VENICE FROM ABOVE

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VENEZIA DALL’ALTO

Volume speciale di PATrImONIO ArTIsTIcO ITALIANO

ArmANDO DAL FAbbrO

mArIA GIuLIA mONTEssOrI

rIccArDA cANTArELLI

VENEZIA DALL’ALTO

IndIce

VenezIa l’antIco e Il nuoVo Armando Dal Fabbro

Pag. 14

VenezIa VIsta dal cIelo: sette ItInerarI

Pag. 29

Itinerario 1 In Volo sulla laguna nord

Pag. 30

Itinerario 2 dal mare adrIatIco al bacIno marcIano

Pag. 72

Itinerario 3 dal muro dell’arsenale alla basIlIca deI FrarI

Pag. 102

Itinerario 4 dal Foro realtIno al Foro marcIano

Pag. 144

Itinerario 5 dal dorso della gIudecca al canal grande

Pag. 178

Itinerario 6 da Porto marghera a rIalto

Pag. 220

Itinerario 7 da malamocco a VenezIa

Pag. 252

sIntesI bIblIograFIca

Pag. 283

IndIce deI nomI e deI luoghI

Pag. 284

VenezIa l’antIco e Il nuoVo Armando Dal Fabbro

«Tutte le città, non volgari, sono opere d’arte. Opere d’arte, per le quali meno che mai si può dire appartengono al passato: perché non soltanto esse attualmente vivono un loro tempo, cioè passano di forma in forma; ma vivono in quanto vi sono degli uomini vivi che le realizzano nel proprio tempo. In altre parole: perché sono l’attuale esperienza di qualcuno. Ma, tra tutte le città, forse nessuna, come Venezia, possiede questo carattere di disponibilità, di inesauribile interpretabilità».

(sergio bettini, Venezia. Nascita di una città milano 1988, p. 16)

Nell’affrontare il racconto di Venezia dall’alto, si è consapevoli dell’impossibilità di esaurire in un breve saggio introduttivo temi e percorsi narrativi che hanno caratterizzato, celebrato e condizionato la storia della città in tutte le sue infinite manifestazioni.

Alcuni percorsi di lettura della città derivano dal personale rapporto con Venezia e con le vicende che hanno influenzato il nostro legame culturale con essa. con una serie di apparati iconografici antichi e moderni si dà conto della relazione spazio-temporale e dei principali eventi trasformativi che hanno determinato la forma contemporanea della città: come il rapporto con le vie d’acqua, la definizione dei bordi, i luoghi monumentali periferici e i sistemi architettonici orbitali che, tutt’intorno ai vuoti, li circoscrivono e configurano.

così Venezia ci appare, da sempre, nel continuo paradosso di «elemento che si oppone a elemento», un pieno appoggiato su un vuoto. E l’architettura della città, anch’essa nel suo paradosso, è a sua volta il trionfo del vuoto sul pieno.

Venezia predilige il collage. In un unico sguardo si può cogliere tutto ciò che di Antico e di Nuovo la città contempla. In questo mosaico di dettagli, si percepisce l’Antico come memoria di un tempo che fu Nuovo; come massa figurativa e narrazione di una struttura formale che ha preservato la sua natura autentica. Il Nuovo vive oggi, per

l’opposto, nella contemporaneità di un’epoca attraversata da incapacità semantiche e connotata da trasformazioni, aggiustamenti e innesti – in un legame talora mediato, il più delle volte conflittuale, con l’architettura e la forma della città antica – senza un vero e proprio progetto urbano e culturale in grado di considerare la città nel suo insieme.

cogliere simultaneamente l’Antico e il Nuovo della città significa confrontarsi con i caratteri della forma urbana, con i suoi infiniti nessi e con i paradossi che la connotano. È un continuo raffronto fra ciò che la città tutta ha rappresentato nel tempo e nello spazio e la realtà della vita veneziana, sempre poco incline alla novitas ma in grado comunque di evolversi e valorizzarsi. una civiltà, quella veneziana, che ha preferito integrarsi all’esistente accettando il compromesso della stratificazione come cifra stilistica, fra scelte formali e tradizione costruttiva. una cultura che ha saputo trasformarsi, perpetuando una sorta di ritualità, ripercorrendo continuamente le proprie tracce, in un privato universo formale, condizionato dalle origini misteriose, sempre inseguite e celebrate.

A questo proposito sembrano ancora attuali le parole di Amedeo modigliani dettate dalla sua breve esperienza lagunare: «Venezia, la testa di medusa dagli infiniti serpenti azzurri, occhio glauco immerso in cui l’anima si perde ed esalta…».

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Attraverso l’immagine idealizzata di Venezia, contenuta in un antico portolano conservato al museo correr, la città appare in tutta la sua magnificenza figurativa, e si mostra raccolta e schiacciata in se stessa, come per rivelare l’esiguità dello spazio su cui poggia.

In origine la città, costruita prevalentemente in legno, poteva ricordare una gigantesca tolda di nave che affiora dall’acqua – ne è una prova tangibile il grande disegno a volo d’uccello della città rappresentato dalla tavola del de’ barbari (datata esattamente 1500). Nell’immagine del portolano invece, quasi più caricaturale che simbolica, Venezia si presenta come una nave di pietra, riconoscibile nei suoi elementi più significativi che ancora oggi la caratterizzano: le cupole della basilica di san marco, il fronte a mare di Palazzo Ducale, la Piazzetta con le due colonne di marco e Todaro. L’immagine che ne deriva è quella di un’unica grande architettura in miniatura, espressione di forza marinara, principio di una città che comincia a palesarsi come opera d’arte totale, solitaria e perenne.

Nel sorgere dalla Laguna, Venezia celebra il suo doppio, quale città costruita tanto sopra quanto sotto il livello dell’acqua; una grande opera idraulica oltre che architettonica, in cui una delle parti costruite, quella anfibia, non si vede, se non scavandone le viscere. E questo suo doppio, con l’incessante opporsi agli elementi naturali dell’ambiente, ne fa una città unica, edificata a partire dalla costruzione del suolo su cui si fonda.

