la denominazione Orto dei Semplici, ci si riferiva anche, in senso più lato, ad una sorta di orto botanico. L’hortus conclusus, secondo la simbologia dell’epoca, si identificava con la Vergine Maria, come ben esplicitato nei celebri versi del Cantico dei Cantici: «Un chiuso giardino tu sei,/ sorella mia sposa;/ un chiuso giardino,/ una fonte sigillata!», ma anche con il Paradiso, termine che la sua origine persiana definiva come «luogo recintato»12. Anche Alberto Magno nella sua Opera Omnia, nel capitolo De laudibus Beatae Mariae Virginis, definisce l’hortus conclusus quale identificazione della Vergine stessa, con le piante ed i fiori simboli delle sue virtù e Dio come giardiniere13. Si trattava, quindi, di un luogo di diletto a servizio della residenza papale, ma anche un luogo denso di riferimenti simbolici a quella «Gerusalemme celeste» alla quale si è accennato. Il giardino di Niccolò III aveva una dotazione d’acqua, e alternava spazi a prato ad altri con alberi di diverse specie, sia produttivi che decorativi, molto probabilmente alberi da frutta o agrumi, e certamente era di dimensioni considerevoli. Notizie dettagliate a conferma della creazione di questo giardino emergono dai conti della Camera Apostolica degli anni tra il

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1277 e il 1279, in quanto in una trentina di documenti di compravendita14 sono registrati acquisti di terre situate oltre la cinta leonina, accrescendo l’estensione del Vaticano, creando spazio per l’ampliamento della residenza e per quello che, nei citati documenti, viene indifferentemente denominato pomerium, oppure viridarium o anche jardinum15, avallando l’idea di una coesistenza di funzioni utilitarie e di decoro. Gli appezzamenti acquistati sono in genere di modesta estensione, da 1 a 5 pezze16, generalmente coltivati a vigna, e spesso comprendenti anche vasche e tini, funzionali all’uso del tempo di vinificare in loco. Dettagliate sono le operazioni documentate nei libri di spesa per la coltivazione delle vigne, dalla zappatura del terreno alla potatura e alla vendemmia, con l’utilizzo di pueri per togliere i bruchi dai nuovi germogli delle viti17. Tra i filari di viti risulta che vi fossero anche alberi che ombreggiavano i percorsi, ma nei documenti non sono specificate le specie, anche se possiamo supporre che vi fossero alberi da frutta, in quanto sono citati alberi «fructiferi et infructiferi»18. Altri documenti degli anni successivi attestano la cura che i pontefici riservavano al loro «giardino», intendendo con questo termine, in maniera generica, tutti i diversi caratteri dell’area non edificata all’inter-

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GLI HORTI DEI PAPI

no della cinta muraria. Tra il 1285 ed il 1286 responsabile delle «expense facte ...in iardino» è il magister Alberto da Parma, canonico della Basilica di San Pietro con funzioni di amministratore. Si occupa della produzione del vino, per uso della curia e sicuramente in perdita, della coltivazione di legumi quali piselli, fave e ceci e della cura degli alberi da frutta, tra i quali compaiono fichi, meli, peschi, peri e noci19. Nell’area all’interno delle mura di Niccolò III vi era sicuramente un prato, in quanto figurano compensi a salariati incaricati di sfalciarlo20. La presenza di Simone da Genova21, medico ed esperto conoscitore delle virtù terapeutiche delle piante e archiatra pontificio all’epoca di Niccolò IV (1288-1292), è stata considerata una conferma della tradizione della coltivazione dei semplici in Vaticano, da molti interpretata anche come origine di un vero e proprio orto botanico22. Se questa ipotesi risultasse fondata, si potrebbe affermare che nell’area vaticana sia stato realizzato il primo orto botanico della penisola, ben più antico di quelli di Padova e di Pisa, risalenti a quasi due secoli più tardi23. Gli anni dell’esilio avignonese (1309-1377) comportarono, inevitabilmente, una caduta di interesse per la residenza vaticana: non vengono progettati grandi interventi ma il complesso dei palazzi e degli annessi giardini, tuttavia, continua a ricevere cure e attenzioni. Numerosi sono, infatti, i documenti di quegli anni che attestano lavori non solo di manutenzione edilizia ma anche di cure per il verde dei giardini: questi ultimi vengono citati in una lettera del vescovo Angelo Tignosi da Viterbo, indirizzata al pontefice Giovanni XXII il 23 luglio 1325 e ancora in una di Philipphe de Chamberlhac del 17 luglio 1332, nella quale si assicurano la solerzia «circa fabricam ipsius basilicae ac custodiam palatii et iardinarum papalium»24. L’interesse per i giardini è testimoniata anche da alcuni pagamenti riferiti a lavori di manutenzione e ad abbellimenti: nel 1353, sotto Innocenzo VI, mentre si costruisce una torre al Palazzo e si conduce l’acqua alle cucine, si citano le cure al viridario25, mentre nel 1354 si fa di nuovo manutenzione al viridario e si parla di deambulationes terrazzate, quindi si trasportano non meglio identificati «marmi», probabilmente a de-

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A fronte: 7. G. Horenbout, Immacolata Concezione, 1510-1520, miniatura, Breviario Grimani, Venezia, Biblioteca Marciana, ms. 1581. L’hortus conclusus compare quale simbolo della Vergine Maria.

coro del luogo, quasi ad anticipare quegli antiquaria che per tutto il Quattrocento caratterizzarono cortili e giardini26. Altri lavori non specificati sono citati negli anni tra il 1363 ed il 1369, quando l’attenzione per il viridario è ripetutamente documentata nelle spese per la manutenzione del complesso residenziale, che si intensificano in vista del rientro a Roma dei pontefici27. L’interesse di Urbano V per i giardini, pur dall’esilio, è documentato da una lunga lettera scritta da Avignone il 13 novembre 1365, indirizzata al vescovo di Orvieto, nella quale così esprime la sua preoccupazione: «C’è stata fatta un’attendibile relazione secondo la quale il nostro orto che si trova presso il palazzo di San Pietro, un tempo abbondante per la varietà di alberi da frutto, attualmente è in tale stato di abbandono da non avere più aspetto di orto o giardino ma piuttosto di un terreno agricolo pieno di sterpi e di spine. Volendo noi pertanto che tale orto sia ricondotto alla dovuta coltura, comandiamo alla fraternità tua che, sradicati gli sterpi e le spine, riparati i muri di cinta ove sarà necessario, faccia coltivare questo orto e di riempirlo di buone viti e di piante da frutto e ornamentali di diversa specie»28. Sempre per volere del pontefice Urbano V, nell’anno 1368, viene predisposto un apposito «quaderno» delle entrate e delle uscite per il viridario e per la vigna, che comprende l’elenco di tutti coloro che vi lavoravano (almeno dieci uomini al giorno) e la descrizione, per quanto sommaria, di tutti gli interventi che quotidianamente e secondo l’alternanza delle stagioni venivano effettuati. Si lavorava, dunque, a scassare il giardino, a cavare e a sterrare, a realizzare una peschiera, a zappare la vigna, a tracciare le strade, ad innaffiare, «a portar l’herba et le piante», a «piantar li cavoli et li melloni», «ad adaguar l’arbori»29. Tra gli addetti ai giardini sono compresi anche muratori, falegnami e marmorari, in quanto la vigna ha attorno un muro di pietre con una copertura in peperino e vi si trovano strutture in legno e arredi lapidei. Ne deriva un’immagine dell’area centrata sulle funzioni produttive proprie di un orto domestico, ma nella quale trovavano spazio anche sistemazioni di decoro e abbellimento. Si provvedeva, inoltre, per accrescere la bellezza del luogo, a importare piante anche da altri

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8. G. Boccaccio, Decameron, Parigi, Bibliothèque de l’Arsenal, ms. 5070, fol. 168r.

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Paesi: è del 1368 un documento che riferisce del trasporto da Marsiglia, via mare, da parte di tre uomini di Portovenere, di alberi, il cui genere purtroppo non è specificato, destinati a essere piantati nel viridario del Palazzo apostolico30. Possiamo però ipotizzare che si trattasse di piante di pregio, degne di essere importate da lontano perché non reperibili nell’area laziale. A testimonianza di quanto la raffigurazione della presenza di animali nel parco che ne aveva fatto fra’ Paolino da Venezia fosse corrispondente a realtà, nel 1367 è documentato il dono al pontefice di un leopardo, condotto nella residenza vaticana31. Per tutta la durata del pontificato di Urbano V, i riferimenti nei documenti alla presenza del giardino ed alle cure ad esso dedicate, compaiono ripetutamente: si citano il «viridarium parvum», quindi un «ortus parvus» ed un «ortus magnus», la «vinea nostri pape», un «pratum», quindi «vine et piscarie» e un certo frate Guillermo, definito ortolano, viene pagato per aver piantato cavoli32. Un anonimo cronista dell’epoca riferiva che il pontefice, «presso il suo Palazzo, fece scavare e rimettere in ordine una vigna di grande estensione dalla quale, se opportunamente coltivata e trattata, ogni anno si potevano ricavare 300 botti di vino; in essa fece anche piantare ex novo molte viti ed alberi da frutto, che fece asportare da varie e lontane terre e regioni»33. In vista del rientro a Roma, poi fallito, nel 1370, da Montefiascone dove era temporaneamente stabilito, il pontefice autorizzava un pagamento di ben 6621 fiorini a favore di Giovanni Cenci, cancelliere dell’Urbe, che tra il 1368 ed il 1369, era stato incaricato di allestire «la vigna e la peschiera» nell’orto presso il Palazzo di San Pietro34. Si tratta di ulteriori conferme del duplice carattere del luogo, destinato a produrre alimenti per la tavola di coloro che abitavano nell’area ma anche a conferire decoro all’attigua residenza. È peraltro noto come alcune sistemazioni produttive, quali i frutteti, avessero entrambe le valenze e molto apprezzati erano quegli alberi che davano prima splendide fioriture per la gioia della vista e poi frutti, e che spesso venivano esibiti come esemplari da collezione35. Anche i successori di papa Urbano V continuarono a curare il giardino: risulta che nel 1376 un muratore fu compensato per aver recintato un piccolo viridario,

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LE ORIGINI E I PRIMI INTERVENTI

che possiamo supporre avesse quindi il tipico aspetto dell’hortus conclusus medievale, con le piante pregiate protette mediante muri sia dai rigori del freddo sia dagli animali che, a quanto ci risulta, si trovavano nel parco36. Ma l’hortus conclusus annesso al Palazzo non era, probabilmente, l’unica sistemazione a giardino esistente, visto che spesso vi sono citazioni al plurale e sembra di capire che già al tempo di Niccolò III ci fossero almeno due giardini, uno più vicino al Palazzo e di dimensioni limitate, l’altro in quello che poi sarà il Cortile del Belvedere e certamente più vasto. Gli interventi di riordino e riorganizzazione dei giardini, come si vede, sono sempre più frequenti in vista del rientro dei pontefici da Avignone. Di particolare interesse per risalire all’assetto che avevano all’epoca e per confermare la presenza di una connotazione di «delizia» è una notizia del 1368 che attesta, per la prima volta, la presenza di alberi di agrumi, piantati e curati non solo per i loro frutti ma anche per la bellezza che quelle piante, con il verde perenne ed intenso delle foglie ed i frutti dorati, conferivano ai giardini37. Gli agrumi – limoni e melangoli – venivano innaffiati e, soprattutto, protetti dai rigori invernali mediante «cortica» e con l’allestimento di vere e proprie «serre» rimovibili, per costruire le quali vengono comprati pali di castagno e giunchi sulla cui struttura si ponevano le «store» di protezione, in genere rimovibili, in modo da poterle apporre durante la notte e sollevare durante il giorno, nelle giornate più miti, per far godere agli alberi della luce e dei raggi del sole38. La presenza degli agrumi aveva anche una valenza simbolica, non tanto quanto richiamo al mitico Giardino delle Esperidi, evocazione classica destinata ad affermarsi in seguito, ma in quanto piante associate alla Terra Santa, e quindi ancora una volta alla connotazione della cittadella vaticana come Gerusalemme39. Nelle cronache successive si trovano pochi e frammentari riferimenti ai Giardini: di Bonifacio IX (1389-1404) si riferisce che usasse potare in prima persona le viti40, mentre secondo altre fonti Pio II (1458-1464), amante della natura, fece costruire un padiglione in pietra e legno nel giardino e nei suoi Commentari riferisce dell’uso dei giardini quali splendida cornice per cerimonie ufficiali41.

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9. Benozzo Gozzoli, Veduta del Vaticano e Borgo, particolare, affresco, 1465, Chiesa di Sant’Agostino, San Gimignano.

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Una vera e propria ripresa dell’interesse per la residenza vaticana e in particolare per i Giardini, si ebbe con Niccolò V (1447-1455), figlio di un medico pisano dal quale, probabilmente, ereditò l’amore per le scienze naturali e per le piante. Tommaso Parentucelli fu considerato il primo pontefice «umanista», promotore di numerosi interventi di abbellimento urbano tanto da essere definito anche «grande costruttore», sulla base del suo legame con Leon Battista Alberti, da molti considerato suo ispiratore, sebbene la critica recente tenda a ridimensionare l’immagine di una «Roma marmorea» già a quell’epoca42. Le imprese del pontefice ci sono note grazie alla biografia scritta da Giannozzo Manetti (13971467) gentiluomo fiorentino che, dal 1453, lasciata la corte dei Medici, si stabilì a Roma ottenendo incarichi presso la curia pontificia. Tra le vicende narrate, che ci restituiscono l’immagine di un pontefice colto e dai molteplici interessi, non mancano cenni ai giardini, e nell’area vaticana risulta chiaramente la presenza di un’ampia sistemazione a verde addossata al Palazzo, «grande e splendido giardino, ricco di ogni genere di erbe e di frutti e irrigato d’acqua perenne, che il pontefice aveva portato fin lì con grandi spese e ancor maggiore abilità tecnica dalla cima del monte, attraverso condotti sotterranei, per l’irrigazione e il piacere. In questo spazio di incantevole paradiso sorgevano tre splendidi edifici di ottima fattura»43. Sempre secondo le notizie riportate da Manetti, un altro giardino era situato ad ovest del Palazzo, dove poi sarebbe sorto il Belvedere. Su questo giardino affacciava una loggia, oggi scomparsa, destinata alle celebrazioni liturgiche pontificie, segno dell’avvenuta trasformazione del giardino da luogo di ritiro a scenario privilegiato per le cerimonie della corte44. Nel testo di Manetti, per riferirsi ai giardini, vengono usati spesso termini quali «splendido labirinto» o addirittura «magnifico paradiso», a sottolineare la delizia dei luoghi ma anche le complesse valenze simboliche che il verziere del papa rivestiva. L’accostamento del giardino al Paradiso fa parte a pieno titolo di una tradizione di larga diffusione che ha le sue origini nel Cantico dei Cantici e che era stata ripresa nella cultura medievale. Si veda, come esem-

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pio, l’Introduzione del Decamerone, nella quale Giovanni Boccaccio fa dire ai dieci giovani testualmente: «se Paradiso si potesse in terra fare, non sapevano conoscere che altra forma che quella di giardino gli si potesse dare»45. La definizione di labirinto è anch’essa connessa al concetto di giardino-paradiso, quale percorso di iniziazione e di ricerca che prevede il superamento di difficoltà in vista del premio finale. Lo splendore della cittadella vaticana era dovuto, secondo Manetti, ad un’immagine complessiva che comprendeva, in una accezione quanto mai moderna, tutto il paesaggio circostante, nell’armonia tra spazi coltivati e costruiti: «Il Palazzo... era cinto non soltanto dalle mura urbane, di dimensioni e robustezza davvero straordinarie, protette e abbellite da ogni parte da grandi e splendidi vigneti...»46. La nuova immagine di Roma, e i grandi lavori avviati da Niccolò V in vista del Giubileo del 1450, sono chiaramente percepiti da un fiorentino, della famiglia Rucellai, che era rimasto colpito soprattutto dalla magnificenza della residenza pontificia: «Il Palazzo del papa, bellissima abitazione... con giardini grandi et piccoli et con una peschiera et fontane d’acqua et con una conigliera»47. L’importanza ed il ruolo dei giardini nella strategia politica di Niccolò v sono ben stati definiti da Marcello Fagiolo: «Sul piano simbolico il giardino vaticano poteva equivalere al giardino della sapienza di cui era giardiniere il papa, vicario di Cristo; mentre sul piano politico era la scena del governo e dell’ordine. Niccolò V governava la Chiesa dall’alto di un castello con forti muri e torri che proteggevano i giardini irrigati e ricchi di erbe e frutti. Qui poteva esercitare degnamente le complesse cerimonie della vita di governo»48. L’aspetto che la cittadella vaticana presentava intorno alla metà del Quattrocento, dopo gli importanti e consistenti interventi di Niccolò V, è documentato da un affresco di Benozzo Gozzoli, conservato nella chiesa di Sant’Agostino in San Gimignano, riferibile all’anno 1465. Nella veduta è ben evidenziato l’imponente nucleo edificato costituito dalla Basilica e dai palazzi addossati, raffigurati nella parte bassa, mentre nella parte alta, all’interno della cinta muraria scandita da torri difensive, compare un’ampia zona libera, genericamente a verde; nella stessa veduta è anche indi-

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10. Il Palazzo e il giardino di Paolo II a Piazza Venezia.

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viduata una seconda zona sistemata a verde, nell’area prospiciente il Palazzo con loggiato, nei pressi della Porta Viridaria, ed è una testimonianza di grande interesse. Vi compare, infatti, una struttura piramidale di pergola, una sorta di padiglione vegetale, con una struttura fissa (probabilmente lignea) e piante rampicanti attorno. La presenza di questa pergola ci riporta alle prescrizioni di uno dei primi trattati sui giardini, I piaceri della campagna (Ruralia Commoda), del bolognese Pietro de’ Crescenzi, (1233-1320 ca.), che consiglia la presenza di una pergola, a forma di casa o di padiglione, quale status symbol d’obbligo nei giardini di re e di signori49. La pergola-padiglione del dipinto è circondata da spartimenti di aiuole, con al centro di un’aiuola un albero. Si tratta di una organizzazione di carattere formale, che rinvia alla tipologia delle aiuole geometriche con al centro un albero, in genere di agrumi, largamente diffusa anche nel secolo successivo e tipica del giardino di delizia. L’altra zona a verde, inerpicata sul colle destinato poi ad essere occupato dalla costruzione del Belvedere, appare più libera, priva di elementi formali, e possiamo supporre che fosse quella adibita a orto, frutteto e vigneto. Da un’analisi dei mestieri esercitati alla corte di Niccolò V risulta infatti che, nell’area vaticana, coesistevano vigne e giardini: vi erano vignaroli, in genere provenienti dalla Toscana, ma figurano tra i salariati anche i giardinieri50. Il suo successore, Paolo II, il veneziano Barbo (1464-1471), non risulta abbia introdotto consistenti innovazioni nei Giardini Vaticani, pur avendo un dichiarato interesse in questo campo, che preferì riversare nella creazione del viridario annesso al palazzo di famiglia in piazza Venezia, avviando quella tradizione di paludate residenze delle famiglie dei pontefici, ed in particolare del cardinal nipote, che tanta diffusione doveva avere nei secoli successivi51. Tuttavia alcune sporadiche notizie fanno supporre un intervento anche nei Giardini Vaticani. Il 28 maggio 1469, infatti, è documentato un pagamento per lavori di realizzazione di una copertura in piombo («tentorio plumbeo»), nel «jardino secreto palatii S. Petri»52. È la prima volta che, nei documenti, compare la denominazione di Giardino Segreto, di fatto equivalente all’hortus con-

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clusus, a designare un luogo recintato e il cui accesso era riservato, quindi segreto in tal senso53. Nello stesso anno sono documentati pagamenti a scalpellini per lavori di costruzione di capitelli e pilastrini alla «fonte jardini secreti palatii Sancti Petri»54. Non abbiamo riferimenti più precisi sulla presenza di questa fontana, ma possiamo supporre che si trovasse nel giardino accanto ai palazzi, quello con il pergolato raffigurato nel dipinto di Benozzo Gozzoli, ed anche la copertura in piombo potrebbe riferirsi al medesimo luogo. Dalle notizie e descrizioni riportate si può concludere che nell’area del Vaticano, a metà del Quattrocento, vi fossero almeno due giardini, uno più piccolo situato a ridosso del Palazzo pontificio ed un secondo, più ampio, nell’area che sarebbe stata poi occupata dal Palazzetto e dal Cortile del Belvedere55. Entrambi erano situati all’interno della imponente cinta muraria che proteggeva tutto il complesso ma certamente il più piccolo, quello accanto al Palazzo, aveva un’ulteriore protezione muraria. Si trattava senza dubbio di giardini con semplici, cioè piante medicinali ma anche fiori e alberi da frutto, tra i quali vi erano sicuramente agrumi, tradizionalmente associati a valenze decorative. Con molta probabilità vi erano anche alberi quali ciliegi, peschi, susini in quanto, secondo una tradizione in auge fino al secolo scorso, molte piante fruttifere erano considerate ornamentali e coltivate nelle aiuole dei giardini. Lo spazio verde vicino al Palazzo doveva avere un assetto più vicino a quello che, nella moderna accezione, consideriamo assimilabile alla tipologia del giardino di delizia: aveva cioè aiuole geometriche regolarmente disposte attorno ad una pergola centrale che probabilmente fungeva da luogo di sosta ombreggiato ed era dotato di una fontana. Il secondo giardino era, invece, piuttosto un pomario, composto in prevalenza da alberi da frutto. In una alternanza probabilmente molto libera, all’interno della cinta muraria si susseguivano inoltre prati e vigne, i cui filari erano scanditi e decorati da alberi da frutto e non, destinati sia all’ombreggiatura che alla creazione di effetti di allineamento prospettico56. L’interesse dei pontefici per i giardini è peraltro attestata dalla presenza di salariati e addetti con ruoli specifici: a partire dall’inizio del Quattrocento, nei ruoli della curia ricorrono sta-

bilmente le figure dei vignaioli e dei giardinieri, ma anche dell’addetto alla distillazione, cioè alla preparazione di profumi, liquori o medicinali con i petali dei fiori o con piante quali l’assenzio57. Ne deriva un’immagine quanto mai interessante dei Giardini Vaticani, sicuramente in largo anticipo rispetto all’affermarsi di simili spazi destinati al diletto nella città di Roma. Infatti, nella storia dei giardini romani, si ha notizia delle prime sistemazioni a giardino

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non prima della seconda metà del XV secolo58 e solo nel secolo successivo sono documentati spazi verdi ad uso decorativo addossati a residenze di prestigio59. La realizzazione, prima della fine del XV secolo, del Palazzetto del Belvedere, avrebbe introdotto anche una tipologia architettonica direttamente connessa ad una sistemazione a giardino, anticipando la creazione di quelle ville di delizia che nel secolo successivo sarebbero state destinate a caratterizzare la città.

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1. Basilica costantiniana con nuova abside incompiuta 4. Palazzi vaticani con nuove addizioni 7. Logge di Donato Bramante con esedra 8. Cortile delle Statue 9. Scala a lumaca

a. Fontana del Belvedere b. Ninfeo del cortile della Biblioteca c. Fontana del Belvedere nel Cortile della Pigna d. Fontana della Cleopatra

Capitolo secondo IL BELVEDERE DI INNOCENZO VIII (1484-1492) E IL CORTILE-TEATRO-GIARDINO

DI GIULIO II (1503-1513) E DONATO BRAMANTE

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1. Il complesso del Belvedere negli anni ’30. A fronte: 2. Il Palazzetto del Belvedere, particolare.

Innocenzo VIII (1484-1492) subito dopo la sua elezione al soglio pontificio si occupò della residenza vaticana, tanto che già nell’aprile 1485 risulta l’acquisto di una vigna per ampliare il giardino e lo spazio a disposizione1. Nell’ottobre successivo intraprese la costruzione di un’ampia cinta muraria per includere e proteggere tutte le vigne attorno al Palazzo2. Come lascia dedurre il compenso elargito al muratore, ben cinquecento scudi d’oro, era un’impresa di considerevole impegno. Si trattava, infatti, come lascia intendere in un suo passo Vasari3, del consolidamento del precedente pomerio, per rendere più dignitosa e sicura la fabbrica che aveva intenzione di realizzare, il celebre Belvedere. Il suo nome è legato appunto alla costruzione del Palazzetto del Belvedere, così denominato per la splendida e panoramica posizione, situato ad una considerevole distanza dal Palazzo apostolico, e che segnò l’avvio di un progetto di sistemazione dell’area che si sarebbe concluso quasi un secolo più tardi4.

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IL BELVEDERE DI INNOCENZO VIII E IL CORTILE-TEATRO-GIARDINO

Il Palazzetto o Casino del Belvedere, situato sulla sommità del Monte Sant’Egidio, a nord della Basilica di San Pietro e del Palazzo apostolico, è stato definito da David Coffin il primo edificio a Roma con le caratteristiche di una villa rinascimentale5. Ovviamente non era il primo edificio ad avere le funzioni di residenza in villa: negli anni precedenti si erano avuti altri esempi quali il Casino del Cardinale Bessarione o la Villa Mellini a Monte Mario, ed altri casali più o meno rustici erano stati destinati a scopi di delizia. Ma il Palazzetto del Belvedere introduce per la prima volta un modello tipologico, destinato ad essere imitato nei decenni successivi, sebbene dal punto di vista architettonico la struttura dell’edificio risultasse alquanto modesta, derivata chiaramente dai casali diffusi nella campagna romana, con ancora elementi di stampo medioevale come le merlature. L’architettura dell’edificio era caratterizzata dalla loggia al pian terreno, aperta sull’adiacente giardino, in un rapporto diretto tra interno ed esterno. Pertanto è

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3. Il complesso del Belvedere, veduta generale con le Logge e la Cupola di San Pietro.

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al piano terreno con loggiato al quale veniva assegnato il ruolo di rappresentanza. Proprio questo costituisce l’elemento innovativo, tipico della tipologia del casino di villa come sarà ampiamente diffusa nei decenni successivi: mentre nei palazzi di città le funzioni maggiormente rappresentative vengono ubicate al primo piano, il piano cosiddetto «nobile», nei casini delle ville il valore aggiunto è dato dal rapporto con il giardino, mediato dalla loggia al pianterreno che, non a caso, spesso viene affrescata ad imitazione di un pergolato, a sancire la continuità tra esterno ed interno. La novità della fabbrica innocenziana è stata chiaramente intuita da Pasquale Adinolfi, che lo descriveva «picciolo» a comparazione dei Palazzi apostolici, «però molto celebre per gli usi a quali fu deputato», in quanto destinato ad assumere, nei secoli successivi, funzioni sempre più paludate e un ruolo centrale nella rappresentazione del potere papale6. Secondo la cronaca di Stefano Infessura, il pontefice «costruì nella vigna, accanto alla residenza, un palazzo chiamato, per la sua vista, Belvedere, costato 60.000 ducati»7. Le notizie sulla fabbrica sono alquanto scarse, e la sua collocazione è riferita sempre alla vigna e al giardino attiguo, quali elementi caratteriz-

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4. Pianta del Belvedere con le fasi costruttive: a) costruzione più antica; b) ala aggiunta; c) torre di D. Bramante con scala a lumaca; d) il Cortile delle Statue, da D. Redig de Campos, I Palazzi Vaticani, Bologna 1967.

zanti, all’interno del pomerio voluto da Niccolò III, sulla sommità del Monte Sant’Egidio, dalla quale si godeva una magnifica vista su Monte Mario, Ponte Milvio e, all’orizzonte, il Monte Soratte. I pellegrini che arrivavano a Roma, ma anche i cortei di ambasciatori e di nobili ospiti in visita, passavano proprio sotto il Belvedere per entrare in Vaticano, ammirandone le architetture e la posizione privilegiata e dominante. Della struttura originaria poco è sopravvissuto: la realizzazione del Cortile delle Statue attuata successivamente da Donato Bramante, il collegamento con la più antica residenza mediante quello che fu denominato il Cortile del Belvedere, quindi la creazione, alla fine del XVIII secolo, del Museo Pio Clementino, hanno introdotto non poche modifiche ed è arduo oggi, con la scarsa documentazione a disposizione, ricostruirne l’assetto iniziale. Secondo gli studi più recenti, sotto Innocenzo VIII vi furono due fasi costruttive. In un primo tempo fu realizzato un semplice padiglione con un piccolo appartamento ed una cappella, un luogo per soste brevi nei pomeriggi estivi, particolarmente gradevole per la frescura garantita dalla posizione elevata ed esposta a settentrione. Il piano terreno doveva essere, essenzialmente, una

5. M. van Heemskerk, Veduta del Belvedere, 1534-35, disegno.

loggia aperta. La seconda fase costruttiva comportò l’aggiunta di un’ala ad est, verso la città, e la realizzazione di alcune stanze, trasformando il padiglione in un vero e proprio Palazzetto. Anche dopo l’ampliamento della costruzione era stato mantenuto il rapporto con l’esterno e dal giardino, secondo le cronache del tempo, si poteva seguire la messa celebrata nella piccola cappella. Complesso era il programma decorativo degli interni, con il contributo documentato di Pinturicchio e di Andrea Mantegna, che peraltro non interessa in questa sede, ma vale la pena ricordare per la presenza di paesaggi dipinti, con campi, marine, scene di caccia, vedute pastorali, che accentuavano ulteriormente il rapporto con lo spazio aperto del giardino. L’attribuzione della fabbrica ad Antonio del Pollaiolo, dovuta a Giorgio Vasari, è stata messa in dubbio in studi recenti che attestano l’ipotesi della presenza di Jacopo Cristoforo da Pietrasanta8, pur confermando l’impostazione «fiorentina» del disegno progettuale. L’unione dei due corpi di fabbrica era risultata di fatto asimmetrica, a causa della diversa altitudine del terreno sul quale erano impostati, tuttavia l’architetto era riuscito ad ottenere, sul fronte a valle e quindi

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maggiormente visibile dalla città, una immagine unitaria con la costruzione di un alto muro a scarpa scandito da una serie di archi. Successivamente, ad opera di Donato Bramante, fu realizzata una monumentale scala d’accesso sul fianco est del Belvedere, la celebre «lumaca», la cui rampa era «fatta sì che a cavallo si cammina», secondo la testimonianza di Giorgio Vasari9. Anche in questo caso si trattava dell’introduzione di un nuovo modello, destinato nei decenni successivi ad essere ripreso in molti altri casini di ville, quali la Villa Farnese di Caprarola, il Palazzo del Quirinale, il Palazzo-Villa Barberini a Roma, la Villa Aldobrandini di Frascati10. Secondo alcune testimonianze il Palazzetto era circondato da un giardino con cipressi e all’interno, nell’ampio cortile, si coltivavano piante di agrumi, probabilmente melangoli, attorno ad una fontana che dava frescura al luogo11. Sia in un disegno di van Heemskerk, datato circa 1530, sia in un affresco del 1545 attribuito a Prospero Fontana, le vedute del Palazzetto riportano i profili di numerosi cipressi che si stagliano accanto, avvalorando questa notizia. Dopo l’ampliamento, il Palazzetto innocenziano aveva indubbiamente acquistato il carattere di una

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vera residenza, per quanto di dimensioni ridotte, ma restava isolato sulla sommità del colle, separato dal Palazzo apostolico da una vasta area, probabilmente coltivata a vigna, non facilmente percorribile in quanto disomogenea dal punto di vista altimetrico. Permetteva comunque al pontefice di riservarsi uno spazio di otium, senza allontanarsi troppo dai negotia che il suo ruolo gli imponeva. Le precarie condizioni di salute del pontefice lo avevano indotto a cercare refrigerio e riposo non lontano dal Palazzo apostolico in quanto, dalle cronache dell’epoca, risulta che ben raramente uscisse dalla residenza vaticana e sempre per brevi spostamenti, limitati a visite ad Ostia o alla Villa della Magliana12. Secondo la cronaca di Francesco Serdonati (1540-1603), Innocenzo VIII si occupò anche dell’ampliamento ed abbellimento dei Palazzi apostolici, dove «aggiunse vaghi e vistosi portici con deliziosi giardini», ma si tratta di un riferimento con scarsi riscontri documentari13. Non ci risulta che il pontefice, ultimato l’edificio del Belvedere, abbia progettato interventi di collegamento con i più antichi e maestosi Palazzi, o di sistemazione del terreno, per colmare o percorrere più agevolmente gli oltre 320 metri di distanza che separava i due nuclei edilizi, con un dislivello di circa 25 metri, tra una valletta acquitrinosa e un irregolare pendio. L’assetto dell’area è ben delineato in una veduta di Hartmann Schedel, pubblicata nel 1493 a Norimberga nel De Temporibus Mundi, la cui impostazione richiamava a grandi linee l’affresco di Benozzo Gozzoli ma con l’aggiunta del Belvedere. In essa il Palazzetto turrito, con al pianterreno un ampio portico con arcate e volte a crociera, appare completamente isolato sulla sommità del colle, senza alcuna connessione con i Palazzi apostolici dai quali è separato da un dirupo alquanto scosceso, pur essendo il complesso racchiuso nella medesima cinta muraria. La realizzazione di un grandioso complesso che unificasse tutte le diverse fabbriche all’interno della cinta muraria di Niccolò V sarebbe stata avviata, nell’ambito di un ambizioso progetto di edificazione di una vera e propria cittadella papale, solo qualche anno più tardi, grazie all’incontro di due personalità eccezionali quali furono il pontefice Giulio II (1503-1513) e l’architetto Donato Bramante (1444-1514). Giuliano della Rovere, nipote di Sisto IV, appena eletto al soglio pontificio, si era dedicato con grande energia a conferire a Roma un primato in campo politico ma anche artistico, ristabilendo il prestigio del papato dopo il debole e spregiudicato pontificato di Alessandro VI Borgia. Dopo aver affrontato con risolutezza la situazione economica e sociale di una Roma disastrata, si era accinto ad usare, con grande consapevolezza, anche l’arte e l’architettura quali strumenti di propaganda e di potere. La renovatio imperii avviata da Giulio II aveva un suo perno nel radicale rinnovamento del Vaticano, con una nuova monumentale Basilica, un Palazzo ampliato e regolarizzato, il collegamento degli edifici preesistenti

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6. P. Fontana, Il Cortile del Belvedere con scena di naumachia, 1545 ca., affresco staccato, Roma, Sala dei Festoni, Castel Sant’Angelo. A fronte: 7. H. Schedel, Veduta prospettica di Roma, da De Temporibus Mundi, Norimberga 1493.

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8. G.A. Dosio, Il Cortile del Belvedere, disegno, 1560 ca., Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, n. A2559.

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e in particolare del Palazzetto del Belvedere, in modo da creare una vera e propria residenza di corte, dove esercitare il potere spirituale e temporale come nuovo imperatore. Giulio II aveva apprezzato molto il Palazzetto del Belvedere, e le cronache del tempo riferiscono dell’uso frequente che ne faceva «per suo piacere», ma anche per eventi, quali le nozze di una nipote con il fratello del suo grande amico Agostino Chigi, celebrate nell’estate del 1504 con notevole sfarzo14. Il suo interesse per i giardini e per le residenze in villa datavano peraltro dai tempi in cui era cardinale. Infatti, proprio negli stessi anni in cui Innocenzo VIII realizzava il Belvedere, il futuro Giulio II, allora cardinale Giuliano della Rovere, aveva fatto realizzare un casino da giardino accanto alla chiesa dei Santi Apostoli. Si trattava di una costruzione di due piani con una grande loggia a sette archi aperta sul giardino15. Purtroppo il Casino della Rovere è stato radicalmente modificato e inglobato nel successivo Palazzo Colonna e sulla base delle conoscenze che se ne hanno possiamo solo ipotizzare una sua somiglianza con il Belvedere vaticano, al quale era sicuramente accomunato dalla medesima impostazione tipologica di un edificio in stretta connessione con il giardino. Appare quindi ovvio che Giulio II, appena insediatosi in Vaticano, abbia mostrato interesse per il Belvedere e ne abbia voluto la valorizzazione, inglobandolo in un disegno di ampia portata. Fulcro del progetto era la sistemazione dello spazio tra il Belvedere e il Palazzo, per colmare l’immenso spazio vuoto e nello stesso tempo per creare una struttura in grado di assolvere a diverse funzioni. Bramante ideò per questo scopo un cortile racchiuso da due ali laterali a più livelli con funzione di logge, ma adottando una tipologia del tutto nuova ed originale. Il grande cortile, il cui impianto fu realizzato in tempi brevissimi (anche se completato molti decenni più tardi), era infatti anche un teatro, destinato ad ospitare eventi spettacolari come testimoniato da vedute successive; era un giardino, il primo giardino «architettonico» concepito con terrazzamenti, aiuole simmetriche e fontane16; era infine anche un museo nel quale la collezione antiquaria del pontefice poteva trovare degna cornice. Come ha giustamente esplicitato Alessandro Tagliolini, la realizzazione del Belvedere bramantesco segna un nuovo corso nell’arte dei giardini: «La progettata apertura delle logge superiori permetteva al giardino di proiettarsi all’esterno e fondersi col paesaggio in una continuità ambientale che incorporava la nuova architettura alle vestigia della romanità»17. Così Vasari riferisce, nella narrazione della vita di Bramante, la genesi del progetto: «Era entrato in fantasia a quel pontefice di acconciare quello spazio che era fra belvedere e ‘l palazzo ch’egli avesse forma di teatro quadro, abbracciando una valletta che era in mezzo al palazzo papale vecchio, e la muraglia che aveva, per abitazione del papa, fatta di nuovo da Innocenzo VIII, e che da due corridori che mettessimo in mezzo questa

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9. Il Cortile del Belvedere in primo piano e, in successione, il Cortile della Biblioteca e il Cortile della Pigna.

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valletta si potesse venire di Belvedere in palazzo per logge, e così di palazzo per quelle andare in Belvedere, e che dalla valle per ordine di scale in diversi modi si potesse salire sul piano di Belvedere»18. Donato Bramante19, giunto a Roma da Milano nel 1499, in età già matura, era stato colpito dalla magnificenza delle antiche rovine che dominavano con la loro imponenza il panorama urbano di Roma, con scoperte che davano sempre più il senso della grandiosità originaria – si pensi alla rivelazione della Domus Aurea – e contribuivano da un lato allo sviluppo del collezionismo, dall’altro al diffondersi su larga scala di modelli architettonici tratti da quegli illustri esempi. E il Cortile del Belvedere da lui progettato rivela in modo chiarissimo le matrici alle quali si è ispirato. Per collegare il Belvedere con i Palazzi apostolici e con la Basilica, Bramante ideò un vasto cortile articolato su tre livelli, raccordati da ampie scalinate, cinto da un muro alto ben 28 metri, realizzato in cotto a vista con elementi decorativi in peperino, lungo il quale erano logge e porticati. Si trattava di un evidente richiamo alle tipologie classiche delle deambulationes porticatae delle ville imperiali, dei criptoportici, degli invasi dei circhi, mentre il sistema dei terrazzamenti trovava precisi riscontri nella spettacolare e scenografica disposizione del Tempio della Fortuna Primigenia di Palestrina, nella Villa di Domiziano ad Albano e negli Horti Aciliorum sul Pincio20. Il richiamo all’antico è evidente anche nelle dimensioni: il Cortile del Belvedere aveva in totale un’ampiezza di 90 metri e una lunghezza di oltre 300 e non a caso il Circo Massimo aveva le dimensioni di 100 metri per 300 e sia Vitruvio sia Alberti raccomandavano per queste tipologie la proporzione di 1 a 3. Le analogie tra i palazzi imperiali del Palatino e la nuova residenza vaticana sono state ampiamente sottolineate sia quale conferma delle matrici classiche nell’architettura di Bramante, sia quale parallelo con l’immagine del potere che il papa-imperatore voleva trasmettere21. La geniale soluzione adottata da Bramante22 permetteva il collegamento tra i due estremi della residenza pontificia, colmando il divario altimetrico senza però interrompere l’unità visiva, consentendo la definizione di usi diversi all’interno della medesima cornice monumentale.

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La struttura è stata considerevolmente trasformata nel corso dei secoli successivi: oggi i tre spazi si presentano separati, ognuno con una propria funzione autonoma e distinta ed è difficile immaginare l’aspetto originario, ma conosciamo la realizzazione bramantesca per le numerose raffigurazioni che ci sono pervenute, segno del grande impatto che ebbe all’epoca una soluzione così innovativa e complessa. La parte più vicina ai Palazzi e alla Basilica, quella che ancor oggi è denominata Cortile del Belvedere, era la più ampia, profonda ben centoquaranta metri ed era concepita come ingresso monumentale per chi entrava dalla Porta Giulia ma soprattutto come spazio teatrale, con la scalinata di collegamento al livello superiore affiancata da due torri, quasi ad evocare il boccascena del teatro antico. Al centro dello spazio venne collocata una fontana antica con una bella vasca di granito bigio, proveniente dalle Terme di Tito23. Ai lati della rampa centrale vi erano dei gradoni che potevano essere utilizzati, in occasione di eventi spettacolari, come sedili. Due belle incisioni di Antonio Lafréry (una presa dall’estremità settentrionale, l’altra da quella meridionale) testimoniano l’utilizzazione del cortile per ospitare un torneo cavalleresco, che si era tenuto il 5 marzo 1565 per festeggiare le nozze tra Annibale Altemps, fratello del cardinale Marco Sittico, ed Ortensia Borromeo, sorellastra del cardinale Borromeo, entrambi imparentati con il pontefice Pio IV, nelle quali si vedono le gradinate traboccanti di folla, mentre altri spettatori trovavano posto negli emicicli ai due estremi dell’invaso. Sempre lo stesso torneo è raffigurato in un dipinto di anonimo (probabilmente più tardo), conservato nel Museo di Roma, che presenta la medesima impostazione di una delle incisioni di Lafréry, con qualche variante e con maggiore cura dei dettagli quali i drappi multicolori alle finestre e alle balconate e gli abiti sfarzosi degli spettatori24. Secondo la raffigurazione visibile negli appartamenti di Castel Sant’Angelo, realizzata durante il pontificato di Paolo III, attribuita a Prospero Fontana e databile intorno al 1545, questa parte del cortile poteva essere anche usata, opportunamente ricolma d’acqua, per spettacolari naumachie25, riprendendo, anche in

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A fronte: 10 e 11. Il Cortile del Belvedere agli inizi del Novecento con e rispettive sistemazioni a giardino del lato sud e del lato nord.

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12. La Fontana del Belvedere, realizzata da D. Bramante, fatta interrare da Pio IV e ricollocata da Paolo V.

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13. A. Lafréry, Torneo nel Cortile del Belvedere, incisione, 1565, lato nord. In alto a sinistra è visibile il pergolato del Giardino Segreto di Paolo III. 14. A. Lafréry, Torneo nel Cortile del Belvedere, incisione, 1565, lato sud. In alto a destra è visibile la Cupola di San Pietro ancora incompleta.

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15. G.A. Dosio, Il Cortile del Belvedere, 1560 ca., Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, n. A2559, particolare con il ninfeo. 16. Scuola Romana, Torneo nel Cortile del Belvedere, prima metà XVII secolo, olio su tela, Roma, Museo di Roma.

17. Il Ninfeo nel Cortile della Biblioteca oggi. 18. Il Ninfeo nel Cortile della Biblioteca, da D. Parasacchi, Raccolta delle principali fontane dell’inclita città di Roma, Roma 1647.

le rampe compare nelle varie raffigurazione d’epoca in modo molto schematico, ma ci è nota in dettaglio da una bella incisione di Domenico Parasacchi del 1647, quando già era stata realizzata la Biblioteca voluta da Sisto V che separava il cortile intermedio dall’ultimo. All’epoca aveva un ricco decoro di tartari e finte rocce ed era adorna di draghi ed aquile, emblemi di casa Borghese, evidentemente aggiunti in un secondo momento durante il pontificato di Paolo V (1605-1621). I getti d’acqua che fuoriuscivano dalle bocche dei draghi inseriti nelle cinque nicchie si raccoglievano nella grande vasca semicircolare, aperta verso il giardino. La terrazza era infatti sistemata a giardino, con due grandi aiuole riquadrate, simili, probabilmente, a quelle del livello superiore, e doveva avere aiuole con alberi di agrumi, tanto che nella citata incisione di Parasacchi si fa riferimento al «cortile delli melangoli» sul quale il ninfeo prospettava. L’ultima terrazza, la più elevata, era profonda circa cento metri ed era un vero e proprio giardino, organizzato in ampie aiuole delimitate da una bassa staccionata con siepi di bosso, con alcuni alberi di

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agrumi, al centro una grande fontana alimentata da una rete idrica sotterranea che garantiva l’acqua anche al giardino. La fontana, composta da una vasca di granito grigio di spoglio, è stata rimossa sotto Gregorio XVI per far luogo alla base della Colonna Antonina e collocata, su una nuova base decorata con gli stemmi del pontefice, nel Giardino Segreto di Paolo III dove si trova tutt’ora28. Quest’ultimo terrazzamento, raffigurato in molte vedute, era destinato ad acquistare, nel volger del tempo, una monumentalità ancora maggiore, quando Pirro Ligorio vi realizzò come fondale il grande nicchione, adorno poi della spettacolare pigna in bronzo, in origine nella primitiva basilica di San Pietro, e di due splendidi pavoni ai lati; il terrazzamento ha assunto da allora la denominazione di Giardino o Cortile della Pigna. Per mascherare l’asimmetria della costruzione innocenziana che si stagliava all’estremità nord del grande invaso e dell’ultima parte del cortile, Bramante aveva ideato come fondale della terrazza una grande esedra (alla quale Ligorio avrebbe addossato il suo nicchione),

questo caso, una tradizione della Roma imperiale, con un’allusione, forse, al lago della Villa di Nerone. La porzione intermedia del cortile era la più piccola, di soli trenta metri di profondità, con scalinate che la collegavano alle terrazze inferiore e superiore. Il fondale superiore era caratterizzato da una scenografica scalinata triangolare a doppie rampe divaricate, prima divergenti e poi convergenti, che racchiudevano un piccolo ambiente absidato ricavato sotto la terrazza, con le pareti scandite da una serie di nicchie. Si tratta di una costruzione originale, ancor oggi visibile seppur priva di gran parte degli elementi decorativi26, anche in questo caso ripresa da una tipologia tipica dei giardini antichi, quella della grotta-ninfeo, e destinata ad avere ampia diffusione e fortuna per tutto il Cinquecento nelle ville e nei giardini nobiliari27. La soluzione adottata da Bramante per il raccordo tra i due livelli è ancora una volta un richiamo alla scenografica scalinata triangolare del Tempio di Palestrina, nella quale, analogamente, era presente un vano absidato. La grotta-ninfeo inserita tra

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A fronte: 19. Il Nicchione di D. Bramante e P. Ligorio con la Pigna in bronzo. 20. Il Cortile della Pigna.

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ricavando nello spazio intermedio una corte, destinata ad accogliere la collezione di antichità di Giulio II. Questo spazio, denominato Cortile delle Statue, fu realizzato da Bramante, come si è accennato, tra l’ultima parte del cortile a terrazze e il lato meridionale del Palazzetto di Innocenzo VIII, e subito ritenuto opera tra le più geniali ed innovative del tempo, primo esempio di quella tipologia del giardino-museo destinata ad avere grande fortuna nei decenni successivi29. Per accogliere la collezione antiquaria di Giulio II, avviata fin da quando era cardinale, fu quindi ideato un cortile a pianta quadrata, aperto all’interno su un giardino con attorno una serie di nicchie realizzate appositamente, nelle quali erano collocate le statue più importanti della collezione30. Altre statue erano collocate ai quattro angoli e al centro di ognuna delle pareti, mentre in tutto il cortile, in gran parte pavimentato, erano piantati alberi di agrumi e cipressi, alimentati dall’acqua che era condotta da un sistema sotterraneo e che serviva anche alle fontane che allietavano ulteriormente il luogo. Il cortile-museo era accessibile al pubblico anche dall’esterno, mediante la celebre scala a lumaca che Bramante aveva addossato al lato est del Palazzetto del Belvedere, a sottolinearne il carattere innovativo di esposizione che poteva essere visitata anche indipendentemente

21. Ricostruzione del Cortile delle Statue prima delle trasformazioni settecentesche.

22. F. de Hollanda, Arianna, incisione, 1539-1540. Alle pagine seguenti: 23, 24, 25, 26. Arianna, Nilo, Apollo, Laocoonte.

dall’edificio. L’eccellenza delle opere che vi erano esibite è stata giustamente messa in evidenza31, ma altrettanto importante è l’interpretazione del valore simbolico del luogo come «boschetto di Venere», che è stata avanzata in collegamento con il celeberrimo testo di Francesco Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, vera e propria summa dell’analisi del giardino come allegoria dell’amore allo stesso tempo religioso e pagano32. Una descrizione delle sculture di Venere e della Cleopatra giacente dalle cui mammelle sgorga l’acqua, fornita da Giovanni Francesco della Mirandola, nipote del più celebre Pico, che le ammira disposte nel «profumatissimo boschetto di limoni, lastricato di pietra», ha fornito la possibilità di individuare un parallelo esplicito con un passo del testo di Francesco Colonna nel quale è analogamente descritta una ninfa giacente dalle cui mammelle sgorga l’acqua. Proprio partendo da questa analogia, Gombrich ha proposto un’interpretazione che attribuisce a Bramante l’idea di realizzare un boschetto ideale e simbolicamente centrato sulla figura di Venere, incoraggiato dalla equivoca religiosità dell’Hypnerotomachia che alludeva alla Sancta Venere, come sintesi dell’amore terreno e celeste, fornendo un ulteriore spunto di riflessione sul complesso fenomeno del «paganesimo rinascimentale»33. Come il Cortile del Belvedere aveva

introdotto la tipologia del giardino architettonico, così anche il Cortile delle Statue definisce la tipologia del giardino-museo o «giardino all’antica». Questo carattere di hortus conclusus è stato colto fin dalle origini, sottolineato nelle descrizioni coeve34 e sancito dall’iscrizione posta sull’architrave dell’ingresso, con la frase tratta dal VI libro dell’Eneide di Virgilio: «Procul este profani», con una chiara allusione alla riservatezza del luogo35. Già nel Quattrocento si era assistito, a Roma, alla creazione di raccolte antiquarie36 ma l’aspetto innovativo qui introdotto è costituito dalla concezione unitaria delle due funzioni del giardino e del museo all’aperto. Per questo la creazione di Bramante era destinata a servire da modello, per almeno un secolo, nel

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proliferare di numerosi altri giardini allestiti con pregevoli collezioni di statuaria antica, quali tra i primi il Giardino Cesi o quello Della Valle37. Un’altra geniale invenzione del Cortile delle Statue, destinata a divenire un topos nei giardini realizzati successivamente, è la ninfa dormiente all’interno di una grotta-fontana, con la statua reclinata, allora creduta Cleopatra, ma in realtà Arianna. Si trattava in parte di un revival di un elemento tipico dei giardini classici, quello del ninfeo, ed un richiamo a Virgilio che aveva descritto nell’Eneide una «domus nymphearum» dall’aspetto di grotta rustica con acque stillanti. Ma costituiva anche l’ideazione di un nuovo modello di fontana, che univa l’ambientazione naturale della grotta38, con schizzi d’acqua, tartari e piante acquatiche, alla statua antica giacente addormentata, languidamente abbandonata, in un evidente contrasto tra superfici scabre e levigate, tra naturalezza e perfezione artistica39. L’originario padiglione innocenziano, collegato ai Palazzi Vaticani dal maestoso sistema di terrazze, arricchito di strutture che ne regolarizzavano l’impianto, dotato di un cortile che costituiva un vero e proprio museo all’aperto, aveva acquisito in bellezza ed importanza tanto da divenire vanto del pontefice, che non solo lo utilizzava quale ritiro privato, ma lo esibiva orgogliosamente ai suoi ospiti. È documentata, infatti, nel 1509, mentre ancora i lavori di sistemazione del complesso erano in corso, una festa taurorum, un combattimento di tori che si era tenuta nel cortile basso, così come il fatto che un piccolo elefante, donato al papa dal re del Portogallo, vi era lasciato libero, forse con altri animali, per il divertimento della corte40. La presenza di animali nel complesso è riferita anche da Francesco Albertini che nella sua descrizione di Roma edita nel 1510, nell’accennare al Vaticano così scriveva: «Sunti ibi nemora ferarum et avium cum viridariis et hortulis»41. Una descrizione della piacevolezza del luogo risale al 1510, quando vi risiedeva Federico Gonzaga di Mantova, lasciato dai suoi genitori presso la corte papale come ostaggio. Nella lettera che l’agente mantovano aveva inviato alla madre, Isabella d’Este, si riferiva che il giovane era alloggiato in piacevoli stanze, con una bellissima loggia aperta su una magnifica vista

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27. Il Cortile delle Statue oggi, con l’impianto ottagonale di epoca settecentesca.

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Pagine seguenti: 28. H. van Cleve, Veduta del Belvedere, olio su tela, 1560 ca., Bruxelles, Musée Royaux des Arts.

che giustificava la denominazione di Belvedere, con un giardino adorno di alberi di arancio e di cipressi dove ogni giorno era intrattenuto da musicisti, cantanti, giocolieri42. Qualche anno più tardi, nel 1513, le stanze del Belvedere avrebbero avuto un altro celebre ospite, Leonardo da Vinci43, secondo una tradizione di alloggio di artisti continuata anche in seguito. Il Belvedere, per la sua posizione isolata ed elevata che permetteva di godere aria pura, era usato anche come rifugio nelle ricorrenti e frequenti epidemie di peste che colpivano la città, come racconta Baldassar Castiglione nelle sue lettere. Egli, durante la pestilenza del 1521, era a Roma come ambasciatore di Urbino e da quel rifugio scriveva alla madre narrandole della bellezza del giardino, dello splendore delle antichità, delle fontane, dell’acqua corrente44. L’ideazione bramantesca, tuttavia, era stata portata a termine solo nella parte centrale delle tre terrazze e delle scalinate di raccordo, ma non era stata completata nelle progettate logge laterali, dove si erano presentati ben presto problemi strutturali. L’intervento, iniziato nel 1504, era stato condotto con incredibile celerità, in quanto, riferisce Vasari, «era tanta la furia di lui [Bramante, ndr] che faceva e del papa, che aveva voglia che tali fabbriche non si murassero ma nascessero»45. Di fatto solo i terrazzamenti con le rampe di collegamento erano stati realizzati in breve tempo, permettendo di usare il cortile, mentre le logge furono compiute solo sul lato orientale, come sempre riferisce Vasari: «Di questo disegno finì Bramante il primo corridore che esce di palazzo e va in Belvedere dalla banda di Roma, eccetto l’ultima loggia che doveva andare di sopra; ma la parte verso il bosco, rincontro a questa, si fondò bene ma non si potè finire, intervenendo la morte di Giulio e poi di Bramante. Fu tenuta tanto bella invenzione, che si credette che dagli antichi in qua Roma non avesse veduto meglio»46. I lavori, continuati a ritmo ridotto dopo la morte dei due protagonisti, vennero definitivamente interrotti nel 1521, alla morte di Leone X, successore di Giulio II. Papa Adriano VI, eletto nel 1522, non mostrò, infatti, di gradire la celebrata piacevolezza della creazione di Bramante, ritenendo troppo pagana la raccolta di sculture antiche di Giulio II47, tanto da negarne la visita agli

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ambasciatori veneziani che, solo dopo molte insistenze riuscirono nel loro intento, descrivendo poi con grande vivezza lo spettacolo che avevano ammirato48. Il testo, datato 11 maggio 1523, riferisce come il pontefice, per poter efficacemente controllare gli ingressi al cortile, avesse fatto murare tutte le porte con la sola eccezione di quella accessibile unicamente dalle sue stanze. Gli ambasciatori, percorrendo le logge, riferivano di aver ammirato «da una parte alcune praterie, alcun monticello, alcun boschetto, il tutto serrato da muri», mentre dall’altra parte la vista spaziava, attraverso grandi balconate, sui «prati di Roma», con una «veduta lunghissima sulla città, sui colli, sul fiume e sul foro di Roma; e molte altre belle cose; per cui merita il nome di Belvedere». Arrivati al termine delle logge, gli ambasciatori erano entrati nel Cortile delle Statue, così descritto: «Un bellissimo giardino, la metà del quale è piena di fresca erba e di lauri, e di mori e di cipressi; l’altra metà è selciata a quadri di terra cotta in coltello, e da ogni quadro esce dal selciato un bellissimo arancio, dei quali ve n’ha gran copia, posti con perfetto ordine. In mezzo al giardino vi sono due grandissimi uomini di marmo, l’uno dirimpetto all’altro, due volte più del naturale, i quali giacciono in atto di dormire. L’uno è il Tevere, l’altro è il Nilo, figure antiquissime; e da questi escono due bellissime fontane». La descrizione continuava con l’ammirazione per la scultura del Laocoonte e delle altre statue, quali la Venere e l’Apollo. Pochi anni più tardi, un’altra descrizione confermava l’assetto del cortile-giardino, con il boschetto di aurei pomi circondato da muri49. L’abbondante presenza di agrumi conferiva un indubbio valore al luogo e confermava la tradizione della coltivazione di quelle piante che datava già dal secolo precedente quale segno distintivo di particolare decoro e pregio. L’alternanza della pavimentazione in laterizi e delle aiuole nettamente delimitate ci trasmette un’immagine del giardino come spazio «costruito» ed architettonicamente concepito, confermando la portata innovativa del progetto di Bramante. Mentre il Cortile del Belvedere, come si è accennato, era destinato ben presto ad essere sostanzialmente modificato, il Cortile delle Statue rimase immutato per lungo tempo e possiamo ben supporre che il dipinto di Hendrik van Cleve, datato 1560, rispecchi abbastanza

fedelmente l’aspetto che aveva fin dall’epoca di Giulio II. La tela offre una visione dall’alto del Cortile delle Statue e del Cortile del Belvedere, presa dal lato del Colle Vaticano e con la città chiaramente riconoscibile in secondo piano. La prospettiva del Cortile delle Statue vi risulta deformata rispetto alla realtà, presumibilmente per potervi meglio disporre in successione le monumentali sculture che erano collocate addossate alle pareti e al centro dell’area. Tutto lo spazio è suddiviso in riquadri geometrici, aiuole contornate da basse siepi, probabilmente di bosso, con alcuni alberi, tra i quali si riconoscono le alte e sottili sagome di alcuni cipressi. L’esposizione di sculture nel cortile e nei giardini attigui è visitata e ammirata da alcune figure in abito cardinalizio, mentre numerosi personaggi in abiti curiali e non, si aggirano tra le aiuole. Il Cortile del Belvedere è visibile solo in piccola parte, coperto da un boschetto di alberi non identificabili, ma ugualmente si legge la disposizione delle aiuole secondo un rigoroso disegno geometrico e, nella parte alta, in corrispondenza dell’esedra dove poi sarebbe stato realizzato il nicchione di Pirro Ligorio, compare una fontana con il catino circolare. Le logge appaiono completate nei

loro tre ordini solo dal lato verso la città, mentre il lato interno appare ancora non realizzato, con un aspetto alquanto casuale e irregolare, mentre lo spazio intermedio è disseminato di sculture e di piccole costruzioni. Il completamento del cortile fu attuato solo durante il pontificato di Pio IV, tra il 1559 ed il 1565, sotto la direzione di Pirro Ligorio, autore non solo del nicchione addossato all’emiciclo settentrionale, ma anche dell’intervento di completamento delle logge laterali e della creazione dell’emiciclo curvo a sud. Ed è questo l’aspetto documentato nelle incisioni di Lafréry e nel dipinto del Museo di Roma, che immortalano la configurazione del luogo nel 1565 e quindi precedente le radicali e irreversibili trasformazioni che il progetto di Bramante avrebbe incontrato, di lì a pochi anni, con la costruzione della Biblioteca ideata da Domenico Fontana per volere di Sisto V (1585-1590). Una ulteriore divisione del cortile, ormai in tre parti distinte, senza più alcun legame tra loro, doveva essere compiuta tra il 1817 ed il 1822 sotto Pio VII, con la costruzione del cosiddetto Braccio Nuovo, alterando definitivamente la geniale creazione di Donato Bramante e il sogno umanistico di Giulio II.

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1. Basilica di San Pietro 10. Logge di Donato Bramante ricostruite sotto Paolo III 11. Giardino di Clemente VII 12. Giardino segreto di Paolo III

a. Fontana del Belvedere b. Ninfeo del cortile della Biblioteca c. Fontana del Belvedere nel cortile della Pigna d. Fontana della Cleopatra e. Fontana della Zitella

Capitolo terzo IL GIARDINO SEGRETO DI PAOLO III (1534-1549) E L’INTERVENTO DI JACOPO MELEGHINO

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Pagina a fronte: 1. Il Giardino Segreto di Paolo III.

La morte di Giulio II nel 1513 e, subito dopo, di Donato Bramante aveva lasciato incompiuto il grande progetto del Cortile del Belvedere i cui lavori continuarono stentatamente fino al pontificato di Leone X per essere poi definitivamente interrotti alla sua morte, avvenuta nel 1521. Quando un secondo esponente della famiglia dei Medici, Clemente VII (1523-1534), fu eletto al soglio pontificio, un rinnovato interesse sembrò pervadere la residenza vaticana ed i giardini in particolare. Il nuovo pontefice non si dedicò al completamento di quanto era già stato avviato, bensì alla creazione di un nuovo giardino, distinto e separato dal Belvedere, ma ad esso connesso ed impostato sulla medesima esigenza di fornire una vista spettacolare sulla campagna circostante ed in particolare sulla collina di Monte Mario, dove campeggiava, benché incompiuta, la residenza di famiglia, Villa Madama1. Non a caso il pontefice volle privilegiare questo affaccio sulla Villa che lui stesso, da cardinale, aveva iniziato intorno al 1517 chiamando a progettarla il grande Raffaello. Di questo nuovo giardino non si hanno riscontri documentari ma solo iconografici, in quanto nella

IL GIARDINO SEGRETO DI PAOLO III

pianta di Mario Cartaro, del 1574, è raffigurato un bel giardino formale contraddistinto dalla lettera k alla quale corrisponde, nella legenda, la dicitura «Giardino di papa Clemente VII». Si tratta di uno spazio stretto e lungo, compreso tra il Giardino Segreto di Paolo III e lo sperone roccioso del colle, orientato, come si è detto, verso Monte Mario2. È quasi una propagazione del Palazzetto del Belvedere, una sorta di giardino segreto addossato al prospetto ovest, cinto tutt’attorno da muri, creato nel luogo dove in precedenza dovevano trovarsi alberi di cipresso, e forma una spettacolare terrazza panoramica. Dalla pianta di Cartaro risulta composto da un lungo viale centrale, fiancheggiato da allineamenti di aiuole geometriche delimitate da basse siepi, forse di bosso. Quale elemento di divisione dagli altri giardini, corre lungo tutto il muro di cinta un alto filare di alberi, quasi a schermare la vista, rendendo il luogo nascosto e riservato. Appare concepito per consentire al pontefice di godere di una piacevole passeggiata ammirando un panorama spettacolare, appartato dalle paludate cerimonie del Belvedere ma restandone a poca distanza.

2. M. Cartaro, Vero dissegno deli stupendi edefitii giardini boschi fontane et cose meravigliose di Belvedere in Roma, 1574, particolare. Alla lettera k il Giardino di Clemente VII. 3. G.B. Falda, Pianta et alzata del giardino di Bel Vedere del Palazzo Pontificio in Vaticano, 1676, particolare con il Giardino di Clemente VII lungo i bastioni.

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GLI HORTI DEI PAPI

Una piccola porzione del giardino è raffigurata nel dipinto di Hendrick van Cleve, del 1560: in primo piano sono in bella evidenza alcune aiuole, delimitate da basse siepi forse di bosso, adorne di sculture, che vengono ammirate da gruppi di visitatori, in un’ideale continuazione del Cortile delle Statue delineato in secondo piano. Nel lato interno, sul muro di cinta a confine con il Giardino Segreto di Paolo III, è raffigurato un camminamento, per permettere di godere, da una posizione privilegiata, della vista di entrambi i giardini e del panorama dei colli in lontananza. Il giardino è ancora ben delineato nella pianta di Giovan Battista Falda del 1676. Secondo Coffin l’idea del giardino in questo luogo riservato può essere stata suggerita al pontefice dal ritiro forzato nella sua residenza vaticana durante l’epidemia di peste che colpì Roma negli anni 1524 e 15253. Sembra difficile, infatti, che sia stato realizzato successivamente, in quanto il Sacco di Roma del 15274 e le sue drammatiche conseguenze non avrebbero certo potuto permettere al pontefice di dedicarsi ai giardini, ai quali si sarebbe potuto rivolgere nuovo interesse solo dopo aver riconquistato una relativa stabilità politica e sociale. Nulla resta, oggi, di questo giardino, il cui sito è stato occupato da diverse nuove costruzioni. Unico residuo della sistemazione originaria è la Fontana della Zitella, così detta perché composta da un basamento con un mascherone, dal quale sgorga l’acqua, su cui poggia una bella statua romana di donna assisa, identificata con Lucrezia ma popolarmente denominata «la Zitella». Paolo III Farnese (1534-1549), pur essendo legato alle splendide residenze di famiglia nel territorio della Tuscia ed ai celebratissimi Horti Farnesiani sul Palatino5, non trascurò la cittadella vaticana, dedicando la sua attenzione sia ai Palazzi, sia all’attiguo Castel Sant’Angelo, dotando le sale dell’antica severa fortezza di splendidi affreschi6. Il suo interesse per l’arte è inoltre testimoniato dall’istituzione della carica di «Commissario alle antichità», conferita all’umanista Latino Giovenale Manetti, dalla valorizzazione del Campidoglio con la collocazione della statua di Marco Aurelio e dalla ripresa, dopo oltre vent’anni di interruzione, dei lavori per la trasformazione della

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4. P. Fontana, Veduta del Belvedere vaticano con scena di naumachia, 1545 ca., affresco staccato, Roma, Sala dei Festoni, Castel Sant’Angelo, particolare con il Giardino Segreto di Paolo III. A fronte: 5. Statua romana denominata la «Zitella».


