MONUMENTA VATICANA SELECTA
M. BOITEUX, A. CAMPITELLI, N. MARCONI L. SIMONATO, G. WIEDMANN
VATICANO BAROCCO Arte, architettura e cerimoniale Introduzione di FRANCESCO BURANELLI
FABBRICA DI SAN PIETRO IN VATICANO
MUSEI VATICANI LIBRERIA EDITRICE VATICANA
INDICE
Ristampa 2021 Copyright © 2014 by Editoriale Jaca Book Srl, Milano Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano Musei Vaticani, Città del Vaticano All rights reserved International copyright handled by Editoriale Jaca Book Srl, Milano Prima edizione italiana ottobre 2014 Jaca Book e la Fondazione Roma, presieduta dal Prof. Avv. Emmanuele F.M. Emanuele, hanno promosso l’edizione italiana della presente opera realizzata da Jaca Book con il contributo della Fondazione Roma – Arte – Musei La revisione dei testi e la cura dell’edizione italiana sono di Roberto Cassanelli La cartografia alle pagine 186-187, 200, 276 è di Daniela Blandino Copertina, grafica e impaginazione Jaca Book / Break Point Selezione delle immagini Pixel Studio, Milano
Stampa e legatura Grafiche Stella Srl San Pietro di Legnago (VR) dicembre 2020 ISBN 978-88-16-60638-8
Editoriale Jaca Book via Giuseppe Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48561520 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su
INTRODUZIONE Francesco Buranelli Pag. 7
Capitolo primo IL CERIMONIALE. LA NECESSITÀ DELLA MAGNIFICENZA Martine Boiteux Pag. 11 Capitolo secondo LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO Gerhard Wiedmann Pag. 29 Capitolo terzo TECNICHE E PRATICHE DEL COSTRUIRE NEL CANTIERE DI S. PIETRO TRA XVII E XVIII SECOLO Nicoletta Marconi Pag. 217 Capitolo quarto IL PALAZZO APOSTOLICO VATICANO Lucia Simonato Pag. 273 Capitolo quinto I GIARDINI VATICANI Alberta Campitelli Pag. 315 NOTE Pag. 332 BIBLIOGRAFIA GENERALE Pag. 341 INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI Pag. 348
INTRODUZIONE Francesco Buranelli
Potrebbe sembrare contraddittoria, in termini storici, la pubblicazione di un volume incentrato sul solo Vaticano per un fenomeno artistico “globale” come il Barocco, quasi estrapolando il piccolo territorio all’interno delle mura leonine dal più ampio teatro della città di Roma e dell’Italia del XVII secolo. In realtà, nonostante il titolo forse limitativo del volume, come è ovvio quando si affronta un tema così complesso, tutti gli autori dei saggi si sono visti obbligati a muoversi attraverso gli argomenti loro affidati contestualizzandoli e mettendone in risalto i molteplici collegamenti: ad esempio, con le chiese tardo-manieriste di Giacomo Della Porta (Chiesa del Gesù) e di Carlo Maderno (S. Susanna) o con altri capolavori berniniani (come S. Andrea al Quirinale) e borrominiani (ad esempio S. Carlino alle Quattro Fontane). Come si potrebbe, d’altra parte, non mettere in relazione il Palazzo Apostolico Vaticano con gli altri Palazzi Apostolici del Quirinale, del Laterano e, fuori della città, di Castel Gandolfo? Né si possono omettere le stringenti relazioni tra il complesso Vaticano e i monumentali palazzi delle famiglie dei pontefici del XVII secolo: Palazzo Borghese, Palazzo Ludovisi, Palazzo Barberini, Palazzo Pamphilj, Palazzo Chigi, Palazzo Rospigliosi, Palazzo Altieri, Palazzo Odescalchi; essi, infatti, vennero realizzati dlle famiglie aristocratiche romane spesso proprio in concomitanza con l’elezione al Soglio Pontificio dei cardinali loro congiunti, con finanze papali e con gli stessi architetti ed artisti che lavoravano nei cantieri vaticani. Né sarebbe possibile, infine, non richiamarsi agli interventi urbanistici che, a partire da Sisto V, grazie alla realizzazione di nuovi scenografici assi stradali e delle teatrali piazze barocche (piazza Navona soprattutto) definirono il nuovo volto di Roma.
Solo descrivendolo così, all’interno di un potente fervore culturale ed artistico, è possibile far emergere il ruolo centrale e propulsore svolto dal secolare cantiere petrino nella nascita e nella codificazione del nuovo stile Barocco che, dal colle Vaticano, e da Roma più in generale, si sarebbe diffuso nelle principali capitali italiane ed europee per poi approdare nel Nuovo Mondo. L’idea stessa di chiesa nata dal Concilio di Trento ed i complessi cerimoniali politici e liturgici cinqueseicenteschi si concretizzarono in montagne di travertino scolpite dalla luce e dall’ombra, marmi colorati e bronzo furono plasmati da artisti geniali che seppero liberare la loro creatività e superare la soggezione per i grandissimi del passato; si definì, così, un complesso, quello Vaticano, che pur articolato in fabbriche distinte per cronologia e tipologia (basilica, palazzo, piazza e giardini) risulta essere fortemente unitario nella concezione e nei significati – religioso, politico e diplomatico – che da allora ha assunto agli occhi del mondo. Il cantiere per la costruzione del nuovo S. Pietro, avviato nel 1506 da Giulio II della Rovere per costruire il più grande tempio della cristianità, troverà, infatti, solo nel corso DEL XVII secolo una sua coerente unità architettonica tanto da poter essere letto – pur nella distinta successione dei capitoli del volume per separati “corpi” di fabbrica – come un complesso unitario nel suo insieme. Fu proprio questa impresa edificatoria a generare un nuovo ed esaltante periodo dell’arte moderna, che non solo condizionò lo sviluppo della città eterna, ma che seppe creare nel nascente Barocco l’ultimo grande ed unitario stile artistico-culturale della cristianità. Un linguaggio che ebbe una straordinaria longevità e, per la prima volta, una diffusione intercontinentale testimoniata, ad esempio, dalle chiese barocche riproposte nelle Americhe (a Lima, a Santiago del Cile, a L’Avana) e fino all’Estremo Oriente
7
VATICANO BAROCCO
nelle chiese di Goa in India o di Macao in Cina; fabbriche spesso imponenti, accomunate dal medesimo richiamo alla cultura secentesca romana e a quel desiderio impellente di superare, attraverso forme magniloquenti e spettacolari, a volte frutto di un virtuosismo spinto agli estremi del possibile, i limiti spazio-temporali della realtà umana per assaporare, in una immaginifica scenografia teatrale, la bellezza della Gerusalemme celeste. La conclusione del Concilio di Trento nel 1563, la quasi concomitante morte di Michelangelo Buonarroti – avvenuta a Roma il 18 febbraio 1564 – nonché la successiva vittoria della Lega Santa contro i Turchi a Lepanto nel 1571, costituirono un vero e proprio spartiacque politico e artistico tra il vecchio ed oramai “manierato” Rinascimento e la nascita del nuovo, controverso ed esaltante mondo del Barocco. La controriforma cattolica restituì la centralità al Papato e, conseguentemente, a Roma che tornò ad essere la capitale religiosa, politica e diplomatica d’Europa; su questa scena la successione di illuminati pontefici dotati di elegante senso estetico e di raffinato spirito teologico, come Paolo V (Camillo Borghese, 1605-1621), Urbano VIII (Maffeo Barberini, 1623-1644) e Alessandro VII (Fabio Chigi, 1655-1667) unita alla genialità di estrosi artisti, tra i quali primeggia Gian Lorenzo Bernini, accesero quella scintilla vitale che, dal cantiere del nuovo S. Pietro porterà alla piena e matura affermazione del Barocco; la nuova Basilica di S. Pietro, o meglio l’intero complesso Vaticano – inteso unitariamente come luogo di architettura, pittura, scultura, arte dei giardini – diverrà il luogo simbolo, a livello mondiale, di questo cambiamento. Il Bernini, considerato il Michelangelo del suo tempo, dedicò all’edificazione di S. Pietro praticamente tutta la sua vita (dal 1629 fino al 1680) definendo la grandiosa ed armonica sistemazione della Basilica aperta verso la città nello strabiliante abbraccio del colonnato. Se, come leggiamo nel ricco e documentato saggio di Gerhard Wiedmann, si può ritenere che il 18 novembre 1593 – giorno in cui venne issata la croce sulla sommità della lanterna della cupola di S. Pietro – rappresenti simbolicamente la data di nascita del Barocco, dobbiamo concordare con quanto sostenuto un po’ da tutti gli autori del volume, cioè che le radici di questo nuovo corso dell’arte romana debbano ricercarsi nel Concilio di Trento e nella nuova, diversa spiritualità che ne derivò. Non a caso le cerimonie politiche e religiose, che si susseguivano con regolare scadenza durante l’anno, i rigidi protocolli che le regolavano, le sontuose e sorprendenti macchine effimere che venivano innalzate nei giorni di festa, rispondevano ad una nuova esigenza: separare i
8
INTRODUZIONE
luoghi della “politica” da quelli del “sacro”. Al Quirinale, fa notare nel suo articolato contributo Lucia Simonato, vennero sempre più riservati i momenti del governo “temporale” della città e dello Stato, vi si celebravano i riti profani, feste e giostre, mentre il Vaticano – palazzo apostolico, basilica e piazza – divenne sempre più il luogo delle cerimonie religiose, dall’incoronazione del nuovo pontefice al suo funerale, passando per le canonizzazioni dei nuovi santi e tutte le festività dell’anno liturgico. Il filo conduttore del nuovo stile che si andava definendo nei cerimoniali – fatti rivivere nel bel saggio di Martine Boiteux – nell’architettura, nelle arti figurative, nella musica e perfino nel disegno dei giardini era “il diverso” e “il sorprendente”: stupire con nuove invenzioni di forme, non procedere più solo per linee rette, ma per andamenti sinuosi, ellittici, curvilinei. La semplicità austera del Rinascimento viene sostituita dal virtuosismo, dall’illusione di spazi e forme che spesso non sono quello che sembrano. La pompa dell’apparato pontificio cresce a dismisura solo in parte temperata dal consumarsi della stoppa del sic transit gloria mundi. La basilica e la piazza sotto l’impronta di Maderno e poi di Bernini prendono la forma maestosa che ancora oggi stupisce il mondo: la grandiosa pianta a croce latina, in sostituzione di quella a croce greca prevista dal progetto michelangiolesco, la realizzazione berniniana del baldacchino bronzeo e del programma dogmatico della Cathedra Petri, connoteranno definitivamente la Basilica grazie ad imprese tecnicamente eclatanti e soluzioni artistiche di grande raffinatezza e novità. Nello stesso arco di tempo vennero portati a termine anche i lavori per un nuovo Palazzo Apostolico, la cui erezione ex novo era stata iniziata da Domenico Fontana, su incarico di Sisto V Peretti. Tra il 1596 e il 1601, regnante Clemente VIII Aldobrandini, la famosa sala delle udienze, detta Clementina, venne affrescata da Cherubino e Giovanni Alberti, i quali nell’illusionistica fuga di architetture dipinte rivelano una evidente lontananza non solo dal linguaggio della pittura romana di fine Cinquecento, ma anche da quanto i fratelli Carracci stavano realizzando nella galleria di Palazzo Farnese e il giovane Caravaggio si avviava a dipingere nella Cappella Cerasi di S. Maria del Popolo. Si devono, invece, sempre al Bernini gli interventi di maggiore “respiro” all’interno del Palazzo Apostolico come la Scala Regia e la Sala Ducale. Due ambienti molto diversi tra loro, ma emblematici della nuova temperie per i quali la genialità e la teatralità del maestro propongono soluzioni originali alle più diverse problematiche architettoniche. Sarà, infatti, un morbido e sontuoso
tendaggio retto da vivaci angioletti ad unificare i due ambienti contigui che danno luogo alla grandiosa Sala Ducale, e una estrosa invenzione prospettica darà la giusta spettacolare teatralità alla Scala Regia facendola diventare degno ingresso ufficiale alla residenza del Vicario di Cristo. Con larghezza ed altezza gradualmente decrescenti e con un intelligente dosaggio della luce naturale regolato da un ritmo gradualmente crescente delle aperture, il Bernini accentua nel visitatore l’impressione di una grande profondità spaziale, la Scala diventa monumentale, regia, superando illusionisticamente le reali dimensioni della rampa. Attraverso le parole di Alberta Campitelli, nel saggio dedicato all’architettura dei giardini, vediamo i grandi spazi intorno alle fabbriche fiorire di essenze locali ed esotiche. I viali e gli slarghi si popolano di fontane sempre più bizzarre e le forme delle siepi riecheggiano quelle dell’architettura in pietra e della scultura. Con-
temporaneamente la scienza dei botanici e dei naturalisti si accende di fantasia nel tentativo, ancora una volta, di superare la realtà con l’artificio. Interessantissimo, infine il saggio di Nicoletta Marconi, che investigando le tecniche costruttive del cantiere petrino ci illustra non solo la grande quantità e modernità delle macchine e della tecnologia applicate all’arte di costruire, ma ci spiega, in forma pragmatica, l’enorme diffusione dello stile che nel cantiere della basilica veniva definendosi. Architetti e maestranze, insieme, sperimentavano e osavano per superare limiti fino ad allora considerati invalicabili; alla scuola del Bernini e del Maderno si formavano carpentieri, scalpellini, capimastro che saranno i protagonisti della stagione esaltante del barocco romano e poi europeo. La tecnica fu messa al servizio dell’invenzione: le macchine erano preziose come le statue ed un buon muratore o un carpentiere di esperienza equivalevano a uno scultore di grido.
9
CAPITOLO PRIMO
IL CERIMONIALE
LA NECESSITÀ DELLA MAGNIFICENZA Martine Boiteux
1
Dopo l’ultimo torneo, svoltosi nel cortile del Belvedere nel 1565, le feste “profane” legate alla vita di corte e alla famiglia del papa non ebbero più luogo in Vaticano, ma nel suo palazzo di famiglia. Il carnevale con le sue corse, le mascherate e il teatro valicò così il Tevere. In Vaticano rimasero le cerimonie liturgiche e pontificie legate alla persona del papa e all’esercizio del potere del sovrano di uno Stato temporale e della Chiesa universale. Nelle cappelle e nelle sale del Vaticano, così come in piazza S. Pietro, nei rituali il religioso s’intrecciava con il politico e il diplomatico1. Il Concilio di Trento, conclusosi nel 1563, apre una nuova era. Il potere pontificio, riacquistata la propria centralità2, riprende autorità e prestigio ed esalta il ruolo internazionale della Santa Sede con tutti i mezzi possibili, specialmente quelli simbolici. Roma, come capitale religiosa, politica e diplomatica, è il luogo d’incontro e legittimazione delle monarchie europee in perenne concorrenza. Nel momento in cui Roma è caput mundi e “teatro del mondo” il cattolicesimo è tutt’altro che austero e le cerimonie in Vaticano sono modellate sulle grandi feste barocche3 in una città «où tout est cérémonie», come scriveva l’ambasciatore Abraham de Wicquefort4. Il cerimoniale e le esigenze di rappresentanza regolano tutta la vita del Vaticano, delle cappelle e della corte, quotidiana e straordinaria5. I cerimoniali esistono già dalla fine del Medioevo, e la normalizzazione del loro protocollo è un processo. Partendo dagli usi della pratica, si modella un’organizzazione ideologica con costanti aggiustamenti e di conseguenza il cerimoniale prende un nuovo significato secondo il contesto e le circostanze, in una normatività dinamicamente evolutiva. La corte di Roma, la prima d’Europa, codifica il cerimoniale e gli accorda una grande importanza con la creazione della funzione di
Maestro delle cerimonie6. Il cerimoniale romano, che costituì un modello per le corti europee, assume così un valore universale. I primi Cerimoniali vengono redatti alla fine del XV secolo7. Agostino Patrizi Piccolomini, per diciannove anni Maestro delle cerimonie, spiega le ragioni della compilazione, fatta a partire dalla sua lunga esperienza: l’incertezza e la confusione nell’esecuzione dei riti creava ambiguità nell’interpretazione, mentre d’altra parte si erano introdotti dei cambiamenti. Il suo Cerimoniale e quello dei suoi successori, Giovanni Burcardo (Johannes Burckardt) e Paride de’ Grassi, erano destinati a rimanere validi per anni, completati e aggiornati dai Diari dei Maestri delle cerimonie8. I Cerimoniali non distinguono tra liturgia della Chiesa e cerimonie di corte9. Nel 1563 Gregorio XIII mostra, con la creazione della Congregazione dei Cerimoniali, una politica di controllo e di normalizzazione in un momento di sviluppo della centralizzazione del riorganizzato potere pontificio10. La Congregazione viene riformata da Sisto V, che con la costituzione Immensa aeterni Dei crea il 22 gennaio 1588 la Congregatio pro sacris ritibus et caeremoniis. In seguito verrà istituito un dicastero autonomo per il cerimoniale, col compito di regolare le cerimonie di corte per le funzioni papali e cardinalizie. La distinzione non appare totalmente chiara, ma dimostra l’estensione dell’ambito del cerimoniale in rapporto all’ampliamento delle funzioni della corte-curia e del ruolo affidato alla rappresentazione. Ne è una ulteriore testimonianza l’attività di codificazione, che torna ad essere molto intensa all’inizio del Seicento in relazione alla politica pontificia particolarmente incisiva di Urbano VIII (1623-1644). La trattatistica sui riti, della liturgia e del cerimoniale riceve nuovo slancio nell’ultimo terzo del Settecento in rap-
11
VATICANO BAROCCO
porto all’evoluzione del potere pontificio e all’attenzione rivolta alla sacralità della persona del papa11. Se san Tommaso d’Aquino definiva il termine latino cæremonia come il segno esteriore di un’azione liturgica12, nell’età barocca il cerimoniale rappresenta la complessità del potere papale, temporale e spirituale insieme, e sottolinea la doppia dimensione della sovranità pontificia, superando l’ambiguità della figura del papa, vescovo di Roma e pontefice universale, monarca assoluto ed elettivo. Peter Burke ha sottolineato con chiarezza la dialettica sempre in gioco tra sacro e politico13. Le raffigurazioni, focalizzate specialmente sulle cerimonie pubbliche in basilica e in piazza S. Pietro, potrebbero peraltro indurre a sottovalutare le cerimonie di corte, che si svolgono anche nel palazzo. Seguendo uno stretto protocollo, il cerimoniale regola tutta la vita della corte pontificia, dal ritmo quotidiano al ciclo liturgico annuale e straordinario, agli eventi legati all’amministrazione dello Stato, ricorrenti ed eccezionali. Il cerimoniale liturgico s’intreccia con il cerimoniale di corte, ed entrambi s’accordano per far rispettare puntigliosamente le precedenze gerarchiche14. Le occasioni cerimoniali sono molteplici: feste del
12
1. Jacob van Swanenburgh (attr.), Processione papale in Piazza S. Pietro, olio su tela, 1628, Statens Museum for Kunst, KMS sp 366, Copenhagen.
calendario liturgico e cerimonie legate all’esercizio del potere, che per il sovrano pontefice, capo di uno Stato e della Chiesa universale, è doppio, religioso e civile15. Le fasi delle cerimonie sono fissate nelle immagini, incisioni e dipinti che fanno parte dell’apparato festivo e permangono a testimoniare quanto avvenuto. Il popolo è il necessario spettatore delle cerimonie. Il sovrano pontefice, grande regista, presiede le cerimonie, le cappelle religiose e le cerimonie secolari pubbliche. I protagonisti e gli invitati compongono il paesaggio festivo. Artisti e artigiani presentano progetti e sono scelti direttamente dal papa tra i maggiori del tempo. La preparazione della performance cerimoniale trasforma il Vaticano in un cantiere nel quale, sotto la direzione dell’architetto, lavorano falegnami, pittori, scultori, stuccatori, doratori, sarti, ricamatori, incisori… I molteplici strumenti cerimoniali determinano un cerimoniale complesso. I riti, fatti di gesti e di parole, si svolgono in un ambiente appositamente realizzato con apparati architettonici e decorazioni molto elaborati nelle forme, nei colori e nell’iconografia simbolica. La luce è un elemento fondamentale dell’architettura barocca, sia
2. Alessandro VII: immagine sintetica del regno con il pontefice al centro e vignette che raccontano i grandi eventi (Romani Pontificis Publicae et Solennes Actiones). G. Lauri, bulino e acquaforte, 1655, Biblioteca Apostolica Vaticana, Gabinetto delle stampe e dei disegni, Stampe II.288 (76).
durevole sia effimera; i ceri trasformano la notte in un eterno giorno e aprono lo spazio verso il Paradiso. La musica e i profumi sono gli altri elementi costitutivi della festa barocca. Il cerimoniale è un linguaggio sensibile, figurativo e politico, e ogni cerimonia è una composizione complessa, equilibrata e armoniosa. Senza pretesa di esaustività, seguiamo ora alcuni temi ed eventi, mettendo a confronto le diverse fonti, figurative e scritte. I testi dei Cerimoniali indicano in modo prescrittivo il rituale; i libri illustrati a stampa spiegano i programmi; i conti, le lettere, gli avvisi, i diari sottolineano il vissuto della cerimonie, e anche il mancato rispetto del protocollo, specialmente nel caso dei canonici della basilica di S. Pietro, molto attenti al cerimoniale16.
I RITUALI DELLA SOVRANITÀ PONTIFICIA I necessari riti di passaggio17 durante il periodo della Sede vacante18 determinano cerimonie legate alla persona del capo della Chiesa e dello Stato Pontificio. La sequenza è stabilita nel tempo e nello spazio. Le cerimonie
d’investitura del nuovo pontefice sono molteplici, così come lo è la sovranità papale. Questi rituali sono stati indagati dagli storici del Medioevo, che hanno dedicato speciale attenzione alla relazione tra la caducità della persona corporale del papa e la perennità del potere pontificio19, e in seguito dagli storici dell’età moderna. Gli storici dell’arte hanno preso in considerazione in particolare le forme, stilando inventari e cataloghi, mentre gli storici hanno piuttosto analizzato le liturgie e la sovranità politica del potere e delle pratiche della rappresentazione, seguendo in parte le ricerche pionieristiche dei cerimonialisti americani20 poi ridimensionate dagli storici francesi e italiani21. Il nuovo eletto dal conclave dei cardinali riuniti nella Cappella Sistina viene riconosciuto dai cardinali che gli rendono subito omaggio come nuovo capo della Chiesa. Rivestito degli abiti propri del suo nuovo status, scende poi in basilica, dove segue un percorso che lo conduce all’altare maggiore, sul quale siede per ricevere un ulteriore omaggio dei cardinali, rivolto al nuovo vicario di Cristo in questo luogo simbolico: sopra la Confessione, la sepoltura di san Pietro. Il papa, assumendo la succes-
13
2
VATICANO BAROCCO
sione di Pietro, è investito come vicario di Cristo della plenitudo potestatis. Qualche giorno dopo, l’incoronazione22, che si svolge all’esterno nello spazio antistante la basilica, è una cerimonia pubblica statica, con un rito di umiliazione che segna la rottura dello status del Papa, che abbandona la propria natura umana, che ritroverà solo dopo la morte. Al suo cospetto si esegue il rito della stoppa bruciata, allorché vengono pronunciate le tradizionali parole: “Sic transit gloria mundi”23. Simbolicamente si ricorda che il pontefice non è più un uomo comune, ma assume un potere che rinasce dalle sue ceneri; la sua maestà è provvisoria e la sua gloria è precaria. Il rito gioca sull’opposizione caducità-eternità. Un cardinale diacono gli impone infine la tiara pontificia. Il rituale, molto semplice, non è raffigurato frequentemente nell’epoca barocca dopo il grande affresco di Cesare Nebbia nel Salone Sistino, che registra le tappe rituali della vita di Sisto V (1585-1590). Qualche giorno dopo, in una data non casuale, il corteo del Possesso24 parte dal Vaticano per la sfilata che porta il Papa insieme a tutti gli altri partecipanti, distribuiti secondo le norme stabilite e il rispetto delle precedenze25, in un attraversamento, reale e simbolico, di Roma, a prendere possesso in Campidoglio del potere civile sulla città, e di quello religioso di vescovo di Roma
14
3. Nuova ed esatta pianta del conclave seguente la morte di Alessandro VIII, disegno di R.V.A. Gandere, incisione, 1691, Gabinetto Comunale delle stampe, Museo di Roma, GS 163, Roma.
nella basilica di S. Giovanni in Laterano. L’incoronazione insedia a livello globale l’universalità del potere del papa sulla Chiesa cattolica, e il Possesso rifonda e legittima a livello locale il potere del sovrano pontefice su Roma. I funerali del papa rappresentano un rito di chiusura che risponde all’investitura dell’inizio del regno. Dopo la morte, il camerlengo distrugge la matrice della bolla che reca il nome del papa, segnando la fine della sua autorità, e gli sfila dal dito l’anello del pescatore, consegnato ai cardinali che lo custodiscono per la durata del conclave, preservando il simbolo della continuità del potere pontificio. Il funerale è un rituale di spossesso, di mise à l’écart del corpo, della persona. Tutto il rituale si fonda su una doppia attitudine: dissociazione dall’autorità di sovrano e affermazione della continuità del potere. Il rituale presenta un significato insieme religioso e politico. Quasi sempre ormai il pontefice muore nel palazzo del Quirinale, sua residenza abituale26. Il corpo è imbalsamato e trasportato con un semplice corteo in Vaticano, dove nella Cappella Sistina viene rivestito dagli abiti pontifici. Dopo una breve pausa a palazzo per una prima esposizione, è portato in basilica, dove rimane esposto all’omaggio del popolo per tre giorni. Il rituale del lutto, i Novendiali (Novendiales), della durata appunto di nove giorni – tradizione forse ereditata dalla Roma antica attraverso la corte di Bisanzio
4a. Gian Lorenzo Bernini, Catafalco di Alessandro VII Chigi in S. Pietro, incisione, 1667, Biblioteca Apostolica Vaticana. 4b. Angelo Torrone, Catafalco di Innocenzo XI Odescalchi, incisore anonimo, 1689, Museo di Roma, Roma.
3
– doveva consentire ai cardinali di arrivare a Roma per partecipare al conclave. Nel terzo giorno il corpo scompare rinchiuso in tre casse nelle quali vengono deposte dalle sue “creature”, cioè i cardinali da lui creati, le medaglie coniate dal pontefice durante il suo regno. Il rituale prosegue in assenza del corpo, reso tuttavia presente27 da un castrum doloris, attestato per Sisto IV nel 1484 nel Diario di Burcardo28, che diviene un vero catafalco descritto in un avviso del 1565, malgrado il rifiuto della Congregazione dei Riti, a lungo reticente di fronte a questa usanza reputata pagana. L’architettura effimera diviene una maestosa costruzione di legno e tela di ampie dimensioni, progettata a partire della metà del Seicento dai maggiori architetti del tempo, illuminata da molte torce che mostrano la vittoria del giorno sulla notte e ne mettono in risalto la bellezza e ricca iconografia simbolica dipinta e scolpita in stucco29. Luce e musica costituiscono parte integrante dell’apparato scenografico e dello svolgimento del rituale. Il monumento assume l’eredità morfologica della pira antica, sulla quale si bruciava il cadavere dell’imperatore; eredità del mausoleo, specialmente quello di Augusto in Campo Marzio a Roma, e anche della rotonda del Santo Sepolcro di Gerusalemme, ripresa nel celebre tempietto di Bramante. Il suo significato è perciò molto complesso, e rievoca simbolicamente l’impero romano e il cristianesi-
4c. Mattia de’ Rossi, Catafalco eretto nella Basilica Vaticana per Alessandro VIII, incisione di Alessandro Specchi Ottoboni, edita da D. de’ Rossi, 1691, Museo di Roma, Roma.
mo, rappresentando il doppio potere del papa. Se per Innocenzo X il primo importante catafalco eretto in basilica è ancora pagato dalla famiglia del papa, dei successivi se ne occupa con maggiore spesa la Camera Apostolica. Per Alessandro VII nel 1667 Gian Lorenzo Bernini inaugura una nuova forma a piramide che avrà lunga fortuna, anche se talvolta ricompare la forma a tholos rotonda, semplice o complessa. L’ultimo giorno la messa dello Spirito Santo chiude il ciclo della Sede vacante e apre il conclave con la processione dei cardinali verso la Cappella Sistina. Lo Spirito Santo deve trasportare in cielo l’anima del papa defunto e ispirare nella loro scelta gli elettori. La continuità del potere pontificio è rappresentata dai cardinali, silenziosi e isolati dal mondo fino all’elezione del nuovo successore di Pietro.
NEL CICLO LITURGICO ANNUALE Natale è un momento di profonda devozione cristiana, e la liturgia sostenuta dalla musica inaugura l’anno all’interno di S. Pietro con una cerimonia di alta sensibilità spirituale. La processione serale del Giovedì Santo che termina a S. Pietro segna un momento forte della Settimana Santa. Tuttavia, la festa del ciclo liturgico dell’anno che determina lo svi-
15
4a 4c 4b
VATICANO BAROCCO
5
luppo di un sontuoso rituale pubblico, spesso raffigurato in immagini, è senz’altro quella del Corpus Domini, che conosce grande fortuna dopo il Concilio di Trento in concomitanza con lo sviluppo del culto del Ss. Sacramento. La festa del Corpus Domini, attestata sin dal Duecento, si sviluppa nel Trecento. Il giovedì dopo la Ss. Trinità, alla fine dell’ottava di Pentecoste, si celebra pubblicamente il culto del corpo di Cristo in una festa di primavera, con fiori e profumi. Processioni all’aperto si svolgono ovunque, ma quella in S. Pietro è la più sontuosa, in forma di processione che riunisce il corpo religioso e politico dello Stato Pontificio e della città di Roma, presente anche se in forma minore. La scenografia della fastosa festa esprime l’idea di una sovranità cristocentrica e liturgica nel linguaggio metaforico che costituisce la regalità occidentale30. Il papa accorda sempre una speciale attenzione alla celebrazione del Corpus Domini, grande festa attestata a Roma dal Quattrocento. La processione esce dal Palazzo Apostolico e il suo percorso definisce uno spazio31, quello del Vaticano all’interno della città di Roma, luogo del sovrano pontefice e della sua corte. Nell’epoca barocca, piazza S. Pietro simboleggia il Vaticano ed è attraversata con un percorso rituale. Fino alla costruzione del colonnato del Bernini, iniziato nel 1656, l’itinerario è materializzato da un colonnato effimero; ciò marca un limite, una frontiera sottolineata dall’apparato e dal rituale. Tradizionalmente la parte destra della piazza, verso il palazzo, era ornata, su ordine del camerlengo, dai celebri arazzi di Raffaello,
16
5. Processione del Corpus Domini, metà XVII secolo, olio su tela, Museo di Roma, Palazzo Braschi, MR 4216, Roma.
mentre la parte sinistra, verso il Campo Santo, su disposizione dell’arciprete di S. Pietro. Il corteo32 era composto dal clero della basilica, dai prelati, dai curiali, dagli ufficiali della corte e della città, dai nobili: il corpo religioso, sociale e politico dello Stato pontificio era presente secondo l’ordine gerarchico stabilito dal rango33, e, nonostante la competitività e le frequenti contese, con un rispetto puntiglioso delle precedenze34, sotto il controllo dal Maestro delle cerimonie, che annotava gli assenti e i malati, perché la partecipazione era un obbligo e l’assenza determinava una pena pecuniaria. Il papa, principale protagonista della cerimonia, stava sulla sedia gestatoria portata dai palafrenieri; reggere il baldacchino sacrale che lo proteggeva era invece un privilegio riservato ai nobili. Il papa, inginocchiato, teneva nelle mani il Ss. Sacramento. Il pontefice, secondo il suo desiderio, poteva indossare la tiara o più spesso stare a capo nudo; in questo caso le preziose tiare venivano esibite e portate processionalmente: i simboli della regalità dovevano essere presenti e ben visibili. Il papa accordava un’attenzione minuta agli oggetti rituali, come le corone, l’ostensorio con l’ostia consacrata, il baldacchino sacrale, e al suo modo di presentarsi. Nel 1654 Bernini creò per Alessandro VII una macchina spettacolare: su un alto talamo, portato dai palafrenieri, era un faldistorio che faceva apparire il papa in piedi, poggiato sullo sgabello davanti a lui e sul quale era posato l’ostensorio con il Ss. Sacramento35. Il papa assume ormai un atteggiamento
6. Arrivo di una personalità sulla piazza San Pietro al tempo di Innocenzo XII Pignatelli, fine XVII secolo, olio su tela, Museo di Roma, MR 4119, Roma.
devoto adatto al vicario di Cristo, e maestoso in quanto sovrano pontefice. Nella Controriforma il culto del Ss. Sacramento conosce un ampio sviluppo in relazione alla creazione di numerose compagnie del Ss. Sacramento; a Roma all’inizio del Settecento saranno ventidue36. Il carattere urbano della festività è dato dalle processioni organizzate dalle compagnie, e specialmente dalla Confraternita del Ss. Sacramento di S. Maria sopra Minerva, mentre la processione di S. Pietro è una festa curiale simbolo di sovranità. Gli ufficiali del Comune rivendicano la loro presenza, ma sono protagonisti attivi piuttosto nella festa civica della confraternita di san Marco. L’antica opposizione tra corte-curia e clero della basilica, sempre pronta a rinascere, è risolta con la creazione da parte di Paolo III nel 1548 della confraternita, elevata ad arciconfraternita da Gregorio XIII, del Ss. Sacramento formata dai canonici del Capitolo della basilica e dai familiares del papa. Questa compagnia organizzava una propria festa: dopo la processione esterna del papa, all’interno i confratelli facevano una processione con il Ss. Sacramento intorno alla Confessione e cantavano una messa solenne37. Durante l’epoca barocca la celebrazione del Corpus Domini costituiva una grande festa liturgica e politica, militante contro il protestantesimo, e come tale determinava numerose rappresentazioni, in dipinti e incisioni, e serviva da modello per le processioni delle monarchie europee. Nel Settecento la festa diventa, in città, un incontro più
IL CERIMONIALE. LA NECESSITÀ DELLA MAGNIFICENZA
mondano che religioso, mentre in Vaticano la processione sotto il colonnato perde la sua valenza politica, conosce una disaffezione e diviene una devozione al Ss. Sacramento e un atto d’omaggio alla sacralità della persona del papa.
L’ESERCIZIO DEL POTERE MONARCHICO La benedizione papale è un atto religioso e politico che si svolge a cadenza regolare. Impartita in precedenza dalla loggia del palazzo del Laterano, dal momento del trasferimento della residenza in Vaticano è invece data dalla loggia della basilica di S. Pietro. L’arrivo a Roma di nuovi cardinali giunti per prendere il cappello suscitava sempre una grande animazione: un corteo ufficiale lo accompagnava nell’Ingresso, si addobbavano le case delle famiglie amiche e il palazzo del nuovo cardinale, che la sera offriva i fuochi d’artificio38. Intanto era ricevuto dal papa che gli rimetteva il cappello. Questi importanti momenti per il cardinale e la sua famiglia sono spesso rappresentati; un dipinto del Museo di Roma potrebbe ad esempio testimoniare l’arrivo di un tale personaggio in piazza S. Pietro e altri, nello stesso museo, testimoniano del rituale d’investitura e del suo uso politico. Nel 1571 Marco Antonio Colonna, vincitore di Lepanto, ricevette l’omaggio di un trionfo39 voluto dal potere pontificio. Le autorità politiche e amministrative della città organizzarono la cerimonia d’Ingresso, che si concluse in
17
6
VATICANO BAROCCO
Vaticano. In piazza S. Pietro i soldati gli resero omaggio sparando rumorosamente a salve. Colonna entrò nella corte del palazzo, scese da cavallo e venne accolto dal patriarca di Gerusalemme in basilica, dove ascoltò il Te Deum prima di essere ricevuto, secondo quanto era tradizionalmente riservato ai personaggi importanti, nella sala Regia da papa Pio V in concistoro. Cristina di Svezia, ancora sovrana nonostante l’abdicazione, e grande convertita al cattolicesimo, arrivò a Roma nel dicembre 1655. Alessandro VII Chigi inviò i cardinali, con cavalli e una splendida carrozza, per accoglierla a Porta del Popolo e accompagnarla in grande pompa, come testimoniato da diverse stampe. Il fastoso corteo la condusse in Vaticano, dove venne ricevuta dal papa che la ospitò per alcuni giorni nella Torre dei Venti, onore riservato a pochissime persone. Cristina ricevette un altro onore, concesso a sole altre due donne, Matilde di Canossa e Maria Clementina Sobieski Stuart: la sepoltura in S. Pietro. In effetti, nel
18
7. La presentazione della Chinea nella basilica di San Pietro, olio su tela, fine XVII secolo, Museo di Roma, MR 4120, Roma.
1689, dopo il funerale di Stato voluto dal papa in S. Maria in Vallicella, venne trasportata con un impressionante corteo in S. Pietro per un secondo funerale; poi il corpo fu trasferito nelle Grotte Vaticane, presso le sepolture dei papi. Nel 1702 un monumento funebre venne eretto da Carlo Fontana all’interno della basilica40. Le udienze degli ambasciatori dei Paesi stranieri costituiscono parte delle incombenze di un capo di Stato e seguono un protocollo preciso. La prima visita, quando l’ambasciatore faceva il suo Ingresso ufficiale con un fastoso corteo, determinava spesso la produzione di immagini, stampe e dipinti, e la pubblicazione di libretti illustrati. Un ambasciatore straordinario, deputato per l’occasione, presentava la Chinea, una cavalla bianca che recava il vaso con il tributo del regno di Napoli dovuto in segno di vassallaggio, dal Medioevo pagato dal re di Spagna. La presentazione della Chinea avveniva alla vigilia della grande festività romana dei santi Pietro e
8. Giovanni Paolo Pannini, Arrivo di Carlo III, re delle Due Sicilie a San Pietro, olio su tela, 1748, Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli.
7
Paolo, il 28 giugno, occasione della consegna dei censi dovuti al papa dagli Stati soggetti41. Nel Seicento la Chinea entrava in basilica e s’inginocchiava davanti al papa seduto sulla sedia gestatoria. Affermazione della supremazia del potere del sovrano pontefice, il rito illustra come tali cerimonie autocelebrative fossero sfruttate come strumento di comunicazione da parte del papa e del re di Spagna, che così affermava la sua presenza e importanza. Non mancavano lotte feroci per il rispetto delle precedenze, e le grandi famiglie, in primo luogo i Colonna e gli Orsini, erano molto attente nel rivendicare il rispetto del loro diritto di principi del soglio. Colonna non esitò ad imporsi nel rango che stimava dovesse essere il suo nella cerimonia, come grande connestabile. Atti particolarmente aggressivi sono testimoniati in città a difesa del posto nel corteo, ma non in Vaticano, luogo deputato alla diffusione della propaganda di un clima di consenso.
IL CERIMONIALE. LA NECESSITÀ DELLA MAGNIFICENZA
La cerimonia ufficiale in Vaticano era accompagnata in città da feste con fuochi d’artificio offerti nel Seicento dall’ambasciatore spagnolo e poi dal connestabile Colonna fino alla fine del Settecento42. La consegna verrà fatta dalla fine del Seicento sempre dal principe Colonna nella Sala Regia, luogo deputato alle grandi udienze politiche degli ambasciatori. La cerimonia si trasforma nel Settecento in un atto politico imposto al regno di Napoli per legittimarlo; nel 1748, Carlo III insediato da solo qualche anno come re delle Due Sicilie, fa una visita ufficiale al papa in S. Pietro, ma non per la consegna della chinea. Alla fine del secolo si libererà della forma pubblica per giungere al riscatto quando verrà finanziata col dono di 10.000 scudi la costruzione della colonna dell’Immacolata Concezione nel 1855. Alcune cerimonie straordinarie, di cadenza regolare o occasionali, ritmano la vita del Vaticano. Ogni venticinque anni l’apertura della Porta Santa, il 25 dicembre,
19
8
VATICANO BAROCCO
segna l’inizio dell’Anno Santo, il Giubileo della Chiesa iniziato da Bonifacio VIII e sempre difeso contro i protestanti. Il papa apre la porta murata con un martello d’oro. Urbano VIII, attento nel riformare i rituali, voleva che fossero utilizzate le due chiavi pontificie43. Tale atto rituale è un momento forte del cerimoniale, significando l’apertura di un tempo nuovo ritualizzato, con l’accoglienza di numerosi pellegrini che devono essere necessariamente controllati e guidati nelle peregrinazioni devozionali in
20
IL CERIMONIALE. LA NECESSITÀ DELLA MAGNIFICENZA
9. Giovanni Paolo Pannini, Apertura della Porta Santa per il Giubileo del 1750, penna e acquerello su carta, 1750, Museo di Roma, GS 900, Gabinetto Comunale delle stampe, Roma.
tempi e luoghi specifici, il più delle volte fuori dal Vaticano. La Porta Santa aperta in S. Pietro avvia l’apertura delle basiliche al popolo di Dio, simbolo dell’accoglienza e invito alla devozione dei fedeli; la Chiesa militante apre la porta del Cielo e dell’eternità. Le canonizzazioni, per il loro significato universale che determina l’importanza del rituale e dell’apparato appositamente realizzato, costituiscono le cerimonie più significative44. Dopo un lungo processo condotto dalla
9
Congregazione dei Riti, la bolla di canonizzazione, atto pontificio, fissa il giorno della festa del nuovo santo, le modalità del suo culto e l’iconografia che verrà rivelata il giorno della canonizzazione sullo stendardo del santo. Le regole si complicano con le riforme di Urbano VIII, che miravano a combattere la moltiplicazione delle devozioni più o meno private e locali. Le tappe necessarie per accedere alla santità sono definite dalla beatificazione alla canonizzazione, e le rispettive cerimonie costituiscono
ormai eventi separati; tuttavia i loro riti sono quasi identici. Si tratta infatti di sviluppare e controllare il culto dei santi in quella che si definisce la “fabbrica dei santi”. Si contano nel Seicento una trentina di canonizzazioni ed altrettante nel Settecento45. La cerimonia di canonizzazione è l’atto di proclamazione di un nuovo culto universale con parole, gesti e immagini. La cerimonia crea il santo secondo un rituale preciso. La magnificenza è necessaria per marcare l’importanza dell’evento, che si spiega nel contesto politico e culturale dell’epoca. La strategia di comunicazione nell’ambiente della sensibilità barocca si fonda sulla rappresentazione, e l’arte ne è un elemento costitutivo: scenografia, apparati effimeri, dipinti e scolpiti, luci, musica e profumi sono un’esplosione di bellezza e sontuosità. Il fasto e la magnificenza sono necessari per onorare Dio, il papa, i promotori della causa e il loro paese, e il santo, e per trasportare dalla materialità quotidiana della terra al sublime spirituale. Queste cerimonie assumono un più deciso aspetto di festa dopo il Concilio di Trento, costituendo anche uno strumento per segnare la differenza con il protestantesimo contro il quale si è in aperta lotta46. La data cade sempre di domenica, o nel giorno di una festa liturgica o di un anniversario legato al papa regnante, e il luogo è sempre S. Pietro nel Seicento e una sola volta San Giovanni in Laterano nel Settecento. L’apparato in basilica è necessariamente magnifico, e costoso per i postulatori che pagano anche i numerosi quadri per la cerimonia e per i molti doni da fare secondo il protocollo, e che determinano una produzione seriale47. Per lo spagnolo Diego di Alcalá il grande rituale moderno48 inizia nel 1588, anno della creazione della Congregazione dei Riti. Un affresco di Cesare Conti nel palazzo Vaticano testimonia lo sviluppo del rito e l’aspetto della antica basilica trasformata dagli apparati, nella quale cancellate separano protagonisti e invitati dal popolo. Due momenti importanti, ricordati in due affreschi dipinti vis-à-vis da Giovanni Battista Ricci nella galleria Borghese del Palazzo Vaticano, sono rappresentati dalle canonizzazioni di santa Francesca Romana, patrona di Roma, nel 1608, e di san Carlo Borromeo nel 1610. Per quest’ultimo la facciata della basilica venne totalmente coperta da una facciata posticcia che rappresentava tutti i santi e gli arcivescovi di Milano; la città del santo veniva così presentata come rivale di Roma. Si tratta peraltro di un caso unico, spiegabile con l’importanza di Carlo Borromeo, e anche perché i lavori della facciata non
21
10a 10b 10c
VATICANO BAROCCO
IL CERIMONIALE. LA NECESSITร DELLA MAGNIFICENZA
10a. Cesare Conti (attr.), Canonizzazione di Diego di Alcalรก, 1588, affresco, Biblioteca Apostolica Vaticana, Libreria segreta, prima stanza.
22
23
VATICANO BAROCCO
11
erano stati ancora terminati da Maderno. Altre volte era applicata sulla facciata solo l’immagine del santo, o dei santi, perché le canonizzazioni erano spesso collettive, oltre alle armi del pontefice. A partire dal 160849 un vero e proprio teatro era eretto sul fondo della basilica per nascondere i lavori in corso, ma anche e forse soprattutto per creare, materialmente e simbolicamente, il luogo sacrale del rito, un paradiso terrestre che anticipava quello celeste al quale accedeva il nuovo santo. Questi teatri erano realizzati da grandi architetti, mentre immagini commemorative e memoriali utili per la diffusione dell’evento erano incise da celebri incisori: G. Rainaldi nel 1608 e 1610; G. Maggi, P. Guidotti e M. Greuter nel 1622 per cinque santi, Isidoro, Teresa d’Avila, Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Francesco
24
10c. Giovanni Battista Ricci, Canonizzazione di San Carlo Borromeo, affresco, 1610, Galleria Borghese, Palazzo Apostolico Vaticano.
10b. Giovanni Battista Ricci, Canonizzazione di Santa Francesca Romana, affresco, 1608, Galleria Borghese, Palazzo Apostolico Vaticano.
Saverio; come architetto e scenografo Bernini, durante la realizzazione del baldacchino, lavora nel 1625 per la regina Elisabetta del Portogallo, e nel 1629 per Andrea Corsini, con Giovanni Paolo Schor, e ancora nel 1658 per Tommaso di Villanuova. Il modello illusionistico di Bernini del 1629 era il più elaborato: circondando i protagonisti l’architettura effimera definiva il limite del luogo, e sperimentava in anticipo lo schema del colonnato della piazza, iniziato nel 1656. La basilica era illuminata a giorno, e tutta la navata era parata con quadri e medaglioni che evocavano la vita e i miracoli del santo. Lo stendardo del santo, appeso al centro del teatro, dominava la cerimonia e le attribuiva senso, rivelando l’immagine ufficiale del santo per il culto ormai divenuto universale.
12
Gli attori del rito prendevano posto nel teatro appositamente costruito, luogo di scambio tra i presenti, tra l’Uomo e il Cielo; protagonisti e spettatori di rango partecipavano alla rappresentazione; erano presenti le autorità municipali e gli ambasciatori dei paesi di origine dei santi, ma anche quelli importanti nella congiuntura politica; gli ospiti d’eccezione erano trattati con modalità particolari, come nel caso della regina Cristina, per la quale venne costruito un trono con baldacchino per accoglierla in occasione della canonizzazione del 1669. Il popolo era ammesso, ma relegato in secondo piano, anche se non più dietro le cancellate, quando nella seconda metà del Seicento lo spazio non sarà più aperto in basilica, come si vede ormai sulle immagini della cerimonia, a partire da quella per san Francesco
IL CERIMONIALE. LA NECESSITÀ DELLA MAGNIFICENZA
di Sales nel 1665; la presenza del pubblico era d’altra parte necessaria a testimonianza dell’evento. Ogni canonizzazione suscitava la pubblicazione di un libretto illustrato che veniva distribuito durante la cerimonia. Il papa, sempre presente, arrivava sulla sedia gestatoria, accolto dai canonici di S. Pietro all’ingresso della basilica, dove entrava accompagnato dallo stendardo del santo. Si sedeva sul trono predisposto nel teatro, sotto il baldacchino realizzato apposta per l’occasione, nella pienezza del suo potere apostolico. Un avvocato parlava a nome dei postulatori della causa, supplicando umilmente per tre volte il papa di iscrivere il beato nel registro dei santi. Canti e orazioni s’intercalavano tra le richieste. Alla terza istanza il papa, che implorava Dio d’illuminarlo, consentiva, pronunciando la formula cano-
25
13
VATICANO BAROCCO
nica. L’avvocato ringraziava e chiedeva al papa di ordinare ai protonotari apostolici di preparare l’atto autentico della canonizzazione. Il papa accettava immediatamente e cantava il Te Deum. Tutte le campane di Roma suonavano e i cannoni di Castel Sant’Angelo facevano sentire il loro rombo. Il papa recitava l’orazione del nuovo santo e dopo la solenne benedizione riceveva i doni preparati, raffigurati nelle immagini. Essi erano rituali e simbolici: il pane e il vino dell’Eucarestia, i ceri per illuminare la fede e la Chiesa, e tre gabbie con gli uccelli per lo Spirito Santo. La cerimonia costituiva un rito di passaggio50 che si svolgeva in un luogo sacro per l’esaltazione del santo e del potere pontificio, con una liturgia insieme religiosa e politica. Al centro della cerimonia era il papa, che presiedeva il rituale in un teatro costruito da artisti da lui scelti, per far conoscere una decisione da lui assunta e
26
11. Paolo Guidotti (architetto), Matthäus Greuter (incisore), Theatrum in Ecclesia S. Petri…: teatro della canonizzazione dei Cinque Santi, stampa edita da G. Giacomo de’ Rossi alla Pace, dedicata al cardinale Agostino Chigi, 1622, Museo di Roma, Roma.
13. Giovanni Battista Falda (disegno), Prospetto del teatro in San Pietro per la canonizzazione di San Francesco di Sales, stampa di G. Giacomo de’ Rossi, 1665, Museo di Roma, GS 106, Roma.
comunicata al mondo. Qualche giorno dopo si svolgeva un altro rito che chiudeva la cerimonia di canonizzazione in S. Pietro: la consegna degli stendardi che tornavano ai postulatori. La cerimonia era condotta dai canonici di S. Pietro, che conservavano almeno uno degli stendardi e presiedevano al rito di sacralizzazione davanti all’altare maggiore di questo strumento fondamentale nel rituale della canonizzazione, perché diffondeva l’immagine ufficiale del santo divenendo un oggetto rituale di devozione che rendeva presente il santo.
LA LUNGA DURATA DEL CERIMONIALE NEL VATICANO BAROCCO 12. Giovanni Battista Falda, Alzata del teatro per la canonizzazione di Pietro di Alcantara e Maria Maddalena de’ Pazzi con la presenza di Cristina di Svezia, incisione, 1669, Biblioteca Apostolica Vaticana.
Alla fine del Seicento l’ambiente culturale e politico mutò e i contemporanei se ne avvidero. I conflitti per
IL CERIMONIALE. LA NECESSITÀ DELLA MAGNIFICENZA
la precedenza e un certo formalismo fecero sì, alla fine del Settecento, che le cerimonie divenissero sempre più una celebrazione della maestà del papa e della sacralità della sua persona. Se il significato allegorico e simbolico subiva una trasformazione, tuttavia durante tutto il periodo barocco i grandi eventi dei riti tradizionali conservarono la medesima magnificenza. Il cerimoniale del Vaticano barocco, celebrazione di propaganda della Chiesa e del potere pontificio, contribuì alla costruzione e alla diffusione della cultura della festa barocca, che puntava allo stupore provocato dalle meraviglie create, coinvolgendo tutti i sensi per sedurre e convincere. Tra liturgia e politica agiva la mediazione dell’arte e della festa che si esprimeva con un linguaggio figurativo fortemente simbolico51.
27
VATICANO BAROCCO
CAPITOLO SECONDO
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO Gerhard Wiedmann
La vecchia basilica di S. Pietro fondata da Costantino è ancora in piedi quando nel 1506 papa Giulio II pone la prima pietra della nuova chiesa, che secondo il progetto di Bramante sarebbe dovuta divenire il maggiore tempio della Cristianità: un monumento che costituisce, con le sue ben stabilite proporzioni, l’espressione perfetta del Rinascimento. Vari eventi storici, tra cui in primo luogo il Sacco di Roma del 1527, ma anche questioni di natura pratica e artistica, nonché la discussione sull’opportunità di sviluppare la chiesa in forma di croce greca o latina, ne rallentarono il rapido completamento, al quale parteciparono molti artisti famosi, da Raffaello ad Antonio da Sangallo. L’ulteriore, fondamentale, evento della Riforma di Lutero – non a caso motivata anche dai lavori per il nuovo S. Pietro – mise in discussione la legittimità del papa come successore dell’apostolo Pietro. Da ciò ha tratto origine il forte richiamo della Chiesa di Roma alla tradizione petriana. Alla conclusione dei lavori della cupola sotto Sisto V, nell’iscrizione in lettere capitali ben visibile all’interno del tamburo della cupola («TV ES PETRVS ET SVPER HANC PETRAM ECCLESIAM MEAM AEDIFICABO ET TIBI DABO CLAVES REGNI CAELORUM», secondo Matt. 16,18) si espresse la certezza che erano state le parole di Cristo a fondare con Pietro la sua Chiesa. Il tema verrà raffigurato in seguito anche nel rilievo al disopra dell’ingresso della basilica. L’intero programma iconografico seguirà tale filone, culminando nella Cathedra Petri nel fondo della Tribuna, dove si conserva quello che secondo la tradizione era il trono di Pietro. Con la chiamata nel 1547 di Michelangelo da parte di Paolo III Farnese i lavori, dopo quarant’anni, poterono riprendere e assumere, grazie alle decisioni dell’artista, una nuova forma. Di Michelangelo è il progetto della cupola, realizzata dopo la sua morte, nel 1564, da Giacomo Della Porta. Chiusa la cupola sotto Sisto V, il sacro monumento eretto sulla
28
tomba dell’apostolo non era però ancora concluso. Si era comunque realizzato un primo nucleo dal quale avrebbe avuto inizio una nuova era. Alcuni ritengono che il 18 novembre 1593 – giorno nel quale papa Innocenzo VIII issò la croce dorata, il «signum salutare», sul colmo della lanterna – rappresenti la data di nascita del Barocco1. Anche volendola spostare più in là, l’evento segna effettivamente uno spartiacque nella storia dell’arte. Michelangelo aveva immaginato l’interno della grande chiesa come una forma architettonica pura, del tutto priva di decorazione. Di conseguenza per lungo tempo non si elaborò alcun programma iconografico per il suo complemento figurativo. Alla fine del ’500, mutati i tempi e maturata una concezione dell’immagine intesa come portatrice di messaggi e di significati interiori, la decorazione musiva divenne immediatamente parte della nuova chiesa sulla base di un preciso programma iconografico. Sono probabilmente due le occasioni decisive per i successivi sviluppi della basilica. Nel 1580 Gregorio XIII benedice la cappella del lato nord-orientale della crociera. Si tratta della prima cappella conclusa e aperta al culto (vi verrà conservato il Ss. Sacramento), che avrebbe costituito il modello per la decorazione a intarsio di preziosi marmi policromi. Un altro fatto determinante per il procedere dei lavori è la decisione, nel settembre 1605 sotto il pontificato di Paolo V, di abbattere gli ultimi resti della basilica costantiniana2, sopravvissuta sino a quel momento con la navata separata solo da un muro divisorio dalla nuova chiesa michelangiolesca. Quasi tutte le funzioni liturgiche si svolgevano ancora nell’antica basilica, a eccezione di qualche messa papale celebrata sul vecchio altare maggiore sopra la tomba di Pietro; e forse ci si era anche un poco abituati alla coesistenza del vecchio e del nuovo S. Pietro. Con la demolizione si aprì la strada per la costruzione della basilica
29
Alla pagina precedente: 1. Pianta dell’antica basilica di S. Pietro, incisione di Natale Bonifacio secondo Tiberio Alfarano, 1590.
2, 3
su pianta a croce latina, conclusa nel 1612 dalla facciata di Carlo Maderno. Mutati i gusti, a distanza di più di cent’anni, e superato coll’inizio del nuovo secolo il Rinascimento, S. Pietro divenne il monumento per eccellenza del Barocco e, per la sua rilevanza mondiale, un modello di stile non solo per l’arte religiosa. Un’ideale combinazione di fattori ha favorito lo sviluppo dello stile. In primo luogo, nel corso di tutto il Seicento, la volontà e la capacità di alcuni papi – soprattutto dopo Paolo V, Urbano VIII e Alessandro VII – che con particolare gusto e senso artistico, uniti a grande spirito teologico, portarono a compimento la decorazione dell’interno e diedero forma organica alla piazza antistante la basilica. L’impostazione iconografica seguì un programma dogmatico culminante nella Cathedra Petri, mentre di rado emerse una dimensione iconografica storica, ad eccezione di Innocenzo X, che trascurò la coerenza teologica in senso spirituale. La seconda
30
4. Taddeo Landini, Lavanda dei piedi (insieme della parete), Roma, Palazzo del Quirinale, Sala Regia.
2. Carlo Fontana, pianta con progetto di prolungamento, da Templum Vaticanum, 1694, p. 421.
5. Taddeo Landini, Lavanda dei piedi, Roma, Palazzo del Quirinale, Sala Regia.
3. Carlo Fontana, colonnato, veduta ortogonale, da Templum Vaticanum, 1694, p. 223.
alter ego. Tra il 1647 e il 1649 alla decorazione plastica delle cappelle maggiori lavorarono contemporaneamente più di quaranta scultori. Questa imponente attività era affiancata – come ancora oggi accade – dalla Reverenda Fabbrica di S. Pietro, fondata nel 1571, che insieme a un collegio di cardinali amministrava i mezzi economici, procurava i materiali (in particolare il marmo e il bronzo) e interveniva nelle scelte pratiche, vale a dire nel reclutamento dei collaboratori. Francesco Borromini lavorò in questa squadra di artisti senza potere esprimere le sue qualità di architetto (partecipò così alla realizzazione del baldacchino), ma dai documenti risulta essere stato soprattutto uno scalpellino e un modellatore di cancellate. Si è voluto spesso vedere in lui, architetto, una sorta di alter ego di Bernini scultore, inesperto di questioni di statica, adducendo il noto esempio del campanile della facciata, che si dovette alla fine demolire (1641) essendone compromessa la stabilità strutturale. Alla morte di Bernini, nel 1680, la basilica aveva raggiunto, all’interno come all’esterno, la forma attuale. Alcuni dei suoi allievi (Matthia de’ Rossi, Carlo Fontana) ne proseguirono come eredi, in continuità stilistica, i lavori sino alla loro conclusione. È per questo motivo che, nonostante i cento e più anni trascorsi, l’insieme risulta così armonioso. Intorno al 1690 si avvertì però che un’epoca si era conclusa, come confermano alcune pubblicazioni dalle quali emerge la consapevolezza del raggiungimento di un punto di arrivo (Costaguti 1684; Fontana 1694; Bonanni 1696). Il secolo successivo verrà utilizzato per perfezionare la magnificenza dell’interno. Le decorazioni delle vele con le Virtù e le statue dei santi fondatori degli ordini religiosi ne costituiranno gli incrementi più significativi. Insieme alle tombe papali, tali integrazioni sono proseguite sino a oggi, come nel caso delle statue dei santi nelle nicchie all’esterno. componente dello sviluppo artistico del nuovo S. Pietro è costituita dalla presenza di Gian Lorenzo Bernini. A partire dal pontificato di Paolo V Borghese, che in lui vedeva il «Michelangelo del suo tempo», Bernini dedicò tutta la vita ai lavori in basilica. Nominato nel 1629, dopo la morte di Carlo Maderno, architetto della Fabbrica, già dal 1624 con l’ascesa di Urbano VIII fu effettivamente responsabile di tutto quanto vi si realizzava. Non fu solo il suo estro artistico a consentire tali raggiungimenti, quanto soprattutto la sua capacità di organizzazione dei lavori, imprese di squadra che portarono alla formazione di una bottega con artisti divenuti quasi degli
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
6-9
La Cappella Gregoriana Non si era ancora conclusa la costruzione della cupola michelangiolesca quando il cardinale Ugo Boncompagni, il 13 maggio 1572, venne eletto papa col nome di Gregorio XIII. Sin da subito si dedicò al completamento della cappella d’angolo del lato nord-orientale, la prima cappella conclusa del nuovo S. Pietro, che per molti aspetti svolse il ruolo di prototipo decisivo per i successivi sviluppi decorativi. Pare che già nel 1571 Pio V avesse dato forma a questa e alle altre tre cappelle facendone gettare le fondamenta3. La decisione di Gregorio XIII di completarla subito va probabilmente valutata nell’ambito
degli interessi personali del papa, sia per la prossimità al Palazzo Apostolico sia per la collocazione presso il muro divisorio della vecchia basilica costantiniana. Potrebbe esserci però anche una ragione più profonda, come dimostrano le scelte iconografiche. La cappella è costituita da un vano a cupola, chiusa da Giacomo Della Porta nel gennaio 1578, e da due passaggi voltati a botte, facenti parte dell’ambulacro, con due altari. Già nel mese successivo vi si poteva trasferire dal vecchio S. Pietro l’immagine della Madonna del Soccorso4, già collocata alle spalle del muro divisorio, dove si apriva una porta di passaggio5. La cappella assunse il patrocinio di Maria e da quel momento venne chiamata Cappella Gregoriana. L’ambiente, ancora completamente spoglio, fu decorato con marmi misti e mosaici secondo il progetto di Girolamo Muziano6. Della Porta vi introdusse il marmo africano, che diverrà determinante per la decorazione della
31
VATICANO BAROCCO
VATICANO BAROCCO
6. Cappella di Gregorio XIII, stemma sul pavimento. 7. Cappella di Gregorio XIII, altare con la Madonna del Soccorso. 8. Cappella di Gregorio XIII, veduta dall’esterno. A fronte: 9. Cappella di Gregorio XIII, l’altare.
crociera. Gli antichi marmi preziosi provenivano, come spolia, dal tempio di Romolo nel Foro Romano, da Castel S. Angelo e dalle Terme di Caracalla. Sono documentate anche provenienze di materiali da piazza Navona e dal sarcofago di santa Petronilla, già nel vecchio S. Pietro. Nel 1578 Taddeo Landini, collaboratore di Della Porta, iniziò a scolpire la scena con la Lavanda dei piedi, inserita due anni dopo sopra la porta della cappella. Rimossa nel 1615, fu trasferita al Quirinale, dove si trova tuttora (Sala Regia). Appena collocata la Madonna del Soccorso, papa Grego-
32
4, 5
33
VATICANO BAROCCO
A fronte: 10. Carlo Fontana, Confessione, da Templum Vaticanum, 1694.
Alle pagine seguenti: 12. Confessione, veduta generale.
11. Raffaello, Donazione di Costantino (con il presbiterio dell’antica basilica di S. Pietro), Musei Vaticani, Sala di Costantino.
13. Confessione, veduta dall’alto.
rio, messosi alla ricerca di reliquie per la cappella, inviò il cardinale Morone al convento romano di Santa Maria in Campo Marzio per prelevare i resti mortali di san Gregorio Nazianzeno. Il trasferimento dovette essere però rimandato, come comunicato ufficialmente, a causa del cattivo tempo. In previsione di un trasferimento spettacolare e trionfale, come sarebbe effettivamente avvenuto due anni dopo, la cappella avrebbe dovuto presentarsi con un aspetto magnifico. Non a caso il trasferimento, accompagnato da una grande festa, durò una settimana. La consacrazione della cappella ebbe luogo l’11 giugno 1580. Gregorio Nazianzeno era, come il papa, un giurista, era Dottore della Chiesa e portava il suo stesso nome. Non fu però il santo della Cappadocia a ispirare il papa nella scelta del nome, ma, come confermano le notizie dei maestri delle cerimonie, Gregorio Magno, il grande Padre della Chiesa. Spetta sicuramente al portoghese Aquiles Estaço, amico di san Filippo Neri, aver attirato l’attenzione sui padri greci sepolti a Roma, che riteneva non godessero di una sufficiente accessibilità da parte dei fedeli, come d’altra parte gli stessi san Gregorio e san Giovanni Crisostomo, sepolto in S. Pietro. Un altro oratoriano e storico della Chiesa, il cardinale Cesare Baronio, ricevette dal papa l’incarico di scrivere la vita di san Gregorio di Nazianzo. È lecito domandarsi per quale motivo non si sia pensato di ricorrere direttamente alle spoglie di Gregorio Magno, già sepolto nell’antica S. Pietro (il corpo di san Gregorio e la testa dell’apostolo Andrea erano conservati nel medesimo altare, ma entrambe le reliquie in seguito scomparvero). È da escludere che il santo sia stato venerato prima del trasferimento del corpo. Entra qui in gioco piuttosto una nuova considerazione dei Padri greci della Chiesa, di cui è consapevole Jacopo Grimaldi, quando scrive: «…ut uterque Gregorius et Latine et Graecae ecclesiae praeclarissima lumina, sicut duo praefulgentissima sydera in Vaticana basilica micarent» (così come ciascuno dei due Gregorio è splendore della Chiesa latina e di quella greca, allo stesso modo due brillantissime stelle risplendano nella basilica Vaticana)7. Anche i due altari contigui erano dedicati a un Padre della Chiesa latina e a uno della Chiesa greca, cioè Girolamo e Basilio, raffigurati insieme a Gregorio Magno e a Gregorio di Nazianzo nelle vele alla base della cupola. Varie fonti indicano che la reliquia del corpo di san Giovanni Crisostomo avrebbe dovuto essere trasferita nella cappella sul lato orientale opposto, in seguito conosciuta come Cappella Clementina. La sepoltura di altri santi, come Gregorio Magno nella Clementina, Leone Magno in quella della Madonna della Colonna e infine san Giovanni
34
15. Confessione, stemma Borghese, intarsio marmoreo. 16. Confessione, Cancello di accesso alle Grotte.
14. Confessione, veduta dall’alto con le scale.
Crisostomo nella Cappella del Coro, avverranno dopo la morte di Gregorio XIII. La demolizione della vecchia basilica sotto Paolo V avrebbe reso indifferibile tale soluzione. Gregorio XIII favorì la cultura greca e fondò a Roma una chiesa greca (S. Atanasio) nello spirito dell’ecumenicità e come segno visibile della Chiesa universale cattolica. Un segno tangibile in tal senso è costituito dal fatto che il rito della messa papale prevedeva la lettura del Vangelo sia in latino sia in greco. Non a caso l’iscrizione nel cornicione della navata è in greco sul lato orientale e in latino su quello occidentale. Ancora Bernini raffigura nella Cathedra Petri due rappresentanti della Chiesa occidentale e due di quella orientale, posti però in secondo piano. Al tempo della sua costruzione la cappella doveva apparire come un organismo in sé concluso al margine della nuova chiesa petrina. Dopo la benedizione della cappella, il 18 giugno 1580, il papa pensò di collocare nel passaggio meridionale la propria tomba, o addirittura – come se si trattasse di una cappella di famiglia («si dice la farà iuspadronato di casa Boncompagni»)8 –, di porre sul lato opposto le tombe dei cardinali nipoti.
LA CROCIERA Solo dopo l’abbattimento del muro divisorio tra il vecchio e il nuovo S. Pietro si poté effettivamente valutare quale vastità di spazi fossero costituiti da crociera e transetti. Avendo Michelangelo concepito l’edificio come un puro volume architettonico, non ci si era preoccupati di predisporre progetti per una qualsiasi decorazione, tenendo presenti in primo luogo le necessità liturgiche e funzionali. Il rinnovato gusto barocco diede nuovo impulso alla decorazione, con l’attribuzione alle immagini di funzioni illustrative e al tempo stesso simboliche, in quanto «strumenti per unire gli uomini a Dio» (Paleotti 1582). All’inizio tutti i tentativi di conferire un aspetto dignitoso al nucleo centrale della basilica – con la tomba del principe degli apostoli e l’altare papale – rimasero all’insegna della provvisorietà: quanto era già costruito si poteva semplicemente abbattere con la volontà di migliorarle. Solo con Urbano VIII si ebbe una svolta in tale orientamento con la ricerca di una sistemazione definitiva. Ciò fu dovuto all’intesa tra il papa, la Congregazione della Fabbrica di S. Pietro e artisti come Gian Lorenzo Bernini, genio creatore che poteva trasformare in realtà le idee spesso complesse del papa. Non mancarono contraddizioni, legate agli interessi di singoli, che ostacolarono la fattibilità delle opere. Ur-
1
bano VIII e Alessandro VII furono i pontefici che insieme a Bernini, dal 1624 al 1680, anno di morte dell’artista, contribuirono in modo determinante alla conclusione dei lavori per l’arredo liturgico e la decorazione di S. Pietro, rendendo finalmente fruibile la nuova grande basilica.
12-16
Altare papale e Confessione Durante i lavori di costruzione dei grandi piloni e della cupola, Bramante progettò una copertura, detta tegurium, a protezione della Confessione e della tomba di Pietro. Era così possibile continuare a svolgere tutte le funzioni liturgiche sulla tomba degli apostoli; si era infatti convinti che, oltre ai resti di san Pietro, in quel luogo si trovassero anche le spoglie di san Paolo. Si tratta di una considerazione necessaria per una piena valutazione dell’iconografia della basilica. Nel 1592 intorno alla Confessione si rialzò il livello pavimentale di 3 m rispet-
to a quello della basilica costantiniana. Da ciò nacque il nuovo impianto delle Grotte, con l’area dell’antica necropoli utilizzabile come chiesa sotterranea. L’architetto soprastante di S. Pietro, Giacomo Della Porta, trasformò la cripta altomedievale in un sistema con pianta a croce greca destinato al pubblico, e cappelle che vi si diramavano. Mentre la parte riservata al papa intorno alla nicchia dei Palli rimase inizialmente senza decorazione, quella liberamente accessibile ricevette un ricco rivestimento marmoreo. Clemente VIII, interessato in prima persona alla storia dei primi cristiani, fece esplorare gli ambienti e li trasformò in luoghi di culto, oggetto di studi da parte degli oratoriani di Filippo Neri, in particolare di Cesare Baronio. Il papa fece anche costruire una strada sotterranea che univa le grotte al Palazzo Apostolico per accedere più facilmente al sacro luogo e poterlo venerare anche di notte. Nel 1594, sotto il suo pontificato, fu tolto il tegurium e venne abbattuta l’abside della vecchia basilica. Poiché l’antico altare di Callisto II risultava ormai troppo piccolo e infossato rispetto al nuovo pavimento, il 3 luglio 1592, durante una visita pastorale, Clemente VIII prese la decisione di erigere un nuovo altare. Nel foro di Nerva era stato rinvenuto un grande architrave di marmo pario, un monolite di notevoli dimensioni (4,35 m di lunghezza per 2 di larghezza e 1,23 di altezza) che
35
10
11
17
VATICANO BAROCCO
36
VATICANO BAROCCO
37
VATICANO BAROCCO
38
VATICANO BAROCCO
39
VATICANO BAROCCO
40
VATICANO BAROCCO
41
VATICANO BAROCCO
17. Altare maggiore, antipendium.
18. Il baldacchino da un disegno di Sebastian Warro, 1581, Bibliothèque Cantonale et Universitaire, Friburgo.
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
Pagine seguenti: 19. Veduta del baldacchino verso la cupola e la crociera.
venne tagliato per formare la mensa. I lati lunghi furono divisi da paraste in tre riquadri, nei quali fu applicata la stella araldica in bronzo dorato di papa Aldobrandini. Al centro, in ricordo dell’altare di Callisto, fu posta una croce trilobata in giallo antico. La consacrazione dell’altare ebbe luogo il 26 giugno 1594, come recita l’iscrizione sul fregio: «CLEMENS PAPA VIII SOLEMNI RITV CONSECRAVIT VI KAL. IVL. AN. MDXCIIII PONT. III» (Papa Clemente VIII con rito solenne consacrò il 26 giugno [sesto delle calende di luglio] dell’anno 1594, terzo del pontificato). Nonostante tutto, si continuò a considerare come «altare maggiore»9 quello del Ss. Sacramento della basilica costantiniana, dedicato agli apostoli Simone e Giuda, sul quale si svolsero le funzioni liturgiche fino al settembre 1605, quando s’iniziò l’abbattimento della vecchia basilica10. Appena concluso l’allestimento della Cappella Gregoriana e di quella Clementina, si preferì utilizzare questi luoghi, che ormai – con il rivestimento di marmi pregiati e la sontuosa decorazione – avevano assunto un aspetto solenne. Non va dimenticato che in quel momento la parte centrale della chiesa doveva ancora presentarsi come un cantiere, poco adatta quindi alle celebrazioni festive (non mancano infatti notizie di vari incidenti legati alla presenza delle impalcature). L’altare poggiava su una base raggiungibile con cinque scalini, ai quali se ne aggiunsero altri due nell’anno della consacrazione della nuova basilica per ottenere il numero simbolico di sette11. L’altare e la tomba non occupano esattamente il centro della ideale circonferenza proiettata dalla cupola, ma sono notevolmente spostati verso l’abside. La disposizione spaziale si equilibra così con l’insieme dell’architettura della Confessione. Su consiglio
42
della Sacra Congregazione dei Riti non vi venne deposta nessuna reliquia, in quanto l’altare era già collocato sopra la tomba di san Pietro, e la presenza dei santissimi resti bastava ad esaltare di per sé il luogo sacro. Su questo altare solo il papa, o un suo delegato, può dire messa. Le prime messe che vi si celebrarono rivelarono la scarsa efficacia dello svolgimento delle funzioni liturgiche, come annotava nel 1595 il cerimoniere papale Giovanni Paolo Mucante: «Il nuovo tempio di San Pietro è poco adatto alle celebrazioni e non è stato costruito secondo i canoni della disciplina ecclesiastica e non sarà mai adatto per le sacre funzioni che siano decorose e tranquille»12. Si esprimeva forse il disagio provato rispetto alle passate esperienze nelle parti sopravvissute della basilica costantiniana, ma si sottolineava anche le necessità di una chiesa che prevedesse funzioni e cerimonie di natura pastorale. È questa la polemica che aprirà la strada alla soluzione favorevole al prolungamento della navata al fine di ricreare una basilica a tre navate. Si avvertiva la mancanza di spazi appositi per la sacrestia, il coro e la Cappella del Battistero. Analogo disagio emerse durante le funzioni a causa della sistemazione della cattedra pontificia. Con l’aggiunta della navata si abbandonò dunque l’idea della croce greca così come era stata impostata da Michelangelo. Il motivo di una tale decisione discendeva anche dal desiderio di non lasciare scoperta l’area ancora esistente della basilica costantiniana e destinata alla demolizione. Certo non mancava chi suggeriva la possibilità di far coesistere le due basiliche, la chiesa michelangiolesca e quella costantiniana. Un’altra questione fu sollevata dalla grande distanza tra l’altare maggiore, al centro della chiesa sulla tomba di Pietro, e la cattedra papale in fondo
alla tribuna. Da Clemente VIII a Gregorio XV si cercò di ovviare al problema con soluzioni provvisorie, che non poterono essere mai definitive. Sotto Paolo V si crearono due Cori, uno presso la tomba di Pietro e l’altro nel fondo dell’abside, divisi da colonne, una soluzione che venne considerata comunque insoddisfacente. Fu presa in considerazione l’idea di spostare la tomba dell’apostolo più ad ovest, presso il trono papale, ma ebbe vita breve e alla fine venne abbandonata. Nel Natale 1605 si celebrò per la prima volta la messa sull’altare papale dell’abside, costruito in forme effimere dal falegname Giuseppe Bianchi di Narni, come riferisce il cerimoniere: «In die Nativitatis [...] Papa celebravit super altare ligneo fictitio accomodato cum omnibus et solitis ornamentis in capite ecclesiae nuoae versa facie ad altare Sanctorum Apostulorum»13 (Il giorno di Natale celebrò il papa sull’altare di legno adattato con tutti i soliti ornamenti nel fondo della nuova chiesa di fronte all’altare dei Santi Apostoli). Contemporaneamente si abbatté l’altare della basilica costantiniana e traslarono i corpi dei santi Simone e Giuda.
IL BALDACCHINO 19-21, 23-29 18
Un’altra impellente necessità da risolvere era, come richiesto dal rito pontificale, la copertura dell’altare. Già al tempo di Clemente VIII si ha notizia di una «cuppoletta, fatta per un interim sopra l’altar maggiore degli Apostoli in San Pietro»14. Smontato all’inizio del 160615, il ciborio aveva una decorazione pittorica di Cesare Nebbia16. Poco tempo dopo, sotto Paolo V, ne venne eretto uno nuovo, a forma di baldacchino portatile, simile a quelli usati nelle processioni, col cielo di stoffa orlato da frange e retto da quattro alte aste tenute da angeli, a loro volta rivestiti di stoffa, opera del maestro milanese Ambrogio Buonvicino17. Secondo la tradizione anche l’altare papale della Tribuna doveva essere protetto da un ciborio di pietra. Per tale motivo nell’autunno del 1606 il falegname Giuseppe Bianchi fu pagato «per il modello del ciborio che si fa nella tribuna grande»18. Un disegno di Borromini tramanda la forma dell’altare, delimitato da un recinto formato da quattordici colonne, dieci delle quali – tortili – provenivano dal ciborio posto sulla tomba di Pietro nella basilica costantiniana19. Delle dodici colonne originarie se ne erano conservate undici; per pareggiarne il numero le si ridusse a dieci, integrate da quattro lisce. Le colonne tortili, che la tradizione attribuiva al tempio di Salomone20, vennero in
seguito riutilizzate da Bernini nelle nicchie delle reliquie nei piloni della crociera. Paolo V riteneva che la Confessione dovesse restare libera nella zona già resa accessibile da Giacomo Della Porta. Come indica un Avviso del 26 gennaio 1611, secondo il papa sotto l’altare maggiore si dovevano collocare delle scalette in modo che si potesse «andar a dire e udire messa nell’altar delli Apostoli senza passar da via sotterranea […] in quella guisa, che stanno le cappelle sotto l’altar maggiore di San Giouanni Laterano et del Presepio in S. Maria Maggiore»21. Di questa fase si è conservato un disegno di Maderno, oggi a Vienna, che rappresenta la pianta con lo schema del pavimento22. In occasione dei lavori eseguiti da Maderno nella Confessione in previsione dell’Anno Santo 1625 si pensò di sostituire il baldacchino già logoro. L’intervento prese avvio sotto il pontificato di Gregorio XV nel 1622, o forse già l’anno prima, come si può dedurre dai pagamenti a favore del falegname Giovanni Battista Soria23 che iniziò la demolizione del baldacchino di Paolo V: «Per haver levato il cielo e sopracielo e telaro […] del baldachino vecchio […]. Per haver disfatto li quattro angeli che vi erano prima»24. Il nuovo baldacchino fu progettato con una ricca decorazione e con aste alte 58 palmi (= 12,95 m). Il cielo era ancora di stoffa con frange. La conclusione dei lavori avvenne sotto papa Urbano VIII, che aveva con decisione ripreso l’impegno di portarlo a termine. Bernini modellò tra il 9 febbraio e il 9 agosto 1624 le figure dei quattro angeli di stucco25 che, come quelli del baldacchino precedente, dovevano reggere le aste. Posti su alti piedistalli a pianta quadrata, raggiungevano, valutando le proporzioni, un’altezza di quasi 4 m. Tenevano le aste con entrambe le mani, ed erano colti in movimento,
43
VATICANO BAROCCO
44
VATICANO BAROCCO
45
VATICANO BAROCCO
A fronte: 20. Veduta del baldacchino dalla navata centrale.
VATICANO BAROCCO
Alle pagine seguenti: 21. Coronamento del baldacchino.
con torsione del corpo e ali svolazzanti, come documenta l’incisione del Frezza pubblicata da Buonanni26. Tra l’epoca di Clemente VIII e la realizzazione definitiva sotto Urbano VIII, si susseguirono almeno cinque baldacchini provvisori, come informa una lettera del 1624 di Teodoro Della Porta al neoeletto papa Urbano VIII: «non si butterà via la spesa come è successo in tant’altra occasione de lavori che son fatti in quel Tempio per modo di prousione [in modo provvisorio], et in particulare nell’Altar maggiore che è stato fatto e rifatto quattro volte diversamente con molta spesa sempre buttata via per modo di prousione come hora segue medesimamente»27. Nel 1608 il cardinale Maffeo Barberini, futuro papa, divenuto membro della Congregazione della Reverenda Fabbrica di S. Pietro, aveva avuto l’occasione di seguire da vicino tutte le decisioni in merito alla nuova basilica, e quindi il contenuto della lettera doveva essergli presente. Il 12 maggio 1624 anche Teodoro Della Porta propose da parte sua un modello per il baldacchino28. Sin dall’inizio del pontificato, Urbano VIII desiderava realizzare un baldacchino di bronzo per l’altare. Il compito venne affidato a Bernini, che il papa considerava come il nuovo Michelangelo. Già nel luglio 1624 iniziarono i primi pagamenti a favore dell’artista, che dopo la morte di Maderno nel 1629 avrebbe assunto il ruolo di «architectus Sacrosanctae Basilicae»29. Nulla può descrivere meglio lo sviluppo artistico di Roma in questo periodo quanto la reciproca dipendenza creatasi tra i due personaggi. Come pare abbia detto il cardinale Maffeo a Bernini il giorno della sua elezione a papa: «Gran fortuna è la vostra, o Cavaliere, di vedere Papa il Cardinal Maffeo Barberini, ma assai maggiore è la nostra, che il Cavalier Bernini vive nel nostro Pontificato». È da questo fecondo rapporto che sono scaturiti i capolavori del Barocco, molti dei quali concentrati proprio nella basilica di S. Pietro. Tornando al baldacchino, fu necessario procurarsi il bronzo, per nulla facile da reperire in tempo di guerra. Su proposta di Maderno si smontò un costolone in bronzo della cupola coperta pochi anni prima, e per raggiungere la quantità necessaria si tolsero in tutto sei costoloni. Altro materiale fu recuperato a Venezia e Livorno, ma non essendo sufficiente a completare l’opera, ci si rivolse a un’altra fonte, il Pantheon. «Di Roma li 11 d’ottobre 1625. Si sono aperte al Vaticano due fonderie per fondervi li travi di bronzo della Rotonda che riescono d’assai maggior materia di quello [che] si credeva, poi che oltre l’hornamento che si farà con essi per l’Altare delli Ss.mi Apostoli in S. Pietro se ne potranno cavare più di 40 pezzi d’arteglieria per servitio di Castel S. Angelo»30.
46
I lavori diretti dal giovane Bernini procedettero con grande lena. A giustificazione di tanta rapidità si deve presumere che l’artista si preoccupasse innanzitutto di realizzare la struttura architettonica disponendo già di un progetto sviluppato e approvato, forse elaborato già al tempo di Paolo V dal primo architetto della Fabbrica, Carlo Maderno. Il progetto intendeva rievocare, attraverso le colonne tortili, la struttura del ciborio della basilica costantiniana, così come tramandato in una medaglia31. Il baldacchino è formato da quattro colonne tortili unite da due costoloni che si incrociano diagonalmente a formare una sorta di copertura; tra le colonne erano appesi drappi o festoni. Come modello per le colonne Bernini scelse il tipo con tre fusti diversi, come quello che si trova nella Cappella del Sacramento, e ne elaborò delle copie ingrandite. La fusione fu fatta per cinque elementi, cioè i tre del fusto, la base e il capitello. Le colonne antiche erano avvolte da tralci di vite, mentre quelle di bronzo presentano rami d’alloro inframmezzati da puttini e api, alludenti all’araldica barberiniana, costituita da un albero di alloro coperto da api. La parte inferiore delle colonne è scanalata e ritorta, a intensificare la dinamica della spirale. I puttini vennero modellati nel 1624 da Stefano Maderno32. Il primo agosto 1626 si concludeva la fusione del bronzo delle quattro colonne giganti33, mentre poco prima si era deciso di smontare il baldacchino ligneo34. Le colonne furono subito innalzate nello spazio centrale sotto la cupola intorno all’altare. Un anno più tardi, il giorno della festa dei santi Pietro e Paolo, il 29 giugno 1627, potevano essere scoperte le «quattro grosse et bellissime colonne fatte nuovamente di bronzo indorate»35, poggianti su piedistalli di marmo bianco con bassorilievi con i simboli papali sulle facce esterne. Sulle colonne venne posto, come modello, un coronamento ligneo che nelle forme ricordava quello del ciborio costantiniano. Per avere un’idea dell’effetto finale venne dipinto con una tinta color bronzo36. Questa fase progettuale è nota da una medaglia e dall’incisione di Filippo Buonanni che vi si basa37. Come in precedenza, le colonne erano collegate diagonalmente da due costoloni ricurvi; al centro, all’incrocio, avrebbe dovuto ergersi la figura di Cristo risorto. Quattro angeli in cima alle colonne reggevano con nastri un baldacchino di seta. Dalla fine del 1627 risultano pagamenti a vari scultori per modelli di angeli in gesso e cartapesta. Collaborarono all’impresa Giuliano Finelli, Jacopo Antonio Fancelli, François Duquesnoy, Pietro e Luigi Bernini. Andrea Bolgi fu invece l’esecutore principale dei modelli per la fusione. Anche la figura di Cristo fu preparata per la fusione nel 163338,
47
VATICANO BAROCCO
48
VATICANO BAROCCO
49
22. Francesco Borromini, disegno del baldacchino, Albertina, Az Rom 762, Vienna. A fronte: 23. Colonna tortile del baldacchino, dettaglio del capitello.
ma non risulta sia stata eseguita; anche le statue dei santi Pietro e Paolo, da porre sulla balaustra della Confessione, non superarono lo stato di modello39. L’idea in effetti non aveva molto senso, in quanto le loro statue erano già presenti nelle nicchie presso la Confessione. In questa fase collaborò anche Francesco Borromini come esperto di architettura nonché parente di Maderno. Il suo compito era di consolidare le fondazioni delle basi delle colonne e alzare i piedistalli con l’aiuto di Agostino Radi (Radio), cognato di Bernini40. Mentre procedevano i lavori per la fusione delle statue, a coronamento del baldacchino rimase sino al 1631 il modello ligneo. Non venne dunque rispettato il termine di quaranta mesi pattuito per la consegna dei lavori. Il ritardo era giustificato dal fatto che s’intendeva mutare radicalmente la forma del nuovo coronamento. Le vere ragioni del ripensamento sono ignote, ma certamente la curvatura non era sufficiente a mantenere le giuste proporzioni rispetto alle dimensioni della crociera. In più dava preoccupazione anche la statica, poiché il peso del coronamento avrebbe potuto far inclinare verso l’esterno le colonne. Il fusto, in origine cavo, era stato riempito di calcestruzzo per renderlo più resistente, ma non avrebbe
50
Alle pagine seguenti: 24-26. Colonna tortile del baldacchino, dettagli delle foglie di alloro e dei putti.
potuto comunque contrastare a sufficienza le spinte. L’effetto estetico del nuovo progetto fu rivoluzionario. L’ideazione e lo sviluppo che ne seguì sono suggeriti da un rapido schizzo conservato nella Biblioteca Vaticana41, che accenna all’incurvarsi barocco della copertura con i putti sui costoloni e gli angeli sulle colonne che reggono il baldacchino. Le sottili aste arcuate verranno trasformate in robuste volute sinuose a “dorso di delfino” che si avvolgono verso l’interno, rivestite da foglie di palma alludenti al martirio dei santi tumulati al di sotto. In alto si congiungono in un piedistallo sormontato non dalla pesante statua di Cristo, ma da un globo dorato e dalla croce. Dall’aprile 1631 e sino al gennaio 1633 Borromini ricevette uno stipendio mensile di 25 scudi, un compenso superiore a quello riconosciuto a Carlo Maderno42. Alcuni disegni di Borromini documentano il processo di ricerca delle forme e dimensioni adeguate. Un disegno, databile al 1631 ca., studia il rapporto della grandezza del baldacchino rispetto alla Tribuna43. Sono sempre suoi altri disegni di dettaglio per i modelli esecutivi di capitelli e colonne; altri disegni analizzano le quote e le distanze dalla navata44. L’intervento di Borromini è sostanzialmente tecnico e concerne l’architettura. La sua partecipazione in merito allo sviluppo delle forme plastiche e scultoree è difficile da chiarire, anche perché l’impronta determinante spetta sempre a Bernini. Correggendo il testo della Guida di Martinelli per quanto riguarda il baldacchino, Borromini non menziona sé stesso, pur potendo rivendicare un ruolo; ciò induce a pensare che non abbia effettivamente ricoperto incarichi di rilievo45. Bernini inserì nella squadra di lavoro anche parenti, come il padre Pietro, che si occupava perfino della contabilità. Il fratello minore Luigi non era solo un buon scultore, ma s’intendeva anche di architettura, e ciò potrebbe indurre a credere che fosse in grado di dare un contributo significativo proprio sull’aspetto tecnico46. La trabeazione concava dei quattro lati non è raccordata ai capitelli delle colonne, ma ai piedritti, unendo staticamente le colonne. Da ogni lato pendono lambrecchini che evocano le precedenti soluzioni del baldacchino, ora non più di stoffa, ma di bronzo. I lambrecchini sono raffigurati nei disegni di Borromini a Windsor Castle, cosa che induce a supporre che proprio a lui sia da riconoscerne l’invenzione47. La struttura dei capitelli è ricca di elementi decorativi effettivamente eseguiti: un grande sole centrale che allude all’età dell’oro introdotta dal papa e un fregio con delfini. Il 29 giugno 1633, festa dei santi Pietro e Paolo fu scoperto «il ricco e sontuoso baldacchino fatto di bronzo dorato sopra l’altare de S.mi.
22
51
VATICANO BAROCCO
52
VATICANO BAROCCO
53
VATICANO BAROCCO
A fronte: 27. Dettaglio della copertura del baldacchino. 28. Le colonne tortili con veduta verso il pilastro con le reliquie (Santa Veronica).
54
Alle pagine seguenti: 29. Baldacchino, veduta dell’interno con la colomba dello Spirito Santo sul soffitto.
55
VATICANO BAROCCO
56
VATICANO BAROCCO
57
VATICANO BAROCCO
Apostoli sostenuto da quattro grosse colonne»48, ma le finiture si protrassero ancora per tre anni. Il baldacchino è occupato ovunque dai simboli dei Barberini: le api, il sole e l’alloro. Oltre che emblemi appartenenti alla simbologia familiare, si tratta di simboli antichi riferibili ai poeti e ad Apollo, dio della poesia. L’alloro sostituisce i tralci di vite che avvolgevano le antiche colonne tortili e che Bernini aveva utilizzato nelle nicchie delle reliquie nei grandi piloni della cupola. Su ciascuno dei quattro angoli della trabeazione, in corrispondenza delle colonne, è collocato un angelo che regge una ghirlanda di alloro che raggiunge la cornice. Gli angeli sembrano sostenere la struttura senza sforzo: «il baldacchino non toccaua le colonne, ne il lor cornicione [e Bernini] in ogni modo uoleua mostrare che lo reggono li angeli»49. Al centro di ogni lato della cornice giocano due puttini che, verso la navata e la Tribuna, sostengono le insegne del papato e le chiavi, con riferimento a san Pietro, mentre negli altri due lati recano una spada e un libro con allusione a san Paolo. La serenità dell’austera architettura rinascimentale è interrotta nel proprio centro da questa bizzarra macchina. La luce si riflette vivacemente sulle quattro colonne tortili e si riverbera sulle scanalature dorate contro lo scuro del metallo. Altrettanto avviene con la decorazione vegetale, le teste dei putti e le allusioni araldiche. Nel capocielo è raffigurato lo Spirito Santo, che in genere è visto solo dal celebrante, quindi dal papa. Lo Spirito Santo, visibile a tutti, verrà posto circa trent’anni dopo in posizione realmente dominante, a completamento dell’iconografia di un’altra grande macchina barocca, la Cathedra Petri. La scelta come coronamento del Cristo risorto, era adatta più per un ciborio del Ss. Sacramento; fu perciò sostituita con la sfera dorata con la croce. Non a caso un Cristo risorto di Bernini è sul ciborio della Cappella del Ss. Sacramento. La tomba di Pietro è sovrastata direttamente dall’immagine del Padre Eterno nella lanterna della cupola. La Trinità, insieme allo Spirito Santo sul baldacchino, incombe come se fosse in atto il Giudizio Universale. Nella cupola, nella zona della crociera, c’è Cristo seduto tra Maria e S. Giovanni Battista tra gli apostoli. Appena scoperto il monumento, il poeta Lelio Guidiccioni scrisse il poema Ara Maxima Vaticana (1633) che in forme barocche esaltava papa Urbano VIII («quod saeculum decet URBANUM, saeculum decet aureum» [ciò che si addice al secolo di Urbano, si addice a un secolo d’oro]), interpretando con varie argomentazioni i significati degli elementi del baldacchino. Nella plasticità il coronamento assume la forma di una corona del martirio – le volute
58
30. Gian Lorenzo Bernini, Modello dell’angelo per la Loggia delle Reliquie della Croce, Fabbrica di S. Pietro.
sono ricoperte da foglie di palma –, ma può essere anche inteso come l’espressione del dominio del successore di Pietro come papa della Chiesa cattolica, con riferimento esplicito a Urbano VIII50. Probabilmente dal centro della cupola del tabernacolo costantiniano pendeva una corona votiva51, che potrebbe costituire un precedente significativo e un elemento di ispirazione. La struttura del baldacchino, insieme al coronamento, riprende il motivo dei catafalchi, costituendo un castrum doloris, non tanto in rapporto alla celebrazione dei funerali dei papi52 quanto come segno permanente della presenza della tomba di Pietro e Paolo. Negli stessi anni Bernini creò peraltro un catafalco simile per Carlo Barberini (1630). A Borromini si consentiva spesso qualche licenza figurativa, com’era consueto per le cancellate, con decorazioni spiritose con testine, come si trovano sulla facciata esterna. Una curiosità è rappresentata dalle testine inserite nei cartigli con tre api sulle facce esterne dei piedistalli, per le quali non è mai messa in dubbio l’attribuzione a Bernini, che forse voleva fare una beffa dando spazio a varie interpretazioni. Si tratta di sette testine femminili ed una di un fanciullo. Quelle femminili non sono tutte uguali, anzi vi si nota un’evoluzione nell’espressione di sofferenza. Non a caso già nell’Ottocento vi si vollero riconoscere le fasi del travaglio di una partoriente, terminante con la presenza del fanciullo. In tempi relativamente più recenti le sculture hanno suscitato l’interesse del regista russo Ejzenštejn, che le ha paragonate a una sequenza filmica53. «Considerò che in un tratto così smisurato di spazio vana sarebbe stata la diligenza delle misure, che malamente potevano condurre col tutto di quel Tempio […] da sé trovò quella misura, che invano si cerca nelle regole»54. Così descrive Domenico Bernini l’operare del padre, che si fidava dell’occhio, ma aveva saputo trasformare il pensiero di Urbano VIII in un capolavoro eccezionale circondato da altri straordinari monumenti.