Alla Venezia labirintica, priva di orientamenti e magmatica di cui tutti abbiamo esperienza, si contrappone una città altra, opposta e per niente casuale, anzi geometrica e modulare nella sua consistenza planimetrica. La pianta della città – fin dall’origine priva di un vero e proprio piano di fondazione – si dispone secondo una matrice seriale con edifici che si ripetono costanti in pianta e in alzato, secondo regole e convenzioni che si sono assimilate e succedute per secoli.

se osserviamo l’architettura lungo il canal Grande, ad esempio, assistiamo alla messa in scena di una monumentale scenografia urbana, costruita per continui innesti e per stratificazione di elementi di epoche diverse. una sequenza compatta e ininterrotta di edifici lungo quella che in origine era la via commerciale o il porto-canale della città, dove arrivavano le merci più preziose dell’Oriente conosciuto. con la costruzione del nuovo ponte di rialto, nel 1588, il ruolo della grande via d’acqua si trasforma in un irripetibile apparato scenico, dove i palazzi e le case patrizie prendono il posto degli edifici produttivi e mercantili (magazzini, squeri, case-fondaco di origine romanico-bizantina), se si eccettuano alcuni esempi ec-

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VenezIa l’antIco e Il nuoVo
dall’alto
Pagine precedenti: Paolino Veneto, chronologia magna, 1346, f. 7r (pianta di Venezia), Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Ms. Lat. Z. 399 (= 1610). Giovanni Xenodocos da Corfù, Antico portolano, 1520, Atlante di tre carte, particolare della carta iii Venezia, Museo Correr.
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VenezIa dall’alto VenezIa l’antIco e Il nuoVo Jacopo de’ Barbari, Pianta prospettica della città di Venezia, 1500, Venezia, Museo Correr.

Piante dei piani terra di Palazzo Giustinian e Cà Foscari sul Canal Grande. Ridisegno.

Le facciate di Palazzo Giustinian e di Cà Foscari sul Canal Grande.

Tratti da: P. Maretto, La casa veneziana nella storia della città dalle origini all’Ottocento, Marsilio, Venezia 1986.

Anonimo, ricostruzione del progetto di Fra’ Giocondo per il mercato di Rialto, xviii secolo, da D.M. Federici, convito borgiano, 1792, ms. 164, vol. ii [tav. 1], Treviso, Biblioteca Comunale.

Benedetto Bordone, Isolario di benedetto bordone nel qual si ragiona di tutte l’isole del mondo: Venegia, Libro ii 1534, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana.

cellenti, come il Fondaco dei Tedeschi, il Fondaco dei Turchi, il Deposito del «megio».

Dalla lettura delle architetture della città, ne risulta un accumulo crescente di elementi di tradizione, che nell’uso e nel tempo – a partire da alcuni prototipi arcaici di matrice romana – si trasformeranno in tipi architettonici fortemente riconoscibili, come la «villa marittima», la «casa-fondaco», il palazzo con «torreselle». La tradizione costruttiva veneziana riuscirà ad amalgamarli e a fonderli in un insieme armonico di superfici e piani-sequenza traforati, in un continuo dialogo fra interno ed esterno, fra acqua e terra.

Tutta l’architettura si esprime attraverso forme e significati suoi propri che trovano nella materia compimento e valore semantico: la forma necessita della materia così come la materia si esprime attraverso il linguaggio delle forme.

L’architettura antica e moderna è espressione di una volontà di sperimentare l’arte di costruire secondo un uso naturale della materia.

L’architettura veneziana nasce da ciò che ha avuto in origine necessità costruttiva e funzionale e solo in seguito ha assunto valore simbolico e rappresentativo.

si pensi alle lunghe e ripide scale esterne poste a lato degli ombrosi e profondi cortili, o inserite a ridosso degli ingressi delle case più modeste secondo il principio delle scale incrociate di memoria leonardesca; oppure alle fac-

ciate traforate dei palazzi da cui si intuiscono i vasti saloni passanti e la struttura tripartita della pianta: tutto ciò è il risultato di una consuetudine edificatoria antica e funzionale, legata alle tradizioni del costruire in stretto rapporto con la natura del luogo e con il contesto.

L’architettura degli edifici, che si ripetono in un’enfilade di piani-sequenza, produce un particolare effetto spaziale di infinito e di immateriale. Al principio di serialità e modularità in pianta corrispondono una sequenza di immagini irripetibili e mai banali, un continuo alternarsi di fronti policromi e di superfici trasparenti, di riflessi luminosi e impalpabili chiaroscuri.

Il sistema monumentale più importante di Venezia è costituito dal bacino marciano, la piazza d’acqua su cui si affacciano Palazzo Ducale, la Libreria s ansoviniana e la Zecca, la Dogana da mar e l’isola di san Giorgio.

Quest’ampio spazio è inserito in un’ideale triangolazione i cui vertici corrispondono alle cupole delle tre basiliche che ne definiscono i limiti monumentali: san marco, san Giorgio maggiore e santa maria della salute. Al vuoto del bacino marciano si somma il vuoto di Piazza san marco. Attraverso il varco della piazzetta, si giunge al grande invaso architettonico della piazza: estremo limite al denso e compresso tessuto edilizio della città.

Aspetti monumentali si possono ritrovare anche in quelle che furono zone periferiche della serenissima, lungo i suoi bordi.

A ben guardare fra le pieghe della storia urbana di Venezia, ci si è accorti solo in tempi recenti del valore e del peso che alcune di queste realtà di margine hanno assunto nello sviluppo dell’immagine della città.

Il caso palladiano è alquanto emblematico e contradditto-

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VenezIa dall’alto VenezIa l’antIco e
nuoVo

rio al riguardo, foriero di presupposti e indizi lungimiranti per la città futura, ma segnato anche da pesanti sconfitte. Le opere realizzate dal Palladio lungo i bordi estremi della città hanno avuto il ruolo determinante di «architetture nuove» nel formare l’armatura urbana, policentrica e monumentale di Venezia.

u na fortuna professionale, quella di Andrea Palladio, non completamente espressa né pienamente riconosciuta a Venezia. L’immagine assoluta di un’architettura al tempo stesso moderna e classica fu, infatti, osteggiata dal governo della repubblica, e mai accettata – se non in siti periferici – nel fragile e delicato contesto veneziano. Ad eccezione di san Giorgio maggiore, tutti i progetti palladiani per Venezia (in area realtina e marciana per esempio) furono parzialmente accantonati e solo successivamente, in epoca neoclassica, dal settecento in poi, vennero rivalutati e celebrati per rappresentare il mito di Venezia e del palladianesimo, trasposti nel fantastico e nel capriccio.

