WAS JESUS REALLY A CHILD?

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GESÙ FU VERAMENTE BAMBINO?

UN PROCESSO ALL’ARTE CRISTIANA di

FRANÇOIS BŒSPFLUG


GESÙ FU VERAMENTE BAMBINO?

UN PROCESSO ALL’ARTE CRISTIANA di FRANÇOIS BŒSPFLUG traduzione dal francese di Alessandro Cavo


Sommario 90 Gesù e le faccende domestiche

7 Introduzione 7

Un’infanzia solo in apparenza?

101 Quattro momenti particolari dell’infanzia di Gesù

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Un grande evento iconico

101 La circoncisione

11 Un doppio compito

101 Fuga, riposo, arrivo e soggiorno in Egitto

18 Breve storia del problema

103 Il ritorno dall’Egitto

20 A proposito della scrittura di questo libro

106 Gesù fra i dottori e il ritrovamento al Tempio

24 Sull’illustrazione

110 Gesù e la sessualità

27 Capitolo i: Gesù conosceva tutto dall’inizio? 28 Un bambino dai gesti da adulto 28 Benedire 34 Aprire le braccia © 2020 Editoriale Jaca Book Srl Tutti i diritti riservati Prima edizione italiana settembre 2020

© Max Ernst, by siae 2020

978-88-16-60623-4

Editoriale Jaca Book via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48561520 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su

alla complicità

113 Capitolo iii: Gesù Bambino e l’intuizione della Passione

46 Posture solenni

113 Un filone ricchissimo, quello della sorpresa

48 Un bambino in maestà

114 Mappare le premonizioni

48 Gesù Bambino come Salvatore del mondo

116 Principali presagi

51 Le statue del piccolo Gesù

116 Sogni e apparizioni

52 Poteri soprannaturali

120 Gesù Bambino portacroce

52 Comandare agli alberi

122 Spine e chiodi

54 Dare vita all’argilla

126 Gesù Bambino sdraiato su una croce

54 Allungare un asse tirandolo

130 Conclusione: una visione di Jeanne Perraud

135 Conclusione

56 Nei Vangeli apocrifi

136 A proposito del piano seguito

58 Gesù fra i dottori

137 Bilancio provvisorio

62 Conclusione: una cristologia sospetta

139 L’infanzia dell’arte e l’esegesi storico-critica

142 Per una valutazione teologica delle opere d’arte

65 Capitolo ii: Gesù ha dovuto imparare?

isbn

113 Un’infanzia attraversata da presentimenti

56 Un insegnante precoce

Stampa e legatura Grafiche Stella San Pietro di Legnago (VR) agosto 2020

110 Conclusione: Giuseppe e Gesù, dalla distanza

38 Tenere il globo dell’universo

55 Gesù “serial killer” Copertina e impaginazione Break Point / Jaca Book

98 Gesù nella bottega di Nazaret

66 Gli apprendimenti fondamentali

147 Note

66 Parlare e camminare

156 Lista delle illustrazioni

69 Leggere e scrivere 74 Andare a scuola

159 Bibliografia

74 Imparare a pregare

160 Indice degli artisti

78 La vita quotidiana 78 Gesù che dorme

161 Indice icono-teologico, dei teologi e dei mistici

79 Gesù che mangia

162 Ringraziamenti

81 Un’infanzia senza punizioni? 84 Il gioco nell’infanzia di Gesù 84 Prendere sua madre per il mento

163 Crediti iconografici


Introduzione

Un’infanzia solo in apparenza? Questo libro affronta una serie di questioni sull’infanzia di Gesù, o meglio, su come si è potuto immaginarla. Benché sia avvolta nel mistero e i Vangeli canonici siano straordinariamente discreti al riguardo, la giovinezza di Gesù ha suscitato una quantità di congetture che si sono presto trasformate in convinzioni profonde, durature e ampiamente condivise, facendo nascere a loro volta moltissime rappresentazioni, sia in ambito letterario (racconti apocrifi, leggende, scritti di spiritualità), sia in quello delle visioni mistiche o dell’arte. La nostra indagine si concentra principalmente su quest’ultima, nello specifico sulla miriade di opere d’arte edificanti e emozionanti che hanno Gesù Bambino come soggetto o motivo principale e sul ruolo che queste svolgono nella lenta formazione di un’idea della sua infanzia che si rivelerà vincente e che sembra aver goduto di un consenso tanto più duraturo in quanto tacito, che inoltre ha impedito la nascita di un vero e proprio dibattito su ciò che sarebbero stati realmente i suoi primi trent’anni di vita. Questa introduzione comincia con il circoscrivere questo importante evento iconico all’interno dell’era cristiana e con il descrivere i due obiettivi primari che la nostra ricerca si è prefissa. Lungi dall’essere una meteora, l’interrogativo sull’infanzia di Gesù si iscrive all’interno di una storia, che richiameremo brevemente, prima di fornire alcune precisazioni sulla scrittura e l’illustrazione del libro.

Un grande evento iconico Gesù Bambino è al centro se non addirittura il centro di un gran numero di opere d’arte di ispirazione cristiana. Alcune di esse hanno una fonte letteraria ben documentata nel Nuovo Testamento, soprattutto quelle che hanno per soggetto la Natività (Mt 2,1;

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Lc 2,6-7), con le varie scene di adorazione del neonato, da parte di Maria e di Giuseppe inginocchiati, dei pastori (Lc 2,8-20), dei Magi (Mt 2,2-12), la sua presentazione al Tempio e la sua circoncisione, tutti eventi che sono avvenuti subito dopo la sua nascita, poi la fuga in Egitto (Mt 2,13-15). In quest’ultima scena, Gesù inizia a essere dipinto come un piccolo bambino ordinario, talvolta sulle spalle di Giuseppe (fig. 1) che fugge con lui per sottrarlo alla strage degli Innocenti decisa da Erode a Betlemme (Mt 2,16-18), prima del ritorno a Nazaret (Mt 2,1923) dopo un soggiorno in terra straniera di durata difficilmente stimabile (i testi canonici non dicono nulla al riguardo, cosa che non ha impedito ai pittori che hanno trattato Il ritorno dall’Egitto di confessare in tal modo la loro idea sulla durata del soggiorno della Sacra Famiglia nel Paese dei Faraoni). Gesù divenne, per la maggior parte dei pittori, un ragazzino capace di camminare tra i propri genitori, dando loro la mano (fig. 2) e persino di cavalcare un asino senza cadere (fig. 3), preludio alla scena del ritrovamento al Tempio

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Fig. 1: Il sogno di Giuseppe e La fuga in Egitto, 1143, mosaico bizantino della Cappella Palatina del Palazzo Reale (o dei Normanni), Palermo.

Fig. 2: Giovanni Francesco Romanelli, Il Ritorno dall’Egitto, 1635-1640 ca., olio su tela, 168,6 × 197,4 cm Museo Nazionale di Arte Catalana, Barcellona.

di Gerusalemme quando Gesù, ormai dodicenne, fu ritrovato dopo tre giorni di ansiosa ricerca del figlio da parte dei suoi genitori (fig. 35, 39, 53, 55). Molti altri dipinti, invece, sono privi di qualsiasi base testuale canonica, hanno echi di narrazioni apocrife o leggende, o riflettono semplicemente l’immaginario del singolo in ciò che ha di permeabile se non addirittura soggetto ai bisogni, fantasie, curiosità e/o preferenze spirituali di un artista o del suo committente, di una corrente o di un’epoca. Rientrano in questo caso le innumerevoli varianti di un grande soggetto come Gesù tra le braccia di sua madre: ieratico, ritto come un adulto nell’atto di insegnare o di regnare, di benedire solennemente, oppure, al contrario, mentre si nutre al seno della madre, la abbraccia, le prende la mano o le tocca il mento, si pone guancia a guancia, si mette un dito in bocca, sfoglia distrattamente le pagine di un libro che la madre sta leggendo, o sembra concentrarsi sulla lettura di un piccolo libro d’ore (fig. 4) o tiene un uccellino, una mela, una pera o un melograno. Nella medesima linea, i dipinti nei quali Gesù viene presentato

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La maggior parte delle opere d’arte che lo pongono al centro, cedendo al gusto della meravigliosa esaltazione attraverso la pietà, mostrano un bambino che, per certi versi, non è veramente tale. Questo vale quando lo si mostra, senza valido motivo, completamente nudo (fig. 6 , 10, 11, 12, 15, 18, 24, 27, 28, 29, 42, 45, 46, 51, 67), mentre tutti gli altri protagonisti sono vestiti: si tratta di una caratteristica così frequente che è opportuno fermarsi a rifletterci – ammesso che la si noti, poiché siamo così abituati a tale iconografia che sovente non ce ne stupiamo – perché sembrerebbe che il suo corpo non temesse né il freddo né le correnti d’aria, se non fosse per il fatto, spesso sottolineato dagli specialisti della storia dell’infanzia, che la nudità, soprattutto la sua, ha spesso costituito un simbolo o un indice di semplicità, di purità e di innocenza, oppure di vulnerabilità. La mancata raffigurazione di una vera infanzia emerge anche dall’enfatizzazione di un atteggiamento e/o dei suoi gesti, intesi conformemente a ciò che la saggezza implica, che gli conferiscano una gravità insolita per un bambino di quest’età e ne facciano, più che un bambino, un adulto in miniatura (fig. 7 , 16, 18, 25, ecc.), apparentemente sicuro di sé, precocemente consapevole della propria missione e della propria identità divina, che sfoggia la sicurezza di un insegnante in carriera che il pittore avrebbe colto nell’esercizio della sua “professione” di salvatore del mondo e di luce delle nazioni.

Un doppio compito

mentre si esercita a camminare con un girello, gioca con un agnello o con Giovanni Battista, con dei compagni, usando una tiorba, un salterio o un flauto in compagnia di angeli in un giardino simbolico chiamato “paradiso”, che aiuta obbedientemente i suoi genitori portando a casa l’acqua, assistendo sua madre nella filatura e suo padre nella bottega da carpentiere (fig. 5), stendendo il bucato, andando a scuola, imparando a leggere, a scrivere o a pregare, per non parlare poi delle diverse composizioni con la Sacra Famiglia sola o estesa alla Santa Parentela, o combinata con la Trinità, ecc. Complessivamente c’è un grande contrasto fra la profusione di opere d’arte che raffigurano Gesù bambino in posizione d’onore e la notevole, quasi strana, discrezione – se si pensa all’abbondanza di dettagli forniti dagli scritti sull’infanzia di altri fondatori di religione –, dei Vangeli considerati ispirati dalla Chiesa su ciò che fu concretamente l’infanzia di Gesù di Nazaret, a parte quei rari episodi riportati dai Vangeli canonici e sopra citati.

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Fig. 3: Il Ritorno dall’Egitto, miniatura dalla Bibbia di Holkham, 1320-1330, British Library, Add. Ms 47682, f. 17v, Londra.

La presente ricerca è dedicata a questo importante evento iconico, che forse non ha ancora avuto l’attenzione che merita da parte degli storici dell’arte religiosa, dei teologi e storici della mentalità religiosa, e che quindi resta da costruire e interpretare. In altre parole, stiamo perseguendo qui due obiettivi interdipendenti. Il primo è quello di creare una collezione parlante di immagini d’arte che abbia come soggetto Gesù Bambino e di elaborare una tassonomia che consenta di classificarle non in base ai loro supporti (mosaici, affreschi, miniature, quadri da cavalletto, ecc.), né secondo gli stili (arte paleocristiana, bizantina, carolingia, romanica, gotica, ecc.), nemmeno secondo l’ordine cronologico della loro esecuzione, ma in funzione di quello che “dicono” o sembrano dire «sull’orlo del visibile parlare» di ciò che è stata l’infanzia di Gesù, o se si preferisce, di ciò che presumono essere stata concretamente la sua infanzia. Ma sembra necessario, per farci capire, ricordare innanzitutto che nella vita di Gesù, rifacendosi a quanto insegnano gli storici dell’infanzia11, si possono distinguere quattro grandi periodi che precedono il suo ministero pubblico: quello del “piccolo Gesù” (dalla nascita ai 2 anni circa, l’età del presunto svezzamento), di Gesù “piccolo bambino” (dai 2 ai 7 anni), di Gesù ragazzo (dai 7 ai 12 anni) e di Gesù adolescente, giovane uomo e poi giovane adulto (dai 12 ai 30 anni). La maggior parte delle opere di riferimento dell’arte cristiana, in questo senso fedeli ai Vangeli canonici e rispettose dei loro silenzi, passano direttamente dagli episodi della Natività e della fuga in Egitto al ritrovamento di Gesù nel Tempio di Gerusalemme, e da qui al Battesimo di Gesù al Giordano12. La multiforme tradizione delle immagini cristiane, tuttavia, non ha mancato di colmare le lacune narrative dei Vangeli e di inventare immagini.

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Fig. 4: Andrea Previtali, Madonna col Bambino tra i santi Gerolamo e Anna, 1511-1513, olio su legno, 87,5 Ă— 119,6 cm, Accademia Carrara, Bergamo.


Fig. 5: Mateu Lopez, Il Falegname di Nazareth, 1580-1582, olio su tela, 124 × 124 cm, Monastero di San Bartolomeo Maggiore, Maiorca, Isole Baleari.

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A fronte: Fig. 6: Willem Vrelant, Il Bambino Gesù in un giardino chiuso, miniatura dal Libro d’ore Arenberg, 1460 ca., tempera, oro e inchiostro su pergamena, 25,6 × 17,3 cm, J. Paul Getty Museum, Los Angeles.

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Innanzitutto c’è la sua prima infanzia, che si estende dalla sua nascita alla fuga in Egitto, in cui il Gesù della pittura ha invariabilmente l’aspetto di un bimbetto perfetto sotto ogni aspetto, sempre idealmente bello e che spesso irradia una luce soprannaturale, sovente grave o apparentemente impassibile più che non realmente rilassato, talvolta sorridente13, ma mai in lacrime. Ci concentreremo successivamente sui quadri che assegnano gesti e posture da adulto al “piccolo Gesù”, poi su quelli, molto meno numerosi, che, al contrario, lo hanno mostrato impegnato in attività ordinarie per un bambino, e infine su quelli che lo hanno ritratto con un preciso presentimento riguardante la propria morte o mentre si intrattiene a questo riguardo, se non con i suoi genitori o con Giovanni Battista, almeno con il Padre del cielo e gli angeli. Per il doppio periodo che passa tra il ritorno a Nazaret e il ritrovamento nel Tempio, cioè fino alla sua pubertà, passando per il suo accesso a quella che il cristianesimo medievale designerà come l’“età della ragione”, c’è l’imbarazzo della scelta. È soprattutto di questa ricchezza, che sembra colmare le lacune narrative dei Vangeli canonici, che sarà importante definire i contorni ed elencare, gerarchizzandoli, i temi e i sottotemi. Questo secondo periodo, nel corso degli ultimi tre secoli del Medioevo (xiii-xv secolo), poi del pre-Rinascimento e del Rinascimento (xv-xvi secolo) e del Grande Secolo (xvii secolo), è quello che ha dato luogo allo sfoggio dell’immaginazione più inventiva. Per la quarta parte della sua infanzia, quella che conduce Gesù dall’età di 12 anni al Battesimo ricevuto da Giovanni Battista sulle rive del Giordano, quando aveva “circa trent’anni” (riferimento approssimativo che si trova in Lc 3,23, subito dopo il racconto del battesimo ad opera di Giovanni: «Gesù, quando cominciò il suo ministero, aveva circa trent’anni»), le opere d’arte non sono numerose benché questo periodo della vita di Gesù fu indiscutibilmente il più lungo di tutti, durato più della metà del tempo della sua esistenza terrena. Tra queste si annoverano una serie di Salvator Mundi in busto ispirati a Leonardo da Vinci, che mostrano un Gesù di circa 16 o 18 anni, e sulla quale ritorneremo nel primo capitolo; un quadro molto originale di Benjamin Constant, al quale dedicheremo spazio nel secondo capitolo (fig. 56); e infine L’ombra della morte di William Holman Hunt14, con un Gesù adulto nella bottega di Nazaret, con le braccia alzate che disegnano con la loro ombra la sua posizione in croce – ne riparleremo nel capitolo terzo nell’ambito della galleria di quadri incentrati sui presentimenti della passione (fig. 69). Per Gesù dalla nascita alla pubertà, al contrario, le opere d’arte in questione sono così numerose che si possono classificare in vari ordini: cronologico (le tappe di una storia dell’infanzia di Cristo nell’arte, correlate alla storia delle concezioni dell’infanzia che le società latine hanno elaborato nel corso dei secoli15), stilistico (il modo in cui il corpo e le attività di un bambino sono state rese secondo le grandi tappe della storia dell’arte16) e teologico (le diverse concezioni dell’infanzia del Salvatore prodotte dalle varie scuole teologiche e correnti spirituali17). Ed è qui che entra in gioco in modo decisivo il nostro secondo obiettivo. Definisce senza dubbio la caratteristica principale della nostra ricerca e forse la più originale se non addirittura la più innovativa. Con questo libro, infatti, vogliamo non solamente fornire una classificazione ragionata del mondo delle immagini dell’infanzia di Cristo nell’arte, ma anche intraprendere una riflessione specificamente teologica sulle idee espresse e tradotte visivamente

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A fronte: Fig. 7: Bartolomeo Veneto, Gesù Bambino come Salvator mundi, 1502-1546, olio su legno di pioppo, 43,7 × 38,3 cm, Städel Museum, Francoforte.

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dalle opere d’arte che hanno per soggetto o per attore Gesù Bambino; e, in particolare, riflettere sulla questione di sapere se il Gesù dell’immaginario pittorico occidentale abbia avuto una vera infanzia, segnata da un certo numero di esperienze di apprendimento, e quindi se sia stato più o meno sottomesso alla legge della laboriosa progressività comune a tutti i bambini – questa scelta sottintende il fatto che difficilmente il problema si pone per la pittura orientale, quella delle icone, dal momento che sembra dare per acquisito una volta per sempre che Cristo non abbia avuto un’infanzia ordinaria. Un tale interrogativo si colloca all’incrocio fra teologia e antropologia ed equivale a chiedersi in quale misura si possano applicare a Gesù alcune delle principali categorie di questa scienza umana, come quella di “neotenia” con cui gli antropologi indicano il fatto che i piccoli dell’uomo alla loro nascita sanno molto meno rispetto ai piccoli dei conigli o delle mucche i quali non tardano a drizzarsi sulle loro quattro zampe. Prima di raggiungere una relativa autonomia, il piccolo dell’uomo deve attraversare un apprendimento lento e talvolta doloroso. Ma che ne è di Gesù Cristo, confessato come “Dio fatto uomo”, che è dunque nello stesso tempo “vero Dio e vero uomo”, se crediamo a ciò che afferma il Credo, come l’hanno creduto o finto di credere la quasi totalità dei pittori presi in considerazione dalla nostra ricerca? Dal momento che egli è Dio o dal momento che la sua umanità è unita alla sua divinità, trasformata e illuminata da essa, egli sa tutto fin dalla nascita e non ha nulla da imparare da nessuno, è al riparo da ogni fatica: questo non gli impedisce di fingere di imparare o di trattenersi dal correggere i suoi maestri per non attirare troppo l’attenzione. Ma se è veramente diventato uomo, se ha veramente assunto la condizione umana, cioè se la sua divinità non ha “assorbito”, cancellato o reso per così dire fittizia tutta la sua umanità, allora è stato sottomesso alle leggi e ai ritmi progressivi del primo apprendimento (camminare, parlare, leggere, scrivere), come tutti. Che cosa se ne può concludere? Come giudicare questo dibattito? Secondo quali criteri? I Vangeli e il Nuovo Testamento tacciono al riguardo. La tradizione degli apocrifi, la riflessione teologica, le visioni mistiche, le correnti di spiritualità hanno fornito elementi di risposta non sempre convergenti, che si riflettono nei quadri e nelle sculture, e fanno pensare.

Breve storia del problema Il nostro problema ha ovviamente una storia. È inseparabile dall’emergere di una devozione a Gesù Bambino che è stata illustrata, tra gli altri, da una serie di teologi e di autori spirituali che potrebbe aver avuto origine, o perlomeno trovato un potente promotore, in Bernardo di Chiaravalle e nella visione della Natività che egli ebbe, secondo quanto riportato dal suo biografo Guglielmo di Saint-Thierry: «Il piccolo corpo fragile di Gesù Bambino, i suoi vagiti e le sue lacrime, sono per me. È per me che accade tutto questo. Tutto mi viene donato affinché io ne imiti l’esempio»18. L’imitazione di Gesù Bambino consisterà costantemente nel riprodurre la sua semplicità, l’umiltà, l’affidamento filiale, la “piccolezza” e la docilità fino alla mistica dell’“annientamento” di sé. Il tema della Lattazione di San Bernardo – che ha dato origine a numerosi dipinti “letteralisti”, con la

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Vergine che si slaccia il corpetto e fa fuoriuscire uno zampillo di latte fino alla bocca socchiusa del santo e che fu ridicolizzato da Lutero19 –, è strettamente legato a questa mistica dell’Infanzia che sfocia in metafore di successo facendo di San Bernardo e dei suoi discepoli dei lattanti che aspirano a ricevere il latte della saggezza dal seno stesso della Vergine Maria, Madre dei credenti. Allo stesso modo, questa spiritualità ha favorito la devozione alla Sacra Famiglia20 che ha suscitato migliaia di quadri e incisioni soprattutto a partire dal xvi secolo, e anche delle sculture a tuttotondo (come il gruppo scultoreo del Museo Diocesano di Vicenza), per non parlare delle graziose culle in legno o argento nelle quali molte religiose hanno cullato un piccolo Gesù21. La discendenza prosegue con Aelredo di Rievaulx (1110-1167), autore di un De Jesu puero e Francesco d’Assisi (1181-1226), di cui è ben noto il ruolo pionieristico nella diffusione della contemplazione del presepe; seguono Antonio da Padova (1195-1231), Bonaventura (1217 o 1221-1274), Ubertino da Casale (1259-1330), le Meditationes Vitae Christi dello Pseudo-Bonaventura (ca. 1300), la Vita Christi di Ludolfo il Certosino (ca. 1300-1378), Jean Gerson (1363-1429), Teresa d’Avila (1515-1582)22, Bérulle (1575-1629), Margherita del Santissimo Sacramento (1619-1648) con il suo “fratello spirituale” Gaston de Renty (1611-1649), Jean-Jacques Olier († 1657), il fondatore della Compagnia di Saint-Sulpice23, Madame Guyon (1648-1717)24. Nell’arte, l’esaltazione dell’infanzia di Gesù si manifesta in strani quadri in cui si vede Maria in cielo che adora Gesù Bambino, ancora una volta completamente nudo, come nel dipinto della chiesa di San Fermo a Verona. Prosegue poi nel corso dei secoli successivi, ovviamente con Santa Teresa del Bambino Gesù (18731897)25, per non parlare di Teresa Benedetta della Croce, alias Edith Stein (1891-1942)26 e Madre Yvonne-Aimée de Malestroit (1901-1951)27. Il soggetto è appassionante perché complesso; e se è complesso, lo è in virtù del carattere profondamente intricato delle percezioni che provengono dalla storia del pensiero e di quelle che derivano da a priori propriamente teologici. I teologi scolastici, in particolare San Tommaso d’Aquino, commentando Lc 2,52 («E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini»), per la maggior parte hanno insegnato che la scienza di Cristo non è potuta crescere quantitativamente: essendo Dio, egli conosceva tutto, per scienza infusa, fin dal momento del suo concepimento. Al contrario, la sua scienza si è sviluppata qualitativamente, il grado di certezza attraverso cui conosce e la sua capacità di dimostrare e di trasmettere, non avendo cessato di crescere28. È difficile dire in che misura (e ancora più difficile credere che) la tradizione pittorica cristiana sia stata influenzata da queste convinzioni teologiche al punto da suggerire ai pittori di dare a Gesù Bambino l’aspetto di un saggio onnisciente. A nostro avviso, il rischio non è stato completamente scongiurato da una certa quantità, se non di monofisismo nel senso stretto e dogmatico del termine, almeno di docetismo più o meno involontario o addiriturra totalmente inconscio, che consiste nel dare per scontato che Gesù, essendo Dio e sapendo di esserlo, sarebbe stato dispensato delle lungaggini dell’accesso alla coscienza di sé legate allo stato infantile, essendo la sua umanità in questo senso solamente un’apparenza, un “trompe-l’œil”. Ma probabilmente è anche necessario stabilire una connessione tra la serietà del Gesù Bambino dei pittori e una percezione assai diffusa fino alla fine dell’Ancien Régime, quella della presunta precocità dell’“età della ragione”, così come formulata da Philippe Ariès:

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Nel Medioevo, all’inizio dei tempi moderni, ancora per un pezzo nelle classi popolari, i bambini andavano a confondersi con gli adulti appena erano ritenuti capaci di fare a meno delle madri o delle nutrici, pochi anni dopo un divezzamento ritardato, a sette anni circa. Da questo momento essi entravano di colpo nella grande comunità degli uomini29.