I PILONI E LE RELIQUIE A seguito della decisione, assunta il 17 settembre 160555, di abbattere la basilica costantiniana fu necessario trasferire con solenni processioni una grande quantità di reliquie e di sepolture, o almeno il loro contenuto, da custodire in sacrestia, luogo nuovo e sicuro. Le tre reliquie principali, il sudario con il volto di Cristo, il capo di sant’Andrea e la punta della Sacra Lancia erano già deposte presso la tomba di Pietro, ma anche queste nella notte del 14 gennaio 1606
30
vennero portate in sacrestia. Se era sempre possibile in occasione delle festività mostrare ai fedeli questi oggetti sacri, ne era impossibile la venerazione immediata. Una pressione sempre più forte fu così esercitata per restituire le tre reliquie a una ostensione permanente. Per tale motivo il cardinale Giovanni Evangelista Palotta le collocò nella nicchia del pilone di papa Giulio, sul lato sud-occidentale56. Dopo l’offerta di un dipinto e di un baldacchino per il Volto Santo da parte del canonico Scipio Corbellutio, e nel 1612 di un dipinto per il capo di sant’Andrea57 da parte del canonico Angelo Damasceno, la reliquia fu spostata nella nicchia del pilone sul lato opposto. Le reliquie erano dunque conservate tutte sul lato occidentale, visibili insieme all’altare maggiore collocato sulla tomba degli apostoli e la Confessione. I due piloni orientali erano occupati dalla tomba di Paolo III a sud-est e dalla Colonna Santa sul lato opposto. L’antica colonna, molto popolare e venerata come una reliquia, vi rimase sino al 1632. Riavviata con il pontificato di Urbano VIII la sistemazione della crociera, nel 1624 iniziarono i lavori di Bernini per il baldacchino bronzeo dell’altare papale. Avvicinandosi l’Anno Santo 1625, il papa intendeva conferire un aspetto dignitoso a tutti i luoghi che sarebbero stati visitati dai
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
pellegrini. Per tale motivo nel 1624 Teodoro Della Porta avanzò le prime proposte per il reliquiario del Volto Santo58, trasferito provvisoriamente, insieme alla reliquia della lancia, nella nicchia di Sant’Andrea sul lato destro: «Havendo considerato nro. Sig.re papa Urbano VIII, che la SS.ma reliquia del Volto Santo stia alquanto scommoda e troppo semplicemente, e senza altare da potervici celebrare, ha ordinato, che se gli facci nel medesimo luogo un ciborio con altri ornamenti e commodità opportune …»59. Allestito questo con marmi e cancellate, le due reliquie poterono tornare nella loro sede iniziale. Urbano VIII dispose che nella seduta della Congregazione della Fabbrica del 15 gennaio 1627 si avanzassero proposte per la distribuzione dei titoli degli altari e delle reliquie60. Il 6 marzo si eseguì il primo modello per un altare, ispezionato poco dopo dal papa che, non soddisfatto, chiese un’altra soluzione61. Un mese dopo si fece un nuovo modello per la statua da porre nella nicchia di sant’Andrea, ma anche questo si rivelò un insuccesso. Il 12 marzo Bernini inserì il primo modello per la statua della Veronica nella nicchia del pilone62. Il 7 giugno si prese la decisione di collocare le reliquie nelle nicchie dei piloni della crociera: «Avanti il Card. Gennasio fu lunedì tenuta la Congregatione della fabbrica di S. Pietro, nella cui basilica è stato disegnato di fare nelle quattro nicchie sotto la cupola bellissimi altari, con ornamenti di bronzo per celebrarvi messe, massime in quella dove sta sopra il Volto Santo, et il ferro della lancia, et nell’altra, dove si conserva la testa di Sant’Andrea, con altre reliquie»63. La statua venne dipinta color bronzo perché si intendevano realizzare delle figure in metallo come quelle del baldacchino. Davanti al pilone di sud-ovest c’era ancora la tomba bronzea di Paolo III, alla quale s’ispirò il progetto di Bernini nel disegno per la Veronica. Il modello risultò troppo piccolo anche in rapporto alle colonne del baldacchino, già fuse e pronte per essere innalzate. Il papa raccomandò una soluzione di maggiore qualità, anzi splendida64. Per le statue si abbandò il bronzo a favore del marmo bianco, che non entrava formalmente in conflitto con il bronzo del baldacchino, e soprattutto rievocava le statue classiche dell’età imperiale, come sperimentato per le nicchie della Veronica e di Sant’Andrea. Molti modelli di statue, ma anche di cappelle, vennero predisposti per studiare il miglior risultato: «Fuerunt exhibita plura modula seu formae cappellarum construendarum in locis subtus SS.mas Reliquias Vultus S.ti et Capitis S. Andreae quae per Ill.mos DD. visa, et diligenter expressa, Iniunxerunt mihi ut illa Smo D.N. deferrem, ut facilius possit ex dictis
59
VATICANO BAROCCO
et alia, quae habet, formula, seu modulus sibi magis placuit eligere et Sacr. Cong. Eo citius mentem Smi desuper esecutione demandare»65. Il 10 dicembre 1629 Urbano VIII comunicò ufficialmente il desiderio di far eseguire le statue in marmo, indicando anche i nomi degli artisti che avrebbero ricevuto l’incarico: «… in loculis testudineis nichi nuncupati, in quibus aedificantur parvae Cappellae in honorem S.mi Vultus, et aliorum infradicendorum sanctorum marmoreae statuae in illorum honorem ad infrascriptis scultoribus, et ab eis interim componantur ex stucco modula illa representatia: S.to Andreae Apostolo: Franciscus Flander [François Duquesnoy]. S.ae Veronicae Immaginem S.mi Vultus deferenti: Franciscus Mochius [Francesco Mochi]. S.ae Helenae Crucis Inventrici: Andreas Bolgius [Andrea Bolgi]. S. Longino: eques Io. Laurentius Berninus [Gian Lorenzo Bernini]»66. Come indicato nel memorandum s’iniziò subito a preparare i modelli in stucco («ex stucco modula»), mentre Bernini, da poco architetto-capo della Fabbrica, provvide su incarico del papa ad allestire le nicchie secondo le nuove esigenze. Considerando l’effetto complessivo, Bernini impostò la decorazione dell’ottagono sotto la cupola ricollegandosi all’iconografia dei soprastanti mosaici. I quattro piloni sono così iconograficamente collegati al ciborio dal tema escatologico. Nelle nicchie sopra le statue, incorniciate dalle colonne tortili recuperate dal ciborio della basilica costantiniana, vi sono angeli che mostrano la riproduzione della reliquia corrispondente alla relativa cappella67. Sui timpani delle edicole angeli in marmo bianco reggono un cartiglio. Le colonne tortili sono le stesse che avevano ispirato le nuove grandi colonne del baldacchino e che nell’insieme raggiungono il numero di dodici con riferimento agli apostoli. Bernini seguì fedelmente la tipologia del vecchio ciborio dell’altare, a ricordo dell’antico trophaeum o edificio memoriale tramandato dai disegni di Grimaldi, specialmente per l’altare del Volto Santo68. A tal fine elaborò una serie di elementi architettonici sovrapposti: una nicchia con un balconcino aggettante e l’edicola incorniciata dalle colonne69. Nelle nicchie superiori, dietro le loggie, dovevano essere custodite le reliquie, mentre in quelle inferiori si pensava di collocare degli altari e l’accesso alle scale a chiocciola in spessore di muro all’interno dei piloni. In seguito però trasferì gli altari nelle Grotte, dove sono visibili dall’alto attraverso la fenestella posta nei piedistalli delle statue che hanno preso il posto dell’altare, poiché le messe si potevano celebrare ormai solo nelle Grotte. Si è dunque ora di fronte a un sistema iconografico che deve essere letto dal basso verso
60
A fronte: 31. Pilastro con le reliquie di Sant’Elena.
VATICANO BAROCCO
l’alto in senso verticale, partendo dalle Grotte, con l’altare e i dipinti, e risalendo sino alle statue a tuttotondo, ai putti e agli angeli che reggono le riproduzioni delle reliquie. Le più importanti reliquie della basilica sono legate alla simbologia della croce e della Passione. Pure la decisione di collocare le reliquie nei pilastri, si provò a riunirne quattro insieme. Si spostò intanto la tomba di Paolo III nella tribuna. Nel 1629 Urbano VIII trasferì in S. Pietro una nuova, importante reliquia, la quarta appunto, legata alla Passione, avendo ottenuto da Tommaso Paleologo un frammento della Croce trovata da sant’Elena e conservata in S. Croce in Gerusalemme a Roma. La particola fu portata in solenne processione in Vaticano accompagnata da un importante rituale: «Devesi sapere, che adì 19 di Aprile 1629 Nostro Signore fece dono à questa eccelsa Basilica di un pretiosissima, e rarissima Croce di cristallo di montagna [di rocca] ornata di argento, etc. dentro la quale egli pose del legno della santa Croce, preso parte dalla basilica di S. Croce in Gerusalemme, e parte dalla chiesa di S. Anastasia»70. Le particelle del legno della croce vennero divise di fronte ai fedeli. La reliquia della croce andò così ad aggiungersi al sudario della Veronica (il nome «Veronica» deriva da vero eikon), sul quale è impresso il volto di Cristo. La più importante reliquia di Cristo venne mostrata ai pellegrini a partire dal 1300 e da allora fu veneratissima. La terza reliquia, parte della lancia con la quale il centurione Longino trafisse il costato di Cristo, arrivò a Roma nel 1492, durante il pontificato di Innocenzo VIII Cybo, che l’aveva ricevuta in dono dal sultano Bajazet. La quarta reliquia era il capo di sant’Andrea, fratello di san Pietro, il cui trasferimento a Roma si deve a Pio II Piccolomini, che il 12 aprile 1462 l’accolse a Ponte Milvio proveniente da Patrasso. Si tratta di una parte della testa e di un dito. Come gesto di apertura verso la chiesa ortodossa, papa Paolo VI nel 1964 ne restituì una parte alla chiesa di S. Andrea di Patrasso. Da ciò deriva la venerazione di papa Piccolomini verso sant’Andrea, alla quale s’ispira anche la scelta di patrocinare la chiesa di S. Andrea della Valle. In un primo momento si definì per le reliquie una sequenza, iniziando la serie con la Veronica nel pilone del lato sud-ovest, e proseguendo poi in senso orario con Andrea, Longino ed Elena, in modo che le due donne e i due uomini fossero in posizione frontale. Considerando l’importanza delle reliquie nella loro immediata visibilità e la posizione – sul lato sinistro del Vangelo o su quello destro dell’Epistola – la Congregazione non si accontentò però di questa soluzione, e il 26 aprile 1638 emise un decreto che imponeva
61
VATICANO BAROCCO
VATICANO BAROCCO
32. François Duquesnoy, Sant’Andrea. A fronte: 33. François Duquesnoy, Sant’Andrea, particolare della testa.
la Sacra Lancia e il Santo Legno della Croce, nonostante nel 1641 le nicchie superiori fossero state sistemate per accogliere le reliquie ciascuna nella sua sede propria. C’è da supporre un nuovo intervento dei canonici che cercavano d’impedirne l’ostensione nel modo stabilito, oppure che fossero intervenuti fattori tecnici che indussero a mutarne la disposizione, a causa ad esempio dell’umidità che ha sempre afflitto la basilica73.
un cambio nella disposizione iniziale71: la Veronica rimase sul lato previsto, mentre mutarono collocazione, in senso orario, Longino, Elena e infine Andrea. Più tardi la Congregazione dei Riti riconsiderò nuovamente la distribuzione delle reliquie secondo la loro importanza ecclesiastica. Così solo la statua e la reliquia della Veronica rimasero nel luogo destinato sin dall’inizio72. L’assetto finale, che ancor oggi si apprezza, fu raggiunto il 5 luglio 1638. La tardiva disposizione definitiva delle reliquie ebbe conseguenze fondamentali, non solo in quanto gli altari delle Grotte, ormai fissati, non corrispondono più alle reliquie e alle statue soprastanti che le ostendono, ma soprattutto per le conseguenze negative che ciò ebbe sulle statue stesse, in quanto Bernini aveva calcolato le loro espressioni e le reciproche relazioni, nonché la loro visione dal centro della navata e l’effetto della luce che cade dall’alto della cupola. Alla fine la distribuzione delle reliquie si è conclusa in modo che nella nicchia sopra la Veronica sono ospitate le tre reliquie maggiori, cioè il Sudario con il Volto Santo,
62
La statua di Sant’Andrea La statua è opera dello scultore fiammingo François Duquesnoy, che lavorò al modello in stucco ancora prima che la Congregazione gli assegnasse ufficialmente l’incarico. Già nel gennaio 1629 si iniziarono i lavori per la base della statua, mentre il 14 maggio lo scultore cominciò a preparare il modello di stucco, per il quale è documentato il primo pagamento. Si tratta perciò del primo modello di cui si abbia notizia certa; gli altri vennero eseguiti solo verso la fine dell’anno. Il 15 luglio 1628 Benedetto Drei ricevette il primo pagamento per lavori alle murature della cappella. Dopo l’acquisto del settembre 1630 di marmo di Carrara per le statue, Duquesnoy avrebbe potuto intraprendere il lavoro all’inizio del 1632, quando fu portato «a S. Pietro il sasso grosso per la statua di Sant’Andrea»74. Ma non lo fece, in attesa di vedere tutti i modelli finiti per giudicare l’effetto d’insieme prima di iniziare a scolpire i blocchi di marmo. Questo spiega il lungo tempo trascorso tra l’esecuzione del modello e l’inizio del lavoro scultoreo, nonostante già da tempo fosse stato procurato il marmo. Infatti dopo l’acquisto, tra 1630 e 1631, dei blocchi di marmo per le quattro statue delle nicchie delle reliquie, solo nel 1633 l’artista iniziò a lavorare: «A Franc. Fiamengo sc. 100 a conto della statua di marmo grande di palmi 22 quale statua deve stare dove stà il S.to Andrea conforme al modello già fatto, oltre à sc. 50 hauti»75. Peraltro, come narra Passeri, il modello si ruppe durante il trasferimento da S. Pietro allo studio, e l’artista si convinse che non fosse un fatto accidentale, ma causato da una forma di invidia: «fosse ciò accaduto ad arte, overo per pura disgrazia […] rifatto un altro modello pose mano al lavoro del marmo con grandissima assiduità»76. Nel corso del lavoro Duquesnoy venne a sapere che la posizione della statua, che nello stadio di modello era prevista nella nicchia oggi occupata dalla Sant’Elena, era mutata, e ciò gli procurò grande rammarico, in quanto l’incidenza della luce era attentamente calcolata per il pilone di nord-ovest, come riferisce Bellori: «… mutargli il lume e la veduta, convenendosi ora girare per vederla in faccia …»77. La statua fu scoperta solo il 2 marzo 1640 alla presenza di
32, 33
63
VATICANO BAROCCO
A fronte: 34. Andrea Bolgi, Sant’Elena, particolare della testa.
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
35. Andrea Bolgi, Sant’Elena.
Urbano VIII, «ma non ancora finita intieramente»78. È firmata sul sasso sotto il piede che si solleva: «FRAN. DV QVESNOY BRVXELL. FAC.». Il santo, che sorregge la croce ed è rivolto verso Cristo raffigurato nella cupola, doveva dialogare con san Longino mentre esclama, secondo quanto riferito dalla Legenda Aurea, «O Bona Crux». Gli angeli sopra l’edicola reggono un cartiglio con la scritta «SALVE CRUX DIU DESIDERATA» (Salve croce a lungo desiderata). La croce dietro al santo ha la forma del chi greco, parte del monogramma di Cristo79 e le sue dimensioni sono enfatizzate per evidenziare il riferimento al martirio. Il collegamento con Cristo esplicita la presenza della reliquia, sottolineata in modo letterale. Duquesnoy dà vita a una delle sue opere più importanti. Di impostazione classicista, l’artista si adeguò stilisticamente alla serie berniniana. Bolgi, autore del San Longino, era allievo e collaboratore di Bernini e anche Mochi, che eseguiva la Veronica, era vicino alla maniera di Bernini e aveva lavorato per la famiglia Barberini. Duquesnoy lavorava contemporaneamente alla Santa Susanna per S. Maria di Loreto, stilisticamente lontana dal Sant’Andrea. La notizia del successo ottenuto dall’artista arrivò rapidamente nelle Fiandre, da dove Rubens scrisse una lettera a Duquesnoy il 17 aprile 1640 facendo riferimento alla statua di sant’Andrea: «Sento sin qua le lodi della statua del Sant’Andrea discoperta in questo tempo; ed io in particolare, ed in universale con tutta la nostra nazione, ce ne rallegriamo con Lei, partecipando della sua fama. Se io non fossi ritenuto e dell’età, e delle podagre, che me ne rendono inutile, me ne verrei costà a godere con la vista, ed ammirare la perfezione di opera sì degna»80. Al di sopra della nicchia, come su tutti e quattro i lati, è una targa che ricorda il trasferimento o l’inserimento della reliquia: «SANCTI ANDREAE CAPVT QVOD PIVS SECVNDVS | EXACHAIA VATICANVM ASPORTANDVM CVRAVIT | VRBANVS VIII NOVIS HIC ORNAMENTIS DECORATVM | SACRIS STATVAE AC SACELLI HONORIBVS COLI VOLVIT» (Il capo di Sant’Andrea di cui Pio II curò il trasferimento dall’Acaia in Vaticano, Urbano VIII volle qui abbellito con nuovi ornamenti e con i sacri onori di una statua e una cappella per la venerazione). Nelle Grotte è l’altare corrispondente alla nicchia della reliquia del capo di sant’Andrea, che al momento dell’allestimento si riferiva alla nicchia di Longino; la pala d’altare, con Sant’Andrea in adorazione della croce venne dipinta da Andrea Sacchi tra 1633 e 1634. La tela si danneggiò subito e venne sostituita da un mosaico di Fabio Cristofari eseguito tra il 1682 e il 168981. A sinistra dell’altare fu inserita nel 1632 una mensola marmorea sorretta da due colonnette antiche provenienti dal ciborio della Santa Lancia nella
64
basilica costantiniana. Le pitture murali di Guidobaldo Abbatini, eseguite intorno al 1630, sono riferite alla storia di Longino, e vi è raffigurato tra l’altro il trasferimento della Lancia il 22 maggio 1492 da Costantinopoli per opera dell’ambasciatore turco Chamisbergh, alla presenza dei cardinali Giorgio Costa e Giuliano della Rovere, futuro papa Giulio II. Il 21 marzo 1606 la reliquia venne trasferita dalla vecchia alla nuova basilica. Tutte le quattro cappelle hanno la medesima struttura, con una piccola abside con volticella a botte, impostata sotto la statua del santo al piano della chiesa. L’abside è delimitata da due colonne di pavonazzetto e da due lesene di broccatello, con capitelli in marmo bianco decorati con il sole e le api, simboli araldici di Urbano VIII Barberini. La statua di Sant’Elena La statua avrebbe dovuto essere inizialmente affidata allo scultore Giuliano Finelli, che all’inizio dei lavori aveva però lasciato la bottega di Bernini. E non è da escludere che fos-
65
31, 34, 35
36. Francesco Mochi, Santa Veronica. A fronte: 37. Francesco Mochi, Santa Veronica, particolare del Sudario.
sero già stati presi degli accordi. Se ne potrebbe forse riconoscere un’eco nella S. Cecilia in S. Maria di Loreto a Roma, nell’atteggiamento di una S. Elena che sostiene la Croce82. Bernini preferì invece il giovane allievo Andrea Bolgi di Carrara, appena ventitreenne, certo più accondiscente verso il maestro83. La cosa determinò senza dubbio una rottura tra Finelli e Bernini. Il primo pagamento per il modello in stucco è del 1629, mentre il pagamento finale ebbe luogo il 15 marzo 1632. Secondo Torrigio, Bolgi aveva iniziato il modello il 2 luglio 1631 per essere completato e poi scoperto il 5 marzo 163284. Bisogna però attendere il 1635 per vedere attestato il primo pagamento per la scultura in marmo85, in quanto i blocchi di pietra giunsero da Carrara solo nel 1634 e il saldo finale si ebbe nel 1646. La statua è firmata e datata sull’orlo della veste e sulla base «1639». La statua venne comunque inaugurata come il Sant’Andrea nel 1640. La S. Elena era concepita per stare di fronte alla Veronica; da qui i gesti pacati della figura, che si contrappone alle manifestazioni degli affetti della Veronica. Per tale motivo la statua risulta la meno teatrale della serie, ed è stata trascurata dalla critica, anche se è riconoscibile l’influenza del maestro sul giovane allievo. Nella targa sopra l’arcone inferiore è l’scrizione: «PARTEM CRUCIS QUAM HELENA IMPERATRIX CALVARIO IN VRBEM AVEXIT / VRBANVS VIII PONT. MAX. E SESSORIANA BASILICA DESVMPTAM / ADDITIS ARA ET STATVA / HIC IN VATICANO CONDITORIO COLLOCAVIT» (Una parte della croce che l’imperatrice Elena portò dal Calvario nell’Urbe, tratta dalla basilica Sessoriana dal pontefice Urbano VIII, aggiunti un altare e una statua, la collocò nel Vaticano). La prima delle quattro cappelle delle Grotte sotto i piloni venne inaugurata con una messa nel 1630. In origine era dedicata a sant’Andrea. La tematica degli affreschi lungo il corridoio riguarda di conseguenza la vita del santo. La pala d’altare con la Sant’Elena e il miracolo della vera Croce, dipinta nel 1640 da Andrea Sacchi, fu poi sostituita da un mosaico di Fabio Cristofari, eseguito tra il 1682 e il 168986. Il dipinto è oggi conservato nella Sala Capitolare. Sulla destra dell’altare fu inserita nel 1632 una mensola proveniente, come quella della cappella di Longino, dalle balaustre del ciborio della Santa Lancia.
36, 37, 38
La statua della Veronica La reliquia del sudario su cui è impresso il volto di Cristo è la più venerata tra quelle conservate nelle nicchie dei piloni. Non a caso è una delle statue che Bernini ha più studiato sin dall’inizio nel 1627, sia per la collocazione sia per la composizione, e se n’è conservato il disegno preparatorio. Si tratta di un grande riconoscimento nei confronti
66
Alle pagine seguenti: 38. Pilastro delle reliquie di Santa Veronica.
VATICANO BAROCCO
39. Pilastro delle reliquie di San Longino.
di Francesco Mochi, al quale fu affidata l’esecuzione: «gli toccò delle nominate quattro statue la Veronica; dacché il Longino fu dato all’anzidetto Gianlorenzo, il Sant’Andrea al Fiammingo, e la Sant’Elena al Bolgi»87. Mochi iniziò a lavorarvi nel 1629, realizzando come gli altri il modello in stucco. Il marmo per le statue della Sant’Elena, della Veronica e di Longino arrivò a Roma nel luglio 1634 e solo dopo si poté avviare l’esecuzione finale88. Il 4 novembre 1640 l’opera, alla quale Mochi aveva dedicato grande cura per concludere la vita con «un’opera memorabile», era conclusa e venne scoperta alla presenza di Urbano VIII che «si soffermò a guardarla per essere molto bella e ben fatta»89. L’artista non fu però soddisfatto: «… perche il vien fatto alcune objectioni da detta S. Cong.ne in suo grave pregiudizio, et non potendo rispondere a tanta autorità. Però ricorre alli piedi della S. Vrara che li faccia gratia che sia sodisfatto conforme le qualità del lavoro, con farla giudicare da periti non interessati, acciò sia soddisfatto secondo essi giudicheranno…» (Passeri 1934, p. 134). L’8
67
VATICANO BAROCCO
68
VATICANO BAROCCO
69
VATICANO BAROCCO
40. Gian Lorenzo Bernini, San Longino. A fronte: 41. Gian Lorenzo Bernini, San Longino, particolare.
marzo 1646 ebbe luogo l’ultimo pagamento «per ogni resto saldo et intero pagamento della statua di S. Veronica da lui fatta»90. L’opera è firmata sulla base: «FRANCISCUS. MOCHIUS 91 A MONTE VARCHI FACIEBAT» . Nei preparativi per allestire la nicchia nel 1629 fu impegnato anche Borromini. La reliquia della Veronica, l’unica a non aver mai mutato di posizione, doveva corrispondere alla S. Elena. A differenza di questa è però colta in movimento. Le vesti sono mosse, agitate come tutto l’atteggiamento della figura, che apre la bocca come per gettare un urlo. «Da tante ragioni persuaso, e appagato Urbano, fece intendere al Mochi, che soffrisse in pazienza questa congiuntura a lui sfavorevole, e fece rimanerlo consolato con larghe promesse, e perche di queste ancora non venisse defraudato, ordinò, che se gli desse da fare una delle statue grandi d’altezza di 23 palmi l’una, che sono collocate nelle quattro nicchie maggiori ne pilastroni di San Pietro, che sostengono la cuppola. Fu data a lui quella della Veronica, la quale è una figura di tutto spirito, e maestria. La rappresentò in atto di moto, e d’un moto violente non solo di caminare; ma di correre con velocità, e qui mancò (e sia detto con sua pace) della sua propria essenza, perche, se la parola nominativa di Statua deriva dal verbo latino sto stas, che significa esser fermo, stabile, et in piedi, quella figura non è più statua permanente, et immobile come esser deve, per formare un simulacro da esser goduto, et amirato dai guardanti; ma un personaggio, che passa, e non rimane. Questo, che io dico non sia preso sinistramente, che io pretenda di fare il censore, e di biasimare quella bell’opera, che è degna d’ogni applauso»92. La targa superiore ricorda l’intervento di Urbano VIII in occasione dell’Anno Santo 1625: «SALVATORIS IMAGINEM VERONICA SUDARIO EXEPTAM | VT LOCI MAIESTAS DECENTER CVSTODIRET | VRBANVS VIII PONT. MAX. CONDITORIVM EXTRVXIT ET ORNAVIT | ANNO IVBILEI MDCXXV» (Affinché la maestà del luogo custodisse decorosamente l’immagine del Salvatore impressa nel sudario della Veronica, papa Urbano VIII aggiunse la statua marmorea e l’altare, costruì un tabernacolo e l’ornò nell’Anno del Giubileo 1625). Sull’altare delle Grotte situava una pala d’altare dipinta da Andrea Sacchi tra 1633 e 1634. Come tutte le altre venne sostituita da un mosaico di Fabio Cristofari eseguito tra il 1682 e il 168993. L’altare, in marmo bianco con specchiatura centrale in bardiglio, fu inaugurato da Benedetto XIII solo nel 1727. Sopra la mensola di sinistra, sempre retta da colonnine provenienti dal ciborio della Santa Lancia è una targa che ricorda il restauro generale delle Grotte Vaticane avvenuto sotto papa Benedetto XIV del quale è presente lo stemma.
70
La statua di San Longino Delle grandi statue (alte in media 4,5 m ca.) delle nicchie dei piloni, il Longino è l’unica realizzata da Bernini. Il primo pagamento per il modello in stucco risale, come tutti i compensi per gli altri scultori, alla fine del 1629, e altri si succedono sino al 5 aprile 163294. Con l’aiuto di Stefano Speranza, l’artista iniziò a lavorare alla scultura in marmo nel 1634, portandola a termine nel 1638, in anticipo rispetto a quelle degli altri artisti95. È ricavata da quattro blocchi di marmo, corrispondenti al corpo, al braccio destro alzato, al grande blocco della veste sulla destra e a quello retrostante a sinistra. Longino, secondo la tradizione, aprì con la lancia il costato di Cristo morto in croce, e col sangue che sgorgò fu guarito dalla cecità. Nella scultura il santo allarga, con gesto quasi simmetrico, le braccia nel momento della sua conversione sul monte Calvario. Con la destra mostra la lancia, immagine della reliquia qui conservata. Accanto al
39-41
71
VATICANO BAROCCO
piede sinistro è un elmo di tipo frigio. Inizialmente la statua doveva portare la mano sinistra al petto in segno di devozione96. I due modelli superstiti, uno a Cambridge Mass. (Fogg Art Museum) l’altro nel Museo di Roma, mostrano un concetto diverso. Inizialmente sia Longino sia Andrea avrebbero dovuto rivolgersi verso il coronamento del baldacchino, dov’era prevista la statua di Cristo risorto. Longino ora allarga invece le braccia come a ricordare la Crocefissione97. La figura guarda verso il Cristo della cupola, e ciò spiega lo sguardo pieno di pathos rivolto verso l’alto: il santo, colto nel momento della conversione, riempie con le braccia allargate l’intero spazio della nicchia. La superficie della statua è trattata con una particolare tecnica di graffiature parallele che riescono ad assorbire la luce e che è accostabile alle pennellate larghe di pittori come Rubens o Pietro da Cortona. Al disopra della nicchia è la targa commemorativa: «LONGINI LANCEAM QUAM INNOCENTIVS VIII PONT. MAX. | A BAIAZETE TVRCARVM TYRANNO ACCEPIT | VRBANVS VIII STATVA ADPOSITA ET SACELLO SUBSTRVCTO | IN EXORANEMNTVM CONDITORIVM TRANSTVLIT» (La lancia di Longino, che papa Innocenzo VIII ricevette dal tiranno dei turchi Bajazet, Urbano VIII trasferì in un tabernacolo decorato dopo avervi posto una statua e costruito l’altare). La cappella nelle Grotte era originariamente dedicata a sant’Elena e alle storie della vera Croce. La pala d’altare con il Martirio di san Longino, dipinta da Andrea Sacchi nel 1633-3498, danneggiatasi già dopo poco tempo, venne copiata a mosaico tra il 1682 e il 1689 da Fabio Cristofari. Tra le scene dipinte nel corridoio è il Trasferimento della reliquia della santa Croce dalla basilica di S. Croce in Gerusalemme a Roma alla basilica vaticana il 18 marzo 1629.
I BALCONI DELLE NICCHIE SUPERIORI Le nicchie superiori, destinate a ospitare le reliquie, sono accessibili con una scala a chiocciola utilizzata anche per la loro ostensione soprattutto durante la Settimana Santa. In un grande rilievo è raffigurata la reliquia conservata, in relazione anche col personaggio raffigurato nella statua, retta da angeli aiutati da puttini. Le figure, in marmo bianco, si stagliano su un fondo di marmo colorato a suggerire il cielo99. Al di sopra delle edicole sono raffigurate nuvole raggiate in stucco dorato tra cui sono putti che recano dei cartigli. Le opere furono eseguite, tra il 1633 e il 1640100, dai maggiori artisti e artigiani presenti, che potevano già osservare la nuova disposizione degli altari. L’angelo portacroce della S. Elena, di Luigi Bernini, fu ultimato da
72
VATICANO BAROCCO
A fronte: 42. Abside con la Cathedra Petri.
Niccolò Sale nel 1640; i putti furono eseguiti da Stefano Speranza nel 1635. Il rilievo al disopra del Longino è di Matteo Bonarelli (1636-1638), mentre quello del S. Andrea, di Domenico de’ Rossi, fu eseguito tra il 1637 e il 1638. Tra il 1634 e il 1641 Niccolò Menghini eseguì l’angelo che mostra il sudario della Veronica. Per l’esecuzione degli angioletti risultano pagamenti a Matteo Bonarelli, Domenico de’ Rossi, Andrea Bolgi, Luigi Bernini e Orfeo Boselli. Tutti guidati da Bernini in modo che non si percepiscono differenze stilistiche in grado di consentire attribuzioni individuali. Delle finiture pittoriche fu incaricato Guidobaldo Abbatini. Tutti i rilievi, così come le pitture, seguono precise regole compositive caratterizzate dall’impostazione diagonale. Va sottolineato che il rilievo del S. Andrea, in coerenza col programma escatologico, esibisce in forma ancora più netta la «chi» del monogramma di Cristo, e gli angeli mostrano in modo semplice e immediato le reliquie, di norma non visibili. La Cathedra Petri Quando Urbano VIII ebbe collocato nelle nicchie laterali della Tribuna le tombe di Paolo III e la propria, dovette provvedere alla nicchia centrale. In un primo momento pensò di porvi un altare dedicato all’arcangelo Michele. Dopo l’elezione al papato, il 6 agosto 1623, il pontefice si era ammalato, come molti altri cardinali presenti al concistoro, e rimase chiuso nei propri appartamenti. Una volta guarito fissò con cura la data dell’incoronazione al 29 settembre, festa di S. Michele Arcangelo. La figura dell’angelo, vincitore su Lucifero, rappresentava un’emblema della Controriforma: mandato da Dio per difendere la Chiesa contro le eresie, e in primo luogo contro i riformatori protestanti. In una pianta della basilica con le dedicazioni degli altari proposte dai cardinali nell’ottobre 1626, l’altare al centro della tribuna risulta consacrato proprio all’arcangelo101. Il 4 novembre 1626 un documento informa che s’intendeva commissionare a Bernini un rilievo con S. Michele, e che la Congregazione dei cardinali della Fabbrica desiderava per il centro della tribuna il più splendido degli altari, poiché sarebbe stato visto da tutti102. La distanza rispetto alla tomba di Pietro riduceva gli scrupoli della mancata dedicazione dell’altare all’apostolo. All’inizio dell’anno successivo Urbano VIII si domandò però se non fosse il caso di preferire, in una chiesa così importante, la raffigurazione di una scena storica della vita del santo. Il 19 febbraio 1627 Angelo Giori registra così un primo cambiamento del pensiero del papa: «ho parlato ad N.S. per lo stabilimento degl’altari
42-54
73
VATICANO BAROCCO
43. Cathedra Petri, sedia di Carlo il Calvo.
VATICANO BAROCCO
A fronte: 44. Gian Lorenzo Bernini, Cathedra Petri, particolare.
di S. Pietro … et mi ha fatto difficoltà: … che le piace più, che facci l’historia di S. Pietro, quando claves regni caelorum illi traditae fuerunt, che S. Michele, perche essendo questa chiesa di S. Pietro et questo il principale loco è conveniente sia dedicato alla più principale attione»103. La figurazione più adatta alla basilica petrina era senza dubbio la Consegna delle chiavi, come affermato dalle parole di Cristo («Tu es Petrus …»), che sin dall’inizio avevano costituito il messaggio principale per confermare nel papato la successione di Pietro. Poco dopo si pensò effettivamente di realizzare una pala d’altare con tale soggetto, come riferisce un altro documento: «Iconam in altari extremae sublimioris basilicae partis constituendam, in qua pingenda seù ex marmore sculpenda, aut metallo fundenda erit historia Principis Apostolorum recipientis claves regni coelorum, quatenus Smus pingi mandet, à Guido Arena [Guido Reni], quatenus vero sculpi, vel fundi, ab equite Bernino sculpi seu fundi deliberarunt»104. La scena fu effettivamente realizzata da Antonio Pomarancio tra il 1628 e 1629, ma fu tolta per far spazio alla tomba di Alessandro VIII. Da tempo l’iconografia di san Pietro aveva iniziato a essere presente in basilica. In un primo momento
74
Paolo V voleva far raffigurare la Traditio clavis a rilievo da Alessandro Bonvicino sulla porta principale della chiesa. Trasferita la Navicella di Giotto, Bernini realizzò il rilievo col Pasce oves meas da collocare nel medesimo luogo105. Urbano VIII non aveva abbandonato l’idea di porre il trono papale nella tribuna, e nel 1633 acquistò una colonna di porfido «per fare nella basilica la sedia ponteficale»106. La collocazione della cattedra era oggetto di attenzione anche per gli osservatori del tempo come Baglione, che annotava: «Sta la nicchia grande, o Tribuna in capo della chiesa tra queste due cappelle, ove sono tre nicchie piccole, ed in quella di mezzo vi andrà la sede ponteficia»107. Tra le incertezze la nicchia centrale della Tribuna era però destinata a rimanere vuota ancora per molti anni. In un memoriale di Michele Lonigo per Alessandro VII si afferma che «la sede del vescovo, secondo le buone ceremonie, locar si deve nell’mezzo del presbiterio… così vuole Innocentio III pontefice intendissimo de’sacri riti, così insegna Paris de Grassis maestro eccellentissimo di ceremonie, così ricerca la ragione e il dovere, e così fu sempre osservato anticamente nel locar le sedi episcopali di tutti i vescovi di Christianità»108. L’autore si riferisce al mosaico absidale del vecchio S. Pietro con Cristo in trono, il riferimento più significativo per la posizione eminente spettante al vescovo. Fu proprio Alessandro VII a sviluppare il concetto per la sistemazione della nicchia centrale, con una decisione di svolta che costituì la soluzione ideale sia dal punto di vista del significato teologico sia da quello dell’esecuzione artistica, di eccezionale qualità. L’idea consistette nel collocare sull’altare come una reliquia la venerata Cattedra di S. Pietro: La Cattedra s’identificava con Pietro, costituendo il suo trono e allo stesso tempo il trono del Papa, simbolo quindi del regno papale. L’antico trono ritenuto la Cathedra Petri è in realtà molto più recente: si tratta del trono che servì nel giorno di Natale dell’875 per l’incoronazione imperiale di Carlo il Calvo, rimasto poi come dono in basilica. La sedia, con ricchi ornamenti in avorio e rilievi mitologici, assunse presto il valore di trono storico, e ogni anno venne esposta alla venerazione dei pellegrini in occasione della festa della Cattedra, il 22 febbraio. Mantenne tale funzione perfino per la incathedratio del papa, che mostrava in tal modo il suo ruolo di successore di Pietro. Con Innocenzo III il significato della reliquia, testimonianza della presenza del Santo a Roma, si accrebbe ulteriormente («grandissimo testimonio … che l’apostolo, sia stato in Roma»)109, perdendo sempre di più con i papi dell’età moderna le funzioni pratiche. Già con Paolo V fu protetta da una
75
45. Gian Lorenzo Bernini, Cathedra Petri, dettaglio con il rilievo Pasce oves meas.
76
A fronte: 46. Gian Lorenzo Bernini, Cathedra Petri, testa di S. Giovanni Crisostomo.
VATICANO BAROCCO
77
VATICANO BAROCCO
VATICANO BAROCCO
47. Gian Lorenzo Bernini, Cathedra Petri, rilievo sulla cattedra con la Lavanda dei piedi. 48. Gian Lorenzo Bernini, Cathedra Petri, rilievo sulla cattedra con la Consegna delle chiavi. A fronte: 49. Giovanni Paolo Schor, Cathedra Petri, Spirito Santo. Alle pagine seguenti: 50. Gian Lorenzo Bernini, Cathedra Petri, Ss. Ambrogio e Atanasio. 51. Gian Lorenzo Bernini, Cathedra Petri, Ss. Giovanni Crisostomo e Agostino. 52. Gian Lorenzo Bernini, Cathedra Petri, S. Ambrogio. 53. Gian Lorenzo Bernini, Cathedra Petri, S. Atanasio.
78
79
VATICANO BAROCCO
80
VATICANO BAROCCO
81
VATICANO BAROCCO
82
VATICANO BAROCCO
83
VATICANO BAROCCO
custodia bronzea che replicava la forma della sedia e poteva servire da trono papale. Nella basilica costantiniana la Cattedra era stata spostata più volte. Trasferita in un primo tempo nel 1576 nella cappella di S. Maria delle Febbri, che fungeva da sacrestia e nella quale si conservavano molte reliquie provenienti dalla vecchia basilica, nel 1606 fu collocata nella cappella dei Ss. Crisostomo, Lamberto e Servazio110. Nel 1630 Urbano VIII ne decise un nuovo spostamento nella cappella del Battistero, dove venne protetta da una custodia. Bernini predispose un progetto per l’altare111 nel quale ai lati della Cattedra sono due angeli inginocchiati, davanti a una gloria con nubi e la colomba dello Spirito Santo tra raggi di luce. Il reliquiario, scolpito inizialmente in legno da Giovanni Battista Soria, fu collocato nel 1636 sull’altare. La custodia in bronzo fu realizzata solo nel 1646 da Giovanni Pietro del Duca112. Distrutto l’altare nel 1666, dopo il trasporto della reliquia nella nuova sede nella Tribuna la custodia bronzea venne fusa. Il modello ligneo di Soria, con decorazioni dorate e gli emblemi delle api e del sole in riferimento a papa Barberini, è tuttora conservato presso la Fabbrica di S. Pietro. Nel 1705 Clemente XI fece eseguire una copia della sedia per esporla ai fedeli, non essendo dal 1666 più possibile vederla in quanto inserita nel nuovo altare voluto da Alessandro VII. Il 6 marzo 1656 un decreto della Sacra Congregazione manifestava l’intenzione di Alessandro VII di trasferire la Cattedra dal Battistero, dov’era conservata, all’abside, sua futura definitiva collocazione, come confermava il 21 aprile Virgilio Spada113. Ha così inizio la realizzazione della più
84
54. Gian Lorenzo Bernini, Modelli dei puttini per la Cathedra Petri.
nota opera d’arte di S. Pietro. Era importante attribuire al punto focale della basilica un adeguato significato spirituale e teologico. Ricevuto l’incarico, Bernini sviluppò in accordo col papa il progetto, presentando agli inizi del 1657 i primi disegni e stimando in «non meno di due anni» il tempo necessario per la sua realizzazione114. Dopo molti disegni e bozzetti che nella forma anticipano già la soluzione finale, nell’autunno 1659 si poté porre nella nicchia un modello in scala naturale, com’era di prassi per i progetti di S. Pietro115. Si constatò però che risultava troppo piccolo in rapporto alle due tombe laterali. Da qui il radicale mutamento di dimensioni che portò a un rallentamento dei lavori116. Il problema principale era costituito dalla visione a distanza, dalla navata centrale, che necessitava una percezione d’insieme col baldacchino, come dimostrano vari disegni di Bernini (BAV, Cod. Chigi A.I.19, fol. 41r e 42v). L’altare, non più limitato come le tombe dall’altezza della nicchia, occupava ora l’intera parete dell’abside, inglobandone anche la finestra, trasformata in un elemento essenziale del «theatrum». Un anno più tardi, Bernini accenna nelle Giustificazioni ai collaboratori della Cattedra: Cosimo Carcani falegname per le parti in legno; per i bozzetti dei quattro Dottori della chiesa Ercole Ferrata, Antonio Raggi e Lazzaro Morelli117. A fine 1661 si poté iniziare la fusione delle statue dei Padri della Chiesa e nel 1664 quella del vero e proprio reliquiario. I protagonisti di questo sontuoso «theatrum sacrum» sono infatti i quattro Padri della Chiesa: sant’Ambrogio e sant’Agostino, appartenenti alla Chiesa d’Occidente; san Giovanni Crisostomo e sant’Atanasio, in secondo piano, a quella d’Oriente. Le loro figure esprimono perciò l’insieme della Chiesa cattolica. Le statue colossali (alte quasi 5 m), con le loro vesti mosse come colpite dal vento, con i gesti e le espressioni dolenti, conferiscono un aspetto solenne all’insieme. L’aspetto mesto delle statue deve probabilmente essere ricollegato al rito funebre, coincidendo il 22 febbraio, festa della Cattedra, con la festività dei defunti118. I Padri della Chiesa occidentale portano la mitria, mentre quelli orientali indossano i paramenti del rito greco. Come già sperimentato nella tomba di Urbano VIII, l’uso delle dorature nei punti salienti determina un forte gioco di chiaroscuro nel contrasto tra il nero del bronzo e il riflesso chiaro che delinea le sagome. La custodia della Cattedra poggia su una base convessa con quattro mensole a voluta che recano decorazioni di rami di quercia in riferimento a papa Chigi. A foggia di sedile, la custodia presenta sulla fronte una grata traforata con le stelle chigiane. Nel pianale sono due sportelli che permettono di estrarre il trono dal reliquiario. L’estrazione
55. G. Bonanni, baldacchino, incisione.
Alle pagine seguenti: 56. S. Pietro, veduta dell’atrio.
luce dorata che lo fa apparire come d’ambra. In un iniziale progetto di Bernini, noto da un disegno delle Collezioni reali inglesi a Windsor Castle, i quattro Padri della Chiesa reggevano la Cattedra sulle proprie spalle. Il reliquiario si è progressivamente «alleggerito» e sembra ora librarsi verso il cielo. I Padri sono collegati solo con delle cinte e sostengono la sedia simbolicamente. La chiave interpretativa è quindi da ricercarsi nella Gloria che si apre sopra la grande macchina121. Pare che in occasione delle canonizzazioni si ponesse sopra la Cattedra l’immagine del beato, a conferma del significato della Gloria del Paradiso122. Il 17 gennaio 1666 venne rimossa la tenda che copriva l’altare e in solenne processione la reliquia fu trasferita dalla cappella all’altare della Tribuna123. Filippo Baldinucci, che ne fu testimone, ha lasciato un ricordo e un riassunto dei lavori della Cattedra124.
L’INTERNO DELLA BASILICA AL TEMPO DI INNOCENZO X
è molto complicata e i canonici non intesero prevedere una modalità più semplice per l’eventuale esposizione ai fedeli119. Sulla sedia è posato un cuscino ricoperto di stelle, sempre in riferimento a papa Chigi, con due grosse nappe. Sui lati esterni sono due rilievi storici. A sinistra è la Consegna delle chiavi a san Pietro, che adempiva a un desiderio espresso già ai tempi di Urbano VIII; sul lato opposto, verso la tomba di papa Barberini, è la Lavanda dei piedi dell’apostolo Pietro durante l’Ultima Cena (Gv 13, 1-20). Lo schienale ha una terminazione curvilinea con due volute ripiegate verso l’interno che riprendono il motivo delle grandi volute del baldacchino. Al centro dello schienale è il rilievo del Pasce oves meas, tema trattato anche in controfacciata in una scultura di Gian Lorenzo Bernini. Le scene sottolineano il mandato di Cristo a Pietro e ai suoi successori, idealmente assisi sulla Cathedra Petri. Al disopra volano due putti di bronzo che nella sinistra stringono una chiave dorata, mentre con la destra sorreggono la tiara. Sopra la Cattedra, in posizione centrale, si apre l’ovale della finestra con lo «Spirito Santo in sembianza di colomba» (Baldinucci) da cui si dipartono raggi di stucco dorato in un coro di angeli. L’ovale è l’unica fonte di luce della parte centrale della Tribuna. Il vetro, dipinto a olio dal pittore tedesco Giovanni Paolo Schor120, è attraversato da una
La controfacciata L’allestimento della crociera, punto cruciale della basilica, si rivelò piuttosto impegnativo, ma papa Urbano VIII non limitò a questo luogo la propria attività. Cominciò anche a dotare le cappelle di altari e a renderli funzionali. Non meno significativa risultò la decorazione della controfacciata, che esprimeva un messaggio petriano oggi purtroppo solo idealmente ricostruibile, benché tutti gli elementi vi siano conservati. Sopra la porta centrale nella controfacciata, nel 1615, papa Paolo V fece inserire una targa commemorativa dei lavori da lui condotti, che comprendevano la Confessione e la facciata della basilica, nella quale fece iscrivere il suo nome; ma l’iscrizione fu fatta riscrivere da Urbano VIII, che vi inserì un breve cenno sulla storia della chiesa da quando, un secolo prima, erano state aggiunte le cappelle di Gregorio e Clemente. L’iscrizione originale fu composta dal cardinale Gaspare Borgia125: «PAVLUS V PONT. MAX. VATICANVM TEMPLVM A JVLIO II INCHOATVM ET VSQVE AD GREGORII ET CLEMENTIS SACELLA ASSIDVO CENTVM ANNORVM OFFICIO PRODVCTVM TANTAE MOLIS ACCESSIONE VNIVERSVM COSTANTINIANAE BAILICAE AMBITVM INCLVDENS CONFECIT CONFESSIONEM BEATI PETRI EXORNAVIT FRONTEM ORIENTALEM ET PORTICVM EXTRVXIT» (Papa Paolo V, racchiudendo con l’aggiunta di così grande mole l’intero perimetro della basilica costantiniana, portò a termine il tempio vaticano iniziato da Giulio II e condotto sino alle cappelle di Gregorio e Clemente grazie all’assidua operosità di cento anni; ornò inoltre la Confessione di san Pietro, innalzò il fronte
85
VATICANO BAROCCO
86
VATICANO BAROCCO
87
VATICANO BAROCCO
57. Schema del pavimento dell’atrio.
59. Pasce oves meas, rilievo.
58. Veduta dell’atrio.
60. La Navicella, rifacimento seicentesco del mosaico di Giotto.
Alle pagine seguenti: 61-62. Agostino Cornacchini, statua equestre di Carlo Magno, intero all’interno del vestibolo e dettaglio della statua.
ricordo dei lavori di Urbano VIII, a continuazione della storia della chiesa, e si spostò la targa di Paolo V sul lato opposto: «VRBANVS VIII PONT. MAX. VATICANAM BASILICAM A COSTANTINO MAGNO EXTRVCTAM A BEATO SILVESTRO DEDICATAM IN AMPLISSIMI TEMPLI FORMAM RELIGIOSA MVLTORVM PONTIFICVM MAGNIFICENTIA REDACTAM SOLEMNI RITV CONSECRAVIT SEPULCHRVM APOSTOLICVM AENEA MOLE DECORAVIT ODAEVM ARAS ET SACELLA STATVIS AC MVLTIPLICIBVS OPERIBVS ORNAVIT» (Papa Urbano VIII consacrò con rito solenne la ba-
orientale e il portico). In alto, nella lunetta, fu inserito il mosaico di Giotto della Navicella, tamponando una grande finestra126. Era quindi necessario aprire altre due finestre accanto al mosaico per illuminare la navata. Lo stemma di Paolo V fu spostato sotto il cornicione, mentre Urbano VIII fece apporre il suo sotto il mosaico. Quando s’iniziarono a costruire gli stipiti dei portali, nel 1631 si aggiunse un’iscrizione sulla parte destra della parete a
88
silica vaticana costruita da Costantino il Grande, dedicata dal beato Silvestro e condotta alla forma di massimo tempio dalla religiosa magnificenza di molti pontefici, decorò il sepolcro dell’apostolo con bronzea mole, adornò l’abside, gli altari e le cappelle con statue e molteplici opere). Il resto della parete fu rivestito con lastre di marmo. Un disegno nella Biblioteca Apostolica Vaticana documenta questa situazione127. Sopra la porta doveva essere inserito un rilievo con la scena del Pasce oves meas commissionato nel 1633 a Bernini, che ricevette il 28 settembre dello stesso anno il primo pagamento: «a conto del bassorilievo, che fa di marmo, che fa per mettere in mezzo alle due Inscrittione sopra la porta grande in S. Pietro, qual sarà pasce oves meas, di grandezze di palmi 25 per lunghezza et palmi 22 di altezza»128. L’esecuzione ebbe luogo però solo tredici anni più tardi nel 1646129. L’opera fu inserita al centro della controfacciata sotto la Navicella, ma già dopo pochi anni, nel 1649, fu trasferita all’esterno, nell’atrio, e adattata alla forma della lunetta da mastro Pietro da Lugano, muratore, e Marcantonio Inverni, doratore. Anche la Navicella fu ricollocata nell’atrio, nella lunetta di fronte, dopo che in un primo momento era stata trasportata nel cortile della Guardia Svizzera. Nell’atrio venne restaurata e poté essere scoperta per l’Anno Santo del 1675. Nel rilievo del Pasce oves meas Cristo trasmette a Pietro il compito del pastore: «Pasci le mie pecorelle» (Gv 21, 15-17). Cristo sta al centro della scena, e con la destra indica a Pietro un gruppo di pecore in primo piano. Dal
59
60
89
VATICANO BAROCCO
90
VATICANO BAROCCO
91
VATICANO BAROCCO
63. Veduta della navata centrale. A fronte: 64. Veduta della navata destra.
punto di vista formale Cristo è separato dal fusto di un albero, e il gruppo plastico sta in primo piano. Un brano del Vangelo di Giovanni si riferisce alla parabola del buon pastore (Gv 10, 11-18), che inizia con le parole: «In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore» (Gv 10, 1-2). Il significato del rilievo si chiarisce se si prende in considerazione il luogo per il quale è stato eseguito. Cristo tramanda a Pietro, prima che a tutti gli altri apostoli, il compito della guida del gregge. Ciò implica che con questo gesto è istituito il papato, nella linea di successione di Pietro. Cristo si rivolge verso la destra, dove è Pietro e su questo lato, osservando la controfacciata, si trovava la Cappella della Cattedra dov’era con-
92
servata la Cathedra Petri prima di essere trasferita nella Tribuna. Sulla sinistra era invece la Cappella del Crocefisso, che alludeva alla Passione e dove si trovava la reliquia della Colonna Santa. L’immediata prossimità del portone poteva essere ugualmente allusiva alla porta della quale parla il Vangelo e dalla quale entra il Buon Pastore130. Un anno dopo l’elezione di Innocenzo X, nel 1644, inizia una nuova fase, che concentra l’attenzione sulla decorazione dell’interno della basilica. Anche la navata centrale ne era coinvolta. Già nel giugno 1647 si pensò di togliere la Navicella di Giotto per liberare la grande finestra della facciata e dare più luce alla navata centrale; si procedette al distacco già l’anno successivo, ma solo nel 1674 poté essere collocata nel luogo dove ancora oggi si trova. Nel 1650, dopo il trasferimento del rilievo del Pasce oves meas dalla
controfacciata, al suo posto venne inserita, in posizione centrale, una terza targa commemorativa con il testo composto dal gesuita Flaminio Strada, che ricorda tra l’altro la nuova pavimentazione della basilica: «BASILICAM PRINCIPIS APOSTOLORVM IN HANC MOLIS AMPLITVDINEM MVLTIPLICI ROMANORVM PONTIFICVM AEDIFICATIONE PERDVCTAM INNOCENTIVS X PONT. MAX. NOVO CAELATVRAE OPERE ORNATIS SACELLIS INTERIECTIS IN VTRAQVE TEMPLI ALA MARMOREIS COMVNIS STRATO E VARIO LAPIDE PAVIMENTO MAGNIFICENTIVS TERMINAVIT».
IL RIVESTIMENTO MARMOREO DELLE NAVATE 63-66
Il colore dominante della basilica era in origine un bianco sobrio, cui si sommava l’effetto prodotto da marmi non
troppo colorati, come si vede ancora nei grandi pilastri della Tribuna e della navata centrale. Solo le cappelle della crociera, completate sul finire del Cinquecento, sono rivestite da un colorato e prezioso commesso marmoreo, che coinvolge pareti e pavimenti. Il primo esempio di un tale ricco complemento decorativo è costituito dalla Cappella Gregoriana, voluta da Gregorio XIII, che suscitò grande ammirazione da parte dei visitatori e divenne un modello per la decorazione non solo di S. Pietro, ma anche di altre cappelle nelle chiese di Roma. Le navate e le grandi cappelle avevano mantenuto per molto tempo un aspetto più discreto. Nella prima metà del Seicento i pilastri degli ordini principali della Tribuna, della navata centrale e del transetto erano di colore bianco, mentre il pavimento era ammattonato, ad eccezione dell’area della
93
VATICANO BAROCCO
65. Veduta della navata sinistra.
VATICANO BAROCCO
A fronte: 66. I marmi della navata destra in una fotografia storica.
Confessione già sistemata sotto Clemente VIII. Nel 1645, in previsione dell’Anno Santo, la Congregazione della Fabbrica di S. Pietro decise per l’occasione di rivestire con marmi colorati e rilievi plastici i ventiquattro pilastri delle sei Cappelle Grandi, nonché di mutare l’aspetto del pavimento e delle volte. L’incarico di stilare il progetto della nuova decorazione fu affidato a Bernini, ma l’artista si attirò moltissime critiche per le alte spese previste e per lo sfarzo, tanto che Innocenzo X dovette assumerne personalmente le difese e confermargli l’incarico. Nel programma decorativo il ruolo del papa fu decisivo. Il suo gusto artistico, spesso criticato, era caratterizzato da un’impostazione e da una visione storica che faceva spesso ricorso alle tradizioni della vecchia basilica. Egli decise così che sui pilastri fossero rappresentati i primi papi martiri. Il motivo, a piccoli tondi o ovali, deriva dai clipei dipinti del periodo di Leone Magno già nella navata della basilica costantiniana, noti solo grazie ai disegni di Jacopo Grimal-
94
di131. Pur ricollegandosi ai modelli precedenti, il progetto di Bernini introduceva un elemento di forte novità, in quanto mentre il sistema decorativo antico presentava una struttura geometrica e simmetrica intorno a un nucleo centrale, quello nuovo era sviluppato in forte senso plastico. Nell’ottobre 1645 si valutarono i disegni di Bernini, e con decreto del 9 ottobre gli si chiese di presentare un modello in dimensioni reali da applicare a un pilastro132. Nel gennaio 1646 Guidobaldo Abbatini presentò due soluzioni alternative. Si trattava di tele che proponevano lo schema dei pilastri in pittura a imitazione dei diversi marmi. Negli ovali si sarebbe raffigurata la serie dei ritratti dei primi 48 papi martiri, a partire da san Pietro fino a Benedetto I. Lo storico Francesco Maria Torrigio (1580-1650) ne elaborò l’elenco secondo la cronotassi, tralasciandone però alcuni (Liberio, Siricio, Simmaco, Bonifacio II, Giovanni II, Virgilio, Pelagio I e Giovanni III). Una serie confrontabile di ritratti, che giunge sino ad oggi, è in S. Paolo fuori le mura133. L’esecuzione della parte plastica, cioè dei putti e dei medaglioni, doveva essere affidata a vari scultori, tra cui Andrea Bolgi e Francesco Mochi, ciascuno dei quali doveva operare sotto la propria responsabilità. Fu anche stabilito il prezzo di 500 scudi per pilastro. S’iniziarono anche ad acquistare marmi come il verde antico, il giallo brecciato e il mischio di Francia oltre al marmo bianco di Carrara. La campagna decorativa iniziò nel maggio 1646 dalla Cappella del Sacramento, alla quale fecero seguito progressivamente la Cappella del Coro, la Cappella di S. Sebastiano, la Cappella del Crocefisso, la Cappella della Presentazione e infine la Cappella della Cattedra134. I medaglioni, sorretti da puttini, sono incorniciati dalle palme del martirio; al centro dei pilastri sono altri putti che reggono le insegne papali. In alto e in basso il pilastro si conclude con un piccolo campo curvilineo contenente una colomba, elemento araldico di Innocenzo X Pamphilj. A differenza della decorazione in stucco degli arconi, i rilievi procedettero con una certa lentezza. Il 13 aprile 1647 la Congregazione decise un cambio di progetto. Si decise infatti che l’iniziale numero dei papi dovesse essere ampliato. Il cardinale Giustiniani e Virgilio Spada dovettero così scegliere ulteriori papi da raffigurare. Con l’aggiunta dei pilastri delle due cappelle mediane si raggiunse così il numero complessivo di 56 papi storici135, e Francesco Maria Torrigio fu chiamato ancora una volta a elaborarne il programma. Da questo momento mutarono però le modalità decorative dei vestiboli delle cappelle grandi, che furono integrati nelle cappelle di appartenenza136. La serie dei vestiboli costituì così una vera e
95
VATICANO BAROCCO
67. Alessandro Algardi, Tomba di Leone Magno.
68. Domenico de’ Rossi, Virtù della Misericordia.
propria navata laterale. L’anno seguente si sostituirono le colonne di travertino con colonne di marmo cottanello che introdussero un timbro di color rosso integrandosi nella struttura della navata. Ben più incisiva fu l’intenzione di modificare il pavimento, che venne rivestito di marmi colorati. S’innalzò il livello della navata, portato all’altezza della crociera, che Maderno avrebbe invece voluto far risaltare come luogo prominente. La proposta di Bernini di rivestire di marmi anche i pilastri della navata non venne però accettata.
68-75
Le Virtù Completata la Cappella Gregoriana, si decise di esportare il fasto decorativo dell’interno della cappella sulle pareti della navata e nei vestiboli delle cappelle. Giacomo Della Porta, per volere di papa Clemente VIII, ebbe il compito di progettare la decorazione dei pennacchi tra le paraste e la trabeazione. Si pensò di occupare i triangoli con figure di stucco che riempissero i vuoti e dessero allo stesso tempo con il solo colore bianco un’impronta sobria e armoniosa. La Congregazione della Fabbrica previde per i sedici pennacchi le figure allegoriche delle Virtù cristiane, teologali e cardinali. I lavori iniziarono nel 1599. Esistendo al momento solo il corpo centrale michelangiolesco, verso il transetto vi era posto per otto coppie di figure, ma sotto Clemente VIII si realizzarono solo le prime tre coppie di allegorie. Della coppia con la Fede e la Carità sull’arco di accesso alla Cappella Gregoriana è autore Ambrogio Buonvicino. Il Libro delle Spese 1599-1600 del Fattore della Fabbrica Giovanni Bellucci registra i primi pagamenti da giugno 1599: «A di 25 giugno 1599 a mastro Ambrogio Buonvicino scultore scudi 10 di moneta a buon conto delle doi figure di stucco che fa sopra la volticella in contro alla Gregoriana»137. La Giustizia e la Fortezza presso la Cappella Clementina sono opera di Camillo Mariani, allievo di Buonvicino. La Speranza e la Prudenza sull’ingresso alla Cappella di Santa Marta furono eseguite qualche tempo prima138. La decorazione dei pennacchi s’interruppe per alcuni anni. La situazione era infatti mutata da quando Maderno aggiunse la lunga navata. Con decreto del 3 gennaio 1647 si procedette alla decorazione in stucco dei pennacchi delle arcate della navata sopra i passaggi alle cappelle grandi139. Si dovette quindi disporre l’inserimento di sei coppie di Virtù, di cui Virgilio Spada elaborò certamente l’identificazione iconografica. Spada dovette scegliere anche gli scultori dei lavori, che risultarono essere in numero di dieci, e tra i quali non sarà mai nominato Bernini. Dal
96
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
gennaio 1714 al luglio 1717, iniziando nel transetto di sinistra dall’arcata (detta dei Ss. Simone e Giuda) che immette all’uscita verso piazza S. Marta. Avendo la libertà di scegliere le Virtù secondo il proprio discernimento, non si preoccupò di ripetere alcune figure allegoriche già presenti nelle arcate della navata, intendendo conferire all’opera un’interpretazione del tutto personale. Iniziò nel 1715 con le allegorie della Religione (la Fede Cattolica) e della Giustizia sul lato destro del transetto sinistro141. Da qui si spostò su quello destro, dove raffigurò la Purezza e la Benignità142. Nel luglio 1716 si trasferì nell’abside, dove creò le figure dell’Umiltà e dell’Immortalità. Nella Tribuna della Cattedra sono la Cognizione e la Compassione, che alcune guide identificano come la Conoscenza e l’Amor Divino143. Ottoni aveva sviluppato una tale abilità nel suo operare da poter eseguire le due figure in appena tre mesi, riuscendo a consegnare le sculture entro l’aprile 1717. In mancanza di documenti l’individuazione delle allegorie si deve basare sull’Iconologia di Cesare Ripa, che costituisce la base iconografica di molte delle figure presenti. La coppia del transetto destro raffigura la Liberalità e la Vigilanza. Alcune statue di forma particolarmente allungata vennero concepite per una visione da sott’in su, piuttosto che per una percezione frontale (come oggi avviene invece con la ripresa fotografica, che ne accentua così la deformazione).
punto di vista formale si seguì il prototipo messo a punto da Mariani e Buonvicino. Tra il 1647 e il 1650 si concluse il riempimento dei pennacchi nella navata. Nel settembre 1647 Andrea Bolgi iniziò la serie con l’Autorità Ecclesiastica sul lato sinistro sopra l’ingresso della Cappella della Cattedra (detta poi del Battesimo). Segue sulla destra la Giustizia Divina, sempre di Bolgi. Di fronte sono la Misericordia di Domenico de’ Rossi e la Fortezza di Giovanni Francesco de’ Rossi. Sul lato sinistro della navata sono la Verginità e l’Obbedienza di Niccolò Menghini. Segue la Clemenza di Jacopo Antonio e Cosimo Fancelli, ai quali si deve anche la Costanza davanti alla Cappella di S. Sebastiano. L’Umiltà di Bartolomeo Cennini, la Pazienza di Domenico Prestinari, l’Innocenza di Giovanni Battista Morelli e la Pace di Lazzaro Morelli concludono la serie. Mancavano ancora cinque coppie, tutte nella zona della Tribuna e nel transetto. Le dieci statue furono affidate nel dicembre 1712 a Lorenzo Ottoni, che aveva ottenuto l’incarico direttamente140. L’artista vi lavorò dal
67
La Tomba di Leone Magno Leone Magno (440-461) fu il primo papa ad essere sepolto nell’atrio di S. Pietro. Il suo corpo fu trasferito varie volte, e vicino alle sue spoglie vennero tumulati i corpi dei successori con lo stesso nome: Leone II, III, IV. Sotto Paolo V i resti furono deposti sotto l’altare della Cappella della Colonna. Risale al 1627 l’intenzione della Fabbrica di S. Pietro di dedicargli uno specifico altare. I canonici pensarono insieme al papa al soggetto della pala d’altare. Dei due temi proposti, uno prevedeva Leone in preghiera nella Confessione di S. Pietro, e l’altro, alternativo, la Liberazione d’Italia dall’invasione dell’esercito d’Attila, re degl’Hunni, ritenuto più idoneo per la basilica144. Il canonico Giori dette indicazioni precise per il disegno, mentre il luogo prescelto fu il lato destro della Cappella della Madonna della Colonna145. L’incarico fu inizialmente affidato a Guido Reni, che, impegnato nella Cappella del Sacramento, passò la commissione al Cavalier d’Arpino. Alla morte di quest’ultimo nel 1640, risultava compiuto solo il cartone preparatorio, nonostante Borromini e i suoi scalpellini avessero già predisposto
la cornice di marmo scuro sormontata da una testina di cherubino. Fu Lanfranco che il 14 luglio dello stesso anno si propose al cardinale Francesco Barberini per l’incarico, elaborando vari schizzi della composizione e dei particolari146. Per intervento di papa Innocenzo X il 24 gennaio 1646 l’incarico fu affidato ad Alessandro Algardi, che completò l’opera per l’Anno Santo del 1650. Si scelse così non un dipinto, da trasferire eventualmente in mosaico, ma una scultura in marmo bianco, unica pala d’altare a bassorilievo marmoreo di tutto S. Pietro. Virgilio Spada ha lasciato una dichiarazione a favore della scultura, giustificandone la preferenza a causa dell’umidità che avrebbe potuto danneggiare perfino il mosaico. La vera ragione può essere individuata anche nell’intenzione del
97
VATICANO BAROCCO
VATICANO BAROCCO
69. Camillo Mariani, Virtù della Prudenza e della Speranza.
98
99
VATICANO BAROCCO
VATICANO BAROCCO
70. Lorenzo Ottoni, Virtù della Purezza e della Benignità.
100
101
VATICANO BAROCCO
VATICANO BAROCCO
71. Lorenzo Ottoni, Virtù della Liberalità e della Vigilanza.
102
103
VATICANO BAROCCO
72. Niccolò Menghini, Virtù della Verginità. 73. Jacopo Antonio Fancelli, Virtù della Clemenza.
pontefice di superare con questo altare in preziosità i suoi predecessori. La pala rappresenta l’incontro tra il grande pontefice e Attila: Leone I fermò nel 452 sul Mincio il re a capo dell’esercito degli Unni. Lì Attila ebbe la visione dei due apostoli Pietro e Paolo che lo minacciavano e con la spada lo scacciavano. Per lo spavento il condottiero fuggì e così Roma fu salva. Per Leone ciò rappresentò la vittoria sull’eresia e il primato della Chiesa e di Roma cristiana. Nella preparazione della pala costituì una grande difficoltà compositiva il formato verticale, che limitava lo spazio destinato alla raffigurazione della scena della battaglia, estesa in larghezza per la grande schiera di soldati e cavalli e la corrispondente, adeguata presenza di ecclesiastici. La difficoltà era stata avvertita già da Lanfranco nella lettera indirizzata il 18 luglio 1640 al cardinale Barberini: «dovendosi rappresentare un pontefice con
104
molto popolo, contro un re, cinto da numeroso stuolo di cavalieri. E se bene tutto ciò ricercherebbe uno spazio assai largo e basso, et il quadro in cui si ha da esprimere, sia molto angusto et alto…»147. Per Algardi il problema maggiore era di suggerire lo spazio prospettico nel limitato spessore della lastra di marmo, risolto dall’artista con la plasticità delle figure che fuoriescono dalla cornice cercando di liberarsi dal fondo. Algardi iniziò subito l’opera, ma nonostante l’intervento di allievi come Domenico Guidi la scultura non fu terminata in tempo148. Il rilievo è composto da cinque blocchi di marmo tra loro connessi, quattro principali e uno minore nella parte centinata149. Si fece subito il modello in stucco a grandezza naturale, che per volontà di Alessandro VII, tramite Virgilio Spada, fu inviato nel 1659 agli Oratoriani di Roma150. Il rilievo poté essere collocato nel luogo stabilito solo il 28 giugno
74. Giovanni Battista Morelli, Virtù della Innocenza.
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
75. Niccolò Menghini, Virtù della Obbedienza.
1653, mentre il pagamento finale avvenne il 30 agosto151. Bellori riferisce che la scultura venne completata nel 1650 per l’Anno Santo, ed è sicuramente in errore, ma forse per l’occasione era stata inserita l’opera in stucco servita all’artista come modello, poi trasferita nel suo studio nelle fonderie Vaticane. Si sviluppò anche una polemica riguardo al compenso attribuito allo scultore, di complessivi 10.000 scudi. Forse in relazione a ciò Algardi indirizzò una lettera a Giacomo Franzone, pervenuta in copia: «… humilmente espone à V.S. Ill.ma come già fece d’ordine della Sacra Congregatione della Reverenda Fabbrica in grande il modello del basso rilievo di S. Leone Papa, e del Re Attila, et ultimamente hà poi finita la medesima opera in marmo, e scoperta d’altezza di palmi 33, e larga palmi 19. Per tanto supplica humilmente V.S. Ill.ma restar servita d’havere in consideratione la fatica del oratore, affinché
restà ricompensata à proportione dell’opera…»152. Algardi morì il 10 giugno 1654 subito dopo aver concluso l’opera. Nel 1715 Clemente XI Albani fece trasferire nell’altare le spoglie del santo, la cui urna reca l’iscrizione: «CORPUS S. LEONIS PONT. ET CONFES. COGNOMENTO MAGNI ET ECCLESIAE DOCTORIS LAMINAE PLUMBEA RESTO MARMO» (Il corpo di san Leone pontefice e confessore, detto Magno e dottore della Chiesa, coperto da una lamina di piombo giace sotto il marmo). Poco prima dello scoprimento del rilievo, Giulio Lazzari inserì nei pennacchi «doi palombe con rame d’ulivo»153 in riferimento all’araldica di Innocenzo X Pamphilj. Acquasantiere Ai primi due pilastri della navata centrale si trova un’acquasantiera di eccezionale grandezza, retta da due putti alti 2 m ca. Furono eseguiti nel 1725, su disegno di Agostino
105
76a, 76b
VATICANO BAROCCO
VATICANO BAROCCO
76a, 76b. Acquasantiere. A fronte: 77. Pierre le Gros, San Domenico di Guzmán.
Cornacchini, da Francesco Moderati, Giovan Battista de’ Rossi e Giuseppe Lironi, a cui si devono anche le conche in giallo antico fasciate da ampi panneggi in bigio. Chattard154 attribuisce l’insieme solo a Moderati e Lironi, mentre i documenti lasciano spazio a un’attribuzione a più mani155. Le dimensioni dei putti sono in perfetta proporzione rispetto alle statue berniniane.
SANTI FONDATORI DI ORDINI E CONGREGAZIONI RELIGIOSE Verso la metà del Seicento Virgilio Spada, intenditore di cose d’arte, in qualità di membro della Congregazione della Rev. Fabbrica aveva proposto di occupare le nicchie dell’interno come dell’esterno della basilica con statue o busti, ma il suggerimento non ebbe immediato seguito. Nel 1668 alcuni superiori di ordini religiosi («nonnulli superiores regulares») si rivolsero alla Fabbrica e a papa Clemente IX chiedendo di poter collocare nelle nicchie le statue dei fondatori del loro ordine oppure dei santi della loro congregazione156. Il 24 marzo dello stesso anno la Commissione, sotto la guida del cardinale Francesco Barberini, valutò favorevolmente la petizione, a condizione che
106
l’assegnazione delle nicchie venisse controllata esclusivamente dalla stessa Congregazione157. Si cercò naturalmente di conquistare per le statue (alte tutte oltre 4 m) un posto il più possibile prossimo alla tomba di Pietro, anche per la visibilità sull’asse della navata. San Domenico di Guzmán (Domenicani) Il padre Antonin Cloche, procuratore generale dell’ordine dei Domenicani, si rivolse alla Congregazione per ottenere una nicchia per la statua del fondatore e inviò un’istanza a Clemente XI nella quale rammentava la decisione assunta anni prima. Avvertiva anche che nessun ordine era in quel momento in grado di sostenere le spese di una tale impresa, mentre i Domenicani al contrario avevano già provveduto all’acquisto del marmo e contattato uno scultore. Il prescelto era Pierre Le Gros il giovane, che lavorò al progetto dal 1701 e nell’aprile dell’anno successivo presentò il modello in stucco a grandezza naturale per la statua da collocare nella nicchia sul lato destro della Tribuna. Il modello fu scoperto il 13 aprile 1702, come riferisce il Diario di Valesio: «Havendo la Congregazione della Fabbrica risoluto di permettere alle religioni di fare nelle nicchie della basilica di S. Pietro (a chi di esse vorrà)
77
107
VATICANO BAROCCO
A fronte: 78. Camillo Rusconi, Sant’Ignazio di Loyola.
le statue de’ loro fondatori, nell’ultima nicchia della tribuna a mano destra si vidde la prova di una di esse in stucco rappresentante s. Domenico e sotto vi era scritto “S. Domenico Confessori ordo PP. Praedicatorum istitutori suo f.p.”»158. Ne scaturì una polemica che si protrasse sino al 1706, quando la statua in marmo di Carrara fu completata, poiché il luogo scelto dall’ordine non era stato assegnato dalla Congregazione; alla fine il papa acconsentì, insistendo però sulla competenza a tale riguardo della Congregazione. Secondo l’iconografia tradizionale, il santo è accompagnato da un cane con una torcia accesa tra le fauci. Il santo è una delle opere migliori dell’artista francese, che aveva più volte ricevuto commissioni dal padre Cloche. Nel cartiglio della base si legge «ORDO PRAEDICATORUM | FUNDATORI SUO | EREXIT | MDCCVI»159. Si tratta della prima statua di un fondatore. Il programma riprenderà solo anni dopo, protraendosi in questa prima fase per circa un cinquantennio. San Francesco d’Assisi (Frati Minori) Benedetto XIII assegnò ai Francescani la nicchia sulla sinistra del coro absidale, di fronte a quella con la statua di San Domenico. Per sostenere le spese della realizzazione della statua si riunirono le tre famiglie francescane (Minori osservanti, Conventuali, Cappuccini). Il generale dei Frati Minori p. Giuseppe Garcia affidò l’incarico a Carlo Monaldi, che appose sulla base il proprio monogramma «CM». Sul piedistallo è il cartiglio con l’iscrizione: «FUNDATORI SUO | ORDO MIN(ORUM) EREXIT | AN(NO) IUB(ILAEI]) MDCCXXV» (Al suo fondatore eresse l’Ordine dei Minori, l’anno del Giubileo 1725)160. Le spese, ammontanti a 4020 scudi, vennero sostenute dai conventi spagnoli. Il santo veste un ampio saio, di cui è resa la fitta trama della stoffa sulla quale giocano effetti di luce e ombra. Nella mano destra regge la croce e nella sinistra un libro sorretto da un putto. La pagina aperta mostra la Regola che accomuna tutte le famiglie francescane: «REGVLAVIT | FF [fratres] MIN(ORES) | S. FRANCISCUS PROMITTIT OBE|DIENTIAM ET | REVERENTIAM | D(OMINO) PP. [PAPAE] ET | EC(C)LESIAE | ROMANAE» (San Francesco diede la regola ai Frati Minori promettendo obbedienza e rispetto al papa e alla Chiesa Romana). Monaldi sarà in seguito autore anche della statua di S. Gaetano.
79
108
Sant’Elia (Carmelitani) La terza statua in ordine cronologico di collocazione è quella del profeta Elia, ed è anche l’unica ad appartenere all’Antico Testamento. Alcuni monaci che vivevano dal 1209 sul monte Carmelo ricevettero per la loro comunità da Alberto, patriarca di Gerusalemme, la regola dei «Car-
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
melitani». Sul monte, con la presenza dei ricordi legati al profeta Elia, si era sviluppata la devozione verso questa figura. Dopo una supplica di fra’ Angelo da Cambolas del 15 maggio 1704, papa Clemente XI concesse ai Carmelitani di proporre sant’Elia come fondatore dell’ordine, ma la nicchia per la statua nei grandi piloni fu assegnata solo nel 1725 da papa Benedetto XIII. I committenti furono tre diversi gruppi di Carmelitani: gli Spagnoli, i Carmelitani Scalzi e quelli Calzati161. Per l’esecuzione avanzò la propria candidatura lo scultore francese Pierre Étienne Monnot162, ma la commissione fu assegnata ad Agostino Cornacchini, che realizzò alcuni modelli con le modifiche richieste dai religiosi. L’opera fu compiuta nel 1727, come ricorda il cartiglio alla base: «VNIVERSVS | CARMELITARVM ORDO | FVNDATORI SVO S. ELIAE | PROPHETAE EREXIT | A. MDCCVII» (L’Ordine tutto dei Carmelitani eresse per il suo fondatore, il profeta Elia nell’anno 1727). Sorsero difficoltà per le spese di trasporto e per il posizionamento della statua nella nicchia, che per tali ragioni ebbe luogo piuttosto tardi. Non mancarono critiche per una statua così mossa e per la capigliatura del profeta. La ruota sulla destra ricorda l’episodio nel quale Eliseo, discepolo di Elia, mentre lo accompagnava verso Gerico, vide apparire un carro di fuoco trainato da cavalli ardenti, sul quale Elia salì allontanandosi nel cielo. Sant’Ignazio di Loyola (Gesuiti) La statua raffigura Sant’Ignazio che schiaccia l’eresia. Il progetto, di Camillo Rusconi, venne realizzato dal suo assistente Giuseppe Rusconi (col quale non aveva rapporti di parentela). Leone Pascoli riferisce che Camillo vi lavorò poco prima di morire nel 1728163: «Giuseppe Rusconi, di Como nelli Svizzeri… fa anche la statua di Sant’Ignazio ordinata prima al [Camillo] Rusconi da mettersi in una delle nicchie dei fondatori delle religioni nella… chiesa di S. Pietro»164. La statua fu collocata nella nicchia inferiore del terzo pilastro a sinistra della navata. San Francesco di Paola (Minimi) Sul piedistallo della statua si legge: «FUNDATORI SUO | ORDO MINIMORUM EREXIT | ANNO DOMINI MDCCXXXII». L’opera, che raffigura il fondatore dell’Ordine dei Minimi, fu realizzata da Giovanni Battista Maini nel 1732. All’inizio del 1730, quando fu assegnata la nicchia per il santo padre, Francesco Zavarroni commissionò la statua che in posizione privilegiata si trova di fronte alla statua bronzea di san Pietro. La plasticità del gruppo è enfatizzata dall’angelo inginocchiato ai piedi del santo all’esterno della nicchia che regge lo scudo con la scritta «CHARITAS»165.
109
78
VATICANO BAROCCO
San Benedetto (Benedettini) Nella nicchia del primo pilone sud (della Veronica) della Tribuna, è la statua di San Benedetto, scolpita da Antonio Montauto e collocata nel 1734166. Sulla base si legge: «S.P. BENEDICTO | CONGRATIO CASINENSIS | A.D. MDCCXXXV». Sul libro aperto che il santo regge con la mano destra è l’inizio della Regola: «AUSCUL|TA O FILI | PRAECE|PTA |MAGI|STRI». Il fondatore del monachesimo occidentale è così vicino alla tomba di Pietro. San Filippo Neri (Filippini) La scelta da parte degli Oratoriani dello scultore Giovanni Battista Maini è ben documentata, e in data 6 agosto 1734 Giovanni Battista Baratta, superiore degli Oratoriani, esprimeva così la sua opinione: «Il Maini è oggidì lo scultore più acclamato e dirò così alla moda essendogli infatti appoggiata da Palazzo l’incombenza delle opere più grandiose che siansi commesse»167. Il 16 settembre venne siglato il contratto, che obbligava lo scultore ad eseguire un modello in gesso da porre nella nicchia. Il 7 gennaio 1736 il Diario del Chracas168 riferisce lo scoprimento del grande modello in gesso, poi trasportato nello studio dello scultore per essere eseguito in marmo. Nel 1737 la statua era ultimata. Sul piedistallo è l’iscrizione: «S. PHILIPPUS NERIUS | CONGREG.NIS ORATORII FUNDATOR». San Gaetano da Thiene (Teatini) La statua è opera di Carlo Monaldi169, che il 30 gennaio 1734 s’impegnava ad eseguire l’opera. Sul plinto è la firma dell’artista: «CARLO MONALDI ROMANO | AETATI SVE 47 | 1738». La data di collocazione della statua è confermata dal Diario del Chracas. Sul piedistallo è la scritta: «S. CAJETANUS | AD ARAM MAXIMAM HUIUS S.S. BASILICAE | CLERICORUM REGULARIUM FUNDATOR». Santa Giuliana Falconieri (Serve di Maria) Giuliana Falconieri, morta nel 1734, venne canonizzata nel 1737. Nonostante il breve tempo trascorso, si riuscì a inviduare un posto eminente per collocarvi, intorno al 1740, la statua in una nicchia vicino alla crociera. L’artista prescelto fu Paolo Campi, che in quel periodo lavorava anche alla statua di S. Bonaventura sul colonnato. San Pietro Nolasco (Mercedari) La statua fu inaugurata nel dicembre 1742, come riferisce il Diario del Chracas170. Ne è autore Paolo Campi, che realizzò anche la statua di Santa Giuliana Falconieri. Era sorta una contesa per la nicchia assegnata ai Premonstra-
110
A fronte: 79. Agostino Cornacchini, Sant’Elia.
VATICANO BAROCCO
tensi, ambita anche dai Mercedari, che alla fine si accontentarono di quella nel transetto sinistro. Sul piedistallo è l’iscrizione: «S. PETRUS NOLASCO | ORDINIS BEATAE MARIAE VIRGINIS DE MERCEDE | REDEMPTIONIS CAPTIVORUM FUNDATOR». Sulla sinistra, inginocchiato sulla base, è un prigioniero in catene. San Bruno (Certosini) Il Diario del Chracas annota alla data del 24 ottobre 1744: «È stata discoperta nella Basilica Vaticana la nuova statua di marmo di ottima scultura di Monsieur Sloss Francese [René Michel, detto Michel-Ange Slodtz], rappresentante San Brunone Fondatore della Religione Certosina, da cui è stata fatta scolpire a proprie spese, e collocare nella sua destinata nicchia, che è quella della crociata nella parte della Cappella del SS.mo Sagramento, e dirimpetto a quella che anni sono vi fu collocata di San Gaethano»171. Slodtz firmò sulla base della statua: «MIC. ANG. SLODTZ PARISINUS F.». San Giovanni di Dio (Fatebenefratelli) L’esecuzione della statua fu assegnata inizialmente a Camillo Rusconi, che morì nel 1738. Com’era già avvenuto per il Sant’Ignazio, subentrò nell’incarico Giuseppe Rusconi, che a sua volta morì durante i lavori. Nel frattempo erano intervenute trattative con lo scultore Filippo della Valle, che tra il 1744 e il maggio 1745 ricevette dei pagamenti. Nell’agosto 1745 si poté inaugurare la statua172. L’iscrizione sulla base dice: «UNIVERSUS HOSPITALITATIS ORDO | S. JOANNI DE DEO FUNDATORI SUO». San Camillo de Lellis (Ministri degli Infermi) Verso il 1750 lo scultore Pietro Pacilli ricevette l’incarico per realizzare la statua di San Camillo de Lellis, fondatore di un altro ordine ospedaliero. Sulla base, a sinistra, è la firma: «PETRVS PACILLI | ROMANVS F.A. 1753». Alla data del 20 ottobre 1753 il Diario del Chracas173 informa dell’inaugurazione. Sul piedistallo si trova l’iscrizione: «S. CAMILLUS | CLER(ICORUM) MINISTR(ANTIUM) INFIRM(IS) | FUNDATOR». San Pietro di Alcantara (Minori riformati, o Alcantarini) Sempre il Diario del Chracas informa, alla data del 14 agosto 1751, che «nella basilica di S. Pietro in Vaticano, e propriamente nell’entrarvi a mano sinistra, nella prima nicchia si sta lavorando presentemente il modello grande di stucco della statua di S. Pietro d’Alcantara». Il 2 ottobre segue una precisazione che nomina lo scultore: «… opera dello scultore Sign. Francesco Bergara Spagnuolo, Pensionario di S.M. Cattolica; nel suo piedistallo vi sono incise le
111
VATICANO BAROCCO
A fronte: 80. Filippo della Valle, Santa Teresa di Gesù.
seguenti parole: SANCTUS PETRUS DE ALCANTARA | APOSTOLICAE SUI PATRIS FRANCISCI | VITAE RENOVATOR». Si tratta dello scultore spagnolo Francesco Vergara y Bartual il giovane, che firma l’opera sulla base: «FRAN.CVS BERGARA HISP.CVS FEC. A. 1753», l’anno in cui terminò l’opera, scoperta – come riferisce il Diario – il 23 giugno 1753174.