Eppure questi progetti, osservati con occhi contemporanei, si inseriscono in un grande disegno compositivo. Dalla facciata di san Pietro in castello – uno dei primi lavori di Palladio a Venezia –, alla chiesa di san Giorgio maggiore – con il ribaltamento dell’orientamento dell’edificio e l’apertura del prospetto sul bacino, alla facciata della chiesa di san Francesco della Vigna, o al disegno a lui attribuito della facciata della scuola Grande della misericordia, per finire con la chiesa votiva del redentore, assistiamo a un’immagine sbalorditiva della Renovatio Urbis Venetianorum cinquecentesca, che si traduce in una serie di eventi forse casuali, ma sicuramente funzionali alla definizione dei limiti spaziali e monumentali della città.

Guardando il canale della Giudecca oggi, con stupore assistiamo alla rappresentazione di quello che potremmo definire il contesto palladiano, una sorta di idea di città, che influenzerà in seguito alcune architetture religiose

costruite, a distanza di anni, lungo le sue rive, come la chiesa delle Zitelle alla Giudecca (forse ideata su progetto dello stesso Palladio), o la chiesa di santa maria del rosario ai Gesuati (di G. massari, realizzata nella prima metà del settecento), che riprende linee classicheggianti ed elementi del linguaggio palladiano, o infine la chiesa di san Trovaso (santi Gervasio e Protasio), riedificata anch’essa secondo canoni palladiani nel 1585.

Questo suggestivo interno palladiano ci pone di fronte a un’altra particolarità di Venezia e cioè la questione dei «limiti urbani», ovvero della «finitezza» della città: l’aver preservato nel tempo, quasi completamente intatta, la sua forma urbis. Venezia, per sua natura, è sempre stata delimitata e difesa da un bordo che è la Laguna e, nonostante la modernizzazione infrastrutturale avvenuta dalla metà del xIx secolo, è riuscita a consolidare i caratteri formali, figurativi e dimensionali che l’hanno originata.

Già nel cinquecento il problema della definizione dei limiti della città aveva visto la disputa fra Alvise cornaro e cristoforo sabbadino. Il primo, gentiluomo e letterato che prefigura lo sviluppo di Venezia in un’ottica territoriale, propone la costruzione di mura intorno alla città, mentre il sabbadino, ingegnere idraulico, proto e funzionario dei savi alle acque, si pone su un’altra posizione: poiché le mura «invisibili» di Venezia sono le sue acque, in un disegno del 1557 propone di consolidare i bordi della città attraverso nuove e durature fondamenta. La famosa disputa cornaro-sabbadino rivela due modi di pensare la città in rapporto con il suo territorio. una città, quella del cornaro, che può trovare giovamento solo nell’oltrepassare i limiti lagunari, promuovendosi in terraferma a vantaggio dei proprietari fondiari, e, per l’opposto, la Venezia anfibia e insulare di s abbadino, definita dal riordino dei rii e cinta solo dalla Laguna – a sua volta delimitata dalle terre emerse – che am -

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e Il nuoVo
VenezIa dall’alto VenezIa l’antIco
Gentile Bellini, Processione in piazza san marco, databile 1494, Venezia, Gallerie dell’Accademia. Giovanni Mansueti, miracolo della reliquia della croce in campo san Lio, databile 1494, Venezia, Gallerie dell’Accademia.

mette come unico fondale visivo il sistema montano. Ancora oggi la contemporaneità di Venezia e la sua dimensione metropolitana si fondano a partire dal valore attribuito al sottile e precario equilibrio fra il ruolo della Laguna e le esigenze della terraferma.

La lezione veneziana, compiuta in epoca cinquecentesca di là dalla gronda lagunare, può essere letta come

evento anticipatore della nuova dimensione metropolitana. Oggi questa realtà, più che mai disordinata e defraudata del ruolo rappresentativo monumentale originario, non è più in grado di generare gerarchie durevoli, né insediamenti compatti, né figure del territorio antropizzato confrontabili a scala territoriale con i grandi sistemi naturali e insediativi della storia. La contemporaneità veneziana si può interpretare come

un grande teatro urbano, il teatro dell’ecosistema lagunare: un teatro di materia viva, fatto di segni (della storia e della tecnica) e di luoghi-spazio, di pianura liquida e di grandi figure distese sul piano, di continuità del fronte insulare e di frammentazione del bordo terracqueo, di architetture monumentali e di figure significanti della città reale, anfibia e di terraferma. La materia con cui è costruita la città è in sostanza la stessa materia con cui sono fatte le opere d’arte. La città, intesa come opera d’arte per eccellenza, è composta di architetture e di relazioni, di luoghi urbani e di spazi abitati. Non sono solo gli oggetti a determinare l’immagine urbana della città, ma anche lo spazio delle relazioni che i luoghi e le architetture mettono in scena e ciò che esse rappresentano nel tempo e nello spazio.

La storia di Venezia, così come la storia di tante altre città «non volgari», è il racconto naturale della vita delle forme e della materia con cui sono fatte.

Venezia esprime esemplarmente il concetto di materia. Fin dalle origini la città si è costruita su se stessa e su un’immagine di grandezza che ha costituito, nel tempo, la sua forza espressiva e il suo mito.

Il mito di Venezia vive continuamente nel serrato equilibrio fra natura e artificio, fra materiale e immateriale, fra la Forma Urbis della città insulare, il recinto terracqueo e la pianura liquida lagunare.

Il paesaggio che noi ricordiamo, trasfigurato e trasmessoci nelle molte immagini pittoriche, letterarie, artistiche (da Gentile bellini a Virgilio Guidi, da Goethe a brodskij), ci restituisce ancora oggi il rapporto dialettico fra la città e il suo intorno, fra architettura e natura, fra un interno codificato nei valori architettonici della polis e un esterno ricco e inviolato, segnato da siti naturali e dalle tracce di ruderi isolati che con la loro presenza marcano ancora oggi, come splendidi capisaldi antichi, il territorio. La dimensione evocatrice dei luoghi veneziani si scontra con la realtà della città contemporanea.