GLI HORTI DEI PAPI

6. M. Cartaro, Vero dissegno deli stupendi edefitii giardini boschi fontane et cose meravigliose di Belvedere in Roma, 1574, particolare con il Giardino Segreto di Paolo III.

IL GIARDINO SEGRETO DI PAOLO III

7. É. Dupéerac, Veduta del Vaticano, 1577, particolare con il Giardino Segreto di Paolo III.

basilica di San Pietro, incaricando prima Antonio da Sangallo il giovane e quindi Michelangelo. Al suo insediamento in Vaticano, papa Farnese trovava la grandiosa opera di Bramante per la sistemazione del Cortile del Belvedere non solo incompiuta, ma in parte rovinata, a causa della fretta di terminare imposta dal suo predecessore Giulio II all’architetto. Il crollo di parte delle logge era avvenuto il 7 gennaio del 1531 ed era stato riportato con grande enfasi nelle cronache del tempo, che riferivano come per ben 30 canne le mura fossero venute giù dalla sommità fino alle fondamenta, in quanto non vi era mai stata posta la necessaria prevista copertura7. Come attestato anche da Vasari, grande era la fretta di Giulio II che desiderava che «le fabbriche non si murassero ma nascessero», e questa fretta recepita da Bramante fu «cagione che le sue fatiche son tutte crepate, e stanno a pericolo di ruinare; come fece questo medesimo corridore, del quale un pezzo di braccia ottanta ruinò a terra al tempo di Clemente VII e fu rifatto poi da papa Paulo III, ed egli ancora lo fece rifondare e ringrossare»8. Il primo impegno di papa Farnese fu ovviamente il ripristino dell’opera bramantesca, successivamente si dedicò all’ulteriore abbellimento del Cortile delle Statue, con l’aggiunta di nuove sculture e decori in un’ideale continuazione dell’opera di Giulio II9.

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L’intervento maggiormente qualificante da lui commissionato nei giardini fu senz’altro la creazione ex novo di un Giardino Segreto di ampie dimensioni, circondato sui quattro lati da alti muri nei quali si aprivano diverse porte, con un assetto formale che si è conservato, a grandi linee, fino ai primi decenni del secolo scorso. Tutte le vedute del Vaticano dell’epoca riportano con una certa costanza la medesima impostazione del giardino, basata su una partizione in quattro settori, con i due viali centrali a croce coperti da un pergolato che, nel punto di intersezione, formava una cupola. Quello che può essere considerato il più importante Giardino Segreto realizzato a Roma10 era isolato sulla collina e lontano dagli edifici, ed assumeva per questo ancor maggiore valenza iniziatica di luogo inaccessibile e riservato per chi si trovava all’esterno e che rivelava, solo a chi era autorizzato ad accedervi, le sue delizie e i suoi piaceri. La difficoltà maggiore, nella creazione del giardino, era consistita nel dover spianare la collina per disporre di uno spazio rettangolare uniforme di circa 90 metri di larghezza e di circa 130 di lunghezza. L’esatta posizione del giardino è visibile nell’affresco di Prospero Fontana in Castel Sant’Angelo del 1545, nel quale si distingue molto nettamente il recinto murato, quindi nella pianta di Étienne Dupérac del 1577, dove è denominato viridarium, e ancor meglio nella pianta

di Mario Cartaro del 1574 che nella legenda, sotto la lettera L, riporta chiaramente la dicitura «Giardino secreto di papa Paulo III»11. Parte del Giardino, seppur con assetto molto diverso dall’originario, è tutt’ora visibile, con due lati dei muri di cinta in parte ancora conservati, a rendere l’idea dell’impianto precedente le radicali trasformazioni novecentesche12. Incaricato dell’impresa fu l’architetto ferrarese Jacopo Meleghino, ma alcune fonti hanno attribuito il progetto iniziale a Baldassarre Peruzzi13. Meleghino (??-1550)14, molto legato al pontefice e attivo nella ricostruzione di Frascati, sia in città15 che nell’edificazione della Villa La Rufina, meglio nota come Villa Falconieri16, nell’ambito del Vaticano si occupò soprattutto, sostituendo Antonio da Sangallo come architetto pontificio, della fortificazione della cinta muraria violata nel 1527 dai Lanzichenecchi di Carlo V. Secondo la testimonianza di Vasari, come aiuto di Meleghino era presente, nei lavori al Belvedere, Jacopo Barozzi da Vignola, all’epoca del suo primo soggiorno romano, ma il suo nome non risulta nei documenti di pagamento a tutt’oggi individuati17. La presenza di Meleghino nella realizzazione del Giardino Segreto è documentata da numerosi mandati di pagamento, che datano a partire dall’aprile 1537, quando i lavori, in primo luogo per far livellare il terreno, erano già iniziati18. Infatti il primo documento che ne attesta l’avvio risale al novembre 1535, quando il capomastro Cristoforo Sbardiellini fu compensato per «opere poste in Belvedere a principiare de spianare lo terreno dove Sua Santità vol fare novo giardino»19. Sempre mastro Cristoforo, dal gennaio al dicembre 1536 completava i lavori di livellamento20, acquistando all’uopo «pale, gravine et zapponi» ed era compensato tramite Giovan Battista da Sangallo, detto il «Gobbo», computista del pontefice21. Nel corso del 1537 ai pagamenti a Meleghino per i lavori si affiancano quelli per la piantumazione del giardino, con la partecipazione dei giardinieri, in primo luogo di Romolo Lucerta (spesso compare anche la dicitura Lucertula) e di Giovanni Aloisi22. Quest’ultimo il 22 settembre si recava a Napoli per prendere «melangoli et altri arbori di agrumi da piantare nel giardino novo di Belvedere», così il 15 novembre

giungeva a Roma un carico di «1500 piante de arbori de agrumi dal Regno per piantarle nel giardino novo», e ancora il 15 dicembre Meleghino anticipava scudi 22,20 per acquistare «diversi arbori... per piantare nel predetto giardino» e per l’attrezzatura idonea al loro trasporto23. Nel 1538 si continuava a piantare agrumi, disposti in spalliere, e sempre Meleghino veniva compensato per «diversi arbori da frutti che ha comprati per piantarli nel giardino novo», mentre un altro giardiniere, Antonio, lavorava a creare «spalliere di melangoli, melegranate e de lauri»; di nuovo Aloisi si recava a Napoli per far venire «arbori per lo giardino novo di Belvedere», finché il 2 novembre Lucerta faceva «spianare l’ultimo quarto del giardino novo»24. Mentre si provvedeva a piantare alberi e a fare le spalliere, Meleghino, fin da febbraio, si occupava della realizzazione di un passaggio sotterraneo di collegamento tra il nuovo Giardino Segreto voluto da Paolo III e quello preesistente creato da Clemente VII. Veniva infatti compensato per «opere poste a cavare la terra sotto la volta che va dal giardino novo... nel vecchio», mentre qualche mese dopo, evidentemente a completamento dei lavori murari, mastro Jacomo pittore riceveva 10 scudi «a buon conto della pittura che’l fa nella volta della via che passa da l’un giardino nell’altro»25. La realizzazione del passaggio è citata anche in una lettera scritta da Meleghino al cardinale Alessandro Farnese, nella quale gli raccontava che, «finita ch’è stata la volta che va da un giardino in l’altro», i lavori erano stati interrotti per alcuni mesi a causa di ritardi nei pagamenti26. Il passaggio, non più esistente, è stato documentato da Coffin con una vecchia foto. Dalla fine del 1538 alla fine del 1540 la documentazione relativa ai lavori commissionati da Paolo III si interrompe, e solo a partire dal 1541 è possibile seguire di nuovo la realizzazione del giardino. A gennaio Meleghino si occupava di sostituire gli esemplari arborei che, nel primo impianto, non avevano evidentemente attecchito e quindi veniva compensato per «sessanta arbori comprati per mettere nel horto novo dove erano li secchi»27. Quindi in ottobre il solito giardiniere Lucerta si prendeva cura del giardino, comprava «semi de cipolle et altre cose per uso del

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Belvedere et per far conciare le spalliere di melangoli del giardino novo et farla acquare»28. Ancora nel 1543 si piantavano «quaranta arbori» e si lavorava per realizzare le spalliere e, soprattutto, per creare la grande pergola che copriva i due viali centrali. Tra giugno e luglio del 1544 Lucerta lavorava al giardino, per il quale venivano fornite «1500 para de cerchi...per far parte delle spalliere de melangoli nel horto novo», mentre «Bologna falegname» si occupava della loro messa in opera per formare quel tunnel ricoperto di verzura che si distingue chiaramente nelle vedute dell’epoca29. Parallelamente Meleghino si occupò anche della fornitura d’acqua, lavorando alla sistemazione di una cisterna, nonché dei condotti delle fontane già esistenti, con frequenti riparazioni o prolungamenti dei condotti30. Da tutti i citati documenti risalta un impegno a tutto tondo di Meleghino, sia nella direzione di lavori architettonici, sia nella cura complessiva del disegno del giardino fino alla scelta delle piantumazioni in collaborazione con i giardinieri. Ne deriva un’immagine dell’architetto quanto mai interessante che stimola ad ulteriori approfondimenti sulla sua attività per Paolo III 31.

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8. La raffigurazione di un cocchio da F. Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, Venezia 1499.

9. Il «cocchio di agrumi» nel giardino del cardinale Pio da Carpi, da G.B. Ferrari, Hesperides, sive de malorum aureorum cultura et usu, Roma 1644.

IL GIARDINO SEGRETO DI PAOLO III

Purtroppo ci sono pervenute informazioni generiche e frammentarie sulle piante e sui fiori che venivano coltivati nel giardino, con la sola eccezione delle spalliere di agrumi. Probabilmente dovevano contemplare esemplari pregiati ai quali Paolo III teneva molto, da quanto lascia intendere una frase del suo semplicista Scipione, che così affermava: «Interdicebatur autem a Paolo III, qui rerum naturalium et herbarum amata erat ne venderetur alicubi propter raritatem»32. Oltre ai già citati giardinieri Lucerta e Aloisi, nei Giardini Vaticani vi era infatti un «semplicista» secondo la tradizione risalente al Medioevo. Si trattava di Scipione Perotti o Perotto da Benevento, che doveva essere figura di grande rilievo, presente nei Giardini Vaticani per molti anni e citato dai botanici e dai cultori dei giardini, anche stranieri, che si recavano in visita ed ai quali provvedeva a mostrare le piante rare che vi si coltivavano33. Negli anni successivi non si rilevano interventi di sistemazione del Giardino Segreto ma solo di manutenzione ordinaria sia delle piante che delle strutture che reggevano i cocchi. L’immagine del Giardino che risulta dai lavori eseguiti e dalla documentazione

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GLI HORTI DEI PAPI

10. G. Colonna, Giardino di Paolo Ghinucci al Quirinale, BAV, Vat. Lat., 7721, fol. 15r.

11. G. Colonna, Giardino di Paolo Ghinucci al Quirinale, BAV, Vat. Lat., 7721, fol. 15v.

IL GIARDINO SEGRETO DI PAOLO III

12. A. Lafrery, Torneo nel Cortile del Belvedere, incisione, 1565, lato nord, particolare con il pergolato del Giardino Segreto di Paolo iii.

iconografica nota, ci restituisce un classico giardino segreto rinascimentale, corrispondente alle prescrizioni dei trattati d’epoca e ad un disegno codificato. Lo spazio era suddiviso, come si è accennato, in quattro riquadri, ognuno composto da quattro aiuole con gli angoli al centro smussati per creare uno spazio circolare dove era posta un’ulteriore aiuola o forse una fontanella rotonda. Le aiuole avevano una bordura bassa, probabilmente di bosso, ed al centro prato ma anche fioriture, come lascia supporre la fornitura di «cipolle», cioè bulbose, probabilmente narcisi ed anemoni, i più usati all’epoca. Non mancavano alberi da frutta, citati in un pagamento, ma non sappiamo quali specie fossero presenti. Elemento caratterizzante era la copertura a cocchio34 dei due viali a croce che suddividevano il giardino. Si trattava di un elemento comune nei giardini dell’epoca e codificato da trattati, per cui oltre alle vedute a noi note, possiamo ricostruirne l’aspetto anche da paralleli con strutture similari. Consisteva in un impianto in genere ligneo, formato da pali di castagno che reggevano una copertura a volta; lungo tutto il percorso venivano addossate le piante di agrumi, melograni e allori, i cui rami erano quindi guidati fino a congiungersi nella volta, creando così dei tunnel totalmente ombrosi35. Per consentire a coloro che vi passeggiavano di godere della vista dell’esterno, lungo tutto il percorso erano praticate aperture a uso di

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finestre, quasi ad imitare un portico. All’intersezione dei due viali vi era una grande cupola, sostenuta da una architettura lignea che si apriva in una serie di archi per consentire alla luce e all’aria di entrare. Il modello di riferimento era senz’altro nel testo celebratissimo all’epoca, l’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, nel quale i pergolati di questo tipo erano più volte riprodotti36, ma un esempio della diffusione di questo elemento di arredo è anche in un disegno di Giovanni Colonna, un progetto per il giardino di Paolo Ghinucci al Quirinale, nel quale è dettagliatamente proposto un padiglione ligneo ricoperto di verzura37. La presenza di Baldassarre Peruzzi nell’ideazione del giardino, almeno nella sua fase iniziale, trova un probabile riscontro in un suo disegno per un giardino non specificato che propone un’organizzazione quadripartita, con due viali che all’intersezione formano un volume ottagonale che possiamo immaginare coperto a cupola. Il progetto non è certamente riferito al Giardino vaticano, in quanto vi compaiono elementi che non corrispondono (vi è infatti un edificio a una estremità e un lato del rettangolo ha un andamento obliquo), ma sicuramente la tipologia e lo schema proposti sono i medesimi e Meleghino, con molta probabilità, conosceva il disegno del suo maestro. Il cocchio a croce nel giardino è leggibile con chiarezza nella già citata pianta di Mario Cartaro del 1574 ma una parte del giardino, con il particolare della pergola molto dettagliato, è visibile anche nell’incisione di Antonio Lafréry che raffigura il torneo nel Cortile del Belvedere del 1565. Il giardino era, come si è detto, cinto sui quattro lati da alti muri, (quello a monte era addossato alla collina e fungeva da terrapieno), lungo i quali erano disposte spalliere di agrumi, ed erano dotati, su ogni lato, da altrettanti portali, che ben si distinguono nelle varie vedute d’epoca e che si conservavano fino all’inizio del secolo scorso. Uno di questi portali, sul lato meridionale, è ancora in loco, nonostante la radicale trasformazione e riduzione dello spazio, e immette in due rampe di scale che scendono al piano del giardino. Presenta due belle paraste in marmo, intagliate ad uso di candelabre, e l’architrave, decorato con

rilievi di ghirlande di frutti e fiori e putti alati, riporta l’iscrizione PIUS III PONTIFEX MAXIM. Molto probabilmente, come suggerisce Coffin, fu realizzato da Pio IV all’epoca della costruzione della Casina progettata da Pirro Ligorio, per enfatizzare il rapporto con il viale che ad essa conduce, avvalorando l’ipotesi che il giardino di Paolo III fosse considerato, all’epoca, una sorta di proseguimento della sistemazione dell’area38. Il collegamento al quale si è accennato tra il nuovo Giardino di Paolo III e quello vecchio di Clemente VII, rispondeva all’esigenza di rendere i due siti in un unico sistema, un insieme di spazi diversi ma in stretta connessione tra loro. Infatti, quando erano pressoché compiuti i lavori per il nuovo Giardino, i mandati di pagamento registrano numerosi interventi nei quali è ben specificata la destinazione al «giardino vecchio», termine con il quale si intendeva certamente il Giardino Segreto di Clemente VII. Fin dal marzo 1541 compare un pagamento a Lucerta per lavori al «viale alto de l’horto vecchio di Belvedere», quindi il 26 novembre risulta una spesa per «cento colonne di legno, et 42 filagnole per refare parti delli telari delle spalliere di mortella et de rose del giardino vecchio di Belvedere»39, per rimettere in sesto la struttura delle spalliere che ricopriva i muri di cinta. Altre filagne e colonne di legno per le spalliere di rose e di «mortel-

la» vengono fornite il 26 novembre, il 17 e il 26 dicembre40, sempre per riparare le spalliere ed in particolare le «gelosie», ovvero le finestre che venivano aperte nelle pareti del pergolato che evidentemente, come nel Giardino Segreto «nuovo», aveva la struttura del cocchio. I pagamenti, per importi consistenti, continuano a cadenza regolare per tutto il 1542 ed il 1543, e interessano sempre il rifacimento o la realizzazione ex novo di spalliere e «gelosie», mediante la fornitura, oltre che delle solite colonne e filagne, anche di 800 «para de cerchi», cioè di legni centinati per fare la copertura a volta, con l’intervento sia di Lucerta che di Hyeronimo falegname, detto «el Bologna»41. Dalla quantità dei materiali forniti si deduce che il percorso del pergolato fosse notevolmente lungo, probabilmente per tutta l’estensione del giardino di Clemente VII e possiamo immaginare il piacere che si doveva provare nel passeggiarvi sotto, tra una cascata profumata di rose e di mirti42, godendo della vista, attraverso le aperture praticate lungo tutto il tunnel, del paesaggio agreste circostante. Da quanto finora emerso si ha l’impressione che gli interventi commissionati da Paolo III riguardassero solo l’aspetto di delizia dei giardini, senza alcun interesse per le colture agricole che pure, sappiamo, erano presenti nella Cittadella vaticana. Possiamo supporre

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13. Il Giardino Segreto di Paolo III in una cartolina di inizio Novecento. A fronte: 14. Il Giardino Segreto di Paolo III dopo le trasformazioni degli anni Trenta del Novecento.

che nell’area al di là della cinta muraria leonina i terreni continuassero ad essere coltivati a vigna e orto, sia per uso interno che per rifornire i conventi, come era tradizione. Inoltre, a ben leggere i documenti, risulta che anche i giardini di delizia venivano messi a reddito, ricavando acque profumate, medicinali e liquori dai fiori e dalle piante. Molti pagamenti sono infatti riferiti all’acquisto di carbone e fiaschi per «le acque distillatj» o «per stillar rose»43, cioè per produrre acque profumate, forse destinate anche alla vendita. Inoltre venivano coltivati piselli e nel parco, certamente al di fuori dei giardini che erano protetti mediante «fratte di spini», si trovavano caprioli in libertà44. I compensi a Lucerta erano di frequente destinati ad opere di manutenzione ordinaria, quali nettare i viali o «adacquare» le piante, con l’ausilio di due somari usati per il trasporto e naturalmente di alcuni giardinieri i cui nomi, a volte, sono citati. Un pontefice colto e amante delle arti come era Paolo III non poteva certo trascurare il Cortile delle Statue, il giardino-museo creato da Bramante, esemplare non solo per la mirabile collezione statuaria, ma

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per la rivoluzionaria concezione dello spazio e delle funzioni. Anche in questo caso ci sono di supporto i documenti di pagamento che si sono conservati e che ci permettono di seguire l’arrivo e la sistemazione di nuove sculture (come la Venere donata dal Governatore di Roma), la decorazione delle nicchie dove erano alloggiati l’Apollo e il Laocoonte, la cura delle piante di gelsomino e delle aiuole del cortile («fare li quattro praticelli nel cortile delle statue»), l’acquisto e la collocazione di una statua di marmo non meglio identificata, proveniente dalla casa di Nicolò de Polis45. Possiamo dedurne che il Cortile delle Statue fosse ormai considerato luogo di rappresentanza d’eccellenza, da esibire quale status symbol non solo di potere, ma di amore e sensibilità raffinata per l’arte, secondo un gusto per il collezionismo ormai affermato tra i nobili romani e che aveva nel pontefice un appassionato sostenitore46. Una descrizione entusiasta dei giardini è riportata dal giurista tedesco Johannes von Fichard (1512-1581), che durante il suo viaggio in Italia nel 1536 aveva visitato il Vaticano e così commentava


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15. Il Portale d’ingresso al Giardino Segreto in una foto di inizio Novecento. A fronte: 16. Il Portale d’ingresso al Giardino Segreto oggi.

ammirato: «Ex palatio itur in hortos latissimos, post quos est locus ille Bellivider, qui aedificiis, ambulacris, fontibus, arboribus, status antiquis, positu et prospectu est ornatissimus et incomparabilis. Habet cochleam, per quam ascenditur ad summum usque, unde potissimum patet loci amoenitas et prospectus, qualem nusquam esse, puto amoeniorem»47. Con l’intervento di Paolo III, che costituisce un proseguimento ed un ampliamento di quanto già avviato da Clemente VII, il fulcro dei giardini si sposta in un’area in precedenza incolta o tenuta a vigna, con un’estensione progressiva di sistemazioni formali e quindi di luoghi destinati al piacere. Al primitivo giardino

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addossato ai Palazzi Vaticani, dopo la costruzione del Palazzetto del Belvedere si sostituisce l’area del Monte Sant’Egidio, ormai facilmente raggiungibile mediante il collegamento realizzato da Bramante attraverso il Cortile del Belvedere, anch’esso in gran parte adibito a giardino. La vita sociale e di rappresentanza nella cittadella vaticana appare quindi divisa tra due sedi distinte sebbene collegate: da una parte la vecchia residenza attigua alla Basilica, monumentale ed austera, e dall’altra la nuova, ben più piacevole per la posizione più elevata, e assimilabile, sia per l’architettura sia per i giardini circostanti, a quelle ville di delizia che, anche a Roma, cominciavano a diffondersi48.


1. Basilica di San Pietro in costruzione 10. Logge di Donato Bramante completate da Pirro Ligorio 13.Casina di Pio IV 14. Giardino dei Semplici 16. Biblioteca di Sisto V

b. Ninfeo del cortile della Biblioteca c. Fontana del Belvedere nel cortile della Pigna d. Fontana della Cleopatra. e.Fontana della Zitella f. Fontana della Casina di Pio IV g. Peschiera della Casina di Pio IV h. Peschiera di Giulio III

Capitolo quarto LA CASINA DI PIO IV (1559-1565) E IL GIARDINO DEI SEMPLICI

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1. G.B. Vasi, Veduta di Villa Giulia, da Delle magnificenze di Roma antica e moderna, 1747-1761, incisione.

2. M. Cartaro, Vero dissegno deli stupendi edefitii giardini boschi fontane et cose meravigliose di Belvedere in Roma, 1574, particolare con il Giardino terrazzato di Giulio III e la peschiera con grotta rustica addossata al Belvedere.

LA CASINA DI PIO IV E IL GIARDINO DEI SEMPLICI

3. Villa Giulia in un’incisione ottocentesca.

Il pontificato di Giulio III del Monte (1550-1555), benché breve, ha lasciato una testimonianza di altissimo valore nello sviluppo della tipologia delle residenze di delizia con Villa Giulia, grazie al contributo d’eccellenza di Bartolomeo Ammannati, Michelangelo, Vignola, Giorgio Vasari, Prospero Fontana, Taddeo Zuccari ed altri artisti forse meno universalmente noti ma ugualmente di alta qualità1. Le descrizioni d’epoca rendono bene l’idea della grandiosità del complesso, delle architetture rivoluzionarie, delle fontane e dei magnifici giardini disseminati di innumerevoli sculture. A Villa Giulia il pontefice si recava ogniqualvolta gli affari di governo lo consentivano. Era la sua «vera» residenza, dove riversava tutti i suoi interessi e passioni. La decisione di Giulio III di edificare una «sua» villa, dopo essere stato eletto al soglio pontificio, aveva un significato ben preciso: non era più il Vaticano la residenza privilegiata, alla quale dedicare cure ed attenzioni e dove potevano convivere funzioni ufficiali e private, con settori dei giardini che consentivano il ritiro dai fasti della corte senza allontanarsi dalla sede pontificia. Quella che era stata la linea di sviluppo seguita dai suoi predecessori veniva interrotta: non più nuovi giardini e nuove fabbriche (per quanto i Pa-

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lazzi Vaticani siano stati oggetto di alcuni importanti interventi da lui commissionati) per rendere sempre più fastosa la residenza tradizionale dei papi e simbolo della cristianità, ma la scelta di un luogo separato, privato, addirittura oltre Tevere, dove rifuggire. Sanciva la separazione netta tra negotia ed otia. Gli interventi da lui voluti nei Giardini Vaticani si limitarono, quindi, alla manutenzione dell’esistente, alla cura per i condotti delle acque che alimentavano le fontane ed irrigavano i giardini, alle opere quotidiane dei giardinieri scandite dall’alternarsi delle stagioni2. Alcuni documenti di pagamento citano lavori alla «vigna et horto di Belvedere», ma spesso sono accomunati a quelli per Villa Giulia, e a partire dal 1553 riguardano quasi esclusivamente quest’ultima3. Un solo pagamento contiene un riferimento preciso e riguarda il Cortile delle Statue dove il celebre fontaniere Curzio Maccarone viene compensato per lavori alle fontane rustiche ed in particolare a quella con la scultura della Cleopatra4.Tuttavia, benché i documenti d’archivio fino ad ora individuati non siano di supporto a questa ipotesi, viene attribuita alla sua committenza la realizzazione di un piccolo giardino e di una peschiera, a ridosso delle Logge bramantesche dal lato verso la città. Il giardino è raffigurato con gran-

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GLI HORTI DEI PAPI

4. É. Dupérac, Veduta del Vaticano, 1577, particolare. In basso la grotta rustica. 5. La Fontana della Galera dopo la sostituzione settecentesca della grotta rustica con una parete a bugnato.

de precisione nella già citata pianta di Mario Cartaro del 1574, dove alle lettere E ed F, corrisponde, nella legenda, la dicitura di «Giardino della fontana di Papa Giulio 3» e «Peschiera di Papa Giulio 3». Con meno dettagli ma con una impostazione corrispondente, il giardino compare anche nella pianta del Cortile del Belvedere di Étienne Dupérac del 1577. Si tratta di un giardino pensile, un rettangolo lungo e stretto, situato su un terrazzamento a ridosso delle Logge e sostenuto dalle mura di confine con la città, organizzato in aiuole geometriche a loro volta suddivise in riquadri minori, con spalliere di alberi, probabilmente di agrumi, addossate al muro delle Logge. A una estremità del giardino, a confine con il Palazzetto del Belvedere e in corrispondenza con l’ingresso alla celebre Scala a lumaca di Bramante, vi è una grande fontana, composta da una grotta rustica e da una sottostante ampia vasca, la citata peschiera. Secondo Ackerman e Marcello Fagiolo la grotta rustica del fondale era stata realizzata da Curzio Maccarone quasi certamente su disegno di Vignola e di Girolomo da Carpi e costituirebbe quindi «il primo esempio vignoliano di giardino-fortezza con grotta rustica»5. Dell’originaria creazione voluta da Giulio III oggi resta ben poco: intorno al 1620, durante

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6. P. Letarouilly, Il Cortile, la Loggia, uno dei due Propilei e la Casina, incisione, 1882.

LA CASINA DI PIO IV E IL GIARDINO DEI SEMPLICI

7. P. Letarouilly, Sezione del complesso della Casina di Pio IV, incisione, 1882.

il pontificato di Paolo V all’interno della peschiera fu aggiunta la spettacolare «Galera», un vascello in miniatura con giochi d’acqua; con Pio VI, alla fine del Settecento, il fondale rustico fu trasformato assumendo un aspetto neoclassico, infine, in tempi più recenti, il giardino è totalmente scomparso e sostituito, oggi, da viali carrozzabili. Un elemento di continuità con la gestione dei giardini dell’epoca di Paolo III e quella di Giulio III è costituita dal permanere dell’incarico di curatore al «semplicista» Scipione Perotto o Perotti e nella consuetudine di distillare i petali dei fiori e le piante officinali per farne acque profumate destinate, forse, anche alla vendita. In alcuni conti del 1551 e 1552, infatti, è nominato come salariato un distillatore, Francesco Veniens, che riceveva allo scopo, da Perotto, i petali di rosa, secondo una tradizione che sarà continuata anche da Paolo IV e da Pio IV6. I successori di Giulio III, prima Paolo IV (15581559) e poi Pio IV (1559-1565), ripresero invece la tradizione dell’abbellimento dei Giardini Vaticani, ed alla loro committenza si deve il capolavoro delle fabbriche da giardino, la Casina realizzata da Pirro Ligorio, trionfo del manierismo e di una concezione

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8. P. Letarouilly, Il complesso della Casina di Pio IV visto dall’esterno, incisione, 1882.

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LA CASINA DI PIO IV E IL GIARDINO DEI SEMPLICI

9. P. Letarouilly, Il cortile della Casina di Pio IV con le diverse fabbriche, incisione, 1882.

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10. Particolare della facciata della Loggia verso il giardino con stemmi ed iscrizioni celebrative. Alle pagine seguenti: 11. Particolare della facciata della Loggia verso la peschiera. 12. Il complesso della Casina di Pio IV visto dall’esterno.

dell’arte aperta a tutte le sue possibili declinazioni, in senso sia materico sia simbolico. Paolo IV Carafa si dedicò in primo luogo al completamento degli appartamenti pontifici iniziati da Giulio III, chiamando al suo servizio Pirro Ligorio (1513-1583), al quale lo legava la comune origine napoletana. La prima notizia relativa alla costruzione della Casina è in un «Avviso» del 30 aprile 1558, nel quale si annunciava che il pontefice «… nel bosco ha fatto principiar una fabbrica che sarà una fonte con una logia acanto et alcune camere dove si ferma 2 o 3 ore alla volta, sollecitando li muratori et manuali come uno privato che fabbrichi»7. Nel maggio del medesimo anno un ambasciatore fiorentino ugualmente riferiva della costruzione di una «fontana nel bosco» e di «diverse camere» sempre nel bosco, con una chiara allusione alla fabbrica appena iniziata8. Il pontefice, anziano e di salute malferma, desiderava infatti avere al più presto un luogo appartato dove ritirarsi, in mezzo ai boschi, ma non lontano dalla sede pontificia9. Non a caso, infatti, la scelta della località era caduta su un luogo estremamente defilato, lontano sia del nucleo più antico dei Palazzi, sia dal Belvedere, ed al centro di quello che, in tutte le vedute dell’epoca, veniva raffigurato come un fitto boschetto ombroso. Secondo le notizie riportate, nell’idea iniziale la fabbrica doveva consistere in una fontana con una loggia e con pochi spazi al chiuso, solo per permettere brevi soste nei pomeriggi estivi. Nemmeno sei mesi dopo, tuttavia, i lavori si interrompevano, per essere poi ripresi dal nuovo pontefice, Pio IV, il quale avrebbe lasciato al complesso il suo nome, immortalandolo in ben venticinque iscrizioni e stemmi disseminati ovunque. Il nuovo pontefice, un Medici del ramo milanese10, si meritò il titolo di «costruttore» per la quantità di fabbriche completate o avviate, ma tra tutte la Casina nei Giardini del Vaticano era destinata ad una celebrità immediata e duratura, quale esempio ineguagliato sia per l’originalità delle architetture sia per l’incredibile ricchezza e magnificenza dell’apparato decorativo. Rende bene l’idea del carattere del luogo la nota definizione di Burckardt, che riteneva il complesso «il più perfetto ritiro immaginabile per un pomeriggio di mezza estate»11.

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I documenti di pagamento attestano lavori edili per un periodo di tempo limitato, dall’agosto del 1560 al novembre 156112, quando ebbero inizio gli interventi decorativi, segno che la fabbrica doveva essere stata in gran parte completata. Il nuovo pontefice confermò Ligorio nell’incarico di architetto pontificio, ma probabilmente il progetto della Casina fu in parte modificato, come lascia intendere una lettera di Don Cesare Carafa, che lo visitò nell’aprile del 156113. Pirro Ligorio14, architetto ma anche pittore e archeologo, secondo la critica era molto influenzato da Baldassare Peruzzi, del quale condivideva gli interessi per l’antico, i cui effetti sono evidenti nelle sue opere, a partire dalla celeberrima Villa di Tivoli15, commissionata dal cardinale Ippolito d’Este16. La Casina viene spesso definita nei documenti «fabbrica nel boschetto» fatto che può far supporre uno stretto rapporto con il boschetto circostante. In realtà è un riferimento unicamente topografico, in quanto si tratta di un’architettura del tutto avulsa dallo spazio verde, dal quale è nettamente separata da muri di delimitazione, nel lato verso il colle, con gli alberi retrostanti che costituiscono solo una quinta di fondo. La Casina, sfruttando il dislivello del terreno, si appoggia al bosco nella parte alta, si apre in piano nella loggia, dalla quale si dipartono due rampe di scale che dai lati collegano con gli ingressi retrostanti17. La scelta della collocazione al limitare del bosco era stata dettata da un intento di riservatezza, condiviso da entrambi i pontefici: mentre il Cortile del Belvedere era usato come spazio di rappresentanza per eccellenza ed il Palazzetto di Innocenzo VIII era ormai trasformato in museo, Pio IV desiderava per sé e per i propri intimi un ritiro esclusivo, un luogo privato dove sostare ed eventualmente riposare, nei caldi pomeriggi romani, nelle poche camere a disposizione immerse nella frescura del bosco. Pio IV, prima di essere eletto pontefice, era stato particolarmente legato alla sua Villa a Frascarolo, quindi appena giunto a Roma colse l’occasione della fabbrica già avviata dal suo predecessore per creare un luogo analogo dove ritirarsi spesso, con una ristretta cerchia di accompagnatori con i quali dividere i piaceri del convito.



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13. La Loggia e, in secondo piano, la Casina.

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14. La Loggia e, in secondo piano, la Casina.

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15. Il Ninfeo di Villa Giulia.

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A fronte: 16. Casina di Pio IV, particolare delle superfici con mosaici.

La denominazione Casina di Pio IV, oppure Villa Pia, si riferisce in genere non solo alla Casina propriamente detta ma a tutto il complesso architettonico disposto attorno al cortile. Di fatto si tratta di una vera e propria Villa (e non a caso è nota anche con questa denominazione), un insieme compiuto, composto da fabbriche, fontane e verde nell’ambito della vasta estensione dei Giardini Vaticani. In tutti gli studi finora apparsi sulla Casina è stato giustamente messo in evidenza come l’elemento focale del complesso sia il grande cortile ellittico centrale, spazio architettonico, definito, circondato dalle fabbriche, dotato lungo i muri di cinta di panchine dove sedersi, a caratterizzarne l’uso come luogo di ritrovo. L’invaso costituisce quasi un salone all’aperto, mentre la sua forma evoca le antiche naumachie, richiamate anche dalla forte presenza dell’acqua, che si impone alla vista sia nella bella fontana che domina al centro dell’ovale, sia nella grande vasca a livello del terreno posta all’ingresso verso est, quello a valle ed in direzione del giardino, sia anche nei molteplici riferimenti simbolici e nell’uso di materiali «acquatici» come le conchiglie o i tartari. Il richiamo alla naumachia e la presenza dell’acqua costituiscono peraltro esplicite allusioni alla «navicella della chiesa», simbolo codificato di rifugio e salvezza18.

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Attorno al cortile ed in funzione di esso sono articolate le quattro costruzioni che compongono il complesso: l’edificio propriamente detto, la Casina di due piani, composta da un ampio vestibolo, seguito da un corpo allungato che si conclude con due corpi aggettanti, uno minore per le scale sulla sinistra, ed uno maggiore sulla destra, destinato, probabilmente, ad accogliere una piccola cappella; di fronte la loggia ugualmente a due piani, splendido padiglione aperto su tutti i lati, scandito da colonne e circondato su tre lati da un’ampia peschiera, in origine quadrangolare; ai lati due edicole a volta, con funzioni di portali-propilei, dalle quali si entrava nel cortile e quindi nell’edificio. Tutto il complesso era basato su una rigorosa simmetria, con l’unica eccezione dei due corpi tergali leggermente diversi nella Casina, simmetria alterata successivamente dalla costruzione di un’altana, all’estremità posteriore sinistra, ritenuta da alcuni un’aggiunta della seconda metà del Seicento19. L’importanza del cortile ovale quale centro compositivo del complesso è enfatizzata anche dalla curvatura dei prospetti delle due edicole, che ne assecondano l’ellisse. Il trattamento «pittorico», basato sugli stessi stilemi decorativi, che accomuna le superfici esterne dei quattro corpi di fabbrica, il ripetersi del medesimo colonnato nell’e-

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17. Veduta aerea del complesso della Casina di Pio IV in Vaticano.

Alle pagine seguenti: 18. La facciata della Casina con la Fontana con putti e delfini, opera di Giacomo di Casignola e Giovanni di Sant’Agata, 1560 ca.

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19. Il fronte interno della Loggia con la Fontana nel cortile

dificio e nella loggia, la perfetta corrispondenza dei due ingressi, ne sancivano ulteriormente la concezione unitaria e strettamente correlata. La portata innovativa dello schema introdotto da Ligorio nel porre come perno della costruzione questo spazio ellittico centrale è stata giustamente sottolineata ed è stata anche ipotizzata un’affinità con il disegno ovale del giardino di Villa Trivulzio a Salone, opera di Baldassarre Peruzzi20. Questo paragone sembra in verità alquanto forzato, mentre sicuramente un rapporto molto evidente vi è con lo splendido ninfeo di Villa Giulia: entrambi gli spazi sono accomunati dall’uso di materiali diversi e policromi, dall’essere luoghi aperti ma delimitati da architetture, dall’avere un forte legame con l’acqua, dall’essere permeati da un medesimo culto per l’antico anche nei suoi aspetti paganeggianti21. Ancor più che nel ninfeo di Villa Giulia, nel complesso ligoriano non vi era distinzione tra architetture e decorazioni: tutte le superfici22 erano uniformemente ricoperte di marmi, mosaici, conchiglie, tartari, stucchi, dipinti, in un affastellamento al limite dell’horror vacui, con un effetto decorativo che purtroppo è stato in gran parte alterato ed impoverito. La portata rivoluzionaria di Ligorio consisteva proprio in questo, nel portare all’esterno tecniche, materiali e tipologie decorative che fino all’epoca erano state riservate agli interni. Sebbene in ambito romano vi fossero già stati alcuni esempi di trattamento decorativo delle superfici esterne, come a Palazzo Spada o a Palazzo Branconio dell’Aquila, nulla era paragonabile alla ricchezza cromatica e polimaterica dei prospetti degli edifici della Casina di Pio IV. La ricercata atmosfera di otium è sottolineata dal programma iconografico che faceva da scenario ai ritrovi del pontefice, programma che è stato ampiamente riscontrato negli scritti lasciati dallo stesso Ligorio che contengono numerosi interessanti riflessioni sulla «civiltà del convito» alla quale si faceva costantemente allusione con riferimento, in particolare, a quest’opera. Gli stucchi ed i mosaici che rivestono le pareti raffigurano, infatti, temi mitologici o allegorici tutti con palesi richiami alla vita contemplativa ed alle sue virtù, accostati ad altri soggetti allusivi all’acqua, allo spirito pastorale del luogo, alle simbologie solari ed alla esaltazione del committente23. Sulla facciata principale della Casina, disposti su tre livelli, accanto ad Apollo ed Hegle con le loro figlie le Ore, sono raffigurate le stagioni, Pan e Ciparisso (la ninfa trasformata in cipresso), ad evocare atmosfere agresti e pastorali; le personificazioni del Tevere e del Ticino esaltano l’elemento dell’acqua e mettono in relazione la sede romana con Pavia, dove il pontefice aveva frequentato l’università; la Fama e la Vittoria, insieme allo stemma mediceo ed alla grande iscrizione celebrativa, sanciscono l’impresa compiuta e il suo committente. Ancor più esuberanti erano le decorazioni della Loggia, distribuite sui quattro prospetti, tutti ugualmente visibili. Quello verso il giardino appare oggi il più alterato, rispetto alle raffigurazioni che testimoniano il progetto originale ligoriano. Intorno al 1826, infatti, per volere del pontefice Leone XII vennero eliminate molte delle sculture originarie, in particolare le quattro

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20-23. P. Letarouilly, I Propilei, incisioni, 1882.

24. Il viale alberato tra il Giardino di Paolo III e la Casina di Pio IV.

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Alle pagine seguenti: 25-26. Il Propileo del lato sud, esterno e interno. 27-28. Il Propileo del lato nord, esterno e interno.

grandi cariatidi dall’aspetto di satiri che scandivano la partizione del basamento. Sono state sostituite da lesene rivestite di leggiadri mosaici con motivi di fiori ed uccelli, ritenuti molto più consoni allo spirito dei luoghi di quanto lo fossero le mitologiche figure che alludevano a baccanali e a trionfi pagani. I quattro pilastri sono perfettamente allineati con la scansione del prospetto della retrostante Casina, in un gioco di trasparenze e rimandi che, ancora una volta, sottolineava l’unitarietà delle fabbriche. Anche la grande peschiera che circonda su tre lati la Loggia, in origine rettangolare, è stata ridotta e modificata assumendo un andamento curvilineo, con un effetto di minor impatto rispetto a quello documentato, ad esempio, nella veduta di Giovanni Maggi del 1615, nella quale la Loggia appare quasi un prospetto di fontana, posta in mezzo ad acque ribollenti e popolate di animali marini. Tanto forte doveva apparire il riferimento all’acqua che, in una descrizione del 1776, il complesso è definito «fabbrica in mezzo all’acqua»24. In realtà l’acqua non è elemento dominante come a Villa d’Este, ma ad essa si allude in continuazione sia nell’iconografia sia nell’uso dei materiali. Per richiamare la tipologia della fontana-ninfeo, ad esempio, Pirro Ligorio ha fatto largo uso di superfici lavorate con intarsi di ciottoli levigati, di conchiglie, di tartari e di frammenti irregolari di pietre policrome, tutti materiali legati all’acqua, alimento ed anima del giardino25. Nella nicchia centrale della Loggia, che appare quasi sospesa sulla peschiera, domina la figura sedente di Cibele, mentre nelle nicchie laterali vi sono le statue raffiguranti la Pudicizia e la Gioventù, con

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attorno leggiadri bassorilievi di ninfe e grazie. Il piano superiore ha una struttura più semplice e lineare, con ampie aperture inquadrate da colonne che lasciano intravedere la facciata della Casina retrostante. Non mancano le iscrizioni commemorative sia per l’opera di Pio IV sia per gli interventi di Leone XII. Il prospetto più ricco della Loggia è senza dubbio quello che affaccia sul cortile interno e fa pendant con il fronte principale della Casina. È articolato su due registri, riprendendo lo stesso schema di quello verso il giardino: il basamento ha la consueta partizione scandita da quattro colonne e due rilievi con festoni e la testa di Medusa sui pilastri angolari; il superiore è organizzato sul modello degli antichi sarcofagi, con due grandi lastre marmoree a rilievo raffiguranti le Muse condotte in corteo da Apollo e da Bacco, separate da un rilievo con Calliope, musa della poesia epica, con l’iscrizione «Pieris» che allude al mitico monte della Tessaglia, patria di Giove e delle Muse, e affiancate, nella parte terminale, dalle raffigurazioni della Verità e di Mnemosine, la memoria, ma anche la madre delle Muse; conclude la struttura il timpano triangolare con il rilievo dell’Aurora che conduce il carro del Sole, affiancata da Flora e Pomona identificabili dalle canestre ricolme di fiori e frutta26. Sul fianco destro altri pregevoli rilievi alludono di nuovo all’Aurora e a Giove allevato dalla capra Amaltea. I due propilei presentano a loro volta un ricco repertorio di decorazioni, basato su un uso massiccio di materiali diversi quali i mosaici, gli stucchi, i ciottoli, con un effetto di vivace policromia ed una consistenza polimaterica davvero originale. Sono stati paragonati

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29. F. Barocci, Samaritana al pozzo, 1563 ca., affresco sulla volta della Sala della Sacra Conversazione.

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30. F. Barocci, Il Battesimo di Cristo, 1563 ca., affresco sulla volta della Sala della Sacra Conversazione.

ai larari, piccoli altari dei quali se ne conservavano alcuni esempi che probabilmente Ligorio conosceva, ad esempio in Villa Adriana e nelle Terme di Tito. A mosaico sono state realizzate, sulle pareti interne, piacevolissime e multicolori composizioni con pesci, uccelli ed altri animali, nonché ghirlande di frutti e tempietti che ricordano molto da vicino le decorazioni delle ville pompeiane27. Nelle volticine a botte storie mitologiche con trionfi di divinità sono illustrate con elaborati stucchi. Su tutti i temi predominano quelli marini, con Galatea, Nettuno e Andromeda, a sottolineare ancora una volta il rapporto con l’acqua. Altre decorazioni alludono ai cicli delle stagioni, di nuovo con un evidente riferimento al clima agreste del luogo. La complessa simbologia dei temi richiamati è stata oggetto di alcuni specifici studi che hanno messo in luce la profonda conoscenza della cultura classica da parte di Pirro Ligorio e la sua capacità di tradurla in un percorso di grande impatto visivo che rappresentava anche, per gli eletti ammessi nello spazio riservato, al cospetto del pontefice, un itinerario iniziatico nel tempio del sapere e della conoscenza, il «museion» o casa delle Muse28. Culmine del programma iconografico era l’esaltazione del pontefice committente, celebrato nel ricorrere degli stemmi suoi e dei suoi famigliari, nelle molteplici iscrizioni, ma anche nelle allegorie che alludevano al suo pontificato come un ritorno all’età dell’oro. Complessivamente si trattava di un programma iconografico classico e pagano, frutto dell’influenza profonda che l’amore per l’archeologia e per la cultura classica aveva su Ligorio e sullo stesso pontefice. L’insistenza così palese su soggetti lontani da riferimenti religiosi è stata peraltro analizzata quale contraddizione con il ruolo che il committente aveva, in quanto capo della cristianità. Proprio in quegli anni Pio IV stava guidando la Chiesa cattolica nella grande svolta controriformista, sancita dal Concilio di Trento che si avviava a conclusione. L’amore per una cultura gioiosa, il culto per l’antichità pagana, l’esaltazione dell’otium contemplativo quale condizione di vita esemplare, non potevano non apparire lontani dall’idea di una Chiesa riformata e ricondotta ai principi evangelici originari.

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Questa contraddizione divenne evidente e insostenibile proprio negli anni in cui la Casina si stava completando e, finite le opere architettoniche, si avviava l’esecuzione della decorazione degli interni. Il cambiamento del clima culturale ha trovato un preciso riscontro nella diversa impostazione delle decorazioni degli interni rispetto a quelle degli esterni. Mentre nel profluvio di temi raffigurati sulle facciate esterne è difficile individuare richiami a concetti cristiani, se non in senso molto lato, nelle sale interne abbondano gli episodi biblici e religiosi in generale, sebbene a volte frammisti ad allegorie e a miti pagani. Gli affreschi realizzati tra il 1561 ed il 1563 da Taddeo Zuccari, Santi di Tito, Federico Barocci, Giovanni Schiavone, accostati ad elaborati partiti a stucco, spaziano dalle storie della creazione nella volta del vestibolo, alla serie delle sacre conversazioni, alla raffigurazione dei dottori della chiesa, con un repertorio religioso che aveva il suo culmine nella cappella, con otto apostoli e le allegorie della chiesa e della pace. Non mancavano, tuttavia, a fare da contrappunto ai dominanti soggetti sacri, sculture antiche disseminate un po’ ovunque ed anche una Diana Efesina, realizzata col sapiente uso di ciottoli gialli, faceva bella mostra nel vestibolo della Casina, sotto la volta affrescata con scene di sacre conversazioni. La svolta in atto che, come abbiamo visto, ha conferito alla Casina un carattere duplice ed ambivalente, aveva necessariamente interessato anche la vita e le abitudini del pontefice e del suo entourage. Proprio il nipote del pontefice, Carlo Borromeo, da lui elevato alla porpora, fino ad allora esempio di principe gaudente dedito a conviti raffinati e a battute di caccia, era stato costretto ad imprimere una svolta radicale alla propria vita, tanto da guadagnarsi la santificazione29. Inizialmente la Casina nel bosco aveva rappresentato, per il giovane cardinale, il luogo ideale per riunirsi nei colti simposi dell’Accademia da lui fondata nel 1562, denominata Noctes Vaticanae, che riuniva il cardinale Ugo Boncompagni (anche lui pontefice col nome di Gregorio XIII), il cardinale Tolomeo Gallio e molte altre eminenti personalità unite dalla passione per temi letterari e filosofici profani30. Ma, anche a seguito di esplicite critiche ad un tenore di vita edo-

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31. F. Barocci, Sacra Conversazione, 1563 ca., affresco al centro della volta della Sala della Sacra Conversazione.

nistico e poco cristiano, ben presto il cardinale aveva abbandonato i costumi e le abitudini da principe secolare per divenire un convinto ed attivo propugnatore della Chiesa riformata, ovviamente in stretta consonanza con lo zio pontefice. In questo processo moralizzatore molte delle simbologie pagane della Casina vennero ricondotte in un ambito cristiano, secondo la tesi che «tutte possono essere tirate a gloria del Salvator nostro»31. È il caso, ad esempio, della simbologia legata all’acqua, diffusa in tutto il complesso, che poteva riferirsi ai miti pagani delle divinità marine ed alle antiche naumachie, ma anche al potere salvifico del battesimo, e questa coesistenza di valenze caratterizza il complesso come ultimo esempio di armonia tra Classicismo umanistico e spirito cristiano. Nonostante questo intento di «moralizzare» il mito, affiancandolo alla iconografia cristiana32, risulta in tutta evidenza un passaggio dalla dominante «pagana» delle decorazioni degli esterni del complesso, al trionfo della religione in quelle degli interni, a segnare quella transizione dal gaudente, colto e spensierato paganesimo rinascimentale all’affermarsi della cultura controriformista, severa e rigorosa, della quale Pio V, il successore di Pio IV, sarebbe stato pienamente interprete, avviando subito, non a caso, la spoliazione della Casina dai suoi simboli più palesemente in contrasto con il nuovo clima religioso. Pirro Ligorio aveva acquistato per il complesso, a cominciare già dal 1560, cinquanta sculture, disseminandole un po’ ovunque senza un ordine preciso, delle quali solo pochissime sono rimaste in loco. Un inventario del 1566 ci permette di conoscere con precisione la consistenza e, soprattutto, i soggetti delle statue, tra le quali abbondavano le raffigurazioni di Mnemosine, delle Muse, di Diana, della Salute. Sappiamo che Pio V, già nel 1569 ha provveduto a rimuovere quelle più chiaramente pagane, mandandone ventisei al Granduca di Toscana, Francesco I33. Lo stesso Ligorio dovette assistere a questa spoliazione della sua creazione, come ha raccontato in uno dei suoi scritti nel quale mette ben in evidenza il rapporto con le cenationes nelle ville imperiali da lui evocate e quelle della Casina di Pio IV: «Non è neanche in questa sentenza cosa fuori di proposito dire che la immagine di Mnemosine madre delle Muse, fu trovata nella Cenatione luogo della Villa Hadriana Tiburtina, con la lyra nella sommità della testa, con mammelle grosse attorno et la stola di minutissime pieghe, sotto, la quale fu portata a Roma et dedicata da Papa Pio Quarto nel limphaeo in Vaticano, et da Papa Pio Quinto donata ad altri, per suo desiderio rispogliasse il luogo fatto da Pio Quarto, incominciato da Papa Paulo Quarto»34. Di nuovo, in un altro passo dei suoi scritti, Ligorio rivendicava con orgoglio la sua creazione e si rammaricava per il sistematico

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smantellamento in corso: «Del Casino del Boschetto del Sacro Palazzo… ne havemo avuto la cura del disegno, et del fabbricarlo et dell’ornarlo, la quali accetto volentieri per mostrarle per antico esempio à gli huomini curiosi che amano veder le cose passate. Ma Papa Pio Quinto per suo volere n’ha spogliato ogni ornamento delle antiche opere»35. La cesura da parte del nuovo pontefice, rispetto all’operato del suo predecessore, ebbe un altro chiaro segno nell’esonero immediato di Pirro Ligorio dal ruolo di architetto papale36. Mentre ancora si dedicava al completamento della Casina, nel 1562 Ligorio aveva assunto un ulteriore impegnativo incarico, occupandosi della definitiva stabilizzazione del Cortile del Belvedere. In primo luogo le Logge bramantesche furono ulteriormente abbellite con la creazione di un corridoio di statue, ideale continuazione del Cortile del Belvedere e accentuazione del carattere museale del complesso, quindi l’estremità settentrionale del Cortile, conclusa con un’esedra, fu completata con la costruzione di un monumentale nicchione. All’esedra di tre piani Ligorio aggiunse un

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32. G. Vasi, Giardino e Casino Pontificio nel Vaticano, incisione da Delle magnificenze di Roma antica e moderna, 1747-1761.

catino absidato, sormontato da una aerea loggia semicircolare, per concludere scenograficamente il Cortile. All’estremità meridionale di esso, invece, introdusse una sorta di auditorium semicircolare, formato da gradini di pietra, per accentuare il carattere del luogo quale «teatro». Il risultato fu grandioso, in quanto ne risultava un eccellente compromesso tra il disegno originale di Bramante, rigoroso ed austero, e l’eleganza e la cura del dettaglio di Ligorio37. Probabilmente proprio per celebrare la conclusione di queste due imprese, il ritiro nel bosco ed il luogo pubblico per eccellenza, il pontefice volle lo spettacolare torneo del marzo 1565, magnificato nelle cronache del tempo e immortalato in dipinti ed incisioni. A supporto delle incisioni che riproducevano il torneo, Antonio Lafréry così commentava l’intervento di Ligorio, che aveva «ridotto in forma di Teatro» il Cortile, tanto che «si giudica una delle più belle e notabili cose che siano state fatte dalle antiche in qua et si puote chiamare l’Atrio del Piacere dove facendovisi festa alcuna facilmente possono stare LXmila persone»38.

33. F. Piranesi, Veduta di Belvedere in Vaticano, incisione, fine XVIII secolo.

GIARDINO DEI SEMPLICI

Si è detto che la Casina di Pio IV è stata concepita come architettura isolata dal giardino, senza alcuna relazione tra gli spazi esterni ed interni. Tuttavia proprio nello spazio antistante la Casina, e più precisamente tra la Loggia e il corridoio bramantesco, venne realizzato uno spettacolare giardino, che univa la piacevolezza della sistemazione ad un interesse scientifico senza pari nella Roma del tempo. Sappiamo come nell’ambito della Cittadella vaticana, già nel Medioevo, venissero coltivati i «semplici», cioè le piante medicinali, a scopi curativi e scientifici. Nell’entourage dei pontefici fin dal XIII secolo vi era il simpliciarius, colui che curava queste piante, ed era figura ben diversa dal giardiniere o dall’ortolano, in quanto rivestiva un ruolo scientifico di tutto rispetto. Figura esemplare era stato quel Simone da Genova che, al servizio di Niccolò IV e dei suoi successori, si era distinto per la sua produzione scientifica sulle piante curative39. Molto spesso la

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carica di simpliciarius pontificius coincideva con un incarico universitario, conferito sempre dal pontefice, come docente di botanica40. Roma è la città che ebbe la più antica cattedra di botanica: nel 1513, nella sua riforma dell’Università, Leone X istituì infatti la cattedra «ad declarationem Simplicium medicinae»41. Ma la prima notizia dell’esistenza di un vero e proprio Giardino dei Semplici, organizzato con criteri scientifici ma anche finalizzato alla collezione di piante rare ed esotiche42, risale al 1561, durante il pontificato di Pio IV, quando del ferrarese Giacomo Boni si dice che «botanicam cathedram, hortumque simplicium sub Pio iv administravit»43. Come si vede le due funzioni di insegnamento e di curatore del giardino sono abbinate, a sancire la necessità di uno studio strettamente collegato all’osservazione diretta ed alla sperimentazione sul campo. Pio V conferì quindi l’incarico ad una personalità d’eccezione, l’insigne Michele Mercati che, nella dedica a Gregorio XIII del suo volumetto sui rimedi contro la peste, così scriveva: «Tra le molte gratie, e

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favori, che da la santità di N. Signore ho ricevuto, mi fu di somma contentezza quando S.B. mi confermò la cura della conservazione et accrescimento dell’horto de semplici, per il gran desiderio, che è stato sempre in me, di pervenire col mezo delle fatiche, e di tale comodità all’acquisto della vera cognizione della qualità et virtù di molte herbe»44. L’uso del termine «confermare» lascia chiaramente intendere che la nomina era stata conferita dal pontefice precedente, cioè da Pio V45. Mercati, oltre al volumetto sulla peste, ha lasciato un altro scritto sul progetto del museo mineralogico da lui creato, dal titolo Metallotheca, edito nel 1717 a cura del medico Giovanni Maria Lancisi, ed un libro sugli obelischi di Roma, nel quale ricorda di aver creato il Giardino dei Semplici in Vaticano46. Tuttavia nei suoi scritti i riferimenti al suo incarico in Vaticano sono estremamente sintetici e superficiali, per cui, per ricostruire la storia dell’orto da lui diretto, è stato necessario trarre informazioni da fonti diverse47. Michele Mercati (1541-1593), figura eminente di medico e naturalista, era venuto a Roma da San Miniato per suggerimento di Andrea Cesalpino48, che lo aveva avuto allievo a Pisa e lo considerava «discipulum praeclarissimum». All’epoca dell’incarico, presumibilmente intorno al 1570, era ancora giovane, ma la sua salute non era buona, come lamenta in alcune sue lettere, fonte preziosa di informazioni. Della sua attività per la realizzazione e la gestione del Giardino dei Semplici vaticano si sa solo quanto contenuto nella sua corrispondenza, in particolare quella intercorsa, tra il 1571 ed il 1573, con Ulisse Aldrovandi, che documenta non solo la sua esperienza e cultura botanica, ma i suoi rapporti con autorità del settore, anticipando quegli scambi tra appassionati di fiori che sono stati ritenuti tipici del secolo successivo e che invece erano ampiamente diffusi già nel Cinquecento49. Nella corrispondenza con Ulisse Aldrovandi50, celebre naturalista e professore all’Università di Bologna, Mercati dimostra di essere con lui in grande confidenza ed amicizia, tanto da avere scambi frequenti di piante e di semi. Nelle loro lettere, stranamente poco considerate e studiate, sono contenuti numerosi spunti utili per la storia dei Giardini Vaticani e, in particolare, diverse informazioni sulla consistenza e organizzazione del Giardino dei Semplici. Dalle carte di Aldrovandi risulta un elenco di grande interesse di semi da lui inviati a Mercati nel novembre 1570 ed evidentemente destinati al Giardino dei Semplici in Vaticano. A sua volta Mercati aveva mandato a Bologna le piante desiderate da Aldrovandi. In una lettera di quest’ultimo si fa riferimento allo scambio dei cataloghi delle «piante più rare» che esistevano nei rispettivi giardini, per permettere il confronto e la verifica di quanto cia-

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34. R. Wilkinson, Il Casino di Pio IV e i giardini, incisione acquerellata, fine XVIII secolo.

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scuno disponeva, e Mercati lamentava la perdita di alcuni esemplari di pregio dei Giardini Vaticani, per il caldo eccessivo di Roma. Ancor più interessante è una lettera del novembre 1571 nella quale Mercati cita alcune piante ricevute da Aldrovandi quali le «radici Rhodie» (Convulvulus scoparius e Convulvulus floridus), il «Dittamo» (Origanum dictamnus), ricambiate con esemplari di «Gariophillata Montana» (Geum montanum), di «Tragorigano dell’Elba» (Thimus tragorigamum), di «Empetron» (Imula crithmoides), di «Thimelea» (Daphne Gnidium), di «Chamalea» (Chamalea sive Mezereum). Sempre da una lettera apprendiamo che Mercati, nel Giardino Vaticano, aveva ben 470 varietà di piante, numero davvero considerevole per quei tempi e che attesta come si trattasse di un vero e proprio Orto Botanico51, riservato non solo alle piante medicinali ma finalizzato anche alla collezione di piante destinate al decoro ed al piacere e non solo agli studi ed alle analisi scientifiche. Ma la notizia ancora più importante che emerge da questi scambi epistolari riguarda i contatti che il pontefice, evidentemente tramite i nunzi apostolici di stanza nei vari Paesi, aveva con altri monarchi europei e non solo, per scambiare piante pregiate. Il nunzio apostolico in Portogallo, all’inizio del 1572, aveva inviato a Roma ben 160 esemplari di piante e fiori tra i più rari (probabilmente provenienti dalle Americhe), che ovviamente Mercati promette di condividere con l’amico bolognese. Molto interessanti sono le notizie che Mercati riferiva sulla passione per i fiori dell’imperatore di Spagna Filippo II52, che aveva inviato «un medico a posta nell’Indie… per riportarne le cose più rare»53 per arricchire il suo giardino dei semplici ed aveva promesso al pontefice di inviarle anche a lui, felice che Sua Santità si dilettasse «in questa materia dei semplici». Mercati scriveva, inoltre, che da Barcellona erano state inviate «piante vive» con la terra, dentro due casse, mentre da Alessandria d’Egitto, attraverso la Sicilia, erano giunte a Roma due piante di «Musa» (Musa paradisiaca), cioè di banane, che però nel clima freddo di Roma stentavano ad attecchire. In un’altra lettera, del maggio 1573, comunicava di aver spedito a Bologna molte piante di «Hemiotide» (Asplenium hemionitis) ed una di «Cneorum alterum»

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LA CASINA DI PIO IV E IL GIARDINO DEI SEMPLICI

(Daphnae cneorum), promettendo di mandarne altre appena la stagione gli avrebbe permesso di «uscire a cavalcare» per raccogliere nuovi esemplari. Interessantissimi sono poi gli elenchi di piante allegati, che comprendono molte piante medicinali ma anche molte decorative, e soprattutto vi sono incluse varietà esotiche, provenienti dalle Americhe, che costituivano all’epoca delle vere rarità. Sono citati, ad esempio, esemplari di «Canna indica», di «Nicotiana» (Nicotiana tabacum), fiore della stessa famiglia del tabacco, di «Flos solis» (Helianthus tuberosus), pianta simile al girasole, di «Maizi» (varietà di granoturco), di pomodoro (Solanum lycopersicum), di «piper indicum» (Capsicum annum), cioè peperoni, aloe indica, tutte provenienti d’oltreoceano. Negli elenchi compaiono anche gli argemoni, simili agli anemoni (forse una varietà messicana), insieme ai tulipani, ad indicare la diffusione di quei bulbi che avrebbero avuto grandissima popolarità alcuni decenni più tardi54. Molte piante provenivano da Paesi dell’Asia, quali il bupleurum (Bupleurum falcatum) una delle erbe più usate nella medicina cinese, mentre l’aloe indica (Aloe barbadensis o Aloe vera) era originaria dell’Africa55. Come si è accennato si tratta di documenti di grande interesse per ricostruire l’aspetto del Giardino dei Semplici in Vaticano, che possedeva, come si è visto, non solo una ricca collezione di piante medicinali, ma anche moltissimi esemplari rari ed esotici, provenienti dalle «Indie» sia occidentali che orientali, anticipando quelle collezioni seicentesche che hanno avuto ben più risonanza e fortuna critica. Il Giardino dei Semplici, a quanto pare, era particolarmente amato dal pontefice Pio V e, a dimostrazione della considerazione che si aveva per il lavoro di Mercati, fa fede una disposizione del cardinale Michele Bonelli del 10 marzo 1571, «a tutti i guardiani ed altre persone da campo, et a Portiana di non molestare, anzi prestare ogni opera a Mons. Michele Mercati semplicista di N.S. che va a far provisione di piante di semplici ed a cavarle in vari luoghi»56. Non stupisce l’interesse di Pio V per la botanica e per i giardini, in quanto da sempre era consigliato quale «onesto piacere», particolarmente confacente a chi rappresentava la Chiesa cattolica, con la scontata

35. M. Cartaro, Vero dissegno deli stupendi edefitii giardini boschi fontane et cose meravigliose di Belvedere in Roma, 1574, incisione.

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36. Girasole (Helianthus annuus L.), Erbario Aldrovandi, BUB, Tav., vol. I, c. 69, p. 57 e vol. I, c. 75, p. 229.

37. Nicotiana (Nicotiana tabacum L.), Erbario Aldrovandi, Tav., vol. I, c. 63, p. 228.

BUB,

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GLI HORTI DEI PAPI

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38. Peperone (Capsicum annuum L.), Erbario Aldrovandi, BUB, Tav., vol. VI, c. 48, p. 243.