80
81
Santa Teresa di Gesù (Carmelitani Scalzi) Nel 1751 si chiese a Benedetto XIV l’autorizzazione per collocare in una delle nicchie la statua dei Carmelitani Scalzi. Il papa approvò anche la scritta da apporre sul piedistallo: «S. TERESA SPIRIT(UALIS) MATER | ET FUNDATRIX NOVAE REFORMAT(IONIS) ORDINIS | DISCALC(EATORUM) B(EATAE) M(ARIAE) DE MONTE CARMELO». Il Diario del Chracas, alla data del 24 agosto 1754175, descrive l’inaugurazione della statua, opera dello scultore fiorentino Filippo Della Valle. San Vincenzo de’ Paoli (Preti della Missione e Figlie della Carità) In occasione dell’inaugurazione della statua di Santa Teresa del Gesù, si descrisse anche quella di San Vincenzo de’ Paoli, collocata nel medesimo giorno (24 agosto 1754), «del Sig. Pietro Bracci romano virtuoso eccellente di tale professione»176. Lo scultore nel suo Diario annota a proposito dell’opera, che «[per il] San Vincenzo de Paolis … in atto di predicare col Cristo in mano [crocifisso], si erano presi accordi con il sig.re Raimondo Rerasco visitatore e il Sig.re Gio. Franc. Morguni»177. Una particolarità della fase esecutiva è costituita dal fatto che, nonostante l’obbligo di presentare un modello a grandezza reale della statua per poterne giudicare l’effetto finale, Bracci ne sia stato esonerato, dimostrando così la grande fiducia che gli era riservata. San Giuseppe Calasanzio (Scolopi) Nel maggio 1751 il padre generale degli Scolopi Paolino Chellucci, eletto solo tre mesi prima, riuscì ad accordarsi con papa Benedetto XIV per far erigere una statua del fondatore dell’ordine appena beatificato (1748). Già un mese dopo nella nicchia assegnata veniva collocato il piedistallo. L’unico spazio disponibile era nel transetto destro, verso la Cappella dei Ss. Processo e Martiniano, un luogo non visibile dalla navata. Come alternativa si offriva una nicchia del secondo ordine, un dato che dimostra come si cominciasse a prendere in considerazione il livello superiore, che si utilizzerà peraltro solo alcuni anni dopo. La preferenza dell’ordine era naturalmente per il transetto178. La proposta di affidare l’esecuzione della statua a Carlo
112
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
Monaldi trovò l’opposizione dell’arciprete della basilica, il cardinale Alessandro Albani. Per la ricerca di uno scultore, ci si rivolse allora alla bottega di Giovanni Battista Maini, già autore di altre statue per le nicchie. Di lui restano due disegni per l’esecuzione della statua di san Giuseppe che fanno supporre come si fosse impegnato nella commissione179. Il lavoro fu alla fine assegnato a Innocenzo Spinazzi, giovane allievo dello stessi Maini, che predispose un modello in creta di piccole dimensioni sottoposto alla valutazione di due pittori, Agostino Masucci e Pompeo Batoni. Non è da sottovalutare nella trattativa la presenza del padre dell’artista, Angelo Spinazzi, noto orafo molto attivo in Vaticano, che aveva bottega vicino a S. Pantaleo, la chiesa degli Scolopi, e quindi ben noto a questi ultimi. Sarà non a caso il padre infatti a sottoscrivere il contratto il 1 dicembre 1752, nel quale si prevedeva di eseguire un modello in stucco e poi la statua in marmo di Carrara da terminarsi entro tre anni. Il modellone, pronto nell’estate 1753, fu nuovamente sottoposto al giudizio dei due pittori. Il 26 settembre 1755 l’opera venne inaugurata180, firmata dall’artista: «INNOC(ENTIVS) SPINAZZI ROM(ANVS) | F(ECIT) A(NN)O 1755». Sul piedistallo si legge: «S. JOSEPHO CALASANCTIO | FUNDATORI SUO | ORDO SCHOLARUM PIARUM | ANNO MDCCLIII». La data si riferisce all’esecuzione del modello, mentre dopo la canonizzazione fu corretta anche l’indicazione di santo aggiungendo la «S». San Gerolamo Emiliani (Somaschi) L’autorizzazione venne concessa il 23 aprile 1752, cinque anni dopo la beatificazione. Tutti gli appartenenti all’ordine dovevano contribuire alle spese, e alla domanda rivolta dal procuratore generale dei Somaschi, padre Francesco Vecelli alla Reverenda Fabbrica, rispose positivamente il segretario economo monsignor Costante Lucidi. Fu aggiunta una clausola che disponeva che Benedetto XIV avrebbe gradito che l’opera fosse eseguita da Pietro Bracci. Il contratto con l’artista si poté siglare solo il 12 gennaio 1755. S. Gerolamo Emiliani, protettore degli orfani, avrebbe dovuto essere rappresentato con due fanciulli, ma l’idea venne abbandonata forse perché già la statua di S. Giuseppe Calasanzio, appena inaugurata, ne prevedeva la stessa iconografia. Con grande ritardo si poté inaugurare la statua nel maggio 1757, come informa il Diario del Chracas181. Sul piedistallo è l’iscrizione: «S. HIERONYMUS AEMILIANUS | ORPHANORUM PATER | CONGREGATIONIS SOMASCHAE FUNDATOR» (San Girolamo Emiliani, padre degli orfani, fondatore della Congregazione Somasca). Dopo la canonizzazione,
113
VATICANO BAROCCO
nel 1767, la lettera «B» di beato, fu mutata nella «S» di santo (come nel caso del S. Giuseppe Calasanzio). San Norberto (Premostratensi) La statua del fondatore dell’ordine dei Premostratensi venne scolpita da Pietro Bracci tra il 1764 e il 1767. Sin dall’inizio dell’utilizzo delle nicchie delle pareti per le figure dei santi, l’ordine espresse nel 1717 l’intenzione di poterne usufruire. In seguito per molti anni tale intenzione fu accantonata, e solo dopo il 1737 il procuratore generale dell’ordine, il belga padre Meijers, insistette per collocare una statua del fondatore dell’ordine. Nel maggio dell’anno successive si presentò la domanda, alla quale rispose dando il proprio consenso il cardinale Annibale Albani, arciprete di S. Pietro. Il cardinale contribuì anche a recuperare la nicchia nel frattempo occupata dai Mercedari per la statua di san Pietro Nolasco nel transetto meridionale, sulla parete ovest, visibile dalla navata e ben illuminata. A questo punto era necessario accelerare i tempi per occupare il vuoto. Lo scultore prescelto da Meijers era il fiammingo Francesco Janssens, che stipulò il contratto il 1 giugno 1742, impegnandosi a fornire un modello piccolo e uno grande. Fu subito predisposto un modello che occupò la nicchia per quindici anni. La Fabbrica si vide costretta allora a fissare delle condizioni: o perdere lo spazio, o realizzare entro un anno la statua definitiva. Non mancavano altre richieste per la nicchia, l’ultima libera nell’ordine inferiore, come quella delle suore oblate di Tor de’ Specchi, sostenute dall’aristocrazia romana. L’ostilità verso Janssens e la sua assenza da Roma indussero il padre belga a proporre Pietro Bracci, che già altre volte aveva prestato la sua opera in S. Pietro. L’artista non era gradito ad Alessandro Albani, fratello del cardinale Annibale e protettore dei Premostratensi, e venne escluso, anche perché si rifiutò di preparare un modello grande. La scelta cadde allora su Bartolomeo Cavaceppi, restauratore di fiducia degli Albani, che nel contratto del 25 novembre 1759 si impegnò ad eseguire un modello grande da sottoporre al giudizio critico. Nell’autunno 1762 la nicchia era occupata dal modellone di Cavaceppi, che però non piacque né alla Fabbrica né a papa Clemente XIII. La commissione tornò allora a Pietro Bracci, che con l’incarico del 13 ottobre 1762 si sottomise all’ordine della Fabbrica di produrre il modello grande. A causa di alcune questioni sul compenso, il contratto definitivo fu sottoscritto solo nel gennaio 1764. A causa delle tante incertezze attributive, una preziosa documentazione è fornita dal Diario dell’artista, che dedica un cenno preciso all’opera182. La statua fu inaugurata nel marzo 1767. Il santo tiene nella destra un calice con l’ostia. Ai suoi
114
VATICANO BAROCCO
A fronte: 81. Pietro Bracci, San Vincenzo de’ Paoli.
piedi è Tanchelmo, il capo di un gruppo eretico sconfitto, che con una mano tiene il mantello per coprirsi, mentre con l’altra schiaccia un libro da cui esce un serpente, allusione all’eresia. Sul piedistallo è l’iscrizione: «S. NORBERTO | PATRI SUO INSTITUTORI | POSTEA ARCHIEP(ISCOPO) MEGDEBURGH(ENSI) | CANONICI PRAEMONS(TRATENSES) EREXERUNT | ANNO MDCCLCVII» (A san Norberto, loro padre fondatore, poi arcivescovo di Magdeburgo, i canonici premostratensi eressero l’anno 1767). Con la collocazione della statua nel 1767, tutte le nicchie dell’ordine inferiore erano occupate. Nella nicchia del pilone nord-orientale è la statua bronzea di san Pietro, attribuita ad Arnolfo di Cambio, sistemata nel 1754 su un trono realizzato da Luigi Vanvitelli, sostituito nel 1757 da una cattedra marmorea dello scalpellino Domenico Giovannini. L’ordine superiore iniziò ad essere occupato a partire del 1834, per saturarsi solo nel 1954 con la statua di santa Luisa de Marillac, fondatrice dell’ordine delle Figlie della Carità di S. Vincenzo de Paoli. Con queste statue, parte integrante della decorazione delle pareti della navata e dei transetti, le attività decorative del periodo barocco sono da considerarsi concluse e il cambiamento stilistico già inizia a trasparire verso la metà del secolo. Forse proprio la collocazione uno accanto all’altro di una scultura o di un dipinto con la medesima funzione consente una lettura diretta e una valutazione dello sviluppo stilistico e del suo mutamento verso il classicismo.
CAPPELLA DEL SS. SACRAMENTO Con la trasformazione della planimetria da croce greca a latina, Maderno aveva creato lungo le navate laterali sei cappelle, di cui due di maggiori dimensioni, una sulla sinistra, la Cappella del Coro, e una sulla destra, attigua alla Cappella Gregoriana. Nel 1622 questa cappella venne adibita a Sacrestia Nuova (con Gregorio XIII, nel 1575, la Sacrestia era stata trasferita dalla basilica costantiniana alla Cappella della Madonna della Febbre). Si doveva con tale atto risolvere uno dei problemi fondamentali della nuova chiesa ideata da Michelangelo, nella quale non era stato previsto un apposito ambiente per tali funzioni. Nel 1626 l’Arciconfraternita del Ss. Sacramento insistette per ottenere una nuova adeguata sede, essendo stato demolito il suo oratorio. Richiese perciò questa cappella, «la quale si giudica la più proporzionata, e decente per le funtioni di una Archiconfraternita»183. Nell’occasione si propose, per andare incontro ai desideri dei canonici, di dedicarla alla Ss. Trinità e a Tutti i Santi. Già nel 1628 l’Arciconfra-
82-91
115
82. Cappella del Ss. Sacramento, cancellata. A fronte: 83. Cappella del Ss. Sacramento, pala d’altare e ciborio.
ternita riuscì a stabilire la propria sede nella cappella, che mantenne la denominazione di «Sacrestia nuova» fino al 1631, anno in cui fu terminata la pala d’altare con la Ss.ma Trinità di Pietro da Cortona184. L’impianto architettonico spetta a Carlo Maderno, mentre la decorazione in stucco dorato è di Giovanni Battista Ricci, che rese l’ambiente uno scrigno prezioso. L’artista eseguì tra il 1623 e il 1627 nella volta quattordici bassorilievi con scene del Vecchio Testamento e sulle pareti sette storie del Nuovo Testamento. Tra il 1626 e il 1629 sono documentati interventi di Borromini per lavori in marmo nelle scale e nell’altare, nonché per cartigli di marmo bianco. Nel 1625 Giovanni Lanfranco e Simon Vouet cercarono di ottenere l’incarico per la pala d’altare185. Nel 1627 la Congregazione affidò il compito a Guido Reni, che però, nonostante gli acconti ricevuti, a causa dei continui disaccordi e per la repentina partenza per Bologna non realizzò mai l’opera, dando così occasione al cardinale Francesco Barberini di sostituirlo con Pietro da Cortona186, il suo artista preferito. Nel luglio 1628 risultano i primi pagamenti a favore del pittore, che ricevette il saldo finale il 7 luglio 1632. Si tratta dell’unico dipinto non eseguito a mosaico, ma dipinto a olio direttamente su uno strato di stucco. La grande pala non venne
116
Alle pagine seguenti: 84. Cappella del Ss. Sacramento, veduta lato altare.
VATICANO BAROCCO
85. Passaggio tra la Cappella del Ss. Sacramento e la Cappella di S. Sebastiano, volta.
realizzata in studio, ma in loco, come se si fosse trattato di un affresco, com’era già nelle intenzioni di Guido Reni. La composizione rappresenta la Trinità, con Cristo sulla sinistra e il Padre Eterno sulla destra col braccio alzato per la benedizione, con la luce che promana dalla Colomba dello Spirito Santo. In seguito, quando venne collocato il tabernacolo, la parte inferiore del dipinto rimase celata, e così è difficilmente visibile la sfera terrestre che rappresenta Dio come creatore, mutazione radicale del significato iconografico dell’opera a favore dell’Eucarestia. Nel 1636 la Congregazione decise di collocare qui, trasferendola dalla Cappella del Coro, sulla destra dell’altare, la monumentale tomba di Sisto IV di Antonio Pollaiolo187, portata nel 1922 nel Museo Petriano e infine nel Tesoro di S. Pietro. Anche se il papa si oppose ai canonici affinché il tabernacolo restasse nella Cappella Gregoriana, accettò la dedica a favore della Ss. Trinità come parte delle dediche cristologiche delle sei cappelle laterali. Nel 1638 cedette infine alle pressioni dei canonici e acconsentì al trasferimento dalla Cappella Gregoriana del tabernacolo provvisorio di Bernini in legno e stucco, dedicando così ufficialmente la Cappella al Sacramento. I quattro archi dei lati della cappella sono ornati con le figure allegoriche dell’Abbondanza, della Fede, del Sacrificio e della Carità. Ogni timpano si trova affiancato da un angelo grande, mentre sotto nei peducci è inserito su ogni lato un angelo più piccolo. Sull’altare del lato destro, dedicato a san Maurizio, venne collocato il Martirio del santo, opera dipinta nel 1638 da Carlo Pellegrini188. La pala, che misurava secondo i documenti 3,35 x 2,23 m ca., fu rimossa nella seconda metà dell’Ottocento e sostituita con il mosaico tratto dalla Deposizione di Caravaggio, il cui originale è conservato nella Pinacoteca Vaticana. Verso la fine dell’Ottocento fu sostituita con la copia musiva dell’Estasi di san Francesco di Domenichino, di cui l’originale si trova in S. Maria della Concezione a Roma. La copia è opera di Raffaele Cocchi, Bartolomeo Tomberli e Domenico Cerasoli. La scelta della dedica a san Maurizio dell’altare dipende da quello già nell’antica basilica, presso il quale gli imperatori per tradizione erano unti coll’olio sacro prima di essere incoronati dal «santo pontefice»189. Non è certo casuale che nei pressi sia stata collocata la tomba della contessa Matilde. Sul lato opposto è inserito l’organo, con scenografico prospetto in legno intarsiato e dorato, costruito da Marino e Vincenzo da Sulmona. In alto è lo stemma di Gregorio XIII che indica il papa come committente e l’originaria collocazione dello strumento nella Cappella Gregoriana nel 1580-82, trasferito in questa sede nel 1853 per lasciare spazio al
117
VATICANO BAROCCO
118
VATICANO BAROCCO
119
VATICANO BAROCCO
120
VATICANO BAROCCO
121
86. Gian Lorenzo Bernini, Cappella del Ss. Sacramento, altare, Crocifisso. 87. Gian Lorenzo Bernini, modello di angelo adorante del Tabernacolo della Cappella del Ss. Sacramento.
Alle pagine seguenti: 89-90. Gian Lorenzo Bernini, Cappella del Ss. Sacramento, angelo adorante.
VATICANO BAROCCO
A fronte: 88. Cappella del Ss. Sacramento, Tabernacolo.
87
monumento funebre di Gregorio XVI. Va ricordato, tra i grandi musicisti che suonarono lo strumento, Girolamo Frescobaldi, nominato organista di S. Pietro nel 1608. La cappella era piuttosto buia e Bernini risolse il problema forando la lanterna della cupola e ingrandendo le finestre sopra l’altare. Il cancello di ferro che chiude la cappella fu disegnato nel 1629-30 da Borromini, che vi introdusse lo stemma bronzeo di Urbano VIII. A partire dal 1672 si procedette alla sistemazione finale della cappella, i cui lavori terminarono nel 1674. La custodia del Santissimo, detta «Tempietto», era costituita da un ciborio di legno e stucco, destinato ad essere fuso in bronzo. Nonostante Bernini avesse ricevuto l’incarico di realizzare il tabernacolo per il Ss. Sacramento già durante il pontificato di Urbano VIII, dovette attendere l’elezione di Clemente X per portare a termine i lavori. Fu coadiuvato da molti collaboratori specializzati, necessari per l’impiego di materiali diversi, dal bronzo dorato al marmo policromo (diaspro siciliano, marmo nero, verde antico) ai lapislazzuli. Il piccolo ciborio, documentato da molti disegni preparatori e bozzetti in terracotta, sembra rifarsi al tempietto di Bramante di S. Pietro in Montorio, ma fu
122
ispirato in particolar modo dal tabernacolo della Cappella Sistina in S. Maria Maggiore, che a sua volta funge da Cappella del Ss. Sacramento. In origine Bernini concepì il tempietto come una sorta di «epifania», un’apparizione simile alla Cathedra Petri, sospesa nell’aria e sostenuta da quattro angeli reggi-cero. In un’ulteriore versione la struttura architettonica era circondata da un coro di angeli in atteggiamento di devota adorazione. Il risultato che oggi si ammira mostra una composizione con un angelo di bronzo dorato per parte, in preghiera sulla destra e nello stupore della visione a sinistra. Staccati dal tabernacolo e genuflessi sulle basi, sembrano rivolgersi ai fedeli accogliendoli in preghiera. Questi angeli sono in simbiosi con quelli di Ponte S. Angelo, che reggono gli strumenti della Passione e introducono al Ss. Sacramento. Gli angeli del tabernacolo sono inoltre in rapporto dimensionale con le figure del dipinto di Pietro da Cortona, che riunisce in senso barocco le arti, dall’architettura alla pittura e alla scultura. Il ciborio, di impianto centrale, poggia su un basamento di diaspro di Sicilia. Sulla fronte del tempietto è una porticina con timpano sormontato dalle figure allegoriche della Fede e della Carità, di Giuseppe Mazzuoli190. Tutt’in-
123
VATICANO BAROCCO
124
VATICANO BAROCCO
125
VATICANO BAROCCO
91. Cappella del Sacramento, Pietro da Cortona, Trinità.
92. Carlo Fontana, Cappella del Battesimo, fonte battesimale, incisione.
Alle pagine seguenti: 94-95. Cappella del Battesimo, fonte battesimale.
93. Carlo Fontana, Cappella del Battesimo, l’interno, incisione.
del Sacramento eucaristico istituito da Cristo, conservato nella specie del pane nel ciborietto della Cappella.
LA CAPPELLA DEL BATTESIMO
torno trova una fila di colonnine con capitelli corinzi, in numero dodici come le statue degli apostoli. Nella parte alta della cupola si erge la figura di Cristo risorto che regge la croce; sopra la peristasi, retta dalle colonnine di lapislazzuli, sono allineati i dodici apostoli, simili alle statue sul colonnato della piazza antistante la basilica. Dalla documentazione si ricava che erano previste anche le figure allegoriche della Fede e della Religione. La cupola è coperta dalle stelle araldiche di Clemente X, della famiglia degli Altieri, a rimarcare il suo diretto intervento. Pietro da Cortona fu impegnato nella decorazione della cupola della Cappella del Sacramento, realizzando i cartoni per la volta e i pennacchi. Al 1653 risalgono gli stucchi con i cherubini del lanternino della cupola, ai quali collaborò Cosimo Fancelli. L’elaborazione iconografica della decorazione dei pennacchi risale al 1660 e riguarda l’istituzione del Sacramento del Sacerdozio, per il quale si decise di rappresentare Melchisedec che porta pane e vino, Elia che combatte l’idolatria e Aronne che con la verga fiorita accoglie la propria vocazione sacerdotale; il culmine è raggiunto nell’Eucarestia, raffigurata nel sacerdote che offre le spighe e i grappoli d’uva, quindi il pane e il vino. Sono tutte prefigurazioni
126
La prima cappella della navata sinistra ospita il Battistero e può essere considerata l’ultima espressione del Barocco in S. Pietro, anche se occorsero quasi cent’anni per la sua conclusione. Alla metà del Quattrocento, durante i lavori di ampliamento del coro, era stato rinvenuto un sarcofago appartenuto a Sesto Petronio Probo e a sua moglie Anicia Faltonia. Traferito nell’oratorio di san Tommaso della basilica costantiniana, fu utilizzato come fonte battesimale. Nel 1607, demolito l’oratorio, venne collocato temporaneamente nella vecchia Sacrestia. Una volta completata la navata della nuova basilica, il sarcofago fu posto nella cappella della Pietà, sempre con la funzione di fonte battesimale, che conservò sino alla fine dell’Ottocento, nonostante si fosse nel frattempo provveduto a destinare un’apposita cappella al sacramento del battesimo. Nell’aprile 1623 si decise di collocare il Battistero nella prima cappella a sinistra «nell’entrare della chiesa». Già alla fine dello stesso anno si provvide alla decorazione, precisando il 19 dicembre che si adornasse «di musaici, che però si faccino fare li disegni dai pittori»191. Nel maggio 1624 si ordinò di trasferire il fonte battesimale nella cappella, dove però non venne mai collocato192. Per i disegni preparatori della decorazione degli altari e delle volte fu incaricato Gaspare Celio, che li predispose, anche se per ragioni di risparmio non furono eseguiti in mosaico ma in pittura. Giovanni Baglione riferisce che nella volta era raffigurato «Dio Padre con diversi agnoli» e che la pala d’altare raffigurava «S. Gio. Battista, che battezzava N[ostro] Signore con agnoli»193. Tolto il dipinto col Battesimo a causa dello scarso consenso194, poco dopo, nel 1630, si decise di esporre nella cappella la Cattedra di S. Pietro (1630-1656), poi trasferita nel monumento appositamente creato da Gian Lorenzo Bernini nella Tribuna. Il fratello Luigi Bernini venne pagato per l’esecuzione degli angeli scolpiti, uno col triregno e l’altro con le chiavi, che accompagnavano la Cattedra, poggiante su un piedistallo195. Il 16 giugno 1637 si affidò un nuovo incarico a Bernini, Agostino Radi e Alessandro Loreto per la decorazione della cappella, i quali crearono con marmi mischi effetti di nuvole alle spalle della Cattedra. Si aggiunse anche una colomba dello Spirito Santo in bronzo, fusa da G. Pietro del Duca196. Il 26 febbraio 1646 la Congregazione della Fabbrica incaricò
94-97
93
Alessandro Algardi di progettare il nuovo fonte battesimale in metallo197. I lavori non proseguirono sino al pontificato di Alessandro VIII e s’interruppero nuovamente intorno al 1692, quando Carlo Fontana fu incaricato di riorganizzare l’ambiente. In seguito Innocenzo XII bandì un concorso per assegnare il lavoro. Si presentarono dodici concorrenti, tra cui Fontana, Carlo Maratti e Algardi. Alla fine rimasero Carlo Fontana e Matthia de’ Rossi, architetto sovrintendente della basilica, entrambi allievi di Bernini e continuatori della sua tradizione. Dal marzo 1692 Lorenzo Ottoni lavorò a due modelli piccoli in cera dei due artisti. Fontana doveva presentare anche un modello grande con figure allegoriche riferibili al battesimo. L’esecuzione delle statue fu affidata a diversi scultori: la Religione a Lorenzo Ottoni, la Fede a Jean-Baptiste Théodon, l’Innocenza a Michel Maille e la Purezza a Girolamo Lucenti. Gli sviluppi della vicenda sono noti attraverso le lettere di de la Teulière, direttore dell’Accademia di Francia a Villa Medici198. Fontana nel 1697 pubblicò una descrizione della cappella, mentre presso l’Archivio della Fabbrica di S. Pietro si conserva un manoscritto del 1704, detto il Veridico Racconto, «di ciò ch’è accaduto in far l’opera del Fonte Baptismale dentro il Tempio Vaticano»199. Il gruppo centrale col Battesimo di Cristo fu assegnato a Domenico Guidi, che realizzò il modello a grandezza naturale. Nel marzo 1693 si poté predisporre la presentazione delle opere al papa, che le vide qualche mese dopo, il 14 giugno. Il suo giudizio fu però negativo proprio riguardo al gruppo di figure di Guidi, che appariva troppo alto e impediva la vista della pala
d’altare. Si ordinò quindi la rimozione della scultura, ancora visibile fino alla metà del Settecento nel Museo presso il Belvedere200. In un primo momento fu apprezzato il progetto di de’ Rossi, superato però da quello di Fontana201, che piacque di più: «Tiene ordine il cav.re Fontana, architetto di palazzo, di fare disegni e particolarmente per un fonte Battesimale in San Pietro, del quale vi sono 6 modelli fatti finora»202. La questione del fonte battesimale era dunque ancora aperta. Fontana, come riferisce lui stesso, rinvenne nelle Grotte una «tazza» di porfido di origine egiziana che si voleva provenisse dal sepolcro dell’imperatore Adriano nel mausoleo di Castel Sant’Angelo203, e che fu utilizzata come copertura del sepolcro dell’imperatore Ottone II nell’atrio della basilica costantiniana204. Durante gli spostamenti la tazza si era rotta in più parti e solo con un lungo restauro poté ritornare all’uso originario. Morto de’ Rossi, Fontana ebbe campo libero e i suoi progetti furono pienamente accolti. Così disegnò anche il coperchio di bronzo dorato poi realizzato da Giovanni Giardini. Esecutori delle sculture furono Lorenzo Ottoni, Jean-Baptiste Théodon e Michel Maille, che raffigurarono al centro un medaglione con la Trinità e ai lati coppie di puttini. Il riferimento alla Trinità, spiega Fontana, trae origine dal fatto che «la Santissima Triade per le parole necessarie al Sagramento del Battesimo Baptizo te in nomine Patris & Filii & Spiritus Sancti»205 riprende le parole di Cristo che indicava ai discepoli la loro missione: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). Sul retro della copertura
127
92
VATICANO BAROCCO
128
VATICANO BAROCCO
129
VATICANO BAROCCO
96. Alessandro Algardi, Battesimo di Cristo, Musei Vaticani, Museo Sacro. A fronte: 97. Guglielmo Della Porta, Tomba di Paolo III (pp. 132-133).
un’iscrizione ne ricostruisce la storia: «INNOCENTIVS XII | PONT[IFEX] MAX[IMVS] | REGENERANDIS | FILIIS HOMINVM | ET IN DEI FILIOS | ADOPTANDIS | MDCXCVII» (Innocenzo XII pontefice massimo costruì per i figli degli uomini che devono essere rigenerati e adottati in qualità di figli di Dio, 1697). Il tutto poggia su un alto piedistallo ed è sormontato da un agnello crucifero, altro simbolo del battesimo. All’inizio Ottoni scolpì l’agnello in alabastro, ma l’opera, benché pagata il 24 settembre 1698, non venne accettata dalla Congregazione della Fabbrica e la nuova opera dovette essere fusa in bronzo. Le pale sulle pareti sono del Maratti e dei suoi allievi Andrea Procaccini e Giuseppe Passeri206. Fontana disegnò anche due mensole di porfido per le pareti laterali e cornici in marmo giallo e verde dove saranno inseriti i mosaici:
130
«Questi tavolini servono per le funzioni solenni di batesimi di persone nobilissime, per li quali si fa apparecchio di vasi d’argento, e si posano sopra detti tavolini»207. Murata la finestra di fronte per ospitare la pala di Maratti, l’illuminazione risultò piuttosto precaria. Fontana risolse il problema aprendo nella volta un oculo sul quale s’innalza il tamburo sormontato da una cupoletta. In tal modo entra una luce soffusa che accende i colori dorati. Come si vede nell’incisione che accompagna la pubblicazione di Fontana, il fonte battesimale poggiava allora su un basamento semicircolare con tre gradini. Era papa Benedetto XIII208, domenicano, che attento a svolgere una pastorale diretta col popolo, intendeva tornare all’antico rito battesimale praticato in S. Pietro. Appena un anno dopo l’elezione, per l’Anno Santo
131
VATICANO BAROCCO
A fronte: 98. Tomba di papa Gregorio XIV.
1725, fece abbassare il fonte battesimale in un incavo del pavimento che ne nasconde la base. Il rito dell’immersione del battezzato nell’acqua si rinnovava come nel battistero di S. Giovanni in Laterano. Un’iscrizione sulla parete di fondo ricorda l’intervento: «BENEDICTVS XIII PONT. MAX. ORD. PRAEDICATORVM | HVMANAE REGENERATIONIS FONTEM | VETERI RITV INSTAVRAVIT | ANNO SAL. MDCCXXV | PONT. SVI ANNO II» (Benedetto XIII pontefice massimo dell’ordine dei Predicatori questo fonte dell’umana rigenerazione restaurò secondo l’antico rito nell’anno di salvezza 1725, secondo del suo pontificato). Come tutte le cappelle della basilica, anche quella del Battistero è formata da due ambienti, la cappella e la parte della navata che funge da vestibolo. Anche qui i tempi si protrassero, raggiungendo una sostanziale armonia formale e iconografica intorno al tema del Sacramento. I primi impegni per la decorazione risalgono a Clemente X, che incaricò nel 1670 il Baciccio di fornire disegni, che furono presentati solo nel 1708. I mosaici invece furono tratti dopo il 1710 da disegni e modelli di Francesco Trevisani209. Nella cupola è l’iscrizione: «SALVUS ERIT QUI CREDIDERIT ET BAPTEZATUS FUIT» (Mc. 16,16), con la raffigurazione del triplice battesimo, dell’acqua con san Giovanni Battista, del sangue dei martiri e del desiderio in attesa della rinascita con le turbe anelanti il lavacro purificatore.
I MONUMENTI FUNEBRI Con i monumenti funebri di Bernini, nominato nel 1629 architetto della Fabbrica di S. Pietro, si fissò un modello al quale «con varianti più o meno evidenti, si adattarono tutti gli scultori del Sei e del Settecento a cui furono commissionate tombe papali»210. La tradizione fu interrotta alla fine del Settecento solo da Canova per Clemente XIII nei Ss. Apostoli e per Clemente XIV in S. Pietro. Canova ammirava le statue di S. Pietro, e citava in particolare la tomba di Gregorio XIII di Rusconi, la statua di Paolo III di Guglielmo Della Porta e il rilievo di Leone Magno di Algardi. Una prima variante tipologica l’aveva in realtà proposta già Bernini stesso col monumento ad Alessandro VII, realizzato tra il 1671 e il 1678, che costituì l’ultimo suo contributo a una tomba di S. Pietro. Non è in una vera e propria nicchia, ma in andito di passaggio e presenta un elemento che ne sviluppa ulteriormente significato e spazialità. Agli angoli della base della composizione piramidale, scenograficamente mossa da un grande drappo, non sono due, ma ben quattro figure allegoriche. Con l’incremento numerico e la perdita dell’esclusività del primo piano, esse sembrano
132
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
ormai svolgere nel dramma il ruolo di «coro». Il pontefice non è raffigurato benedicente, ma è in atto di preghiera. Il Genio della morte, che nel monumento a Urbano VIII ha il ruolo di narratore, è divenuto qui attore. Sembra colto nel momento in cui, liberatosi del drappo, sta per uscire dalla porta sottostante, enfatizzando così il pathos rispetto all’immobilità del pontefice e al dinamismo delle figure che compongono il monumento. Paolo III (Alessandro Farnese) Presa il 27 dicembre 1628 la decisione – come informa un Avviso – di trasferire la tomba di Paolo III nella nicchia di sinistra della Tribuna, già all’inizio dell’anno successivo le operazioni erano concluse: «Nella Basilica Vaticana lunedì sera si fece la trasportatione del corpo della fel. mem. di Paolo III di casa Farnese dentro la medesima cassa di piombo foderata di un’altra cassa di cipresso et di una altra di pietra di paragone dal nicchio dove stava sotto la Cupola in quella à mano destra, che si fa nuovamente nel nicchio della Tribuna di essa basilica incontro alla sepoltura, che si fabrica per il presente pontefice, sendo detta trasportatione stata fatta processionalmente per detta Basilica da quel capitolo…»211. Gregorio XIII (Ugo Boncompagni) In occasione dell’Anno Santo 1575 fu liberato l’accesso alla tomba di Pietro sotto la «Camera» e predisposta da Gregorio XIII la «Porta Santa», integrata nel 1610 nel portico della nuova basilica. Dopo vari spostamenti, la tomba di Paolo III fu collocata di fronte alla Cappella Gregoriana per essere in seguito definitivamente trasferita sul lato occidentale del coro. La prossimità della tomba indusse Gregorio XIII a scegliere per la propria sepoltura una collocazione vicina alla Cappella che assunse il suo nome. Il papa morì l’11 aprile 1585 e il suo corpo, inizialmente esposto nella Cappella Sistina, venne poi trasferito nella tomba a lui destinata davanti alla Cappella Gregoriana, come racconta Alfarano: «… fuit sepultus Gregorius XIII in nobili elaboratoque sepulcro…»212. La tomba doveva essere curata dal nipote Filippo Guastavillani, come ricorda un Avviso del 17 dicembre 1575: «[il papa] ha ordinato al card. Guastavillani, che faccia fare la sepoltura di S. S.tà in S. Pietro all’incontro di Paolo III riuscita bellissima»213. Nello stesso Avviso il papa si preoccupava anche della sepoltura dei cardinali nipoti, Guastavillani e Filippo Boncompagni, da porre sul lato opposto del passaggio. La struttura architettonica spetta a Ottaviano Mascherino, già coinvolto nei lavori della stessa Cappella. Come
133
98, 100, 101
99. Filippo Buonanni, Tomba di papa Gregorio, incisione, 1696. A fronte: 100. Tomba di papa Gregorio XIII.
99
scultore della statua del papa e delle allegorie è citato il bresciano Prospero Antichi214, che compare nei conti già dal 1581. Era consuetudine in S. Pietro presentare un modello delle statue a grandezza naturale, eseguito rapidamente in stucco per essere poi trasformato in bronzo o in marmo. In questo caso la fase finale non venne realizzata e lo stucco deperì gravemente, tanto che ai primi del Settecento Clemente XI chiese a Giacomo Boncompagni di provvedere a una sepoltura degna di un papa215. La tomba è nota grazie alle incisioni della fine del Seicento216, che presentano anche un valore documentario per lo sviluppo della tipologia delle tombe papali dopo Paolo III. La statua del papa, seduto, è in una nicchia con calotta a conchiglia; la mano destra è alzata nel gesto della benedizione, mentre la sinistra tiene le chiavi di san Pietro e una Bibbia. Sulle volute alla base del sarcofago siedono le allegorie della
134
Alle pagine seguenti: 101. Rilievo dell’urna della Tomba di papa Gregorio XIII.
VATICANO BAROCCO
Carità e della Pace. Ai due lati sono inserite nelle nicchie le allegorie della Fede e della Speranza. In alto, al colmo dell’arcone, è il grande stemma Boncompagni retto da due geni. Delle specchiature erano destinate a ospitare raffigurazioni di scene storiche, sicuramente dipinte, come si deduce dalla forma della nicchia sul lato opposto, oggi occupata dalla tomba di Gregorio XIV (1590-1591), che regnò appena dieci mesi (il sarcofago moderno, in marmo, fu eseguito nel 1842). La nicchia era in origine destinata a luogo di sepoltura dei nipoti Boncompagni, come confermano gli stemmi nell’intradosso217. Sul fondo doveva essere collocata un’iscrizione commemorativa dei fatti salienti della vita di Gregorio XIII218, poi non eseguita. Ai lati del grande vano sono inserite nelle due nicchie le allegorie della Religione con la croce e un libro, e della Giustizia con la spada, in stucco. In alto, negli spicchi degli archi, sono
135
VATICANO BAROCCO
136
VATICANO BAROCCO
137
VATICANO BAROCCO
A fronte: 102. Tomba di Leone XI.
due Geni che reggono lo stemma di Gregorio XIV, della famiglia Sfondrati, unico riferimento, insieme all’iscrizione del sarcofago, alla nuova sepoltura. Negli intradossi e negli ottagoni della volta del passaggio sono raffigurate scene che si riferiscono alla biografia di Gregorio XIII: i suoi tentativi diplomatici per creare legami con la Chiesa in Russia e con il Giappone, e i suoi sforzi per il dialogo con la Chiesa orientale. I due nipoti morirono rispettivamente nel 1586 e nel 1587, e vennero sepolti a Bologna. Dopo il monumento funebre di Paolo III, è questo il primo sepolcro di nuova concezione, che anticipa forse anche quello di Sisto V in S. Maria Maggiore e costituisce un riferimento formale per tutte le successive tombe. Essendo le statue in stucco, quindi di materiale deperibile non in sintonia con lo splendore dei marmi della basilica, Clemente XI Albani scrisse il 21 novembre 1714 al cardinale Giacomo Boncompagni di provvedere a una sepoltura più degna per un parente importante come Gregorio XIII: «…ut sepulchrum, quo magno illius cineres conditi sunt, nobiliori, tantoque pontifici digniori cultu exornaretur» (che il sepolcro, in cui sono conservate le sue ceneri, sia decorato in modo più confacente alla venerazione di un pontefice)219. Sembra che l’arcivescovo di Bologna abbia accettato di buon grado la proposta, e delegato su suggerimento del papa il controllo superiore al padre teatino Alessandro Salaroli. Nel luglio 1715 fu firmato il contratto con lo scultore Camillo Rusconi che presentò già dei disegni, mentre per accelerare i tempi si decise di affidare l’esecuzione dei rilievi storici sul sarcofago a un diverso scultore220. Seguendo il prototipo delle precedenti sepolture, il papa benedicente è seduto sul sarcofago accompagnato da due figure allegoriche. La figura di sinistra, la Religione, regge con la destra le tavole della Legge e con la sinistra il libro dei Vangeli. Sul lato opposto è l’allegoria della Magnificenza abbigliata all’antica, con elmo e scudo poggiato a terra, che con la destra alza il grande drappo consentendo di vedere il sarcofago su cui è raffigurata a bassorilievo l’azione fondamentale della vita di Gregorio XIII, l’istituzione nel febbraio 1582 del nuovo calendario, che correggeva la differenza tra l’anno lunare e quello solare. Le allegorie sono «… vestite entrambe ... nobilmente e situate graziosamente sopra alcune volute, che nascono dal mezzo. Viene sostenuta l’urna con pilastrini scannellati, o sbaccellati, davanti a’ quali postato si vede un bellissimo drago alludente allo stemma gentilizio dell’eccellentissima casa Boncompagna»221. Sullo zoccolo sotto il sarcofago si legge: «GREGORIO XIII PONT. MAX. IVSTITIAE CVSTODI PIETATIS CVLTORI RELIGIONIS VINDICI ET PROPAGATORI
138
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
IN VTOQVE ORBE MVNIFICENTISSIMO IACOBVS TIT. S. MARIAE IN VIA PRESB. S.R.E. CARD. BONCOMPAGNVUS ARCHIEPISCOPVS BONONIAE AB NEPOS POSVIT ANN. SAL. MDCCXXIII» (A Gregorio XIII pontefice massimo, custode della Giustizia, cultore della Pietà, protettore della Religione e suo generosissimo propagatore nel Vecchio e nel Nuovo Mondo, il nipote Giacomo Boncompagni, cardinale titolare di S. Maria in Via e arcivescovo di Bologna, eresse questo monumento nell’anno della salvezza 1723). L’iscrizione reca la data di conclusione dei lavori e dell’inaugurazione del monumento, all’inizio di settembre 1723222.
Leone XI (Alessandro de’ Medici) Il monumento, collocato molto dopo la morte del papa, è il primo direttamente derivato da quello di Urbano VIII. La commissione partì dal nipote di Leone XI (1535-1605), il cardinale Roberto Ubaldini, che morì nel 1635 e non poté vedere ultimata l’opera, affidata nel 1634 ad Alessandro Algardi223, che vi lavorò fino al 1644224. Gli eredi del cardinale cercarono il luogo dove collocare il monumento, e solo nel 1652 si individuò per la tomba la nicchia nella parete dell’ultimo pilastro della navata sinistra, già precedentemente occupata dalle spoglie di Clemente VII, trasferite nel 1646 nella cripta sotto la Cappella Paolina in S. Maria Maggiore, dove è anche il monumento funebre. A differenza di altre tombe, la nicchia, di fronte al sepolcro di Innocenzo XI, è in un corridoio che non agevola la visione frontale del monumento e, restringendosi in profondità, non consente alle figure – che forse anche per questo sono limitate nel movimento – di emergere. Per le sculture Algardi scelse il marmo bianco di Carrara225, mentre nella nicchia impiegò un marmo con venature grigie, escludendo ogni sorta di altri materiali colorati. Lo scultore s’impegnò a presentare un modello in legno dell’opera con le statue in terracotta («creta»)226 e un modello grande del bassorilievo del sarcofago, oggi conservato presso l’Accademia di S. Luca a Roma227. I tempi dei lavori coincisero con quelli di Bernini per la tomba di Urbano VIII, cosa che consentì ad Algardi di correggere la composizione attribuendole un indirizzo più classicheggiante. Il papa è seduto sul sarcofago all’interno della nicchia, da cui sono escluse le Virtù, nonostante siano allo stesso livello del sarcofago. Il gesto del papa è tra la benedizione e l’allocuzione. Le Virtù non hanno nessun legame interno e sono rivolte in senso autonomo ognuna verso l’esterno e guardano chi si avvicina, chi da sinistra e chi da destra. Il papa sta seduto sul trono poggiato direttamente sul sarcofago. All’interno di una corona di alloro è inciso il suo nome («LEO XI»). Anche le due statue delle Virtù restano al di fuori della nicchia. Sulla
139
102
103. Gian Lorenzo Bernini, Tomba di Urbano VIII.
Alle pagine seguenti: 105. Gian Lorenzo Bernini, Tomba di Urbano VIII, allegoria della Carità.
A fronte: 104. Gian Lorenzo Bernini, Tomba di Urbano VIII.
106. Gian Lorenzo Bernini, Tomba di Urbano VIII, allegoria della Giustizia.
sinistra sta la Magnanimità (anche considerata la Maestà del Regno o Fortezza)228 di Ercole Ferrata e sulla destra la Liberalità (oppure definita anche come l’Abbondanza) di Giuseppe Peroni. Si tratta sicuramente dell’allegoria della Liberalità, perché segue l’iconografia di Ripa, che mostra la stessa cornucopia dalla quale escono monete. L’altra virtù con corazza è riconosciuta da Bellori come la Prudenza, mentre Passeri229 individua prima la Fortezza e poi la Maestà del Regno, mentre il contratto con l’artista parla della Magnanimità. Il pontificato durò appena 27 giorni, fatto sottolineato dal motto «SIC FLORUI» scolpito tra i cespi di rose della base sotto le Virtù. Nel rilievo del sarcofago sono narrati due fatti storici. Papa Medici, allora cardinal legato di Clemente VIII in Francia, preparò infatti due successi diplomatici per l’unità della Chiesa cattolica, entrambi raffigurati nel rilievo. La scena di destra raffigura il giuramento di Enrico IV di Borbone come atto di abiura dal calvinismo (1596), mentre sulla sinistra è la firma della pace di Vervin nella cattedrale di Notre-Dame di Parigi (1598)230. Sullo zoccolo è l’iscrizione: «D.O.M. LEONI XI MEDICI FLORENTINO PONT. OPT. MAX. | QUI AD SVMMAM ECCLESIAE DEI FELICITATEM | OSTENSVS MAGIS QUAM DATVS | CHISTIANVM ORBEM BREVI XXVII DIERVM LAETITIA | ET LONGO ANNORVM MOERORE COMPLEVIT | ROBERTVS CARDINALIS VBALDINVS ET SORORE PRONEPOS | GRATI ANIMI MONVMENTVM P. | OBIIT AN. AETATIS SVAE LXIX QUINTO KAL. MAII | MDCV» (A Dio Ottimo Massimo. A Leone XI Medici, fiorentino, pontefice ottimo massimo. Egli fu mostrato più che dato per la grande felicità della Chiesa, riempì il mondo cristiano di una breve letizia durata 27 giorni e di un lungo pianto di anni. Il cardinale Roberto Ubaldini, pronipote della di lui sorella pose questo monumento con animo grato. Morì all’età di 69 anni il 27 aprile 1605).
103-108
Urbano VIII (Maffeo Barberini) Il monumento è collocato nella nicchia destra della Tribuna, sul lato opposto della tomba di Paolo III. Con quest’opera «Bernini ha stabilito un canone, che è composto in forma piramidale con il papa in sommità, un sarcofago alla base con due figure allegoriche agli estremi»231. L’impianto risale alle tombe medicee, e più direttamente a quella di Paolo III, suo pendant, contemporaneamente sistemata e conforme nella decorazione architettonica. Un altro modello era costituito dalla tomba quattrocentesca di Innocenzo VIII, dei Pollaiolo, sopravvissuta nel nuovo S. Pietro. Dopo la consacrazione della nuova basilica nel 1626, e la ridefinizione della crociera con il Baldacchino sulla tomba di Pietro secondo il progetto di Bernini, Urbano VIII espresse il desiderio di far realizzare dal
140
VATICANO BAROCCO
grande artista la propria tomba monumentale da porre in basilica, e non in un’altra chiesa romana come avevano fatto i suoi immediati predecessori. In un documento datato 27 dicembre 1628, si legge: «Havendo la Santità di N.S. risoluto di porre la bellissima sepoltura di Paolo III nel nicchio à mano destra la tribuna della Basilica, la fa ivi trasportare con la statua di bronzo di quel pontefice dal luogo dove si trovava con tutti gli altri ornamenti, volendo Sua Santità nell’altro nicchio à mano sinistra farvi fabricare la sua sepoltura»232. La nuova disposizione delle reliquie nei pilastri della crociera spingeva verso tale decisione. In quello di sud-est si prevedeva di deporre la reliquia della Lancia collocando nella nicchia la statua di Longino, sostituito poi da quella di sant’Andrea. Nello stesso luogo, era dalla fine del Cinquecento, in posizione libera, cioè separata dalla parete, la tomba di Paolo III Farnese. Si pensò di collocarla in
141
VATICANO BAROCCO
142
VATICANO BAROCCO
143
VATICANO BAROCCO
107. Tomba di Urbano VIII, particolare della testa dell’allegoria della Giustizia.
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
108. Tomba di Urbano VIII, figura della Morte.
una delle nicchie della Tribuna, mentre l’altra poteva servire per la sepoltura di Urbano VIII. Quasi contemporaneamente, nel 1628, si poté avviare la decorazione delle nicchie con incrostazioni di marmi colorati secondo i motivi delle cappelle del transetto sotto la supervisione del cardinale Angelo Giori di Camerino, coppiere del papa. A fianco delle nicchie si posero due colonne monolitiche in marmo cipollino e le trabeazioni sulle nicchie «dove vanno li depositi di Nostro Signore papa Urbano 233 VIII et di papa Paolo III» . Tra i collaboratori del vasto gruppo scelto per il lavoro erano Francesco Borromini e Agostino Radi. In modo analogo era concepita anche la scenografica disposizione delle nicchie dell’abside.
144
I lavori, prolungatisi nel tempo, si conclusero solo il 9 febbraio 1647, tre anni dopo la morte del papa. Il piedistallo della statua poggia su uno zoccolo formato da tre strati di marmo. I due inferiori sono rivestiti di marmo grigio, mentre quello superiore è di marmo africano234. Il piedistallo è di marmi bianchi e colorati ed è coperto nella parte inferiore da un sarcofago e con epigrafe. Il sarcofago di marmo portoro con vene dorate ha un grande coperchio con volute che ricordano immediatamente le tombe medicee a Firenze. Questo e il cataletto con quattro zampe di leone sono di bronzo come la figura della Morte alata che sta seduta tra le due volute e tiene in mano un grande libro in pietra paragone che per le sue dimensioni
145
VATICANO BAROCCO
appare più essere una grande targa che si tenta di inserire nel piedistallo: «la Morte… vergognosa e superba in un tempo stesso, col tergo alato volto all’infuori, col capo alquanto velato e coperto e colla faccia volta all’indietro»235. Sul libro con lettere in giallo antico sta scrivendo il nome del pontefice: «VRBANVS VIII | BARBERINVS PONT. | MAX». Nei lembi dei fogli sottostanti si riconoscono tre lettere che sono state interpretate come una G in riferimento al papa Gregorio XV Ludovisi il predecessore di Urbano236. Un’interpretazione più recente riconosce le lettere CL e A che si possono attribuire al nome di Clemente VIII Aldobrandini. Ci sono anche due pagine chiuse tra il nome di Urbano e il monogramma sulle quali potrebbero essere i due nomi dei due papi intermedi, Paolo V e Gregorio XV. Ancora prima delle due figure allegoriche che affiancano il piedistallo, come primo elemento della tomba Bernini iniziò a scolpire la statua del papa. Nella primavera 1631, recuperato il bronzo necessario, si poté procedere alla fusione237 e nell’agosto dello stesso anno passare alla rinettatura. Fu così possibile collocare la statua nella nicchia senza che questa assumesse l’aspetto di una tomba; essa anzi appariva quasi una statua onorifica come quella che il papa aveva fatto erigere in Campidoglio. La statua colossale, «di palmi 20», del papa coronato con la tiara, è posta in alto e rivolge lo sguardo verso il baldacchino. La destra è alzata più che nell’atto della benedizione in quello della allocutio degli imperatori antichi, mentre la sinistra è poggiata sul bracciolo come se fosse in procinto di alzarsi. Sul trono è un grande pomo su cui si posano delle api. Ma le api dell’impresa barberiniana si posano ovunque, sul piedistallo e sul sarcofago. Tutto è impreziosito dalle dorature che esaltano le forme, come già sperimentato nel baldacchino e come sarà nel futuro prossimo sulla Cathedra Petri. Già nel luglio del 1634 Jacopo Balsimelli aveva sbozzato la statua della Carità destinata al lato sinistro della tomba. La figura allegorica, in marmo bianco, rappresenta una madre con due bambini, così descritta nel contratto con Bernini: «la Carità, che tiene due putti, uno in braccio, che s’è addormentato alla poppa, e l’altro in piedi che mostra di piangere, perche vorrebbe zinnare»238. La figura si rivolge verso il bambino e crea una torsione che la movimenta. Nell’Ottocento il seno, come quello della Carità della tomba di Alessandro VII, fu coperto con stucco. Sul lato opposto è la figura allegorica, sempre in marmo bianco, della Giustizia che col braccio destro si appoggia a un voluminoso libro, un codice di Giurisprudenza, posato sul sarcofago. Con la sinistra regge una lunga spada, ed è accompagnata da un putto che porta il fascio littorio
146
VATICANO BAROCCO
A fronte: 109. Gian Lorenzo Bernini, Tomba di Alessandro VII.
mentre un altro putto, seduto per terra e un po’ nascosto dietro le vesti della donna, regge i piatti della bilancia. Va detto che una Virtù morale, la Prudenza, inizialmente prevista, venne modificata in Virtù teologale, la Carità. Così il papa è caratterizzato come vicario di Cristo, con gli attributi della giustizia e della grazia, e non da reggitore degli uomini, con gli attributi della giustizia e prudenza239. Predisposte le statue per la loro collocazione, Bernini fece arretrare il sarcofago di 16 cm per attribuire uno spazio maggiore alle figure allegoriche. In basso, dietro la Carità, Angelo Giori fece incidere alla fine dei lavori un’iscrizione commemorativa: «ANGELI CARDINALIS GIORII | PROBATAE FIDEI AC SPECTATAE VIRTVTI | SEPULCHRALE HOC OPVS | SIBI EXTRVENDVM MANDAVIT | VRBANVS PP. VIII» (Alla provata fedeltà e alla sperimentata virtù del cardinale Angelo Giori papa Urbano VIII affidò la costruzione di questo suo sepolcro). Eretta sul piedistallo la statua del papa, i lavori subirono un rallentamento come se Urbano VIII non volesse pensare alla morte. Anche Bernini aveva altri impegni che lo distraevano da questo progetto. Nel 1637, dopo una malattia che sembrava porre fine alla vita terrena del papa, la guarigione gli dette un nuovo impulso per il completamento della tomba. Ma il papa non vide il monumento completato, perché morì il 29 luglio e fu inumato il primo agosto 1644, quando ancora mancavano molti elementi, che permisero di scoprire il sepolcro solo il 28 febbraio 1647. Per la migliore incidenza della luce, fu data a Bernini la facoltà di decidere la data e l’ora dello scoprimento. Il cardinale Giori era preoccupato per la incerta presenza di papa Innocenzo X, non proprio favorevole alla famiglia Barberini e a Bernini. Il nuovo pontefice assistette invece alla cerimonia insieme a una grande schiera di cardinali. La Tribuna di S. Pietro si articolava in tre nicchie di uguali dimensioni. In posizione eminente erano le due laterali, ormai occupate. A questo punto si pone la questione sulle intenzioni di Urbano VIII circa quella centrale: se dovesse esservi collocato l’altare papale oppure la cattedra. Sembra che il pontefice fosse incline a erigere un altare dedicato all’arcangelo Michele240, ma la nicchia rimase vuota, esaltando ancora di più i monumenti dei due pontefici. La soluzione sarà infine elaborata da Bernini sotto il pontificato di Alessandro VII circa dieci anni dopo, nel 1657. Alessandro VII (Fabio Chigi) Papa Chigi (1655-1667), il più incisivo promotore delle arti e del completamento della Basilica di S. Pietro dopo Urbano VIII, venne sepolto nel transetto meridionale, accanto alla Cappella della Madonna della Colonna. L’artista
109-114
147
VATICANO BAROCCO
A fronte: 110. Gian Lorenzo Bernini, Tomba di Alessandro VII, particolare della statua del papa.
da lui prediletto per tutta la vita, Gian Lorenzo Bernini, fu incaricato del progetto della tomba, della quale, come riferisce Baldinucci, il papa aveva visionato i disegni 241. Appena eletto al soglio pontificio, Alessandro, meditando sulla brevità della vita, aveva fatto realizzare una cassa di piombo nella quale deporre la sua salma, e pensato anche alla tomba, come si apprende da un Avviso del settembre 1655, nel quale si accenna al fatto che il papa aveva ordinato «il disegno della sua sepoltura, componendo egli medesimo l’iscrittione»242. Tra i testi preferiti di Alessandro erano gli scritti di Francesco di Sales, che beatificò nel 1661 e nel 1665 elevò al rango di santo. Nel suo Diario fa varie volte riferimento al suo sepolcro, come alla data del 27 agosto 1656, quando accenna ai marmi del monumento: «habbiam ordinato i marmi pel nostro sepolcro al cavalier Bernino»243. Nell’aprile dello stesso anno la Fabbrica di S. Pietro aveva fatto scavare del cottanello rosso per la Cattedra, e colonne per la tomba del papa, da collocare ai lati dell’edicola ospitante il monumento. Un altro appunto del Diario costituisce un’indicazione concreta per l’iconografia e la scelta delle figure allegoriche: «Cavalier Bernino: modestia et veritas obviaverunt, s’incontrino, iustitia et pax, si abbraccino, e la Pace volti più in quà, e la Morte in cambio del libro habbia la falce»244. La figura della Morte sembra costituire un riferimento preciso alla tomba di Urbano VIII, dove tiene in mano un libro. Vivo il papa, i lavori al monumento vennero tralasciati, incombendo gli impegni per la Cattedra e la piazza antistante la basilica. Dopo la morte di Alessandro, il successore Clemente IX voleva erigere un monumento per sé e per papa Chigi nell’abside di S. Maria Maggiore, che Bernini stava restaurando245. Solo dopo il 1671, morto anche Clemente IX e succedutogli Clemente X, la situazione si sbloccò e Bernini, con l’aiuto di altri scultori, ne iniziò la realizzazione, completata nel 1678. Il monumento è inserito in una grande edicola, con una porta di passaggio che conduce all’esterno verso S. Marta. Ai lavori per la predisposizione del luogo prescelto sovraintese Matthia de’ Rossi. Tra le varie incombenze, si dovette affrontare il problema del distacco dell’affresco di Giovanni Francesco Romanelli con S. Pietro che guarisce i malati con la sua ombra, trasferito sulla porta della sacrestia246. In seguito fu necessario scavare in profondità la nicchia, ai lati della quale furono poste le colonne di cottanello, un marmo di color rosso di cui parla il Diario del papa, in sostituzione di quelle di granito grigio con frontone ricurvo. Sulla trabeazione si riferisce a papa Chigi lo stemma in bronzo dorato entro una cartella in portoro venato di
148
Alle pagine seguenti: 111. Lazzaro Morelli, Tomba di Alessandro VII, allegoria della Verità e della Giustizia.
bianco sorretto da due grandi ali in stucco dorato; stelle e fronde di quercia sono invece sulla parete di fondo della nicchia. Al sommo della calotta, tripartita da due costoloni, campeggia un oculo dipinto di blu con le stelle Chigi. Nella perfetta composizione piramidale il punto culminante è costituito dalla statua in marmo bianco del papa inginocchiato, a capo scoperto e le mani giunte in preghiera. Accanto al cuscino è poggiato il triregno. La testa è rivolta verso la tomba di Pietro. Nel piedistallo rivestito di breccia verde è inserita una cartella in pietra di paragone con incisioni in lettere bronzee e la dedica al defunto («ALEXANDER VII | CHISIVS | PONT. MAX»). Sotto la statua, intorno alla porta, si svolge un enorme drappo panneggiato in diaspro di Sicilia di color rossoarancio. Il diaspro, fatto venire da Trapani dai Gesuiti, fu lavorato dallo scalpellino Gabriele Renzi. Il gesto della figura bronzea della Morte, che solleva la coltre dietro la quale si apre la porta, ne accentua l’aspetto scenografico, perché alzandola consente il passaggio all’«al di là». La Morte tiene in mano una clessidra e non una falce, come aveva suggerito il pontefice. Agli angoli sono quattro figure allegoriche in marmo bianco, tra le quali spicca in primo piano a destra la Verità, che s’appoggia alla colonna dell’edicola. Tiene nella mano destra un sole in stucco dorato e poggia il piede su un globo terrestre, opera del pittore Michelangelo Maltese, originario di Malta, al quale si deve la raffigurazione dell’Isola relativamente sovradimensionata. Sulla sinistra è la Carità, con un bambino addormentato in braccio, che guarda il pontefice appoggiandosi alla coltre. Dietro il voluminoso drappo di diaspro si affacciano due ulteriori figure allegoriche in marmo bianco a mezzo busto: sulla destra l’allegoria della Giustizia con l’elmo e la testa poggiata su una mano in atteggiamento meditativo, analogo a quello della Giustizia nella tomba di Urbano VIII. Sulla sinistra è la Prudenza che in origine teneva in mano uno specchio ovale, ora perduto ma documentato da una vecchia fotografia. Questa figura riprende l’analoga raffigurazione della tomba di Paolo III, dove nello specchio si scorge un volto. Le due figure a mezzo busto suggeriscono l’illusione di una grande spazialità, come se la tomba fosse libera nell’ambiente e spinta poi nella nicchia. La parte inferiore è dominata al centro dalla figura della Morte che alza la coltre, simbolico passaggio all’eternità. Baldinucci dette un’interpretazione di questa figura, «che entrando per essa porta alza la coltre, colla quale, quasi vergognosa, si cuopre la testa, e porgendo un braccio in fuori verso la figura di papa Alessandro»247. Essa si vergognerebbe dunque di aver rapito ai vivi una persona così eccellente;
149
VATICANO BAROCCO
150
VATICANO BAROCCO
151
112. Giuseppe Mazzuoli, Tomba di Alessandro VII, allegoria della CaritĂ .
152
A fronte: 113. Giuseppe Mazzuoli, Tomba di Alessandro VII, allegoria della CaritĂ , particolare.
VATICANO BAROCCO
153
VATICANO BAROCCO
VATICANO BAROCCO
114. Gian Lorenzo Bernini, Tomba di Alessandro VII, teschio della Morte. A fronte: 115. Lazzaro Morelli, Tomba di Clemente X.
l’interpretazione di Panofsky248 sottolinea invece come la Morte si nasconda nelle tenebre a cui si oppone il sole che è in mano alla Verità a destra. La coltre fu eseguita secondo un modello di Lazzaro Morelli che portò con sé a Tivoli. Il blocco fu sbozzato ancora in cava e poi trasferito a Roma. Quando Innocenzo XI il 22 maggio 1678 «fu a vedere il deposito di Alessandro VII, e parendo[gli] tropp’ignuda la statua della Verità, fece dire al cardinale Chigi che la facesse coprire»249. Bernini dovette seguire questa indicazione e già l’anno seguente, secondo il modello di Filippo Carcani, la figura venne ricoperta con un panno bronzeo dipinto di bianco. La stessa sorte toccò anche alla Carità, alla quale nell’Ottocento si nascosero i seni sotto uno strato di stucco. Per la Verità si cancellò così del tutto l’impronta di Bernini, che già in precedenza aveva elaborato una statua della Verità scoperta dal Tempo. Con il pontificato di Clemente X si allentò la tensione verso il monumento funebre, e dal dicembre 1671 Bernini preparò il modello, eseguito dalla sua bottega; a lui personalmente si può attribuire solo la rifinitura del ritratto del papa. Nella bottega si era creata una tale sintonia che i singoli scultori potevano tranquillamente completare l’opera di un altro. Giovanni Rinaldi, Lazzaro Morelli e Giuseppe Mazzuoli eseguirono il modello. Cinque mesi dopo si pensò al marmo per la statua, che doveva essere «per fare le dette due statue, qual marmo dovrà essere statuale, bianco, e della qualità, pasta, bianchezza e bontà di quello, che è venuto, e che si lavora al presente e che si fa il Ritratto a Cavallo, e figura del Re di Francia, cioè senza schianti, né peli, né macchie, e più tosto meglio, che peggiore …»250. Quindi si passò all’esecuzione delle statue; nel maggio 1673 fu affidata a Mazzuoli la figura della Carità, terminata nel 1675. Morelli lavorò per un anno alla Verità, ma nel 1674 venne sostituito da Giulio Cartari che completò l’opera sempre nel novembre 1675. Nello stesso periodo lavorò anche alle due mezze figure della Prudenza e della Giustizia iniziate nell’agosto 1675 da Giuseppe Baratta, inserite nel monumento entro il 1678, quando era ormai scoperto. La statua del pontefice richiese più tempo oltre che la partecipazione di vari specialisti per l’elaborazione degli abiti pontificali. Michele Maille, poi sostituito nel 1676 da Carcani, lavorò ai pizzi del camice, ai bordi decorati del piviale e agli elementi in filigrana della tiara. La statua, già collocata sul basamento, fu varie volte portata a terra per lavorarci e nella fase finale l’ormai anziano Bernini si fece costruire un ponte per lavorare alla statua. È forse questo l’unico intervento sul ritratto del pontefice. Nel luglio 1675 s’iniziò a fondere il bronzo per la figura della Morte, che
154
impegnò il fonditore Girolamo Lucenti per quasi un anno. Un ulteriore arco di tempo fu impegnato per la lucidatura dei marmi e tra questi specialisti eccelse Domenico Sicurati e per la rinettatura del bronzo e per la sua doratura dove si mise in luce Carlo Mattei. Nell’aprile 1678 si poté finalmente scoprire il monumento funebre. La data 1660 riportata dal Diario in riferimento allo scavo delle pietre per il sepolcro, potrebbe essere di aiuto, ma anche creare delle difficoltà nella ricostruzione cronologica del monumento e della destinazione di questo luogo. Ciò farebbe credere che sin dall’inizio si pensasse a questo luogo sopra una porta. Questo passaggio verso il transetto meridionale risulta piuttosto marginale rispetto alla tribuna e alla Confessio, di conseguenza poco visibile e difficilmente si può considerare di prima scelta per collocare un monumento. Piuttosto doveva essere anche vicino alle tombe di Paolo III e Urbano VIII con le quali sta in una certa dipendenza formale. Si propose perciò una nicchia sulla destra della Tribuna, il sito dove oggi è collocata la tomba di Clemente 251 X, oppure quella di Alessandro VIII . Clemente X (Emilio Altieri) Nel passaggio nord-occidentale tra il baldacchino e la Cathedra Petri si trova la tomba di Clemente X Altieri in uno spazio piuttosto ridotto e ostruito nella visione dalla collocazione dei due organi ottocenteschi. Potrebbe essere questo però anche il luogo che era previsto per il monumento funebre di Alessandro VII poi sistemato sul
115
155
A fronte: 116. Pierre-Étienne Monnot, Tomba di Innocenzo XI.
lato opposto. L’anziano papa che seguiva Clemente IX si appoggiava per gli affari di stato al cardinale Paluzzo Paluzzi degli Albertoni, il cui nipote Gaspare aveva sposato Laura Caterina Altieri, nipote del pontefice ed erede delle proprietà di famiglia. Sia Paluzzi che Gaspare furono adottati dal papa per garantire la continuazione della famiglia degli Altieri che così assumevano il ruolo di nipoti del papa. Dopo la sua morte il 22 luglio 1676 fu esposta la salma prima nella navata centrale e poi nella Cappella del Sacramento per essere tumulato temporaneamente accanto a questa cappella252. Il completamento della Cappella del Sacramento è anche uno dei lavori più importanti promossi da Clemente X. Già in questa fase era presente Matthia de’ Rossi, allievo e collaboratore dell’ormai anziano Bernini, dal 25 settembre 1675 «sovrastante della Fabbrica di San Pietro» e vero prosecutore della maniera del maestro, che aveva dominato per cinquant’anni in S. Pietro. Così Paluzzo Altieri gli affidò l’incarico per il monumento funebre di Clemente X, e sembra che ne abbia sostenuto anche tutte le spese. Nell’autunno 1682 si stilarono i contratti per l’esecuzione della tomba. Il 30 settembre si fece il contratto con Lazzaro Morelli, a cui seguì il 12 ottobre quello con Ercole Ferrata e Giuseppe Mazzuoli. Completa i vincoli il contratto con gli scalpellini che si impegnano ad eseguire tutti i lavori esclusi quelli scultorei. Per il monumento fu fatto all’inizio un modello in legno «di cui venne subito realizzato la parte architettonica»253 che spetta naturalmente a Matthia de’ Rossi. Il 28 aprile 1683 si portavano in S. Pietro dei marmi per il deposito di papa Clemente X254. Si tratta del primo monumento funebre dopo quello berniniano per Alessandro VII e quindi tanti elementi strutturali di questo e di quello di Matilde di Canossa ritornano in questa tomba che a qualcuno parve «quasi una parodia dei modelli berniniani»255. In alto si erge la statua del pontefice seduto sul trono con la destra alzata per la benedizione. La statua del pontefice fu scolpita da Ercole Ferrata, poco prima escluso dall’esecuzione della statua di Innocenzo X per S. Agnese in Agone, perché considerato troppo anziano per affrontare il lavoro. La critica contemporanea fu unanime nel lodare la tomba di Clemente X256. Un elemento di critica potrebbe essere costituito dalla tiara, troppo inclinata, e dal piviale, indossato con poca naturalezza. Sul sarcofago sono la Clemenza (a sinistra) di Giuseppe Mazzuoli, e la Benignità (a destra) di Lazzaro Morelli. Morelli collaborò con Bernini anche per la Cathedra Petri e per le statue del colonnato, nonché alle Virtù della navata centrale. Mazzuoli partecipò invece al monumento di Alessandro VII, per il quale scolpì la figura della Carità. Agli angoli del sarcofago
156
VATICANO BAROCCO
Alle pagine seguenti: 117. Pierre-Étienne Monnot, Tomba di Innocenzo XI, Vienna liberata dall’assedio dei Turchi, rilievo sul sarcofago.
sono due puttini, uno dei quali con una fiaccola rovesciata, che reggono un cartiglio con la scritta «CLEMENS X | ALTERIIS ROMAN. | PONT. MAX.» (Clemente X, romano, della famiglia Altieri, pontefice massimo). I putti sono opera di Francesco Aprile, che morì nel 1685 lasciandoli incompiuti. Nel suo studio si trovarono infatti «dui putti di marmo non finiti con suoi modelli di stuccho che si facevano dal medesimo Per l’Eminentissimo Altieri»257, poi terminati dal cognato di Matthia de’ Rossi e da Filippo Carcani, suo collaboratore e autore anche dei due angeli che reggono lo stemma Altieri sull’arcone della nicchia. Sul fronte del sarcofago, poggiante su zampe leonine, è un rilievo che richiama quello della tomba di Matilde di Canossa di Bernini, opera di Leonardo Reti, che raffigurò l’Apertura della Porta Santa per il giubileo del 1675. Si pensa che Matthia si sia fatto ritrarre da Leonardo Reti nel bassorilievo nel personaggio inginocchiato con il vassoio nelle mani258. Sul catafalco progettato da Giovanni Antonio de’ Rossi per i funerali nel 1676, venne raffigurato un altro avvenimento del papato di Clemente X, la creazione di cinque santi nel 1671. Nell’autunno 1686 la tomba non era ancora completata, e solo il 15 ottobre 1691 poté ricevere la salma del papa259. Innocenzo XI (Benedetto Odescalchi) Nel passaggio tra la Cappella Clementina e quella del Coro, nella nicchia del pilastro di fronte al monumento di Leone XI è la tomba di Innocenzo XI Odescalchi. Quando morì, il 12 agosto 1689, il papa fu inumato nella Cappella della Presentazione della Vergine in modo semplice, come desiderato da lui stesso. Il pontefice seguiva una politica sobria, era contrario al nepotismo e non si curava troppo delle arti. Soprattutto organizzò e finanziò la lotta contro i musulmani, giunti alle porte di Vienna. Fu invece il nipote Livio Odescalchi a voler celebrare lo zio con un degno monumento funebre, che doveva essere pronto per l’Anno Santo del 1700. Il monumento segue da vicino lo schema delle tombe berniniane di Urbano VIII e di Alessandro VII. Di quest’ultimo si replica il sarcofago a volute sul quale le figure allegoriche della Religione e della Fortezza siedono invece di appoggiarvisi. La Religione, come la Carità nella tomba Chigi, è rivolta verso il papa, seduto in trono con il camauro mentre con la sinistra regge la tiara e le chiavi e la destra è alzata per la benedizione. Tutto il monumento sembra basarsi su due corpi di leoni, che sono elementi araldici degli Odescalchi come anche l’aquila che forma il bracciolo del trono. In alto nell’arcone si trova lo stemma della famiglia sorretto da due puttini. Sulla fronte del sarcofago una targa di bronzo
116-118
157
VATICANO BAROCCO
158
VATICANO BAROCCO
159
VATICANO BAROCCO
A fronte: 118. Pierre-Étienne Monnot, Tomba di Innocenzo XI, allegoria della Fortezza.
ricorda il committente del monumento: «INNOCENTIO XI / PONT. MAX. / LIVIUS ODESCHALCUS NEP. AN. IUB. MDCC» (A Innocenzo XI, pontefice massimo, il nipote Livio Odescalchi nell’anno giubilare 1700). In questo monumento di transizione stilistica, comincia a giocare un ruolo importante la gamma dei colori dovuta ai diversi materiali, dal bronzo al marmo bianco e alle pietre colorate, che si accentuerà maggiormente negli anni successivi. Il monumento fu scoperto il 28 giugno 1701; il 26 luglio, come riporta il Diario di Valesio, «si è scoperto in questo giorno p(er) la p(rim)a volta il deposito di Innoc(enz)o XI ricco di statue e metalli erettogli da D. Livio Odescalchi suo nipote, e piacque in universale»260. Da quel momento si poté deporre la salma nella tomba nell’apertura sul piedistallo poi coperta con il bassorilievo in marmo giallo antico. Il bassorilievo rappresenta la liberazione di Vienna dall’assedio dei Turchi l’11 settembre 1683. Da quando Innocenzo XI è stato beatificato, il 7 ottobre 1956, le sue spoglie sono state trasferite in un’urna di cristallo sotto l’altare della Cappella di san Sebastiano. Autore dell’opera è Pierre-Étienne Monnot (16571733), che ha lasciato la propria firma ben tre volte, a voler rimarcare il suo ruolo di artista creatore. All’esterno dello scudo della Fortezza si legge: «PETRUS STEF. | MONNOT | BISONTINUS F.» (Pierre-Étienne Monnot di Besançon fece). Un’altra firma ci è lasciata sul lembo basso della veste della Religione e semplicemente dice «P.S. MONNOT | BISONT. F». Solo da poco si conosce una terza firma lasciata sotto i piedi del papa: «P.S. MONNOT | BISONTINVS F.»261. Nel 1697 iniziarono i lavori senza che fosse bandito un vero concorso, ma la progettazione fu affidata a vari artisti. Livio Odescalchi affidò a Monnot, con il quale stava in rapporti di commissioni l’incarico per un disegno del sepolcro dello zio Innocenzo XI. «Ubbedì [Monnot] prontamente, e fattine alcuni, altri ne face fare D. Livio per sua soddisfazione ad altri, e scelse secondo la voce comune quello di Carlo Maratti, quantunque più d’una volta asseverantemente m’abbia detto Pietro, che scegliesse, e gli facesse metter in opera il suo. Checchè di ciò sia, lasciando la verità al suo luogo, de la libertà ad ognuno di credere quelche gli pare più verisimile, ed uniforme alla maniera de’ due professori che lo contrastano, dirò che Pietro ne fece il modello, e che secondo questo da suo pari condusse tutta l’opera nel modo che nella grande chiesa del Vaticano presentemente si vede»262. Da ciò pare piuttosto chiaro che l’opera è eseguita in tutte le sue forme dal Monnot. Però le guide di Roma, anche settecentesche riferiscono che il monumento è eseguito secondo il modello di Maratti263. Al contrario Chattard non nomina Maratti e
160
Alle pagine seguenti: 119. Angelo de’ Rossi, Tomba di Alessandro VIII, statua del papa. 120. Angelo de’ Rossi, Tomba di Alessandro VIII. 121. Angelo de’ Rossi, Tomba di Alessandro VIII, Canonizzazione di cinque santi, rilievo del piedistallo.
attribuisce in toto il monumento a Mannot264. Il nome di Maratti è entrato nella questione da quando si è trovato il disegno del Kupferstichkabinett di Berlino a lui attribuibile e in riferimento formale al sepolcro di Innocenzo XI265. A questi si è poi aggiunto un gruppo di disegni dell’Accademia di San Fernando a Madrid che confermano l’impegno di Maratti nello studio a soluzioni per la tomba266. Si conoscono anche due bozzetti preparatori, di cui uno a Firenze nel Museo Nazionale del Bargello, che però è piuttosto lontano dalla soluzione finale. Un altro bozzetto a Roma nel Museo di Palazzo Venezia viene riferito a Monnot, ma Ursula Schlegel267 per motivi stilistici l’attribuisce a Pierre Le Gros, forse ugualmente contattato da don Livio per avere una scelta più vasta, ma anche orientato verso quegli artisti francesi che combinavano la tradizione romana con qualche spunto innovativo. Alessandro VIII (Pietro Ottoboni) Nella nicchia di fronte alla Cappella della Madonna della Colonna, vicino all’altare di Leone Magno, è inserita la tomba del veneziano Alessandro VIII Ottoboni (16891691), tumulato in un primo momento davanti al primo pilastro della navata di sinistra, dove oggi si trova la tomba degli Stuart. Il monumento fu commissionato dal pronipote Pietro Ottoboni subito dopo la morte del papa. Per creare lo spazio per la tomba nel 1696 fu rimosso dalla parete l’affresco eseguito nel 1629 da Antonio Pomarancio rappresentante la Consegna delle chiavi. Fu staccato con tutta la cautela possibile e portato a Palazzo Farnese, dove però non risulta più. Una porta che si apriva nella sagrestia di Michelangelo fu murata per creare la camera funeraria. Nelle forme la tomba riprende quella per Urbano VIII di Bernini, o di Algardi per Leone XI. L’impostazione risale al conte Enrico Carlo di San Martino che era al servizio di Antonio Ottoboni, padre del cardinale. Inizialmente sembra che si pensasse di incaricare come scultore Domenico Guidi268, morto però nel 1701. Per un primo modello in legno e stucco a grandezza originale presentato il 28 marzo 1697 furono pagati due scultori, tra cui Pietro Papaleo, che aveva presentato in precedenza un modello con otto figure e due altre proposte con più figure ancora269. Nel 1698 il progetto passò ad Angelo de’ Rossi270, che nel 1704 presentava il primo elemento predisposto per il monumento, un rilievo storico. Nel 1706, al momento della traslazione della salma del pontefice, fu presentato il modello del monumento a grandezza originale. Il rilievo della base fu eseguito dal de’ Rossi, che lavorò alle figure in marmo della Religione e della Prudenza fino alla morte nel
161
119-121
VATICANO BAROCCO
162
VATICANO BAROCCO
163
VATICANO BAROCCO
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
nominato cardinale. Una delle teste del rilievo è un autoritratto dell’artista e reca l’iscrizione «EGO ANGELUS DE’ ROSSI 273 INVENI ET FECI» . Le Virtù sono rivolte verso lo spettatore e non sono in rapporto formale con la statua del papa. Sono state criticate per essere troppo legate tra di loro, a differenza dello studio conservato nella Kunstbibliothek di Berlino, che documenta una fase precedente nella quale le allegorie sono rivolte verso la figura del papa274. La figura del papa benedicente segue da vicino il prototipo della tomba di Urbano VIII. Sul sarcofago è l’iscrizione, inserita nel 1725 a sostituzione di una precedente del 1706 tramandata nel disegno di Berlino: «PATRUO MAGNO | ALEXANDRO VIII OTTHOBONO | VENETO P.O.M. | PETRUS CARD. EP(ISCOP) U(S) SABIN(ENSIS) S.R.E. VICECANC. | ANNO IUB. MDCCXXV» (Al grande prozio Alessandro VIII Ottoboni veneto pontefice ottimo massimo, Pietro cardinale, vescovo di Sabina-Poggio Mirteto, vicecancelliere di Santa Romana Chiesa, nell’anno del giubileo 1725). Il colore è un elemento decisivo del monumento, anche se si tratta solo di stucco dipinto, specialmente nella nicchia, mentre le altre parti sono rivestite di lastre di marmo africano. Elementi bronzei completano la decorazione, come le zampe di aquila che fanno da sostegno al sarcofago e le aquile bicipiti sul coperchio, allusione allo stemma della famiglia Ottoboni.
1715. Al posto della Prudenza era originariamente prevista la Carità. Ottoboni dette l’incarico di completare le figure a Giuseppe Raffaelli, e non a Gagliardi come di solito si afferma271. La statua del pontefice doveva essere eseguita in marmo, ma fu gettata in bronzo da Giuseppe Bertosi utilizzando il modello di stucco lasciato da de’ Rossi, morto nel frattempo. L’identità del materiale accentua la forte somiglianza con la statua di Urbano VIII. Il sepolcro fu completato nel 1725. Per valutare l’effetto a grandezza
164
naturale nel 1705 Michelangelo Ricciolini eseguì grandi tele in chiaroscuro che però non furono gradite dal cardinale Ottoboni272. Il monumento è formato da tre livelli al disopra di un alto zoccolo. Sul sarcofago in marmo è raffigurata a rilievo la canonizzazione di cinque santi avvenuta il 6 ottobre 1690, appena un anno dopo la nomina a pontefice. Uno dei problemi più impegnativi per Alessandro VIII fu, oltre alla questione giansenista, la paura dell’invasione turca,
come minaccia alla fede cristiana da un lato, ma anche come pericolo soprattutto per la Repubblica di Venezia. Non a caso la proclamazione dei santi riguarda personaggi legati all’affermazione della fede e ai legami con la terra veneta: Lorenzo Giustiniani, Giovanni da Capestrano, Giovanni di Dio, Pasquale di Baylon e lo spagnolo Giovanni San Facondo. Molti dei partecipanti all’evento sono riconoscibili, come Pietro Ottoboni accanto al papa, fatto storicamente non possibile non essendo stato ancora
Innocenzo XII (Antonio Pignatelli) Innocenzo XII, eletto nel 1691, era contrario al nepotismo e anelava a una vita semplice. Desiderando una sepoltura molto modesta, appena salito al soglio di Pietro commissionò un semplice sarcofago, che venne collocato nel passaggio tra la Cappella del Ss. Sacramento e quella di S. Sebastiano. Nel novembre 1692, l’anno seguente l’elezione, volle vedere il risultato, ma mentre si recava in basilica dovette rinunciare perché impedito da un forte temporale. È pervenuta una descrizione del sarcofago, o urna: «Viene questo collocato dirimpetto a quella della contessa Matilde e consiste in una bella urna di pietra mischia, con un cartello in mezzo, dove a lettera d’oro vi è semplice suo nome senza minima iscrittione, arme, ne triregno, ne altro ornamento»275. Quando il papa morì, il 29 settembre 1700, la salma fu deposta in questo sarcofago. Figura integerrima, condusse con decisione gli affari ecclesiastici e attirandosi una forte opposizione redasse nel 1692 la bolla Romanum decet pontificem, che impediva al papa di conferire terreni, cariche o rendite ai propri parenti. Abitualmente definiva «suoi nipoti» i poveri. Dopo un lungo intervallo di tempo, nel 1745 il pronipote del papa, il cardinale napoletano Vincenzo Petra, decise di erigere un monumento più degno, al quale contribuì anche papa Benedetto XIV. Ferdinando
165
122-124
A fronte: 122. Filippo della Valle, Tomba di Innocenzo XII.
VATICANO BAROCCO
Alle pagine seguenti: 123. Filippo della Valle, Tomba di Innocenzo XII. 124. Tomba di Innocenzo XII, particolare della Giustizia.
Fuga preparò i progetti per l’architettura, ai quali ci si riferisce nel contratto con Filippo della Valle del 17 marzo 1745. Della Valle, allievo di Rusconi e mediatore tra stile barocco e classicismo, elaborò dei bozzetti per la figura del papa e per le due allegorie, la Carità e la Giustizia, che affiancano il monumento. Alcuni dettagli mutati rispetto al contratto dimostrano la libertà concessa all’artista276. Il contratto imponeva la conclusione dei lavori entro un anno, e sembra che della Valle abbia rispettato il vincolo indicando nell’iscrizione la data del 1746. Il papa, in abiti pontificali, è seduto su una cattedra settecentesca e benedice. Due gruppi di allegorie collegano le due parti del monumento: quella inferiore, col sarcofago in marmo che reca la semplice scritta: «INNOCENTIVS XII PIGNATELLI», e quella superiore con la statua. La Carità, sulla sinistra, appare una citazione quasi letterale della stessa figura sulla tomba di Urbano VIII, orientata però verso la figura del papa. Dalla scultura berniniana della Giustizia ripete l’espressione riflessiva, che in questo caso si concentra sui piatti della bilancia. Il putto con il fascio littorio è ugualmente inserito tra la statua e il sarcofago. L’impalcatura architettonica del monumento doveva risolvere il problema della porta, che lo collega alla tomba di Alessandro VII di Bernini. La tomba in questo caso non ingloba però la porta, ma è posta in uno spazio ristretto ancora più alto. Lo scultore sovrappone le figure di marmo le quali, pur se mantengono una impostazione ancora classica, si animano e si completano con uno spirito tutto rococò. Le allegorie non sono donne riprese dalla vita quotidiana, come potevano essere quelle del Bernini, ma figure idealizzate, la cui forma è costituita da una ricca morbidezza pittorica, che nella sua solida struttura rimane elegantissima. Pittorica è anche la scelta dei marmi che non hanno più quella gamma incisiva come ai tempi di Bernini ma tendono ora più verso i valori leggeri del rosa e di un pallido verde. Nell’iscrizione sulla base del monumento si legge: «INNOCENTII XII P.M. | INORNATUM MONUMENTUM | IN HANC ELEGANTEM FORMAM REDIGI CURAVIT | ADPROBANTE BENEDICTO XIV P.M. | VINCENTIUS S.R.E. CARD. PETRA EP. PRAEN. | ET M. POENITEN. | A.S. MDCCXLVI» (Vincenzo Petra, cardinale di Santa Romana Chiesa, vescovo di Palestrina e penitenziere maggiore, con l’approvazione di Benedetto XIV pontefice massimo, ebbe cura che il disadorno monumento di Innocenzo XII, pontefice massimo, fosse abbellito in questa forma elegante, nell’anno della salvezza 1746). Poiché lo stemma della famiglia Pignatelli è formato da tre pignatte, si è tentato di interpretare l’urna che doveva contenere la salma del papa come da
166
lui stesso espresso, rappresentando una di queste pignatte o pignatelli. Oggi sull’architrave due puttini reggono lo stemma coronato dalla tiara e dalle chiavi. Clemente XI (Gian Francesco Albani) Clemente XI Albani, il papa intenditore d’arte, che si era tanto prodigato per sistemare degnamente la tomba di Gregorio XIII che si era degradata, sostituendola con un monumento sontuoso e artisticamente molto raffinato, desiderò per sé una semplice lapide nel pavimento della Cappella del Coro, che indica il luogo della sepoltura del cuore. Il corpo venne sepolto nella chiesa di S. Francesco a Urbino. Il ricordo nella Cappella del Coro manifestava il desiderio di continuare a stare anche dopo la morte vicino ai canonici vaticani. L’iscrizione fu composta da lui stesso: «D.O.M. | CLEMENS XI P.M. | HUIUS SS. BASILICAE | OLIM VICARIVS | ET POSTEA CANONICVS | SIBI VIVENS PONI IVSSIT | OBIIT DIE IXI MARTII | ANNO SAL. MDCCXXI | AETATIS VERO SVAE LXXI | MENS. VII D. XXV | SEDIT IN PONTIFICATV | ANNOS XX MENSES III | DIES XXIV | ORATE PRO EO» (A Dio ottimo massimo, Clemente XI, pontefice massimo di questa sacrosanta basilica, prima vicario e poi canonico, da vivo ordinò di apporre questo marmo. Morì il 19 marzo dell’anno della salvezza 1721, all’età di 71 anni, mesi 7 e giorno 25. Pontificò anni 20, mesi 3, giorni 24. Pregate per lui). Ma forse non ci si sarebbe dovuti limitare a una semplice lastra nel pavimento, e si prevedeva anche un monumento più impegnativo. È noto infatti che il cardinale Annibale Albani, nipote del papa, nell’autunno del 1727 intendesse erigere in S. Pietro una tomba per lo zio277. Agli Uffizi è conservato un disegno di Giuseppe Passeri, da Antonio Muñoz riferito a un probabile monumento funebre per papa Albani278. Il monumento sarebbe dovuto stare in una nicchia non troppo profonda, che non avrebbe permesso d’inserire la statua di un papa in trono, come è invece raffigurato nel medaglione sopra un basamento. Due figure allegoriche, sulla destra la Religione riconoscibile dall’attributo della croce, e sulla sinistra la Giustizia con il fascio accanto, affiancano la base e ricevono luce dal papa attraverso uno specchio, come recita la scritta sullo zoccolo: «IN LVMINE TVO». Questo disegno di Passeri riferito a un Albani potrebbe essere certamente attendibile, avendo l’artista lavorato per la cappella di famiglia in S. Sebastiano fuori le mura a Roma. Si tratta però di un disegno preparatorio per un frontespizio, databile al 1701279. Direttamente in relazione al monumento sono altri documenti resi noti. Appena si sparse la notizia di voler dedicare un monu-
125
167
VATICANO BAROCCO
168
VATICANO BAROCCO
169
125. Lastra tombale di Clemente XI. 126. Pietro Bracci, Tomba di Benedetto XIV.
mento funebre al papa, Agostino Cornacchini ottenne l’incarico, realizzando già dei modelli piccoli e in seguito anche a scala naturale. Al cardinale Annibale venne però raccomandato un altro scultore, identificato col francese Edmé Bouchardon280, al quale anche il direttore di Villa Medici, Désormais, cercò di far ottenere l’incarico per il monumento281. Di lui si è conservato nel Landesmuseum di Magonza282 un disegno che potrebbe documentare un progetto per la tomba di Clemente XI. Anche qui si ritrova una nicchia di poca profondità, che usa la cornice in modo prospettico come nella tomba di Matilde sul lato opposto della Cappella del Coro. Ciò lascia intendere che si volesse utilizzare una nicchia del vestibolo della cappella. Nello spazio limitato il papa è in piedi, con due angeli davanti al basamento che reggono un cartiglio. La parte bassa torna in un disegno a carboncino su una parete di palazzo Mancini a Roma, che permette di confermare l’autore del disegno di Magonza e il suo riferimento alla tomba. Nel 1725 si fece un concorso per una tomba nei Ss. Luca e Martina per il quale Bernardino Cametti preparò dei modelli non conservati. Sembra che anche Pietro Bracci si sia interessato alla tomba, come dimostrano vari disegni con lo stemma Albani283.
126-128
Benedetto XIV (Prospero Lambertini) Prospero Lambertini, papa col nome di Benedetto XIV, fu sepolto in S. Pietro nel 1769. Il suo monumento, nel passaggio del transetto destro a ovest della Cappella Gregoriana, costituisce forse l’ultima espressione del Barocco in basilica. Per realizzarlo fu bandito un concorso da cui uscì vincitore Pietro Bracci, che fu nominato responsabile, oltre che delle sculture, anche dell’impianto architettonico del gruppo statuario, come annota l’artista nel suo Diario al termine dei lavori alla
170
Alle pagine seguenti: 127. Pietro Bracci, Tomba di Benedetto XIV, statua del papa.
VATICANO BAROCCO
128. Pietro Bracci, Tomba di Benedetto XIV, allegoria del Disinteresse.
data del 1769284. Erano stati i cardinali creati dal papa a raccogliere, poco dopo la sua morte, i fondi necessari e a individuare un luogo degno per erigere il monumento. L’iniziativa partì nel 1743 dal cardinale Joaquín Fernando Portocarrero, il primo del pontificato ad aver ricevuto la porpora, «… il che inteso da altri porporati creature presenti, si sono espressi anch’essi voler concorrere; ed il sig. cardinale Girolamo Colonna, camerlengo di S.C., informato dal suddetto e.mo Portocarrero di tal sua lodevole intenzione, da lui molto approvata, attesa la gran divozione professa verso ilo pontefice defunto, poco dopo si portò alla basilica vaticana, ad effetto di rinvenire il luogo più a proposito per l’effetto suddetto, per il cui adempimento si sente voler concorrere ancora molti e.mi assenti, parimenti creature, invitati dallo zelo del suddetto Portocarrero, con sue lettere»285. Con tale sostegno si poterono presto avviare i lavori. Bracci presentò vari progetti, alcuni dei quali, in parte diversi rispetto alla redazione definitiva, presentano il pontefice seduto286. Tutti gli altri elementi sono già presenti, come la nicchia tra le colonne e le due figure allegoriche. Un modelletto già vicino all’opera finita è a Bologna, all’Accademia di Belle Arti287. L’esecuzione in marmo si è purtroppo inaridita rispetto al modello bolognese, con gesti un po’ forzati. Bracci era stato molto stimato da papa Benedetto, che in S. Pietro lo impiegò più volte, nel monumento funebre di Maria Clementina Sobieski e in alcune statue dei fondatori degli ordini religiosi nelle nicchie della navata centrale (San Vincenzo de’ Paoli, 1751-54; San Girolamo Emiliani, 1755-57 e, dopo la morte di Benedetto, San Norberto, 1764-67). Nella nicchia rivestita di marmi policromi e dorature si erge il monumento, in una composizione piramidale. La cornice è composta da due colonne laterali che reggono un timpano curvilineo con lo stemma Lambertini nell’architrave. La statua del pontefice, in marmo bianco, poggia su un piedistallo al disopra di una porta che allude alla camera funeraria. Si tratta di un elemento già presente nelle tombe precedenti, come quella di Alessandro VII, che la identifica simbolicamente col passaggio nell’aldilà. Mancano però le allusioni alla morte raffigurata con scheletro e clessidra. Il papa è in piedi con la tiara sul capo, rivolto verso destra in direzione della tomba di Pietro. La mano sinistra è alzata nel gesto della benedizione, o per un saluto, come venne interpretato a fine Ottocento il gesto irrituale, a causa delle dita aperte che «il satirico scultore» volle rappresentare: «Difatti l’atto della mano è quello di chi, avendo or ora fiutato tabacco, spande le
171
VATICANO BAROCCO
172
VATICANO BAROCCO
173
129. Antonio Canova, Tomba di Clemente XIII, dettaglio del leone a sinistra.
VATICANO BAROCCO
A fronte: 131. Antonio Canova, Tomba di Clemente XIII.
130. Antonio Canova, Tomba di Clemente XIII, dettaglio del leone a destra.
dita, come per spruzzarne i pulviscoli rimastivi attaccati»; nella destra tiene infatti una tabacchiera a confermare quanto il pontefice fosse amante del tabacco288. Sul basamento della statua è l’iscrizione: «BENEDICTO XIV | PONT. MAX. | S.R.E. CARDINALES | AB EO CREATI» (A Benedetto XIV pontefice massimo, dai cardinali da lui creati). Ai lati della porta e del piedistallo, a completamento della composizione piramidale che culmina nel capo del pontefice, sono le figure allegoriche della Sapienza sacra a sinistra e del Disinteresse a destra. Bracci nel suo Diario informa su queste opere annotando che «… così haveva [Bracci] scolpito il papa in piedi e levato… come anche aveva scolpito una statua laterale rappresentante la Sapienza sacra, avendo l’altra statua rappresentante il Disinteresse fatta scolpire dallo scultore Sibilla»289. La figura rifiuta i doni offerti da un bambino con una cornucopia piena di monete, riferimento all’amministrazione finanziaria del papa che cercava di risanare la situazione disastrata. Di Gaspare Sibilla è la firma su una moneta caduta dalla cornucopia tenuta dal putto che incede verso la sinistra: «SIBILLA ROM | INVENIT | ET | SCULP.» (Sibilla romano ideò e scolpì). Forse è da ridimensionare il termine «invenit», che individua l’opera come sua invenzione, in quanto fu certamente concepita da Bracci. Nel 1763, quando i lavori erano in pieno svolgimento, Lebrun, pensionante dell’Accademia di Francia, cercò di ottenere l’incarico di una figura allegorica che potrebbe proprio riferirsi a questa di Sibilla290. Bracci ha inciso il proprio nome sul taglio del libretto tenuto dalla Sapienza: «PETR. BRACCI RO. OPERIS HOC INV. ET SCUL.» (Pietro Bracci romano ideatore e scultore di quest’opera). La medesima firma si ritrova
174
anche sull’orlo della veste di Benedetto XIV. Ai primi giorni di maggio del 1769 venne scoperto il monumento, come riferisce il Chracas del 13 maggio di quell’anno: «In questi giorni… si è veduto terminato e scoperto il nobile grandioso deposito tutto di fini marmi inalzato alla san[ta] mem[oria] di papa Benedetto XIV»291. Si tratta dell’ultimo monumento funebre realizzato per un pontefice del Settecento in S. Pietro. Bracci avrebbe dovuto eseguire anche la tomba del successore di Benedetto XIV, Clemente XIII Rezzonico (1758-1769), di cui è noto anche un progetto. Ma il monumento realizzato da Antonio Canova costituisce stilisticamente un punto di svolta e perciò con il sepolcro di Benedetto XIV si conclude la stagione del Barocco. Il panneggio delle figure allegoriche è ancora movimentato, mentre la statua del papa stante, ieratico e statico, domina lo stretto ambiente di passaggio. Tomba della contessa Matilde Urbano VIII venerava la contessa Matilde (1045-1115), e scrisse anche una poesia nella quale esaltava la sua personalità. Fece trasferire i suoi resti mortali dal monastero di San Benedetto Po (Mantova) a Roma il 10 marzo 1634. La nuova tomba non venne scoperta nel 1635, come si legge nell’iscrizione, ma il 21 marzo 1637292, senza che fosse del tutto completata, visto che i pagamenti si protrassero fino al 1644. La tomba è la prima sepoltura di una donna in S. Pietro. Matilde appare come una grande donna, difenditrice del papato, con il bastone di comando nella mano destra, e nella sinistra la tiara con le api barberiniane e la chiave. La figura sembra ispirata
129-132
133-136
175
VATICANO BAROCCO
A fronte: 132. Antonio Canova, Tomba di Clemente XIII.