Venezia sembra dall’alto fatta di un’unica materia, fluida e leggera, appoggiata sull’acqua, secondo un ritmo a tratti sincopato di edifici modesti e affastellati, a tratti modulare e seriale, prodotto dalla trama regolare e distinta dei palazzi e delle fabbriche di pregio. un fronte, in apparenza unico, sembra svolgersi e avvolgersi lungo i bordi lagunari senza soluzione di continuità, ma in realtà si interrompe in più punti, ora piegando su se stesso per richiudersi subito dopo, ora frapponendosi a lingue di canali che penetrano negli interstizi del tessuto urbano e si aprono una via d’acqua fra gli edifici. così si rivela la massa della città al suo interno, densa e magmatica, se

non fosse interrotta dalla presenza di ampi e luminosi brani urbani come i sistemi monumentali di chiese e conventi, o come gli spazi dei campi, dei campielli e delle calli che incidono profonde fenditure e svuotamenti nella materia compatta della città. Tutto avviene in uno stretto rapporto di pieni e di vuoti. Nella luce riflessa dall’acqua, i vuoti dei campi, dei canali e della Laguna si contrappongono alla densità edilizia e monumentale della città, istituendo

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VenezIa l’antIco e Il nuoVo
dall’alto
Benedetto Rusconi, miracolo della reliquia della santa croce, primo decennio del xvi secolo, Venezia, Gallerie dell’Accademia. Vittore Carpaccio, miracolo della reliquia della santa croce al ponte di rialto, databile 1494, Venezia, Gallerie dell’Accademia.

relazioni spaziali e contrappunti chiaroscurali con le forme e la materia di cui essa è fatta.

L’intera città si mostra costruita di pietra. marmi policromi e pietra d’Istria dominano, come un unico materiale, le facciate delle chiese e dei palazzi. così come elementi incastonati, le pietre si palesano sulle calde facciate di mattoni degli edifici proto-industriali che ancor oggi ben si inseriscono nel panorama urbano della città. E costantemente essa si rigenera. come il flusso cadenzato delle acque, la contaminazione fra Antico e Nuovo si integra in un armonico sistema stratigrafico.

In questo contesto, alcuni progetti contemporanei hanno influenzato la storia urbana della città e, in qualche modo, ne sono stati a loro volta fagocitati. malgrado non siano stati realizzati, infatti, hanno saputo evocare e trasmettere, nella loro astrazione di progetti, lo spirito del tempo e del luogo.

Penso all’ospedale di Le corbusier a san Giobbe (196466), al centro congressi di Luis Kahn ai Giardini della biennale (1968-74), alla Palazzina masieri di Frank Lloyd Wright in volta di canale (1959), al progetto Novissime del gruppo samonà per la sacca del Tronchetto (1964), solo per citare i più conosciuti. si tratta di progetti che hanno saputo cogliere, in sintesi, il tema di un’autentica progettualità a fronte di una tradizione costruttiva e formale espressa in quegli anni prevalentemente da un’edilizia anonima e da mimetismo urbano.

In alcuni di questi progetti riemergono i temi della definizione delle architetture come superfici, alla ricerca della spazialità della facciata e del disegno dei vuoti urbani affacciati sulla Laguna. ritornano idee, figure, immagini che ricordano le suggestioni dei pittori da cavalletto del primo Novecento, che riuscivano a trasfigurare il profilo urbano della Venezia conosciuta con rappresentazioni astratte, in

cui apparivano solo pochi elementi: colori, volumi, proporzioni, luce.

sottraendo dettagli, eliminando figure di superficie, isolando linee e geometrie, comunque si riconosce Venezia, la città-opera d’arte inesauribile, letta, studiata, interpretata e raccontata con l’arte, in tutte le sue massime espressioni.

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VenezIa dall’alto VenezIa l’antIco
nuoVo
Prospettiva della facciata sul Canal Grande del Masieri Memorial, progetto di Frank Lloyd Wright, 1953. Disegno originale pubblicato in «Metron», nn. 49-50, anno ix, gennaio-aprile 1954. Inc. Andrea Zucchi, Opponesi elemento ad elemento, antip. Della laguna di Venezia trattato di bernardo Trevisan, 1715, Venezia, Museo Correr.

VenezIa VIsta dal cIelo: sette ItInerarI

Nella sua «inesauribile interpretabilità», Venezia si crea nell’esperienza di chi la guarda, nella meraviglia, nel disciogliersi e ricomporsi lungo itinerari e pensieri, nella continuità ininterrotta della sua struttura formale, della sua corporeità, dove non contano i brani isolati, ma la sequenza di spazi, vuoti d’acqua e di pietra, definiti dalle cortine edilizie ininterrotte e stratificate.

Le viste dal cielo permettono una lettura della fisicità urbana tramite l’individuazione di margini e bordi, e, nel caso di Venezia, anziché evidenziare emergenze monumentali e grandi volumi, rendono immediata la percezione dei vuoti, delle geometrie immaginarie che li separano e avvicinano, degli infiniti rimandi fra essi.

Dall’alto non è possibile percepire dettagli e frammenti, come succede camminando, e viene meno la dimensione spazio-temporale della contemplazione dal basso, che si può vivere percorrendo i canali su una piccola barca, eppure dal cielo si colgono l’insieme, la straordinaria densità del tessuto costruito e il disegno degli spazi liberi.

Nelle viste «guidate» in sequenza lungo itinerari ideali, avvicinamenti e cambi del punto di vista, i frammenti e i dettagli, siano essi immagini visibili nelle foto oppure impresse nella memoria, si sgranano e si ricompongono, creano nuove e inaspettate figure ad ogni sguardo.

La densità di luoghi notevoli e monumenti e la dimensione complessiva della città, così condizionata e racchiusa dentro una figura rimasta inalterata da secoli, fanno pensare di poter cogliere tutto in poche inquadrature; tuttavia, proprio in queste viste aeree, la ricchezza e l’articolazione del tessuto è tale che ad ogni sguardo si scopre un aspetto diverso e inatteso: i medesimi elementi di forma e colore si disarticolano e si riallineano come in un caleidoscopio.

Immaginando di volare su Venezia provenendo da direzioni diverse – dalla terraferma o dal mare – sette itinerari ci suggeriscono percorsi da scoprire nelle immagini in sequenza, individuando monumenti e spazi-luoghi senza mai perdere di vista la forma della città.

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ItInerarIo 1

Delle molte Venezie possibili, le isole della Laguna nord raccontano la storia delle origini: a partire da un ager incognitus oggi invisibile, ma documentato da indizi dell’epoca in cui la Laguna era un territorio paludoso, bonificato e coltivato secondo le regole della colonizzazione romana, percorso da fiumi e canali, lacus e stagna. Nell’area endolitoranea, industriosa e densamente popolata fino al xII secolo, si insedia poi la struttura militare difensiva della Venezia marittima, con castelli, centri murati e campi trincerati, chiese e monasteri. Nelle isole-province dell’Italia bizantina si palesa la tradizione dell’architettura paleocristiana «esarcale» con la basilica dell’Assunta e il martyrium di santa Fosca a Torcello, con la chiesa dei santi maria e Donato a murano e, sulla terraferma, con la basilica e il campanile cilindrico di caorle.