Ora, se questa tesi ha avuto uno straordinario impatto negli anni ’60 subito dopo la sua prima pubblicazione, da allora è stata corretta se non addirittura contraddetta da diversi autori, fra cui in prima fila storici francesi come Pierre Riché, Christiane Klapisch-Zuber, Danièle Alexandre-Bidon e Didier Lett30, e anche Françoise Dolto31. Ad ogni modo, la pittura cristiana ha assegnato massicciamente a Gesù dei presentimenti della propria Passione con una precisione allucinante (fig. 8) o nelle statue devozionali con posture da adulto (fig. 9) laddove, al contrario, la sua ipotetica età è ancora lontana dal limite dei sette anni. Che cosa significa dunque tutto ciò? Rinviamo alla conclusione il compito di fare il punto su questa delicata questione ermeneutica, che comunque non mancherà di chiarirsi nello scorrimento della presentazione del dossier iconografico. Questa ricerca è stata strutturata in tre serie di immagini la cui successione ubbidisce, lo ripetiamo, non all’ordine cronologico di apparizione delle opere, dei soggetti e dei motivi implicati (che tuttavia non sarà ignorata), ma piuttosto alla logica di una “questione controversa” nel senso tecnico della disputatio medievale, quella di un dibattito contradditorio organizzato, in cui gli schemi di composizione e i motivi prendono il posto degli argomenti. Si trovano così all’inizio del libro quelli che danno l’impressione che la figura di Gesù Bambino testimoni una coscienza di sé e della sua missione che lo taglia fuori dalla regola comune: questo bambino sembra sapere già tutto e non aver bisogno di alcuna educazione (i). Si propone poi un campione di opere d’arte che, al contrario, lascerebbe intendere che Gesù fu un bambino come gli altri o quasi, che dovette imparare e che i pittori hanno mostrato impegnato nelle più comuni attività della vita quotidiana (ii). Un terzo sotto-dossier raccoglie le immagini che mostrano Gesù come un bambino ordinario (o quasi) ma colto da precisi presentimenti riguardanti il suo destino (iii). Ogni sotto-dossier è oggetto di un’introduzione sintetica ed è poi illustrato da una selezione di immagini d’arte commentate una dopo l’altra, alcune in maniera rapida, che non vanno oltre una breve menzione descrittiva, e altre che necessitano di un’analisi più dettagliata data la loro indubbia originalità significativa. La nostra conclusione ritorna sull’impostazione seguita e sul metodo impiegato. Tenta di fare da ponte fra la nostra ricerca di storia dell’arte e di antropologia e la discussione che ha scosso le correnti teologiche negli anni 1960-1980, e si può riassumere in una domanda apparentemente semplice: «Gesù sapeva di essere Dio?».

A proposito scrittura di questo libro Ancora una parola, senza aspettare la conclusione, sulla scrittura di questo libro, che è stata un’avventura, e su come leggerlo, che potrebbe anche esserlo. Fino all’ultimo abbiamo esitato a decidere in quale dei tre capitoli collocare alcune famiglie di dipinti. Se-

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A fronte: Fig. 8: Luca Giordano, Sacra famiglia con i simboli della Passione, 1660, olio su tela, 430 × 270 cm, Museo di Capodimonte, Napoli.

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A fronte: Fig. 9: Gesù Bambino benedicente, xvii secolo, Spagna, Sotheby’s.

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condo il modo in cui viene trattato, infatti, un soggetto quale Gesù tra i Dottori ha dato origine ad opere che si classificano tranquillamente fra quelle che testimoniano un Gesù onnisciente, o altre, al contrario, che hanno saputo proporre un Gesù umanamente plausibile, tutto eccitato, come può esserlo un adolescente dotato che prende coscienza di sé, della sorpresa ammirata degli anziani… Voglia pertanto il lettore superare l’impressione, che probabilmente talvolta avrà, di una redazione tentennante, tenendo conto del fatto che l’oggetto del libro è innovativo e il piano da seguire ha dovuto essere altrettanto inventivo. L’approccio adottato non obbedisce infatti ad una logica concepita a priori e il risultato della nostra ricerca non si presenta, al pari delle nelle scienze esatte, come un sistema ipotetico-deduttivo. Tutt’altro. Siamo d’accordo sul fatto che il nostro modo di procedere è per buona parte sperimentale e opportunistico, nel senso che la raccolta di immagini assemblate è il risultato di una “mietitura” in cui la ricerca sistematica non è più importante delle scoperte. La costruzione del libro è empirica dall’inizio alla fine, nel senso che solo lo studio di centinaia se non addirittura di migliaia di immagini ha portato a raggrupparle in modo tale che il piano stesso del libro ha finito per emergere. Ne risulta una difficoltà di lettura per il lettore, difficoltà di cui siamo ben consci: probabilmente citiamo e commentiamo centinaia d’opere d’arte mentre il libro ne riproduce circa settanta. Conserviamo tuttavia la speranza che, nonostante questo, il volume risulti leggibile e che la descrizione sommaria o il titolo delle opere non riprodotte siano abbastanza suggestivi da permettere di seguire il ragionamento. Il soggetto di questo libro non ha precedenti in opere simili del passato. Non siamo a conoscenza di “manuali di pittura” né di opere di teologi e ancor meno di decreti conciliari che abbiano un capitolo in cui si forniscono istruzioni generali riguardanti la rappresentazione artistica di Gesù Bambino: non si trova nulla nel manuale di Dionisio da Furnà32 né nel trattato De historia SS. Imaginum di Molanus (1570; 1594 Ingolstadt)33; la stessa cosa accade per le liste delle immagini condannate (e persino nelle liste di diritto canonico nella sua versione del 1917). Non è mai stata intrapresa una simile indagine sul confine comune fra teologia e storia dell’arte. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i contatti fra teologia e arte possono riservare agli studiosi sorprese: lo dimostra, nella visione di Pietro d’Alessandria che confutò l’eresia di Ario (che si vede sdraiato a terra, accecato), un giovane Gesù nudo e asessuato, che benedice, prova irrefutabile dell’Incarnazione di Dio difesa dal primo concilio ecumenico di Nicea (fig. 10). Siamo felici di presentare, in questo saggio, ben altre sorprese visuali ricche di significato. Gesù è un soggetto che suscita numerosi titoli ogni anno, da quando esiste la stampa o quasi34. I libri che sono stati pubblicati sull’infanzia di Gesù – e ne esistono di eccellenti – da pastori (se non addirittura da papi35), vescovi-teologi36, esegeti37, storici38, specialisti del pensiero religioso39 o della spiritualità40, scrittori cristiani e/o saggisti di ogni sorta41, generalmente non dedicano spazio (o fanno pochissimi riferimenti) a ciò che del loro tema è presente nella storia dell’arte, se non con allussioni piuttosto eclettiche. Ma è altrettanto vero il contrario: i libri di storia dell’arte su Gesù bambino42 sono privi di qualsiasi problematica teologica. Non ne conosciamo nessuno che si sia dedicato alla storia delle concezioni dell’infanzia di Gesù e/o alla loro classificazione metodica, immagini alla mano. Non abbiamo sicuramente l’ambizione di colmare questa lacuna,

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ma solamente, come abbiamo detto sopra, di proporre una panoramica strutturata delle immagini che dicono qualcosa di come è stata quest’infanzia, e di proporre un abbozzo di riflessione al riguardo.

Sull’illustrazione Il problema sollevato riguarda la stragrande maggioranza delle opere d’arte che pongono l’attenzione sulla figura di Gesù Bambino. Abbiamo quindi chiamato a testimone diverse centinaia di opere d’arte provenienti da tutto il mondo e di ogni epoca. Idealmente, il nostro libro richiederebbe quindi un’ampia documentazione iconografica, dal momento che riguarda sia l’arte orientale che quella occidentale, l’arte paleocristiana e quella successiva, sia l’arte accademica che quella devozionale, pia o catechetica. Poiché la pubblicazione di libri cartacei non attraversa una fase delle più gloriose della sua storia, siamo ancora più riconoscenti verso gli Editori per averci incoraggiato ad arricchire il dossier iconografico. Abbiamo preferito concentrarci sostanzialmente sulle opere d’arte occidentali, posteriori al 1300 (la più antica di quelle riprodotte è trecentesca): Simone Martini) e ristrette all’arte della pittura e della scultura (nonostante il ruolo giocato, tra l’altro, in questo campo dall’arte dell’incisione e del disegno). Queste ultime restrizioni sono giustificate se non altro da una misura di austerità: ciò che l’arte ha da dire sull’infanzia reale o fittizia di Gesù è stato molto più evidente in Occidente che non in Oriente, e nell’arte del tardo Medioevo, del Rinascimento e dell’epoca moderna. Alcune opere d’arte contemporanea potrebbero essere sufficienti a suggerire che il dibattito non è affatto superato.

A fronte: Fig. 10: Visione dell’Incarnazione, 1321 ca., affresco, Monastero di Gra/anica, Kosovo.

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I

Gesù conosceva tutto fin dall’inizio?

Alcune delle opere d’arte che rappresentano Gesù all’inizio della sua vita non sorprendono l’osservatore contemporaneo, poiché il giovane Gesù che esse contengono assomiglia effettivamente ad un bambino normale, seppur migliore. È questo il caso, in linea di massima, della figura di Gesù di cui si occupa la maggior parte dei libri illustrati sul Natale e sulla Natività nell’arte1: anche se le diverse scene di questo ciclo sembrano immerse in una luce che ha il sapore del meraviglioso, la figura stessa del neonato non ha nulla che susciti curiosità, sembra “normale”, è considerata “commovente” e non è sorprendente. Quando ad esempio Gesù, che giace nella mangiatoia e sorride ai suoi genitori o ai pastori e sembra scrutarli (fig. 11), può essere particolarmente grazioso senza tuttavia cessare di essere un bambino come gli altri, davanti al cui fragile fascino i genitori sono in ammirazione o vanno addirittura in estasi (fig. 12)2. La scelta dei pittori di dotare questo bambino di uno splendore soprannaturale, nella quale si può sicuramente intravedere l’eco del finale del vangelo apocrifo dello Pseudo-Matteo («Mentre Gesù dormiva, sia di giorno che di notte, splendeva su di lui lo splendore di Dio»3), è senza dubbio, più semplicemente, un modo convenzionale di tener conto del dogma cristologico e di condividere la fede comune. Non significa in ogni caso credere o far credere che Gesù sapesse tutto di se stesso sin dalla culla, non si trarrà quindi qui alcuna conseguenza da questo insolito splendore nei neonati. In compenso alcuni “dettagli” possono essere percepiti dall’osservatore dell’inizio del xxi secolo come indicativi di una percezione di Gesù Bambino come eccezionale, in particolare certi gesti, come quello di spalancare lo braccia o di benedire, ai quali, a forza di vederli, non prestiamo più molta attenzione e li trattiamo, appunto, come dei dettagli insignificanti4. Tuttavia non lo sono affatto, come cercheremo di dimostrare. Questo capitolo si propone innanzitutto di scoprire questi motivi e costituire il loro lessico, prima di passare in rassegna le principali tipologie iconografiche in cui sono usati, in particolare quelle che mostrano Gesù nello svolgimento di funzioni che di solito non sono quelle di

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un bambino, soprattutto quando regge delle insegne insolite ed è vestito da re o imperatore, guerriero, sommo sacerdote, insegnante, buon pastore o da salvatore del mondo. Elencheremo poi i poteri paranormali che sono stati attribuiti a Gesù da vari testi (per lo più apocrifi) prima di essere messi in scena dai pittori. Infine, un paragrafo sarà dedicato alla figura di Gesù Bambino che insegna e all’episodio di Gesù ritrovato dai suoi genitori nel Tempio di Gerusalemme fra i Dottori della Legge, mentre li sbalordisce con la sua saggezza.

Un bambino dai gesti da adulto Benedire con la mano destra, stendere le braccia in un gesto di accoglienza, tenere in mano un libro come un prete tiene un messale o il suo breviario, reggere un globo o uno scettro, stare dritto come una candela in piedi su di un trono, sono tutti gesti e atteggiamenti che non sono propri di un bambino e che contraddistinguono piuttosto le funzioni politiche o religiose riservate agli adulti, senza ignorare la lunga tradizione dei simboli del potere posti nelle mani dei giovani eredi dei sovrani regnanti, a partire da alcuni affreschi dell’antico Egitto fino ad arrivare ai ritratti delle dinastie francesi o tedesche. Ognuno di questi motivi ha avuto una sua storia nell’arte cristiana, la quale meriterebbe di essere ripercorsa accuratamente ogni volta. «La pura frontalità diventa la norma nell’arte religiosa fin dal vi secolo»5 come segno di sovranità e sacralità. Le Meditazioni dello Pseudo-Bonaventura non lasciano spazio a dubbi: sebbene non parli, Gesù Bambino «è serio e maturo, come se capisse ogni cosa»6. Per non correre il rischio di compiere un’indagine interminabile, forniremo semplicemente un primo tassello della storia dell’attribuzione a Gesù Bambino dei gesti di benedizione, di apertura delle braccia e del reggere il globo o lo scettro. Benedire Il gesto è stato attribuito a Gesù fin dalle più antiche icone della Madre di Dio, come quella di Santa Maria Antiqua del vi secolo (oggi Santa Francesca Romana), in cui il Bambino, girato verso sua Madre, sembra dirigere il suo gesto verso di lei7, senza voltarsi verso coloro che guarderanno questa icona, al punto che ci si può domandare chi il Verbo fatto carne stia benedicendo, e anche se stia benedicendo delle persone o facendo un gesto di benedizione “identitaria”, per auto-designarsi come colui che ha autorità. Il dubbio sulla direzione e sui destinatari di questo gesto riguarda molte icone della Madre di Dio e continua fino ai nostri giorni. È il caso, ad esempio, del mosaico absidale di Hosios Loukas (xi secolo), dell’icona della Madonna Salus Populi Romani del xii secolo esposta a Santa Maria Maggiore a Roma8, o della Madonna di San Luca (xii secolo) del Santuario della Guardia a Bologna9. Ma questo stesso gesto si trova anche nel xiv secolo in un’icona del museo di Ocrida10 (fig. 13), nel xv secolo in una Odighítria conservata a Mosca e in una delle immagini più venerate in Italia, la Madonna Consolata dell’omonimo Santuario di Torino, del xix secolo, così come sotto il pennello di iconografi del xx secolo, come nella Madonna di Kazan dipinta dal monaco Gregorio Krug (1908-1969).

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A fronte: Fig. 11: Lorenzo Lotto, Adorazione del Bambino, 1523, olio su tavola, 46 × 34,9 cm, National Gallery of Art, Washington.

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Occorre attendere il vi secolo perché appaiano e il ix perché si diffondano le figure di Cristo disposto frontalmente e con il gesto di benedizione rivolto, questa volta in modo chiaro, agli osservatori. Così il Cristo bambino del mosaico absidale di Santa Sofia a Costantinopoli, eseguito fra l’842 e l’867. La Madre di Dio della cattedrale di Santa Sofia di Ocrida (ca. 1050) tiene davanti a sé un Cristo che benedice con la destra e porta un rotulus nella sinistra (fig. 13). Vestito con cura, come un adulto, con la vita cinta da un panno, egli tiene la testa perfettamente dritta e guarda fisso davanti a sé. Quanti anni dargli? La statura è quella di un bambino, ma la sua postura e il viso lo fanno assomigliare piuttosto a un adulto. Le icone della Madre di Dio mostrano sovente un Cristo bambino seduto o più raramente in piedi sulle ginocchia di Maria, costituita così come Trono della Saggezza, e che benedice con la destra o a due mani con le braccia spalancate. Tra le numerose tipologie di questa famiglia di icone, quelle ad essere principalmente interessate da questo motivo sono l’icona dell’Odighítria («Colei che mostra la via»), in cui la Madre indica suo Figlio e questi sua madre attraverso un gesto di benedizione, e la Madre di Dio Znamenie («Madre di Dio del Segno»), dove l’Emmanuele è dipinto in un medaglione posto sul petto della Vergine, la quale tiene le braccia alzate in segno di preghiera. Un bell’esemplare è fornito dall’icona della Grande Panaghia (194 × 120 cm) del xiii secolo, esposta alla Galleria Tret’jakov di Mosca. Alcune rare icone mostrano l’Emmanuele visto da vicino, di una gravità eccezionale, dove l’attenzione è posta sul suo volto e sul suo sguardo, come quella del Museo Andrej Rublëv a Mosca. Nell’arte occidentale, alcuni antichi esemplari di Gesù Bambino che benedice in modo solenne provengono da scene come l’Adorazione dei Magi. Così sul capitello policromo della chiesa di Chauvigny e in molte “Vergini romaniche”, gruppi scolpiti in legno policromo. Ma nella statuaria gotica il gesto ieratico è stato presto posto in concorrenza da teneri scambi fra la madre e il Bambino, tanto che siamo portati a domandarci: fino a quando si vedrà Gesù Bambino benedicente nell’arte occidentale? Tutto dipende, certamente, dalla definizione che si dà dell’arte, e se essa include anche immagini, oggetti di pietà e illustrazioni catechetiche. Ma per quanto riguarda l’arte cristiana nel senso nobile e più tradizionale del termine, il gesto potrebbe aver subìto un’eclissi da diversi secoli. Nella Madonna delle ombre, un affresco monumentale del convento di San Marco a Firenze realizzato intorno al 1440, Beato Angelico dipinse un Gesù Bambino che è indubbiamente uno degli ultimi dell’arte occidentale ad essere disposto in modo perfettamente frontale in una Madonna con Bambino (fig. 14). La sua mano destra è alzata, ma la posizione delle dita non dà l’impressione che stia benedicendo stricto sensu; allo stesso modo ci si può domandare se il globo che tiene sia stato ben compreso, dato che riporta la divisione tripartita della sfera terrestre, che non è il significato tradizionale di questo simbolo. Il gesto di benedizione fatto da Gesù si diffuse nell’arte del Rinascimento: ne è testimone il dipinto di Giulio Romano, La Madonna Hertz (fig. 15), in cui Maria, senza guidare direttamente il gesto del bambino, lo incoraggia sostenendogli il gomito. Alla fine del xix secolo si assiste ad un ritorno tardivo della sua fortuna. Émile Munier (1840-1895),

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A fronte: Fig. 12: Raffaello, Madonna dell’Impannata, 1513-1514, olio su tavola, 158 × 125 cm, Palazzo Pitti, Firenze.

Alle pagine seguenti: Fig. 13: Vergine in trono con Bambino, 1050 ca., affresco, Cattedrale di Santa Sofia, Ocrida. Fig. 14: Beato Angelico, Madonna delle ombre, 1439, affresco tra le celle 25 e 26, 195 × 273 cm, Convento di San Marco, Firenze.

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un allievo di William Bouguereau (1825-1905), in occasione della prima comunione di sua figlia Marie-Louise dipinse un Gesù Bambino benedicente con la mano sinistra posata sul petto, un apice nell’arte del kitsch molto apprezzato per decenni dai genitori dei comunicandi (fig. 16). Il gesto di benedire con indice e medio della mano destra alzati, anulare e mignolo piegati, esula decisamente dalla norma infantile. Allo stesso modo quello di congiungere le mani con i palmi attaccati (di cui è stato dimostrato che, per quanto riguarda la sua diffusione nella Chiesa, è contemporaneo all’epoca feudale e al gesto di obbedienza del vassallo nelle mani del suo sovrano) o le dita incrociate in segno di preghiera (più tardo nella storia dei gesti della preghiera). Alcuni Gesù Bambino sdraiati sulla paglia dipinti dall’Ottocento (fig. 17) non si limitano a raffigurarlo nell’atto di benedire, ma raggiungono il culmine del lato edificante dei dipinti attraverso uno sguardo estatico rivolto verso il cielo, dando così al neonato un “savoir prier”, una “capacità di pregare”, e una percezione del cielo che non sono sicuramente propri della sua età. Nel prossimo capitolo torneremo sulla questione se siano esistite delle immagini che ipotizzano che Gesù abbia dovuto imparare a pregare (fig. 42). In tutti gli esempi di benedizione che sono stati appena indicati, il gesto compiuto da Gesù si rivolge al popolo dei fedeli e agli osservatori. Ma Gesù è anche stato rappresentato mentre benedice e compie su un’ostia che si libra su un calice il gesto specifico di un sacerdote all’altare nell’atto di consacrare l’eucaristia. Così appare su un’immagine di devozione, un’incisione a colori degli anni 1460-1470, realizzata nell’Alto Reno e diffusa più in generale nei paesi tedeschi (fig. 18). Una simile immagine equivale a fare di Gesù bambino, nonostante la sua giovanissima età e la sua nudità, un prete nell’esercizio del suo ministero sacerdotale. L’arte devozionale ha continuato a realizzare simili immagini, questa volta con un Gesù Bambino sacerdote, vestito con una pianeta e una stola, soprattutto nella statuaria lignea policroma, fino al xix secolo. Aprire le braccia Fra i gesti che l’arte attribuisce a Gesù, ma che non sono usuali per un bambino normale, vi è quello delle due braccia spalancate in segno di accoglienza. Lo sguardo viene allora in rinforzo per abbracciare la potenziale assemblea rappresentata dagli osservatori, cioè l’umanità. Questo gesto può includere, a seconda del disegno delle braccia, delle allusioni sia al gesto del sacerdote all’altare, sia a quello di Cristo in croce. Ha una storia molto lunga, che siamo obbligati a sorvolare, ma che affonda le sue radici nell’arte paleocristiana e poi nell’arte bizantina. Passa ad esempio attraverso le icone della “Madre di Dio del Segno” che hanno spesso come motivo che orna il medaglione posto sul suo petto un Cristo che spalanca le braccia, come quello della Panaghia di Yaroslav, del xii secolo, e continua sino ai giorni nostri, come testimonia, fra le molte opere, la statua della Madonna col Bambino di Élie-Jean Vézien (1890-1982) nella chiesa di Sant’Antonio di Padova a Parigi (15ème arrondissement) e la sorprendete Vergine con il Bambino con le braccia alzate di Albert Roze, che domina sul duomo della basilica di Notre-Dame de Brebières d’Albert (Piccardia) (fig. 19). Nella chiesa di Chora (Kariye Camii a Istanbul), nella cupola del parakklesion, il Bambino tenuto dalla Madre di Dio spalanca le braccia e fa un

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A fronte:

Fig. 15: Giulio Romano, La Madonna Hertz, 1516-1517, olio su legno, 36 × 30,5 cm, Palazzo Barberini, Roma.

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gesto di benedizione con entrambe le mani (fig. 20). Questo Bambino è di una gravità e solennità insolite per la sua età. Il medesimo gesto si ritrova, compiuto in questo caso da un Cristo giovane uomo, solo e a mezzo busto, in un affresco medievale nel nartece del katholikon del monastero di Visoki De/ani in Kosovo (fig. 21). Questo gesto viene ripreso nell’epoca che costituisce l’epicentro della nostra ricerca nelle incisioni di “Gesù Bambino in fasce” prodotte dai venditori di immagini di rue Saint-Jacques a Parigi fra il 1660 e il 1700. Sono di due tipi molto simili. Nel primo caso, il Bambino troneggia sul globo terrestre, fra le nuvole, circondato da teste di angioletti e fiancheggiato da due angeli adoranti […] Questa composizione richiama il Gesù Bambino con il globo che l’Europa cattolica conosceva da almeno cento anni […]. Nel secondo caso, il Bambino si trova in piedi in mezzo alle nuvole, circondato su tutti i lati da teste di angioletti. Non compaiono più né i due angeli adoranti né soprattutto il globo terrestre.

In entrambi i casi Gesù è completamente vestito o avvolto in fasce e apre le braccia. Le didascalie delle diverse versioni di questo tema qualificano Gesù come gaudium angelorum e invitano effettivamente tutti i suoi angeli ad adorarlo. Gesù bambino è per così dire strappato da terra e trasportato in cielo. Una delle versioni più celebri è quella di François de Poilly (1623-1696), Oblazione al Santo Bambino Gesù, da parte di Mons. il Card. de Berulle, prima del 1671. William-Adolphe Bouguereau, già incontrato sopra, uno dei massimi pittori se non addirittura la figura di spicco dell’“arte accademica” – chiamata anche “art pompier” –, che si è dedicato alla pittura religiosa a partire dal 1877, realizzò diverse tele raffiguranti un Gesù Bambino (di quattro anni? sei anni?) nimbato, completamente nudo fra le braccia di sua madre (con gli occhi abbassati, anch’essa accuratamente nimbata), in atto di benedire con la mano destra (sempre allo stesso modo, con il pollice, l’indice e il medio leggermente dritti) e con le braccia aperte, un po’ come fanno i bambini quando desiderano essere sollevati dalla culla e, più tardi, saltare da un muro tra le braccia del padre, ma che le convenzioni dell’arte cristiana hanno trasformato in un gesto di accoglienza universale che non è sicuramente tipico della sua età. La più celebre tra queste tele è La Vergine con angeli (fig. 22). I dipinti di questo artista si trovano in tutte le collezioni pubbliche del mondo, da Cuba agli Stati Uniti e Canada, fino all’India e in Australia. È possibile vedere in tale accoglienza quasi universale di questa figura il segno che essa è percepita come avente qualcosa da dire, eloquente ed espressiva della fede cristiana ben oltre i confini dell’Europa. C’è una sorta di dialettica iconografica tra l’apertura delle braccia del Bambino e il fatto di rappresentarlo fasciato. Le fasce di stoffa, come si vedrà in seguito, possono stringere il corpo lasciando libere le braccia, oppure, al contrario, imprigionarle. A volte il Gesù dei pittori ha le braccia immobilizzate in una stretta fasciatura, la cui ragion d’essere era indubbiamente quella di assicurare la giusta forma: così nella Presentazione al Tempio di Mantegna (Berlino, Staatliche Museen, 1460), in cui comunque egli volge le spalle al som-

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Fig. 16: Émile Munier, Il Bambino Gesù benedicente, 1893, olio su tela, 41,9 × 33,9 cm, collezione privata.