39. Dittamo (Origanum dictamnus L.), Erbario Aldrovandi, Tav., vol. VI, c. 258, p. 238.

BUB,

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GLI HORTI DEI PAPI

40. F. Paciotti, Pianta di Roma, 1557, particolare con l’area del Vaticano, ancora senza la Casina di Pio IV. 41. É. Dupérac, Pianta di Roma, 1577, particolare con l’area del Vaticano.

analogia tra il giardiniere che coltiva i fiori e il pastore della chiesa che coltiva le anime. Pio V era esempio di pontefice virtuoso e rigoroso, lontano dai clamori mondani e vero esponente di quella severa cultura controriformista che si era ormai sostituita all’edonismo rinascimentale. Per la localizzazione del Giardino dei Semplici nell’ambito della Cittadella vaticana il riferimento è di nuovo la veduta di Mario Cartaro, del 1574, «Vero dissegno degli stupendi edefitii giardini boschi fontane et cose maravegliose di Belvedere in Roma», che nella legenda, alla lettera O, riporta: «Horto di semplici di Papa Pio V». Nel confermare l’attribuzione dell’istituzione dell’orto al pontefice, secondo quanto testimoniato anche da Mercati, ci fornisce una precisa indicazione della sua sede, che sarà mantenuta, fino al Settecento, anche se con un assetto diverso. Si tratta di un’area dove, prima della realizzazione della Casina di Pio IV, vi era un boschetto che giungeva fino al limitare delle logge bramantesche, come si vede nella pianta di Francesco Paciotti, del 1557, quindi immediatamente precedente la trasformazione del sito. Non risulta che Pio IV, completata la Casina, si sia occupato della sistemazione dell’area a verde, in quanto fu

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interrotto nella sua opera dalla morte improvvisa, sopraggiunta nel 1565, appena in tempo per celebrare, con il citato torneo nel Cortile del Belvedere, il compimento delle opere architettoniche. Possiamo quindi immaginare che la Casina si trovasse ancora in uno spazio non organizzato, con alle spalle il boschetto che si inerpicava sulla collina e davanti, in direzione del Cortile del Belvedere, avesse un’area maggiormente pianeggiante ma priva di caratteri di qualità. Da quanto affermato da Mercati, Pio V amava i giardini quale occupazione confacente al suo status57 e quindi appare convincente l’attribuzione della sistemazione dello spazio antistante la Casina con un assetto formale, per la coltivazione dei semplici ma anche di piante rare ed esotiche. Il fatto che Pio IV abbia nominato nel 1561 come simpliciarius pontificius il ferrarese Giacomo Boni, faceva parte di una tradizione medioevale e non costituisce quindi una prova che l’orto sia stato da lui impiantato davanti la Casina visto che, in quell’anno, la realizzazione del complesso era ancora in corso. Nella veduta di Cartaro il Giardino, visibile solo nella parte più vicina alla Casina, si presenta suddiviso in una serie di aiuole rettangolari, disposte su più filari, ed è compreso tra la grande peschiera ed

42. A. Tempesta, Pianta di Roma, 1590, particolare con l’area del Vaticano.

LA CASINA DI PIO IV E IL GIARDINO DEI SEMPLICI

43. G. Maggi, Vaticanum S. Petri Templum toto terrarum orbe celeberrimum cum adiunctis pontificum aedibus hortisque accurate delineatum ea omnia Paulus V Pont. Max. multis parti bus amplificavit ornavitque, incisione, 1615, particolare con la Casina di Pio IV e il Giardino dei semplici.

i muri delle logge bramantesche. Nelle vedute successive, ad esempio quella di Étienne Dupérac del 1577, di Antonio Tempesta del 1590, di Giovanni Maggi del 1615, le aiuole assumono una forma più elaborata, disposte a rettangoli con una suddivisione interna in altre quattro aiuole e al centro una quinta aiuola circolare. Inoltre, mentre nella pianta di Cartaro sembra vi siano coltivate solo piante basse, che possiamo supporre fiori o erbe medicinali, nelle vedute posteriori compaiono al centro delle aiuole piccoli alberi, probabilmente di agrumi o comunque da frutto, come era d’uso al tempo. Solo nella pianta di Maggi del 1615 il Giardino dei Semplici appare più ampio, esteso anche all’area compresa tra la Casina di Pio IV e la Fontana del Sacramento, e ben tre grandi riquadri a compartimenti geometrici sono indicati come «Hortus herbarum salubrium», con un ampliamento dovuto, con molta probabilità, al successivo intervento di Johannes Faber. Michele Mercati diresse il Giardino dei Semplici fino al 1587 quando, ancor giovane, lasciò l’incarico, forse per le precarie condizioni di salute che lo condussero alla morte, nel 1593, a poco più di cinquanta anni. Gli successe per alcuni anni Castore Durante, autore di un Herbario Nuovo stampato a Roma nel

158558 e quindi, dal 1590 fino al 1600, Andrea Bacci59, noto per aver pubblicato un utile opuscolo sull’uso medicinale delle erbe60. Michele Mercati ebbe in ogni caso il merito di aver strutturato il Giardino dei Semplici, che sicuramente esisteva già nei secoli precedenti ma senza un assetto definito ed una localizzazione stabile. Dopo di lui il Giardino dei Semplici ebbe sempre sede nei pressi della Casina di Pio IV, e nonostante le modifiche introdotte dai suoi successori, rimase una costante nella storia dei Giardini Vaticani almeno fino alla metà del Seicento, contribuendo allo sviluppo degli studi botanici in stretta connessione con gli insegnamenti universitari. I successori di Pio V non risulta si siano occupati in modo attivo dei Giardini Vaticani, preferendo spostarsi per i soggiorni estivi nelle ville suburbane. Gregorio XIII (1572-1585) fu tra i primi a privilegiare Frascati, dove il cardinale Altemps aveva fatto costruire una splendida Villa denominata, proprio in onore del pontefice, Mondragone61, con una evidente allusione al drago araldico della famiglia Boncompagni. Sisto V (1585-1590), oltre a disporre della tenuta di Torre in Pietra62, amava la sua splendida Villa Montalto63, realizzata quando era ancora cardinale, che occupava una vasta area nei pressi della Basilica

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GLI HORTI DEI PAPI

A fronte: 44. La Biblioteca Sistina.

di Santa Maria Maggiore. Il pontefice, secondo le cronache, amava passarvi il suo tempo libero curando personalmente il giardino di proprietà della famiglia. A lui si deve, inoltre, l’abitudine di soggiornare di frequente al Quirinale, a scapito della tradizionale residenza vaticana64. L’impresa per la quale è ricordato, nei Giardini Vaticani, non è propriamente riferita all’ambito botanico, in quanto si tratta della costruzione della magnifica Biblioteca, progettata da Domenico Fontana e realizzata nello spazio del Cortile del Belvedere65. La Biblioteca, sebbene unanimemente riconosciuta quale splendida opera sia per l’architettura che per le decorazioni pittoriche, è stata oggetto di critiche e addirittura di progetti di abbattimento, ad esempio da parte del pontefice Paolo V (1605-1621)66, in quanto aveva alterato sostanzialmente la spazialità del Cortile del Belvedere. Il progetto della costruzione della Biblioteca, già avviato da Gregorio XIII, ripreso e modificato da Sisto V, era così riportato in un «Avviso» del 13 maggio 1587: «S’è dato principio a disfare le scale del Teatro di Pio IV di Belvedere per fabricare in quel sito stanze per la libraria del Vaticano»67. La decisione non fu accolta positivamente, soprattutto negli ambienti colti, come attesta la lettera dell’agente del Ducato di Mantova, Attilio Malegnani, che in data 30 maggio 1587 così scriveva: «Sua Santità ha fatto disfare la scalinata che fece fare Pio IV… e veramente l’haver guastato questo Theatro fatto con tante spese è spiaciuto a tutta la corte, massime perché si rovina quella vista et quel Belvedere, et in particolare alle creature di Pio IV»68. Costruita trasversalmente al Cortile, in corrispondenza con la rampa tra il primo ed il secondo terrazzamento, si era infatti sostituita all’esedra-boccascena teatrale, interrompendo l’unità visiva del Cortile e distruggendo l’essenza del progetto stesso di Bramante, basato sull’idea di disporre tre funzioni diverse quali il teatro, il giardino ed il museo, in uno spazio aperto e continuo ma scandito da elementi architettonici in funzione di diaframmi. Durante il breve pontificato di Gregorio XIV (1590-1591) sono segnalati solo alcuni interventi di

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LA CASINA DI PIO IV E IL GIARDINO DEI SEMPLICI

manutenzione delle fontane, ma è presente un «Valerio giardiniere» e si citano il bosco e il Giardino dei Semplici che continuavano ad essere curati e mantenuti69. Clemente VIII Aldobrandini (1592-1605) era ovviamente molto legato alle ville commissionate dal nipote, il cardinale Pietro: una, in città, presso la residenza del Quirinale che Gregorio XIII aveva iniziato a realizzare e ad utilizzare, l’altra, grandiosa, a Frascati, purtroppo terminata pochi mesi prima della sua morte70. Tuttavia negli anni del suo pontificato non furono trascurati i giardini e le fontane del Vaticano, con interventi costanti di manutenzione dei condotti dell’acqua ma anche delle spalliere di cedri e di melangoli, alle quali si sostituivano filagne e travicelli, si riparavano le stuoie e si aveva cura che venissero adeguatamente innaffiate71. La menzione di lavori di sistemazione di una cerchiata fa supporre che, all’epoca, la bella struttura a cocchio nel Giardino Segreto di Paolo III fosse ancora in situ ed oggetto di cure. Alcuni interventi riguardavano i manufatti, come la Casina di Pio IV, denominata «Palazzina del Buschetto», dove si facevano lavori di stucco mentre Taddeo Landini si occupava di riparare una fontana non meglio precisata. Scorrendo i mandati di pagamento risulta evidente l’uso anche produttivo del giardino, in quanto vi erano un gallinaro, delle uccelliere, una conigliera, un cortile con capponi. Dalla citazione di un capriolo caduto in un pozzo si può desumere che vi fossero, nel bosco, animali in libertà, come peraltro sarebbe accaduto anche in seguito a Villa Borghese, nel luogo denominato, non a caso, Parco dei Daini. Non va dimenticato, infine, che proprio Clemente VIII volle che Johannes Faber, da poco giunto da Bamberga, si occupasse dei Giardini Vaticani, aprendo un nuovo capitolo di grande importanza per la storia del luogo ma anche per la storia della botanica in generale.

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1. Basilica di San Pietro completata sotto Paolo V 17. Nuova ala dei Palazzi Vaticani

i. Fontana del Forno j. Fontana delle Torri k. Fontana dell’Aquilone l. Fontana degli Specchi

Capitolo quinto I PRIMI DECENNI DEL SEICENTO: LE FONTANE DI PAOLO V (1605-1621)

E JOHANNES FABER «GIARDINIERE» D’ECCEZIONE

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1. J. Heinz il giovane, Villa Borghese, 1625, olio su tela, collezione principe Scipione Borghese.

LE FONTANE DI PAOLO V E JOHANNES FABER «GIARDINIERE» D’ECCEZIONE

A fronte: 2. Veduta dei giardini segreti di Villa Borghese.

I primi decenni del XVII secolo furono per i Giardini Vaticani estremamente importanti sia dal punto di vista delle architetture che della botanica. La conduzione dell’Acqua Paola e la connessa costruzione di alcune splendide fontane, volute dal pontefice Paolo V, portarono a modifiche sostanziali dei percorsi e delle prospettive, interessando l’area, nei pressi dei Palazzi e della Basilica, che era rimasta da secoli immutata, caratterizzata da boschetti ma priva di arredi o sistemazioni particolari. In parallelo la presenza come responsabile dei giardini di una figura prestigiosa quale fu Johannes Faber, li pose al centro di quel grande crogiuolo di scambi tra appassionati e collezionisti di fiori rari ed esotici che interessava tutta l’Europa1, e con l’introduzione di esemplari pregiati, degni di meraviglia, anche i giardini divennero oggetto di visite ammirate al pari delle raccolte di sculture e delle opere d’arte.

IL PONTIFICATO DI PAOLO V BORGHESE. LA CONDUZIONE DELL’ACQUA PAOLA E LE NUOVE FONTANE

Papa Paolo V Borghese ha lasciato, nel corso del suo lungo pontificato, importanti testimonianze della sua passione per l’arte, condivisa con il cardinale nipote, Scipione Caffarelli Borghese. Oltre ad aver portato a compimento la facciata della basilica di San Pietro, il suo intervento ha sostanzialmente modificato quel settore dei Giardini Vaticani dove i suoi predecessori non erano intervenuti, cioè l’area più vicina ai Palazzi e alla Basilica stessa, l’area dove, prima della costruzione del Palazzetto di Innocenzo VIII, erano collocati i primitivi giardini. Il suo interesse per i giardini non si limitò, comunque, solo al Vaticano, ma lo rese protagonista di alcune committenze tra le più importanti dell’epoca. A lui si devono consistenti

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GLI HORTI DEI PAPI

LE FONTANE DI PAOLO V E JOHANNES FABER «GIARDINIERE» D’ECCEZIONE

3. G. Maggi, Vaticanum S. Petri Templum toto terrarum orbe celeberrimum cum adiunctis pontificum aedibus hortisque accurate delineatum ea omnia Paulus V Pont. Max. multis partibus amplificavit ornavitque, incisione, 1615

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GLI HORTI DEI PAPI

interventi e la creazione di numerose fontane nei giardini del Quirinale2; alla sua volontà, tramite il cardinal nipote, si devono la Villa Borghese di Porta Pinciana3, status symbol della famiglia, e diverse residenze in villa di Frascati, vera e propria città borghesiana4. Paolo V le frequentava tutte: si trasferiva nelle diverse ville anche per lunghi periodi e durante i mesi estivi Frascati si trasformava in una piccola Roma, teatro di visite di personaggi di rango e di eventi spettacolari in funzione della corte che vi si era installata. La scelta del pontefice di spostare l’asse centrale dei Giardini Vaticani dal Belvedere all’area dei Palazzi e della Basilica, ebbe un riscontro immediato nella costruzione di un’ala aggiunta al nucleo più antico degli edifici residenziali, con una scala che consentiva un collegamento autonomo e diretto con i giardini sottostanti, che così è stata descritta: «Qua Pontificio ex intimo cubicolo facilis descensus in imos hortos patet»5. L’ingresso e la scala furono realizzati tra il 1607 ed il 1608, come attestano alcuni pagamenti agli scalpellini Arminio De Giudici e Francesco De Rossi, per «lavori alla scala in peperino che dalle stanze del pontefice conduce ai giardini di Belvedere»6 e sono ancor oggi visibili con il portale sormontato da un’iscrizione che ricorda il pontefice, nei pressi della piccola e particolare Fontana degli Specchi ed in direzione della grandiosa Fontana delle Torri o del Sacramento, che introduce al percorso di visita delle creazioni da lui commissionate. Gli interventi dovuti a papa Borghese in Vaticano sono testimoniati da fonti sia documentarie che iconografiche: ai numerosissimi mandati di pagamento conservati negli archivi romani7 che permettono di ripercorrere tutte le fasi dei lavori, ad una attendibile biografia scritta tre anni dopo la morte del pontefice8, fanno riscontro molte incisioni che illustrano le fontane realizzate. Una veduta è fondamentale per la conoscenza dell’aspetto della cittadella vaticana intorno al 1615, quando il suo programma era stato in gran parte già attuato: la grande pianta di Giovanni Maggi, edita da Giacomo Mascardi, dal titolo «Vaticanum S. Petri Templum toto terrarum orbe celeberrimum cum adiunctis pontificum aedibus hortisque accurate delineatum ea omnia Paulus V Pont. Max. multis partibus

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A fronte: 4. Pigna bronzea all’interno del Nicchione.

GLI HORTI DEI PAPI

amplificavit ornavitque»9, nella quale è delineata, con grande precisione e cura dei particolari, tutta l’estensione della cittadella, dalla Basilica fino al Belvedere, con i luoghi salienti contrassegnati da numeri ai quali corrisponde una legenda che descrive con chiarezza consistenza e funzioni10. La Basilica che compare in primo piano ha la facciata finalmente completata con la scritta celebrativa dell’opera compiuta dal pontefice. Gli edifici sono distinti nei due nuclei dei Palazzi annessi alla Basilica stessa e del complesso del Belvedere alle due estremità del cortile, mentre gli spazi verdi compresi all’interno della cinta muraria sono minutamente resi nell’alternanza di aiuole dalle geometrie regolari, di boschetti più liberi e naturali, di appezzamenti coltivati ad orto o a vigna. La linea di demarcazione tra i giardini ornamentali, comprendenti aiuole e boschetti, e la «pars rustica» coltivata a scopi produttivi, è data dal percorso delle Mura Leonine, con le torri di Niccolò III e di Niccolò V e alcune fabbriche di servizio quali un magazzino ed un fienile addossate ad esse. La dotazione d’acqua costituiva una condizione imprescindibile per mettere in atto il grandioso programma di abbellimento dei Giardini Vaticani voluto da Paolo V. La portata dell’Acqua Felice, condotta da Sisto V, non era sufficiente per alimentare fontane monumentali, spettacolari e magnifiche, dotate di giochi d’acqua per sorprendere i visitatori, che rappresentavano l’ideale fondale per scenografiche prospettive, secondo il gusto barocco che si andava affermando in quegli anni. Il primo impegno del pontefice per la valorizzazione dei giardini fu quindi la conduzione di acqua in abbondanza, mediante una diramazione dell’Acquedotto Paolino che riforniva la città e che aveva la sua mostra spettacolare nel Fontanone del Gianicolo11. Così l’impresa venne ricordata dal biografo Bzovius: «Tramite le condutture dell’acqua Alsietina, costruite in origine da Augusto, quasi distrutte e poi restaurate da papa Adriano I ma poi nuovamente cadute in rovina per vetustà, Paolo V, con lavori sottoterra e sulle arcuazioni eseguite a cura di Martino Ferrabosco il più grande idraulico che sia mai esistito in Europa, restaurate quelle condutture prese l’acqua dal lago e dal territorio di Bracciano e

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5. M. Cretoni, La Fontana del Belvedere, 1854 ca., decorazione degli armadi della Galleria di Urbano VIII, Biblioteca Sistina.

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da altre saluberrime sorgenti conducendola a Roma lungo un percorso di 35 miglia aggiungendovi altre condutture [...] I giardini rese più ameni con fontane e peschiere costruite un po’ dappertutto con prospetto oltremodo magnifico, distribuendo largamente l’acqua che aveva portato dal territorio di Bracciano con grande spesa»12. Il nome di Martino Ferrabosco, definito da Bzovius «aquilegius», cioè idraulico, ricorre spesso anche nei documenti d’archivio riferiti alle fontane nei Giardini Vaticani, accanto a quelli di altri personaggi che notoriamente lavoravano per la famiglia Borghese quali Flaminio Ponzio, sostituito alla sua morte avvenuta nel 1613 da Giovanni Vasanzio, Carlo Maderno, Giovanni Fontana e Giulio Buratti, rendendo difficile stabilire con esattezza il ruolo di ciascuno. Non è chiaro, allo stato attuale degli studi, se Ferrabosco si occupasse solo della realizzazione dei condotti e della manutenzione delle fontane o anche della loro progettazione, né è definito l’ambito del suo incarico di «soprastante delle fontane di Borgo e di Belvedere»13. Nei primi anni di pontificato, un fervore di lavori di attivazione di condotti nuovi, ma anche di riparazioni e di modifiche di quelli esistenti, interessò tutta l’area dei giardini, mediante l’opera di uno stuolo di stagnari, muratori, cavatori, impegnati sotto la direzione di Flaminio Ponzio, definito «Architetto di S. S.tà e di Palazzo»14. Il 4 novembre del 1609 l’impresa risultava quasi al termine e negli Avvisi di Roma così si commentava: «Lunedì doppo pranzo la Santità di Nostro Signore se ne passò al casaletto di Pio Quinto, dove gli fu fatta vedere, vicino al luogo detto il Crocifisso, la prova dell’acqua Pavolina, che vien condotta qua da Bracciano, ch’a primavera sarà del tutto ridotta a perfettione; facendosi hora diversi disegni delle mostre, che gli vogliono far fare»15. Il progetto prevedeva rilevanti innovazioni rese possibili dalla dotazione dell’Acqua Paola, ma anche la valorizzazione e il ripristino dell’esistente e in particolare dell’opera di Giulio II, in una sorta di richiamo ideale: vengono riattivati i condotti idrici già in loco e consolidate le murature bramantesche, liberate dalle piante di fico e di edera infestanti16.

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LE FONTANE DI PAOLO V E JOHANNES FABER «GIARDINIERE» D’ECCEZIONE

Uno dei primi interventi di valorizzazione della committenza di Giulio II, datato 1606, quindi a inizio pontificato, era mirato a conferire ancor maggior decoro alla parte superiore del Cortile del Belvedere: ad abbellimento del nicchione di Bramante, completato da Pirro Ligorio, il pontefice fece collocare la splendida Pigna bronzea già situata nel quadriportico della basilica Costantiniana, affiancata da due pavoni, anch’essi in bronzo, e posta su un basamento marmoreo finemente scolpito. La Pigna, dalla quale il Cortile prese poi la denominazione ancor oggi in uso, fu trasformata in fontana, e così l’impresa venne commentata: «Sub Paulo V pontifice maximo, dum ad templi frontem erigendam pinea praedicta loco suo mota fuit et in hortos Vaticanos translata»17. A Paolo V è stata inoltre attribuita l’intenzione di demolire la Biblioteca fatta costruire da Sisto V, che aveva interrotto la mirabile unità progettata da Donato Bramante per il Cortile del Belvedere. Un Avviso di Roma riportava infatti la voce comune che, per volere del papa, «si gettarà a terra la biblioteca vaticana con assegnarli il luogo dove si tiene la stampa per far fontane, prospettive et altre cose belle nel Teatro di Pio IV»18. Si trattava, evidentemente, solo di un’ipotesi, dato che la Biblioteca restò al suo posto, ma la conferma della volontà del pontefice di ripristinare la spazialità del Cortile secondo il progetto di Bramante, è attestata dal completamento della nicchia inserita nella scalinata a doppia rampa addossata al terrazzamento tra il primo e il secondo Cortile del Belvedere. La nicchia, che nei disegni che documentano il progetto di Bramante appare priva di elementi decorativi, nella bella incisione di Domenico Parasacchi del 1647 è rappresentata rivestita di tartari e mosaici, scandita da cinque piccole nicchie nelle quali furono inseriti aquile e draghi (gli emblemi borghesiani), dai quali fuoriuscivano getti d’acqua. L’absidiola nella parte sommitale della nicchia, scanalata a formare una doppia conchiglia, aveva al suo interno un’altra aquila, e uno stemma borghesiano con i simboli pontifici, al culmine dell’arco, suggellava la firma del committente. È evidente come l’abbellimento della nicchia, trasformata in uno splendido ninfeo19, avesse senso solo se inserito in una prospettiva che certo non veniva garantita dalla limitata estensione del Cortile, chiusa dal braccio trasversale della Biblioteca

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GLI HORTI DEI PAPI

LE FONTANE DI PAOLO V E JOHANNES FABER «GIARDINIERE» D’ECCEZIONE

6. R. Semprevivo e C. Rossetti (attr.), La Fontana del Belvedere, 1610 ca., affresco, Sala dei Paramenti Piemontesi, Palazzo del Quirinale.

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7. R. Semprevivo e C. Rossetti (attr.), L’appartamento di Paolo V, la Fontana degli Specchi, una Fontana scomparsa, la Fontana delle Torri, 1610 ca., affresco, Sala dei Paramenti Piemontesi, Palazzo del Quirinale.

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A fronte: 8. R. Semprevivo e C. Rossetti (attr,), La Fontana del Forno, 1610 ca., affresco, Sala dei Paramenti Piemontesi, Palazzo del Quirinale.

GLI HORTI DEI PAPI

9. G.B. Ricci, La Fontana del Forno, 1612 ca., affresco, Sale Paoline, Biblioteca Sistina.

Sistina. Un altro intervento per riavvicinare il Cortile all’aspetto originario, interessò il ripristino della bella fontana che Bramante aveva posto, nella parte più bassa, quella che ancor oggi conserva la denominazione di Cortile del Belvedere, e che Pio IV aveva fatto interrare per permettere l’uso dello spazio come teatro. Paolo V, disponendo d’acqua in abbondanza, decise di riesumarla e riattivarla, come viene raccontato nella sua biografia: «Il più grande catino di marmo numidico esistente in Roma, che un tempo Giulio II aveva scavato dalle rovine delle terme di Tito e Vespasiano ed aveva sovrapposto ad un basamento nel teatro del palazzo vaticano, egli, Paolo V, provvide a rimetterlo in luce dopo un quarantennale interramento, lo restaurò rin-

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novandone e ornandone il basamento e, ponendolo nel mezzo di una vasca, ne fece una mirabile fontana, che lancia in aria l’acqua per almeno 20 cubiti con impeto violentissimo; dalla vasca erompendo da quattro tubi arriva fino ai bordi del catino»20. La notizia ha un riscontro documentario in diversi mandati di pagamento: nell’ottobre 1608 si lavorava «per impiombare le spranghe della tazza ch’è dentro al terreno», nel giugno 1609 si facevano lavori alla «tazza grande» della «fontana del teatro», a settembre si predisponevano condotti di piombo sempre per la «fontana del teatro», a dicembre vi era un compenso per «cavatura di breccia per la fontana del Belvedere»21. Un’ulteriore conferma si ha dalla citata veduta

di Maggi che, in corrispondenza della fontana, riporta la seguente dicitura: «Insignis magnae aquarum copiae Theatri fons cum scatabris a Paulo V». Il basamento ottagonale della fontana, progettato da Carlo Maderno, fu decorato con draghi ed aquile in travertino, emblemi di casa Borghese, come di consueto per «firmare» l’avvenuto ripristino, documentato anche da iscrizioni che ne ricordano il travagliato iter22. Al tempo di Pio XI (1922-1939) fu sovrapposta al grande bacino antico una vaschetta in marmo, che ne alterò le proporzioni, fortunatamente rimossa nel 1987 restituendo alla fontana l’armonia originaria23. L’impegno nella realizzazione di nuove fontane nei Giardini Vaticani è celebrato in due cicli di affreschi

LE FONTANE DI PAOLO V E JOHANNES FABER «GIARDINIERE» D’ECCEZIONE

Alle pagine seguenti: 10. G.B. Ricci, L’appartamento di Paolo V, la Fontana degli Specchi, una Fontana scomparsa, la Fontana delle Torri e la Fontana dello Scoglio, 1612 ca., affresco, Sale Paoline, Biblioteca Sistina.

che illustrano le imprese del pontefice. Il primo ciclo, di recente individuato nel Palazzo del Quirinale, fu dipinto nella Sala dei Paramenti Piemontesi, come è stata denominata dopo gli interventi Savoia che hanno occultato le decorazioni precedenti, realizzate tra il 1609 ed il 1610 forse da Ranuccio Semprevivo e Cesare Rossetti24. Tra le lunette riportate in luce, poste all’interno di elaborate cornici con putti e figure allegoriche, accanto a fabbriche più impegnative, sono comprese le fontane dei Giardini Vaticani. Nella prima è la Fontana del Cortile del Belvedere, ricollocata come si è già detto. Nella seconda è la Fontana del Forno o della Panetteria, con il bacino polibolato e le tre vaschette sovrapposte, situata ai piedi della cor-

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11. G.B. Falda, La Fontana del Forno, 1676 ca., incisione. 12. La Fontana del Forno e l’inizio del viale dei Giardini.

13. G.F. Venturini, Fontana Oscura a Villa Borghese, 1684 ca., incisione. 14. G.F. Venturini, Fontana della Vela a Villa Borghese, 1684 ca., incisione.

donata che conduce ai Giardini. La terza raffigura gli appartamenti aggiunti ai Palazzi Vaticani da Paolo V, con addossata la Fontana degli Specchi, sullo sfondo la Fontana delle Torri o del Sacramento, ed in primo piano una semplice fontana con bacino a terra, due vaschette sovrapposte ognuna retta da figure scolpite non chiaramente identificabili. Un analogo ciclo sempre centrato sulla celebrazione delle imprese del pontefice Paolo V, è nella Sala Paolina della Biblioteca Vaticana, attribuito a Giovan Battista Ricci e datato 1611-161225. Anche in questo ciclo due lunette sono dedicate alle fontane dei Giardini Vaticani. Nella prima veduta appaiono raffigurate, con molta licenza prospettica, quattro fontane: in posizione preminente e centrale è la Fontana delle Torri o del Sacramento, a sinistra la Fontana degli Specchi e a destra la Fontana dell’Aquilone o dello Scoglio; in primo piano al centro una fontana oggi non più esistente, molto simile a quella raffigurata nell’affresco del Quirinale, probabilmente da identificarsi con quella per la quale lo scultore Niccolò Cordier aveva realizzato un gruppo marmoreo raffigurante Nettuno con draghi26. La seconda veduta raffigura la piazza del Forno o della Panetteria e, in primo piano, l’omonima Fontana, mentre sullo sfondo, seminascosta dal muro di cinta degli edifici e della scalinata, si intravede la parte sommitale della Fontana delle Torri o del Sacramento; sulla destra è raffigurata un’altra committenza di Paolo V, l’arco che immette nel grande viale (denominato ancor oggi viale

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dei Giardini) che collega i Palazzi con il Belvedere, costeggiando da un lato le Logge di Bramante e dall’altro i Giardini in direzione dei quali si apre un bel portale. Le differenze di raffigurazione tra i due cicli sono da imputarsi pressoché esclusivamente ai pochi anni di distanza intercorsi, in quanto all’epoca del primo la Fontana dello Scoglio o dell’Aquilone non era stata ancora iniziata e non poteva quindi comparire. La prima fontana fatta realizzare ex novo da Paolo V, ancor prima che fosse conclusa la conduzione dell’Acqua Paola, fu proprio quella posta all’inizio della cordonata in direzione della «panetteria», denominata anche piazza del Forno. Questa fontana, oltre a essere raffigurata nei citati affreschi nella Sala dei Parati Piemontesi del Quirinale e nella Sala Paolina della Biblioteca Apostolica Vaticana, è stata anche inserita da Domenico Parasacchi e da Giovan Battista Falda nei loro volumi sulle fontane di Roma, con l’attribuzione, da parte di quest’ultimo, a Carlo Maderno27. In tutte le raffigurazioni la fontana appare situata ai piedi della nuova ala del Palazzo Vaticano, nel quale si apre l’arco che immette nel vialone dei Giardini, e composta da un basso bacino polilobato e da tre pili sovrapposti, ognuno dei quali regge un catino di dimensioni digradanti, dall’ultimo dei quali scaturisce un potente getto d’acqua. La sua realizzazione, iniziata nel marzo 1608 con la preparazione dei condotti «per la fontana nova che si fa per la piazza della panetteria», proseguiva ad aprile con la collocazione

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15. G.F. Venturini, Fontana detta lo Scoglio nel Giardino di Belvedere nel palazzo Pontificio, 1684 ca., incisione.

A fronte: 16. Fontana dello Scoglio o dell’Aquilone, particolare. Alle pagine seguenti: 17. Fontana dello Scoglio o dell’Aquilone.

della «tazza grande», nel novembre con lavori per «impiombare li marmori intorno la fontana rincontro la panetteria cioè intorno al vaso grande»28, mentre in ottobre risultavano acquistati dalle monache oblate di Tor de’ Specchi due tazze e due balaustri intagliati che possiamo ben supporre siano stati utilizzati proprio per comporre questa fontana29. Nessun attestato di pagamento consente di confermare l’attribuzione del progetto a Carlo Maderno, come riportato da Falda. La fontana è ancora in loco, benché in un contesto notevolmente diverso da quello raffigurato negli affreschi citati e nelle incisioni di Parasacchi e di Falda, in quanto appare priva delle due tazze superiori, rimosse in epoca imprecisata. Si tratta di una fontana tipologicamente ancora legata a modelli cinquecenteschi, dalle forme classiche e lineari, senza la ricerca di quegli effetti di meraviglia tipici dell’incipiente gusto barocco, che saranno ben visibili nelle fontane che lo stesso pontefice Paolo V fece costruire nei Giardini Vaticani negli anni immediatamente successivi30. Molte fontane romane che sono pervenute ai giorni nostri, databili fino ai primi anni del Seicento, sono riferibili alla medesima tipologia: si pensi ad esempio a quelle realizzate a Villa Borghese per il cardinale Scipione, denominate Fontane Oscure per la collocazione in ombrosi boschetti, composte da una semplice vasca a terra sormontata da un pilo e da una vaschetta, oppure alla Fontana di piazza Scossacavalli ora a piazza Sant’Andrea della Valle, o anche alle fontane

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di piazza San Pietro31. Non sono conservate, infatti, fontane che imitassero una grotta naturale prima degli esempi della Fontana dello Scoglio o dell’Aquilone in Vaticano e della Fontana della Vela o del Mascherone in Villa Borghese32, entrambe dovute alla committenza Borghese e databili a partire dal 1611. In realtà risulta da testimonianze certe che anche a Roma, fin dai primi decenni del Cinquecento, erano presenti fontane spettacolari dalla tipologia rivoluzionaria. Un esempio di fontana formata da tartari e roccaglie, situata nella villa di Monsignor Giovanni Gaddi al Celio, è descritta da Annibal Caro in una sua lettera33, nella quale loda l’invenzione di un antro, realizzato con tufo spugnoso, posto in un «certo ordine disordinato», con incavi nei quali erano piantate «erbe» e stillante ovunque acqua. Ancor più dettagliata è la descrizione della fontana del Giardino Belluomo, a opera di Claudio Tolomei in una lettera del 1543, che loda «l’ingegnoso artifizio» di mescolare l’arte con la natura, tanto da non poter discernere se sia opera dell’una o dell’altra34. Materia di questa fontana era la pietra spugnosa di Tivoli, cioè i cosiddetti «tartari», incrostazioni calcaree «prodotte dalle acque e tornate a servizio delle acque», con mirabili congegni idraulici nel far sgorgare e scorrere le acque che, riferisce Tolomei, «guidano, parteno, volgono, menano, rompeno, e or fanno scendere e or salire l’acque». Tolomei lodava gli effetti stupefacenti dei giochi d’acqua che sorprendevano i visitatori con i getti improvvisi, producendo gran divertimento, e an-



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18. Fontana dello Scoglio o dell’Aquilone, particolare.

19. Fontana dello Scoglio o dell’Aquilone, particolare. Alle pagine seguenti: 20. Fontana dello Scoglio o dell’Aquilone, particolare.

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21. Fontana dello Scoglio o dell’Aquilone, particolare.

22. G.F. Venturini, Fontana delle Torri, 1684 ca., incisione.

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cora raccontava delle «musiche» prodotte dalle acque, ora di pioggia leggera, ora di scroscio violento, mentre sgorgavano in zampilli, in rivoli sottili, tremolando o ribollendo, con effetti sempre diversi per destare la meraviglia. Purtroppo entrambe le fontane descritte non solo non esistono più, ma non vi sono raffigurazioni che ci permettano di definirne meglio caratteri e tipologia35. Le descrizioni riportate potrebbero peraltro adattarsi alla perfezione alla rustica Fontana dello Scoglio o dell’Aquilone, realizzata nei Giardini Vaticani in un’area in precedenza caratterizzata da boschetti o da vigne. Nella citata veduta di Maggi la Fontana è riprodotta con chiarezza e la legenda la definisce «Celeberrimus atque admirabilis magnae aquarum copiae fons rusticus». Numerosi mandati di pagamento attestano i lavori eseguiti, a partire dall’autunno 1611, con la partecipazione di architetti, scultori e scalpellini36. Nell’ottobre vengono sistemati condotti di «piombo grossi», a testimonianza della considerevole portata d’acqua utilizzata per il «fontanone grande della mostra dell’acqua in Belvedere» e realizzato un condotto «che piglia l’acqua sforzata e la porta in cima allo scoglio»37, mentre da Campo Vaccino, cioè dal Foro Romano, vengono presi travertini per scolpire i delfini e i putti posti a decoro della vasca38. Per la realizzazione della fontana erano impegnati diversi artefici: gli scultori Stefano Maderno e Santi Solaro per i putti e i delfini, Carlo Fancelli aveva l’incarico di

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scolpire gli scogli ed i draghi39, gli stuccatori Stefano Fuccaro e Dario Simone intervenivano a più riprese per sistemare gli scogli40, mentre l’architetto Giulio Buratti firmava la misura dei lavori41. Il risultato fu grandioso: la Fontana, detta dello Scoglio o anche dell’Aquilone per l’imponente scultura araldica che la sormonta, si presenta come monumentale Mostra dell’Acqua Paola, contraltare, ma in stile rustico, del Fontanone del Gianicolo dove Paolo V aveva esposto e commentato trionfalmente la sua impresa. La montagna di scogli che compone grotte ed archi sovrasta un ampio bacino nel quale si bagnano puttini e personaggi marini e ribollono i getti che discendono da ogni anfratto, che sgorgano dalle bocche dei draghi collocati nelle nicchie e dalle buccine dei tritoni che cavalcano delfini. Al centro domina la scena un complesso ed elaborato sistema di cascate, situato all’interno di una grotta più grande, che crea uno spettacolare elemento d’attrazione. Tutto il bacino è contornato da un percorso d’acqua che scende e gorgoglia tra gli scogli, formando cascatelle. La tipologia della fontana rustica, che in questa ha il suo modello più celebrato e che prende anche la forma di una grotta-ninfeo, era destinata ad una larga diffusione nelle ville romane per tutto il Seicento e nei secoli successivi: si pensi alla già citata Fontana della Vela o del Mascherone a Villa Borghese (distrutta a fine Settecento), o alle Fontane del Diluvio e della Pioggia al Quirinale, o ancora alle fontane rustiche

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23. La Fontana delle Torri o del Sacramento.

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24. M. Cretoni, La Fontana delle Torri, 1854 ca., decorazione degli armadi della Galleria di Urbano VIII, Biblioteca Sistina.

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25. G.F. Venturini, La Fontana della Galera, 1684 ca., incisione.

26. La Fontana della Galera, incisione, da D. Parasacchi, Raccolta delle principali fontane dell’inclita città di Roma, Roma 1647.

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Alle pagine seguenti: 27. La Fontana della Galera.

di Villa Mattei e di Villa Pamphilj, fino alla grande diffusione delle fontane con roccaglie presenti in molti giardini fino ai primi decenni del Novecento42. Il «gran teatro di scogli» si elevava alla fine di un viale proveniente dai Palazzi, preceduto lungo il percorso da un’altra mirabile invenzione, la Fontana delle Torri, detta anche del Sacramento per la configurazione degli zampilli d’acqua centrali che ricorda un ostensorio. Anche in questo caso l’architettura è a dir poco originale ed inconsueta: le strutture difensive della cittadella vaticana sono state trasformate in una mostra d’acqua, con due torri, coronate da merli, che affiancano una nicchia rustica sormontata da un frontespizio con lo stemma pontificio e la scritta PAULUS V PONTIFEX MAXIMUS AD AUGENDUM PALATII PROSPECTUS ET HORTORUM DECOREM FIERI IUSSIT PONT. ANNO IV. Non mancano gli emblemi araldici borghesiani, draghi ed aquile, a sottolineare la committenza, e la Fontana trasmette con chiarezza il messaggio di forza e di potere della chiesa guidata da Paolo V. Il ricorso a torrioni di stampo medioevale è stato interpretato da Federico Zeri come un segno dell’involuzione neofeudale tipica dell’arte controriformista43, ma l’utilizzo di tipologie desunte da altri modelli di fabbriche è comune a molte fontane dell’epoca. I primi documenti che si riferiscono in modo inequivocabile alla costruzione di questa fontana risalgono al settembre 1610, quando il muratore Battista Rossi viene compensato per aver «accomodato li tor-

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rioni della fontana nelli giardini di Belvedere»; l’anno successivo, in novembre, vengono collocati i draghi sulla sommità e realizzati i condotti che portano l’acqua «dalla peschiera alla pioggia», quindi nel mese di dicembre altri condotti creano gli zampilli «alla fontana grande delli Torrioni»44. Non compaiono nominativi di altri artefici ma con molta probabilità l’intervento di Martino Ferrabosco è compreso nelle innumerevoli note di pagamento genericamente riferite ai lavori per le fontane vaticane che si susseguono ininterrottamente dal 1608 fino al 16145, come anche Flaminio Ponzio e Carlo Maderno46, che in quanto salariati, non vengono citati di volta in volta per ogni singolo intervento e possono ben aver partecipato all’impresa. Ancor più generiche sono le spese per la conduzione dell’acqua, intestate a stagnari e muratori, impegnati a fare tracciati e ad installare fistole e bottini, senza che di volta in volta venga specificato il riferimento all’una o all’altra fontana. Dopo la grande mostra rustica che sembrava avesse preso a prestito dalla natura il suo aspetto di montagna di roccia, dopo l’architettonica Fontana delle Torri, un’altra stupefacente fontana venne commissionata da Paolo V, la cosiddetta Fontana della Galera, nel sito dove Giulio III aveva fatto realizzare una peschiera, fondale del giardino terrazzato sovrastante le mura che separavano la cittadella vaticana dalla città, ai piedi del Palazzetto del Belvedere. Nella veduta di Maggi è denominata «Fons rusticus ad Bra-

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28. M. Cretoni, La Fontana della Galera, 1854 ca., decorazione degli armadi della Galleria di Urbano VIII, Biblioteca Sistina. A fronte: 29. La Fontana della Galera.

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30. La Fontana degli Specchi addossata all’appartamento di Paolo V.

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mantis scalam a Paulo V instauratus atque ornatus» e vi appare solo un antro rustico, al cui interno si intravede una figura sdraiata, ma il bacino risulta vuoto, privo della mirabile invenzione della Galera: di fatto, se accettiamo la datazione della veduta di Maggi al 1615, la Galera, ritenuta opera risalente al 162047, non era stata ancora collocata. Si può ipotizzare, infatti, che gli interventi siano stati eseguiti in due fasi, in un primo tempo rivolti alla creazione del fondale rustico e successivamente alla collocazione nel grande bacino della Galera in miniatura, una realistica riproduzione in metallo di una nave da guerra, simbolo della navicella della Chiesa che naviga sicura nelle acque, ma anche della potenza della flotta pontificia, molto attiva in quegli anni nella difesa delle coste dello Stato. Nei documenti d’archivio i lavori alla «peschiera», come era denominata la Fontana di Giulio III, compaiono a partire dal 1610, e nel 1612 sono ancora documentati pagamenti per non meglio precisati interventi alla «peschiera vecchia»48. Un pagamento a Orazio Censore, noto fonditore dell’epoca, per lavori «fatti e da fare» per le fontane vaticane può far supporre un suo intervento per la Galera, considerando la perizia dell’artigiano, già noto alla famiglia Borghese per aver «gettato in piombo» la pregevole statua del Narciso per la fontana che si trovava nella Villa Pinciana, nel cortile posteriore, rimossa e scomparsa alla fine del XIX secolo49. Il pagamento è peraltro riferito agli anni 1608-160950, molto prima della collocazione della Galera nella peschiera, ma non si può escludere che proprio Censore abbia fuso la spettacolare imbarcazione, posta successivamente in loco, anche in considerazione del fatto che nelle fontane vaticane realizzate in quegli anni non risultano altre opere in metallo che possano aver richiesto l’intervento di un fonditore della stessa fama del nostro. Risulta inoltre difficile ipotizzare chi altri abbia potuto realizzare un’opera così complessa e minuziosa come la Galera, presumibilmente ideata da un architetto, che secondo Cesare D’Onofrio potrebbe essere identificato con Giovanni Vasanzio51, noto per essere particolarmente versato in arti decorative52. In una bella descrizione, risalente agli anni 1622-1627, opera di Ferdinando Carli, così la Fontana veniva presentata: «Un monte

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che alle radici si apre in antro vastissimo con scogli d’ogni parte stillanti acqua accoglie dal musco nativo il vecchio Signore delle acque, disteso. Il grandissimo lago nel mezzo dei flutti custodisce sana e salva nonostante il fremere delle tempeste una trireme di piombo. Questa, con le sue mirabili imitazioni di cannoni, e con i suoi simulati lanci di fuoco, con le sue piogge di fiamme... è ammirevole quanto piacere diffonda»53. La Galera in miniatura, realizzata in rame e piombo, è resa in tutti i particolari, le vele, le sartie, i ponti, gli alberi, la polena e i cannoni dai quali fuoriescono potenti getti d’acqua, come pure dalla tromba suonata da un trombettiere issato sul cassero di poppa. Si tratta di un mirabile divertissement, al quale Maffeo Barberini, il futuro pontefice Urbano VIII, dedicò alcuni versi54, con l’allusione alla macchina da guerra dei pontefici che non produce fiamme ma dolce acqua che spegne il fuoco, oggi incisi in una targa posta sul muro accanto alla Fontana: BELLICA PONTIFICUM NON FUNDIT\ MACHINA FLAMMAS SED DULCEM\ BELLI QUA PERIT IGNIS AQUAM. La singolarità della Fontana trova forse un nesso con gli imponenti lavori promossi dal pontefice per l’ampliamento del porto di Civitavecchia, sotto la direzione dell’architetto Giulio Buratti, realizzati dal 1608 al 1611, e al progetto di dotare la flotta pontificia di una nuova galera, in aggiunta alle cinque delle quali già disponeva55. Per completare l’itinerario delle fontane commissionate da Paolo V resta da esaminare la piccola e spesso trascurata Fontana degli Specchi, situata in prossimità dell’ingresso creato dal pontefice per collegare la nuova ala dell’appartamento, da lui fatto costruire, con il giardino sottostante. Si tratta di una fontana di modeste dimensioni, ma riccamente decorata, tanto da essere definita da Chattard «meravigliosissima» e «oltremodo graziosa»56. Ha l’aspetto di un’edicola, sorretta da pilastri in marmo bigio e da colonne in verde antico, tra le quali si apre una profonda nicchia, rivestita da mosaici policromi, nella cui abside è raffigurato un pergolato con uccelli nel quale sono inseriti alcuni tondi che in origine ospitavano altrettanti specchi, determinando la denominazione con la quale la fontana ci è nota. Al centro della nicchia vi è una cascatella rustica, dalla quale discende l’acqua che si raccoglie in un piccolo bacino,

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opera dai caratteri rigidi e schematici, in contrasto con la naturalezza dei rivestimenti in uso all’epoca della realizzazione della fontana quindi sicuramente realizzata in tempi recenti. La volticina a botte è anch’essa riccamente decorata da mosaici policromi che raffigurano grottesche, tra le quali sono inseriti i consueti emblemi borghesiani delle aquile e dei draghi, nonché la tiara pontificia. Anche il timpano di coronamento dell’edicola era sormontato da un’aquila araldica. Sul lato destro libero (quello sinistro è addossato all’edificio) vi è una piccola nicchia, anch’essa adorna di una composizione di sassolini e tessere a mosaico, che probabilmente doveva ospitare in origine una statuetta. Mosaici dorati con gli emblemi Borghese rivestono i basamenti delle colonne ma la fattura abbastanza grossolana li fa ritenere un rifacimento recente. Secondo la Belli Barsali gli emblemi borghesiani sarebbero un’aggiunta posteriore, in quanto ritiene la fontana decisamente cinquecentesca ed in piena sintonia con i modelli decorativi della Casina di Pio IV57. In contrasto con questa ipotesi sono la presenza della Fontana negli affreschi del Quirinale e della Biblioteca Vaticana che celebrano le imprese di Paolo V e alcuni documenti di pagamento che attestano chiaramente lavori di decorazione eseguiti durante il suo pontificato. Negli anni 1613-1614, infatti, Martino Ferrabosco viene compensato per mosaici ad una non meglio precisata fontana, mentre tra il settembre 1614 ed il marzo 1615 gli scalpellini Agostino e Bernardino Radi58 ricevono un pagamento per lavori alla «fontanella fatta di novo a piè la scala nel giardino di Belvedere» ed in questo caso sia le dimensioni che la localizzazione non sembrano lasciare dubbi sul riferimento alla Fontana degli Specchi; infine nel 1619 sempre Ferrabosco viene compensato per «doi statue fatte mettere alla fontana a piè della scala che dal palazzo vaticano si cala nel Giardino di esso», ed ancora una volta non può non trattarsi della Fontana degli Specchi, che si trova tutt’ora proprio accanto all’ingresso59. Sembra quindi indubbio che sotto Paolo V vi siano stati importanti interventi riferiti proprio alle decorazioni, che non sono rappresentate negli affreschi del Quirinale e della Biblioteca Vaticana, nei quali all’interno dell’edicola compare

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un semplice fondale rustico con un getto d’acqua ed un piccolo bacino. In quello del Quirinale il getto d’acqua fuoriesce da un’aquila araldica, ma in entrambe le raffigurazioni non vi è traccia delle policrome decorazioni a mosaico, fatto che porta ad escludere che risalgano all’epoca di Pio IV. Anche stilisticamente l’apparato decorativo della piccola Fontana non appare affatto in sintonia con quello della Casina di Pio IV: il primo utilizza essenzialmente la classica tecnica del mosaico, mentre il secondo è basato sull’uso di materiali diversi e sulla contaminazione delle tecniche. Elemento che invece pone qualche problema nell’attribuire in toto la Fontana all’epoca del pontificato di Paolo V è la sua tipologia architettonica. Si tratta, invero, di una fabbrica tipicamente cinquecentesca nelle linee architettoniche e nelle armonie, ben diversa da quei fantasiosi arredi da giardino che si diffondevano nel Seicento. Dato ancor più problematico è la posizione della Fontana, addossata all’appartamento fatto realizzare da Paolo V e quindi con un lato oggi chiuso dall’edificio adiacente. Quest’ultimo elemento fa supporre che in un primo tempo la piccola fabbrica sia stata progettata con una nicchia su ciascuno dei due lati, quindi per una posizione isolata e visibile su entrambi, e che in un secondo tempo a un lato siano stati addossati gli appartamenti pontifici. Per quanto riguarda le decorazioni a mosaico, anche in questo caso sorgono problemi di datazione: i mosaici della calotta e quelli della volticina sono infatti chiaramente diversi e riferibili a due interventi distinti. I primi, quelli che raffigurano il pergolato, presentano un partito decorativo che richiama analoghe realizzazioni dell’epoca, sempre commissionate da casa Borghese, come «il giardino dipinto» del Quirinale60 o le decorazioni dell’Uccelliera di Villa Borghese61. Vi sono, infatti, gli stessi grillage e gli esemplari di uccelli raffigurati sono estremamente simili, curati e realistici. I mosaici della volticina sono di fattura meno raffinata e lo schema decorativo è più banale, limitandosi a grottesche intercalate agli emblemi della famiglia e la cromia risulta piatta e poco brillante. Si può ritenere, in definitiva, che in loco fosse già presente un’edicola, risalente forse all’epoca

31. A. Durante, Pergolato con uccelli, 1616, affresco, Uccelliera di Villa Borghese. 32. La Fontana degli Specchi, particolare dei mosaici.

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33. La Fontana degli Specchi, particolare dei mosaici.

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dalla Fontana dello Scoglio o dell’Aquilone, dietro la quale iniziava il bosco, la parte più libera e naturale dei giardini; il secondo sulla destra portava alla Casina di Pio IV e alle belle sistemazioni ad aiuole che vi si trovavano, ricolme di fiori esotici e pregiati. Un terzo grande viale veniva aperto lungo il corridoio di Bramante, denominato viale dei Giardini, fino al Belvedere, dove intersecava il viale della Giostra o della Zitella (oggi viale dello Sport)64, in prossimità del giardino voluto da Clemente VII. Si tratta di un assetto dell’area che, a grandi linee, si è conservato fino all’Ottocento e che solo le nuove costruzioni novecentesche hanno in gran parte alterato.

JOHANNES FABER

«SIMPLICIARIUS PONTIFICIUS» (1600-1629)

degli interventi di Pio IV e che Paolo V abbia deciso di decorarla ulteriormente e valorizzarla sia in connessione con l’ingresso agli appartamenti, sia come inizio del percorso nei Giardini da lui voluto. Molto probabilmente i mosaici sono stati realizzati in due fasi: ai primi anni del pontificato dovrebbero risalire quelli del catino, mentre in un secondo tempo, a completamento dell’intervento, furono eseguiti quelli della volticina documentati dai mandati di pagamento citati. Tutte le fonti riferiscono che la morte del pontefice impedì il completamento della Fontana e questo fatto giustifica, con molta probabilità, la realizzazione successiva dell’incongrua «cascata». Possiamo quindi concludere che Paolo V abbia in due fasi abbellito la fontana preesistente, lasciandovi i propri emblemi,

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ma che non abbia completato l’opera, sulla quale si è intervenuti forse in tempi molto più recenti. In tanta abbondanza d’acqua non potevano mancare le attenzioni alle piccole fontane che ornavano le aiuole del Giardino dei Semplici62, davanti alla Casina di Pio IV, e affidate alle cure di Ferrabosco che si occupò anche di aggiungere nuovo decoro con mosaici alla nicchia con fontana nel Cortile delle Statue, dove era la Cleopatra giacente63. L’inserimento nei giardini di nuove fontane aveva creato inedite prospettive e modificato alcuni percorsi. Dall’ingresso ai Palazzi nei pressi della Fontana degli Specchi si delinearono due grandi viali: il primo, sulla sinistra, passando davanti alla Fontana delle Torri o del Sacramento giungeva allo slargo dominato

Johannes Faber (1574-1629), originario di Bamberga e presente a Roma dal 159865, è noto soprattutto per aver fatto parte di quello straordinario consesso che fu l’Accademia dei Lincei, promossa nel 1603 da un gruppo di appassionati cultori della scienza in tutti i suoi aspetti, raccolto attorno al duca di Acquasparta, Federico Cesi66. Faber fu anche medico chirurgo presso l’Ospedale di Santo Spirito, zoologo, professore di Botanica alla Sapienza, e dal 1600 al 1629 «Semplicista Apostolico», cioè direttore dell’Orto Botanico Vaticano o Giardino dei Semplici67. L’incarico di Faber attraversò ben cinque pontificati: Clemente VIII Aldobrandini (1592-1605), Leone XI Medici (1605), Paolo V Borghese (1605-1621), Gregorio XV Ludovisi (1621-1623), Urbano VIII Barberini (1623-1644), tutti pontefici appassionati di giardini e passati alla storia anche per essere stati committenti, in prima persona o tramite il proprio cardinal nipote, di celebri ville a Roma e nella campagna romana68. L’avvio del suo incarico nei Giardini Vaticani è da Faber stesso ricordato, in un suo scritto del 1607, nel quale così riferisce: «Cum tamen jam sub tertio Pontifice romano et Horti Pontificii vaticani curam geram»69. Questa presenza così rilevante nella storia dei Giardini Vaticani non risulta, a tutt’oggi, presa in considerazione

e documentata adeguatamente70. Tra la gran mole di carte di pertinenza di Faber che ci è pervenuta, molti sono i riferimenti ai suoi interessi botanici, anche se non sempre sono chiaramente o direttamente collegati all’incarico al servizio del pontefice, ma nuove indicazioni potrebbero emergere da ulteriori studi71. Succedeva al suo antico maestro, Andrea Bacci, in quello che era stato l’incarico di Michele Mercati, con il quale l’Orto Botanico Vaticano aveva avuto origine. Come Mercati anche Faber godeva di uno speciale lasciapassare per circolare nei Giardini, rilasciatogli in data 11 aprile 1603 dal Maestro di casa di Clemente VIII, il patriarca di Gerusalemme Fabio Biondo, che raccomandava ai guardiani non solo di non molestarlo mentre era intento a raccogliere erbe, ma addirittura di «accarezzarlo et dargli ogni comodità, acciò possa fare il servizio con maggior caldizza»72. Purtroppo nessun documento iconografico specifico ci permette di stabilire come fosse disposto e ordinato l’Orto Botanico Vaticano, né è chiaro se la responsabilità di Faber fosse limitata alla parte cosiddetta «scientifica», cioè quella con le piante coltivate a scopo di studio o per fini curativi, quelle piante, cioè, comunemente definite «semplici». Nelle vedute dei Giardini Vaticani è spesso indicato, nei pressi del Casino di Pio IV, un «Giardino de’ semplici» come era all’epoca denominato l’Orto Botanico, con una disposizione a piccoli compartimenti regolari, distinto dagli altri settori del parco che alternavano aiuole formali e boschetti. In particolare, nella già citata veduta di Maggi i giardini formali risultano più d’uno: prospicienti la Casina di Pio IV vi sono alcune aiuole quadrangolari, delimitate da basse spalliere e quattro alberi agli angoli, ciascuna suddivisa in quattro scomparti con un’altra aiuola circolare al centro, nella quale è inserito un ulteriore albero; queste aiuole sono contraddistinte dal numero 57, al quale nella legenda corrisponde «Hortus Herbarum salubrium», definendo così la parte «medicinale» del giardino. Non lontano dalla Casina, in direzione della Fontana delle Torri o del Sacramento, figurano altri due compartimenti, contrassegnati dai numeri 102 e 105, definiti «Areola herbarum salubrium», quindi sempre riferiti a coltivazioni con una conno-

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tazione di carattere medicinale, cinti da staccionate; la forma delle aiuole è rettangolare, decisamente meno elaborata di quelle situate davanti alla Casina di Pio IV. Nella vasta area a giardino vi sono anche altri appezzamenti di terreno organizzati secondo un disegno geometrico: hanno sistemazioni formali il Cortile della Pigna, con la bella fontana centrale e piccole fontanelle al centro dei quattro compartimenti a loro volta suddivisi in quattro aiuole, con alberi ai bordi; ugualmente suddiviso in aiuole è il cortile intermedio, chiuso da un lato dalla Biblioteca Sistina e dall’altro dalla scalinata a doppia rampa nella quale è inserito il ninfeo. Entrambi questi cortili risultano dalla legenda utilizzati come «giardini di agrumi» e vengono definiti rispettivamente «Intimum pomarium malorum aereorum cum scatabris et fontibus, a Paulo V» al numero 39 e «Pomarium inferus malorum aereorum cum suis aquarum fontibus, a Paulo V» al numero 63. La diffusione degli agrumi73 doveva essere estesa anche ad altre aree dei Giardini Vaticani, come lasciano supporre le numerose spalliere addossate ai muri di cinta, quale quello sottostante la loggia in direzione della città, a delimitare il lungo e stretto terrazzamento dove figurano la Fontana della Galera ed una regolare scansione delle aiuole, che poteva es-

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34, 35. G. Maggi, Vaticanum S. Petri Templum toto terrarum orbe celeberrimum cum adiunctis pontificum aedibus hortisque accurate delineatum ea omnia Paulus V Pont. Max. multis partibus amplificavit ornavitque, 1615, incisione, particolari.

36. Fritillaria (Fritillaria Imperialis L., e Fritillaria persica L.), Erbario Aldrovandi, BUB., Tav., vol. I, c. 79, p. 229 e c. 78, p. 229.

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sere ammirata anche dall’alto del camminamento. La presenza di agrumi nei giardini è confermata da alcuni pagamenti per la conduzione dell’acqua per innaffiare le «spalliere de cedri»74. Delimitato da muri ricoperti da spalliere, presumibilmente di agrumi, era inoltre il Giardino Segreto di Paolo III, visibile solo in parte nella pianta del Maggi che però fa riferimento solo alla porta d’accesso, contraddistinta dal numero 71. La sua configurazione appare molto diversa da quella tramandata dalle piante di qualche decennio precedenti, in quanto non è più raffigurato l’imponente pergolato che caratterizzava i due viali a croce, ma si scorgono solo aiuole geometriche con una bassa staccionata ed alberi a cadenza regolare. Si potrebbe supporre che nella veduta il pergolato sia stato trascurato, in quanto opera di un predecessore del pontefice che l’autore intende glorificare, oppure che, essendo riprodotto solo un settore del giardino, la proiezione del muro di cinta nascondesse alla vista il pergolato. Alcuni riferimenti al pergolato, contenuti in documenti dell’epoca di Paolo V, fanno peraltro ipotizzare che si trattasse di un elemento, benché tipicamente cinquecentesco, ancora presente: nel 1608 un falegname è compensato per generici lavori a «cerchiate», termine con il quale si intendeva il pergolato, senza identificarne la

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37. Narcisi (Narcissus tazetta L., e Narcissus tazetta L. ssp. Tazetta), Erbario Aldrovandi, BUB, Tav., vol. VII, c. 115, p. 246 e vol. VIII, c. 98, p. 248 .

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località, mentre un altro pagamento, sempre del 1608, è chiaramente riferito al «Cortile delle Statue», dove vengono realizzate «cerchiate» nelle quattro aiuole, con «alberi di lauri»75. Altri riferimenti alla presenza di «cerchiate» sono in un «viale novo» che conduce dalla Casina di Pio IV al Giardino Segreto76, ma non se ne ha nessun riscontro iconografico nella veduta di Maggi, a meno che non fosse anch’esso situato nella parte occultata dai muri di recinzione. L’articolata e composita organizzazione del vasto spazio verde in una pluralità di giardini con caratteri diversificati, attestata dalla veduta di Maggi e, in parallelo, gli elenchi di piante che sono inclusi tra le carte di Faber, fanno supporre la presenza, in Vaticano, di giardini di fiori come era di moda nel Seicento, e in particolare di numerose varietà di bulbose da fiore77. Le cosiddette «cipolle» erano, all’epoca, in gran considerazione e raggiungevano costi esorbitanti e molte varietà di esse ricorrono continuamente nelle carte di Faber. Ad esempio, in una lista di piante non datata, sotto la dicitura «seminati in Vaticano», sono elencate molte piante da fiore di carattere ornamentale e non medicinale, come tulipani di varie specie, gerani, digitali, canna indica, genziane, che fanno pensare all’esistenza di un giardino di fiori78. Si tratta peraltro di una accezione diffusa della denominazione di Giardino dei Semplici, spesso riferita sia a giardini con piante medicinali sia a quelli contenenti piante e fiori di carattere decorativo. Si veda, ad esempio, il Codice Casabona, che descrive un Giardino dei Semplici e contiene proprio in apertura la raffigurazione di un tulipano79. Come ha sostenuto Giorgina Masson, soprattutto in Italia con il termine semplici non ci si riferiva solo alle piante medicinali ma anche a quelle ornamentali80. Il «Giardino de’ semplici» del Vaticano compare citato nei documenti d’archivio per lavori ricorrenti, sicuramente su disposizione di Faber, che ne curava l’assetto e l’accrescimento. Per tutto il corso degli anni tra il 1608 e il 1615 ripetutamente si lavorava a fare compartimenti, cioè aiuole, nel citato giardino81. Dai carteggi conservati e a noi noti risulta che su argomenti botanici Faber fosse in corrispondenza e in contatto costante con altri cultori e collezionisti quali, ad esempio, Enrico Corvino, celebre speziale e

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botanico, che gli forniva piante, in particolare bulbi82. In una nota inviata nel mese di dicembre 1621, «Lista di piante date da Henrico Corvino per il giardino di B. videri», quindi chiaramente destinate al Vaticano, sono comprese sia piante medicinali quali l’assenzio, la ruta, lo psillo, la malva, la camomilla, l’agnocasto ma anche piante decorative e di pregio quali la nicotiana (Nicotiana tabacum, fiore simile alla pianta del tabacco, molto rara all’epoca perché proveniente dalle Americhe), la digitale, ranuncoli in varietà, iris, giacinti peruviani (probabilmente doveva trattarsi della scilla peruviana), e anche il trachelio, pianta di gran moda, denominata anche Lobelia cardinalis sia per il bel colore vermiglio del suo fiore sia come omaggio al cardinale Francesco Barberini, anche lui appassionato di fiori83. La destinazione ai Giardini Vaticani delle piante comprese nell’elenco è indubbia, come indubbio è il fatto che vi fossero piante medicinali e piante decorative, anche se presumibilmente destinate a settori diversi, a conferma che l’incarico di Faber fosse riferito ai Giardini nel loro complesso. Una lettera, purtroppo non datata, lascia intuire come il medico usasse il suo incarico per estendere il suo intervento nei giardini a tutto campo, ben al di là di quello che richiedevano interessi di carattere scientifico. Nella lettera, indirizzata al pontefice ed autografa, così Faber argomentava: «... volendo rimettere il Giardino de semplici ha bisogno di molti semi e diverse piante, quelle che troverà parte per andar fuori lui stesso, come ha fatto per il passato, parte in questa maniera, che V.S. si degni a dare ordine che si scriva a Nuncij Apostolici di Francia, Spagna, Venezia et altri luoghi per li quali detto oratore ha fatto le liste, di quelle sorte di herbe, che lì si trovano in quantità, e così si arrederà il Giardino senza spese. Supplica ancora che voglia commandarsi che il giardino sia racconciato mentre lo si fabbrica, ricercando questo il bisogno di decoro del luoco, promettendo esso oratore ogni diligenza di mantenerlo che V.S. lo habbia soddisfatione84». In un altro volume delle carte di Faber85, quindi non direttamente collegati alla citata lettera, sono conservati accurati elenchi di piante, ognuno dei quali ha l’intestazione di un Paese. Si può facilmente presumere che si tratti proprio delle liste da

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38. Tulipano (Tulipa clusiana), BAV, Barb. Lat. 4326, fol. 24.