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
133. Gian Lorenzo Bernini, Tomba della contessa Matilde.
alla Lea della tomba michelangiolesca di Giulio II. Per la tomba, posta in un pilastro della stretta navata laterale destra, non fu scelto un luogo a caso. Si trova infatti di fronte alla Cappella del Ss. Sacramento, che al momento della sua realizzazione aveva la funzione di sacrestia. Lì era l’altare di san Maurizio, davanti al quale, nella basilica costantiniana, si svolgeva la vestizione degli imperatori prima dell’incoronazione. Pare quindi ovvia l’allusione alla contessa che si sottomise obbediente al papato. La sua opera di mediazione tra l’imperatore Enrico IV e papa Gregorio VII si concluse con il concordato di Worms che pose fine alla lotta delle investiture. Urbano VIII incaricò dell’esecuzione Bernini, che iniziò l’opera alla fine del 1633. Il muratore Benedetto Drei risulta nei conti della Fabbrica dal 1634293. La statua è inserita in un’architettura che si restringe prospetticamente avvolgendola nella nicchia. L’esecuzione della testa si può ascrivere al maestro, mentre il resto è opera di Niccolò Sale. Sul sarcofago, scolpito da Stefano Speranza, è ad altorilievo la scena del Trionfo di Canossa, l’avvenimento storico cruciale della vita della contessa, con l’umiliazione di Enrico IV davanti a Gregorio VII il 25 gennaio 1077. In alto nella nicchia sono due putti che reggono uno scudo con l’iscrizione «TVETVR ET VNIT». Per il lavoro furono pagati nel 1637-38 Andrea Bolgi e Matteo Bonarelli. I due putti inginocchiati sul sarcofago, opera di Luigi Bernini e Andrea Bolgi, reggono un grande cartiglio con l’iscrizione composta da Francesco Barberini: «VRBANVUS VIII PONT. MAX | COMITISSAE MATHILDI VIRILIS ANIMI FOEMINAE | SEDIS APOSTOLICAE PROPUGNATRICI | PIETATE INSIGNI LIBERALITATE CELEBERRIMAE | HUC EX MANTVANO SANCTI BENEDICTI | COENOBIO TRANSLATIS OSSIBVS | GRATVS AETERNAE LAVDIS 294 PRO MERITVM | MON. POS. AN. MDCXXXV» . Per volere di papa Innocenzo X le strette navate furono rivestite da Bernini con marmi di vari colori. Anche le colonne di granito della basilica costantiniana furono sostitute con colonne di colore rosso. Non solo fu distrutto ogni rapporto con la basilica antica, ma anche il marmo bianco della statua e del sarcofago cambiava il rapporto del valore coloristico movimentato con la sobrietà del grigio.
137, 138
176
Tomba di Cristina di Svezia Cristina, figlia del re di Svezia Gustavo Adolfo, fu incoronata nel 1644. Nella ricerca della vera religione si fece istruire nella dottrina cattolica, e dopo molte riflessioni ne abbracciò la fede. Per le leggi svedesi era impossibile regnare per una regina cattolica, e nel 1654
rinunciò quindi al trono. Alla fine si trasferì a Roma, dove risiedette dal 1655. Esprimeva il suo credo con queste parole: «Dio manifesta la sua volontà per mezzo di un unico oracolo, che è la Chiesa cattolica romana, al di fuori della quale non c’è salvezza. Bisogna sottomettersi
177
VATICANO BAROCCO
A fronte: 134. Gian Lorenzo Bernini, Tomba della contessa Matilde. 135. Stefano Speranza, sarcofago con il rilievo del Trionfo di Canossa nella tomba della contessa Matilde, intero.
alle sue decisioni, senza indugi e ciecamente». La regina morì a Roma il 19 aprile 1689 e i funerali si svolsero alla presenza del collegio cardinalizio. Fu sepolta nelle Grotte vaticane in un sarcofago posto nella navata destra. Nel testamento la regina aveva chiesto di essere sepolta nel Pantheon, e aveva anche pensato a una soluzione artistica per la tomba295. Subito dopo i funerali Innocenzo XI comunicò di voler erigere una sepoltura per la regina di fronte a quella di Matilde di Canossa. L’iniziativa di una tomba monumentale fu infine assunta da Innocenzo XII Pignatelli nel 1696, sette anni dopo la morte della regina. Si procedette immediatamente con i progetti, che si interruppero con la morte del papa. I lavori si conclusero per iniziativa di Clemente XI Albani nel 1702. Si tratta del secondo monumento funebre dedicato a una donna
178
Alla pagina seguente: 136. Stefano Speranza, Tomba della contessa Matilde, particolare.
in S. Pietro dopo quello di Matilde da Canossa, e doveva fronteggiarlo, anche formalmente, assumendolo come modello. Il pontefice si rivolse a Carlo Fontana, collaboratore di Bernini, che ideò e disegnò la composizione, affidando gli elementi plastici a Jean-Baptiste Théodon, che già collaborava con lui come scultore nella Cappella del Battistero, e con Bernini per qualche statua del colonnato. È opera sua la scena sul sarcofago con l’Abiura e la rinuncia al trono del regno della Svezia. Il fatto avvenne ad Innsbruck il 3 novembre 1655, mentre Cristina si recava a Roma, alla presenza di Luca Holstein, custode della Biblioteca Vaticana e canonico vaticano, a sua volta un convertito. Si prese anche in considerazione di illustrare il fastoso ingresso della regina a Roma il 23 dicembre 1655296. Nei rilievi dei lati laterali brevi del sarcofago sono
179
VATICANO BAROCCO
180
VATICANO BAROCCO
181
VATICANO BAROCCO
137. Gian Lorenzo Bernini, Tomba di Cristina di Svezia, urna con rilievo dell’Abiura del protestantesimo.
VATICANO BAROCCO
A fronte: 138. Gian Lorenzo Bernini, Tomba di Cristina di Svezia.
delle Allegorie di Lorenzo Merlini297. Sulla sinistra è la Fede che vince sull’eresia, rappresentata da un angelo che mostra l’eucaristia, mentre sulla destra è la Conversione, e non come si è creduto finora il Disprezzo della grandezza terrena, con Cristina che guidata da un angelo calpesta un uomo barbuto rappresentante la ricchezza terrena. Ripa descrive infatti l’Inganno come «una donna, nuda dalla vita in su, [che] è condotta in alto da un angelo mentre disprezza gioie e scettri e calpesta un uomo dalla doppia coda di serpe». Il grande medaglione con il ritratto di profilo della regina e le altre parti si basano sui modelli di Théodon che a sua volta seguì i disegni di Fontana298. Le fusioni di bronzo furono eseguite da Giovanni Giardini da Forlì nel novembre 1701. La sovrana ha sul petto l’impresa del sole; sul bordo del medaglione si legge: «CHRISTINA ALEXANDRA D.G. SVEC. GOTHOR. VANADALORVMQ. REGINA» (Cristina Alessandra, per grazia di Dio regina degli Svedesi,
182
dei Goti e dei Vandali). Il secondo nome Alessandra lo ricevette da Alessandro VII. Nel 1702 Lorenzo Ottoni scolpì i due putti che con scettro e spada reggono le nappe del cuscino su cui poggia un’enorme corona. Un teschio coronato regge tra le ali un cartiglio che ricorda i fatti dell’esecuzione dell’opera: «CHRISTINE SVECORVM REGINAE | OB ORTHODOXAM RELIGIONEM | ABDICATO REGNO ABIVRATA HAERESI | PIE SVSCEPTAM | AC DELECTA ROMAE SEDE EXIMIE CVLTAM | MONVMEMTVM AB INNOCENTIO XII INCHOATVM | CLEMENS XI P.M. ABSOLVIT ANNO SAL. MDCCII» (Clemente XI Pontefice Massimo compì nell’anno della salvezza 1702 questo monumento iniziato da Innocenzo XII in onore di Cristina, regina degli Svedesi, per aver abbracciata la vera religione, dopo aver rinunciato a regnare e abiurata l’eresia, e per averla coltivata in modo esimio a Roma, la residenza scelta). Il 28 giugno 1702, alla vigilia della festa degli apostoli Pietro e Paolo, si scoprì il monumento, che ricevette anche dei giudizi negativi, come riferisce il
183
VATICANO BAROCCO
Diario di Valesio: «Si scoperse in tal giorno al publico nella basilica Vaticana il deposito della regina Christina Alessandra di Svezia, cominciato ad erigersi nel pontificato d’Innocenzo XII, d’ordine del medesimo pontefice. È riuscito di gran spesa e poco applauso e molto frutto al cavaliere Carlo Fontana, architetto di gran grido e poco sapere di detta basilica. Il medaglione con il ritratto della regina sudetta con l’iscrizzione che v’è sotto posta, il primo veniva rassomigliato ad una mostra d’orologio a ruota et la seconda ad un orologio a sole»299. Nella nicchia300 dov’è la tomba di Cristina doveva essere collocata la statua equestre di Costantino, che cavalcando verso sinistra era orientato verso l’altare maggiore. Le prime avvisaglie dell’idea si ebbero sotto Innocenzo X, che voleva attribuire un’impronta imperiale a questa parte della navata301. La scelta del luogo non fu quindi casuale.
139
Tomba di Maria Clementina Sobieski Nella navata di sinistra, tra la Cappella del Battesimo e quella della Presentazione, sopra la porta che conduce «alla lumaca per salire alla cupola»302, cioè la scala a chiocciola che conduce sul tetto della basilica, è la tomba della regina Maria Clementina Sobieski, moglie di Giacomo III Stuart re d’Inghilterra, a sua volta ricordato insieme ai figli Carlo Edoardo ed Enrico con un monumento funebre eretto di fronte ad opera di Antonio Canova nel 1819, uno dei monumenti più importanti della nuova epoca del Neoclassicismo. La regina morì a Roma il 18 gennaio 1735 a soli trent’anni. Eseguito per la parte architettonica su disegno di Filippo Barigioni e per quanto riguarda le sculture da Pietro Bracci; le parti di metallo spettano a Francesco Giardini. Iniziato nel 1739, i lavori si conclusero nel dicembre 1742303. Sopra il timpano triangolare della porta sono due putti con le insegne reali, la corona e lo scettro. Al centro, una corona di rose ne ricorda la morte: «OBIIT XV KAL. FEBR. A. MDCCXXXV». Un grande drappo in alabastro (proveniente dal Pantheon) copre il sarcofago di porfido con la scritta: «MARIA CLEMENTINA M. BRITANIAE FRANC. ET HIBERN. REGINA» (Maria Clementina, regina di Gran Bretagna, Francia e Irlanda). Una figura femminile, simbolo della Carità, è seduta sul sarcofago; nella sinistra ha un cuore da cui promana una fiamma in bronzo dorato mentre nella destra, aiutata da un putto, regge il ritratto della regina. Il medaglione ovale col ritratto è opera di Pietro Paolo Cristofari da un dipinto di Ludovico Stern. La composizione piramidale sottolinea sullo sfondo una piramide di marmo scuro
184
A fronte: 139. Pietro Bracci, Tomba di Maria Clementina Sobieski.
che accentua il valore dei colori chiari che circondano il monumento. Non sembra in effetti di essere di fronte a una scultura, ma a un dipinto cromaticamente acceso. L’inserimento della porta nella composizione richiama direttamente la tomba di Alessandro VII di Bernini. La salma venne inizialmente portata nelle Grotte, dove nel 1745 fu sistemata in un semplice sarcofago in fondo alla scala che porta sulla terrazza. La regina, moglie dal 1719 del re inglese Giacomo III, l’ultimo degli Stuart, che per abbracciare la fede cattolica aveva rinunciato al trono di Gran Bretagna, visse a Palazzo Muti a Roma col sostegno economico dei papi Clemente XI e Innocenzo XIII.
PIAZZA E COLONNATO Già verso la metà del Quattrocento, sotto Nicolò V, si erano sviluppati progetti con il consiglio di Leon Battista Alberti per l’area antistante la basilica costantiniana. Si doveva radere al suolo la Città Leonina e creare strade che avrebbero collegato Castel Sant’Angelo col luogo più sacro della Cristianità. Contemporaneamente il centro dell’interesse era il nucleo abitativo del Borgo Vecchio e del Borgo Nuovo. Si pensò anche alla protezione dei pellegrini costruendo dei colonnati e utilizzando le costruzioni soprastanti per le residenze dei prelati della Curia. Anche lo spostamento dell’obelisco era divenuto uno dei temi principali. Alcuni argomenti divennero anzi dei leit-motiv per i successivi duecento anni, finché si cominciò a mettere mano alla sistemazione definitiva. Nel 1564 papa Pio IV pensò di allargare la piazza, poco articolata verso sud, rendendola più simmetrica rispetto alla facciata della basilica. Non mancava neppure l’idea di circondarla con un loggiato, esistendo già in precedenza un porticato di collegamento col Borgo Vecchio304. L’obelisco Uno dei primi interventi realizzati seguendo il programma formulato da Nicolò V fu dunque lo spostamento dell’obelisco già sul lato sud, a sinistra della basilica. Trasportato a Roma da Caligola, segnava la spina del circo di Nerone e venne dedicato ad Augusto e Tiberio. Era legato alla storia dell’età romana perché ricordava Giulio Cesare, le cui ceneri si credeva fossero contenute nella sfera posta in cima alla guglia; in più segnava coma meta il luogo del martirio di san Pietro. Tutti questi motivi indussero Sisto V ad intraprendere la non facile impresa dello spostamento.
141
185
Monumenti e Cappelle
I monumenti funebri
A B C D E F
1
1 2 3 4 5 6 7 8
Cathedra Petri Confessione – Baldacchino Santa Veronica Sant’Elena San Longino Sant’Andrea Cappella Clementina Cappella del Coro Cappella della Presentazione Cappella del Battesimo Cappella della Pietà Cappella del Crocefisso Cappella del Ss. Sacramento Cappella Gregoriana
Paolo III, Alessandro Farnese
I Santi Fondatori di Ordini e Congregazioni religiose Ordine inferiore della navata e del transetto
Le Virtù 1
Fortezza
1706 Domenico di Guzmán (Domenicani)
2
Misericordia
2
Gregorio XIII, Ugo Boncompagni
1
3
Gregorio XIV, Nicolò Sfondrati
2
1727 Elia (Carmelitani)
3
Costanza
4
Leone XI, Alessandro d’Ottaviano de’ Medici
3
1727 Francesco d’Assisi (Frati Minori)
4
Clemenza
5
Urbano VIII, Maffeo Barberini
4
1732 Francesco di Paola (Minimi)
5
Pace
6
Alessandro VII, Fabio Chigi
5
1733 Ignazio di Loyola (Gesuiti)
6
Innocenza
7
Clemente X, Giovanni Battista Emilio Altieri
6
1735 Benedetto (Benedettini)
7
Fede
8
Innocenzo XI, Benedetto Odescalchi
7
1737 Filippo Neri (Filippini)
8
Carità
9
Alessandro VIII, Pietro Ottoboni
8
1738 Gaetano da Thiene (Teatini)
9
Vigilanza
10 Innocenzo XII, Antonio Pignatelli
9
1740 Giuliana Falconieri (Serve di Maria)
10 Liberalità
11 Benedetto XIV, Prospero Lambertini
10 1742 Pietro Nolasco (Mercedari)
11 Benignità
12 Clemente XIII, Carlo Rezzonico
11 1744 Bruno di Colonia (Certosini)
12 Purezza
13 Leone Magno
12 1745 Giovanni di Dio (Fatebenefratelli)
13 Compassione
14 Contessa Matilde
13 1753 Camillo de Lellis (Ministri degli Infermi)
14 Cognizione
15 Cristina di Svezia
14 1753 Pietro d’Alcantara (Alcantarini)
16 Maria Clementina Sobieski
15 1754 Teresa di Gesù (Carmelitani Scalzi)
15 Immortalità 16 Umiltà 17 Giustizia 18 Fede Cattolica 19 Speranza 20 Prudenza 21 Fortezza 22 Giustizia 23 Pazienza 24 Umiltà 25 Obbedienza 26 Verginità 27 Giustizia Divina 28 Autorità Ecclesiastica
16 1754 Vincenzo de’ Paoli (Preti della Missione – Figlie della Carità) 17 1755 Giuseppe Calasanzio (Scolopi) 18 1757 Girolamo Emiliani (Somaschi) 140. Le piante illustrano la collocazione dei principali monumenti barocchi all’interno della basilica di S. Pietro.
186
19 1767 Norberto (Premostratensi)
187
VATICANO BAROCCO
Alle pagine seguenti: 142. Orologio sulla facciata della basilica.
141. Obelisco di piazza S. Pietro.
143. Cristoforo Stati e Siméon Drouin, Cristo Redentore, balaustra della facciata e lanterna della basilica.
L’obelisco, di granito rosso e del peso di 330 tonnellate, fu trasportato con un’opera ingegneristica diretta da Domenico Fontana di fronte alla facciata del nuovo S. Pietro di Michelangelo, che in quel momento si celava ancora dietro la vecchia basilica. Lo spostamento ebbe inizio il 30 aprile 1586 e si concluse con l’innalzamento dell’obelisco nel nuovo luogo e la benedizione il successivo 26 settembre. Non fu collocato nel centro esatto rispetto alla facciata ipotetica della chiesa michelangiolesca. Dall’asse idealmente tracciabile attraverso il portone centrale dall’abside diverge di 3,80 m ca. in direzione nord. Dal momento della sua ricollocazione l’obelisco ha costituito un punto di riferimento per tutti i futuri sviluppi architettonici della piazza. Nel frattempo Sisto V promuoveva la chiusura della grande cupola, che intendeva far apprezzare anche da vicino, mentre per la visione da distanza voleva far abbattere la «spina dei Borghi», cioè le case tra Borgo Vecchio e Borgo Nuovo, un’idea che sarà realizzata solo 350 anni dopo, quando a seguito del Concordato tra il Vaticano e lo Stato italiano torneranno sul progetto Marcello Piacentini e Attilio Spaccarelli con la creazione di via della Conciliazione, iniziata nel 1935 e conclusa nell’Anno Santo 1950. Il piano generale di Sisto V non intendeva tanto sistemare la piazza, quanto facilitare il flusso dei pellegrini. Per il papa l’obelisco assumeva la valenza della croce, come conferma Domenico Fontana nel suo scritto sulle opere sistine: «… e purgando essa guglia, e consacrandola in sostegno, e piede della santissima croce, il più singulare, e segnalato, ch’in alcun tempo già mai le fusse stato da nissun’altro sottoposto»305. La prima iscrizione menziona l’esorcismo praticato sull’opera di origini pagane che secondo la tradizione nella sfera in alto avrebbe contenuto le ceneri di Giulio Cesare. La sfera fu donata nel 1589 da Sisto V alla città di Roma, continuando l’opera del suo omonimo predecessore Sisto IV, che nel 1471 aveva donato al Campidoglio i simboli dell’Urbe, la Lupa e la statua di Marco Aurelio. Al posto della sfera si collocarono i monti con le tre cime, simboli araldici dei Peretti contenenti le reliquie della santa Croce, sormontati dalla croce. Sui lati trasversali del basamento sono iscrizioni che si riferiscono al trasferimento dell’obelisco; composte dal cardinale Silvio Antoniano, sono considerate da Pastor, nella sua Storia dei Papi, le più eccellenti iscrizioni della nuova Roma. Sul lato a nord si legge: «SIXTUS V. PONT. MAX. OBELISCUM VATICANUM DIS GENTIUM IMPIO CULTU DICATUM AB APOSTOLORUM LIMINA OPEROSO LABORE TRANSTULIT ANNO MDLXXXVI PONT. II»;
188
sul quello sud: «SIXTUS V. PONT. MAX.
CRUCI INVICTAE OBELISCUM VATICANUM AB IMPURA SUPERSTITIONE EXPIATAM IUSTUS ET FELICIUS CONSECRAVIT ANNO MDXXXVI PONT. II».
Mentre due facce si riferiscono al trasferimento dell’obelisco richiamando l’iniziativa di Sisto V, le altre due riguardano la vittoria della fede cristiana. Sul lato est, visibile da chiunque si avvicini dal Borgo, si legge «ECCE CRVX DOMINI FUGITE PARTES ADVERSAE VICIT LEO DE TRIBV JVDA», citazione della terza antifona delle Laudi per la festa
dell’Inventio Crucis che riprende l’affermazione dell’Apocalisse: «Ha vinto il leone della tribù di Giuda, radice di Davide» (Ap. 5.5). Riporta inoltre una formula esorcistica di sant’Antonio. I leoni della tribù di Giuda si riferiscono ai quattro leoni di bronzo sui quali poggia l’obelisco, ma sono anche i leoni che fanno parte dello stemma del papa e si riferiscono a lui come ideatore dell’impresa. Si tratta di quattro teste di leoni con due corpi allineati sui quattro lati. Sulla cintura si leggono le lettere alternate a stelle: «BRI*XIA*NVS» e si riferiscono all’artista bresciano Prospero Antichi che le realizzò insieme a Francesco di Pietrasanta, Ludovico del Duca e Gregorio de’ Rossi. L’altra iscrizione, sul lato rivolto verso la basilica, è una formula di esorcismo che invoca la difesa dal male. Si tratta di un verso usato per le Laudi dell’incoronazione degli imperatori, in questo caso per invocare il regno di Cristo: «CHRISTVS VINCIT, CHRISTVS REGNAT, CHRISTVS IMPERAT CHRISTVS AB OMNI MALO PLEBEM SVAM DEFENDAT». Le aquile di bronzo che decorano il fusto dell’obelisco sono del tempo di Innocenzo XIII. Databili verso il 1722306, alludono all’araldica del papa, della famiglia dei Conti. Ne è autore Lorenzo Ottoni. La piazza Quando nel 1612 si completò finalmente la facciata di S. Pietro, la sistemazione della piazza divenne una questione urgente. Anche Carlo Maderno cercò una soluzione al problema, volendo esaltare la maestosa mole della basilica, ma dovendo anche rispettare l’accesso al palazzo vaticano sul lato destro della piazza. Per questo si concentrò sulla parte antistante la chiesa, ideando due campanili per raccordare il Palazzo Apostolico alla basilica. Ne realizzò uno per conferire slancio verticale alla facciata, già molto estesa in larghezza. Una particolarità del terreno che tutti i progettisti dovevano tenere presente era il dislivello tra il Borgo e la chiesa. Per tale ragione Maderno progettò una grande scalinata; a giudicare dai progetti la vasta piazza intorno all’obelisco rimaneva però ancora senza forma organica. L’unica aggiunta fu una fontana, alimentata con le acque dell’acquedotto voluto da Paolo V. Fino alla metà del secolo non si avanzarono più proposte per
150, 151
questa opzione. I lavori per il modello richiesero molto tem dar fromforma alla piazza. Solo dopo l’Anno Santo del 1650 e solo il 17 marzo 1657 la Congregazione della Fabbrica po Innocenzo X affrontò di nuovo la questione, incaricando Carlo Rainaldi di elaborare dei progetti. Questi mostrano una grande riunirsi per discutere dei problemi architettonici e del compen 307 e libertà d’intervento , prevedendo la demolizione di palazzi di Bernini. Con vari compromessi si giunse alla soluzione qu case per conferire un impianto simmetrico alla piazza, che indefinitiva: il risultato è una piazza di grandi dimensioni di form torno all’obelisco avrebbe assunto tendenzial-mente una forma ellittica cui se ne aggiunge un’altra trapezoidale, e un portica obliqua, sottolineata da due fontane, quella di Maderno ead una arcate limitato a un solo piano, con la rinuncia a piani superi nuova da realizzare in posizione simmetrica. Tutto rimaseriallo destinati a uffici o abitazioni, e l’aggiunta di un coronamen di statue313. Il 28 agosto 1657 poteva così essere posta la prim stadio di progetto perché la morte del papa, nel 1655, interrup308 pietra e la costruzione ebbe inizio314. Dal sistema ad arcate pe la realizzazione ; nella discussione entrarono comunque elementi che si ritroveranno in seguito. passò infine ad uno a doppie colonne, con l’inserimento di u Il giorno dopo l’elezione, avvenuta il 7 aprile 1655, papa alto cornicione in rapporto formale con la facciata della basilic Alessandro VII chiamò Bernini per discutere della sistemazione La piazza obliqua non definisce geometricamente un’ 309 della piazza . Con questa combinazione ideale, di un grande lisse; più semplicemente la pianta del colonnato è forma artista con un committente interessato e attivo nella programdai segmenti di due cerchi di raggio uguale alla distanza d mazione, si elaborò un progetto che dopo due anni poté essere loro centri. In un determinato punto, segnato con un dis realizzato. Il problema si era ormai spostato da una questione nel pavimento della piazza, coincidono visivamente tutte urbanistica a una meramente architettonica, perché si lasciava colonne, di cui si vede solo la prima fila. L’estensione massim da parte ogni aspetto riguardante l’accesso e il tessuto urbano della piazza sull’asse orizzontale è così la somma di tre rag 310 nella circostante puntando a una soluzione in chiave estetica Al centro dell’asse sta l’obelisco. L’asse minore verso la basili ridefinizione del rapporto tra lo spazio vuoto e la basilica. segue Il 31 l’intersezione dei due cerchi. Dalla “piazza Obliqua” luglio 1656 cade la prima riunione della Congregazione apre della verso la chiesa la “piazza Retta” che prosegue lungo i l Fabbrica che pone all’ordine del giorno la sistemazione con dellalesene, anziché con colonne, nello stesso ritmo. L’inter piazza e nell’occasione si incarica Bernini di elaborare un del pro-colonnato è a tre corsie, di cui la centrale, voltata a bot 311 getto , che l’artista presenta e illustra nella successiva riunione più ampia per permettere il passaggio delle carrozze. Le cors del 19 agosto. Non sono noti i termini della discussione, elaterali dal sono architravate e con volta a schifo315. La necessità del porticato è descritta da Bernini stesso in verbale della seduta si apprende solo che vi erano correzioni appunto: «… essendo la chiesa di S. Pietro quasi matrice di tu che l’artista avrebbe dovuto introdurre. Ad esempio la piazza le altre doveva haver’ un portico che per l’appunto dimostrasse avrebbe dovuto essere semmai prolungata, ma non accorciata. ricevere à braccia aperte maternamente i Cattolici per conferma Soprattutto doveva essere rettangolare, e sul lato della basilica nellaa credenza, gl’Heretici per riunirli alla Chiesa, e gl’Infed non più larga di quanto lo fosse all’ingresso («non sit latior parte ecclesiae quam in eius principio sed recto tramite seuper filoilluminarli alla vera fede»316. È dunque concepito come organismo vitale che presenta nella cupola della basilica la tia ducat a principio usque in eius finem»)312. La forma trapezoidale sarebbe stata determinata dall’accesso obliquo dal Borgo Nuovo, del papato, nella loggia delle Benedizioni la bocca e nel colonna accentuata dalla simmetria, e non un gioco di effetti prospettici un riferimento preciso al corpo, come le braccia che accolgo 317 l’umanità , tutto l’Orbis terrarum che ha al centro la Crux come invece accade nella Scala Regia del Palazzo Vaticano. Il victa. Il progetto prevedeva di chiudere la piazza ovale con comportamento di Bernini dimostra anche che l’artista intenterzo deva incidere il meno possibile nel tessuto urbano, perché le braccio che non venne mai realizzato. In tal modo la piaz sarebbe risultata meno aperta e avrebbe sorpreso maggiormen demolizioni sarebbero stati inevitabili per attribuire alla piazza il visitatore, attribuendole quel carattere di grande teatro di c lo spazio necessario. Bernini si impegnò in una soluzione a pianta rettangolare, e per individuare le giuste dimensioni disegnòparlava due anche Alessandro VII. Il portico e la Cattedra, le due maggiori opere di Bernini, so arcate a grandezza naturale sulla facciata della casa più alta afin relazione tra loro: «le due opere e del portico e della cathed facciata sulla piazza; per tutta la lunghezza del lato settentrionale il papa fece invece costruire con semplici travi un porticatofurono per per così il principio e la fine della magnificenza de giudicarne l’aspetto. Visto il modello, il pontefice preferìgrande per chiesa e l’occhio è tanto affascinato all’inizio entran nella piazza quanto alla fine vedendo la Cattedra»318. Il fig la piazza la soluzione ellittica perché garantiva una migliore nella biografia del padre si riferisce al succedersi de visione dalla finestra del Palazzo Apostolico e dalla Loggia Domenico delle due opere, reciprocamente connesse con un riferimento anc Benedizioni. Anche riconoscendo il merito della scelta al papa, a livello si intuisce come fosse Bernini stesso a sottolineare i vantaggi di iconologico. 189
VATICANO BAROCCO
190
VATICANO BAROCCO
191
144. Stemma di Paolo V Borghese sul timpano della facciata. 145. Loggia delle Benedizioni.
146. Ambrogio Buonvicino, Consegna delle chiavi, Loggia delle Benedizioni.
dar forma alla piazza. Solo dopo l’Anno Santo del 1650 Innocenzo X affrontò di nuovo la questione, incaricando Carlo Rainaldi di elaborare dei progetti. Questi mostrano una grande libertà d’intervento307, prevedendo la demolizione di palazzi e case per conferire un impianto simmetrico alla piazza, che intorno all’obelisco avrebbe assunto tendenzialmente una forma obliqua, sottolineata da due fontane, quella di Maderno e una nuova da realizzare in posizione simmetrica. Tutto rimase allo stadio di progetto perché la morte del papa, nel 1655, interruppe la realizzazione308; nella discussione entrarono comunque elementi che si ritroveranno in seguito. Il giorno dopo l’elezione, avvenuta il 7 aprile 1655, papa Alessandro VII chiamò Bernini per discutere della sistemazione della piazza309. Con questa combinazione ideale, di un grande artista con un committente interessato e attivo nella programmazione, si elaborò un progetto che dopo due anni poté essere realizzato. Il problema si era ormai spostato da una questione urbanistica a una meramente architettonica, perché si lasciava da parte
192
193
149. Giovanni Battista Falda, Veduta della basilica e piazza con il terzo braccio.
147. Carlo Fontana, Alzato del colonnato, da Templum Vaticanum, 1694. 148. Schema costruttivo dell’ovale della Piazza.
147
ogni aspetto riguardante l’accesso e il tessuto urbano circostante310 puntando a una soluzione in chiave estetica nella ridefinizione del rapporto tra lo spazio vuoto e la basilica. Il 31 luglio 1656 cade la prima riunione della Congregazione della Fabbrica che pone all’ordine del giorno la sistemazione della piazza e nell’occasione si incarica Bernini di elaborare un progetto311, che l’artista presenta e illustra nella successiva riunione del 19 agosto. Non sono noti i termini della discussione, e dal verbale della seduta si apprende solo che vi erano correzioni che l’artista avrebbe dovuto introdurre. Ad esempio la piazza avrebbe dovuto essere semmai prolungata, ma non accorciata. Soprattutto doveva essere rettangolare, e sul lato della basilica non più larga di quanto lo fosse all’ingresso («non sit latior a parte ecclesiae quam in eius principio sed recto tramite seu filo ducat a principio usque in eius finem»)312. La forma trapezoidale sarebbe stata determinata dall’accesso obliquo dal Borgo Nuovo, accentuata dalla simmetria, e non un gioco di effetti prospettici come invece accade nella Scala Regia del Palazzo Vaticano. Il comportamento di Bernini dimostra anche che l’artista intendeva incidere il meno possibile nel tessuto urbano, perché le demolizioni sarebbero stati inevitabili per attribuire alla piazza lo spazio necessario. Bernini si impegnò in una soluzione a pianta rettangolare, e per individuare le giuste dimensioni disegnò due arcate a grandezza naturale sulla facciata della casa più alta affacciata sulla piazza; per tutta la lunghezza del lato settentrionale il papa fece invece costruire con semplici travi un porticato per giudicarne l’aspetto. Visto il modello, il pontefice preferì per la piazza la soluzione ellittica perché garantiva una migliore visione dalla finestra del Palazzo Apostolico e dalla Loggia delle Benedizioni. Anche riconoscendo il merito della scelta al papa, si intuisce come fosse Bernini stesso a sottolineare i vantaggi di questa opzione. I lavori per il modello richiesero molto tempo e solo il 17 marzo 1657 la Congregazione della Fabbrica poté riunirsi per discutere dei problemi architettonici e del
194
Alle pagine seguenti: 150. La piazza di S. Pietro dall’alto. 151. Veduta di S. Pietro, del Palazzo Apostolico e di parte del colonnato.
148
compenso di Bernini. Con vari compromessi si giunse alla soluzione quasi definitiva: il risultato è una piazza di grandi dimensioni di forma ellittica cui se ne aggiunge un’altra trapezoidale, e un porticato ad arcate limitato a un solo piano, con la rinuncia a piani superiori destinati a uffici o abitazioni, e l’aggiunta di un coronamento di statue313. Il 28 agosto 1657 poteva così essere posta la prima pietra e la costruzione ebbe inizio314. Dal sistema ad arcate si passò infine ad uno a doppie colonne, con l’inserimento di un alto cornicione in rapporto formale con la facciata della basilica.
La piazza obliqua non definisce geometricamente un’ellisse; più semplicemente la pianta del colonnato è formata dai segmenti di due cerchi di raggio uguale alla distanza dai loro centri. In un determinato punto, segnato con un disco nel pavimento della piazza, coincidono visivamente tutte le colonne, di cui si vede solo la prima fila. L’estensione massima della piazza sull’asse orizzontale è così la somma di tre raggi. Al centro dell’asse sta l’obelisco. L’asse minore verso la basilica segue l’intersezione dei due cerchi. Dalla “piazza Obliqua” si apre verso la chiesa la “piazza Retta” che prosegue lungo i lati con lesene, anziché con colonne, nello stesso ritmo. L’interno del colonnato è a tre corsie, di cui la centrale, voltata a botte, più ampia per permettere il passaggio delle carrozze. Le corsie laterali sono architravate e con volta a schifo315. La necessità del porticato è descritta da Bernini stesso in un appunto: «… essendo la chiesa di S. Pietro quasi matrice di tutte le altre doveva haver’ un portico che per l’appunto dimostrasse di ricevere à braccia aperte maternamente i Cattolici per confermarli nella credenza, gl’Heretici per riunirli alla Chiesa, e gl’Infedeli per illu-minarli alla vera fede»316. È dunque concepito come un organismo vitale che presenta nella cupola della basilica la tiara del papato, nella loggia delle Benedizioni la bocca e nel colonnato un riferimento preciso al corpo, come le braccia che accolgono l’umanità317, tutto l’Orbis terrarum che ha al centro la Crux invicta.
Il progetto prevedeva di chiudere la piazza ovale con un terzo braccio che non venne mai realizzato. In tal modo la piazza sarebbe risultata meno aperta e avrebbe sorpreso maggiormente il visitatore, attribuendole quel carattere di grande teatro di cui parlava anche Alessandro VII. Il portico e la Cattedra, le due maggiori opere di Bernini, sono in relazione tra loro: «le due opere e del portico e della cathedra furono per così il principio e la fine della magnificenza della grande chiesa e l’occhio è tanto affascinato all’inizio entrando nella piazza quanto alla fine vedendo la Cattedra»318. Il figlio Domenico nella biografia del padre si riferisce al succedersi delle due opere, reciprocamente connesse con un riferimento anche a livello iconologico. Dal punto di vista pratico va rilevato che il colonnato è un percorso protetto dal sole e dalla pioggia per i pellegrini in attesa del Santo Padre. Sulla balaustra vennero collocate statue di santi. Scopo di qualsiasi impresa di completamento della prima chiesa della Cristianità non poteva che essere la rappresentazione della Chiesa romana attraverso la glorificazione della continuità storica della successione di Pietro. Ciò è evidente anche nel contrasto che si accese tra Alessandro VII e la Fabbrica di S. Pietro, che, al contrario delle intenzioni del papa, desiderava un edificio funzionale e non una costruzione concepita come simbolo del suo primato.
195
149
VATICANO BAROCCO
VATICANO BAROCCO
PRENDERE DA ROMA DALL’ALTO
196
197
VATICANO BAROCCO
198
VATICANO BAROCCO
199
152. Statua del colonnato, Lazzaro Morelli, San Giacinto.
Le statue del colonnato Braccio curvo nord (colonnato di destra) 1. S. Gallicano 2. S. Leonardo confessore 3. S. Petronilla vergine 4. S. Vitale martire 5. S. Tecla vergine e martire 6. S. Alberto carmelitano 7. S. Elisabetta del Portogallo 8. S. Agata vergine e martire 9. S. Orsola 10. S. Chiara vergine 11. S. Olimpia 12. S. Lucia vergine e martire 13. S. Balbina vergine e martire 14. S. Apollonia 15. S. Remigio vescovo 16. S. Ignazio di Loyola 17. S. Benedetto 18. S. Bernardo 19. S. Francescso d’Assisi 20. S. Domenico 21. S. Macrina 22, S. Teodosia 23. S. Efrem 24. S. Maria Egiziaca (S. Maria Maddalena) 25. S. Marco evangelista 26. S. Febronia vergine e martire 27. S. Fabiola vedova 28. S. Nilamone 29. S. Marciano 30. S. Eusigno martire 31. S. Marino 32. S. Didimo 33. S. Apollonio 34. S. Candida 35. S. Fausta 36. S. Barbara 37. S. Benigno 38. S. Malco martire 39. S. Malmante 40. S. Colomba 41. S. Ponziano 42. S. Genesio 43. S. Agnese 44. S. Caterina vergine e martire 45. S. Giusto
Lazzaro Morelli ? ? Lazzaro Morelli (attr.) ? Lazzaro Morelli (attr.) Lazzaro Morelli (attr.) Giovanni Maria de’ Rossi (?) Agostino Cornacchini Lazzaro Morelli (attr.) Giovanni Maria de’ Rossi (?) Giovanni Maria de’ Rossi (?) Giovanni Maria de’ Rossi (?) Filippo Carcani (?) Giovanni Maria de’ Rossi (?) Giovanni Maria de’ Rossi (?) ? Lazzaro Morelli (?) Lazzaro Morelli (attr.) Lazzaro Morelli (attr.) ? Andrea Baratta (?) ? Lazzaro Morelli (attr.) Lazzaro Morelli (attr.) Lazzaro Morelli (?) Lazzaro Morelli (?) Lazzaro Morelli (attr.) Lazzaro Morelli (attr.) Giovanni Maria de’ Rossi (?) ? Lazzaro Morelli (attr.) Francessco Mari (?) ? ? ? Francesco Mari (?) Giovanni Maria de’ Rossi (?) Lazzaro Morelli (?) Andrea Baratta (?) Andrea Baratta (?) Bartolomeo Cennini (attr.) Lazzaro Morelli (attr.) Lazzaro Morelli (attr.) Lazzaro Morelli (attr.)
1670-1673 1666 1666 1665-1667 1666 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1754 1667-1661 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1668 1666 1662-1667 1665-1667 1661-1662 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1667-1668 1662-1666 1661-1662 1662-1665 1665-1667
Braccio dritto nord 46. S. Cecilia 47. S. Francesca Romana 48. S. Giorgio 49. S. Maddalena de’ Pazzi 50. S. Susanna 51. S. Martina 52. S. Nicola di Bari 53. S. Nicola da Tolentino 54. S. Francesco Borgia 55. S. Francesco di Sales 56. S. Teresa 57. S. Giuliana 58. S. Giuliano 59. S. Celso 60. S. Anastasio 61. S. Vincenzo martire 62. S. Paolo martire 63. S. Giovanni 64. S. Damiano 65. S. Cosma 66. S. Zosimo 67. S. Ruffo martire 68. S. Protasio 69. S. Gervasio martire 70. S. Tommaso d’Aquino
Jean-Baptiste Théodon Jean-Baptiste Théodon Lorenzo Ottoni Giulio Coscia Alessandro Rondoni Alessandro Palma Fabio Canusi Nicola Artusi Vincenzo Mariotti Paolo Reggiani Valerio Frugoni Antonio Alignini Antonio Gabbani Piero Cristelli Giuseppe Riccardi Francesco Pincellotti Andrea Fucigna Vincenzo Felice Giuseppe Napolini Antonio Fantasia Annibale Casella Matteo Tomassini Simone Giorgini Giuseppe Raffaelli Girolamo Protopapa
1703 1703 1703 1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703
Braccio dritto sud 71. S. Bonaventura vescovo 72. S. Marco 73. S. Marcellino martire 74. S. Vito 75. S. Modesto 76. S. Prassede 77. S. Pudenziana 78. S. Fabiano 79. S. Sebastiano 80. S. Timoteo 81. S. Fausto martire
Pietro Paolo Campi Francesco Gallesini Agostino Zena Girolamo Gramignoli Giuseppe Ferretti Francesco Maria Brunetti Paolo Morelli Pietro Mentinovese Michele Maglia Giovanni Maria Baratta Giovanbattista Cioli
1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703
200
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
Alle pagine seguenti: 153-155. Dettagli del colonnato.
152-170
82. S. Primo 83. S. Feliciano 84. S. Ippolito 85. S. Basilissa 86. S. Paolo 87. S. Giuliana 88. S. Nereo 89. S. Achilleo 90. S. Felice 91. S. Costanza 92. S. Andrea Corsini 93. S. Crescentino 94. S. Pelagia martire 95. S. Pancrazio martire
Domenico Amici Bernardino Cametti Antonio Frediani Giovanni Battista Antonini Michele Mauri Giovanni Pietro Mauri Lorenzo Ottoni Lorenzo Ottoni Lorenzo Lironi Sillano Sillani Francesco Marchionni Jean-Baptiste Théodon Pierre-Étienne Monnot Francesco Moderati
Braccio curvo sud (colonnato di sinistra) 96. S. Dionisio Lazzaro Morelli (attr.) 97. S. Lorenzo Lazzaro Morelli (attr.) 98. S. Stefano Lazzaro Morelli (attr.) 99. S. Romano Lazzaro Morelli (attr.) 100. S. Eusebio Lazzaro Morelli (attr.) 101. S. Spiridione vescovo Lazzaro Morelli (attr.) 102. S. Ignazio vescovo e martire bottega di Ferrata 103. S. Alessandro vescovo bottega di Ferrata 104. S. Leone Magno Giovanni Maria de’ Rossi (attr.) 105. S. Atanasio vescovo Giovanni Maria de’ Rossi (attr.) 106. S. Giovanni Crisostomo Giovanni Maria de’ Rossi (attr.) 107. S. Ubaldo vescovo Giovanni Maria de’ Rossi (attr.) 108. S. Gregorio Nazianzeno Giovanni Maria de’ Rossi (attr.) 109. S. Leone IV papa ? 110. S. Clemente Filippo Carcani (attr.) 111. S. Celestino V papa Lazzaro Morelli (attr.) 112. S. Marcello papa e martire Lazzaro Morelli (attr.) 113. S. Martino papa e martire Lazzaro Morelli (attr.) 114. S. Silvestro papa Lazzaro Morelli (attr.) 115. S. Marcellino papa e martire Lazzaro Morelli (attr.) 116. S. Galla matrona romana ? 117. S. Caterina da Siena (o S. Rosa da Lima?) Lazzaro Morelli (attr.) 118. S. Beatrice ? 119. S. Teodora Giacomo Antonio Fancelli (attr.) 120. S. Giacinto Lazzaro Morelli (attr.) 121. S. Francesco Saverio Lazzaro Morelli (attr.) 122. S. Gaetano da Thiene Lazzaro Morelli 123. S. Filippo Benizi Lazzaro Morelli 124. S. Filippo Neri Lazzaro Morelli 125. S. Carlo Borromeo Lazzaro Morelli 126. S. Antonio da Padova Lazzaro Morelli 127. S. Francesco di Paola Francesco Antonio Fontana (?) 128. S. Antonio abate Giuseppe Angelini 129. S. Paolo primo eremita Lazzaro Morelli 130. S. Pietro Nolasco Lazzaro Morelli (attr.) 131. S. Giuseppe Lazzaro Morelli 132. S. Romualdo Lazzaro Morelli 133. S. Giovanni de Matha Lazzaro Morelli (attr.) 134. S. Ludovico Beltrando Lazzaro Morelli (attr.) 135. S. Brunone Francesco Antonio Fontana (attr.) 136. S. Ilarione ? 137. S. Girolamo ? 138. S. Teodoro Lazzaro Morelli (attr.) 139. S. Tibaldo s? 140. S. Norberto Lazzaro Morelli (?)
1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1702-1703 1703 1703 1702-1703 1665-1667 1665-1667 1662-1665 1665-1667 1668-1670 1668-1670 1669-1670 1669-1670 1669-1670 1669-1670 1668-1669 1669-1670 1669-1670 1669-1670 1669 1668-1670 1668-1670 1668-1670 1668-1670 1668-1670 1666 1665-1667 1666 1662-1667 1667-1668 1669-1670 1671 1671 1671 1671 1671 1670-1673 1792-1793 1672 1672-1673 1671-1672 1672 1672-1673 1672-1673 1670-1673 1662-1667 1662-1667 1665-1667 1662-1667 1670-1673
Statue del colonnato Fin dal 1655 Alessandro VII aveva desiderato che il portico della piazza fosse coronato con statue di santi, martiri, papi, vescovi, fondatori di ordini religiosi ed eremiti, molti dei quali canonizzati in quegli anni. In questo «teatro» l’abbraccio della Chiesa e dei suoi santi assume forma simbolica, e ogni statua corrisponde alla sottostante colonna. D’altra parte già la facciata della basilica presenta una serie di santi che attorniano Cristo al centro sul timpano. A questi si doveva dunque ricollegare il colonnato, costituendone la naturale prosecuzione. L’idea di un coronamento di statue era prevista anche per il tamburo della cupola progettato da Giacomo della Porta 319. In un primo momento Bernini progettò novantasei statue. In seguito, durante il pontificato di Clemente XI, si completò il giro delle statue verso piazza Retta al disopra dei bracci diritti, aggiungendone altre cinquanta alle centoquaranta 320 poste in corrispondenza delle colonne e dei pilastri, e ricollegandosi così al Cristo con gli apostoli della facciata. Nello stesso momento si considerò anche d’inserire statue di santi nelle nicchie dei piloni della navata. Già nel 1657, com’era di norma per i lavori nella basilica, si erano collocate sopra il colonnato figure a grandezza naturale per valutarne l’impatto visivo finale. Si realizzò anche un modello ligneo di tre arcate, per il quale Giovanni Paolo Schor dipinse «quattro figure di chiaro scuro di altezza di 12 palmi»321. Solo nel 1661, sotto la guida di Lazzaro Morelli, con modelli in pozzolana e gesso, si prese la decisione definitiva circa l’altezza delle statue, che fu nuovamente aumentata (14 palmi = 3,2 m). Da quel momento si dette inizio effettivo ai lavori e si sbozzarono le prime nove statue. I santi della prima serie vennero eseguiti nel 1673. Tutte le statue del colonnato furono concepite e studiate nella loro posizione da Bernini, che sovraintendeva alla bottega che eseguì perfettamente i suoi progetti. Tra i collaboratori, alcuni dei quali saranno impegnati anche nei monumenti funebri del maestro, vanno menzionati Giacomo Antonio Fancelli, Paolo Naldini, Bartolomeo Cennini, Filippo Carcani, Giuseppe Mazzuoli, Michele Maglia, Lorenzo Ottoni, i fratelli Francesco e Domenico Mari, Nicola Artusi, Andrea Baratta, Giovanni Cesare Dona, Francesco Antonio Fontana e Giovanni Maria de’ Rossi. Quarantasei statue si devono a Lazzaro Morelli. Nove recano il nome del santo: san Gallicanus, san Gaetano, san Filippo Neri, sant’Antonio da Padova, san Carlo Borromeo, san Filippo Benizi, san Giuseppe, san
Paolo eremita e san Romualdo. Nonostante Bernini ne abbia stabilito le forme con i disegni e i modellini in cera, ciascuno scultore è riuscito a esprimere il proprio stile, che ne consente, salvo poche eccezioni, l’individuazione322. È aperta la questione di chi sia l’ideatore del programma delle statue e della loro disposizione, che segue una sequenza logica. Certamente è da attribuire ad Alessandro VII la scelta dei santi, poiché a lui si deve la decisione di collocare delle statue sopra la balaustra. Un primo elenco, conservato in un codice Chigiano323, registra una serie di centonove santi che non corrisponde però alla sequenza realizzata. Il documento menziona soprattutto figure del Vecchio Testamento e gli apostoli.
201
VATICANO BAROCCO
202
VATICANO BAROCCO
203
VATICANO BAROCCO
204
VATICANO BAROCCO
205
VATICANO BAROCCO
156. A fronte: Parte della facciata di Carlo Maderno e cupola della basilica.
157. Siméon Drouin, San Giovanni Battista, balaustra della facciata.
Nel 1667, alla morte del papa, erano già state collocate ventiquattro statue. Nel 1673 era concluso il primo gruppo sul colonnato, mentre dal 1702 al 1703 si completò la serie dei bracci diritti. Si possono individuare quattro tipi principali di santi. Sul braccio curvo nord, verso il palazzo vaticano, sono i difensori della fede e i fondatori degli ordini religiosi che hanno contribuito alla diffusione della vita monastica. Sul braccio curvo sud sono i difensori del primato di Roma, dei papi, i vescovi e i dottori della Chiesa, i riformatori e i fondatori di ordini religiosi324. Sui bracci diritti sono i martiri e i dottori della Chiesa. Alessandro VII rivolse la sua attenzione anche agli ingressi del colonnato, dove sopra la balaustra vennero poste le armi di papa Chigi con tiara e chiavi. Per i fedeli che non erano in grado di individuare i singoli santi – ma anche gli studiosi sino a pochi anni fa non erano in grado di attribuire loro un nome – la schiera delle figure rappresentava in primo luogo un esercito di santi che configurava la Chiesa militante. Notevole è la differenza delle nazioni alle quali appartengono i santi, a sottolineare l’universalità della Chiesa e la diffusione della fede, simbolicamente resa dall’abbraccio espresso dalla forma ovale del portico. La pavimentazione della piazza venne realizzata solo sotto Benedetto XIII, tra il 1724 e 1730325. La «meridiana» è un’aggiunta dell’astronomo Gilli nel 1817326. Verso la fine del XVII secolo l’ingegnere olandese Cornelius Meyer propose di inserire i simboli dei quattro venti, intendendo utilizzare l’intera piazza per disegnarvi le piante delle sfere celesti e terrestri che potevano illustrare le apparizioni di comete in passato e prevederne di future327.
206
207
VATICANO BAROCCO
158. Statua del colonnato, Lazzaro Morelli (attr.), Elisabetta Regina di Portogallo. 159. Statua del colonnato, Giovanni Maria de’ Rossi, Santa Lucia Vergine.
208
160. Statua del colonnato, Giovanni Maria de’ Rossi, San Remigio.
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
161. Statua sul braccio dritto nord, Giulio Coscia, Santa Maria Maddalena de’ Pazzi.
209
VATICANO BAROCCO
162. Statua del colonnato, Lazzaro Morelli, San Filippo Neri. 163. Statua del colonnato, Lazzaro Morelli, San Carlo Borromeo.
164. Statua del colonnato, Lazzaro Morelli (attr.), San Pietro Nolasco. 165. Statua del colonnato, Giovanni Maria de’ Rossi, Sant’Ubaldo.
LA BASILICA DI S. PIETRO, LA PIAZZA E IL COLONNATO
166. Statua del colonnato, Lazzaro Morelli (attr.), San Vitale. 167. Statua sul braccio dritto sud, Pierre-Étienne Monnot, Santa Pelagia Martire. 168. Statua sul braccio dritto sud, Jean-Baptiste Théodon, San Crescentino.
212
A fronte: 169. Statua sul braccio dritto sud, Francesco Marchionni, Sant’Andrea Corsini.
VATICANO BAROCCO
Alle pagine seguenti: 170. Ingresso braccio dritto sud, stemma papale e i santi Romano, Stefano, Lorenzo e Dionisio.
213
VATICANO BAROCCO
214
VATICANO BAROCCO
215
CAPITOLO TERZO
TECNICHE E PRATICHE DEL COSTRUIRE NEL CANTIERE DI S. PIETRO TRA XVII E XVIII SECOLO Nicoletta Marconi
La mole maestosa del Tempio Augusto che nel luogo Vaticano vagamente s’innalza e grandeggia a stupore e meraviglia dell’universo è e sarà sempre un autentico monumento della eccellenza e maestria di chi vi travagliò1.
Dalla posa della prima pietra della nuova basilica vaticana (18 aprile 1506) fino alle soglie del Novecento, la Fabbrica di S. Pietro ha rappresentato uno dei più autorevoli modelli di pratica edilizia dell’età moderna. Il suo primato è sancito dalle straordinarie imprese compiute nella plurisecolare edificazione della basilica papale, quali l’epica traslazione dell’obelisco Vaticano e la fulminea costruzione della cupola, condotte alla fine del XVI secolo e assurte a mitiche manifestazioni della muscolosa tradizione edilizia vaticana. Il perfezionamento della pratica operativa e dell’organizzazione del lavoro, messi a punto in una lunga sequenza di opere fuori dall’ordinario per dimensione e complessità esecutiva, hanno guadagnato alla Fabbrica di S. Pietro il decisivo controllo su tutti i maggiori interventi edilizi condotti fino all’Unità d’Italia a Roma e in altre città dello Stato Pontificio. Tale primato ha tradotto la Fabbrica in privilegiata officina dell’arte del costruire e insuperato centro di formazione per maestranze specializzate, la cui opera è attestata in molti cantieri romani, anche a gestione privata. L’autorità della Fabbrica, ente preposto alla gestione del poderoso cantiere basilicale, si esplicita anche attraverso la costante e capillare assistenza ai cantieri interni ed esterni al limen Vaticanum, declinata tanto nella fornitura di materiali, attrezzature da lavoro e macchine, quanto nel decisivo contributo delle sue qualificatissime maestranze. Per circa tre secoli i valenti tecnici sanpietrini2, selezionati
in base a una comprovata competenza, saranno i protagonisti indiscussi dei più acrobatici interventi di costruzione, consolidamento e restauro condotti in area romana, maestri di un saper fare che vanta origini nell’antica pratica del costruire, vivificata da secoli di costante perfezionamento e dalla trasmissione diretta del sapere operativo. Agli architetti, soprastanti e capomastri sanpietrini, forgiati da un lungo e difficile apprendistato nel cantiere vaticano, sono affidate non solo la costruzione della più importante basilica della cristianità, ma anche diverse altri eclatanti opere di costruzione e manutenzione a Roma e dintorni. Tale decisiva responsabilità è favorita dalla posizione di prestigio assolta dai tecnici della Fabbrica di S. Pietro nell’ambito dell’edilizia romana. Di frequente, in virtù della loro riconosciuta esperienza consacrata dall’inquadramento tra i ranghi dei sanpietrini, essi sono chiamati a coordinare delicate imprese di costruzione e recupero, sia pubbliche sia private.
217
Alle pagine precedenti: 1. Giorgio Vasari, Costruzione della basilica di S. Pietro, affresco, 1546, Roma, Palazzo della Cancelleria, Sala dei Cento Giorni.
2
L’autorevole ruolo della Fabbrica di S. Pietro nell’industria edilizia romana, di cui sarà a lungo il principale motore, si deve alla rigorosa organizzazione gerarchica dei funzionari e dei diversi ruoli delle maestranze, nonché all’incessante processo di perfezionamento dell’arte edificatoria e delle tecnologie a questa necessarie. Tale processo raggiunge l’apice dell’efficienza proprio in età barocca, quando l’empirismo sperimentale cinquecentesco si coniuga con le prime applicazioni della ricerca teorica, con positive ricadute sull’ottimizzazione dei tempi e dei costi di esecuzione3. Le origini dell’istituzione oggi denominata Fabbrica di S. Pietro in Vaticano risalgono all’atto di fondazione della nuova basilica papale, voluta da Giulio II della Rovere (1503-1513) nel 15064. Da allora l’organigramma gestionale dell’istituto preposto all’amministrazione finanziaria e tecnica dell’inusitato cantiere, svincolato per esplicita volontà papale dalle intricate maglie burocratiche della Camera Apostolica, ha subìto diverse modificazioni e graduali perfezionamenti. Il suo definitivo assetto giuridico
218
2. Giovanni Battista Piranesi, Veduta esterna del transetto sud della Basilica di S. Pietro con gli edifici dello Studio del Mosaico, della Sacrestia e i laboratori di scultori e scalpellini presso Santa Marta, da G.B. Piranesi, Vedute di Roma, Roma 1750 ca., tav. 20.
si deve a Paolo V Borghese (1605-1621), che all’inizio del XVII secolo, per favorire il cantiere di completamento della basilica, concede alla Fabbrica strategiche prerogative di autonomia gestionale e fondamentali garanzie di copertura finanziaria. In contemporanea, per volontà dello stesso Paolo V viene istituita la Sacra Congregazione della Fabbrica di S. Pietro, costituita da dieci cardinali e diversi prelati, quali l’arciprete di S. Pietro, con carica di prefetto, l’uditore generale delle Cause, il tesoriere della Camera Apostolica, il prefetto e l’uditore decano delle cause del Palazzo Apostolico, un chierico di Camera, il giudice ordinario, l’economo generale e l’avvocato della Fabbrica. È dunque evidente che pur traendo origine dalle Opere medievali5 l’istituzione petriana se ne differenzia per l’impianto amministrativo, costituito esclusivamente da membri della curia alle dirette dipendenze del pontefice, riuniti nella Congregazione Generale della Fabbrica che rimarrà in carica fino al 19686. La struttura gestionale della Fabbrica è dunque assimilabile a quella di una moderna azienda; in essa ruoli e competenze tecniche sono assegnati a funzionari esperti e a maestranze qualificate, efficacemente strutturate7. Alla direzione tecnica del cantiere, affidata all’architetto capo, collaborano l’architetto misuratore, il revisore, il soprastante, il computista e il fattore generale. Quest’ultimo sovrintende al lavoro delle maestranze ed è responsabile dei depositi dei materiali, le cosiddette munizioni, allogate in numerosi magazzini approntati negli impenetrabili recessi della basilica, oltre che in prossimità della chiesa di S. Marta e nelle adiacenze dell’abside meridionale8. Dalle «stanze dell’azienda», situate «sotto il Portico, verso la statua di Costantino»9, il fattore effettua controlli incrociati su Registri dei manovali, sui libri delle Giornate di lavoro e delle Spese diverse. A lui compete anche la redazione della Rassegna dei manovali, funzionale alla redazione settimanale delle cosiddette Liste, necessarie all’equa distribuzione di paghe e mance, elargite con cadenza semestrale, il 29 giugno e in prossimità del Natale10. Al fattore generale o monizioniere, che lavora a stretto contatto con l’architetto e il soprastante11, compete anche la redazione del Ruolo dei manuali, prezioso registro delle presenze in cantiere degli operai e delle ore di lavoro sul quale vengono calcolate le retribuzioni. A un manovale di sua fiducia è affidata «la cura di apprire, e serrare l’azzienda, scopare e spolverare, prender acqua, accender fuoco, chiamare Artisti, andare per ordinazioni, somministrare con ordine del fattore ai manuali que’ generi occorrenti ala giornata, come sarebbero chiodi,
A fronte: 3. Archivio Storico Generale della Fabbrica di S. Pietro in Vaticano, Arm. 12, B, 66, c. 461, Pianta della Munizione di Santa Marta, matita e inchiostro bruno su carta, 22x27,5 cm, Fabbrica di S. Pietro.
4. Archivio Storico Generale della Fabbrica di S. Pietro in Vaticano, Arm. 12, F, 10, c. 667, Nota degl’obblighi del Fattore Generale della Fabbrica, s.d., Fabbrica di S. Pietro.
3
4
219
5. Castello per la rimozione dell’obelisco vaticano, da D. Fontana, Della Trasportatione dell’Obelisco Vaticano, Roma 1590, p. 12.
7. Anonimo, Veduta della Basilica di S. Pietro in costruzione, 1580-81, Städelsches Kunstinstitut 814, cat. n. 377, Francoforte.
6. Palazzo Apostolico Vaticano, Salone Sistino, Cerimonia di incoronazione di papa Sisto V Peretti, 1585.
5-8
220
Alle pagine seguenti: 8. Palazzo Apostolico Vaticano, Salone Sistino, Giovanni Guerra, La trasportazione dell’Obelisco Vaticano, 1586.
sponghe, pennelli, candele, spago, colla, carta, e altro, che si ritiene alla mano dal fattore generale, come altresì prestar l’opera nelle monizioni per la consegna ad artisti di legname, ferro, piombo, metallo, ed altro, secondo le occorrenze»12. I compiti affidati al fattore spaziano dunque dalla compilazione degli inventari dello Studio del Mosaico e delle «stanze di tutta la Fabbrica»13, dove sono custodite le attrezzature da lavoro, alla custodia delle chiavi dell’archivio del notaio della Fabbrica e dei cinque depositi dei materiali presso l’abside sud della basilica14. Con il procedere dei lavori di costruzione del nuovo S. Pietro le sbalorditive dimensioni dell’erigenda struttura, le inusuali esigenze organizzative e funzionali, la complicata gestione degli approvvigionamenti, nonché le atipiche necessità tecnico-costruttive del cantiere, traducono la Fabbrica in efficientissimo laboratorio sperimentale di pratica edilizia e in prestigiosa palestra formativa per gli artigiani della costruzione. Grazie a queste rare prerogative, l’istituzione petriana si impone già agli inizi del XVII secolo come il principale volano dell’edilizia romana, tanto che quest’ultima, grazie anche a un fiorentissimo indotto, diviene la principale risorsa economica della città. Tale primato è acquisito contestualmente al procedere del cantiere basilicale e al riconosciuto successo delle sue più eclatanti tappe esecutive: oltre alla già menzionata
221
VATICANO BAROCCO
222
VATICANO BAROCCO
223
9. Anonimo, Veduta della facciata di S. Pietro in costruzione, 1610 ca., Herzog August Bibliothek, cod. Guelf 136, fol. 29, Wolfenbüttel. A fronte: 10. Basilica di S. Pietro, facciata, particolare con la Loggia delle Benedizioni.
9-13
epica traslazione dell’obelisco e alla costruzione della cupola grande, nel corso del XVII secolo l’addizione della nave grande, l’edificazione della facciata e la realizzazione della strepitosa scenografia del colonnato berniniano costituiranno tappe altrettanto determinanti per il progresso della pratica costruttiva tradizionale, dell’organizzazione del lavoro e della sperimentazione di nuovi e più efficaci dispositivi provvisionali. Le opere di costruzione e completamento della basilica consentono alla Fabbrica di accumulare rilevanti quantità di materiale di consumo e di dotarsi di un prezioso corredo di attrezzi da lavoro, macchine e ponteggi. La disponibilità di risorse materiali e professionali è tale che già nel 1529 si rende necessaria la compilazione del primo inventario di Entrate e uscite dei materiali, un accurato regesto delle forniture di mattoni, pozzo-
224
VATICANO BAROCCO
Alle pagine seguenti: 11. Basilica di S. Pietro in Vaticano, facciata, particolare. 12. Piazza S. Pietro, particolare del colonnato berniniano con statue.
lana, ferro, travertino, legname da lavoro, attrezzerie metalliche e canapi e delle relative quantità disponibili nei depositi15. Consistenza e valore commerciale delle munizioni della Fabbrica di S. Pietro crescono esponenzialmente con il procedere del cantiere; data infatti al 1580 il primo Inventario delle Munizioni16, al quale nel 1587 segue il Registro delle Munizioni in uscita, redatto a conclusione della traslazione dell’obelisco vaticano e obbligato dal poderoso dispendio di risorse impegnato nella fabbricazione di strumenti, macchine e incastellature lignee necessarie alla movimentazione del colossale carico granitico della guglia. L’impresa, alla quale segue la fulminea costruzione della cupola ad opera di Giacomo Della Porta (15321602), obbliga nel 1590 i funzionari della Fabbrica alla
14, 15
225
VATICANO BAROCCO
226
VATICANO BAROCCO
227
VATICANO BAROCCO
A fronte: 13. Piazza S. Pietro, particolare del colonnato berniniano con dettaglio del capitello e della trabeazione. 14. Alessandro Specchi, Istromenti serviti per il trasporto dell’Obelisco Vaticano in C. Fontana, Templum Vaticanum et ipsius origo, Roma 1694, libro III, cap. V, p.127.
16
228
redazione di un nuovo e più articolato Inventario delle Munizioni, strutturato in ben due volumi17. Si tratta di due momenti topici per il progresso della tecnologia e della pratica edilizia, il cui roboante successo guadagna alla Fabbrica un indiscusso primato che, amplificato da sapienti campagne di divulgazione a mezzo stampa, travalica gli stessi confini italiani diffondendosi in tutta Europa18. Il primo completo Inventario della Fabbrica è compilato nel 1608, in concomitanza con l’entrata a regime del cantiere della facciata maderniana, seguito a breve dal primo Giornale della Munizione e da due Liste delle Munizioni, rispettivamente datate al 1610-12 e al 16121419. A ridosso della consacrazione della nuova basilica (1626) sono invece redatti il Libro delle taglie e dei metalli (1616-1622) e l’Inventario di ferri diversi (16241629)20, stimati per numero, peso e valore economico.
15. Dispositivi da sollevamento e rassegna dei canapi in uso nel cantiere da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1743, tav. II.
Il poderoso patrimonio di attrezzature e macchine da lavoro in dotazione alla Fabbrica è tutelato da specifiche prescrizioni, che ne regolano rigidamente l’uso, arrivando perfino a vietarne prestito e alienazione21 . I dispositivi normativi di tutela delle munizioni verranno promulgati senza soluzione di continuità dalla seconda metà del Cinquecento fino ai primi dell’Ottocento. Solo in casi di dichiarata eccezionalità è concessa alla Sacra Congregazione della Fabbrica facoltà di deroga a tali disposizioni. Queste provano il valore economico acquisito nel tempo dalle munizioni petriane, il cui noleggio ai cantieri esterni si traduce ben presto in proficuo provento. Dal secondo decennio del Seicento vendita di materiali di consumo e noleggio di macchine e attrezzature divengono infatti per la Fabbrica una consuetudine. Eppure il negozio di attrezzerie e dispositivi per la costruzione è tutelato da un sofisticato sistema di
229
17, 18
VATICANO BAROCCO
A fronte: 16. Attrezzi da muratore e da carpentiere, da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1743, tav. I. 17. Argano in dotazione alla Fabbrica di S. Pietro, Fabbrica di S. Pietro, Deposito degli Ottagoni.
18. Modello ligneo di castello “alza-colonne”, Fabbrica di S. Pietro, Deposito degli Ottagoni. 19. Traglie, pulegge e girelle per il sollevamento dei materiali da costruzione, da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1743, tav. V.
controlli incrociati, posto sotto la diretta responsabilità dei funzionari della Fabbrica, con sanzioni che prevedono l’interdizione dagli incarichi e perfino la temutissima scomunica22. La buona conservazione e la piena efficienza di macchine, apparati provvisionali e attrezzi metallici ne assicurano il prolungato reimpiego almeno fino a tutto il XVIII secolo, il che favorisce la naturale reiterazione di una consolidata prassi operativa che si tramanda attraverso le generazioni, così come le attrezzature ad essa necessarie23. I Libri delle robe vendute e prestate e le preziosissime Liste mestrue24 consentono dunque di definire consistenza e procedure di uno dei principali veicoli della straordinaria vitalità dell’edilizia barocca, ma anche di valutare l’effettivo contributo della Fabbrica alla realizzazione di opere interne ed esterne al sedime vaticano25. Ad esempio, l’Inventario dei metalli del 1650 riferisce ancora sulla presenza in Fabbrica dei sei poderosi traglioni di ferro con sei girelle di metallo fatti forgiare nelle fonderie vaticane nel 1586 da Domenico Fontana per la movimentazione delle 350 tonnellate di granito rosso della guglia vaticana. Le sei girelle allogate in ogni traglione sono disposte su due file sovrapposte; usate in combinazione con paranchi a diametro differenziato per facilitare l’investitura e la manovra dei canapi, consentono di ridurre lo sforzo a un dodicesimo del carico totale. Fabbricati con un notevole impegno economico, dato
230
231
VATICANO BAROCCO
A fronte: 20. Basilica di S. Pietro, baldacchino e Cattedra di san Pietro.
19
20
232
l’alto costo del ferro, i traglioni vengono accuratamente custoditi nei depositi petriani e reimpiegati per analoghe installazioni di obelischi e colonne dedicatorie nella città di Roma fino alla fine del XVIII secolo26. Con il riproporsi di analoghe necessità esecutive, efficienza e funzionalità di strumenti e macchine da sollevamento vengono ulteriormente incrementate dalla sperimentazione condotta nell’attivissima officina petriana. Qui, alla metà del Seicento, è messa a punto una variante della traglia a sei girelle disposte su due file rispettivamente ortogonali, esplicitata graficamente circa un secolo più tardi nel prestigioso repertorio grafico dedicato alle invenzioni del capomastro sanpietrino Nicola Zabaglia27. L’occasione è fornita dalla realizzazione della Cattedra di san Pietro, il cui superbo apparato statuario, realizzato su disegno di Gian Lorenzo Bernini, è fuso in bronzo tra l’agosto 1663 e il marzo 166828. Allo strabiliante effetto della scenografica composizione, «pittoresca fata morgana da vedersi da lontano
21-22. Archivio Storico Generale della Fabbrica di S. Pietro in Vaticano, Arm. 42, E, 6, cc. 89r-90r, Enrico Tander, Conto di due traglie grandi di palmi otto in circa, con quattro girelle due di sopra, e due di sotto contrarie dell’altre traglie, 6 dicembre 1664.
attraverso il baldacchino», concorrono sia le inusitate dimensioni, sia la roboante commistione di marmi policromi, bronzo dorato e inserti in stucco, vivificati dalla luce dorata che irradia «dal centro della Gloria angelica» ed esaltati dalla «gamma di colore che si alleggerisce progressivamente dai piedistalli di marmo al trono di bronzo con decorazioni dorate e gli angelo d’oro della Gloria» 29. Predominano le figure in bronzo della Gloria e dei quattro Dottori della Legge, ma anche il trono e le quattro arme papali fusi nel bronzo da mastro Giovanni Artusi detto il Piscina30. Figure bronzee ed elementi accessori in ferro sono modellati dal 1660 nella fonderia petriana di S. Marta, situata in prossimità dell’omonimo deposito presso il transetto sud della basilica31. In deroga alle consuetudini della Fabbrica, che abitualmente si rifornisce da accreditati rivenditori veneziani, in questo caso le consistenti forniture di rame, necessario alla lega del bronzo, provengono da un ignoto fornitore che pratica prezzi concorrenziali fino a tutto il 166132. La
233
VATICANO BAROCCO
21, 22
fusione e l’installazione delle pesanti statue della Cattedra richiedono lunghi tempi di lavorazione, che i registri di spesa collocano tra il 21 agosto 1663 e il 28 marzo 1668. Tecnicamente l’opera è eseguita per fasi successive, con la collaborazione di squadre di muratori guidate dai capomastri Simone Brogi, Giovanni Albino Agostoni e Pietro Partini, diretti da Gian Lorenzo e Luigi Bernini (1612-1681)33. Il peso considerevole dei gruppi scultorei obbliga alla costruzione di un’imponente impalcatura lignea collegata ad alcuni argani armati direttamente in basilica; questi consentono di sollevare, abbassare e ruotare le statue, ma anche di posizionare i pesanti blocchi di travertino, marmo e diaspro che sostengono la seduta in bronzo contrastandone le poderose sollecitazioni34. Tra gli strumenti progettati e forgiati per l’occasione si distinguono due traglie speciali di circa 280 kg di peso, modellate dal fabbro tedesco Enrico Tander, ingaggiato proprio da Luigi Bernini, allora deputato della Fabbrica di S. Pietro35. Le note di pagamento compilate da Tander, quali il Conto di due traglie grandi di palmi otto in circa, con quattro girelle due di sopra, e due di sotto contrarie dell’altre traglie del dicembre 1664, forniscono un’accurata descrizione di tali strumenti36. Munite di quattro girelle orientate in senso reciprocamente ortogonale per impedire l’annodatura dei canapi, le traglie sono fabbricate per parti e assemblate per saldatura, incastro e inchiodatura, così da garantire la perfetta solidarietà di tutti i componenti e scongiurare il rischio di collasso in fase di esercizio. Il peso totale delle due traglie è notevole: circa 850 libbre, pari a circa 288 kg. Il costo dell’intero lavoro, valutato a peso e comprensivo della fornitura del metallo, è di 510 scudi. Nella costante ricerca condotta nel cantiere vaticano per il perfezionamento della tecnologia edilizia, il contributo dei progressi del settore metallurgico è dunque determinante. Attrezzerie metalliche e macchine da sollevamento costituiscono per l’officina edilizia petriana non solo l’oggetto privilegiato di sperimentazione, ma anche il principale veicolo di diffusione di un sapere tecnico di antica tradizione, rinvigorito da secoli di progressivi perfezionamenti, nonché un mezzo per ammortizzare, seppur in minima parte, i capitali investiti nella produzione. Se l’attenta conservazione e la rigorosa vigilanza sul prestito delle munizioni vaticane ne assicurano l’impiego fino a tutto il XVIII secolo, affidabilità e risparmio sono le principali ragioni del prolungato ricorso a macchine, apparati provvisionali e attrezzi metallici di proprietà della Fabbrica anche da parte di fabbriche esterne.
234
23. Funi e paranchi in uso nel cantiere edile, da Giuseppe Valadier, L’architettura pratica, Roma 1832, vol. III, tav. CLXXIII.
Dall’innalzamento della colonna mariana in piazza di S. Maria Maggiore ad opera di Carlo Maderno nell’aprile 1614, all’installazione degli obelischi del Quirinale, Trinità dei Monti e di Montecitorio, diretta per conto di Pio VI Braschi (1775-1799) da Giovanni Antinori, dalle forniture di attrezzi, legname, marmi pregiati e pietra da taglio consegnati nel 1656 al cantiere della facciata di S. Maria della Pace per la magnifica invenzione del portico ellittico ideato da Pietro da Cortona, agli analoghi interventi documentati per tutto il Seicento nei cantieri di S. Silvestro al Quirinale, S. Maria del Popolo (luglio 1652), Sant’Agnese in Agone e S. Nicola da Tolentino il contributo offerto dalla Fabbrica con la fornitura di strumenti e manodopera qualificata è costante e risolutivo37. In casi del tutto eccezionali, ed è elemento di non poco conto, essa accetta addirittura di farsi carico della produzione di strumenti da lavoro di dimensioni e foggia inconsueti, e dai costi inarrivabili per qualsiasi altro cantiere. Potendo disporre di officine, fonderie e
24. Carri per il trasporto dei materiali da costruzione, da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1743, tav. XVI.
25
23
propri arsenali, l’istituzione vaticana può forgiare strumenti metallici, gigantesche stadere, costruire macchine da sollevamento capaci di sopportare sollecitazioni considerevoli, ma anche fabbricare canapi di inusitata lunghezza e sezioni impensabili, “prestati” a cantieri esterni e puntualmente riacquisiti dai suoi depositi; valga per tutti il caso dei lavori al portico del Pantheon, diretti da padre Giuseppe Paglia tra il 1666 e il 1667 e consistenti nel ripristino delle due colonne sottratte in epoca medievale al fianco orientale del pronao38. È altrettanto invalso il ricorso alla Fabbrica per le forniture di materiale di consumo, soprattutto pietra e legname. Se infatti gran parte dei materiali stoccati nei depositi vaticani provengono da esuberi di lavorazione o dalla demolizione di fabbriche dismesse, è altrettanto vero che gli approvvigionamenti di travertino, calce, legname e mattoni destinati al cantiere petriano sono favoriti da un sistema di trasporti via terra e via fiume strutturato per agevolare le consegne delle considerevoli quantità di materiale necessario al cantiere della nuova basilica papale.
25. Disegno del Castello per mutare una colonna del Portico della Rotonda, da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1743, tav. XXXII.
Ne costituiscono un chiaro esempio le modalità e gli itinerari di trasporto del travertino di Tivoli, organizzato, a seconda delle stagioni, per via di terra con carri trainati da bufali, buoi e cavalli, oppure via fiume su imbarcazioni a chiglia piatta che scendono i perigliosi corsi dell’Aniene e del Tevere approdando al porto della Traspontina, sotto i bastioni di Castel Sant’Angelo, riservato all’uso esclusivo della Fabbrica di S. Pietro. Inoltre, il commercio del travertino estratto dalle cave delle Fosse, delle Caprine e del Barco, presso Tivoli, ma anche da Orte, Civita Castellana, Ceprano e Fiano, è favorito di specifiche disposizioni tese a contrarre i tempi di consegna in cantiere, quali la privativa del 1539 che assegna l’uso del fiume Aniene «con suoi arbori, cave di pozzolana, pietra et altro» alla Fabbrica di S. Pietro39. Non sembra invece altrettanto remunerativo per la Fabbrica, mentre si rivela vitale per taluni cantieri esterni, il sub-impiego di manodopera specializzata, essenziale per la trasmissione del sapere tecnico. In virtù della loro comprovata esperienza, i capomastri sanpietrini sono chiamati a guidare maestranze meno esperte, oppure a risolvere delicate questioni tecniche. Sebbene tale ingaggio non sembri coinvolgere economicamente il cantiere richiedente, tanto che non risultano compensi a favore della Fabbrica, il loro contributo alla conduzione dei lavori è decisivo. Non solo. Il ruolo dei capomastri di S. Pietro nell’industria edilizia romana è fondamentale per il progresso della pratica costruttiva, affidata all’immediatezza della trasmissione orale e all’empirismo della sperimentazione sul campo, in una concezione pragmatica della
235
24, 28
VATICANO BAROCCO
26. Basilica di S. Pietro, facciata, particolare.
VATICANO BAROCCO
A fronte: 27. Basilica di S. Pietro, prospetto meridionale, particolare.
236
237
A fronte: 28. Gaspar van Wittel, Veduta del Tevere sotto i bastioni di Castel Sant’Angelo e approdo della Traspontina ad uso della Fabbrica di S. Pietro, sec. XVIII.
26, 27
238
professione che resisterà a lungo all’incalzante autorità del metodo scientifico40. L’articolata organizzazione delle maestranze impiegate stabilmente nel cantiere di S. Pietro è esplicitata dai Ruoli dei sanpietrini, distinti per qualifiche e salari. I manovali, riuniti in corporazione dal 1548 e organizzati in squadre specializzate con mansioni e competenze diverse, costituiscono un corpo di intervento altamente qualificato. Squadre di scalpellini, suddivisi in sbozzatori, squadratori, lustratori e arrotatori, intagliatori e scultori, ma anche muratori, falegnami, fabbri, vetrari, stuccatori, stagnari, differenziati per grado di specializzazione, sono assegnate a vario titolo ai lavori nella fabbrica vaticana. A questi si aggiungono i manovali addetti a «scopar la piazza, colonnato, riveder tetti, levar erba, far ponti alli muratori, muover castelli per la chiesa, tirar su le lastre di piombo e tutt’altro che bisogna»41. Per lo più giovanissimi, questi aspirano all’inserimento nei ruoli ufficiali dei sanpietrini, accettando anche di compiere periodi di apprendistato pressoché gratuiti, ma ricompensati da un addestramento accurato e unico nel suo genere. Le paghe, corrisposte settimanalmente, sono differenziate per qualifica, e talvolta anche per merito, calcolate sulla base di un criterio comparativo con i prezzi in uso in altri cantieri42. Le assunzioni sono condizionate dalle necessità del cantiere, in base alle quali vengono predisposte anche le norme che regolano il lavoro “straordinario” delle maestranze43. Sebbene sia fatto esplicito divieto di lavorare nei giorni festivi, riconosciute eccezioni, funzionali al buon esito dell’opera, autorizzano deroghe a tale disposizione; in tal modo l’attività del cantiere può proseguire anche «in nocturno tempore», come attestano frequenti acquisti di candele e sego per illuminare gli spazi di lavoro44. Tuttavia, gli “straordinari” sono regolamentati da rigide disposizioni del fattore della Fabbrica, tenuto alla compilazione di note di servizio che deve corredare con i dati anagrafici degli operai e le ore di lavoro prestato45. La medesima istituzione controlla l’attività dei propri dipendenti con metodi inusuali, seppur efficaci e lungimiranti. I verbali delle sedute riferiscono infatti di un capillare controllo esercitato finanche sul tempo libero dei sanpietrini, invero piuttosto ridotto dal momento che la giornata del sabato è considerata lavorativa. I rapporti della Fabbrica con artisti, maestranze e fornitori sono esemplificati da talune disposizioni rimaste in uso fino alla seconda metà del XIX secolo. A partire dalla prima metà del XVI secolo, in concomitanza con l’avvio del cantiere della basilica, la Fabbrica stipula contratti diversi
Alle pagine seguenti: 29. Basilica di S. Pietro, facciata, particolare di un capitello.
con artigiani esterni, che ratifica con l’emissione di specifiche Lettere patenti46. Ciò vale anche per artisti e architetti, oltre che per carrettieri, orologiai, cartolai, fabbri, fornitori di legname, tintori, muratori, vetrai, imbiancatori, funari, falegnami, scalpellini, «gessaroli, ottonari, indoratori e candelottari», e perfino per gli stessi estensori delle lettere patenti47. A giudicare dall’alto numero di richieste, la collaborazione con la Fabbrica petriana si conferma tra gli incarichi più ambiti da artisti e artigiani del settore edilizio. Un volume denominato Atti diversi, e relativo agli anni 1610-1656, chiarisce criteri e procedure di selezione e assunzione. Vi è allegata una Lista dell’Homini Scarpellini che lavorano alla Reverenda Fabrica di San Pietro, datata al luglio 1659, recante i nomi di lapicidi altamente qualificati, ingaggiati sia in S. Pietro sia in altri cantieri romani coevi48. La riconoscibilità dei singoli individui è demandata a connotazioni fisiche e dati anagrafici, atti a fissarne provenienza, età, statura e colore di capelli, oltre che la più specifica qualifica professionale49. I mastri più esperti sono coadiuvati da aiuti, apprendisti, garzoni e collaboratori, talvolta anche giovanissimi, per i quali è redatto un registro apposito; la Lista dei gioveni et ragazzi scarpellini che lavorano con li retroscritti homini, svela le condizioni del lavoro giovanile alla metà del XVII secolo50. Ne emerge che gli operai di età compresa tra i 12 e i 19 anni afferiscono per lo più a nuclei familiari che contano già uno o più iscritti nei ruoli dei sanpietrini, requisito in taluni casi determinante per l’assunzione in Fabbrica. Questa può essere decisa anche a parziale risarcimento degli incidenti sul lavoro. Uno specifico fascicolo del repertorio documentale petriano, denominato Assistenza a invalidi e morti sul lavoro della Reverenda Fabbrica, raccoglie circa duecento suppliche di familiari di sanpietrini caduti sul lavoro o rimasti invalidi, inoltrate tra XVI e XVII secolo alla Congregazione della Fabbrica come richieste di sussidio51. Ne emerge un quadro desolante della tutela del lavoro nel cantiere barocco; muratori, falegnami, scalpellini e perfino i “festaioli”, obbligati a funamboliche acrobazie sui ponteggi, sono esposti al rischio di cadute e incidenti di ogni tipo. Tra i tanti, si ricorda l’incidente occorso nel 1703 a Domenico de’ Rossi, allora soprastante della Fabbrica, causato dalla caduta dell’antenna eretta per sollevare le statue del portico di piazza S. Pietro52. A tali incidenti i responsabili del cantiere e il collegio cardinalizio che dirige la Fabbrica tentano di porre rimedio sperimentando episodici dispositivi di protezione sui ponteggi, più efficaci dalla metà del Settecento, ma soprattutto offrendo assistenza
239
VATICANO BAROCCO
240
VATICANO BAROCCO
241
VATICANO BAROCCO
A fronte: 30. Basilica di S. Pietro, facciata, particolare del portico.
agli infortunati e alle famiglie dei caduti. Quella messa a punto della Fabbrica di S. Pietro è senz’altro una delle forme più articolate ed evolute di politica assistenziale del cantiere pre-industriale. I volumi di suppliche delle “vedove inconsolabili” illustrano le modalità di indennizzo e le forme di assistenza predisposte dalla Sacra Congregazione, simili a quelle adottate dall’Opera del Duomo di Firenze e dalle coeve Arti e Corporazioni, ma più puntuali ed efficaci53. Se nella maggior parte dei casi la Fabbrica concede sussidi economici alle famiglie dei suoi operai defunti54, la sua attività assistenziale, consolidatasi nel corso del Cinquecento con il procedere della costruzione della nuova basilica, prevede indennizzi per gli invalidi, la disponibilità dei cerusici papali, nonché specifiche convenzioni con l’ospedale Fatebenefratelli all’Isola Tiberina per la cura dei casi più gravi. In altri casi la Fabbrica opta per l’assunzione dei parenti dei sanpietrini defunti o rimasti invalidi, i quali vengono iscritti d’ufficio nei ruoli già ricoperti dai loro congiunti, rinnovando una consuetudine medievale di antichissima ascendenza reiterata in età moderna e provata dall’ereditarietà delle professioni e dalla continuità d’uso di abitazioni e luoghi di lavoro55. Tale opzione, di certo più vantaggiosa per la Fabbrica rispetto all’indennizzo, non esclude le donne. Il loro ruolo nel cantiere romano è infatti decisamente attivo. Esse contribuiscono, seppur in modo marginale, all’attività del cantiere, spesso costrette da necessità di pura sopravvivenza, ma non necessariamente. Se, infatti, tra gli operatori del cantiere edile pre-industriale, il sapere tecnico viene trasmesso essenzialmente per via diretta, tramandato di generazione in generazione assieme alle preziose attrezzature da lavoro, le donne non sono escluse da tale consuetudine. Al contrario, i resoconti delle fabbriche romane rivelano un’assidua presenza delle donne nel cantiere edile, le quali, con mansioni e specializzazioni differenti, ereditano i ruoli dei loro congiunti, oppure – in totale autonomia – vengono ingaggiate per lavori di diversa natura e impegno, anche nei cantieri minori della provincia. Il loro impiego è costante e prolungato. Non si tratta dunque di collaborazioni occasionali, ma di veri e propri ingaggi, che per le “mastre muratore” prevedono un impegno di ore lavorative e un compenso retributivo identici a quelli degli uomini. La documentazione della Fabbrica di S. Pietro lumeggia dunque un’inusitata apertura alle donne, alle quali non solo è consentito di operare in settori lavorativi tradizionalmente maschili, ma anche di rilevare i contratti e le attività dei parenti e, quindi, di operare come imprenditrici e con dignità professionale equiparata senza
242
Alle pagine seguenti: 31. Basilica di S. Pietro, facciata, particolare con bassorilievo di Ambrogio Buonvicino, Consegna delle chiavi a san Pietro, sec. XVII. 32. Basilica di S. Pietro, facciata, particolare. 33-34. Basilica di S. Pietro, prospetto meridionale, particolari. 35. Basilica di S. Pietro, facciata, particolare.
riserve a quella degli uomini56. Tra le “sanpietrine” che collaborano all’edificazione della basilica si ricordano Pacifica de Cosciaris, «tinozzara», che unisce all’attività di fabbricatrice di strumenti in legno, quella di fornitore di travertino dalla cava di Schella in Tivoli. Come lei altre donne, vedove di carrettieri, forniscono pietra da taglio alla Fabbrica, alle quali si affiancano quelle che si aggiudicano gli appalti dei materiali da costruzione, gestendo al contempo magazzini e cave: Caterina, vedova del “fornaciaro” Girolamo Gallo, il 16 dicembre 1605 è pagata per mattoni e pianelle; madonna Lucrezia della Citara, vedova di Orazio Cianti, commercia legname da lavoro, Attilia di Vincenzo vende polvere di marmo necessaria «per li stucchi del cornicione grande e sotto la cupola»57. E ancora, Giovanna Jafrate, “vetrara”, vedova di Alessandro Luzi, fornisce vetri alla fabbrica a partire dal 1696, mentre circa un secolo più tardi nel dicembre 1788, Anna Castiglione, vedova del ferraro Giuseppe Palombi, presenterà un conto di circa 7700 scudi per il castello delle campane e dell’orologio58. Numerose sono poi le indoratrici e le tagliatrici di smalti o pietre preziose, come Francesca Bresciani, figlia di «mansù Geri». Nel 1672 «inteso che vogliono fare un tabernacolo intarsiato di lapis[lazzuli], lei essendo di mestiere», chiede che le venga assegnato il lavoro59. L’anno seguente Francesca rinnova la domanda per il taglio dei lapislazzuli per gli intarsi del nuovo ciborio60. La forza della Fabbrica petrina risiede dunque, oltre che nella rigorosa suddivisione gerarchica dei ruoli e nella sincronica organizzazione del lavoro, anche nella coesione e nel forte senso di appartenenza di tutti gli operatori. Quale autentica impresa, ove ruoli e competenze vengono assegnati solo a funzionari esperti e di riconosciute capacità, la Fabbrica diviene l’emblema di un saper fare che fonde le sperimentazioni e le tradizioni di uomini di provenienza e formazione differenti. Ne costituisce un limpido esempio il risolutivo contributo offerto all’edilizia romana da tecnici e architetti lombardo-ticinesi61. Nel cantiere vaticano questo si esplicita dapprima con la razionalizzazione delle fasi esecutive e degli approvvigionamenti dei materiali magistralmente messa a punto da Giacomo Della Porta per l’edificazione della cupola, che può essere chiusa in circa 22 mesi al volgere del XVI secolo, e poi, nei primi anni del Seicento, con il riordino dell’organigramma amministrativo della Fabbrica voluto da Paolo V Borghese, volto ad agevolare il completamento della basilica affidato a Carlo Maderno62.
243
29, 30
VATICANO BAROCCO
244
VATICANO BAROCCO
245
VATICANO BAROCCO
248
VATICANO BAROCCO
249
VATICANO BAROCCO
VATICANO BAROCCO
36. Basilica di S. Pietro, portico, particolare del soffitto. Alle pagine seguenti: 37. Basilica di S. Pietro, facciata, particolare.