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mo sacerdote. In tal caso, è scontato sottolinearlo, Gesù si trova impossibilitato a compiere gesti della parola con le mani o con le braccia. Quando invece le sue braccia sono lasciate libere, sebbene sia fasciato, il gesto delle braccia aperte acquista forza, per contrasto. Tenere il globo dell’universo Il reggere la sphaera mundi da parte di Gesù Bambino non è un motivo frequente nell’arte dell’icona e là dove lo si incontra può darsi che ciò sia dovuto a influenze dell’arte occidentale. Così su un’icona bulgara, la Madonna zoodochos peghe o «Fonte Viva» («Madonna fonte viva») del xix secolo, quindi una Madre di Dio “Fontana di vita”, con Gesù Bambino coronato, che regge globo e scettro, o su un’icona di Tirana, in Albania, anch’essa del xix secolo o ancora in un’icona ritrovata a Naxos in Grecia (fig. 23). In Occidente, invece, molti soggetti d’arte, che comprendono Gesù Bambino, gli pongono il globo nella mano sinistra. Come ad esempio le figure di San Cristoforo dipinte in scala monumentale all’interno o all’esterno delle chiese, che mostrano sulle spalle del santo un Gesù Bambino che benedice e porta il globo dell’universo (o eccezionalmente il globo terraqueo tripartito, come in un dipinto del Musée du Petit Palais ad Avignone), probabilmente per richiamare il testo della Legenda aurea in cui si parla del peso di «colui che porta il mondo». La pittura occidentale è servita spesso da tramite all’idea che Cristo, fin dalla sua infanzia, fosse responsabile del mondo. Il Gesù che regge il globo come un imperatore si incontra anche nei gruppi della Sacra Famiglia, come a Notre-Dame de Marceille vicino a Limoux. Si trovano anche dipinti il cui unico soggetto è Gesù Bambino in piedi, completamente nudo, che benedice con la mano destra e regge il globo del mondo con la sinistra (fig. 24). Questo motivo ebbe un enorme successo durante il periodo della grande espansione missionaria europea, soprattutto in Nuova Francia. Esiste infatti in Québec una tradizione di statuette della Vergine con Bambino che la mostra in piedi e coronata,

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Fig. 17: Gesù disteso nella paglia. A fronte: Fig. 18: Gesù benedice calice e ostia, 1460 ca., incisione, Alto Reno.

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Fig. 19: Albert Roze, Vergine con Bambino, 1927-1929, scultura in bronzo dorato su base di marmo, basilica di Notre-Dame de Brebières d’Albert, Piccardia. A fronte: Fig. 20: Vergine del segno, 1315-1317, affresco, Cupola del parekklesion della chiesa di Chora, Istanbul.

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Fig. 21: Cristo benedicente, 1337-1347, affresco del nartece, Chiesa del Pantocratore, Monastero di Visoki De/ani, Kosovo.

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A fronte: Fig. 22: William Bouguereau, Vergine con angeli, 1900 ca., olio su tela, 285 Ă— 185 cm, MusĂŠe du Petit-Palais, Parigi.

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mentre sostiene Gesù che regge il globo dell’universo. Allo stesso modo, statuette di Gesù Bambino, questa volta solo e in piedi, che regge il globo e benedice, sono conservate nei musei canadesi, di cui una in legno del xviii secolo al Musée des beaux-arts du Canada. Gesù Bambino è il patrono speciale del Petit Séminaire del Québec. La devozione corrispondente sarebbe stata introdotta in Nuova Francia dai Gesuiti nel xvii secolo. Per tornare al vecchio continente, una serie ben nutrita di giovani Salvator Mundi in busto proviene da diversi pittori italiani (Correggio, Vivarini, Giampietrino), tutti ispirati direttamente o indirettamente da Leonardo da Vinci (la pinacoteca di Brera di Milano conserva un suo disegno in cui Gesù non ha ancora trent’anni, ma non è possibile dargliene solo dodici), con un Gesù di circa 16 o 18 anni, come quello del Musée des Beaux-Arts di Nancy, di un pittore lombardo (forse Marco d’Oggiono) che trasforma la sphaera mundi in un mappamondo terrestre (fig. 25). Un dipinto di Correggio, intorno al 1515, mostra Gesù adolescente (con l’aspetto datogli da Leonardo da Vinci) con in mano un libro aperto e che indica all’osservatore, che lo guarda, un brano della pagina aperta: un Gesù adolescente in qualità di insegnante precoce. Nel gruppo spicca un Salvator mundi di Domenico Fetti, risalente al 1622-1623 e conservato al Metropolitan di New York: dà

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Fig. 23: Panagia Argokiliotissa, xviii secolo, tempera su legno, Monastero di Zoodochos Pigi, Grecia. A fronte: Fig. 24: Pinturicchio (attrib.), Bambin Gesù delle mani, 1492 ca., affresco staccato, 48,5 × 33,5 cm, Fondazione Guglielmo Giordano, Perugia.

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l’impressione di aver raggiunto la ventina, con un accenno di barbetta sul mento, mentre guarda gli uomini dalle nubi, cioè dall’alto (fig. 26). Queste diverse categorie di immagini di Gesù Bambino che regge il globo del mondo, indipendentemente dall’età attribuitagli dai pittori, sollevano la questione se il fatto di mettere questa insegna nella sua mano corrisponda a precise intenzioni teologiche o politiche oppure serva solo a identificare Cristo in modo convenzionale. In mancanza di documenti a sostegno della prima ipotesi, siamo propensi a privilegiare la seconda, il che non significa che consideriamo come privo di senso il fatto che la cultura visiva dell’Occidente si sia così a lungo abituata alla figura di un bambino o di un adolescente così caratterizzato, per esserne sorpresi così poco.

Posture solenni L’oggetto e il gesto convenzionali si accompagnano ad una postura, e anche la postura – come dimostrano chiaramente gli esempi che abbiamo appena citato – potrebbe non essere affatto conforme a quella di un bambino. Nel suo modo di sedere o piuttosto di troneggiare sull’arco trionfale di Santa Maria Maggiore a Roma nel momento in cui riceve l’omaggio dei re venuti dall’Oriente e vestiti alla moda persiana («frigia»), l’atteggiamento di Gesù è ricalcato su quello di un adulto: egli è allora l’Emmanuele, vero Dio e vero uomo, come nelle icone della Vergine del Segno. Ciò è ancora più chiaro quando compie un gesto di benedizione con la mano destra. La scena è animata da un rituale aulico (monumentale cuscino imperiale, trono dai braccioli gemmati, scorta angelica, Maria in posizione da augusta, ecc.). Non si nota immediatamente che l’età di Gesù è stata proporzionata a questo protocollo: lungi dall’essere un neonato, Gesù è un ragazzino vestito con una tunica, il che non coincide certo con l’età del racconto matteano dell’adorazione dei Magi (Mt 2,1-12), oltre al fatto che la sua età è in contrasto con quella che gli è stata attribuita dalla stragrande maggioranza delle opere d’arte relative a questa scena. Simili riflessioni possono essere fatte a proposito della Vergine con il Bambino in trono di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, un mosaico risalente al 569, in cui Gesù, vestito come un cittadino romano o un senatore, sta impeccabilmente dritto e frontale sulle ginocchia della madre. Ma questa volta, la relativa vecchiaia di Gesù in questa scena sembra logica: dal momento che si voleva un Gesù con l’aspetto da adulto, si è ritenuto necessario dargli l’età di circa sette anni… Dovremmo includere in questa ricerca, e considerare come prove che costituiscono altrettanti argomenti, le rappresentazioni di Cristo come soldato vincitore del male (mosaico, Ravenna, cappella del palazzo vescovile, vi secolo; miniatura, Salterio di Stuttgart, ix secolo) o come sovrano che siede sulla sfera del mondo, come in San Vitale di Ravenna? È evidente che queste opere, anche se rappresentano un giovanissimo Gesù adulto, non rimandano assolutamente a ciò che è stata o avrebbe potuto essere l’infanzia di Gesù, e non riflettono le idee che ci si è potuti fare al riguardo, non più delle figure di Cristo giovane ragazzo in molte immagini del Battesimo di Cristo dell’arte paleocristiana. A parte l’età attribuita a Gesù, nulla nell’iconografia di questi soggetti rinvia a Nazaret, né alla Sacra Famiglia, né agli episodi dell’infanzia di Cristo riportati dai Vangeli canonici. Riteniamo quindi di doverli tenere fuori dalla nostra indagine. Ma questo pregiudizio, tutto sommato, non può

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Fig. 25: Leonardo da Vinci (Bottega di Marco d’Oggiono), Cristo adolescente come Salvator mundi, 1505 ca., olio su tavola, 46 × 38 cm, Musée des Beaux-Arts, Nancy.


limitarsi alle opere dell’antichità cristiana. Sembra logico estenderlo, ad esempio, alle rappresentazioni di Gesù Bambino come Buon Pastore. Un bambino in maestà Il gesto di benedire da parte del Bambino Gesù seduto sulle ginocchia della madre è così frequente, per lo meno nell’arte cristiana orientale, da produrre una sensazione di assuefazione totale tale che non ci si rende più conto, di conseguenza, della sua relativa incoerenza. Molti gruppi scultorei della Vergine con il Bambino, a partire da quelli che provengono dall’Auvergne e dalla pittura murale dell’arte romanica, hanno un «Gesù in maestà», che benedice con la mano destra in modo impeccabile, e con la sinistra regge il globo terrestre, o un rotulus, o un libro aperto, tutti oggetti che non rientrano realmente nella categoria dei giocattoli lasciati alla portata dei bambini. Fra gli esempi antichi ricordiamo, tra gli altri, una pittura absidale del Maestro di Pedret, proveniente dalla chiesa Era Mare de Diu de Cap d’Aran in Catalogna, nei pressi di Lerida, conservata al Cloisters di New York e risalente al 1100, un capitello della collegiata di Saint-Pierre di Chauvigny a Poitou, un gruppo scultoreo proveniente dalla cappella di Saint-Victor a Montvianeix nei pressi di Vichy (ca. 1150-1200, conservato nello stesso museo), un altro di Navarra, intorno al 1280-1300, sempre al Cloisters, e un gruppo più recente (xiv secolo) del Museo Diocesano di Vicenza. La tendenza dominante delle Vergini con il Bambino occidentali nei secoli successivi, a volte già a partire dal xiii secolo, soprattutto nelle sculture in avorio, andrà al contrario verso una minor solennità e una maggiore tenerezza: i Gesù Bambino ieratici cederanno il posto a quelli che succhiano il latte, giocano, dormono. Gesù Bambino come Salvatore del mondo A partire dal xv secolo compaiono dei dipinti che mostrano il bambino Gesù come Salvatore del mondo che indica la croce (come Il Bambino Gesù, Salvatore del mondo di Bernardino Luini conservato a Chaintilly, in cui Gesù, completamente nudo e con uno sguardo un po’ pensieroso, posa il piede su una mela già intaccata mentre un serpente scende strisciando su un tronco d’albero) (fig. 27), ma anche delle statuette che rappresentano Gesù, di nuovo nudo, benedicente e coronato, che ha gesti e atteggiamento da adulto. Una variante molto originale del Salvator mundi come piccolo bambino è offerta da un dipinto della Scuola di Avignone, ca. 1500, L’adorazione del Bambino, conservata al Musée du Petit Palais di questa città. Il Bambino, completamento nudo, è seduto su un cuscino, alla sua destra la Vergine e alla sua sinistra due committenti. Questa volta il globo crucifero è stato sostituito da una mela crucifera… La tradizione dei dipinti raffiguranti Gesù Bambino che tiene in una mano il globo dell’universo e che benedice con la destra, già discussa a proposito delle Vergini con Bambino dell’epoca romanica, inizia almeno a partire dal xv secolo, ad esempio con la tavola di Cosimo Rosselli (ca. 1480-1482) conservata al Metropolitan di New York. Notevolmente ricca a partire dal secolo successivo, essa assegna a Gesù tutte le età possibili: infante completamente nudo (artista lombardo, 1519, Milano, collezione privata), bam-

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A fronte: Fig. 26: Domenico Fetti, Salvator mundi, 1622-1623, olio su legno, 59,7 × 43,8 cm, Metropolitan Museum of Art, New York.

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bino (Biagio Antonio, Jean Wierix, Juan Sancez Cotan, San Giuseppe che guida il bambino Gesù), ragazzo o adolescente (Marco d’Oggiono, Boltraffio, Jean Daret; Charles Le Brun, Jesus amabilis), giovane (Lorenzo Lotto). Tutte queste immagini fanno di lui un Salvator mundi prima dell’età e gli assegnano (in modo prematuro?) una chiara consapevolezza della sua identità umano-divina. Questo modo di fare anticipa la data della effettiva redenzione e a fortiori quella della sua intronizzazione alla destra di Dio Padre di ritorno dalla sua missione sulla terra, come se, quando era ancora un giovane ragazzo, Gesù avesse già salvato il mondo almeno “in potenza” e meritasse quindi di mostrare sin da subito i segni della sua vittoria sulle tenebre e del suo dominio sul cosmo. Questa tradizione è proseguita fino alla fine del xix secolo (ne è testimone un’incisione di Émile Bernard del 1896). In seguito si esaurì, prendendo una distanza critica nei suoi confronti. Le statue del piccolo Gesù Le statuette di Gesù bambino furono numerosissime in Europa occidentale. Vantano una lunga storia che affonda le radici nel xiv secolo. Si può forse stabilire una loro connessione con la visione di Bolsena, nel corso della quale un prete, in preda al dubbio, vide nell’ostia proprio Gesù Bambino. Allo stesso modo, una leggenda vorrebbe che la stella che guidò i Magi fino alla mangiatoia avesse le sembianze del piccolo Gesù nudo – un

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Fig. 27: Bernardino Luini, Il Bambino Gesù, Salvatore del mondo, 1520 ca., olio su legno, 36 × 30 cm, Musée Condé, Chantilly. A fronte: Fig. 28: Il Bambino Gesù di Malines, 1500 ca., statua in legno di quercia, h 32,5 cm, Museo del Louvre, Parigi. Fig. 29: Ivo Strigel, (attr. all’atelier di), Bambino Gesù Salvator mundi, 1480-1490 ca., statua in legno, h. 37 cm, Oberschwäbische Elektrizitätswerke, Ravensburg.

certo numero di miniature e di tavole, soprattutto tra i primitivi fiamminghi, hanno questo motivo della stella-bambino. Forse fu facilitata anche dall’abitudine diffusa, quando si costruisce una casa, di introdurvi una statuetta di Gesù Bambino. Comunque, questo tipo di oggetto devozionale era destinato a un grande sviluppo. Si moltiplicò a partire dal xv secolo e fiorì nel xvi e xvii secolo. «Dopo il 1570, si trova a Lucca, in Italia, un centro di produzione di statuette di Gesù Bambino che i fedeli mettono nei loro oratori». Queste statuette in legno, stucco, avorio o marmo, di Gesù completamente nudo e/o da coprire,

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o debitamente vestito con sontuosi abiti o con un panno trasparente, nell’atto di benedire e con in mano il globo, riflettono e alimentano pratiche di devozione privata o comunitaria. A partire dall’inizio del Trecento, si possono trovare diverse statuette “capo fila”, soprattutto con il Bambino dell’Aracoeli a Roma, altre effigi simili provenienti da monasteri femminili tedeschi, prima di una serie di statuette spagnole da cui “discende”, morfologicamente e poi per esportazione nel xvii secolo, la famiglia dei piccoli Gesù di Praga. Alcune volte Gesù è in piedi, come quello di Gregor Erhart, intorno al 1500, conservato al Museum für Kunst und Gewerbe di Amburgo, o Il Gesù Bambino di Malines, recentemente restaurato al laboratorio cr2m della Biblioteca nazionale di Francia a Parigi (fig. 28), che appare talmente calmo e rilassato da essere di una pace contagiosa, proprio come il Salvator mundi sorridente proveniente dalla Svevia meridionale (fig. 29); altre volte, invece, è seduto con le gambe incrociate su un cuscino (ca. 1500, Paesi Massi meridionali, forse Malines; altezza 23 cm). Lo stesso vale, mutatis mutandis, per le statuette coeve (o di epoca anteriore), come quella attribuita ad Alonso Cano (1601-1667). I piccoli Gesù di Praga hanno tutta una loro storia che affonda le radici nella devozione spagnola a Gesù Bambino, in particolare nelle comunità del Carmelo. A seguito di un dono, una statuetta finì a Praga e, dopo molte peripezie, fu considerata come la fonte di molte grazie concesse da Gesù alla comunità dei Carmelitani di quella città boema. Gli oggetti di pietà così designati sono bambolotti sontuosamente abbigliati. Gesù fa dei gesti simili a quelli di un sovrano adulto, la sua testa è dotata di un’imponente corona regale o imperiale. Sembra probabile che tanto i creatori quanto i fruitori di questo tipo di immagine abbiamo voluto credere che il Bambino Gesù sapesse in anticipo quale fosse la sua missione sulla terra, ben prima di aver raggiunto l’età adulta. Moltissimi piccoli Gesù in gloria hanno preceduto o accompagnato quello di Praga: come ad esempio il Gesù Bambino di Beaune, a causa della devozione di una carmelitana di questa città, Marguerite Parigot (da religiosa Margherita del Santo Sacramento), alla quale Gaston de Renty inviò nel 1643 una statuetta in legno detta «il piccolo Re di Grazia» o «il piccolo Re di Gloria»: Questo bambino non è più tra le braccia di sua madre. Solo, in piedi su un cuscino sostenuto da due angeli, con in capo una corona, egli è fasciato, [ma] con le braccia all’esterno mentre tiene uno scettro nella mano sinistra.

Gli Oratoriani contribuirono alla diffusione di questa immagine, che divenne oggetto di un’entusiastica devozione a Beaune come ad Aix.

Poteri soprannaturali Comandare agli alberi I Vangeli apocrifi presentano Gesù Bambino dotato di poteri eccezionali, come quello di affrontare e soggiogare i draghi apparsi in una grotta in cui la Sacra Famiglia si è fermata a riposare durante la fuga in Egitto, oppure ammansire e poi convertire i briganti

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A fronte: Fig. 30: Qisas al-anbiyâ («Storia dei profeti»), Quazvin (Iran), 1595 ca., miniatura, bnf, ms. suppl. persan 1313, f. 174, Parigi.


che volevano rapinarli, per poi farsi scortare rispettosamente da loro; e ai suoi genitori, stupiti dai suoi poteri, egli afferma: «Non temete, e non pensate che io sia un bambinello. Io ispiro la saggezza all’uno e all’altro, poiché ho un’età matura», o in un’altra versione: «Non temete e smettetela di considerarmi un bebè perché io sono sempre stato adulto». Questo essere dall’aspetto di un bambino è in realtà un vegliardo, è una persona assolutamente paradossale, un puer-senex. Il suo aspetto infantile, per molti versi, è un’illusione. I suoi genitori se ne sono resi conto e il suo padre adottivo si rivolge a lui chiamandolo «Signore». Un altro potere miracoloso riportato da alcuni testi apocrifi e citato anche nel Corano è quello di ordinare a una palma, dal grembo di sua madre da cui sta ancora succhiando il latte, sempre durante la fuga in Egitto, di piegarsi in modo da offrire i suoi datteri per saziare la madre (fig. 30) e ovviamente alla palma di obbedire e, miracolo al quadrato, di riprendere la posizione iniziale su invito di Gesù («in attesa dell’ordine di levarsi da parte di chi l’aveva fatta piegare»). Nello Pseudo-Matteo i prodigi si susseguono uno dietro l’altro: trasporto istantaneo della Sacra Famiglia assetata in Egitto, crollo degli idoli in un tempio (314 in tutto!), immediata trasformazione della collera del capo villaggio in sottomessa adorazione, crescita meravigliosa dei semi piantati da Gesù, guarigione di suo fratello Giacomo morsicato da una vipera, ecc. Dare vita all’argilla Tra i più straordinari miracoli compiuti dal giovane Gesù, che lo fanno assomigliare quasi al Creatore, vi è quello di far volare l’uccellino che ha appena modellato con l’argilla, come racconta in pittura un pannello della volta dipinta a Zillis (Fig. 31). Lo Pseudo-Matteo, al cap. 27, parla di dodici passeri fatti di fango che presero il volo al comando di Gesù. Esiste un parallelo nel Vangelo arabo sull’infanzia del Salvatore, dove si parla di statuine di asini, buoi, uccelli, chiamati anch’essi a prender vita. Un altro testo, quello dello Pseudo-Tommaso cap. 2, parla di dodici passeri che prendono il volo nelle stesse circostanze. Nello Pseudo-Matteo si racconta inoltre che Gesù, accusato di aver spinto nel vuoto uno dei suoi compagni procurandogli la morte in seguito alla caduta, lo abbia risuscitato; egli esercita anche un potere di risurrezione nei confronti di un cittadino di Cafarnao chiamato anche Giuseppe, grazie al sudario che il padre aveva sul capo. Creare e risuscitare: queste sono prerogative di Dio. Gesù le possiede e, secondo alcuni testi apocrifi, ne fa uso sin da bambino.

L’immagine di Gesù Bambino docile e obbediente, che aiuta nelle faccende domestiche, così come si può vedere nel Vangelo secondo Luca che racconta [è un po’ esagerato…] la sua vita a Nazaret («stava loro sottomesso […] cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini»: Lc 2,51-52), viene recuperata alla fine del Medioevo attraverso testi devozionali come le Meditationes dello Pseudo-Bonaventura: «Considera quella famiglia, benedetta sopra tutte le altre, piccola ma alta, che conduce vita così povera e umile [segue l’elogio di Giuseppe, poi di Maria e infine di Gesù]. Abbi compassione per lei che deve lavorare con le sue mani e abbi compassione anche di nostro Signore Gesù, che la aiutava fedelmente e lavorava come poteva […] Forse aiutava la madre ad apparecchiare, a rifare i letti e in altre faccende domestiche».

Allungare un’asse tirandolo «In un ambito più familiare, alcuni miracoli hanno lo scopo di aiutare Maria e Giuseppe, come quello che si riferisce al lavoro da falegname di Giuseppe», come racconta un passo dello Pseudo-Matteo, in cui, su richiesta della madre, Gesù va a cercare dell’acqua con una brocca; questa si rompe, ma Gesù riesce comunque a portare l’acqua in un mantello, prodezza miracolosa. Poco oltre, per riparare a una sua imperizia nel tagliare con la sega, Gesù invita suo padre a tirare un’asse, resa troppo corta per colpa sua, per allungarla…

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Gesù “serial killer” Ma ci sono cose meno ammirevoli e più inquietanti. Fig. 31: Miracolo degli uccellini, tra 1109 e 1114, soffitto dipinto, chiesa di San Martino, Zillis, Cantone dei Grigioni, Svizzera.

Tra i temi più frequenti negli apocrifi ci sono quelli relativi ai giochi dei bambini che provocano l’ira di Gesù, che maledice e arriva a ordinare addirittura la morte del compagno; i loro genitori chiedono poi l’intervento di Maria e di Giuseppe per punire il Bambino. Questi episodi […] sembrano potersi giustificare solo per le cattive intenzioni e la malvagità di coloro che provocano quei fatti.

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Allo stesso modo nei capitoli 26-28 dello Pseudo-Matteo, dove Gesù uccide un primo ragazzo che aveva distrutto le piccole costruzioni che egli aveva realizzato sulle rive del Giordano, poi un secondo che si era reso colpevole dello stesso imperdonabile crimine, ed infine un terzo, che ha osato prendersela fisicamente con Gesù. In realtà, questa precoce lotta di Gesù contro il male nelle sue forme veramente benigne assomiglia molto ad un capriccio di onnipotenza infantile e presuppone un Bambino-Dio consapevole dei suoi poteri e pronto ad usarli non appena ci si azzardi a distruggere le opere che ha compiuto, anche se insignificanti, come è il caso, è lecito dire, salva reverentia. Questi episodi scabrosi, degni di un serial killer, sono stati talvolta rappresentati nell’arte medievale, ad esempio nelle maioliche del xiv secolo provenienti dalla Tring Church e conservate al British Museum di Londra.

Un insegnante precoce Nei Vangeli apocrifi Alcuni Vangeli apocrifi non hanno paura di affermare che Gesù non aveva nulla da imparare dal momento che sapeva tutto meglio di chiunque altro e poteva dimostrarlo ai suoi maestri. Lo Pseudo-Matteo gli fa tenere un discorso, all’età di cinque anni, in cui il minimo che si possa dire è che Gesù zittisce tutti coloro che hanno la pretesa di insegnargli: «Tu che leggi la legge e sei istruito in essa, in essa rimani. Io però esistevo già prima della legge»; aggiungendo: «Io ho visto Abramo che voi chiamate vostro padre e ho parlato con lui ed egli pure mi ha visto». Malgrado tutto, i suoi genitori si ostinano e, pur sapendo che «chi possedeva una scienza completa, unicamente da Dio, non aveva nulla da imparare dall’uomo», lo conducono a scuola e lo affidano a Zachia, dottore della Legge, perché impari l’alfabeto, l’ebraico con il maestro Levi, o il greco, ma invano: Gesù non tarda a dare una lezione al maestro; o meglio, questi muore sul colpo per aver osato percuoterlo al fine di correggere la sua insolente presunzione; oppure si prostra e adora Gesù dopo averlo sentito parlare sotto l’ispirazione di Dio. Vedremo più avanti che in altri apocrifi, invece, Gesù lascia che l’insegnante faccia il proprio lavoro… Il più delle volte, tuttavia, stando allo Pseudo-Matteo (e anche allo Pseudo-Tommaso 6), è Gesù a svolgere il ruolo dell’insegnante. È esattamente ciò che, senza dirlo ma mostrandolo, lasciano intendere molte opere d’arte in cui Gesù Bambino è disposto frontalmente, mentre guarda diritto davanti a sé, con volto grave, indicando se stesso con una mano e il cielo con l’altra, come nel Gesù Bambino di Messina, oppure con le braccia spalancate e gli occhi al cielo, come in una vetrata della chiesa di Saint-Joseph di Digione dove è sorretto dal padre adottivo, installato nelle sue braccia come in cattedra, così come sarà portato in alto dalla madre in una statua di Antoine Bourdelle (1922), ad Orléans, destinata ad avere un grande successo nel xx secolo e che potrebbe aver ispirato quella di Marie-Hélène Cingal nella chiesa di Notre-Dame di Pau. Nel San Giuseppe di Dominique-Louis-Féréol Papety (1841, Marsiglia, Chiesa di Saint-Victor), Gesù è in piedi tra le ginocchia del padre adottivo seduto, come potrebbe essere un bambino qualunque, con la differenza che benedice con la mano destra alzata, con un’autorità che non è propria della sua età, un po’ come il Gesù Bambino ritto sulle ginocchia

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A fronte: Fig. 32: Gabriel Tyr, Cristo Bambino insegnante, 1850, olio su tela, 101 × 67 cm, Musée Crozatier, Le Puy-en-Velay.