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lui predisposte, destinate ai nunzi apostolici, con le relative richieste. Vi sono infatti comprese liste per la Spagna, per le Fiandre, per la Francia, per Venezia, per Costantinopoli, per Napoli e per l’Egitto, che denotano la vastissima conoscenza del medico-botanico, in grado di individuare per ogni Paese le varietà più pregiate e rare che vi si trovavano, tra le quali sono compresi, ad esempio, anche gli ananas e alcune piante dai nomi coloriti e difficilmente individuabili come un «arbor triste dell’India»86. Si tratta, ancora una volta, di piante che non potevano essere destinate solo al Giardino dei Semplici in senso stretto, ma anche agli altri giardini presenti nell’area vaticana, in quanto accanto ad esemplari rari ed esotici di piante da fiore, sono inclusi anche alberi di dimensioni considerevoli. Non sappiamo se la geniale idea escogitata da Faber per ottenere senza spesa le piante più ricercate abbia avuto successo, in quanto tra i documenti esaminati non sono stati trovati riscontri su una partecipazione dei nunzi all’arricchimento dei Giardini Vaticani, ma si trattava peraltro di una pratica in uso, come è attestato dalla precedente esperienza di Michele Mercati, che già aveva utilizzato i rappresentanti del pontefice per rifornirsi di piante pregiate, in particolare dalla Spagna che all’epoca era il tramite con le Americhe87. Che anche nel Seicento tale pratica fosse diffusa è documentato, inoltre, dall’invio, da parte del cardinale Guido Bentivoglio, nunzio pontificio a Bruxelles, di bulbi pregiati al cardinale Scipione Borghese, nipote del papa, e destinati ai giardini che questi stava realizzando nella sua Villa Pinciana88. Peraltro un mandato di pagamento individuato nella mole dei documenti d’archivio riferita ai lavori ai Giardini Vaticani, risalente proprio agli anni del pontificato Borghese in quanto datato 26 ottobre 1613, attesta chiaramente l’arrivo di bulbose da fiore dalle Fiandre e da Costantinopoli89. Purtroppo non è specificato di quali piante si trattasse, ma sicuramente da Costantinopoli e dalle Fiandre arrivavano, in particolare, i tulipani. Proprio in quegli anni, infatti, i tulipani stavano conoscendo una enorme popolarità, scambiati e commerciati in innumerevoli varietà, frutto di incroci e sperimentazioni spregiudicate, dando luogo a quel fenomeno noto come «tulipomania», che avrebbe condotto in

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breve ad una lievitazione tale dei prezzi dei bulbi da rasentare una crisi economica proprio nelle Fiandre90. Oltre a richiedere l’invio di piante da tutta Europa, Faber si occupava in prima persona della raccolta di esemplari da impiantare nei giardini del pontefice, tanto che vi è notizia di un suo soggiorno a Napoli, nel 1608, a tale scopo91 e nel 1609 è documentato un suo viaggio ad Ostia92. Celebre è rimasta nelle cronache dell’Accademia dei Lincei l’escursione sul Monte Gennaro, presso Tivoli, organizzata da Federico Cesi il 12 ottobre 1611 in compagnia, oltre che di Faber, di Teofilo Muller, Enrico Corvino e Giovanni Schreck, alla quale Faber allude in una sua lettera, riferendo che lo scopo era quello di

provvedere alla «plantarum collitione» e ricorda il suo ruolo di «simpliciarius pontificius»93. Certamente alla base della sua attività di «giardiniere» pontificio vi era la rete di scambi con collezionisti romani, ma non solo, che Faber aveva organizzato. Abbiamo già accennato ai suoi rapporti con Enrico Corvino94, del quale tra le carte di Faber si conservano numerose lettere, molte riferite a forniture di fiori, in particolare di bulbi, destinati ai Giardini Vaticani. Altrettanto interessanti sono gli scambi epistolari su temi botanici con Ferrante Imperato95, con Teofilo Muller96, con Carlo Faccaro, e con proprietari di giardini quali Ferdinando di Baviera,

39. Ranuncoli (Ranunculus asiaticus L.), BAV, Barb. Lat. 4326, fol 70.

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40. Tageti, (Tagetes erecta L.), Erbario Aldrovandi, BUB, Tav., vol. IV, c. 312, p. 239.

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il conte di Fürstenberg, la principessa Polissena di Venosa, Monsignor Capponi, il cardinale Francesco Barberini97 e Alessandro Rondanini il cui giardino romano doveva essere di grande interesse a giudicare dalle piante che vi erano coltivate98. Probabilmente Faber prestava la sua opera di esperto «giardiniere» anche in alcuni giardini privati romani, come lasciano intendere la sua copiosa corrispondenza proprio con Alessandro Rondanini ed un interessante elenco di piante destinato al cardinale Lanfranco Margotti, proprietario della splendida villa situata presso il Colosseo, oggi nota come Villa Silvestri Rivaldi99. Ovviamente la figura di Faber non poteva essere ignorata negli scritti di Giovan Battista Ferrari, i cui trattati costituivano riferimento fondamentale per tutti gli appassionati di botanica dell’epoca100. Faber viene citato da Ferrari quale semplicista pontificio e membro dell’Accademia dei Lincei, ma il riferimento ai Giardini Vaticani dove lavorava è estremamente sintetico, soprattutto se confrontato alle notizie riservate ad altri giardini romani101. Così Ferrari li descrive, accomunandoli con quelli, ugualmente di pertinenza pontificia, del Quirinale: «Hora sì come nello stesso Quirinale, e nel vaticano, si veggono con maestà fioriti, e adorni i due Giardini de’ Pontefici, piantati quivi a sgravar loro il peso delle cure pastorali; così il sembiante di quelli è non meno maestoso nel lavoro dell’effigiate gemme, che gli rappresentano»102. Di fatto Ferrari pubblicava il suo primo trattato nel 1633, quando Faber era già morto, e forse anche la difficoltà di accesso ai Giardini

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Vaticani può giustificare questo conciso cenno che non rende certo l’idea della bellezza e della varietà che li caratterizzava all’epoca. Nel 1627 Faber risultava ancora nei ruoli dei salariati alla corte di Urbano VIII, nella lista degli «offiziali maggiori» quale semplicista103, ma non si hanno notizie successive sulla sua attività. Alla morte di Faber, nel 1629, gli era succeduto nell’incarico Pietro Castelli, che però fu attivo solo per pochi anni, scegliendo poi di trasferirsi a Messina per divenire curatore del locale Orto Botanico. Un documento del 1637 ne attesta la presenza nei ruoli del pontefice, con lo pseudonimo da lui usato di Tobia Aldini104, nella lista degli «Officiali minori», come semplicista e «soprastante à Belvedere»105. Nonostante gli interessi comuni e l’amicizia condivisa con Enrico Corvino (cognato di Castelli), risulta che i rapporti tra i due fossero pessimi, tanto che Castelli ha lasciato scritto in una lettera del 1626: «Io: quidam Faber non ausus mecum in aciem discendere»106. Con la committenza di Paolo V e con la presenza di Johannes Faber i Giardini Vaticani avevano conosciuto un periodo di grande splendore e fervore innovativo. I Giardini ne risultavano profondamente arricchiti sia dal punto di vista botanico che delle fabbriche, assumendo una configurazione destinata a permanere pressoché immutata per oltre due secoli. Nessun altro pontefice, nei secoli successivi, avrebbe introdotto altrettanti abbellimenti e innovazioni, limitandosi a gestire l’esistente e ad introdurre modifiche limitate, dettate dal mutare dei gusti.

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18. Museo detto del Braccio Nuovo. 19. Il colonnato di piazza San Pietro. m.: Fontana delle Api

8. Il Cortile delle Statue trasformato in Cortile ottagono da Michelangelo Simonetti

Capitolo sesto TRA SEICENTO E SETTECENTO: PRATICHE DI GIARDINAGGIO E INNOVAZIONI BOTANICHE

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A fronte: 1. Fontana di Belvedere (Fontana delle Api), incisione, da D. Parasacchi, Raccolta delle principali fontane dell’inclita città di Roma, 1647.

La grande stagione dei Giardini Vaticani si conclude con gli interventi commissionati da papa Paolo V Borghese (1605-1621). Successivamente nessun pontefice avrebbe intrapreso nuove consistenti realizzazioni, limitandosi a modificare in misura parziale l’esistente o ad introdurre modesti abbellimenti, privilegiando la residenza del Quirinale a scapito del Vaticano. Nei mesi estivi i pontefici si spostavano nelle ville suburbane della campagna intorno alla città, spesso proprietà della propria famiglia, che offrivano loro frescura ma anche svaghi e occasioni di isolamento dalle cure del governo. Solo dopo l’unità d’Italia la Cittadella vaticana sarebbe di nuovo divenuta residenza permanente dei pontefici e quindi i Giardini oggetto di nuove cure, ma ormai il tempo delle grandi realizzazioni era irrimediabilmente concluso: gli interventi attuati furono comunque di scarso impatto sull’assetto ormai storicizzato e interessarono in prevalenza le aree rimaste allo stato rurale. Dopo il breve pontificato di Gregorio XV Ludovisi (1621-1623), che si era dedicato quasi esclusivamente alla villa di famiglia, sorta nel sito degli antichi Horti Sallustiani e sfortunatamente distrutta alla fine dell’Ottocento1, nel 1624, al momento dell’insediamento del pontefice Urbano VIII (1624-1644), i Giardini si presentavano articolati in quattro settori distinti, ognuno con una propria fisionomia e caratterizzazione, ben evidente nella bella veduta di Giovanni Maggi del 1615, che ha immortalato un assetto destinato a durare per molti decenni a seguire. A ridosso delle mura della città, iniziando dal colle settentrionale del Belvedere, si incontrava in primo luogo il giardino con alberi, spalliere ed aiuole attorno alla Fontana della Galera, disposto sul lungo terrazzamento sostenuto dalle mura; seguivano i giardini all’interno del Cortile del Belvedere e del Cortile delle Statue che, nonostante la musealizzazione, avevano conservato l’impianto con aiuole ge-

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ometriche ed alberi di agrumi; tra la Casina di Pio IV e la cinta di mura in direzione di Monte Mario VI era un’area di giardini formali in successione, costituita a nord dal giardino terrazzato di Clemente VII, dal Giardino Segreto di Paolo III, tutto chiuso da muri, e infine dal Giardino dei Semplici, con aiuole regolari, davanti alla Casina; tutta la collina retrostante, fino alla sommità delimitata dai bastioni, era occupata dal bosco, unica porzione del parco che non aveva subito importanti alterazioni nel corso degli ultimi due secoli. Oltre la divisione costituita dalle antiche Mura Leonine, ma pur sempre all’interno della cinta vaticana, sono rilevabili alcuni appezzamenti coltivati, con molta probabilità, ad orto e a vigna. Urbano VIII, al secolo Maffeo Barberini2, era notoriamente un appassionato di giardini ed un esperto collezionista di fiori esotici e rari. I giardini della residenza di famiglia, il Palazzo-Villa nei pressi del Quirinale, erano tra i più celebrati del tempo, oggetto di ammirate e dotte descrizioni3. A lui si deve il primo impulso per la creazione di quella che sarebbe diventata la residenza estiva per eccellenza dei pontefici, la Villa di Castel Gandolfo4: a partire dal 1614, ancora cardinale, egli aveva infatti acquistato terreni e avviato lavori di sistemazione di un casino non grande ma dotato di un giardino, dove sembra abbia cominciato a soggiornare già dal 1618, su consiglio dei medici che avevano suggerito il clima di Castel Gandolfo come il più adatto per la sua salute. Anche dopo essere stato eletto al trono pontificio, mantenne l’abitudine a lunghi soggiorni in quella residenza, fino al 1637, quando l’aggravarsi delle condizioni di salute non gli permise più di allontanarsi da Roma5. Nonostante queste dichiarate preferenze, un segno del suo passaggio nei Giardini Vaticani è testimoniato dalla piccola ma graziosa Fontana delle Api, quasi un richiamo a quella, ben più celebre, realizzata da Gian Lorenzo Bernini nella piazza romana che porta il

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2. La Fontana delle Api.

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nome della famiglia del pontefice. La piccola Fontana vaticana, inizialmente collocata sulla rampa che dal Cortile del Belvedere conduceva ai Giardini e fatta realizzare dal pontefice per canalizzare una sorgente scoperta in quel luogo6, è stata di recente trasportata nei pressi dell’ingresso alla cittadella vaticana da Porta Sant’Anna. L’ideazione è stata attribuita dal figlio Domenico a Gian Lorenzo Bernini7, mentre l’esecuzione è dovuta a Francesco Borromini che, nel 1626, riceveva 112 scudi per una «chu(n)chiglia con cinque ape, tre gettano l’acqua; et dalle bande del monte nasce doi tronconi di lauro, che gettano l’acqua da doi tronchi; una iscrittione con sopra il sole et attorno doi festoni cartocci et una mascara»8. La fontana consiste, infatti, in una semplice vasca centinata addossata a muro, sormontata da una lastra in marmo sulla quale sono scolpite roccaglie, rami di alloro, ghirlande di frutti e cinque api, simboli araldici della famiglia Barberini, tre delle quali gettano acqua. Nel registro superiore vi è un’iscrizione all’interno di un elaborato cartiglio sormontato dal rilievo di un sole, emblema anch’esso solitamente associato ad Urbano VIII. La fontana aveva attirato l’attenzione di John Evelyn, durante una sua visita ai Giardini intorno al 1640, il quale ha lasciato una dettagliata descrizione dei getti d’acqua sgorganti dalle proboscidi delle api, riportando l’iscrizione che ancor oggi si legge, costituita da alcuni versi dettati, probabilmente, da un poeta dell’entourage del pontefice: «Quid miraris Apem, quae mel de floribus haurit? \ Si tibi mellitam gutture fundit aquam»9. Dopo l’omaggio alla Fontana commissionata dal pontefice regnante, Evelyn lodava anche la collezione di sculture, la grande Pigna, le numerose fontane dei Giardini, in particolare quella con il bacino marmoreo proveniente dalle Terme di Tito che ornava il Cortile del Belvedere, quindi le grotte, i giochi d’acqua, la cascata dove si trovava la Galera, le innumerevoli invenzioni spettacolari, le terrazze, le passeggiate, gli alberi da frutta e le prospettive su gran parte della città. La visita e il relativo resoconto di Evelyn costituiscono una testimonianza importante, in quanto attestano l’inserimento dei Giardini Vaticani nel tour dei viaggiatori stranieri e quindi il riconoscimento del loro ruolo di veri e propri musei all’aperto, degni di

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essere visitati non solo per le opere d’arte che vi erano disposte ma anche per le sistemazioni a verde e per le piante pregiate che vi erano coltivate. Sebbene non vi siano documenti che lo attestino con certezza, molto stretti dovettero essere i rapporti del pontefice Urbano VIII con il simpliciarius pontificius che già da tempo si occupava dei Giardini Vaticani, quel Johannes Faber di Bamberga, membro dell’Accademia dei Lincei e legato alla cerchia di studiosi che da cardinale aveva intensamente frequentato. Possiamo presumere che molti degli interventi di Faber, soprattutto l’introduzione di esemplari di fiori rari e pregiati, in particolare dei bulbi, siano avvenuti per suo volere o certo con la sua interessata partecipazione, ma non ne abbiamo alcun riscontro documentario, in quanto le carte di Faber10 sono in gran parte senza datazione e quindi di difficile collocazione temporale. Per quanto Urbano VIII, nel corso del suo lungo pontificato, non vi abbia aggiunto ulteriori abbellimenti, i Giardini dovevano comunque essere splendidi ai suoi tempi, ma di lì a pochi anni molti cambiamenti, e non in positivo, sarebbero avvenuti. Il suo successore, Innocenzo X Pamphilj (1644-1655), si dedicò principalmente ad assicurare visibilità alla propria famiglia con la splendida residenza di città a piazza Navona, con la villa suburbana fuori Porta San Pancrazio11 e a creare quel «principato» anomalo che fu San Martino al Cimino, nel viterbese, patria della potente ed influente cognata, Donna Olimpia Maidalchini12. Non risulta invece che abbia prestato attenzione alla residenza vaticana che, possiamo supporre, venne mantenuta inalterata. Nel 1659, con il pontefice Alessandro VII Chigi (1655-1667), avvenne un cambiamento considerevole: il celebre Orto Botanico Vaticano, quel Giardino dei Semplici curato da personalità illustri che vi avevano introdotto piante e fiori esotici e rari, fu sostituito da un nuovo Orto Botanico, in un’area più ampia, realizzato al Gianicolo13. I Giardini Vaticani perdevano così la connotazione scientifica che, unitamente all’amenità del luogo, li aveva posti come modello d’avanguardia fin dal Medioevo. Scompariva per sempre quella caratteristica di luogo d’eccellenza

dove si potevano vedere piante mai viste in città, effettuare studi di botanica e medicina in collegamento con l’Università, avviare sperimentazioni e approfondire quegli interessi naturalistici che proprio qualche decennio prima l’Accademia dei Lincei aveva avviato con tanta passione14. Nella seconda metà del Settecento l’esperienza dell’Orto Botanico Vaticano sembrò rinascere, ma si trattava di una parentesi temporanea, destinata a chiudersi in breve tempo e definitivamente, sancendo la fine di ogni velleità scientifica e riconducendo i Giardini alla supervisione

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e cura di personalità modeste e non più collegate con l’Università e con il mondo della ricerca. Indubbiamente la cittadella vaticana, ed in particolare la Basilica, devono alla volontà di papa Chigi due interventi di grandissimo rilievo, quali il colonnato di Gian Lorenzo Bernini e la Scala Regia, ma nel campo dei Giardini non sembra sia stato profuso nessun impegno. Anche i Chigi, come sappiamo, avevano splendidi possedimenti sia a Roma, sia nella regione d’origine, la Toscana, sia nei pressi di Roma, dove si trovava la grandiosa residenza di Ariccia: un palazzo

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maestoso circondato da un enorme parco15. Il pontefice inoltre, oltre ad usare le residenze di famiglia, soggiornava a Castel Gandolfo per lunghi periodi. Agli anni immediatamente successivi al pontificato Chigi risale una descrizione dei Giardini Vaticani davvero impietosa, ad opera di un anonimo viaggiatore francese che, in visita a Roma nel 1676, ne descrive bellezze e limiti. La guida, rimasta a lungo inedita e pubblicata solo di recente16, rivela chiaramente l’origine francese del viaggiatore, in quanto i Giardini Vaticani sono paragonati alle splendide e regali creazioni di Le Nôtre e a parchi quali Versailles, Les Tuileries, Chantilly, Vaux, Sceaux e altri celebri giardini di Francia. Al confronto con i viali maestosi, con gli elaborati parterres e con le cascate d’acqua spettacolari di quei giardini, i «piccoli sentieri» dei giardini romani apparivano al visitatore ben misera cosa e gli risultava insopportabile la calura che penalizzava sia gli uomini sia le piante, consentendo la coltivazione di una limitata varietà di fiori. A confronto con altri giardini romani, come Villa Montalto o Villa Pamphilj, che si erano adeguati al gusto francese, i Giardini Vaticani erano rimasti fermi all’assetto del primo Seicento, per cui, concludeva l’anonimo visitatore, «nei giardini del vaticano, per quanto sia grande la loro fama, non vi si troverà nulla che possa suscitare lo stupore di chi è abituato a vedere i giardini, anche quelli più comuni, dei dintorni di Parigi». Il giudizio negativo, evidentemente dettato dall’origine francese e dall’adesione ad un modello di giardino da percorrere in carrozza con uno stuolo di accompagnatori, con ai lati elaborati parterres fioriti, appare peraltro ingeneroso nei confronti dei Giardini Vaticani che, seppur non all’ultima moda, dovevano comunque offrire più di un motivo di interesse. Proprio negli stessi anni ai quali risale la visita dell’ignoto turista francese, sono state pubblicate le due incisioni di Giovan Battista Falda17 che permettono di verificare quanto e come i Giardini fossero cambiati dai tempi di papa Borghese e come risultassero comunque dotati di un assetto di grande interesse. Si tratta di una pianta e di una veduta prospettica, dal cui confronto ed interrelazione risulta possibile «leggere» con una certa precisione il disegno dei Giardini. Mentre la pianta riproduce tutta l’esten-

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3. G.B. Falda, Pianta di Roma, 1676 ca., incisione, particolare con il Vaticano.

sione della cittadella vaticana e permette di rilevare la delimitazione tra zona a delizia e zona rustica, la veduta prospettica è invece limitata ai soli Giardini, delineati con grande precisione e cura del dettaglio, e dotata di una legenda delle «cose notabili».18 L’elemento che risulta con più evidenza nell’area dei Giardini è la continuità della compresenza di assetti formali ed informali. Come nella pianta di Maggi delineata più di mezzo secolo prima, le aiuole squadrate e nettamente delimitate da viali rettilinei si alternano a boschetti attraversati da vialetti sinuosi; i giardini propriamente detti, comprendenti sia i boschetti ornamentali sia le aiuole, appaiono nettamente delimitati dalla cinta muraria leonina, oltre la quale vi era la parte agricola, con le vigne e gli orti riservati ai prodotti per la tavola, secondo una partizione che, come abbiamo visto, è una costante nei Giardini Vaticani. Nella pianta di Falda tutta la vasta area retrostante la Basilica non presenta tracce di sistemazioni a delizia,

4. G.B. Falda, Pianta et alzata del Giardino di Belvedere del Palazzo Pontificio in Vaticano, 1676 ca., incisione.

ma alterna casupole e appezzamenti coltivati, come peraltro si vedeva anche nella pianta del Maggi. Le trasformazioni più evidenti sono in alcuni settori dei Giardini: le aiuole intorno alla Fontana della Galera sono ormai sostituite da boschetti, mentre il Giardino dei Semplici antistante la Casina di Pio IV non ha più le aiuole allineate in diversi filari ma disposte secondo un disegno stellare di vialetti destinato a comparire costantemente anche per tutto il secolo successivo e che si ribalta anche sul retro, nel boschetto. Il disegno delle aiuole appare più elaborato, come è ben visibile nella veduta prospettica che pone in primo piano proprio questo settore: all’interno delle delimitazioni con siepi di bosso si intravedono elaborati disegni di fioriture con alberi, tra i quali sono identificabili alcune palme, la cui presenza è enfatizzata e riprodotta per la prima volta, sebbene da una testimonianza di una visita risalente all’anno 1600 risulti che già allora ve ne fosse più di una varietà19. Le aiuole non occupano solo

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la parte pianeggiante del terreno, ma anche il dosso ai lati che, nonostante la notevole pendenza, è ripartito in riquadri geometrici coltivati, probabilmente a fiori, e delimitati da siepi rigorosamente squadrate. Vi è accanto una fontana, che sembra composta da un bacino a terra e da due catini sovrapposti, secondo uno schema che ricorda la Fontana della Panetteria. La legenda annessa alla pianta di Falda, al numero 13, la denomina «Fontana de gli Specchi», denominazione di un’altra fontana che sappiamo trovarsi in prossimità, ma che aveva decisamente un altro aspetto. Il viale che conduce dalla Fontana del Sacramento o delle Torri a quella dell’Aquilone o dello Scoglio, nella pianta contraddistinte dai numeri 11 e 12, è scandito da un compartimento lungo e stretto di aiuole, con elaborati disegni a rombi e cerchi, forse ottenuti con la sapiente manipolazione delle siepi secondo i precetti dell’ars topiaria. Il giardino di Paolo III si presenta ancora una volta diverso: se già nella veduta

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5. Le spalliere di agrumi, da G.B. Ferrari, Hesperides, sive de aurearum malorum cultura et usu, Roma 1644, Tav.

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6. Agrumi, da G.B. Ferrari, Hesperides, sive de aurearum malorum cultura et usu, Roma 1644, Tav.

di Maggi non vi era più la pergola centrale a crociera, sostituita da aiuole regolari, ognuna con un albero al centro, nella pianta di Falda vi sono solo quattro grandi aiuole, delimitate da alberi, probabilmente di agrumi, posti lungo tutti i bordi, ma ha conservato la denominazione di «Giardino secreto». Il Cortile del Belvedere appare sistemato a giardino nei due terrazzamenti superiori (gli attuali Cortile della Pigna e Cortile della Biblioteca), mentre la parte inferiore, più vasta, ospita solo la monumentale fontana ripristinata dal pontefice Paolo V. La veduta e la pianta di Falda sono comunemente riferite all’anno 1676 e proprio a partire dall’anno successivo, nei registri della Computisteria Apostolica, figurano appositi quaderni dal titolo Rincontro di Giardini, nei quali sono meticolosamente descritti tutti gli interventi effettuati nei Giardini Vaticani, mese per mese, anno per anno, fino al 1740. Nonostante il numero progressivo dei registri non subisca interruzioni, da quell’anno i pagamenti non sono più annotati fino al 1795, quando riprendono con regolarità per cessare poi bruscamente il 13 febbraio 1798 e questa volta non a caso: a Roma si era instaurato il governo francese, era stata proclamata la Repubblica Romana e il pontefice ne era ostaggio, non era quindi più tempo per occuparsi dei Giardini20. Ma lo scorrere le pagine che, per oltre un secolo, sia pur con una consistente interruzione, hanno fotografato la vita dei Giardini, consente di ripercorrerne la storia, di trarne molte utili informazioni sia sulle piante messe a dimora sia sulle tecniche di coltura21. Questa importante fonte documentaria è integrata da alcune descrizioni dei giardini, degli orti e delle vigne redatte in occasione di consegne a giardinieri o a vignaroli, che si susseguono dal 1677 alla prima metà del secolo successivo. La prima considerazione che emerge da questi documenti è l’abbondanza di agrumi presenti nei giardini: agrumi in vaso, a spalliera addossati a muri in cassettoni o piantati in terra e di tante varietà diverse, quali melangoli, portogalli, cedri, lime, calabresi, ai quali venivano dedicate cure costanti. Oltre ad innaffiarli, potarli e nettarli, al cambiare delle stagioni venivano regolarmente effettuate le necessarie operazioni di protezione che impegnavano notevolmente i giar-

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dinieri. All’inizio dei freddi, in genere entro il mese di novembre, gli agrumi in vaso venivano ricoverati in apposite aranciere, mentre quelli a spalliera, mediante un complesso sistema di coperture, venivano protetti dai rigori dell’inverno. Alla struttura in legno delle spalliere, composta da «filagne» di castagno con sopra travicelli di dimensioni minori, alla quale erano addossate le piante, venivano legate con vimini delle stuoie, in modo da creare un tunnel coperto e protetto, denominato «cocchio». Le stuoie potevano essere alzate per permettere agli agrumi, nelle belle giornate e nelle ore più calde, di essere irraggiati dalla luce del sole. Nelle nottate più fredde, quando la protezione delle stuoie non era sufficiente a scongiurare i danni delle gelate, si usava porre all’interno dei cocchi dei bracieri con braci accese, in modo da stemperare il rigore dell’aria22. Si trattava di tecniche ampiamente diffuse nei giardini di agrumi e che erano state codificate anche nel trattato dedicato a questi frutti dal gesuita ed esperto botanico Giovan Battista Ferrari, pubblicato nel 164423. La cura riservata agli agrumi era indice dell’importanza che a queste piante veniva riconosciuta all’epoca, anche in gran considerazione del loro valore simbolico, come continuazione di una tradizione che datava fin dalle origini dei Giardini Vaticani. Non solo gli agrumi esistenti venivano curati con assiduità ma se ne acquistavano nuovi esemplari, forse per integrare le spalliere esistenti, come nell’inverno del 1679 quando diversi esemplari erano «secchi per causa della gelata» nonostante le protezioni24. Sono registrati pagamenti per acquisti di agrumi nel 1686, di nuovo nel 1723 e nel 172525. Durante il pontificato di Clemente XI Albani (17001721), vengono effettuati interventi di abbellimento dei Giardini, per una spesa di ben 323 scudi e con la supervisione di celebri architetti come Carlo Fontana e Giovan Battista Contini26. Si tratta di pagamenti agli scalpellini per aver realizzato prima 34, poi altri 26 piedistalli in travertino per fare da sostegno ad altrettanti vasi con agrumi, destinati al Giardino Segreto, termine con il quale non si intendeva più il giardino realizzato da Paolo III, ma il Cortile della Pigna, come viene chiarito in un ulteriore documento27. Ogni piedistallo era lavorato accuratamente dal capomastro scalpel-

lino Giuseppe Luraghi, e sui quattro lati venivano alternativamente scolpiti gli stemmi del pontefice: le due stelle e i tre monti. Altri otto piedistalli, simili ma di maggiore grandezza, venivano realizzati per essere collocati attorno alla fontana al centro del giardino. L’intervento è confermato in un altro documento, nel quale sono riassunte le imprese di Clemente XI28, quando viene ricordata la realizzazione dei basamenti sotto i vasi di agrumi nel Giardino Segreto, nel quale, inoltre, sotto la «gran pigna di metallo dove si conservano le ceneri di Adriano Imperatore», era stato posto un «bel piedestallo antico con bassi rilievi»29. Sempre nel medesimo Giardino Segreto, dopo aver «ristabilito le muraglie», erano stati realizzati «bellissimi spargimenti de busso alla francese», cioè elaborati parterres, come è documentato da incisioni dell’epoca, tra le quali quella di Francesco Pannini, nella quale si scorge la Pigna su un piedistallo istoriato, i vasi con agrumi tutt’attorno

e al centro le aiuole ad arabesco. Lo stesso documento attribuisce a Clemente XI i restauri alla Casina di Pio IV, compresi affreschi e mosaici, il restauro dei dipinti di Andrea Mantegna nel Palazzetto del Belvedere di Innocenzo VIII ed infine alcuni interventi nel Cortile delle Statue, con il trasporto nelle sale interne dell’Apollo e la reintegrazione di altre statue. Possiamo dedurre che alla realizzazione del parterre nel Cortile della Pigna, evidentemente all’epoca definito «Giardino Segreto», si riferisca un pagamento dell’anno 1706, quando risultano piantati «tutti li spartimenti fatti di nuovo nel giardino segreto di Belvedere» con il bosso preso per farli dalla Villa del principe Pamphilj30. Alcuni anni dopo altre piante di bosso venivano acquistate per «risarcire li rabeschi e spartimenti e farne di nuovi» e, credibilmente, sempre per il Cortile della Pigna31. Sempre dal Rincontro di Giardini risulta che vi fossero piante di gelsomini, di rose, mugherini (cioè

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mughetti), tuberose, garofani, giunchiglie e vasi con fiori non specificati e senza riferimenti a siti definiti. Nel 1693 tra le piante presenti sono citate diciannove cassette di tulipani, a testimoniare la continuità della grande popolarità di quel bulbo dai primi decenni del secolo, insieme a gelsomini, a cassette con «lilii convalli», cioè Lilium convallium, o mughetti, quindi cassette di «Persa», come veniva definita la maggiorana (Majorana hortensis), perché proveniente dall’Oriente e «gigli della Madonna» (Lilium candidum), pianta dalla chiara simbologia religiosa32. Ma vi erano anche, in abbondanza, alberi da frutto, soprattutto peri (di questi ne vengono comprati 300 per fare un «piantamento») e peschi, che spesso venivano fatti venire da Firenze. Il parco ospitava anche un’azienda agricola di tutto rispetto, come fa supporre la presenza di un gallinaro, di vigne (vi erano salariati che regolarmente le vangavano), di orti seminati a fagioli, ceci, fave e di un uliveto nel quale nel 1744 vengono piantati ben 800 ulivi, per una spesa di scudi 360. Le fragole dovevano essere particolarmente gradite al pontefice ed alla curia, poiché ogni anno, con grande regolarità, venivano piantate decine di migliaia di piantine che ricevevano poi assidue cure ed acqua. Oltre al capo giardiniere, che riceveva un compenso di 6 scudi mensili, vi erano lavoratori con diverse qualifiche, in particolare sono citati «lavoranti in forbice», «lavoranti di pala», «frattaroli», «spallieranti», che per tosare le spalliere alte usavano appositi «castelli» in legno. Ogni anno, nel mese di maggio, in coincidenza con la festività del Corpus Domini, tutti i giardinieri provvedevano a raccogliere fiori e foglie in quantità nei giardini per spargerli durante la processione. Il domenicano Benedetto XIII (1724-1730), della famiglia degli Orsini, non amava le villeggiature in villa e risiedeva stabilmente in Vaticano. Non abbiamo notizie di suoi interventi nei Giardini ma sappiamo che li frequentava assiduamente, tanto che nei registri dei Giardini si ripete di frequente la disposizione della pulizia dei viali del bosco dove Sua Santità passeggiava33. Sotto Benedetto XIV (1740-1758) della famiglia Lambertini, all’ala orientale del Cortile del Belvedere vennero aggiunti dei contrafforti e dal lato meridionale, verso i Palazzi, fu aggiunta un’esedra in muratura con al centro un’edicola a nicchia, alterando definitivamente il teatro ideato da Pirro Ligorio. «Per essere il detto Teatro» riferiva Chattard, «in parte dirupato, particolarmente nelli seditori e branchetti di scale, nell’anno 1755... cangiò e forma e figura»34. Non abbiamo riscontri documentari ma da una interessante raccolta di disegni per giardini, di recente resa nota, risulta che il pontefice avesse una splendida Villa a Pianoro, presso Bologna, sua città d’origine, e che il giardiniere che la aveva realizzata, Antonio Scardin, nel 1746 sia venuto a Roma per prestare servizio nei Giardini Vaticani35. Un dettagliato documento che ci permette di verificare l’assetto dei Giardini durante il pontificato di papa Lambertini, è costituito dalla pianta di Giovan Battista Nolli, edita nel 1748 e la cui attendibilità è stata ampiamente dimostrata36. Anche Nolli sancisce e conferma la divisione in due settori, il giardino propriamente detto, compreso tra le Mura Leonine ed i bastioni verso Monte

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7. F. Pannini, Il Cortile della Pigna, incisione, fine XVIII secolo.

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8. G.B. Nolli, Pianta di Roma, 1748, particolare con il Vaticano.

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Mario, denominato «Giardino Pontificio», e l’area agricola che occupava tutto lo spazio compreso tra l’abside della basilica di San Pietro e la cinta muraria a confine con la città. Quest’area, attraversata da una strada carrozzabile (il vicolo Scaccia che ci è noto da alcune cronache) era suddivisa in «Orto della Fabbrica di San Pietro», «Vigna della Reverenda Camera», «Vigna di S. Spirito», mentre l’ampia fascia a ridosso dei bastioni, priva di denominazione, è raffigurata con il tratteggio che, nella pianta di Nolli, indica in genere la presenza di canneti. Oltre la delimitazione delle Mura Leonine, alle quali erano addossate numerose costruzioni di carattere rustico, anche il Giardino risultava suddiviso in diversi settori, ognuno dei quali ben caratterizzato. Nella parte della collina è raffigurata una fitta piantata di alberi che rende l’idea di quello che era denominato il boschetto; più in basso è riconoscibile la presenza della Fontana dell’Aquilone o dello Scoglio, con la grande vasca ellittica, accanto è delineato il giardino quadrangolare della Casina di Pio IV, con il bosco sul retro e la sistemazione formale con viali rettilinei a raggiera ed aiuole con un disegno di parterres davanti. Subito accanto, nettamente racchiuso da muri, è il Giardino Segreto di Paolo III, suddiviso in sedici aiuole regolari tutte con i parterres ad arabeschi. Vi si riconoscono due strutture, probabilmente i capannoni citati nei documenti dove venivano ricoverati i numerosi vasi di agrumi che sappiamo presenti in tutta l’area. Quelli che erano stati i giardini di Clemente VII (situati sul terrazzamento verso Monte Mario) e di Giulio III (nei pressi della Fontana della Galera) hanno definitivamente perduto la suddivisione in aiuole e sono variamente popolati da alberi. Una sistemazione a giardino con aiuole geometriche ed arabeschi caratterizza anche i due terrazzamenti superiori del Cortile del Belvedere e precisamente il Cortile della Pigna, definito non a caso da Nolli «Giardino della Pigna», e il più piccolo Cortile della Biblioteca. Una conferma dell’assetto documentato da Nolli è nelle vedute prospettiche del giardino antistante la Casina di Pio IV, a opera di Francesco Pannini (1725-post 1794) e di Giovan Battista Piranesi (1720-1778) che analogamente raffigurano nelle aiuole gli elaborati ghirigori

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di moda all’epoca, secondo quello che era definito il gusto «alla francese», seppur con qualche differenza: le aiuole nell’incisione di Piranesi, probabilmente di qualche decennio più antica, hanno un bordo in rilievo e fioriture al centro, mentre nell’incisione di Pannini vi sono semplici e basse piattabande di bosso che formano l’elaborato disegno. Negli anni successivi alcune modifiche nei Giardini furono introdotte per la costruzione di nuovi edifici, destinati ad ampliare gli spazi espositivi museali, sacrificando le aree a verde. Nella zona superiore dei Giardini, accanto al Belvedere e nel sito in parte occupato dal giardino di Clemente VII, fu avviata, nel 1771 sotto Clemente XIV, la costruzione di una nuova ala dei Musei, portata a compimento da Pio VI (1775-1799) e denominata Museo Pio Clementino. Anche il Cortile delle Statue, durante il pontificato di Clemente XIV perdeva il suo aspetto rinascimentale e veniva ridisegnato dall’architetto Michelangelo Simonetti, assumendo una forma ottagonale, dalle linee dichiaratamente neoclassiche, con un porticato scandito da colonne. I lavori si conclusero nel 1774, come è ricordato da un’iscrizione ancora in loco37. Dopo la cesura dal 1740 al 1795, il registro dei lavori nei Giardini38 sembra riprendere senza grandi variazioni: sono cambiati i nomi dei giardinieri ma il loro capo guadagna sempre sei scudi al mese, vi sono sempre gli «spallieranti» e i «lavoranti di pala», ma compaiono anche «operai di piazza», cioè personale chiamato saltuariamente per specifiche incombenze. Continuano ad essere piantati e innestati alberi da frutta, tra i quali anche albicocchi («bricocole»), le spalliere di agrumi vengono al solito coperte e scoperte, si coltivano sempre migliaia di piante di fragole. Le uniche novità di rilievo riguardano la presenza di ananas, pianta esotica di pregio, introdotta in Italia nel Settecento, e un consistente intervento di ripopolazione del bosco con giovani esemplari di lecci. In due riprese (ben 108 nel 1796 e altri 100 nel 1797) vengono infatti comprati «piantoni di licini per risarcire il bosco». A fronte di questa apparente continuità, va però segnalato un evento di una certa importanza per i Giardini Vaticani, da collocarsi alla fine degli anni

Ottanta del Settecento, cioè la costituzione, per la seconda volta, di un Orto Botanico di grande interesse. Si è già detto come, a partire dal 1659, per volontà di Alessandro VII Chigi fosse stato realizzato l’Orto Botanico del Gianicolo39, nei terreni situati dietro la grande Mostra dell’Acqua Paola, con il conseguente abbandono dell’Orto Vaticano che tanta importanza aveva avuto tra Cinquecento e prima metà del Seicento40. Intorno al 1788 si colloca l’iniziativa di una interessantissima figura per la cultura botanica di Roma: il reverendo Luigi Filippo Gilii (1756-1821) attivo in collaborazione con Gaspare Suarez41. Gilii era stato il primo in Italia ad illustrare le piante secondo il sistema linneiano42 e aveva cominciato a sperimentare, in un suo terreno ai piedi del Gianicolo, la natura e le proprietà degli esemplari provenienti da

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altre aree geografiche, in particolare dalle Americhe, finché ottenne di poter trasferire questa sua attività di ricerca in un appezzamento di terreno messo a sua disposizione nei Giardini Vaticani. Così egli stesso racconta la sua avventura: «L’elegante forma nella quale vedesi ridotto al presente questo nostro giardino, per l’acquisto che abbiamo fatto di uno più grande e migliore situato alla falda orientale del colle vaticano, di assoluta proprietà della R. Fabbrica di S. Pietro, lo dobbiamo a Mons. Giovanni Bufalini, che essendo attualmente economo della medesima Reverenda fabbrica, si compiacque a nostra istigazione così di ridurlo, con toglierne via alcune semidirute fabbriche non ad altro buone se non ad occupar terreno, e a privare lo stesso giardino di quella amena apertura nella quale vedesi ora restituito; e siccome un

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9. F. Pannini, La Casina di Pio IV, acquerello, fine XVIII secolo, collezione privata. A fronte: 10, 11. F. Pannini, La Casina di Pio IV, acquerello, fine XVIII secolo, particolari, collezione privata.

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A fronte: 12. Annona Squamosa, da F.L. Gilii e G. Suarez, Osservazioni fitologiche, Roma 1792.

qualunque giardino od orto che sia, di questa natura, e tutto dedicato alle botaniche osservazioni, merita di essere con qualche particolar nome conosciuto; così col nome di Orto Vaticano-Indico ci è piaciuto distinguere il nostro, avendo riflesso ed al luogo della sua situazione per molti capi celebratissimo, ed alle piante che in esso coltiviamo indigene la maggior parte delle indie sì orientali che occidentali»43. Il nuovo Orto Botanico non aveva nessun elemento di continuità con il precedente, in primo luogo in quanto era destinato alla coltivazione e allo studio di piante non mediterranee, in secondo luogo per la dislocazione, poiché si trovava in un sito totalmente diverso da quello, accanto alla Casina di Pio IV, occupato dal primo Orto Botanico Vaticano reso celebre da Michele Mercati e da Johannes Faber. Dalla descrizione di Gilii possiamo desumere che il nuovo Orto Botanico fosse collocato nell’area rurale situata dietro la Basilica, quella che nelle piante di Maggi del 1615 e di Falda del 1676 appare occupata da casupole e da appezzamenti di terreno coltivati. Purtroppo non abbiamo nessun documento iconografico che attesti l’assetto di questo orto ed anche le informazioni in merito sono estremamente scarse. L’Orto di Gilii è stato per la prima ed unica volta studiato da Monsignor Giuseppe Lais44, che un secolo dopo, negli ultimi anni dell’Ottocento, ha individuato nella Biblioteca Apostolica Vaticana alcune carte di grandissimo interesse, lasciate dallo stesso Gilii45. Quando Monsignor Lais scriveva, nel sito che doveva essere stato occupato dall’Orto del Gilii vi erano ancora una palma e alcune tracce di un viridario, testimonianze residue di quel breve episodio. Fortunatamente, tra le carte lasciate da Gilii, Monsignor Lais ha individuato dei materiali davvero eccezionali: si tratta degli elenchi completi di tutte le piante che venivano coltivate nell’Orto Botanico Indico-Vaticano, redatti nel 1794. Vi sono compresi, elencati in ordine alfabetico e alternando nomenclatura scientifica a denominazioni popolari, ben 658 esemplari di piante, per lo più esotiche e rare, che comprendono sia fiori sia alberi. Nel dedicare l’orto alle piante indiane, occidentali e orientali, Gilii non mentiva, in quanto negli elenchi da lui lasciati

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Alle pagine seguenti: 13. Myrica Cerifera, da F.L. Gilii e G. Suarez, Osservazioni fitologiche, Roma 1792. 14. Lippia Americana, da F.L. Gilii e G. Suarez, Osservazioni fitologiche, Roma 1792. 15. Kalmia Angustifolia, da F.L. Gilii e G. Suarez, Osservazioni fitologiche, Roma 1792. 16. Bromelia Pinguin, da F.L. Gilii e G. Suarez, Osservazioni fitologiche, Roma 1792.

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figurano molte piante importate dalle Americhe che, in alcuni casi, erano impiantate a Roma per la prima volta. Vi troviamo infatti comprese la Bignonia catalpa, la Melia azedarac, l’Annona squamosa46, la Myrica cerifera, lo Schinus molle, l’Albritia julibrissin, la Gleditschia triacanthos, il Liriodendron tulipifera, la Lippia americana, la Kalmia angustifolia e la spettacolare Bromelia pinguin, tutte piante rare e difficilmente reperibili47. Sappiamo che queste medesime piante erano state introdotte, in quegli stessi anni, nella Villetta Doria del cardinale Giuseppe Doria Pamphilj, situata dove è oggi il Galoppatoio di Villa Borghese presso Porta Pinciana, e che lo straordinario «giardiniere» che le aveva introdotte, Francesco Bettini48, le aveva importate dalla Francia con grande difficoltà, ma sappiamo anche che l’accoglienza dei romani alla vista di quelle piante strane era stata pessima, in quanto non vi era la necessaria consapevolezza scientifica di fronte all’introduzione di esemplari così nuovi e originali49. Nell’Orto di Gilii molte erano le piante rare ed esotiche diffuse già dal Seicento e vanto dei giardini di fiori di quell’epoca, tutte provenienti dalle Americhe, quali la Scilla peruviana, i tageti, le yucca e le aloe, la Canna indica, diverse varietà di cactus, la Nicotiana tabacum, la Mirabilis jalapa, ma vi erano anche molte piante provenienti dall’Oriente o bulbi pregiati quali la Fritillaria imperialis. Alcuni esemplari compresi nell’elenco attestano una chiara derivazione centro-sudamericana, ed hanno nomi coloriti e per noi astrusi, quali la Huacamaya ruste della Habana, oppure la Lengua de vaca, l’Arrayanes, la Marilopez. Secondo Monsignor Lais, Gilii e il suo socio Suarez avevano ottenuto dal botanico peruviano Hipolito Ruiz Lopez50 piante esotiche in quantità, provenienti per lo più dal Sud America, e con la collaborazione di padre Cesare Majoli molte di queste piante erano state disegnate e pubblicate sulle effemeridi letterarie di Roma. Altro grandissimo merito di Monsignor Lais è stato il ritrovamento di uno splendido e ricchissimo erbario, sempre opera di Gilii, comprendente ben 1200 esemplari forniti dall’Orto Botanico Vaticano, che dovevano costituire la base per la realizzazione di un museo di scienze naturali51.

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L’esperienza dell’Orto Botanico Vaticano-Indico deve essere stata molto breve, probabilmente interrotta dalle vicende politiche che, con l’occupazione francese del 1798, avevano creato in Vaticano non pochi problemi. Ciò che stupisce è che, a distanza di pochi anni, se ne fosse perduta completamente memoria, come lascia intendere una nota, inviata al cardinal Ercole Consalvi, Segretario di Stato del pontefice Pio VII, senza data ma riferibile agli anni in cui rivestì quella carica, quindi intorno al 1815. Nel «Promemoria», purtroppo privo della firma, si propone la creazione di un Orto Botanico nei Giardini Vaticani, quale sito il più adatto allo scopo, per accrescere la «delizia e la magnificenza del palazzo Sovrano»52. L’autore, per sostenere la sua tesi, fa riferimento al passato meno recente: ignora completamente l’esperienza di Filippo Gilii, a lui vicina, per ricordare, invece, il primo Orto Botanico, ed in particolare l’attività di Johannes Faber. Ricorda quindi come questi, al servizio dei pontefici Clemente VIII, Leone XI, e Paolo V (omettendo Gregorio XV e Urbano VIII) si fosse «occupato con molto zelo» dell’accrescimento degli esemplari dell’orto, arricchendolo in particolare di piante marittime, e come avesse progettato la pubblicazione, rimasta incompiuta per la morte sopravvenuta, dei codici botanici conservati nella Biblioteca Vaticana, secondo un progetto ripreso proprio da Gilii. Prima del precipitare della situazione politica, Pio VI aveva introdotto nei Giardini alcuni elementi di gusto neoclassico. In primo luogo nel 1779, come è ricordato da un’iscrizione ancora in loco, fece radicalmente trasformare il fondale della Fontana della Galera: la rustica grotta, creata ai tempi di Giulio III ed enfatizzata sotto Paolo V con la collocazione nella sottostante peschiera della spettacolare Galera in metallo, fu sostituita da una rigorosa prospettiva architettonica, con paramenti a bugnato ed una nicchia centrale nella quale è inserito il rilievo con la personificazione di un fiume; sovrastano la prospettiva una lunga iscrizione53 e un grande stemma pontificio in travertino. Accanto, ad introdurre il viale che porta alla Fontana della Galera, fu realizzato un portale, anch’esso dalle lineari architetture neoclassiche e con

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uno stemma pontificio sull’architrave. Un secondo portale, con due semplici pilastri con l’iscrizione che ricorda il committente, fu posto sulla sommità della collina, a delimitare e separare il bosco dalla parte rurale, ponendo un confine che successivamente, con gli interventi commissionati da Pio XI negli anni Trenta del Novecento, avrebbe perduto il suo significato. I Giardini Vaticani, ed in particolare il complesso della Casina di Pio IV, non potevano essere assenti nel corpus di disegni dedicati da Charles Percier e Pierre François Leonard Fontaine alle ville di Roma, visitate e rilevate durante il loro soggiorno negli anni intorno al 1784 e pubblicate nel 180954. La loggia e la Casina sono raffigurate con le decorazioni cinquecentesche sopravvissute alle spoliazioni volute dal pontefice Pio V in una bella incisione acquerellata che documenta lo stato precedente gli ulteriori interventi moralizzatori che avrebbero avuto luogo dopo qualche decennio. Una seconda incisione riporta la planimetria delle strutture architettoniche immerse in un contesto boscoso, senza più traccia di parterres, a testimonianza di una “naturalizzazione” avanzata a scapito delle sistemazioni formali. L’occupazione della cittadella vaticana da parte dei francesi, avvenuta il 16 febbraio 179855, causò ingenti danni al patrimonio artistico e sono note le vicende della spoliazione di opere d’arte conservate nei musei e nei palazzi. Anche i Giardini, ovviamente, ne patirono le conseguenze, come è riportato in una cronaca dell’epoca, datata 22 aprile 1798: «Dalli Giardini del Vaticano sono state tolte tutte le vasarie, ed è comparso per la compra delle medesime l’ebreo Coen. Le stanze, ove erano gli attrezzi per la lavorazione di detti giardini, sono state biffate. Non si è mai veduto uno spoglio simile a questo. Un saccheggio anco di più giorni, o un’invasione di barbari ci avrebbe recato danni assai minori di quelli che ci vengono addosso per la pacifica dimora de’ generosi nostri liberatori, venuti qua a mangiare, a rivestirsi, ad arricchirsi e a far quasi villeggiatura»56. Più concisamente anche Pastor, nel resoconto degli eventi che portarono all’esilio di Pio VI, riferiva della «capricciosa devastazione compiuta nei giardini e nelle raccolte del Vaticano»57.

Il secolo si concludeva con queste tragiche vicende, che aprivano un periodo di instabilità e rivolgimenti politici destinati ad assorbire tutta l’attenzione dei pontefici. Solo dopo la Restaurazione del 1815 sarebbe tornato di nuovo il tempo di occuparsi dei Giardini.

17. Il Portale che immette nel bosco. 18. Il Portale nei pressi della Fontana della Galera.

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19. C. Percier, P.F.L. Fontaine, Vue générale de la Villa Pia, 1809 ca., acquerello, Museo di Roma.

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A fronte: 20. C. Percier, P.F.L. Fontaine, Plan de la Villa Pia et d’une partie des jardins qui l’entourent, 1809 ca., inchiostro e acquerello, Museo di Roma.

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20. Châlet di Leone XIII 21. Museo Pio Clementino 22. Sacrestia

n. La fontana del cortile della Pigna trasportata nel Giardino Segreto di Paolo III c. La fontana viene eliminata nel 1846 o. Fontane Circolari

Capitolo settimo L’OTTOCENTO: L’OCCUPAZIONE FRANCESE, IL GUSTO ALL’INGLESE

E I PONTEFICI «GIARDINIERI» 20

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1. Rione XIV Borgo, Catasto Gregoriano Urbano, particolare con la Casina di Pio IV, ASR.

2. J. Prou, Vue du Mont Vatican derrière l’Église de S.te Pierre, incisione, XIX sec. Museo di Roma.

Il ritorno trionfale di Pio VII a Roma, il 3 luglio dell’anno 1800, apriva una nuova epoca di interventi nei Giardini Vaticani: per tutto il secolo si susseguirono le sistemazioni a verde in sintonia con il mutare del gusto, mirate anche a recuperare i danni prodotti dalle devastazioni e dall’abbandono, inevitabili nei periodi di turbolenza sociale che sconvolsero la città sia negli anni dell’occupazione francese sia durante la Repubblica Romana del 1848-1849 sia, infine, negli anni che precedettero la proclamazione, nel 1870, di Roma come nuova capitale del Regno d’Italia, separandola definitivamente dalla cittadella vaticana, che si rinchiuse nei propri confini. L’Ottocento fu dunque un secolo travagliato, con conseguenti alterne vicende di grande attenzione per i Giardini ed altre di trascuratezza e di abbandono. Si tratta di un periodo poco indagato, che permette di delineare almeno due personalità di pontefici, Gregorio XVI (1831-1846) e Leone XIII (1878-1903), che hanno lasciato tracce considerevoli del loro interesse per i Giardini Vaticani. All’inizio del secolo i Giardini avevano ancora l’aspetto codificato al tempo di Paolo V (1605-1621) con qualche limitata innovazione, quale il disegno ad arabeschi delle aiuole nel Cortile della Pigna e nello spazio davanti alla Casina di Pio IV, e continuavano ad

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L’OTTOCENTO: GUSTO ALL’INGLESE E PONTEFICI «GIARDINIERI»

essere nettamente divisi in parte produttiva e parte di delizia. La linea di demarcazione era ancora costituita dalle Mura Leonine: nell’area a nord si susseguivano la Casina di Pio IV con le sue aiuole formali, quindi il Giardino Segreto di Paolo III, modificato nel disegno delle fioriture e da tempo ormai privo del pergolato ma complessivamente conservato nell’impianto; sulla parte sommitale del colle dominava il «boschereccio», la fitta piantata di lecci ed alberi diversi; l’area a meridione, più scoscesa, compresa tra le Mura Leonine e la Basilica, alternava appezzamenti ad orto e vigne e non mancavano edifici funzionali alla produzione come fienili, pollai, stalle, tinelli. Un chiaro ed immediato riscontro del duplice uso dell’area libera all’interno delle Mura Vaticane è fornito dai libri dei conti dei Sacri Palazzi Apostolici, che registravano quanto avveniva in tutto il complesso e quindi anche nei Giardini. Dall’esame della contabilità relativa ai Giardini emerge una prima considerazione: anche le sistemazioni a delizia erano considerate nella loro potenzialità produttiva, mentre rari sono i riferimenti a fioriture dalla valenza unicamente decorativa: solo nel 1806 è registrato l’acquisto di cento vasi di fiori per un importo di otto scudi1. La funzione di decoro era essenzialmente

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affidata agli agrumi in vaso o a spalliera, che univano la bellezza all’utile che derivava dalla regolare vendita dei frutti. Questa gestione è attestata dai bilanci riportati anno dopo anno ad iniziare dal 1803, quando il rendiconto riferisce che le spese avevano raggiunto un ammontare di scudi 2592,74, ma le entrate ne avevano coperto più della metà, per complessivi scudi 1451,74, ricavati dalla vendita di erbaggi, di agrumi, di frutti vari, di canne e di vino2. È singolare notare come il vino prodotto in Vaticano venisse venduto, mentre per la tavola del pontefice e della curia venivano acquistati vini pregiati provenienti da altre regioni. L’orto forniva prodotti per la tavola e per la vendita e nelle diverse stagioni venivano immessi sul mercato carciofi, broccoli, lattuga, cavolfiori, rape, «selleri», insalate di vario genere, legumi, «gobbi»3, peperoni, melanzane, pomodori, cipolle, agli e finocchi. Gli ulivi presenti permettevano di produrre, ogni anno, circa 35 boccali d’olio4. Anche gli alberi da frutta, oltre ad alimentare la tavola, fornivano prodotti per la vendita e si continuava, come nel Seicento e nel Settecento, a piantare diverse migliaia di piante di fragole, certamente non destinate solo ad uso interno. Gli agrumi erano oggetto delle consuete cure: all’approssimarsi dei freddi quelli in vaso venivano ricoverati in appositi capannoni mentre le spalliere erano protette con le stuoie appoggiate alla struttura in legno che, in molti casi, aveva anche una piccola tettoia coperta da tegole. Gli agrumi erano ritenuti prodotti particolarmente pregiati, considerato che ogni anno alcune migliaia di frutti di varietà diverse venivano immessi sul mercato. Dalla lettura dei libri contabili si ha l’impressione che la gestione delle aree a verde fosse rimasta pressoché identica al secolo precedente: si piantavano le stesse piante, si eseguivano le medesime operazioni di pulitura, di potatura e di innaffiamento e perfino la tradizione di raccogliere «verdura» per la «spanditura» del Corpus Domini, cioè per spargere foglie e fiori sulla solenne processione, veniva regolarmente ripetuta ogni anno5. Una novità va però rilevata: nei primi decenni del secolo, forse a causa della ricorrente instabilità politica, i Giardini Vaticani vengono ripetutamente affittati a privati, con contratti onerosi mirati a produrre reddito.

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E PONTEFICI «GIARDINIERI»

Un’immagine dello stato dei Giardini Vaticani subito dopo l’insediamento di Pio VII ed un riscontro a quanto risulta dai citati libri mastri, sono infatti forniti da un’accurata descrizione, datata 21 gennaio 1801 e redatta per la consegna del complesso all’affittuario, tale Filippo Frigiotti che aveva l’obbligo di «mantenere, conservare e restituire in fine del suo affitto a forma della... descrizione e non altrimenti»6. Il documento, dal titolo «Descrizione di tutte le Fabbriche, Fontane, Vasche, Condotti scoperti, portoni, Cancelli di ferro, Muri, Piante, Vasi d’Agrumi, e tutt’altro esistente nei Giardini del Palazzo Vaticano detto di Belvedere» è fonte preziosa per conoscerne l’assetto e la consistenza a quella data, e permette di effettuare un confronto con la situazione dell’epoca di Paolo V Borghese (1605-1621), quando furono realizzati gli ultimi imponenti interventi immortalati dalla pianta di Giovanni Maggi del 1615. Viene confermata ancora una volta la divisione dell’area in giardini di delizia e colture produttive, ma è messa in evidenza la presenza di numerose recinzioni, ognuna dotata di un proprio cancello, a delimitare le varie zone e le diverse colture7. La vigna e «l’ortaglia» occupavano ancora tutta l’area sul retro della Basilica, all’interno delle Mura Leonine, la parte sommitale del colle, a ridosso dei bastioni, ed anche i terreni in basso, accanto alla Porta Sant’Anna. L’area compresa tra la Fontana della Galera fino ai Palazzi era suddivisa in vari appezzamenti coltivati dove il principale elemento di decoro era costituito dagli agrumi, in vaso o disposti a spalliera ed addossati ai muri. Vi era un apposito capannone per ricoverare i vasi di agrumi, che numerosi erano collocati un po’ ovunque, situato non lontano dalla Scala della Lumaca di Bramante e nei pressi del giardino denominato «il semicircolo», ricavato in uno dei baluardi ai piedi del Palazzetto del Belvedere. Il giardino di Clemente VII, che un tempo occupava il terrazzamento lungo le mura in direzione di Monte Mario, conservava anch’esso una spalliera di agrumi e nei pressi si trovavano il «gallinaro» ed il tinello per la conservazione delle botti di vino prodotte dalla vigna; subito accanto vi era il «Bosco de’ Leccini», cioè la parte più selvaggia e naturale del parco, dove tra le piantate

di lecci vi era anche una «riserva d’animali». Numerose erano le uccelliere, ma tutte risultavano prive di volatili e in stato di abbandono. A ricordo della tradizione venatoria, nella vigna vi era ancora un «paretaio», una torretta che doveva servire per gli appostamenti nella caccia agli uccelli. Attorno alla Casina di Pio IV non vi era più traccia delle aiuole del Giardino dei Semplici, ma permanevano anche qui le spalliere di agrumi. I due luoghi che avevano maggiormente conservato il carattere di delizia erano il Cortile del Belvedere e quello che era stato il Giardino Segreto di Paolo III, entrambi racchiusi da muri e quindi nettamente delimitati dal resto del Parco. La parte superiore del Cortile del Belvedere, cioè il Cortile della Pigna, era separato dagli altri due terrazzamenti da un altro grande capannone per il ricovero degli agrumi, costruito nel sito dove pochi anni più tardi sarebbe sorto il cosiddetto Braccio Nuovo, prolungamento dei Musei, a dividere definitivamente in tre parti il Cortile bramantesco. Il capannone, secondo la testimonianza di Gaetano Moroni realizzato durante il pontificato di Benedetto XIII (1724-1730) per «ripararci i vasi di agrumi e di fiori»8, viene descritto nel documento del 1801 stipato di «sgabelloni» sui quali erano poggiati i vasi di agrumi, e di una gran quantità «d’iscrizioni antiche, lapidi e cippi antichi»9. Nello spazio del Cortile erano disposti i piedistalli dove nella buona stagione si trasferivano i vasi di agrumi; tutt’intorno vi erano collocati i cassettoni «per uso dell’erbe e de’ fiori», anch’essi usati nella buona stagione; per poggiare altri vasi di fiori vi erano apposite strutture in legno e al centro del giardino campeggiava la bella fontana risalente ai tempi di Bramante. Seguiva il Cortile della Biblioteca, delimitato su quattro lati dal citato capannone, dalla Biblioteca Sistina e dalle due logge. Anche qui tutti i muri di delimitazione erano ricoperti da spalliere di agrumi; addossati alla Biblioteca, dentro «quattro finte arcate» erano inoltre collocate «quattro urne antiche di marmo ripiene di terra ove sono piantati i fiori»10 ed i quattro riquadri in cui era suddiviso il giardino, sistemati a parterre, erano adorni di vasi di agrumi su piedistalli di peperino e travertino. Il Giardino Segreto di Paolo III, anch’esso cinto da muri sui quattro lati, viene denominato «Giardino basso» in quanto

addossato alla collina con il bosco di lecci, con un bel portale di marmo «con rabeschi a basso rilievo, capitelli sopra, architrave, fregio e cornice», posto tra due muri a bugnato, che, mediante una scalinata a doppia rampa, conduce al piano del giardino, come è ancor oggi visibile. Come di consueto i muri di contenimento e di recinzione del giardino risultano coperti da spalliere continue di agrumi, protette mediante stuoie dai rigori dell’inverno. Al centro del giardino sono descritti esclusivamente piedistalli per i vasi di agrumi, senza alcuna indicazione sull’eventuale partizione in aiuole. Una parte del Giardino, quella che nel 1929 sarebbe stata occupata dall’edificio della Pinacoteca progettato da Luca Beltrami, disponeva di un altro capannone in muratura per il ricovero degli agrumi. La descrizione delle fontane monumentali dei Giardini mette in evidenza uno stato di conservazione preoccupante: nella grande Fontana dello Scoglio o dell’Aquilone si notavano «molte mancanze di tartari ed altro nelle nicchie, grotta, figure e draghi ed il suo parapetto avanti è quasi del tutto devastato e caduto»; in condizioni ancora peggiori appare la Fontana degli Specchi che, riferisce il documento, «si ritrova in molte parti diruta e mancante delli musaici ed altro»11. Dalla lettura complessiva del documento si ricava un’immagine dei Giardini Vaticani di tono dimesso, senza alcun elemento di spicco, con un senso generale di trascuratezza e di scarsa manutenzione. L’interesse prevalente, come risulta dai mandati di pagamento registrati nella Computisteria dei Palazzi, sembra rivolto più alle funzioni produttive che al decoro. Molte aree che nel Seicento si configuravano con sistemazioni unicamente decorative, erano state soppiantate da orti, come nel caso del giardino di Clemente VII, del giardino intorno alla Fontana della Galera e dell’area attigua alla Casina di Pio IV. In questa estensione delle colture agricole facevano eccezione, come si è accennato, gli agrumi, presenti ovunque e in abbondanza, sistemati in vaso o a spalliere lungo i muri di delimitazione, la cui valenza era duplice: il bel fogliame lucente e sempreverde ed i frutti dalle calde sfumature del giallo e dell’arancio conferivano indubbia bellezza ai luoghi, ma limoni, cedri e arance erano anche fattori di reddito, in quanto oltre a rifornire la tavola, veni-

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3. Rione XIV Borgo, Catasto Gregoriano Urbano, particolare con il bosco, ASR.