Irruzioni del mare e alluvioni, innalzamento del livello medio del mare e subsidenza del suolo hanno portato all’attuale paesaggio della Laguna. Da Altino a Olivolo, nei meandri di acqua e terra, si snoda il percorso tracciato dalle isole che mostrano oggi una struttura consolidata. Fra di esse spiccano la poderosa e solitaria torre quadrata di Torcello, gli orti di mazzorbo, il campanile e le case colorate

dei pescatori di burano, il convento immerso nella massa cupa dei cipressi di san Francesco del Deserto, l’isola abbandonata e semisommersa della madonna del monte, i muri delle vecchie vetrerie di murano, che segnano i margini dell’isola, la preziosa facciata quattrocentesca di san michele nell’isola dei morti, fino al campanile di san Pietro nell’antica Olivolo, alle mura dell’Arsenale e agli approdi delle Fondamenta Nove.

In volo dalle Fondamenta Nove verso il canal Grande, lo sguardo individua traiettorie in corrispondenza delle quali sembrano concentrarsi non solo architetture e monumenti, ma anche luce e colori, linee e figure.

La traiettoria aerea che avvicina di più le Fondamenta Nove a Piazza san marco parte dalla sequenza dei chiostri del convento dei santi Giovanni e Paolo. Da qui si articolano spazi aperti d’acqua e di pietra e grandi volumi architettonici. La linea in movimento che traguarda il Foro marciano prende le mosse dal rio dei mendicanti, dalla basilica di «san Zani Polo» e, dalla scuola Grande di san marco, si concentra poi intorno al volume plastico della chiesa e del campanile di santa maria Formosa, isolati in mezzo al campo.

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In Volo sulla laguna nord

Isola di Torcello.

Particolare di Torcello, antico emporium romano, navale e commerciale, in seguito, prima della decadenza, centro vescovile. L’isola conserva oggi solo alcune delle grandi chiese e monasteri del passato. In primo piano, la Cattedrale di Santa Maria Assunta, la cui epigrafe di fondazione (639) è forse il più antico documento della città – la Basilica risale all’xi secolo –, con la torre campanaria (xi secolo), la chiesa di Santa Fosca (xi-xii secolo) e i resti dell’antico Battistero (vii secolo).

Pagine seguenti:

Isola di Torcello.

Torcello da nord-est, immersa nelle barene, con il complesso monumentale della Cattedrale di Santa Maria Assunta e della chiesa di Santa Fosca, mostra il suo antico carattere di nucleo urbano e la relazione tra la natura della Laguna e l’insediamento umano.

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Santa Fosca a Torcello. Santa Fosca (xi-xii secolo), antico martyrium, raccordata con un porticato a Santa Maria Assunta. La sapienza delle soluzioni volumetriche delle coperture riflette la volontà di creare un complesso bizantino analogo a quello ravennate di San Vitale.

36 37 ItInerarIo 1 In Volo sulla laguna nord

Isola di San Francesco del Deserto. San Francesco del Deserto è dominata dall’architettura francescana della chiesa omonima con gli adiacenti chiostri, di cui quello trecentesco è di particolare pregio. Dopo l’abbandono dei Francescani, l’isola mantenne il suo carattere conventuale con l’affidamento ai Frati Minori Osservanti.

Pagine seguenti: Convento di San Francesco del Deserto. L’antico convento è forse la memoria di una visita di San Francesco stesso al ritorno dalla Palestina. I Francescani rimasero per due secoli nella struttura, le cui dimensioni e caratteri rivelano l’antica origine.

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Isola di Burano. Il sistema delle piazze della parrocchiale di San Martino. In primo piano il falso prospetto impostato sul presbiterio della chiesa, cerniera tra il rio e la piazza Baldassarre Galuppi con vera da pozzo del 1568. Sul fronte settentrionale due eleganti palazzi gotici ospitano il Museo dei Merletti e il Comune, già Palazzo del Podestà.

Pagine seguenti: Isola di Burano. La struttura edilizia. La trama dei canali organizza la struttura edilizia dell’isola per linee, corti e campi, con schiere di elementi tipologici omogenei. Le case di Burano hanno una tipologia elementare ricorrente con minime variazioni nelle isole lagunari, con soggiorno e cucina al piano terra, affacciati sullo spazio esterno quale prolungamento della vita domestica, e camere da letto ai piani superiori. I colori vivaci individuano le differenti proprietà.

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Isola di Murano. Vista di Murano dalle Fondamenta Nove, con i tre canali principali di attraversamento. Al centro, il rio dei Vereri, su cui storicamente si attestavano le fabbriche del vetro. Sullo sfondo, il Canal Grande e il rio San Donato, che replicano a Murano, in scala ridotta, la caratteristica struttura urbana veneziana.

Pagine seguenti: Isola di Murano: le vetrerie. Particolare delle fabbriche del vetro di Murano verso la Laguna e della cortina di edifici sul rio dei Vereri. L’intensificazione della produzione vetraria con la costruzione delle fabbriche ha mutato fortemente l’originale carattere residenziale della città, sino alla completa saturazione del tessuto edilizio nelle parti interessate.

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In Volo sulla laguna nord

Isola di Murano: il centro. Particolare sul rio San Donato del fianco sud e dell’abside del Duomo, dedicato ai Santi Maria e Donato (xii secolo), naturale ingresso al nucleo più interno dell’isola, con la sequenza delle arcate sovrapposte del finto porticato inferiore e del loggiato superiore. La chiesa è un importante esempio di architettura venetobizantina dell’xi-xiii secolo.

Pagine seguenti: Isola di San Michele. L’isola San Michele da nordovest. Ospita la chiesa di San Michele con il convento annesso dei Francescani Riformati, in origine importante abbazia camaldolese e rilevante centro di studi rinascimentale, in seguito reclusorio per prigionieri politici, e il cimitero napoleonico di Venezia, ottenuto con l’addizione della vicina isola di San Cristoforo della Pace.

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Chiesa di San Michele in Isola. La chiesa di San Michele in Isola (1469), tra le prime opere di Mauro Codussi, appartiene al primo Rinascimento veneziano. Caratterizzata dal rivestimento in pietra d’Istria, la sua fronte rivolta verso Venezia è affiancata dal volume esagonale della cappella Emiliani di Guglielmo Bergamasco (1530), cerniera dell’isola rispetto alla Laguna.