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della madre, di Romain Cazes (1810-1881), un allievo di Ingres, studio per la decorazione della chiesa di Notre-Dame di Bordeaux, o come quello di Édouard Cibot (1799-1877) in Regina Coeli, mostra del 1846. In un olio su tela di Gabriel Tyr (1817-1868), L’Antico e il Nuovo Testamento, anche intitolato Cristo Bambino insegnante, del 1850, egli è in piedi, benedicente, all’incirca di otto anni (fig. 32). Il primo titolo del dipinto si spiega così: Gesù, che rappresenta il Nuovo Testamento, porta il libro dei Profeti e si pone davanti alle tavole della Legge con i dieci comandamenti, cose che rimandano entrambe all’Antico Testamento («la Legge e i Profeti»). Gesù, il cui modello per l’occasione è il figlio di Tyr, è un bel bambino biondo con gli occhi azzurri, vestito con una tunica bianca; il suo sguardo è «laterale, come perso, tipico dell’infanzia». Il resto del suo atteggiamento, invece, non appartiene a questa età… È in piedi, visibile fino alle ginocchia, frontale, senza nessun’altro di fronte a lui se non coloro che contemplano il quadro […] Sul bordo inferiore della cornice, un’iscrizione dipinta dall’artista: Beati qui Verbum audiunt («Beati coloro che ascoltano la Parola»). In questo dipinto si può vedere sia l’eco dell’episodio in cui Gesù a dodici anni, dopo essere scappato alla sorveglianza dei suoi genitori, viene da loro ritrovato nel Tempio di Gerusalemme mentre insegna, come un dottore precoce, ai veri dottori della Legge (Lc 2,40-50), sia la traduzione di un versetto del Prologo del Vangelo secondo Giovanni: «Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,17).

Probabilmente occorre includere in questo filone di immagini la composizione di Maurice Denis del 1905, Nazareth, conservata ai Musei Vaticani (fig. 33): davanti ad un pergolato di vite, con Elisabetta e Maria (i loro nomi sono iscritti nelle rispettive aureole) sedute sui talloni e Giuseppe in piedi in secondo piano con le mani giunte, Gesù Bambino (otto o dieci anni), vestito di bianco, dalla bella capigliatura rossa, tiene una predica, con il dito puntato verso l’alto e lo sguardo levato, a tre giovani fanciulle inginocchiate… Gesù fra i dottori Il racconto del ritrovamento di Gesù al Tempio è ben noto: nel corso di uno dei pellegrinaggi che, da buoni ebrei, compiono ogni anno a Gerusalemme, i suoi genitori perdono di vista il figlio. Dopo averlo cercato ovunque per tre giorni in preda all’angoscia, lo ritrovano al Tempio, tra i dottori (Lc 2,41-52), mentre li ascolta e li interroga (cosa che è propria di un allievo umano desideroso di imparare); questi ultimi rimangono stupiti dalle sue risposte (il che presuppone che lo stiano interrogando: c’è quasi un’inversione dei ruoli maestro-discepolo): «Tutti coloro che lo udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte». Ha dodici anni, si sta quindi avvicinando all’età del Bar-mitzwah (letteralmente, «figlio del comandamento»), età in cui ogni ragazzo ebreo raggiunge la condizione di adulto ed è obbligato a osservare i precetti del giudaismo: è ora ritenuto responsabile delle proprie trasgressioni. Ciononostante sua madre lo rimprovera: «Figlio, perché ci hai fatto questo?». E lui risponde: «Perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Ma Gesù ritorna con loro a Nazaret, «e stava loro sottomesso». Tutto è bene quel che finisce bene? Maria «custodiva tutte queste cose nel suo cuore»; quanto

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Fig. 33: Maurice Denis, Nazareth, 1905, olio su tela, 114 × 162 cm, Musei Vaticani, collezione d’Arte religiosa moderna, inv. 23158, Palazzi Apostolici Vaticani, Roma.

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a Gesù, egli «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini». Per quanto riguarda il resto della sua giovinezza, sui quasi vent’anni che lo separano dal suo futuro battesimo (a «circa trent’anni», Lc 3,23) ad opera di suo cugino Giovanni Battista, ancora una volta nulla. La scena del ritrovamento dell’adolescente nel Tempio è quindi come un’isola in un oceano di silenzio. L’episodio deve essere interpretato come una fuga, un capriccio caratteristico della pubertà? Nella lettura che ne è stata fatta, in linea di massima, e probabilmente già nelle intenzioni dell’evangelista che ce l’ha riportato, non è così. Gesù manifesta precocemente la sua vocazione di rabbi, di maestro di verità, capace di paragonarsi ai saggi fra i saggi, dal momento che egli è la sapienza incarnata. Lo si vede così nella maggior parte dei dipinti che illustrano questo episodio, seduto in maestà, su un trono (una cattedra) che lo colloca nettamente al di sopra dei suoi dotti ascoltatori, mentre fa gesti di autorità che non sono affatto quelli di un ragazzo della sua età – il che testimonia una comprensione della scena secondo cui l’umanità di Gesù, ancora una volta, sarebbe stata risucchiata se non addirittura assorbita dalla sua divinità, cosa che lo dispenserebbe dall’imparare, dalle lentezze e dai passi falsi della giovinezza, fino a sottrarglieli. La maggior parte degli artisti ha collocato il giovane Gesù in posizione di maestro al centro dei dottori disposti a corona attorno a lui (come Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova), oppure su di un piedistallo e solennemente seduto su una cattedra rialzata, come in Giovanni di Paolo, Ludovico Mazzolino (fig. 34) o Paolo Veronese, oppure l’hanno rappresentato in piedi (e non seduto, come precisa il testo evangelico, Lc 2,46) in mezzo a loro, mentre dibatte tranquillamente servendosi delle sue dita come di un promemoria, come in Bernardino Luini (Londra, National Gallery) o Pinturicchio nella Cappella Baglioni di Santa Maria Maggiore (1501) o ancora Quentin Matsys, in cui la sua giovinezza e il suo aspetto innocente contrastano con lo spettacolo di un gruppo di vegliardi, dall’aspetto talvolta minaccioso, sui quali pittori come Luini, Dürer (1506, Madrid, Thyssen-Bornemisza) o Bosch, senza preoccuparsi dell’architettura del Tempio, hanno fissato l’attenzione realizzando dei primi piani con tutti i protagonisti a mezzo busto. Il momento del ritrovamento da parte dei genitori spesso è stato inserito nella scena di Gesù che si intrattiene con i dottori – Maria e Giuseppe si intrufolano da un lato, accennando un gesto di stupore, mentre Gesù continua il suo discorso. Tuttavia, questo momento è stato talvolta trattato separatamente, focalizzandosi sui rimproveri di Maria («perché ci hai fatto questo?»), o sulla risposta di Gesù a sua madre («Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?»), oppure ancora sul genere di happy end del racconto lucano («stava loro sottomesso»). Torneremo su quest’ultima scena, così come su quella dei rimproveri, nel capitolo seguente, in quanto entrambe devono essere inserite nel fascicolo di un’infanzia quasi “normale” di Gesù, che non esclude quindi delle ammonizioni da parte dei genitori né dei momenti di stretta obbedienza. La scena mediana, quella di Gesù che sostiene di essere al servizio del Padre e degli obblighi che ne derivano, ha ispirato un quadro di Philippe de Champaigne e almeno cinque di Jacques Stella (1596-1657), dando l’impressione che Gesù, che punta il dito verso il cielo dove dimora suo Padre, si comporti in questo caso come

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A fronte: Fig. 34: Ludovico Mazzolino, Gesù tra i dottori, 1524, olio su legno, 256 × 182 cm, Gemäldegalerie (Cl. rmn), Berlino.

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un giovane ragazzo che ha una profonda consapevolezza di ciò che deve compiere sulla terra e che si senta dispensato dal prestare attenzione ai rimproveri della madre (fig. 35).

Conclusione: una cristologia sospetta Si può a questo punto proporre un bilancio provvisorio, che i capitoli successivi contribuiranno ad approfondire. Le opere d’arte raffiguranti un Gesù Bambino onnisciente sono numerosissime. Il campione che abbiamo fornito è ovviamente ristretto ma probabilmente sufficiente a rendere più che plausibile la tesi che stiamo sostenendo. L’accumulo di questo patrimonio d’arte cristiana in cui Gesù Bambino è iconograficamente divinizzato condiziona fino ai giorni nostri l’idea di incarnazione che trasmette nolens volens la cultura delle società occidentali, cioè quella della discesa del Verbo di Dio nell’umanità seguita per così dire da un risultato immediato, non dovendo quel Gesù più diventare né Dio, dal momento che lo è già e che non c’è posto per il divenire in Dio, né uomo, poiché non gli è stato dato il tempo di esserlo. Questa situazione d’insieme deve poco agli apocrifi, così come alla lettera dei Vangeli canonici, ma molto alla loro interpretazione più diffusa. Quest’ultima è andata incontro, per così dire, ad una comprensione del dogma cristologico che, senza essere veramente sospettata di eterodossia, e riducendosi a ciò che i teologi chiamano una “eresia materiale”, flirta tuttavia, e comunque più pericolosamente di quanto raramente venga segnalato, con due eresie formali, il docetismo (Gesù ha assunto solamente un’umanità apparente) e il monofisismo (una delle due “physis” di cui è costitutivamente composta la sua ipostasi, cioè la sua umanità, è stata assorbita dalla sua divinità).

A fronte: Fig. 35: Jacques Stella, Ritrovamento di Gesù al Tempio, 1645-1650, olio su legno, 66 × 54 cm, Musée des Beaux-Arts, Lione.

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II

Gesù ha dovuto imparare?

Le immagini d’arte che mostrano Gesù impegnato in diversi processi di apprendimento 1 sono state decisamente inferiori rispetto a quelle che, nel patrimonio dell’arte cristiana dedicata all’infanzia di Cristo, l’hanno riconosciuto come dotato di una conoscenza da adulto e di una coscienza di sé soprannaturale; tutto accade come se l’arte, o il pensiero cristiano – probabilmente quest’ultimo comanda la prima o la ispira – fosse stata riluttante a mostrarlo sottomesso alla necessità di imparare, esattamente come tutti sono obbligati a fare almeno all’inizio della vita. È consentito essere sorpresi di questa reticenza, dal momento che sarebbe stato logico, per coloro che professano, pesando le loro parole, che il Verbo di Dio è diventato simile a noi «in tutto fuorché nel peccato» (Eb 4,15), ammettere che Gesù è passato attraverso un apprendimento come tutti i suoi simili. Questa convinzione non è stata prevalente, o almeno le conseguenze sulla crescita in umanità di Gesù non sono state spesso tratte da essa. Tuttavia, essa ha dato origine ad una serie di immagini molto varie che ora ci accingiamo a presentare. La loro esistenza è stata indubbiamente facilitata dalla crescente diffusione, dal xii o dal xiii secolo, del ciclo dell’infanzia di Cristo nell’arte, che condivise la parte del leone con quello della Passione, a scapito degli altri due segmenti che fino ad allora avevano avuto un posto importante nell’arte, cioè il ciclo del ministero di Cristo e quello del Cristo risorto con le sue apparizioni, l’invio dei discepoli in missione e l’Ascensione. È stata ispirata soprattutto da alcuni scritti spirituali medievali che avrebbero incoraggiato l’immaginazione nel periodo gotico. Attraverso le Meditazioni dello Pseudo Bonaventura o le Rivelazioni di santa Brigida di Svezia […] i fedeli sono incitati attraverso l’immaginazione e la tenerezza ad avvicinarsi alla Vergine che, come qualsiasi madre, alleva il figlio Gesù; lo nutre, gli insegna a camminare, a leggere e a scrivere; partecipa ai suoi giochi e gli cuce vestiti e in questi compiti è spesso aiutata dagli angeli2.

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Le immagini dell’apprendimento di Gesù possono essere suddivise in due categorie principali, a seconda che lo mostrino nell’atto di imparare i gesti fondamentali del divenire uomo (bere e mangiare, camminare, leggere, scrivere, pregare), con delle curiose assenze: Gesù che impara a tenersi in piedi (non si conoscono immagini con Gesù a carponi…), o impegnato in attività della vita quotidiana importanti ma più concrete e funzionali, e non vitali (stendere i panni dopo aver fatto il bucato, aiutare la madre a riavvolgere il filo, e più spesso aiutare il padre nella bottega: fare luce con una candela, aiutarlo a tagliare un’asse, spazzare i trucioli). Si possono trarre altri insegnamenti da alcuni momenti particolari della sua vita.

Gli apprendimenti fondamentali Parlare e camminare Che Gesù impari a parlare, evidentemente da sua madre – molto probabilmente l’aramaico, dal momento che era la lingua comune in Galilea, e probabilmente anche l’ebraico, in sinagoga, se non addirittura frammenti di greco – tutto questo dovrebbe essere scontato3. Ma né i teologi né gli uomini spirituali sono stati molto precisi in merito. Forse la semplice evocazione di questa possibilità ha fatto sobbalzare alcuni di loro. Il Verbo di Dio fatto uomo che impara a parlare? Horribile auditu! Tuttavia il buon senso dovrebbe prevalere. Se è stato infante (infans, etimologicamente «che non parla») non è sfuggito al dover imparare la parola, balbettii inclusi, cosa che non condanna a negare che colui che si è incarnato in Gesù di Nazaret fosse anche misteriosamente il Logos, la Parola di Dio. Certamente, «la Vita di Gesù in arabo precisa che “Gesù parlò quando era ancora un bebè nella sua culla”» 4. Ciò non toglie che alcuni pittori abbiano saputo almeno interrogarsi al riguardo, mostrando ad esempio Gesù che indica la sua bocca5, come nella Fuga in Egitto di Carpaccio, La Sacra Famiglia di Giampietrino6 (fig. 36), o in una delle tele della predella di Saint-Hugues de Chartreuse di Arcabas7 – è vero che questo gesto è di interpretazione fluttuante, a seconda che vi si veda l’auto-identificazione come il Verbo di Dio oppure un modo silenzioso per dire che non è ancora in grado di parlare, o semplicemente il desiderio di succhiarsi il dito. La traduzione di un passo dello Pseudo-Matteo suggerisce che Gesù, appena partorito, si sia alzato sulle proprie gambe8: questo fatto non ebbe posterità nella storia dell’arte, salvo prova contraria. In compenso alcune miniature della fine del Medioevo lo pongono all’interno di un girello: una delle immagini le più toccanti, con Maria che tesse e Giuseppe che sta piallando all’interno dello spazio che si può supporre sia la casa della Sacra Famiglia a Nazaret, si trova nel Libro d’ore di Catherine de Clèves, eseguito intorno al 1440 e conservato a New York9 (fig. 37). Mezzo secolo più tardi, si ritrova lo stesso soggetto in una miniatura di un libro d’ore secondo la liturgia di Poitiers, in cui Gesù cammina tra Maria e un angelo, e su una delle ante esterne della Salita al Calvario del Kunshistoriches Museum di Vienna, Hieronymus Bosch riprende questo soggetto focalizzandosi sul solo bambino, che tiene una banderuola e spinge un passeggino su

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Fig. 36: Giampietrino, La Sacra Famiglia, 1500 ca., tavola dipinta, 26,2 × 37,5 cm, Collezione Cagnola, Gazzada.

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ruote10. Ma nel complesso, va detto che né il Medioevo religioso né il Rinascimento né il ’600 si sono interessati a dipingere Gesù che impara a camminare, episodio che invece è dipinto in modo così commovente da Picasso in un suo dipinto intitolato I primi passi (1943, Yale Collection). Leggere e scrivere Gesù che impara a leggere: questa scena è decisamente meno frequente nella storia dell’arte rispetto a quella dell’educazione della Vergine, che ha invece dato origine a un numero incalcolabile di opere in cui la si vede in piedi appoggiata a Sant’Anna, sua madre, seduta, e nell’atto di imparare a leggere il libro aperto sulle sue ginocchia, a volte alla presenza del padre Gioacchino11. Una delle poche opere in cui Gesù è dipinto nella stessa posizione caratteristica della trasmissione della lettura fra generazioni, cioè in piedi contro sua madre seduta accanto al banco da lavoro di San Giuseppe e occupato a decifrare le righe di un libro posto da lei sulle sue ginocchia, è un quadro dell’entourage di Simon Vouet che si trova nella chiesa di San Tommaso d’Aquino a Parigi (fig. 38).

A fronte: Fig. 37: Gesù impara a camminare, 1440 ca., miniatura da Libro d’ore di Catherine de Clèves, ms. 917, p. 149, Pierpont Morgan Library, New York.

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Perché questo divario, se non per il fatto che la rappresentazione era ben radicata nello Zeitgeist, di un Gesù che, essendo il Verbo o il Logos di Dio incarnato, “ovviamente” non ha avuto bisogno di imparare né a leggere né a scrivere, non più di quanto avesse dovuto prima imparare a parlare? Nel momento stesso in cui la Chiesa ha sostenuto con la sua autorità la politica di alfabetizzazione della popolazione, moltiplicando le immagini della Vergine che impara docilmente a leggere, essa si è quasi volontariamente privata del sostegno che avrebbe potuto darle la declinazione nell’arte del tema di Gesù che impara a leggere, così come in seguito avrebbe incoraggiato i giovani a lavorare moltiplicando le immagini di Gesù Bambino che si rimbocca le maniche nella bottega del padre adottivo. Non conosciamo nessuna opera d’arte medievale che abbia per soggetto Gesù, bambino o adulto, rappresentato solo e impegnato nella lettura, come Vincenzo Foppa ha dipinto ad affresco Il giovane Cicerone che legge (fig. 40), o Guido Reni San Giovanni evangelista immerso nella lettura12. Non siamo inoltre a conoscenza di immagini in cui Gesù impara le lettere dell’alfabeto con l’aiuto di un abbecedario13 o a contare con un abaco14. Il Salterio sembra essere stato il libro per eccellenza su cui si imparava a leggere nel Medioevo15: ora, mancano però all’appello le opere d’arte che pongono inequivocabilmente questo libro liturgico nelle mani di Gesù, da lui citato così spesso a memoria una volta diventato adulto. Le immagini in cui Gesù, anche se ormai giunto all’età dell’adolescenza, come in una miniatura a tutta pagina dipinta da Jean Bourdichon intorno al 1503-1505, appartenente alle Grandi Ore di Anna di Bretagna16, ma a fortiori quand’egli è ancora più piccolo, getta lo sguardo sul libro che Maria sta leggendo o ne tocca le pagine in modo più o meno maldestro, come fa nella Vergine con Bambino di Filippo Lippi (ca. 1440, New York, met), in quella di Filippino Lippi (1483-1484, New York, met) o nella Madonna Duran di Van der Weyden17, non sono necessariamente da considerare come delle lezioni di lettura: bisogna guardarle almeno due volte prima di sposare tale tesi, e non siamo affatto inclini a credere che Gesù si applichi nella lettura

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sione alla mano di lettura utilizzata per leggere la Torah nelle sinagoghe). Alcune provengono dal Cinquecento e la maggior parte dal Seicento, e si può dire che siano poco convincenti – il Bambino sembra così distratto che è difficile credervi, soprattutto dopo aver visto come Maria che impara a leggere abbia costituito un modello di meticolosa attenzione al libro… per non parlare dell’ingiustificabile nudità di Gesù – in nessuna scuola al mondo, i bambini sono spogliati per imparare a leggere… È tuttavia un Gesù nudo quello che viene mostrato ne La La Vergine insegna a leggere a Gesù Bambino di Pieter Fransz de Grebber (1600-1652) (fig. 41), pittore religioso olandese proveniente da una famiglia di artisti cattolici, la cui vita si svolge ad Harlem e nella cui opera si incrociano le influenze della scuola caravaggesca di Utrecht, di Rubens e di Rembrandt. È anche autore di un trattato che stabilisce le regole che i buoni pittori e disegnatori devono seguire. Il suo quadro, conservato al Musée des Beaux-Arts di Quimper, è uno dei pochi in cui l’attenzione di Gesù sembra veramente concentrata sulla parola o frase indicata dalla madre20. Il rispettoso ritiro della madre e la luce soffusa che regna, di origine sconosciuta, contribuiscono a creare un clima religioso e ad avvolgere di mistero ciò che avrebbe potuto essere solo una normale seduta di formazione. Bisognerà attendere il xix secolo, salvo errori, perché appaiano sporadicamente delle opere con Gesù adolescente immerso nella lettura, come in un’incisione di Alexandre Bida (1813-1895), pittore-incisore “orientalista” allievo di Delacroix, che lo mostra come un giovane ebreo che legge i rotoli della Torah. In ogni caso, una rarità.

nella Madonna con il Bambino che legge di Van Eyck18 così come in alcune opere di Raffaello, come nella Madonna Pasadena19. È la Vergine che legge, che comprende e che si preoccupa, perché intuisce il destino del Figlio. Il Bambino, invece, pare si accontenti di giocare con il libro, apparentemente con nonchalance. Le opere d’arte che mostrano Gesù plausibilmente occupato a decifrare i caratteri della lingua scritta sono rare, in definitiva, prima della fine del Medioevo, come il dipinto di Pinturicchio dove Gesù, seduto su uno sgabello, segue le parole della linea da leggere con un puntatore per fissare la sua attenzione (vi si può scorgere forse un’allu-

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Nell’arte cristiana, Gesù che impara a scrivere è il grande assente di questi apprendimenti fondamentali. A volte viene mostrata la Vergine che prende la penna (come nel Tondo del Magnificat di Botticelli), ma non Gesù. L’unica circostanza in cui è usuale vederlo dipinto nell’atto di scrivere è quando è intento a «tracciare con il dito delle linee per terra» (Gv 8,6 e 8: espressione circospetta!) nel momento in cui gli viene condotta la donna sorpresa in flagrante delitto di adulterio, esortandolo a pronunciarsi in merito (Gv 8,1-11). La maggior parte degli artisti che raccontano questa scena sembra aver optato per un vero e proprio testo da decifrare, come se si trattasse della sentenza (Brueghel, Frank Franken, Peter Aertsen, Poussin, Signol), mentre altri sono rimasti più fedeli al testo giovanneo, mostrando invece Gesù che disegna e non che scrive (Harry Andersen, Arcabas)21; e poiché non ci ha lasciato alcun documento autografo, c’è motivo di dubitare se egli avesse imparato a scrivere e se avesse normalmente praticato la scrittura22, mentre la sua capacità di leggere è certa se si dà credito al racconto della sua visita alla sinagoga di Nazaret, dove egli si alzò per fare, come suggeritogli, la lettura, in questo caso tratta dal libro del profeta Isaia (Lc 4,16-30). Fig. 38: Simon Vouet (bottega di), L’Educazione di Gesù, xviii secolo, chiesa di San Tommaso d’Aquino, Parigi.

Andare a scuola La vita familiare a Nazaret dopo il ritorno dall’Egitto è descritta in alcuni testi apocrifi come il Vangelo di Tommaso e il Vangelo dell’infanzia di Tommaso. Ne sono l’eco alcune rare rappresentazioni medioevali, come una serie di maioliche del xiv secolo

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Fig. 39: Vassilii Dmitrievich Polenov, Cristo tra i dottori, 1890 ca., olio su tela, 150 × 272,5 cm, Galleria Tret’jakov, Mosca.

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conservate presso il British Museum. Nell’arte monumentale, un esempio straordinario è offerto da due episodi di Gesù Bambino a scuola inclusi nel ciclo dell’Infanzia del timpano nella porta dell’Orologio (Puerta del Reloj) della cattedrale di Toledo, con Gesù Bambino ai piedi del maestro, probabilmente il maestro Levi citato nel Vangelo dello Pseudo-Matteo23. Quest’ultimo testo mette in scena un Gesù arrogante per la sua conoscenza, cosa che provoca l’ira del maestro il quale lo colpisce con una verga di storace o con un ceffone24, come è raccontato su una delle maioliche del British Museum che, su questo punto, segue il Vangelo arabo dell’infanzia (cap. 49) – «subito la mano inaridì ed egli morì». Su un’altra maiolica il Bambino mostra le sue conoscenze e spiega la Legge davanti a due maestri e a diversi compagni, secondo i racconti dello Pseudo-Matteo (cap. 39) e del Vangelo di Tommaso (cap. 6-8 e 15)25. Ma ci sono anche alcune immagini della Sacra Famiglia con Gesù tra il padre e la madre, tenuto per mano e portato da loro a scuola, che al posto della cartella e del quaderno tiene una tavoletta26. Il significato profondo di queste immagini è limitata da ciò che abbiamo scoperto nel capitolo precedente sul destino spesso sfortunato dei maestri di Gesù. Imparare a pregare Gesù che impara a pregare è un soggetto raro tanto quanto il Gesù che impara a leggere o a scrivere. I dipinti che mostrano Sant’Anna che insegna alla figlia Maria a pregare, pur non essendo molti, sono facilmente reperibili a partire dal xvii secolo, sotto il pennello di Laurent de la Hyre, Englebert Fisen (1655-1733), Andrea Lanzani27, Lorenzo di Caro28, Jean Jouvenat. La ricerca dello stesso insegnamento dato da Maria e di cui il beneficiario è Gesù è meno fruttuosa. Ne abbiamo comunque scoperto un esemplare dipinto da Giovanni Battista Benvenuti, detto l’Ortolano, nella collezione Cagnola di Gazzada, nel quale Maria non fa recitare le preghiere a suo figlio, ma gli mostra piuttosto come unire le mani palmo contro palmo29 (fig. 42), secondo un fatto ben accertato da parte degli storici, cioè che è la madre che insegna al bambino i gesti della preghiera30: ciò che sta trasmettendo è proprio il gesto, e attraverso di esso, l’atteggiamento. Maria di Agreda (1602-1665), nella sua interminabile «vita rivelata» di Maria, La mistica città, oggetto di innumerevoli contese fra studiosi a Roma, in Spagna e alla Sorbona, racconta che Gesù Bambino avrebbe avuto un’estasi del terzo tipo nel momento dell’attraversamento del collo dell’utero, al termine del quale egli sarebbe venuto a conoscenza, prima ancora della fine del travaglio, che era Dio e signore del mondo. Che una simile idea possa essersi sviluppata all’interno di correnti mistiche nel corso del Seicento fa luce sul problema che stiamo cercando di sollevare. Cioè che il cristianesimo devoto, provocato da una vera rivoluzione nel modo di considerare i bambini, si è ostinatamente rifiutato di ammettere che Gesù, il Verbo di Dio incarnato, avrebbe dovuto attraversare un processo più o meno laborioso di acquisizione di un certo numero di competenze.