31-35
Il 17 settembre 1605, pur nella persistenza di radicati elementi cultuali e memoriali che animano ancora l’inesausto dibattito sul rispetto del consacrato sedime costantiniano, la neonata Sacra Congregazione si fa interprete della volontà papale decretando l’abbattimento della vecchia basilica e autorizzando la rimozione delle sacre reliquie ivi custodite. Il 26 settembre dello stesso anno, con il placet di Paolo V, è avviata l’opera di smantellamento di altari, sepolture e monumenti votivi, per i quali inizia l’opera di trasferimento nelle Grotte Vaticane63. Il vincente esito del disegno maderniano per la “prolunga” della basilica e per la facciata è declinato in tre diversi progetti fondati su una chiara organicità spaziale e compositiva, volta a unificare l’addizione seicentesca all’ingombrante precedente michelangiolesco. Tale articolazione è ottenuta da Maderno innestando una navata monumentale sul quarto braccio della croce, che fondendosi con esso si protende idealmente verso il sepolcro di Pietro e allo stesso tempo si dilata trasversalmente dissolvendosi nelle due navate laterali, scandite da grandi arcate modulate sul sintagma bramantesco della travata ritmica. Le complessità progettuali ed esecutive, le inderogabili necessità organizzative e la forzata convivenza di specializzazioni differenti fanno del cantiere maderniano un caso esemplare della raggiunta efficienza tecnica e gestionale nell’edilizia barocca romana. Alla consacrazione della prima pietra di fondazione, il 7 marzo 1607, segue nel giorno successivo l’avvio delle opere di fondazione della navata nord, in corrispondenza dell’attuale Cappella del Sacramento. La pressoché immediata sospensione dei lavori, per ragioni ancora non esplicitate dal repertorio documentale, comporta da un lato la redazione di nuove varianti al progetto e dall’altro il trasferimento del cantiere nel sedime destinato alla costruzione della facciata, la cui costruzione è nuovamente avviata nel novembre 1607. Il 21 agosto 1609 la facciata dell’antica S. Pietro cade sotto i colpi di piccone di mastro Bartolomeo da Castrona e dei suoi aiuti. A quella data gli stessi muratori avevano già demolito le rotonde di S. Maria della Febbre e di Sant’Andrea64. Il primo ottobre 1610 con argani azionati da tredici cavalli si alza la prima colonna di marmo africano della «porta grande del porticale»65. Nel 1611, a lavori praticamente ultimati, per volontà di Paolo V vengono aggiunti al già immenso corpo della facciata i corpi dei campanili. Tale addizione snatura l’equilibrio compositivo del progetto maderniano, compromettendone irrimediabilmente il rapporto con la struttura preesistente. La costruzione dei campanili, av-
250
viata tra il dicembre 1612 e il gennaio 1613 per quello di destra e differita al 1618 per quello di sinistra, è interrotta nel 1622 alla quota terminale della facciata a causa di una serie di problemi statici dovuti al terreno fortemente incoerente e interessato da falde freatiche66. Dato emblematico della fretta con cui il pontefice intende compiere il lavoro e delle dimensioni dell’opera è il numero di operai ingaggiati nella realizzazione dei campanili: dal 13 gennaio al 14 dicembre 1613 i manovali e i muratori impiegati «nel mettere in opera li travertini alle doi bande della fabbrica della Chiesa» oscillano da un massimo di 720 a un minimo di 440, mentre gli scalpellini si attestano sulle 18 unità67. Dal 1612 il nuovo corpo basilicale viene agganciato alla facciata mediante il magnifico sistema voltato del “portico grande”, mentre nel 1614 la navata principale viene coperta da una possente volta a botte dello spessore di 3 metri, decorata a stucco nell’anno successivo. Il registro delle Provisioni et armamenti di legniami per armar la volta grande, datato al giugno 1613, esplicita consistenza e complessità costruttiva della volta della navata principale, per la quale risultano acquistati ingenti quantità di tagli di legno di quercia e castagno per la struttura portante della grande centina, tavole e assi di olmo per il manto di contenimento del getto di conglomerato, e tavole di ontano per le sagome dei cassettoni che ornano l’intradosso della volta68. Nel 1615 viene demolito il muro divisorio tra la vecchia e la nuova basilica fatto erigere da Paolo III Farnese (1534-1550) nel 1538 e i muri «vecchi di qua e di là dalla parte della Clementina e Gregoriana per congiungere la chiesa vecchia con la nova»69. In contemporanea si procede a voltare le cupole che sormontano le navate laterali ed è avviata, su progetto dello stesso Maderno, la costruzione della Confessione, conclusa nel 161670. Nel suo caleidoscopico commesso policromo si fondono scintillanti geometrie e sinuosi motivi intagliati nel marmo nero e giallo di Genova, broccatello, alabastro, rosso orientale, biglio, verde, paragone, africano, portasanta e fior di persico71 . Autonomia e rispetto della preesistenza sono i concetti cardine su cui si fonda l’intervento maderniano, limitato da oggettive difficoltà di natura compositiva e strutturale che l’architetto tenta di risolvere con l’opaca aggettivazione plastica del corpo colonnato, la differenziazione cromatica delle superfici di fondo e il progressivo debole aggetto dei registri verticali verso la Loggia delle Benedizioni72. Agli ostacoli formali si aggiungono i complicatissimi risvolti organizzativi e tecnici propri di un cantiere di simili dimensioni e l’estrema
36
251
VATICANO BAROCCO
TECNICHE E PRATICHE DEL COSTRUIRE NEL CANTIERE DI S. PIETRO
fretta con cui esso deve essere condotto. In esso però Maderno rivela una straordinaria capacità operativa, maturata nei lunghi anni di apprendistato nell’impresa Fontana, rilevata nel 1594 con il saldo dei 7000 scudi di debito contratti dallo zio Domenico73. È dunque palese la derivazione dell’organizzazione maderniana del cantiere petriano dal collaudatissimo sistema imprenditoriale fontaniano. Esso coniuga sapienza esecutiva, innovazione tecnologica e l’efficace gestione di squadre di operai a diversa specializzazione, che consentono il perseguimento di un’indiscussa qualità esecutiva e l’ottimizzazione dei tempi di esecuzione, nonché dei profitti74. Una simile esperienza agevola Maderno nell’organizzazione della complessa fabbrica petriana, la quale si articola di fatto in tre distinti cantieri: demolizione, nuova costruzione e decorazione. Ognuno di questi è soggetto a specifiche esigenze legate all’approvvigionamento dei materiali, al controllo delle diverse squadre di operai, artigiani e artisti, alla predisposizione degli apparati provvisionali e al controllo delle esecuzioni. Nel 1605, all’avvio delle opere di demolizione della basilica costantiniana, prosegue l’attuazione del partito decorativo della crociera, avviata nel 1576 con il rivestimento a mosaico della Cappella Gregoriana, al quale seguono nel 1598 la decorazione musiva della cupola grande e successivamente quella della Cappella Clementina, eseguita per il Giubileo del 1600. Il cantiere di decorazione proseguirà fino al 1611. Esso necessita di spazi e tecniche esecutive specifiche, di apparati provvisionali e ponteggi in grado di spingersi fino alle vertiginose quote delle volte, ma anche di artisti e artigiani qualificatissimi, nonché di tempi scanditi dalla delicatezza delle esecuzioni pittoriche e musive. Tale cantiere si trova dunque a dover convivere con quello di demolizione dell’antico S. Pietro, con tutte le brutali necessità che lo contraddistinguono, dal roboante movimento dei carri, alle vibrazioni procurate da picconi e martelli, al fastidio delle polveri di lavorazione, all’ingombro di argani e gru necessari alla movimentazione dei carichi più pesanti. Il provvidenziale muro divisorio di Paolo III fa opportunamente da scudo a mosaicisti, pittori e scultori che lavorano sui ponteggi del capocroce, pur assolvendo oramai a fatica alla sua funzione protettiva, tanto che nel gennaio 1607 viene rinforzato con l’inserimento di quattro catene di ferro75. Tra il 1606 e il 1607 scalpellini e muratori sono impegnati nel montaggio dei ponteggi nella cupola grande, mentre altri ventuno uomini attendono alla costruzione del maschio murario della stessa. In contemporanea, lo
252
253
VATICANO BAROCCO
stuccatore Rocco Solari esegue le cornici sotto la cupola, gli scalpellini Matteo de’ Dossi e Giovanni da Urbino lavorano all’altare di S. Petronilla e un nutrito gruppo di mosaicisti è assegnato al rivestimento musivo della cupola76. Dal 1607 i pagamenti tratteggiano un frenetico e incessante procedere delle esecuzioni, nessuna delle quali però risulta di ostacolo alle altre. Questo vale anche per gli approvvigionamenti di pozzolana, tufo e travertino, affidati a carriaggi con bufali e cavalli provenienti da Tivoli e Santa Marinella. Ma non basta. Nel marzo 1607 si apre anche il cantiere di costruzione, successivamente trasferito nel sedime di facciata: squadre di centinaia di muratori e carrettieri, guidate da Tito da Sarzana, Pietro Drei e Giorgio Staffetta attendono alla rimozione della terra di scavo e al suo trasferimento fuori porta Angelica. Datano al 23 marzo le prime retribuzioni per travertini «cavati e da cavarsi»77. Dal mese di aprile 1607 sono acquistate numerose libbre di ferro e diverse centinaia di tavoloni78 e tavoloncelli di olmo necessari al contenimento degli scavi di fondazione, alla costruzione dei ponteggi, all’allestimento di macchine da sollevamento. Diversi scorzi79 di polvere di travertino, necessaria al confezionamento di stucchi, colle e scialbature, sono acquistati da Giacomo Filippini da Tivoli, mentre proseguono gli acquisti di pozzolana, che, unita a sabbia di fiume e calce, produce malte dalle ottime proprietà idrauliche. Ventitré scalpellini intagliano i blocchi di travertino per il basamento della nuova fabbrica, predisponendone anche le incrostature. Nel frattempo giungono in cantiere altri ingenti quantitativi di calce, tufo, pozzolana e legname, mentre trentaquattro tra muratori e manovali puntellano i fondamenti, montano ponteggi e bagnano la calce per farne malta. Analoga frenetica attività si registra nei mesi a seguire. In ottobre vengono acquistate diverse centinaia di mattoni dai produttori accreditati alla Fabbrica e i barcaioli riforniscono il cantiere di centinaia di some di scaglia80, tavole di ontano e pozzolana di fiume, che Luca da Saravezza e «compagni scaricatori», con l’ausilio delle attrezzature fornite direttamente dalla Fabbrica, sbarcano al porto della Traspontina vecchia. Nel 1610 ha inizio la fase più delicata della costruzione. L’inaffidabilità del suolo ostacola la realizzazione delle fondazioni: le liste dei pagamenti riferiscono che nel gennaio 1609 ancora si andavano puntellando gli scavi di fondazione e si tentava di estrarre con le pompe «l’acqua che risale dal cantone». Maderno cerca di ovviare a tale difficoltà colmando lo scavo con imponenti quantità di
254
38. Argano e burbera per il sollevamento dei materiali minuti da costruzione, da G. Valadier, L’architettura pratica, Roma 1832, vol. I, tav. II.
pozzolana, mattoni, tufo e travertino, mischiate con selci, fascine, calce e carbone, usato per arginare la risalita capillare dell’acqua dal sottosuolo. Più di un centinaio di operai lavorano giorno e notte per abbattere l’indispensabile selva di pali di castagno dalle punte «abbruciate», riempire i fondamenti e puntellare gli scavi, come provano gli acquisti di centinaia di candele di sego necessarie a rischiarare il cantiere nelle ore più buie. Nel novembre 1609 vengono finalmente gettate le fondamenta della facciata; su queste è innalzata la struttura in muratura di mattoni rivestita da lastre di travertino perfettamente connesse, provenienti dalle cave di Tivoli, Monterotondo e Civita Castellana. Queste sono di migliore qualità nei registri inferiori, più in vista, mentre nelle sezioni a quote più elevate perdono di compattezza. La posa in opera del rivestimento avviene per strati orizzontali e la costruzione procede per giaciture sovrapposte. Il contratto con gli scalpellini per la lavorazione dei travertini per la facciata reca invece la data del gennaio 1611 e specifica che «detti lavori siano senza nisuna sorte di stuchi e senza taselli»81. I puntualissimi rendiconti testimoniano il procedere dei lavori e l’accuratezza delle opere: nel 1611 sono registrati i primi pagamenti agli operai addetti all’innalzamento dei travertini alle diverse quote del cantiere della facciata, ma anche i compensi spettanti agli stuccatori Giovanni Caslano (o Casellano, definito anche intagliatore e scalpellino) «per stucchi che fa nella facciata» e Giovanni da Carrara per «spranghe [di ferro] messe et impiombate al trevertino della facciata», necessarie al fissaggio del rivestimento lapideo sulla struttura muraria della facciata82. La posa dei travertini di facciata comporta inevitabilmente il risarcimento delle lacune che vengono a crearsi sulla superficie della pietra in fase di lavorazione. Queste sono colmate con tasselli di medesimo travertino fissati con una mistura di pece greca e cera gialla83. Nel 1613, mentre continua incessante l’opera di riempimento dello scavo di fondazione, il fattore Giovanni Bellucci è pagato a più riprese per le giornate impiegate da muratori e operai «a mettere in opra li travertini alli doi bande della facciata della chiesa nuova, et fare altri lavori...»84. Prosegue intanto il montaggio dei travertini sui due lati della facciata, i cui pagamenti ricorrono settimanalmente fino al 4 luglio del 1614. Successivamente gli stessi operai saranno impiegati per l’installazione della grande cornice terminale. I Libri delle munizioni e i registri delle Spese diverse degli anni seguenti testimoniano il procedere del cantiere,
39. Verricelli e tiri, da G. Valadier, L’architettura pratica, Roma 1832, vol. III, tav. CLXXVIII.
37
38
svelando corpose forniture di metallo, ferro, piombo usati per il montaggio delle lastre di travertino e di “schifi”. Con questo termine sono indicati i secchi usati per il trasporto sui ponteggi di materiale minuto, soprattutto calce, massicciamente usata nella versione più fluida, additivata con polvere di travertino e stesa a pennello, per accordare tasselli, stuccature e risarciture alla cangiante cromia della pelle in travertino della facciata85. Le dimensioni colossali della facciata esplicitano le difficoltà progettuali e costruttive incontrate da Maderno, obbligato a formulare un nuovo schema organizzativo per il cantiere. Da qui la decisione nel 1611 di sospendere i lavori di mosaico e appaltare a cottimo le opere di rifinitura superficiale86. La costruzione sembra procedere così più speditamente. L’area occupata dal cantiere, con le zone per il deposito e lo stoccaggio dei materiali e i ricoveri in legno approntati per gli scalpellini (anche per proteggere
le abitazioni circostanti dall’invasione delle polveri residue), si estende nella piazza antistante la basilica, arrivando a lambire il piedistallo dell’obelisco. Diverse antenne, le più potenti macchine da sollevamento, azionate da argani e stabilizzate da grosse funi saldamente ancorate al suolo, innalzano ai vari ripiani dei ponteggi enormi blocchi di travertino già sagomati e pronti per la posa. Verricelli, falconi e tiri semplici issano ceste ricolme di mattoni e altro materiale minuto87. La realizzazione si conclude il 21 luglio 1612. La costruzione procederà con analoga organizzazione negli anni seguenti con la problematica addizione dei campanili, tanto che nel maggio 1622 Maderno chiede alla Congregazione un uomo di fiducia per «rivedere li motivi et peli che si fanno nella fabbrica et havere cura delle chiaviche che inghiottino l’acque per l’imminente rovina» 88. Proseguono intanto le opere
255
39
40. Basilica di S. Pietro, facciata, particolare con la statua del Cristo.
41. Nicodemus Tessin il Giovane, Antenne e macchine da sollevamento in uso nel cantiere di S. Pietro nel XVII secolo, Nationalmuseum, THC 581, Stoccolma.
40
256
di finitura superficiale all’interno, come prova un corposo fascicolo di spese per lavori di stucco datato al giugno 162489. Un anno dopo Maderno sigla la Misura e stima dell’oro messo alli stucchi della volta a pariete del Coro presentata da Rocco Pasquino indoratore 90. Nel 1626, con l’ausilio di antenne, robusti argani e numerosi paranchi vengono installate le tredici statue di santi che coronano l’attico della facciata, alte circa 6 m e scolpite da artisti diversi nel travertino di Monterotondo. La fabbrica è conclusa. Carlo Maderno percepirà il suo ultimo stipendio come architetto di S. Pietro il 31 gennaio 1629. Se con il cantiere maderniano è sancita l’efficacia dell’ormai perfezionato organigramma del processo costruttivo, nella seconda metà del secolo e in quello successivo altre importanti tappe dell’edificazione del complesso vaticano indurranno architetti, soprastanti e capomastri a nuove sperimentazioni e ulteriori perfezionamenti, soprattutto per quel che riguarda la tecnologia edilizia. Si assiste pertanto al graduale perfezionamento di macchine e dispositivi provvisionali necessari alle opere di costruzione, decorazione e manutenzione. Tra
42. Antenna che servì per innalzare tutte le statue sopra il gran Colonnato della piazza di S. Pietro senza aiuto di ponti e senza essere piantata in terra, da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1743, tav. VII.
i congegni più interessati dalle sperimentazioni tese a perfezionarne componenti e modalità d’impiego figurano le macchine per il sollevamento a grandi altezze, vale a dire le già menzionate antenne, diffusamente impiegate nei cantieri di tutte le epoche. Nel cantiere di S. Pietro si ha notizia, tra le tante, di «un’antenna grande innalzata fora la Cappella del Re» nel 157791, di un’altra montata nel settembre 1605 «nella chiesa vecchia» per rivestire di piombo le costole della cupola92, ma anche di diverse antenne di cerro, armate con argani, traglie e canapi, usate nella prolunga della navata93. E ancora tra giugno e luglio 1606 cinquanta uomini sono pagati per «rizzare le antenne et cominciare a calare li architravi e capitelli delle colonne et altri lavori fatti in S. Pietro»; tale dispendio di manodopera rende l’idea delle difficoltà connesse al montaggio e all’uso di questi colossali congegni94. Analogamente, nel 1612 risulta la «portatura e drizzatura» sul sagrato della basilica di tre possenti antenne di cerro, adeguatamente armate per sostenere il peso e le oscillazioni di esercizio dei grandi blocchi di travertino che rivestono la facciata95. L’uso
257
VATICANO BAROCCO
41, 42
43
dell’antenna, che consente di contrarre notevolmente i tempi di esecuzione, è documentato anche nella costruzione del colonnato di piazza S. Pietro (1656-1671), nel cui cantiere sono impiegate antenne mobili che consentono una più rapida ed economica posa in opera degli enormi rocchi del portico dorico96. Si tratta di dispositivi analoghi a quelli raffigurati da Nicodemus Tessin il Giovane (1654-1728) nel suo viaggio a Roma del 1675-76, e perfezionati da Luigi Bernini, allora sovrintendente ai Palazzi Apostolici. Secondo quanto riferito da Baldinucci, si deve proprio a Luigi l’invenzione della macchina, «per avanti non più veduta, né usata», con la quale «furono messe in opra tutte le pietre dei colonnati, e portico di S. Pietro»97. Si tratta di un ingegnoso dispositivo mobile composto dal montaggio seriale di tre antenne alte circa 15,5 metri ognuna delle quali porta due traglie di ferro di circa 1,5 metri d’altezza, a sei girelle di metallo «tre per un verso e tre per un altro a quello contrario». Dal Diario dei lavori dei Portici circolari (settembre 1659-dicembre 1662) che illustra le fasi costruttive del braccio nord del colonnato, emerge la razionale organizzazione del cantiere berniniano, che ha uno dei suoi punti di forza nell’organizzazione del lavoro, nel collaudato sistema di approvvigionamento di materiali di consumo e pietra da taglio, ma anche nell’uso sapiente delle macchine98. Quello ideato da Luigi Bernini è un dispositivo che consente l’uso congiunto e sincronico delle tre antenne di cui si dà descrizione nello stesso Diario. Il 4 settembre 1659 risulta «finita un’antenna delle più lunghe» servita per mettere in opera «dalla parte del Portone de todeschi due rochi di colonna del secondo giro con il suo collarino»99. Il giorno seguente viene montata una seconda macchina, «armata di ventole per tirarla al loco dove deve servire»100. È evidente che le antenne poggiano su piattaforme trasportabili e che robuste funi denominate ventole servono sia a stabilizzarle in fase di esercizio, sia a inclinarle per avvicinare i rocchi all’asse della colonna. Il 6 settembre 1659 è «murato un canapo vecchio» a una terza antenna, «la quale si è condotta dove si ha da mettere in opera la colonna»; nella stessa giornata viene spostata «l’antenna grande alla testata del Portico vergo Borgo», dove è montato il «tiro del ponte fermo nel mezzo del portico», vale a dire il ponteggio fisso sul quale è montata la burbera usata per il sollevamento e l’installazione del gocciolatoio101. A questo punto le antenne in esercizio sono tre. Esse vengono armate con ventole, canapi e traglie solo al momento di entrare in funzione, probabilmente per preservare i preziosi accessori metallici
258
TECNICHE E PRATICHE DEL COSTRUIRE NEL CANTIERE DI S. PIETRO
43. Lievin Cruyl, Prospectus Basilicae Vaticanae D. Petri, in Locorum Urbis Romae Insignium, Roma 1666.
dai danni arrecati dall’umidità102. Ciò è provato da alcuni tavolati posti a protezione dei «canapi che restano nella piazza»103. Fino a tutto il 1660 si susseguono notizie di spostamenti di antenne e ponteggi lungo i diversi settori dell’erigendo portico, la posizione dei quali è indicata dal numero progressivo assegnato alle basi delle colonne e ai “giri” del porticato: ad esempio, le macchine sono di volta in volta trasferite «accanto alla terza base della terza colonna del terzo giro nel mezzo verso Borgo […] avanti alli due pilastri del quarto giro dal mezzo verso Borgo […], oppure alli pilastri del Ingresso verso Borgo per mettere in opera i capitelli», operazione quest’ultima affidata all’antenna grande104. Per l’installazione dei capitelli sulla facciata dell’ingresso verso Borgo si rende invece necessaria la costruzione di un «ponte di legni grossi per poterci andare sopra con li Castelli», vale a dire di un ponteggio robusto sul quale montare biga e verricello105. La puntuale descrizione delle fasi esecutive include il disarmo dei canapi e la «revoltatura dell’antenna grande che deve servire per mettere li architravi»106. Mentre si va ultimando la costruzione
del braccio settentrionale del portico, vengono smontati i primi ponteggi e tutti i componenti lignei vengono riconsegnati «alli magazzini» della Fabbrica107. Significativo per la cura rivolta alla qualità esecutiva dell’opera è un documento intitolato Differenza fra i travertini di Tivoli e quelli di Monte Rotondo usati per il portico verso mezzogiorno: contenzioso tra la Fabbrica e gli operai a firma di Gian Lorenzo Bernini e degli appaltatori delle opere di scalpello del colonnato108. Al primo punto del documento, afferma lo stesso Bernini: «Essendomi stato ordinato dalla Sacra Congregazione che io dovessi vedere e considerare se l’opera che hanno fatto li Appaltatori scarpellini tanto delle Colonne del primo Giro come dell’Architrave, fregio, e Cornice del Portico verso mezzo giorno, sono della bontà tanto del Travertino come del Lavorato della mostra fatta come si sono obligati […] e se l’Architrave fregio, et Cornie del 4° Giro sia conforme l’obligo che hanno fatto. Le Colonne, Pilastri, Base e Capitelli del Primo Giro li detti Appaltatori si sono obligati di farle tutte di Tavertino di Tivoli e ben lavorati conforme la mostra fatta. Io trovo che dette Colonne, Base, Capitelli, e Pilastri del primo Giro non sono fatte tutte di Travertino di Tivoli, ma mischiate con Travertino di Monte Rotondo. In quanto al lavorato trovo che è assai inferiore dalla mostra fatta siche tanto in riguardo del Travertino come del lavorato sono assai inferiori di detta mostra e crederei che si potesse defalcare per ciascheduna Colonna almeno scudi venti. Sono parimente obligati di fare tutti l’Architravi, fregio, e Cornice del primo Giro tutto di Travertino di Tivoli e questo è di grandissima importanza perché essendo detta Cornice la parte finale che difende tutta l’opera dalle piogge facendola mischiata con Travertino di Monte Rotondo, quale è sbusciato, e spongoso s’inzuppa d’acqua e fa gran danno a tutta l’opera, così medesimamente il lavorato trovo che è assai inferiore alla mostra si che crederei che se ne potesse defalcare almeno la sesta parte tanto del Travertino come del lavorato. L’Architrave fregio, e Cornice del 4° giro trovo che conforme l’obbligo fatto e inferiore tanto che se ne potrebbe defalcare del prezzo fatto la decimaterza parte tanto del lavorato come del Travertino.» Gian Lorenzo Bernini architetto La difesa degli appaltatori scalpellini Giovanni Mariscalchi, Francesco Perini, Giuseppe Vigiù, Angelo Liano e Ambrosio Appiani è altrettanto illuminante: «Noi infrascritti per la verità attestiamo, e facciamo piena et indubitata fede anco mediante il nostro giuramento
come con l’occasione che habbiamo lavorato e rispettivamente habbiamo fatto lavorare et assistito a far metter in opera li lavori di scarpello nella fabbrica del Colonnato e Braccio su la Piazza di San Pietro verso Cesi, habbiamo non solo più e più volte inteso il Signor Benedetto Drei ordinare a quelli che assistevano a detti lavori di scarpello et a muratori per ordine del Sig. Cavaliere Bernini che non si mettesse in opera li sassi benché lavorati se prima non fussero stati visti, revisti, et approvati dalli Ministri della Reverenda Fabbrica, ma anco abbiamo veduto che in esecutione di detto ordine detti sassi erano bene spesso revisti dal medesimo Sig. Cavaliere quando veniva alla fabbrica e sempre da detti Ministri da quali più volte ne furno refutati e fatti lasciar in terra et alle volte anco fatto calare a basso più pezzi, benché lavorati da essi stimati non buoni ne perfetti per il lavoro in modo che e stato necessario adoperare detti pezzi refutati in altri lavori in parte, e in parte farli spezzare per farne calce e parte ancora restano in terra nella medesima Piazza; e tutti quelli che sono stati messi in opera nella detta fabbrica sono stati visti, revisti, et approvati da sudetti Ministri e Sig. Cavaliere rispettivamente e tutto ciò attestiamo per haver inteso il suddetto ordinare e vedute le cose suddette per la causa detta di sopra et in fede habbiamo sottoscritta la presente di nostra propria mano in Roma questo di 20 novembre 1667.» La documentazione dei lavori, le ricevute di pagamento e i registri delle Munizioni di S. Pietro narrano dunque un’affascinante storia delle opere e degli oggetti, che delinea in filigrana le difficoltà tecniche e organizzative insite nel cantiere pre-industriale, ma anche la sincronica organizzazione del lavoro e l’ottimizzazione funzionale di strumenti e apparati provvisionali. A partire dalla fine del XVII secolo tale preziosa esperienza viene messa a servizio della manutenzione della basilica. Se i momenti topici dell’edificazione del complesso vaticano si sono tradotti in tappe risolutive per il perfezionamento di mezzi e procedure operative, con la conclusione dei lavori di costruzione e l’avvio del grandioso programma di decorazione della basilica, si afferma l’inderogabile necessità di definire procedure e tecnologie per interventi di manutenzione, restauro e consolidamento. Massicciamente condotti già dalla fine del XVII secolo, questi obbligano all’ideazione di nuovi ponteggi, da adattare alle singolari specificità del sedime basilicale, e di nuovi artifici che si sottraggono all’ovvietà della pratica comune. Le inderogabili necessità di fruizione dello spazio sacro petriano, le sue atipiche dimensioni e le specifiche necessità liturgiche, impegnano
259
A fronte: 44. Pier Leone Ghezzi, Ritratto di mastro Nicola Zabaglia, da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1743, frontespizio.
44
45
260
la Fabbrica all’ideazione di nuovi apparati provvisionali adattabili alle esigenze della conservazione. La progettazione di ponteggi, fissi o mobili, diviene dunque centrale nell’attività edilizia vaticana, tanto da guadagnare nel 1743 una vera e propria celebrazione a mezzo stampa con la pubblicazione del volume Castelli e Ponti di Maestro Niccola Zabaglia, che compendia l’opera straordinaria di un umile mastro pontiere109. Grazie alla sua efficacissima formula editoriale, i Castelli e Ponti costituiscono una raffinata epitome della pratica del restauro, nella quale il rutilante linguaggio dell’incisione coniuga magistralmente informazione tecnica, celebrazione artistica e intento politico. Gli stringati testi delle didascalie e le puntualissime incisioni intersecano perfettamente, sintetizzandolo, il repertorio dei tagli di legname, le cronache del montaggio, le testimonianze e l’esperienza di esecutori e curatori. Per economia di spazio, i particolari minuti, ridondanti o ripetitivi (come legature, giunti e componenti minori) sono omessi nelle tavole più gremite, ma tutti sono comunque rintracciabili tra le pagine del volume. Tutti i congegni illustrati sono dunque potenzialmente replicabili. Ne emerge una originale interpretazione del manuale tecnico, destinato agli specialisti dell’edilizia come a eruditi di diversa formazione. Al contempo, la ricercata formula degli impaginati, la nitidezza dei dettagli e l’adozione del testo latino a fronte mirano a guadagnare una più ampia fascia di pubblico alle scenografiche prestazioni tecnologiche della Fabbrica. Il volume costituisce dunque una dirompente novità sia nell’ambito della pratica della conservazione, sia nella tradizione editoriale vaticana110. Si tratta di un antesignano manuale per il restauro, che, conservando – ma solo in apparenza – la struttura del compendio divulgativo, si fa persuasiva operazione tesa a riaffermare l’antica supremazia papale, e non solo nel settore dell’edilizia. Le straordinarie invenzioni di Nicola Zabaglia (1667-1750) possono così essere tramandate a future generazioni di tecnici e il bagaglio di conoscenze operative, custodito per secoli nei recessi della Fabbrica, può essere perpetuato. Nel corso della sua quarantennale attività al servizio della Fabbrica di S. Pietro, Zabaglia è chiamato a illustrare con la pratica e con l’esempio i segreti delle «Machine per sollevar pesi, dei Ponti per i risarcimenti dell’edificio ed di altre opere meccaniche». A lui è infatti affidata la formazione dei giovani apprendisti e dei manovali in soprannumero, sebbene l’istituzionalizzazione di una vera e propria scuola pontificia per artieri dati solo al 1795111.
45. Pier Leone Ghezzi, Caricatura di mastro Nicola Zabaglia, sec. XVIII.
L’«incolto capomastro di San Pietro» è l’ideatore di autentici prodigi tecnologici, fissi o mobili, tessuti da intricate maglie di componenti lignei, di cui offre un importante abaco dei tagli necessari alla costruzione dei diversi impalcati, talora acrobaticamente ancorati alle vertiginose quote della Basilica, ove sanpietrini esperti attendono al risarcimento di stucchi e mosaici. In alcuni rari casi le invenzioni di Zabaglia costituiscono ingegnosi perfezionamenti di dispositivi in uso nella comune pratica della costruzione e della manutenzione. Tra questi si distingue il celebre carriuolo, un impalcato scorrevole ideato nel 1677 dal sanpietrino Carlo Padredio da Lucca per la posa dei paramenti cerimoniali sul fregio della basilica, che ha ispirato Zabaglia nell’ideazione dei suoi articolati dispositivi mobili, e che risulta impiegato senza soluzione di continuità fino alle soglie del Novecento, come provano alcune efficaci istantanee di quell’epoca, preziose testimoni di un’immutata consuetudine operativa112. Si deve a Zabaglia anche il perfezionamento delle tecniche d’innesto e giunzione delle travi per l’assemblaggio di macchine e ponteggi113. Queste consentono un notevole
261
46
OSSERVAZIONI VISTA ASSONOMETRICA
Il dimensionamento degli elementi lignei costituenti il ponte è stato desunto dai diversi tagli di legname descritti nella tav. III del trattato (Zabaglia, 1743). La linea tratteggiata rossa, nella pianta raffigurante la chiesa, indica le zone della basilica dove veniva utilizzato il ponte oggetto della tavola. Si fa inoltre presente che le lettere in legenda si riferiscono alle lettere presenti nel relativo testo del 1743, mentre i numeri si riferiscono alle definizioni aggiunte.
46. Giovanna Marchei, Ricostruzione del “carriuolo” in uso nella Basilica di S. Pietro, con distinta dei componenti, schema funzionale e modello ligneo, 2013. 47. Sistemi di innestatura di travi per ponteggi, da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1743, tav. III.
48. Capra aperta, argano e nizza, da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1743, tav. VI.
VEDUTA DEL MODELLO RICOSTRUTTIVO
SISTEMA DI ANCORAGGIO
Trave-binario A. Trave fermata sopra la sponda del cornicione sopra la quale girano le ruote del carriuolo 22x22 cm (1x1 palmo) B. Ruote del carriuolo; raggio = 8,1 cm (r = 4,5 once) C. Ruote che muovendosi sulla muraglia (lungo il muro) consentono al carriuolo si muova senza intoppo raggio = 10,8 cm (r = 6 once) D. Viti che stringendosi rendono immobile il carriuolo F. Pedone della scala N. Scalino 3,6x1,8 cm (2x1 once) P. Spalanche o cosciali Sezione da piedi 6,3x8,1 cm (3,4x4,5 once) Sezione da testa 5,4x8,1 cm (3x4,5 once)
PROSPETTO LATERALE SCALA 1:50
PROSPETTO FRONTALE SCALA 1:50
1. Falcone 6,3x8,1 cm (3,5x4,5 once) 2. Puntello 6,3x8,1 cm (3,5x4,5 once) 3. Legatura a catenella con funi da cavezzuoli 4. Parapetto di sicurezza 3,6x5,4 cm (2x3 once) 5. Traverse in legno di sostegno del pianale 6. Staffa in ferro larghezza 3,6 cm (2 once) / sezione = 5 mm 7. Tavolette in legno di irrigidimento 1,8x10,8x53,1 cm (1x6x29,5 once) 8. Puntello 6,3x8,1 cm (3,5x4,5 once) 9. Sponde di legno dove sono imperniate le ruote del carriuolo 3,6x10,8x97,2 cm (2x6x54 once) 10. M a n i g l i a 3 , 6 x 5 , 4 x 2 0 2 , 5 c m (2x3x112,5 once) 11. Perni Ø (= diametro) 20 12. Pianale sezione = 3,6 cm (2 once) 13. Cuscino 22x22x10,8 cm (12x12x6 once) 14. Cavicchie
Chiodo piombato Cuscino Piombo
Lo studio diretto del binario di scorrimento, tuttora in opera, ha consentito di comprendere il sistema di posa in opera e di ancoraggio utilizzato. La prima operazione consisteva nella realizzazione di fori per l’alloggiamento dei chiodi metallici. Posizionati i chiodi, questi venivano solidarizzati al cornicione mediante la colatura di piombo fuso nel foro di alloggiamento. Sui chiodi venivano poi battuti i cuscini lignei per la regolarizzazione del piano di posa, al di sopra dei quali veniva infisso il binario. Il fissaggio finale era garantito della ribattuta della coda del chiodo sul binario stesso.
SEZIONE TRASVERSALE (AA’) SCALA 1:50
263
49. Castello servito per ripulire l’ornamento della Confessione dei Ss. Apostoli nel Vaticano, da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1743, tav. XXXIV.
47, 48
risparmio di legname, in un’epoca in cui il taglio e il commercio di questo materiale, specie di alcune essenze, divengono oggetto di rigida regolamentazione da parte dell’autorità pontificia, che inevitabilmente coincide con un deciso incremento dei prezzi114. L’attività di Zabaglia in S. Pietro è documentata a partire dal 1686, ma registra un importante avanzamento tra il 1694 e il 1696 con il trasporto dalla fonderia dei bronzi alla Cappella del Ss. Sacramento del masso di porfido che ricopriva il sepolcro di Ottone II115. Tra il 1703 e il 1708 mastro Nicola è impegnato nella costruzione dei «ponti che si fanno per di fuori e attorno la Cupola Grande dove si deve fare l’ammattonato di nuovo in coltello»116, ed è anche l’ingegnoso artefice del ponte Reale per la cupola del battistero, eseguito nel marzo 1709, laddove per ponte Reale si intende un impiantito
264
50. Ponteggi per i restauri della cupola grande della basilica vaticana e dell’obelisco di piazza S. Pietro, da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1743, tav. XXVI.
di tavole «che formano un comodo pavimento da potervi sicuramente caminar sopra senza pericolo di cadere da alcuna banda»117. Zabaglia realizza, tra gli altri, anche il ponteggio montato nello stesso anno alla cupola della Gregoriana «dove si reatta il mosaico», e ancora il ponte Reale per la cupola
51. Nicola Zabaglia, Ponteggio mobile per il restauro della volta del gran portico della basilica vaticana, da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1743, tav. XXI.
49
del Coro, eseguito con l’aiuto del fratello Alessandro118 nel luglio 1711, i ponti al lanternino della cupola del Crocifisso (detta ora delle Reliquie). Un elenco di interventi, altrettanto denso potrebbe stilarsi per i decenni successivi, tanto che dal 1721 egli viene ricompensato con una maggiorazione periodica di 15 scudi sulla paga di base. Non è dunque mera coincidenza che in questo stesso anno prenda avvio il progetto editoriale dei Castelli e Ponti. Tra i più spettacolari impalcati provvisionali realizzati da Zabaglia tra il 1720 e il 1750, anno della sua morte, vanno sicuramente ricordati il ponte Reale per la cupola di S. Sebastiano (1721), quello montato ai pennacchi della cupola di S. Michele arcangelo (1721) e i ponti per il restauro del voltone del portico. Da segnalare il trasferimento allo Studio del Mosaico dell’affresco del Domenichino con il Martirio di san Sebastiano, alto più di 7 m per circa 2,5 m di larghezza, calato da Zabaglia con l’aiuto di diciotto manovali tra il marzo e il luglio 1741119; la costruzione del prodigioso
52. Ponte fatto nel voltone di mezzo della chiesa di S. Pietro, inventato da Mastro Tommaso Albertini Soprastante de’ Manuali della Reverenda Fabbrica, 1773, da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1824, tav. LV.
ponte «senza toccare né il pavimento né le pareti», impiegato nel 1735 per il restauro degli ornati della volta della tribuna di S. Paolo fuori le Mura120; l’installazione delle cinquanta statue «dei due bracci ai lati del portico» della piazza121; il ponteggio mobile usato per il restauro degli stucchi nella volta del portico della basilica122; il castello per ripulire gli ornati del baldacchino123. Suoi indiscussi e celebrati capolavori rimangono però il ponteggio per il restauro degli stucchi nella volta della navata principale della basilica124 e quello acrobaticamente impostato sul cornicione «fintantoché lo permette la curvatura», necessario al risarcimento dei mosaici della cupola grande125. Complesso, ma non invasivo, tale impalcato è concepito nel pieno rispetto della struttura della cupola e del «comodo di chi deve operare in quella maggiore altezza». Sicurezza, rispetto, semplicità e reversibilità si confermano le linee guida delle invenzioni di Zabaglia. Analoghe caratteristiche informano l’«ingegnosissimo ponte a più ripiani intorno
265
50
53. Giacomo Sangermano, Ponteggio ideato da Pietro Albertini per il restauro degli stucchi nella volta della navata principale della basilica vaticana, 1773, da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1824, tav. LVIII. A fronte: 54. Giovanna Marchei, Ricostruzione del ponteggio per il restauro della volta della Loggia delle Benedizioni, con distinta dei componenti e specifiche funzionali, 2013.
PONTEGGIO PER IL RESTAURO DELLA VOLTA DELLA LOGGIA DELLE BENEDIZIONI
Alla pagina seguente: 55. Giacomo Sangermano, Progetto di Pietro Albertini per un ponteggio da doversi costruire ogni volta che fosse caduto il bisogno di restaurare la gran Cupola Vaticana, da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1824, tav. LVII.
VISTA ASSONOMETRICA
LEGENDA A. B.
C.
D. E.
F. G.
H. I.
K.
L.
M. N. O. P. Q.
1. 2. 3. 4. 5.
la guglia di San Pietro», raffigurato a margine della medesima tavola e usato nell’ottobre 1739 per la sostituzione degli elementi metallici che sostengono la croce. Cupola e obelisco sono chiamati ad additare al mondo la grandezza del governo temporale dei pontefici. Il talento di Zabaglia, che riabilita l’antico pragmatismo operativo di fronte al giovane e incalzante progresso scientifico, così legittimato, si traduce in mito126. Egli ha dunque il merito di aver additato alla Fabbrica le feconde potenzialità insite nella sperimentazione e nel perfezionamento della meccanica pratica, perseguibili solo attraverso la risoluzione di specifici problemi tecnici e l’elaborazione di appropriate applicazioni che, nel caso dei suoi prototipi, non conoscono eguali. Tale consapevolezza guadagna alla Fabbrica di S. Pietro almeno un altro secolo di indiscussa autorità nell’industria edilizia; documentati dalle fotografie di cantiere di fine Ottocento e primo Novecento, ponteggi e macchine
266
ideati dai tecnici sanpietrini saranno ancora per lungo tempo strumenti risolutivi per interventi di maggior complessità tecnica, in Vaticano come in altri cantieri romani. Ciò vale, ad esempio, per le incastellature necessarie alla movimentazione dei grandi monoliti, che, esemplate su quelli ideati da Domenico Fontana per l’innalzamento degli obelischi sistini, continueranno ad essere costruite in forme pressoché analoghe, come provano numerosi disegni e incisioni sei, sette e ottocenteschi, ma anche diverse istantanee di primo Novecento. Emblematica è in tal senso la sostanziale affinità tra il ponteggio mobile inventato da Zabaglia per il restauro degli stucchi della navata di S. Pietro nel 1742127 e quello ideato nel 1760 dal suo successore, Tommaso Albertini, soprastante della Fabbrica dal 1773. Quest’ultimo è anche l’ideatore del ponteggio per la manutenzione della cupola grande, magistralmente inciso da Giacomo Sangermano (m. 1787) nel 1775, e del maestoso impalcato per il re-
Corde per base del ponte sezione 45x56 cm (2x2 palmi e 6 once) / lunghezza 14,30 m (64 palmi) Traverse che collegano le due corde sezione 45x10,8 cm (2 palmi x 6 once) / lunghezza 3,35 m (15 palmi) Capre del ponte fermate nelle dette corde sezione 22x30x33,5 cm (1x1 palmi e 6 once) / lunghezza 10,05 m (45 palmi) Croci delle capre incavicchiate e fermate con funi (legatura a catenella) Traverse che collegano le capre e reggono i traversoni sezione 14,4x14,4 cm (8x8 once) / lunghezza 3,42 m (15 palmi e 4 once) Funi ben tirate coi tortoni che sostengono le corde Tiranti che collegano le corde alle capre; anch’essi sono di sostegno alle corde sezione 14,4x28,8 cm (8x16 once) / lunghezza 4,31 m (19 palmi e 4 once) Traverse che collegano i tiranti sezione 14,4x14,4 cm (8x8 once) / lunghezza 3,42 m (15 palmi e 4 once) Traverse che collegano i tiranti con le capre e reggono il primo piano del ponte sezione. 14,4x14,4 cm (8x8once) / lunghezza 4,03 m (19 palmi e 3 once) Puntelli che reggono le teste dei traversoni sezione 14,4x14,4 cm (8x8 once) / lunghezza 2,09 m (9 palmi e 8 once) Traversoni che collegano i legni delle capre e reggono il secondo piano del ponte sezione 14,4x14,4 cm (8x8once) / lunghezza 6,58 m (29 palmi e 3 once) Passoni fermati nei cornicioni Polee fermati ai bastoni (legatura a fascia) Polee fermate ai bastoni (legatura a fascia) Arganello fermato nelle traverse per muovere con facilità il ponte Tavoloni bene insaponati posti sopra il cornicione, sopra i quali si muove il ponte 10,8x200 cm (6 once x 9 palmi) / sezione = 3,6 cm (2 once) Ruote del ponte r = 84 cm (r = 45 once) Tavolato 10,8x178 cm (6 once x 8 palmi) / sezione = 2,7 cm (1,5 once) Cavicchie Tortoni Scala
51 52, 53, 55, 57
SEZIONE TRASVERSALE (BB’) SCALA 1:100
PROSPETTO SCALA 1:100
56. Enrico Celso Donnini, Ponteggio per il restauro e nuove dorature della Gran Cupola Vaticana, 1863, inchiostro, Fabbrica di S. Pietro, Archivio Storico Generale.
268
269
57. Giacomo Sangermano, Ponteggio ideato da Pietro Albertini per il restauro della volta della navata principale della basilica vaticana (altra veduta del ponteggio alla fig. 53), 1773, da Castelli e Ponti di maestro Niccola Zabaglia, Roma 1824, tav. LIX. 58. Ercole Scarpellini, Ponteggio per il restauro della volta della navata principale della Basilica di S. Pietro, 1898, Fabbrica di S. Pietro. A fronte: 59. Dispositivi provvisionali per la manutenzione ordinaria della basilica vaticana e per la movimentazione di statue e grandi carichi (fine XIX-inizio XX secolo), Fabbrica di S. Pietro.
56
stauro della volta della navata principale della Basilica, costruito in sostituzione di quello già realizzato da Zabaglia128. Preassemblato al piano della chiesa, presso la tribuna dei Ss. Simeone e Giuda, e montato alla quota della cornice dai manovali della Fabbrica, il ponteggio si compone di un reticolo di saettoni, piane e traverse, ordito su diversi ripiani e rinsaldato da saettoni e legature di funi assicurate a rampini di ferro129 (fig. 58). In occasione del rinnovo delle dorature, Pietro Albertini (m. 1797), figlio di Tommaso, soprastante della Fabbrica dal 1788 al 1793 sostituisce questo impalcato con un altro simile di sua invenzione, un gigantesco dispositivo a undici ripiani nel piano della chiesa, lavorato a piè d’opera e innalzato a forza di argani fino alla grande cornice della navata130. Nel 1820 un modello di questo dispositivo risulta ancora in situ tra i prototipi custoditi in basilica nell’Ottagono di San Gregorio131. Si tratta del grandioso ponte mobile, scorrevole sulla cornice della navata, raffigurato da Giacomo Sangermano nella tav. LVIII dell’edizione ottocentesca dei Castelli e Ponti, identicamente conformato ai principi di economia e velocità di esecuzione132. Lo stesso Pietro Albertini è chiamato alla costruzione dei ponti per i restauri della cupola grande, anch’essi esemplati sul prototipo zabagliano, a loro volta modello per il ponteggio costruito dal soprastante Enrico Celso Donnini per i restauri e le nuove indorature della cupola vaticana eseguito nel 1863133.
270
Alla fine del XIX secolo un altro soprastante sanpietrino, Ercole Scarpellini, sarà l’ingegnoso interprete di una nuova colossale armatura – un ponte aereo leggero e resistente a più piani, di forma poligonale con luce di 26 metri e peso di circa 9 tonnellate – necessaria al reintegro degli stucchi e al rinfresco delle dorature della volta della navata centrale, danneggiati dallo scoppio della polveriera (1891) e dal terremoto del 1895. Il 16 novembre 1897, in una sola ora, il ponte è innalzato con tre argani, funi e due contro-tiri a mano sopra il cornicione della basilica, a circa 30 m di altezza dal suolo, proprio al di sopra della sacra effige di san Pietro134. I bisogni del cantiere e l’affidabilità richiesta alla tecnologie per la costruzione e il restauro necessitano dunque di continue verifiche ed è proprio la pluriennale esperienza sul campo, culminante nella messa a punto di un’efficace sequenza operativa che, ottimizzando tempi e risorse, sancisce la fortuna professionale dei tecnici della Fabbrica di S. Pietro, a riprova delle osmotiche interazioni fra tradizione e innovazione. Queste, unitamente all’alto grado di specializzazione degli operatori della costruzione, al perfezionamento delle pratiche esecutive e al prezioso corredo di strumenti, attrezzature e macchine in dotazione alla Fabbrica costituiranno fino ai primi decenni del XX secolo un’eccezionale risorsa e un imprescindibile riferimento per la pratica della costruzione e del restauro.
58, 59
271
CAPITOLO QUARTO
IL PALAZZO APOSTOLICO VATICANO Lucia Simonato
1, 2
3
272
Stando a una testimonianza del poeta Tommaso Stigliani, nell’estate-autunno del 1623 Giovan Battista Marino, appena rientrato a Roma dalla corte francese, sarebbe ricorso per difendere il suo Adone, attaccato dai “classicisti” e presto bandito dall’Inquisizione, a un’ardita metafora architettonica: «sì come il Palazzo di Vaticano, con tutto che non sia uno intero edificio, ma uno aggregato d’abitazioni e d’appartamenti, superi per la magnificenza delle stanze, e per la ricchezza, e per la copia, e per gli agi, quello de’ Farnesi, che è uno edificio compiuto, così l’Adone, con tutto che non abbia buona proporzion di parti, supera per l’eccellenza di quelle e per l’abbondanza gli altri poemi, che son meglio intrecciati». All’interno di un iter di fondazione, costruzione e rinnovamento durato più di quattrocento anni, furono probabilmente le imprese edilizie avviate e rapidamente concluse nello scorcio del Cinquecento ad accrescere la percezione della residenza dei papi presso San Pietro come di un irrisolto «aggregato d’abitazioni» (secondo Marino), «capacissimo» ma «sproporzionato» (per Giovan Battista Strozzi il Giovane già nel 1599), ovvero lontanissimo da quell’«idea d’un palazzo grande et uno», incarnata negli stessi anni da Palazzo Farnese1. Con l’elezione al soglio pontificio dell’assai energico Sisto V Peretti (1585-1590), la vicenda costruttiva del complesso vaticano aveva subito una svolta decisiva e per molti aspetti sconcertante. Facendo erigere nel centro del Cortile del Belvedere un nuovo corpo di fabbrica trasversale (1587-1588), Sisto V di fatto tradì quell’idea progettuale (già bramantesca) intorno alla quale avevano ruotato per quasi un secolo tutti gli sforzi edilizi dei suoi predecessori, da Giulio II fino a Gregorio XIII: ovvero, di accompagnare la visuale dal lato nord del palazzo papale (dove affacciano tanto l’Appartamento Borgia, quanto le Stanze di Raffaello) verso il Belvedere di Innocenzo
VIII con due lunghi corridoi, delimitanti ai lati tre curie di diversa grandezza. Come è naturale, considerando l’avvicendarsi di committenti e architetti, e l’ampio arco cronologico dell’impresa, deroghe e licenze, rispetto al progetto originario di primissimo Cinquecento, non erano mancate: i due corridoi avevano subìto ritardi nell’erezione e aggiustamenti in corso d’opera, tanto nei loro livelli (come l’ala di Giulio III aggiunta ad est, o la Galleria delle Carte Geografiche e la Torre dei Venti innalzate a ovest da papa Boncompagni), quanto nei loro innesti con gli edifici preesistenti (come la Torre Pia, conclusa durante il regno di Pio V); e gli stessi prospetti dell’originario Belvedere innocenziano e del palazzo papale avevano a loro volta accolto significativi (ed inizialmente del tutto non previsti) aggiornamenti strutturali. L’intervento di Sisto V non si limitò però a interpretare il progetto bramantesco, addirittura ne prese energicamente le distanze in virtù dell’assolvimento di un’impellente necessità
273
4
Alle pagine precedenti: 1. Palazzo Apostolico Vaticano, con la Cappella Sistina, il Cortile del Pappagallo, la Torre Borgia, il Cortile del Belvedere, la Biblioteca Sistina e il Braccio di Paolo V, visti dalla cupola di S. Pietro. 2. Palazzo Apostolico Vaticano con il Palazzo Sistino e le Logge, visti da Piazza S. Pietro.
3
2
funzionale: creare un nuovo spazio dove poter con tutto agio spostare la Biblioteca Apostolica, imprescindibile strumento della nuova Chiesa controriformata2. Di uguale segno fu, d’altra parte, anche la successiva impresa edilizia avviata da Sisto V, che non riuscì però a vederne la conclusione: l’erezione di un nuovo palazzo, a fundamentis, prospiciente le Logge di Raffaello e accordato, tramite il corpo di fabbrica da poco innalzato da Gregorio XIII sul lato nord dello stesso cortile, con l’edificio principale che almeno dall’inizio del XIII secolo si era sviluppato
274
3. Cortile del Belvedere con il Braccio Sistino della Biblioteca Apostolica Vaticana.
5. Palazzo Apostolico Vaticano, Cortile del Belvedere, visto dalla Biblioteca Sistina, con l’Ala nord, la Torre Borgia, la Torre Pia e la cupola di S. Pietro.
4. Mario Cartaro, Cortile del Belvedere, Roma 1574, incisione.
intorno al Cortile del Pappagallo. Costruzione di assoluto primo piano per l’abitante (il pontefice) che era destinata ad accogliere e per la posizione (vicino al principale tempio della Cristianità) in cui si trovava, al nuovo palazzo sistino non vennero riservate che pochissime righe nelle Vite date alle stampe da Giovan Pietro Bellori nel 1672, all’interno della biografia dedicata a Domenico Fontana, l’architetto al quale Sisto V aveva affidato l’impresa, quando ormai, nella primavera del 1589, i lavori in Belvedere si erano conclusi: «oltre la Libreria fabbricò il Fontana quella
6. Palazzo Apostolico Vaticano, veduta aerea dell’Ala nord e del Braccio di Gregorio XIII, con il Palazzo Sistino.
6 9
1
parte del palazzo che si solleva verso la piazza e la città; se bene per la morte del papa non si alzò più che tre piani, seguitata poi da Clemente VIII all’altezza di cinque, l’uno sopra l’altro, con diciasette stanze per piano»3. Le parole di Bellori appaiono quanto mai laconiche, soprattutto considerando che, al contrario del braccio trasversale della Biblioteca in Belvedere, celato alla vista dal Corridoio di levante, il nuovo palazzo veniva a riconfigurare il rapporto della residenza pontificia con piazza S. Pietro, con l’annessa basilica, ormai in fase di conclusione, e più in generale con
7. Palazzo Apostolico Vaticano, Braccio di Paolo V. 8. Martino Ferrabosco, Piazza del Forno e il nuovo Braccio di Paolo V, Cappella Paolina, Palazzo del Quirinale.
Roma stessa, alla quale solo fino a pochi decenni prima il pontefice era solito guardare dalle Logge di Raffaello: una visuale che il complesso sistino non aveva oscurato, ma di certo ridimensionato e compromesso. Fu probabilmente a questa soluzione, giocata sull’accostamento di due edifici sostanzialmente autonomi (l’antico complesso e il nuovo palazzo sistino), che facevano riferimento i giudizi di “disorganicità” già circolanti sulla residenza vaticana allo scadere del Cinquecento, abilmente tradotti in armi retoriche dai poeti della ge-
275
6
9. Piazza S. Pietro con la Basilica e il Palazzo Apostolico. 10. Pianta del Palazzo Apostolico.
Palazzo Apostolico Vaticano, pianta del piano con le stanze di Raffaello (“Palazzo Vecchio�) e la Sala Clementina (Palazzo Sistino) dopo gli interventi di Urbano VIII.
A fronte: 11. Palazzo Apostolico Vaticano, Appartamento Papale di Rappresentanza, Sala Clementina, 1596-1601.
VATICANO BAROCCO
277
12. Palazzo Apostolico Vaticano, Appartamento Papale di Rappresentanza, Sala degli Evangelisti, fregio, post 1605, particolare. 13. Palazzo Apostolico Vaticano, Appartamento Papale di Rappresentanza, Sala degli Evangelisti.
nerazione di Marino e forse echeggianti ancora nella vicenda, assai più tarda, di Gian Lorenzo Bernini a Parigi. Convinto che «les ouvrages qui s’élèvent partout en même temps en étaient beaucoup meilleurs»4, l’artista era stato invitato nel 1665 da Luigi XIV a rinnovare il Louvre, citato, in una lettera inviata lo stesso anno dal monarca francese a papa Alessandro VII Chigi (1655-1667), come «da più secoli […] la principale abitazione de’ re più zelanti per la Santa Sede, che siano in tutta la Cristianità»5: in altri termini, un complesso architettonico che per
278
A fronte: 14. Stemma borghesiano, affresco, post 1605, Palazzo Apostolico Vaticano, Appartamento Papale di Rappresentanza, Sala degli Evangelisti. 15. Cesare Rossetti, Decollazione di san Paolo, affresco, post 1605. Palazzo Apostolico Vaticano, Appartamento Papale di Rappresentanza, Sala degli Evangelisti.
funzioni, prestigio e storia, veniva presentato quasi come un “secondo Vaticano”. Il parallelo diventava peraltro addirittura esplicito proprio nelle parole che lo stesso Bernini avrebbe riferito durante il soggiorno parigino, stando al Journal de voyage di Paul Fréart de Chantelou: «le palais du Vatican à Rome surpasse en beauté de beaucoup le Louvre, mais que quand ce dessin sera exécuté, le Louvre supassera d’autant le Vatican»6. E se il progetto proposto da Bernini, ma poi non realizzato, «lui [al palazzo francese] donnait un habit, qui empêcherait qu’on ne vît plus rien de sa forme ancienne», secondo il concetto che «c’est que Sa Majesté ayant voulu conserver le Louvre l’avait détruit»7, non rimane da osservare che il più importante artista romano del Seicento, al servizio di otto diversi pontefici senza soluzione di continuità nell’arco di sette decenni, al “Palazzo del Vaticano” vero e proprio apportò pochissime modifiche strutturali. Nel 1623, anno al quale risalirebbe la testimonianza di Marino e anno in cui ascese al soglio pontificio Maffeo Barberini con il nome di Urbano VIII (1623-1644), le vicende della basilica di S. Pietro e del vicino palazzo papale registrarono una singolare coincidenza: entrambe le costruzioni potevano dirsi da un punto di vista architettonico grosso modo concluse. Fatto, questo, tutt’altro che scontato, soprattutto considerando che le vicende dei due complessi non erano mai progredite né all’unisono, né secondo assimilabili ritmi di sviluppo. La basilica, costruita ex novo nel Cinquecento distruggendo progressivamente il santuario costantiniano, venne finalmente completata durante il pontificato di Paolo V dalla facciata ad opera di Carlo Maderno. Di origine medievale e non tardoantica, il complesso palaziale vaticano, invece, aveva accusato solo
9
circoscritte demolizioni e molti ambienti quattrocenteschi (come la Cappella Niccolina o l’Appartamento Borgia) al suo interno erano rimasti inalterati, quando non addirittura ancora in uso tra Sei e Settecento8. Anche gli ultimi significativi interventi strutturali nel palazzo furono completati durante il pontificato borghesiano: un corpo di fabbrica a sperone lungo il lato meridionale delle Logge di Raffaello9, e un’ala innestata al Corridoio occidentale e adiacente al Cortile del Forno. Costruito probabilmente da Flaminio Ponzio10, l’edificio, articolato in tre parti distinte, presenta nel suo primo nucleo un piano superiore al quale si accede, provenendo dal «palazzo vecchio», prima di entrare nella Galleria delle Carte Geografiche, e un piano inferiore accordato a quello che oggi è il Gabinetto dei Papiri. Nel corso del Seicento e fino alla prima metà del Settecento, altri edifici furono costruiti nell’area vaticana (come il Palazzetto della Zecca in Belvedere, sotto Alessandro VII), e altri furono progettati (intorno al 1691 Carlo Fontana propose di erigere una costruzione stabile per ospitare i conclavi addossata al muro orientale del Cortile del Belvedere), ma bisognerà attendere di fatto la fine del Settecento per assistere, ormai già in una funzione museale, alla ripresa di una vigorosa attività edilizia nella residenza vaticana dei pontefici11.
279
7, 8
VATICANO BAROCCO
VATICANO BAROCCO
16. Palazzo Apostolico Vaticano, Sala delle Dame, volta con La Pentecoste, la Trasfigurazione e l’Ascesa al Cielo di Guido Reni, 1608.
280
17. Palazzo Apostolico Vaticano, Sala delle Nozze Aldobrandini, volta con Le gesta di Sansone di Guido Reni, 1608.
281
18. Guido Reni, Sansone uccide i Filistei, affresco, 1608, Palazzo Apostolico Vaticano, Sala delle Nozze Aldobrandini, volta.
16-19
Terminati nello stesso arco di anni, la basilica e il palazzo non furono però investiti da un analogo impegno decorativo: alla declinazione in chiave “barocca” di S. Pietro, per mano di Bernini, a cominciare dal pontificato barberiniano, non fece eco un definitivo ammodernamento ‘barocco’ del palazzo (o anche solamente di significative porzioni di esso). A una considerazione di quali artisti lavorarono per tutto il XVII secolo nella residenza vaticana e di quali opere furono portate a termine in questo dilatato arco cronologico, il problema prima che di “regia stilistica” in senso stretto, appare però innanzitutto qualitativo: se si esclude l’unica (precoce) eccezione delle due sale affrescate da Guido Reni all’interno della nuova ala paolina, durante tutto il Seicento nel palazzo pontificio accanto a S. Pietro, a cui, secondo la lucida storicizzazione vasariana, per quasi tre secoli era andata la palma di principale palcoscenico artistico di Roma, non si trova coinvolto per commissioni rilevanti nessuno degli artisti di primo piano, ai quali negli stessi anni era
282
19. Guido Reni, Ascesa al cielo, affresco, 1608, Palazzo Apostolico Vaticano, Sala delle Dame, volta.
20. Palazzo Apostolico Vaticano, Torre Borgia, Cappella di Urbano VIII, volta con stemmi barberiniani e Scene della Passione di Alessandro e Anna Maria Vaiani, 1631-1632, insieme.
stata invece affidata di volta in volta dai diversi pontefici la decorazione delle proprie dimore di famiglia. Illustra bene questa dinamica l’unica commissione vaticana, alla quale fu chiamato Pietro da Cortona che, ampiamente impiegato dai Barberini nel Palazzo alle Quattro Fontane, realizzò invece nel complesso palaziale accanto a S. Pietro solo un affresco parietale all’interno del piccolo sacello, con pianta quadrata e copertura a volta, contiguo alla Stanza dell’Incendio di Borgo, ancora oggi indicato con il nome del suo committente: la Cappella di Urbano VIII. Sovraintesi da Luigi Arrigucci, i lavori di riadattamento architettonico del sacello ebbero luogo tra la fine del 1630 e per tutto il 1631, al termine dei quali gli affreschi della volta furono commissionati ad Alessandro Vaiani e alla figlia Anna Maria, che li portarono a termine entro il 1632, realizzando quattro scene della Passione di Cristo, tra Angeli con gli arma Christi e stucchi dorati, iteranti a ogni angolo dello stemma pontificio Barberini. Fin dal 1631 il piccolo ambiente venne provvisto di un altare ligneo, sul
quale nel 1632 fu collocata una pala con un Compianto sul Cristo morto, a olio su tela (oggi nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo), sempre realizzata dai Vaiani su apposita commissione di Urbano VIII. Fu solo a lavori ultimati, che nel 1635 venne coinvolto Pietro da Cortona, incaricato dal papa di realizzare, in sostituzione della tela dei Vaiani, l’affresco tuttora visibile nella parete sud della cappella. Incorniciata da un arcone ornato di stucchi bianchi e oro, l’opera mostra un soggetto iconografico identico rispetto a quello di poco precedente, ovvero un Compianto con la Madonna, Maria Maddalena, san Giovanni e Nicodemo12. I motivi che portarono a questo repentino aggiornamento non sono chiari; è possibile però supporre delle interferenze con una commissione affine che negli stessi anni era appena stata portata a termine proprio nel Palazzo alle Quattro Fontane dei Barberini: la decorazione di una cappella, a opera di Pietro da Cortona e della sua bottega, poco prima che all’artista toscano venisse richiesto l’impegno assai più cospicuo del Salone. Anch’essa
10 (5) 21
20
21. Pietro da Cortona, Compianto sul Cristo morto, affresco, 1635. Palazzo Apostolico Vaticano, Torre Borgia, Cappella di Urbano VIII.
283
22. Palazzo Apostolico Vaticano, Scala Segreta di Urbano VIII, 1627, particolare. 23. Palazzo Apostolico Vaticano, Galleria delle Carte Geografiche, Portone meridionale con lo Stemma di Gregorio XIII e lo Stemma di Urbano VIII, 1630-1635 ca.
10 (5)
di piccole dimensioni, la cappella barberiniana presenta chiare tangenze con quella in Vaticano, fin dalla scelta di raffigurare nella cupola Putti con gli arma Christi. Inoltre, già conclusa nel 1632, venne provvista sull’altare di un affresco raffigurante la Crocifissione, secondo una soluzione (un’opera ad affresco al posto di una pala d’altare ad olio su tela) che dovette sembrare a Urbano VIII ben spendibile anche nella nuova cappella vaticana, per quanto appena conclusa13. D’altra parte, la stretta affinità che caratterizzava originariamente i due ambienti è un dato oggi difficilmente percepibile, soprattutto a causa di alcuni interventi strutturali post-settecenteschi occorsi in Vaticano. Almeno fino alla seconda metà del XVIII secolo, infatti, l’accesso al sacello urbaniano (oggi dalla Stanza dell’Incendio di Borgo) era collocato davanti all’affresco cortonesco, proprio come in Palazzo Barberini è ancora posto davanti all’altare con la Crocifissione; e il passaggio tra la cappella vaticana e quella che successivamente sarebbe diventata a metà Ottocento la Sala dell’Immacolata Concezione, oggi murato, era stato sottolineato già nel 1630 da un sontuoso portale marmoreo recante lo stemma pontificio di Urbano VIII, ricordato dalle fonti14. Per quanto venisse “nobilitata” in extremis dall’intervento di Pietro da Cortona, e per quanto il suo affresco, considerando l’originaria sistemazione degli accessi, avesse davvero finito per connotare significativamente l’ambiente, assai più di quanto è concesso ora percepire, rimane il fatto che
284
24. Simone Lagi e Marco Tullio Montagna, Galleria delle Carte Geografiche, Passaggio delle Corna, Palazzo del Quirinale, affresco, 1635-1637 ca.
25. Ape urbaniana, affresco, 1630-1635 ca., Palazzo Apostolico Vaticano, Galleria delle Carte Geografiche, particolare. 26. Forte Urbano, affresco, 1630-1635 ca. Palazzo Apostolico Vaticano, Galleria delle Carte Geografiche.
27. Simone Lagi e Marco Tullio Montagna, Armeria di Urbano VIII in Vaticano, Passaggio delle Corna, Palazzo del Quirinale, affresco, 1635-1637 ca.
il papa Barberini, per la cappella segreta che fece aprire accanto alle celebri (e visitatissime già nel Seicento) Stanze di Raffaello, aveva preferito avvalersi inizialmente di due figure “secondarie” nel panorama artistico cittadino (per quanto gravitanti nell’orbita delle committenze di famiglia), piuttosto che del pittore, al quale avrebbe presto dato incarico di celebrare il proprio pontificato nella volta con la Divina provvidenza di Palazzo Barberini. Se ancora a metà secolo, in una lettera a Cristina di Svezia, che mai aveva visto Roma, Paolo Giordano II Orsini riteneva opportuno specificare in relazione al luogo dove si trovava la volta con le Storie di Enea affrescata dal Berrettini: «la galleria del palazzo del papa [Palazzo Pamphilj in Piazza Navona], non già del pontificio»15, è evidente come l’investimento, diretto o indiretto, dei papi sulle proprie dimore di famiglia sia un fenomeno che nel Seicento si pone di contrappeso rispetto alla totale mancanza da parte loro di tentativi per appropriarsi invece in chiave “personalistica” della residenza vaticana: solo per papa Borghese, ad esempio, le fonti seicentesche (come Bellori) adottano la formula di «nuovo appartamento edificato da Paolo quinto»16, con riferimento al corpo di fabbrica accanto alla Salita del Forno, ma né Urbano VIII, né Innocenzo X, né Alessandro VII crearono propri “appartamenti” in Vaticano. Preziosa appendice del Corridoio di ponente protesa verso i giardini, l’ala borghesiana era stata innalzata per consentire al papa di raggiungere gli orti vaticani con più
285
10 (6)
7
28. Simone Lagi e Marco Tullio Montagna, Girandola di Castel Sant’Angelo, 1637 ca., Palazzo Apostolico Vaticano, Appartamento di Giulio III.
17, 18
16, 19
comodità, e la cura particolarissima di Paolo V nei suoi confronti venne confermata dalla scelta del pittore, al quale fu affidata la decorazione di due sale sovrapposte al suo interno: Guido Reni che, già entrato nelle grazie della famiglia, nel 1608 affrescò nel primo piano tre episodi veterotestamentari (Gesta di Sansone) e nel secondo (lo stesso delle Stanze di Raffaello e della Galleria delle Carte Geografiche) tre scene neotestamentarie, ovvero la Trasfigurazione, la Pentecoste e l’Ascensione17. Impiegato a Roma anche in altre prestigiose commissioni paoline, l’artista bolognese non venne invece coinvolto nella decorazione dell’Appartamento papale di rappresentanza all’interno del palazzo sistino, in corso negli anni in cui
286
A fronte: 29. Simone Lagi e Marco Tullio Montagna, Medaglione con la Chiusura della Porta Santa, 1637 ca., Palazzo Apostolico Vaticano, Appartamento di Giulio III.
era impiegato in Vaticano: forse, proprio per il carattere particolare che questi ambienti erano chiamati ad assolvere. Affidando a Domenico Fontana l’erezione di un nuovo sontuoso palazzo, affacciato su piazza S. Pietro, Sisto V aveva cercato di risolvere una situazione che si era protratta per l’arco di tutto il Cinquecento e che di fatto aveva scandito i ritmi edilizi del complesso pontificio: il continuo mutare degli appartamenti papali al suo interno, dall’ala nord del palazzo «vecchio» (Appartamento Borgia e Stanze di Raffaello) al Corridoio orientale (Appartamento di Giulio III), dalla Torre Pia (Appartamento di Pio V) al corpo di fabbrica innalzato
30. Simone Lagi e Marco Tullio Montagna, Medaglione con Castel Sant’Angelo, 1637 ca., Palazzo Apostolico Vaticano, Appartamento di Giulio III.
13
2
Alle pagine seguenti: 31. Palazzo Apostolico Vaticano, Galleria della Contessa Matilde, volta con affreschi di Giovanni Francesco Romanelli, 1637-1642.
da Gregorio XIII (Appartamento della “Bologna”). Istituzionale e “post-tridentino”, l’Appartamento papale di rappresentanza, collocato all’interno del palazzo a cui aveva dato il via Sisto V, ma allestito solo a partire da Clemente VIII, divenne la sede per una decorazione di maniera e stilisticamente non individualizzata, secondo una regia alla quale si attennero senza deroghe tanto Paolo V quanto Urbano VIII, che commissionando all’inizio del suo pontificato ad Agostino Ciampelli la decorazione della volta di una piccola cappella segreta posta al suo interno, portò di fatto a compimento i lavori. Giocata sulla seriale ripetizione da una stanza all’altra di fregi con paesaggi, all’interno dei quali l’elemento araldico non oltrepassava la valenza di una mera registrazione storica del committente dell’impresa pittorica, la decorazione priva di individualismi espressivi di questi ambienti fu di fatto funzionale a rispondere dell’assoluta mancanza di declinazioni personali del destinatario dell’appartamento: non un papa specifico, ma il pontefice in quanto tale18. E fu proprio nei confronti di queste prassi di committenza vaticane, in linea peraltro con quanto già sperimentato all’interno dei precedenti cantieri sistini, che i giudizi tardoseicenteschi si dimostrarono particolarmente severi, rilevando l’assoluta estraneità di queste imprese decorative al rinnovamento della pittura italiana in atto alla fine del Cinquecento, e amplificandone la svalutazione storica alla luce della più recente constatazione, che nel corso del XVII secolo nel palazzo pontificio non erano comunque state avviate imprese artistiche di alto rilievo. Esemplare è il giudizio espresso da Chantelou a Bernini, durante il soggiorno parigino dello scultore: Annibale Carracci era stato pagato poco per «son ouvrage de la galerie de Farnèse, qui est sans doute le plus beau qui soit à Rome après ceux de Raphaël […], sans parler de l’injure qui lui fut faite, préférant à lui, qui a été incomparable, des barbouilleurs [imbrattatele], quand il fut question de peindre la salle à qui Clément VIII a donné son nom»19. Appositamente costruita da papa Aldobrandini, che fece unificare due ambienti del palazzo sistino per creare un’ampia sala di rappresentanza all’inizio del nuovo appartamento papale, la Clementina venne affrescata da Cherubino e Giovanni Alberti tra il 1596 e il 160120, ovvero proprio negli anni in cui Annibale dava inizio ai lavori in Palazzo Farnese, scegliendo una via di segno opposto sia rispetto al virtuosistico illusionismo di architetture dipinte della sala vaticana, sia rispetto al lessico codificato (da Ripa) della sua decorazione parietale. Celebrati ancora nel 1642 dallo stesso Bellori nella composizione poetica
287
10 (17), 53 12
14, 15
10 (14), 11
32. Giovanni Francesco Romanelli, L’incontro alla presenza di Urbano II tra Matilde e sant’Anselmo da Canterbury, affresco, 1637-1642, Palazzo Apostolico Vaticano, Galleria della Contessa Matilde, affresco parietale.
preposta alla Vite di Giovanni Baglione («dal Borgo hor mira l’uno e l’altro Alberto, | il cui finto prospetto il ver confonde»)21, gli Alberti non trovarono (e così la Clementina) spazio nemmeno per una fugace menzione nelle Vite pubblicate trent’anni dopo dall’erudito, che proprio in Annibale Carracci, erede spirituale di Raffaello, aveva ormai individuato il campione della rinascita della pittura in Italia, dopo gli esiti del tardomanierismo romano. La mancanza di significative imprese decorative all’interno del complesso palaziale vaticano nel Seicento va infine considerata anche alla luce delle mutate abitudini residenziali dei pontefici, già chiaramente delineate all’inizio del secolo. Scelto come definitiva sede a discapito del Laterano solo dopo la fine dello Scisma d’Occidente, nel corso del medio e tardo Quattrocento e per tutto il Cinquecento il Vaticano era stato più volte “abbandonato” dai papi per brevi soste stagionali a favore di altre dimore tanto urbane (ad esempio Palazzo S. Marco) quanto extraurbane, che peraltro non avevano mai minato l’indiscussa autorità del palazzo accanto a S. Pietro. Già dalla fine del Cinquecento, invece, l’importanza di una di
290
33. Giovanni Francesco Romanelli, La battaglia di Sorbara, affresco, 1637-1642, Palazzo Apostolico Vaticano, Galleria della Contessa Matilde, volta.
queste «vigne» private prestate allo svago estivo dei papi, posta sul Quirinale, crebbe a tal punto da innescare, per l’arco di quasi tre secoli (fino al 20 settembre 1870) addirittura un vero e proprio bilinguismo “residenziale”, più spesso sbilanciato a vantaggio della nuova sede, abitata dai pontefici nei mesi estivi e autunnali, che del Vaticano, dove il papa risiedeva soprattutto in inverno. Portato grosso modo a compimento durante il regno di Paolo V per essere un funzionante palazzo pontificio dotato di una cappella delle dimensioni della Sistina (la Cappella Paolina), di una Sala Regia (l’attuale Sala dei Corazzieri), di ambienti privati per il pontefice e di locali occupati da selezionati uffici, tra i quali la Dataria, il Quirinale, fortificato da Urbano VIII e ulteriormente ingrandito e decorato da Alessandro VII, dimostrò l’importanza rivestita agli occhi dei pontefici del Seicento anche per la qualità delle committenze di cui fu oggetto, affidate tanto ad allievi di Annibale Carracci (come Guidi Reni e Giovanni Lanfranco), quanto a Bernini, quanto infine a Pietro da Cortona, questa volta coinvolto per interventi tutt’altro che marginali e decisamente qualificanti la decorazione dell’edificio (Galleria di
34. Gian Lorenzo Bernini e collaboratori, Monumento della Contessa Matilde, S. Pietro, Roma, 1633-1644 ca.
20
Alessandro VII)22. Pur non perdendo la sua prerogativa di prima sede pontificia, il complesso palaziale presso S. Pietro divenne dunque dall’inizio del XVII secolo de facto parte di un più ampio sistema di residenze, completato sotto il regno di Urbano VIII con il Palazzo di Castel Gandolfo, sede della villeggiatura estiva dei pontefici23. L’impressione di trovarsi dinnanzi durante il Seicento a un unico corpo residenziale, ripartito in tre sedi distinte (Vaticano, Quirinale e Castel Gandolfo), ma organico e coerente, anche a prescindere dalle declinazioni e preferenze dei singoli pontefici, è confermata considerando non solo che la loro amministrazione era affidata a un’unica figura curiale, ovvero il prefetto o maggiordomo dei Sacri Palazzi24, ma anche che le maestranze stabilmente impiegate al loro interno erano spesso assolutamente le stesse, con il risultato che da un edificio all’altro non mancarono in più casi echi tanto stilistici, quanto iconografici, quanto di ornato: come per la Cappella di Urbano VIII in Vaticano, i cui stucchi bianchi e oro del soffitto riproponevano in affini partiture quelli da poco realizzati nel piccolo sacello segreto commissionato nel 1627 dal pontefice a Castel Gandolfo. Entrambi gli interventi
35. Palazzo Apostolico Vaticano, Galleria della Contessa Matilde, 1637-1642, volta, particolare.
vennero eseguiti da Simone Lagi, un pittore-indoratore di origine fiorentina che, indicato nei conti di pagamento come «pittore di palazzo», venne attivamente impiegato da papa Barberini tanto nelle tre residenze pontificie quanto nel Palazzo di famiglia alle Quattro Fontane. Trascurato dalla letteratura artistica seicentesca, che stentò a ricordarne persino il nome, ma attivamente impegnato, come dimostrano le fonti manoscritte, in prestigiose istituzioni artistiche cittadine quale l’Accademia di San Luca, e a capo di una bottega assai fiorente e diversificata al suo interno, a Lagi e ai suoi “compagni” (Marco Tullio Montagna, in primis) vennero commissionati in Vaticano innumerevoli interventi tanto di decorazione quanto di pulitura e restauro di cicli preesistenti, tra i quali innanzitutto quello che rappresentò di certo uno degli interventi “barocchi” più cospicui promossi durante il pontificato di Urbano VIII nel palazzo presso S. Pietro: l’integrale rinnovo della Galleria delle Carte Geografiche25. Commissionato, costruito e decorato a ritmi serrati da Gregorio XIII, l’ambulacro, dalla fine del Cinquecento uno degli ambienti più prestigiosi del complesso vaticano, aveva subìto un rapidissimo deterioramento. La terrazza ba-
291
36. Guidobaldo Abbatini, Ingresso di Carlo Magno a Roma (con la raffigurazione del Palazzo Sistino e della Porta Horaria), affresco, 1635-1637 ca., Palazzo Apostolico Vaticano, Sala di Carlo Magno, Appartamento di Giulio III. 37. Palazzo Apostolico Vaticano, Sala di Carlo Magno, Appartamento di Giulio III.
24
23 25
laustrata, che papa Boncompagni aveva voluto a copertura della volta a botte della Galleria per funzionare come elegante «passeggiata scoperta», non aveva sufficientemente tutelato l’ambiente sottostante dalle infiltrazioni d’acqua, con grave danno per gli affreschi e per gli stucchi. Urbano VIII patrocinò un intervento radicale, facendo innanzitutto costruire un controsoffitto sopra la volta e cogliendo l’occasione non solo per restituire le preesistenti decorazioni, ma soprattutto per rinnovarle e aggiornarle in più parti, celebrando infine il proprio operato in una sontuosa targa marmorea sormontata dal suo stemma pontificio nell’entrata a sud, sotto l’imponente drago Boncompagni. I numerosissimi richiami araldici barberiniani (le api) diffusi in tutti i registri della decorazione, dagli sguinci delle finestre agli stucchi dorati della volta, dalle cornici delle geografie agli affreschi al loro interno, confermano
292
A fronte: 38. Guidobaldo Abbatini e bottega, Angelo che indica a Carlo Magno le reliquie di un santo, affresco, 1635-1637 ca., Palazzo Apostolico Vaticano, Sala di Carlo Magno, Appartamento di Giulio III, fregio. 39. Guidobaldo Abbatini e bottega, Incoronazione del figlio di Carlo Magno, affresco, 1635-1637 ca., Palazzo Apostolico Vaticano, Sala di Carlo Magno, Appartamento di Giulio III, fregio.
26
il carattere fortemente invasivo dell’intervento urbaniano che, scandito secondo il programma iconografico stilato appositamente da Lukas Holste, procedette, oltre che al recupero di alcuni brani pittorici deteriorati, nei quali Lagi diede prova di abilissime capacità mimetiche, addirittura al rifacimento ex novo e integrale di diverse tavole parietali (tra queste l’Italia antiqua, l’Italia nova, Civitavecchia e Ancona), alla riscrittura di un’ingente quantità di targhe e toponimi, all’introduzione di nuove piante (come, nel Territorio bolognese, il Forte Urbano, la nuova fortezza emiliana fatta costruire dal papa Barberini), e all’aggiornamento politico di alcune geografie (ad esempio Urbino, il cui Ducato era stato devoluto alla Chiesa nel 1631)26. I lavori procedettero incessantemente dal 1631 al 1637, ovvero nello stesso arco di anni nei quali Simone Lagi e Marco Tullio Montagna, entrambi coinvolti nel
restauro vaticano, stavano completando in Quirinale due cicli con vedute e imprese architettoniche barberiniane realizzate ad affresco per un corridoio, quindi fortemente rimaneggiato, dell’ala occidentale del palazzo (oggi Sala d’Ercole), e per il cosiddetto Passeggetto di Urbano VIII, secondo una regia peraltro adottata nello stesso palazzo una ventina d’anni prima da papa Borghese all’interno della Sala delle Fabbriche di Paolo V. In parte ancora in situ, in parte strappati, gli affreschi urbaniani non solo in più casi proposero soggetti iconografici condivisi con la Galleria vaticana (tra i quali l’immagine di Civitavecchia e Ancona), ma soprattutto ne riprodussero un eloquentissimo spaccato, in grado di attestare contemporaneamente tanto l’intervento strutturale sul controsoffitto, quanto quello decorativo più cospicuo che vi era stato condotto (l’immagine dell’Italia nova affiancata dalla tavola con
293
VATICANO BAROCCO
A fronte: 40. Palazzo Apostolico Vaticano, Cortile di San Damaso, edicola con la fontana di Alessandro Algardi.
24
27
294
Civitavecchia) accanto all’accesso principale della Galleria, già sormontato nell’affresco dallo stemma di Urbano VIII27. Tra i soggetti scelti per la decorazione del Quirinale Lagi e Montagna rappresentarono anche l’accesso principale della nuova Armeria Vaticana. La vicenda dell’Armeria allestita da Urbano VIII all’interno del Vaticano rimane ancora oggi uno degli episodi meno noti della (in generale) scarsamente indagata storia sei-settecentesca del complesso pontificio: smantellata nel corso dell’Ottocento, poche sono le notizie sulla sua estensione nel Palazzo, che di certo doveva coinvolgere gli ambienti al primo piano del braccio sistino in Belvedere, sotto il Salone, per poi dipanarsi lungo il corridoio di levante sino a lambire addirittura locali prossimi al Cortile di S. Damaso. Ambiente di rappresentanza non meno di una galleria di pittura, celebrato in toni encomiastici tanto nella medaglistica barberiniana quanto in diversi tributi poetici contemporanei rivolti al pontefice, l’Armeria venne decorata (almeno in alcuni dei suoi spazi) da Lagi e Montagna, che vi raffigurarono anche il Forte Urbano e Civitavecchia, illustrati negli stessi anni pure all’interno della Galleria delle
41. Alessandro Algardi, Papa Liberio battezza i neofiti, marmo, Palazzo Apostolico Vaticano, Cortile di San Damaso, Fontana, 1647 ca.
Carte Geografiche: un ulteriore indizio, a questa altezza cronologica, della circolarità delle committenze pontificie e dell’impossibilità di leggerle nel contesto di un solo edificio, prescindendo dall’articolato sistema all’interno del quale le tre residenze ormai si trovavano inserite28. Comprendere, d’altra parte, il ruolo precipuo che assunse il Palazzo Vaticano all’interno di questo nuovo sistema, è ugualmente necessario. E se si considera che, a maggior ragione a un confronto con il Quirinale, era la Biblioteca Apostolica Vaticana a confermarsi come uno dei principali elementi di “caratterizzazione” del complesso palaziale accanto a S. Pietro, non sorprende che si possa registrare un’assoluta continuità nelle imprese architettoniche e decorative che vennero condotte da un pontificato all’altro durante il Seicento e nella prima metà del Settecento per ampliarne e ammodernarne le sale e le gallerie. Una “vitalità” di fatto non registrabile nello sviluppo di alcun’altra valenza né schiettamente residenziale, né di rappresentanza, né liturgica, assunta in questo arco di tempo dal palazzo, che comportò proprio a partire dalla fine
295
VATICANO BAROCCO
VATICANO BAROCCO
42. Scala regia, in Filippo Buonanni, Numismata Summorum Pontificum, Roma 1696, tav. 82. A fronte: 43. Palazzo Apostolico Vaticano, Scala Regia.
61 52, 58
del Cinquecento un’espansione serrata della Biblioteca lungo il Corridoio occidentale, dove, provenendo ancora adesso dalla Torre Pia, si incontrano al secondo piano in successione ambienti tutti rifunzionalizzati o costruiti ex novo a partire dal pontificato di Sisto V fino a quello di Benedetto XIV Lambertini (1740-1758): il Museo Sacro (inaugurato dal papa nel 1756), la Galleria di Urbano VIII (allestita già nel 1624 e quindi decorata sotto Alessandro VII e Benedetto XIV, le due Sale Sistine e il Salone, proteso nel braccio trasversale del Belvedere, le due Sale Paoline (fatte affrescare da papa Borghese nel 1611 da una équipe di artisti sotto la guida di Giovanni Battista Ricci), la Sala Alessandrina (voluta da Alessandro VIII Ottoboni, che nel 1690 fece murare le prime cinque arcate aperte sull’attuale Cortile della Pigna, ma decorata solo all’inizio dell’Ottocento) e infine la vastissima Galleria Clementina, ottenuta nel 1732 da Clemente XII Corsini (1730-1740) chiudendo le ultime otto arcate del Corridoio di ponente verso il Nicchione, e quindi frazionata a fine Settecento in cinque piccole sale, ancora oggi visibili nel percorso museale29.
296
Determinati dai progressivi incrementi del patrimonio librario pontificio, questi aggiornamenti edilizi e decorativi rimarcavano nel Palazzo la presenza della Biblioteca, nei confronti della quale però il contemporaneo apprezzamento, almeno nel giudizio di Bellori, non era circoscritto solo alle più recenti acquisizioni, quanto soprattutto alla sua capacità di rispecchiare, come nessun’altra istituzione pontificia a questa altezza cronologica, le intere vicende del papato: dall’Antichità, quando «santo Hilaro papa ne instituì due nel Palazzo Laterano, chiamate Armamentario della Chiesa Romana», al Medioevo («le quali da Clemente V furono trasportate in Avignone»), fino all’Umanesimo («Martino V, che a Roma le riportò, collocandole nel Vaticano […], Nicolò V l’aricchì di ottimi manoscritti») e così avanti, fino a superare i danni del Sacco di Roma e vedere trionfare la Controriforma con Sisto V, che «sopra la magnificenza de’ suoi predecessori, la perfettionò et la collocò in Belvedere, dove hoggi si vede, aggiungendo il braccio che attraversa il grand’atrio del palazzo, dove si solevano fare gli spettacoli»30. La Biblioteca offriva una testimonianza tangibile della continuità storica dell’istitu-
3
297
44. Scala regia, in Filippo Buonanni, Numismata Summorum Pontificum, Roma 1696, tav. 83, particolare del pianerottolo con una delle due porte intagliate.
45. Scala Regia, ingresso alla Sala Regia con stemma chigiano.
zione pontificia, e dunque, di riflesso, così anche il palazzo che l’ospitava. All’interno del nuovo sistema profilatosi all’inizio del Seicento, il Palazzo Vaticano assumeva però un ruolo precipuo, oltre che per la presenza della Biblioteca, anche per altri determinanti motivi. Giustificato adducendo innanzitutto motivazioni “climatiche”, il nuovo “bilinguismo” residenziale pontificio tra Vaticano e Quirinale risultava di fatto scandito abbastanza chiaramente da esigenze liturgiche (la necessità di restare accanto a S. Pietro tra Natale e Pasqua) e da necessità politico-amministrative. Centrale rispetto al riassetto urbanistico promosso da Sisto V, contiguo all’«habitato» (ormai dilatatosi dall’ansa del Tevere verso il rione Trevi) e vicino alle sedi sparse in città, dove si svolgevano le attività delle congregazioni rafforzate da papa Peretti, nonché alle principali dimore di famiglia dei suoi diversi successori (da Villa Borghese al Casino Ludo-
visi, da Palazzo Barberini a Palazzo Pamphilj), il Quirinale permetteva ai papi di esercitare un controllo più diretto su Roma e di gestire meglio i nuovi centri del potere. In altri termini, a partire dal Seicento, in un momento in cui i concistori servivano ormai più a ratificare decisioni prese altrove che a promuoverle, e i rapporti tra la curia e il papa venivano sistematicamente mediati dalla figura (di fatto istituzionale) del cardinal nepote, il “sovrano pontefice” trovò un’equa soluzione nell’amministrare dal Quirinale il suo Stato e nel guidare dal Vaticano la Chiesa universale31. Questo ruolo distinto, attribuito all’interno di un sistema coerente alle due principali residenze pontificie, non comportò, come si è visto, una regia iconografica diversificata nei cicli decorativi che vennero condotti al loro interno, ma di certo spiega perché, proprio a partire dall’inizio del Seicento, gli interventi portati a termine in Vaticano furono innanzitutto tesi, come mai era successo
298
46. Scala Regia, rampa superiore. 47. Scala Regia, rampa inferiore.
48. Paolo Naldini e altri, Putti, stucco, 1665, Palazzo Apostolico Vaticano, Scala Regia, pianerottolo, volta. 49. Paolo Naldini e altri, Putto, stucco, 1665. Palazzo Apostolico Vaticano, Scala Regia, pianerottolo, volta.
299
VATICANO BAROCCO
4, 6
9
nei due secoli precedenti, a rafforzare il rapporto prima (e la dipendenza poi) del complesso palaziale con la vicina basilica, sia in senso strettamente architettonico, sia in senso più ampiamente storico e simbolico. In altri termini, seppure non si possa parlare di un trionfo del “barocco’”all’interno del Palazzo Vaticano, secondo quelle stesse modalità stilistiche per le quali è da intendersi nello stesso arco cronologico per la vicina S. Pietro, mai prima, come in questo secolo, l’edificio residenziale cercò un effettivo dialogo con quello religioso, finendo così per essere inglobato all’interno di un sistema di basilica, piazza e palazzo che ancora oggi si percepisce come unitario. Se all’inizio del Cinquecento il pontefice guardava dal proprio appartamento nobile verso il Belvedere (dalle Stanze di Raffaello) e verso Roma (dalle Logge), di fatto volgendo in entrambi i casi le spalle alla basilica, fin dalla fine del Cinquecento il palazzo sistino e gli ambienti papali di rappresentanza al suo interno non solo consentivano al pontefice di osservare la basilica e
300
50. Palazzo Apostolico Vaticano, Sala Ducale.
la piazza, ma addirittura le elevarono a fulcri privilegiati delle sue visuali, quando risiedeva in Vaticano, tanto più che secondo Filippo Baldinucci persino Bernini «nell’ordinare questa gran fabbrica [il Colonnato] volle valersi della forma ovata, discostandosi in ciò dal disegno di Michelangelo, e questo fece a fine di avvicinarsi al Palazzo Apostolico, e così meno impedire la veduta della piazza dalla parte del palazzo fabbricato da Sisto V»32. Favorì questo nuovo dialogo tra palazzo e basilica anche il completamento della cupola di S. Pietro, dal momento che, con la sua spiccata sopraelevazione, questa permetteva di percepire la presenza della vicina basilica anche in zone del complesso palaziale, dove prima era impossibile. D’altra parte, verso la cupola (della quale era appena stata riavviata la costruzione) venne orientato l’affaccio principale del Salone Sistino, nel braccio trasversale in Belvedere, così come, dopo che sotto Clemente VIII la sua calotta esterna era stata portata a compimento, quello delle due sale affrescate da Reni all’interno dell’ala di Pao-
51. Gian Lorenzo Bernini (su disegno di) e Antonio Raggi, Cortina con drappo, 1656-57 (con interventi successivi), Palazzo Apostolico Vaticano, Sala Ducale.
1
5
lo V: protesa verso i giardini e le fontane fatte costruire da papa Borghese, l’ala veniva di fatto impreziosita anche da questa visuale di grande impatto sull’abside della basilica ormai conclusa e sulla sua imponente cupola. A riconsiderare i cicli decorativi realizzati all’interno del complesso vaticano durante il regno di Urbano VIII, ovvero gli ultimi interventi cospicui condottivi fino alla metà del Settecento, la ricerca di un dialogo iconografico e programmatico con quanto stava succedendo nella basilica appare inequivocabile. A Maffeo Barberini, papa neorinascimentale che amò risiedere più in Vaticano che in Quirinale, spetta il merito di aver cercato una soluzione, innanzitutto dall’interno, alla “disorganicità” che aveva generato l’intervento sistino, così almeno come era stata percepita dai suoi contemporanei. Con minimi provvedimenti strutturali e con una significativa serie di commissioni decorative, il papa cercò di ovviare alla soluzione di continuità tra il nuovo appartamento nobile e gli ambienti di rappresentanza che si trovavano nel cosiddetto «palazzo
IL PALAZZO APOSTOLICO VATICANO
vecchio» (le Stanze di Raffaello), riuscendo quindi anche a rifunzionalizzare altri ambienti nelle prossimità di quello che doveva infine configurarsi come un percorso unitario, adatto alle esigenze del cerimoniale e carico di nuove valenze simboliche, dall’edificio sistino fino alla Galleria delle Carte Geografiche. È in questo contesto che si collocano sia la commissione della nuova cappella accanto alla Stanza dell’Incendio di Borgo, sia la decorazione, affidata interamente a Simone Lagi, della scaletta vicino al Cubiculo di Giulio II, dove si trova una bussola che risale non a caso al pontificato barberiniano, sia gli affreschi condotti dallo stesso pittore insieme a Marco Tullio Montagna in tre stanzette dell’Appartamento di Giulio III, dove venne raffigurata in elegantissimi medaglioni dipinti la serie metallica urbaniana, sia infine lo stesso restauro dell’ambulacro di papa Boncompagni33. L’obiettivo venne però portato a termine dall’energico Urbano VIII innanzitutto facendo voltare a botte già nel 1631 un piccolo spazio scoperto nel braccio gregoriano che, così trasformato in una funzionale
301
10
22
10 (9), 28-30
VATICANO BAROCCO
31 10 (10)
32, 33 34, 35
55
galleriola, consentì finalmente al papa di passare dall’edificio sistino a quello più antico, senza dover uscire nelle Logge. Quando si trattò quindi di scegliere il programma decorativo per gli affreschi della nuova galleria, realizzati tra il 1637 e il 1642 da Giovanni Francesco Romanelli, la scelta cadde sulle vicende della contessa Matilde, il cui sepolcro era in corso di realizzazione negli stessi anni da parte di Bernini all’interno di S. Pietro34. Se sono proprio le fonti biografiche berniniane a illuminare sui motivi personali («una profonda venerazione») e d’occasione (il recente trasporto a Roma delle ceneri della contessa dal monastero di San Benedetto Po presso Mantova) che spinsero papa Barberini a celebrare così sontuosamente «quella degna benefattrice» in S. Pietro35, il ciclo vaticano risulta d’altra parte tutt’altro che un episodio di committenza “personalistica” all’interno del palazzo, e merita di essere contestualizzato alla luce di coordinate più ampie. Innanzitutto, Urbano VIII dimostra anche in un’altra situazione di voler sviluppare un programma affine in basilica e nel palazzo, quando commissiona, sempre a Romanelli, l’affresco centrale della volta nella Galleria delle Carte Geografiche: non è stato appurato se la scelta
302
53. Palazzo Apostolico Vaticano, Appartamento Papale di Rappresentanza, Cappella segreta di Urbano VIII, volta con riquadri ad affresco di Agostino Ciampelli e stucchi dorati con stemmi chigiani, 1624-1667.