Le isole di San Michele e Murano. La Laguna nord con la struttura insulare policentrica. In primo piano, l’ultimo lembo di Venezia, in cui si riconoscono i chiostri dell’ex Ospizio di San Lazzaro dei Mendicanti, con chiesa interclusa tra due corpi, su progetto di Vincenzo Scamozzi (1601), ispirato alle Zitelle di Palladio. La struttura, oggi parte dell’Ospedale dei SS. Giovanni e Paolo, ha accanto il recente Padiglione Semerani. Sullo sfondo, l’isola di San Michele e quella di Murano in un rapporto di strettissima correlazione.

59 In Volo sulla laguna nord

Venezia e l’Ospedale dei SS. Giovanni e Paolo. La sequenza del complesso dell’attuale Ospedale dei SS. Giovanni e Paolo dalla Laguna mostra la sua antica articolazione funzionale e il suo rapporto con la città. Su Fondamenta Nove le due corti

dell’Ospizio dei Mendicanti, con al centro, sul rio omonimo, la navata unica della chiesa di San Lazzaro dei Mendicanti. A sinistra, il moderno Dipartimento d’Urgenza dell’Ospedale di Luciano Semerani e Gigetta Tamaro (1978-1998).

Di seguito, il convento (riformato da Baldassarre Longhena, 1660) e la Basilica dei Santi Giovanni e Paolo (xiii secolo, consacrata nel 1430), principale sede dei Domenicani a Venezia, e la Scuola Grande di San Marco.

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Sullo sfondo, i campanili di Santa Maria Formosa, di San Marco, il Bacino Marciano e il Canale della Giudecca.

Dall’Ospedale dei SS. Giovanni e Paolo a Santa Maria Formosa. A partire dalle Fondamenta Nove si articolano i chiostri dell’Ospedale dei SS. Giovanni e Paolo con la Basilica e la Scuola Grande di San Marco.

Al centro, Santa Maria dei Miracoli rivestita di marmi policromi, con copertura semicilindrica su impianto a navata unica, realizzata da Pietro Lombardo (1481-89) su progetto attribuito a Mauro Codussi. In adiacenza, la mole gotica di Palazzo Soranzo Van Axel-Barozzi (1470 ca). In basso a sinistra, la Basilica e il campo di Santa Maria Formosa.

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La Scuola Grande di San Marco e la Basilica dei Santi Giovanni e Paolo.

La ricostruzione della Scuola, intrapresa da Pietro Lombardo sull’impianto originario (xiii secolo), vide la presenza decisiva di Mauro Codussi (1490) e l’ultimazione di Jacopo Sansovino (1534).

L’edificio è realizzato attraverso la sovrapposizione di due spazi: la sala ipostila, al piano terreno, e l’aula, al piano superiore, collegati attraverso lo scalone codussiano a doppia rampa, costruito sul lato sinistro tra il blocco principale e l’Albergo adiacente alla Basilica.

65 In Volo sulla laguna nord

Il campo dei SS. Giovanni e Paolo. Lo spazio urbano è dominato dal monumento equestre a Bartolomeo Colleoni di Verrocchio (1481) e delimitato dalla facciata della Scuola Grande di San Marco e dal fianco della Basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Il fronte della Scuola, asimmetrico, su disegno di Mauro Codussi, con decorazioni del Lombardo e di Giovanni Buora e un coronamento codussiano a lunetta, è tra gli esempi più straordinari del Rinascimento veneziano. Il fianco della Basilica è ritmato dall’articolata sequenza delle cappelle dell’Addolorata, della Madonna della Pace, di San Domenico, che animano la Salizzada.

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Santa Maria Formosa. La Basilica di Santa Maria Formosa domina il campo omonimo con la torre e l’articolazione absidale. Secondo la tradizione, è una tra le otto chiese di fondazione di San Magno vescovo, poi sostituita da un edificio bizantino, infine ricostruita su progetto di Mauro Codussi (1492). L’aggancio delle absidi al presbiterio conduce all’ibridazione tra la soluzione a navate e la ricercata pianta centrale rinascimentale, ottenendo una straordinaria unità formale, che governa lo spazio urbano non attraverso la mole, ma con lo scorrere della luce sui volumi. Il campanile è su progetto di Francesco Zucconi (1611).

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Il campo di Santa Maria Formosa. Particolare della chiesa e del campo di Santa Maria Formosa, teatro di feste e rappresentazioni, con gli edifici privati del perimetro. In evidenza, il Palazzo Priuli Ruzzini Loredan, con l’asimmetrica facciata tardocinquecentesca, su motivi dello Scamozzi, attribuita a Bartolomeo Monopola.

Piazza San Marco, la Punta della Dogana, la Giudecca. Da ovest lo spazio monumentale di Piazza San Marco appare nella sua natura di vastissimo campo in tangenza al Bacino Marciano. Sullo sfondo, la Punta della Dogana e la chiesa di Santa Maria della Salute. L’isola della Giudecca, con il fronte e la cupola del Redentore di Andrea Palladio (1577) si profila come terminazione dell’intero percorso urbano.

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«signor Galileo! si può vedere il forte di santa rosita! – su quella barca laggiù stanno pranzando. Pesce arrosto. mi sento venire appetito» (bertolt brecht, Vita di Galileo).

Quando entrare nel porto di Venezia significava approdare sulla riva degli schiavoni, con il cannocchiale di Galileo si potevano avvistare le ragusee dalle vele maestose del nobile Antonio di ritorno dagli oceani e le navi nemiche erano bloccate dalle possenti catene tese fra la fortezza sammicheliana di sant’Andrea e il forte di san Nicolò. In tempo di pace però, nelle giornate di sole, allora e anche  oggi, piccole  barche di legno ormeggiano presso le rive di sant’Erasmo, i bagnanti sembrano camminare sull’acqua dei bassi fondali e si cucina pesce alla griglia.

Fra Le Vignole, sant’Erasmo e La certosa, l’area che precede l’ingresso in città doveva essere, al tempo del mercante di Venezia, molto animata: sulle isole oggi abbandonate al degrado fervevano attività legate al commercio e alla difesa, con edifici e attrezzature portuali e fortificazioni, per accogliere le merci e respingere i nemici.

Oggi, presso la bocca di Lido, sono in corso i lavori per la costruzione del mose, il sistema di difesa dalle acque alte a protezione della città. Tracce della grande opera affiorano in una lunga piattaforma di cemento e sono visibili poco prima di arrivare al forte di sant’Andrea, la cui figura è ancora leggibile, ma non trova più riscontro sulla riva opposta del Lido. Qui resta infatti l’antico sistema conventuale con la chiesa di san Nicolò, mentre le mura dell’antica fortezza sono state demolite per far spazio alla pista erbosa dell’aeroporto Nicelli.