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Fig. 40: Vincenzo Foppa, Il giovane Cicerone che legge, 1464 ca., affresco, 101,6 × 143,7 cm, The Wallace Collection, Londra.

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Fig. 41: Pieter Fransz de Grebber, La Vergine insegna a leggere a Gesù Bambino, 1630 ca., olio su tela, 96 × 73,5 cm, Musée des Beaux-Arts, Quimper.

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Fig. 42: Giovanni Battista Benvenuti, detto l’Ortolano, La Vergine insegna a pregare a Gesù, 1520 ca., tavola dipinta, 39,5 × 32 cm, Collezione Cagnola, Gazzada.

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La vita quotidiana Gesù ha avuto un’infanzia da figlio unico o ha fatto parte di una «famiglia numerosa», come incoraggiano piuttosto a credere alcuni versetti del Nuovo Testamento? «Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi?» (Mt 13,5556). L’idea aspramente discussa dall’esegesi storico-critica sin dalla sua nascita un secolo e mezzo fa, ma che ora sembra probabile se non addirittura certa, cioè che Gesù avrebbe avuto probabilmente fratelli e sorelle (o fratellastri e sorellastre31), che non possono essere ridotti a cugini o cugine se non mediante sotterfugi linguistici o attraverso un attaccamento rispettabile ma non scientifico all’idea di una verginità di Maria “prima, durante e dopo” il parto32. Quest’idea che fa sognare i romanzieri e fa scorrere la loro penna33, è stata volutamente lasciata all’angolo dalla tradizione pittorica cristiana orientale o occidentale, tanto che bisogna ammettere una volta per tutte che i quadri della Sacra Famiglia si limitano per lo più alla “famiglia nucleare” (Maria, Gesù e Giuseppe), anche se talvolta si aprono in direzione, se non della “famiglia allargata”34 (quella della Sacra Parentela), almeno ad una ristretta ma allargata famiglia che fa spazio ai genitori di Maria (Anna e Gioacchino), eventualmente ad Elisabetta e Zaccaria e al loro figlio Giovanni Battista, e, se necessario, ad angeli ed angioletti, ma mai ad eventuali fratelli e sorelle (fratellastri e sorellastre) di Gesù35 , eccetto nelle rappresentazioni orientali della Fuga in Egitto. È vero che alla fine del Medioevo le immagini della Sacra Parentela, che includono i successivi mariti di Sant’Anna, le sorelle di Maria e i loro rispettivi figli36, fino a comporre quadri di più di una ventina di personaggi, hanno conosciuto un vero e proprio successo, nei quali i padri erano relegati in secondo piano, ma questi quadri non sopravvissero al Concilio di Trento. Per cui le diverse attività e situazioni di Gesù nella vita domestica che dovranno essere ora discusse coinvolgono per lo più la sola famiglia nucleare, ed eventualmente gli attori ammessi nella cerchia famigliare ristretta, quelli appena menzionati. La vita familiare di Gesù, a credere alla tradizione pittorica, fu quindi essenzialmente quella di un figlio unico con i suoi due genitori. Qui di seguito, in sei paragrafi, sono state raggruppate delle opere che mostrano Gesù in alcune attività fondamentali di ogni piccolo d’uomo. Segnaliamo subito che mancano del tutto certe situazioni che testimoniano in maniera eloquente l’umanità “ordinaria” del Figlio di Dio fatto uomo: il Bambino Gesù è raramente dipinto mentre ride37, piange, o fa il bagno38, cammina a quattro zampe, o ancora corre, salta, cade o bisticcia con i compagni…39 Ciò si spiega: [...] in una società in cui regna il «primato ideologico dell’immobilità», il piccolo Dio indisciplinato e sorridente degli apocrifi è inaccettabile…40

Gesù che dorme Il personaggio di Gesù nell’arte è stato coinvolto in una serie di attività concrete proprie della vita quotidiana di ogni bambino piccolo. È sorprendente notare il gran numero

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di dipinti, soprattutto rinascimentali, dedicati a Gesù Bambino che dorme sul suo letto sotto il tenero sguardo della madre (e del padre, degli angeli, ecc.), talvolta con le mani giunte, come nella Sacra Famiglia di Jeronimo Jacinto de Espinosa, o immerso nella lettura di un libro o nella meditazione, come nel Riposo di Gesù Bambino di Bartolomeo Schedoni. Che significato può avere la tenerezza di Maria e di Giuseppe di fronte al riposo di Gesù? Bisogna considerarla un comune affetto genitoriale (e, in tal caso, il pittore di cosa vuole convincere lo spettatore?), o la felicità del dirsi che entrambi hanno avuto ragione nel superare lei la sua meraviglia e lui le sue esitazioni, oppure bisogna immaginare che si stupiscano del fatto che si arrende al desiderio di dormire colui di cui la Scrittura afferma: «Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele» (Sal 121,4)? Ci troviamo qui, ancora una volta, in presenza di uno di quei soggetti prediletti dall’arte cristiana occidentale che è, salvo errori, completamente sconosciuto all’arte orientale. Torneremo più avanti su Gesù addormentato, tema che ebbe un notevole successo, connesso con i presentimenti mistici che saranno l’oggetto di ricerca della terza parte, espressi dalle immagini del piccolo Gesù nudo addormentato sulla croce (cfr. il dipinto di Guido Reni, fig. 67). Gesù che mangia Gli innumerevoli dipinti con Gesù che succhia dal seno della madre41, che si moltiplicano a partire dal xiii secolo e non prima, depongono chiaramente a favore dell’umanità reale e, su questo punto, “ordinaria” del Salvatore, infanzia compresa. Lo stesso vale per i dipinti con Maria che sorride e accarezza il suo bambino chinandosi su di lui come fa nella Sacra Famiglia di Nicolas Poussin42. Ci accontentiamo di richiamarli sommariamente, per concentrarsi piuttosto sui silenzi dell’arte, così come su ciò che riguarda Gesù senza essere per così dire inghiottiti dall’onnipresente glorificazione di Maria. Una volta svezzato, Gesù viene mostrato raramente nell’atto di imparare a mangiare: le immagini incontestabili di Gesù con il biberon sono rare43, così come quelle di Maria che lo nutre con un cucchiaio (come nella Vergine e Bambino con la zuppa di latte di Gérard David), e ancor più quelle di Gesù che impara a maneggiare la forchetta, il cucchiaio e il coltello. Segnaliamo tuttavia l’esistenza di un quadro di Jacques Stella intitolato La Vergine fa mangiare Gesù Bambino, con un cherubino che soffia sul fornello (fig. 43)44. Nella stessa ottica, un’incisione lo mostra mentre impara a bere non al bicchiere, ma al calice (un’incisione di, o vicina a, Jacques Callot, Pasto della sera, del 1628)45, scelta sospettata di veicolare precise intenzioni teologiche, in particolare sulla precoce identità sacerdotale di Gesù. Un dipinto di Jean Mostaert, intorno al 1500 (Colonia, Wallraf Richartz Museum), mostra la Sacra Famiglia a tavola, in un tipico interno fiammingo, dove Gesù, ancora piccolino e tra le braccia di sua madre, porta un libro, e sembra poco interessato al contenuto dei piatti. Charles Le Brun, in una grande tela (138 × 89 cm) dipinta intorno al 1650-1655, commissionata dalla confraternita di San Giuseppe, quella dei maestri carpentieri, e conservata al Louvre46, mostra anche la Sacra Famiglia seduta a tavola con Gesù che recita la benedizione. Questa scena, carica di risvolti simbolici, sarebbe l’ultimo pasto consumato dalla Sacra Famiglia prima della partenza dall’Egitto, un pasto che commemorerebbe sia

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quello degli Ebrei che mangiarono l’agnello pasquale sia l’ultima cena del giovedì santo47. La Sacra Famiglia a tavola, con Gesù al centro, si ritrova nella pittura su vetro così come nell’arte cristiana dell’America latina: un quadro anonimo della scuola di Cuzco mostra Gesù che benedice la tavola, con i simboli di Dio Padre e dello Spirito Santo nella verticale 48.

Fig. 43: Jacques Stella, La Vergine fa mangiare Gesù Bambino, con un cherubino che soffia sul fornello, olio su tela, 66 × 52 cm, Museo comunale del castello, Blois.

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Un’infanzia senza punizioni? Stando alla tradizione pittorica, Gesù Bambino sarebbe sfuggito a ogni punizione e correzione (tranne che a scuola, ma con spiacevoli conseguenze per il maestro correttore). I pittori hanno pensato che egli non avrebbe avuto bisogno di tale aspetto dell’educazione che, generalmente, rientra più o meno nella formazione. Il dipinto di Simone Martini intitolato I rimproveri di Maria a Gesù, oltre ad essere un unicum, non accenna ad alcuna vera severità e a fortiori ad alcun desiderio di punire il bambino49 (fig. 44). Tuttavia, vale la pena osservarlo meglio. Simone Martini è un discepolo molto creativo di Duccio e indirettamente anche di Giotto, e uno dei principali esponenti italiani dello stile “gotico internazionale”. Nato nel 1284, ha realizzato nel 1315 una Maestà sulle pareti di Palazzo Pubblico a Siena che gli valse, oltre alla grande ammirazione, una commissione del re di Napoli, Roberto d’Angiò, ovvero il ritratto del fratello diventato francescano, San Ludovico di Tolosa. È inoltre l’autore di una celebre Annunciazione conservata agli Uffizi a Firenze, con una Vergine Maria nobilmente intimorita dall’irruzione dell’angelo, e forse anche dello spettacolare affresco di Palazzo Pubblico a Siena, con il condottiero Guidoriccio da Fogliano a cavallo. Morì ad Avignone nel 1334. La sua influenza fu profonda e duratura, ad eccezione del dipinto di cui stiamo per parlare, per il quale Simone Martini non ebbe né predecessori né emulatori. L’opera in questione è stata scoperta solo nel 180450. «È forse l’opera più affascinante che ci ha lasciato Simone Martini, sia per quanto riguarda la sua iconografia, che sembra essere unica, sia per quanto riguarda la forma, di eccezionale sobrietà»51, per non parlare del suo stile, che combina sapientemente elementi di arte antica e audacia “moderne”. Il soggetto è effettivamente originale, senza equivalenti noti né posterità alcuna, e il modo di fare particolarmente allusivo se non addirittura enigmatico, cosicché l’osservatore è libero di immaginare a suo piacimento le parole che i personaggi possono essersi scambiate. Il luogo del loro incontro, che è uno scontro, è privo di qualsiasi riferimento – il fondo monocromo dorato, ereditato dalla tradizione pittorica bizantina, sotto l’arco sommitale con volte trilobate, è muto, proprio come il pavimento. Ma la tavola dà l’impressione convincente di penetrare nell’intimità della Sacra Famiglia di Nazaret e di farci assistere ad un chiarimento alquanto teso dopo il ritrovamento al Tempio (Lc 2,45-50). Una scena familiare, in un certo senso, che non esclude però una certa solennità, perché stiamo parlando dei protagonisti principali della storia della salvezza. Nonostante siano “a casa”, nel contesto domestico, Simone Martini li ha abbigliati tutti e tre in maniera sontuosa, accuratamente nimbati (è tra i primi che, per decorare, si serve di punzoni), conferendo loro allo stesso tempo una dignità sacrale libera da ogni familiarità. Avremmo sbagliato epoca, e anche linguaggio, se avessimo immaginato che Simone Martini avrebbe potuto dipingere dei rimproveri accompagnati da gesti che suggeriscono delle spiegazioni burrascose. A quell’epoca, la dignità era assolutamente fondamentale, dignità che implicava una certa rigidità ieratica.

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Le convenzioni immateriali escludevano fin dall’inizio, ad esempio, che i protagonisti di questo confronto potessero aprir bocca, quant’anche poco – nell’arte medioevale l’apertura della bocca è stata a lungo appannaggio dei pazzi. Questo, però, non impedisce agli osservatori di oggi di immaginarli nell’atto di indirizzarsi parole più accese di quelle che Gesù, sua madre e suo padre adottivo, avrebbero mai potuto scambiarsi. In questo caso Gesù è un ragazzo di dodici anni quando si svolge questo episodio narrato da Luca. Si erge, non senza orgoglio, come un adolescente sicuro di sé, con le braccia incrociate su un libro con fibbia: è un segno visivo di mutismo, al limite della sfida, con l’aria quasi ostinata del ragazzo che si arrende perché non ha scelta, o il segno di obbedienza pentita? L’esitazione è lecita, ma la prima ipotesi sembra essere se non quella giusta, almeno la più plausibile52. Il suo sguardo, comunque, non è esattamente felice né gentile, quasi intriso di durezza. Lungi dal gettarsi fra le braccia di sua madre come un bambino docile per consolarla o chiederle perdono, egli «si presenta riluttante, quasi aggressivo, di fronte ai suoi genitori al ritorno dal Tempio dove ha sottomesso i dottori»53. Di Maria si è detto che qui è stata dipinta in una posa di umiltà. È così chiaro? Seduta su un seggio familiare, certamente troppo basso, senza schienale né braccioli, è tuttavia posta in una posizione di giudice presso il quale Gesù sembra essere condotto o sottoposto da Giuseppe. Sulle ginocchia regge un piccolo libro d’ore aperto su cui si leggono le parole del suo rimprovero così come riportate nel Vangelo secondo Luca: Filii, quid fecisti nobis sic? («Figlio, perché ci hai fatto questo?», Lc 2,48; il prosieguo del versetto precisa: «Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo»). L’abito blu scuro con decorazioni che la copre dalla testa ai piedi lascia intravvedere sulla spalla destra una stella, simbolo della sua verginità. Per quanto riguarda San Giuseppe, che calza delle poulaines, una volta tanto assume un atteggiamento al tempo stesso severo (lo si nota dallo sguardo grave e dal gesto della mano destra) e affettuoso (dalla mano sinistra posata sulla spalla sinistra di Gesù) e sembra dirgli, senza troppi mezzi termini, che il suo comportamento a Gerusalemme ha preoccupato molto Maria sua moglie, che Giuseppe indica in modo eloquente con la mano destra, per invitare il ragazzo al pentimento. Uno studioso ha suggerito che questa Sacra Famiglia potrebbe essere stata commissionata da un ecclesiastico in ricordo delle difficoltà avute da giovane ragazzo nel far accettare ai genitori la propria vocazione religiosa: il futuro Clemente vi, papa d’Avignone, aveva attraversato tali difficoltà54. Un altro studioso invece si è espresso a favore di un collegamento fra questo singolare dipinto dell’incomprensione di Maria e di Giuseppe e un passo dell’Arbor Vitae crucifixae di Ubertino da Casale relativo alla difficoltà provata dai genitori di Gesù nell’accettare che il loro figlio si dovesse occupare anche delle questioni del Padre celeste (cfr. Lc 2,49)55. In ogni caso, sembra giusto riconoscere che questa tavola è una di quelle che restituiscono a Gesù una vera infanzia di piccolo d’uomo, bersaglio dell’incomprensione dei genitori a proposito della sua vocazione. Il tour de force di Simone Martini è l’essere riuscito a raggiungere lo scopo aderendo fedelmente al racconto dell’evangelista Luca, senza cadere nell’aneddotica e nella preoccupazione di esplorare attentamente, quasi misticamente, le motivazioni dei tre attori.

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A fronte:

Fig. 44: Simone Martini, I rimproveri di Maria a Gesù, 1342, pittura all’uovo su tavola di legno, 49,6 × 35,1 cm, Walker Art Gallery, Liverpool.

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Il quadro di Max Ernst, La sculacciata o La Vergine che corregge il Bambino Gesù davanti a tre testimoni: André Breton, Paul Éluard ed il pittore56 (fig. 45), mostra Maria che colpisce con vigore le natiche nude del Figlio il cui nimbo, culmine dello scherno, è caduto per terra. È una scena assolutamente impensabile prima della crescente diffusione delle insolenze negli anni settanta dell’Ottocento e della fine del rispetto convenzionale per i grandi personaggi della religione, un tempo dominante nella società57. In realtà, sembra banale sottolinearlo ma merita tuttavia di essere evidenziato, il Gesù dell’arte occidentale (e a fortiori dell’arte orientale) non viene mai punito, mai privato della cena da parte dei genitori o messo in un angolo, mai arrabbiato, imbronciato o piangente. Al contrario, non mancano i dipinti che sottolineano la pacifica e esemplare armonia della Sacra Famiglia nell’intimità, che Gesù faccia qualcosa o non faccia altro che essere “attaccato ai vestiti di sua madre”, come lo ha dipinto Lorenzetti, con Maria che lavora a maglia e Giuseppe che tiene il filo, e fra di loro un porta-rocchetti con fili di differenti colori poggiato a terra, su un tappeto dai motivi animali. Il gioco nell’infanzia di Gesù Gesù ha giocato e amava giocare? Ognuno è libero di farsi la propria idea al riguardo58. I Vangeli canonici lasciano aperta la questione (senza dichiararla tuttavia insignificante). I testi apocrifi, invece, sono prolifici di sequenze narrative con Gesù che gioca per strada, nelle piazze, o addirittura sui tetti59. Alcune miniature mostrano Gesù che gioca con i suoi piccoli compagni60. Alcuni rari quadri mostrano Gesù con un giocattolo in mano61, come in quello del Maestro di Vivoin, La Vergine con Bambino e San Benedetto, che fa vedere un Gesù che gioca con un mulinello con bobina62. La famiglia di immagini a cui appartiene il famoso Paradiesgärtlein [Il giardino del Paradiso] ha sviluppato l’idea che Gesù Bambino avrebbe suonato la lira o la tiorba, accompagnato dagli angeli, in un clima paradisiaco assimilandolo a un angelo o a un degno discendente di Davide63: quanto sono inefficaci queste opere laddove si vuole dimostrare che Gesù ha avuto un’infanzia ordinaria. Un quadro del 1857 di William C.T. Dobson, intitolato Gesù come bambino, lo mostra in mezzo a sei piccoli ragazzi (fra cui Giovanni Battista pensieroso) e una ragazza, mentre presiede ai loro giochi. Che cosa ha voluto mostrare il pittore? Che Gesù non si oppone al fatto che il gioco abbia un ruolo nell’infanzia? Non è per questo che Gesù ci è mostrato nell’atto di giocare. Prendere sua madre per il mento Questo gesto, quando è compiuto da un adulto nei confronti di un altro adulto, è una specificità dell’arte occidentale e rimanda ad una delle convenzioni gestuali dell’arte cortese. Prendere una donna per il mento è una strategia amorosa ed equivale a corteggiare una donna al fine di possederla. Lo si vede a volte utilizzato in opere ispirate al Cantico dei Cantici e che mostrano Cristo come amante di Maria sua madre64. Assente dall’immenso ambito delle icone della Madre di Dio, salvo quando queste sono influenzate dall’iconografia occidentale, come la Nostra Signora della Grazia della cattedrale di Cambrai (xv secolo)65 o la Madre di Dio di Iakhroma66, questo gesto irrompe alla fine del Medioevo nelle Vergini col Bambino dell’arte cristiana occidentale. Sono rare le immagini che riportano questo gesto di cui si può sostenere con sicurezza che trasmetta l’idea di una presa di possesso

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A fronte: Fig. 45: Max Ernst, La sculacciata, o La Vergine corregge il Bambino Gesù davanti a tre testimoni: André Breton, Paul Éluard e il pittore, 1926, olio su tela, 196 × 130 cm, Museo Ludwig, Colonia.


cosciente di Maria da parte di colui che ha le qualità per farne la sua sposa mistica. Là dove è stato ripreso, questo gesto dà invece l’impressione che il bambino sia portato, come molti altri, a toccare sua madre… e ad afferrare il mento o i lobi delle orecchie. Non siamo a conoscenza di alcuna rappresentazione di Gesù che canta o balla. Questa doppia assenza, soprattutto la prima, è tanto più significativa in quanto il motivo degli angioletti che aprono la bocca per farlo non è mai stato così frequente come nella pittura rinascimentale occidentale. Anche le danze angeliche hanno avuto gli onori del pennello, ma è nota la plurisecolare riluttanza del cristianesimo nei confronti della danza. Molte scene giocose coinvolgono un animale. Un piccolo dipinto realizzato da Ludovico Mazzolino (1480-1528) e conservato al Louvre contiene, sulla panchina su cui sono seduti Maria e Gesù, con Dio Padre dalla testa stempiata sulla verticale, una scimmia che si sta avvicinando: Gesù è attratto dall’animale e tende le braccia verso di lui67. Cosa concluderne? Forse che Gesù era attratto dagli animali e amava giocare con loro? Pista sbagliata. A credere a ciò che si legge sulla tela, Gesù presenterebbe delle ciliegie, simbolo della passione, a questo animale, incarnazione del male. A quale scopo? Il dipinto non permette di capirlo. Tutto dipende, ovviamente, anche dall’animale coinvolto in questi giochi carichi di significato. Alcuni, come il pappagallo, potrebbero non avere un comprovato senso cristologico. L’affascinante coniglietto della Madonna del coniglio di Tiziano simboleggia la concezione verginale e riguarda quindi in primo luogo Maria e non Gesù. L’agnello, al contrario, ha una portata cristica indubbia, perché si lascia condurre senza opporre resistenza e rappresenta il sacrificio per eccellenza. L’erudita composizione della Sant’Anna di Leonardo, da poco restaurata, mostra il gruppo che si china fino a terra, l’agnello tra le braccia del Bambino che è il culmine di questo movimento di inclinazione e suggerisce contemporaneamente che il suo sacrificio, simboleggiato dall’agnello, è il punto di convergenza sulla terra della sua ascendenza attraverso le donne e della sua discesa dal cielo68 (fig. 46). Esiste poi un’altra famiglia di immagini che associa Gesù Bambino con uno o più montoni, pardon, una o più pecore o agnelli, che un pittore come Murillo ha illustrato, quella dei Gesù Bambino come buon pastore, o come buon pastore precoce. Il pittore spagnolo ha variato l’età di Gesù presentato già come portatore di questa funzione soteriologica, raffigurandolo talora molto giovane, talaltra come preadolescente (come nel suo dipinto del 1678). Nicolas Poussin, ne Il ritorno della Sacra Famiglia dall’Egitto (Fig. 47), introduce la prefigurazione del tema della Passione. Lo sfondo dal quale la Santa Famiglia parte è un paesaggio egiziano, con un obelisco e una piramide. Tali simboli funerari, uniti al putto che tiene la croce, alludono al futuro sacrificio del Cristo bambino. Inoltre la figura nella barca potrebbe essere una ulteriore allusione al sacrificio di Cristo, poiché ricorda il traghettatore Caronte che, nel mito classico, era il traghettatore verso gli Inferi. In questa scena dominata da prefigurazioni dolorose, un cielo carico di nuvole pesanti e grigie, l’unico che sembra mantenere la sua ingenuità di bambino è Gesù: mentre Giuseppe lo prende tra le braccia per spostarlo nella barca, lui alza lo sguardo ai putti quasi divertito dell’apparizione. Il significato della Sacra Famiglia con uccellino di Murillo69 può lasciar sconcertati a prima vista: non è normale che un bambino tenga stretto in mano un uccello apparentemente vivo (uno scricciolo? un cardellino?)70 e lo usi per attirare l’attenzione di un cane in attesa, che alza il muso e la zampa destra. «Il motivo dell’uccello nella mano di Gesù appare nel xiii secolo in

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A fronte: Fig. 46: Leonardo da Vinci, Vergine con Bambino e Sant’Anna, 1503 ca., olio su legno di pioppo, 168 × 130 cm, Museo del Louvre, Parigi.

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Italia, poi in Boemia; in Germania, sembra che Dürer sia stato il primo ad aver rappresentato il Bambino con un cardellino»71. Benvenuto Tisi, detto “il Garofalo” (1476-1559), è l’autore di un centinaio di maternità che illustrano attraverso la loro varietà e la precisione delle sue osservazioni l’intera gamma di interazioni tra madre e figlio. Un buon numero di queste mostra Gesù Bambino con un cardellino in mano72. Possiamo quindi concludere che l’uccellino nella (o sulla) mano di Gesù può aver rappresentato un giocattolo (un oggetto inanimato, attaccato o meno con una corda, che svolge il ruolo di “oggetto transazionale” nel senso di Winnicott), oppure un animale vero e proprio quando si trattava di un vero e proprio uccello attaccato per la zampa con una cordicella, chiaramente visibile in alcuni dipinti73. In entrambi i casi, è portatore di diversi significati successivi o simultanei: può aver simboleggiato l’anima o, qualora sia un cardellino, la passione, o ancora la futura eloquenza del Verbo fatto carne. Uno dei modelli più frequenti nella tipologia medioevale è quello della Vergine con il Bambino che tiene in mano un uccellino trattenuto dalla Vergine con una corda, come si vede bene nella tavola del Maestro di Estimariu, nel Museo di Vic; il tema sembra alludere ai miracoli più popolari che raccontano gli apocrifi: il Bambino Gesù modellava uccellini di fango e, soffiando su di essi, li faceva volare […]74

Racconto che è reso letteralmente in uno dei pannelli del soffitto dipinto della chiesa di San Martino di Zillis, nel cantone dei Grigioni75 (cfr. supra, fig. 31). Tuttavia è possibile giudicare questo confronto poco convincente. In realtà questo tipo di motivo evoca non tanto il miracolo degli apocrifi quanto piuttosto i giocattoli dell’epoca a forma di uccellino o l’usanza diffusa, sembra, di divertirsi con un uccello legato ad una corda e che, attraverso questa, si poteva costringere a volare rimuovendolo dal suo trespolo. I pittori avrebbero usato questa usanza per suggerire che Gesù non lascia andare il filo, cioè accetta pienamente la sua missione76, scelta di cui è nuovamente permesso di dubitare. Forse è questo il senso da attribuire ad un’incisione di Jacques Stella in cui il Bambino sembra dedicarsi a questo gioco con la complicità della Vergine77. Può darsi che un po’ più tardi, invece, ad esempio sotto il pennello dello stesso pittore, il fatto che Gesù Bambino abbia tranquillamente sulla mano sinistra un cardellino che becca le ciliegie che tiene nella mano destra, non abbia più niente a che vedere con un gioco, ma che simboleggi la sua anima che si sta avviando verso la futura passione, o che sfugge dal suo corpo nel momento di spirare sul Golgota e che gusti le gioie del paradiso78. Gesù e le faccende domestiche La letteratura devozionale del Medioevo fornisce la giustificazione delle occupazioni quotidiane alle quali Gesù, a differenza del figlio di un principe che vive in un castello, doveva dedicarsi a causa della povertà della Sacra Famiglia, evidenziata nelle Meditationes dello Pseudo-Bonaventura. Durante la fuga in Egitto, si racconta infatti questo: Si recarono in una città detta Ermopoli e lì affittarono una casetta e vi abitarono per sette anni; vissero come stranieri, poveri e laboriosi, non conosciuti e disprezzati. Come si mantennero per tanto tempo? Forse mendicavano?79

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A fronte: Fig. 47: Nicolas Poussin, Il ritorno della Sacra Famiglia dall’Egitto, 1628-1638, olio su tela, 117,8 × 99,4 cm, Dulwich Picture Gallery, Londra.