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Alle pagine seguenti: 4. Rione XIV Borgo, Catasto Gregoriano Urbano, ASR.

vano venduti sul mercato, come dimostrano i regolari acquisti da parte dei «merangolari». L’affitto a Filippo Frigiotti ebbe la durata di soli due anni, dal 1801 al 1803, quando i Giardini risultano di nuovo affidati ad un gruppo di giardinieri dipendenti, con a capo Rocco Moriani12. Dall’ottobre 1812 all’ottobre 1814 i Giardini venivano di nuovo ceduti in affitto13, quale diretta conseguenza dell’editto napoleonico del 4 agosto 1812 con il quale i francesi entravano in possesso della Cittadella e dei Giardini Vaticani14. Il contratto di affitto, datato ottobre 1812 contiene una nuova, interessante e complessiva descrizione dei compiti affidati per la manutenzione della vigna, dell’orto e dei Giardini nel loro insieme, dalla quale si ricavano alcune ulteriori informazioni sullo stato dei luoghi, che risulta complessivamente migliore rispetto ai primi anni del secolo. Risulta infatti accresciuta la dotazione di alberi da frutta e di fioriture per dare maggior decoro ai luoghi. Davanti alla Casina di Pio IV vi era un giardino con 250 vasi per fiori, spalliere di alloro e bosso e ben 125 alberi da frutto di diverse specie: peri, meli, albicocchi, susini, mandorli, fichi, peschi, melocotogni e melograni. Altri 481 alberi da frutto, tra i quali erano compresi, oltre alle citate varietà, anche 139 ulivi, noccioli, sorbe e fichi, si trovavano nella «vigna a cordoni». Il «Giardino da basso», cioè il Giardino Segreto di Paolo III, aveva tutti i muri di recinzione ricoperti da spalliere di limoni, cedrati e portogalli, con la loro «armatura» di legno e «copertine di tegole» per poter essere protetti dai rigori dell’inverno. Al centro vi erano 160 vasi di agrumi in varietà, comprese piante di bergamotto15. Tuttavia, al termine dell’occupazione francese, nonostante le dettagliate prescrizioni per la cura sia delle sistemazioni a delizia sia delle colture produttive e nonostante risulti che nell’ottobre 1814 l’affittuario provvedesse a piantare «spighetta» (lavanda), garofani, diverse varietà di fiori non specificate, e molte piante di agrumi16, al ritorno del pontefice lo stato dei Giardini non doveva essere soddisfacente, tanto che il Maggiordomo, Monsignor Naro, lamentava in una lettera che «abbisognavano di urgenti risarcimenti»17. Proprio per far fronte alle necessità di ripristino dello stato dei luoghi, dal 1816 al 1822 nei Giardini

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furono poste al lavoro squadre di «forzati», sotto la sorveglianza di alcune guardie18. Agli anni immediatamente successivi al ritorno di Pio VII risale, con molta probabilità, un promemoria non datato e non firmato (ma riconducibile agli anni attorno al 1815), indirizzato al Segretario di Stato19 cardinale Ercole Consalvi (1757-1824), nel quale vengono criticate molto duramente le condizioni dell’Orto Botanico del Gianicolo, definito «incompleto, poco utile alla pubblica istruzione ed indecente per Roma», e si propone il suo trasferimento nei Giardini Vaticani20, riprendendo l’illustre tradizione dei tempi di Johannes Faber, simpliciarius pontificius dal 1600 al 1629. Secondo l’anonimo estensore la presenza di una istituzione scientifica del genere, per la sua «contiguità al Museo», avrebbe reso «più consono il passaggio dalla contemplazione istruttiva o dall’incanto dell’arte a quello della Natura e questa si mostrerebbe più superba come perfezionata nei suoi materiali così arricchita nei suoi prodotti, animati gli uni dall’industrioso scalpello, gli altri da una studiosa, vaga e regolare vegetazione». La motivazione della proposta è molto interessante: «Il suo collocamento non potrebb’essere né più vantaggioso, né più dignitoso, che nel Giardino Pontificio al Vaticano, ove non solo campeggerebbe il di lui prospetto, il su’ ordine, la sua germinazione, con tutti quei comodi ausiliari, che si conoscono indispensabili: m’ancora formerebbe la delizia e la magnificenza del Palazzo Sovrano, e per la sua contiguità al Museo renderebbe più consono il passaggio dalla contemplazione istruttiva o dall’incanto dell’arte a quello della Natura e questa si mostrerebbe più superba come perfezionata nei suoi materiali così arricchita nei suoi prodotti, animati gli uni dall’industrioso scalpello, gli altri da una studiosa, vaga e regolare vegetazione». L’autore dimostra di aver conoscenza dell’esperienza dell’Accademia dei Lincei, dello stretto legame tra arte e scienza, secondo il progetto, che era stato prima di Michele Mercati e poi di Faber, di mettere in connessione la contemplazione della bellezza dei Giardini con lo studio scientifico, riproponendo anche l’antica idea di raccogliere e pubblicare i numerosi e preziosi codici

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5. Il giardino denominato «semicircolo».

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6. Il giardino denominato «semicircolo».

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botanici della Biblioteca Vaticana. Nel documento si propone inoltre di affidare la realizzazione del nuovo Orto Botanico Vaticano ad Antonio Sebastiani, che dal 1815 al 1820 diresse l’Orto Botanico del Gianicolo e fu anche docente alla cattedra di botanica alla Sapienza21. La memoria, peraltro, non ha conseguito effetti in quanto sappiamo per certo che nei Giardini Vaticani non fu più realizzato nessun Orto Botanico dopo la breve esperienza di quello impiantato da Filippo Gilii intorno al 1788 e l’Orto Botanico cittadino rimase al Gianicolo fino al 1818, quando fu spostato definitivamente nel nuovo sito annesso a Palazzo Corsini alla Lungara, dove si trova ancor oggi22. Da alcune notazioni contenute nei documenti di pagamento risulta che, nei primi decenni dell’Ottocento, nei Giardini vi erano ancora i parterres raffigurati nelle vedute settecentesche, probabilmente nel Cortile della Pigna. Infatti nel 1816 viene acquistata «pozzolana per colorire il rabesco», cioè per creare contrasti di colore tra la terra e le piante, e l’anno successivo vengono «tirati fili per disegnare li rabeschi», secondo

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7. Rione XIV Borgo, Catasto Gregoriano Urbano, particolare con il Cortile della Pigna, ASR.

la procedura in uso per realizzare quel genere di composizioni23. Si tratta di una conferma del perdurare, nei giardini di Roma, delle tipologie formali che, in Francia ed Inghilterra, erano state da tempo soppiantate dalle sistemazioni dette «all’inglese», cioè basate su una concezione della natura libera e spontanea e non più costretta in forme geometriche e rigide. Una concessione alla sistemazione all’inglese, tuttavia, risulta dalla pianta dei Giardini del Catasto Gregoriano, datata 1818 e quindi di fatto contemporanea ai citati documenti, nella quale compaiono, nella zona del boschetto, alcuni viottolini tortuosi, a testimonianza di una eclettica convivenza di entrambe le tipologie24. Subito dopo l’insediamento del nuovo pontefice Leone XII (1823-1829), che faceva seguito al lungo e travagliato pontificato di Pio VII, venne redatta un’ulteriore descrizione dei Giardini Vaticani, disposta con Motu Proprio datato 24 novembre 1824, per «consegnarli ai rispettivi giardinieri», ad opera di un perito agrimensore25. Vi sono accuratamente riportate tutte le piante che si trovavano nell’area a

8. Rione XIV Borgo, Catasto Gregoriano Urbano, particolare con il giardino denominato «semicircolo» e il Palazzetto del Belvedere, ASR.

verde, comprendente sia i giardini propriamente detti sia gli appezzamenti ad orto sia le vigne. Alla descrizione fa da riscontro la già citata dettagliata pianta del Catasto Gregoriano, risalente al 181826, quindi di pochi anni precedente, che nel Brogliardo allegato fornisce un elenco preciso delle colture e delle sistemazioni presenti. Dall’analisi dei documenti citati si possono trarre alcune importanti considerazioni sulle trasformazioni e sullo stato dei Giardini. Il Cortile della Pigna era suddiviso in trentacinque riquadri, delimitati da basse siepi di bosso, con un disegno a parterres molto elaborato, mentre tutt’attorno erano disposti cassettoni formati da mattoni conficcati in terra «a coltello» per ospitare le fioriture stagionali. Alle testate ed al centro dei riquadri ben centoquaranta basi di travertino sostenevano vasi di agrumi in varietà. Nel giardino di Giulio III, nel sito della Fontana della Galera, i muri erano al solito coperti da spalliere di agrumi con l’armatura di legno a sostegno e protezione, mentre dall’altro lato del viale vi era una spalliera di mirto. Anche in questo caso vi

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erano vasi di agrumi lungo il percorso, con una zona destinata a vivaio, che ospitava 372 piante piccole di aranci, ed una lunga striscia di terreno coltivata ad orto, con alberi da frutto e cassettoni con piante di yucca. Oltrepassato il cancello che lo divide dal sito della Fontana, ci si trovava in un sito di particolare interesse, che compare per la prima volta nella storia dei Giardini Vaticani e che attesta una creazione originale. Si tratta del cosiddetto «semicircolo», sottostante l’alto muro a scarpa del Belvedere, affacciato sui bastioni, anch’esso adorno di spalliere di agrumi e di cassettoni per le fioriture, con una scenografica disposizione a raggiera attorno ad una struttura centrale, forse una vasca, denominato «sito a delizia». Al di sotto del bastione l’area terrazzata era coltivata ad orto e denominata nel Catasto Gregoriano «orto adacquativo in pendio con alberi»27. Tutto il terrazzamento del giardino di Clemente VII era scandito da pergolati e spalliere di agrumi, mentre l’area centrale era usata come orto. Il Giardino Segreto di Paolo III, denominato «Giardino di sotto», risultava sempre

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9. R. Roberti, Veduta dei Giardini Vaticani, 1825, olio su tela, Museo Civico di Bassano del Grappa.

delimitato da muri coperti da spalliere di agrumi, con una divisione in quattro grandi aiuole con attorno basse siepi di bosso, agli angoli vasi di agrumi e al centro una fontana con bacino circolare ed è denominato nel Catasto «orto a delizia con recinto di fosso e fonti». La Casina di Pio IV figura nel Catasto come «Casa a delizia» e nella descrizione «Prospettiva del Caffeaus». Nel giardino, definito «terreno ortivo», vi erano 86 alberi da frutto diversi e 60 piante di agrumi; i viali che lo collegavano al «Giardino di sotto» o Giardino Segreto di Paolo III avevano una fitta piantata di lecci che formavano ombrosi «cocchi», vale a dire gallerie formate dalle chiome degli alberi intrecciate. Due fasce di terreno che si diramavano dalle scalinate ai lati della Casina erano usate come «orto carciofoleto con alberi», ancora una volta a conferma della promiscuità di produzione e delizia28. Tutta l’area antistante è denominata «sito a delizia con alberi», e probabilmente si trattava di un frutteto che, anche in questo caso, associava la valenza ornamentale alla produttività. Il sito retrostante aveva boschetti di agrumi e di alberi diversi ed anche un orto. L’immagine complessiva dei Giardini nei primi decenni del secolo è, in definitiva, quella di un grande frutteto, con una presenza impressionante di agrumi a spalliera ed in vaso che richiedevano un notevole impegno da parte dei giardinieri non solo per le annaffiature, concimazioni e potature, ma soprattutto per la protezione dai rigori dell’inverno, compresa l’accensione di bracieri con carboni ardenti, all’interno dei cocchi, in occasione delle nottate più rigide. Non risultano particolari interventi effettuati nei Giardini su commissione di Leone XII, passato alla storia, peraltro, per aver «moralizzato» la Casina di Pio IV, rimuovendo sculture profane quali le quattro cariatidi in forma di satiri dalla facciata della Loggia verso la peschiera. L’intervento era compreso nell’ambito di un impegnativo restauro di tutto il complesso monumentale, che aveva patito in modo particolare i danni delle alterne vicende politiche, ma che comportò la perdita di alcune caratteristiche dell’impianto ligoriano, come il contrasto nella Loggia tra la parte basamentale rustica e quella superiore classica ed aerea29.

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10. F. Rinaldi, Veduta dei Giardini Vaticani, 1840 ca., disegno acquerellato su carta, Musei Vaticani.

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Al pontefice, che in gioventù era stato un appassionato cacciatore, si deve peraltro la ripresa della tradizione venatoria del parco, tanto da far costruire, nel 1824, un’uccelliera con copertura di rame30 e far allestire, nel 1825, un allevamento di fagiani per il quale il re delle Due Sicilie aveva mandato 400 uova ed un esperto guardiacaccia per curare la covata, mentre nel 1828 cinquanta fagiani arrivavano dalla riserva reale di Capodimonte, instaurando una consuetudine documentata fino al 185831. Una veduta dei Giardini, datata 1825, ci permette di verificare questa immagine «naturale», un po’ rustica e dimessa. Si tratta di un dipinto di Roberto Roberti (Bassano 1786-1837), che sceglie un punto di vista alquanto inconsueto32. Vi è infatti raffigurato il grande viale dei Giardini, realizzato da Paolo V Borghese tra le Logge bramantesche e i Giardini, che congiunge il Belvedere (punto dal quale è presa la veduta) con la Basilica e con i Palazzi. Al termine del viale è visibile la costruzione asimmetrica che quel pontefice aveva voluto per creare un collegamento con i Giardini, nei pressi della Fontana degli Specchi. Il portale che conclude il viale immette nella Piazza del Forno, abbellita dalla classica Fontana fatta realizzare sempre da Paolo V. Sullo sfondo della veduta campeggia in tutta la sua maestà la Basilica nel suo prospetto absidale e, quasi addossata ad essa, è ben visibile la bella architettura della Fontana delle Torri o del Sacramento, con tutt’attorno una miriade di casupole con funzioni utilitarie, allineate lungo il percorso delle mura e destinate ad essere eliminate un secolo più tardi. Nella zona centrale vi è uno spazio alquanto disadorno, una radura con qualche albero che mostra la trasformazione e la decadenza del giardino antistante la Casina di Pio IV. Lo spazio che dal Cinquecento al Settecento era stato caratterizzato da elaborate aiuole formali, dove erano stati impiantati esemplari di fiori esotici e rari, aveva ormai perduto ogni valenza decorativa e di pregio e tutte le tracce del disegno documentato fino alla metà del Settecento erano scomparse. Il successivo pontefice Gregorio XVI (1831-1846) dimostrò invece grande interesse ed impegno per la cura dei Giardini, introducendo innovazioni ispirate al gusto all’inglese che, sebbene in ritardo rispetto al resto d’Europa, si stava diffondendo e affermando

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anche a Roma33. Un bel resoconto coevo di quanto venne realizzato nei Giardini Vaticani durante il suo pontificato è fornito da Gaetano Moroni34. Al volere del pontefice, definito «esperto nelle naturali scienze e segnatamente nell’erbaria»35, viene attribuito un generale «riattamento» di tutti i muri di cinta, ma soprattutto il nuovo disegno, ad opera del giardiniere pontificio Sebastiano Rinaldi, del Giardino Segreto di Paolo III, correttamente denominato36. Il nuovo assetto del Giardino è documentato, con precisa corrispondenza con la descrizione di Moroni, da un disegno acquerellato, opera del figlio di Rinaldi, Francesco, dedicato al pontefice e denominato «Parte del Giardino Pontificio Vaticano di nuovo ornato e decorato per ordine della Santità di nostro Signore

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11. Il Giardino Segreto di Paolo III.

Gregorio XVI Pont. O.M.»37. Vi è raffigurato in primo piano il Giardino Segreto, con le aiuole regolari, il disegno dello stemma del pontefice regnante realizzato con le fioriture38, con vasi di agrumi a delimitare tutti i percorsi (sappiamo da Moroni che erano ben 224) e con spalliere di agrumi lungo i muri. Nel mezzo del giardino figura una monumentale fontana, con vasca circolare, un alto basamento istoriato con gli emblemi del pontefice e catino in marmo bigio sovrapposto, ancor oggi in loco; quattro fontane circolari più piccole, a terra, sono visibili alle intersezioni dei viali e altre due fontane sono ricavate nei prospetti addossati ai muri di recinzione, nei quali sono inseriti, sembra, due sarcofagi antichi. La grande fontana centrale proveniva dal Cortile della Pigna, dove era stata collocata

12. La Fontana proveniente dal Cortile della Pigna con stemma di Gregorio XVI.

nel Cinquecento da Donato Bramante, ed era stata rimossa nel 1835 per far posto alla base della Colonna Antonina che si trovava nei pressi della Fontana della Zitella39. Nel disegno, in secondo piano, si individua anche la Casina di Pio IV, tra un fitto boschetto ed una sistemazione con viali rettilinei, anche in questo caso senza più alcuna traccia delle aiuole regolari del cinquecentesco Giardino dei Semplici, documentate fino a metà del Settecento. Nella parte retrostante la Casina e il Giardino Segreto si intravede l’inizio della parte più libera e naturale del parco, definita da Moroni «sorprendentissimo giardino boschereccio»40, mentre l’area verso la città è delimitata dal muro che costeggia il viale dei Giardini aperto da Paolo V che a sua volta separa i Giardini dalla lunga fabbrica delle

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Logge di origine bramantesca. Lungo il percorso del muro di delimitazione il pontefice aveva fatto aprire un monumentale portale, come attesta l’iscrizione nell’architrave: GREGORIUS XVI PONT MAX \ ADITUM AD HORTOS VATICANOS \ NOVO OPERE EXORNAVIT \ ANNO MDCCCXXXI SACRI PRINCIPATUS I. Secondo Moroni nel Giardino Segreto vi erano anche «due serre di ananassi» che nel disegno non sono raffigurate ma che potevano trovarsi addossate al lato non raffigurato, nel sito dove poi sarebbe sorta la Pinacoteca e dove sappiamo che già in precedenza vi era un capannone per il ricovero degli agrumi. Anche il colle con il bosco retrostante, secondo Moroni, conobbe radicali trasformazioni e fu «ridotto a giardino all’inglese con viottoli, boschetti, aiuole

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di rose», arricchito di altri fiori e piante e adorno di cippi, busti e statue di marmo, «non che con finti avanzi di edifizi», cioè con finte rovine, quindi furono aggiunte fontane e sedili di marmo e creato addirittura un laghetto con un ponticello con nei pressi una loggia aperta dalla quale si poteva «veder la prospettiva dell’agro romano». Sempre secondo Moroni, per volere del pontefice furono recuperati in gran parte i terreni che nel tempo erano stati adibiti ad orti e che si erano estesi nella parte monumentale, oltre la tradizionale delimitazione delle Mura Leonine, riconducendo molte di queste aree all’assetto originario di delizia. Riferisce, infatti, che il cinquecentesco Giardino dei Semplici di Michele Mercati nel volgere degli anni era stato tanto trascurato «che non ne restò né vestigia né memoria»41, ma che «nel 1836 il tratto innanzi al Casino di Pio IV fu ridotto a giardino; e poscia dietro l’edifizio fu decorato con piante d’aranci, boschetti e fiori»42. Anche nel sito attorno alla Fontana della Galera, nel 1844 «l’orto si ridusse a giardino: la parte superiore fu decorata di busti, statue e monumenti marmorei con ameni viali; l’inferiore chiusa da tre cancelli di ferro, ebbe la scala di travertino, copioso numero di piante grasse con parterri di fiori e arabeschi di bosso, due bellissime fontane e a ridosso del bastione di Paolo III fu costruita la magnifica serra o stufa di ananassi. Questa è tutta di ferro fuso nell’armatura che con cristalli la cuopre, lunga palmi 70 larga più di 21, venendo sovrastata da l’arme marmoree del pontefice»43. Nel sito vi sono ora diverse costruzioni realizzate a partire dagli anni Trenta del Novecento e non vi è più traccia della «magnifica serra», non grande (circa diciassette metri per cinque), ma probabilmente simile alle serre per piante esotiche che all’epoca si stavano costruendo nelle ville romane, come a Villa Borghese, a Villa Torlonia o a Villa Pamphilj. Inoltre, sotto le mura del Belvedere, riferisce sempre Moroni, «ove giocavasi col pallone e a bocce», il sottoforiere Filippo Martinucci aveva realizzato un pubblico passeggio, impiantandovi molti alberi. Il Cortile della Pigna era stato ulteriormente decorato, con la collocazione, curata dall’architetto Gaspare Salvi, del grande basamento istoriato della Colonna Antonina che in precedenza si trovava davanti alla

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13. Il Cortile della Pigna con il basamento della Colonna Antonina, stampa all’albumina, 1862ca.

14. Il Portale con iscrizione celebrativa di Gregorio XVI. Alle pagine seguenti: 15. P. Cacchiatelli, G. Cleter, Il Cortile della Pigna, incisione, 1845 ca.

L’OTTOCENTO: GUSTO ALL’INGLESE E PONTEFICI «GIARDINIERI»

Fontana della Zitella44. Inoltre molte piante esotiche erano state collocate nei Giardini, insieme a numerosi arredi provenienti dai magazzini 45. Un dettagliato inventario dei Giardini, datato 1° gennaio 1841, ci permette di ripercorrere tutti i luoghi già citati, confermando la presenza di agrumi, di alberi da frutto, di boschetti e di sistemazioni regolari, senza aggiungere altre informazioni a quanto già noto dalle descrizioni riportate, se non per alcune specifiche di un certo interesse46. Risulta, infatti, che il boschetto sulla collina fosse popolato per lo più da lecci, querce, allori, pini, bossi ed effettivamente all’inglese, con numerosi arredi tipici di quello stile: uno specchio d’acqua, non grande ma dotato di un ponticello in legno per attraversarlo e, disseminati tra i viottoli, urne, erme, cippi, ben 15 statue tra frammentarie e intere, colonne «sane e rotte», «frammenti di ornati» e iscrizioni in quantità. Come riferito anche da Moroni, vi era una finta rovina di tempio, con colonne intere e in frammenti. Molte statue e composizioni di frammenti antichi si trovavano variamente disposti anche nel Giardino Segreto di Paolo III, mentre statue e piccole piramidi in marmo decoravano il piazzale davanti alla Casina di Pio IV.

Si può constatare, in definitiva, una complessiva inversione di tendenza rispetto ai decenni precedenti, mirata a ridurre le aree produttive in favore di quelle a delizia, in particolare dove la monumentalità dei luoghi mal si conciliava con le colture di agli e cipolle, e ad introdurre arredi eclettici, assecondando la nuova moda nell’arte dei giardini. A conferma della riconquistata attrattiva dei Giardini, Moroni riferisce che, per limitare il numero dei visitatori, era stato introdotto il biglietto d’ingresso, secondo un uso diffuso in altre ville romane come Villa Borghese47, mentre i nobili ospiti vi venivano ammessi su richiesta, come documentato dalle numerose lettere conservate negli archivi48. Tuttavia anche l’area rurale, nuovamente delimitata dalla cinta leonina, fu oggetto di interventi, con la vigna sistemata «a cordoni» su terrazzamenti ottenuti con grandi sbancamenti di terra, le uccelliere ingrandite,

restaurate e popolate con fagiani e pavoni, venne restaurato «il luogo per la caccia», come lo definisce Moroni e possiamo dedurre si trattasse del Paretaio che era sul colle49: nella citata descrizione del 1841 si riferisce che accanto al Paretaio vi era «una balaustra di marmo con due piramidi piccole uguali» a dimostrazione che, anche nell’area rurale, non si rinunciava al decoro. A conferma del rinnovato interesse per la caccia, intesa come uccellagione, è da segnalare l’arrivo dalla Lombardia di 1500 fringuelli e di tre falchi, nel 184150. Le innovazioni introdotte per volere di Gregorio XVI nei Giardini Vaticani non potevano sfuggire ad un esperto viaggiatore e cultore dei giardini quale era Louis Eustache Audot, il quale effettuò negli anni 1839 e 1840 un tour delle maggiori città del Sud Italia, tra le quali Roma, lasciandoci interessanti descrizioni dei giardini visitati51. A suo parere i Giardini Vaticani erano molto migliorati (forse in riferimento ad una visita

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16. F. Gnaccarini, San Pietro, statua in bronzo, 1869, già parte del Monumento al Concilio Vaticano I.

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L’OTTOCENTO: GUSTO ALL’INGLESE E PONTEFICI «GIARDINIERI»

17. Resti del Monumento al Concilio Vaticano I. Alle pagine seguenti: 18. F. Benoist, Vue du Vatican, da Rome dans sa grandeur, incisione, 1870.

precedente) e oggetto di una buona manutenzione: quelli che erano boschi impenetrabili e abbandonati erano stati trasformati dal giardiniere Sebastiano Rinaldi in luoghi freschi e piacevoli, con viali ben tracciati e ornati di marmi antichi. Il pontefice aveva ricevuto i complimenti dell’ospite francese e gli aveva raccontato della sua passione per i fiori ed i giardini, dove ogni giorno passeggiava, malgrado l’età avanzata; gli aveva inoltre riferito di aver fatto realizzare sette fontane52, in aggiunta a quelle già esistenti, ed aveva ascoltato con interesse il resoconto dell’attività della Société Royal d’Horticulture di Parigi, alla quale Audot si riprometteva di presentare una relazione sui giardini che aveva osservato e sul colloquio che aveva avuto53. Gli anni a venire furono caratterizzati nuovamente da situazioni politiche difficili e Pio IX (1846-1878) negli anni del suo pontificato non ebbe la possibilità di occuparsi dell’abbellimento e della cura dei Giardini Vaticani. Poco dopo la sua elezione, infatti, si trovò a dover fronteggiare le vicende della seconda Repubblica Romana,con effetti anche nella cittadella vaticana, coinvolta, in particolare, nella battaglia del 30 aprile 1849. Ripristinato l’ordine, nel mese di luglio il sottoforiere Filippo Martinucci presentava al Marchese Sacchetti, Pro-Prefetto dei Sacri Palazzi Apostolici, una dettagliata memoria con la descrizione dei danni rilevati nei Palazzi e nei Giardini Vaticani54: risultavano rotti quasi tutti i vetri delle serre, manomessi un po’ ovunque i chiusini dell’acqua, bruciata una spalliera di agrumi, danneggiate dalle cannonate, in più punti, le mura; inoltre i Giardini erano disseminati di numerosi casotti, costruiti dai soldati occupanti per ricoverarsi, realizzati usando le travi che reggevano le spalliere che quindi risultavano danneggiate e bisognose di reintegrazioni; i fagiani erano stati rubati dalle uccelliere e ben 164 alberi risultavano tagliati, più precisamente 58 olmi, 15 lecci, 85 gelsi, 3 cipressi e 3 pini. Infine, in tutto il parco vi erano i resti delle barricate, con cumuli di terra da rimuovere e trincee da colmare. Possiamo immaginare il grande impegno richiesto dal riportare all’ordine tutta l’area, senza lasciare spazio ad innovazioni o abbellimenti. Il pontefice non aveva la disponibilità di residenze di famiglia ed anche la Villa di Castel Gandolfo vide

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raramente i suoi soggiorni, limitati agli anni tra il 1851 ed il 1869, quando la situazione politica lo permetteva55. Durante la sua volontaria clausura in Vaticano, raramente aveva mancato di scendere in giardino, in genere verso mezzogiorno, consentendo ai visitatori che vi si trovavano di avvicinarlo e di parlargli56. Per suo volere, intorno al 1869, fu affidato all’architetto Virginio Vespignani il progetto di un Monumento al Concilio Vaticano I, ideato per essere posto sul Gianicolo, consistente in un’alta colonna di marmo sormontata dalla statua bronzea di san Pietro, opera di Filippo Gnaccarini, con un basamento quadrangolare in marmo con la narrazione, a bassorilievo, della storia del Concilio eseguita da Pietro Galli. Gli eventi politici del 1870 causarono una dilazione del progetto e solo nel 1885 il monumento fu effettivamente collocato, non più sul Gianicolo ma all’interno della cittadella vaticana, e precisamente nel Cortile della Pigna. Negli anni Trenta del Novecento, tuttavia, il Monumento venne smembrato e ricollocato nei pressi della Casa del Giardiniere, dove tutt’ora ne sono visibili alcuni elementi. La tradizione di «pontefice giardiniere», che aveva prodotto tanti interessanti interventi con Gregorio XIV, era destinata a ripetersi nel lungo pontificato di Leone XIII (1878-1903), al secolo Pecci, ormai stabilmente residente in Vaticano e che, proveniente dal vicino paese di Carpineto, nutriva un grande amore per la natura e per la campagna romana, che gli aveva ispirato questo distico: «Quam felix flore in primo, quam laeta Lepinis\Orta jugis, patrio sub lare, vita fuit». Lo stato dei Giardini al momento dell’insediamento del nuovo pontefice è molto chiaramente «fotografato» nella bella incisione acquerellata di Felix Benoist, facente parte della serie di vedute Rome dans sa grandeur, edita nel 1870. La veduta dei Giardini Vaticani, presa dalla cupola di San Pietro, ritrae tutta l’area dei giardini propriamente detti, con esclusione dei terreni rurali. In primo piano vi sono, infatti, i Palazzi, con la piazza del Forno nella quale campeggia la classica fontana; subito accanto ha inizio il percorso delle Mura Leonine, seminascoste dalle rustiche e irregolari costruzioni addossate; oltre le Mura è riconoscibile la grandiosa Fontana dell’Aquilone o

dello Scoglio, dietro la quale si estende il boschetto che ricopre il terreno fino alla sommità della collina; nella parte pianeggiante compresa tra il boschetto e le Logge di Bramante si susseguono i giardini attorno alla Casina di Pio IV ed il Giardino Segreto di Paolo III, entrambi ben delimitati da muri ricoperti da spalliere di alberi di agrumi; i giardini attorno alla Casina di Pio IV mostrano un assetto molto più decoroso e curato rispetto alle raffigurazioni della prima metà del secolo, pur confermando la definitiva perdita dell’originaria scansione in aiuole: i viali intorno, disposti a raggiera, sono coperti a cocchio e le siepi sono potate e allineate con geometrica regolarità; il Giardino Segreto di Paolo III si presenta con il medesimo disegno risalente all’intervento di Gregorio XVI, con la partizione in sedici aiuole, la bella fontana bramantesca al centro e le quattro fontanelle all’incrocio dei viali, lo stemma del pontefice regnante realizzato con la

sapiente composizione delle fioriture; addossato ad uno dei lati è riconoscibile un edificio che, con molta probabilità, va identificato con il ricovero di agrumi e piante esotiche già citato; il Cortile del Belvedere è poco visibile, diviso ormai definitivamente in tre distinti settori, nel primo dei quali si può scorgere una sistemazione ad aiuole. Il particolare e appassionato rapporto di papa Pecci con i Giardini Vaticani è stato descritto in due testi di grande interesse e vivezza, soprattutto per il fatto di riportare episodi di vita quotidiana riferiti da personaggi che erano stati protagonisti in prima persona degli anni del suo pontificato. Si tratta del bel libro di Silvio Negro, Vaticano minore, edito nel 1936, in anni ancora vicini al pontificato di Leone XIII e quindi con la disponibilità di fonti dirette, e di quello di Emilio Bonomelli, I Papi in campagna, pubblicato nel 1953 e basato su documenti originali e inediti ai

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19. La stanza di Leone XIII nella Torre della Radio, dall’Illustrazione Vaticana, 19, 1931.

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quali l’autore, in quanto curatore dei giardini pontifici di Castel Gandolfo, aveva facile e diretto accesso. Leone XIII aveva trovato una situazione generale di trascuratezza nei Giardini, che aveva interessato anche luoghi celebrati come il Cortile della Biblioteca e del Belvedere, secondo la descrizione di Negro: «In quel vecchio abbandono l’erba cresceva tanto alta nelle sconnessure che venivano a brucarla le pecore; razzolavano attorno i polli e le anatre si tuffavano nella fontana cinquecentesca»57. Per eliminare una condizione certo non consona alla dignità della residenza del capo della Chiesa cattolica, ben presto si era intervenuti e il cortile, privato del selciato, era stato sistemato a giardino. La cura e l’amore per i giardini avevano come contraltare la disponibilità e magnanimità del pontefice che li apriva indiscriminatamente ai pellegrini, con la conseguenza che «quelle adunate in mezzo alle aiuole erano tutt’altro che indicate per la conservazione dei fiori ed il buon andamento delle colture»58. Per permettere al pontefice di recarsi sulla collinetta in carrozza, era stato creato il grande viale che tutt’oggi costeggia le mura vaticane, dal lato verso Monte Mario, scandito da platani e lecci e con una splendida vista sul paesaggio circostante, all’epoca ancora agreste. Il viale carrozzabile aveva indubbiamente alterato il carattere «naturale» del bosco, ma attestava la volontà del pontefice di godere di tutta l’estensione dei Giardini che, nella forzata reclusione, costituivano l’unica villeggiatura possibile. Non a caso a papa Pecci è attribuita la definizione dei Giardini Vaticani come «il nostro piccolo Castel Gandolfo»59, in quanto furono usati in sostituzione della residenza estiva dove nessun pontefice, dal 1869 fino al 1934, mise mai piede60. Entrambi gli autori citati mostrano nei confronti dei Giardini Vaticani un giudizio alquanto critico, in contrasto con la loro fama che li faceva definire da Émile Zola «il più bel giardino del mondo»61. Bonomelli sottolineava come avessero, all’epoca, un «aspetto eterogeneo e piuttosto trasandato»62, in quanto, specificava meglio Negro, «ogni papa che si interessò al breve colle vi aggiunse quello che meglio rispondeva al suo temperamento e ne venne alfine qualcosa tra il giardino e il parco, tra la passeggiata

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ombrosa di un convento per le molte cappelle e statue e il fiorito terrapieno di una fortezza per i solidi baluardi che sono attorno»63. Indubbiamente anche l’andamento irregolare del terreno non aveva consentito «l’unità armoniosa (dei giardini) di altri palazzi regali» ma caratteristica dei Giardini Vaticani era proprio l’essere «uno strano miscuglio... un bizzarro alternarsi di scorci architettonici e d’orticelli messi a cavoli e ad insalata»64. Elemento di disturbo, oltre all’indubbio eclettismo delle sistemazioni, era la parte rustica, quella delimitata dalle Mura Leonine che, come è ben visibile in alcune stampe dell’epoca, «era tutto un intrico di casette, di orti, di piccole vigne, con un grosso mulino, e percorso da una stradetta quasi campestre»65. Veniva invece apprezzato dai due autori il Giardino di Paolo III, definito «giardino segreto» o «giardino di agrumi», anche nella trasformazione operata sotto Gregorio XVI al quale erano inoltre tributate lodi per la trasformazione all’inglese del bosco attorno alla Casina di Pio IV66. Appare evidente come entrambi privilegiassero i giardini formali con le aiuole geometriche e regolari, secondo quel revival del giardino all’italiana tipico dei tempi nei quali scrivevano ma che negli anni del pontificato di Leone XIII era ancora a venire e che solo con Pio XI avrebbe fatto il suo ingresso in Vaticano. Negli ultimi decenni dell’Ottocento, a Roma, dominava ancora un gusto agreste e rurale e il pontefice regnante era un grande amante dei giardini ma in senso georgico e quindi di fatto contribuì ad accrescerne la rusticità. Pur dilettandosi di botanica e amando i fiori, tanto che si racconta che non si trattenesse, durante le sue frequenti passeggiate, dal cogliere quelli che più gli piacevano, la sua vera passione era la vigna. Aveva chiamato da Padova ad occuparsene un «singolare e bizzarro personaggio», don Candeo, ritenuto un esperto nella cura dei vigneti. Il pontefice era convinto di aver creato un vigneto modello per il quale aveva fatto venire dalla Francia vitigni di Borgogna e ne seguiva con costanza le operazioni stagionali di potatura ed innesto, con l’introduzione di innovative tecniche di coltura e consigliava ai sacerdoti che vivevano in campagna di studiare e applicare le nuove tecniche agricole quale occupazione confacente al

loro status. Secondo Bonomelli, tuttavia, non sembra che i risultati di tanto impegno fossero esaltanti, dato che il vino prodotto era così scadente da non trovare acquirenti e veniva in genere regalato a comunità e conventi67. Le vigne erano in realtà tre: la più grande verso i Bastioni del Sangallo, una seconda, la più frequentata dal pontefice, vicino al torrione di Niccolò V, ed una terza in una piccola spianata nel luogo ove oggi è la stazione ferroviaria68. Il pontefice, nelle sue quotidiane passeggiate in giardino, si intratteneva con il capo giardiniere, Cesare Balzani, discutendo di botanica e facendo sfoggio delle sue conoscenze giovanili e della sua terminologia scientifica in latino69. A testimonianza dell’abitudine del pontefice di ricevere in giardino, è un bel micromosaico di Biagio Barzotti, mosaicista della Fabbrica del Mosaico di San Pietro70, databile intorno agli anni Ottanta del secolo. Vi è raffigurato il pontefice assiso che accoglie alcuni cardinali sul terrazzamento ai piedi del Palazzetto del Belvedere, accanto al Portale fatto realizzare da Pio VI che immette nel viale che costeggia la Fontana della Galera. Alcune piante in vaso, in particolare agavi, decorano il piazzale e sullo sfondo si staglia la città con l’inconfondibile sagoma di Castel Sant’Angelo. L’origine campagnola di papa Pecci e l’amore giovanile per la caccia lo indussero alla realizzazione di un roccolo71, struttura vegetale per la caccia agli uccelli, situato in alto nel boschetto (dove è oggi la statua della Madonna della Guardia), con le chiome degli alberi piegate ad arte per permettere di tendere le reti. Bonomelli ne vedeva ancora le vestigia e nel ricordare quei tempi si chiedeva che fine avessero fatto i registri delle prese, «tenuti giorno per giorno con meticolosa precisione, con l’indicazione del tempo e dei venti» che il pontefice «consultava con il fido uccellatore, per trarne confronti ed auspici nelle alterne vicende venatorie»72. Sempre nel settore «rustico» il pontefice aveva voluto una nuova vaccheria e un recinto per accogliere daini, caprioli, gazzelle, struzzi e pellicani che gli aveva donato nel 1888 il cardinale Lavigerie, arcivescovo di Cartagine, in occasione del suo giubileo sacerdotale73. A causa della forzata clausura in Vaticano, nei mesi estivi il pontefice si recava di tanto in tanto nella

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Casina di Pio IV che era attrezzata solo per brevi soste e non godeva di vista e d’aria. Per creare una parvenza di villeggiatura, nel 1890 fu sistemato il grande torrione situato lungo le Mura di Leone IV, in posizione dominante con bella vista sui giardini sottostanti, per permettere i soggiorni del pontefice: su progetto dell’architetto Costantino Sneider74, responsabile dei Sacri Palazzi dopo la morte di Virginio e Francesco Vespignani, l’unico grande ambiente esistente al piano superiore del torrione – una stanza circolare – era stato decorato in modo da mimetizzare la possente presenza delle mura della fortezza e ingentilito con un fastoso arredamento di mobili intarsiati e di lampadari di cristallo. Vetri istoriati filtravano la luce dalle finestre e sul soffitto il pittore Ludovico Seitz (Roma 1844-1908) aveva dipinto la volta celeste, nella quale spiccava la costellazione del Leone in omaggio al pontefice; tante piccole lampadine elettriche si

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20. Lo chalet fatto costruire da Leone XIII in una cartolina di inizi Novecento.

22. Lo chalet con la Torre della Radio e le Mura di Leone IV.

L’OTTOCENTO: GUSTO ALL’INGLESE E PONTEFICI «GIARDINIERI»

21. Lo chalet in una foto degli anni Trenta del Novecento.

accendevano per imitare la presenza delle stelle e dare l’illusione dell’aria aperta75. Per poter accogliere anche il seguito ed ospitare le udienze, era stato costruito, addossato al torrione, un piccolo chalet in mattoni, con il coronamento merlato, quasi un piccolo fortilizio. Il percorso delle Mura Leonine tra il torrione con l’annesso chalet e la torre successiva era da tempo crollato e pertanto, per ricostituire il collegamento, fu realizzata una avveniristica passerella in metallo, una sorta di viadotto da percorrere in quota76. L’età avanzata del pontefice rendeva però sempre più difficile l’abitudine delle passeggiate in giardino e, dopo un’assenza di

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oltre un anno, Leone XIII, ormai alla veneranda età di 92 anni, il 1° giugno del 1902 vi tornò per inaugurare il Monumento alla Madonna di Lourdes, benché incompiuto. Nello stesso anno fece piantare, lungo un viale nei pressi del Torrione e dello chalet dove aveva passato qualche pomeriggio, un filare di lecci, pur consapevole di non poter assistere alla lenta crescita di quegli alberi. Ancora nel 1903, pochi giorni prima della morte, riuscì a tornare in quel giardino che aveva tanto amato e dove era stato immortalato in numerose fotografie in occasione di eventi celebrati nella sua personale «casa di villeggiatura».

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23. B. Barzotti, Leone XIII nei giardini, 1880 ca., micro-mosaico, collezione Gianni Giordani.

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12. Il Giardino Segreto di Paolo III ridotto dopo la costruzione della Pinacoteca 14. Il Giardino dei Semplici trasformato in parco all’inglese 23. La Pinacoteca di Luca Beltrami 24. L’ampliamento della Casina di Pio IV 26. Il Palazzo del Governatorato 25. Il Collegio etiope

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q. Fontane nel bosco dell’epoca di Benedetto XV e Pio XI r. Fontana delle Ranocchie s. Fontana della Conchiglia t. Fontane del giardino all’italiana u. Fontana della Navicella v. Fontane del Tritone e della Sirena w. Fontana di s. Marta

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27. La Stazione Trasmittente Marconi 31. Il Giardino all’italiana 32. Monumento e Grotta della Madonna di Lourdes 33. Giardino delle Rose 34. Nuovi Edifici 28. Palazzo di Giustizia 29. Stazione Ferroviaria 30. Studio del Mosaico

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Capitolo ottavo LA NUOVA IMMAGINE DELLA CITTÀ-STATO:

GIARDINI, FONTANE, EDIFICI E MONUMENTI


A fronte: 1. I Giardini novecenteschi.

Il Novecento, dopo il lunghissimo pontificato del «papa giardiniere» Leone XIII, si aprì con papa Sarto, Pio X (1903-1914), che, abituato agli sconfinati orizzonti della campagna veneta, non amava lo spazio delimitato e ridotto del quale poteva godere e definiva il Giardino Segreto di Paolo III che Gregorio XVI aveva arricchito di statue e fontane, un «cimitero», perché racchiuso da muri e geometricamente ordinato1. A lui si deve la realizzazione del sottopasso che dal Cortile del Belvedere conduce direttamente ai Giardini ed il trasferimento della Specola vaticana dalla Torre dei Venti al torrione con chalet dove Leone XIII usava «villeggiare». Per suo volere, inoltre, la finta grotta che ospitava la statua della Madonna di Lourdes fu completata da una costruzione neogotica sovrapposta, ad uso di cappella, demolita negli anni Sessanta. Benedetto XV (1914-1922), pur non amando particolarmente i Giardini, vi si recava ogni mattina, in carrozza, per rendere omaggio alla Madonna della Guardia, il monumento donato nel 1917 dalla sua città, Genova, che riproduce il santuario omonimo che sovrasta il porto. All’epoca del suo pontificato, comunque, sono riferibili alcuni interventi di abbellimento dei Giardini mediante il tracciato di alcuni ampi viali e la condotta dell’acqua nel bosco per alimentare tre nuove fontane rustiche ed una spettacolare composizione di rocce percorse da rivoli d’acqua che formano numerose cascatelle, per dotare di arredi il sito denominato il «boschereccio»2. La prima delle tre fontane realizzate ha la tipologia della mostra, con una parete in travertino addossata ad un terrapieno: al centro ha una vasca sormontata da un mascherone dal quale sgorga l’acqua, mentre superiormente è collocato un fastigio composto dallo stemma del pontefice contornato da volute e ghirlande e l’iscri-

LA NUOVA IMMAGINE DELLA CITTÀ-STATO

zione BENEDICTUS XV PONT. MAX \ PRISTINAM HORTORUM AMOENITATEM REVOCAVIT AUXIT ANNO II; completano la decorazione due vasi in travertino sulla sommità e due grandi olle in terracotta alle due estremità della parete. La seconda, al centro di una ombrosa radura adorna di frammenti scultorei usati come sedili, ha una vasca quadrilobata in malta cementizia che forma una crociera, con un piccolo catino al centro dal quale scaturisce un alto zampillo mentre altri cinque zampilli scaturiscono dalla vasca. Si tratta di un manufatto rustico, di modeste dimensioni e realizzato artigianalmente con materiali poveri quali malte e roccaglie, secondo schemi compositivi molto semplici, forse di diretta ideazione delle maestranze che prestavano la loro opera nei Giardini. Non vi si scorge, infatti, un’idea progettuale architettonica e certo nessun paragone è possibile con le spettacolari fontane seicentesche ideate da Carlo Maderno, Giovanni Vasanzio, Flaminio Ponzio e Martino Ferrabosco per il pontefice Paolo V. L’unica fontana realizzata durante il pontificato di Benedetto XV con qualche elemento monumentale ed architettonico, seppur di dimensioni ridotte, è la terza, che si compone di una vasca quadrangolare mistilinea con al centro una torretta cilindrica, scandita da piccole arcate e sormontata da una vaschetta con uno zampillo al centro; lungo il bordo della torretta un’iscrizione ricorda il pontefice committente e l’anno di realizzazione, il 1920. Una bella foto ritrae i Giardini durante il pontificato di Benedetto XV: in primo piano il Giardino Segreto di Paolo III ha ancora le aiuole regolari realizzate all’epoca di Gregorio XVI ma attraversate da viottolini, ornate da palme e da fioriture che ricordano la tecnica della «mosaicoltura»3, e che al centro del giardino compongono gli stemmi del pontefice regnante e del

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LA NUOVA IMMAGINE DELLA CITTÀ-STATO

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3. Veduta dall’alto della cappella gotica, dall’Illustrazione Vaticana, 1, 1933. 2. La Grotta di Lourdes con la cappella gotica, dall’Illustrazione Vaticana, 10, 1931.

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4. Un viale nel bosco, dall’Illustrazione Vaticana, 5, 1932.

5. I Giardini in una foto di inizio Novecento presa dal Belvedere.

6. I Giardini in una foto di inizio Novecento presa dalla cupola di San Pietro.

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7, 8. Fontana con cascatelle dell’epoca di Benedetto XV.

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LA NUOVA IMMAGINE DELLA CITTÀ-STATO

9. Mostra di Fontana con iscrizione celebrativa di Benedetto XV.

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10. Fontana con zampilli.

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A fronte: 11. Fontana a torretta con iscrizione celebrativa di Benedetto XV.

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suo immediato predecessore, Pio X; in secondo piano si scorge con chiarezza il tunnel fatto realizzare da Pio X, che dal Cortile del Belvedere immette nei Giardini e quindi la Casina di Pio IV, circondata da un eclettico boschetto con palme, pini, cipressi e due «cocchi» di lecci; sullo sfondo, lungo il percorso delle Mura, è riconoscibile la seicentesca Fontana delle Torri o del Sacramento seguita dall’allineamento delle costruzioni funzionali; ancora più oltre, accanto alla maestosa abside della Basilica, si intravede l’inizio dell’area agricola. Agli anni del pontificato di Benedetto XV risale una descrizione dei Giardini di tale Bechnick, scritta in tedesco e tradotta in italiano, dalla quale si può desumere come non vi fossero più agrumi: si citano solo frutteti ma non vi si trova nessun riferimento a spalliere o cocchi e nemmeno a piante in vaso. Inoltre l’ignoto estensore, che fa riferimento a un incarico ufficiale connesso alla sua professione, denuncia che la «manutenzione... lascia molto a desiderare» e che niente più viene fatto per l’abbellimento e la conservazione dei Giardini4. Al pontificato di papa Ratti, Pio XI (1922-1939), si deve una vera e propria rivoluzione nell’assetto della cittadella vaticana. L’immagine che oggi si ha dei Giardini è dovuta in gran parte agli interventi realizzati durante gli ultimi dieci anni del suo pontificato, che hanno interessato sia la trasformazione di quelli già esistenti sia, ed in modo eclatante, il recupero a delizia di tutta la parte rurale, con la creazione ex novo di nuove, inedite ed eclettiche sistemazioni del verde. All’inizio del suo pontificato l’area a verde della cittadella, ormai definitivamente separata da Roma, offriva ben poche attrattive: il settore agricolo era suddiviso in vari appezzamenti e vi erano numerosi piccoli e modesti manufatti funzionali, senza alcun valore estetico; il settore dei giardini aveva conservato le sistemazioni formali con fioriture nel Giardino Segreto di Paolo III e nel Cortile della Pigna, ma si era in generale «naturalizzato», assumendo l’aspetto di un parco agreste punteggiato da alcune spettacolari vestigia storiche quali la Casina di Pio IV, i resti delle Mura Leonine, le monumentali o curiose fontane dell’epoca di Paolo V. Anche in questo caso una bella fotografia degli inizi del secolo, presa dalla cupola di

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A fronte: 12. Fontana con lumini e stemma di Pio XI.

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San Pietro, ci mostra l’assetto dei luoghi prima degli interventi commissionati da Pio XI, con in primo piano la sequenza di edifici addossati alle Mura Leonine, l’estensione delle vigne e degli orti e, oltre le Mura, il giardino storico con la Casina di Pio IV, i due viali coperti a cocchio che la collegano al Giardino Segreto di Paolo III, racchiuso da mura, oltre le quali è visibile la città in espansione, destinata ben presto a sostituirsi alle numerose fabbriche di laterizi le cui ciminiere dominano ancora il paesaggio sullo sfondo di Monte Mario. I primi anni del pontificato Ratti non portarono grandi innovazioni, ma Pio XI, per non rinunciare a passeggiare nei Giardini nelle giornate piovose, fece erigere ai lati delle Mura Leonine due lunghe tettoie5, successivamente rimosse ma ricordate da un’iscrizione che così riporta: PIUS XI P.M. \ AMBULATIONEM AB IMBRIBUS TUTAM \ FIERI IUSSIT ANNO III. Quindi fece realizzare alcune fontane nello stesso stile di quelle volute dal suo predecessore, anch’esse formate da malte cementizie e roccaglie e forse opera delle medesime maestranze. Nel bosco vennero infatti collocate alcune rustiche e modeste fontane, con ben in vista le tre sfere e l’aquila, gli elementi dello stemma del pontefice regnante. La prima è costituita da una vasca circolare addossata ad una scogliera e, sulla parete a monte, campeggia lo stemma del pontefice, eseguito in malta cementizia, quale elemento decorativo: su un cilindro con le tre sfere in rilievo è poggiata l’aquila araldica sormontata dalla tiara pontificia. La seconda, realizzata con gli stessi materiali e secondo una analoga tipologia, ha una vasca circolare, al centro un monticello con riproposte le sfere e l’aquila araldica che regge un elemento circolare a due livelli sul quale poggia una serie di «candele» dalle quali fuoriescono getti d’acqua. Una terza fontana, sempre in malta e roccaglie, ha al centro della vasca una sorta di tozzo candelabro a cinque braccia, da ognuna delle quali zampilla l’acqua. Lo stato dei luoghi fino al 1929, prima dei grandi interventi che avrebbero rivoluzionato i Giardini Vaticani e tutta la cittadella, è documentato con grande precisione da una dettagliatissima pianta accompagnata da una descrizione, opera del conte Federico Paolozzi, datata 1924 e dedicata al pontefice6. La

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13. Fontana del Candelabro, dall’Illustrazione Vaticana, 1, 1933.

14. Fontana del Candelabro.

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Alle pagine seguenti: 15. F. Paolozzi, Nuova pianta dei Giardini Vaticani con l’elenco dei monumenti ivi conservati, 1924, disegno acquerellato, Musei Vaticani.

pianta è acquerellata e riproduce esclusivamente l’area dei Giardini, delimitata dalle Mura Leonine, oltre le quali sono solo accennati i «terreni coltivati a vigna»7. I Giardini sono divisi nella pianta in cinque settori, contraddistinti dalle lettere dell’alfabeto, e per ogni settore una accurata legenda elenca tutti gli oggetti di interesse che vi sono compresi: fontane, portali, sedili, olle, busti, statue, anfore, urne, piccoli obelischi, monumenti, frammenti architettonici, colonne, capitelli, per un totale di ben 166 elementi. Ne deriva un’immagine dei Giardini popolati di arredi scultorei, sicuramente collocati in gran parte durante l’Ottocento in ossequio alla moda dei giardini all’inglese. In particolare il bosco (diviso in due settori identificati dalle lettere B e C) retrostante la Casina di Pio IV ed il Giardino Segreto di Paolo III, appare percorso da una rete di vialetti tortuosi e disseminato da una miriade di statue, busti, fontane, con anche un «avanzo di tempietto con colonne e capitelli», cioè un finto rudere. Sempre nel bosco vi era un laghetto dai contorni irregolari, con attorno

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diversi frammenti marmorei antichi usati come sedili. Le statue e i busti collocati nei Giardini sono in genere antichi, raffigurano personaggi mitologici quali Giove, Flora, Cerere, Apollo, Minerva, Bacco oppure imperatori romani, guerrieri, retori. Alcuni soggetti non sono identificati e colpisce il fatto che molti busti e molte statue siano acefali, soprattutto quelli situati nell’area della Casina di Pio IV. Nel bosco vi erano inoltre alcuni casotti, due uccelliere, identificate in pianta con il disegno di uccelli variopinti, ed alcune serre: quattro sono allineate nel Giardino Segreto di Paolo III, addossate al muro di cinta, nel sito dove pochi anni dopo sarebbe stata costruita la Pinacoteca; altre sono nei pressi del cosiddetto «semicircolo», il giardino sottostante il Palazzetto del Belvedere. Non mancavano i monumenti sacri, in genere doni di comunità di fedeli, destinati ad aumentare in modo massiccio fino ai giorni nostri. All’epoca, oltre ai già citati monumenti alla Madonna di Lourdes e alla Madonna della Guardia, vi erano il monumento ad Urbano VIII, nel bosco retrostante il Giardino Segreto di Paolo III; il gruppo bronzeo con sant’Alpino ed Attila, sempre nel bosco; il monumento in bronzo ad Urbano II e quello a sant’Anstremonio, entrambi nella parte alta del giardino oltre il bosco. Vi erano inoltre, in vari siti, stemmi di diversi pontefici ed un busto di Benedetto XV. Da questi documenti deriva ancora una volta un’immagine dei Giardini fondamentalmente fedele alla ripartizione in zone già in atto ai tempi di Paolo V, con alcune concessioni al gusto all’inglese consistenti in una trasformazione delle aiuole, che avevano ormai perduto lo schematismo geometrico dei giardini formali, e del bosco che era stato popolato di arredi tanto da divenire quasi un museo all’aperto. La presenza dei manufatti rurali e funzionali e delle aree agricole, sempre oltre le Mura Leonine, conferiva alla cittadella vaticana un carattere ancora d’altri tempi, un aspetto pittoresco da «campagna romana» che l’espansione della città tutt’attorno rendeva ormai anacronistico. L’11 febbraio del 1929, come è noto, venivano firmati i Patti Lateranensi, a sancire, dopo decenni dalla breccia di Porta Pia, l’accordo tra il Regno d’Italia e la Santa Sede, alla quale veniva riconosciuta la

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NUOVA PIANTA DEI GIARDINI VATICANI CON L’ELENCO DEI MONUMENTI IVI CONSERVATI ESEGUITA DAL CONTE FEDERICO PAOLOZZI E DA LUI DEDICATA CON FILIALE DEVOZIONE AL SANTO PADRE PIO P.P. XI FELICEMENTE REGNANTE NELL’ANNO DI GRAZIA MCMXXIIII Lista informativa A-1 Vasca grande composta di tazza rotonda sopra piedistallo baccellato con gli stemmi di Gregorio XVI A-2 Imperatore romano in atto di parlare A-3 Giove con saetta A-4 Guerriero romano A-5 Augusto anziano con corno dell’abbondanza e con bastone di comando A-6 Urna romana con coniugi effigiati e fontanella A-7 Mensola con puttino A-8 Busto d’uomo romano A-9 Statua romana di Flora A-10 Fontana con testa di leone A-11 Statua romana di portatrice d’acqua A-12 Nicchia con statuetta di donna con anfora su mensoletta A-13 Busto rappresentante Benedetto XV A-14 Portale sansovinesco con iscrizione di Pio IV A-15 Busto romano sopra a un arco A-16 Busto di Dottore della Chiesa A-17 Statua di Lucrezia seduta ed annessa fontana con testa di leone e acqua di S. Damaso A-18 Busto romano d’uomo sopra una porta A-19 e 20 Due olle con piedistallo murato B-1 Busto di romano con panneggio di marmo rosa sopra un capitello e questo sopra una base con testa di gorgone B-2 Piccolo obelisco sopra una base con testa di donna B-3 Altro uguale sopra una base con testa di donna B-4 Statua di imperatore seminudo in atto di parlare B-5 Olla da cui esce l’acqua per la vasca B-6 Sedile con stemma B-7 Sedile con fregio di leone che divora una capra B-8 Sedile con frammento di statua femminile B-9 Sedile con cippo B-10 Busto di romano sopra una colonna baccellata B-11 e 12 Due pezzi di colonne baccellate simili B-13 Busto romano sopra base con testa femminile B-14 Capitello frantumato con vaso B-15 Monumento di bambino su colonna di granito B-16 Fontana a croce greca B-17 Anfora da piedistallo B-18 Monumento con diversi fregi e stemma di Urbano VIII B-19 Vasca da fontana bislunga con mensola B-20 Statua di donna B-21 Capitello B-22 Fontana a nicchia di Benedetto XV B-23 Anfora B-24 Sedile con frammento di sarcofago B-25 Piccolo obelisco su capitello B-26 Stemma d’Innocenzo VIII B-27 Sedile con frammenti di colonna e fregi di lauro B-28 Capitello su base B-29 Avanzi di mura antiche B-30 Grande olla con coperchio su piedistallo alto C-1 Panca con stemma di Urbano VIII C-2 Fontana con delfinetti e conchiglia C-3 Vaso ornato su piedistallo

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C-4 Avanzo di tempietto con colonne e capitelli C-5 Anfora, capitello e frammento di sarcofago con coniugi effigiati C-6 Statua sedente di Apollo Citaredo C-7 Panca con testa di donna C-8 Statua di Cerere su piedistallo rotondo C-9 Fontana grande di Paolo V con due tritoni C-10 Colonna con vasetto C-11 Anfora su piedistallo di ferro C-12 Ometto inginocchiato con bastone C-13 Ceppo contornato di fregi a foglie di lauro C-14 Grande olla con coperchio su piedistallo C-15 Vaso ornato su pilastro C-16 Pozzo con iscrizione frammentaria e pezzo di coperchio C-17 Olla con coperchio su piedistallo C-18 Busto di Minerva C-19 Colonna con capitello e vaso su base con testa a bassorilievo C-20 Busto d’uomo C-21 Fontana di Benedetto XV con iscrizione, stemma, obelischetti e mascherone C-22 Fontana con magnifica urna soprastante con piedistallo istoriato C-23 Gruppo di diversi frammenti di sarcofagi e colonne C-24 Vaso grande su piedistallo C-25 Statua di retore C-26 Statua decapitata C-27 Busto romano su colonna C-28 e 29 Davanti d’urna con grifi e teste di leone C-30 Colonna con capitello su base con testa a bassorilievo C-31 Gruppo di bronzo raffigurante S. Alpino e Attila C-32 Statua decapitata C-33 Capitello C-34 Colonna con capitello e palla sopra base fregiata di foglie C-35 Pezzo di colonna C-36 Grande olla con coperchio e base rotonda C-37 Giove sedente tra colonne e capitelli C-38 Fontanella con stemma d’Innocenzo VIII C-39 Piccola ara su piedistallo alto C-40 Obelischetto C-41 Madonna con tempietto a nicchia offerta dai Genovesi a Benedetto XV, detta della Guardia C-42 Sedile con fregi e stemma C-43 Sedile con stemma C-44 Sedile con frammento di sarcofago D-1 Statua marmorea di guerriero romano seminudo su piedistallo D-2- 4-5-7 Testa di donna nell’ingresso settentrionale del Ninfeo di Pio IV D-3 Busto di donna romana ivi stesso D-6 Busto d’uomo romano ivi stesso D- 8 Fontana con due putti con delfini e conchiglie in mezzo al cortile del Linfeo D-9 e 10 Statue mozzate sopra ippocampi nello stesso cortile D-11 Statua decapitata di retore nella loggia del Ninfeo D-12 Statua decapitata seminuda di retore ivi stesso D-13 Statua di declamatrice decapitata ivi stesso D-14 Stata d’uomo decapitato ivi stesso D-15 e 16 Due vasche uguali ornate e fregiate con gli stemmi di Pio IV in stesso D-17 Busto decapitato nell’ingresso meridionale del Ninfeo D-18 Busto d’uomo romano ivi stesso D-19 Busto decapitato ivi stesso D-20 Busto decapitato ivi stesso D-21 Busto avoriato d’uomo ivi stesso D-22 Busto di donna romana ivi stesso D-23 Statua di donna decapitata nel pronao del Casino

D-24 Altra simile ivi stesso D-25 Grande statua di donna decapitata con volume in mano seduta sopra capitello ivi stesso D-26 Statua decapitata d’uomo grasso e peloso ivi stesso D-27 e 28 Due vasche ovali uguali con ornati e stemmi di Pio IV ivi stesso D-29, 30, 31 e 32 Busti romani d’uomo su colonne di marmo colorato nella prima sala del Casino D-33 Statua di bimbo sopra alla porta all’ingresso meridionale del Ninfeo D-34 Statua di bimba sopra alla porta all’ingresso settentrionale del Ninfeo D-35 Statua grande di donna seduta con torre in testa sopra la vasca esterna del Ninfeo D-36 Statua di donna seduta a un lato di questa D-37 Statua di donna seduta all’altro lato di questa D-38 Grande olla con coperchio su piedistallo alto D-39 Fontana delle Torri di Paolo V D-40 Grotticella incompiuta con marmi e mosaici di Paolo V, detta la Fontana degli Specchi D-41,42,43,44, 45,46 Obelischetti simili

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E-1 Monumento a Sant’Anstremonio primo vescovo d’Alvernia E-2 Figuretta d’uomo infissa nel muro E-3 Pezzo di cippo infisso nel muro E-4 Piccolo bassorilievo infisso nel muro E- 5 e 6 Due colonne con spalla uguali E-7 Monumento in bronzo a Urbano II E-8 Fontanella con testa di leone di Benedetto XV F-1 Busto di donna romana sopra a un arco F-2 Busto di donna romana su mensola F-3 Busto d’uomo romano su mensola F-4 Busto decapitato su mensola F-5 Vasca rettangolare di peperino F-6 Capitello rovescio con ara sul muro F-7 e 8 Obelischetti simili sul muro F-9 Statua decapitata in una nicchia F-10 Statua di Bacco in una nicchia F-11 Busto di donna romana F-12 Busto di Marco Aurelio F-13 Urna a fontana con mascherone F-14 Fontana con stemma di Pio VI sopra a una palla F-15 Vaso decorativo F-16 Galera in rame su disegno di Maderno Segni convenzionali _ Vano di porta a foggia d’arco V Vaso decorativo Y Fontana con zampillo ornamentale Z vasca con zampillo montante centrale P Palla decorativa su porte o balaustre - Scale e scalette L Costruzioni in legno S Serre e rimesse di fiori o d’agrumi G Gabbie O Nicchie … Roccie artificiali di tufo Spiegazioni dei colori Verde chiaro= prati e aiuole Verde forte= orti e vigna Verde scuro=boschi e alberati Marrone chiaro= fabbricati di legno Marrone forte= mura di cinta, dette di Belisario Marrone scuro= mura leonine Giallo limone= strade e viali Giallo arancio= Musei e gallerie Pontificie Rosso= costruzioni in muratura Azzurro= fontane e vasche Celeste= serra di vetro Grigio= cortili e piedistalli in pietra

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16. Un viale nel bosco.

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Alle pagine seguenti: 17-19. Veduta del bosco.

sovranità territoriale dello Stato del Vaticano e della Villa di Castel Gandolfo. A compensazione dei territori e dei beni requisiti con la forza nel 1870, veniva riconosciuto un cospicuo indennizzo al nuovo Stato, subito finalizzato alla costruzione di edifici destinati ad accoglierne le funzioni amministrative ed operative, dando l’avvio ad una trasformazione radicale dell’aerea. Gli anni immediatamente successivi videro, infatti, un fervore edilizio senza eguali, con un proliferare impressionante di nuove fabbriche concentrate nell’estensione dei 44 ettari della Città del Vaticano. Il grande progetto di rinnovamento, che interessò anche i Giardini, fu inoltre l’occasione per creare numerosi posti di lavoro per i tanti disoccupati vittime della grande crisi, contribuendo ad affrontare un ingente problema sociale8. Così una cronaca dell’epoca riferiva: «... la creazione dei giardini Vaticani subì impulso dalla crisi che si era abbattuta sul mondo intero e che dava il suo doloroso seguito di disoccupazione. Anche per questa ragione, anche – dunque – per partecipare all’assillante risoluzione del problema della disoccupazione fu dato inizio a quella imponente serie di lavori che fu la creazione dei giardini Vaticani»9. I lavori di sistemazione dei Giardini ebbero inizio nel marzo 1930 per concludersi quattro anni più tardi e interessarono il restauro dell’esistente e la trasformazione di ben 13 ettari di terreni adibiti a vigna e ad orto che assunsero un aspetto paludato e ornamentale. Tutta la vasta area compresa tra le Mura Leonine ed il retro della Basilica di San Pietro perse definitivamente il carattere agricolo che aveva conservato per secoli, ed anche la morfologia del terreno fu modificata grazie ad imponenti sbancamenti degli strati sabbiosi o argillosi. A complemento del nuovo assetto dell’area furono realizzate canalizzazioni per il drenaggio delle acque e palificate per sostenere i terrazzamenti ed i dislivelli del terreno, raccordati con scarpate che raggiungono anche la pendenza del 40%. Sempre secondo la citata cronaca, fu asportato più di un milione di metri cubi di materiali di rifiuto, risultanti dalle demolizioni delle casupole addossate alle Mura Leonine e dalle rimozioni di terreni sabbiosi o argillosi. Un’idea dell’imponenza delle trasformazioni attuate emerge chiaramente dall’esame di due piante della cittadella vaticana, una del 1874 ed una del 1933, messe a confronto in un articolo dedicato proprio agli interventi attuati durante il pontificato di Pio XI10. Per la realizzazione degli edifici amministrativi, giurisdizionali e istituzionali del nuovo Stato fu incaricato l’architetto Giuseppe Momo (Vercelli 1875-Torino 1940), legato da un rapporto personale di amicizia con il pontefice che lo aveva nominato Architetto della Reverenda Fabbrica di San Pietro e presidente della Commissione per i Pubblici Lavori11. All’architetto si deve la progettazione e la costruzione, a partire dal 1930, del Palazzo del Governatorato (1931), caratterizzato da una loggia ad edicola sulla sommità, della Stazione Ferroviaria (1931), della Stazione Radio (1933), dell’Ufficio Postale (1933). L’edificio del Seminario fu invece trasformato ed adattato a Tribunale (1931), mentre la Casina di Pio IV, per poter ospitare la sede della Pontificia Accademia delle Scienze, fu notevolmente ampliata con un corpo

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20. L’area agricola prima delle trasformazioni dall’Illustrazione Vaticana, 1, 1933.