Poi, oltre l’isola-giardino di s ant’Elena, si entra nel porto della serenissima: dalla riva dei sette martiri, alla riva degli schiavoni, al bacino marciano. magazzini e granai, edilizia minore e palazzi, monumenti e chiese si integrano lungo la linea sinuosa delle rive fino al culmine dell’aulica autorappresentazione: la piazza d’acqua definita nella triangolazione fra s an m arco- s an Giorgio m aggiore-Punta della Dogana, il grande invaso architettonico della platea marciana e l’imbocco dei due antichi fiumi che introducono nei porti-canali della Giudecca e del canal Grande.

Pagine seguenti: L’accesso al sistema portuale veneziano. Tra il Bacino Marciano e il canale di accesso all’Arsenale si trova l’isola di Sant’Elena, in cui sono riconoscibili la chiesa gotica fondata nel 1175 e ricostruita a partire dal 1439 da Jacopo Celega, con i resti del convento quattrocentesco dei monaci Olivetani. Al centro, la Darsena Nuova. Sul margine destro, l’isola della Certosa.

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dal mare adrIatIco al bacIno marcIano

Il Porto di Lido.

Il Porto di Lido è l’ingresso principale di Venezia dal Mare Adriatico. Al centro del porto, l’isola artificiale del Baccan di Sant’Erasmo, parte del progetto di costruzione del Mose.

In primo piano, la riviera San Nicolò in corrispondenza delle strutture militari, dove sono ancora visibili i resti del Forte omonimo, fondato nel xiv secolo, potenziato nel xvi secolo, sino a diventare il più importante luogo militare della Repubblica, finalizzato, insieme al Forte Sant’Andrea, in basso, al controllo delle bocche di porto.

Pagine seguenti: L’antico sistema difensivo veneziano.

In primo piano, il forte cinquecentesco di Sant’Andrea sulla punta meridionale dell’isola delle Vignole, in prossimità della bocca di porto di Lido.

Ampliamento di una preesistente opera difensiva, è caratterizzato da un bastione perimetrale bugnato, con bocche di fuoco, in pietra d’Istria, interrotto dal frontone del portale di accesso al mare. Il progetto è di Michele Sanmicheli (1545-50), terminato da Francesco Malacrida (1571).

Alle spalle, l’isola della Certosa, già dalla fine del xii secolo sede del convento di Sant’Andrea, dove nel 1424 si insediarono i Certosini, trasformandolo in uno dei più importanti monasteri della Laguna, poi abbandonato con la soppressione napoleonica.

San Nicolò al Lido.

Vicino al porto si trova il complesso conventuale di San Nicolò al Lido. La chiesa, fondata nel 1044, in cui si concludeva la cerimonia tradizionale dello sposalizio del Mare, nel giorno dell’Ascensione, fu ricostruita dai padri benedettini (1626).

Il convento, più volte rimaneggiato (xiv e xvi secolo), fu soppresso nel 1770 e destinato prima a caserma, poi affidato ai Francescani.

Sulla destra, l’aeroporto di Venezia-Lido «Giovanni Nicelli».

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San Nicolò al Lido.

Il complesso sorge in prossimità dell’antico forte omonimo, fronteggiando il Forte Sant’Andrea e l’isola delle Vignole, in connessione strategica per difendere l’accesso alla Laguna.

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L’isola di Sant’Elena.

L’isola di Sant’Elena, rimasta fino a metà Novecento una piana erbosa che determinava il limite sud-est della città, deve l’attuale conformazione a interventi di bonifica; l’area prossima alla punta della Motta, un tempo destinata a piazza d’armi, è ora occupata per la maggior parte dal quartiere di Sant’Elena e dal Parco delle Rimembranze, costruiti a partire dal 1923. Oltre il rio, gli impianti sportivi e la scuola navale militare «Francesco Morosini», già Collegio Navale della Gioventù Italiana del Littorio (architetti Mansutti e Miozzo, 1937), istituto di formazione della Marina Militare Italiana.

In secondo piano, il complesso conventuale di Sant’Elena e lo stadio «Gianluigi Penzo», sede storica della squadra veneziana.

A fronte:

La riva degli Schiavoni.

Dal tessuto edilizio in prossimità di riva degli Schiavoni, emerge il complesso monumentale di Piazza San Marco, con, in prossimità della piazzetta, la Libreria Sansoviniana, il Palazzo Ducale e la corte che risvolta sul rio di Palazzo, abbracciando le cupole della Basilica. La grande profondità di Piazza San Marco è evidente nel lungo fronte delle Procuratie Vecchie.

Pagine seguenti:

La centralità di Piazza San Marco.

Piazza San Marco è dall’origine il cuore delle funzioni urbane e la sede del potere della città e della Repubblica. Ad essa giungono i principali percorsi e la sua scala monumentale la qualifica come nucleo centrale dell’impero veneziano.

Nel confronto con lo sfondo novecentesco della Stazione marittima, dell’isola del Tronchetto e di Porto Marghera, il suo ruolo centrale appare inalterato.

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Il Bacino Marciano e Piazza San Marco. Il sistema monumentale di Piazza San Marco è il risultato di una complessa vicenda costruttiva di adattamento e modificazione di edifici e vuoti urbani articolata in tre fasi principali: l’ampliamento

del xii secolo, gli interventi cinquecenteschi, quello iniziale di Jacopo Sansovino e quello finale di Vincenzo Scamozzi, e la conclusione ottocentesca. La fondazione risale ai primi anni del ix secolo, con l’insediamento del Castello ducale e poi della chiesa, quale cappella

dogale. La piazza era in origine molto più ridotta per la presenza del Canale Batario, che congiungeva trasversalmente il rio alle spalle delle Procuratie Vecchie a quello della Zecca, determinando due isole. Su di essa affacciava, in opposizione a San Marco, l’antica chiesa

di San Geminiano. La darsena del Castello occupava l’area dell’attuale Piazzetta circondandolo d’acqua. Fin dalle origini la piazza appariva correlata morfologicamente allo spazio di fronte del Bacino Marciano.

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Il sestiere di Castello e la riva degli Schiavoni. Da sinistra, all’interno, il campo Bragora, centro del nucleo predogale del settore orientale della città (vii-viii secolo). L’antico tessuto di corti servite dai canali provenienti dalla riva è ancora riconoscibile. La chiesa di San Giovanni in Bragora (inizi viii secolo, ricostruzione tra il 1475 e il 1505) mantiene l’originario impianto basilicale con la torre più volte ricostruita. Lungo la riva, oltre il ponte di rio Ca’ di Dio, la corte e l’Oratorio (rinnovato alla metà del xvi secolo) dell’Ospizio omonimo. In secondo piano, il campanile gotico e la chiesa di San Martino (inizi vii secolo), ricostruita da Jacopo Sansovino (1540) con trasformazione dell’impianto basilicale, in croce greca, e variazione dell’orientamento.