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Della partecipazione alle faccende domestiche si occupa una serie di opere d’arte, alcune delle quali sono al tempo stesso toccanti e pittoresche. Elogiano Gesù docile, servizievole, ed esaltano la Sacra Famiglia come famiglia modello. Gesù che pesca con la lenza, mentre Giuseppe getta la rete e Maria ne ripara un’altra: questo è il soggetto di un’immagine di pietà del xvii secolo (Parigi, Biblioteca Le Saulchoir). Altre volte Gesù è raffigurato mentre fa la spesa per sua madre80, o mentre ritorna a casa dopo essere andato a prendere l’acqua, anche se alcune di queste immagini, lo si è visto, illustrano un miracolo e non Gesù che si è dedicato alle faccende domestiche81. Altre immagini di pietà intitolate «era loro sottomesso» lo mostrano in piedi «mentre fa la maglia» con Maria, cioè mentre presta le sue due braccia perché la madre possa riavvolgere la lana. Un dipinto idilliaco mostra in uno scenario campestre la Sacra Famiglia impegnata a lavare e stendere i panni (fig. 48), con Gesù che partecipa volentieri a questi compiti domestici82. Attribuito per un secolo all’Albani, questo dipinto è stato restituito a Lucio Massari (Bologna 1559-1633), pittore del primo barocco, della scuola bolognese. È forse il primo artista che, dopo un’iniziale formazione nei circoli manieristici (fu allievo di Passarotti), si è associato alle riforme stilistiche dei fratelli Carracci e poi a quelle di Domenichino. La scena si svolge in un ambiente bucolico, senza nessun’altra traccia umana se non la presenza della Sacra Famiglia (il villaggio di Nazaret non compare in alcun modo, così come gli altri suoi abitanti). Il bucato (un giorno “di bianco”: nessun tessuto colorato) si svolge presso un corso d’acqua, secondo un programma razionale, ognuno concentrandosi sul proprio compito. La sequenza delle azioni ha lo scopo di far salire la biancheria; l’ultimo panno della “montata” è però strappato – forse un’allusione allo squarcio del velo del Tempio durante l’agonia di Gesù sul Golgota83? Il suo tragitto inizia in effetti a terra, con Maria, posta leggermente indietro, poi passa a destra con Gesù e prosegue a sinistra in alto, per concludersi sulla corda: inginocchiata presso una tavola davanti ad una pozza d’acqua chiara, Maria lava e strizza; Gesù risciacqua e strizza; Giuseppe stende i panni. Maria e il Bambino sembrano immersi nel loro compito; solo Giuseppe sembra (o finge di) accorgersi della presenza dell’osservatore del dipinto, girando la testa verso di lui, come per invitarlo a partecipare al compito comune. Secondo la radicata tradizione dell’arte occidentale, egli è raffigurato come un uomo robusto, ma già vecchio, o almeno molto più vecchio rispetto alla sua sposa. Questa tradizione su questo punto venne lodata da un Giovanni Gerson (1363-1429), il quale sosteneva che l’attribuzione di un’età avanzata a Giuseppe è in armonia con le sue indiscusse qualità morali (castità, saggezza) ed echeggia un versetto del libro della Sapienza: «età senile è una vita senza macchia»84 (Sap 4,9). L’attenzione prestata da Gerson a questo tema è all’origine di tutta una riflessione occidentale su questo argomento. Che età potrebbe aver avuto il Gesù un po’ tarchiato rappresentato in questo dipinto? Cinque o sei anni? È lecito supporre che sia ancora nel periodo della sua vita di cui i Vangeli non dicono assolutamente nulla, fra il ritorno dall’Egitto e l’episodio del pellegrinaggio a Gerusalemme e del suo ritrovamento al Tempio. Lucio Massari si è preso la libertà di immaginare – nessun testo ne supporta la composizione, lo ripetiamo, nemmeno fra i testi apocrifi. Il suo scopo non è quindi quello di richiamare un testo, ma di dare voce, pittoricamente parlando, ad alcune pie convinzioni del suo tempo: prima di tutto, di far valere questo quasi-dogma ramificato, cioè che la Sacra Fami-

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A fronte: Fig. 48: Lucio Massari, Sacra Famiglia del bucato, inizio del xvii secolo, olio su tela, 52,7 × 38,8 cm, Galleria degli Uffizi, Firenze.

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glia fu esemplare sotto ogni aspetto, che visse se non nella povertà, almeno nella laboriosa semplicità e che costituisce a tutti gli effetti un modello di armonia, pace e concordia. La sua contemplazione deve quindi essere proposta alle famiglie come un baluardo contro la discordia. Indica loro la rotta e dà un assaggio di eternità beata. Il suo valore esemplare può essere descritto nel dettaglio. È triplice. Nel fare il bucato, Maria, la Madre di Dio, dà prova della sua vicinanza a tutte le madri di famiglia e ne consegue anche che le faccende domestiche di tutte le mamme del mondo si trovano santificate. Giuseppe, invece, costituisce il modello per i mariti che prestano attenzione ai bisogni materiali della famiglia e sono pronti ad aiutare le loro mogli nei lavori manuali di ogni tipo legati alla vita quotidiana della famiglia. Infine, Gesù stesso, l’unico ad avere un nimbo, è un bambino modello, è esaltato come un ragazzo docile, che può essere proposto all’imitazione di tutti i bambini del mondo… nella misura in cui sa mettere senza esitazione la sua energia al servizio del bene comune. Le funzioni di questo dipinto sono quindi evidenti: è stato concepito per eccitare quella che uno studioso tedesco ha chiamato imitatio pietatis, “l’imitazione devota”, da parte delle famiglie, di colui che fu santo fra tutti, e ammirevole sotto tutti gli aspetti. Ogni membro di qualunque famiglia può spiritualmente trarre benefici da un simile dipinto. È almeno questo lo spirito con cui è stato immaginato. Questo dipinto potrebbe essere eccezionale. Certo, il suo tema, cioè la Sacra Famiglia dedita nell’umiltà e nella semplicità a delle faccende tutto sommato banali, o che dà prova della sua ineguagliabile unità nonostante le circostanze, ha dato origine a una serie di dipinti in epoca moderna, perlomeno nell’arte religiosa occidentale. Si possono infatti raccogliere senza difficoltà dozzine di composizioni che illustrano ad esempio il riposo della Sacra Famiglia in Egitto, o la partecipazione di Gesù Bambino al lavoro da carpentiere del padre nella bottega di Nazaret sotto lo sguardo tenero di Maria che cuce o tesse, per non parlare poi degli innumerevoli dipinti che mostrano il ritrovamento di Gesù al Tempio, mentre sta stupendo i dottori. Per contro, il soggetto di questo dipinto, anche se rientra nella tematica della Sacra Famiglia, è forse unico: risulterebbe difficile trovare dei dipinti simili, a parte alcune incisioni preparatorie e una versione parallela. Come spiegare questa rarità? Sicuramente perché questo soggetto riesce nell’impresa di non essere radicato né nei racconti dei vangeli canonici, che non hanno questo episodio, né in quelli dei vangeli apocrifi o delle leggende medievali. Si tratta infatti di una pura invenzione di circostanza. Un’invenzione che ha la sua profonda ragion d’essere nell’idea che si è fatta la Chiesa post-tridentina della funzione dell’arte religiosa, mentre è agli antipodi delle concezioni che l’Oriente cristiano ha potuto farsi, dal suo lato, dell’icona e del suo contenuto teologico costitutivo – al punto che un tale soggetto, la Sacra Famiglia impegnata a fare il bucato (o a lavare i piatti, a prendere l’acqua o la legna, al lavoro in bottega), è quasi costantemente condannata a priori come aneddotica e insignificante, il tipo stesso della “falsa icona”, e della non teologia in immagine, mentre l’icona ha esattamente la funzione di essere una teologia in immagine. Da questo punto di vista, la pittura religiosa con soggetti di finzione dell’arte post-tridentina inventa un mondo di rappresentazioni inconciliabili con quello delle icone. Un altro fattore che spiega la rarità di questo soggetto è il fatto che il bucato fu a lungo considerato un compito prettamente femminile, svolto tra donne e che permetteva chiacchiere e pettegolezzi, riservato al cosiddetto sesso debole, al punto che gli uomini che le avessero aiutate, anche solo per portare

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A fronte: Fig. 49: Georges de La Tour, San Giuseppe falegname, 1640 ca., olio su tela, 137 × 102 cm, Museo del Louvre, Parigi.

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Fig. 50: Gerrit van Honthorst, Gesù aiuta Giuseppe nella sua bottega, 1620 ca., olio su tela, 137 × 185 cm, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo.

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l’acqua, venivano considerati poco virili… Tant’è vero che non è insensato domandarsi se un tale dipinto non presupponga l’idea di un Giuseppe privato della sua piena condizione d’uomo dal momento che egli è solo il padre adottivo di Gesù, e non il padre biologico. E se Gesù aiuta sua madre, la Vergine, è forse perché è docile e sicuramente obbediente, ma anche perché “lavare”, è “asciugare”, “purificare”… il che, ovviamente, non è estraneo alla sua missione di Salvatore. Gesù nella bottega di Nazaret Questa situazione costituisce una fonte di immagini edificanti che insistono sulla docilità del Bambino, che si intensifica a partire dal xv secolo e diviene sempre più ricca e variegata man mano che ci si avvicina alla fine dell’Ottocento. Ciò è dovuto sicuramente alla combinazione di diversi fattori storici. Alcuni risalgono al Medioevo, periodo in cui gli educatori credevano che si traesse un gran beneficio nel mandare presto i bambini al lavoro, e in cui sono numerose le immagini che mostrano bambini giovanissimi sul posto di lavoro dei genitori. Gli altri sono più o meno contemporanei: San Giuseppe dichiarato patrono della Chiesa universale (da parte di Pio ix, l’8 dicembre 1870), la crescente importanza dell’industrializzazione, la valorizzazione teologica del lavoro. Nella bottega da carpentiere del padre, Gesù fa dei gesti adeguati alla sua età. È stato rappresentato sia attivo, mentre maneggia gli utensili di un falegname, sia passivo, che si limita a osservare il padre al lavoro, ma anche impegnato in attività manuali difficili da identificare. Mateu López, intorno al 1580, lo mostra mentre tiene in mano entrambe le estremità dell’asse che Giuseppe sta tagliando, mentre Maria è seduta davanti ad un telaio. Cinquant’anni dopo Juan de Castillo farà lo stesso, insistendo sull’umiltà dei compiti e dei luoghi. Negli stessi anni, Georges de La Tour lo ha dipinto come un bambino mentre regge una candela che illumina suo padre intento a forare un pezzo di legno con un succhiello (fig. 49). Si è ipotizzato che Gesù avesse avuto un presentimento della propria morte in croce – soggetto vasto, che comprende anch’esso una quantità di composizioni, su cui torneremo nel prossimo capitolo. Ma nulla ci obbliga a seguire quest’ipotesi. Si raccomanda anzi di prendersi il tempo necessario per osservare la cura con cui il pittore ha reso il gesto tecnico del padre e l’attenzione del figlio, raggiungendo un eccezionale grado di fedeltà al reale e nei giochi di luce, in particolare la trasparenza della mano del bambino attraverso cui filtra la luce della fiamma della candela. Gesù, per una volta, sembra un vero bambino, Giuseppe non è confinato in una beata ammirazione, i loro abiti sono normali e la loro luminosità non è altro che quello di una semplice candela che si riflette sui loro profili. Non ci sono angeli nella bottega, né nubi teofaniche… Questo dipinto, magistrale dal punto di vista pittorico, è anche ardito dal punto di vista teologico, in un’epoca in cui l’idealizzazione di Gesù Bambino sta raggiungendo l’apice. Dipinto intorno al 1640, è stato preceduto una ventina d’anni prima da quello di Gerrit van Honthorst (fig. 50), costruito sulla stessa idea, ma disposto diversamente, con due angeli che dialogano, come testimoni della scena. Altri pittori, senza dare a Gesù un’età maggiore di quella che può aver avuto nei dipinti di La Tour e di Van Honthorst, lo hanno raffigurato, in uno stile storicista descritto talvolta come «neo-xvi secolo», che si mette alla scuola di Giuseppe e impara da lui i gesti fondamentali di un mestiere, quello di carpentiere, che si può ipotizzare abbia egli

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Fig. 51: Philippe Quantin, pannello centrale del Trittico della Circoncisione, 1635, olio su legno, 221,2 × 188,5 cm, Musée des Beaux-Arts, Digione.

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stesso effettivamente esercitato, dal momento che è stato usato per designarlo (Mc 6,3): spazzare i trucioli sparsi per terra (quadro di Giacomo Grandi, seconda metà del xviii secolo, nella chiesa parrocchiale di Sainte-Marie di Polveroso, in Alta Corsica) o, a torso nudo, raccogliere in un cestino quelli che sono sul banco da lavoro, usare una sega da solo o insieme a suo padre, piantare un chiodo con l’aiuto di un martello, maneggiare un compasso, la pialla, una sgorbia, un succhiello o reggere una squadra, come nella pala d’altare di una cappella Saint-Joseph della chiesa di Saint-Paul-Saint-Louis a Parigi da parte di Louis Jules Richomme nel 1870 – questo elenco si ferma sulla soglia degli oggetti maneggiati che non hanno più valore descrittivo, ma che acquistano un valore allusivo, come nel caso in cui il pittore mostra Gesù che tiene in mano un martello con tre chiodi, oggetti che fanno oscillare il senso dell’opera verso il lato dei presagi o dei presentimenti – ne tratteremo nel prossimo capitolo. Cosa dicono i Vangeli a riguardo di un possibile apprendistato di Gesù presso il padre adottivo? In realtà nulla, non una parola. Ma tenuto conto della forza dei costumi ancestrali, che volevano che il figlio maggiore imparasse la professione paterna, e del comandamento che prescrive a ogni giudeo di istruire i propri figli, alcuni esegeti specializzati nell’infanzia di Gesù non hanno dubbi: [...] crediamo per certo, nonostante il silenzio del Vangelo, che Gesù abbia frequentato la bottega di suo padre, sia stato suo apprendista e, alla morte di Giuseppe, abbia preso il suo posto.

Confessiamo di ignorare se questa convinzione sia accettata all’unanimità dagli esegeti, e dubitiamo che lo possa essere. In ogni caso, vale la pena di notare che, su questo punto, a differenza di molti altri (cfr. le nostre conclusioni), la tradizione pittorica occidentale moderna e contemporanea riceve il sostegno retrospettivo di almeno una parte dell’esegesi recente. Non tanto perché questa sarebbe disposta a riconoscere la dignità di «luogo teologico» all’arte, ma in ragione di una logica che tiene conto della cultura ebraica: [...] se i genitori di Gesù si fossero accorti di una vocazione così precoce ed evidente, avrebbero iniziato il loro figlio al mestiere di falegname?

Tesi poco convincente: l’esegesi fa questa affermazione per sottolineare l’ebraicità di Gesù, eventualmente il senso della misura, del giusto calcolo, della precisione che Gesù ha ricevuto da questo mestiere di carpentiere, là dove gli artisti lo hanno rappresentato nella bottega di Nazaret per dimostrare la sua docilità e farne il modello del bambino lavoratore che tutti i genitori desidererebbero.

Quattro momenti particolari dell’infanzia di Gesù La circoncisione, la fuga, il riposo e il soggiorno in Egitto, il ritorno dall’Egitto e il ritrovamento di Gesù al Tempio di Gerusalemme sono quattro momenti citati dai Vangeli. Molto spesso illustrati dagli artisti, forniscono potenzialmente informazioni complemen-

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tari su come i pittori e i loro committenti si immaginavano l’infanzia di Gesù, indipendentemente dalla vita quotidiana a Nazaret. La circoncisione Nel ciclo dell’infanzia, solo la scena della circoncisione ha potuto fornire ai pittori l’occasione di dipingere un Gesù colto da timore e che cerca di sfuggire al Sommo Sacerdote quando sta per lasciare le braccia di Maria: così nel dipinto di Raffaello Sanzio, Presentazione di Gesù al Tempio, del 1502 (ne è stato tratto un arazzo, conservato nella Cappella Paolina del Palazzo Apostolico Vaticano). Il principale momento di paura, per non dire di terrore, coincide ovviamente con il momento in cui l’officiante recide il sesso di Gesù, attimo illustrato da un dipinto di Benvenuto Tisi (Il Garofalo), oppure, un secolo dopo, dal pannello centrale del Trittico della circoncisione di Philippe Quantin, dipinto nel 1635 (fig. 51). È stato giustamente sottolineato il fatto paradossale che «è sicuramente all’interno di una società che non la pratica e che la conosce solo da lontano, che la circoncisione è stata rappresentata più spesso, cioè nella cristianità del Medioevo e dell’epoca classica». Probabilmente questo fatto non può essere spiegato in modo semplice, ma richiede, tra le altre, una serie di ragioni profonde: dall’ebraicità di Gesù – che i Vangeli hanno chiaramente sottolineato – all’occasione che questa scena “canonica” fornirebbe per mostrare attraverso l’antigiudaismo la “crudeltà” dei sacerdoti giudei subita dal Bambino nella sua carne, ma anche al legame che la mistica ha stabilito fin da subito fra la prima effusione di sangue del Salvatore e l’ultima, quella della croce, facendo quindi diventare la circoncisione una prefigurazione della Crocifissione; e ancora, per quanto riguarda il modo di trattare questa scena in epoca moderna, all’unica occasione che la raffigurazione del rito giudaico offriva agli artisti per dipingere Gesù impaurito. Fuga, riposo, arrivo e soggiorno in Egitto La fuga in Egitto è citata nel Vangelo secondo Matteo (Mt 2,12-15). Nella pittura occidentale questa pericope ha dato origine a quattro tipi di scene, o se si preferisce a una narrazione in quattro tappe. La prima di queste è la fuga propriamente detta. Il più delle volte è richiamata dal gruppo della Sacra Famiglia visto di profilo che avanza, da sinistra a destra o viceversa, talvolta guidato o spinto da un angelo, come nel dipinto di Poussin, con Giuseppe che tiene per le briglie l’asino sul cui dorso è seduta la Vergine, generalmente come un’amazzone, con il bambino sulle ginocchia. A parte il caso, già richiamato nel capitolo precedente, in cui il Bambino è sveglio e benedice, che non è il più frequente, Gesù dorme e non ci sono particolari cose da rilevare per quanto riguarda il trattamento di questa scena, dal nostro punto di vista, e tenuto conto della giovanissima età di Gesù in questo episodio che segue immediatamente la notizia della sua nascita e il fatto che Erode ne sia venuto a conoscenza e abbia ordinato il massacro a Betlemme di tutti i bambini maschi sotto i due anni. Il riposo durante la fuga in Egitto di per sé non è riportato nel Vangelo secondo Matteo. La sua unica fonte è lo Pseudo-Matteo e il suo racconto del “miracolo della palma”, di cui si è parlato nel capitolo precedente. Le pie amplificazioni forniscono l’occasione per una dimostrazione di abilità nel campo della pittura di paesaggio, oppure per un balletto di angeli e di angioletti, o per un concerto di violino da parte di un angelo solista, come nel

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famoso dipinto di Caravaggio: tutte sono da inserire nel dossier di un’infanzia eccezionale e non rientrano nell’indagine di cui si occupa questo capitolo. Lo stesso vale, dopo tutto, per l’arrivo della Sacra Famiglia in Egitto, accompagnato da moltissimi miracoli, specialmente quello degli idoli che crollano o delle popolazioni indigene che spontaneamente servono la Famiglia. In ogni caso, in questi episodi, anche quando sono amplificati dall’immaginazione, Gesù non ha l’età per far altro se non dormire o mangiare. Per quanto riguarda il soggiorno in Egitto, si tratta ancora una volta di un punto complesso dell’infanzia di Gesù nella tradizione pittorica. Alcuni rari dipinti o vetrate hanno ritenuto probabile che Giuseppe sia riuscito ad esercitare la sua professione in quel paese. Una vetrata raffigurante la sua bottega con Maria e Gesù lascia intravedere, dietro la staccionata in legno, le piramidi: Gesù può anche sedere sulle ginocchia di sua madre, ma non è più un neonato. Questo solleva la questione della sua età al momento del ritorno della Sacra Famiglia a Nazaret.

A fronte: Fig. 52: Jacob Jordaens, Il ritorno della Sacra Famiglia dall’Egitto, 1616 ca., olio su tavola di quercia, 63 × 50 cm, Gemäldegalerie, Berlino.

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Il ritorno dall’Egitto Fra gli esegeti contemporanei, sembra assodato che la morte di Erode il Grande sia seguita di poco alla nascita di Gesù. L’analisi delle opere che hanno per titolo e per soggetto la Fuga dall’Egitto ci interessa qui nella misura in cui fornisce delle informazioni sulle idee che i pittori si sono fatte sulla durata del soggiorno in Egitto, che si suppone sia durato almeno fino alla morte di Erode, sulla conoscenza della sua morte e del regno di suo figlio Archelao sulla Giudea, avvenuta grazie ad un avvertimento angelico («Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea», Mt 2,21-22). Alcuni artisti hanno immaginato un soggiorno brevissimo, come Alexandre Bida, il cui Gesù sembra avere la stessa età di quello della fuga in Egitto. Ne Il ritorno della Sacra Famiglia dall’Egitto di Jacob Jordaens (1616), Gesù indossa una tunica e cammina fra i suoi genitori dando loro la mano: il pittore gli ha attribuito quattro o cinque anni (fig. 52). Altri, al contrario, raffigurano un Gesù di almeno una decina di anni: così in una incisione del libro del carmelitano Girolamo Gracian († 1614) (Summario de las excelencias del glorioso. S. Joseph, Esposo de la Virgen Maria, Roma 1597) dedicata a Giuseppe, nell’incisione di Rembrandt, Il ritorno dall’Egitto, del 1654, ma anche in Dobson, The Going Down to Nazaret del 1856, in cui Gesù è così grande (alcuni commenti parlano di dieci o dodici anni) che è impensabile che Giuseppe, che lo porta in braccio contro ogni probabilità (per non parlare dei suoi strumenti: un’ascia e una sega nell’incisione), possa compiere più di un centinaio di metri con il figlio in braccio o sulla schiena. La maggior parte delle altre opere mostra un Gesù che cammina allegramente – e in ciò si distingue nettamente dalle immagini della fuga in Egitto – mostrandolo dell’età di di cinque o sei anni. Ciò vale anche per un’incisione di Jacques Stella secondo Goyrand, la cui legenda è Ex Aegypto vocavi filium meum («dall’Egitto ho chiamato mio figlio»: Os 11,1); angioletti nudi cospargono di fiori il sentiero che dovrà seguire la Sacra Famiglia dopo il ponte che sta attraversando, facendo di questo ritorno al villaggio una sorta di profezia dell’ingresso in Gerusalemme. Le versioni di Poussin, compresa quella conservata al Museum of Art di Cleve-

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Fig. 53: William Holman Hunt, Il ritrovamento del Salvatore nel Tempio, 1860, olio su tela, 85,7 Ă— 141 cm, Birmingham Museum and Art Gallery, Birmingham.