52. Stemma e targa di Alessandro VII, Palazzo Apostolico Vaticano, Biblioteca Vaticana, Galleria di Urbano VIII.
iconografica del Pasce oves meas sia stata suggerita dalla precedente decorazione gregoriana, ma è significativo che lo stesso tema venisse richiesto a Bernini nel 1633 per un altorilievo destinato all’atrio vaticano36. Bisogna quindi rilevare come nella Galleria della Contessa Matilde vennero celebrate non tanto le sue vicende strettamente biografiche, quanto gli episodi storici di maggior rilievo che la videro protagonista, sia nei termini di un confronto con l’Impero, sia in quelli di un incondizionato sostegno alla Chiesa. Tutt’altro che un tassello isolato, questa attenzione “storica”, e specificatamente di storia del papato, venne privilegiata anche nella decorazione di un secondo ampio ambiente, posto tra quello affrescato da Romanelli e la Sala di Costantino, creato da papa Barberini unificando due stanze all’inizio dell’Appartamento di Giulio III: la Sala di Carlo Magno, la cui decorazione fu affidata a un’équipe di pittori diretti da Guidobaldo Abbatini tra il 1635 e il 1637. La lettura del ciclo urbaniano al suo interno è oggi compromessa dall’intervento che intorno al 1768 vi venne condotto sotto Clemente XIII, resta però innegabile che, nella loro valenza programmatica, i due nuovi ambienti barberiniani, attraversando i quali il pontefice raggiungeva le Stanze di Raffaello, non solo si accordavano per registro storico con il primo di quegli ambienti cinquecenteschi, ovvero la Sala di Costantino, ma soprattutto in questo modo finivano per celebrare congiuntamente i tre più importanti patrocinatori premoderni del papato, come di fatto in S. Pietro sarebbe avvenuto solo nel 1725 quando, portato a compimento intorno al 1670 il Costantino di Bernini, originariamente pensato per essere collocato all’interno della basilica a pendant del Sepolcro di Matilde, gli venne posto innanzi nell’atrio vaticano il colosso marmoreo del Carlo Magno scolpito da Agostino Cornacchini37. L’attenzione alle origini tardoantiche e medievali del papato che emerge da questi due cicli barberiniani è un elemento che deve essere sottolineato, non perché in ambienti cinquecenteschi del palazzo ancora pienamente in uso durante il XVII secolo come la Sala Regia, una tale attenzione non fosse già emersa, ma proprio perché la sua importanza, dopo il pontificato sistino, sembra destinata ad assumere all’interno del Vaticano un peso di segno decisamente maggiore. Con il radicale rinnovamento affidato a Domenico Fontana del Palazzo del Laterano e dell’area ad esso adiacente, a seguito del quale vennero distrutte gran parte delle testimonianze antiche e medievali sopravvissute ancora fino al tardo Cinquecento a memoria della prima sede pontificia a Roma, nel Seicento, ovvero in un momento in cui, rilanciata anche dal pontificato bar-
IL PALAZZO APOSTOLICO VATICANO
32, 33
10 (8) 36-39
34
303
VATICANO BAROCCO
40 41
10 (1)
beriniano, l’attenzione per l’archeologia cristiana crebbe enormemente, il Palazzo Vaticano si trovò quasi in modo paradossale a farsi carico di un passato che di molto oltrepassava la data della sua prima fondazione, fino addirittura a ricoprirsi di un’artificiale patina “tardoantica”. Esemplare è, da questo punto di vista, uno dei pochissimi interventi pamphiliani all’interno del complesso vaticano presso S. Pietro: la commissione ad Alessandro Algardi di una fontana, nella cui fronte lo scultore raffigurò Papa Liberio che con l’aiuto di san Damaso battezza i neofiti. Il tema era stato suggerito dall’identificazione della sorgente impiegata nella fontana seicentesca con quella che il santo aveva scoperto in Vaticano e incanalato per alimentare un fonte battesimale vicino alla basilica costantinana: carica di un evidente valore simbolico, l’operazione fu coronata da pieno successo, se solo si riflette che ancora adesso è indicato con il nome di Cortile di San Damaso il cortile dove si trova la fontana di Algardi, ovvero con il nome di un papa che di certo in Vaticano non aveva mai risieduto, dal momento che l’insediamento dei papi nell’area, seppure avvenuto in epoca tardoantica, non era stato comunque contemporaneo all’erezione della basilica, e in ogni caso fu un fenomeno estraneo alla fondazione vera e propria del Palazzo, non occorsa prima del XII dodicesimo secolo38. Durante il regno chigiano, proprio il rapporto tra il Palazzo Vaticano e S. Pietro fu uno degli argomenti più attentamente valutati nel confronto al quale Alessandro VII invitò Lukas Holste, ormai anzianissimo, e il cardinal Sforza Pallavicino per risolvere il quesito se il papa facesse bene o meno a risiedere in maniera stabile al Quirinale39. Le ragioni avanzate da quest’ultimo a difesa della nuova residenza, a iniziare dalla necessità per il sovrano pontefice di stare il più vicino possibile alla popolazione romana, non solo tradivano chiaramente le predilezioni di papa Chigi, ma forse consentono di illuminare anche sotto quali auspici si cercò di trasformare quello che fino ad allora era stato un discreto dialogo tra palazzo e basilica, in una decisa rifunzionalizzazione del primo a vantaggio della seconda, per quanto almeno sia verificabile dalle progressive soluzioni che vennero adottate nel primo e nel medio Seicento per accordare gli accessi dei due complessi sulla piazza. Durante il pontificato di Paolo V Carlo Maderno, per armonizzare l’ingresso della residenza con la nuova facciata di S. Pietro appena conclusa (1607-1613), ammodernò il portale architravato, utilizzato fin dai tempi di Paolo II come accesso al complesso palaziale accanto alla basilica, che venne quindi a occupare, munito di nuove
304
VATICANO BAROCCO
A fronte: 54. Giovanni Francesco Romanelli, Natività, 1637, Palazzo Apostolico Vaticano, Appartamento Papale di Rappresentanza, Cappella segreta di Urbano VIII.
ante di bronzo nel 1617, la facciata della cosiddetta Porta Horaria. Progettata da Martino Ferrabosco, questa torre, munita di campane e orologio, si appoggiava a un corpo di fabbrica a scarpa da cui partiva una cordonata per il Cortile di S. Damaso. La soluzione paolina e soprattutto i successivi provvedimenti barberiniani cercarono di uniformare la confusa eterogeneità stilistica che ancora dominava il lato sud della residenza pontificia e di risolvere il non facile rapporto tra il Cortile di S. Damaso e la piazza, senza in ogni caso obliare su questa l’accesso al complesso palaziale, come invece avrebbe fatto durante il pontificato chigiano Bernini40. L’artista, per procedere all’erezione del Colonnato, distrusse la Porta Horaria, salvandone il Portone di bronzo, che venne spostato all’inizio del cosiddetto Braccio di Costantino: il lungo corridoio, percorrendo il quale si arrivava alla statua marmorea dell’imperatore romano. Anche prescindendo dal fatto che la presenza del Portone di bronzo, nascosto dietro le colonne del porticato, non è assolutamente evidente entrando nella piazza, e che l’unica visuale per leggere correttamente il Costantino berniniano non è quella laterale che si ha percorrendo il corridoio coperto, ma quella frontale che si ottiene provenendo dall’atrio vaticano, fu soprattutto con l’innalzamento del Colonnato che Bernini rimarcò la centralità (e unicità) della basilica sulla piazza, annullando in questa, con impassibile simmetria, ogni accenno nel suo lato settentrionale all’annesso palazzo, dalla fine del Cinquecento anche visivamente del tutto dominato in altezza dalla cupola michelangiolesca. Trasfigurato dall’intervento berniniano in una sorta di “sontuoso monastero” affiancato a S. Pietro (o di quinta scenica sul «teatro dei portici» berniniani), il Palazzo finiva per assumere l’indiscusso ruolo di degnissima sede del successore di Pietro e pastore della Chiesa Universale, non da ultimo anche grazie a un’altra commissione che poco più tardi, nel corso del pontificato Rospigliosi, venne avviata dal cavaliere: con la trasformazione in Via crucis di quella che all’epoca era l’unica strada di accesso (il Ponte Sant’Angelo) per S. Pietro provenendo dal centro di Roma, l’area vaticana otteneva una sorta di simbolica “sacralizzazione” e con essa il palazzo che ne era parte integrante41. Se con il Colonnato Bernini riuscì a modificare la percezione del palazzo dalla piazza probabilmente in modo assai più radicale di quanto non avrebbe potuto fare se avesse modificato architettonicamente singole parti di esso, rimane da osservare che proprio durante i pontificati di Alessandro VII e Clemente IX Rospigliosi (1667-1669) non pochi furono anche gli interventi diretti che egli operò all’interno del
43
9
305
55. Giovanni Francesco Romanelli, Pasce oves meas, affresco, 1637 ca., Palazzo Apostolico Vaticano, Galleria delle Carte Geografiche, volta.
42, 43 45
complesso. Il più cospicuo, ovvero il completo rinnovamento della Scala Regia, l’antico scalone cerimoniale che portava dall’atrio di S. Pietro alla Sala Regia, già ammodernato da Sangallo e Maderno42, rappresentò un’ulteriore occasione per sancire lo stretto rapporto tra basilica e palazzo, fin dalle considerazioni che spinsero il committente, Alessandro VII, a promuovere l’impresa per adeguare la scala alla «maestà del luogo, d’onde veniva e dove conduceva», e alla luce delle funzioni che era chiamata ad assolvere, ovvero il «passaggio per le loro publiche udienze [de]gli ambasciadori e principi stranieri, né vi era via più comoda e decorosa di quella per tante e sì raguardevoli funzioni del palazzo pontificio».
306
A fronte: 56. Giovanni Francesco Romanelli (su disegno di) e Manifattura barberiniana, Cristo e san Pietro, arazzo, 1643 ca., Roma, Palazzo Apostolico Lateranense.
Bernini fu costretto a lavorare, correndo il reale rischio di crolli, sotto alcuni prestigiosi ambienti vaticani, quali la Cappella Paolina e la Sala Regia, e a escogitare un’«artificiosissima invenzione» per attenuare visivamente la differenza di ampiezza della prima rampa, che fece voltare e ornare di colonne, e riuscendo infine a fare diventare la scala «siccome regia nel nome, così ancora nell’apparenza». Né le fonti biografiche berniniane persero occasione di presentare l’impresa come una delle sfide più difficili, per sua stessa ammissione, superate da Gian Lorenzo: «essere stata questa la più ardita operazione, ch’egli havesse mai fatta, e che se prima di mettersela a
46, 47 48, 49
307
VATICANO BAROCCO
50
51
fare l’havesse trovata scritta d’alcun’ altro, non l’haverebbe creduta»43. Assolutamente sommaria è invece, all’interno delle stesse fonti, la descrizione dell’altro intervento chigiano condotto da Bernini nel Palazzo: l’unificazione delle due aule che formavano già ab antiquo la cosiddetta Sala Ducale. Anche in questo caso l’artista venne chiamato ad affrontare un problema che gli imponeva di intervenire in una zona antichissima, addirittura duecentesca, e prestigiosissima del complesso palaziale, e a calibrarne la soluzione secondo un serrato confronto con le necessità e le caratteristiche del luogo. La circoscritta impresa architettonica, al termine della quale vennero lasciati in vista due pilastri del muro che originariamente divideva gli ambienti, fu qualificata da Bernini con un sontuoso drappo in stucco dipinto, “sorretto” da entrambe le parti da puttini pure in stucco, in grado di attenuare l’asimmetria tra le due aule. Progettata dall’artista e realizzata concretamente da Antonio Raggi tra il 1656 e il 1657, si tratta in effetti dell’unica impresa plastica, sino ad
308
58. Palazzo Apostolico Vaticano, Biblioteca Vaticana, Galleria di Urbano VIII.
57. Louis Jean Desprez (su disegno di) e Francesco Piranesi (incisione), Il papa in atto d’adorazione innanzi al Sacramento esposto solennemente da lui nella Cappella Paolina in Vaticano, 1787, acquaforte, Londra, The British Museum.
oggi sopravvissuta, portata a termine da Gian Lorenzo nel Palazzo Apostolico Vaticano44, ma Baldinucci, l’indomani della morte dello scultore, si limitò a ricordare l’opera in termini laconici e imprecisi («adattò con bel concetto la Sala Ducale in modo che potesse comunicare colla Sala Regia»; quindi «l’arco e ornato della Scala [sic] Ducale in Vaticano»), gli stessi che si ritrovano nella Vita del cavaliere edita da Domenico Bernini («dié communicazione con vago disegno alla Sala Regia colla Sala Ducale»): termini che non chiariscono né la precisa posizione del drappo (all’interno e non su una porta perimetrale della Sala), né la natura dell’intervento architettonico (che in ogni caso non aveva coinvolto la Sala Regia), tanto da lasciare il dubbio se la ricostruzione fosse stata fatta dai due autori a tavolino, sulla base forse di schizzi berniniani, e senza avvantaggiarsi di una verifica de visu45. Visitò invece di certo la Sala Ducale tra il 1687 e il 1688 l’architetto svedese Nicodemus Tessin il Giovane. Grande ammiratore di Gian Lorenzo, ne diede una vibrante descrizione negli appunti di viaggio che compilò, concedendole addirittura più attenzioni che alla Cappella Sistina, liquidata in pochissime righe: «se si oltrepassano le porte che si trovano di fronte a questa [la Cappella Sistina] si vede un drappo molto ingegnoso, ornato da puttini da entrambi i lati, opera del cavalier Bernini. Si fece di due stanze una e per occultare alla vista la deformità della volta è stato fatto questo drappo, cadenzato molto opportunamente da pieghe […], il fondo era dipinto di giallo, contrastato di un marrone chiaro sotto i fogliami, quindi rifinito di oro sopra; da entrambe le parti, nel centro c’era un puttino che teneva uno stemma […] e ad entrambi i suoi lati ce n’era un altro che teneva il drappo, e tutti questi avevano pose molto ingegnose, e addirittura in un punto se ne trovavano due; gli stemmi con i puttini erano stati lasciati tutti bianchi, di stucco»46. La testimonianza di Tessin è importante per diverse ragioni. Innanzitutto perché è calata all’interno di una più ampia descrizione del Vaticano selettivamente attenta a mettere in luce ed elogiare le imprese più aggiornate dell’arte romana del Seicento, che si potevano trovare al suo interno, dalla Sala Clementina alla Sala del Concistoro, dove Tessin apprezzò particolarmente, oltre ai Paesaggi di Paul Bril, anche le cornici intagliate di legno dorato di due piccoli quadri di Andrea Sacchi; dal quadro con la Natività di Romanelli sull’altare nella cappella segreta del palazzo sistino alla sua Galleriola «davvero bella» con le Storie della Contessa Matilde; dalla Pietà «della prima maniera di Pietro da Cortona» nella Cappella di Urbano VIII alla Galleria delle Carte Geografiche. Non senza concedere peraltro largo credito a “sovrattribuzioni”, che dovevano
54 31 21 23
essere diffuse tra i visitatori tardobarocchi del Vaticano e non mera congettura dell’architetto nordico, come ad esempio in rapporto ai fregi di alcune stanze dell’Appartamento pontificio di rappresentanza, addirittura riferite negli appunti di viaggio dello svedese a Guercino47. In secondo luogo perché l’appassionata ricezione “in chiave barocca” del Palazzo Vaticano, così come è trasmessa da Tessin, passa evidentemente attraverso una serie di allestimenti decorativi e collezionistici, di inserti scultorei e arredi attualmente non più in situ o fortemente manipolati nelle epoche successive, così come del resto confermano anche le trasformazioni che all’inizio dell’Ottocento subì il drappo berniniano in stucco nella Sala Ducale: non solo gli stemmi di Alessandro VII vennero rimaneggiati introducendo l’insegna pontificia di Pio VII Chiaramonti (1800-1823), ma anche la coltre stessa fu ridipinta, eliminando quella tessitura damascata impreziosita dagli araldici monti chigiani che, ancora testimoniata nelle stampe incise nel 1713 da Francesco Aquila, tanto aveva suggestionato l’architetto
IL PALAZZO APOSTOLICO VATICANO
svedese, e il cui motivo ornamentale sarebbe stato poco dopo evocato sia nelle due porte intagliate sul piano intermedio della Scala Regia, sia nei parati voluti da Bernini per la cerimonia di canonizzazione di Francesco di Sales in S. Pietro nel 166548. Che il “barocco” sia entrato in Vaticano anche (e soprattutto) attraverso apparati lignei, arazzi, allestimenti collezionistici, arredi liturgici e stoffe è suggerito, per quanto riguarda almeno il pontificato chigiano, dall’attivo impiego al suo interno di Johann Paul Schor, abilissimo disegnatore di origini austriache, gravitante nell’orbita di Bernini (per il quale realizzò proprio il cartone per l’ornato delle due porte nella Scala Regia), e apprezzato infinitamente più per la sua capacità di inventare preziosi ornati nell’arredo e nell’oreficeria («un fond de dessin et d’invention inépuisable et propre à tout»), che non per la sua pratica pittorica tout court49: «“Veut-on un carosse?” a-t-il [Bernini] dit, “il [Schor] en fait le dessin; une chaise? un dessin; de l’argenterie? un dessin”». È evidente come
309
44
56
VATICANO BAROCCO
58
16, 17
il titolo di «pittore e disegnatore di palazzo», con il quale Schor venne indicato nel ruolo di famiglia di Clemente IX nel 1667, sia da intendersi in questo arco di anni secondo ampie declinazioni. Né aiutano a ricostruire un quadro d’insieme le sopravvivenze del suo intervento nella decorazione permanente del Vaticano, dal momento che l’artista non portò a compimento né la volta con «istorie, figure et altri ornamenti» della Galleria di Urbano VIII, commissionatagli da Alessandro VII, né i suoi «rabeschi [e] grottesche» nelle Logge del braccio sistino, rimasti incompleti, furono risparmiati dalla sistematica campagna condotta in questa area del palazzo sotto Pio IX50. Infine, che lo stesso Bernini, attento frequentatore del palazzo, da quando giovanissimo (nel secondo decennio del Seicento) vi si recava, tanto per studiare le sculture antiche del Belvedere, quanto per «[smidollare] le Stanze e le Loggie dipinte da Raffaello, il Giudizio del Buonarota, la Battaglia di Giulio Romano e le opere di Guido Reno»51, avesse contri-
310
60. Giovanni Paolo Pannini, Veduta di Roma dalle pendici di Monte Mario, Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie, 1749, particolare con il Palazzo Vaticano e Castel Sant’Angelo.
59. Giovanni Paolo Pannini, Arrivo di Carlo III, re delle Due Sicilie a San Pietro, olio su tela, 1748, Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli, particolare del Palazzo Apostolico.
buito alla trasformazione dell’arredo vaticano con interventi “effimeri” non sopravvissuti, è dimostrato, oltre che dal caso della macchina lignea per le Quarantore da lui inventata nel 1675 e collocata nella Cappella Paolina (quindi rifatta sotto Clemente XI e smantellata definitivamente nell’Ottocento)52, soprattutto da alcuni episodi riportati nelle sue biografie. Tanto Baldinucci quanto il figlio Domenico ricordano ad esempio che l’indomani dell’elezione al soglio pontificio Clemente IX chiese a Bernini di trovare un modo per raccordare tutte le acque «che per parecchie fontane divagavano per il giardino di Belvedere» in una sola fonte «che rispondeva sotto le finestre proprie della sua stanza, affinché più sonora se ne udisse la caduta, e più facilmente a lui si conciliasse la quiete»; ma per il sopraggiungere di imprevisti «mancando a lui [Bernini] l’acqua, non mancò l’ingegno, conciosiacosache inventò subbito una macchina, nella quale col moto di una rota, che concertando in alcuni ben congegnati globi di carta, col raddoppiar de’ colpi veniva appunto a formare il suon
57
che fa l’acqua cadendo, accomodolla nella camera contigua a quella dove il papa doveva la notte riposare, e supplì con questa ingegnosa invenzione al bisogno dell’indisposizione del pontefice»53. Se l’episodio lascia forse affiorare tra le righe il sospetto che in un Vaticano, ormai ‘sacralizzato’ e talmente carico di memorie antiche e di testimonianze artistiche assolutamente intangibili, era forse più semplice nel tardo Seicento creare una fontana “effimera” che modificare, distruggere, aggiungere nuove creazioni permanenti, la facilità con la quale questi apparati potevano essere rimossi rappresentò in fin dei conti il primo lasciapassare al rinnovamento del gusto in Vaticano dalla fine del Settecento. Non è ad esempio rimasto nulla, e pochissimo se ne sa, dell’intervento promosso da Bernini nella Torre dei Venti, per allestire l’appartamento che avrebbe dovuto ospitare Cristina di Svezia nelle sue prime notti romane. L’accenno laconico del figlio («non habbe [Bernini] piccola parte ancora nel maestoso apparecchio del suo [della regina]
IL PALAZZO APOSTOLICO VATICANO
alloggio nel Palazzo del Vaticano»)54 trova ampia conferma nelle corrispondenze dell’epoca, dove sono descritti i lavori promossi dal pontefice per «indorar soffitte e far altri ornamenti e commodità nel suddetto quartiere, che si è reso più nobile con l’aver la santità sua fatto demolire molte muraglie che tramezzavano, per far maggiori le stanze e cavarne anche una bella galleria; tutto il sudetto quartiere sarà tappezzato con paramenti […]»55. Per quanto funzionale ad accogliere la regina, l’intervento nella Torre dei Venti restò almeno per una trentina d’anni riconoscibile in Vaticano, stando agli appunti di viaggio di Tessin che, dopo aver descritto la Galleria delle Carte Geografiche, menzionò a seguire le «sette stanze nelle quali la regina Cristina ha soggiornato per sette notti, la prima volta che venne a Roma», così come il percorso che all’interno del complesso palaziale la sovrana aveva compiuto per andare all’udienza con il papa56, di fatto identico a quello che a ritroso l’architetto svedese aveva appena concluso giungendo nelle stanze di Cristina: dall’atrio di S. Pietro alla
311
VATICANO BAROCCO
10
Sala Regia, dalla Cappella Sistina alla Ducale, dal Cortile di S. Damaso all’Appartamento pontificio di rappresentanza nel palazzo sistino, con la Sala Clementina e quella del Concistoro; quindi, passando per l’Appartamento della Matilde e per le Logge, nelle Stanze di Raffaello, per giungere infine, dopo aver superato la Cappella di Pietro da Cortona, nella Galleria delle Carte Geografiche. In altri termini, il percorso “normalizzato” durante il pontificato barberiniano alla luce innanzitutto di preminenti esigenze cerimoniali e liturgiche, senza però prescindere anche da una calibrata valorizzazione delle principali occorrenze artistiche cinquecentesche del palazzo, canonizzate da Vasari e ancora riproposte, come nel caso delle Stanze di Raffaello e delle Logge, quali indiscussi modelli pittorici dalla storiografia tardo seicentesca. L’episodio di Tessin (soprattutto a confronto con la curiosa imprecisione dei biografi berniniani sulla Sala Ducale) introduce vari interrogativi: chi tra Sei e Settecento poteva accedere alle stanze vaticane, quali erano realmente frequentabili e come avvenivano queste visite. D’altra parte, nella seconda metà del XVII secolo, quando anche grazie alle imprese berniniane sulla piazza il Palazzo veniva ormai percepito come concluso e il Quirinale si stava confermando in modo sempre più deciso quale sede residenziale privilegiata dai pontefici, questo problema di “fruizione” non può non essere letto in parallelo con i sempre più sistematici interventi di “conservazione” (piuttosto che di “ammodernamento e rinnovo”) operati all’interno del complesso vaticano, tanto nelle sue occorrenze più antiche, quanto in quelle più moderne. Nel corso delle consultazioni promosse da Alessandro VII uno degli argomenti ai quali ribatté il cardinale Sforza Pallavicino fu «che il Palazzo magnificentissimo del Vaticano, con non uso, sia per andare in rovina»57, e la soluzione che venne adottata per evitare questo rischio tutt’altro che ipotetico non fu di certo, allo scadere del secolo, il definitivo ritorno del pontefice accanto a S. Pietro, quanto piuttosto forse la valorizzazione già in una funzione pre-museale dell’intero complesso. In questo modo si può ad esempio contestualizzare la “riqualificazione”, avvenuta alla fine del Seicento, di alcuni incarichi relativi alla tutela del patrimonio permanente del palazzo già attestati nel corso del secolo, ma finalmente insigniti di un prestigio particolare, come quello di «custode delle pitture di Raffaello», affidato a Carlo Maratti nel regno di Innocenzo XI Odescalchi (1676-1689). L’eco nella letteratura artistica di questo incarico fu immediato: Bellori, nel dedicare alle Stanze di Raffaello una Descrizzione a stampa nel 1695, non solo non si dimenticò di ricordare l’amico
312
VATICANO BAROCCO
A fronte: 61. Paolo Posi (su disegno di), Prospetto d’ingresso del Museo Sacro, 1756, con targa di Benedetto XIV, Palazzo Apostolico Vaticano, Biblioteca Vaticana, Galleria di Urbano VIII.
pittore, ma sottolineò anche prontamente come Innocenzo XII Pignatelli (1691-1700), al quale era dedicata l’opera, gli
avesse nel frattempo concesso pure la «soprintendenza di tutte l’altre pitture tanto di Michel’Angelo, quanto d’altri, che sono nel Palazzo Apostolico Vaticano; onde ragionevol cagione abbiamo di rallegrarci con tutti gli amatori de’ nostri studii nella speranza, che queste immortali imagini abbiano a risplendere nella loro prima forma»58. Sono noti gli interventi di restauro che all’inizio del Settecento operò Maratti tanto nelle Stanze quanto nella Cappella Sistina, senza purtroppo che Bellori, morto nel 1696, facesse in tempo ad apprezzarli59. È forse meno noto invece che proprio negli anni in cui fu patrocinato per volere di Clemente XI Albani (1700-1721) questo intervento, in seno a un ampio e sistematico restauro dell’intero complesso residenziale, venne redatta la prima guida dettagliata del Palazzo Apostolico Vaticano, compilata a opera del senese Agostino Taja intorno al 171260. A sollecitarne la pubblicazione (postuma e profondamente rimaneggiata) nel 1750 fu Benedetto XIV61, che solo sei anni più tardi avrebbe inaugurato il Museo Sacro della Biblioteca Apostolica Vaticana, aperto dal prospetto marmoreo di Paolo Posi (datato 1756) e raggiungibile provenendo dalla Galleria di Urbano VIII, fatta decorare da papa Lambertini a Giovanni Angeloni con le vedute delle principali imprese edilizie del proprio pontificato. Con l’allestimento permanente di questa raccolta pontificia si può in qualche modo identificare l’avvio di quella trasformazione in chiave museale alla quale furono soggette ampie zone del palazzo dalla seconda metà del Settecento in avanti e, se non sorprende che questa trasformazione si fosse originata in seno alla Biblioteca, non si può nemmeno sottovalutare il più ampio contesto all’interno del quale venne promossa. Grazie alle nuove valenze simboliche e storiche delle quali fu investito in modo lucidissimo nel corso del Seicento, il Palazzo Apostolico Vaticano, consacrato anche dalla guidistica, imponeva ai pontefici settecenteschi priorità ormai mutate. Non più la creazione di nuove “stanze” slegate l’una dall’altra, come in un novello Adone, ma, stando alle parole di Taja, innanzitutto la sua tutela e valorizzazione complessiva: «Sicché noi siamo tenuti tanto più alli suoi augusti ristoratori, che a molti primieri edificatori; quanto maggiore si reputa il benefizio di chi ravviva e conserva tutto in un tempo un composto di ottime perfezioni di già cadente, che di chi per secoli molti ne abbia eccitata e costrutta or una parte or un’altra disgiuntamente e da per sé sola»62.
61
58
59, 60
313
CAPITOLO QUINTO
I GIARDINI VATICANI Alberta Campitelli
Il pontificato di Pio IV (1560-1565) ha segnato per i Giardini Vaticani1 un periodo di grande innovazione, con la costruzione della Casina progettata da Pirro Ligorio e la sistemazione dell’area circostante dovuta a una personalità d’eccellenza, il botanico Michele Mercati (1541-1593), che vi impiantò ben 470 varietà di fiori, grazie a scambi con illustri collezionisti – come il botanico e naturalista, professore all’Università di Bologna, Ulisse Aldrovandi2 –, e alla generosa disponibilità del re di Spagna, Filippo II, che inviò rari esemplari provenienti dal Nuovo Mondo. Morto Mercati, i giardini vennero probabilmente curati e mantenuti, ma senza che si registrassero eventi di rilievo. La novità venne al debutto del nuovo secolo, con il pontificato di Clemente VIII Aldobrandini (1592-1605), che chiamò ad occuparsi dei giardini un altro illustre personaggio, Johannes Faber (1574-1629), originario di Bamberga, a Roma dal 1598. Faber, medico presso l’ospedale del Santo Spirito e professore di botanica alla Sapienza, è noto per essere stato membro dell’Accademia dei Lincei, fondata da Federico Cesi nel 1603, che tanto promosse lo sviluppo della scienza in tutti i campi e segnatamente nella botanica3. Faber si occupò dei Giardini Vaticani sotto cinque pontefici, dal 1600 al 1629, ma sicuramente il periodo di maggior attività e impegno va collocato nel pontificato di Paolo V Borghese (1605-1621), appassionato di giardini tanto da essere promotore, attraverso il cardinal nipote Scipione, della splendida residenza di famiglia fuori Porta Pinciana4. Il pontefice si occupò in primo luogo della fornitura di una cospicua alimentazione idrica, grazie alla conduzione dell’Acqua Paola, ottenuta riattivando l’antico acquedotto dell’imperatore Traiano, che dalla monumentale “mostra” alla sommità del Gianicolo riforniva tutti i quartieri sottostanti e giungeva fino alla cittadella
vaticana mediante un apposito percorso5. L’abbondanza d’acqua gli permise di dotare i giardini di fontane monumentali6, spettacolari e innovative, che interpretavano appieno lo spirito barocco del quale casa Borghese era promotrice e interprete7. Fino al termine del suo pontificato le migliori maestranze del tempo vi lavorarono alacremente, come è testimoniato dai documenti di pagamento che registrano la presenza degli architetti Carlo Maderno, Flaminio Ponzio, Giovanni Vasanzio, Giovanni Fontana, Carlo Buratti e dell’esperto “fontaniere” Martino Ferrabosco8. Le fontane “paoline” vennero celebrate in due cicli di affreschi dedicati alle opere del pontefice. Nel primo, di recente riportato alla luce nel Palazzo del Quirinale, opera di Ranuccio Semprevivo e Cesare Rossetti e datato intorno al 1610, sono comprese due lunette nelle quali, all’interno di ricche cornici con putti e festoni, sono raffigurate vedute dei Giardini Vaticani con in bella vista le nuove fontane. Nel secondo, affrescato da Giovanni Battista Ricci nella Sala Paolina della Biblioteca Vaticana e di pochi anni più tardo, sono riprodotte con molte analogie le stesse fontane, ma ne compare una in più, quella detta dello Scoglio o dell’Aquilone, che era stata realizzata per ultima. La prima operazione voluta da Paolo V nella “strategia delle fontane” quale arredo dei giardini fu il ripristino della grande vasca marmorea che Donato Bramante aveva collocato al centro del Cortile del Belvedere, e che Pio IV aveva fatto interrare per poter meglio utilizzare lo spazio come teatro, cornice a fastosi eventi come quello per il matrimonio tra la nipote Ortensia Borromeo e Annibale Altemps, tenutosi nel 1565 e immortalato in incisioni e dipinti. Quindi promosse la realizzazione di ben cinque nuove fontane che attestano l’evoluzione della tipologia, passando dalla semplice e lineare fontana
315
1
2
Alla pagina precedente: 1. Ranuccio Semprevivo e Cesare Rossetti (attr.), L’appartamento di Paolo V, la Fontana degli Specchi, una fontana scomparsa, la Fontana delle Torri, 1610 ca., affresco, Sala dei Paramenti Piemontesi, Palazzo del Quirinale.
2. Giovanni Battista Ricci, L’appartamento di Paolo V, la Fontana degli Specchi, un fontana scomparsa, la Fontana delle Torri, la Fontana dello Scoglio, 1612 ca., affresco, Sale Paoline, Biblioteca Sistina.
3. Fontana della Galera.
3
316
del Forno o della Panetteria, attribuita a Carlo Maderno, composta da semplici vasche in marmo, sovrapposte a scalare, fino alle invenzioni più ardite e stupefacenti, come la fontana della Galera, perfetta riproduzione di un galeone da guerra completo in tutti i dettagli, dalle sartie alla polena, tutta in metallo e galleggiante in un ampio bacino d’acqua. Se la fontana del Forno, nella sua essenzialità, non trasmette che un messaggio di stile e di eleganza ancora di stampo rinascimentale, la fontana della Galera usa l’espediente della meraviglia e dello stupore per veicolare più di un messaggio. Celebra infatti la progettata costruzione di una nuova galera voluta dal pontefice per arricchire la flotta pontificia di stanza a Civitavecchia e impegnata nella difesa delle coste dalle scorrerie sempre minacciose dei Turchi, quindi esalta il papa regnante come difensore del suo popolo, ma allude anche a un’altra diffusa simbologia, quella della chiesa
I GIARDINI VATICANI
come nave-rifugio per la salvezza spirituale e dell’acqua quale simbolo di purezza. La fontana della Galera, sicuramente l’ultima a essere stata realizzata, non si trova propriamente nell’ambito dei giardini, ma a ridosso delle Logge bramantesche, nei pressi della Scala Lumaca, dove già vi era una nicchia rustica, un ninfeo che richiamava la tipologia diffusa da Jacopo Barozzi da Vignola, con un piccolo terrazzamento sistemato a giardino, il tutto risalente alla committenza di Giulio III (1550-1555). Con l’aggiunta della Galera la sistemazione rinascimentale acquisì tutt’altra spettacolarità, segnando chiaramente il passaggio tra le due epoche. Altro emblema della nuova sensibilità è la fontana dell’Aquilone o dello Scoglio, considerata la monumentale mostra “rustica” dell’Acqua Paola, complementare a quella “cittadina” del Gianicolo. La tipologia della fontana rustica, con il largo uso di tartari e roccaglie, era
317
4-7
VATICANO BAROCCO
ampiamente diffusa già nel secolo precedente9, ma mai si era vista una realizzazione di questa portata, destinata a decretare in misura massiccia la fortuna della tipologia per tutto il Seicento. Uno stuolo di artefici con diverse competenze venne impegnato nel creare una montagna di scogli, sormontata da draghi e aquile, emblemi araldici dei Borghese, insieme ad altre sculture realizzate con travertino in gran parte proveniente dal Foro Romano. Stefano Maderno e Santi Solaro scolpirono i putti ed i delfini, Carlo Fancelli fu incaricato di modellare gli scogli e ideare i draghi, Stefano Fuccaro e Dario Simone stuccarono gli scogli, mentre l’architetto Giulio Buratti firmò la misura dei lavori10. Definita nei documenti “gran teatro di scogli”, la fontana si presenta come un anfiteatro di rocce, sormontato dall’aquila borghesiana, articolato in grotte ed archi dai quali si affacciano tritoni intenti a suonare
318
5-7. Fontana dello Scoglio o dell’Aquilone, particolari.
4. Fontana dello Scoglio o dell’Aquilone.
nella buccina. La mastodontica composizione, disposta a semicerchio, sovrasta un ampio bacino d’acqua dal quale emergono putti e animali marini. L’acqua è intimamente mescolata alla pietra in una fusione totale di arte e natura: schizza e gorgoglia ovunque, precipita in cascatelle e si disperde in rivoli, si rivela con getti possenti o con diffusi stillicidi producendo effetti spettacolari. Tipologicamente innovativa è anche la vicina fontana delle Torri o del Sacramento, datata 1609 nell’iscrizione che celebra il pontefice committente. È infatti incastonata nelle mura della cittadella, delle quali sfrutta la struttura con due piccole torri merlate addossate che affiancano una nicchia sormontata da un timpano. Il ruolo dell’acqua è confinato all’interno della nicchia, dove zampilla formando l’immagine di un ostensorio (da cui la denominazione di “sacramento”) e si raccoglie nella modesta
I GIARDINI VATICANI
8, 9
319
VATICANO BAROCCO
8. Fontana delle Torri o del Sacramento.
I GIARDINI VATICANI
9. Fontana delle Torri o del Sacramento, particolare.
10, 11
320
vasca sottostante. Anche in questo caso, secondo i canoni barocchi che prevedevano l’utilizzo disinvolto di tipologie desunte da altri modelli di fabbriche, la fontana evoca in modo evidente un fortilizio medioevale, e si differenzia totalmente dalle semplici fontane in auge in precedenza, presenti anche nei Giardini Vaticani. Di controversa interpretazione è invece l’altra creazione borghesiana, la fontana degli Specchi, posta in un sito appartato dei giardini e poco visibile, ma in diretta connessione con l’ala dei palazzi fatta costruire da Paolo V per poter scendere direttamente nei giardini. La semplice e convenzionale struttura a edicola, nobilitata da eleganti colonnine in marmo, ha indotto a ritenerla di
epoca precedente, coeva alla Casina di Pio IV, anche per la presenza in entrambi i manufatti di splendide decorazioni a mosaico. Tuttavia la posizione proprio accanto all’ingresso ai palazzi, sormontato dal nome di Paolo V, il fatto che sia compresa nelle raffigurazioni delle fontane da lui commissionate, che vi compaiono gli stemmi borghesiani e infine e soprattutto la descrizione dei lavori di mosaico effettuati compresa in molti documenti, costituiscono prove inconfutabili della sua realizzazione nei primi decenni del Seicento. Va rilevato che la struttura architettonica non presenta quelle spettacolari innovazioni sperimentate nelle altre fontane “paoline”, e potrebbe anche essere preesistente, ma la ricca decorazione a mo-
321
VATICANO BAROCCO
10. Fontana degli Specchi, particolare della decorazione a mosaico. 11. Fontana degli Specchi.
saico che imita un pergolato con tralci di edera popolato da uccelli in varietà, nel quale s’inseriscono tondi che un tempo ospitavano specchi (da cui il nome della fontana), creando effetti di moltiplicazione dello spazio e giochi di luce, riporta alla temperie seicentesca e ricorda da vicino una simile decorazione realizzata nell’Uccelliera di Villa Borghese fuori Porta Pinciana11. Le fontane conferivano ai giardini un aspetto monumentale e spettacolare, introducendo appieno la nuova poetica barocca mirata alla meraviglia, ma l’attenzione del pontefice era rivolta anche alla cura delle aiuole e all’introduzione di fiori e piante rari e pregiati, secondo l’uso del tempo e una consuetudine ampiamente speri-
322
mentata a Villa Borghese, dove i giardini segreti erano mostrati con orgoglio agli ospiti del cardinale nipote come una meraviglia al pari delle collezioni d’arte che facevano bella mostra nelle sale del Casino nobile. La presenza di Johannes Faber era quanto mai preziosa, e la sua attività negli anni del pontificato borghesiano produsse notevoli risultati. Già nel 1607, in un suo scritto, Faber riferiva con palese orgoglio del suo incarico di curatore dei Giardini Vaticani12, ed è definito “botanico pontificio” nel resoconto del famoso banchetto linceo che si tenne sul Gianicolo il 14 aprile 1611 con la partecipazione, tra gli altri, di Galileo Galilei che presentava le sue scoperte13. Faber è stato personaggio di spicco
323
I GIARDINI VATICANI
12. Giovanni Maggi, Vaticanum S. Petri Templum toto terrarum orbe celeberrimum cum adiunctis pontificum aedibus hortisque accurate delineatum ea omnia Paulus v Pont. Max. multis partibus amplificavit ornavitque, incisione, 1615.
nell’ambito dell’Accademia dei Lincei e le sue competenze di medico e naturalista sono state ampiamente studiate, tuttavia la sua attività botanica in Vaticano, ma anche al servizio di altre nobili famiglie romane, è stata solo accennata negli studi finora apparsi e molte informazioni sono ancora celate tra le sue carte. Dalle indagini finora compiute emerge un’attività di grande interesse, quale personaggio al centro di una fitta rete di relazioni tra collezionisti e appassionati di giardini, con molti contatti anche nella natia Germania. Ad esempio, in una lettera del 1628, il cardinale Barberini si compiace con lui della buona riuscita dell’Orto Astittente14, riferendosi ov-
324
viamente all’Hortus Eystettensis di Eichstätt, in Baviera, dove, secondo una notizia sinora non documentata, evidentemente Faber aveva prestato la sua opera15. Sempre nel 1628 il cardinale gli chiede una lista di “semplici” per il suo giardino da far venire dal Nuovo Mondo16 e parla di due fiori molto in voga all’epoca, il “fiore cardinale”, cioè la lobelia cardinalis, così denominata in suo onore per i caratteristici fiori rossi, e del “fiore della passione”, cioè la passiflora, proveniente d’oltreoceano e apprezzata per la simbologia religiosa che i suoi fiori richiamavano in quanto vi si riscontravano analogie con gli strumenti della passione di Cristo.
12
L’attività di Faber nella configurazione dell’assetto dei Giardini Vaticani è attestata da numerosi documenti che riferiscono dell’arrivo di fiori da tutte le regioni del mondo allora conosciuto e da una bella veduta dei giardini di Giovanni Maggi, datata 1615, che consente di conoscere l’organizzazione degli spazi. Questa evidenzia, in tutta l’area attorno alla Casina di Pio IV, diversi giardini formali scanditi in aiuole geometriche delimitate da basse siepi, probabilmente di bosso. La sistemazione principale è situata davanti alla Casina, secondo un disegno tramandato anche in vedute più tarde, e si compone di una serie di aiuole quadrangolari, con un piccolo albero
a ciascuno dei canti, e all’interno ulteriori suddivisioni che alternano linee curve e rette, con altri alberelli al centro. Ai lati dell’edificio sono delineati altri due piccoli giardini, lunghi e stretti, con spartimenti privi di alberi, e quindi presumibilmente coltivati solo a fiori. Aiuole con un assetto simile sono raffigurate anche nella parte superiore del Cortile del Belvedere, in quello che è oggi il Cortile della Pigna: la fontana centrale è contornata da un disegno regolare di aiuole, con al centro alcune piccole fontane a terra, ottenuto con basse siepi e movimentato da alberelli le cui dimensioni appaiono notevolmente ridotte rispetto agli alberi che popolano la parte del
325
VATICANO BAROCCO
15. Narcissus tazeta, Erbario Aldrovandi, bub vol. VII, c. 115, p. 246.
13. Opuntia, Erbario Aldrovandi, bub vol. II, c. 253, p. 232. 14. Fritillaria imperialis.
13
14
giardino a bosco. Anche quello che nel Cinquecento era il giardino segreto di Paolo III, caratterizzato dal maestoso pergolato a crociera che lo divideva in quattro settori, ha un disegno simile, ma conserva le spalliere, sicuramente di agrumi, addossate ai muri di recinzione e contenimento. Sebbene il disegno riprodotto da Maggi sia alquanto omogeneo per tutte le sistemazioni formali, la legenda che lo accompagna distingue tra “Hortus herbarum salubrium” e “pomarium malorum aereorum” riferendosi a siti destinati ai fiori o agli agrumi che, come sappiamo dai documenti, erano molto diffusi nei Giardini Vaticani già dal XIII secolo. La definizione “Hortus herbarium salubrium” fa pensare ai “giardini dei semplici”, cioè quelli destinati, fin dal Medioevo, alla coltivazione e sperimentazione di piante ad uso medicinale. Questa funzione era sicuramente presente nei Giardini Vaticani e peraltro Faber, naturalista e medico, studiava le virtù curative delle piante; ma all’epoca i “giardini dei semplici” denominavano in modo generico anche i giardini di fiori ornamentali, come è attestato da numerosi codici e documenti. Si sa inoltre per certo che Faber in Vaticano non coltivava solo ruta, psillio, assen-
326
zio, malva, camomilla e agnocasto, ma anche molti fiori di pregio, ottenuti mediante scambi con collezionisti ed esperti. Tra le carte di Faber sono infatti presenti numerose liste di fiori destinate a città della Spagna, delle Fiandre e dell’Egitto, a Costantinopoli, a Venezia e a Napoli, che denotano la sua grandissima competenza botanica e la conoscenza del patrimonio specifico di ciascun paese17. Le liste erano sicuramente destinate ai nunzi apostolici che, come da tradizione, erano al servizio del pontefice regnante per esaudirne le richieste ed i desideri. Illuminante è una lettera di Faber, indirizzata a un pontefice non specificato e priva di data, nella quale gli chiede di inviare ai diversi nunzi le liste, da lui predisposte, delle piante e dei fiori necessari per abbellire i giardini18. Nelle liste sono compresi bulbi con nomi variopinti di giacinti, tulipani, anemoni e narcisi in diverse e numerose varietà, quindi di canna indica, proveniente dal Nuovo Mondo e quindi particolarmente pregiata, di ananas, fritillarie, tracheli, poligala, peonie, citiso, cisti, rose, accanto a esemplari dalla denominazione per noi astrusa quali “morso del diavolo”, oppure “barba di capra” e “lingua di serpente”.
15
Tra le piante “americane” coltivate nei Giardini Vaticani vi era anche l’opuntia, conosciuta popolarmente come “fico d’India” perché proveniente dal Nuovo Mondo, pianta della quale Faber era particolarmente orgoglioso, tanto da mandarne il fiore in omaggio a Federico Cesi, accompagnato da una lettera del giugno 1628 che così lo descrive: «Non ho mai visto il più perfetto fiore dell’opuntia che questo, che oggi ho colto nel nostro Giardino di Belvedere, del quale ho voluto far dono a Vs. Eccellenza»19. Molte piante, come d’uso, erano frutto di scambi con collezionisti come lui20, tra i quali vi era il farmacista Enrico Corvino21, proprietario di uno splendido giardino a Roma, che gli inviava bulbi, fiori e piante autoctoni e rari, come risulta da una Lista di piante date da Henrico Corvino per il giardino di Bel Videri nel mese di xbre 162122. Vi sono compresi esemplari di digitalis, diospiri, nicotiana, giacinti peruviani, trachelio, tuberosa, malva, ruta, scabiosa, muscari, tulipani, fritillaria. Corvino era sicuramente tra i collezionisti più generosi, aperto alle sperimentazioni più audaci. Il suo legame con Faber fu lungo e proficuo, e tale doveva essere la loro amicizia che dalla Germania Aegidius Kuffler gli scriveva dicendo di aver visto nel giardino dello speziale una pianta che sembra un uomo con un fiore che pare una donna, chiedendo al semplicista del papa di fornirgliene i semi23. Tra la corrispondenza di Faber è una lettera del bresciano Ferrante Lana, che riferisce di aver incontrato a Parigi Tranquillo Romauli24 ed Enrico Corvino che gli avevano dato sue notizie, e quindi gli chiede novità sul Libellus De Re Herbaria e lo prega di inviargli dei bulbi di narciso nella varietà tazeta25. Tra i suoi amici va ancora citato un altro Linceo, Theophilus Müller, che dalla Boemia gli mandava un catalogo di bulbose26, mentre Ferdinando di Baviera ugualmente gli inviava piante dal suo paese27. Le piante più pregiate pervenivano a Faber grazie alla sua rete di rapporti e ai nunzi pontifici, mentre le specie autoctone venivano reperite direttamente da lui che, con i sodali dell’Accademia, si dedicava alla “plantarum collitione” cioè alla raccolta delle piante. Tra le numerose escursioni nei dintorni di Roma, celebre nelle cronache dell’Accademia fu quella al Monte Gennaro, presso Tivoli, organizzata da Federico Cesi il 12 ottobre 1611, alla quale parteciparono, oltre a Faber, Theophilus Müller, Enrico Corvino e Johann Schreck28. I rapporti con gli altri botanici e collezionisti non erano per Faber solo motivo di scambi proficui, ma costituivano anche occasione di discussione scientifica, come si riscontra di frequente nelle lettere con Ferrante Imperato, il colto naturalista e speziale napoletano29.
I GIARDINI VATICANI
Sicuramente i Giardini Vaticani erano, grazie alle cure di Faber, ricchissimi di esemplari rari e pregiati che i pontefici potevano esibire, e rivaleggiavano con i giardini delle nobili famiglie romane nel destare meraviglia nei visitatori. La morte del grande linceo, nel 1629, chiuse un periodo di splendore, ma i giardini continuarono ad essere presenti negli interessi dei pontefici, tanto che il papa all’epoca regnante, Urbano VIII, chiamò a sostituirlo un altro illustre personaggio, Pietro Castelli, meglio noto come Tobia Aldini, che nel 1625 con questo pseudonimo aveva pubblicato un pregevole volume sulle piante presenti negli Horti Farnesiani sul Palatino, celebri non solo per la spettacolarità del luogo, ma anche per la ricchezza botanica, che comprendeva molte piante americane30. Non si hanno notizie sugli interventi di Castelli in Vaticano, dove rimase peraltro solo fino al 163731, quando scelse di trasferirsi a Messina per dirigere il locale orto botanico. Si può supporre che abbia conservato quanto era stato impiantato prima da Michele Mercati e quindi da Johannes Faber, sebbene i rapporti con quest’ultimo non fossero dei migliori. In seguito non si ebbe più la
327
VATICANO BAROCCO
I GIARDINI VATICANI
16. Fontana delle Api.
16
17
328
presenza di un curatore d’eccellenza che sapesse unire la conoscenza botanica scientifica alle capacità di allestimento di luoghi spettacolari, e in alcuni periodi, nei secoli successivi, i giardini vennero concepiti come luoghi di produzione destinata al mercato. Una descrizione dell’anno 1640, dovuta a John Evelyn, illustre viaggiatore e appassionato di giardini, permette di valutare come fossero ancora meta privilegiata di visita e offrissero uno spettacolo magnifico di artifici dell’arte e della natura. Evelyn nel suo resoconto rendeva in primo luogo omaggio al pontefice regnante, Urbano VIII Barberini (1624-1644), che aveva arricchito i giardini di un’ulteriore fontana, anche se non paragonabile alle raffinate e scenografiche fontane del pontificato di Paolo V. La Fontana delle Api, ovviamente decorata con gli emblemi barberiniani, è infatti modesta sia nelle dimensioni che nella struttura, sebbene sia attribuita all’invenzione di Gian Lorenzo Bernini e all’esecuzione di Francesco Borromini. Consiste in una semplice vaschetta addossata a parete, con una sovrastante decorazione a finte rocce e fronde, dal centro della quale sgorga il getto d’acqua circondato da api intente a suggerne il liquido, paragonato al miele nell’iscrizione che completa la composizione. A Urbano VIII si deve l’ampliamento della proprietà pontificia a Castel Gandolfo e la sua trasformazione in una vera e propria residenza, accogliente e spettacolare con la bella vista aperta sul lago. Di fatto inaugurò l’abitudine per i pontefici di trascorrere i periodi più caldi dell’anno in quella che divenne ben presto la “residenza estiva”, non lontana dal Vaticano, ma in grado di offrire refrigerio e distacco dagli affari di governo32. Ovviamente l’interesse per la nuova residenza produsse un calo di attenzione verso i Giardini Vaticani, che si accentuò con la decisione di Alessandro VII Chigi (1655-1667) di sopprimere l’orto botanico, cioè il giardino impiantato un secolo prima da Michele Mercati, trasferendolo in un sito più ampio. Dal 1659, infatti, l’orto botanico cittadino ebbe sede sul Gianicolo33 sino al trasferimento nei giardini di Palazzo Corsini alla Lungara. Tuttavia, ancora per qualche tempo l’assetto dei Giardini conservò a grandi linee il disegno documentato dalla pianta di Giovanni Maggi del 1615. Lo attestano le due piante di Giovanni Battista Falda, databili attorno al 1676, una con tutto l’insieme della cittadella vaticana e una con la raffigurazione dettagliata dei Giardini. Nella prima è ben evidenziata la netta delimitazione, nell’area retrostante la basilica e le Logge, tra il settore dei giardini con la sua alternanza di aiuole formali e di boschetti, en-
trambi curati e scanditi da arredi monumentali, e quella rustica, con edifici per lo più di modesta portata e coltivazioni a vigna e a orto, come confermato dai documenti coevi. In quella dedicata ai Giardini (corredata da una legenda), dal lato verso la città, in primo piano spicca la sequenza dei Palazzi e delle Logge fino al Belvedere, con i giardini attorno alla Fontana della Galera (n. 8) trasformati in ordinati boschetti, il Cortile delle Statue (n. 9) organizzato in aiuole, la parte superiore del Cortile del Belvedere (n. 5) ugualmente con aiuole attorno alla fontana centrale, a differenza della parte inferiore del Cortile (n. 3), ormai separata dalla Biblioteca fatta erigere da Sisto V (1585-1590), che appare decorata solo dalla fontana e non a caso è definita “Teatro”. La parte retrostante gli edifici permette di seguire in modo dettagliato la sequenza dei giardini realizzati dai diversi pontefici: a partire dal bastione in direzione di Monte Mario si succedono il giardino di Clemente VII, quindi quello di Paolo III, cinto da muri e definito “giardino secreto” (n. 14), ormai privo dell’originario magnifico pergolato a crociera, e con una semplice scansione in quattro grandi aiuole. Subito dopo si estende quello che era stato l’orto botanico allestito da Michele Mercati e poi da Johannes Faber, nell’area della Casina di Pio IV, con la caratteristica sistemazione radiale dei viali che hanno come fulcro lo spettacolare edificio (n. 10). Il disegno delle aiuole riprende, con maggior elaborazione, quello già riprodotto da Maggi, con le basse siepi di contorno, l’alternanza di aiuole rotonde e squadrate. Nella dettagliata resa visiva sono identificabili alcuni degli alberi che le caratterizzano: oltre a due snelli cipressi che introducono al viale che dai Palazzi va verso la Casina, in alcune aiuole sono chiaramente delineati esemplari di palme. Come nella pianta di Maggi anche lateralmente alla Casina, nonostante la leggera pendenza del terreno, vi sono altre aiuole, con scompartimenti più elaborati e bassi, a indicare una composizione essenzialmente con fiori, senza arbusti e senza alberi. La parte alta del colle mantiene l’assetto più libero e naturale del boschetto, intersecato da vialetti tortuosi, mentre le numerose fontane, in particolare quelle di Paolo V, sono ben evidenziate e riportate nella legenda. Proprio a partire da quegli anni i registri della Camera Apostolica documentano giorno per giorno le operazioni che vengono svolte nei Giardini, consentendo di conoscere nel dettaglio le maestranze impiegate, le tecniche di coltivazione e le specie vegetali che venivano impiegate34. Non compare più un curatore d’eccellenza, esperto in botanica e capace di introdurre spettacolari innovazioni,
329
VATICANO BAROCCO
ma i numerosi giardinieri impiegati si prendono cura scrupolosamente del patrimonio esistente. Accanto al capo giardiniere vi erano “lavoranti in forbice” per potare, “lavoranti di pala” per dissodare e piantare, “frattaroli” per curare le siepi, “spallieranti” per tenere in ordine le spalliere, utilizzando appositi “castelli” per raggiungere l’altezza di esse. Grande impegno era richiesto dalla presenza di agrumi in vaso, a terra, o a spalliera, in varietà che
330
17. Giovanni Battista Falda, Pianta et alzata del Giardino di Belvedere del Palazzo Pontificio in Vaticano, 1676 ca., incisione.
comprendevano melangoli, portogalli, lime, bergamotti, calabresi, cedri. Oltre ad innaffiarli, nettarli e potarli, ogni anno era necessario proteggerli dai rigori invernali, per cui le piante in vaso venivano ricoverate in apposite serre, mentre quelle a spalliera erano riparate mediante stuoie sostenute da impalcature di pali di castagno. Nei giorni soleggiati le stuoie venivano sollevate per esporre le piante alla luce e all’aria, mentre nelle notti più fredde, per stem-
18. Francesco Pannini, Il Cortile della Pigna, incisione, II metà XVIII secolo.
perare l’aria, alla base venivano posti bracieri con carboni ardenti. Si sa che vi erano ancora tulipani, quindi gelsomini, rose, mughetti, tuberose, giunchiglie e garofani, nonché numerosi gigli il cui fiore, simbolo di purezza, veniva usato per addobbare gli altari. Probabilmente il disegno dei giardini dell’epoca di Faber venne mantenuto per alcuni decenni, e solo con il pontificato di Clemente XI Albani (1700-1720) si ha notizia della creazione di «bellissimi spargimenti di busso alla francese», cioè di parterres de broderies del tipo di quelli introdotti in Francia già da qualche decennio da André Le Nôtre. Il pontefice chiamò al suo servizio architetti di fama come Carlo Fontana e Giovan Battista Contini, che si occuparono anche dei Giardini, come risulta da documenti di pagamento da loro vistati per compensi agli scalpellini che avevano realizzato piedistalli in travertino,
I GIARDINI VATICANI
con scolpiti gli emblemi del pontefice, per far da sostegno ai vasi di agrumi intercalati ai parterres35. Un’immagine di questa nuova sistemazione è nell’incisione di Francesco Pannini, della seconda metà del XVIII secolo, che raffigura il Cortile della Pigna con un elaborato parterre disegnato con basse siepi di bosso e fiori attorno alla fontana e lungo il perimetro vasi con piante di agrumi. Seppur con ritardo, anche i Giardini Vaticani avevano accolto le suggestioni provenienti d’oltralpe, adottando tipologie artificiose ed elaborate, ultima espressione del gusto barocco, destinato a scomparire ben presto con il diffondersi della sensibilità illuminista che, in nome di un ritrovato equilibrio tra uomo e natura, avrebbe bandito la manipolazione in forme geometriche e innaturali dei giardini.
331
18
NOTE CAPITOLO PRIMO
38
Abbreviazioni ACSP:
Archivio del Capitolo di S. Pietro
ACASP:
Archivio dei Canonici di S. Pietro
ASV:
1 2
Archivio Segreto Vaticano
5
DOMPNIER 2009.
TREXLER 1991; CONSTANT 1903, pp. 161-229.
7
85.
Resta fondamentale DYKMANS 1977-
Ringrazio il Maestro delle Cerimonie liturgiche del Sommo Pontefice mons. Marini, per avermi permesso di consultare i documenti dell’archivio. 8
9
MIGLIO 1995, pp. 43-50.
10
DELUMEAU 1959.
11
CAFFIERO 1997, pp. 281-316.
12
BÖLLING 2010, pp. 37-38.
13
BURKE 1988, pp. 206-226.
14
VISCEGLIA 1997, pp. 119-189.
15
PRODI 1982.
16
ACSP. Ringrazio Mons. Rezza, archi-
vista, che mi ha concesso l’accesso, e il dott. Piacquadio che mi ha aiutata nella letture dei documenti. 17 18 19 20
VAN
GENNEP 1969.
BOITEUX 2002, p. 103-141. PARAVICINI BAGLIANI 1994: ID. 1998. KANTOROWICZ 1957; GIESEY 1960.
PRODI 1982; BOURREAU 1988; BERTELLI 1990; GINZBURG 1991, pp. 12191234. 21
22
BOITEUX 1997, pp. 27-87.
23
ELZE 1977, pp. 23-41.
24
42 Istrución para la función de San Pedro, fine XVII sec.; Roma, Biblioteca della Embajada de España, cod. 48, fol. 81-88.
44
6
BOITEUX 2006, pp. 131-140.
BOITEUX 2009b, pp. 389-421.
BOITEUX 2007, pp. 831-846; BOITEUX 2014.
DELUMEAU 1959; PRODI 1982.
WICQUEFORT 1677, p. 229.
ASV ,
41
43
F AGIOLO DELL ’A RCO , C ARANDINI 1977-78; FAGIOLO DELL’ARCO 1997; FAGIOLO 1997.
4
40
BÖLLING 2010, pp. 37-54.
3
BOITEUX, c.s. 2.
Misc., Arm. II , 80; N AVONE 1938; BOITEUX 1997, pp. 79-86.
39
VISCEGLIA 2002, p. 239.
BOITEUX 2004b, p. 99-121; BOITEUX 2013. Sacra Congregatio 1985; RENOUX 1993, pp. 177-217.
45
Carattere già sottolineato da MÂLE 1932.
46
47
CASALE 2011.
48
BOITEUX 2004b, pp. 327-355.
49
BOITEUX 2013.
50
VAN
GENNEP 1969; BOITEUX 2013.
LÉVI-STRAUSS 1949, ripreso in LÉVISTRAUSS 1958, cap. X; BOITEUX 2009a, pp. 39-80. 51
CAPITOLO SECONDO * Gli studi sulla basilica di S. Pietro e i suoi diversi aspetti sono numerosissimi. Grazie all’Archivio della Fabbrica di S. Pietro e al materiale documentario conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana la conoscenza della sua storia è peraltro particolarmente approfondita. Fondamentale a tale proposito è PINELLI 2000, che costituisce un corpus indispensabile. Nell’anno del quinto centenario della fondazione del nuovo S. Pietro (2006) si è svolto un convegno i cui interventi sono raccolti in SATZINGER, SCHÜTZE 2008. 1
HUBALA 1991, p. 13.
2
ORBAAN 1918, pp. 37 ss.
BELLINI 2011, pp. 195-203; per la cappella e il suo patrocinio cfr. ZOLLIKOFER 2008, pp. 217-226. 3
4
26
BOITEUX, c.s. 3.
27
MARIN 1994.
28
BURCKARD 1506.
«… in hoc loco ubi erat altare facta est janua per quam ad dicatam capellam gregorianam habetur accessus» (ALFARANO 1914, p. 91).
29 Per un’analisi più focalizzata e sviluppata v. BOITEUX c.s. 1. 30
KANTOROWICZ 1957.
ALFARANO 1914, pp. 89-91.
5
Per la decorazione musiva cfr. TURRIZIANI 2011, p. 333, n. 42. 6
7
GRIMALDI 1972, p. 403.
31
BOITEUX 1997.
8
MARIN 1983, p. 20 ss.
BAV,
32
9
33
PELLEGRINI 1994, pp. 543-602.
ALFARANO 1914, pp. 63 s.
10
34
VISCEGLIA 2006, pp. 147-172.
35
GIGLI 1958, p. 365.
36
FIORANI 1984, p. 167-169.
37
ACASP,
332
Diarii dei Canonici.
11
POLLAK 1931, II, Reg. 132.
La nota è del 24 dicembre 1595, in riferimento alla consacrazione dell’altare: «Est enim novum templum divi Petri parum aptum ad celebrandum, nec secundum ecclesiasticam disciplinam fuit constructum, unde nunquamaptum erit, ut in eo huiusmodi sacrae functiones decenter et commode celebrari possent» (ALFARANO 1914, p. 24, n. 2). 12
13
ORBAAN 1919,. p. 41.
Avviso del 26 ottobre 1600, in OR1920, p. 48. Un altare con cupoletta è documentato anche nel disegno del parroco Werro di Friburgo del 1581 «cum […] quattuor porphyreis columnis» (WYMANN 1925, p. 52). 14
BAAN
«… giornate numero 353 di huomini numero 71, che hanno lavorato alla fabrica di disfare il ciborio, che era attorno e sopra l’altare di San Pietro …» (ORBAAN 1919, p. 44). 15
16
ORBAAN 1920, p. 48.
3 marzo 1606: «A maestro Ambrogio Buonvici[no], scultore milanese, scudi trenta di moneta a buon conto di 4 angeli, che vanno alle colonne, che tengono il baldachino in mezzo la chiesa»; e ancora il 20 marzo 1606: «Datto al matarazaro scudi uno baiocchi 60 per havere tagliato le veste alli quattro angnoli de l’altare degli Apostoli et cusite con spago et doi migliara di bolette» (ORBAAN 1919, p. 47). 17
18
ORBAAN 1919, pp. 54 s.
Vienna, Albertina, inv. AZ Rom 766 (THELEN 1967b, I, p. 13: C8). Il disegno fa preciso riferimento all’iscrizione sull’architrave di papa Paolo V. 19
ALFARANO 1931, p. 56; LAVIN 1968, p. 14. 20
21
ORBAAN 1920, p. 184.
Vienna, Albertina, inv. AZ Rom 765 (BELLINI 1999, p. 47).
22
VISCEGLIA 1997, pp. 117-176.
25
solenne processione del 28 dicembre 1605, cfr. ORBAAN 1919, p. 41.
Urb. Lat. 1048, f. 178.
ALFARANO 1914, p. 80; GRIMALDI 1972, f. 225, indica il 5 novembre 1609 come data conclusiva per l’uso dell’altare della vecchia basilica. Si ha notizia di una cassa per i corpi «degli SS. Apostoli Judae et Simone» e della
23 24 25
SIEBENHÜNER 1962, p. 318. POLLAK 1931, II, pp. 19-20. POLLAK 1931, II, pp. 309 s.
BUONANNI 1696, tav. 48. La scritta in alto si riferisce erroneamente al baldacchino del tempo di Paolo V: «ORNAMENTUM IMPOSITUM D. PETRI CONFESSIONI SUB PAOLO V». Lo stesso baldacchino è raffigurato nell’incisione che documenta la canonizzazione di Elisabetta del Portogallo nel 1625. 26
27
POLLAK 1931, II, p. 71.
POLLAK 1931, II, p. 327. Il progetto potrebbe essere individuato nel disegno ora a Vienna, Albertina, AZ Rom, X-15; cfr. LAVIN 1968, fig. 35. 28
POLLAK 1931, II, p. 3: «Di Roma, lì 10 di febraro 1629. Per nuovo Architetto della Basilica Vaticana et del Palazzo Apostolico, in luogo del Defonto Sign. Carlo Maderno è stato dichiarato il
29
Cav. Bernino, eccellente non solo in tal professione ma anco nella scultura». 30
POLLAK 1931, II, p. 336.
31
LAVIN 1968, p. 13 e fig. 35.
«Adi 26 di settembre 1624. Io Stefano Maderno ò recevuto scdi 12 dal Sig. Cavaliere Giovanlorenzo Bernino che sono per pagamento di cinque puttini di greta per l’altare di Sto Pietro et in fede - Io Stefano detto manoppa» (POLLAK 1931, II, p. 333).
di Martinelli (Roma, Biblioteca Casanatense, ms. 4984, p. 201) riprodotto in THELEN 1967a, I, Dokumentenanhang n. 4; cfr. qui n. 37. 50
SCHÜTZE 1994, pp. 233 ss.
51
KAUFFMANN 1955, p. 226.
32
«Di Roma il primo di agosto 1626. Sono finite di fondersi con li travi di bronzo levati dal Portico della Rotonda le quattro Colonne, che devono collocarsi nell’Altar maggiore delli Smi Apostoli nella Basilica di S. Pietro …» (Vat. Urb. 1096, Avvisi, in POLLAK 1931, II, p. 338). 33
«Die 3 iunij 1626, Congro generalis […] Quod Smus disponere intendit de Immaginibus Angelorum, quae substinent Conopeum, quod est super Altare SS. Apostolorum» (POLLAK 1931, II, p. 311). 34
35
POLLAK 1931, II, p. 344.
36
POLLAK 1931, II, pp. 352 s.
37
BUONANNI 1696, tav. 50.
POLLAK 1931, II, p. 368 in data del 22 gennaio 1633: «A Gregorio de Rossi fonditore sc. 25 per saldo del lavoro che hà fatto tutto il presente mese come fonditore intorno al Christo grande che và gettato di Bronzo».
38
Pagamenti a favore di Giuliano Finelli risultano nell’agosto 1628 («Acconto delle due statue SS. Pietro e paolo che si fanno per mettersi dalla balaustra dove si sciende abbasso dietro l’altare delli SSmi Apostoli pietro e paolo»), cfr. POLLAK 1931, II, p. 361.
39
POLLAK 1931, II, p. 342, fa riferimento a pagamenti dal 30 gennaio al 3 marzo 1627 a favore di Francesco Borromini e Agostino Radi.
40
41
BAV,
Barb. Lat. 9900, fol. 2.
42
THELEN 1967b, p. 60.
43
Vienna, Albertina, AZ Rom 762.
Tutti i disegni sono da datare tra l’aprile e la fine del 1631 (POLLAK 1931, II, p. 373). 44
LAVIN 2008, pp. 275 ss.; specialmente pp. 298-300, con la trascrizione del manoscritto.
45
LAVIN 2008, p. 293: «biographers extol for his talents as a sculptor and architect, and especially for his genius – equal if not greater than his brother’s – in all things mechanical and mathematical».
46
THELEN 1967a, I, pp. 79 ss.; due disegni sono alla Windsor Library, uno del piedritto, inv. n. 5636 (C72), e uno del lambrequin, inv. n. 5637 (C73) . 47
48
POLLAK 1931, II, p. 421.
Così il commento di Borromini nel testo della Guida di Roma 49
79
PREIMESBERGER 1983, pp. 42 s.
BOTTARI 1822, II, p. 488; FRANSOLET 1933, pp. 275-277.
80
81 HARRIS SUTHERLAND 1977, pp. 72 s., cat. 37; GRIMALDI 2011, pp. 319 s. 82
DOMBROWSKI 1998, p. 265.
52
BERENDSEN 1986, pp. 136-137.
83
EJZENŠTEJN 1985, pp. 87-100.
PASSERI 1934, p. 248.
53
84
54
BERNINI 1713, p. 40.
TORRIGIO 1639, p. 283.
85
POLLAK 1931, II, p. 462.
«In una congregazione d’alcuni cardinali e prelati sopra la fabrica di San Pietro si è risoluto batter a terra la chiesa vecchia, che minaccia rovina»; ORBAAN 1919, p. 35.
55
HARRIS SUTHERLAND 1977, pp. 73 s., cat. 39; GRIMALDI 2011, pp. 319 s. 86
87
PASCOLI 1992, p. 851 s.
88
POLLAK 1931, II, p. 444.
56
DOBLER 1008, p. 203, n. 8.
89
DE LUCA SAVELLI 1981, p. 137.
57
LAVIN 1972, p. 3, n. 9.
90
POLLAK 1931, II, p. 452.
«Il Cavre della Porta devotmo oratore di V. S. Illmo haverà presto finito il modello del Reliquiario del Volto Santo, che tuttavia fa di rilievo conforme à quel suo pensiero, che fù approvato dall’Illmi Sri Cardli Crescentio e Barberino …» (POLLAK 1931, II, p. 70).
58
91
ARFSP, Lista della spese, vol. 7, piano
1°, serie I, n. 16, c. 380, cit. in POLLAK 1931, II, p. 445. 92
PASSERI 1934, pp. 133 s.
. HARRIS SUTHERLAND 1977, pp. 73 s., cat. 39. 93
59
POLLAK 1931, II, p. 312.
94
POLLAK 1931, II, p. 455.
60
POLLAK 1931, II, Reg. 92 s.
95
POLLAK 1931, II, p. 457.
«E più ordine del Sig Chavaglier Bernino si è depinto un modello fatto di legniame sotto alla nichia del Volto Santo con haverlo incessato e stuchato e dato di piacha fina e si è imbrunito da alto e passo e svenato di marmaro …» (POLLAK 1931, II, p. 29).
61
r
POLLAK 1931, II, pp. 24 ss.; un disegno della bottega di Bernini è a Vienna, Albertina, AZ Rom, n. 776.
62
K AUFFMANN 1961, p. 367; F RA SCHETTI 1900, p. 75, descrive il santo che «… apre le braccia erculee in atto battagliero, brandendo fieramente la lancia …». 96
97
LAVIN 1968, pp. 35 ss.
HARRIS SUTHERLAND 1977, pp. 72 s., cat. 38. 98
magis rubei, parvis excavatis lineolis, possent elaborari et ita elaboratae collocari in altari maiori existente in Cap. Sac. S.tae Basilicae Vaticanae in qua ets reponenda Cathedra P.npis Ap.lor». 114
MORELLO 1981, pp. 321-349.
BATTAGLIA 1943, p. 18; cfr. l’elenco dei disegni in B RAUER , W ITTKOWER 1931, pp. 54 s. 115
Ancora il 29 dicembre 1659 il papa annotava nel suo diario: «Parliamo col Cav. Bernino circa la Catedra per la medaglia e l’altare de la Cappella di Sisto e quelle porte de la Sagrestia per abbozarle», in KRAUTHEIMER, JONES 1975, p. 212. 116
117
BATTAGLIA 1943, p. 159.
118
CASALE 2006, p. 180, n. 16.
M ACCARONE 1971, p. 58. Anche l’aiuto dei «muratori» non favorisce una presentazione adeguata. 119
120 «Al sig. Gianpaolo todesco pittore per aver dipinto a olio con la vernice sopra i vetri la colomba che rappresenta lo spirito S.o insieme a molte teste di serafini che gli stanno attorno tutte sopra il vetro et dipinto in opera sopra i ponti scudi diciotto …» (Liste 1666, gennaio, f. 71, in BATTAGLIA 1943, p. 180). Il vetro attuale fu realizzato nel 1911 dalla ditta di Anton Mayer di Monaco di Baviera in sostituzione dell’originale deterioratosi a causa delle intemperie. Un dipinto su tela è conservato presso la Fabbrica di S. Pietro, cfr. scheda di A.M. PERGOLIZZI, in FAGIOLO, PORTOGHESI 2006, p. 175.
99
WITTKOWER 1961, p. 198.
100
POLLAK 1931, II, pp. 467-508.
121
BENEDETTI 1985, p. 85.
LAK
101
BAV, ACSP, H55,
122
CASALE 2006, p. 182.
«[…] iussit alias meliore fieri ac splendidiore» (BAV, ACSP, H 55, fol. 106 v., cit. in DOBLER 2006, p. 309).
102 «Vi restano le infrascritte tavole, che potria darsi alli notati di contro… S. Michel’Arcangelo di rilievo al cav. Bernino» (AFSP, Piano I, serie 3, n. 171, fol. 172v, in RICE 1992, p. 432).
123
BATTAGLIA 1943, p. 52.
63
Vat. Urb. 1097, Avvisi, cit. da POL1931, II, p. 426.
64
65
POLLAK 1931, II, pp. 426 s.
66
POLLAK 1931, II, p. 93.
Presso la Fabbrica di S. Pietro si conserva un modello ad altorilievo di Stefano Speranza dell’angelo portacroce per la nicchia di S. Elena (cfr. FAGIOLO, PORTOGHESI 2006, p. 174).
67
fol. 32.
BAV, ACSP, H55, fol. 102v, in RICE 1992, p. 433.
103
POLLAK 1931, II, p. 85, in data 14 maggio 1627.
104
105
BAUER 2000, pp. 15-25.
68
GRIMALDI 1972, fol. 92r.
106
RICE 1997, p. 270.
69
KAUFFMANN 1955, pp. 229 s.
107
70
TORRIGIO 1639, p. 217.
71
LAVIN 1968, p. 26, n. 123.
Barb. Lat. 2974, foll. 303-304, in RICE 1997, pp. 268-269.
TORRIGIO 1639, pp. 244-284; CHATTARD 1762, pp. 137 ss. 72
Si fa riferimento a una cassa a protezione del sudarium fatta nel 1641 (BAV, ACSP, H71, fol. 175r); cfr. DOBLER 2006, p. 323. 73
Il 31 gennaio 1632, cfr. P OLLAK 1931, II, p. 432.
74
75
II, 76
S.P.C.,
p. 432.
n. 252, f. 115; POLLAK 1931,
PASSERI 1934, p. 110.
77
BELLORI 1976, p. 293.
78
POLLAK 1931, II, p. 434.
BAGLIONE 1639, p. 61.
108
BAV,
109
TORRIGIO 1644, p. 117.
Per gli spostamenti cfr. ALFARANO 1914, p. 41; Petros eni 2006, scheda VI.5. 110
111 Un disegno di Domenico Castelli mostra l’altare di Bernini (BAV, Barb. Lat. 4409, fol. 18, in SCHÜTZE 2008, p. 410, fig. 7). 112
POLLAK 1931, pp. 185-186.
BATTAGLIA 1943, p. 153, Decreta et Resolutiones: «Rpd Virgilius Spada retulit mentem Sanct.mi esse, ut proponatur in cog.ne quod duae ex columnis marmoreis cottanelli coloris
113
«Fu cosa mirabile il vedere, come il Bernino nel tempo stesso, ch’e’ tirava avanti la grand’opera del Portico, si applicasse altresì a condurre per ordine di Alessandro quella della Cattedra di S. Pietro, empiendo la testata della gran Basilica, seondo l’altre volte accennato antico vaticinio di Annibal Caracci, della mole dell’ornato della medesima Cattedra, la quale volle che fusse retta da quattro gran colossi di metallo rappresentanti i quattro Dottori della Chiesa, gli due Greci, Gregorio Nazianzeno, e Atanasio, e gli due latini, Agostino, e Ambrogio. Questi con grazia inesplicabile sostengono una base, sopra la quale essa Cattedra leggiadramente si posa. Ed è da ammirarsi in questo luogo l’insuperabil pazienza del Bernino, il quale avendo di questo gran lavoro fatto di tutta sua mano i modelli di terra, ed essendogli i colossi riusciti alquanto piccoli, non isdegnò di quelli mettersi a fare di nuovo della grandezza appunto, che ora si vedono in opera» (BALDINUCCI 1682, pp. 38s.). 124
125
GRIMALDI 1972, p. 390.
Un disegno di Borromini documenta la situazione prima dei lavori, e mostra sopra il portale il campo dove
126
avrebbe dovuto essere inserito il mosaico, descritto sul verso: «facciata della Navicella e porta di dentro»; Vienna, Albertina, It AZ Rom 744 (T HELEN 1967a, p. 48 s.). 127
BAV,
Vat. Lat. 11257, f. 3.
POLLAK 1931, II, p. 175; BAUER 2000, p. 15. 128
129
POLLAK 1931, II, p. 175.
130
TRATZ 1991-92, p. 346.
WITTKOWER 1966, pp. 215 s.; GRIMALDI 1972, figg. 57-58. 131
132 «… fuit ordinatum, quod alia de novo fiant depicta in tela ad magnitudinem Pilastrorum quibus superponatis, ut ijs visis maturius deliberari possit» (AFSP, 1. p., s. 3, vol. 162 f. 68v) in TRATZ 1991-92, p. 347. 133 Iniziandosi in quegli anni il restauro di S. Giovanni in Laterano, la serie di S. Pietro avrebbe potuto sostituire quella del Laterano che sarebbe andata persa, cfr. BRAUER, WITTKOWER 1931, p. 44. 134 Ci lavorarono sei diverse imprese di scalpellini; cfr. TRATZ 1991-92, p. 351, n. 43.
«Emin.mus D. Cardinalis Justinianus, et Rpd. Spada determinent numerum Imaginum Sanctorum Summorum Pontificum ex marmore sculpendo intus sex Capellas navis maioris Sacrosanctae Basilicae Vaticanae, et quatenus numerus dd. SS. Pontificum non sufficiat, videant qui alij sancti, et quo ordine possent ijsdem adiungi» (AFSP, 1 p., ser. 3, vol. 162 fol. 106v.; in TRATZ 1991-92, p,. 356, n. 78. 135
136 Gli studi di Sedlmayr puntano proprio su questo aspetto, e si riferiscono al programma sviluppato sotto Alessandro VII; cfr. SEDLMAYR 1960, pp. 27-31.
AFSP, Arm. 26, A, 162, fol. 49v.; in Basilica di S. Pietro, Notiziario mensile, XIV, marzo 2002, n. 3. 137
138 «1599 … Camillo Mariani scultore deve havere a di 29 di Novembre sc. trenta moneta havutone mandato a bon conto delle doi figure di stucco che fa sopra la volticella della cappella verso la sacrestia a uscita 41» (AFSP, Arm. 26, A, 162, fol. 61v.). I pagamenti proseguono fino al luglio 1600. ENGGASS 1978, pp. 96-97, identifica la Giustizia e la Fortezza con le allegorie descritte nel pagamento, mentre l’indicazione della sacrestia costituisce un riferimento piuttosto preciso alla Cappella di Santa Marta. 139 «Fuit deputatus Rpd. Spada pro stabiliendo, et concludendo pretio 12 statuarum in magnis Capellis Basilicae Vaticanae ex stuccho conficiendo, et ad illas 12 sculptoribus sibi magis bene visis distribuendum. Idemqui eius Deputatus fuit ad stabiliendum cum stuccatoribus pretium aliarum omnium operum ex stuccho in ijsdem Capellis conficiendum» (AFSP, 1 p., s. 3, vol. 162 f. 98, in TRATZ 1991-92, p. 352).
333
VATICANO BAROCCO
CHATTARD 1762, I, pp. 144 ss., attribuisce a Ottoni anche le Virtù sopra l’arco che introduce alla Cappella Clementina e alla Gregoriana.
140
«Adì 18 settembre 1715: al S. Lorenzo Ottone scultore sc. cinquanta m[one]ta. Resto, et à comp.to di sc. 200 simili, ch’importa una misura e stima delle sue statue grandi di stucco una rappresentante La Religione, e l’altra La Giustizia, fatte nelli Triangoli Sopra uno delli arconi della Tribuna de’ Santi Simone e Giuda in S. P.ro …» (RFSP 2 p., s. 4, vol. 56, Liste mestrue … dell’anno 1715), in ENGGASS 1972, p. 338. 141
Chattard, mal interpretando l’uccello come gufo, definisce l’allegoria come Sapienza, ma i documenti sono chiari: « … una delle quali statue rappresenta La Purità e l’altra La Benignità», cfr. ENGGASS 1972, p. 338, doc. 25.
142
143 «… sopra l’altro Arcone che è nella Tribuna della Cattedra verso la Cappella di San Michele Archangelo una delle quali Statue rappresenta La Cognitione, e l’altra La Compuntione alta l’una p.mi 27, che valutate da noi sottoscritti, secondo suoi soliti prezzi, …» (AFSP, 2 p., 4 serie, vol. 58, Liste … dell’anno 1717), in ENGGASS 1972, p. 339, doc. 32. 144
RICE 1997, p. 108.
Per la storia dell’altare cfr. MONTAGU 1985, p. 139; RICE 1997, pp. 257265; MONTAGU 1999, pp. 172 s. 145
146 147
SCHLEIER 1983, cat. n. XXXIX. POLLAK 1913, pp. 24-26.
I pagamenti iniziano il 28 settembre 1647 e si susseguono regolarmente fino al 1651. Il saldo finale avviene il 30 agosto 1653 per una spesa totale di 10 000 sc. (PASSERI 1934, p. 204, n. 2).
NOTE
1714 al 1757, p. 459); in ENGGASS 1976, I, p. 172. 156 «Statuas sanctorum Fundatorum aliorumque magis conspicuorum eorum Religionis, propriis caelandas impensis, praetiosiori marmore» (Le statue dei santi fondatori e degli altri più importanti dei loro Ordini, da scolpire a proprie spese, con il marmo più prezioso), cit. in NOË 1996, p. 17.
«Ne inter dictas Religiones intercessionis oriretur dissentio» (affinché non sorgessero problemi di precedenza tra i detti ordini); NOË 1996, p. 20; VISONÀ 1996, pp. 315-325.
157
ENGGASS 1976, I, p. 139; VALESIO 1977-1979, II, p. 131.
158
159
ENGGASS 1976, I, p. 184; NOË 1996, pp. 203-210.
160
Informa sulle vicende un documento conservato presso l’ASR (Corporazioni Religiose, S. Maria della Scala); cfr. ENGGASS 1976, I, p. 203. 161
«Rev.mo Padre, Pietro Monnò scultore e oratore humilissimo della P.V. Rev.ma havendo preinteso doversi fare la statua di S. Elia Profeta da porsi in una delle nicchie della Basilica Vaticana, supplica humilmente la P.V. Re.ma degnarsi agratiarlo: concedendogli l’opera sudetta» (Documento presso l’Archivio Gen. dei Carmelitani, cit. in NOË 1996, p. 150).
162
163
BELLORI 1976, p. 410.
Il rilievo è posto sulla scala che conduce alla biblioteca. 150
«Al Sre Cavre Alessandro Algardi scxudi duemila ottocento oltre a scudi settemila duecento moneta havuti sin qui et sono per compimento de scudi diecimila moneta che se li danno per saldo et intero pagamento dell’historia et suo modello di S. Leone Papa di basso rilievo da lui fatta in S. Pietro…» (MONTAGU 1985, II, p. 359). 151
La lettera si trova presso la Biblioteca Corsini (ms 2573, int. 1, n. 386) cit. in MONTAGU 1985, II, p. 360.
152
L’«intagliatore di marmo» fu pagato il 14 giugno 1653 (in MONTAGU 1985, II, p. 360). 153
154
CHATTARD 1762, I, p. 55.
«A di 24 ago. 1725 … A Giuseppe Lironi sc. 130 mta. P resto, et a compim.o di sc. 400 stabilito così d’accordo d’uno delli putti delle pile di marmo p. le pile dell’a[c]qua Santa della Basilica Vaticana …. Sc. 130» (AFSP, s. Arm., vol. 412, Giornale dal 155
334
PASCOLI, 1730, pp. 264-265.
BALDINUCCI 1735, p. 220; ENGGASS 1976, I, p. 104.
164
165
148
149
NOË 1996, p. 140.
NOË 1996, p. 216 ss.
« … la Religione Benedettina gli ha fatto scolpire la statua Colossale di S. Benedetto suo fondatore l’anno 1734 …» (F. GABETTI, 1740, in LANKHEIT 1962, pp. 228-29; ENGGASS 1976, I, p. 191). 166
167
NOË 1996, p. 164 s.
CHRACAS, n. 2876, p. 7: «Dai RR. PP. Della Congregazione della Chiesa Nuova è stata fatta porre in una delle nicchie della sagr. Basilica Vaticana il modello della Statua da scolpirsi del loro Fondatore S. Filippo Neri, opera dello scultore Sig. Giovanni Battista Maini».
168
169
ENGGASS 1976, I, p. 186.
Il 22 dicembre 1743, in CHRACAS, n. 3963, p. 2. 170
171
CHRACAS, n. 4251, p. 2.
172
NOË 1996, pp. 288 s.
CHRACAS, n. 5658, pp. 8-9: «In S. Pietro in Vaticano nella seconda nicchia della Navata Maggiore a mano sinistra nell’entrare in quell sacro Tempio è stata scoperta in questi giorni la statua di marmo… di S. Camillo de Lellis, quale è opera dello scultore sig. Pietro Pacilli, romano, lavorata a tutta perfezione».
173
CHRACAS, n. 5607, p. 10: «Giovedì mattina si vidde nella Basilica di S.
174
Pietro scoperta la bellissima Statua di marmo già terminata di S. Pietro d’Alcantara posto nella sua nicchia che è quella situata sopra il pileo dell’acqua benedetta a mano sinistra nell’entrare dalla porta maggiore. Il Virtuoso che l’ha eccellentemente lavorata è stato il Sig. Don Francesco Bergara, spagnolo, scultore di S.M. Cattolica …». 175
CHRACAS, n. 5790, p. 18.
176
4 ottobre 1754, CHRACAS, n. 5964.
177
GRADARA 1920, p. 107.
«Di casa, 5 giugno 1751 In ossequio delle venerate premure di Vostra Eminenza, avendo Olivieri Suo Um.mo Servitore riconosciuto quali nicchie siano vacanti nella Basilica di San Pietro da potervi collocare la statua del B. Fondatore delle Scuole Pie, ha trovato che solamente nella crociata della Basilica dalla Cappella dei SS. Processo e Martiniano a quella de’ SS. Simone e Giuda può restare servito il P. Generale di d.o Ordine per la scelta, atteso che quelle del primo ordine della navata di mezzo sono di già ripiene, e quattro che rimanevano davanti restano con rescritto SS.mo impegnate per i Santi Pietro d’Alcantara, Teresa, Camillo de Lellis, e Vincenzo a Paulo. Scelga il Padre Generale nella crociata suddetta quella che più gli aggrada, qualora non volesse ascendere al secondo ordine delle nicchie, e sappia notificarla allo scrivente, acciò al ritorno della Santità di N.S. possa riferirla con la sua informazione che assicura l’Em.za Vostra sarà favorevolissima per detto Ordine. E qui, pieno di venerazione, resta facendole profondissimo inchino, … »; cit. in FACCIOLI 1967, p. 20. 178
179
MONTAGU 1996b, p. 312.
180
CHRACAS, n. 5964.
181
CHRACAS, n. 6216, p. 14.
182
GRADARA 1920, pp. 71-72.
POLLAK 1931, II, p. 271; CARTA 1996, p. 44. 183
184
35.
BRIGANTI 1982, pp. 187 ss., scheda
13 agosto 1625: «Giovanni Lanfranco pittore et humiliss a creatura della S.V., desideroso di spendere il suo talento in servizio di S.D. N.ri, et della Sta V.ra, supplica humiliss[imamen]te, che li sia concesso il quadro di pittura da farsi nella nova Sacristia di S. Pietro, contro il novo choro; che per, ottenendone la gratia; di dar soddisfatt[io]ne, e resterà con obligo eterno di porgere ardentissimi voti à Dio per lo felicissmo et lungo Pontificato della S.V., Quam Deus […]», in POLLAK 1931, II, pp. 566 s. La storia della cappella è ricostruita da DI SANTE 2011, pp. 181 s.
185
Il 4 febbraio 1628 il «Sr Card. Barberino propone per una Tavole grande Pietro Cortonese […]»; POLLAK 1931, II, p. 87. 186
187
CHATTARD 1762, I, p. 54. La decisio-
ne della Sacra Congregazione è datata 11 febbraio 1636. 188 17 maggio 1636: «Al Sign. Carlo Pellegrino sc. 50 a conto del quadro che detto fa di S. Mauritio, primo mandato». Al luglio e agosto 1638 è riferito il pagamento: «[…] E più per una Tela per il quadro di S. Mauritio alto pi 15 larg. pi 10 et sua imprimatura, che dipinge il Sr Carlo Pelegrino […]», in POLLAK 1931, II, p. 279. 189
RICE 1997, pp. 113 s.
190
CARTA 1996, p. 40.
191
AFSP,
Arm 14, A 159, c. 63 v.
Cfr. Vat. Urb. 1094, Avvisi, e la nota del 3 giugno 1626 dei Decreta S. Visitationis Apostolicae: «Novus fons baptesimalis quanto citius extruatur in Sacello iam designato, sed eius formae exemplum antea in Congragazione … deferatur, ad ostendendum an S[anctissi]mo placeat» (in POLLAK 1931, p. 176).
192
«Finalmente gli fu concesso dal Cardinal Ginnasio la prima Cappella a man manca in S. Pietro Vaticano, ov’è la Fonte del Battesimo, nella cui volta Dio Padre con diversi Agnoli, e Puttini, e nelli mezi tondi ne’fianchi della volta v’ha dipinto alcuni Angeli grandi colorito a olio sopra lo stucco; & anche formò nel quadro dell’Altare S. Gio. Battista, che battezza N. Signore con Agnoli, ma perche non diede gusto, fu l’opera dell’Altare cancellata, & in cambio vi fu posta la Cathedra di S. Pietro, Principe de gli Apostoli», (BAGLIONE 1649, p. 379). 193
Un disegno degli Uffizi (n. 11810F) rappresenta il Battesimo di Cristo (cfr. DOWLEY 1965, p. 70,. fig. 8).