24. I nuovi edifici in costruzione, dall’Illustrazione Vaticana, 1, 1933.

21. L’area agricola prima delle trasformazioni dall’Illustrazione Vaticana, 1, 1933.

25. I nuovi edifici in costruzione, dall’Illustrazione Vaticana, 1, 1933.

addossato sul retro della fabbrica di Pirro Ligorio. La nuova sede fu inaugurata in pompa magna da Pio XI il 17 dicembre 1933 e definita luogo destinato a promuovere l’incontro tra la fede e la cultura scientifica12. Tutte le costruzioni progettate dall’architetto Momo sono caratterizzate da un’impostazione omogenea, di gusto neorinascimentale e di grande monumentalità, conferita dal largo uso dell’ordine gigante, del bugnato e del travertino, di loggiati ed edicole. Gli edifici citati sorsero, in gran parte, su quelli che erano i terreni agricoli e tutt’attorno ad essi vennero create nuove sistemazioni a giardino, forse su progetto del medesimo architetto, a conferire decoro ai luoghi. Il nuovo ingresso ai Giardini creato in prossimità dell’Arco delle Campane si collega ad una scenografica sistemazione che introduce al percorso di visita: nell’area in pendenza compresa tra le costruzioni della Stazione Ferroviaria e del Palazzo del Governatorato si offre alla vista una sorta di ventaglio disegnato da siepi di bosso e fioriture con al centro una fontana realizzata con materiali poveri – malte dipinte di bianco ad imitazione del marmo – ma di grande effetto visivo che raffigura una grande conchiglia con le valve aperte dalla quale scaturisce l’acqua, opera dello scultore

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22. L’area agricola durante i lavori, dall’Illustrazione Vaticana, 1, 1933.

26. La nuova Pinacoteca, dall’Illustrazione Vaticana, 1, 1933.

23. L’area agricola durante i lavori, dall’Illustrazione Vaticana, 1, 1933.

27. La nuova Pinacoteca, dall’Illustrazione Vaticana, 1, 1933.

Guarino Roscioli (1895-1974)13. Tutt’attorno furono piantati alberi ornamentali sempreverdi, soprattutto conifere e pini, mentre la strada che conduce nella parte più alta dei giardini venne abbellita da un rivestimento di roccaglie nella quale furono inserite e acclimatate molte varietà e specie di piante grasse, cactacee e succulente che fioriscono tutto l’anno. Tra il Palazzo del Governatorato e l’abside di San Pietro il disegno delle aiuole fiorite e del bosso compone lo stemma del pontefice regnante e quello dello Stato del Vaticano, mentre accanto vi sono alcuni esemplari di una pianta esotica di pregio, la Nolina longifolia. I tappeti erbosi che rivestono i pendii sono punteggiati da cespugli di canna indica, dalle spettacolari fioriture nei vivaci colori del rosso e del giallo. Sul retro del Palazzo del Governatorato e poco distante dall’edifico che ospita il Collegio Etiopico, vi è un’altra graziosa fontana, sempre in malta cementizia ad imitazione del marmo, composta di una vasca rotonda a terra con al centro una barchetta sostenuta da due delfini e da un piedistallo dalle volute barocche sul quale campeggiano l’aquila e le tre sfere dell’emblema del pontefice regnante. In questa fontana, che costituisce una ripresa di modelli del passato, si può leggere un

richiamo ai simboli tradizionali della Chiesa quali la navicella della salvezza ed i delfini. Tutt’intorno sono sistemati oleandri, gruppi di banani, calle ed altre piante acquatiche ed alcuni melangoli (aranci amari) che ricordano la storica imponente presenza di agrumi nei Giardini Vaticani. Non lontano, nei pressi della casa del giardiniere, nel 1936 furono collocate alcune sculture che componevano il Monumento al Concilio Vaticano I, già posto nel 1885, per volere di papa Leone XIII, al centro del Cortile della Pigna. Oltre alla statua bronzea di san Pietro, su una bassa colonna, vi sono i rilievi opera di Pietro Galli ed alcuni frammenti scultorei disseminati sui prati. Nei pressi del Palazzo della Radio è stato realizzato il giardino più interessante, tra le tante sistemazioni attuate in questa fase. Si tratta della riproposizione di un giardino all’italiana, secondo il revival che in quegli anni stava interessando tutto il paese, producendo un proliferare smodato di giardini in stile, dalle aiuole regolari e geometricamente squadrate, basate sul largo uso del bosso14. Si riteneva, infatti, che i giardini rinascimentali, privi di fiori, fossero severi e rigorosi e che affidassero l’effetto decorativo alla sapiente combinazione di siepi e di arbusti manipolati

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secondo i precetti dell’ars topiaria, o alle diverse tonalità di verde delle piante utilizzate. Il nuovo giardino, situato su un ampio terrazzamento pianeggiante, si compone di due grandi aiuole rettangolari simmetriche, delimitate da basse siepi di bosso. Al centro di ognuna è posta una fontana con vasca circolare a terra ed un semplice zampillo al centro. Un disegno realizzato sempre in bosso, squadrato o a forma di globi agli angoli, è ripetuto specularmente nelle due aiuole ed alterna linee curve e spezzate, formando un accenno di labirinto. Intorno al giardino all’italiana sono piantate numerose varietà di palme, quali la Chamaerops humilis o palma nana, la Butia, la Washingtonia e la Livingstona, accanto a cedri, cipressi, abeti e pini. Ad una estremità del giardino fa mostra uno splendido esemplare di faggio (Fagus selvatica), specie che alligna normalmente oltre i mille metri di quota. Un lato corto del giardino è delimitato dall’alta parete delle Mura Leonine, sulle quali è stato posto lo stemma in travertino del pontefice Pio XI, che «firma» la spettacolare creazione. Nella parte alta del colle, oltre le Mura Leonine e accanto alla Grotta della Madonna di Lourdes, venne realizzata negli stessi anni un’impegnativa impresa

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28. Pianta della Cittadella Vaticana nel 1874, dall’Illustrazione Vaticana, 1, 1933.

29. Pianta della Cittadella Vaticana nel 1933, dopo le trasformazioni, dall’Illustrazione Vaticana, 1, 1933.

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A fronte: 30. La collina attorno alla Fontana della Conchiglia.

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31. G. Roscioli, la Fontana della Conchiglia. Alle pagine seguenti: 32-34. Vedute dei giardini novecenteschi.

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35. Veduta dei giardini novecenteschi.

36. Veduta dei giardini novecenteschi.

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37. La Fontana della Navicella. A fronte: 38. La Fontana della Navicella, particolare con sullo sfondo il Giardino delle Rose.

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39. Frammenti scultorei opera di Pietro Galli, 1869, provenienti dal Monumento al Concilio Vaticano I, ora nei pressi della Casa del Giardiniere.

40. Piante di agrumi nel Giardino. 41. Piante di banani nel Giardino.

Alle pagine seguenti: 42-44. Il Giardino all’italiana. 45. Lo stemma di Pio XI che sovrasta il Giardino all’italiana. 46. Veduta dei giardini.

che ha interessato tutta l’area occupata da una sistemazione a giardino databile agli anni del pontificato di Leone XIII che nei pressi, come sappiamo, aveva fatto realizzare lo chalet per le sue «villeggiature». Per dotare il piccolo Stato di un adeguato serbatoio di acqua potabile, nello spazio pianeggiante compreso tra il cancello creato da Pio VI al termine del bosco e la Grotta della Madonna di Lourdes venne realizzata un’enorme vasca interrata, impermeabilizzata e collegata alla conduzione dell’acqua proveniente dal lago di Bracciano. Sopra la vasca, ricoperta da 60 centimetri di terra, venne disegnato un giardino dalle semplici geometrie, con aiuole squadrate, con siepi di bosso, fioriture in terra ed in vaso ed alcuni alberi di pregio, tra i quali merita di essere citato l’albero della canfora (Cinnamon canphora), originario della Cina e del Giappone, che spicca tra esemplari di magnolia, di cycas, di cedri e di arbusti con belle fioriture, come la buddleia e la lagerstroemia. Un viale di ulivi ricorda lo scenario della passione di Cristo ma anche l’originaria vocazione agricola del luogo. Al centro della sistemazione è stata posta la graziosa e semplice Fontana delle Ranocchie: la bassa vasca circolare in travertino, ricolma di piante acquatiche dalle belle fioriture, con uno zampillo al centro che sgorga da un’anfora antica, presenta poggiate sul bordo alcune ranocchie in bronzo15. Il bosco sottostante, che non si trovava in buone condizioni, fu oggetto di molte cure: ben 150 dei 200 alberi di taglia grande che lo componevano furono oggetto di interventi fitochirurgici, mentre cento nuovi esemplari furono posti a rimpiazzare quelli che negli anni erano deceduti. Nonostante l’inserimento di alcune piante esotiche, il bosco ha conservato un prevalente carattere mediterraneo, con una predominanza di lecci, di altre varietà di querce, di aceri, di pioppi, di acacie e di platani. Nel sottobosco proliferano il bosso, il viburno, il ligustro, tra i quali in primavera fioriscono gli iris, le primule, gli acanti, i crochi ed i narcisi. Inoltre, sulla scarpata a nord, in direzione di Monte Mario, fu impiantato un nuovo bosco di conifere «comprendente circa 200 varietà, dalle nane alle prostrate, arbustive ed arboree»16. Nel bosco così rinnovato si erano comunque conservate

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A fronte: 49. La Fontana delle Ranocchie.

47. Il viale degli ulivi.

Alle pagine seguenti: 50. La Fontana delle Ranocchie.

48. Il bosco di conifere.

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molte sculture nell’eclettica disposizione riportata dai documenti del 1925 che accostava soggetti pagani e cristiani e delle quali, ancor oggi, alcune sono visibili in loco. Nell’area già usata come vigna e posta a ridosso delle Mura Leonine, in uno spazio pianeggiante sulla sommità del colle, venne creato dal nulla un nuovo spettacolare giardino, il roseto: un disegno geometrico scandisce lo spazio in aiuole regolari, con siepi di bosso intorno e al centro splendide fioriture di rose in varietà; una sequenza di tralicci ad arco, ricoperti di gelsomini o di rose rampicanti, inquadra le vedute sulla cupola e sull’ampio panorama circostante; due graziose fontanine in malta ad imitazione del marmo rendono ancor più suggestivo il giardino: al centro di due basse vasche circolari in travertino e poggiate su una sorta di conchiglia quadrilobata, si ergono un tritone ed una sirena, ognuno dei quali stringe tra le mani una buccina dalla quale sgorga un alto zampillo d’acqua. A complemento degli interventi, i Giardini furono dotati di nuove serre, situate dove nel Cinquecento era il giardino di Clemente VII, cioè lungo il terrazzamento con vista su Monte Mario e nei pressi della storica Fontana della Zitella. Le moderne serre, realizzate in sostituzione delle vecchie aranciere, erano dotate di impianti tecnologici all’avanguardia e, oltre a servire per la propagazione delle piante dei Giardini, erano usate per fornire in ogni stagione fiori freschi per decorare gli altari della Basilica e delle altre chiese della cittadella17. L’impegnativa impresa della realizzazione dei nuovi giardini non fece dimenticare la necessità di intervenire su quelli esistenti, tutti bisognosi di essere restaurati o rinnovati. Così, nell’ambito dei grandiosi lavori realizzati negli anni Trenta, si intervenne anche sugli unici giardini che avevano conservato l’assetto dei secoli passati, cioè su quello del Cortile della Pigna e sul Giardino Segreto di Paolo III. Il primo fu riordinato senza l’introduzione di particolari modifiche, se si esclude lo spostamento del Monumento al Concilio Vaticano I. Il Giardino Segreto di Paolo III fu invece completamente ridisegnato, a seguito della costruzione dell’edificio della Pinacoteca: nell’area verso la cinta muraria in direzione di Monte Mario,

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51. Il Giardino delle Rose.

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52. Il Giardino delle Rose.

53. La Fontana del Tritone nel Giardino delle Rose.

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Alle pagine seguenti: 54, 55. La Fontana della Sirena nel Giardino delle Rose.

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56. Il Giardino Segreto di Paolo III dopo la costruzione della Pinacoteca.

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dove vi era un tempo il passaggio sotterraneo che conduceva al giardino terrazzato di Clemente VII e dove in seguito erano stati costruiti i capannoni per il ricovero degli agrumi e dei fiori pregiati, fu realizzato un nuovo monumentale edificio destinato ad accogliere l’esposizione delle opere di pittura. Il progetto per la nuova Pinacoteca fu affidato all’anziano ed affermato architetto Luca Beltrami (Milano 1854-Roma 1933) con la prescrizione che «non si scostasse troppo dalle linee e dal carattere predominante negli edifici del cinquecento, dell’ambiente vaticano»18. L’architetto19, già da tempo attivo in Vaticano, non aveva peraltro bisogno di raccomandazioni per rispettare il contesto in cui operava e la Pinacoteca da lui progettata, con largo uso di travertini e laterizi, si inserì pienamente in armonia accanto alle fabbriche preesistenti. Tuttavia il Giardino Segreto di Paolo III ne risultò gravemente penalizzato, con la sottrazione di una cospicua estensione di terreno e la perdita della disposizione assiale: fu pertanto necessario spostare la fontana bramantesca proveniente dal Cortile della Pigna, che Gregorio XVI aveva voluto al centro del giardino, e tracciare nuovi viali non più allineati con i finti portali della parete verso il bosco. Le nuove aiuole non ebbero più le elaborate composizioni di fiori multicolori ma semplici superfici a prato delimitate da siepi di bosso con agli angoli vasi di agrumi. Ne risultava un’immagine impoverita e senza più alcun legame con l’originario giardino che, pur mutando la propria configurazione, era sempre stato un elemento di spicco ed aveva conservato per secoli la delimitazione originaria. Per concludere la serie degli interventi che rivoluzionarono l’aspetto della cittadella vaticana va citata la sistemazione della piazza di Santa Marta, dove fu collocata una nuova fontana, composta da una vasca circolare a terra, da un basamento con lo stemma di Pio XI e da un sovrastante catino, sempre circolare20. Si tratta di un manufatto che richiama in modo impressionante le fontane cinquecentesche ed in particolare quelle collocate da Donato Bramante nel Cortile del Belvedere, ma l’uso della malta cementizia al posto del più nobile marmo rivela chiaramente la sua modernità. Come risultato di tutti questi interventi, durante gli ultimi anni del pontificato di Pio XI è stato ra-

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dicalmente modificato l’assetto storico assunto dai Giardini Vaticani nel Seicento e conservato per tre secoli senza grandi cambiamenti. Di fatto, mentre la parte «storica» dei Giardini perdeva importanza e carattere, e veniva ridotta e ridimensionata per far luogo alle nuove fabbriche, nuovi giardini venivano creati nel settore tradizionalmente adibito a colture agricole produttive. A ricordo della tradizionale presenza degli orti vi è ancor oggi, nei pressi della Fontana dell’Aquilone o dello Scoglio, un piccolo, modesto appezzamento di terreno dove le suore clarisse alloggiate nel vicino Monastero Mater Ecclesiae coltivano le verdure destinate alla tavola del pontefice. Risulta sorprendente la quasi totale scomparsa degli agrumi: se si escludono pochi esemplari in vaso o in terra, non vi è più traccia delle spalliere che, fino all’Ottocento, ricoprivano i muri, o dei cocchi che tante cure ricevevano. Si tratta di una scomparsa che si è verificata anche in altre ville romane, come Villa Borghese21 o Villa Pamphilj22 dove le decorative sistemazioni con gli «aurei pomi» sono rilevabili solo fino all’Ottocento.

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A fronte: 57. L’orto del pontefice.

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Probabilmente gli elevati costi della manutenzione degli agrumi hanno indotto ad abbandonarne le colture a favore di sistemazioni più semplici seppur di ridotta valenza decorativa e simbolica. Questa nuova configurazione dei Giardini si è conservata fino ai giorni nostri, con alcune limitate modifiche dovute all’uso di collocare nelle aree verdi i monumenti donati negli anni ai pontefici dalle varie comunità di fedeli, creando così eterogenei percorsi di carattere sacro. I motivi di attrazione dei Giardini Vaticani sono costituiti oggi dalle spettacolari e scenografiche sistemazioni novecentesche piuttosto che dalle vestigia storiche, delle quali si è perduta in gran parte l’immagine ed anche la memoria. Permangono però ancora tracce leggibili che permettono di ripercorrere l’evoluzione che si è avuta nelle sistemazioni del colle dal Medioevo fino ai primi decenni del secolo scorso, quando la conformazione dei Giardini Vaticani rifletteva i caratteri della committenza e della politica pontificia.

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Capitolo nono LE VILLEGGIATURE DEI PONTEFICI E LA VILLA DI CASTEL GANDOLFO


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A fronte: 1. Castel Gandolfo, statua equestre di Settimio Severo.

LE VILLEGGIATURE DEI PONTEFICI DAL MEDIOEVO AL XVII SECOLO

La consuetudine dei pontefici di trascorrere periodi di villeggiatura più o meno lunghi lontano da Roma è documentata almeno fin dall’VIII secolo1, quando Paolo I (757-767) si spegneva nel monastero di San Paolo fuori le mura, dove si era rifugiato per fuggire dalla calura estiva2. Gregorio IV (827-844) aveva una residenza nei pressi del porto di Ostia, con portici e terrazze3; Damaso II, eletto nel 1048 e proveniente da Bressanone, si insediò a Palestrina, «ad fugiendos urbanos aestus»4, dove si spense dopo soli 23 giorni di pontificato; Eugenio III (1145-1153) fece costruire a Segni un palazzetto dove si recava con frequenza e che fu usato in seguito anche da altri pontefici5. Il progressivo abbandono delle campagne intorno all’abitato di Roma aveva contribuito a rendere sempre più insalubre la permanenza in città nei mesi estivi e quindi nel XIII secolo si consolidò l’abitudine a trascorrere alcuni mesi in città di collina come Anagni, Subiaco, Viterbo, Orvieto e Perugia. Nel corso del Duecento la consuetudine dei pontefici a lasciare Roma seguiva cadenze regolari: la partenza avveniva tra maggio e giugno ed il ritorno tra ottobre e novembre, spesso in coincidenza con una festa liturgica di particolare importanza. È stato messo in evidenza come l’istituzionalizzazione di tale processo abbia inizio con il pontificato di Innocenzo III (1198-1216) che, a differenza dei suoi immediati predecessori che non avevano mai lasciato l’Urbe, durante i diciotto anni del suo pontificato se ne allontanò ben quattordici volte6. Un riscontro diretto di come ormai la villeggiatura estiva fosse diventata consuetudine si trova in una cronaca duecentesca nella quale la residenza pontificia ufficiale del Laterano viene definita «hiemale palatium», palazzo invernale, per distinguerlo dalle sedi estive7. La motivazione igienico-sanitaria era sicuramente alla base di tali spostamenti e i cronisti non mancavano di sottoli-

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neare come i pontefici si allontanassero da Roma per «romani aeris suspecta conditio» oppure per «estatis incendia» o anche per «suspecti aeris»8. L’assunto di base era che i pontefici dovessero mantenersi in buona salute, prendendosi cura del proprio corpo per poter guidare la cristianità e trasmettere un’immagine di serenità, equilibrio e compostezza, come prescriveva un trattato dell’epoca9. La pratica della recreatio corporis quale riconosciuta necessità aveva come riscontro l’uso, invalso sempre nel Duecento, della presenza di un «medico pontificio» per evitare che la salute cagionevole del pontefice potesse ripercuotersi negativamente sulla vita della Chiesa. Progressivamente, accanto alla motivazione funzionale comincia ad affermarsi, seppur in modo velato, il concetto del piacere, del godimento procurato dall’essere immersi in una natura bella e accogliente, come traspare dalla cronaca di un cardinale del seguito di Innocenzo III che descrive il soggiorno del pontefice dall’agosto al settembre del 1202 a Subiaco con notazioni di entusiasmo per il paesaggio, anche se non manca di sottolineare come l’acqua, elemento di bellezza e piacere, abbia anche una valenza salvifica e purificatrice10. La permanenza a Roma nel periodo estivo non era sconsigliata solo per la sofferenza che provocava il caldo, ma soprattutto per la frequenza delle epidemie di peste o di altre malattie infettive che si presentavano con regolarità. Fino al Quattrocento, infatti, Roma era una città di poco più di trentamila abitanti, concentrati nell’ansa del Tevere con abitazioni carenti di acqua e di servizi igienici, come documentato dai numerosissimi editti dei Maestri di Strada11 che vigilavano sulla pulizia urbana e richiamavano in continuazione al rispetto delle norme più elementari di igiene. In presenza di pestilenze, come di frequente accadeva, si moltiplicavano le prescrizioni di rimedi e la ricerca delle cause di infezione, ma la precauzione più efficace restava quella di allontanarsi dai luoghi infetti. Tuttavia

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attorno all’opportunità che il pontefice abbandonasse Roma in caso di pestilenze si aprì, nel Quattrocento, un fronte di opposizione, basato sulla necessità della sua presenza accanto ai fedeli che soffrivano: Martino V (14171431), ad esempio, viene lodato perché «non si partì dal focolare della pestilenza» che aveva colpito Roma nel 1430, anche se in altre occasioni si era recato più volte nei possedimenti della sua famiglia a Genazzano, oppure sui Colli Albani o in Sabina. Viterbo risulta, tra le città non lontane da Roma, la più frequentata per le villeggiature estive e non solo, tanto da essere definita la seconda Roma. Il motivo principale di questa preferenza va ricercato soprattutto nella presenza di acque termali in abbondanza. Per tutto il Quattrocento vi sono testimonianze di soggiorni di pontefici per curarsi ed è noto come Niccolò v (1447-1455), che frequentava assiduamente le terme che ancor oggi portano il suo nome, ne abbia favorito lo sviluppo, senza peraltro disdegnare soggiorni nella vicina e più fresca Soriano nel Cimino o nella più lontana Fabriano che offriva maggiori garanzie di sicurezza in caso di pestilenze12. Questo fenomeno dell’alternanza regolare tra la villeggiatura estiva in una città del Lazio e il ritorno in Vaticano o al Laterano nei mesi meno caldi comportava un’organizzazione complessa degli spostamenti della Curia, anche per assicurare che alcune funzioni istituzionali non venissero meno, tenuto conto che questa mobilità assumeva, a volte, anche valenze politiche. Un papa, ancora per tutto il Duecento, era anche un signore feudale ed i suoi spostamenti potevano essere legati agli interessi della famiglia di origine. Noto è il caso di Bonifacio VIII che approfittava degli spostamenti della Curia per visitare le proprietà della famiglia Caetani nel Lazio13, ma anche Innocenzo III nel 1208 era andato in varie città del Lazio per «dare stabile assetto agli affari del Regno»14. Pio II, nei suoi spostamenti, univa l’utile al dilettevole e nel recarsi a Tivoli si prefiggeva non solo di respirare un’aria più fresca, ma anche di controllare più da vicino la situazione politica instabile15. Durante il Quattrocento gli spostamenti in altre città non impediscono ai pontefici di recarsi anche in luoghi diversi dalle residenze ufficiali del Vaticano o

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del Laterano all’interno della stessa Roma: Martino V aveva un palazzo di famiglia con un giardino segreto nella Piazza Colonna e Paolo II (1464-1471) amava soggiornare nel convento dell’Aracoeli dove aveva un suo appartamento ed è noto come abbia fatto ampliare il suo palazzo cardinalizio a San Marco, dotandolo di un giardino e trasformandolo in una meta usuale di soggiorno16. Anche Sisto IV, pur non disdegnando soggiorni fuori Roma, nel 1481 e nel 1482 si recò nella residenza cittadina del cardinale Francesco Gonzaga, presso la chiesa di Sant’Agata dei Goti, situata sul Colle del Quirinale e quindi in posizione elevata e salubre17. Il pontefice Pio II (1458-1464), noto per la sua cultura umanistica, pur frequentando assiduamente Viterbo ed altre cittadine laziali, amava soggiornare a lungo in Toscana, sua terra d’origine, e frequenti furono i suoi viaggi a Siena e nelle località termali di quella regione. A lui si devono interessanti testimonianze che ci permettono di cogliere come la nuova cultura umanistica avesse modificato la concezione della villeggiatura e favorito l’affermarsi di una precisa ideologia della «vita in villa». Nei suoi Commentarii numerose sono le descrizioni dei paesaggi che attraversava o che contemplava, spesso accompagnate da considerazioni sul piacere che la bellezza della natura procurava. A questo pontefice grande viaggiatore viene attribuita una importante innovazione: il gusto del viaggio fine a se stesso, anche senza che motivazioni sanitarie o politiche lo richiedessero, come segno dell’emergere di nuovi bisogni e dell’affermarsi di esigenze personali quali la ricerca del riposo e della solitudine. Le cronache dei suoi viaggi riportano frequenti e reiterati riferimenti al «relaxandi animi» o a «lieti conversari», secondo il concetto dell’otium classico che molti umanisti già da qualche decennio celebravano, anche se è sempre presente la preoccupazione di chiarire che il pontefice, pur lontano dalla sede del governo, non cessava di occuparsi degli interessi della Chiesa. Sebbene non si possa attribuire in toto a Pio II l’introduzione di una cosciente cultura della «vita in villa», il colto pontefice decisamente contribuì a creare la consuetudine all’otium e alla recuperata armonia tra uomo e natura, conferendo autorevolezza a quanto te-

orizzavano esponenti della cultura umanistica, curiali e laici, quali Jacopo Ammannati, Poggio Bracciolini, Gaspare da Verona, Guarino Veronese, Bartolomeo Platina e Leon Battista Alberti, che riprendevano temi e concetti già espressi da Cicerone o da Plinio in un ideale collegamento con l’età classica18. Il nuovo rapporto con la natura aveva indotto a teorizzare la costruzione dei luoghi di residenza in campagna in posizione elevata, in modo da far spaziare lo sguardo sul paesaggio all’orizzonte e nello stesso tempo poter essere ammirati da lontano e poter controllare il territorio. Tuttavia in tutti gli scritti quattrocenteschi l’attenzione è centrata sulla bellezza, sulla salubrità e sulla piacevolezza dei luoghi e non vi sono riferimenti a tipologie concrete di residenze. Peraltro i pontefici non possedevano, in genere, edifici dove soggiornare ma utilizzavano quelli messi a loro disposizione da cardinali o da conventi e solo alla fine del Quattrocento, con la costruzione del Palazzetto del Belvedere in Vaticano, voluto da Innocenzo VIII, anche in area romana si affermò la tipologia edilizia della villa. Sebbene Paolo II abbia privilegiato, come si è accennato, la sua residenza romana presso la Basilica di San Marco, diversificandosi dal suo predecessore Pio II che viaggiava ripetutamente, a fine secolo la consuetudine della villeggiatura dei pontefici era ormai istituzionalizzata, come lascia intendere un’indicazione di Johannes Burchard, maestro di cerimonie della Curia che, nell’anno 1485 così scriveva: «IV mensis julii, fuerunt indicte vacationes generales ab hac die usque ad Kalendas octobris exclusive»19. L’uso dei termini «vacationes generales» e lo stabilirne le date fa supporre la regolamentazione di una consuetudine già comunemente praticata e accettata. L’abitudine ad una interruzione estiva dei negotia e all’allontanamento usuale del pontefice da Roma aveva indotto i cardinali a pretendere un medesimo trattamento. Già durante il conclave che avrebbe portato all’elezione di Paolo II, nel 1464, i cardinali gli avevano chiesto di avere in dotazione una residenza in campagna dove fuggire dalla calura di Roma. Il futuro pontefice aveva promesso quanto richiesto ma, una volta eletto, non aveva mantenuto l’impegno20; così nel successivo conclave del 1484 i cardinali pretesero da Innocenzo VIII

(1484-1492) un atto scritto che così recitava: «juro et promitto, quod unicuique dominorum Cardinalium, qui nunc sunt, et pro tempore fuerint, unam terram, seu castellum in locis propinquis, ut supra, cum illius arce, si eam habuerit, ac plena jurisditione, et singulis redditibus, et proventibus illius Cardinalis regendum, tenendum, et possidendum, ut etiam ipsi domini Cardinales locum aliquem specialem habeant, in quem libere, vel ad declinandam pestem, vel recreationis suae causa possint se recidere»21. Si tratta di un riconoscimento importante, in quanto sancisce il diritto di ogni cardinale a possedere un castello nei dintorni di Roma sia per ragioni igieniche, per evitare la peste, sia anche per proprio svago («recreationis suae»). All’epoca del pontificato di Pio II risale il primo nucleo costruttivo di una residenza nei pressi di Roma destinata, per circa un secolo, ad accogliere i pontefici, usata soprattutto come tenuta di caccia. Si tratta della Villa della Magliana, situata lungo la via Portuense a solo otto miglia da Roma, che fu, prima di Castel Gandolfo, la «villa dei papi»22. Durante il pontificato di Sisto IV (1471-1484) il nipote Girolamo Riario vi organizzò grandiose battute di caccia, celebrate nelle cronache come eventi mondani senza eguali. Innocenzo VIII (1484-1492) fece ampliare la costruzione preesistente che assunse l’aspetto di un palazzetto merlato e vi si recava di frequente, non solo per svago personale ma anche per accogliere funzioni di rappresentanza in una cornice amena, come il 13 settembre 1486 quando vi ricevette i rappresentanti del re di Spagna23. Gli interventi alla Magliana furono contemporanei a quelli in Vaticano, dove il pontefice fece realizzare il Palazzetto che ancor oggi porta il suo nome. In entrambi i casi venne introdotta una tipologia edilizia che, seppur con reminescenze medioevali come le merlature ed elementi tipici di un fortilizio, era destinata ad esercitare una considerevole influenza sui caratteri degli edifici in villa in area romana24. Il suo successore, Alessandro VI (1492-1503), secondo il diario di Stefano Infessura, si recava raramente alla Magliana anche perché disturbato dalla vicinanza con Ostia Antica, dove risiedeva spesso il suo peggior nemico, il cardinale Giuliano della Rovere, il futuro pontefice Giulio II (1503-1513). Alla commit-

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tenza di quest’ultimo si deve la prima realizzazione di un’architettura concepita in funzione del paesaggio nella mirabile invenzione delle Logge del Bramante, ideate per collegare i Palazzi e la Basilica di San Pietro al Belvedere di Innocenzo VIII e destinate a costituire un esempio eccellente di evocazione dell’antico, unito ad un’innovazione architettonica, paesaggistica e funzionale25. Pur potendo ormai disporre di una sede ufficiale adeguata, dotata di giardini e di spazi per l’otium nell’ambito della cittadella vaticana, Giulio II dimostrò grande passione per la Villa della Magliana; «Havemo noi per volontà di N.S. [...] edificato in la Magliana uno grande edificio»: così il cardinale Alidosi riferiva della trasformazione del Palazzetto innocenziano in una splendida villa, per volere di Giulio II e su progetto di Giuliano da Sangallo, con l’intervento successivo di Donato Bramante che si occupò anche della sistemazione del giardino. Il pontefice soggiornava di frequente alla Magliana e vi si recava a cavallo. Spesso la Villa costituiva una tappa lungo il percorso che conduceva al Castello di sua proprietà nella vicina Ostia Antica, altra residenza dove il pontefice usava recarsi molto spesso, anche per pochi giorni26. Nella Villa della Magliana, definita «loco di piacere», il pontefice si dedicava all’otium, ma non trascurava gli affari di stato, tanto che nel luglio del 1509 vi si tenne un concistoro e nel 1510 vi riceveva una delegazione di ambasciatori27. I soggiorni non si interruppero nemmeno dopo l’assalto dei pirati che, il 30 settembre 1511, saccheggiarono la Villa e produssero ingenti danni, ed ebbero fine solo pochi mesi prima della morte del pontefice. Con il successore, Leone X (1513-1521), la Villa fu usata ancor più intensamente e non solo nei mesi estivi: il pontefice, amante della caccia e della vita all’aria aperta, vi trasferiva spesso funzioni di rappresentanza, facendone una vera e propria seconda residenza, come è ampiamente registrato nella biografia redatta da Paolo Giovio. Nelle cronache del tempo si commentava che motivo dei frequenti soggiorni era il dedicarsi «ai soliti piaceri» ma anche «purgarsi». Appare evidente come fossero ormai del tutto superate le motivazioni igienico-sanitarie che nei secoli precedenti avevano indotto i pontefici ad allontanarsi da Roma: il diritto

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ai piaceri, al «relaxandi animi» è ormai assodato e accettato e l’abitudine di «purgarsi» di Leone X faceva parte di un suo personale atteggiamento salutista, lo stesso che lo induceva a recarsi alla Magliana cavalcando o anche a piedi. Per assecondare la passione venatoria del pontefice era stata realizzata una vera e propria riserva con strutture idonee, esperti guardiacaccia e numerosi addetti che organizzavano le frequenti battute. Ma il papa amava anche la musica e nei rendiconti di spesa compaiono ripetutamente riferimenti all’organizzazione di concerti nella Villa, durante l’estate ed in primavera. Una conferma del fatto che i pontefici usassero allontanarsi da Roma a loro piacimento ed in ogni stagione, senza più cercare giustificazioni in motivi oggettivi quali la calura o lo scoppio di un’epidemia, è nella cronaca del decesso del pontefice: la sera del 24 novembre 1521 Leone X si trovava alla Magliana quando giunse la notizia della cacciata delle truppe francesi dalla Lombardia e, durante i festeggiamenti, prese un’infreddatura che, nel giro di pochi giorni, lo portò alla morte28. Meta di villeggiatura era anche Tivoli, vicina a Roma e ricca di acque termali. Pio II vi soggiornò nel convento dei Minori Francescani che, un secolo più tardi, sarebbe stato trasformato nella splendida Villa d’Este, ma che all’epoca era poco confortevole e pieno di topi29. Anche Sisto IV vi soggiornò nel 1473 ma erano soprattutto i cardinali umanisti come Bibiena, Bembo, Carafa ad amare la cittadina non solo per la frescura e la bellezza dei luoghi, ma soprattutto per la presenza di antichità classiche. Paolo III Farnese (1534-1549) vi si recò saltuariamente e nominò governatore di Tivoli il nipote preferito, il cardinale Alessandro Farnese, forse con il progetto di favorirne lo sviluppo come sede di villeggiatura, progetto presto abbandonato a causa delle continue turbolenze degli abitanti. Il pontefice, quando era ancora cardinale, amava risiedere nei feudi paterni nel Viterbese, prediligendo Capodimonte e l’Isola Bisentina sul lago di Bolsena, considerata ritiro ideale per poter leggere in tranquillità30. Sempre da cardinale aveva voluto che alla severa avita rocca di Capodimonte venisse aggiunto un arioso avancorpo loggiato, alleggerendo ed ingentilendo la massiccia struttura tanto da

guadagnarle la denominazione di Villa. Si trattava di un ideale luogo di villeggiatura, impreziosito dalla splendida vista sul lago di Bolsena e sull’isola con il sacrario farnesiano, nel quale anche il pontefice Leone X si era più volte recato, su invito dell’amico, il cardinale Alessandro Farnese. Insieme si dedicavano ai piaceri della caccia sui colli circostanti ed alla pesca nel lago, dimenticando impegni e formalità. D’altra parte la zona del lago di Bolsena, ed in particolare la cittadina di Montefiascone, era stata molto amata dai pontefici già nei secoli precedenti e Urbano V, nel suo periodo italiano dal 1367 al 1370, vi aveva trascorso i mesi estivi poiché, dicevano le cronache, «ubi aer purus est et sanus»31. Anche dopo essere stato eletto al soglio pontificio Alessandro Farnese conservò l’amore per i possedimenti di famiglia, dove si recava a villeggiare e chiamava Capodimonte «la mia cara penisoletta»32. La fama dei conviti che vi organizzava era tale da far scrivere a Pastor che vi si poteva «rivivere la vita sibaritica dei Farnese, tutta divertimenti, banchetti e cacce clamorose, nelle quali vedevansi cavalieri e dame eleganti, poeti, buffoni, commedianti e musici»33. A Paolo III si deve anche l’avvio, a partire dal 1542, della creazione dei celeberrimi Orti Farnesiani sul Palatino, mirabilmente in armonia con i resti della classicità. Il pontefice si recò inoltre spesso a Frascati, alloggiando nella Villa Rufina34, ma usava anche, senza lasciare Roma, soggiornare nel Belvedere vaticano, nella Vigna Carafa al Quirinale e nella Torre Paolina sul Campidoglio, costruita per lui nel 1535 e collegata mediante un passaggio coperto alla residenza estiva del Palazzo di San Marco voluto da Paolo II. Tuttavia, nonostante questa dichiarata passione per le villeggiature ed i viaggi, durante il suo pontificato non si costruirono ville magnifiche, secondo la tradizione avviata dai suoi predecessori della famiglia Medici con Villa Madama e ripresa dal suo successore Giulio III con Villa Giulia, anche a causa della recente traumatica vicenda del Sacco di Roma che aveva prostrato la città. Con Giulio III (1550-1555) la committenza pontificia nell’ambito delle residenze in villa raggiunse un livello difficilmente eguagliabile con la realizzazione, in tempi brevissimi, di uno dei complessi di maggior splendore e magnificenza in

area romana, la grandiosa Villa Giulia situata non lontano da Porta del Popolo, lungo la via Flaminia. Secondo le cronache del tempo il pontefice soffriva di gotta e, dopo aver cercato inutilmente di curarsi nelle terme viterbesi, aveva rinunciato ai viaggi, che gli procuravano troppa sofferenza, dedicandosi alla sua Villa dove si recava attraversando il Tevere in barca e quindi percorrendo in lettiga un viottolo ombreggiato da un pergolato, come documentato da un’incisione dell’epoca. Villa Giulia era stata concepita per rivaleggiare con quella dei Medici, Villa Madama, situata quasi di fronte, sull’altra riva del Tevere, e la fabbrica procedette celermente fino alla morte del pontefice con il contributo dei più quotati architetti e artisti del tempo, come Michelangelo, Bartolomeo Ammannati, Vignola, Giorgio Vasari, Taddeo Zuccari35. Il pontefice vi si recava in continuazione, alloggiando durante i lavori nella Villa del Poggio che era stata incorporata nella proprietà: oltre a seguire i progressi della fabbrica, curava la gotta con l’Acqua Vergine che era stata condotta nel Ninfeo e vi riceveva ambasciatori e notabili, senza disdegnare i piaceri della tavola e le danze e le feste tradizionali dei contadini. La passione del pontefice per la sua «Villa Julia» era tale da far dire a Panvinio che «per quegli orti sembrò che impazzisse» e ancora Muratori aggiungeva che «non voleva riuscisse da meno di Nerone nei suoi giardini fuori Porta Flaminia»36. Celebri, infatti, erano gli intrattenimenti con musica e canti, evocati anche dagli affreschi di Prospero Fontana che, nella volta di una sala, aveva raffigurato come modello il Convito degli dei. E proprio nella sua prediletta dimora il pontefice si spegneva, lasciando un capolavoro che, seppur usato anche dai suoi successori per accogliere personalità di spicco, fu presto spogliato dei suoi arredi più ricercati e avviato verso la decadenza37. Paolo IV (1555-1559), legato all’ordine dei Teatini, aveva fondato e usava spesso come ritiro e fuga dalla calura il convento annesso alla chiesa di San Silvestro al Quirinale, mentre i membri della Curia alloggiavano nelle ville del colle, tra le quali vi era quella di un nipote, il cardinale Carlo Carafa che invece apprezzava moltissimo gli otia della vita in villa, al pari dell’altro nipote, il duca di Paliano. Il contrasto tra il rigore reli-

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2. M. Greuter, Vero e novo disegno di Frascati con tutte le ville circonvicine, incisione, 1620 ca.

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gioso del pontefice e lo spregiudicato edonismo dei suoi nipoti era tale da indurlo, alfine, a bandirli da Roma. Ciononostante a Paolo IV si deve l’avvio della splendida fabbrica da giardino situata nei Giardini Vaticani, quella Casina destinata a passare alla storia con il nome del suo successore Pio IV (1559-1565), e a costituire un esempio di pagana gioia di vivere38. Quest’ultimo già da cardinale aveva fama di apprezzare moltissimo la vita in villa, tanto che i suoi soggiorni nella sua residenza lombarda di Frascarolo erano ricordati come esempio di otium da Bartolomeo Taegio nel suo trattato39. A Roma il pontefice aveva affittato la Villa Pucci, sul Gianicolo, nei pressi della Villa Lante40 ma aveva fama di essere in continuo movimento, spostandosi da una residenza all’altra. Le cronache del tempo narrano come nello stesso giorno pranzasse a San Marco e dormisse nel convento dell’Aracoeli oppure si recasse prima nel Palazzo di Santi Apostoli e quindi a Villa Giulia e ancora in Vaticano e poi al Quirinale. Il pontefice possedeva una piccola vigna nei pressi del Quirinale e nel 1564 comprò per il nipote Carlo Borromeo il Palazzo con giardino già dei Colonna, a piazza Santi Apostoli. Ma le residenze in città o a poca distanza a sua disposizione erano davvero numerose e lui le usava tutte: Villa Giulia, la Torre di Paolo III in Campidoglio, il Palazzo di San Marco, il Palazzo di Santi Apostoli e, negli ultimi tempi, la Casina vaticana, ma anche Tivoli, la Magliana, Ostia e Frascati ricevevano di frequente le sue visite41. Con l’elezione di Pio V (1566-1572) il cambiamento di abitudini fu repentino e totale. Il severo capo dell’Inquisizione e integerrimo interprete della controriforma nei primi anni di pontificato scelse di non allontanarsi dal Vaticano, se non per brevi soggiorni nella Torre di Paolo III in Campidoglio o nel giardino del cardinale Ferrara sul Quirinale, oppure nel convento di Santa Sabina sull’Aventino, dove era stato monaco domenicano. Tra le sue mete preferite vi era Villa Giulia, ma sempre per brevi soste, in quanto la villeggiatura era considerata in contrasto con il rigore religioso da lui predicato e praticato. Non a caso le cronache del tempo riferivano che avesse ordinato al nipote, il cardinale Alessandrino, di non allontanarsi dal Vaticano senza il suo permesso42. Tuttavia a Pio V è legata la storia di una dimora suburbana, situata nei

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pressi della via Aurelia Antica a meno di due miglia dal Vaticano, come è attestato dallo stemma di famiglia sul portale della terrazza che guarda a valle. Si tratta di un casale rustico con vari appezzamenti di terreno, comprati a partire dal 1565, quando era ancora il cardinale Ghisleri. La tenuta, nota ancor oggi come il Casaletto di San Pio V, si trova in posizione elevata e la sua ideazione è stata attribuita, seppur senza basi documentarie, a Nanni di Baccio Bigio43. Si tratta di una imponente fabbrica di campagna che nulla concede ad effetti decorativi o superflui, sebbene il cortile interno si presenti armonioso ed elegante, e la struttura architettonica sembra corrispondere pienamente al costume di vita intransigente e rigorosa del pontefice. Il pontefice approfittava della vicinanza con il Vaticano per recarvisi spesso a godere della frescura del luogo e a consumare, con pochi intimi, pasti frugali; l’unico evento che vi fu organizzato risale all’ottobre del 1571, quando la tenuta ospitò una battuta di caccia44. La tradizione della villeggiatura e la cultura della villa, dopo la pausa rigorista imposta da Pio V, riprendeva con nuovo vigore durante il pontificato di Gregorio XIII (1572-1585), con la prepotente affermazione di una nuova localizzazione di illustri residenze, Frascati. La prossimità a Roma, il clima gradevole, i boschi circostanti e la riacquisizione sotto i domini della Camera Apostolica attuata nel 1537 con Paolo III, che ne aveva voluto la ricostruzione, determinarono lo sviluppo e la nuova destinazione di Frascati, ma elemento non trascurabile furono anche la memoria e le rovine ancora visibili dell’età classica. La medaglia che commemorava l’opera di Paolo III a Frascati non a caso recava ben in vista la Villa Rufina, la prima residenza moderna che vi era stata costruita e la scritta «Tuscolo rest(ituita)» richiamava un ideale collegamento con l’antica Tuscolo dove erano le ville di Cicerone, di Catone e di Lucullo45. Gregorio XIII si spostava con frequenza, spesso con decisioni improvvise che mettevano in crisi l’organizzazione della corte. Amava soggiornare, a Roma, tra San Marco ed il Quirinale, nella Villa del cardinale di Ferrara, ma si recava spesso in visita nelle vicine ville dei suoi cardinali, a Caprarola, a Bagnaia e a Tivoli e in quelle romane dei Medici e del cardinale Montalto.

Ma il suo ritiro preferito era Frascati, dove il cardinale Marco Sittico Altemps, nipote di Pio IV, aveva impresso un nuovo slancio allo sviluppo dell’area, prima con l’acquisto della Villa Angelina di proprietà dei Farnese, divenuta poi Villa Tuscolana, e quindi con la realizzazione, attribuita a Martino Longhi tra il 1573 ed il 1575, del primo nucleo della Villa Mondragone, così denominata proprio in omaggio a Gregorio XIII, la cui famiglia aveva uno stemma con un drago, situata nei pressi delle rovine della Villa dei Quintili. Il futuro pontefice già da cardinale era stato spesso ospite del cardinale Altemps e sembra che a lui si debba il suggerimento di ampliare i possedimenti tuscolani, preferendo l’ospitalità dell’amico ad una propria residenza. Frascati gli era stata suggerita dai

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medici come necessario riposo per gli impegni che la riorganizzazione della Chiesa dopo il Concilio di Trento gli richiedevano; la cittadina, inoltre, esercitava su di lui, vecchio giurista, un grande fascino per essere stata il luogo dove Cicerone aveva composto e ambientato le sue Tuscolanae Disputationes. I suoi frequenti soggiorni a Frascati attirarono i suoi amici e collaboratori: vi costruirono ville i cardinali Tolomeo Gallio e Antonio Carafa, mentre alcuni ordini religiosi come i Cappuccini, i Gesuiti e gli Oratoriani vi avevano sedi e si trattava proprio di alcuni di quelli più impegnati nella riforma della Chiesa46. Era peraltro costume del pontefice, durante i suoi soggiorni in Villa, trattare affari politici, intrattenere e ricevere eminenti personalità, concedere udienze, tanto che a

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Frascati fu istituita la Congregazione sui riti diversi per occuparsi dei rapporti con le Chiese orientali e fu promulgata, nel marzo 1582, la bolla che sanciva la riforma del calendario giuliano47. Nel tempo libero papa Boncompagni non disdegnava le lunghe passeggiate a piedi o a cavallo e spesso raggiungeva le rovine del Tuscolo o il Convento dei Cappuccini. La bellezza dei giardini delle ville tuscolane ed in particolare della Rufina, nonché la vita che vi si conduceva sono narrate con vivezza da Camillo Sighellio, che vi fu ospite nel 157848: le sue lettere ben rendono l’idea del trascorrere delle giornate tra le passeggiate a cavallo, l’ammirazione delle rovine classiche, i lieti conversari a tavola. La Villa Mondragone, dove il pontefice aveva un suo appartamento collegato ad un giardino segreto, era meta ambita per i personaggi legati alla corte pontificia e nel corso degli anni assunse sempre più, oltre alla valenza di luogo di svago, quella di simbolo di potere sociale e politico49. A partire dal 1582, quando il pontefice vi soggiornò per ben dodici volte, i rapporti con il cardinale Altemps cominciarono a deteriorarsi. Varie cronache del tempo riferiscono delle difficoltà che il cardinale cominciava a porre, calcolando i costi dei soggiorni papali, non curando come in precedenza l’accoglienza, adducendo vari motivi per evitare lunghi soggiorni50. Così, negli ultimi due anni di pontificato Gregorio XIII ridusse notevolmente i suoi soggiorni a Frascati per dedicare la sua attenzione alla residenza del Quirinale, di proprietà del cardinale d’Este che peraltro preferiva la sua Villa di Tivoli. Il progetto di una residenza sul colle del Quirinale, celebrato per la sua aria salubre e già dal XV secolo sede di piccole ville di celebri umanisti, era stato vagheggiato fin dal 1573 ma sempre rinviato per i costi che comportava. Solo nel 1583 si aveva notizia di uno stanziamento di 23.000 scudi per avviare la costruzione che, si stimava, ne sarebbe costata ben 50.000. I lavori, sotto la direzione di Ottavio Mascherino, erano alacremente iniziati e già alla fine del 1584 il pontefice poté dimorarvi, ma per breve tempo e senza aver risolto il problema del possesso che era sempre dei Carafa con affittuario il cardinale d’Este51. Con l’elezione di Sisto V (1585-1595), le villeggiature a Frascati cessarono completamente: il pontefice

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preferiva la residenza di famiglia, la grandiosa Villa Montalto situata presso l’amata basilica di Santa Maria Maggiore e si impegnò nell’espansione della Villa del Quirinale, il cui possesso fu definito nel 1587, e che si avviava a divenire residenza ufficiale accanto alla cittadella vaticana, nonché simbolo del potere papale52. Il successivo pontefice, Clemente VIII (1595-1605), della famiglia Aldobrandini, aprì un nuovo periodo di splendore per Frascati e per la sua affermazione di città di ville. Dopo aver inizialmente utilizzato per i suoi soggiorni la Villa Mondragone, assegnò al cardinal nipote Pietro Aldobrandini una villa già appartenuta al medico Contugi, poi a monsignor Capranica e alla morte di questi passata alla Camera Apostolica. Questa villa, grazie all’intervento di Giacomo della Porta, fu trasformata nella magnifica e grandiosa Villa Aldobrandini, che con la sua mole e con lo splendido cocchio di lecci del viale di accesso, ancor oggi domina la cittadina di Frascati. La sua costruzione era destinata a modificare sostanzialmente la fisionomia e la natura dei luoghi, con il progressivo passaggio in secondo piano delle funzioni agricole e la prevalenza di quelle della villeggiatura, mediante l’edificazione di ville che costituivano l’esibizione del potere da parte della famiglia del pontefice regnante e degli esponenti della Curia53. Villa Aldobrandini venne completata nel 1603 e la sua regalità risultava evidente. Aveva una dotazione d’acqua incredibile, sottratta senza scrupoli a tutto il circondario, che alimentava la grandiosa catena d’acqua e aveva consentito l’impianto di giardini di grande ricchezza e complessità54. Una descrizione dell’epoca permette di cogliere appieno la novità del complesso, che non aveva precedenti e si presentava come una scena teatrale affacciata in posizione dominante nel teatro del mondo55. Clemente VIII poté usare per breve tempo quella splendida residenza, in quanto la morte, sopravvenuta nel 1605, apriva la strada al suo successore e rivale Paolo V Borghese (1605-1621) che gli avrebbe rubato la scena di Frascati, trasformandola in una vera e propria città borghesiana. Tramite il cardinal nipote Scipione Caffarelli Borghese, il pontefice ebbe a disposizione la splendida Villa Pinciana, situata subito fuori le mura urbane di Roma, dotata di splendida vista e sede ideale per

l’esibizione di raccolte d’arte e per piacevoli conviti56. La Villa fu realizzata con grande celerità e già nel 1609 il pontefice vi si recava per rappresentazioni musicali, mentre in parallelo procedevano i lavori per l’ampliamento della residenza del Quirinale e dell’annesso giardino57. L’attenzione e l’interesse per le ville romane non gli fece comunque trascurare Frascati, dove il pontefice aveva già soggiornato, da cardinale, nel 1593, nel 1594 e nel 1602, ospite degli Altemps. Nei primi anni del suo pontificato convinse il cardinale Ottavio Acquaviva a concedergli in uso la sua villa tuscolana, bella ma non adeguata ad una corte impegnativa. Quindi il cardinal Scipione acquistò la vicina «Caravilla», celebre per essere appartenuta ad Annibal Caro, avviando un programma di espansione sui colli tuscolani ben raffigurata nella veduta di Matthäus Greuter, realizzata nel 1620, alla conclusione del pontificato borghesiano. Nell’anfiteatro naturale del colle sono dislocate le numerose ville che vi erano sorte ed in grande evidenza sono le proprietà Borghese, ben tre ville tra loro connesse e precisamente Villa Mondragone, Villa Taverna Belvedere e Villa Tuscolana, frutto di impegnative quanto spregiudicate acquisizioni. Quando il pontefice si recava a Frascati, la sua corte si insediava a Villa Mondragone, la più grande e fastosa, il cardinale Scipione risiedeva a Villa Taverna e il seguito a Villa Tuscolana, rispecchiando la gerarchia anche nella scelta delle residenze. Le tre proprietà erano collegate da viali e tutto il paesaggio era stato organizzato in un sistema di assi di congiunzione. L’accesso monumentale a questo vero e proprio «stato tuscolano» avveniva mediante il maestoso Portale delle Armi, così detto per gli stemmi borghesiani che ancor oggi vi campeggiano. Paolo V usava recarsi a Frascati in primavera ed in autunno, spesso più volte e per lunghi periodi, e sembra che progettasse di trasformarla in stabile residenza estiva dei pontefici, tanto da ipotizzare un viale alberato di collegamento diretto con Roma58. Lo scenario delle villeggiature dei papi aveva raggiunto con Paolo V il livello di maggior splendore tramite la creazione, a Frascati, di un vero e proprio sistema di residenze in grado di accogliere non solo la corte pontificia ed il suo entourage, ma anche illustri ospiti, allietati da sontuosi banchetti. Il trasferimento della corte in

campagna comportava una complessa organizzazione che prevedeva anche il trasporto di argenti e biancheria per la tavola mentre la gestione delle giornate era meticolosamente regolata da menù settimanali. In occasione di conviti si allestivano diversi tavoli, apparecchiati e riservati secondo le gerarchie degli ospiti che venivano intrattenuti da musiche e da rappresentazioni59. Nelle cronache del tempo non vi è più alcun cenno alle esigenze igienico sanitarie a giustificazione delle villeggiature dei pontefici ma vengono invece messi in evidenza il fasto e la ricercatezza dei luoghi e della vita che vi si conduceva. La villeggiatura era ormai divenuta uno status symbol ed i cardinali facevano a gara per offrire ai pontefici soggiorni sempre più raffinati nelle loro dimore, in quanto le visite erano spesso occasioni per ottenere favori o concessioni. Con l’avvento al soglio pontificio, con il nome di Urbano VIII (1623-1644), del colto Maffeo Barberini, non vi furono cambiamenti di impostazione ma di sede: dopo aver soggiornato alcune volte a Villa Mondragone, ospite dell’amico cardinale Scipione Borghese, da papa decise di preferire per le sue villeggiature un’altra cittadina dei dintorni, Castel Gandolfo, dove i Barberini possedevano un Casino e dove fece edificare una vera e propria residenza pontificia. Con il suo pontificato si inaugurava la tradizione dei soggiorni nella cittadina che, con il suo lago e con i boschi intorno, offriva uno scenario magnifico. Con la residenza di Castel Gandolfo, pur continuando a frequentare le ville dei cardinali attorno a Roma60, i pontefici ebbero per la prima volta stabilmente a disposizione una villa di pertinenza della Camera Apostolica, non di un familiare o di un prelato amico. L’ampliamento e la trasformazione della primitiva residenza ne avrebbero fatto nel tempo la sede ufficiale estiva dei pontefici, usata, sia pure con alcune, anche lunghe interruzioni per motivi politici, dal 1626 fino ai giorni nostri61.

LA VILLA PONTIFICIA DI CASTEL GANDOLFO La Villa pontificia di Castel Gandolfo62, quale oggi si configura, è la risultante dell’integrazione di tre diverse proprietà che si sono aggregate nel tempo:

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3. L. Arrigucci, Territorio di Castel Gandolfo, 1630, particolare del disegno a penna. È raffigurato il Casino di Urbano VIII; BAV, Chigi, p. VII, 12, fol. 2r.

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la seicentesca primitiva Villa pontificia, la Villa Cybo, acquisita nel 1773 e la Villa Barberini, aggiunta nel 1929 a seguito dei Trattati Lateranensi.

La Villa pontificia A seguito di indebitamenti della nobile e potente famiglia romana dei Savelli, una loro proprietà a Castel Gandolfo fu forzosamente acquisita nel 1594 dalla Camera Apostolica e nel 1604, con decreto concistoriale di Clemente VIII, incorporata nei domini temporali della Santa Sede. Secondo alcune fonti, già Paolo V, allettato dall’amenità del sito, dalla vicinanza a Roma e dalla piacevolezza del lago, aveva manifestato l’intenzione di realizzarvi una residenza pontificia ma fu distratto dall’impegno per le ville di Frascati. Di fatto l’unico intervento di papa Borghese a Castel Gandolfo fu la conduzione dell’acqua dalle salubri sorgenti di Palazzolo, con un indubbio vantaggio in quanto in precedenza l’alimentazione idrica del luogo era affidata unicamente al lago. Artefice della trasformazione della rocca dei Savelli in palazzo con giardino fu Urbano VIII63 che già da cardinale aveva più volte soggiornato a Castel Gandolfo, il cui clima gli era stato consigliato dai medici e al quale aveva dedicato anche alcuni versi64.

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A partire dal 1623 ebbero inizio i lavori di costruzione della Villa, sul sito dell’antica necropoli di Alba Longa, dove a suo tempo i Gandulphi avevano costruito la loro rocca, passata poi ai Savelli. Carlo Maderno, con la collaborazione di Domenico Castelli e di Bartolomeo Braccioli, fu incaricato della costruzione: il progetto ha comportato l’espansione della vecchia rocca in direzione del lago, collegandola alle costruzioni già esistenti affacciate sulla piazza del borgo. Il giardino, di limitate dimensioni, fu impiantato a nord-ovest del nuovo complesso, organizzato in riquadri e cinto da alte mura65. Il portale d’accesso, attribuito a Gian Lorenzo Bernini, è stato demolito nel 1933, a seguito dell’unificazione delle proprietà, per la realizzazione di una nuova strada di collegamento. Urbano VIII curò anche l’accessibilità del complesso, facendo aprire due nuove strade, una verso Albano e l’altra verso l’abitato di Castel Gandolfo, entrambe bordate di lecci a formare cocchi, vale a dire viali coperti. La commemorazione dell’intervento di Urbano VIII è riportata in una medaglia nella quale è raffigurato il complesso con la scritta suburbano recessu66. Tuttavia alcune fonti riferiscono che il pontefice non vi abbia mai risieduto, preferendo la vicina proprietà di famiglia, frequentata fino a quando le precarie condizioni di salute non gli impedirono di allontanarsi da Roma. Il nuovo Palazzo destinato alla residenza

4. G.B. Falda, Veduta di Castel Gandolfo con il Palazzo pontificio e la Chiesa di San Tommaso di Villanova, ante 1667, incisione.

dei pontefici era semplice e rigoroso, con alcune sale affrescate e altre rivestite da «corami» (paramenti parietali in cuoio decorato), qualche dipinto di pregio e mobili in stile67. Il primo pontefice che sicuramente vi abitò fu Alessandro VII (1655-1667), che ampliò ulteriormente il palazzo di Urbano VIII completandone la facciata principale e realizzando, con l’intervento di Gian Lorenzo Bernini, l’ala ovest con la galleria, secondo quanto è ricordato anche da un’iscrizione in loco68. Nel progetto di «ampliare e abbellire» il Palazzo Apostolico era prevista inoltre la realizzazione di due «pozzi per la neve», la costruzione di un forno e la demolizione di alcune case vicine69. Il pontefice amò molto Castel Gandolfo, dove si recava in primavera e in autunno anche per lunghi periodi e dove organizzò spettacolari manifestazioni celebrate dalle cronache quali una battaglia navale, che si tenne nel lago, tra turchi e cristiani, conclusa con l’ovvia vittoria di questi ultimi, festeggiata da musiche e fuochi d’artificio70. Per le gite sul lago aveva fatto trasportare da

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Alle pagine seguenti: 5. Castel Gandolfo, Veduta dall’alto del Palazzo pontificio e del Borgo affacciati sul lago.

Civitavecchia una feluca ed un brigantino con ricchi decori, ricoverato nel ninfeo del giardino quando non veniva utilizzato. Un’immagine della proprietà, risalente al 1659 quindi all’epoca del pontificato Chigi, è stata redatta da Felice Della Greca: nella planimetria è raffigurato il Palazzo pontificio con il piccolo giardino annesso delimitato dalle mura e, accanto, l’area della futura Villa Cybo, dotata di un parco ben più vasto. Anche successivamente, sebbene per qualche decennio i pontefici non si siano recati per vari motivi a villeggiare sul lago, risultano cure e attenzioni per la residenza: nel 1674, durante il pontificato di Clemente X (1670-1676) le spalliere di rose del giardino venivano accuratamente legate e, a seconda delle stagioni, si ricoveravano o si portavano all’esterno i vasi di agrumi e di gelsomini71. L’anno successivo risulta che venissero «piantati tre quadri con cipolle di tulipani», nonché molte piante di fragole, nettati i viali e potate regolarmente le spalliere, cioè le alte siepi che cingevano le aiuole, formate in genere da bassi

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6. F. Della Greca, Planimetria della residenza pontificia di Castel Gandolfo (Palazzo e giardino), con accanto i terreni della futura Villa Cybo, 1659 ca., disegno a penna acquerellato su pergamena, BAV, Chigi, p. VII, 12, fol. 1r.

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lecci, da allori e da bossi72. La produzione dei giardini, benché di modesta entità, serviva anche a rifornire la corte di Roma, come risulta da un conto dell’aprile 1676, quando venivano portati a Roma da Castel Gandolfo «fiori e frutti»73. Nei decenni successivi non vi furono interventi di rilievo ma solo ordinaria manutenzione, anche se Clemente XI (1700-1721) vi si recò ripetutamente74. Di grande interesse sono invece le trasformazioni e gli abbellimenti dovuti a Benedetto XIV (1740-1758), riservati soprattutto agli ambienti interni75, che comportarono anche la costruzione della «loggia delle benedizioni» interamente dipinta da Pier Leone Ghezzi e arredata con cineserie76. A Clemente XIV (1769-1774) si devono altri lavori di ampliamento e decorazione di alcune sale accanto alla Galleria, con vedute delle opere compiute durante il suo pontificato. Ma soprattutto, durante il suo breve pontificato, vanno segnalati due eventi rilevanti per la residenza: il viadotto costruito nel 1773 per rendere più comodo l’accesso alla porta del complesso per chi proveniva da Albano e, nello stesso anno, l’acquisto della confinante Villa Cybo, che consentiva di disporre di un giardino degno della residenza pontificia, in quanto lo spazio a disposizione del nucleo originario era davvero limitato e i pontefici, per poter passeggiare, erano costretti ad uscire dalla loro proprietà77: nella Sala del biliardo del Palazzo pontificio proprio Clemente XIV è ritratto su un bianco destriero mentre, seguito dalla corte, si accinge ad uscire dal borgo per una passeggiata nella campagna.