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land, mostrano un Gesù già grande (quattro o cinque anni?) e grassottello (e ancora nudo per la versione di Cleveland), che alza gli occhi e le braccia al cielo dove in una nube gli appaiono quattro angeli che portano una croce: ancora una volta il racconto pittorico si sposta dalla storia al presentimento (cfr. il prossimo capitolo). William Dobson, invece, si astiene da ogni presagio e mantiene una visione esotica e orientalista di questo ritorno a Nazaret. Questo ritorno dall’Egitto, per esempio quello di Rembrandt, di Jacques Stella (Rennes), o ancora quello di Rubens nella chiesa Saint-Charles Borromée ad Anversa, si confonde talvolta, dal punto di vista iconografico, con il ritorno da Gerusalemme dopo il ritrovamento al Tempio, soggetto che ha lo scopo di illustrare il «stava loro sottomesso» del Vangelo secondo Luca (Lc 2,51): Gesù Bambino (talvolta fra i sei e gli otto anni, per il ritorno dall’Egitto, talaltra più grande, per quello da Gerusalemme), posto fra i suoi due genitori mentre cammina dando loro la mano. Questa scenografia è all’origine di molti dipinti e immagini su qualunque tipo di supporto, di cui un buon numero sono sormontati da un Dio Padre a mezzobusto dall’aspetto raffaelliano che si libra sul gruppo e dalla colomba dello Spirito Santo in mezzo, in modo tale che alcune di queste immagini potrebbero essere intitolate “Le due Trinità”, sulla scia di un’affermazione di San Francesco di Sales che parla della Sacra Famiglia come di una “Trinità in terra”. Gesù fra i dottori e il ritrovamento al Tempio Quale fosse la regola nel trattamento della scena di Gesù fra i dottori così come è stata presentata nel capitolo precedente, essa ha conosciuto alcune eccezioni che meritano di essere segnalate come tentativi di umanizzare la scena e renderla più credibile senza tuttavia privarla del suo fascino né del suo mistero. Così nel caso di un pittore come Adolf Menzel (1815-1905), che nel 1851 tratta due volte il soggetto: una prima volta con un primo piano su Gesù in piedi in mezzo a un gruppo di cinque dottori curiosi e perplessi e la seconda volta, in uno spazio più ampio, con più dottori e Maria e Giuseppe che accorrono da destra. Così ancora in un quadro dallo stile “orientalizzante” di William Holman Hunt (1827-1910), cofondatore della fraternità dei Preraffaelliti, che ha dipinto il ricongiungimento di Maria e Giuseppe con Gesù fra i dottori del Tempio in modo suggestivo e pittoresco, con una particolare cura per la fedeltà etnografica degli abiti (fig. 53). Questa vena “realista”, sgombra da ogni ieraticismo statico, è illustrata soprattutto da Max Liebermann (1847-1935), uno degli esponenti più significativi dell’impressionismo tedesco. Dopo gli studi a Berlino e Weimar, egli risiede a Parigi e Barbizon, prima di stabilirsi definitivamente a Berlino nel 1884. Si ispira a molti artisti come Millet, Degas e Manet contribuendo così alla conoscenza della pittura francese in Germania. La sua prima grande tela, Le spennatrici di oche (1872), molto realista, gli valse il titolo di “apostolo della bruttezza”. Nel 1878, comincia a dipingere un dipinto intitolato Der zwölfjährige Jesus im Tempel («Gesù dodicenne nel Tempio») (fig. 54), utilizzando schizzi realizzati durante le sue visite alle sinagoghe di Amsterdam e di Venezia, schizzi che rappresentano dei rabbini e dei giovani ebrei – più di due secoli e mezzo prima, Rembrandt aveva già fatto la stessa cosa, pagando un giovane askenazita per delle sessioni di posa nel suo studio, allo scopo di dipingere un Gesù etnicamente convincente. Questo dipinto di Liebermann, a differenza di quelli del suo predecessore olandese, fece subito scandalo e provocò un’ondata di indignazione in tutto

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Fig. 54: Max Liebermann, Gesù dodicenne nel Tempio, 1879, olio su tela, 151 × 131 cm, Kunsthalle, Amburgo.

l’impero tedesco. Il principe regnante Leopoldo sostenne Liebermann anche se ordinò che il dipinto fosse spostato in un’altra sala dell’esposizione internazionale di Monaco del 1879, in modo che la gerarchia cattolica non fosse sconvolta. Il giornale Die Augsburger Allgemeine, invece, lo rimproverò di aver dipinto «il bambino ebreo più presuntuoso e più brutto che si possa immaginare». Rimprovero che pare ingiustificato e difficile da capire oggi. È vero che il pittore aveva osato immaginare Gesù in un’appassionata discussione con i dotti, tenendo loro testa, con gli atteggiamenti di un bambino che è già consapevole del proprio valore ma senza nulla perdere di una impetuosità giovanile commovente e, in definitiva, più credibile di molti atteggiamenti da adulto precoce che gli si è attribuiti in questa occasione. Ma la conclusione, agli occhi dei “benpensanti”, era scontata. Liebermann venne trattato da incapace e irrispettoso, probabilmente perché era ebreo. Per i cattolici non era

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affatto scontato che un pittore ebreo si occupasse di dipingere Gesù come un ebreo. Nel parlamento bavarese, il deputato conservatore Daller gli contestò apertamente il diritto di farlo. Al di là di questa questione, ci si può domandare se il grande errore di Liebermann, alla fine, non sia stato quello di svincolarsi così nettamente dagli stereotipi del suo tempo: il suo Gesù era infatti privo di nimbo, a piedi scalzi, con i capelli lunghi, vestito con una camicia non proprio pulita, e non pontificava, il che equivaleva ad ignorare la sua vera identità. Per la sua naturalezza, per i suoi gesti da bambino dotato, sovreccitato dall’attenzione semi-ammirata e semi-dubbiosa dei dotti colti sul vivo come vecchi attoniti, questo Gesù era agli antipodi rispetto a quanto avevano dipinto in precedenza tanti artisti cristiani di epoche di cui si è parlato sopra. Un altro esponente di questo realismo, allo stesso tempo audacemente demitizzante e convincente, è un pittore già incontrato precedentemente per essere stato uno dei pochi a mostrare il giovane Gesù che impara a leggere: Vassili Dmitrievitch Polenov. Il suo Cristo fra i dottori della Galleria Tret’jakov risale al 1896 (supra, fig. 39). L’atmosfera della scena, a differenza di quella di Liebermann, è tranquillissima. Una decina di dottori è seduta a gambe incrociate su una stuoia nel Tempio con Gesù in mezzo a loro, anch’egli seduto, vestito di bianco e con il capo coperto da un berretto. Sembra li stia ascoltando, oppure ha appena smesso di parlare, in attesa del loro parere. Il suo atteggiamento è modesto e vigile, e pare felice di essere ammesso fra “i grandi”. Sembra un bravissimo ragazzo. Uno dei dottori, sulla sinistra, fa un gesto che starebbe a dimostrare che è duro d’orecchi. Altri sembrano sognare o sonnecchiare. Maria e Giuseppe si avvicinano dalla destra, da dove si scorgono le colline di Gerusalemme sullo sfondo. Una riunione tranquilla, un perfetto non-evento. Ciò che meglio chiarisce lo scandalo provocato dal dipinto di Liebermann (non sappiamo se quello di Polenov abbia anche suscitato polemiche) è proprio il forte contrasto che crea rispetto al modo comune di trattare questa scena evangelica non solo nella pittura medievale e rinascimentale, ma soprattutto nella pittura contemporanea, piena di sguardi per un Gesù Bambino divino agli antipodi rispetto a quello di Liebermann, per esempio come in Papéty (Marsiglia, Saint-Victor, 1841), Gabriel Tyr (Le Puy-en-Velay, Musée Crozatier, 1850), William Holman Hunt nel 1854-1860 (Birmingham, Art Gallery) (supra, fig. 53), o ancora in Ingres nel 1862 (Gesù tra i dottori, Musée Ingres) (fig. 55). Si può così cercare di spiegare ciò che oggi sembra difficile da capire, cioè che nell’opinione pubblica dell’epoca, in gran parte dominata dall’antisemitismo, il pittore sia potuto passare per un bestemmiatore. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Chi, fra gli osservatori dell’inizio del xxi secolo, anche se profondamente credente, ebreo o cristiano, sarebbe ancora portato a gridare allo scandalo e a vedere in questo quadro un’opera blasfema, sia pure di poco? Al contrario, esso restituisce Gesù al suo popolo e alla sua vera infanzia, che sta per finire, senza pietrificarlo prematuramente e riuscendo a conciliare in modo flessibile il ritratto che ne traccia il racconto di Luca con il comportamento di un ragazzo di quell’età, le sue radici etniche e la sua missione universale, la verosimiglianza e il dogma.

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Fig. 55: Jean-Auguste-Dominique Ingres, Gesù tra i dottori, 1862, olio su tela, 265 × 320 cm, Musée Ingres, Montauban.

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Gesù e la sessualità Anche Gesù ha dovuto scoprire la sessualità? Ha imparato ad assumere la propria? Ad accarezzarsi, ad accarezzare un’altra donna oltre a sua madre quand’era piccolino? Solo perché, ancora una volta, i Vangeli canonici così come i testi dottrinali tacciono su questo argomento, non significa che questo genere di problemi sia inappropriato e non possa avere diritto di cittadinanza fra gli studiosi e tutti coloro che riflettono su ciò che il cristianesimo trasmette. La cura che la tradizione artistica ha dedicato nel mostrare Gesù, bambino, dotato di un sesso virile esposto con compiacimento, fino alla sazietà, sarebbe un alibi per non dover parlare della sua sessualità da adolescente e poi da adulto? Di fatto, il silenzio sulla pubertà di Gesù, tanto nei discorsi a parole quanto nel linguaggio artistico, è totale, apparentemente, e la sua sessualità da adulto è richiamata solo nella letteratura, nel teatro e nel cinema, in epoche relativamente recenti (non si sarebbe osato farlo prima), e in modi che hanno spesso attirato le ire della Chiesa (basti pensare al romanzo di Nikos Kazantzakis, L’ultima tentazione, pubblicato in Grecia nel 1954, in Francia nel 1959 e in Italia nel 1987, così come l’omonimo film girato da Martin Scorsese, uscito nelle sale nel 1988, e agli scalpori che hanno provocato, prima uno e poi l’altro). Anche da questo punto di vista la pittura occidentale ha chiaramente preso posizione, soprattutto nel Rinascimento, in favore di un giovane Gesù effeminato o androgino, allo stesso modo in cui faranno le visioni mistiche per lo Spirito Santo raffigurato sotto forma di giovane uomo. Sintomatica è la figura del Salvator mundi creata da Leonardo da Vinci, e ancor più significativo il suo notevole successo: non si contano più i pittori che ad esso si sono ispirati (soprattutto gli italiani del Seicento e del Settecento), almeno fino alla fine del secolo successivo, come testimoniano il Gesù leonardesco (supra, fig. 25) e il dipinto di Louis de Boullogne (infra, fig. 64). In entrambi i casi, più che di un adolescente già virile, si tratta di un angelo, sia pure senza ali, o di una figura androgina. Da questo punto di vista, è come se, una volta stabilito, attraverso una quantità di immagini di Gesù Bambino dalla nudità dimostrativa (ben oltre quelle della sua circoncisione), che il Verbo di Dio si è fatto uomo nel senso maschile del termine e non in quello femminile (una scelta divina sulla quale la teologia non è per nulla loquace), la pittura avesse sentito la parola di Cristo che profetizza che in cielo «non c’è più uomo né donna: saremo tutti come degli angeli» (Mt 22,30: «Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo») e avesse applicato questa visione a Gesù stesso immaginandolo “angelizzato” fin dall’inizio. I giganteschi perizomi, fluttuanti o rialzati, di Gesù in croce dello stesso periodo, apprezzati da Leo Steinberg, come tanti falli nascosti ed eloquenti al tempo stesso, oltre al fatto che il loro discorso non è affatto univoco, non compensano assolutamente questo massiccio silenzio della tradizione pittorica sulla sessualità di Gesù e sulle fasi della sua eventuale scoperta da parte dell’interessato.

Conclusione: Giuseppe e Gesù, dalla distanza alla complicità Il rapporto di forte affetto fra una madre e il figlio, innegabilmente onorato nella cultura fin dal Medioevo, domina chiaramente le immagini occidentali della Vergine col Bambino.

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A fronte: Fig. 56: Benjamin Constant, San Giuseppe padre adottivo di Cristo, xix secolo, olio su tela, 130 × 95 cm, chiesa parrocchiale, Villers-sur-mer (Calvados).

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Il legame tra un padre e suo figlio (soprattutto qualora si tratti di un figlio unico) è al contrario meno dimostrativo e costituisce forse uno dei banchi di prova della quantità di idealizzazione che entra in gioco quando se ne deve parlare ad altri o a se stessi. Da questo punto di vista, il modo di dipingere insieme Gesù e suo padre adottivo è profondamente rivelatore dell’idea che ci si è potuti fare dei loro rapporti e, di conseguenza, della crescita di Gesù Bambino fino all’età adulta. Il nostro scopo non è ovviamente quella di intraprendere un’indagine sistematica al riguardo, ma di richiamare l’attenzione sul fatto che solo tre tappe segnano i rapporti fra Gesù e Giuseppe, la cui successione nasconde un vuoto. Prima di tutto, quella del dubbio di Giuseppe riguardo all’origine di Gesù, cosa che spiega il suo atteggiamento pensieroso in molte Natività (anche se un buon numero di immagini meno conosciute lo descrivono come un “nuovo padre” che versa l’acqua del bagno, attizza il fuoco, stende i panni, che è capace di fare da babysitter al bambino, ecc.). La tappa successiva è quella dell’irreprensibile protettore della Sacra Famiglia: una miriade di dipinti lo mostrano mentre veglia sulla madre e sul bambino, o che tiene il bambino in braccio, o che accetta il suo aiuto nella bottega di Nazaret, o che parte alla ricerca di Gesù con Maria, fino al momento del suo ritrovamento nel Tempio di Gerusalemme. In seguito, si ha come un grande buco, Giuseppe scompare dal ciclo delle immagini della vita di Cristo, fino alla sua tardiva ricomparsa nella scena in cui il figlio è al capezzale del padre morente, manifestandogli il suo amore filiale in extremis. Ma che ne è stato, secondo la tradizione pittorica, del rapporto fra l’adolescente Gesù e Giuseppe? Un quadro decisamente speciale è quello del pittore orientalista Benjamin Constant (1845-1902) intitolato San Giuseppe padre adottivo di Cristo, risalente all’ultimo quarto del xix secolo, che lo mostra, con una sega ai suoi piedi, seduto su un muro della terrazza con Gesù al suo fianco (fig. 56): per una volta i due non fanno nulla, nient’altro che essere familiarmente seduti uno a fianco all’altro. Constant «rinnova l’iconografia di San Giuseppe proclamato patrono della Chiesa universale da Pio ix nel 1870», ma anche quella di Gesù adolescente. Infatti, Giuseppe «non porta Gesù, non lo tiene per mano, ma, seduto al suo fianco, condivide con lui uno stesso orizzonte, così come hanno condiviso per molti anni l’umile mestiere di carpentiere», commento molto pertinente, che lascia trasparire come il Gesù di Benjamin Constant abbia già alle sue spalle anni di apprendistato e abbia abbondantemente superato l’età dei dodici anni, cosa che è confermata dall’aspetto di giovane uomo. Un Gesù capace di non far nulla, almeno per qualche istante, e di non essere edificante in nulla, temporaneamente: è confortante.

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III

Gesù Bambino e l’intuizione della Passione

Un’infanzia attraversata da presentimenti Un filone ricchissimo, quello della sorpresa A partire da una data, sulla quale dovremo tornare per poterla comprendere, si moltiplicano i dipinti che mostrano Gesù come un bambino all’apparenza “normale”, ma la cui quotidianità è, per così dire, attraversata o abitata da un presentimento riguardante la sua missione di Redentore del genere umano. Si tratta essenzialmente di scene con Gesù in tenera età che ha tra le mani una corona di spine con cui si punge, oppure che si presenta come il luogo di una percezione mistico-profetica sempre legata alla Passione che lo attende, ad esempio sotto forma di visione della croce e/o delle arma Christi (gli “strumenti” della passione: frusta e colonna della flagellazione, corona di spine, chiodi e martello, la lancia con la spugna, le tenaglie e la scala della deposizione dalla croce, ecc.). Questa prescienza può anche trasformarsi, pittoricamente parlando, in contatto fisico diretto, quando il Gesù Bambino dei dipinti regge la croce (una croce dal formato adatto per la sua età), la riceve fra le braccia o la porta, oppure la costruisce in una scala ridotta ma sufficiente per farci intravvedere il suo destino, o ancora si ferisce nella bottega di Giuseppe. L’oggetto che provoca il presentimento è talvolta molto discreto o idealizzato o criptato, tanto che non lo si può notare immediatamente: come in molti dipinti della Vergine con il Bambino in cui Maria offre a Gesù un fiore la cui specie è carica di significato, ad esempio un garofano, in tedesco Nelke, dalla stessa radice di Nagel, chiodo1… Così ancora ne La Madonna del libro di Sandro Botticelli2 che a prima vista potrebbe sembrare una lezione di lettura data da Maria a Gesù, con la differenza che il Bambino che si volge verso la madre sembra tenere tre minuscoli chiodi dorati (ci si chiede chi glieli abbia dati così come si può pensare a delle aggiunte o a delle ridipinture) e, avvolta attorno al suo polso, una corona di spine dello stesso colore: forse questi oggetti, che non sono realmente concreti, stanno a simboleggiare ciò che la lettura della Bibbia (o del libro d’ore

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con fibbia aperto su due pagine il cui contenuto è parzialmente leggibile: si riconoscono degli estratti non del Salterio, ma del libro di Isaia) suggerisce su ciò che attende questo bambino… Ma l’oggetto della visione e del presentimento è spesso dipinto come un manufatto la cui realtà materiale sembra indiscutibile. La maggior parte di queste composizioni riveste un certo interesse per la nostra ricerca in quanto è lecito scorgervi, se non una sintesi delle percezioni soggiacenti ai due primi capitoli di questo libro, per lo meno una via media, o più prosaicamente un compromesso fra un Gesù Bambino che sapeva già tutto a priori (cfr. cap. i), e un altro che è dovuto passare attraverso un certo numero di processi di apprendimento (cap. ii). Infatti, «i dipinti di presentimento», se ci è permesso denominarli genericamente in questo modo per comodità, il più delle volte sono costruiti su un contrasto più o meno comprensibile ma veramente strutturale fra la doppia banalità del luogo in cui si trova il Bambino e l’occupazione a cui si sta dedicando, da una parte, e il carattere imprevisto e sorprendente, se non addirittura decisamente insolito, della presa di coscienza di cui è allora il luogo3. La coscienza che Gesù ha di se stesso, nelle opere d’arte citate come testimoni nel capitolo primo, sembra costante. L’apprendimento di Gesù comporta una certa regolarità. Qui, al contrario, la temporalità specifica dei dipinti e delle sculture di cui ci occuperemo è quella, discontinua, dell’istante. Sorprendente, per Gesù stesso e per la Sacra Famiglia. Mappare le premonizioni Ancora una volta si pone il problema della classificazione delle opere a seconda dell’idea di infanzia che riflettono. Quella che alla fin fine abbiamo adottato solleva la questione delle fonti letterarie di queste immagini-presagio. Abbiamo ipotizzato, e riteniamo che il nostro testo lo dimostri a posteriori, che l’insieme da esse formato lasci intuire in filigrana la loro geografia, prestandosi ad essere mappato come le stelle del cielo. Equivale forse a dire che sarebbero il risultato di una nascita spontanea, senza alcuna dipendenza da testi o visioni che le avrebbero direttamente ispirate? No. La riflessione teologica sulla prescienza di Gesù4 ha preceduto la maggior parte delle opere addotte, ma senza che si possa stabilire ogni volta, anzi tutt’altro, una stretta connessione di causa-effetto tra un testo teologico di partenza e le immagini che ne sarebbero l’illustrazione. Inoltre, sono esistite alcune visioni mistiche, che sono tra i fattori storici che accompagnano le immagini analizzate e contribuiscono a rivelarne il senso e la portata. Alcune delle opere presentate in questo capitolo sembrano all’apparenza non avere nulla a che vedere con la vita quotidiana di Nazaret così come avremmo potuto immaginarla: è il caso, ad esempio, de La Madonna dei Palafrenieri («Madonna col serpente») di Caravaggio5 (fig. 57), dipinto prima di tutto di carattere simbolico, dove il piede di Gesù (la cui nudità, vista la sua età, è nuovamente difficile da giustificare, per non parlare poi della scollatura della Vergine) viene in soccorso e rafforza l’azione del piede della madre, anch’esso nudo, nello schiacciare la testa del rettile (facendo così eco al “protovangelo” di Gen 3,15: «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno»), sotto lo sguardo di Sant’Anna, patrona della confraternita romana che ha commissionato il dipinto6. Il Bambino non ha l’aria di essere particolarmente tranquillo; è piuttosto spaventato e timoroso. È per questa ra-

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Fig. 57: Caravaggio, Madonna col serpente, 1606, olio su tela, 292 × 211 cm, Galleria Borghese, Roma.

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gione che presentiamo questo dipinto in questo capitolo e non nel primo. Ma la scena, si dirà, non fa parte della vita quotidiana, grazie a Dio. Tuttavia occorre rifletterci meglio. Infatti l’incisione di Antonio Van Dick, posteriore di circa mezzo secolo, mostra un Gesù Bambino che calpesta tranquillamente il serpente senza l’aiuto della madre, appoggiandosi alla sphaera mundi e benedicendo. Il contrasto fra le due opere sembra lampante dal momento che fa percepire che gli elementi di psicologia infantile e di vita domestica del primo dipinto sono scomparsi nell’incisione e permettono di intuire il cambiamento nella percezione dell’infanzia di Gesù, tanto sottile quanto profonda, che avviene fra le due opere. Insomma, il dipinto di Caravaggio ha il suo posto in questo capitolo, a differenza dell’incisione di Van Dick. È ovviamente possibile compiere una classificazione cronologica delle opere del tipo “presagi della passione”. Essa condurrebbe a mettere in cima alla lista una tavola dipinta del xv secolo, opera del Maestro Bertram (cfr. infra, fig. 58), ma non renderebbe adeguatamente ragione della grande quantità di opere del xvii secolo. Il suo unico merito sarebbe quello di richiamare l’attenzione sul fatto che questo gruppo di opere ha una fine così come ha un inizio: dopo il xviii secolo, nessun artista lo arricchisce più, come se l’idea stessa del presagio della passione avesse smesso di motivare la creazione. Pertanto, secondo il nostro postulato epistemologico, optiamo ancora una volta per una classificazione morfologica (che traiamo da un’osservazione risultante dallo studio di questo corpus), cioè che l’elemento determinante dal punto di vista dello schema compositivo è la posizione del Bambino in relazione alla croce e viceversa. Da questo punto di vista, le opere si suddividono indubbiamente in tre categorie principali, a seconda che Gesù (ed eventualmente la sua famiglia, se si tratta solo di vedere) veda apparirgli la croce, che la tenga o la porti, o ancora che sia sdraiato o inchiodato su di essa o al suo fianco.

Principali presagi Sogni e apparizioni Un olio su tela di Francesco Trevisani (1656-1746) conservato al Musée Fabre di Montpellier mostra Gesù Bambino immerso nel sonno sotto un trio di inteneriti putti in cielo, con una gamba appoggiata su un teschio, il titolo “inri” fra il tallone e il cranio, una piccola croce nella mano destra e un chiodo luccicante nella mano sinistra, senza dimenticare una grande corona di spine posta al suo fianco, di un formato che può andare bene solamente per una testa di adulto7. Questo dipinto e molti di quelli di cui parleremo adesso si avvicinano al genere Memento mori o Nascendo moriemur («Siamo nati per morire»)8, come dimostra la presenza di uno o più teschi in statuette, dipinti e incisioni. L’anta destra (54,3 × 46,5 cm), talvolta chiamata La Vergine che fa la maglia (fig. 58) dell’apertura festiva del polittico dell’abbazia di Buxtehude, opera del Maestro Bertram di Minden, intorno al 1400, conservato alla Kunsthalle di Amburgo (Inv. n° 501), rappresenta Gesù Bambino (di sei anni?) appoggiato su un gomito davanti ad un libro aperto e disteso con noncuranza sull’erba ai piedi di Maria, la quale sta finendo di fargli a maglia, casualmente, una tunica porpora; si volge verso due angeli in piedi che gli presentano uno

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Fig. 58: Maestro Bertram, La Vergine che fa la maglia, 1400 ca., anta destra del polittico di Buxtehude, olio su legno, 54,3 × 46,5 cm, Kunsthalle, Amburgo.