194
7 settembre 1630: «Al Sign. Luigi Bernini sc. 50 a conto delli Angeli di marmo che vanno di là et di qua della Cattedra» (in POLLAK 1931, p. 182). 195
«Adì 19 giugno 1637. Misura et stima del lavoro di scarpellino fatto in Commettere il Campo et fondo di mischi dove ha da stare la Cathedra di S. Pietro nella Cappella del Baptistero fatto à Manifattura di Agostino Radi e mo Alessandro Loreto … Per il commesso sopra detto fatto con nuvole scure et chiare contornate, et splendore nel mezzo di Giallo …» (in POLLAK 1931, pp. 186 s.). 196
«Havendo S.Sta saputo che frà i materiali di S. Pietro ci è gran quantita di metallo, hà per bene che si facci un Battisterio, e che si dia l’opera à l’Algardi» (AFSP, 1° p., s. 2, vol. 64, f. 651r, in MONTAGU 1985, pp. 392-393). 197
«J’ay sçeu de plusieurs autres personnes que, dans le dessein que l’on a depuis quelque temps de faire quelche ouvrage dans la chapelle de Saint-Pierrequ’on appelle du Baptesme, il y avoit douze Architects qui avoient présenté tout autant de desseins, et le Signor Lorenzo cy dessus me dit encore hier qu’il faisoit 198
présentement en cire deux desseins de cette ouvrage, l’un après le Cavalier Fontana, et l’autre après Mathia de Rossi, les deux plus habilles Architects de Rome. Il me dit, de plus, ce que l’ay apris d’autre part, quel es deux principales figures de cet ouvrage estoient destinées à Domenico Guidi quand on en viendroit à l’exécucion; quel es autres figures seroient partagées à plusieurs Sculpteurs, où le Sr Théodon pourroit avoir sa part comme les autres» (La Teulière, in una lettera a Villacerf del 23 marzo 1692, in MONTAIGLON 1875, p. 269). F ONTANA 1697; B RAHAM , H AGER 1977.
199
200
CHATTARD 1762, III, pp. 157 s.
«… qu’il avoit conduit de concert avec l’Architecte Matthia de Rossy et qui n’a pas eu le bonheur de plaire au Pape assés pour mettre en exécution» (MONTAIGLON 1875, p. 435). 201
202
ROSSI 1942, p. 374.
203
FONTANA 1697.
204 Buonanni indica come anno di trasferimento il 1635, Chattard il 1610 (DOWLEY 1965, p. 62). 205
FONTANA 1697.
206 ZANDER 2011, pp. 251 ss. La Teulière, in una lettera del 10 gennaio 1696, informa della commissione a Maratti di quattro dipinti («Mais ce faux honneur a esté détruit, malheureusement pour luy, dans le dessein de la Chapelle du Batesme de St-Pierre, où il a esé confondu avec les Sculpteurs du second ordre, et les modelles du premier et du second abandonn´s entièrement à leur peu de mérite, Carles Marat ayant ordre de faire quatre tableaux pour ladite Chapelle, a quoy il travaille présentement» (in MONTAIGLON 1888, II, p. 199). 207
FONTANA 1697.
«Egli è stato infatti uno dei Papi più devoti e umili» (PASTOR 1962, XV, p. 637). 208
ZANDER 2011, pp. 251 ss. Le tele su cui si basano i mosaici sono ora parte nell’Aula delle Benedizioni parte nell’Archivio Storico della Fabbrica di S. Pietro.
209
210
ZANELLA 2000, pp. 271 s.
Vat. Urb. 1099, Avvisi (in POLLAK 1931, II, p. 589).
211
212
ALFARANO 1914, p. 89.
Urb. Lat. 1044, f. 700; PASTOR p. 800. Un ulteriore Avviso del 18 giugno si riferisce precisamente a queste sepolture: «In questa Cappella si faranno le sepolture di s. Beat.ne et delle doi Cardinali Nepoti quali faranno in doi nicchi di essa doi altari» (BAV, Urb. Lat. 1048, f. 182v). 213
IX ,
214 215
BAV,
BAGLIONE 1649, p. 43. MARTIN 1998, pp. 80 ss.
CHACON 1677, IV, 31; BONANNI 1696, tav. 33.
216
217 Sulla sinistra Filippo Boncompagni e sulla destra Filippo Guastavillani.
CIAPPI 1596, pp. 119 s. Per l’iscrizione cfr. KRÜGER 1986, p. 49.
218
219
ANDROSSOV, ENGGASS 1994, p. 821.
«… far scolpire da altro scultore il basso rilievo nel urna, ad effetto di avanzare il tempo, e per più presto ultimare detta opera», cfr. SCHLEGEL 1969, p. 31. 220
221
FRANK 1998, pp. 110-110.
4 settembre 1723: «Nella Basilica Vaticana in questi giorni è stato scoperto ed esposto alla vista e ammirazione di tutti il sontuoso Deposito alla gloriosa memoria di Gregorio XIII fatto fare dal card. Giacomo Boncompagni, vescovo di Bologna …» (CHRACAS n. 950, p. 10). 222
223 Il contratto del rilievo è del 21 luglio 1634: «Adì 21 luglio 1634. In Roma. Volendo l’Emmo et Rmo Sigr Roberto del Titolo di Sta Prassede Prete Cardinale Ubaldino erigere un deposito di marmo alla Sta Memoria de Papa Leone XI. Suo zio nella Basilica di S. Pietro in Vatichano di Roma, et havendo fatta elletione di Alessandro Algardi Bolognese non solo per Artefice, et scultore, ma addossatali come si dirà qui sotto fatta questa opera, l’Emmo hà col mede.mo Algardi fatti gl’Incte (?) capitulationi, et conventioni» (in POLLAK 1936, p. 281).
Il pagamento finale è del 5 febbraio 1644 (POLLAK 1936, p. 292). 224
225
MONTAGU 1985, II, p. 434.
226
POLLAK 1936, p. 282.
227
MONTAGU 1999, pp. 112-114.
228
FAGIOLO 1997, pp. 199-204.
229
PASSERI 1934, pp. 202 ss.
La descrizione corretta si deve a Bellori (BELLORI 1976, p. 406). La precisione della raffigurazione fa supporre come fonte una descrizione contemporanea, cfr. MONTAGU 1985, I, pp. 43-45. 230
231
ZANELLA 2000, p. 271.
232
BAV,
Vat. Urb. 1098, Avvisi, in POLLAK 1931, II, p. 589. La destra e la sinistra sono dal punto di vista del trono papale verso la navata centrale. 233
POLLAK 1931, II, pp. 286-287.
«Per la pelle piana del primo zoccolo di marmo saligno … Per la pelle piana dell’zoccolo sopra do di marmo saligno … Per la pelle dello zoccolo d’Aafricano sopra … » (in P OLLAK 1931, II, pp. 596-597). 234
235
BALDINUCCI 1682, p. 17.
236
BALDINUCCI 1682, p. 17.
237
POLLAK 1931, II, pp. 599-604.
238 Il documento del 20 maggio 1644 impegna Bernini a terminare l’opera entro tre anni (POLLAK 1931, II, p. 609). 239
PANOFSKY 1992, p. 94.
240
RICE 1992, pp. 249-250.
241 «Aveva il Cavalier Bernino fino in vita d’Alessandro VII fatto il disegno, e modellato tutto di sua mano il sepolcro di lui per situarlo in S. Pietro, ed aveane avuta l’approvazione non solo dall’Eminentiss. Cardinal Nipote, ma dal medesimo Alessandro, il quale di più gliene aveva commesso l’intero compimento; onde mancato Clemente X ed assunto alla Pontificia dignità Innocenzio XI che oggi santissimamente governa, egli applicatovisi di gran proposito lo condusse a fine» (BALDINUCCI 1682, p. 57).
«Il Pontefice meditando continuamente la brevità della vita humana, oltre la scritta cassa fattasi fare per riporvi il suo cadavere, intendesi che hora faccia fare il disegno della sua sepoltura componendo egli medesimo l’iscrittione, che in essa dovrà farsi», Avviso del 18 settembre, in PASTOR 1929, XIV/1, pp. 519 s.
242
243
KRAUTHEIMER, JONES 1975, p. 204.
244
KRAUTHEIMER, JONES 1975, p. 212.
Un disegno di Bernini per una cappella funeraria è nel cod. Chigi a I 19, fol. 15r (in FEHL 1985, fig. 55). 245
255
PORTOGHESI 1966, p. 294.
«Ma come a’disgusti, ed alle disgrazie vanno alle volte dietro i piaceri, e le fortune, ebbe Ercole ordine di far la statua di Clemente X, che fece in pochi mesi, a far vedere a chi avesse avuto genio di servirsi di lui, che se era vecchio, sapeva ancora lavorare da giocane» (PASCOLI 1730, p. 244). 256
257 M ARCHIONNE , GUNTER 1997b, S. 357. 258
SCHIAVO 1964, p. 189.
KARSTEN, PABSCH 1999, p. 300. La tomba ancora in corso di realizzazione è descritta da Filippo Titi nell’ed. del 1686, p. 11: «… il Sepolcro, che hora si stà facendo con nobil architettura di Mattia de Rossi incontro al medesimo, che è di Clemente X hà la Statua del Pontefice scolpira da Ercole Ferrata; da i lati la Fedeltà, lavoro di Lazzaro Morelli, e la Fortezza, fatiga di Giuseppe Mazzuoli; le due Fame per di sopra, i Putti, e la Cartella sono di Filippo Carcani, & il Basso rilievo nell’Urna è di Ambrgio Parisij». 259
260
PASCOLI 1992, p. 952, n. 12.
246
MENICHELLA 1985, pp. 41 s.
261
BACCHI 1995, n. 2.
247
BALDINUCCI 1682, p. 58.
262
PASCOLI 1992, pp. 946-947.
248
PANOFSKY 1992, p. 95.
249
PASTOR 1929, XIV, 1, p. 399.
250
GOLZIO 1939, p. 118.
Il disegno fu pubblicato da EISLER 1981, cat. 29. FEHL 1985, pp.113-114, e fa riferimento a un disegno della cerchia di Bernini (Philadelphia, Museum of Art) che lega alla primissima fase dei lavori, intorno al 1655. Si vede già una porta sotto il trono del papa affiancata da due figure allegoriche.
251
252 AFSP, Io p., s. Armadi, vol. 374, fol. 59v: «A di 22 luglio 1676 passò a miglior vita Papa Clemente decimo a ora diciasette e la stessa serra fu trasportato a Monte Cavallo al Palazzo di S. Pietro alla Cappella e il giorno seguente fu portato in S. Pietro in mezzo la chiesa e doppo fu portato nella Cappella del Sagramento dove stiede tre giorni gli fu data sepoltura in S. Pietro», in KARSTEN, PABSCH 1999, p. 311, n. 27. 253
SCHIAVO 1964, p. 189.
«Adì 28 aprile 1683 monsignor Vespignani segretario et economo della Rev[eren]da fabricha di S. Pietro mandò un ordine a me Giacomo Balsimelli fattore della Rev[eren]da fabrica di S. Pietro che io debba dare tutto quello che fabisogno per scaricare un pelo di marmo statuario che a fatto venire il sig. Cardinale Altieri per fare il deposito di Papa Clemente Decimo che va collocato in S. Pietro e dette stiglie si sono consegnate a Borlachi per scaricare li sudetti marmi et il sudetto ordine fatto da monsignore Vespignano segretario lo tiene apreso di se il sig. Matia de Rossi» (AFSP, 1o p., s. Armadi, vol. 303, f. 28, in MENICHELLA 1985, p. 88). 254
263 TITI 1763, p. 18: «… il deposito del Venerabile Innocenzo XI, fatto da Stefano Monot Borgognone con disegno di Carlo Maratti». Sull’argomento cfr. anche SOBOTKA 1914, p. 30. 264
CHATTARD 1766, I, p. 108.
265
SOBOTKA 1914, pp. 22-42.
266
PEREZ SANCHEZ 1967, p. 102.
267
SCHLEGEL 1974, p. 60.
Lettera del direttore dell’Accademia di Francia a Roma del 2 novembre 1694: «L’on n’a distingué des autres que le Sr Dominico Guidi, à qui l’on a fait faire le groupe du Christ et du St Jean, comme on l’a distingué présentement en luy donnant le tombeau d’Alexandre huit à faire luy seul» (MONTAIGLON 1875, II, n. 546). 268
269 «Sc. 432 à Pietro Papaleo scultore per haver fatto un modello di tutto il deposito in altezza di sei palmi con otto figure, diversi basamenti, Urna, Cartelloni, e Piedestallo del Papa il tutto finito con somma diligenza secondo il primo Modelletto di greta fatto di mano del Conte San Martino e più per haver fatto tre altri modelli diversi con molte figure, et ornati nelle Nicchie d’altezza di tre palmi in circa secondo i disegni del predetto Conte San Martino» (BAV, Vat. lat. 7483, in PASTOR 1933, XIV/2, p. 1067). 270 SCHLEGEL 1969, pp. 33 s., indica l’anno 1706 come inizio dei lavori. 271
FRANZ-DUHME 1986, p. 72.
272
SCHIAVO 1965, p. 405.
273
OLSZEWSKI 1997, pp. 374 ss.
274
Berlino, Kunstbibliothek, Hdz
335
VATICANO BAROCCO
3854, databile tra 1704 e 1705; cfr. SCHLEGEL 1969, p. 33, fig. 22. ARCHIVIO STORICO DEL VICARIATO, ms. Ottoboni 3362; MINOR 1997, p. 205.
275
276
MINOR 1997, pp. 205-207.
«… essendogli stato imposto dall’E. mo Cardinale don Annibale Albani, che gli facesse il modello del deposito della Santa Memoria di Clemente XI zio, in piccolo, e doppo essegli piaciuto ordinato che lo facesse in grande, come nell’uno e nell’altro modo eseguì, adesso gli ha ordinato, che lo sospenda, venendogli raccomandato altro comprofessore … » (LANKHEIT 1962, p. 288). 277
278
MUÑOZ 1918, p. 100.
GRAF 1991, p. 244; GRAF 1995, I, pp. 117-118. Un disegno simile si trova a Düsseldorf, Museum Kunstpalast. 279
280
DESMAS 2008. pp. 89-101.
Lettera del 17 giugno 1728, in MONTAIGLON 1875, VII, p. 425. 281
282
Inv. G.S.*274.
283 Qualche anno fa è apparso sul mercato antiquario un disegno attribuito a Pietro Bracci con la data 1743 (Christie’s New York, 22 gennaio 2003, lotto 44). Altri disegni con il papa in trono sono a Düsseldorf, cfr. MARTIN 2007, passim.
«Deposito di Papa Lambertini fatto a spese dell’e. mi Cardinali creature in S. Pietro, li quali avendo intimato il concorso di professori, scelsero il mio disegno avendomi deputato per scultore e architetto di questa spesa, avendo fatto il modellotto di legno terminato e dipinto e dorato di propria invenzione», in GRADARA 1920, p. 163; PASTOR 1933, XVI/1, pp. 236-237; per il monumento cfr. ZAMBONI 1964, pp. 211 ss. 284
2 giugno 1759; CHRACAS, n. 6537, pp. 22-23.
285
286
GRADARA 1920, tav. XXIV.
287
ZAMBONI 1964, fig. 73.
288
MAES 1893, n. 268, pp. 786-791.
289
GRADARA 1920, p. 108.
LECOY DE LA MARCHE 1884, pp. 289290.
290
NOTE
294 «Urbano VIII Pontefice Massimo alla contessa Matilde donna di animo intrepido difesa della sede apostolica insigne per pietà e illustre per munificenza dopo averne qui traslato le ossa dal monastero mantovano di s. Benedetto riconoscente pose a lode perenne questo meritato monumento nell’anno 1635» (cit. in La Basilica di S. Pietro, XI, 1999, n. 6, p. 2).
MONTANARI 1997, p. 252. FISCHERPACE 1999, pp. 81-96, identifica un disegno di Ludovico Gimignani (Fondaz. Cossío, Tudanca, Cantabria) come progetto per la tomba della regina.
295
296
MONTAGU 1996b, pp. 125.
297
MONTAGU 1996, p. 125.
336
BAV, cod. Chigi H.II.22. Nell’elenco è menzionato san Tommaso di Villanova, canonizzato il 1 novembre 1658. Il documento va pertanto datato tra questa data e il 1661, quando ormai la prima statua è posta in opera.
323
BRAHAM, HAGER 1977, pp. 56-60.
324
MARTINELLI.
WITTKOWER 1997, pp. 251 e 291-92.
325
BORGATTI 1925, p. 230.
«Haveva Innocenzo destinato questo colosso per la chiesa di S. Pietro; ma non gli ha determinato logo» (BERNINI 1713, p. 107).
326
SERGIACOMO 1912, p. 17.
300 301
302
TITI 1763, p. 19.
CHRACAS, n. 3960, del 15 dicembre 1742: «Nella scorsa settimana nella basilica di S. Pietro in Vaticano si vidde terminato e scoperto alla pubblica vista il nuovo nobilissimo deposito eretto alla defunta Regina della Gran Britannia …».
303
304
THOENES 1963, pp. 107.
305
FONTANA 1590, p. 3.
306
SERGARDI 1723, p. 12.
327
MEYER 1696, pp. nn.
CAPITOLO TERZO Archivio Storico Generale della Fabbrica di San Pietro in Vaticano (d’ora in poi AFSP), Arm. 12, D, 4b, 29, f. 925. 1
2 Il problema della corretta scrittura del termine sanpietrini è risolto in LANZANI 2010, ove si stabilisce che il vocabolo più adeguato per definire coloro che lavorano per la manutenzione ordinaria e straordinaria della basilica di S. Pietro sia quello dell’eccezione lessicale di sanpietrini, rintracciabile nei documenti della Fabbrica a partire dal XVIII secolo.
307
BRAUER, WITTKOWER 1931, p. 67.
308
PASTOR 1929, XIV, p. 289.
309
MORELLO 2008, p. 322.
310
THOENES 2011, p. 79.
311
DEL PESCO 1988, p. 41.
3
312
DEL PESCO 1988, p. 42.
Nella sterminata bibliografia sulla costruzione della basilica di S. Pietro, per l’attinenza con i temi trattati, si rimanda a F RANCIA 1977; F RANCIA 1987; [PIETRANGELI] 1989; BENEDETTI 2000; [BREDEKAMP 2000; PINELLI] 2000; Petros Eni 2006; [SATZINGER, SCHÜTZE] 2008; BELLINI 2011; THOENES 2012.
313
WITTKOWER 1939-40, p. 78.
Nelle fondazioni furono poste varie medaglie che ne ricordano il primitivo aspetto. Sul rovescio è la scritta: «FUNDAMENTA. EIUS | IN. MONTIBUS. SANCTIS», citazione del Salmo 87,1, con allusione ai monti dell’araldica chigiana. 314
315
ROCA DE AMICIS 2000, III, p. 295.
WITTKOWER 1939-40; KITAO 1974, p. 105 n. 110, presenta un controprogetto del 1659, già nella coll. Brandegee e oggi conservato presso la Biblioteca Vaticana.
«23 aprile-9 settembre 1634: A Mro Bened. Drei muratore .. a buon conto delli lavori del muro che fa per il deposito della … Cont. Mat.» (Barb. Cred. XV, Cas. 194, maz. LVII, lett. T; in POLLAK 1931, n. 618).
Invece della numerazione proposta da Andreas Haus (1970), se ne segue qui una progressiva che, secondo la successione storica, prende in considerazione per prime le statue sui bracci curvi (a partire da san Gallicano, 1) e poi quelle dei bracci diritti (san Bonaventura, 91). V. tabella. 322
VALESIO 1977-1979, II, p. 198.
«Di Roma il 21 di marzo 1637: La Sant. di N.ro Sig. … venerdì mattina nella Basilica di S. Pietro … si compiacque di andare a vedere il bellissimo Deposito che in quella mattina s’era scoperto fatto fare da sua Beat. in detta Basilica alla Contessa Matilda …» (Vat. Barb. 6362, Avvisi; POLLAK 1931, n. 658.) 293
BUONAZIA 2000, p. 303.
299
316
292
321
298
13 maggio 1769; CHRACAS, n. 8057, pp. 18-19. 291
programma iconografico adeguato, che non è però conosciuto (cfr. SEDLMAYR 1960, p. 36). DEL PESCO 2000, p. 252.
BAV, Cod. Chigi H II 22, fol. 105 s.; BRAUER, WITTKOWER 1931, p. 70, n. 1.
317
318
BERNINI 1713, p. 111.
319
BELLINI 2011, I, p. 398.
BRAUER, WITTKOWER 1931, ne contavano 196. Anche il terzo braccio, non realizzato, avrebbe dovuto essere coronato da statue. La sua particolare posizione, in diretta corrispondenza visiva con la facciata e l’altare maggiore, cioè la tomba di Pietro, richiedeva un
320
MARCONI 2004.
4
Il termine opus o fabrica designa tanto i lavori quanto l’organo che dirige e gestisce i mezzi deputati al compimento dell’edificio. In un’accezione prettamente ecclesiastica la fabbrica è assimilata alla rendita necessaria al mantenimento di una chiesa, sia materiale che liturgico (MORONI 1842, XXII, p. 253). Il termine dunque fa riferimento «non tanto alla natura ecclesiastica o laica, quanto all’acquisizione dell’attributo di persona giuridica, che si verifica con l’accantonamento, a favore di un istituto, di beni e materiali destinati al cantiere» (Opera 1992, p. XI; GOLDTHWAITE 1984, pp. 134-139). 5
6 Sull’ordinamento della Fabbrica v. RENAZZI 1793, DEL RE 1969; BASSO 1987; MARCONI 2004, cap. 1, pp. 25-
AFSP, Arm. 25, C, 89, Inventario delle Munizioni (1580-1581).
36; LANZANI 2008; TURRIZIANI 2008; TURRIZIANI 2008a.
16
Per approfondimenti sull’impianto amministrativo e sui meccanismi di finanziamento della Fabbrica v. SABENE 2008 e ID. 2012.
Arm. 25, E , voll. 130-131, Inventario delle Munizioni (1590). Sul cantiere michelangiolesco e dellaportiano si vedano soprattutto i contributi di BELLINI 2011, ZANCHETTIN 2008 e 2009; BRODINI 2009.
7
Un documento anonimo e non datato, ma ascrivibile alla prima metà del XVII secolo, riporta un elenco di «altri magazzini della Fabrica»; tra essi figurano anche quelli dislocati presso l’ospedale e la chiesa di S. Marta. In una planimetria allegata al documento è indicata la posizione di tre depositi, tutti situati presso il fianco sinistro della chiesa (AFSP, Arm. 12, B, 66, f. 461). Il disegno, non riproducibile, misura 22 x 27,5 cm ed è eseguito su carta a matita e inchiostro bruno per le didascalie. Ringrazio il Presidente della Fabbrica di San Pietro in Vaticano, Sua Eminenza Rev.ma Card. Angelo Comastri, e il Delegato, Sua Eccellenza Mons. Vittorio Lanzani, per averne concesso la consultazione e la riproduzione. Un ringraziamento particolare va alla Dott.ssa Simona Turriziani, responsabile dell’Archivio Storico Generale della Fabbrica di San Pietro, per il fondamentale sostegno nella ricerca documentaria e al Dott. Pietro Zander per il proficuo confronto su comuni interessi di ricerca e per il prezioso aiuto nel reperimento e nella collazione delle immagini. Grazie anche agli archivisti Assunta Di Sante e Marco Boriosi per la costante assistenza. 8
9
Congregatio s.a., p. 4.
Sulle gratifiche salariali concesse ai sanpietrini v. MARCONI 2004, pp. 44-46 e SABENE 2012, pp. 167-169.
10
11 AFSP, Arm. 26, D, 282, f. 61v, Libro mastro del Soprastante delle taglie (1637-1656), registro autografo di Pietro Paolo Drei. 12
Congregatio s.a., p. 4.
«Dovrà tenere presso di sé le chiavi dello Studio del Mosaico, e sue Monizioni, e se li Signori Mosaicisti, ò altri, per loro uso, volessero comprare Stucco, o smalti, con preventiva licenza di Mons. Ill.mo e R.mo Economo, dovrà pesarli, e farseli pagare secondo li loro stabiliti prezzi» (ibidem, p. 6).
13
AFSP, Arm. 17, D, 16, f. 128r, Libro mastro dell’avere e delle paghe per gli architetti, artisti e operaj nominati singolarmente dal 1627 al 1630. «Al Fattore della Fabbrica, Giovanni Fabbri, per pagare carrettieri per trasporto di carrettate di terra, tufo, calce, rena, calce bianca, tevolozza di campagna, forme di gesso per la fonderia, diverse carrettate di scaglia alla calcara e operai diversi, per il nolo di 6 cavalli che scaricarono dalla barca due pezzi di marmo bianco venuto da Carrara, per pagare diversi scorzi di polvere di travertino e di marmo e la segatura di alcune pietre, per pagare alcune tirate d’argano[…]». 14
15
AFSP,
Arm. 24, F, 20, ff. 37-38.
17
AFSP ,
Valga per tutte la straordinaria fortuna critica dei compendi di FONTANA 1590 e FONTANA 1694. Su Domenico Fontana e l’innalzamento dell’obelisco Vaticano v. CURCIO, SPEZZAFERRO 1989; CURCIO 2003; [CURCIO, NAVONE, VILLARI] 2011; MARCONI 2009. 18
AFSP, Arm. 29, A, 614, Inventario della Fabbrica (1608); AFSP, Arm. 26, B, 194, Libro della Munizione (16101612); AFSP, Arm. 26, B, 207, Libro della Munizione (1612-14); Giornale della Munizione (1614-1615). 19
20
AFSP,
Arm. 26, C, voll. 219, 241.
Un editto dell’ottobre 1610 vietava «a persona alcuna [di] levare e portar fuori di detta Fabrica alcuna sorte di ferri, ordegni, legnami, Piombi, Metalli, Rame et altre materie di qual si voglia sorte, senza ordine in scritto delli offitiali di detta Fabrica, ò uno di essi, sotto pena di scudi 50 et tre tratti di corda per ciascheduna volta» (ORBAAN 1919, pp. 93-94). 21
Arm. 29, B, 628a, Registro dei Decreti della Congregazione della Reverenda Fabbrica di San Pietro relativi alla Basilica Vaticana, p. 390, che fa riferimento alla Congregazione tenutasi il 17 luglio 1660. 22
AFSP,
Sul noleggio e l’uso delle macchine da costruzione v. MARCONI 2001 e 2003.
23
Il primo volume di Liste Mestrue della Fabbrica data agli anni 16521659 (AFSP, Arm. 26, E, 305). Nell’anno successivo avrà inizio anche la compilazione del Libro delle Robe vendute 1657-1673 (AFSP, Arm. 26, E, 323) e del Libro delle Robbe prestate 1650-1685 (AFSP, Arm. 26, E, 303).
24
25
MARCONI c.s.
26
MARCONI 2009, pp. 45-56.
27
Castelli e Ponti 1743, tav. V.
SCHÜTZE 2008 e relativi riferimenti bibliografici.
28
29
WITTKOWER [1958] 1993, p. 138.
Arm. 42, E, 6, f. 111r, Liste mestrue della Fabbrica di San Pietro. È datata al 13 marzo 1663 la «Stima dell’opera di Bronzo che si è fatta per situare la Catedra di S. Pietro cioè li quattro Dottori, la Sedia e le quattro Arme [...], quale ha gettato di Bronzo mastro Giovanni Artusio fonditore à tutte sue spese, eccettuando però li modelli di Chreta che hà fatti il Bernino, la rinettatura delle cere, le fornaci da cocere e da fondere, è tutto quello che ha bisognato tanto d’huomini, come di stigli per cavare fuori dalle fornaci li detti getti doppo gettati come anco il metallo, le qual cose gli ha dato tutte 30
AFSP,
la Reverenda Fabrica di San Pietro». BATTAGLIA 1943. Tra la primavera e l’estate del 1660 Giovanni Artusi attende alla fusione di due angeli di bronzo, mentre le altre figure sono eseguite nel corso dell’anno successivo. Nell’autunno 1661 si prepara la fusione della statua di sant’Agostino, ma il primo getto fallisce e il secondo tentativo va a buon esito soltanto in parte; la testa sarà infatti realizzata a parte nel febbraio 1662. La fusione delle quattro figure dei Dottori è ultimata nel 1663, quando ha inizio il getto della Cattedra (concluso nel 1665) e si intensificano i rapporti con i padri Gesuiti del Noviziato al Quirinale per l’opera di mediazione nell’acquisto dei marmi di «bona macchia» per il piedistallo, scolpito in travertino, bianco e nero antico e diaspro di Sicilia. Dal 1664 il lavoro procede a ritmo serrato: muratori, stuccatori e smerigliatori lavorano anche nei giorni festivi. Viene redatto un Registro dell’oro, da cui emerge una spesa complessiva di 7000 scudi. Nel 1665, ultimata l’indoratura, vengono messi in opera i quattro Dottori e lo zoccolo della sedia bronzea (WITTKOWER 1990, p. 279). 31
BORSI 1980, p. 326, pubblica l’accordo stipulato fra Giovanni Artusi e la Fabbrica di S. Pietro per fornitura, fusione e finitura dell’opera in bronzo. 32
Gli stessi capomastri sono contemporaneamente impiegati nel cantiere del portico di San Pietro. V. in proposito [MARTINELLI] 1996, pp. 5-19. L’esperienza di Luigi «huomo nella speculazione delle misure, e forza de’ pesi, se non superiore, almeno uguale», si rivela spesso decisiva nei cantieri berniniani. Tra questi, i biografi ricordano, oltre alle imprese dell’erezione dell’«aguglia di Navona» e della costruzione della Scala Regia, anche la gigantesca impalcatura che permise la lavorazione del Baldacchino e della stessa Cattedra, e la torre mobile usata per la pulizia delle volte e degli archi, definita da Domenico Bernini il «bel castello di cento palmi di altezza, per il commodo operare nelle parti eminenti, che vediamo hor qua hor là per la gran Chiesa di San Pietro» (B ALDINUCCI [1682] 1948, p. 153; BERNINI 1713, cap. XX, p. 153). Con tutta probabilità Luigi è anche l’ideatore del castello usato per l’innalzamento e la giustapposizione dei poderosi frammenti dell’obelisco fracto della fontana dei Fiumi a piazza Navona. Abile ingegnere idraulico è nominato architetto delle acque da Alessandro VII. Sulla Cattedra di S. Pietro v. anche MARIANI 1931; LAVIN 1980; M ONTAGU 1981; B ELTRAMME 1997; LAVIN 2000; SUTHERLAND HARRIS 2001; SLADEK 2002. 33
«Dalli 21 agosto 1663 per tutto li 28 di marzo 1665. Spesa di diverse giornate di mastri muratori e garzoni [...], quali han servito in diversi tempi per voltar l’argani dentro in Chiesa, et
34
aiutare ad alzare muovere e mettere in opera, e poi calare le quattro statue di metallo delli dottori della Cattedra di San Pietro, e rialzarle doppo indorate, et anco per metter in opera diversi pezzi di bianco e negro, e diaspro di Sicilia, commessi in travertini grossi, e li quattro modelloni di trevertino che devono reggere la sedia di Bronzo». La spesa è firmata da Gian Lorenzo Bernini, Luigi Bernini, dal soprastante della Fabbrica, Benedetto Drei, e dal procuratore Carlo Soriani (AFSP, Arm. 42, E, 6, f. 147r). I fabbri todeschi impiegati in S. Pietro sono numerosi, celebrati per la consolidata esperienza nella lavorazione dei metalli, perfezionata da una lunga attività nel settore delle artiglierie militari.
35
36
AFSP,
Arm. 42, E, 6, ff. 89r-90r. Il documento è pubblicato in MARCONI 2004, p. 296.
37
MARCONI c.s.
38
MARCONI 2004a.
AFSP, Arm. 17, G, 48, fasc. 30, pubblicato in MARCONI 2008 e EAD. 2010. 39
40 41
MCPHEE 2008. AFSP,
Arm. 1, F, 10.
Per approfondimenti sulla politica remunerativa della Fabbrica, salari e itinerari di carriera dei sanpietrini si rimanda a SABENE 2012, cap. VII, pp. 147-170.
42
Per notizie sulla consistenza dei salari dell’edilizia a Roma v. anche SCAVIZZI 1983, pp. 63-65.
43
44
ORBAAN 1919, pp. 68, 70 e passim.
Cfr. il verbale della Sacra Congregazione tenutasi in S. Pietro il 17 agosto 1657 (AFSP, Arm. 29, B, 628a, Registro dei Decreti, f. 188). 45
ZARALLI 1987; DI SANTE, GRIMALDI 2008.
46
47
AFSP, Arm. 15, G, 155, Lettere patenti
(XVIII-XIX secolo). Si tratta di un volume di lettere patenti per artisti e maestranze operanti in S. Pietro tra il 1618 e il 1634.
48 AFSP, Arm. 7, F, 467, fasc. 5, f. 614, Lista dei mastri scarpellini di Roma (luglio 1659). 49 50
Ibidem, ff. 614, 618-621. Ibidem, f. 620.
51
AFSP,
Arm. 1, A, 11, Materie diverse (1538-1697), fasc. 2, Assistenza a invalidi e morti sul lavoro della Reverenda Fabbrica. Suppliche varie, ff. 3r-182v, pubblicato in MARCONI 2004, pp. 4953.
52
Ibidem.
53
Opera 1991, pp. 315-344.
Arm. 1, A, 11, n. 1, Elemosine che paga ogni mese la Fabbrica (16601669); n. 2, Suppliche delle vedove (1554-1671).
54
55
AFSP,
CHINEA 1933, p. 5.
56 TODARO 2001; MARCONI 2004, p. 52; SABENE 2012, pp. 171-190. 57
CHINEA 1933, p. 4.
58
AFSP,
Arm. 27, C, 396.
59
AFSP,
Arm. 12, A, 57, f. 27.
Un mandato del 27 febbraio 1673 attesta il pagamento di 150 scudi alla Bresciani per la «segatura et connettitura di lapis lazzuli [...] per il nudo tabernacolo del Santissimo Sacramento, posto nella chiesa di San Pietro», ove due libbre e mezzo della preziosa pietra, sapientemente intagliata, conferiscono luminescenti bagliori d’oro e cobalto alla croce dell’altare del Santissimo (AFSP, Arm. 1, A, 12, f. 5; AFSP, Arm. 27, B, 376, f. 80; AFSP, Arm. 27, B, 373, ff. 81, 83). 60
61 Su architetti e maestranze ticinesi a Roma i contributi della storiografia architettonica sono numerosi e ampiamente noti. Si ricordano dunque solo i recenti Svizzeri a Roma 2007, Studi sui Fontana 2008; MANFREDI 2008; Studi su Domenico Fontana 2011; e il capitale saggio di CURCIO, SPEZZAFERRO 1989. 62
HIBBARD 2001; CONNORS 2006.
ZANDER 2002; ZANDER 2007; LAN2010; LIVERANI, SPINOLA, ZANDER 2010.
63
ZANI
AFSP , Arm. 17, D , 12, ff. 21-22v; MARCONI 2007.
64
65
AFSP,
66
MCPHEE 2002.
Arm. 26, B, 195, f. 98v.
67
AFSP,
Arm. 17, D, 20, f. 452.
68
AFSP,
Arm. 1, B, 16, ff. 110-113.
69
AFSP,
Arm. 1, B, 14, n. 44.
70
BELLINI 1999.
71 AFSP, Arm. 1, A, 3 (71), f. 295, Conto de le pietre che a dato mastro Julio Solari scarpellino per servitio de la Confessione in San Pietro.
H IBBARD [1971] 2001; S PAGNESI 1997; ROCA DE AMICIS 1997; BENEDETTI 2003.
72
73 Nell’articolato sistema amministrativo dell’edilizia pontificia, condizione necessaria per poter svolgere la professione di architetto e costruttore, e soprattutto per essere annoverati tra i possibili appaltatori di lavori nella Fabbrica di S. Pietro, è la proprietà di una bottega o di uno studio completo del corredo di strumenti e attrezzi da lavoro necessari alla professione edilizia. L’inventario dei beni e gli studi sull’organizzazione dell’attività professionale di Maderno confermano che egli non si sottrae a tale tradizione, riuscendo ad implementarne i vantaggi e mettendo a punto uno studio professionale organizzato con metodi autenticamente imprenditoriali, fondato sulla collaborazione di aiuti qualificatissimi (MARCONI 2009a). 74 75
SIBILIA 1992. AFSP, Arm. 26, B, 186, ff. 23v, 30v, 36v.
337
VATICANO BAROCCO
NOTE
76 AFSP, Arm. 26, A, 182, Liste dell’anno 1607, ff. 4r-5r. 77
AFSP,
Arm. 26, B, 186, ff. 27-50v.
al sollevamento (MARCONI 2004, pp. 211-230). 88
AFSP,
Arm. 7, F, 467, f. 318.
Il tavolone è un taglio di legname da lavoro ricavato da fusti di pioppo, olmo e pino. Ha lunghezza minima di 12 palmi (2,5 m) e spessore minimo di mezzo palmo (11 cm).
89
AFSP,
Arm. 1, B, 17, n. 61.
90
AFSP,
Arm. 1, B, 17, n. 53.
91
AFSP,
Arm. 11, A, 4, f. 618.
92
AFSP, Arm. 26, A, 178, f. 27r, Entrate
79 Lo scorzo è l’unità di misura di volume pari a 13,4 litri.
e Uscite della Fabbrica di San Pietro (1605-1606).
Per scaglia si intende il pezzame minuto di pietra calcarea ottenuto per lo più dagli scarti della lavorazione del travertino. È usata nelle opere di fondazione, per il confezionamento del calcestruzzo e per la produzione della calce.
93
ORBAAN 1919, p. 38.
94
Ibidem, pp. 51-52.
95
Ibidem, p. 107.
78
80
Arm. 1, B, 15, Artisti diversi 1535-1695.
81
AFSP,
Arm. 26, B, 195, Spese 16101611; AFSP, Arm. 26, B, 197-198, Entrata e uscita 1611. 82
AFSP,
Il 13 giugno 1611 Martino Panciati e mastro Bassano prelevano dalle munizioni petriane due casse di pece greca e 20 libbre di cera gialla «per fare le mesture per li sassi» (AFSP, Arm. 26, B, 194, f. 100). Qualche mese prima, il 4 febbraio 1611, «195 libbre di pece grega in una cassa che selli deve far la tara, [furono] consegnati a mastro Martino scarpellino per servitio de taselli delle colonne et altre pietre». In quel momento i ponteggi erano «alla porta delle colonne d’Africano» (AFSP, Arm. 26, B, 194, f. 52v). Tale procedura è diffusa e consolidata; i pagamenti del 22 maggio 1612 includono la ricetta «per far mestura per le colonne: oncie 5 di cera bianca; oncie 6 di terra verde; oncie 5 di biacca». La preparazione è affidata a Simone Gottardo (AFSP, Arm. 26, B, 207, f. 43). 83
84 AFSP, Arm. 17, D, 20, Spese diverse, 1613-15.
AFSP, Arm. 26, B, 207 e 17, D, 20.
85
AFSP,
Arm.
86 AFSP, Arm. 1, B, 13, n. 3, ff. 3r-6r, «Capitoli e patti da osservarsi dalli sottoscritti capimastri scarpellini per il lavoro de scarpello de Trevertino da farsi alla Basilica di S. Pietro nella parte che si fa di nuovo per di fuora quanto tiene le facciate di detta Chiesa a manifattura, dandoli però la fabrica il trevertino rustico vicino alli tetti, dove si haverà a lavorare; il resto, che anderà per lavorare tutto sia a spese dei Mastri appaltatori per li patti e li prezzi che nelli seguenti Capitoli saranno dichiarati».
Simile a una gru, l’antenna è costituita da un lungo trave di legno, pulito e ben riquadrato, collegato a una piattaforma di base, con o senza ruote, oppure infisso direttamente nel terreno. Una robusta traversa orizzontale, detta falcone, innestata alla sommità dell’antenna e ad essa saldata da legature di canapi e staffe metalliche, porta appesa in sommità il paranco deputato 87
338
96 BRAUER, WITTKOWER 1931; Bernini in Vaticano 1981, pp. 64-104; D EL PESCO 1988; MARDER 2003. 97
BALDINUCCI [1682] 1948, p. 153.
AFSP, Arm. 17, E, 29, in MARCONI 2004, pp. 218-221.
98
99
AFSP,
Arm. 17, E, 29, f. 1.
100
Ibidem, f. 2.
101
Ibidem, ff. 3-4, 9.
L’antenna grande «che deve servire per mettere in opera nella testa verso Borgo», viene armata e investita con canapi e traglie solo l’11 settembre, cioè circa una settimana dopo il suo innalzamento (ivi, f. 6). 102
103 104
Ibidem, f. 11. Ibidem, ff. 7-22.
105 Ibidem, f. 17. La nota è datata 26 settembre 1659.
Ibidem, ff. 23, 42. Gli uomini rientrano in Fabbrica dopo tre giorni.
106
107
Ibidem, f. 54.
108
AFSP,
Arm. 7, F, 467, ff. 191-192.
CORBO 1999; MARCONI 2008a, pp. 54-82, 125-153 ; MARCONI 2008b, pp. 154-166; MARCONI c.s. (a). 109
Per l’attività editoriale della Fabbrica di S. Pietro v. TURRIZIANI c.s.
110
DI SANTE 2008; DI SANTE-GRIMALDI 2008; DI SANTE 2009.
111
Le tavole allegate al testo, elaborate dall’architetto Giovanna Marchei, illustrano le ricostruzioni di taluni dispositivi in uso nel cantiere della basilica, già tradotti graficamente nel compendio delle macchine di Zabaglia. Lo studio di Marchei, che ringrazio per la collaborazione e la disponibilità, è tratto della sua tesi di specializzazione in Restauro de Monumenti, conseguita nel 2010 presso la Scuola di Specializzazione in Restauro dei Monumenti alla Facoltà di Architettura “Valle Giulia” dell’Università Sapienza di Roma, diretta dal Prof. G. Carbonara, dal titolo Castelli e Ponti di Maestro Niccola Zabaglia: attualizzazione e possibilità odierna di applicazione, rel. Prof. L. Bussi, correlatore Prof. N. Marconi. Una selezione delle tavole è inclusa in MARCONI c.s. (a).
112
113
Castelli e Ponti 1743, tav. III.
114 SANSA 2003, p. 15; DIOSONO 2008; [CAVACIOCCHI] 1996. 115 AFSP, Arm. 27, C, 390, Uscita di Monitione (dal 13 maggio 1685). 116 Questa e le seguenti citazioni sono tratte da AFSP, Arm. 12, D, 4b, 29, cc. 917-1068. 117
Ibidem, f. 969r.
118 Data al 1671 una lettera autografa di Alessandro Zabaglia, muratore a quell’epoca impiegato già da trent’anni nella Fabbrica di S. Pietro, il quale chiede di ritornare a lavorare all’interno della basilica e lasciare il lavoro ai Portici (AFSP, Arm. 1, B, 14, n. 60, f. 183).
Arm. 27, E, 431, f. 22v; Castelli e Ponti 1743, tav. XIX . La tavola è disegnata da Francesco Rostagni e incisa da Giuseppe Vasi.
119
AFSP,
Castelli e ponti 1743, tav. XX, disegnatore Francesco Rostagni, incisore Michele Sorello.
120
Ibidem, tav. VII, disegnatore Baldassarre Gambucciari, incisore Filippo Vasconi. Sull’installazione delle statue in piazza S. Pietro nel 1703 v. MARTINELLI 1987, pp. XXXVIII, XL, 290 e MARCONI 2004, pp. 227-230. 121
Castelli e Ponti 1743, tav. XXI, disegnatore Baldassarre Gambucciari, incisore Filippo Vasconi.
122
Ibidem, tav. XXXIV. Anche in questo caso esecutori della tavola sono Gambucciari e Vasconi.
123
Ibidem, tav. XXV, disegnatore Francesco Rostagni, incisore Paolo Pilaja.
124
Ibidem, tav. XXVII, disegnatore Francesco Rostagni, incisore Paolo Pilaja.
125
126 Alcuni anni prima della celebrazione a mezzo stampa, quando il talento di Zabaglia è già celebrato oltre i confini vaticani, un verbale del Liber Congregationum dell’aprile 1719 allega la richiesta inoltrata da mastro Nicola per un «doveroso regalo», vale a dire una periodica ricompensa in denaro pari a 50 scudi, poi concessa in virtù della preziosità delle sue imprese (AFSP, Arm. 628, A, vol. 17, f. 195, Decreti della Congregazione della RFSP relativi alla basilica Vaticana, a cura dell’archivista Filippo Fortini, 1896). «Liber Congregationum n. 169, f. 14 a tergo. Congregazione del 19 aprile 1719. Per Nicola Zaballi manuale al servizio della Reverenda Fabrica di San Pietro. Beatissimo Padre, Niccola Zaballi umilissimo oratore della Santità Vostra e manuale al servizio della Reverenda Fabbrica di San Pietro avendo composti d’ordine di Mons. Ill.mo Sergardi con molta sua spesa li faticosi ed ingegnosi modelli dei ponti, che in congiuntura di doversi risarcire il famoso Tempio Vaticano potrebbero occorrere con avere minutamente osservato tutti i luoghi più eminenti e scabrosi del medesimo per inventarvi sopra le macchine ed ossature de’ travi per ripararne ogni danno. Dopo che
ebbe l’onore di sottoporre li suddetti ai benignissimi sguardi della Santità Sua, si degnò la medesima intenzionarlo su farli concedere un doveroso regalo a risguardo di tante sue lunghe fatiche, giovevoli alla Reverenda Fabbrica non solo per ogni occasione di risarcimenti, ma quel che più per utile della spesa avendo avuto riflessione nel compor dette macchine alla facilità dell’invenzione, con la quale viene a risparmiare alla Reverenda Fabbrica in ogni evento ruinoso, spese molto considerabili, come ha fatto in tutte le sue operazioni particolarmente negli ultimi ponti, inventati per formare le statue di stucco situate su gli arconi di detto tempio. Che però l’oratore prostrato a piedi della Santità Vostra umilmente rinnova la sua supplica pregandola a benignamente degnarsi di ordinare gli sia concesso un giusto e doveroso compenso corrispondente alle sue incredibili fatiche su la riflessione ancora che detti modelli resteranno a perpetuo benefizio di detta Reverenda Fabbrica ed al medesimo non resta che sperare nella somma generosità e giustizia della Santità Vostra. Pro scutiis 50». 127 128
Castelli e Ponti 1743, tav. XXI. Castelli e Ponti 1824, tav. LV.
Arm. 12, D, 4b, 29, f. 1050. Il ponteggio è raffigurato in Castelli e Ponti 1743, tav. LV, e descritto in AFSP, Arm. 12, D, 4b, 29, f. 1035r.
129
AFSP,
130 AFSP, Arm. 12, D, 4b, 29, f. 920r. Pietro Albertini è autore anche del castello esemplato sul modello fontaniano e impiegato per l’estrazione della colonna di marmo cipollino rinvenuta in Campo Marzio. Il modello di un secondo castello, progettato per il previsto innalzamento della colonna in piazza di Montecitorio è oggi custodito presso la Fabbrica di S. Pietro.
Arm. 72, E, 4, ff. 120r-121v, Inventario degli oggetti contenuti nelle Munizioni della Reverenda Fabbrica di San Pietro.
131
AFSP,
132 Sulle incisioni di Sangermano in appendice all’edizione del 1824 dei Castelli e Ponti v. le schede in MARCONI 2008b, pp. 167-177, nn. 65-68. 133
MARCONI c.s.
AFSP , Arm. 12, D , 4a, cf. 934937, dal quotidiano «La voce della verità», anno X X V I I e X X V I I I , novembre 1897–ottobre 1898. 134
CAPITOLO QUARTO Per il passo da STIGLIANI 1627, pp. 116-118, e per quello dall’orazione De l’unità della favola, redatta dallo Strozzi nel 1599, v. LAZZARINI 2011, con bibliografia precedente. 1
Cfr. ACKERMAN 1954, sugli sviluppi del Cortile del Belvedere nel Cinquecento; R EDIG DE C AMPOS 1967, pp.
2
185-189, e ZUCCARI 1992, pp. 47-101, sugli affreschi nella Biblioteca Sistina. 3
BELLORI 1672, p. 157; cfr. WASSER1962.
Lettera del 26 luglio 1652 a Cristina, edita in DI BILDT 1906, pp. 28-30, in part. p. 29. 15
BELLORI 2009, p. 500.
MAN
16
Cfr. C HANTELOU 2001, p. 73 (8 luglio); DEL PESCO 2007, p. 242.
Rispettivamente nelle attuali Sala delle Nozze Aldobrandini e Sala delle Dame: cfr. CORNINI 1992, p. 274, e FUMAGALLI 1990, pp. 73-74, che, correggendo la cronologia dell’impresa reniana rispetto a PEPPER 1988, pp. 227-228, ne stabilisce la valenza di “commissione ufficiale”, escludendo che fosse un “banco di prova” del pittore per accreditarsi presso la famiglia pontificia.
4
BALDINUCCI 1682, p. 42, e BERNINI 1713, p. 119.
5
6 C HANTELOU ed. 2001, p. 75 (12 luglio); DEL PESCO 2007, p. 244. 7 C HANTELOU ed. 2001, p. 102 (2 agosto); DEL PESCO 2007, p. 278.
Per quanto riguarda l’Appartamento Borgia, basti rilevare come interventi decorativi vi vennero condotti ancora durante il pontificato borghesiano: cfr. FUMAGALLI 1996, p. 341. Cadde in disuso invece per tutto il Seicento la Cappella dell’Angelico, “riscoperta” solo all’inizio del Settecento: cfr. DE STROBEL 2001, p. 92. 8
Cfr. REDIG 208-209.
9
DE
CAMPOS 1967, pp.
Cfr. ACKERMAN 1954, pp. 113-114, e HIBBARD 2001, p. 275; non se ne fa invece menzione nel profilo sull’architetto in FRATANGELI, LERZA 2009, pp. 9-80. 10
Sul Palazzetto della Zecca cfr. REDIG DE CAMPOS 1967, pp. 223 e 239-240, e ANTONUCCI 2003, pp. 139-143; sui progetti di Carlo Fontana si veda ROBERTO 2004, p. 157, con bibliografia precedente. 11
Le dinamiche della commissione sono state chiarite da MERZ 1991, pp. 202-203 e fig. 439; e ulteriormente approfondite da GUERRIERI BORSOI 2010, pp. 251-259, che ha in particolar modo messo in luce il gravitare dei Vaiani nell’orbita barberiniana già prima del loro coinvolgimento nel sacello vaticano. 12
13 Cfr. BRIGANTI 1982, pp. 195-196, e MERZ 1991, pp. 228-233.
Una raffigurazione del portale marmoreo urbaniano, ora non più in situ, è inclusa nella raccolta di disegni di Domenico Castelli con le imprese barberiniane, conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. Lat. 4409, c. 25r, con legenda «Porta della Cappella Secreta del Palazzo Vecchio nel Vaticano»; l’accesso alla cappella da questo portale è descritto ancora in CHATTARD 1762-1767, II, p. 234: «una porta grande ornata di stipiti, architrave di marmo bianco scorniciati ed orecchiati con un pilastrino per parte riquadrato nella faccia, zoccoletti sotto, e mensole sopra al pari delle orecchiature, su delle quali posa la cimasa risaltata con mezzi frontespizj tondi incartocciati nella cima, i quali racchiudono un’arma di Urbano VIII con festoni sotto di quercia, il tutto di marmo bianco». La porta attualmente utilizzata per entrare nella Cappella dalla Stanza dell’Incendio di Borgo era, almeno nel momento in cui scrive Chattard, «per di dentro murata» (ibid., p. 232). 14
17
18
Oltre a CORNINI, DE STROBEL, SER-
LUPI CRESCENZI 1992 e PANCIROLI 2002,
cfr. soprattutto FUMAGALLI 1996, dove viene sottolineata, per questo appartamento, la continuità dell’intervento borghesiano rispetto al precedente programma clementino e alla cultura figurativa tardocinquecentesca. Su Ciampelli v. RODOLFO 2010, con bibl. prec. Cfr. CHANTELOU 2001, p. 83 (22 luglio); DEL PESCO 2007, p. 250.
19
Cfr. CORNINI, DE STROBEL, SERLUPI CRESCENZI 1992, p. 169; e di recente OY-MARRA 2005, pp. 15-46, con bibl. prec.
20
Per questa composizione di Bellori, intitolata Alla Pittura, per le Vite del cavalier Giovanni Baglione, cfr. BAGLIONE 1642, pp. XIII-XV, in part. XIV. Il giudizio positivo belloriano anticipa quello di Baglione all’interno del volume, tanto sulla Clementina, quanto sulla Sala del Concistoro; cfr. ibid., p. 59: «e per sua prima opera diede compimento alla fabrica principiata di Sisto V in Vaticano, e riducendo quel palagio a buon termine l’adornò et abbellillo, come hora si vede, e lo nobilitò con la mirabil Sala Clementina d’esquisite pitture arricchita, le quali sono per la maggior parte di singolari prospettive, e fecele Giovanni Alberti dal Borgo San Sepolcro, pittore valente, ma nelle prospettive eccellentissimo oltre le quali vi sono historie della Vita di san Clemente papa, e diverse Virtù, il tutto a fresco da varii pittori lavorato con incrostatura di marmo e con bel pavimento ricco di misti. Accanto a questa è la Sala dove alcune volte si suole far concistoro di vaghissimo fregio adorna, con diversi Santi, disegno di Giovanni Alberti; li paesi son di mano di Paolo Brillo fiammingo, e sonvi altre stanze contigue a questa con fregi, e nella sala v’è ricchissimo soffitto indorato». Sugli interventi di Bril in queste due sale v. CAPPELLETTI 2006, passim. 21
22
Cfr. Quirinale 1991 e NEGRO 2008.
Su questo «sistema di residenze», con particolare attenzione al ruolo assunto al suo interno dal Palazzo del Quirinale, cfr. MENNITI IPPOLITO 2004.
23
24 Cfr. MENNITI IPPOLITO 2004, pp. 7579; ed in particolare, per il pontificato
barberiniano, CURCIO 2007, pp. 521522.
Vaticano è in corso di preparazione un saggio dell’autrice.
Sul rapporto tra le due cappelle urbaniane e sull’attività di Lagi a Castel Gandolfo cfr. DE ANGELIS 2008, pp. 95-103; sui lavori di indoratura all’interno della Cappella di Urbano VIII in Vaticano si veda già MANCINELLI 1992; su alcuni incarichi all’interno di Palazzo Barberini cfr. MOCHI ONORI 1997, p. 84, nota 51; più in generale su Lagi cfr. SIMONATO 2007 (e soprattutto p. 247, nota 52, per l’indicazione del ruolo di «pittore di palazzo»), PETRACCIA 2010, AMADIO 2010 con bibliografia precedente. Su Marco Tullio Montagna, v. GUERRIERI BORSOI 2011.
35
25
Cfr. Galleria 1994, e in part. PINELLI 1994, pp. 40-41 (per la « passeggiata scoperta»), e FRANZONI 1994, pp. 163165 (per i restauri urbaniani). Sul ruolo di Lagi all’interno della commissione si veda anche SIMONATO 2007, p. 247, nota 66. Sulla regia di Holste cfr. ALMAGIÀ 1942, pp. 99-153. 26
Su queste vedute urbaniane in Quirinale cfr. le schede di L. Laureati, in Quirinale 1993, pp. 176-189; Barock 2005, pp. 286-288; e FABJAN 2009. 27
BERNINI 1713, pp. 46-47; e WITTKO1997, pp. 254-255.
WER
36 Per il Pasce oves meas di Romanelli cfr. la scheda di A. Pinelli in Galleria 1994, Testi, pp. 434-436, n. 670; sull’opera di Bernini cfr. WITTKOWER 1997, pp. 255-256. 37 Sulla Sala di Carlo Magno, oltre a SIMONATO 2007, cfr. anche CATALDI 2010. 38 Sulle origini del Palazzo Vaticano ha fatto luce VOCI 1992; si veda più in generale, in relazione alla sua vicenda medievale, ora anche MONCIATTI 2005, con bibliografia precedente. Per la fontana dell’Algardi, cfr. MONTAGU 1985, pp. 449-451; sulla vicenda si rimanda anche a REDIG DE CAMPOS 1967, p. 218.
Cfr. MENNITI IPPOLITO 2004, pp. 91-103.
39
Cfr. REDIG DE CAMPOS 1967, passim; CORNINI 1992a; MARDER 1997; BAROCK 2005, pp. 101-107; e recentemente il prezioso contributo di CURCIO 2007, con particolare riferimento agli interventi barberiniani.
40
Ancora ricordate da C HATTARD 1762-1767, II, p. 383, Quattro fortezze urbaniane affrescate nell’Armeria vennero pagate a Lagi e Montanta nel settembre del 1636; cfr. ASR, Cam. I, Giustificazioni di Tesoreria, b. 80, fac. 6, s.p.: «per haver dipinto Quattro fortezze variate grandi che empieno tutto il vano, cioè la Fortezza Urbana, e il Forte di Ferrara, la Civita Vecchia e Castel Sant’Angelo […], s. 280»; v. anche POLLAK 1928-1931, I, p. 380. Sulle celebrazioni poetiche e medaglistiche dell’Armeria sotto Urbano VIII cfr. SIMONATO 2008, pp. 307-308. La notizia che la Sala degli stampati (o Sala Leonina) venne aperta da Leone XIII, dove prima era allogata «la vecchia armeria pontificia», è in A LBAREDA 1944, p. 180; che nel 1825 una galleria prossima al Cortile di San Damaso, già di pertinenza dell’Armeria, era stata assegnata allo Studio del Mosaico Vaticano è riportato da G. CORNINI, in Mosaici 1986, p. 33 (gentile segnalazione di Rosanna Di Pinto).
41 Se questa è la percezione del rapporto basilica-palazzo, che ancora adesso si ha quando ci si trova all’interno di piazza S. Pietro, è bene d’altra parte sottolineare che, prima dei lavori in Via della Conciliazione, svolgeva un ruolo assolutamente non secondario, per la valorizzazione dell’accesso al Portone di bronzo, l’asse visivo che da Castel S. Angelo, lungo Borgo nuovo, si sviluppava senza soluzione di continuità fino al Braccio di Costantino, assicurando da subito, tanto ai pellegrini quanto ai diplomatici, una diretta visuale sull’ingresso della residenza pontificia, una volta attraversato il Tevere: v. al riguardo MARDER 1997, pp. 4-29. Cfr. W EIL 1974 per Ponte Sant’Angelo (anche nella sua valenza urbanistica) e CURCIO 2007. Per l’espressione «teatro dei portici» in riferimento a piazza S. Pietro v. KRAUTHEIMER 1987, p. 10.
29 MORELLO 1992; per l’intervento di Ricci nella Sale Paoline, cfr. FUMAGALLI 2004, p. 66. Per le vicende della Galleria di Urbano VIII v. MORELLO 2004.
Cfr. OZZOLA 1908, p. 16 (per i pagamenti a Raggi); e WITTKOWER 1997, p. 277.
28
30
BELLORI 1664, p. 38.
31
Così MENNITI IPPOLITO 2004.
32
BALDINUCCI 1682, p. 38.
Sulla Scaletta di Urbano VIII v. M A N C I N E L L I 1982, pp. 93-94, e MANCINELLI 1992; sulle Stanze con le medaglie cfr. S IMONATO 2007, con bibliografia precedente. 33
Cfr. CORNINI-DE STROBEL-SERLUPI CRESCENZI 1992a; e OY-MARRA 2007, pp. 304-307, con bibliografia precedente. Sulle commissioni urbaniane in 34
42
Cfr. MARDER 1997.
B ERNINI 1713, pp. 101-102. Cfr. anche BALDINUCCI 1682, p. 38. 43
44
Cfr. rispettivamente B ALDINUCCI 1682, pp. 39 e 107, e BERNINI 1713, p. 108. 45
Cfr. TESSIN 2002, p. 291: «Wenn man zu der thüren, die auff der anderen seiten vom sahl gegen über diese antworthet, hineingehet, siehet man eine sehr artige decke, mit kindern auf beijden seinten orniret, vom Cav: Bernin vorgestelt. Man hat auss zweijen zimbern einss gemacht, undt umb die deformitet dess gewelbess zu cachiren hat man diese decke gemacht, welche sehr artig gefalten ist […], der grundt
46
339
BIBLIOGRAFIA GENERALE
VATICANO BAROCCO
wahr gelb angestrichen darzwischen, undt mit lichtbraun abgesetzt hinter dem laubwerck, hernach wahr dass gelbe über raÿret midt goldt, auf jede seite wahr in der mitten ein kindt, so eine schildt hielte dar […], auf jeden seiten wahr wieder ein kindt so den teppicht aufhielte, welche aber alle sehr artig actioniret wahren, wiewohl an eine stelle 2 kinder wahren; die schilde mi den kindern wahren alle weiss wom gibss gelassen». 47
Cfr. TESSIN 2002, p. 291-293.
Cfr. Bernini 1981, pp. 128-129, nn. 107-108, per le due incisioni di Aquila, e CHATTARD 1762-1767, II, p. 68, che ricorda ancora il drappo «con fogliami ed armette dorate arricchito, alludenti allo stemma suo [di Alessandro VII] gentilizio». V. FRASCHETTI 1900, pp. 322-323, per l’immagine del drappo con gli stemmi di Pio VII. Per i damaschi fatti realizzare nel 1665 e ancora conservati nei Depositi della Rev. Fabbrica e per le porte lignee della Scala Regia, cfr. la scheda di M. Worsdale in Bernini 1981, p. 245. V. inoltre GÜTHLEIN 2008, pp. 91-92, con bibl. prec 48
Cfr. CHANTELOU ed. 2001, p. 246 (10 ottobre); DEL PESCO 2007, p. 432.
49
Cfr. O ZZOLA 1908, pp. 16-17; WORSDALE 1981 (in part. p. 234, nota 4, per il documento del 1667); MONTAGU 1991, pp. 188-197, e in relazione all’intervento (incompleto) di Schor nella Galleria di Urbano VIII, MORELLO 2004. 50
51
BERNINI 1713, p. 14.
Cfr. in particolare WORSDALE 1981 p. 235, nota 14, per il rapporto tra questa invenzione di Bernini e la stampa del 1787 di Francesco Piranesi che illustra nella stessa cappella un apparato ispirato alla soluzione di Gian Lorenzo. Si veda inoltre DE STROBEL, MANCINELLI 1992, p. 59.
52
BERNINI 1713, p. 157. Cfr. la stessa vicenda in BALDINUCCI 1682, pp. 54-55. 53
54
BERNINI 1713, p. 103.
Per questo passo, da una lettera del 4 dicembre 1655 di un agente mediceo al principe Leopodo (ASF, MP 5372, c. 395r), v. MONTANARI 1998, p. 333. 55
Cfr. TESSIN 2002, p. 293: «Hernacher folgen 7 zimbern in welchen die Königin Christina 7 tage hat logiret dass erste mahl wie sie nach Rom kahm, undt hat sie den gantzen obgemelten kreiss gethan, wie sie dass erste mahl zur audience zum Pabst wurde geführet». Non è chiaro se l’accenno di Tessin al percorso compiuto da Cristina all’interno del palazzo, per recarsi all’udienza pontificia, sia da identificare con la prima visita che fece degli ambienti vaticani sotto la guida addirittura di Bernini, come riportato nel diario di Neri Corsini (cfr. MONTANARI 1998, p. 333): «La regina si alzò a buonissima ora et andò a spasso per il giardino, per la Galleria et altre
56
340
stanze del palazzo, vedendo le pitture con l’assistenza del Bernino, e per la Libraria, mentre si predicava andò a vedere l’appartamento del papa». BAV, Chig. O.III.29, cc. 369r-389v, in part. c. 383r; cit. in MENNITI IPPOLITO 2004, p. 95. 57
BELLORI 1695, p. 2; e cfr. anche BELLORI ed. 2009, pp. 617 e 647-649, per il conferimento a Maratti degli incarichi vaticani. Il ruolo di «custode delle pitture delle Stanze di Raffaello» esisteva almeno dalla prima metà del Seicento e durante il regno barberiniano venne assunto da Antonio Eclisse: cfr. AMADIO 2010, p. 275. 58
59
CICERCHIA, DE STROBEL 1986.
La redazione originale di Taja è conservata in un ms della BAV (Vat. Lat. 9927), con note a margine dello stesso Clemente XI; cfr. CICERCHIA, DE STROBEL 1986, p. 106. 60
La vicenda del ritrovamento non semplice del manoscritto di Taja è riportata nel capitoletto introduttivo L’Editore di quest’opera a chi legge, in TAJA 1750, pp. 20-30, dove Niccolò e Marco Pagliarini descrivono in particolar modo (pp. 21-22) il prezioso contributo di Benedetto XIV «felicemente regnante, il quale non solamente m’incoraggiò, ma con quella sua portentosa memoria, e con quella vastissima erudizione […] mi additò esserci questa descrizione fatta già dall’abate Agostino Taja senese […] [e] procurò di farne pervenire in mio potere la prima copia». 61
62
TAJA 1750, pp. 1-2.
CAPITOLO QUINTO Per un quadro complessivo v. CAMPITELLI 2009.
1.
Per un’idea della ricchezza delle piante collezionate dal naturalista cfr.
2
3 Sulla figura di Faber cfr. D E RENZI 1992-93. Sull’Accademia dei Lincei v. il fondamentale studio di FREEDBERG 2007. 4 Su Villa Borghese v. CAMPITELLI 2003. 5
PISANI SARTORIO 1986.
6 ASR , Camerale I , Fabbriche, Reg. 1540 (1605-1609), e Reg. 1537 (1609-1614) , nonché Camerale I , Giustificazioni di Tesoreria, b. 33 (1607-1612), riportano numerosi pagamenti a stagnari, scalpellini e operai ed altre maestranze per realizzare condotti nuovi, riattivarne di vecchi, fornire “pietre” ed eseguire lavori diversi alle fontane, citate in modo generico e senza specifiche, ma che attestano il gran fervore che vi doveva essere in quegli anni nei giardini.
7
Sull’argomento cfr. C O L I VA , SCHÜTZE 1998.
25 Carte Faber, vol. 417, f. 92 v, lettera del 9 agosto 1628.
8 Gli interventi promossi nei giardini da Paolo V sono attestati da una mole di documenti di pagamento, conservati in ASR , Camerale I , Fabbriche, Reg. 1537, Reg. 1538, Reg. 1540; ASR, Giustificazioni di Tesoreria, b. 33, b. 34, b. 35, b. 36, b. 37, b. 39, b. 40, b. 42, b. 43, b. 44, b. 45, b. 46, b. 49.
26 Carte Faber, vol. 413, f. 775 v, lettera del 1627 e vol. 420, f. 1, lettera del 1616.
Per un panorama complessivo si rinvia a C AZZATO , F AGIOLO , G IUSTI 2001. 9
27
Carte Faber, vol. 420, f. 289 e sgg.
Carte Faber, vol. 420, f. 304. Sulle escursioni naturalistiche dei Lincei cfr. DE ANGELIS 1986, pp. 111-145. 28
29 Carte Faber, vol. 420, f. 348 e sgg., con lettere a partire dal 1610.
10
30 A LDINI 1625. Sui giardini resta fondamentale MORGANTI 1990.
11
V. CAMPITELLI, COSTAMAGNA 2005
31 BAV, mss. Ruoli 158, 5 novembre 1637, f. 12v.
12
FABER 1607, p. 10.
ASR , Camerale I , Fabbriche, Reg. 1537, f. 175 e f. 182.
B IBLIOTECA DELL ’A CCADEMIA DEI LINCEI E CORSINIANA, Archivio Linceo IV, c.347v. Il documento è citato in GUARDO 2011, pp. 53-82. Ringrazio il dr. Guardo, Direttore della Biblioteca, per aver agevolato con grande disponibilità le mie ricerche su Faber. 13
14 Carte Faber, t. 417, f. 585r, la lettera, molto affettuosa, è data 26 agosto 1625. 15 L’Hortus, secondo gli studi che gli sono stati dedicati, era stato distrutto nel 1634 durante la guerra dei Trent’anni, ma ne resta una splendida documentazione nel volume curato dallo speziale Basilius Besler, pubblicato nel 1613, nel quale erano stati riprodotti ad acquerello tutti i fiori più belli.
GABRIELLI 1996, p. 1172, lettera n. 971.
16
17 Faber, come è noto, si era dedicato a lungo alla pubblicazione, promossa dall’Accademia dei Lincei, del cosiddetto «Tesoro Messicano» un mastodontico volume basato sulle ricerche effettuate nel Nuovo Mondo dal medico Francisco Hernández, inviato dal re di Spagna Filippo II, che raccoglieva e illustrava tutto il patrimonio naturalistico di quelle terre. L’opera vide la luce molti anni dopo la morte di Faber, ma la sua conoscenza delle piante d’oltreoceano era sicuramente vastissima. Sul “Tesoro” cfr. FREEDBERG 2007, pp. 275-339 GUARDO 2011. 18
Carte Faber, vol. 413, f.846-864.
Cfr. GABRIELLI 1996, lettera n. 970, p. 1171.
19
20 Sull’argomento si rinvia al primo pionieristico studio di MASSON 1972, pp. 61-80 e da ultimo a ZALUM 2008. 21 Una prima indagine su Corvino è in GUERRIERI BORSOI 2004, pp. 121-140. 22
Carte Faber, vol. 413, f. 815v.
23
Carte Faber, vol. 417, f. 470 r.
L’interessantissima figura di Romauli, citatissimo da Giovan Battista Ferrari tra i maggiori esperti di fiori, è ancora da studiare. Una prima ricognizione è in CAMPITELLI 2001.
24
32
Cfr. BONOMELLI 1953 [ 1987].
Per la ricostruzione delle vicende storiche cfr. Roma e il suo Orto 1984. 33
ASV, S.P.A., Computisteria, Riscontro dei Giardini, b. 3205 e sgg.
34
ASV, S.P.A., Computisteria, b. 158, foll. 26-31 e ASV, Fondo Albani, b. 12, foll. 106-107. Entrambi i documenti mi sono stati segnalati da A.M. de Strobel che ringrazio per la generosa amicizia. 35
ACKERMAN 1954 J.S. ACKERMAN, The Cortile del Belvedere, Città del Vaticano 1954 (Studi e documenti per la storia del Palazzo apostolico vaticano, 3). ALBAREDA 1944 A. ALBAREDA, La Biblioteca Apostolica Vaticana, in Il Vaticano nel 1944, [Roma] 1944, pp. 175-180. ALDINI 1625 T. ALDINI (PIETRO CASTELLI), Exactissima descriptio rariorum quorandorum plantarum quae continentur Romae in Horto Farnesiano rariores plantae exactissimae descriptae, Roma 1625. ALFARANO 1914 T. ALFARANO, De Basilicae Vaticanae antiquissima et nova structura, a cura di M. Cerrati, Roma 1914; rist. anast., Modena 1981. ALMAGIÀ 1942 R. ALMAGIÀ, L’opera geografica di Luca Holstenio, Città del Vaticano 1942 (Studi e testi, 102); rist. Modena 1984. AMADIO 2010 S. AMADIO, I “disegni Barberini” dalla pittura paleocristiana: l’équipe Lagi, Montagna, Eclissi, in La copia. Connoisseurship, storia del gusto e della conservazione, a cura di C. Mazzarelli, S. Casciano V.P. 2010, pp. 271-289. ANDROSSOV, ENGGASS 1994 S. ANDROSSOV, R. ENGGASS, Peter the Great on horseback : a terracotta by Rusconi, «The Burlington Magazine», 136 (1994), pp. 816-821. ANGELINI 1998 A. ANGELINI (a cura di), Gian Lorenzo Bernini e i Chigi tra Roma e Siena, Cinisello B. 1998. ANTONUCCI 2003 M. ANTONUCCI, Le sedi della Zecca di Roma dall’antichità ad oggi, «Rivista di numismatica e scienze affini», CIV (2003), pp. 117-164. BACCHI 1995 A. BACCHI, “L’operazione con li modelli”: Pierre Étienne Monnot e Carlo Maratta a confronto, «Ricerche di storia dell’arte», 55 (1995), pp. 39-52. BAGLIONE 1639 [1990] G. B AGLIONE , Le Nove Chiese di Roma, Roma 1639; nuova ed. a cura di L. Barroero con note di M. Maggiorani e C. Pujia, Roma 1990. BAGLIONE 1642 G. BAGLIONE, Le vite de’ pittori, scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma 1642; ed. commentata a cura di J. Hess e H. Röttgen, 3 voll., Città del Vaticano 1995. BAGLIONE 1649 G. BAGLIONE, Le vite de’ pittori, scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di papa Urbano VIII, Roma 1649; rist. a cura di C. Gradara Pesci, Velletri 1924. BALDINUCCI 1682 [1948] F. BALDINUCCI, Vita del Cavaliere Gio. Lorenzo Bernino, scultore, architetto e pittore, Firenze 1682; ed. a cura di S. Samek Ludovici, Milano 1948.
BALLARDINI 2004 A. BALLARDINI, La distruzione dell’abside dell’antico San Pietro e la tradizione iconografica del mosaico innocenziano tra la fine del sec. XVI e il sec. XVII, «Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae», 11 (2004), pp. 7-80. Barberini 2007 I Barberini e la cultura europea del Seicento, a cura di L. Mochi Onori, S. Schütze, F. Solinas, Roma 2007. Barock 2005 Kunst und Kultur im Rom der Päpste, 2, Barock im Vatikan 1572-1676, catalogo della mostra (Bonn-Berlino 2005-2006), Leipzig 2005. BASSO 1987 M. BASSO, I privilegi e le consuetudini della Reverenda Fabbrica di San Pietro in Vaticano (secc. XVI-XX), Roma 1987. BATTAGLIA 1943 R. BATTAGLIA, La cattedra berniniana di San Pietro, Roma 1943. BAUER 1974 G.C. BAUER, Gian Lorenzo Bernini: the Development of an Architectural Iconography, Ph.D. Diss., Princeton 1974. BAUER 1996 G.C. BAUER, Bernini and the Baldacchino: on Becoming an Architect in the Seventeenth Century, «Architectura», 26 (1996), pp. 144-165. BAUER 2000 G.C. BAUER, Bernini’s ‘Pasce oves meas’ ancd the Entrance Wall od St Peter’s, «Zeitschrift für Kunstgeschichte», 63 (2000), pp. 15-25. BELLINI 1999 F. BELLINI, La moderna Confessione di San Pietro: le proposte di Ferrabosco e Maderno, in PERGOLIZZI 1999, pp. 4355. BELLINI 2002 F. BELLINI, La costruzione della Cappella Gregoriana in San Pietro di Giacomo Della Porta. Cronologia, protagonisti e significato iconologico, in Architettura. Processualità e trasformazione, a cura di M. Caperna, G. Spagnesi, Roma 2002, pp. 333-346. BELLINI 2011 F. BELLINI, La basilica di San Pietro da Michelangelo a Della Porta, 2 voll., Roma 2011. BELLORI 1664 [G.P. BELLORI], Nota delli musei, librerie, galerie et ornamenti di statue e pitture ne’ palazzi, nelle case e ne’ giardini di Roma, Roma 1664. BELLORI 1672 G.P. BELLORI, Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni, Roma 1672. BELLORI 1695 G.P. BELLORI, Descrizzione delle immagini dipinte da Rafaelle d’Urbino nelle camere del Palazzo Apostolico Vaticano, Roma 1695. BELLORI 1976 [2009] G.P. BELLORI, Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni, a cura di E. Borea, Torino 1976 (rist. 2009). BELTRAMME 1997 M. BELTRAMME, La “Cattedra di San Pietro” e il mito di Cristina di Svezia in
un’epopea tardosecentesca sul tema della Renovatio Ecclesiae, «Storia dell’arte», 90 (1997), pp. 301-305. BENEDETTI 1985 S. BENEDETTI, La metafisica del mondo nell’architettura di G. L. Bernini, in FAGIOLO, MADONNA 1985, pp. 73-87. BENEDETTI 2000 S. BENEDETTI, La fabbrica di San Pietro, in PINELLI 2000, III, pp. 53-127. BENEDETTI 2003 S. BENEDETTI, Carlo Maderno e il cantiere di San Pietro, in Storia dell’Architettura italiana. Il Seicento, a cura di A. Scotti Tosini, Milano 2003, I, pp. 120-139. BERENDSEN 1982 O. BERENDSEN, I primi catafalchi del Bernini e il progetto del baldacchino, in FAGIOLO, SPAGNESI 1982, pp. 133-143. BERNINI 1713 D. BERNINI, Vita del Cavalier Gian Lorenzo Bernino descritta da Domenico suo figlio, Roma 1713; rist. in facs. Perugia 1999. Bernini 1981 Bernini in Vaticano, catalogo della mostra (Roma, Braccio di Carlo Magno, maggio-luglio 1981), Roma 1981 BERTELLI 1990 S. BERTELLI, Il corpo del re. Sacralità del potere nell’Europa medievale, Firenze 1990. BOITEUX 1997 M. BOITEUX, Parcours rituels romains, in BRICE, VISCEGLIA 1997, pp. 27-87. BOITEUX 2002 M. BOITEUX, La vacance du Siège Pontifical. De la mort et des funérailles à l’investiture du pape: les rites de l’époque moderne, in J.P. PAIVA (ed.), Religious Ceremonials and Images. Power and social meaning (1400-1750), Coimbra 2002, pp. 103-141. BOITEUX 2004 M. BOITEUX, Le rituel romain de canonisation à l’époque moderne, in G. KLANICZAY (dir.), Procès de canonisation au Moyen Age. Aspects juridiques et religieux, Rome 2004, pp. 327-355. BOITEUX 2006 M. BOITEUX, Il Possesso. La presa di potere del Sovrano Pontefice sulla città di Roma, in Habemus Papam. Le elezioni ponteficie da S. Pietro a Benedetto XIV, a cura di F. Buranelli, Roma 2006, pp. 131-140. BOITEUX 2007 M. BOITEUX, L’hommage de la Chinea. Madrid-Naples-Rome, in Roma y España. Un crisol della cultura europea en la edad moderna, actas del Congreso internacional (Real Academia de España en Roma, 2007), coord. C.J. Hernando Sánchez, Madrid 2007, pp. 831-846. BOITEUX 2009a M. BOITEUX, Linguaggio figurativo e efficacia rituale, in I linguaggi del potere nell’età barocca, a cura di F. Cantù, Roma 2009, pp. 39-80. BOITEUX 2009b M. BOITEUX, Funérailles féminines dans la Rome baroque, in DOMPNIER 2009, p. 389-421.
BOITEUX 2012 M. BOITEUX, «Rituels funéraires pontificaux», in Studi romani, 2012, P. 31-56 BOITEUX 2013 M. BOITEUX, La cerimonia di canonizzazione di Santa Francesca Romana. Teatro, riti, stendardi e immagini, in A. Bartolomei Romagnoli, Giorgio Picasso (dir.), La canonizzazione di Santa Francesca Romana. Santità, cultura e istituzioni a Roma tra Medioevo ed età moderna, Firenze, 2013, p. 99-121. BOITEUX 2014 M. BOITEUX, “Les usages politiques d’un rituel de majesté : Les funérailles des souverains étrangers à Rome», in Funérailles princières et opinion publique en Europe (XVI-XVIII siècles), Rennes-Versailles, 2014. BOITEUX c.s. 1 M. BOITEUX, Catafalques pontificaux: la circulation des modèles, in Las representaciones funerarias en las Casas Reales europeas (ss. XVI-XVIII), atti del convegno (Madrid, 27-29 novembre 2008). BOITEUX c.s. 2 M. Boiteux, Oltre le facciate. Architettura e tempo, in Giornate di studio in onore di Mario Manieri Elia, Roma, 2-3 aprile 2013, in corso di stampa. BOITEUX c.s. 3 M. Boiteux, Les résidences romaines des papes : multiplicité et complémentarité, in Résidences of Monarchs and Seats of States Autorities in Europe, Conference, Varsavia, 9-12 aprile 2014. BÖLLING 2010 J. BÖLLING, «Liturgia di cappella e cerimonie di corte», in Pompa sacra. Lusso e cultura materiale alla corte papale nel Basso Medioevo (1420-1527), atti della giornata di studi (Roma 2007), a cura di T. Ertl, Roma 2010, pp. 37-54. BONOMELLI 1953 [1987] E. BONOMELLI, I Papi in campagna, Roma 1953; rist. Roma 1987. BORGATTI 1926 M. BORGATTI, Borgo e S. Pietro nel 1300, nel 1600 e nel 1925, Roma [1926]. BORSI 1980 F. BORSI, Bernini architetto, Milano 1980. BOTTARI 1822 G. BOTTARI, S. TICOZZI, Raccolta di lettere sulla pittura, IV, Milano 1822, II ed. BOURREAU 1988 A. BOURREAU, Le simple corps du roi. L’impossible sacralité des souverains français, XV-XVIIIè siècle, Paris 1988. BRAHAM 1966 A. BRAHAM, The tomb of Christina, in Queen Christina of Sweden: documents and studies, ed. by M. von Platen, Stockholm 1966, pp. 48-58. BRAHAM, HAGER 1977 A. BRAHAM, H. HAGER, Carlo Fontana: the drawings at Windsor Castle, London 1977. BRAUER, WITTKOWER 1931 H. B RAUER , R. W ITTKOWER , Die Zeichnungen des Gianlorenzo Bernini, 2 voll., Berlin 1931.
341
VATICANO BAROCCO
BREDEKAMP 2000 H. BREDEKAMP, Sankt Peter in Rom und das Prinzip der produktiven Zerstörung. Bau und Abbau von Bramante bis Bernini, Berlin 2000; tr. it. La Fabbrica di San Pietro. Il principio della distruzione produttiva, Torino 2000. BRICE, VISCEGLIA 1997 C. BRICE, M.A. VISCEGLIA (sous la dir.), Cérémonial et rituel à Rome (XVIe-XIXe siècle), Roma 1997. BRIGANTI 1982 G. B RIGANTI, Pietro da Cortona, o della pittura barocca, II ed. accresciuta, Firenze 1982. BRODINI 2009 A. BRODINI, Michelangelo a San Pietro. Progetto, cantiere e funzione delle cupole minori, Roma 2009. BUONANNI 1696 F. BUONANNI, Numismata summorum pontificum templi Vaticani fabbricam indicantia, chronologica ejusdem fabricae narratione, ac multiplici eruditione explicata, atque uberiori numismatum omnium pontificiorum lucubrationi veluti prodromus praemissa, Roma 1696. BUONAZIA 2000 I. BUONAZIA, Le statue del colonnato, in PINELLI 2000, III, pp. 303-306. BURCKARDI 1506 J. BURCKARDI, Liber notarum ab anno 1483 usque ad annum 1506 (RR. II.SS., 2a ed., XXII/1), a cura di E. Celani, Città di Castello 1907-1910. BURKE 1988 P. BURKE, I sovrani pontefici, in ID., Scene di vita quotidiana nell’Italia moderna, Roma-Bari 1988, pp. 206-226. CAFFIERO 1997 M. CAFFIERO, La maestà del papa. Trasformazioni dei rituali del potere a Roma tra XVIII e XIX secolo, in BRICE, VISCEGLIA 1997, pp. 281-316. CAMPITELLI 2001 A. CAMPITELLI, Gli Horti di Flora nella Roma di Giovan Battista Ferrari, in G.B.FERRARI, Flora overo cultura di fiori (1638), rist. a cura di L. Tongiorgi Tomasi, Firenze 2001. CAMPITELLI 2003 A. C AMPITELLI , Villa Borghese. Da giardino del principe a parco dei romani, Roma 2003. CAMPITELLI 2009 A. CAMPITELLI, Gli Horti dei papi. I Giardini Vaticani dal Medioevo al Novecento, Milano-Città del Vaticano 2009. CAMPITELLI, COSTAMAGNA 2005 A. CAMPITELLI, A. COSTAMAGNA, Villa Borghese. L'Uccelliera, la Meridiana, i Giardini Segreti, Roma 2005. CAPPELLETTI 2006 F. CAPPELLETTI, Paul Bril e la pittura di paesaggio a Roma 1580-1630, Roma 2006. CARLONI 1987 R. CARLONI, Ipotesi di programma iconografico, in MARTINELLI 1987, pp. 41-55. CARTA 1996 M. CARTA, L’architettura del ciborio berniniano, in MARTINELLI 1996, pp. 37-68.
342
BIBLIOGRAFIA GENERALE
CASALE 2006 V. CASALE, Il supremo artificio del Barocco: la “canonizzazione della Cattedra”, in FAGIOLO, PORTOGHESI 2006, pp. 176-183. CASALE 2011 V. CASALE, L’arte per le canonizzazioni, Torino 2011. Castelli e Ponti 1743 Castelli e Ponti di Maestro Niccola Zabaglia: con alcune ingegnose pratiche e con la descrizione del Trasporto dell’Obelisco Vaticano e di altri del Cavaliere Domenico Fontana, Roma 1743. Castelli e Ponti 1824 Castelli e Ponti di Maestro Niccola Zabaglia: con alcune ingegnose pratiche e con la descrizione del Trasporto dell’Obelisco Vaticano e di altri del Cavaliere Domenico Fontana, coll’aggiunta di macchine posteriori e premesse le notizie storiche della vita e delle opere dello stesso Zabaglia. Compilate dalla Ch. Me. dell’Avvocato Filippo Maria Renazzi, Roma 1824. CATALDI 2010 A. CATALDI, La Sala di Carlo Magno, in Le “stanze nuove” del Belvedere nel Palazzo Apostolico Vaticano, a cura di V. Francia, Città del Vaticano 2010, pp. 83-104. CAVACIOCCHI 1996 L’uomo e la foresta secc. XIII-XVIII, atti della XXVII settimana di studi (1995), a cura di S. Cavaciocchi, Firenze 1996 Istituto int. di storia economica F. Datini di Prato, ser. II, atti delle settimane di studio e altri convegni. CAZZATO, FAGIOLO, GIUSTI 2001 V. CAZZATO, M. FAGIOLO, M.A. GIUSTI (a cura di), Atlante delle grotte e dei ninfei in Italia. Toscana, Lazio, Italia meridionale e Isole, Milano 2001. CHACON 1667 A. CHACON, Vitae et res gestae pontificum Romanorum…, [Gregorius XIII pontifex CCXXX. Anno Domini MDLXXII – Clemens IX pont. CCXLII an. 1667], 4, Roma 1677. CHANTELOU 1665 P. CHANTELOU (FRÉART DE), Journal du voyage de Cav. Bernin en France, Parigi 1665; ed. L. Lalanne, Paris 1885. CHANTELOU 2001 P. FRÉART DE CHANTELOU, Journal de voyage du Cavalier Bernin en France, éd. de M. Stanic, Paris 2001; cfr. DEL PESCO 2007. CHAPPELL, CHANDLER KIRWIN 1974 M. C HAPPELL , W. C HANDLER K IR WIN , A Petrine triumph: the decoration of the navi piccole in San Pietro under Clement VIII , «Storia dell’arte», 21 (1974), p. 119-170. CHATTARD 1762-67 C.P. CHATTARD, Nuova descrizione del Vaticano, o sia della sacrosancta Basilica di S. Pietro, o sia del Palazzo Apostolico di S. Pietro, Roma 1762-67. CHINEA 1933 E. CHINEA, Dalle antiche botteghe d’arti e mestieri alle prime scuole industriali e commerciali in Lombardia, Milano 1933.
Chracas 1716-1808 CHRACAS, Diario Ordinario del Chracas, Roma 1716-1808. CIAPPI 1596 M. CIAPPI, Compendio delle heroiche, et gloriose attioni, et santa vita di Papa Gregorio XIII, Roma 1596. CICERCHIA, DE STROBEL 1986 E. CICERCHIA, A.M. DE STROBEL, Documenti inediti dell’Archivio Segreto Vaticano sui restauri delle Stanze di Raffaello e della Cappella Sistina nel Settecento, «Bollettino. Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie», VI (1986), pp. 105-152. CHAPPELL, CHANDLER KIRWIN 1974 M. C HAPPELL , W. C HANDLER K IR WIN , A Petrine triumph: the decoration of the navi piccole in San Pietro under Clement VIII , «Storia dell’arte», 21 (1974), pp. 119-170. CIAPPI 1596 M. CIAPPI, Compendio delle heroiche, et gloriose attioni, et santa vita di Papa Gregorio XIII, Roma 1596. COLIVA, SCHÜTZE 1998 A. COLIVA, S. SCHÜTZE (a cura di), Bernini scultore e la nascita del barocco in casa Borghese, catalogo della mostra, Roma 1998. Congregatio s.d. CONGREGATIO REVERENDAE FABRICAE SANCTI PETRI, Obblighi da adempirsi nell’impiego di Fattore generale e Monizioniere della R. Fabrica di S. Pietro in Vaticano, Roma s.d. CONNORS 2006 J. C ONNORS , Carlo Maderno e San Pietro, in Petros eni 2006, pp. 111-137. CONSTANT 1903 G. CONSTANT, Les maîtres de cérémonie du XVIème siècle, «Mélanges d’archéologie et d’histoire», 23 (1903), pp. 161-229. CORBO 1999 A.M. CORBO, Nicola Zabaglia, un geniale analfabeta, Roma 1999. CORNINI 1992 G. CORNINI, Il Braccio di Paolo V, in PIETRANGELI 1992, pp. 273-274. CORNINI 1992a G. CORNINI, L’ingresso al Palazzo Apostolico Vaticano, in PIETRANGELI 1992, pp. 263-269. CORNINI, DE STROBEL, SERLUPI CRESCENZI 1992 G. CORNINI, A.M. DE STROBEL, M. SERLUPI CRESCENZI, L’appartamento papale di rappresentanza, in PIETRANGELI 1992, pp. 169-172. CORNINI, DE STROBEL, SERLUPI CRESCENZI 1992a G. CORNINI, A.M. DE STROBEL, M. SERLUPI CRESCENZI, La Galleria del Romanelli, in PIETRANGELI 1992, pp. 278-282 COSTAGUTI 1684 G.B. COSTAGUTI, Architettura della Basilica di S. Pietro in Vaticano, opera di Bramante Lazzari, Michel’Angelo Bonarota, Carlo Maderni, e altri famosi Architetti. Fatta esprimere, e intagliare in più tavole da Martino Ferrabosco, e posta in luce l’anno MDCXX, Roma 1684.
COURTRIGHT 1981a N. COURTRIGHT, Constantine, Rome, Portico of St. Peter’s Rome, in Drawings by Gianlorenzo Bernini 1981, pp. 136-148. COURTRIGHT 1981b N. COURTRIGHT, Saints for the Colonnade of St. Peter’s Roma, in Drawings by Gianlorenzo Bernini 1981, pp. 208-218. CURCIO 2003 G. CURCIO, “Del trasporto dell’Obelisco Vaticano e sua erezione”, in FONTANA 2003, pp. CLXX-CLXXXVII. CURCIO 2007 G. CURCIO, Il maggiordomo e l’architetto (1624-1629). Tracce per una storia dei palazzi vaticani al tempo di Urbano VIII, in Barberini 2007, pp. 521-546. CURCIO, NAVONE, VILLARI 2011 Studi su Domenico Fontana, a cura di G. Curcio, N. Navone, S. Villari, Mendrisio 2011. CURCIO, SPEZZAFERRO 1989 G. CURCIO, L. SPEZZAFERRO, Fabbriche e architetti ticinesi nella Roma barocca, Milano 1989. DE ANGELIS 1986 G. DE ANGELIS, I monti della lince, Roma 1986. DE ANGELIS 2008 M.A. DE ANGELIS, Il Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo al tempo di Benedetto XIV (1740-1758). Pitture e arredi, Roma 2008 DE BLAAUW 1994 S. DE BLAAUW, Cultus et decor. Liturgia e architettura nella Roma tardoantica e medievale. Basilica Salvatoris, Sanctae Mariae, Sancti Petri, 2 voll., Città del Vaticano 1994. DEL PESCO 1988 D. DEL PESCO, Colonnato di San Pietro “dei Portici antichi e la loro diversità”, con un’ipotesi di cronologia, Roma 1988. DEL PESCO 2000 D. DEL PESCO, schede 154-155, in Alessandro VII Chigi (1599-1667). Il papa senese di Roma moderna, catalogo della mostra (Roma 2000), a cura di A. Angelini [et al.], Siena-Firenze 2000. DEL PESCO 2007 D. DEL PESCO, Bernini in Francia. Paul de Chantelou e il “Journal de voyage du cavalier Bernin en France”, Napoli 2007. DEL RE 1969 N. DEL RE , La Sacra Congregazione della Reverenda Fabbrica di San Pietro, «Studi Romani», XVII, n. 3, luglio-settembre 1969, pp. 288-301. DE LUCA SAVELLI 1969 M. DE LUCA SAVELLI, Francesco Mochi 1580-1654, catalogo della mostra, Firenze 1981. DELUMEAU 1959 J. DELUMEAU, Vie économique et sociale de Rome dans la seconde moitié du XVIème siècle, 2 voll., Paris 1959; tr. it. parziale, Vita economica e sociale di Roma nel Cinquecento, Firenze 1979. DE RENZI 1992-93 S. DE RENZI, Storia naturale ed erudizione nella prima età moderna: Giovanni
Faber (1574-1629) medico linceo, Tesi di dottorato in storia della scienza, consorzio universitario Bari-RomaBologna, anno acc. 1992-1993. DESMAS 2008 A.-L. DESMAS, Sous les toits du palais Mancini à Rome: un dessin nouvellement attribué d’Edme Bouchardon pour le tombeau de Clément XI Albani, in Dessins de sculpteurs, 1, Dijon 2008, pp. 87-101. DE STROBEL 2001 A.M. DE STROBEL, Dopo il Beato Angelico: storia dei restauri, in Il Beato Angelico e la Cappella Niccolina, a cura di F. Buranelli, Novara 2001, pp. 79-97. DE STROBEL, MANCINELLI 1992 A.M. DE STROBEL, F. MANCINELLI, Le cappelle pontificie, in PIETRANGELI 1992, pp. 51-59. DI BILDT 1906 C. DI BILDT, Cristina di Svezia e Paolo Giordano II, duca di Bracciano, «Archivio della R. Società di Storia Patria», XXIX (1906), pp. 5-32. DI SANTE 2008 A. D I S ANTE , «Non tutti, anzi rarissimi sono i Zabaglia»: lo Studio Pontificio delle Arti nelle Scuole Cristiane presso San Salvatore in Lauro, in M ARINO 2008, pp. 92-105. DI SANTE 2009 A. DI SANTE, Apprendere le arti applicate a Roma tra ’700 e ’800. La Scuola del Disegno e lo Studio Pontificio delle Arti a San Salvatore in Lauro, «Rivista Lasalliana. Trimestrale di cultura e formazione pedagogica», 2 (2009), pp. 297-308. DI SANTE 2011 A. DI SANTE, Le immagini cristologiche attraverso una lettura documentaria, in San Pietro in Vaticano 2011, pp. 166-205. DI SANTE, GRIMALDI 2008 A. DI SANTE, A. GRIMALDI, Il sacro e l’umano: il lavoro nella Fabbrica di San Pietro, in PERGOLIZZI 2008, pp. 137153. DIOSONO 2008 F. DIOSONO, Il legno. Produzione e commercio, Roma 2008. Discorso 1723 Discorso sopra il nuovo ornato della Guglia di S. Pietro, Roma 1723. DOBLER 2008 R.-M. DOBLER, Die Vierungspfeiler von Neu-Sankt-Peter und ihre Reliquien, in S ATZINGTER , S CHÜTZE 2008, pp. 301-323. DOMBROWSKI 1998 D. DOMBROWSKI, Aggiunte all’attività di Andrea Bolgi e revisione critica delle sue opere, «Rivista dell’Istituto nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte», s. II, 19-20 (1996-1997)[1998], pp. 251-304. DOMPNIER 2009 B. DOMPNIER (sous la dir.), Les cérémonies extraordinaires du catholicisme baroque, Clermont-Ferrand 2009. DOWLEY 1965 F.C. DOWLEY, Maratti, Carlo Fontana, and the Baptismal Chapel in Saint Peter’s, «Art Bulletin», 47 (1965), pp. 57-81.