Pagine seguenti: Piazza San Marco. L’unità architettonica della piazza che oggi ci appare è, come osservava Giuseppe Samonà, l’esito del piano di ristrutturazione di Jacopo Sansovino elaborato in occasione del progetto della sua Libreria (1537), che prevedeva la realizzazione di un unico fronte unitario dal molo sino alla chiesa di San Geminiano. Il progetto, con l’aulicità del cornicione, creava una continuità di rapporti con il ritmo tipicamente veneziano dei pinnacoli delle Procuratie Vecchie (fronte 1514) che definivano il lato orientale della piazza. La realizzazione della Libreria Marciana verso la piazzetta risultò coerente alla concezione originaria, mentre l’intervento successivo sulle Procuratie Nuove di Vincenzo Scamozzi (1582), terminato da Baldassarre Longhena (1640), disattese il progetto con l’aggiunta di un piano ulteriore.

90 91 ItInerarIo 2 dal mare adrIatIco al bacIno marcIano

La Dogana da Mar e la chiesa della Salute. La Dogana da Mar, ultimo lembo di terra tra il Canale della Giudecca e il Canal Grande, dal xv secolo scalo doganale. Alle spalle, sul Canal Grande, l’edificio quadrangolare del Seminario Patriarcale (Baldassarre Longhena, 1671) anticipa la macchina barocca di Santa Maria della Salute. Sul Canale della Giudecca, più arretrato, il complesso dei Saloni, i magazzini costruiti nel xiv secolo per contenere il sale, la cui facciata neoclassica, analoga a quella della Dogana, è opera di Alvise Pigazzi (1835).

Venezia e il Canal Grande. Con il suo andamento sinuoso, il Canal Grande circonda il sestiere di San Marco, conducendo all’antico porto di Rialto. Nel tessuto edilizio emergono i sistemi morfologici dei campi e dei percorsi che, a partire da Piazza San Marco, connettono il Ponte dell’Accademia e Rialto, intercettando il complesso conventuale della Trinità, con la sua Scuola e la mole neoclassica del Teatro La Fenice di Giannantonio Selva (1790-92). Il teatro fu ripristinato dopo un incendio da Tommaso e Giovanni Battista Meduna (1836) e aggiornato da Eugenio Miozzi (1936). Distrutto da un ulteriore devastante incendio, è stato ricostruito da Aldo Rossi (1996).

95 dal mare adrIatIco al bacIno marcIano

A fronte e in questa pagina: La Dogana da Mar e la chiesa di Santa Maria della Salute. Il settore verso la punta della Dogana da Mar venne ricostruito da Giuseppe Benoni (1677), mentre le parti più interne, verso la Salute e le Fondamenta delle Zattere sono ottocentesche.

La struttura a capriate, perimetrata dai fronti continui, si attesta sul Bacino Marciano con una loggia sormontata da una torre alla cui sommità due atlanti in bronzo sostengono una palla d’oro, immagine del Mondo, sulla quale svetta il segnavento dell’effigie della Fortuna. Alle sue spalle, l’edificio quadrangolare del Seminario Patriarcale accompagna la chiesa di Santa Maria della Salute, opera giovanile di Baldassarre Longhena (1631-81), il cui corpo principale è ottagonale, circondato da cappelle su cui si imposta l’alto tamburo della cupola emisferica. In asse con la facciata, sul retro, si innesta il corpo del presbiterio con absidi laterali e cupola centrale inquadrata da alti campanili. La memoria esaltata e riscritta dei modelli palladiani diviene qui completamento barocco della scena del Bacino Marciano.

Pagine seguenti: La riva degli Schiavoni, tra il ponte della Paglia e il rio dei Greci.

Affacciati sulla riva degli Schiavoni, dal nome dei naviganti veneti di Schiavonia che qui ormeggiavano le imbarcazioni per i loro traffici, il Palazzo Ducale, il ponte della Paglia (1360) e, alle spalle, il ponte dei Sospiri (forse di Antonio Contin, 1602 ca.), che con due corridoi sovrapposti collega il Palazzo alle Prigioni Nuove (Antonio Da Ponte, 1589, terminato dai Contin, 1614). Di seguito il «moderno» Hotel Danieli Excelsior (Virgilio Vallot, 1947) e Palazzo Dandolo, architettura gotica del xv secolo (oggi Hotel Danieli). Proseguendo tra rio de Vin e rio dei Greci, si erge una sequenza di palazzi ottocenteschi con facciate neoclassiche o eclettiche neorinascimentali. In secondo piano, sulla destra, il complesso conventuale di San Zaccaria, cui si applicò Mauro Codussi (1490).

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Piazza San Marco.

La visione aerea di Piazza San Marco rivela la relazione tra la costruzione dei singoli edifici e la morfologia dello spazio urbano. L’isolamento del campanile, in origine inglobato nel fronte meridionale, attuato dalla riforma del progetto sansoviniano della Libreria, lo erge a cardine della composizione spaziale della piazza. La sua fabbrica, di antica origine (xii secolo), rifondata da Giorgio Spavento e Bartolomeo Bon (1511-14), è stata ricostruita, dopo il crollo (1902), da Luca Beltrami e Gaetano Moretti. Dietro la sua sagoma appare il perfetto allineamento, pur nella differenze delle forme, tra il Palazzo Ducale e la Basilica.

Palazzo Ducale e la Piazzetta. Dall’alto appare il sopravanzare del corpo della Libreria Sansoviniana quale invito verso l’invaso della piazza rispetto al fronte del Palazzo Ducale. Il Palazzo, a partire dalla sua fondazione (ix secolo) e dalla struttura veneto-bizantina originaria (xii-xiii secolo), diviene, quale sede del potere della Repubblica, un cantiere in continuo aggiornamento. Il fronte sul Bacino Marciano si completa dall’inizio (xiii secolo) definendo un disegno su tre fasce principali: quella della Sala del Maggior Consiglio, quella del loggiato ad archi inflessi e quella alla base del porticato ad archi ogivali su colonne. Nel Cinquecento questo partito formale sarà esteso al fronte occidentale sulla Piazzetta, alle spalle del quale si scorge la più antica ala orientale del cortile, opera di Antonio Rizzo (dopo il 1483).

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