La Villa Cybo Il cardinale Camillo Cybo (Massa Carrara 1681-Roma 1743) era secondogenito del duca di Massa Carlo II Cybo Malaspina e di Teresa Pamphilj78. Grazie ai proventi derivanti dalla vendita ai Pamphilj del Palazzo di famiglia di piazza Navona, acquisì diverse proprietà in Castel Gandolfo per farne una lussuosa residenza in quanto «luogo di delizie più vicino a Roma... fra tutti gl’altri più salubre» ed inoltre «luogo destinato alle villeggiature de’ sommi Pontefici», quindi motivo di lustro per la casata79. Venne individuato un «piccolo

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casino» fabbricato per suo comodo dall’architetto Francesco Fontana (1668-1708)80 con vicino un sito abbandonato di proprietà Bonelli anch’esso acquistato con l’intenzione di «accomodarlo poscia con vaga struttura ad uso di giardino»81. Il 18 aprile 1716 veniva stipulato l’atto d’acquisto del Casino, pagato 2850 scudi, tra il figlio di Francesco Fontana, Mauro82, e il cardinale83 e subito dopo veniva acquistato anche il terreno proprietà Bonelli84. Immediatamente furono avviati consistenti lavori nella proprietà: un «muro di cinta per tenere nel parco gli animali per cacce al paretaio e boschetti per tordi»85, quindi nicchie nei muri, probabilmente per collocarvi busti. Inoltre, «nelle teste dei viali della Ragnaia»86, vengono poste sei statue alte sette palmi a fare prospettiva ai viali e altre sei di fronte al Casino, la fontana nel cortile del Casino decorata da due putti e creato un nuovo cancello nel terreno già Bonelli87. I lavori di ampliamento del Casino e di abbellimento del sito, diretti dall’architetto Carlo Stefano Fontana (doc. 1703-1740)88, comportarono la spesa di ben 13.253,72 scudi89 e sono documentati da alcuni interessanti disegni90. Il Casino era di tre piani, aveva come annessi due gallinari ed un tinello e tutt’attorno erano disposti 24 vasi di agrumi91. Vi erano inoltre un pomario e un «parter» cioè un giardino con disegni ad arabeschi secondo la moda del tempo92. I giardini erano di fatto due: uno più piccolo e riservato, accessibile direttamente dalla loggia del Casino, un secondo più grande era oltre la strada, in direzione del borgo. A questi primi lavori, qualche anno più tardi ne seguirono altri ancor più consistenti, sempre diretti da Carlo Stefano Fontana e mirati soprattutto all’arredo del sito, abbellito con numerosissime sculture pervenute dai possedimenti Cybo di Massa Carrara, per un valore di complessivi scudi 21.974,48 per quelle situate nel giardino e di 14.732 scudi per quelle nel Casino, secondo la stima dell’architetto Fontana e dello scultore carrarese Francesco Pincellotti93. A partire dall’aprile 1724 numerose «barche» arrivarono a Fiumicino cariche di marmi provenienti da Carrara, i quali venivano caricati su carri e trasportati a Castel Gandolfo. Fino al 1736 sono registrati consistenti e ripetuti arrivi di busti di marmo, di sei leoni, di 24 piramidi e di altret-

tante navicelle, di «sgabelloni di pietre mischie con suoi busti di pietre mischie», cioè di marmi colorati quali giallo antico, diaspro di Sicilia, bigio veneto. Altri marmi furono trasportati dai possedimenti di Roma e alla fine degli interventi l’aspetto della Villa Cybo doveva essere davvero splendido: il Casino riccamente arredato era circondato da un giardino nel quale le basse siepi di bosso e le fioriture formavano elaborati arabeschi disseminati di statue e fontane; più oltre vi era il parco con i viali regolari, i boschetti e la zona per la caccia. Vi era anche una bella e preziosa fontana, sempre di «pietre mischie». Il Casino era peraltro separato dai giardini e collegato tramite due ponti all’altezza del piano nobile, in attesa di attuare il grandioso progetto del cardinale, mai realizzato, di costruire un nuovo e più ampio Casino con la facciata sulla via principale del borgo, un’entrata in direzione

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della Villa Pontificia ed il retro aperto in direzione dei giardini. Molti sono stati gli interventi successivi, soprattutto negli anni Trenta del Novecento, che hanno in gran parte modificato l’assetto originario della Villa ma sono ancora in loco alcuni arredi di grande interesse, quali la sistemazione del piazzale d’ingresso davanti al Casino con la scenografica scalinata a doppia rampa, denominata per la sua spettacolarità «Teatro grande», quindi la Fontana delle Lavandaie, così detta per le due figure, purtroppo acefale, in atto di lavare, quindi l’elegante balaustrata sormontata dalle sei grandi sculture che riproducono l’aquila bicipite dello stemma Cybo e, più in basso, quattro pilastri sormontati dalle statue dei «mattacini», figure tipiche della vita popolare massese e provenienti dalla Villa della Rinchiostra. Un dipinto che tutt’oggi si può ammirare nella Sala del Biliardo del Palazzo mostra

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7. Villa Cybo, Le statue dei «mattaccini», figure popolari provenienti dalla Villa Rinchiostra presso Massa e in alto la balaustra con le aquile, emblema del cardinale Cybo.

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8. Particolare del Giardino Cybo con i parterres da un dipinto conservato nel Palazzo pontificio.

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9. C.S. Fontana, Progetto del Casino Cybo con il previsto ampliamento, disegno acquerellato, prima metà XVIII secolo, ASR, Archivio Cybo.

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10. C.S. Fontana, Progetto del Casino Cybo, particolare del giardino retrostante con in alto il Borgo, disegno acquerellato, prima metà XVIII secolo, ASR, Archivio Cybo.

l’incontro del pontefice Clemente XIV con il cuoco soprannominato «Setteminestre», ambientato nel giardino del quale si vedono i parterres, una fontana ed il bosco sullo sfondo. Il periodo di splendore della Villa Cybo fu di breve durata e si chiuse con la morte del cardinale, avvenuta nel 1743. Ereditata da Maria Teresa Cybo, venne concessa in uso all’ambasciatore di Francia monsignor de Canillac che, per agevolare le passeggiate del pontefice nei giardini della Villa, fece realizzare la scala all’ingresso della proprietà, dove doveva sorgere il progettato ingresso monumentale. Benedetto XIV (1740-1758) fu un assiduo frequentatore della Villa, introducendo una consuetudine d’uso seguita dai successori. Nel 1772 la Villa fu ceduta al duca di Bracciano, Livio Odescalchi94 ma immediatamente e alle stesse condizioni acquistata da Clemente XIV per ampliare la residenza pontificia. Secondo Bonomelli la proprietà fu pagata solo 18.000 scudi, cifra ben inferiore ai costi documentati dagli atti sopra citati e riferiti ai soli arredi95. Il suo successore Pio VI (1775-1799) nel suo lungo pontificato non usò mai la residenza di Castel Gandolfo, anche a causa delle tragiche vicende storiche che dovette fronteggiare, e la Villa fu per vari anni affittata a terzi che trasformarono il giardino in orto96. Pio VII (1800-1823) vi si recò saltuariamente, ma continuò l’uso di affittare il complesso, il cui giardino nel 1815 era divenuto «pascolo di bovi» e «carciofolara», finché con l’affitto a Monsignor de Blocasse, Ministro di Francia, vi fu ripristinato un giardino che, secondo la moda del tempo, fu realizzato «all’uso inglese»97. Anche successivamente il Casino Cybo non venne usato e continuò ad essere affittato: nel 1828 Leone XII lo concesse in uso alla marchesa Orsola Maccarani e nel 1840 fu usato come scuola, secondo una consuetudine documentata ancora nel 190398. Durante l’Ottocento le visite, seppur brevi, furono frequenti, ma molti marmi della Villa Cybo furono trasportati a Roma e collocati nei giardini del Quirinale. Nel 1869, ovviamente, le visite si interruppero, per riprendere solo nel 1934, dopo che con il Concordato la residenza pontificia aveva acquisito anche la confinante Villa Barberini, assumendo l’estensione e la connotazione attuali99.

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Villa Barberini Nel sito dell’antica Villa di Domiziano, della quale si conserva ancora il magnifico e vasto criptoportico, venne realizzata la Villa Barberini. A partire dal 1628 Taddeo Barberini, nipote del pontefice Urbano VIII, avviò l’acquisizione di terreni culminata nel 1631 con l’acquisto della proprietà di monsignor Scipione Visconti, comprendente anche un Casino. Questo, con un intervento attribuito a Gian Lorenzo Bernini, venne in parte demolito e ricostruito in forme più maestose e paludate ma comunque di modeste dimensioni. Per la realizzazione del giardino una squadra di sterratori aquilani lavorò per mesi a disboscare, spianare e rimuovere i massi delle antiche rovine. Quindi la spianata ottenuta fu organizzata in viali regolari e riquadri contornati da siepi di bosso, con filari di lecci che ombreggiavano il giardino dal lato verso il mare100. Attorno al giardino formale vi erano i boschi, i pascoli e gli oliveti. Il parco non fu, come di consueto, arredato con statue e rilievi, ma aveva esposta un’opera di grandissimo interesse, la raffigurazione del Nilo, in marmo morato, ora conservata a Villa Albani Torlonia. Nel 1635 i lavori dovevano essere completati in quanto è documentato il trasporto di arredi e vettovaglie per la prima villeggiatura della famiglia. Il Casino non si trovava, però, al centro del giardino, come d’uso, ma distante e separato da un dislivello del terreno, per cui venne creata una sorta di viadotto sostenuto da muri per creare un lungo viale, denominato «la Catena»101. Alcuni progetti per un nuovo giardino accanto al Casino e per dotare il parco di acque e fontane sono rimasti irrealizzati, ma Taddeo Barberini fece sistemare in modo spettacolare la terrazza sovrastante il criptoportico, con una pavimentazione in peperino ed una bella balaustra. Successivamente il complesso venne dotato di una bella e ingegnosa cancellata ma, subito dopo la morte di Urbano VIII, con la caduta in disgrazia dei Barberini, la Villa fu oggetto di diatribe legali suscitate dai Padri Riformati, il cui convento confinava con il giardino. Solo nel 1791 la questione si risolse con un accordo, anche se risulta che nei decenni intercorsi non fosse raro che i pontefici in villeggiatura a Castel Gandolfo

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11. C.S. Fontana, Progetto del Casino Cybo, particolare del parterre del giardino retrostante, disegno acquerellato, prima metà XVIII secolo, ASR, Archivio Cybo.

12 C.S. Fontana, Progetto del Casino Cybo, la facciata verso il giardino retrostante, disegno acquerellato, prima metà XVIII secolo, ASR, Archivio Cybo.

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13. G.B. Piranesi, Il Criptoportico della Villa di Domiziano, esterno, incisione XVIII sec. 14. G.B. Piranesi, Il Criptoportico della Villa di Domiziano, interno, incisione XVIII sec.

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15. Il criptoportico della Villa di Domiziano, interno.

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16. Il criptoportico della Villa di Domiziano, esterno.

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17. I Giardini del Belvedere, realizzati negli anni ’30, con a destra il criptoportico della Villa di Domiziano.

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18. Il Giardino della Magnolia visto dal boschetto.

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19. Il Giardino degli Specchi, cosiddetto per i due specchi d’acqua a livello del prato.

Alle pagine seguenti: 20. Il Giardino degli Specchi, la prospettiva con fontane della Villa Cybo. 21. La «Piazza quadrata» delimitata da spalliere di cipresso e lecci potati in forme geometriche. 22. La Prospettiva terrazzata che dalla Piazza quadrata sale ai Giardini del Belvedere. È visibile lo stemma di Pio XI (aquila e sfere), committente dell’ultima sistemazione. 23. Particolare del giardino detto dell’agrumeto con fontana al centro.

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si recassero a passeggiare nella Villa. Dopo alterne fasi di abbandono e recupero, la Villa fu oggetto, intorno al 1912, di un impegnativo intervento di riassetto promosso dal principe Luigi Barberini: venne ripristinato il giardino a riquadri, furono realizzate fontane e conservati i resti della villa antica102. Ma pochi anni più tardi, a seguito del Concordato dell’11 febbraio 1929, la Villa veniva assegnata alla Santa Sede, destinata ad essere collegata alle preesistenti proprietà ed a costituire la stabile residenza estiva dei pontefici.

Gli interventi novecenteschi Nel giugno 1930 hanno avuto inizio i lavori di trasformazione della Villa Barberini e a seguire della Villa pontificia e della Villa Cybo: i tre nuclei sono stati collegati tra loro con cavalcavia e nuovi viali, i palazzi restaurati e arredati, i giardini sistemati o creati ex novo, un’area agricola annessa e attrezzata. Il 23 maggio 1934 tutto era concluso e presentato al pontefice Pio XI che peraltro aveva voluto controllare i lavori in due visite precedenti. Direttore dell’intervento era stato l’architetto Giuseppe Momo (Vercelli 1875-Torino 1940), attivo anche in Vaticano103, che si era occupato dei fabbricati, mentre il piano dei giardini e del parco era opera di Emilio Bonomelli (Rovato 1890-Castel Gandolfo 1970), nominato in seguito direttore delle ville pontificie. Nel parco di 55 ettari sono state alternate sistemazioni formali e naturali, nei giardini sono state realizzate fontane e, ad opera del nipote del pontefice, Franco Ratti, è stato messo in opera un impianto di irrigazione. La sistemazione della Villa è stata ideata in modo da fornire varietà di scene e paesaggi con ampi panorami, cercando di supplire, con questa studiata diversificazione dei luoghi e con l’impressione di spazi aperti all’impossibilità,

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per i pontefici, di varcare i confini del complesso per passeggiare, come nel passato, nei boschi e nelle valli circostanti. Per valorizzare la parte più panoramica della passeggiata sono stati condotti importanti lavori di bonifica e di livellamento del terreno, superando dislivelli con terrapieni e trincee, tagliando banchi di roccia e spianando quindi il terreno. Dalla parte più curata della passeggiata, che comprende i giardini della Villa Barberini, si giunge alla parte agricola, situata ai confini con il Comune di Albano, con pascoli, olivi secolari, orti e frutteti, in un graduale passaggio dalle delizie alle attività agricole. L’opera più importante realizzata, al centro della tenuta, è costituita dai Giardini del Belvedere, articolati in tre terrazzamenti e che inglobano la vista delle strutture superstiti della Villa di Domiziano. Il piano del giardino seicentesco è stato ampliato e sistemato con diversi parterres fioriti delimitati da cipressi che fungono da colonne e inquadrano il paesaggio sottostante. Non manca l’agrumeto, a ricordo della tradizione della coltivazione degli «aurei pomi», chiuso tra una spalliera verde e le rovine del criptoportico, che ricorda l’assetto di un giardino segreto. Nel parco sono state disposte sculture antiche, in parte rinvenute nel corso dei lavori di sistemazione, e le fontane sono tornate a zampillare. Il motivo ispiratore nella creazione dei nuovi giardini è il recupero della tradizione del giardino formale, che nei primi decenni del Novecento aveva goduto di un revival diffuso non solo in Italia. Particolare attenzione è stata posta nella conservazione dei resti della Villa domizianea, sia di quelli già evidenti sia di quelli emersi nel corso dei lavori104. Ne è derivato un singolare ed armonioso insieme di «flora et ruinae»105, con gelsomini e rose che si arrampicano sugli antichi massi e cipressi posti in funzione di colonne a ricreare, con le architetture vegetali, quelle in pietra ormai perdute.

APPARATI


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NOTE

CAPITOLO PRIMO 1 La ricostruzione delle vicende delle fabbriche vaticane è in Taja 1750, Cecchelli 1926, Ackerman 1954, Redig de Campos 1958, Redig de Campos 1967. Le numerose pubblicazioni apparse successivamente non aggiungono informazioni ulteriori, ma sono a volte ricche di splendide illustrazioni. Si veda, ad esempio, Pietrangeli 1992. In genere la trattazione dei giardini è sommaria e non supportata da riferimenti a dati d’archivio o a fonti d’epoca. 2 Cfr. Ehrle–Egger 1935, con ampio regesto di fonti. 3 Grande diffusione ebbe il suo opuscolo, Thesaurus pauperum, nel quale per ogni malattia indicava il rimedio meno costoso, in genere indicando piante ed erbe medicinali. 4 Tutti gli acquisti sono dettagliatamente ricostruiti e riportati in Ehrle–Egger 1935. 5 Cfr. Fagiolo 1998b, p. 69. 6 La complessa simbologia del giardino e dei suoi elementi, fin dalle sue origini, è stata ampiamente indagata nell’affascinante saggio di Venturi Ferriolo 1989, al quale si rinvia. 7 Cfr. Piale 1834. 8 Cfr. Frutaz 1956a. 9 La lapide, oggi nella Sala dei Capitani, fu rinvenuta casualmente nel 1727 da monsignor Francesco Bianchini in una sua villa lungo la via Aurelia e da lui donata alle collezioni capitoline. 10 Cfr. Fagiolo 1998b, p. 70. 11 Cfr. Polono 1574, p. 421. 12 Cardini–Miglio 2002, pp. 24-25. 13 Cfr. Magnus 1898, pp. 600-603. 14 I documenti sono pubblicati in Duchesne 1886-1892, II, pp. 43-60. 15 Cfr. Cortonesi 1990, pp. 129-130. 16 La «pezza romana» equivaleva a mq 2.640,62, secondo quanto è scritto in Dykmans 1968, pp. 547-594. 17 Una dettagliata ed interessante ricostruzione delle pratiche agricole e della consistenza e uso dell’area vaticana è in Cortonesi 1990, pp. 115-133. 18 Duchesne 1886-1892, doc. 7, p. 47: «...duas petias vinearum, vites tantum, cum arboribus fructiferis et infructiferis, vasca, vascali et tino...». 19 ASV, Camera Apostolica, Introitus et Exitus, 1, giugno 1285-maggio 1286, fol. 34r. 20 ASV, Camera Apostolica, Introitus et Exitus, 1, giugno 1285-maggio 1286, fol. 54r, fol. 55r, due uomini lavorano «ad secandum herbam in iardino». 21 Pietrangeli 1989, p. 66. 22 A.A.V.V. 1984, pp. 12-13. 23 Cfr. ibidem. 24 Entrambe le lettere sono riportate in Ehrle–Egger 1935, p. 55.

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ASV, Camera Apostolica, Introitus et Exitus, b. 269, fol. 8, Innocenzo VI, 1353. 26 ASV, Camera Apostolica, Introitus et Exitus, b. 269, foll. 22, 27, 78, 93, Innocenzo VI, 1354. 27 ASV, Camera Apostolica, Collectoriae, b. 451, Expensae Palatii Apostoliciis 13631369, foll. 154ss. 28 Theiner 1964, p. 430. Il testo in latino riporta espressamente, riferendosi alle piante, i termini «fructiferis et amenis» a confermare la coesistenza di utilità e ornamento. 29 ASV , Camera Apostolica, Manuale Introitum et Expensorum pro conficienda vinea et viridario, anno 1368, fol. 379. 30 ASV, Camera Apostolica, Introitus et Exitus, b. 325, anni 1367-1368, fol. 82v: «tribus hominibus de Portuveneris, qui asportaverunt per mare de Marsilia usque Romam quesdam arbores seu plantas arborum missas de portibus gaballicanis pro plantando in viridario palacii apostolici Romae». 31 ASV, Camera Apostolica, Introitus et Exitus, b. 325, 13 novembre 1367, fol. 73r. 32 Tutti i pagamenti e i documenti sono riportati in Ehrle–Egger 1935, p. 75. 33 Il documento è riportato in D’Onofrio 1975, p. XVI. 34 Theiner 1964, p. 473. 35 Cfr. Pozzana 1990. 36 Nel 1299 nel parco, ad esempio, erano stati introdotti dei caprioli, cfr. Cortonesi 1990, nota 61 p. 126. 37 ASV, Camera Apostolica, Introitus et Exitus, b. 329, foll. 93r-94rv. 38 ASV, Camera Apostolica, Introitus et Exitus, b. 329, foll. 93v-96r, dove si citano spese per «III centenara de iunczi per ligare la coperta de l’arbori» e l’acquisto di pali di castagno «pro copriendo arbores citronum». 39 Sul rapporto Roma-Gerusalemme e le sue valenze simboliche cfr. Fagiolo 1987, pp. 40-45. 40 Cfr. Vespasiano da Bisticci 1892. 41 Cfr. Müntz 1898, pp. 275-277. 42 La figura e l’opera di Niccolò V sono ben delineate nella traduzione e nell’edizione critica della sua vita: cfr. Manetti 1999. Sulla sua opera di urbanista cfr. Magnuson 1954, pp. 94-96. 43 Manetti 1999, p. 138. 44 Manetti 1999, p. 140: «Dalla parte superiore, verso occidente, si vedeva un altro giardino, dove erano collocate altre dimore, diverse dalle precedenti, destinate allo stesso camerlengo». Cfr. Coffin 1991, p. 8. 45 Cfr. Boccaccio ed. 1980, III, Introduzione, 11, p. 326. Sul tema del giardino quale paradiso si veda l’ampia trattazione di Fagiolo–Giusti 1996. 46 Manetti 1999, p. 140. 25

Archivio della Società Romana Storia Patria, 1881, p. 14. 48 Fagiolo 1985, p. 90. Si rinvia a Fagiolo–Madonna 1985 anche per un inquadramento complessivo dell’urbanistica romana all’epoca di Niccolò V in vista del Giubileo del 1450. 49 Cfr. Cardini–Miglio 2002, p. 96. 50 Cfr. Corbo 1998. La cura della vigna era affidata a frate Giacomo da Gaeta e quindi a vignaroli provenienti da Pescia e a tale Bandino da Lucca (p. 18), mentre come giardinieri sono citati M.o Guglielmo e Pavolo Pac(i)one da Roma (p. 34). 51 Cfr. Barberini 2008, pp. 27-35. 52 Il documento è riportato in Müntz 1898, p. 39. 53 Sull’origine e il significato di «giardino segreto», si rinvia al saggio di Venturi 1990, pp. 84-86. 54 Müntz 1898, pp. 33 e 40. 55 Per considerazioni complessive sullo sviluppo dell’area, cfr. Coffin 1991, in particolare pp. 3-16 e l’appendice documentaria. 56 Sul giardino medievale in tutti i suoi aspetti, cfr. il bel volume, ricco di spunti di grande interesse, di Cardini–Miglio 2002. 57 I nomi dei vari incaricati, quali Giovanni Chambaret, Giacomo Tedallini, Giovanni Bernardo, Giacomo di Giovanni, spesso frati e provenienti dai paesi di origine dei pontefici, sono riportati in Pagliuchi 1904, p. 278 e citati in molti documenti pubblicati da Coffin 1991, pp. 216 e 264-267. 58 Si ricorda il già citato giardino creato dal cardinale Pietro Barbo, poi papa Paolo II, accanto al Palazzetto di Piazza Venezia, a partire dal 1455. 59 Sullo sviluppo dei giardini romani in età rinascimentale si rinvia a Coffin 1979. 47

CAPITOLO SECONDO ASV, Camera Apostolica, Introitus et Exitus, b. 511, fol. 196, nel quale risulta un pagamento «pro pretius unius vineae post Tribunam Apostolorum site», citato in Müntz 1898, p. 77. 2 ASV, Camera Apostolica, Introitus et Exitus, b. 512, fol. 135r, «Die 26 octobris soluit similiter de mandato facto die dicti florenos quingentos auri de camera magistro Thome Mataratio muratori in deductionem fabrice muri clausure vinearum palatii». Ringrazio l’amica Jadranca Neralic per la preziosa segnalazione. 3 Vasari [1568] 1942-1949, ii, pp. 6465. 4 Per la storia complessiva cfr. Müntz 1891, pp. 459ss.; Ackerman 1951, pp. 7091; Redig de Campos 1958, II, pp. 289-304; da ultimo Azzi Visentini 1995, pp. 73-87, con ampia bibliografia. 5 Cfr. Coffin 1979, p. 63. 6 Cfr. Adinolfi 1881-1882. 1

Cfr. Infessura, 1890, p. 279. Cfr. Müntz 1898; Ackerman 1954, pp. 10ss., ai quali si rinvia per la ricostruzione delle vicende dell’edificio. Ackerman in particolare cita un pagamento a Pietrasanta, datato 31 marzo 1495, nel quale si fa riferimento anche alla «vinea». 9 Vasari ed. 1962, p. 158. La scala, iniziata da Bramante, fu continuata da Baldassarre Peruzzi e completata da Pirro Ligorio. 10 Cfr. Belli Barsali 1983, pp. 205ss. 11 Cfr. Morello–Piazzoni 1991, p. 13. 12 Cfr. Coffin 1977, pp. 96-97. 13 Cfr. Serdonati 1829, p. 81. 14 Coffin 1979, p. 81. 15 Cfr. Tomei 1977, pp. 211 e 214; Magnuson 1958, pp. 326-327. 16 Sul rapporto architettura-giardino si veda Gothein ed. 2006, p. 306. Nelle pagine seguenti vi sono altri interessanti riferimenti all’opera del Bramante. 17 Cfr. Tagliolini 1991, pp. 83-84. 18 Vasari [1568] 1942-1949, pp. 64-65. 19 Per la ricostruzione della personalità di Bramante e la ricca documentazione sul Cortile del Belvedere, si rinvia alla fondamentale monografia Bruschi 1969. 20 Sulle ville romane e sulla loro scoperta cfr. l’eccellente ricostruzione di Cima–Talamo 2008. 21 Cfr. Ackerman 1954. 22 La grandezza di Bramante e la sua capacità di interpretazione dell’antico sono state riconosciute già ai suoi tempi: si veda, ad esempio, Serlio [1540, 1584] 1984, l. III, fol. 120r.; Palladio [1570] 1968, l. IV, pp. 64-66. 23 La fontana venne interrata all’epoca di Pio IV per meglio consentire l’uso dello spazio come teatro, ma ripristinata sotto Paolo V, del quale sono ancora visibili i draghi e le aquile scolpiti sul basamento, nonché le due iscrizioni che riferiscono del recupero. Oltre ad essere ripristinata, la fontana fu modificata con l’aggiunta di una incongrua vaschetta superiore, rimossa nel 1987. Cfr. Pietrangeli 1987, pp. 475-484. Sulla vicenda cfr. anche il Cap. V. 24 Sul dipinto cfr. la scheda, con ampia bibliografia di riferimento, di R. Leone, «Scuola Romana della prima metà del XVII secolo, Torneo nel cortile del Belvedere», in Fagiolo 1997, pp. 227-228. Il torneo e le conseguenti incisioni di Lafréry furono probabilmente voluti da Pio IV anche per celebrare il completamento della sistemazione del cortile, a opera di Pirro Ligorio. 25 Un affresco molto simile, senza le navi, ma con la presenza dell’acqua e con una maggior attenzione paesaggistica, è nella Rocca di Subiaco, sul quale cfr. Minasi 2007, p. 176. 26 Il vano è stato chiuso da una parete con vetrata e vi è stata ricavata la caffetteria a servizio della Biblioteca Vaticana 7 8

e dell’Archivio Segreto, che si affacciano entrambi nel cortile, organizzato in grandi aiuole geometriche a prato con qualche fioritura. 27 Cfr. Cazzato–Giusti–Fagiolo 2001. 28 Cfr. Pietrangeli 1987 e Pietrangeli 1982, pp. 11-12. 29 Sull’opera di Bramante si rinvia, da ultimo, ai seguenti interventi: Winner– Andräe–Pietrangeli 1998; Frommel 2000, pp. 210-219. 30 Cfr. Brummer 1970. 31 Michaelis 1890a, pp. 5ss., ricostruisce lo sviluppo della sistemazione della collezione identificando tutti i pezzi che la componevano. 32 Colonna 1499. Il testo ha avuto enorme fortuna critica e la bibliografia di riferimento è vastissima. 33 Cfr. Gombrich 1978, pp. 146-155. Il capitolo che interessa si intitola, appunto, «Il giardino del Belvedere come boschetto di Venere». 34 Un’antologia delle descrizioni del Cortile delle statue è in Maffei 1999, pp. 85-230. 35 Sul Cortile cfr. anche Buranelli 2006, pp. 49-60. 36 Sul collezionismo si veda il recente importante lavoro di Cavallaro 2007. 37 Per la diffusione della tipologia dei giardini-musei e il ruolo di esempio del Belvedere cfr. Blair mac Dougall 1994, pp. 23-36. 38 Un recente studio attribuisce la grotta rustica a Vignola, presente a Roma, in collaborazione con Jacopo Meleghino, cfr. Liserre 2008, pp. 47 e 50. 39 Un esame dei complessi significati simbolici della «Sleeping Nymph» è nell’interessante saggio di Blair mac Dougall 1994, pp. 37-55 e in Coffin 1991, pp. 28-57, che esaminano anche la fortuna del modello nelle ville dei secoli successivi. 40 Cfr. Frommel 1974, pp. 173-188. 41 Albertini 1510, p. 39 42 Cfr. Luzio 1886, pp. 513-514. 43 Pedretti 1962, p. 83. 44 Castiglione ed. 1769, citato in Coffin 1979, pp. 84-85. 45 Vasari [1568] 1942-1949, vol. II, p. 66. 46 Ibidem. 47 Gombrich 1978, p. 153, riferisce che il pontefice, alla vista del Cortile delle Statue, abbia esclamato: «sunt idola antiquorum». Per la ricostruzione della politica di Adriano VI nei confronti delle arti cfr. Chastel 1983, pp. 120-123. 48 Cfr. Sommario del Viaggio degli oratori Veneti che andarono a Roma a dar l’obbedienza a Papa Adriano VI, 11 maggio 1523, in Alberi 1846, serie II, vol. III, pp. 114ss., pubblicato da Ackerman 1954, p. 145, e Azzi Visentini 1999, pp. 217-221. 49 Cfr. Fulvio [1527], f. 36: « Excitavit que amoenissimum fontem cum nemore aurea poma producente parietibus undique circumsepto». CAPITOLO TERZO Su Villa Madama cfr. Lefevre 1973; Belli Barsali 1983, pp. 142-157; Coffin 1979, pp. 245-256; Frommel–Ray–Tafuri 1984; Azzi Visentini 1995, con ampia bibliografia; e da ultimo Napoleone 2007. 2 Il giardino, da quanto risulta dalle 1

piante, aveva successivamente assunto configurazioni più libere, ma è stato poi completamente soppresso con la costruzione del Museo Paolino d’arte sacra, commissionato dal pontefice Paolo VI e realizzato dallo studio Passarelli negli anni Sessanta del Novecento. 3 Coffin 1991, p. 14. 4 Sull’argomento si rinvia al sempre fondamentale studio di Chastel 1983. 5 Sugli Orti Farnesiani al Palatino v. Morganti 1990. 6 Cfr. Aliberti Gaudioso 1981. 7 Cfr. von Pastor 1922-1934, IV, 2, p. 739, n. 133, lettera di Girolamo Cattaneo al duca di Milano, e p. 740, n. 134, lettera di Francesco Gonzaga a Federico Gonzaga, duca di Mantova, nelle quali l’evento è riportato con grande vivezza, riferendo anche la fortunata coincidenza di un imminente temporale che aveva impedito al pontefice di uscire per la consueta passeggiata nel cortile, con il rischio di essere coinvolto nella rovina delle logge. 8 Vasari [1568] 1942-1949, IV, p. 155. 9 Ackerman 1954, pp. 61-63, riporta anche i relativi mandati di pagamento per le opere eseguite. 10 Il giardino nelle sue linee essenziali, ma senza il pergolato, è documentato in molte incisioni dal Seicento all’Ottocento e da riproduzioni fotografiche di inizi Novecento. 11 Sul giardino si veda Cremona, «Felices procerum villulae». Il Giardino della «Farnesina» dai Chigi all’Accademia dei Lincei, c.s. Ringrazio il dr. Cremona per avermi fatto leggere le bozze della pubblicazione. 12 La costruzione dell’edificio della Pinacoteca, progettata da Luca Beltrami nel 1929, ha sottratto un’ampia porzione del giardino dal lato verso Monte Mario e del Giardino di Clemente VII, creando una barriera tra i due spazi. Un’altra porzione, nel lato verso le logge di Bramante, in tempi recenti è stata utilizzata per la caffetteria dei Musei. Lo spazio residuo del giardino è stato quindi ridisegnato per ricomporre la simmetria perduta e al centro è stata posta la Fontana in origine situata nel Cortile della Pigna. 13 Meleghino è stato considerato il successore di Peruzzi, che ormai malato e vicino alla morte, gli lasciò disegni e carte, come attestato da Vasari [1568] 19421949, IV, p. 327 e alla morte di Antonio da Sangallo ebbe da Paolo III l’incarico di architetto della fabbrica di San Pietro. 14 Su Meleghino cfr. Keller 1996, p. 79. 15 Cfr. Guidoni 2004, pp. 296-306. La data di morte di Meleghino è stata considerata il 1549 sino al ritrovamento da parte di Christoph L. Frommel di un documento di pagamento datato 1550 e pertanto si è accolta tale ultima datazione. 16 Sulla villa si veda, da ultimo, Guerrieri Borsoi 2008. 17 Vasari [1568] 1942-1949, v, p. 570, così scrive: «Andato poi esso Vignola a Roma, per attendere alla pittura e cavare di quella onde potesse aiutare la sua povera famiglia, si trattenne da principio in Belvedere con Jacopo Melighini ferrarese, architettore di papa Paolo III, disegnando per lui alcune cose di architettura». Secondo Liserre 2008, p. 65, Vignola nel 1538 è compensato insieme a Meleghino

per lavori in Vaticano, ma non cita il documento di riferimento. 18 Ackerman 1954, p. 63, ritiene che l’ideazione del giardino vada attribuita a Baldassarre Peruzzi, interrotta dalla morte sopravvenuta nel 1536, ma non cita documenti di riferimento. 19 Cfr. Dorez 1932, p. 4. Il volume di Dorez è fondamentale in quanto vi sono pubblicati numerosissimi documenti d’archivio dell’epoca di Paolo III, in parte oggi irreperibili. La ricostruzione della realizzazione del giardino di Paolo iii si basa ovviamente su questi documenti integrati con alcuni pubblicati da Ackerman e con quelli, in molti casi inediti, che sono stati reperiti nel corso della ricerca, e che vengono di volta in volta riportati. 20 Dorez 1932, documenti riportati a p. 20 e a p. 94. 21 Cfr. Ackerman 1954, p. 158, documento 36 del 19 aprile 1536. 22 I due giardinieri erano entrambi nei ruoli dei salariati del pontefice. Lucerta, il cui nome era Romolo, era fiorentino, arrivato a Roma dopo il sacco del 1527, cfr. De Dominicis 1986, pp. 165 e 179. 23 Dorez 1932, pp. 119, 124, 135, 140, 148, 171, 161, 162, 169. 24 Ibid., pp. 177, 183, 189, 194, 195, 249, 253. 25 Ibid., pp. 185 e 246. 26 ASP, Epistolario scelto, b. 21, f. 36 «Meleghino Giacomo», lettera dell’11 aprile 1538. 27 Coffin 1991, p. 15 fig. 9. 27 ASR, Camerale I, Tesoreria Segreta, Reg. 8\1290, 1540-43, fol. 11a. 28 ASR, Camerale I, Tesoreria Segreta, Reg. 8\1290, 1540-43, fol. 36a. 29 Dorez 1932, pp. 296 e 304. 30 ASR, Camerale I, Tesoreria Segreta, Reg. 8\1290, 1540-43, fol. 40a, fol. 40b, fol. 43a, fol. 45a, fol. 50a, fol. 54b, fol. 58a, fol. 61b, fol. 77a. 31 Sulla figura e l’opera di Meleghino cfr. in generale Ronchini 1867; Puppi 1987, pp. 491-501; De Angelis 1987. Alcune notizie sulla sua attività sono anche in Portoghesi 1971. 32 Cfr. Coffin 1991, p. 211. 33 Cfr. Coffin 1991, p. 217, che riporta documenti dai quali risulta la citazione di Scipione Perotto nelle relazioni di visita di due botanici, lo spagnolo Andres de Laguna e il francese Pierre Belon. 34 Il cocchio, in particolare quello formato da piante di agrumi, era destinato ad avere grande fortuna anche nel secolo successivo, tanto da venir lodato da Ferrari nei suoi trattati quale elemento di spicco nei giardini più raffinati. Cfr. Campitelli 1996, pp. 175-195. 35 Sulla tipologia e sulla diffusione dei pergolati nel Cinquecento cfr. Frommel 2005, pp. 79-93. 36 Cfr. Colonna 1499. 37 Sul Giardino Ghinucci al Quirinale cfr. Coffin 1979, pp. 190-191. Il disegno di Giovanni Colonna è in BAV, Vat. Lat., 7721, foll. 15r e 15v. 38 Coffin 1991, p. 15. 39 ASR, Camerale I, Tesoreria Segreta, Reg. 8\1290, 1540-43, fol. 16a e fol. 39a. 40 ASR, Camerale I, Tesoreria Segreta, Reg. 8\1290, 1540-43, fol. 39a, fol. 40a, fol. 40b.

ASR, Camerale I, Tesoreria Segreta, Reg. 8\1290, 1540-43, fol. 46a, fol. 47b, fol. 48°, fol. 49a, fol. 49b, fol. 50b, fol. 52b, fol. 53b, fol. 54a, fol. 66a. 42 I documenti riportano la voce «mortella» che attualmente, in area romana, è sinonimo di bosso, mentre nel Cinquecento e nel Seicento era più frequente il riferimento al mirto, molto più usato perché profumato. Nel caso delle spalliere del giardino di Clemente VII riteniamo che non possa che trattarsi del mirto, sia in quanto di portamento più elevato e quindi più adatto allo scopo, sia perché il suo abbinamento con le rose era molto comune. 43 ASR, Camerale I, Tesoreria Segreta, Reg. 9/1291, fol. 22b, fol. 18b, e Reg. 11/1293, fol. 51b. 44 ASR, Camerale I, Tesoreria Segreta, Reg. 11/1293, fol. 84b e Reg. 8/1290, 1540-43, fol. 23a. 45 Dorez 1932, pp. 21, 33-34, 40, 42, 45, 54, 60-61, 66, 67, 88, 124 e ASR, Camerale I, Tesoreria Segreta, Reg. 8\1290, 1540-43, fol. 4, fol. 20a, fol. 50b; Reg. 9/1291, fol. 15b. 46 Sull’argomento cfr. Cavallaro 2007. 47 von Fichard 1815, pp. 48-49. 48 Nei primi decenni del Cinquecento prende avvio la splendida stagione della fioritura delle ville romane, destinata a proseguire per tutto il secolo successivo. Le prime ville realizzate furono la Farnesina, commissionata da Agostino Chigi nei primi anni del secolo, Villa Madama, avviata, come si è detto, a partire dal 1517, Villa Lante, databile a partire dal 1518. Per un quadro complessivo delle ville di Roma si rinvia a Belli Barsali 1983. 41

CAPITOLO QUARTO Sulla villa non esiste ancora uno studio completo. Per un inquadramento generale cfr. Belli Barsali 1983, pp. 170187; Azzi Visentini 1995, pp. 159-172. 2 ASR , Camerale I , Giustificazioni di Tesoreria, b. 2; Camera Apostolica, Diversa Cameralia, vol. 155, foll. 141r-142v; Camerale i, Fabbriche, b. 1519. 3 Cfr. Ackerman 1954, pp. 163-168, nel quale sono trascritti tutti i mandati di pagamento. 4 Il documento è stato pubblicato da Ackerman 1954, p. 165, doc. 75. 5 Ackerman 1954, p. 69, ritiene il ninfeo forse risalente a Bramante, ma trasformato sotto Giulio III e vicino, come tipologia, allo stile dei giovani architetti del’epoca, in particolare di Vignola; Fagiolo 2008, p. IX, rinvia a un successivo approfondimento dell’argomento e ipotizza che anche la sistemazione del giardino sia dovuta ai due architetti. La figura di Maccarone, già individuata da Coffin, nel citato volume è ricostruita nelle varie committenze e risulta estremamente interessante. 6 Coffin 1991, p. 218. 7 BAV, Urb. Lat. 1039, fol. 320v. 8 Cfr. Friedlaender 1912, pp. 3 e 123. 9 I lavori commissionati da Paolo IV sono riportati in Ancel 1908, pp. 47-71. 10 In realtà il pontefice non aveva alcuna parentela con i Medici di Firenze, ma aveva ottenuto da Cosimo I l’autorizzazione a fregiarsi dello stemma, a seguito della nomina a cardinale voluta da Paolo III. 1

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GLI HORTI DEI PAPI

Ringrazio Elisabetta Mori per l’informazione. 11 Citato in Wharton 1991, p. 86. Nel volume, la Wharton descrive i giardini Vaticani come si presentavano all’inizio del Novecento, con i limoni a spalliera, le aiuole fiorite e la mirabile compresenza di assetti formali e naturalistici. 12 I documenti di pagamento sono stati pubblicati da Friedlaender 1912 e conservati in ASR, Camerale I, Fabbriche, b. 1520 e 1521. Altri documenti, riferiti soprattutto all’apparato decorativo, sono in Smith 1977. 13 Cfr. De Maio 1961, p. 286. 14 Gli studi su Ligorio sono molti e di varia portata, e prendono in esame i diversi aspetti della sua poliedrica personalità, per cui si rinvia all’eccellente studio di Coffin 2003, anche per le indicazioni specifiche della bibliografia precedente. 15 Sulla villa la bibliografia è molto ampia, per cui si rinvia alla sempre fondamentale opera di Coffin 1960 e, da ultimo, alla specifica pubblicazione di Barisi–Fagiolo–Madonna 2004, con bibliografia precedente. 16 Cfr. Coffin 1979, pp. 269ss. 17 La realizzazione delle scale è posteriore, probabilmente di fine Seicento, in quanto non sono presenti nelle prime raffigurazioni dell’edificio. 18 Cfr. Fagiolo 1992, pp. 267-280. 19 Cfr. Belli Barsali 1983, pp. 206-208 nelle quali il complesso è esaminato sia nella struttura edilizia che negli apparati decorativi. 20 Coffin 1979, p. 269. 21 Ibid., p. 273, nota il fatto non casuale dello spoglio di molti marmi antichi di Villa Giulia usati proprio per decorare il Casino. 22 I prospetti laterali e quello posteriore della fabbrica principale non avevano apparati decorativi, ma un semplice trattamento a intonaco con cornici a stucco, a sottolineare la scarsa importanza riservata ai lati verso il bosco. 23 Cfr. Smith 1974, p. 144. 24 Chattard 1762-1767, p. 232. 25 Cfr. Fagiolo 1981, pp. 176-187. 26 Flora e Pomona erano soggetti particolarmente cari a Ligorio, che nei suoi scritti ne aveva lasciato accurate descrizioni, cfr. BNN, mss. XIII.B.3, pp. 408 e 429. 27 Ovviamente Ligorio non poteva conoscere Pompei, ma ai suoi tempi quel genere di decorazioni era diffuso in molti edifici romani ancora visibili. 28 Per l’interpretazione dei molteplici significati simbolici del programma iconografico della Casina si rinvia agli studi, sempre attuali, di Fagiolo–Madonna 1972a, pp. 384-385; Fagiolo–Madonna 1972b, pp. 237ss. Una rassegna del ricchissimo apparato decorativo è in una recente pubblicazione, che non aggiunge nulla di nuovo a quanto già scritto sull’argomento: Losito 2005. 29 In una lettera del 1560 il cardinale Borromeo era stato richiamato all’osservanza di una vita più riservata e consona al suo status, dedita ad esempio agli onesti piaceri del giardino. Cfr. Coffin 1979, p. 273. 30 Sull’Accademia cfr. Berra 1915. 31 Cfr. Bragaglia Venuti 1999.

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NOTE

Cfr. Fagiolo 1998a, pp. 92-96; Volpi 2004, pp. 131-160. 33 Cfr. Michaelis 1890b, pp. 62-63. 34 P. Ligorio, BNN, MS. XIII.B.5, fol. 5v. 35 P. Ligorio, AST, MS. J.A.II.13. f. 22. 36 Perduto l’incarico, Pirro Ligorio lasciò Roma e trovò rifugio presso la corte di Ferrara. 37 Ackerman 1954, p. 86. 38 Cfr. Speculum romanae magnificentiae: omnia fere quaecunq. in urbe monumenta extant partim iuxta antiquam partim iuxta hodiernam formam accuratiss. delineata repraesentans; accesserunt non paucae, tum antiquarum, tum modernarum rerum urbis figurae nunquam antehac aeditae / Antonius Lafreri exx., Romae: Lafreri, [s.a.]. 39 Il medico di Niccolò IV e poi di Bonifacio VIII, tradusse trattati dall’arabo in latino, tra cui scritti di Avicenna, e scrisse quello che è considerato il primo dizionario fisico-botanico, Clavis sanationis. 40 Renazzi 1803-1806, vol. 4, ha raccolto i nominativi di tutti i custodi dell’Orto Botanico vaticano e di Michele Mercati riferisce che Pio V gli conferì l’incarico di «prefectus» dell’Orto. 41 Cfr. Zalum Cardon 2008, p. 5. Il volume costituisce un interessantissimo quadro di riferimento per la comprensione del contesto culturale nel quale viene creato il Giardino dei Semplici in Vaticano. 42 Sul rapporto tra Giardino dei semplici e Orto botanico si veda Tongiorgi Tomasi 1990b, pp. 77-79. 43 Bonelli 1772, p. 1. 44 Instruttione sopra la Peste di M. Michele Mercati medico e filosofo, Vinc. Accolto, Roma 1576, p. 8, nell’opuscolo Mercati cita molte piante da usare come medicamento contro la peste, ma non specifica se fossero coltivate da lui in Vaticano. 45 Alcune notizie sull’incarico a Mercati e sull’antichità dell’Orto dei Semplici in Vaticano sono in Lais 1878-79, pp. 63-78. Secondo l’autore l’Orto Botanico vaticano esisteva già ai tempi di Niccolò V, in quanto Manetti riferiva di un orto «cunctis herbarum atque omnium generibus refertus» che non poteva non essere un orto botanico. Sostiene, di conseguenza, la maggiore antichità dell’orto botanico di Roma rispetto a quelli di Padova o di Pisa. 46 Mercati 1590, p. 68. Mercati, a conferma della sua vasta cultura e dei poliedrici interessi, è dunque anche autore di un libro sugli obelischi romani. 47 Alcuni cenni sono in Pirotta–Chiovenda 1900, p. 51. 48 Andrea Cesalpino (Arezzo 1519Roma 1603) era botanico, medico e anatomista. Fu direttore dell’Orto Botanico di Pisa, professore di medicina e autore di un nuovo sistema di classificazione delle piante. 49 Cfr. Masson 1972, pp. 61-80. Come ha dimostrato Margherita Zalum nel suo volume sull’argomento, già nel Cinquecento, sia a Roma che a Firenze vi era una fitta rete di appassionati e cultori dei fiori, in rapporto anche con illustri esponenti di altre città europee. Per un esame approfondito dell’argomento cfr. Zalum Cardon 2008, in particolare i primi due capitoli. 32

Ulisse Aldovrandi (Bologna 15221605), fu naturalista, botanico ed entomologo, docente all’Università di Bologna, direttore dal 1568 dell’Orto Botanico bolognese. Celebre è il suo erbario. Le lettere di Mercati ad Aldrovandi sono state integralmente pubblicate in Neviani 1932-33, pp. 127-153, ma non sembra avviano avuto grande diffusione. 51 Sull’argomento della nascita degli orti botanici e del collezionismo cfr. Tongiorgi Tomasi 1990a, pp. 277-289. 52 Sulla figura di Filippo II e i suoi interessi botanici, cfr. Añón Feliu–Sancho 1998; in particolare pp. 276-331 per la parte botanica e per l’interesse di Filippo II per la storia naturale. Il Giardino dei Semplici dell’imperatore era annesso al monastero di Guadalupe. 53 Il medico era Francisco Hernández, che dal 1570 al 1577 effettuò spedizioni nelle Americhe per redigere una storia naturalistica, pubblicata alcuni decenni più tardi per volere di Federico Cesi e degli accademici dei lincei, coordinata da Johannes Faber. Sull’impresa si rinvia alla trattazione di Freedberg 2002, pp. 245-274. 54 Per riferimenti sull’epoca dell’introduzione delle diverse piante in Europa, cfr. Saccardo 1909. Si veda anche Caneva 1992. 55 Ringrazio l’amica Sofia Varoli Piazza che mi ha fornito utilissime indicazioni per identificare le piante e la loro provenienza. 56 Il documento, conservato in ASV, è citato in Neviani 1932-33, pp. 128-129. 57 Il pontefice aveva una sua residenza suburbana, il cui rigore architettonico ben esprimeva la cultura di riferimento. Sull’argomento cfr. Benocci 2005b, pp. 317-350. 58 Durante 1585. 59 Per la cronologia dei curatori dell’Orto Botanico vaticano cfr. Lais 1878-79, p. 69. 60 Bacci 1577. 61 Sulla Villa cfr. Belli Barsali–Branchetti 1975, e Tantillo Mignosi 1980. 62 Cfr. Franceschini–Mori–Vendittelli 1994. 63 Cfr. Quast 1991. 64 Sulla storia della residenza pontificia al Quirinale cfr. A.A.V.V. 2006. 65 Sulla Biblioteca cfr. Hess 1938 e Ruysschaert 1992, pp. 329-338 e Benedetti 1992, pp. 397-417. 66 Si rinvia a quanto contenuto nel capitolo successivo. 67 Cfr. Ruysschaert 1992, p. 332. 68 Cfr. ibid., p. 334. 69 ASR , Camerale I , Giustificazioni di Tesoreria, b. 19, fol. 16 e fol. 18. 70 Sulla villa di Roma cfr. Benocci 1992; su quella di Frascati cfr. D’Onofrio 1963. Fagiolo–Fagiolo dell’Arco 1964, pp. 6192; Devoti 1990; Azzi Visentini 1995. 71 ASR , Camerale I , Giustificazioni di Tesoreria, b. 18, fol. 30, fol. 39, fol. 81, b. 19, fol. 23; b. 22, fol. 1, fol. 3, fol. 7, fol. 9, fol. 11, fol. 29; b. 24, fol. 4, b. 25, fol. 24. Si tratta di mandati di pagamento sintetici e spesso sommari dai quali sono tratte le notizie che si riportano. 50

CAPITOLO QUINTO Per la ricostruzione dell’ambiente e dei protagonisti di questo singolare e interessantissimo periodo cfr. Masson 1972, pp. 61-80, e l’importante, ricco e originale contributo di Zalum Cardon 2008. 2 Cfr. Belli Barsali 1983, pp. 296-307 e A.A.V.V. 2006. 3 Cfr. Campitelli 2003b. 4 Sulle ville di Frascati cfr. Belli Barsali–Branchetti 1975, Tantillo Mignosi 1980, e da ultimo Campitelli 2003c, pp. 63-74. 5 Cfr. Bonanni 1696, p. 221. 6 ASR, Camerale I, Fabbriche, b. 1540, fol. 103. 7 Molti documenti d’archivio sono stati pubblicati da Corbo–Pomponi 1995, ma spesso sono riportati nel solo titolo. Altri documenti sono emersi nel corso della ricerca. 8 Cfr. Bzovius 1624. 9 La pianta è stata pubblicata da Ehrle 1914. 10 La bella pianta, dopo la pubblicazione e il commento di padre Ehrle, non risulta sia stata successivamente presa in esame per ricostruire la storia dei Giardini Vaticani. 11 Sulla riattivazione dell’antico acquedotto Traiano e la realizzazione dell’acquedotto Traiano-Paolo, cfr. Pisani Sartorio 1986. 12 Bzovius 1624, pp. 66-67. 13 La figura di Martino Ferrabosco è ancora tutta da indagare, tra gli scarsi contributi si ricorda quello di Beltrami 1926, pp. 1-15. 14 ASR , Camerale I , Giustificazioni di Tesoreria, b. 33, fol. 5, fol. 12, fol. 17. In quest’ultimo, ad esempio, vi sono pagamenti degli anni 1606-7, per «piombo per accomodare la fontana della Peschiera et le fontane della Palazzina» o ancora «per sturare et acconciare tutte le fontane sì della Palazzina come della Peschiera p. il bosco...p. accomodare il cond(ott)o del muro et quelli delle Statue...» e ancora il conto di Silvestro Amici stagnaro, del novembre 1607, riporta consistenti pagamenti per «haver accomodati li condotti cioè in Belvedere...». 15 Cfr. Orbaan 1920, p. 158. 16 ASR , Camerale I , Giustificazioni di Tesoreria, b. 33, fol. 1, 8 febbraio 1607. 17 Cfr. Grimaldi [1620], ed. 1972, p. 86. 18 Orbaan 1920, p. 158. 19 È notevole la somiglianza di questa nicchia-fontana con quella, sempre di committenza borghesiana, che ancor oggi si vede in quello che era il cortile del Casino dei Giochi d’acqua e ora è una sala del Museo Carlo Bilotti nell’Aranciera di Villa Borghese. Cfr. Arconti–Campitelli 2006. 20 Bzovius 1624, pp. 66-67. 21 ASR , Camerale I , Giustificazioni di Tesoreria, b. 33, fol. 6, fol. 12, fol. 13, fol. 16, Camerale i, Fabbriche, b. 1537, fol. 100. Un mandato di pagamento a favore di Giovanni Bellucci, fattore della Fabbrica di San Pietro, per «opere messe in far cavare la tazza grande di granito orientale messa nel teatro nel Palazzo di San Pietro» è citato, ma senza indicazione della fonte, in Morello–Silvan 1997, p. 136. 22 ASR , Camerale I , Giustificazioni di Tesoreria, b. 33, fol. 13. 1

Cfr. Pietrangeli 1987, pp. 475-484. La scoperta, recentissima, è stata resa nota in San Mauro 2006, pp. 38-54. Ringrazio l’autrice e il Dr. Francesco Colalucci per avermi permesso di osservare il fregio e di utilizzare le immagini. 25 Cfr. Morello–Silvan 1997, pp. 114115. 26 Per questa fontana sono noti alcuni documenti di pagamento allo scultore che riferiscono di lavori eseguiti tra il 1609 e il 1610 da Niccolò Cordier per la realizzazione di un «putto con una conchiglia tonda in mano che butta acqua in aria, posto sopra la coda di quattro draghetti marini» e la fontana risultava situata «nell’entrar del giardino del Belvedere». I documenti sono riportati in D’Onofrio 1986, p. 515. 27 Cfr. Falda [1676] 1965. 28 ASR , Camerale I , Giustificazioni di Tesoreria, b. 33, fol. 2, fol. 3, fol. 5. 29 ASR, Camerale I, Fabbriche, b. 1540, fol. 40v. 30 Per un inquadramento generale della storia e dell’evoluzione della tipologia delle fontane di Roma restano sempre fondamentali i volumi di D’Onofrio 1986 e D’Onofrio 1977. 31 Cfr. Campitelli 2003b, pp. 88-90 per le Fontane Oscure, mentre per le fontane in generale si rinvia a D’Onofrio 1986. 32 Cfr. Campitelli 2003b, pp. 86-88. 33 Caro 1572, p. 60. 34 La lettera del 26 luglio 1543, indirizzata a Giambattista Grimaldi, è pubblicata in Azzi Visentini 1999, pp. 241-245. 35 Un repertorio di grandissimo interesse delle fontane esistenti nei primi decenni del Seicento è in Parasacchi [1647] 1773, che presenta anche alcune tipologie con roccaglie di grande interesse, in gran parte non più esistenti. 36 Alcuni mandati di pagamento sono riportati in D’Onofrio 1986, pp. 514-515. 37 ASR , Camerale I , Giustificazioni di Tesoreria, b. 33, fol. 18, fol. 19. 38 ASR, Camerale I, Fabbriche, b. 1537, fol. 177, fol. 197, fol. 175 (quest’ultimo pagamento è riferito al trasporto da casa di Santi Solaro al giardino di Belvedere «per servitio della fontana», di un «delfino»). 39 ASR, Camerale I, Fabbriche, b. 1537, fol. 175, fol. 182. 40 ASR, Camerale I, Fabbriche, b. 1537, fol. 270, fol. 98, fol. 105, fol. 157, fol. 250, fol. 253, fol. 255. 41 ASR, Camerale I, Fabbriche, b. 1537, fol. 173, fol. 176, fol. 199. 42 Per un repertorio di questa tipologia cfr. Cazzato–Fagiolo–Giusti 2001. 43 Interpretazione ripresa da Belli Barsali 1983, p. 209. 44 asr, Camerale I, Giustificazioni di Tesoreria, b. 33, fol. 20, fol. 21; b. 35, fol. 3. 45 Per l’elenco completo dei pagamenti si rinvia a Corbo–Pomponi 1995. 46 Nell’incisione di Giovan Francesco Venturini (1650-1710) la fontana è detta «architettura di Carlo Maderno». 47 Cfr. D’Onofrio 1986, pp. 510-518. 48 asr, Camerale i, Giustificazioni di Tesoreria, b. 33, 1610, fol. 16; 1612 , fol. 1 e fol. 2. 49 Cfr. Campitelli 2003b, pp. 134-135. 23 24

ASR , Camerale I , Giustificazioni di Tesoreria, b. 34, fol. 22. 51 Cfr. D’Onofrio 1986, pp. 510-518. 52 Non abbiamo nessun dato che possa suffragare una partecipazione di Agostino Tassi all’ideazione della Galera, ma sono stupefacenti le analogie tra la Galera della Fontana e le galere raffigurate in numerose sue opere. Come è noto Agostino Tassi era stato a lungo a Livorno e la sua frequentazione con il porto di quella città gli aveva permesso una conoscenza dettagliata delle imbarcazioni dell’epoca. 53 Ferdinandus Caroli, De Vaticano Templo et palatio, BAV, Cod. Vat. Lat. 10751, tradotto e citato in D’Onofrio 1986, p. 516. 54 Sui versi Barberini e sulla fontana in generale v. anche D’Onofrio 1977, pp. 350-394 e D’Onofrio 1967, pp. 362-366. 55 Cfr. Guglielmotti 1886-1893, vol. 7, pp. 187ss. La nuova galera non venne però realizzata. 56 Chattard 1762-1767, pp. 227-228, anche se quando lui scriveva la fontana risultava «alquanto derelitta». 57 Cfr. Belli Barsali 1983, p. 208. 58 Sui due scalpellini cfr. Campitelli 2004, pp. 105-113. Non è specificato cosa i due scalpellini possano aver scolpito, ma si può supporre che si trattasse di emblemi araldici, campo nel quale erano specialisti. 59 ASR , Camerale I , Giustificazioni di Tesoreria, b. 42, fol. 5; b. 43, fol. 3; b. 46, fol. 14. 60 Cfr. Negro A. 2000. 61 Campitelli–Costamagna 2005. 62 ASR , Camerale I , Giustificazioni di Tesoreria, b. 33, fol. 8, 19 novembre 1608. 63 ASR, Camerale I, Giustificazioni di Tesoreria, b. 45, fol. 2, «Misura e stima delli lavori di musaico stucchi e oro fatti fare da m.ro Martino Ferraboschi incima alla fontana della Cleopatra», 7 marzo 1618. 64 La denominazione è dovuta a una bella statua antica, adibita a fontana, che raffigura una donna sedente. Si tratta dell’unico riferimento «storico» ancora in loco, in quanto tutta l’area è oggi occupata dal Museo Paolino costruito negli anni Sessanta del Novecento, durante il pontificato di Paolo VI (1963-1978). 65 Una completa ricostruzione della figura di Faber è in De Renzi 1992-1993. Alcuni riferimenti all’attività di Faber come curatore dei Giardini Vaticani sono in Zalum Cardon 2008, pp. 17-18. 66 Sulla storia dell’Accademia e sui molteplici interessi dei suoi protagonisti si rinvia agli atti del convegno, A.A.V.V 1986; allo studio di Gabrieli 1989; alla monumentale e fondamentale opera Freedberg 2002 (2008). 67 In una lettera al cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V, si definisce «semplicista di N.S. e lettore dello Studio di Roma», cfr. Biblioteca Corsiniana, Archivio della Pia Casa degli Orfani di Santa Maria in Aquiro, Fondo Faber, vol. 420, fol. 61. D’ora in avanti citato come Fondo Faber. 68 Gli Aldobrandini realizzarono la villa di Roma e quella di Frascati, i Borghese quella Pinciana a Roma e le numerose ville di Frascati, i Ludovisi la villa di Roma purtroppo distrutta, i Barberini la villa-palazzo di Roma e quella di Castel Gandolfo, poi 50

divenuta pontificia. Inoltre tutti si dedicarono all’ampliamento e abbellimento delle fabbriche e dei giardini dell’altra residenza pontificia, quella del Quirinale. 69 Faber 1607, p. 10. Si tratta di un opuscolo che ebbe grande diffusione e gli valse la fama di esperto botanico. È doveroso inoltre ricordare il grande impegno di Faber nella pubblicazione della colossale opera voluta da Federico Cesi, il cosiddetto “Tesoro Messicano”, dedicato alla fauna ed alla flora del nuovo mondo, della quale hanno trattato in modo approfondito Freedberg 2002, pp. 245-274 e Baldriga 2002, pp. 236-258. 70 Anche nelle ultime pubblicazioni sui Giardini Vaticani, quale il volume di Morello–Piazzoni 1991, il nome di Faber non compare. 71 Negli studi sull’accademico linceo sono stati messi in risalto i suoi interessi naturalistici in altri campi, con solo pochi cenni sugli interessi botanici, mentre la mole di materiali (liste di piante, lettere scambiate con i maggiori cultori ed esperti del tempo, ecc.) che ci è pervenuta meriterebbe un esame complessivo approfondito e specifico. 72 Fondo Faber, vol. 413, fol. 845. 73 Sull’uso e la fortuna degli agrumi cfr. Azzi Visentini–Tagliolini 1996. 74 ASR, Camerale I, Giustificazioni di Tesoreria, b. 33, fol. 3 («lavori per acomodare il condotto che porta l’acqua alla spalliera de cedri»), p. 13 (per haver acomodato il condotto della spalliera in Belvedere in doi luoghi»). 75 ASR , Camerale I , Giustificazioni di Tesoreria, b. 34, fol. 7. 76 ASR , Camerale I , Giustificazioni di Tesoreria, b. 34, fol. 2. 77 Sui giardini dei fiori cfr. Segre 1996, pp. 174-193. 78 Fondo Faber, vol. 413, fol. 841. 79 Cfr. Garbari–Tongiorgi Tomasi 1995 e Garbari–Tongiorgi Tomasi–Tosi 2002. Ringrazio Lucia Tongiorgi Tomasi per aver condiviso con me questa interpretazione. 80 Masson 1972, pp. 61-80. 81 ASR, Camerale I, Fabbriche, b. 1537 (1609-14), foll. 85, 87, 88, 89, 91, 93, 95, 97, 99, 101, 103, 105, 107, 108, sono riportati numerosissimi pagamenti a Martini Alberto per spese per fare «compartimenti nel giardino de’ semplici in Belvedere», b. 1542 (1608-15), foll. 6-11, altri pagamenti allo stesso giardiniere sempre per il Giardino dei Semplici. 82 Sulla figura di Faber come botanico e sui suoi contatti con Corvino, cfr. Baldriga 2002, in particolare pp. 171-220. 83 Fondo Faber, vol. 413, fol. 815v. Sul Trachelio e la dedica al cardinal Barberini cfr. Schettini Piazza 2007, p. 123. 84 Fondo Faber, vol. 413, fol. 846v. 85 I volumi citati contengono lettere autografe di Faber o di altri personaggi a lui indirizzate e non hanno alcun ordine, né cronologico né tematico. Tra le lettere sono compresi numerosi fogli, in genere senza indicazioni di data e non firmati, e tra questi vi sono moltissimi elenchi di piante che meriterebbero un esame sistematico e specifico. 86 Fondo Faber, vol. 420, foll. 306ss. 87 Cfr. Cap. IV. 88 ASV, Fondo Borghese, serie II, tomo XII,

fol. 477, lettera di Guido Bentivoglio a Scipione Borghese del 10 settembre 1610. 89 ASR , Camerale I , Tesoreria Segreta, b. 1542, fol. 23, pagamento a Capriolo Marco per «cipolle di Fiandra e Costantinopoli». 90 Sull’argomento vi è una vasta bibliografia; cfr. Blunt 1950 e, tra gli ultimi, Tongiorgi Tomasi 1995, pp. 79-95. 91 Fondo Faber, vol. 419, fol. 659, citato in Baldriga 2002, p. 198. Il racconto del viaggio a Napoli è in una lettera di Faber a Cassiano dal Pozzo, citata da De Renzi 1992-1993, p. 50. A Napoli Faber aveva incontrato personaggi di spicco nel settore, come Giovanni della Porta e Ferrante Imperato. 92 La spedizione a Ostia di J. Faber era costata 5 scudi ed era destinata a «pigliar diversi semplici per piantar nel giardino di Belvedere». Il documento, conservato nell’Archivio di Stato di Roma, è stato pubblicato da Orban 1920, pp. 302-303. 93 Fondo Faber, vol. 420, fol. 304. 94 Su Corvino v. Baldriga 2002, in particolare pp. 211-215, e soprattutto Guerrieri Borsoi 2004, in particolare pp. 121140, nelle quali è ricostruita la notevole collezione dello speziale. Corvino aveva un suo giardino a Roma, all’epoca molto apprezzato per le incredibili varietà di fiori che conteneva. Una lettera di Corvino a Faber, senza data, contiene un elenco di piante che gli invia senza specificare la destinazione, tra le quali sono compresi giacinti e tulipani in varietà, fritillarie, anemoni, muscari, tracheli, martagoni, narcisi in varietà, tutti bulbi in quegli anni molto in voga e i cui costi erano elevatissimi. Vi sono comprese anche piante dai nomi pittoreschi quali «morso del diavolo», «barba di capra», «lingua di serpente», che per noi è impossibile identificare. 95 Sulla sua figura cfr. da ultimo Stendardo 2001. Una lettera di Imperato del 1610 contiene ringraziamenti per le piante che Faber gli aveva mandato ma anche disquisizioni scientifiche di botanica e apprezzamenti sull’opera di Mattioli 1565, pubblicazione che aveva suscitato tra gli appassionati grande interesse. Cfr. Fondo Faber, vol. 420, fol. 348. 96 Muller era membro come Faber dell’Accademia dei Lincei. Tra le sue lettere a Faber sono particolarmente interessanti una del 24 novembre 1616, con un elenco di bulbi pregiati, cfr. Fondo Faber, vol. 420, fol. 1, mentre un’altra del 1627 fa riferimento a bulbi inviati dalla Boemia, cfr. Fondo Faber, vol. 413, fol. 775. 97 Fondo Faber, vol. 413, fol. 876; in una lettera del 2 aprile 1624 Faber viene definito amico del cardinale, noto appassionato di fiori, i cui giardini presso il Quirinale erano tra i più celebri del tempo. Sui Barberini e i giardini cfr. Campitelli 2007, pp. 571-580. 98 Sul giardino e la figura di Alessandro Rondanini cfr. Zalum Cardon 2008, pp. 88, 92, 119, 122. 99 Sulla villa (su sono finora apparsi solo studi parziali e limitati a singoli aspetti) si veda lo studio con diversi contributi, coordinato da Alessandro Cremona, pubblicato in un numero monografico di Ricerche di Storia dell’Arte. 100 Ferrari [1638] 2001, con introduzione critica della curatrice e saggi di A. Campitelli e M. Zalum. Il trattato successivo,

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GLI HORTI DEI PAPI

Ferrari 1646, è dedicato agli agrumi che sappiamo essere presenti nei Giardini Vaticani fin dal XIV secolo, tuttavia non vi è contenuto nessun cenno. 101 Ferrari [1638] 2001, pp. 13-14 e p. 458. 102 Ibid., p. 89 e 372. 103 Cfr. Orbaan 1920, p. 303, e 350 e BAV, MSS. Ruoli, 147 (31 dicembre 1627), fol. 18v. 104 Celebre è la descrizione delle piante coltivate nei Giardini Farnesiani sul Palatino, firmata da Tobia Aldini, ma unanimemente attribuita a Pietro Castelli. Cfr. Castelli 1625. 105 BAV , MSS . Ruoli 158 (5 novembre 1637), fol. 12v. 106 Citato in Baldriga 2002, p. 196 nota 62. CAPITOLO SESTO 1 Per villa Ludovisi si rinvia a Schiavo 1981 e Belli Barsali 1983, pp. 236-247. 2 La sua figura e la residenza di famiglia sono state ampiamente indagate in un recente convegno, per cui cfr. Mochi Onori–Schultze–Solinas 2007. 3 Sui giardini Barberini, oltre agli Atti citati nella nota precedente, si ricorda l’importante, pionieristico studio di Blair Mac Dougall 1994, in particolare il capitolo «A Cardinal’s Bulb Garden: A Giardino Segreto at the Palazzo Barberini in Rome», pp. 219-348. 4 Sulla villa di Castel Gandolfo si rinvia al capitolo IX. 5 Sui soggiorni estivi dei pontefici fuori dal Vaticano è di fondamentale riferimento il volume di Bonomelli 1953 (1987), ricchissimo di notizie curiose e interessanti. Per l’origine della residenza pontificia di Castel Gandolfo si rinvia in particolare al cap. III, pp. 41-69. 6 La notizia è riportata in Morello– Piazzoni 1992, p. 42, ma senza indicazione della fonte. 7 Cfr. Del Piazzo 1968, p. 68. 8 Il pagamento è stato pubblicato in Hibbard–Jaffe 1964, p. 170. V. anche Buranelli–Vattuone 1992, pp. 237-240. 9 Dobson 1906. 10 Su Faber e la sua attività nei Giardini Vaticani si rinvia al capitolo precedente. 11 Sulla villa v. da ultimo Benocci 2005a, con bibliografia precedente. 12 Cfr. Petrucci 1987. 13 Cfr. A.A.V.V. 1984. 14 Sull’Accademia dei Lincei si rinvia al fondamentale, mastodontico, lavoro di Freedberg 2002 (2008). 15 Cfr. Benocci 2005c. 16 Connors–Rice 1990, pp. 34-35. Ringrazio Anna Maria de Strobel per avermi segnalato questo interessante documento. 17 Cfr. Falda 1676. 18 Sulle rappresentazioni di giardini cfr. Tagliolini–Assunto 1980. 19 Jan Martensz, mercante olandese nato a Horn nel 1574, interessato alla botanica, in una descrizione datata 1600 riferisce che vi crescevano non solo palme da dattero ma anche la cosiddetta “Palma del Viaggiatore”, con la caratteristica forma a ventaglio. La descrizione è riportata in Baldriga 2002, p. 237.