LAVIN, GORDON 1981 I. LAVIN E P. GORDON, Drawings by Gianlorenzo Bernini from the Museum der Bildenden Künste Leipzig, German Democratic Republic, catalogo della mostra (Princeton 1981), Princeton 1981. DYKMANS 1977-85 M. DYKMANS, Le cérémonial pontifical de la fin du Moyen Age à la Renaissance, 4 voll., Rome-Bruxelles 1977-1985. EISLER 1981 C. EISLER, Sculptors’ drawings over six centuries 1400-1950, New York 1981. EJZENŠTEJN 1992 S.M. EJZENŠTEJN, Teoria generale del montaggio, Venezia 19923. ELZE 1977 R. ELZE, “Sic transit gloria mundi”. La morte del Papa nel medioevo, «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», III, 1977, pp. 23-41. ENGGASS 1972 R. E N G G A S S , Laurentius Ottoni Rom. Vat. Basilicae Sculptor, «Storia dell’arte», 15-16 (1972), pp. 315-342. ENGGASS 1976 R. ENGGASS, Early eighteenth-century sculpture in Rome. An illustrated catalogue raisonné, 2 voll., University Park 1976. ENGASS 1978 R. ENGASS, New attributions in St. Peter’s. The spandrel figures in the nave, «Art Bulletin», 60 ( 1978), pp. 96-108. FABER 1607 J. FABER, De Nardo et Epithymo, Roma 1607. FABJAN 2009 B. FABJAN, Le vedute delle fabbriche di Urbano VIII al Quirinale. Gli affreschi strappati e il loro restauro, «Bollettino d’arte», s. VI, XCIII (2008)[2009], 146, pp. 137-146. FACCIOLI 1967 C. FACCIOLI, Di Innocenzo Spinazzi, scultore romano (1726-1798), «L’Urbe», 1967, 6, pp. 16-25. FAGIOLO 2006 M. FAGIOLO, Dal Baldacchino al Colonnato: la definizione berniniana della basilica vaticana, in FAGIOLO, PORTOGHESI 2006, pp. 144-154. FAGIOLO, BONACCORSO 2008 M. FAGIOLO, G. BONACCORSO (a cura di), Studi sui Fontana. Una dinastia di architetti ticinesi a Roma tra Manierismo e Barocco, Roma 2008. FAGIOLO, MADONNA 1985 M. FAGIOLO, M.L. MADONNA (a cura di), Barocco romano e Barocco italiano. Il teatro, l’effimero, l’allegoria, Roma 1985. FAGIOLO, PORTOGHESI 2006 M. FAGIOLO, P. PORTOGHESI (a cura di), Roma Barocca, catalogo della mostra, Roma 2006. FAGIOLO, SPAGNESI 2006 M. Fagiolo, G. Spagnesi (a cura di), Immagini del Barocco. Bernini e la cultura del Seicento, Firenze 1982. FAGIOLO DELL’ARCO 1997a M. FAGIOLO DELL’ARCO, La festa barocca, Roma 1997.
FAGIOLO DELL’ARCO 1997b M. FAGIOLO DELL’ARCO, La festa a Roma: dal Rinascimento al 1870, Roma 1997. FAGIOLO DELL’ARCO, CARANDINI 1978 M. FAGIOLO DELL’ARCO, S. CARANDINI, L’effimero barocco. Strutture della festa nella Roma del ’600, 2 voll., Roma 1977-1978. FALASCHI 1996 L. FALASCHI, Il Ciborio del Santissimo Sacramento in San Pietro in Vaticano, secondo i disegni e i progetti di Gian Lorenzo Bernini, in MARTINELLI 1996, pp. 69-136. FEHL 1985 P. FEHL, Improvisation and the artist’s responsibility in St. Peter’s Rome: papal tombs by Bernini and Canova, in Akten des 25. Kongresses für Kunstgeschichte (Wien 1983), 9, Eröffnungs- und Plenarvorträge, Wien 1985, pp. 111-123. FIORANI 1984 L. FIORANI, L’esperienza religiosa nelle confraternite romane tra Cinque e Seicento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 5 (1984), pp. 167-169. FISCHER-PACE 1999 U.V. FISCHER-PACE, Contributo alla storia del monumento funebre di Cristina, in Cristina di Svezia e Roma, a cura di B. Magnusson, Stockholm 1999, pp. 81-96. FONTANA 1590 D. F ONTANA , Della Trasportatione dell’Obelisco Vaticano et delle Fabriche di Nostro Signore Papa Sisto v fatte dal Cavalier Domenico Fontana Architetto di Sua Santità, Roma 1590. FONTANA 1694 C. FONTANA, Templum Vaticanum et ipsius origo: cum aedificiis maxime conspicuis antiquitus, & recens ibidem constitutis; cum plerisque regulis, novisque architecturae operationibus ab ipsomet in lucem vulgati, Roma 1694. FONTANA 1697 C. FONTANA, Descrizione della nobilissima cappella del Fonte Batismale nella Basilica Vaticana, con la grande tazza antica di porfido coperta di metalli dorati, Roma 1697. FONTANA 2003 Carlo Fontana. Il Tempio Vaticano, a cura di G. Curcio, Milano 2003. FRANCIA 1977 E. FRANCIA, 1505-1606. Storia della costruzione del nuovo San Pietro, Roma 1977. FRANCIA 1987 E. FRANCIA, Storia della costruzione del nuovo San Pietro da Michelangelo a Bernini, Roma 1987. FRANSOLET 1933 M. FRANSOLET, Le S. André de François Duquesnoy à la Basilique de S. Pierre au Vatican 1629-1640, «Bulletin de l’Institut historique belge de Rome», 13 (1933), pp. 227-286. FRANZ-DUHME 1986 H.N. FRANZ-DUHME, Angelo de Rossi ein Bildhauer um 1700 in Rom, Berlin 1986. FRANZONI 1994 C. FRANZONI, I restauri della Galleria
delle Carte Geografiche, in Galleria 1994, Testi, pp. 169-174. FRASCHETTI 1900 S. FRASCHETTI, Il Bernini: la sua vita, la sua opera, il suo tempo, Milano 1900 FRATARCANGELI, LERZA 2009 M. FRATARCANGELI, G.LERZA, Architetti e maestranze lombarde a Roma (15901667). Tensioni e nuovi esiti formativi, Pescara 2009. FREEDBERG 2007 D. FREEDBERG, L’occhio della Lince. Galilei, i suoi amici e gli inizi della moderna storia naturale, a cura di L. Guerrini, Bologna 2007. FREY 1910 K. FREY, Zur Baugeschichte des St. Peter. Mitteilungen aus der Reverendissima Fabbrica di S. Pietro, «Jahrbuch der Kgl. Preußischen Kunstsammlungen», 32 (1910), pp. 1-95; 33 (1913), pp. 1-153; 37 (1916), pp. 22-136. FUMAGALLI 1990 E. FUMAGALLI, Guido Reni (e altri) a San Gregorio al Celio e a San Sebastiano fuori le Mura, «Paragone Arte», XLI (1990), 483, pp. 67-94. FUMAGALLI 1996 E. FUMAGALLI, Paolo V Borghese in Vaticano. Appartamenti privati e di rappresentanza, «Storia dell’arte», 88 (1996), pp. 341-370. FUMAGALLI 2004 E. FUMAGALLI, Roma 1624: un ciclo di tele in onore di Urbano VIII, «Paragone Arte», LV (2004), 57, pp. 58-78. GABRIELLI 1996 G. GABRIELLI (a cura di), Il carteggio Linceo, Roma 1996. Galleria 1994 La Galleria delle Carte Geografiche in Vaticano, a cura di L. Gambi e A. Pinelli, 3 voll., Modena 1994 GIESEY 1960 R.E. GIESEY, The Royal Funeral Ceremony in Renaissance France, Genève 1960. GIGLI 1958 G. GIGLI, Diario romano (1608-1670), a cura di G. Ricciotti, Roma 1958. GINZBURG 1991 C. GINZBURG, Représentation: le mot, l’idée, la chose, «Annales ESC», 1991, pp. 1219-1234. GOLDTHWAITE (1980) 1984 R.A. GOLDTHWAITE, La costruzione della Firenze rinascimentale. Una storia economica e sociale, Bologna 1984 (ed. or. The Building of Renaissance Florence. An Economic and Social History, Baltimore 1980). GOLZIO 1939 V. GOLZIO, Documenti artistici sul Seicento nell’Archivio Chigi, Roma 1939. GRADARA 1920 C. GRADARA, Pietro Bracci scultore romano, 1700-1773, Milano 1920. GRAF 1991 D. GRAF, Drawings by Giuseppe Passeri in Homage to Clement XI, «Master Drawings», XXIX (1991), 3, pp. 235-254. GRAF 1995 D. G RAF , Die Handzeichnungen
343
VATICANO BAROCCO
des Giuseppe Passeri (Kataloge des Kunstmuseums Düsseldorf im Ehrenhof, III/5, 1), 2 voll., Düsseldorf 1995. GRAMBERG 1984 W. GRAMBERG, Guglielmo della Portas Grabmal für Paul III. Farnese in San Pietro in Vaticano, «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte», 21 (1984), pp. 253-364. GRIMALDI 1972 G. GRIMALDI, Descrizione della basilica antica di S. Pietro in Vaticano, codice Barberini latino 2733, a cura di R. Niggl, Città del Vaticano 1972. GRIMALDI 2011 A. GRIMALDI, Martiri e santi. Antiche e nuove devozioni presso la tomba di Pietro, in San Pietro in Vaticano 2011, pp. 270-325. GUARDO 2011 M. GUARDO, Galilei e il Tesoro Messicano, «L’Ellisse: studi storici di letteratura italiana», VI (2011), pp. 53-82. GUERRIERI BORSOI 2004 M.B. GUERRIERI BORSOI, Gli Strozzi a Roma, Roma 2004. GUERRIERI BORSOI 2010 M.B. GUERRIERI BORSOI, Novità su Alessandro e Anna Maria Vaiani, «Bollettino Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie», XXVII (2010), pp. 241-264 GUERRIERI BORSOI 2011 M.B. GUERRIERI BORSOI, s.v. Montagna Marco Tullio, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXXV (2011). GÜTHLEIN 1979 K. GÜTHLEIN, Quellen aus dem Familienarchiv Spada zum Romischen Barock I, «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte», 19, 1979, pp. 173-246. GÜTHLEIN 2008 K. GÜTHLEIN, Johann Paul Schor und die Chigi-Kapelle in Siena, in Johann Paul Schor und die internationale Sprache des Barock. “Un regista del gran teatro del barocco”, hrgs. v. C. Strunck, München 2008 («Römische Studien der Bibliotheca Hertziana, 21»), pp. 83-94. HAINES, RICCETTI 1992 Opera. Carattere e ruolo delle fabbriche cittadine fino all’inizio dell’Età Moderna, a cura di M. Haines e L. Riccetti, Firenze 1996 . HAUS 1970 A. HAUS, Der Petersplatz in Rom und sein Statuenschmuck. Neue Beiträge, Freiburg i. Br. 1970. HIBBARD 1971 [2001] H. HIBBARD, Carlo Maderno and Roman architecture 1580-1630, London 1971; ed. it., Carlo Maderno, a cura di A. Scotti Tosini, Milano 2001. HUBALA 1991 E. H UBALA , Kunst des Barock und Rokoko. Malerei, Plastik, Architektur, Stuttgart 1991. KANTOROWICZ 1957 E. KANTOROWICZ, The Kings two Bodies. A study in Mediaeval Political Theology, Princeton 1957; tr. it. I due corpi del re, Torino 1989. KARSTEN, PABSCH 2000 A. KARSTEN, M. PABSCH, Das Grabmal
344
BIBLIOGRAFIA GENERALE
Clemens X. Altieri, «Städel-Jahrbuch», n.s., 17 (1999-2000), pp. 295-312. KAUFFMANN 1955 H. KAUFFMANN, Berninis Tabernakel, «Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst», III s., 6 (1955), pp. 222-242. KAUFFMANN 1961 H. K AUFFMANN , Berninis Hl. Longinus, in Miscellanea Bibliothecae Hertzianae zu Ehren von Leo Bruhns, Franz Graf Wolff Metternich, Ludwig Schudt, München 1961 («Römische Forschungen der Bibliotheca Hertziana, 16»), pp. 366-374. KIRWIN 1981 W.C. KIRWIN, Bernini’s baldacchino reconsidered, «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte», 19 (1981), pp. 141-171. KITAO 1974 T.K. KITAO, Circle and oval in the square of Saint Peter’s. Bernini’s art of planning, New York 1974. KRAUTHEIMER 1987 R. KRAUTHEIMER, Roma di Alessandro VII 1655-1667 (ed. or. Princeton 1985), Roma 1987. KRAUTHEIMER, JONES 1975 R. K R A U T H E I M E R , R.B.S. J O N E S , The diary of Alexander VII : notes on art, artists and buildings, «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte», 15 (1975), pp. 199-236. KRÜGER 1986 J. K R Ü G E R , Das ursprüngliche Grabmal Gregors XIII . in St. Peter zu Rom, «Pontificium Coll. Germanicum et Hungaricum Korrespondenzblatt», 95 (1986), pp. 41-59. KUNTZ M.A. KUNTZ, Maderno’s building procedures at New St. Peter’s. Why the façade first?, «Zeitschrift für Kunstgeschichte», 68 (2005), pp. 41-60. LANKHEIT 1962 K. L ANKHEIT , Florentinische Barockplastik. Die Kunst am Hofe der letzten Medici 1670-1743, München 1962. LANZANI 2008 V. LANZANI, La Fabbrica di San Pietro. Una secolare istituzione per la Basilica Vaticana, in PERGOLIZZI 2008, pp. 5560. LANZANI 2010 V. LANZANI, Le Grotte Vaticane. Memorie storiche, devozioni, tombe dei Papi, Roma 2010. LAVIN 1968 I. LAVIN, Bernini and the Crossing of Saint Peter’s, New York 1968. LAVIN 1980 I. LAVIN, Bernini and the Unity of the Visual Arts, New York-London 1980. LAVIN 1984 I. LAVIN, Bernini’s Baldachin. Considering a Reconsideration, «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte», 21 (1984), pp. 405-414. LAVIN 2000 I. LAVIN, Bernini in San Pietro, in PINELLI 2000, III, pp. 177-236. LAVIN 2005 I. LAVIN, Bernini at San Pietro. Singu-
laris in singulis in omnibus unicus, in Tronzo 2005, pp. 111-243. LAVIN 2006 I. LAVIN, Bernini a San Pietro. Singularis in singulis in omnibus unicus, Roma 2006. LAVIN 2008 I. LAVIN, The Baldacchino. Borromini vs Bernini. Did Borromini forget himself?, in Satzinger, Schütze 2008, pp. 275-300. LAZZARINI 2011 A. LAZZARINI, Una testimonianza di Tommaso Stigliani. Palazzi e libri di disegno in una dichiarazione di poetica mariniana, «Italianistica», XL (2011), n. 1, pp. 73-85. LECOY DE LA MARCHE 1874 A. LECOY DE LA MARCHE, L’Académie de France à Rome, Paris 1874. LÉVI-STRAUSS 1949 C. LÉVI-STRAUSS, L’efficacité symbolique, «Revue d’histoire des religions», 135/1, 1949. LÉVI-STRAUSS 1958 C. LÉVI-STRAUSS, Anthropologie structurale, Paris 1958. LIVERANI, SPINOLA, ZANDER 2010 P. LIVERANI, G. SPINOLA, P. ZANDER, Le Necropoli Vaticane, Milano-Città del Vaticano 2010. MACCARONE 1971 M. MACCARONE, La storia della cattedra, «Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Memorie», 10 (1971), pp. 3-70. MAES 1893 C. MAES, Tabacco in chiesa proibita, «Diario ordinario del Chracas», n.s., VI (1893), n. 268, pp. 786-791. MAFFEI 1742 G. MAFFEI, Degli annali di Gregorio XIII Pontefice Massimo, 2 voll., Roma 1742. MÂLE 1932 E. M Â L E , L’art religieux de la fin du XVIème et du XVIIème siècle, Paris 1932; tr. it. L’arte religiosa nel Seicento, Milano 1984. MANCINELLI 1982 F. MANCINELLI, Il cubicolo di Giulio II, «Bollettino Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie», III (1982), pp. 63-103. MANCINELLI 1992 F. MANCINELLI, La Scala segreta e la Cappella, in PIETRANGELI 1992, pp. 277-278 MANFEDI 2007 T. MANFREDI, La costruzione dell’architetto: Maderno, Borromini, i Fontana e la formazione degli architetti ticinesi a Roma, Roma 2008. MARCHIONNE GUNTER 1997 A. MARCHIONNE GUNTER, Una segnalazione berniniana: i “due angioli di marmo sbozzati” da casa Bernini a Sant’Andrea delle Fratte, «Studi romani», 45 (1997), pp. 97-101. MARCHIONNE GUNTER 1997a A. MARCHIONNE GUNTER, Una segnalazione berniniana: i “due angioli di marmo sbozzati” da casa Bernini a Sant’Andrea delle Fratte, «Studi romani», 45 (1997), pp. 97-101. MARCHIONNE GUNTER 1997b MARCHIONNE GUNTER, Scultori a Roma
tra Seicento e Settecento: Francesco Cavallini, Francesco Aprile e Andrea Fucigna , «Storia dell’arte», 91 (1997), pp. 315-366. MARCONI 2001 N. MARCONI, I cantieri romani di Francesco Borromini: apparati, macchine da costruzione e strutture provvisionali, in Contributi sul Barocco romano. Rilievi, studi e documenti, a cura di R. M. Strollo, Roma 2001, pp. 101-116. MARCONI 2003 N. M ARCONI , The baroque Roman building yard. Technology and building machines in the Reverenda Fabbrica of St. Peter’s (16th–18th centuries), in Proceedings of the First International Congress on Construction History (Madrid 20-24 january 2003), ed. by S. Huerta, Madrid 2003, II, pp. 1357-1367. MARCONI 2004 N. MARCONI, Edificando Roma barocca. Macchine, apparati, maestranze e cantieri tra XVI e XVIII secolo, Città di Castello 2004. MARCONI 2004a N. MARCONI, La piazza e il portico del Pantheon a Roma nei restauri di Alessandro VII (1662-1667). Rifunzionalizzazione urbana e conservazione monumentale, «Città e Storia», 1 (2004), pp. 193-200. MARCONI 2007 N. MARCONI, Carlo Maderno a San Pietro. Organizzazione e tecniche del cantiere per il completamento della Basilica Vaticana, in MOLLISI 2007, pp. 88-107. MARCONI 2008 N. MARCONI, I legni e le pietre: gli approdi per i materiali edili tra XVII e XVIII secolo sul Tevere a Roma, in La città e il fiume (secoli XIII-XIX), a cura di F. Travaglini, Roma 2008, pp. 181-195. MARCONI 2008a N. MARCONI, La «prestigiosa collazione delle macchine del Zabaglia» e la scuola di meccanica pratica della Fabbrica di San Pietro, in MARINO 2008, pp. 5482, 125-153. MARCONI 2008b N. MARCONI, Per costruire o ristorare ideate: le Macchine e i Ponti di mastro Nicola Zabaglia, in PERGOLIZZI 2008, pp. 154-166. MARCONI 2009 N. MARCONI, L’eredità tecnica di Domenico Fontana e la Fabbrica di San Pietro in Roma: tecnologie e procedure per la movimentazione dei grandi monoliti tra XVI e XIX secolo, in FAGIOLO, BONACCORSO 2009, pp. 45-56. MARCONI 2009A N. MARCONI, Carlo Maderno. Biografia e opere, in FAGIOLO, BONACCORSO 2009, pp. 447-452. MARCONI 2010 N. MARCONI, Genitor Urbis ad usum Fabricae: il trasporto fluviale dei materiali per l’edilizia nella Roma del Cinquecento, in Le acque e la città (XV-XVI secolo), a cura di F. Travaglini e G. Bonaccorso, num. mon. di «Roma moderna e contemporanea», XVII/1-2 (2009-2010), pp. 143-166.
MARCONI 2012 N. MARCONI, «De’ buoni meccanici per la Fabbrica di San Pietro»: tecnologie per la costruzione e il restauro della Basilica Vaticana tra tradizione e innovazione, in MORELLO 2012, pp. 477-510. MARCONI C.S.1 N. MARCONI, La Fabbrica di San Pietro in Vaticano per l’edilizia di Roma tra XVII e XIX secolo: officina, innovazione, divulgazione, in L’Archivio della Fabbrica di San Pietro in Vaticano come fonte per la storia di Roma, atti della giornata di studi (Roma, 8 aprile 2011), a cura di G. Sabatini e S. Turriziani, c.s. MARCONI C.S.2 N. MARCONI, I Castelli e Ponti di Maestro Niccola Zabaglia (1824). Apparati, tecnologie e procedure per la manutenzione e il restauro della Basilica di San Pietro in Vaticano tra XVIII e XIX secolo, ed. critica con ricostruzioni grafiche di G. Marchei, c.s. MARDER 1997 T.A. MARDER, Bernini’s Scala Regia at the Vatican Palace, Cambridge 1997 MARDER 2003 T.A. MARDER, Delli Portici, e piazze avanti il Tempio Vaticano, in FONTANA 2003, pp. 206-2015. MARIANI 1931 V. MARIANI, Bernini e la “Cattedra” di San Pietro, «Bollettino d’Arte», XXV (1931), 3, pp. 161-172. MARIN 1983 L. MARIN, Une mise en signification de l’espace social: manifestation, cortège, défilé, procession (Notes sémiotiques),«Sociologie du Sud-Est», 37-38 (1983), pp. 20 ss. MARIN 1994 L. MARIN, De la représentation, Paris 1994. MARINO 2008 A. MARINO, Sapere e saper fare nella Fabbrica di San Pietro, Roma 2008. MARTIN 1998 F. MARTIN, “L’emulazione della romana anticha grandezza”: Camillo Rusconis Grabmal für Gregor XIII., «Zeitschrift für Kunstgeschichte», 61 (1998), pp. 77-112. MARTIN 2007 F. MARTIN, Projekte für ein Grabmal Clemens’ XI, «Zeitschrift für Kunstgeschichte», 70 (2007), pp. 271-280. MARTINELLI 1987 V. MARTINELLI (a cura di), Le statue berniniane del portico di S. Pietro, Roma 1987. MARTINELLI 1996A V. MARTINELLI (a cura di), L’ultimo Bernini 1665-1680. Nuovi argomenti, documenti e immagini, Roma 1996. MARTINELLI 1996B V. MARTINELLI, L’ultimo crocifisso del Bernini, in MARTINELLI 1996, pp. 161179. MASSON 1972 G. MASSON, Italian Flower Collector’s Gardens in Seventheenth-century Italy, in D.R. COFFIN (a cura di), The Italian Garden, Washington DC 1972, pp. 61-80.
MCPHEE 2002 S. MCPHEE, Bernini and the Bell Towers Architecture and Politics in Vatican, New Haven 2002. MCPHEE 2008 S. M C P HEE , The Long Arm of the Fabbrica: St’Peter’s and the City of Rome, in SATZINGER, SCHÜTZE 2008, pp. 353-373. MENICHELLA 1985 A. MENICHELLA, Matthia De’ Rossi. Discepolo prediletto del Bernini, Roma 1985. MENNITI IPPOLITO 2004 A. MENNITI IPPOLITO, I papi al Quirinale. Il sovrano pontefice e la ricerca di una residenza, Roma 2004. MERZ 1991 J.M. MERZ, Pietro da Cortona. Der Aufstieg zum führenden Maler im barocken Rom, Tübingen 1991. MEYER 1696 C. MEYER, L’arte a restituire a Roma la tralasciata navigazione del suo Tevere, Roma 1696. MIGLIO 1995 M. MIGLIO, Liturgia e cerimoniale di corte», in Liturgia in figura. Codici liturgici rinascimentali della Biblioteca Apostolica Vaticana. Catalogo, Città del Vaticano 1995, pp. 43-50. MINOR 1997 V.H. MINOR, Passive tranquillity. The sculpture of Filippo della Valle, Philadelphia 1997. MOCHI ONORI 1997 L. MOCHI ONORI, Pietro da Cortona per i Barberini, in Pietro da Cortona, catalogo mostra (Roma, Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, 31 ottobre 1997-10 febbraio 1998), a cura di A. Lo Bianco, Milano 1997, pp. 73-86. MOLLISI 2007 Svizzeri a Roma, a cura di G. Mollisi (num. mon. di «Arte e Storia», 35), [Lugano] 2007. MONCIATTI 2005 A. MONCIATTI, Il Palazzo Vaticano nel Medioevo, Firenze 2005. MONTAGU 1985 J. MONTAGU, Alessandro Algardi, 2 voll., New Haven 1985. MONTAGU 1989 MONTAGU J., Roman baroque sculpture. The industry of art, New HavenLondon 1989. MONTAGU 1991 J. MONTAGU, La scultura barocca romana: un’industria dell’arte, Torino 1991. MONTAGU 1996A J. MONTAGU, Gold, silver, and bronze: metal sculpture of the Roman baroque, New Haven 1996. MONTAGU 1996B J. MONTAGU, Alcune statue che non furono mai eseguite, in ROCCHI COOPMANS DE YOLDI 1996, pp. 309-312.. MONTAGU 1999 J. MONTAGU, Algardi. L’altra faccia del barocco, catalogo della mostra, Roma 1999. MONTAIGLON 1875 A. DE MONTAIGLON, Correspondance des directeurs de l’Académie de France
à Rome avec les surintendants des bâtiments, 1-18, Paris 1887-1912. MONTANARI 1997 T. MONTANARI, La dispersione delle collezioni di Cristina di Svezia: gli Azzolino, gli Ottoboni e gli Odescalchi, «Storia dell’arte», 90 (1997), S. 250-300. MONTANARI 1998 T. MONTANARI, Bernini e Cristina di Svezia. Alle origini della storiografia berniniana, in ANGELINI 1998, pp. 328-477. MORELLO 1981 G. MORELLO, Bernini e i lavori a S. Pietro nel diario di Alessandro VII, in Bernini 1981, pp. 321-349. MORELLO 1992 G. MORELLO, La Biblioteca Apostolica, in PIETRANGELI 1992, pp. 197-215 MORELLO 2004 G. MORELLO, La decorazione della Galleria di Urbano VIII nella Biblioteca Apostolica Vaticana: da Domenichino a Giovan Paolo Schor, in Studi sul Barocco romano. Scritti in onore di Maurizio Fagiolo dell’Arco, Milano 2004, pp. 299-308. MORELLO 2012 La Basilica di San Pietro: fortuna e immagine, atti del convegno internazionale (Roma 11-13 novembre 2009), a cura di G. Morello, Roma 2012. MORGANTI 1990 G. MORGANTI (a cura di), Gli Orti Farnesiani, atti del convegno di studi (Roma 1985), Roma 1990. MORONI 1842 MORONI G., Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia 1842. Mosaici 1986 Mosaici minuti romani del ’700 e dell’800, a cura di M. Alfieri [et al.], [s.l.] 1986 MUÑOZ 1918 A. MUÑOZ, La scultura barocca a Roma. V. Le tombe papali, «Rassegna d’arte», 18 (1918), pp. 78-104. NAVONE 1938 G. NAVONE, L’entrata trionfale di Marcantonio Colonna, «Archivio della R. Società romana di storia patria. Miscellanea, 12», 1938. NEGRO 2008 A. NEGRO, I ritrovati affreschi della galleria di Alessandro VII al Quirinale: aggiornamenti e proposte attributive su Schor, Canini, Colombo, Fabrizio Chiari, Baldi, Ferri, Grimaldi e Lauri, «Bollettino d’arte», s. VI, XCVI (2008) [2009], 146, pp. 155-166. NOÈ 1996 V. NOÈ, I santi fondatori nella Basilica Vaticana, Modena 1996. NOÈ 2000 V. NOÈ, Le tombe e i monumenti funebri dei papi nella Basilica di San Pietro in Vaticano, Modena 2000. OLSZEWSKI 1997 E.J. OLSZEWSKI, Cardinal Pietro Ottoboni’s vatican tomb of Pope Alexander VIII Ottoboni. History and iconography from the archival records, «Storia dell’arte», 91 (1997)[1998], pp. 367-400.
OLSZEWSKI 2004 E.J. OLSZEWSKI E.J., Cardinal Pietro Ottoboni (1667-1740) and the Vatican tomb of Pope Alexander VIII, Philadelphia 2004. ORBAAN 1919 J.A.F. ORBAAN, Der Abbruch Alt St.Peters 1605-1615, «Jahrbuch der Kgl. Preussischen Kunstsammlungen», 39 (1919), pp. 1-139. ORBAAN 1920 J.A.F. ORBAAN, Documenti sul Barocco in Roma, Roma 1920. OSTROW 1990 S.F. OSTROW, Marble revetment in Late Sixteenth-Century Roman chapels, in IL 60. Essays honoring Irving Lavin on his sixtieth birthday, a cura di M. Aronberg Lavin, New York 1990, pp. 253-266. OSTROW 2000 S.F. OSTROW, La cappella Gregoriana e le adiacenze, in PINELLI 2000, III. OY-MARRA 2005 E. OY-MARRA, Profane Repräsentationskunst in Rom von Clemens VIII. Aldobrandini bis Alexander VII. Chigi. Studien zur Funktion und Semantik römischer Deckenfresken im höfischen Kontext, München 2005. OY-MARRA 2007 E. OY-MARRA, Ambasciatori dello stile barberini: Giovan Francesco Romanelli in Francia, in Barberini 2007, pp. 303-316. OZZOLA 1908 L. OZZOLA, L’arte alla corte di Alessandro VII, «Archivio della R. Società Romana di Storia Patria», XXXI (1908), pp. 5-91. PALEOTTI 1582 G. PALEOTTI, Discorso intorno alle immagini sacre e profane, Bologna 1582. PANCIROLI 2002 R. PANCIROLI, L’Appartamento delle Udienze Pontificie, Città del Vaticano 2002 PANOFSKY 1992 E. PANOFSKY, Tombe sculpture. Four lectures on its changing, a cura di H.H. Janson, New York 1992; tr. it. La scultura funeraria dall’antico Egitto a Bernini, Torino 2011. PARAVICINI BAGLIANI 1994 A. PARAVICINI BAGLIANI, Il corpo del papa, Torino 1994. PARAVICINI BAGLIANI 1998 A. Paravicini Bagliani, Le chiavi e la tiara, Roma 1998. PASCOLI 1992 L. PASCOLI, Vite de’pittori, scultori, ed architetti moderni (1730-1736), ed. critica dedicata a V. Martinelli, Perugia 1992. PASSERI 1934 G.B. P A S S E R I , Die Künstlerbiographien von Giovanni Battista Passeri, herg. von J. Hess, Worms 1934. PASTOR 1931-33 L. VON PASTOR, Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo, I-XVI, Roma 1931-1933. PELLEGRINI 1994 M. PELLEGRINI, Corte di Roma e aristocrazie italiane in età moderna. Per una lettura storico-sociale della curia
345
VATICANO BAROCCO
romana, «Rivista di storia e letteratura religiosa», 30, 1994, pp. 543-602. PEPPER 1988 S. PEPPER, Guido Reni. L’opera completa, Novara 1988. PEREZ SÁNCHEZ 1967 A. PEREZ SÁNCHEZ, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando. Catalogo de los dibujos, Madrid 1967. PERGOLIZZI 1999 A.M. PERGOLIZZI (a cura di), La Confessione nella basilica di S. Pietro in Vaticano, Cinisello B. 1999. PERGOLIZZI 2006A A.M. PERGOLIZZI, Per una controstoria della “fabrica” di San Pietro. Il fare artistico tra genialità e sopravvivenza, in FAGIOLO, PORTOGHESI 2006, pp. 158-172. PERGOLIZZI 2006B A.M. PERGOLIZZI, Stefano Speranza (su disegno di Bernini). Modello per la Loggia delle Reliquie della Croce in San Pietro, 1634, in FAGIOLO, PORTOGHESI 2006, p. 174. PERGOLIZZI 2008 Magnificenze Vaticane. Tesori inediti dalla Fabbrica di San Pietro, catalogo della mostra, a cura di A. M. Pergolizzi, Roma 2008. PETRACCIA 2010 A. PETRACCIA, Il refettorio del convento di San Bernardino a L’Aquila. Simone Lagi, Gregorio Grassi, Stefano Pandolfi, Domenico Rainaldi, in Abruzzo. Il Barocco negato: aspetti dell’arte del Seicento e Settecento, a cura di R. Torlontano, Roma 2010, pp. 99-111. Petros eni 2006 M.R. CARLO-STELLA, P. LIVERANI, M.L. POLICHETTI (a cura di), Petros eni. Pietro è qui, catalogo della mostra (Città del Vaticano 2006), Monterotondo (Roma) 2006. PIETRANGELI 1989 C. PIETRANGELI (a cura di), La Basilica di San Pietro, Firenze 1989 . PIETRANGELI 1992 C. PIETRANGELI (a cura di), Il Palazzo Apostolico Vaticano, Firenze 1992. PINELLI 1994 A. PINELLI, Il «bellissimo spassegio» di papa Gregorio XIII Boncompagni, in Galleria 1994, Testi, pp. 9-71 PINELLI 2000 A. PINELLI (a cura di), La Basilica di San Pietro in Vaticano = The Basilica of St Peter in the Vatican, 4 voll., Modena 2000 («Mirabilia Italiae, 10»). PISANI SARTORIO 1986 G. P ISANI SARTORIO (a cura di), Il Trionfo dell’acqua. Acque e acquedotti a Roma dal IV secolo a.C. al XX secolo, Roma 1986. POLLAK 1913 O. POLLAK, Italienische Künstlerbriefe aus der Barockzeit, «Jahrbuch der Preußischen Kunstsammlungen», 34 (1913), pp. 1-77. POLLAK 1928 O. POLLAK, Die Kunsttätigkeit unter Urban VIII, a cura di D. FREY et al., I-II, Wien 1928-1931. POLLAK 1931
346
BIBLIOGRAFIA GENERALE
O. POLLAK, Die Kunsttätigkeit unter Urban VIII, II, Die Peterskirche in Rom, Wien 1931. PREIMESBERGER 1978 R. P REIMESBERGER , Das dritte Papstgrabmal Berninis, «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte», 17 (1978), pp. 77-162. PREIMESBERGER 1993 R. PREIMESBERGER, Skulpturale Mimesis: Mochis Hl. Veronika, in Künstlerischer Austausch, Akten des XXVIII. Internationalen Kongresses für Kunstgeschichte (Berlin, 15-20, Juli 1992), Berlin 1993, 2, pp. 473-482. PREIMESBERGER 2001 R. PREIMESBERGER, Il San Longino del Bernini in San Pietro in Vaticano. Dal bozzetto alla statua, in Bernini a Montecitorio. Ciclo di conferenze nel quarto centenario della nascita di Gian Lorenzo Bernini, a cura di M.G. Bernardini, Roma 2001, pp. 95-112. PRODI 1982 P. PRODI, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Bologna 1982. Quirinale 1991 Il Palazzo del Quirinale, a cura di F. Borsi, Roma 1991. Quirinale 1993 G. BRIGANTI, L. LAUREATI, L. TREZZANI (a cura di), Il patrimonio artistico del Quirinale. Pittura antica. La decorazione murale, Milano 1993. REDIG DE CAMPOS 1967 D. REDIG DE CAMPOS, I Palazzi Vaticani, Bologna 1967. RENAZZI 1793 F.M. RENAZZI, Compendio di teorica e di pratica ricavato dalli decreti e risoluzioni originali della Sagra Congregazione della Reverenda Fabbrica di San Pietro per uso de’ Commissarj ed altri uffiziali della medesima, Roma 1793. RENOUX 1993 C. RENOUX, Une source de l’histoire de la mystique moderne revisitée: les procès de canonisation, «MEFR(M)», 105 (1993), pp. 177-217. RICE 1992 L. RICE, Urban VIII, the Archangel Michael, and a forgotten Project for the Apse Altar of St. Peter’s, «Burlington Magazine», 134 (1992), pp. 428-434. RICE 1997 L. RICE, The altars and altarpieces of new St. Peter’s: outfitting the Basilica, 1621-1666, Cambridge 1997. RICE 2008 L. RICE, Bernini and the Pantheon Bronze, in SATZINGER, SCHÜTZE 2008, pp. 337-352. ROBERTO 2004 S. ROBERTO, Gian Lorenzo Bernini e Clemente IX Rospigliosi. Arte e architettura a Roma e in Toscana nel Seicento, Roma 2004. ROCA DE AMICIS 1997 A. ROCA DE AMICIS, Maderno e la ricezione dei progetti michelangioleschi nel primo Seicento, «Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura», 25-30, (1995-1997), pp. 279-284.
ROCA DE AMICIS 2000 A. ROCA DE AMICIS, La Piazza, in PINELLI 2000, III, pp. 283-301. ROCCHI COOPMANS DE YOLDI 1996 G. ROCCHI COOPMANS DE YOLDI (a cura di), San Pietro. Arte e storia nella Basilica Vaticana, Bergamo 1996. RODOLFO 2010 A. R ODOLFO , Agostinus Ciampelli florentinus pictor, «Bollettino Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie», XXVIII (2010), pp. 185-216. Roma e il suo Orto 1984 Roma e il suo Orto Botanico. Storia ed eventi di un’istituzione scientifica, Roma 1984. ROSSI 1942 E. ROSSI, Roma ignorata, «Roma», XX, 9, PP. 372-375. RUBENSTEIN 1967 R.O. RUBENSTEIN, Pius II’s Piazza S. Pietro and St. Andrew’s Head, in Essays in the history of architecture presented to Rudolf Wittkower, ed. by D. Fraser, London 1967. SABENE 2008 SABENE R., La Depositeria della Fabbrica di San Pietro dalla conduzione privata all’affidamento al Banco di Santo Spirito in Sassia, «Rivista di Storia Finanziaria», 21, 2008, pp. 51-97. Sabene 2012 SABENE R., La Fabbrica di San Pietro. Dinamiche internazionali e dimensione locale, Roma 2012. Sacra Congregatio 1985 Sacra Congregatio pro Causis Sanctorum. Index ac status Causarum, Perugia 1985 San Pietro in Vaticano 2011 San Pietro in Vaticano. I mosaici e lo spazio sacro, Milano-Città del Vaticano 2011. SANSA 2003 SANSA R., L’oro verde. I boschi nello Stato Pontificio tra XVIII e XIX secolo, Bologna 2003 . SATZINGER, SCHÜTZE 2008 G. SATZINGER, S. SCHÜTZE (a cura di), Sankt Peter in Rom 1506- 2006, atti del convegno (Bonn 2006), München 2008. SCAVIZZI 1983 SCAVIZZI C. P., Edilizia nei secoli XVII e XVIII a Roma. Ricerca per una storia delle tecniche, Roma 1983. SCHIAVO [1964] A. SCHIAVO, Palazzo Altieri, Roma s.d. [1964]. SCHIAVO 1965 A. SCHIAVO, Il monumento sepolcrale di Alessandro VIII, «Strenna dei Romanisti», 26, 1965, pp. 401-405. SCHLEGEL 1969 U. SCHLEGEL, Alcuni disegni di Camillo Rusconi, Carlo Maratta e Angelo de’ Rossi, «Antichità viva», 8,/4 (1969), pp. 28-41. SCHLEGEL 1974 U. SCHLEGEL, Bozzetti in terracotta by Pietro Stefano Monnot, «Bulletin of the Museum of Fine Arts Boston», 42 (1974), pp. 56-68.
SCHLEIER 1983 E. SCHLEIER, Disegni di Giovanni Lanfranco (1582 - 1647), catalogo della mostra, Firenze 1983. SCHÜTZE 1994 S. SCHÜTZE, «Urbano inalza Pietro, e Piero Urbano.» Beobachtungen zu Idee und Gestalt der Ausstattung von NeuSt.-Peter unter Urban VIII., «Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana», 29 (1994), pp. 213-287. Schütze 2008 S. SCHÜTZE, «Werke als Kalküle ihres Wirkungsanspruchs». Die Cathedra Petri und ihr Bedeutungswandel im konfessionellen Zeitalter, in SATZINGER, SCHÜTZE 2008, pp. 405-425. SCOTT 1985 J.B. SCOTT, Papal patronage in the seventeenth century. Urban VIII, Bernini, and the countes Matilda, in L’âge d’or du mécénat (1598-1661), actes du colloque international CNRS (mars 1983) “Le mécénat en Europe, et particulièrement en France avant Colbert”, Paris 1985, pp. 119-127. SEDLMAYR 1960 H. S EDLMAYR , Der Bilderkreis von Neu St. Peter in Rom, in Epochen und Werke. Gesammelte Schriften zur Kunstgeschichte, Wien 1960, II, pp. 7-44. SERGARDI 1723 L. SERGARDI, Discorso sopra il nuovo ornato della guglia di S. Pietro, Roma 1723. SERGIACOMO 1912 G. SERGIACOMO, Guide complet de la Basilique de St-Pierre à Rome, Roma 1912. SIBILIA 1992 F. SIBILIA, La formazione delle maestranze nel paese dei “Magistri Comacini”, in Il mestiere di costruire. Documenti per un cantiere: il caso di Como, a cura di S. Della Torre, Como 1992, pp. 15-28. SIEBENHÜNER 1962 H. S IEBENHÜNER , Umrisse zur Geschichte der Ausstattung von St. Peter in Rom von Paul III. bis Paul V. (15471606), in Festschrift für Hans Sedlmayr, München 1962, pp. 229-320. SIMONATO 2007 L. SIMONATO, Medaglioni dipinti in Vaticano: un episodio di fortuna visiva della medaglistica barberiniana, in Barberini 2007, pp. 231-248. SIMONATO 2008 L. SIMONATO, «Impronta di Sua Santità». Urbano VIII e le medaglie, Pisa 2008 SLADEK 2002 E. SLADEK, La chaire de Saint-Pierre: un message chiffré destiné au Roi très chrétien, in Le Bernin et l’Europe: du baroque triomphant à l’âge romantique, a cura di C. Grell et M. Stanicˇ, Paris 2002, pp. 193-206. SOBOTKA 1914 G. SOBOTKA, Ein Entwurf Marattas zum Grabmal Innocenz XI. im Berliner Kupferstichkabinett und die Papstgräber der Barockzeit, «Jahrbuch der königlich preussischen Kunstsammlungen», XXXV (1914), pp. 22-42. SPAGNESI 1995-97 P. SPAGNESI, Carlo Maderno in San
Pietro. Note sul prolungamento della Basilica Vaticana, in SPAGNESI 1997, pp. 261-268. SPAGNESI 1997 G. SPAGNESI (a cura di), L’architettura della Basilica di San Pietro: storia e costruzione, Atti del convegno internazionale di studi (Roma, 7-10 novembre 1995), «Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura», 25-30, (1995-1997), Roma 1997. STIGLIANI 1627 T. STIGLIANI, Dell’Occhiale, opera difensiva […]. Scritta in risposta al Cavalier Giovan Battista Marini, Venezia 1627. SUTHERLAND HARRIS 1977 A. SUTHERLAND HARRIS, Andrea Sacchi. Complete edition of the paintings with a critical catalogue, Oxford 1977. SUTHERLAND HARRIS 2001 SUTHERLAND HARRIS A., La Cattedra di San Pietro in Vaticano: dall’idea alla realizzazione, in Bernini a Montecitorio, a cura di M.G. Bernardini, Roma 2001, pp. 113-128. TAJA 1750 A. TAJA, Descrizione del Palazzo Apostolico Vaticano, Roma 1750. TESSIN 2002 N. TESSIN, Travel notes 1673-77 and 1687-88, ed. by M. Laine and B. Magnusson, Stockholm 2002. H. THELEN 1967A H. THELEN, Francesco Borromini. Die Handzeichnungen, 2 voll., Graz 1967. H. THELEN 1967B H. THELEN, Zur Entstehungsgeschichte der Hochaltar-Architektur von St. Peter in Rom, Berlin 1967. THOENES 1963 C. THOENES, Studien zur Geschichte des Petersplatzes, «Zeitschrift für Kunstgeschichte», 26 (1963), pp. 97-145. THOENES 1990 C. T HOENES , “Peregi naturae cursum”: zum Grabmal Pauls III ., in Festschrift für Hartmut Biermann, hrg. von C. Andreas, M. Bückling, R. Dorn, Weinheim 1990, pp. 129-141. THOENES 1992 C. THOENES, Alt- und Neu-St. Peter unter einem Dach, in: Architektur und Kunst im Abendland, in Festschrift Günter Urban, hrg. von M. Jansen u. K. Winands, Roma 1992, pp. 51-61. THOENES 2000 C. THOENES, La Fabbrica di San Pietro nelle incisioni dal Cinquecento all’Ottocento, Milano 2000. THOENES 2010 C. THOENES, Atrium, Campus, Piazza, in Platz und Territorium: urbane Struktur gestaltet politische Räume, hrg. von A. Nova u. C. Jöchner, Berlin 2010, pp. 65-88. THOENES 2011 C. THOENES, Introduzione allo spazio sacro della Basilica, in San Pietro in Vaticano 2011, pp. 16-67. TIBERIA 1974 V. TIBERIA, Giacomo Della Porta. Un architetto tra manierismo e barocco, nota di C. Brandi, Roma 1974.
TITI 1763 F. TITI, Descrizione delle pitture, sculture e architetture esposte al pubblico in Roma, Roma 1763. TODARO 2001 T. TODARO, Donne lavoratrici nella fabbrica di San Pietro. Originalità di una consuetudine del passato, «La Basilica di San Pietro», XIII, agosto 2001, 8, pp. 3-4. TORRIGIO 1639 F.M. TORRIGIO, Le sacre grotte vaticane: nelle quali si tratta di corpi santi, sepolchri de’ pont., imperatori, rè, cardinali, vescovi, chiese, statue, imagini, inscrittioni, epitaffij, e d’altre cose memorabili si dentro Roma, come fuori, Roma 1639. TRATZ 1991-92 H. TRATZ, Die Ausstattung des Langhauses von St. Peter unter Innozenz X, «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte», 27-28 (1991-92), pp. 337-374. TRONZO 2005 W. TRONZO, St. Peter’s in the Vatican, Cambridge 2005. TREXLER 1991 R.E. TREXLER, Public Life in Renaissance Florence, Ithaca-London 1991. TURRIZIANI 2008 TURRIZIANI S., La Fabbrica di Pio VI. Stato della Reverenda Fabbrica di San Pietro dall’anno 1785 al 1794, in PERGOLIZZI 2008, pp. 179-187. TURRIZIANI 2008A TURRIZIANI S., La Fabbrica di San Pietro in Vaticano: istituzione esemplare el “saper fare” nei secoli XVII-XVIII, in MARINO 2008, pp. 106-120. TURRIZIANI 2011 S. TURRIZIANI, Le immagini Mariane nell’arte musiva della Basilica, in San Pietro in Vaticano 2011, pp. 206-233. TURRIZIANI 2012 T URRIZIANI S., Le opere a stampa della Fabbrica di San Pietro tra consacrazione storica dell’attività edilizia e trasmissione del sapere, in MORELLO 2012, pp. 535-558. VALESIO 1977-79 F. VALESIO, Diario di Roma, a cura di G. Scano, Milano 1977-79. VAN GENNEP 1969 A. VAN GENNEP, Les rites de passage, Paris 1969. VISCEGLIA 1997 M.A. VISCEGLIA, Il cerimoniale come linguaggio politico. Su alcuni conflitti di precedenza alla corte di Roma tra Cinquecento e Seicento, in BRICE , V ISCEGLIA 1997, pp. 119-189. VISCEGLIA 2002 M.A. VISCEGLIA, La città rituale. Roma e le sue cerimonie in età moderna, Roma, 2002. VISCEGLIA 2006 M.A. VISCEGLIA, Tra liturgia e politica: il Corpus Domini a Roma (XV-XVIII secolo), in R. BÖSEL, G. KLINGENSTEIN, A. KOLLER (dir.), Kaiserhof Papsthof 16.-18. Jahrhundert, Wien 2006, pp. 147-172. VISONÀ 1996 M. VISONÀ, L’ideazione e gli inizi, in ROCCHI COOPMANS DE YOLDI 199, pp. 315-325.
VOCI 1992 A.M. VOCI, Nord o sud? Note per la storia del medioevale Palatium apostolicum apud Sanctum Petrum, e delle sue cappelle, Città del Vaticano 1992. WASSERMAN 1962 J. WASSERMAN, The Palazzo Sisto V in the Vatican, «Journal of the Society of Architectural Historians Society of Architectural Historians», XXI (1962), pp. 26-35. WEIL 1974 M.S. WEIL, The history and decoration of the Ponte S. Angelo, University Park 1974. WICQUEFORT 1677 A. DE WICQUEFORT, Mémoire touchant les ambassadeurs et les ministres publics, La Haye 1677. WITTKOWER 1939-40 R. WITTKOWER, A Counter Project to Bernini’s Piazza S. Pietro, «Warburg Journal», III (1939-40) 1-2, pp.90-105. WITTKOWER 1949 R. WITTKOWER, Il terzo braccio del Bernini in Piazza S. Pietro, «Bollettino d’arte», XXXIV (1949), pp. 129-134. WITTKOWER 1958 [1993] WITTKOWER R., Arte e Architettura in Italia 1600-1750, Einaudi, Torino 1993; ed. or. Art and Architecture in Italy 1600 to 1750, Harmondsworth 1958. WITTKOWER 1955 [1997] WITTKOWER R., Gian Lorenzo Bernini: the sculptor of the Roman baroque, London 1955, 19974; tr. it., Bernini. Lo scultore del barocco romano, Milano 1990. WORSDALE 1981 M. WORSDALE, Bernini inventore, in Bernini 1981, pp. 231-235. WYMANN 1925 E. W YMANN , Die Aufzeichnungen des Stadtpfarrers Sebastian Werro von Freiburg i. Ue. über seinen Aufenthalt in Rom von 10-27 Mai 1581, «Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und für Kirchengeschichte», 33 (1925), pp. 39-71. ZALUM 2008 M. ZALUM, Passione e cultura dei fiori tra Firenze e Roma nel XVI e XVII secolo, Firenze 2008. ZAMBONI 1964 S. ZAMBONI, Pietro Bracci: il modello per il monumento di Benedetto XIV, «Arte antica e moderna», 1964, pp. 211-218. ZANCHETTIN 2008 V. ZANCHETTIN, La verità della pietra. Michelangelo e la costruzione in travertino di San Pietro, in SATZINGER, SCHÜTZE 2008, pp. 157-182. ZANCHETTIN 2009 V. ZANCHETTIN, Il tamburo della cupola di San Pietro in Vaticano, in Michelangelo architetto a Roma, catologo della mostra (Roma 6 ottobre 2009-7 febbraio 2010), a cura di M. Mussolin, Cinisello B. 2009, pp. 180-199. ZANDER 2002 P. ZANDER P., La Necropoli Vaticana, Roma 2002 (Roma Sacra, XXV itinerario).
ZANDER 2007 P. ZANDER, La Necropoli sotto la Basilica di San Pietro in Vaticano, Roma 2007. ZANDER 2011 P. ZANDER, L’immagine di Pietro nella sua Basilica, in San Pietro in Vaticano 2011, pp. 234-269. ZANELLA 2000 A. ZANELLA, Il monumento funerario papale da Bernini a Canova, in Antonio Canova e il suo ambiente artistico fra Venezia, Roma e Parigi, a cura di G. Pavanello, Venezia 2000, pp. 269-297. ZARALLI 1987 D. ZARALLI, Le “Lettere patenti” per le nuove costruzioni, in L’angelo e la città. La città nel Settecento, a cura di B. Contardi, M. Mercalli e G. Curcio, Palombi, Roma 1987, II, pp. 95-108. ZOLLIKOFER 1994 K. ZOLLIKOFER, Berninis Grabmal für Alexander VII. Fiktion und Repräsentation, Worms 1994. ZOLLIKOFER 2008 K. ZOLLIKOFER, «Et Latinae et Greacae ecclesiae praeclarissima lumina […] micarent». Sankt Peter, Gregor XIII. und das Idealbild einer christlichen Ökumene, in SATZINGER, SCHÜTZE 2008, pp. 217-226. ZUCCARI 1992 A. ZUCCARI, I pittori di Sisto V, Roma 1992. ZUCCARI 2012 A. ZUCCARI, Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana, in La Biblioteca Apostolica Vaticana, MilanoCittà del vaticano 2012, pp. 266-307.
ABBREVIAZIONI ACASP: ARCHIVIO DEI CANONICI
DI S. PIETRO, CITTÀ DEL VATICANO
ACSP: ARCHIVIO DEL CAPITOLO
DI S. PIETRO, CITTÀ DEL VATICANO
AFSP: ARCHIVIO STORICO GENERALE DELLA FABBRICA DI S. PIETRO
IN VATICANO, CITTÀ DEL VATICANO ASR: ARCHIVIO DI STATO, ROMA ASV: ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, CITTÀ DEL VATICANO BAV: BIBLIOTECA APOSTOLICA
VATICANA, CITTÀ DEL VATICANO
347
INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI Abbatini, Guidobaldo, 65, 72, 94, 292, 302 Agostoni, Giovanni Albino, 233 Albani, Alessandro, cardinale, 113, 114 Albani, Annibale, cardinale, 114, 170 Alberti, Giovanni, 9, 287, 341 Alberti, Leon Battista, 184 Alberti, Zaccaria Mattia, v. Cherubino Alcalà, Diego de, 21, 22 Aldovrandi, Ulisse, 315 Aldini, Tobia, 161, 327 Alessandro VII (Fabio Chigi), papa, 8, 13-15, 16, 18, 30, 34, 74, 84, 104, 133, 146, 146, 149, 154, 156, 166, 174, 184, 186, 194, 195, 201, 207, 278, 279, 285, 290, 296, 302, 304, 306, 309, 310, 312, 329, 335, 337, 339, 341 Alessandro VIII (Pietro Ottoboni), papa, 161, 165 Alfarano, Tiberio, 30 Algardi, Alessandro, 95, 97, 104, 105, 126, 127, 130, 133, 139, 161, 295, 304, 336, 337, 341 Altemps, Annibale, 317 Altieri, Laura Caterina, 154 Altieri, Paluzzo, 156 Andrea, apostolo, 34 Andrea, santo, 60 Angeloni, Giovanni, 312 Antichi, Prospero, 133, 188 Antinori, Giovanni, 234 Antonio, santo, 188 Antonio da Padova, santo, 207 Aprile, Francesco, 156 Arrigucci, Luigi, 282 Artusi, Giovanni, 233, 258, 339 Augusto, imperatore, 15, 188 Baciccio, Giovan Battista Gaulli, detto il, 133 Baglione, Giovanni, 126, 287, 341 Baldinucci, Filippo, 85, 149, 258, 300, 308, 310, 335, 337, 340, 341 Balsimelli, Jacopo, 146, 337 Barberini, famiglia, 58, 65, 146, 282, 283 Barberini, Francesco, cardinale, 97, 106, 116, 179 Barigioni, Filippo, 184 Baronio, Cesare, 34, 35 Barozzi da Vignola, Jacopo, 317 Batoni, Pompeo, 113 Baylon, Pasquale di, 165 Bellori, Giovan Pietro, 62, 104, 140, 274, 275, 285, 287, 296, 312, 335, 337, 340-342 Bellucci, Giovanni, 96, 254 Benedetto XIV (Prospero Lambertini), papa, 70, 113, 166, 174 Bernini, Domenico, 58, 308, 339 Bernini, Gian Lorenzo, passim Bernini, Luigi, 46, 72, 126, 179, 234, 257, 258, 336, 339 Bernini, Pietro, 43
348
Bertosi, Giuseppe, 161 Bianchi di Narni, Giuseppe, 43 Bisanzio, 15 Bolgi, Andrea, 46, 60, 65, 66, 72, 94, 96, 179 Bologna, 116, 139, 174, 315 Accademia di Belle Arti, 174 Università degli Studi, 315 Bonanni, G., 85 Bonarelli, Matteo, 72, 179 Boncompagni, Filippo, 133, 337 Boncompagni, Giacomo, 134, 139, 337 Bonifacio VIII (Benedetto Caetani), papa, 20 Bonifacio, Natale, 30 Bonvicino, Alessandro, 74 Borgia, Gaspare, cardinale, 85 Borromeo, Carlo, santo, 21, 24, 25, 207, 210 Borromeo, Ortensia, 317 Borromini, Francesco, 31, 43, 50, 50, 58, 70, 97, 116, 122, 145, 329, 334, 335 Boselli, Orfeo, 72 Bouchardon, Edmé, 170 Bracci, Pietro, 113, 114, 114, 170, 170, 174, 175, 184, 184, 337 Bramante, Donato di Angelo di Pascuccio, detto il, 15, 29, 35, 122, 317 Bril, Paul, 308 Brogi, Simone, 233 Buonanni, Filippo, 46, 134, 274, 296, 298 Buonarroti, Michelangelo, 8, 29, 34, 42, 114, 300 Buonvicino, Ambrogio, 43, 96, 193, 243 Buratti, Carlo, 315 Buratti, Giulio, 318 Burcardo, Giovanni (Johannes Bur-ckardt), 11, 15 Burke, Peter, 12, 334 Callisto II (Guido di Borgogna), papa, 35 Cametti, Bernardino, 170 Cambio, Arnolfo di, 114 Canossa, Matilde di, 18, 156, 182 Canova, Antonio, 133, 174, 177, 177, 184 Capestrano, Giovanni da, 165 Caravaggio, Michelangelo Merisi, detto il, 9, 116 Carcani, Cosimo, 84 Carcani, Filippo, 154, 156, 201, 337 Carlo III, re, 19 Carracci, Annibale, 287, 290 Carracci, fratelli (Agostino, Annibale, Ludovico), 9 Carrara, Giovanni da, 254 Cartari, Giulio, 154 Caslano (Casellano), Giovanni, 254 Castel Gandolfo, 8, 283, 291, 329, 341 Castel S. Angelo, 26, 32, 127, 235, 239, 286, 287, 311, 341
INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI
Castelli, Pietro, 327 Castrona, Bartolomeo da, 250 Cavaceppi, Bartolomeo, 114 Celio, Gaspare, 126 Cennini, Bartolomeo, 96, 201 Cerasoli, Domenico, 116 Cesi, Federico, 315, 327 Chellucci, Paolino, 113 Cherubino, Zaccaria Mattia Alberti, detto il, 9, 287 Ciampelli, Agostino, 285, 287, 307, 341 Clemente VII (Giulio de’ Medici), papa, 139 Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini), papa, 9, 35, 42, 43, 46, 93, 96, 140, 146, 275, 287, 300, 315 Clemente X (Emilio Altieri), papa, 122, 126, 133, 149, 154, 154, 156, 186, 337 Clemente XI (Albani), papa, 312 Clemente XIV (Giovanni Vincenzo Ganganelli), papa, 133, 177 Cloche, Antonin, 106 Cocchi, Raffaele, 116 Colonna dell’Immacolata Concezione, 19 Colonna, famiglia, 19 Colonna, Marco Antonio, 17, 18 Concilio di Trento, 8, 9, 11, 16, 21 Conti, Cesare, 21, 22 Contini, Giovan Battista, 331 Corbellutio, Scipio, 59 Cornacchini, Agostino, 88, 105, 109, 170, 302 Corsini, Andrea, 24 Corvino, Enrico, 327 Costa, Giorgio, 65 Costantino, imperatore, 29, 34, 88, 184, 218, 276, 302, 304, 326, 341 Costantinopoli, 65, 326 Cristofari, Fabio, 65, 66, 70, 72 Cristofari, Pietro Paolo, 184 Cruyl, Lievin, 258 Damasceno, Angelo, 59 Della Porta, Giacomo, 8, 29, 31, 35, 43, 96, 201, 224, 243 Della Porta, Guglielmo, 130, 133 Della Porta, Teodoro, 46, 59 Della Valle, Filippo, 110, 113, 166 Desprez, Louis Jean, 308 Dio, Giovanni di, 165 Domenichino, Domenico Zampieri, detto il, 116, 265 Donnini, Enrico Celso, 270 Drei, Benedetto, 62, 177, 254, 259, 339 Drouin, Siméon, 188 Duca, Giovanni Pietro del, 84, 126 Duca, Ludovico del, 188 Duquesnoy, François, 46, 60, 62, 62, 65 Ejzenštein, Sergej, 58 Estaço, Aquiles, 34
Evelyn, John, 329 Faber, Johannes, 315, 322, 324, 325, 326, 327, 329, 331, 338, 342 Falda, Giovanni Battista, 26, 27, 194, 329, 330 Faltonia, Anicia, 126 Fancelli, Carlo, 318 Fancelli, Cosimo, 96, 126 Fancelli, Jacopo Antonio, 46, 104, 201 Ferrabosco, Martino, 276, 304, 315 Ferrari, Giovan Battista, 342 Ferrata, Ercole, 84, 139, 156, 337 Fiandre, 65, 326 Fiano (RM), 235 Filippini, Giacomo, 254 Filippo II, re di Spagna, 315, 342 Finelli, Giuliano, 46, 65, 66, 334 Firenze, Duomo, 243 Fontana, Carlo, 18, 30, 31, 34, 126, 127, 127, 130, 182, 184, 194, 229, 279, 331, 336, 340 Fontana, Domenico, 9, 188, 231, 266, 274, 286, 302, 338, 339 Fontana, Francesco Antonio, 201 Fontana, Giovanni, 315 Foro Romano, 32, 318 Fortini, Filippo, 340 Francesca Romana, santa, 21, 24 Francesco di Sales, santo, 25, 27, 149, 309 Francia, 94, 140, 154, 331 Franzone, Giacomo, 105 Fréart de Chantelou, Paul, 278 Frescobaldi, Girolamo, 116 Frezza, Gian Girolamo, 46 Fuccaro, Stefano, 318 Fuga, Ferdinando, 166 Gaetano, santo, 109, 110, 207 Galilei, Galileo, 324 Gallicano, santo, 207, 338 Gallo, Girolamo, 243 Gambucciari, Baldassarre, 340 Gandere, 14 Garcia, Giuseppe, 109 Genova, 250 Germania, 324, 327 Gerusalemme, 15, 18, 109 Ghezzi, Pier Leone, 261 Giacomo III Stuart, re di Inghilterra, 184 Gianicolo, 315, 318, 324, 329 Giardini, Francesco, 184 Giardini, Giovanni, 127, 184 Giardini Vaticani, 315, 321, 324, 325, 326, 327, 329, 331 Casina di Pio IV, 321, 325, 329 Fontana degli Specchi, 316 Fontana del Forno o della Panetteria, 317 Fontana della Galera, 317, 317, 329 Fontana delle Api, 329, 329 Fontana delle Torri o del Sacramento, 316, 318, 321
Fontana dello Scoglio o dell’Aquilone, 317, 318, 318 Gilli, Luigi, 207 Gimignani, Ludovico, 338 Giori, Angelo di Camerino, 72, 97, 145, 146 Giotto, 74, 88, 88, 92 Giovanni Battista, santo, 58, 126, 133, 157 Giovanni Crisostomo, 34, 74, 78, 84 Giovannini, Domenico, 114 Girolamo, santo, 34 Giuda, santo, 42, 43 Giulio II (Giuliano della Rovere), papa, 8, 29, 65, 85, 177, 218, 273, 286, 287, 292, 301, 302, 317 Giulio II (Giuliano della Rovere), tomba, 177 Giulio III (Giovanni Maria Ciocchi del Monte), papa, 273, 283, 301, 302, 317 Giulio Romano, Giulio Pippi de’ Jannuzzi, detto il, 310 Giuseppe, santo, 207 Giustiniani, Lorenzo, 165 Goa, 8 Gottardo, Simone, 339 Grassi, Paride de’ (Paris de’ Grassis), 11, 74 Gregorio I Magno, papa, 34 Gregorio Nazianzeno, santo, 34, 335 Gregorio VII (Ildebrando Aldobran-deschi di Sovana), papa, 177 Gregorio XIII (Ugo Boncompagni), papa, 11, 17, 29, 31, 32, 34, 93, 114, 116, 133, 133, 134, 134, 139, 166, 186, 273, 274, 284, 286, 291, 337 Gregorio XIV (Niccolò Sfondrati), papa, 134 Gregorio XV (Alessandro Ludovisi), papa, 43, 146 Greuter, Matthäus, 24, 26 Grimaldi, Jacopo, 34, 60, 94 Grotte Vaticane, 18, 35, 60, 62, 65, 66, 70, 71, 127, 184, 250 Guastavillani, Filippo, 133, 337 Guercino, Giovanni Francesco Bar-bieri, detto il, 309 Guerra, Giovanni, 221 Guidi, Domenico, 104, 127, 161, 336, 337 Guidiccioni, Lelio, 58 Guidotti, Paolo, 24, 26 Gustavo II Adolfo, re di Svezia, 179 Haus, Andreas, 338 Hernández, Francisco, 342 Holste, Lukas (Luca Holstein), 182, 293, 304, 341 Horti farnesiani del Palatino, 327 Ignazio di Loyola, santo, 24, 109, 110, 187 Imperato, Ferrante, 327
Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni), papa, 74 Innocenzo VIII (Giovanni Battista Cybo), papa, 29, 60, 72, 140, 273 Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphilj), papa, 15, 30, 85, 92, 94, 97, 105, 146, 156, 179, 184, 194, 285 Innocenzo XI (Benedetto Odescalchi), papa, 15, 139, 154, 156, 156, 161, 161, 182, 186, 312, 337 Innocenzo XII (Antonio Pignatelli), papa, 17, 126, 127, 166, 166, 184, 186, 312 Innocenzo XIII (Michelangelo Conti), papa, 184, 193 Inverni, Marcantonio, 88 Isidoro, santo, 24 Jafrate, Giovanna, 243 Janssens, Francesco, 114 Kuffler, Aegidio, 327 L’Avana, 8 La Teulière, Mathieu de, 127, 336 Lagi, Simone, 284, 285, 286, 287, 291, 293, 295, 301, 341 Lana, Ferrante, 327 Landini, Taddeo, 31, 32 Lanfranco, Giovanni, 97, 104, 116, 290, 336 Lanzani, Vittorio, 338 Lauri, Giacomo, 13 Lazzari, Giulio, 105 Le Gros, Pierre, 106, 106, 161 Le Nôtre, André, 331 Lebrun, Charles, 174 Leone I Magno, papa, 34, 94, 67, 97, 104, 105, 133, 139, 161, 186, 336 Leone II, papa, 97 Leone III, papa, 97 Leone XI (Alessandro d’Ottaviano de’ Medici), papa, 139, 140, 156, 161, 186, 331, 337 Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci), papa, 341 Lepanto, 8, 17 Liano, Angelo, 259 Ligorio, Pirro, 315 Lima, 8 Lironi, Giuseppe, 106, 336 Livorno, 46 Longino, 60, 62, 65, 66, 66, 70, 72, 186 Lonigo, Michele, 74 Loreto, Alessandro, 126, 336 Louvre, museo del, 278 Lucenti, Girolamo, 127, 154 Lucidi, Costante, 113 Lugano, Pietro da, 88 Luigi XIV, re di Francia, 2 Lutero, Martin Luther, 29 Luzi, Alessandro, 243 Macao, 8
Maderno, Carlo, 8, 9, 24, 30, 43, 46, 50, 96, 114, 193, 194, 207, 234, 243, 250, 252, 254, 255, 278, 304, 306, 315, 317, 318, 334, 339 Maderno, Stefano, 32, 318, 334 Maggi, Giovanni, 325, 329 Maglia, Michele, 201 Maille, Michel, 127, 154 Maini, Giovanni Battista, 109, 110, 113 Maltese, Michelangelo, 149 Maratti (o Maratta), Carlo, 127, 130, 161, 312, 336, 337, 342 Marchei, Giovanna, 263, 266, 340 Mari, Francesco e Domenico, 201 Mariani, Camillo, 96 Marino, Giovan Battista, 273, 278 Mariscalchi, Giovanni, 259 Mascherino, Ottaviano, 133 Masucci, Agostino, 113 Mattei, Carlo, 154 Mazzuoli, Giuseppe, 122, 149, 154, 156, 201, 337 Menghini, Niccolò, 72, 98, 104, 105 Mercati, Michele, 315, 329 Merisi, Michelangelo, v. Caravaggio Merlini, Lorenzo, 182 Meyer, Cornelius, 207 Michele, santo, 72, 74, 265 Milano, 21 Mochi, Francesco, 60, 65, 66, 66, 70, 94 Moderati, Francesco, 105, 106 Monaldi, Carlo, 109, 110, 113 Monnot, Pierre-Étienne, 109, 156, 161 Montagna, Marco Tullio, 284287 Monterotondo (RM), 254 Morelli, Giovanni Battista, 96, 105 Morelli, Lazzaro, 84, 96, 149, 149, 154, 154, 156, 201, 201, 207, 337 Mucante, Giovanni Paolo, 42 Muller, Theophilo, 327 Muñoz, Antonio, 170, 337 Musei Vaticani Galleria Clementina, 296 Galleria di Urbano VIII, 296, 310, 312, 341 Sale Paoline, 296, 316, 341 Sale Sistine, 296 Stanze di Raffaello, 273, 276, 285, 286, 300-302, 312, 342 Museo Sacro, 130, 296, 312, 312 Muziano, Girolamo, 31 Naldini, Paolo, 201, 299 Nebbia, Cesare, 14, 43 Neri, Filippo, santo, 24, 34, 35, 207, 336 Nicolò V (Tommaso Parentucelli), papa, 184, 296 Odescalchi, Livio, 156, 161
Orsini, famiglia, 19 Orsini, Paolo Giordano II, 285 Orte, 235 Ottoboni, Antonio, 161 Ottoni, Lorenzo, 96, 97, 127, 130, 184, 193, 201, 335 Padredio da Lucca, Carlo, 161 Paglia, Giuseppe, 235 Palazzo Apostolico Vaticano, 8, 9, 24, 25, 221, 273, 274, 276, 278, 280-282, 287-287, 290292, 295, 296, 299-304, 306, 308, 309, 312 Appartamento Borgia, 279 Armeria Vaticana, 285, 295, 341 Biblioteca Apostolica Vaticana, 13, 15, 21, 26, 88, 274, 274, 295, 312, 334, 340 Biblioteca privata, 276 Cappella Niccolina, 279 Cappella segreta di Urbano VIII nel Palazzo Sistino, 276, 284, 287, 303, 308 Cappella segreta di Urbano VIII nel “Palazzo Vecchio”, 276 Cortile del Belvedere, 11, 273, 274, 276, 279, 317, 326, 329, 340 Cortile del Maresciallo, 276 Cortile del Pappagallo, 274, 276 Cortile di San Damaso, 276, 295, 304, 341 Gabinetto dei Papiri, 279 Galleria Borghese, 21, 24, 25 Galleria della Contessa Matilde, 76, 287, 290, 291, 302 Galleria delle Carte Geografiche, 273, 279, 284, 285, 286, 291, 295, 301, 302, 306, 308, 311, 312 Logge di Raffaello, 274, 274, 275, 276, 279, 300, 302, 310, 312, 329 “Palazzo Vecchio”, 276, 279, 301, 340 Sala Alessandrina, 296 Sala Clementina, 276, 308, 312, 341 Sala con le Medaglie di Urbano VIII, 276 Sala degli Evangelisti, 276 Sala del Concistoro, 276, 308, 340 Sala dell’Immacolata Concezione, 284 Sala delle Nozze Aldobrandini, 281, 282, 341 Sala delle Udienze, 9 Sala di Carlo Magno, 276, 292, 302, 341 Sala di Costantino, 34, 276, 302 Sala Ducale, 9, 308, 309, 312 Scala Regia, 9, 194, 296, 298, 299, 304, 309, 339, 341 Stanza dell’Incendio di Borgo, 282, 284, 301, 341
349
VATICANO BAROCCO
Stanze di Raffaello, Torre Borgia, 274, 282, 286 Torre dei Venti, 18 Torre Pia, 273, 296 Palazzo del Laterano, Loggia delle Benedizioni, 17, 193, 195, 224, 250, 266 Palombi, Giuseppe, 243 Palotta, Giovanni Evangelista, cardinale, 59 Paluzzi degli Albertoni, Paluzzo, cardinale, 154, 156 Pannini, Francesco, 331, 331 Pannini, Giovanni Paolo, 19, 20, 310, 311 Panofsky, Erwin, 149, 337 Paolo eremita, santo, 207 Paolo III (Alessandro Farnese), pa-pa, 17, 29, 59, 60, 72, 130, 133-134, 139, 140, 145, 149, 154, 186, 250, 252, 326, 329 Paolo V (Camillo Borghese), papa, 8, 29, 30, 34, 43, 46, 60, 74, 85, 97, 146, 193, 194, 218, 243, 250, 274, 276, 278, 285, 287, 290, 304, 315, 317, 321, 329, 342 Papaleo, Pietro, 161, 33 Partini, Pietro, 234 Pascoli, Leone, 109, 335, 337 Pasquino, Rocco, 255 Passeri, Giuseppe, 62, 130, 140, 170, 335 Patrasso, 60 Patrizi Piccolomini, Agostino, 11 Pellegrini, Carlo, 116 Perini, Francesco, 259 Peroni, Giuseppe, 140 Piacentini, Marcello, 188 Pietrasanta, Francesco di, 188 Pietro D’Alcantara, santo, 26 Pietro da Cortona (Pietro Berrettini), 72, 114, 116, 122, 126, 234, 282, 283, 284, 290, 308, 312 Pietro e Paolo, santi, 19, 46, 50, 58, 104, 184, 334 Pietro, santo, 8, 13, 35, 42, 58, 60, 74, 85, 94, 109, 114, 134, 188, 233, 243, 270, 306 Pio IV (Giovanni Angelo Medici), papa, 188, 315, 317 Pio V (Michele Ghislieri), papa, 18, 31, 273, 286 Pio VI (Angelo Braschi), papa, 234 Piranesi, Francesco, 308, 341 Piranesi, Giovanni Battista, 218, 308, 341 Pollaiolo, Antonio, 116 Pomarancio, Antonio, 74, 161 Ponzio, Flaminio, 279, 315 Portocarrero, Joaquín Fernando, cardinale, 170, 174 Posi, Paolo, 312, 312 Prestinari, Domenico, 96 Procaccini, Andrea, 130 Radi (Radio), Agostino, 50, 123 Raffaelli, Giuseppe, 161
350
INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI
Raffaello Sanzio, 2, 16, 29, 34, 273-275, 276, 279, 285, 286, 290, 300-302, 310, 312, 342 Raggi, Antonio, 84, 301, 308, 341 Rainaldi, Carlo, 194 Reni, Guido, 74, 97, 116, 280282, 282, 286 Renzi, Gabriele, 149 Reti, Leonardo, 156 Ricci, Giovan Battista, 21, 114, 296, 315, 316, 341 Ricciolini, Michelangelo, 164 Rinaldi, Giovanni, 24, 154 Ripa, Cesare, 97, 140, 184, 287 Roma, passim Accademia di S. Luca, 139 Acqua Paola, 315, 318 Campidoglio, 14, 146, 188 Campo Marzio, 15, 34, 340 Chiesa del Gesù, 8 Circo di Nerone, 188 Conciliazione, Via della, 188, 341 Foro di Nerva, 35 Galleria Borghese, 21, 24, 25 Gianicolo, 315, 318, 324, 329, Laterano, palazzo, 8, 17, 290, 296, 302 Marco Aurelio, statua, 188 Montecitorio, 234 Museo di Roma, 14-16, 17, 17, 18, 20, 26, 27, 72 Navona, piazza, 8, 32, 285, 339 Obelisco di piazza S. Pietro, 188, 188, 193, 194, 195, 217, 221, 221, 224, 229, 255, 264, 265, 338, 339 Ospedale Fatebenefratelli, 243 Palazzo Altieri, 8 Palazzo Barberini, 8, 284, 285, 298, 341 Palazzo Borghese, 8 Palazzo delle Quattro Fontane, 282, 283, 291 Palazzo Farnese, 9, 161, 273, 287 Palazzo Ludovisi, 8 Palazzo Muti, 184 Palazzo Odescalchi, 8 Palazzo Pamphilj, 8, 298 Palazzo Rospigliosi, 8 Palazzo S. Marco, 290 Pantheon, 46, 182, 184, 235 Ponte Milvio, 60 Quirinale, 8, 9, 14, 31, 32, 234, 276, 284, 285, 290, 291, 293, 295, 298, 301, 304, 312, 315, 316, 339, 341 S. Agnese in Agone, chiesa, 156, 234 S. Andrea al Quirinale, chiesa, 8 S. Andrea della Valle, chiesa, 60 S. Carlino alle Quattro Fontane, chiesa, 8 S. Croce in Gerusalemme, basilica, 60, 72
S. Giovanni in Laterano, basilica, 14, 21, 43, 133, 335 Battistero, 133 S. Maria del Popolo, basilica, 9, 234 Cappella Cerasi, 9 S. Maria della Febbre, chiesa, 250 S. Maria in Vallicella, chiesa, 18 S. Maria Maggiore, basilica, 43, 122, 139, 149 Cappella Paolina, 139 Cappella Sistina, 122 S. Maria Maggiore, piazza, 234 S. Marta, chiesa, 218, 338 S. Marta, piazza, 97, 149 S. Paolo fuori le Mura, basilica, 94, 170, 265 S. Silvestro al Quirinale, chiesa, 234 S. Susanna, chiesa, 8 Tevere, fiume, 11, 235, 239, 298, 341 Traspontina, porto della, 235, 239, 254 Trinità dei Monti, 234 Romanelli, Giovanni Francesco, 149, 287, 290, 302, 304, 306, 308, 341 Romauli, Tranquillo, 327, 342 Romualdo, santo, 207 Rossetti, Cesare, 278, 315, 316 Rossi, Angelo de’, 161, 161 Rossi, Domenico de’, 15, 72, 96, 97, 239 Rossi, Giovanni Antonio de’, 156 Rossi, Gregorio de’, 188 Rossi, Mattia (Matthia) de’, 15, 31, 127, 149, 156, 336, 337 Rotonda del Santo Sepolcro, 15 Rubens, Pieter Paul, 64, 72 Rusconi, Camillo, 109 Rusconi, Giuseppe, 109 S. Pietro, basilica, passim Baldacchino, 9, 16, 24, 31, 43, 43, 46, 50, 58, 58-60, 72, 84, 85, 85, 140, 146, 154, 186, 233, 233, 265, 339 Benignità, statua, 100 Campo Santo, 16 Cappella Clementina, 34, 96, 156, 186, 252, 335 Cappella del Battesimo, 126, 127, 184 Cappella del Coro, 34, 94, 114, 116, 170 Cappella del Crocefisso, 92, 94 Cappella del Ss. Sacramento, 16, 17, 29, 42, 58, 114, 116, 116, 122, 122, 126, 177 Cappella della Cattedra, 92, 94, 96 Cappella della Madonna della Febbre, 114 Cappella della Pietà, 126, 186 Cappella della Presentazione, 94, 156
Cappella di san Sebastiano, 94, 96, 116, 161, 166 Cappella Gregoriana, 31, 42, 93, 96, 114, 116, 133, 170, 186, 252 Cappella Sistina, 13-15, 122, 133, 274, 308, 312 Cattedra di san Pietro (Cathedra Petri o Cattedra papale), 9, 29, 34, 42, 43, 58, 72, 74, 74, 78, 84, 85, 92, 94, 96, 97, 122, 126, 146, 149, 154, 156, 195, 201, 233, 233, 335, 336, 339 Clemenza, statua, 104 Colonnato, 9, 16, 17, 24, 29, 30, 110, 126, 156, 182, 184, 194, 195, 201, 201, 207, 208-212, 224, 224, 229, 239, 250, 257, 257-259, 300, 304 Confessione, 13, 17, 35, 35, 42, 43, 50, 59, 85, 93, 97, 250, 264, 339 Cristo Redentore, statua, 188 Cupola, 9, 29, 31, 34, 35, 42, 43, 46, 58, 59, 60, 62, 65, 72, 188, 195, 201, 207, 217, 224, 221, 243, 252, 264, 264, 265, 265, 266, 266, 270, 271, 274, 284, 300, 301 Innocenza, statua, 105 Liberalità, statua, 102 Loggia delle Benedizioni, 17, 195, 250 Misericordia, statua, 96, 97, 187 Obbedienza, statua, 96, 105, 187 Orologio, 188 Ottagono di San Gregorio, 60, 270 Pace, statua, 96, 187 Pazienza, statua, 96, 187 Prudenza, statua, 96, 98, 140, 146, 149, 154, 161, 187 Purezza, statua, 97, 100, 127, 187 Salone Sistino, 14, 221, 300 San Benedetto, statua, 109, 187 San Bruno di Colonia, statua, 110, 187 San Camillo de Lellis, statua, 110, 187 San Domenico di Guzmán, statua, 106, 106 San Filippo Neri, statua, 110, 187 San Francesco d’Assisi, statua, 109, 187 San Francesco di Paola, statua, 109, 187 San Gaetano da Thiene, statua, 110, 187 San Girolamo Emiliani, statua, 113, 187 San Giovanni di Dio, statua, 110, 187 San Giuseppe Calasanzio, statua, 113, 187 San Longino, statua, 60, 62, 65, 70, 70, 72, 187
San Norberto, statua, 113, 114, 187 San Pietro d’Alcantara, statua, 110, 187, 336 San Pietro Nolasco, statua, 110, 114, 187, 211 San Vincenzo de’ Paoli, statua, 114, 187 Sant’Andrea, statua, 58, 62, 62, 65, 66, 66, 187 Sant’Elena, statua, 60, 60, 65, 66, 70, 72, 187 Sant’Elia, statua, 110, 110, 187 Sant’Ignazio di Loyola, statua, 109, 109, 187 Santa Giuliana Falconieri, statua, 110, 187 Santa Teresa di Gesù, statua, 113, 113, 187, 336 Santa Veronica, statua, 55, 5966, 66, 70, 109, 187 Speranza, statua, 98, 187 Studio del Mosaico, 218 Tomba della contessa Matilde, 116, 166, 177, 177, 179, 186, 291, 302, 338 Tomba di Alessandro VII (Fabio Chigi), 15, 133, 146, 146, 149, 154, 156, 161, 161, 166, 174, 184, 186, 337 Tomba di Benedetto XIV (Prospero Lambertini), 170, 170, 174, 177, 186 Tomba di Clemente X (Giovanni Battista Emilio Altieri), 154, 154, 156, 186, 337 Tomba di Clemente XIII (Carlo Rezzonico), 133, 174, 177, 177, 186 Tomba di Cristina di Svezia, 179, 182, 186 Tomba di Gregorio XIII (Ugo Boncompagni), 133, 133, 134, 134, 139, 166, 186 Tomba di Gregorio XIV (Nicolò Sfondrati), 134, 186 Tomba di Innocenzo XI (Benedetto Odescalchi), 139, 156, 156, 161, 186 Tomba di Innocenzo XII (Antonio Pignatelli), 166, 166, 186 Tomba di Leone XI (Alessandro d’Ottaviano de’ Medici), 139, 139, 140, 156, 161, 186, 337 Tomba di Leone Magno, 34, 96, 97, 133, 186 Tomba di Maria Clementina Sobieski, 174, 184, 184, 186 Tomba di Paolo III (Alessandro Farnese), 59, 60, 72, 130, 133, 134, 139, 140, 145, 149, 154, 186 Tomba di Urbano VIII (Maffeo Barberini), 133, 139, 140, 140, 145, 145, 146, 149, 154, 156, 161, 164, 166, 186 Tomba di san Pietro, 13, 30, 35, 42
Tomba di Sisto IV (Francesco della Rovere), 116 Umiltà, statua, 96, 97, 187 Verginità, statua, 96, 104, 187 Vigilanza, statua, 97, 102, 187 Vincenzo de’ Paoli, santo, statua, 13, 114, 114, 174, 187 Sacchi, Andrea, 65, 66, 70, 72, 308 Sacra Congregazione (della Fabbrica di S. Pietro), 84, 218, 229, 243, 259, 336, 339 Salaroli, Alessandro, 139 Sale, Niccolò, 72, 177 San Benedetto Po (MN), monastero di, 177, 302 San Facondo, Giovanni, 165 San Martino, Enrico Carlo di, 161 Sangallo, Antonio il Giovane da, 29, 306 Sangermano, Giacomo, 266, 266, 270, 340 Santa Marinella (RM), 254 Santa Marta, 218, 219, 233 Santiago del Cile, 8 Saravezza, Luca da, 254 Sarzana, Tito da, 254 Saverio, Francesco, santo, 24 Scarpellini, Ercole, 271 Schlegel, Ursula, 161 Schor, Giovanni Paolo (Johann Paul), 24, 78, 85, 201, 309, 310, 341 Schreck, Giovanni, 327 Semprevivo, Ranuccio, 315, 316 Sibilla, Gaspare, 174 Simone, Dario, 318 Sisto IV (Francesco della Rovere), papa, 15, 116, 188 Sisto V (Felice Peretti), papa, 8, 9, 11, 14, 29, 139, 188, 221, 273, 274, 286, 287, 296, 298, 300, 329, 341 Sobieski Stuart, Maria Clementina, 18, 174 Solari, Rocco, 252 Solaro, Santi, 318 Soria, Giovanni Battista, 43, 84 Spaccarelli, Attilio, 188 Spada, Virgilio, 84, 94, 96, 97, 104, 106 Specchi Alessandro, 229 Specchi Ottoboni, Alessandro, 15 Speranza, Stefano, 70, 72, 177, 179, 335 Spinazzi, Angelo, 113 Spinazzi, Innocenzo, 113 Staffetta, Giorgio, 254 Stern, Ludovico, 184 Stati, Cristoforo, 188 Stigliani, Tommaso, 273, 340 Strozzi, Giovan Battista, 273, 340 Sulmona, Marino e Vincenzo da, 116 Tander, Enrico, 233, 234 Taja, Agostino, 312, 342 Teresa d’Avila, santa, 24 Tessin, Nicodemus il Giovane, 257, 257, 308, 309, 311, 312, 342
Théodon, Jean-Baptiste, 127, 182, 184, 212, 336 Tiberio, imperatore, 188 Tivoli, 154, 235, 243, 254, 258, 259, 327 Tomberli, Bartolomeo, 116 Tommaso d’Aquino, santo, 12 Torrigio, Francesco Maria, 66, 94, 335 Torrone, Angelo, 15 Trevisani, Francesco, 133 Ubaldini, Roberto, cardinale, 139, 140 Urbano VIII (Maffeo Barberini), papa, 8, 11, 20, 21, 30, 34, 43, 46, 58-60, 62, 65, 66, 70, 72, 74, 84, 85, 88, 122, 133, 139, 140, 145, 146, 149, 154, 156, 161, 164, 166, 177, 186, 276, 278, 282, 283, 284, 284, 285, 287, 290, 291, 292, 295, 301, 302, 327, 329, 341 Urbino, 170, 293 Urbino, Giovanni da, 252 Vaiani, Alessandro e Anna Maria, 282, 282, 283 Valadier, Giuseppe, 234, 234, 255 Valesio, diario di, 106, 161, 184, 336, 338 van Swanenburgh, Isaac, 12 van Wittel, Gaspar (Gaspare Vanvitelli), 239 Vanvitelli, Luigi, 114 Vasanzio, Giovanni, 315 Vasari, Giorgio, 218 Vecelli, Francesco, 113 Vigiù, Giuseppe, 259 Villanuova, Tommaso di, 24 von Pastor, Ludwig, 188, 336, 337, 346 Vouet, Simon, 116 Warro, Sebastian, 43 Wicquefort, Abraham de, 11, 334 Windsor Castle, 50, 85 Zabaglia, Nicola, 231, 233, 235, 257, 259, 261, 261, 263, 264, 264, 265, 265, 266, 266, 340 Zavarroni, Francesco, 109 Zecca in Belvedere, 279
351
TUTTO DA RIVEDERE devo chiedere a Sante
CREDITI FOTOGRAFICI
I numeri indicano le pagine, quelli tra parentesi le illustrazioni © 2014. Foto Scala, Firenze/BPK, Bildagentur für Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin, 311 © 2014. Foto Scala, Firenze – su concessione Ministero Beni e Attività Culturali, 19, 310(part.) © 2014. The Trustees of the British Museum c/o Scala, Firenze, 308 © Albertina Museum, Vienna, 50 Archivio degli autori, 26(11), 85, 127, 134(100), 194, 195, 217, 220, 221(7) © Archivio Fotografico della Fabbrica di San Pietro in Vaticano, 28, 30, 32, 33, 35(10), 36-43, 47-84, 86126, 128-130, 132, 134(99), 135-185, 218, 219, 225, 229-235, 242-251, 260, 264-266, 268-271, 291(34) © Archivio Fotografico della Fabbrica di San Pietro in Vaticano/ © BAMSphoto – Rodella, 44-45, 192, 193, 226-228, 236-237, 240-241, 252-253 © BAMSphoto – Rodella, 189-191, 196-199, 201-215, 256, 275(6,7) © Biblioteca Apostolica Vaticana, 13, 15(4b), 26(12), 221(6) Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, Roma, 314 Biblioteca Hertziana, Roma, 298(44), 299 Foto G. Sforza per gentile concessione dei Musei Vaticani, 292 Foto G. Vasari per gentile concessione dei Musei Vaticani, 272, 274(3), 277, 280, 288-289, 290(32), 291(35), 300, 301, 309, 328 Foto © Musei Vaticani/P. Zigrossi, A. Bracchetti, G. Capone, L. Giordano, D. Pivato, A. Prinzivalle, B. Tamarazzo, 10(part.), 22-25, 35(11), 122(87), 131, 222, 223, 273, 276(9), 278, 279, 281-287, 290(33), 292-297, 302-307, 313-331 Giovanna Marchei, 262, 263(46), 267 © Giovanni Ricci, Novara, 31 © Roma, Museo di Roma, Archivio Iconografico, 14-18, 20-21, 27 Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica – Fondo Editoriale Lavoro – foto G. Schiavinotto, Roma, 275(8) Statens Museum for Kunst, Copenhagen, 12
352