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NOTE

Sugli eventi dell’occupazione e sulla sorte del pontefice Pio VI cfr. Baldassarri 1889, voll. 1-2, p. 354, che riferisce come il 16 febbraio i francesi abbiano occupato i Palazzi Vaticani. 21 ASV, S.P.A., Computisteria, Rincontro dei Giardini. Le buste da 3205 a 3210 comprendono notizie e pagamenti da giugno 1677 al 1740, mentre la busta 3211 contiene pagamenti degli anni 1795-1798. 22 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 3211, fol. 22, nel 1795 si registra la spesa fatta durante l’inverno per la carbonella usata «per far fuoco agl’agrumi». 23 Ferrari 1646. Sulle tecniche di copertura degli agrumi nelle ville di Roma cfr. Campitelli 1996, pp. 175-196. 24 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 5239, Palazzo, Giardini, Orti, Mola e altre fabbriche adiacenti al Vaticano, lettera L, 1679. 25 ASV, S.P.A., Computisteria, Registro dei Giardini, b. 3205, fol. 324 e b. 3209, fol. 116, fol. 125 e fol. 132. 26 asv, s.p.a., Computisteria, b. 158, foll. 26-31. Ringrazio di cuore Anna Maria de Strobel per avermi segnalato questi documenti. 27 Il Giardino era all’epoca chiuso su tre lati e solo nel secolo successivo, con la costruzione del cosiddetto Braccio Nuovo voluto da Pio VII, sarebbe stato chiuso anche sul quarto lato divenendo realmente un Giardino Segreto. 28 ASV, Fondo Albani, b. 12, foll. 106-107. Devo la segnalazione di questo documento alla gentilezza di Anna Maria de Strobel. 29 Si tratta della grande base marmorea istoriata della Colonna Antonina, più volte spostata nell’ambito dei giardini, come ricostruito da Pietrangeli 1982, pp. 11-12. 30 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 3207, fol. 67. 31 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 3209, fol. 148, pagamento del febbraio 1727. Evidentemente la manutenzione dei giardini non si era interrotta con il successore di Clemente XI. 32 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 5329, Palazzo, Giardini, Orti, Mola e altre fabbriche adiacenti al Vaticano, lettere H e L. 33 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 3209, foll. 133ss. 34 Chattard 1762-1767, p. 412. 35 Cfr. Scardin 1995. Lo Scardin, nel frontespizio della raccolta, si definisce Giardiniere del pontefice e il disegno n. 16 è denominato giardino «di S.Santità al Vaticano» e presenta un bel disegno di parterre, delimitato da costruzioni, che tuttavia non sembra corrispondere a nessun luogo nell’ambito dei Giardini Vaticani. 36 Sulla pianta si rinvia all’eccellente studio di Bevilacqua 1998, e alla edizione critica in corso di stampa a cura di C. Travaglini. 37 Cfr. Buranelli 2006, p. 57. 38 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 3211 nella quale sono contenuti i pagamenti dal 1795 al 1798. 39 Cfr. Pirotta–Chiovenda 1900, p. 158, e Catalano–Pellegrini 1975. 40 Si rinvia sull’argomento ai capitoli IV e V. 20

Alcune notizie su di essi e sull’esperienza nei Giardini Vaticani sono in Pirotta–Chiovenda 1900, pp. 257-258 e 262-263. 42 Nel 1753 Carlo Linneo aveva pubblicato l’opera Species plantarum, rivoluzionando il sistema di classificazione del mondo vegetale. 43 Cfr. Gilii–Suarez 1792. 44 Cfr. Lais 1878-79, pp. 63-78. 45 Lais riferisce che nella Biblioteca Apostolica Vaticana sono conservati molti documenti di mano di Gilii relativi all’Orto Botanico. Purtroppo l’impossibilità di accedere alla Biblioteca, chiusa attualmente al pubblico per lavori, non ha permesso di effettuare le necessarie verifiche. 46 L’Anona Squamosa, denominata comunemente Cirimoja, è originaria delle Ande peruviane e, secondo Gilii, era stata introdotta a Roma per la prima volta dal Ministro Plenipotenziario spagnolo presso la Santa Sede, Nicola de Azara. 47 Sull’introduzione nelle ville di Roma di piante dalle Americhe si rinvia al nostro studio, Campitelli 2003a, pp. 22-41. 48 Su Francesco Bettini, figura di particolare interesse per la storia delle ville di Roma, resta fondamentale lo studio di Heimburger Ravalli 1981. 49 Racconta Bettini che le preziose bignonia catalpa erano scambiate per fichi e le piante esotiche erano considerate delle ingiustificate bizzarrie, cfr. nota precedente. 50 A lui si deve una interessantissima pubblicazione sulle piante sudamericane, cfr. Ruiz Lopez 1797. 51 Anche l’erbario è probabilmente conservato nella BAV ma, come si è detto alla nota 45, non è possibile al momento verificarlo. 52 ASV, S.P.A., Amministrazione, Art. 48, fol. 1, VI. 53 L’iscrizione così riporta: pius sextus pont. max.\ fontem rustico antea opere \ a paulo V\extructum\in elegantiorem hanc splendidioremque formam\restituit\anno domini MDCCLXXIX pontif. sui V. 54 Percier–Fontaine [1809] 2007. 55 Cfr. Sala 1980, vol. i, p. 34. 56 Ibid., p. 156. 57 von Pastor 1922-1934, XVI, p. 637.

Ibidem.

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CAPITOLO SETTIMO ASV, S.P.A., Computisteria, b. 1439, anno 1806, fol. 245. 2 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 1438, anno 1803. Anche negli anni successivi si registrano bilanci analoghi. 3 Così sono chiamati a Roma i cardi. 4 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 1438, anno 1804, fol. 249. 5 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 1438, anno 1804 fol. 252 e anno 1805 fol. 451. 6 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 1056. 7 Si incontrano molto di frequente descrizioni di cancelli in legno, spesso dipinti a vivaci colori come il rosso o il verde. 8 Cfr. Moroni 1840-1879, voll. 1-109, vol. I, p. 268. 9 ASV, S.P.A., Amministrazione, b. 1056. 10 Ibidem.

Computisteria, bb. 1438, 1439, 1440, 1441, 1442 che registrano i conti dal 1803 al 1809. 13 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 1442, anno 1809. fol. 125. 14 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 1445, anno 1815, fol. 450. Pio VII era stato costretto in esilio dal 1809 al 1814. 15 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 1445, anno 1815, foll. 450ss., con documenti riferiti all’anno 1812. 16 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 1444, anno 1814, fol. 138. 17 Ibid., fol. 447. 18 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 1446, anno 1816; b. 1447, anni 1817-1818; b. 1448, anno 1819; b. 1449, anni 18201821; b. 1450, anno 1822. 19 Il Cardinale Ercole Consalvi fu Segretario di Stato in due periodi, dal 1800 al 1806 e dal 1814 al 1823. Riteniamo che il promemoria si riferisca al secondo periodo, in quanto è citato come direttore dell’Orto Botanico del Gianicolo Antonio Sebastiani, che ricoprì quella carica dal 1815 al 1820. Quindi possiamo supporre che la memoria sia immediatamente successiva al 1815. 20 ASV, S.P.A., Amministrazione, Art. 48, fol. 1, VI, p. 89, fascicolo dal titolo «Disposizioni Generali, memorie e affari diversi. Regolamento per i Giardini Pontifici». 21 Su Sebastiani cfr. A.A.V.V. 1984, p. 30. 22 Ibid., p. 32. 23 ASV, S.P.A., Computisteria, b. 1446, anno 1816, fol. 180 e b. 1447, anni 181718, pagamento senza numerazione di pagina, datato settembre 1817. 24 ASR , Catasto Gregoriano Urbano, Mappa e Brogliando, Rione XIV Borgo. 25 ASV, S.P.A., Amministrazione, Art. 48, fol. 1, vi, n. 394. 26 ASR , Catasto Gregoriano Urbano, Mappa e Brogliardo, Rione XIV Borgo. 27 Si tratta dell’area dove oggi si trovano i campi da tennis e il parco giuochi. 28 Un altro «carciofoleto» era subito dietro l’abside della Basilica. 29 Cfr. Losito 2005, pp. 22-23. Un restauro precedente si era avuto sotto papa Clemente XI Albani, tra il 1702 ed il 1703, ad opera degli architetti Carlo Fontana e Giovan Battista Contini, che avevano rispettato l’impianto originario. 30 ASV, S.P.A., art. 48, fol. 105. L’uccelliera, costruita dall’impresa Pietro Fumaroli, costò ben 1067,16 scudi. 31 Cfr. Bonomelli 1953, p. 199. Il «Tributo annuale di 24 fagiani» che la Reale Corte di Napoli inviava al pontefice è regolarmente annotato per tutto il periodo 1825-1858, cfr. ASV, S.P.A., Tit. 14, fol. 2. 32 Cfr. Pietrangeli 1994, pp. 413-417. 33 Il primo giardino all’inglese a Roma era stato realizzato nella Villetta Doria, di proprietà del Cardinale Giuseppe Doria (fratello del principe Andrea titolare della ben più grandiosa Villa a Porta San Pancrazio), che si trovava nell’area oggi corrispondente al Galoppatoio di Villa Borghese, ma tale giardino aveva avuto vita breve: realizzato nel 1785, nel 1798 a causa dei rivolgimenti politici era stato smantellato e venduto. Negli stessi anni a Villa Borghese veniva creato il Giardino

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ASV , S . P . A .,

del Lago, ancor oggi visibile anche se in parte trasformato. Infine, a partire dal 1839, era giunto a Roma il grande architetto paesaggista veneto Giuseppe Jappelli, incaricato di sistemare il parco di Villa Torlonia in via Nomentana secondo il nuovo gusto. 34 Moroni 1840-1879, vol. l, p. 270. 35 Ibid., vol. LXXXV, p. 28. 36 Così recita l’iscrizione: GREGORIUS XVI P.M. HORTOS VATICANOS \ URBANI CIRCUM MOENIBUS RESTAURATIS | AEDIFICIS ORNATIS NEMORIBUS CONSITIS | AMBULATIONIBUS PATEFACTIS FONTIBUS AUCTIS | IN VETEREM AMOENITATEM | RESTITUENDOS CURAVIT | ANNO SAL MDCCCXXXIV | SACRI PRINCIPATUS ANNO IV. 37 Il disegno acquerellato è conservato presso la Direzione dei Musei Vaticani. 38 Un documento datato 1841 riferisce del tentativo di realizzare lo stemma con avanzi di mosaici forniti dalla Reverenda Fabbrica di San Pietro, nei colori azzurro, rosso, giallo, bianco e nero, ma non è noto se sia stato realizzato, cfr. ASV, S.P.A., Tit. 269, 1841, foll. 47-56. 39 Pietrangeli 1987, pp. 475-484. 40 Moroni 1840-1879, vol. l, p. 253. 41 Ibid., vol. LXXXV, p. 28. 42 Ibid., vol. l, p. 271. Ricordiamo che secondo il Catasto Gregoriano Urbano del 1818 il sito era usato come orto irriguo. 43 Ibid., vol. l, p. 272. 44 Ibid., vol. l, p. 271 e De Fabris 1846. 45 Moroni 1840-1879, vol. l, p. 290 e vol. XLIV, p. 103. 46 ASV, S.P.A., Amministrazione, Tit. 6, «Inventario degli oggetti tutti esistenti nei Giardini Pontifici al Vaticano al 1 Gennaro 1841». 47 Moroni 1840-1879, vol. LXXXII, p. 45. 48 ASV, S.P.A., Tit. 259. 49 Moroni 1840-1879, vol. l, p. 271. 50 ASV, S.P.A., Art. 48, fol. 136. 51 Audot 1840, p. 26. 52 Si tratta della grande fontana di Bramante posta al centro del Giardino segreto di Paolo III, delle quattro fontanelle a terra nelle intersezioni dei viali e delle due a muro sempre nel medesimo giardino, tutte ben evidenti nel disegno di Rinaldi. 53 Il resoconto è una libera traduzione dal francese. 54 ASV , S . P . A ., Tit. 278, foll. 249-262 «Rapporto sui danni arrecati al Palazzo e ai giardini nel 1849 al termine del governo della Repubblica Romana», 28 luglio 1849. 55 Bonomelli 1953, pp. 259ss. 56 Ibid., pp. 327-329. 57 Cfr. Negro S. 1936, p. 188. 58 Ibid., p. 248. 59 Ibid., p. 267. 60 Tutti i soggiorni dei pontefici a Castel Gandolfo, dal 1626 al 1952, sono registrati con precisione da Bonomelli 1953, pp. 481-483. 61 La citazione è nel romanzo Rome ed è riportata in Bonomelli 1953, p. 330. 62 Bonomelli 1953. 63 Negro S. 1936, p. 249. 64 Ibidem. 65 Bonomelli 1953, p. 342.

Ibid., p. 329. Ibid., p. 334. 68 Ibid., p. 356, nota 8. 69 Cfr. Soderini 1932-1933, p. 266. 70 Il micromosaico è proprietà di Gianni Giordani, che ringrazio per avermi permesso di riprodurlo. Biagio Barzotti era mosaicista della Reverenda Fabbrica di San Pietro, e di lui si conosce un altro micromosaico, che rappresenta Piazza San Pietro durante la benedizione papale, databile intorno al 1879. Il micromosaico qui presentato è citato in Alfieri–Branchetti–Cornini 1986 e in Levillain–O’Malley 2002, p. 1022 (scheda sui mosaici di H. Lavagne). 71 Sulle tecniche dell’uccellagione e sul roccolo in particolare, cfr. Zangheri 2005, pp. 57-66. 72 Bonomelli 1953, p. 335. 73 Ibid., p. 329. 74 L’attività di Sneider è ricordata nel necrologio pubblicato ne «L’illustrazione Vaticana», Anno III, n. 9 (1932), p. 435. 75 Bonomelli 1953, pp. 340-341. 76 Il viadotto, documentato da alcune foto d’epoca, venne demolito negli anni Trenta del Novecento. 66 67

CAPITOLO OTTAVO Cfr. Negro S. 1936, p. 271. 2 Una breve descrizione delle fontane è in Mastrigli 1928, vol. 2, p. 376. 3 Si tratta di una tecnica molto in auge agli inizi del Novecento, consistente nella disposizione di aiuole di piccole dimensioni e di diverse fioriture all’interno di aiuole più grandi, ad imitazione di tasselli di un mosaico. 4 ASV, Palazzi Apostolici, Titolo 170, art. 48, fol. 1, pp. 177-188, «Traduzione di Giovanni Guacci di una relazione di Bechnick sui giardini vaticani (senza data)». Si può desumere che si riferisca agli anni del pontificato di Benedetto XV in quanto si citano le fontane da lui fatte realizzare nel bosco. Sull’autore, a tutt’oggi, non è emerso alcun elemento di identificazione. 5 L’iscrizione è murata nelle Mura Leonine. 6 Entrambi i documenti sono conservati presso l’Archivio Storico dei Musei Vaticani. La descrizione è così intitolata: «Nuova pianta dei Giardini Vaticani con l’elenco dei monumenti ivi conservati eseguita dal conte Federico Paolozzi e da lui dedicata con filiale devozione al Santo Padre Pio P.P. XI felicemente regnante nell’anno di grazia MCMXXIIII». Ringrazio la dott.ssa Cristina Pantanella per avermi assistita e agevolata nella mia ricerca. 7 Un’immagine analoga del complesso dei Giardini negli anni Venti, ad opera di Victor L.S. Hafner, fellow dell’American Academy in Rome, è stata pubblicata da Cazzato 2004, p. 488. Nel medesimo volume sono pubblicati numerosi rilievi della Casina di Pio IV, sempre opera dei fellows. 8 Un breve excursus sulla storia dei Giardini e il resoconto dei nuovi interventi avviati dopo il 1929 è in Nicolini 1934, pp. 61-66. Nicolini, originario di Bologna e trasferitosi a Roma negli anni Trenta, era laureato in farmacia e studioso di botanica, come ben emerge dal testo. La sua conoscenza dei Giardini 1

fa supporre che possa aver avuto un ruolo non secondario nella loro ideazione, ma a tutt’oggi non è emerso nessun documento in merito. Itinerari alla scoperta dei giardini nella loro configurazione attuale sono in Pietrangeli–Mancinelli 1985 e Morello–Piazzoni 1992. 9 Nicolini 1934, p. 64. 10 Le due piante sono pubblicate ne L’Illustrazione Vaticana, I, 1933, p. 237. 11 Una scheda sull’architetto, curata da Alessandro Mazza, è in Cazzato 2009. 12 Cfr. Losito 2005, pp. 175-183. 13 La notizia è riportata da Del Re 1995, p. 527. Roscioli ha realizzato anche un busto di papa Pio XI. Per altre notizie si rinvia a Cremona–Gnisci–Ponente 1999, pp. 192-193. 14 Sull’argomento si rinvia al bel volume di Cazzato 1999. Per la situazione romana si veda, nel medesimo volume, Campitelli 1999, pp. 369-392. 15 Cfr. Nicolini 1934, pp. 65-66. 16 Ibid., p. 66. 17 Ibid., p. 66. 18 Cfr. L’Illustrazione Vaticana, III, 1932, n. 21, pp. 1037-1038. 19 La bibliografia di e su Luca Beltrami è sterminata, ma riguarda essenzialmente la sua attività milanese. Sull’attività romana si rinvia a Bellini 1995-1997, pp. 395-408 e Innocenti 2000-2001, pp. 95-183. 20 Sulla sistemazione della Piazza cfr. L’Illustrazione Vaticana, III, 1932, pp. 1127. 21 A Villa Borghese gli agrumi sono stati di recente reintrodotti nel restauro dei Giardini Segreti e sono oggi presenti in numerose varietà sia disposti a spalliera e addossati ai muri di recinzione, sia nei vasi. 22 A testimonianza della presenza di agrumi nella villa resta il toponimo “Casale dei Cedrati”, che definisce il bel casale seicentesco, nei pressi di Villa Vecchia, che aveva attorno un bel giardino con cocchi di agrumi. CAPITOLO NONO 1 L’argomento è stato variamente trattato in diversi studi, dei quali si ricordano i riferimenti fondamentali: Coffin 1979; Paravicini Bagliani 1988, pp. 156-278, e la bella tesi di laurea di Ciccolini 1999-2000. 2 Duchesne 1886-1892, II, p. 465. 3 Cfr. Coffin 1979, p. 23. 4 Citato in Bonomelli 1953, p. 22. 5 Muratori 1723-51, III, p. 439 e Jaffè 1851, pp. 73ss., dove sono riportati documenti relativi ai soggiorni dei pontefici a Segni. 6 Cfr. Paravicini Bagliani 1996, p. 24. 7 La definizione è di Magister Gregorius nel suo De Mirabilibus Urbis Romae ed è riportata in Paravicini Bagliani 1988, p. 170. 8 Ibid., pp. 170-171. 9 Cfr. Paravicini Bagliani 1994, p. 288. 10 Ibid., p. 268. 11 Cfr. su questa importante magistratura cittadina Re 1920, pp. 5ss. 12 Cfr. Coffin 1979, p. 25, che trae le notizie dalle lettere di Poggio Bracciolini, segretario del pontefice e suo accompagnatore.

Nel 1299 gli ambasciatori aragonesi riferivano che il pontefice si era recato ad Anagni «ad castra sua»; citato in Paravicini Bagliani 1988, p. 157. 14 Cfr. Ambrosi De Magistris 1898, p. 6, senza indicazione della fonte. 15 Piccolomini 1984, libro V, p. 971, così riferisce: «in tal modo avrebbe potuto rafforzare la lealtà della città incerta e nello stesso tempo evitare l’aria nociva di Roma». 16 Cfr. Camensi 1904-1911, p. 107. 17 Sulla residenza cfr. Vivit 1987. 18 Un’ampia trattazione del tema, con numerosi riferimenti agli scritti degli umanisti è nella già citata tesi di Sara Ciccolini. 19 Burckardus 1910, parte I, fol. 2, p. 117, citato in Coffin 1979, p. 24. 20 Cfr. Platina 1730, p. 413, citato in Coffin 1979, p. 23. È noto il pessimo rapporto che Platina ebbe con Paolo II e quindi non stupisce il fatto che lo ponga in luce negativa. 21 Burckardus 1910, p. 185. 22 Su questo splendido complesso, a lungo semi ignorato, è stato finalmente condotto un eccellente ed esaustivo studio da Cavallaro 2005. 23 Ibid., p. 5. 24 Sull’argomento si rinvia al Cap. II e al saggio di Bagatti Valsecchi–Langè 1982, pp. 363-370. 25 Si rinvia al Cap. II. 26 Sul Castello cfr. Danesi Squarzina– Borghini 1980, e Broccoli–Pellegrino s.d. 27 Le notizie che si riportano, se non diversamente indicato, sono tratte da Cavallaro 2005. 28 Cfr. Grassi 1884, p. 88, fol. 487 r, riferisce che la morte del papa, il 1 dicembre 1521, fu causata «ex catharro concepto in villa Magliana». 29 Coffin 1979, p. 26. 30 Cfr. Dorez 1932. 31 cfr. Keller 1983, p. 69. 32 Per un quadro generale sull’argomento cfr. Keller 1983, pp. 67-104. 33 von Pastor 1922-1934, vol. VI. 34 La villa, la prima nel territorio di Frascati, era stata costruita da monsignor Alessandro Rufini a partire dal 1548, nell’ambito della ricostruzione della cittadina promossa proprio da Paolo iii Farnese. Sulla Villa cfr. Tantillo Mignosi 1980, pp. 82-104 e da ultimo Guerrieri Borsoi 2008. 35 Sulla villa non vi è, a tutt’oggi, uno studio esaustivo, per cui si rinvia ai saggi di maggior interesse: Coffin 1979, pp. 150174; Belli Barsali 1983, pp. 170-187; Azzi Visentini 1995, pp. 159-172 con ampia bibliografia. 36 Entrambe le citazioni sono in Zaccagnini 1976, pp. 94-96. 37 L’aver usato per la costruzione fondi della Reverenda Camera Apostolica comportò, nonostante la tardiva intestazione della Villa al nipote Baldovino dal Monte, l’immediata requisizione da parte del nuovo pontefice. Già durante la costruzione della Casina di Pio IV molti marmi pregiati furono prelevati dalla Villa e riutilizzati; successivamente, nel nuovo clima della controriforma, la Villa appariva troppo sfrontatamente lussuosa e pagana per poter essere apprezzata. 13

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GLI HORTI DEI PAPI

Vedi il Cap. IV. Cfr. Taegio 1559, pp. 53-54. 40 Cfr. Coffin 1979, p. 36. 41 Ibidem. 42 Ibidem. 43 Sull’edificio cfr. Coffin 1979, pp. 38-40; Belli Barsali 1983, pp. 375-377 e infine Benocci 2005b, pp. 317-350, che tratta soprattutto delle trasformazioni successive. 44 Cfr. Orbaan 1920, pp. 69 e 72. 45 Cfr. Tantillo Mignosi 1980, pp. 1114. 46 Cfr. Tantillo Mignosi 1980, pp. 1516. 47 Cfr. Grossi Gondi 1901, pp. 60, 215. 48 Cfr. Tantillo Mignosi 1980, pp. 1415, 17. 49 Ibid., p. 109. 50 Coffin 1979, p. 58, riporta gli avvisi già pubblicati da F. Grossi Gondi. 51 Cfr. von Pastor 1922-1934, IX, pp. 842-843. 52 Per un quadro complessivo delle vicende di sviluppo della residenza si rinvia da ultimo a A.A.V.V. 2006. Per la storia dei giardini v. Belli Barsali 1983, pp. 296-307. 53 Per un quadro delle residenze cardinalizie v. Guerrieri Borsoi 2002, pp. 23-34. 54 Sulla villa cfr. D’Onofrio 1963, Belli Barsali–Branchetti 1975, pp. 178-195, Tantillo Mignosi 1980, pp. 164-178. 55 Citato in Tantillo Mignosi 1980, p. 21. 56 Su villa Borghese, detta anche Pinciana per essere situata sul Colle del Pincio, v., da ultimo, Campitelli 2003b. 57 Per un quadro d’insieme delle residenze Borghese cfr. Campitelli 2003c, pp. 63-74. 58 Cfr. Cancellieri 1817, p. 106 e Fea 1830, p. 6. 59 Una ricostruzione dei banchetti di Paolo V a Frascati e in generale dei conviti nelle ville dei dintorni di Roma è in Campitelli 2005, pp. 73-82. 60 Un’idea della rete di residenze in area romana, frutto della committenza pontificia e nobiliare, è nel catalogo della mostra L’arte per i papi e per i principi nella campagna romana (Tantillo Mignosi 1990). 61 Tutti i soggiorni dei pontefici dal 1626 al 1952 sono accuratamente registrati nel bel volume dedicato a Castel Gandolfo di Bonomelli 1953. Bonomelli 38 39

era il curatore della Villa Pontificia di Castel Gandolfo e quindi ne conosceva perfettamente le vicende. 62 Questo breve excursus è un’anticipazione di una più ampia, futura, trattazione sul complesso. 63 Sulla Villa pontificia non è stato condotto uno studio complessivo, per per le cui notizie si rinvia a Bonomelli 1953 (1987), Belli Barsali–Branchetti 1975, pp. 255-257, e da ultimo, ma limitatamente alla storia settecentesca del palazzo, al bel volume di De Angelis 2008, con ampia bibliografia. Sui soggiorni di Urbano VIII si rinvia anche a Tomassetti 1979-1980, vol. II, pp. 223-225. 64 Cfr. Cancellieri 1817, p. 106. 65 Moroni 1840-1879, vol. X, 1841, p. 159. 66 Cfr. Bonanni 1696, p. 594. 67 Sugli apparati decorativi cfr. Lo Bianco 1980, pp. 263-273. 68 Cfr. Fagiolo–Fagiolo dell’Arco 1967, scheda 186. L’iscrizione così recita: ALEXANDER VII PONTIFEX MAX. AEDES AB URBANO VIII | OB COELI SOLIQUE SALUBRITATEM AMOENITATAMQUE | ANIMI CORPORIQUE BREVI SECESSU REFICIENDIS | POSITAS AMPLIAVIT INSTRUXIT ABSOLVIT AN. S. MDCLX. Per volere di Alessandro VII Bernini realizzò a Castel Gandolfo anche la chiesa di San Tommaso da Villanova. 69 ASV, Sacri Palazzi Apostolici, Amministrazione 6, b. 1, fol. 1, il documento è datato 30 dicembre 1660. I pozzi della neve erano ipogei, vi si accumulava la neve pressata durante l’inverno per usarla d’estate nella preparazione dei sorbetti. 70 Bonomelli 1953, pp. 72-73. 71 ASR, Sacri Palazzi Apostolici, Computisteria, b. 496, anno 1674, fol. 114 e fol. 365. 72 ASR, Sacri Palazzi Apostolici, Computisteria, b. 497, anno 1675, fol. 25, fol. 253 e fol. 543. 73 ASR, Sacri Palazzi Apostolici, Computisteria, b. 498, anno 1676, fol. 217. 74 Bonomelli 1953, p. 481. Gli interventi effettuati sono riportati in dettaglio da De Angelis 2008, pp. 26-32. 75 Cfr. De Angelis 2008. 76 Moroni 1840-1879, p. 165. 77 Le realizzazioni di papa Ganganelli sono ricordate da un’iscrizione marmorea collocata di fronte al portone principale del Palazzo apostolico, che così riporta: CLEMENS XIV P.M.| AD COMMODIOREM PONTIFICIAM RUSTICATIONEM | HAS AEDES NOVA ACCESSIONE AUXIT | PROXIMAM VILLAM

HORTOSQUE AMOENISSIMOS COMPARAVIT | PER

| ANNO MDCCXXIV PONTIFICATUS SUI QUINTO. 78 Sul cardinale v. la voce di A. Borromeo in Dizionario Biografico degli Italiani, XXV, 1981, pp. 233-237, basata sull’autobiografia conservata in Roma, Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele II, MSS. Gesuitici, pp. 95-104. 79 ASV, Archivio Cybo, b. 1, Arm. c, prot. XIV, fol. 3, p. 206v. Nel manoscritto sono riassunte le vicende dell’acquisto e dei lavori compiuti. 80 Per notizie sull’architetto, figlio del ben più celebre Carlo (1638-1714), cfr. Contardi–Curcio 1991, pp. 373-375. 81 ASV, Archivio Cybo, b. 1, Arm. c, prot. XIV, fol. 3, p. 206v. 82 Anche lui architetto, nato nel 1701 e morto nel 1767, cfr. Contardi–Curcio 1991, pp. 374-375. 83 ASV, Archivio Cybo, b. 21 fol. 7, atto d’acquisto del Casino Fontana stipulato dai notai Capitolini Mancinelli e Senapa. 84 ASV , Archivio Cybo, b. 1 Arm. c, prot. XIV, p. 388, atto d’acquisto del terreno stipulato dal notaio Capitolino Mancinelli il 2 giugno 1718, con stima dell’architetto Carlo Stefano Fontana. 85 ASV, Archivio Cybo, b. 1, Arm. c, prot. XIV, p. 350. 86 La «ragnaia» era una struttura per la caccia, molto popolare in Toscana, che consisteva in una serie di tunnel formati da lecci ed altri alberi con bacche, all’interno dei quali venivano attirati gli uccelli. I tunnel venivano quindi chiusi da reti (le ragne) così gli uccelli potevano essere catturati con facilità. 87 Alcune notizie sulla villa e i documenti notarili di riferimento sono pubblicati da Antinori 2003, pp. 233-270. Si veda anche la scheda di A. Roca de Amicis in Azzaro–Bevilacqua–Coccioli– Roca de Amicis 2002, p. 100. 88 Per notizie sull’architetto, nipote di Carlo Fontana, cfr. Contardi–Curcio 1991, p. 372, dove però non si citano i lavori a Villa Cybo, a tutt’oggi inediti. 89 ASV, Archivio Cybo, b. 21, fol. 8. 90 I disegni sono stati pubblicati da A. Antinori, nel saggio citato a nota 87, che ringrazio per avermi fornito le riproduzioni in quanto nell’Archivio di Stato di Roma, dove sono conservati, risultano attualmente irreperibili. 91 ASV, Archivio Cybo, b. 1, Arm. c, prot. XIV, p. 360. 92 ASV, Archivio Cybo, b. 21, p. 209. MONTIS CLIVUM LENIOREM VIAM APERUIT

93 ASV, Archivio Cybo, b. 4, fol. 5, «Stima di tutti i marmi fatti venire da Massa Carrara e portati a Castel Gandolfo», datata 7 agosto 1733. Sull’argomento cfr. Ceccopieri Maruffi 1985, pp. 59-76. 94 L’acquisto fu stipulato dal notaio Monti in data 22 dicembre 1772, cfr. Bonomelli 1953, p. 169 nota 56. 95 Ibid., p. 160. 96 Ibid., p. 163. 97 ASV, Amministrazione VI, b. 4, fol. 3. Tra gli altri documenti vi è una bella descrizione che sarà successivamente pubblicata. 98 Ibid., b. 5, fol. 1. 99 Tutti i soggiorni dei pontefici a Castel Gandolfo fino al 1952 sono dettagliatamente elencati in Bonomelli 1953, pp. 481-483 e riproposti in Petrillo 2000, che li attualizza fino all’anno 2000, pp. 116-123. 100 Cfr. Bonomelli 1953, pp. 372ss., che si basa su documenti dell’Archivio Barberini, conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana che, come si è già detto, è attualmente chiusa al pubblico. 101 Ibidem. 102 Ibidem. 103 Per l’attività in Vaticano si rinvia al Cap. VIII. 104 Il resoconto dei lavori condotti è in Bonomelli 1953, pp. 390-396, mentre un bel reportage fotografico è in Petrillo 2000. 105 Si tratta della teoria di Giacomo Boni, l’archeologo autore della sistemazione del Palatino a Roma, che a questo concetto aveva ispirato la sua opera. Sul tema cfr. Cazzato 1990, pp. 605-626.

TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI: ASN

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Archivio di Stato di Torino BAV

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Biblioteca Universitaria di Bologna

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INDICE DEI NOMI DI LUOGO E PERSONA

Ackerman James, 87, 337 Acquasparta, 167 Acquaviva Ottavio, cardinale, 307 Adinolfi Pasquale, 38 Adriano I, papa, 132 Adriano VI (Adriano Florenz), papa, 62 Adriano, imperatore, 185 Africa, 116 Albalonga o Alba Longa, 308 Albani, colli, 300 Albano, 308, 312, 334 Villa di Domiziano, 334 Alberti Leon Battista, 28, 44, 301 Albertini Francesco, 55 Alberto da Parma, 24 Alberto Magno, 22 Aldini Tobia (Pietro Castelli), 174 Aldobrandini Pietro, cardinale, 125, 167, 306 Aldrovandi Ulisse, 114 Alessandria d’Egitto, 116 Alessandrino (Carlo Bonelli), cardinale, 304 Alessandro VI (Rodrigo Borgia), papa, 40, 309 Alessandro VII (Fabio Chigi), papa, 180, 189, 309 Alidosi Francesco, cardinale, 302 Aloisi Giovanni, giardiniere, 73 Altemps Annibale, Altemps Marco Sittico, cardinale, 44, 123, 305, 306 Amaltea, 102 America o Americhe, 116, 170, 172, 192 Ammannati Bartolomeo, 85, 303 Ammannati Jacopo, 301 Anagni, 299 Andromeda, 108 Antonio da Sangallo, 72, 73, 233 Antonio del Pollaiolo, 39 Apollo, 62, 78, 98, 102, 185 Arianna, 55 Ariccia, 181 Asia, 116 Audot Louis Eustache, 225 Augusto, 132 Aurora, 102 Avignone, 24, 26 Bacci Andrea, 123, 167 Bacco, 102, 250 Bagnaia, Villa Lante, 304 Balzani Cesare, giardiniere, 233 Bamberga, 125, 167, 180 Barberini Francesco, cardinale, 170, 174 Barberini Luigi, 334 Barberini Taddeo, 316

Barberini, famiglia, 180 Barcellona, 116 Barocci Federico, 108 Barozzi Jacopo da Vignola, 73 Barzotti Biagio, mosaicista, 233 Bechnick, 248 Belli Barsali Isa, 164 Beltrami Luca, 207 Bembo Pietro, cardinale, 302 Benedetto XIII (Pietro Francesco Orsini), papa, 186, 207 Benedetto XIV (Prospero Lambertini), papa, 186, 312, 316 Benedetto XV (Giacomo della Chiesa), papa, 241, 248, 250 Benoist Felix, 228 Bentivoglio Guido, cardinale, 172 Bernini Gian Lorenzo, 179, 180, 181, 308, 316 Bettini Francesco, 192 Biondo Fabio, patriarca di Gerusalemme, 167 Blocasse de, monsignore, 316 Boccaccio Giovanni, 28 Bologna Hieronimo, falegname, 77 Bologna, 21, 114, 116, 186 Bolsena Isola Bisentina, 302 Lago, 303 Boncompagni, famiglia, 306 Bonelli Michele, cardinale, 116 Bonelli, famiglia, 312 Boni Giacomo, 113 Bonifacio VIII (Benedetto Caetani), papa, 300 Bonifacio IX (Pietro Tomacelli) papa, 26 Bonomelli Emilio, 229, 232 Borghese, famiglia, 351, 134, 162, 164, 307 Borghese Scipione, (Caffarelli Borghese), cardinale, 129, 132, 306, 308 Borgogna, 232 Borromeo Carlo, cardinale, 108, 302 Borromeo Ortensia, 44 Borromini Francesco, 180 Bracciano, 275, 316 Braccioli Bartolomeo, 308 Bracciolini Poggio, 301 Bramante Donato, 38, 39, 40, 42, 44, 50, 134, 223, 293, 302 Bressanone, 299 Bruxelles, 172 Bufalini Giovanni, monsignore, 189 Buonarroti Michelangelo, 72, 188, 303 Buratti Giulio, 134, 153, 162 Burckard Jakob, 90

Bzovius (Brzowski) Abraham, 132 Caetani, famiglia, 300 Calliope, 102 Candeo Angelo, don, 232 Canillac, de Montbosier Claudio, monsignore, 316 Capodimonte, 221, 302 Capponi, monsignore, 174 Capranica, monsignore, 306 Caprarola, Villa Farnese, 39, 304 Carafa Antonio, cardinale, 305 Carafa Carlo, cardinale, 303 Carafa Cesare, 90 Carafa, famiglia, 306 Carli Ferdinando, 162 Carlo V, imperatore, 73 Caro Annibale, 144, 307 Carpineto, 228 Cartagine, 233 Cartaro Mario, 69, 73, 76, 86, 122, 123 Castel Gandolfo, 179, 228, 232, 254, 301, 307, 308 Cybo, 308, 312, 313, 316 Casino di Urbano VIII, 316 Fontana delle Lavandaie, 313 Palazzo Apostolico, 26, 35, 40, 309 Rocca Savelli, 308 Teatro grande, 313 Villa Barberini, 39, 316, 334 Villa Cybo, 308 Villa di Domiziano, 44, 316 Castelli Pietro (Tobia Aldini), 174 Castelli, Domenico, 308 Castiglione Baldassarre, 62 Catone, 304 Cenci Giovanni, cancelliere, 26 Cerere, 250 Cesalpino Andrea, 114 Cesi Federico, duca di Acquasparta, 167, 173 Chamberlhac de, Philiph, 24 Chantilly, 182 Chattard Giovan Pietro, 186 Chigi Agostino, 42 Chigi famiglia, 189 Cibele, 102 Cicerone, 301, 304 Ciparisso, 98 Civitavecchia, 162, 309 Clemente VII (Giulio de’ Medici), papa, 69, 72, 73, 77 Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini), papa, 125, 167, 198, 306, 308 Clemente X, papa, 309

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GLI HORTI DEI PAPI

Clemente XI (Giovanni Francesco Albani), papa, 184, 185, 312 Clemente XIV (Giovan Vincenzo Ganganelli), papa, 188, 312, 316 Cleopatra, 85, 166 Cleve Hendrik van, 62, 70 Coen, ebreo, 198 Coffin David, 35, 70, 73 Colonna Giovanni, 76 Colonna, famiglia, 304 Colonna Francesco, 76 Consalvi Ercole, cardinale, 198, 208 Contini Giovan Battista, 184 Contugi, medico, 306 Cordier Niccolò, 143 Corvino Enrico, 170, 173 Costantinopoli, 172 Crescenzi Pietro de’, 30 Cristo, 20, 28, 275 Cybo Camillo, cardinale, 312 Cybo Carlo II, duca di Massa, 312 Cybo, famiglia, 313 Cybo Maria Teresa, 316 D’Onofrio Cesare, 162 Damaso II (Poppone), papa, 299 De Giudici Arminio, scalpellino, 132 De Rossi Francesco, scalpellino, 132 Della Greca Felice, 309 Della Porta Giacomo, 306 Diana, 108 Doria Pamphilj Giuseppe, cardinale, 192 Dovizi Bernardo da Bibiena, cardinale, 302 Duperac, Etienne 72 Durante Castore, 123 Egitto, 172 Eugenio III (Bernardo Paganelli?), papa, 299 Evelyn John, 180 Faber Johannes, 180, 192, 198, 208, 123, 125 Fabriano, 300 Faccaro Carlo, 173 Fagiolo Marcello, 28 Falda Giovan Battista, 70, 143, 144 Fancelli Carlo, 153 Farnese Alessandro, cardinale, 73, 302, 303 Ferdinando di Baviera, 173 Ferrabosco Martino, 132, 134, 156, 164, 166, 241 Ferrara, cardinale di, v. Ippolito d’Este Ferrari Giovan Battista, 174, 184 Fiandre, 172 Fichard Johannes von, 78 Filippo II, imperatore, 116 Firenze, 186 Fiumicino, 312 Flora, 102, 250 Fontaine Pierre François Leonard, 198

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INDICE DEI NOMI DI LUOGO E PERSONA

Fontana Carlo Stefano, 312 Fontana Domenico, 63, 125 Fontana Francesco, 312 Fontana Giovanni, 134 Fontana Prospero, 39, 44, 72, 85, 303 Francia, 170, 172, 182, 192, 216, 316 Frascarolo, Villa Medici, 90, 304 Frascati, 123, 304, 306 Convento dei Cappuccini, 306 Portale delle Armi, 301 Villa Aldobrandini, 39, 125, 304 Villa Angelina, (poi Villa Tuscolana), 305 Villa Belvedere o Taverna, 307 Villa Caravilla, 307 Villa Falconieri o Villa Rufina, 73, 303 Villa Mondragone, 306, 307 Frigiotti Filippo, giardiniere, 206 Fuccaro Stefano, 153 Furstenberg, conte di, 174 Gaddi Giovanni, monsignore, 144 Galatea, 108 Galli Pietro, 228, 261 Gallio Tolomeo, cardinale, 108, 305 Gandulphi, famiglia, 308 Gaspare da Verona, 301 Genazzano, 300 Genova, 24 Gerusalemme, 26, 22, 120, 167 Ghezzi Pier Leone, 312 Ghinucci Paolo, 76 Giappone, 275 Giardino delle Esperidi, 26 Gilii Luigi Filippo, 189, 192 Giovanni Battista da Sangallo (detto «Il Gobbo«), 73 Giovanni Francesco della Mirandola, 54 Giovanni XXI (Pietro Iuliani detto Ispano), papa, 20 Giovanni XXII (Giacomo Duese), papa, 24 Giove, 102, 250 Gioventù, 102 Giovio Paolo, 302 Girolamo da Carpi, 86 Giuliano da Sangallo, 302 Giulio II (Giuliano della Rovere), papa, 40, 42, 54, 62, 63, 69, 72, 134, 138, 302 Giulio III (Giovanni Maria Ciocchi del Monte), papa, 85, 86, 90, 156, 303 Gnaccarini Filippo, 228 Gombrich Ernst, 54 Gonzaga, Federico 55 Gonzaga Francesco, 300 Gozzoli Benozzo, 28, 30 Gregorio IV, papa, 299 Gregorio XIII (Ugo Boncompagni), papa, 23, 25, 108, 113, 304, 306 Gregorio XIV (Niccolò Sfondrati), papa, 125, 228 Gregorio XV (Alessandro Ludovisi), papa, 167, 179, 198 Gregorio XVI (Bartolomeo Alberto Cap-

pellari), papa, 51, 205, 221, 222, 232, 241, 293 Greuter Mettheus, 307 Guillermo, frate, 26 Heemskerk Hendrik van, 39 Hegle, 98 Imperato Ferrante, 173 India, 172 Infessura Stefano, 38, 301 Inghilterra, 216 Innocenzo III (Lando di Sezze), papa, 19, 299, 300 Innocenzo IV (Sinibaldo Fieschi), papa, 19 Innocenzo VI (Stefano Aubert), papa, 24 Innocenzo VIII (Giovan Battista Cybo), papa, 35, 38, 40, 42, 90, 129, 185, 301, 302 Innocenzo X (Giovan Battista Pamphilj), papa, 174 Ippolito d’Este, 90 Isabella d’Este, 55 Jacomo, pittore, 73 Jacopo Cristoforo da Pietrasanta, 39 Jatta Barbara, 13 Lafrery Antonio, 44, 63, 76, 112 Lais Giuseppe, monsignore, 192 Lancisi Giovanni Maria, 114 Landini Taddeo, 125 Laocoonte, 62 Lavigerie Charles Martial Armand, cardinale, 233 Le Nôtre André, 182 Leonardo da Vinci, 62 Leone IV, papa, 19, 233 Leone X (Giovanni de’ Medici) papa, 62, 69, 113 Leone XI (Alessandro d’Ottaviano de’ Medici), 167, 198 Leone XII (Annibale della Genga), papa, 98, 102, 216, 219 Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci), papa, 205, 228, 232, 234, 241, 261 Ligorio Pirro, 51, 63, 77, 86, 90, 98, 102, 108, 260 Lombardia, 225, 302 Longhi Martino, 305 Lucerta o Lucertola Romolo, giardiniere, 73, 74 Lucullo, 304 Luraghi Giuseppe, scalpellino, 185 Maccarani Orsola, 316 Maccarone Curzio, 85, 86 Maderno Carlo, 134, 139, 143, 144 Maderno Stefano, 153 Maggi Giovanni, 102, 123, 132, 179, 206 Maidalchini Olimpia, 180 Majoli Cesare, 192 Malegnani Attilio, 125 Manetti Giannozzo, 28

Manetti Latino Giovenale, 70 Mantegna Andrea, 39, 185 Mantova, 55, 125 Margotti Lanfranco, cardinale, 174 Marsiglia, 26 Martino V (Oddone Colonna), papa, 300 Martinucci Filippo, sottoforiere, 224 Mascardi Giacomo, 132 Mascherino Ottavio, 306 Massa Carrara, 312 Villa La Rinchiostra, 313 Masson Giorgina, 170 Medici, famiglia, 303 Medusa, 102 Meleghino Jacopo, 73, 74 Mercati Michele, 113, 114, 116, 123, 167, 172, 192, 208 Messina, 174 Milano, 44, 293 Minerva, 250 Mnemosine, 102, 111 Momo, Giuseppe, 254, 260 Montefiascone, 26, 303 Moriani Rocco, giardiniere, 208 Moroni Gaetano, 222, 224, 207 Muller Teofilo, 173 Muratori Ludovico, 303 Nanni di Baccio Bigio, 304 Napoli,73, 172, 173 Naro, monsignore, 208 Negro Silvio, 229 Nerone, imperatore, 303 Nettuno, 108, 143 Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini), papa, 20, 22, 24, 26, 38, 132 Niccolò IV (Girolamo Masci), papa, 24, 113 Niccolò V (Tommaso Parentucelli), papa, 20, 28, 132, 233, 300 Nicola da Calvi, 19 Nicolò de Polis, 78 Nilo, statua, 316 Nolli Giovan Battista, 186 Odescalchi Livio, duca di Bracciano, 316 Orsini, famiglia, 186 Orsini Giovanni Gaetano, cardinale, 20 Orvieto, 24, 299 Ostia, 40, 173, 299, 301, 302, 304 Paciotti Francesco, 122 Padova, 24, 232 Palazzolo, 308 Palestrina,44, 50, 299 Paliano, duca di, 303 Pamphilj, famiglia, 312 Pamphilj Teresa, 312 Pannini Francesco, 185, 188 Panvinio, 303 Paolino da Venezia, fra’, 21 Paolo I, papa, 292 Paolo II (Pietro Barbo), papa, 30 Paolo III (Alessandro Farnese), papa, 44,

51, 69, 70, 73, 77, 78, 80, 86, 168, 179, 183, 188, 207, 219, 232, 250 Paolo IV (Gian Pietro Carafa), papa, 86, 90 Paolo V (Camillo Borghese), papa,125, 126, 129, 132, 134, 138, 143, 144, 156, 162, 164, 168 Paolozzi Federico, conte, 248 Parasacchi Domenico, 51, 134, 143, 144 Parentucelli Tommaso, 28 Parigi, 182, 228 Pavia, 98 Percier Charles, 198 Perotto o Perotti Scipione, giardiniere, 74, 86 Perugia, 299 Peruzzi Baldassarre, 73, 76, 90, 98 Pico della Mirandola, 54 Pincellotti Francesco, 312 Pinturicchio (detto) Bernardino Betti, 39 Pio II (Enea Silvio Piccolomini), papa, 26, 300 Pio IV (Giovan Angelo de’ Medici), papa, 44, 63, 77, 86, 90, 96, 98, 102, 108, 110, 122, 125 Pio V (Antonio Ghisleri), papa, 86, 111, 113, 116, 122, 198, 304 Pio VI (Giannangelo Braschi), papa, 188, 198, 233, 275, 316 Pio VII (Barnaba Chiaramonti), papa, 63, 198, 205, 206, 208, 216 Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti), papa, 228 Pio X (Giuseppe Sarto), papa, 241, 248 Pio XI (Achille Ratti), papa, 139, 198, 232, 248, 254, 260, 293 Piranesi Giovan Battista, 188 Pisa, 24, 114 Platina Bartolomeo, 301 Plinio, 301 Polissena, principessa di Venosa, 174 Polono Martino, 21 Pomona, 102 Ponzio Flaminio, 134, 156, 241 Portogallo, 55, 116 Portovenere, 26 Pudicizia, 102 Radi Bernardino, 164 Ratti Franco, 334 Riario Girolamo, cardinale, 334 Ricci Giovan Battista, 143 Rinaldi Sebastiano, giardiniere, 222, 228 Roberti Roberto, 221 Roma Acqua Felice, 132 Acqua Paola o Acquedotto Paolino, 134, 143, 153 Acqua Vergine, 303 Aracoeli, convento, 304, 300 Campidoglio, 70, 303 Campo Vaccino o Foro Romano, 153 Casaletto di San Pio V, 304 Casino del Cardinale Bessarione, 35 Casino della Rovere, 42

Castel Sant’Angelo, 44, 70, 72, 233 Circo Massimo, 44 Colonna Antonina, 51, 223, 224 Colosseo, 174 Domus Aurea, 21, 45 Fontana del Diluvio, 153 Fontana della Pioggia, 153 Fontana della Vela o del Mascherone, 144, 153 Fontanone del Gianicolo o Mostra dell’Acqua Paola, 132, 153, 189 Gianicolo, 228, 304 Orto Botanico, 189, 208, 216 Giardino Belluomo, 144 Giardino Cesi, 55 Giardino della Valle, 55 Giardino Ghinucci, 76 Horti Aciliorum, 44 Horti Farnesiani o Orti Farnesiani, 70, 303 Horti Sallustiani, 179 La Sapienza, università, 167, 216 Marco Aurelio, statua equestre, 70 Monte Mario, 35, 38, 69, 179, 189, 203, 232, 248, 275, 282 Musei Capitolini, 21 Museo di Roma, 44, 63 Narciso, statua, 162 Ospedale di Santo Spirito, 167 Palatino, 44, 70, 303 Palazzo Branconio dell’Aquila, 98 Palazzo Colonna, 42 Palazzo Corsini alla Lungara, 216 Palazzo di San Marco, 303-305 Palazzo di Santi Apostoli, 304 Palazzo Spada, 98 Palazzo-Villa Barberini, 39, 308, 316, 334 Piazza Colonna, 300 Piazza Navona, 180, 312 Piazza Sant’Andrea della Valle, 144 Piazza Santi Apostoli, 304 Piazza Scossacavalli, 144 Piazza Venezia, 30 Pincio, 44 Ponte Milvio, 38 Porta del Popolo, 303 Porta Flaminia, 303 Porta Pia, 250 Porta Pinciana, 132, 192 Porta San Pancrazio, 180 Quirinale, 76, 125, 132, 139, 143, 153, 164, 174, 179, 300, 303, 304, 306, 307, 316 Palazzo del Quirinale, 39 San Silvestro al Quirinale, chiesa, 303 San Marco, basilica, 301 San Paolo, monastero, 299 Sant’Agata dei Goti, chiesa, 300 Santa Maria Maggiore, basilica, 125, 306 Santa Sabina, convento, 304 Santi Apostoli, chiesa, 42 Terme di Tito, 44, 108, 138, 180 Terme di Vespasiano, 138

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GLI HORTI DEI PAPI

Tevere, fiume, 62, 98299, 303 Tor de’ Specchi, convento, 144 Torre Paolina o di Paolo III, 303, 304 Via Aurelia Antica, 304 Via Flaminia, 304 Via Portuense, 301 Vigna Carafa, 303 Villa Albani Torlonia, 316 Villa Borghese o Pinciana, 125, 132, 144, 153, 162, 165, 172, 192, 224, 225, 294, 306 Galoppatoio, 192 Villa dei Quintili, 305 Villa del Poggio, 303 Villa della Magliana, 40, 301, 302 Villa di Nerone, 50 Villa Doria Pamphilj o Villa Pamphilj, 156, 182, 224, 294 Villa Giulia, 85, 98, 303, 304 Villa Lante, 304 Villa Madama, 69, 303 Villa Mattei o Celimontana, 156 Villa Mellini, 35 Villa Montalto, 123, 182, 306 Villa Pucci, 304 Villa Silvestri Rivaldi, 174 Villa Torlonia, 224 Villetta Doria, 192 Rondanini Alessandro, 174 Roscioli Guarino, 260 Rossetti Cesare, 139 Rossi Battista, muratore, 156 Rovato, 334 Rucellai, famiglia, 28 Ruiz Lopez Hipolito, 192 Sabina, 300 Sacchetti Gerolamo, marchese, 228 Salone, Villa Trivulzio, 98 Salute, 111 Salvi Gaspare, 224 San Gimignano, chiesa di Sant’Agostino, 28 San Martino al Cimino, 180 San Miniato, 114 Santi di Tito, 108 Sanzio Raffaello, 69 Savelli, famiglia, 308 Sbardiellini Cristoforo, capomastro, 73 Scardin Antonio, 186 Sceaux, parco, 182 Schedel Hartman, 40 Schiavone Giovanni, 108 Schreck Giovanni, 173 Sebastiani Antonio, 216 Segni, 299 Seitz Ludovico, 233 Semprevivo Ranuccio, 139Serdonati Francesco, 40 Sicilia, 116 Siena, 300 Sighellio Camillo, 306 Simone da Genova, 24, 113 Simone Dario, 153 Simonetti Michelangelo, 188

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INDICE DEI NOMI DI LUOGO E PERSONA

Sisto IV (Francesco della Rovere), papa, 40, 300-302 Sisto V (Felice Peretti), papa, 51, 63, 123, 125, 132, 134, 306 Sneider Costantino, 233 Solaro Santi, 153 Sole, 102 Soriano nel Cimino, 300 Spagna, 116, 170, 172, 301 Strozzi Alessandro, 20 Suarez Gaspare, 189, 192 Subiaco, 299 Taegio Bartolomeo, 304 Tagliolini Alessandro, 42 Tempesta Antonio, 123 Tessaglia, 102 Tevere, statua, 98 Ticino, statua, 98 Tignosi Angelo da Viterbo, vescovo, 24 Tivoli, 144, 300, 302, 304, 306 Convento dei Minori Francescani, 302 Monte Gennaro, 173 Villa Adriana, 108 Villa d’Este, 102, 103 Tolomei Claudio, 144 Torino, 254, 334 Torre in Pietra, 123 Toscana, 30, 181, 300 Trento, Concilio di, 108, 305 Tuscia, 70 Tuscolo, 304, 306 Urbano II (Ottone di Lagery), papa, 250 Urbano V (Guglielmo de Grimoard), papa, 24, 26, 303 Urbano VIII (Maffeo Barberini), papa, 162, 167, 174, 179, 180, 198, 250, 307, 308, 309, 316 Urbino, 62 Utens Giuto, 7 Valerio, giardiniere, 125 Vasanzio (van Santen) Giovanni, 134, 162, 241 Vasari Giorgio, 35, 39, 42, 62, 72, 73, 85, 303 Vaticano Arco delle Campane, 260 Atrio del Piacere, 112 Basilica Costantiniana, 134 Basilica di San Pietro, 19, 20, 24, 35, 51, 72, 129, 188, 228, 248, 254, 302, 260 Bastioni del Sangallo, 233 Biblioteca Apostolica Vaticana o Sistina, 134, 143m 164, 168, 198, 207, 216 Casa del giardiniere, 216 Casina di Pio IV o Villa Pia, 83, 96, 98, 111, 113, 122, 123, 125, 164, 166, 167, 168, 170, 179, 183, 185, 188, 192, 198, 205, 207, 29ì08, 219, 221, 223, 224, 229, 232, 233, 248, 250, 254

Chalet di Leone XIII, 234, 241, 275 Città Leonina, 19 Collegio etiopico, 260 Cortile del Belvedere, 20, 26, 30, 38, 44, 54, 62, 63, 69, 72, 76, 80, 86, 112, 122, 125, 134, 138, 139, 179, 180, 186, 188, 207, 229, 241, 248, 293 Cortile della Biblioteca, 184, 188, 207, 232 Cortile della Pigna, 51, 168, 184, 188, 205, 207, 216, 217, 222, 224, 228, 248, 261, 282, 293 Cortile delle Statue, 38, 54, 62, 70, 72, 85, 166, 170, 179 Fontana degli Specchi, 132, 143, 163, 164, 166, 207, 221 Fontana del Forno o della Panetteria, 139, 183 Fontana della Galera, 156, 168, 179, 183, 188, 198, 206, 207, 217, 224, 233 Fontana dell’Aquilone o dello Scoglio, 143, 144, 153, 188, 228, 294 Fontana delle Api, 179 Fontana della Zitella, 70, 223, 224, 282 Fontana delle Ranocchie, 275 Fontana delle Torri o del Sacramento, 132, 143, 156, 166, 167, 221, 248, 183, 123 Fontana del Belvedere, 138 Fontana di Giulio III, 162 Fontane di piazza San Pietro, 144 Giardino dei Semplici, 83, 113-116, 122-125, 166, 170, 172, 179, 180, 183, 207, 223, 224 Giardino di Clemente VII, 77, 188, 206, 207, 217, 282 Giardino Segreto di Paolo III, 30, 51, 67, 69, 70, 72, 77, 125, 168, 170, 179, 184, 185, 188, 205, 207, 208, 217, 219, 222, 223, 224, 229, 232, 241, 248, 250, 282, 293, 300 Logge, 85, 86, 112, 143, 221, 223, 229, 302 Lucrezia, statua, 70 Madonna della Guardia, monumento, 233, 241, 250 Madonna di Lourdes, monumento e grotta, 234, 241, 250, 261, 275 Monastero Mater Ecclesiae, 294 Mons Saccorum, 20 Monte Sant’Egidio, 35, 38, 80 Monumento al Concilio Vaticano I, 289, 261, 282 Mura Leonine, 19, 132, 179, 186, 188, 205, 224, 228, 232, 234, 248, 250, 254, 261, 282 Museo del Braccio Nuovo, 207 Museo Pio Clementino, 38, 188 Ninfeo, 303 Orto Botanico Vaticano Indico, 167, 180, 191, 192, 198, 216 Palazzetto del Belvedere, 31, 35, 42, 45, 69, 80, 86, 156, 185, 206, 233, 250, 301

Palazzo del Governatorato, 254, 260 Palazzo della Radio, 261 Peschiera di Giulio III, 86, 156 Piazza del Forno o della Panetteria, 143, 221, 228 Pigna, 51, 134, 180, 185 Pinacoteca, 207, 223, 250282, 293 Pontificia Accademia delle Scienze, sede, 254 Porta Giulia, 44 Porta Sant’Anna, 20, 180, 206 Porta Viridaria, 20, 30 San Pietro, statua, 228, 261 Sant’Alpino e Attila, gruppo scultoreo, 250 Sant’Anstremonio, statua, 244 Scaccia, vicolo, 188 Scala della Lumaca, 206 Scala Regia, 181

Seminario, 254 Specola vaticana, 241 Stazione ferroviaria, 233, 254, 260 Stazione radio, 254 Teatro di Pio IV, 125, 134, 138 Torre dei Venti, 241 Torre di Niccolò V, 20, 132, 233 Tribunale, 254 Ufficio postale, 254 Urbano II, monumento, 250 Urbano VIII, 162, 167, 174, 179, 180, 198, 250, 307, 308, 309, 316 Viale dei Giardini, 143, 167, 221, 223 Viale della Giostra o della Zitella, 161 Viale dello Sport, 167 Vaux, parco, 182 Venere, 54, 62, 78 Venezia, 170, 172 Veniens Francesco, distillatore, 86

Vercelli, 254, 334 Vergine Maria, 20, 22 Verità, 102 Veronese Guarino, 301 Versailles, Parco di, 182 Vespignani Francesco, 233 Vespignani Virginio, 228, 233 Vignola, 85, 86, 303 Virgilio, 55 Visconti Scipione, monsignore, 316 Viterbo, 299, 300 Vitruvio, 44 Vittoria, 98 Zeri Federico, 156 Zola Émile, 232 Zuccari Taddeo, 85, 108, 303

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CREDITI FOTOGRAFICI il numero rinvia alla pagina

© Musei Vaticani, Foto Archivio Fotografico Musei Vaticani, L. Giordano comprese le immagini: 135, 139, 140141, 145, 155, 220, 233, 142-243, 250, 252-253, 260-261. A eccezione delle seguenti: Alamy Stock Photo/Sanseven: 53; Alamy Stock Photo/ Pytyczech: 133; Archivio Fotografico dei Musei Capitolini: 22; BAMSphoto di Basilio Rodella: 309. Biblioteca Apostolica Vaticana: 23, 51 (17), 76, 77 (11), 308, 309, 313; Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, Roma: 123 (43), 130-131, 168; Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia: 25. Bibliothéque de l’Arsenal, Parigi: 27; MiBAC, su autorizzazione 4/2009: 204, 209, 210-211, 216, 217, 311, 312, 313; Anas Miah: 11; Musée royaux de Beaux Arts de Belgique, Bruxelles – Koninklijke Musea voor Schone Kunsten van België, Brussel (photo Cussac): 64-65; Museo Biblioteca Archivio di Bassano del Grappa: 218-219; Francesco Radino: 324, 326-343; Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Roma – Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo: 40-41, 70; Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fiorentino: 42-43, 50 (16); Sovraintendenza ai Beni Culturali U.O. Musei d’Arte Medioevale e Moderna – Museo di Roma: 21, 48 (13), 50 (15), 51 (18), 77 (12), 84, 112, 113, 114-115, 123 (42), 178, 186-187, 200, 201, 205, 224, 230-231. Per le carte che aprono ogni capitolo: realizzazione grafica di Daniela Blandino su base di Chiara Stefanori. Il disegno di pagina 54 è realizzato da Daniela Blandino.



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