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la lancia (Gv 19,34) e la corona di spine (Gv 19,1), l’altro la croce con tre chiodi (Gv 19,17 e 20,35). Nonostante sia nimbato, Gesù dà l’impressione di essere un bambino qualunque, e il suo voltarsi è la metafora anatomica di una sorpresa. Guarda gli strumenti della sua futura messa a morte senza apparente emozione. Capisce veramente ciò che significano? Ha già letto e meditato i canti del servo del profeta Isaia (Is 52,13 – 53,12) o il Sal 22?9 La piccola frusta al suo fianco potrebbe alludere alla sua flagellazione (Gv 19,1). Questo dipinto di fantasia ha il suo equivalente più classico nell’arte dell’icona, là dove il Bambino nelle braccia della madre guarda terrorizzato le arma Christi che gli vengono presentate da due angeli – così in un’icona di Creta della fine del xv secolo, La Madre di Dio della Passione, destinata ad avere ampia diffusione in Occidente10. I dipinti intitolati La Sacra Famiglia e il presagio della passione, come quello di Juan de Sivilla (1674-1675)11, non svelano immediatamente il loro segreto: vi si cerca la natura del presagio, in questo caso nello specchio che Gesù guarda e che gli porgono gli angeli. Segnaliamo en passant che la maggior parte dei dipinti di presagio fa degli angeli i ministri, se così si può dire, o gli accoliti del presentimento profetico. Lo stesso pittore ne ha composti diversi. Nel quadro conservato a Valladolid, gli angeli, come abbiamo detto, portano sulle spalle dei genitori una croce che preannuncia a Gesù Bambino, che ha il ginocchio appoggiato contro la sfera del mondo, ciò che lo dovrà attendere12. Lo stesso soggetto, con gli stessi attori disposti praticamente allo stesso modo, è stato trattato da Luca Giordano in un dipinto qui riprodotto (supra, fig. 8)13. Il dipinto di Van Loo, conservato nella chiesa della Maddalena di Aix-en-Provence14, raffigura Gesù che scruta gli strumenti della passione disseminati a terra, mentre un angelo gli mostra la croce e il calice: ma Gesù, riccamente vestito, siede in cielo e non in terra a Nazaret, a quanto pare, e proprio per questo il dipinto va oltre la categoria dei presagi umani per entrare in quella della prescienza divina. Un’incisione di Claude Mellan, Si è umiliato (Parigi, bnf, Dipartimento delle Stampe), mostra «il Bambino seduto sulla paglia, solo, di fronte alla croce, considerata con una sorta di orrore. Il senso di abbandono che procura questa immagine è ulteriormente aggravato dalle ombre della croce che si moltiplicano a terra, un incubo nonostante le nubi di cherubini»15. L’elemento di sorpresa che ci serve da termine di paragone è ancora verosimile. Non lo è sicuramente in un piccolo dipinto su rame di Jacques Stella (1596-1657), La Sacra Famiglia visitata da Santa Elisabetta, Zaccaria e San Giovanni Battista, Dio Padre, lo Spirito Santo e degli angioletti che portano gli strumenti della passione16, in cui Gesù tende il braccio verso il balletto degli angeli che portano le arma Christi e reggono la croce, mentre Giovanni Battista cavalca un agnello. Il minimo che si può dire è che questa messa in scena, per quanto toccante possa sembrare, ha qualcosa di forzato se non addirittura di decisamente artificiale, per non dire un po’ di ridicolo, almeno ai nostri occhi scevri da qualsiasi attitudine pietista. E cosa dire dell’incisione attribuita ad un rappresentante della scuola napoletana di pittura manierista, Fabrizio Santafede (1560-1634), Sacra Famiglia e S. Giovannino in gloria, conservato presso il Museo Diocesano di Gaeta, vicino a Napoli? In cielo, su un balcone di nuvole, san Giovanni Battista bambino indica con il dito la visione di Maria che regge una croce con sopra Gesù Bambino, completamente nudo, il quale dirige il proprio

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A fronte:

Fig. 59: Juan de Juanes, Il piccolo Gesù prende la croce o Sacra Famiglia, 1570-1575, olio su tavola, 51 × 36 cm, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid.


sguardo verso il Padre dalle braccia aperte. Questa composizione parte dal presupposto e vorrebbe convincere i devoti che Gesù pensi alla sua morte in croce sin da giovanissimo e che sua madre, chissà cosa si aspettava, lo stia preparando attivamente. In queste condizioni, questo tipo di infanzia non è forse una apparenza di infanzia? L’incarnazione sarebbe forse una finzione? Spiritualità dell’infanzia può far rima con docetismo, decisamente… Un’opera analoga è stata composta da Alessandro Varotari, alias Il Padovanino (1588-1646): Gesù, fanciullo e completamente nudo, è inchiodato alla croce mentre tre putti anch’essi nudi sono tristi17. Gesù che gioca al crocifisso prima del tempo, come i bambini delle “buone famiglie” cattoliche che giocano alla messa? Nell’arte, lo si sarà notato, la Sacra Famiglia è stata spesso associata a questi presentimenti di Gesù trattati come un’apparizione in cielo, al punto che a volte sarebbe giusto scorgere in essa il vero soggetto del presagio. In un disegno attribuito a Domingo Saura e conservato a Valencia, Presagio della Passione durante la fuga in Egitto18, è Giuseppe che, sollevando la testa, sembra notare il primo gruppo di angioletti in cielo, inviati da Dio Padre, nell’atto di portare una croce che annuncia a Gesù ciò che lo attende. Juan de Juanes ha dipinto a sua volta un olio su tavola, fra il 1570 e il 1575, in cui Gesù Bambino riceve una croce da un angelo mentre è in piedi contro sua madre, pronto a succhiare (fig. 59). Anche in questo caso, l’opzione è stata quella di tessere insieme, nel miglior modo possibile, presagi mistici con i gesti quotidiani di un bambino. Il Presagio della Passione, di Mateo Cerezo, è una Natività che mostra le arma Christi19 – lo stesso soggetto si ritrova in molti altri dipinti del xvii secolo intitolati La Sacra Famiglia e i presagi della Passione. Gesù Bambino portacroce Nel 1989 si è tenuta a Milano una mostra dal titolo Niños Jesus20 che presentava una collezione di sculture spagnole di Gesù Bambino in varie vesti, che vanno dalla nudità di Adamo agli abiti regali o sacerdotali, in atteggiamenti diversi e che compie svariati gesti: porta la croce o alcuni strumenti della passione, a volte la corona di spine o il globo del mondo, oppure sdraiato sopra o accanto ad una croce a sua misura, e vicino ad un teschio. L’origine di queste statuette è solitamente spagnola e la maggior parte di esse è stata scelta fra quelle del Monastero «de las Descalzas Reales» di Madrid, aperto nel 1960, che costituisce un’esperienza museale originale, di conservazione del patrimonio religioso in un luogo particolarmente adatto a questo scopo. Cosa volevano dire, cosa hanno immaginato, creando queste statuette del «Bambino Gesù della Passione», che lo mostrano mentre porta una croce, vestito con una tunica o con un abito da bambina mentre guarda tristemente verso il cielo?21 Oppure che mostra Gesù Bambino che cammina sulla sfera del mondo portando una croce proporzionata al suo corpo di bambino, come El Niño de dolor (fig. 60), una toccante statua a lungo attribuita ad Alonso Cano (1601-1667), il «Michelangelo della Spagna», ma che alcuni ricercatori, dal 2007, vorrebbero restituire a Luisa Ignacia Roldán, alias «La Roldana» (1652-1706), prima scultrice spagnola? Dovremmo intravedervi l’eco dei misteri recitati sui sagrati delle chiese o delle processioni dei penitenti? La statuetta è realizzata per convincere i devoti che Gesù Bambino conoscesse in anticipo il proprio destino e volesse prepararsi?

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Fig. 60: Luisa Ignacia Roldan («La Roldana»), Il Bambino del dolore, xvii secolo, statuetta, chiesa di san Fermín de Los Navarros, Madrid. Fig. 61: Antonio de Pereda, Il Bambino Gesù e la vanità del mondo, olio su tela, 204 × 146 cm, chiesa Saint-Bénigne, Arc-Senans.

L’idea che il Bambino possa prepararsi al proprio futuro imitandolo o giocandoci in anticipo è ben documentata nel Medioevo22. Un piccolo quadro di un pittore spagnolo o sudamericano del xvi o xvii secolo, conservato a Londra presso la Dulwich Picture Gallery, mostra un Cristo bambino o adolescente che porta la croce e gli strumenti della passione. Un dipinto di Manuel Caro (1761-1820) ha come soggetto Giuseppe che porta Gesù Bambino. Quest’ultimo regge una croce. Allo stesso modo, si deve ad Antonio de Pereda (1611-1678) un grande olio su tela (forse una pala d’altare; le sue dimensioni sono 2,04 x 1,46 m), Gesù Bambino e la vanità del mondo, chiamato anche El Niño de las Calaveras, con un Gesù benedicente (che appare in una nuvola fra teste di angioletti), vestito con il mantello porpora che fluttua al vento e che regge una croce grossolanamente scortecciata, mentre le altre arma Christi sono sparse alla rinfusa sul terreno con dei teschi: come a dire che al Bambino è attribuita una potente premonizione della sua passione (fig. 61)23. Questa categoria di immagini prevede diverse varianti. Una di esse consiste nel mostrare Gesù che porta non solo la croce, ma il fascio degli strumenti della passione. L’origine di queste immagini di Gesù Bambino con le arma Christi risale almeno al xvi secolo: «Jérôme Wierix trattava il tema ponendo il Bambino Gesù in piedi sull’ihs dei

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Gesuiti mentre tiene tutti insieme gli strumenti della passione»24. Un’altra variante è quella delle immagini che mostrano Gesù mentre regge non più la croce, ma uno dei chiodi della crocifissione, oppure la corona di spine o questa e tre chiodi. Spine e chiodi L’iconografia dell’opera è un tema premonitore, dipinto da Zurbarán in diverse occasioni e narrato da Rodolfo Cartujano nel suo libro Vita Christi, scritto in latino intorno al 1350 e tradotto in spagnolo a Siviglia nel 1537. La goccia di sangue che sgorga dal suo dito per essersi pizzicato con una spina dalla corona, appoggiata sulle sue ginocchia, davanti alla quale stava meditando, è testimonianza della futura Passione e Morte del Redentore. La sorpresa di Gesù è evidente: resta pensieroso di fronte a ciò che lo attende25 (fig. 62). L’elemento di sorpresa, in questo caso, è un buon criterio, a nostro avviso, a meno che non si decida che Gesù fosse un masochista e avesse deciso di pungersi il dito per allenarsi a soffrire. Lo stesso vale per il quadro equivalente di Zurbaran, La casa di Nazaret, conservato al Museum of Art di Cleveland: Gesù non si sarebbe punto intenzionalmente anche se scelse consapevolmente di intrecciare una corona di spine e di meditare su di essa26. Al contrario, nel quadro di John Everett Millais (1829-1896), Cristo in casa dei suoi genitori, ca. 185027 (fig. 63), che fece scandalo quando venne esposto al salone della Royal Academy di Londra, perché tutto sembrava semplice e banale, Gesù mostra alla madre il suo palmo sinistro ferito, che esamina con Giuseppe, quasi a impedire la futura crocifissione, mentre un ragazzino esce con un piattino pieno di sangue versato. In questa bottega di Nazaret, la sorpresa è degli assistenti, ma non di Gesù né in Maria, la quale stranamente sente il bisogno di inginocchiarsi davanti al figlio che, in questo caso, sarebbe piuttosto da consolare o da curare e non da adorare. Bernardino Luini è l’autore di un quadro raffigurante Gesù adolescente come Salvator mundi che medita su un chiodo. Sarà seguito da Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), putativamente assistito da suo figlio Paolo Valentino, coautore nel 1665 di un suggestivo rilievo in marmo del dipartimento delle sculture del Louvre (mr 2733), Gesù Bambino che gioca con un chiodo28, «soggetto pio e dolorista»: Gesù è appoggiato ad una scatola in cui sono collocati alcuni strumenti della passione, tiene nella mano destra un chiodo di cui sta testando la punta sul suo palmo sinistro. Il lenzuolo preannuncia il sudario. In questo rilievo, il mistero dell’Incarnazione è evocato attraverso una sorprendente scorciatoia: il Bambino, ignaro, è anche Dio onnisciente. Cristo sa che le sue mani saranno trafitte da chiodi […] La devozione per il Cristo bambino, nel xvii secolo, è inseparabile dalla meditazione sulla passione29.

Questa serie continua con l’impressionante dipinto di Louis de Boullogne il giovane (16541733), Jesus cogitanti, in cui Gesù, dai tratti dolci e femminei, tiene nella mano sinistra la sfera del mondo sormontata da una croce, e nella mano destra un lungo chiodo luccicante, sul quale sembra meditare, peraltro in modo del tutto tranquillo30 (fig. 64). Accenna persino ad un sorriso. Queste varie opere hanno probabilmente un rapporto con la «visione del chiodo» di cui è stata destinataria Santa Teresa d’Avila, visione che racconta nel suo manoscritto autobiografico31, e di cui è stata tratta un’incisione dove il Risorto appare alla santa mentre le porta uno dei chiodi della crocifissione32.

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Fig. 62: Anonimo, discepolo di Zurbaran, Bambino con spina, fine xvii sec., olio su lino, 71,5 × 52 cm, Museo del Prado, Madrid.

Alle pagine seguenti:

Fig. 63: John Everett Millais, Cristo in casa dei suoi genitori o La bottega del falegname, 1850 ca., olio su tela, 86,4 × 139,7 cm, Tate Gallery, Londra.

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Gesù Bambino sdraiato su una croce «Nel Seicento i pittori non si stancano di mostrare Gesù Bambino che dorme sulla croce o che la porta, con attorno a sé gli strumenti della passione»33. Tra gli artisti famosi che hanno trattato questo soggetto citiamo Orazio Gentileschi, Francesco Albani, Guido Reni, Murillo (Sheffield). Alcuni di loro lo immaginano nell’atto di rivolgersi a Dio Padre, come un piccolo quadro anonimo conservato nel museo di Gap (fig. 65)34. Anche gli scultori arricchiscono la posterità del Bambino Gesù dormiente35. Émile Mâle ha già segnalato l’importanza di questo tema devozionale36. Qual è l’origine di questo soggetto? L’idea che possa derivare dalla tradizione orientale del Bambino Gesù sdraiato (vestito e di solito con gli occhi aperti) detta Anapeson è stata recentemente confutata con delle solide argomentazioni37. In ogni caso, questa famiglia di immagini compare tardi. La sua origine risale al xvi secolo, nell’arte spagnola. Ha avuto un discreto successo per almeno due secoli, soprattutto nel Seicento. Uno degli ultimi «grandi artisti» ad occuparsi di questo tema è William Blake (fig. 66). Ma ancora nel xix secolo sono state realizzate delle sculture policrome, immagini pie con pizzi e dipinti su vetro con Gesù Bambino sdraiato su una piccola croce e pensieroso, con gli occhi spalancati38. La primissima rappresentazione di questo tema si deve a Giacomo Francia (1486-1557) […], che riprenderà lo scultore

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Veyrier39

per la chiesa oratoriana di

Aix40.

Fig. 64: Louis de Boullogne, Jesus cogitanti, 1704 ca., olio su tela, 80,8 × 64,5 cm, Musée national d’histoire et d’art, Lussemburgo. A fronte: Fig. 65: Gesù disteso sulla croce si intrattiene con Dio Padre, Musée de Gap.

Si diffonde poi in Italia: Alla fine del xvi secolo, o all’inizio del secolo successivo, questo fu uno dei soggetti preferiti dai maestri bolognesi. Guido Reni lo trattò più volte (fig. 67), così come l’Albani. Tutta l’Italia lo conosceva: Bilivert lo rappresentò a Firenze, Carlo Maratta a Roma, Baiardo a Genova […]. Le Fiandre lo ricevettero presto grazie all’incisione, come dimostra un’incisione di Comelis Galle (Roma, Est. 35 H 23). Nel xvii e xviii secolo questo soggetto varcò i confini del mondo cattolico e divenne sempre più popolare fra gli Ortodossi e gli Armeni (di dottrina miafisita [come gli Etiopi]): lo si trova nei territori dell’odierna Ucraina [sic] nelle regioni centrali o settentrionali dell’Impero Russo, compresa la Siberia41.

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Fig. 66: William Blake, Gesù Bambino addormentato sulla croce o La Madonna adora Gesù Bambino addormentato sulla croce, 1799-1800, tempera su tela, 27 × 38,7 cm, Victoria and Albert Museum, Londra. 128

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Un buon esempio della versione di questo soggetto con Gesù addormentato è il dipinto di Alonso del Arco, datato 1681 e conservato all’Accademia delle Belle Arti di Madrid42 (fig. 68). Come al solito, il piccolo Gesù è nudo, ma il clima di lotta ai nudi nell’arte della Controriforma ha convinto l’artista ad accettare un compromesso e a cingere i fianchi con un improbabile pezzo di stoffa per nascondere il sesso del Bambino43. La croce è posta a terra, il Bambino dorme con la testa appoggiata al braccio destro piegato nella penombra. Sembra dormire un sonno tranquillo con la bocca aperta, nonostante le arma Christi siano state convocate in sogno e abbiano risposto al completo, dalla brocca d’acqua che servì a Pilato per lavarsi le mani, al gallo del rinnegamento di san Pietro, fino al tirare a sorte la tunica, alle tenaglie e ai chiodi usati nella discesa dalla croce, passando attraverso la corona di spine e il velo della Veronica. La colomba dello Spirito Santo è lì, tra l’altro a garanzia che non si tratti né di un incubo né di un inganno del diavolo, ma di una visione ispirata da Dio. Questo quadro si potrebbe sostanzialmente chiamare: «autentico e preciso sogno premonitore», di implacabile precisione, in effetti. Gli esempi dello stesso tipo, con Gesù addormentato, con o senza gli strumenti della passione, dentro o fuori, non sono rari44. Qualunque sia la fonte (letteraria, teologica o visionaria), questo soggetto condensa il sapere dei cristiani in un’immagine che fonde insieme diversi momenti distinti della vita di Cristo e professa che agli occhi dei credenti questo bambino è destinato alla morte in croce; ma lo fa in modo tale che viene reso visivamente quanto è creduto, cioè che Gesù avrebbe conosciuto quasi subito la sorte che lo attendeva e quale sarebbe stata la sua morte. Il fatto che questo presentimento sia presentato come se accadesse in sogno rimanda ad una convinzione che affonda le radici nell’antichità e nella Bibbia, cioè che il sonno è il «luogo» o il «tempo» per eccellenza delle percezioni soprannaturali profetiche o mistiche45. Eccezionale è infine il quadro intitolato L’ombra della morte di William Holman Hunt (1827-1910)46 (fig. 69), il pittore de La luce del mondo, un’opera che ha girato il Commonwealth facendo diversi miracoli47. Il suo Gesù dal corpo atletico, prossimo ai trent’anni, non ha ancora abbandonato la bottega di suo padre. In piedi fra trucioli e attrezzi, nel disordine della vita lavorativa, eccolo pregare nel momento del tramonto, gli occhi levati al cielo; alza le braccia in una posizione che va a creare, direttamente e profeticamente attraverso l’ombra proiettata, la sua posizione di crocifisso, su una croce invisibile… Si tratta di una delle pochissime opere d’arte che ha osato dipingere un Gesù adulto prima del suo battesimo da parte di Giovanni e prima dell’inizio del suo ministero pubblico.

Conclusione: una visione di Jeanne Perraud La classificazione che alla fine abbiamo adottato in quest’ultimo capitolo solleva la questione delle fonti letterarie di queste immagini-presagi. Abbiamo ipotizzato, e il nostro testo lo dimostra a posteriori, che l’insieme da esse formato abbia una propria geografia, così come le stelle del cielo si prestano ad essere mappate. Questo starebbe a significare che sono il risultato di una generazione spontanea, senza alcuna dipendenza da testi o visioni che le avrebbero direttamente ispirate? No. La riflessione teologica sulla prescienza di Gesù48 ha preceduto la maggior parte delle opere in questione – ma senza che si pos-

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Fig. 67: Guido Reni, Il Bambino Gesù addormentato sulla croce, 1635, olio su tela, 64,5 × 76 cm, collezione privata.

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sa stabilire ogni volta uno stretto nesso di causa-effetto, fino a che non siano disponibili ulteriori dati, tra un testo teologico con valore di fonte e le immagini che ne sarebbero l’illustrazione. Inoltre, sono esistite alcune visioni mistiche che sono da annoverare fra i fattori storici che accompagnano le immagini analizzate e contribuiscono a rivelarne il senso e la portata. Jeanne Perraud (1631-1676) è una laica consacrata di Aix-en-Provence, una mistica, che si impegnò a fondare una congregazione consacrata alla Santa Infanzia di Gesù chiamata «Le Figlie distrutte» – la regola da lei stessa preparata era così austera che le famiglie si spaventarono e non riuscì a reclutare alcun candidato. La visione che ebbe il 15 giugno 165849 spiega probabilmente o chiarifica retrospettivamente, se non l’emergere, per lo meno la nuova carriera di una serie di incisioni di «Gesù Bambino con gli strumenti della passione», in cui egli sarebbe rappresentato all’età di tre anni, in cielo o sulla terra, mentre porta sulla spalla, oltre ad una croce sproporzionata rispetto alla sua piccolezza, come «ad indicare che sin dalla sua infanzia egli ha sofferto tanto quanto quando è morto sulla croce», la colonna della flagellazione, la lancia e l’asta con la spugna, la scala della deposizione dalla croce, un cesto con un martello, un paio di pinze: «Non c’erano chiodi, ma fatta eccezione per questo, tutti gli strumenti erano lì, persino la colonna»50. «La scelta di Jeanne di venerare un Gesù di tre anni può forse derivare dalla sua fobia degli uomini. Questa interpretazione è confermata al momento del “matrimonio mistico” che lei stessa dice di aver concluso con Gesù Bambino il 13 maggio 1663»51. Nessuna delle opere ispirate da questa visione rispetterà l’età di Gesù: egli ha sempre un’età che può andare dai sette ai dodici anni. Una di queste incisioni, quella realizzata

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Fig. 68: Alonso del Arco, Il Bambino Gesù addormentato sulla croce, 1681, olio su tela, 63 × 91 cm, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid. A fronte: Fig. 69: William Holman Hunt, L’ombra della morte, 1871, olio su tela, 73 × 94 cm, Art Gallery, Manchester.

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da Pierre Mariette52, ha questa didascalia: Saepe expugnaverunt me a iuventute mea: et etenim non potuerunt mihi… «Spesso mi hanno espulso dalla mia stessa giovinezza, ma non hanno potuto portarmela via…», parola che riassume in gran parte il senso di questa nostra ricerca se diamo alla preposizione a [a juventute mea], come sembra fare la Vulgata, il significato che la nostra traduzione le dà e non quello che si trova nel testo ebraico, cioè «dal momento». L’interesse per la ripresa di questo versetto del Salmo 128,1-2 nella Vulgata è quello di dare un senso strettamente cristologico a queste immagini. Come il Salterio presta ad Israele questa denuncia contro coloro che lo hanno privato della sua giovinezza a causa del suo soggiorno in Egitto, così le immagini di Gesù Bambino che porta gli strumenti del proprio supplizio osano prestare a Gesù un rimprovero che equivale ad interpretare la propria infanzia come un esilio paragonabile a quello degli Israeliti in Egitto. In altre parole Gesù avrebbe avuto la sua infanzia umana “rubata” dalla sua natura divina.

Conclusione

Abbiamo dovuto porre fine, quasi con rammarico, all’inchiesta di cui questo libro è il resoconto provvisorio. Si tratta di una ricerca infinita poiché incrocia temi e soggetti che sono stati fra i più frequentati della storia dell’arte e che rinviano uno all’altro, si intrecciano e si arricchiscono a vicenda senza il controllo – o le misure di sicurezza – che avrebbero potuto dare, se ci fossero stati, testi dogmatici, direttive emesse da autorità magisteriali, oppure trattati di teologia puntellati da auctoritates che parlano ex cathedra di come fu l’infanzia di Gesù. In Occidente non ci sono state norme riguardanti la rappresentazione pittorica di Gesù Bambino1, come possono esserne esistite, tanto in Occidente quanto in Oriente, per il Cristo in croce o per la risurrezione2. Al contrario, in Oriente un manuale come quello di Dionisio da Furnà – che peraltro è tardivo nella lunga storia dell’arte cristiana – precisa come devono essere “scritte” le icone della Natività o dell’Adorazione dei Magi3. In assenza di misure disciplinari e di riferimenti istituzionali, l’indagine è passata per forza, si potrebbe dire, da un sogno a una visione, da una visione a un ideale o, in altre parole, meno formali, da un fantasma a un’ossessione, tutte realtà psicoculturali che possono essere qualificate come vaporose, mutevoli come lo è la nebbia in autunno. Sfuggenti, in realtà, ma per così dire “inquadrate” da un tacito consenso che beneficia dell’approvazione del Magistero, sull’affermazione molto precoce della divinità dell’Uomo-Dio. La ricerca si ferma in segno di misericordia per l’editore e il lettore, più che per sfinimento dell’autore che confessa volentieri di aver provato, giorno dopo giorno, mentre scriveva, il piacere dell’escursionista che inventa il proprio percorso, che ci sia pioggia o vento, e che nelle belle giornate passa di sorpresa in sorpresa. Cos’altro gli rimane da trasmettere? Quattro nuclei di riflessioni, rispettivamente sul piano seguito e il metodo utilizzato, sul bilancio che si può fare di questo primo giro di pista, sul divario, profondo tanto da essere evidente, che esiste fra il Gesù Bambino della pittura moderna d’Occidente e quello di cui parla la teologia e l’esegesi a partire da Er-

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nest Renan e la crisi modernista, e per finire sulla specificità dell’attenzione documentata che abbiamo dedicato alle opere del patrimonio che mettono in scena l’infanzia di Gesù.

A proposito del piano seguito Nello scrivere questo libro non abbiamo ritenuto opportuno seguire un ordine cronologico, ad esempio quello della storia della riflessione teologica sull’infanzia di Cristo, come se questa avesse subìto un’evoluzione che rispecchiasse quella dei dipinti che hanno per soggetto principale Gesù Bambino. Avremmo anche potuto pensare alla storia del luogo dell’infanzia e dello spirito dell’infanzia nella/e spiritualità cristiane, a partire dalle dichiarazioni evangeliche di Gesù fino ad arrivare a quelle dei maestri spirituali del xvii secolo, o a quelle di Teresa del Bambino Gesù… Infine avremmo potuto farci guidare dalla storia delle visioni di Gesù Bambino nei mistici4. Ma questo implicava la convinzione che queste differenti storie, nessuna delle quali era in senso stretto il nostro obiettivo primario (che è quello di rendere conto in modo sintetico e critico di un insieme di opere d’arte), controllassero più o meno il panorama della pittura e della scultura, cosa che non è affatto scontata; e questo modo di procedere avrebbe anche implicato che il tempo della storia cristiana, almeno in Europa, fosse costituito da una successione di periodi ognuno dei quali dotato di una sua specifica visione dell’infanzia di Cristo, “tradotta” e “illustrata” da opere d’arte, che andavano a sostituire le precedenti, quod est demonstrandum. Ciò equivaleva ad ammettere alla fine che le idee, le percezioni, le spiritualità vengono prima e l’arte figurativa sempre per seconda, mentre – come pensiamo di essere riusciti a dimostrare qui e già in altri dossier iconografici – talvolta l’arte esplora, osa e si arrischia in percorsi che la teologia e la spiritualità si precludono per principio5. Sarebbe stato adottare, senza dirlo e forse anche senza saperlo, l’adagio di adeguatezza quanto meno discutibile che domina spesso e in molte opere di storia religiosa, cioè: imago semper ancilla theologiae vel spiritualitatis vel visionis, ossia l’immagine è sempre la serva della teologia ed il riflesso della spiritualità e delle visioni mistiche6. Si trattava soprattutto di escludere la possibilità che in ogni epoca ci fosse stato un appiattimento e la coesistenza di percezioni diverse se non addirittura contrastanti di ciò che è stato Gesù Bambino. La prova che non sia così, che uno stesso periodo, diciamo l’epoca barocca (ma questo è altrettanto vero per l’Ottocento), possa aver amato e fatto amare immagini in cui Gesù sembra aver conosciuto tutto di sé fin dalla prima infanzia e altre in cui al contrario sembra beneficiare della grazia di incoscienza propria dei più piccoli, questa prova, quindi, ci ha finalmente distolto da ogni progetto organizzato secondo l’asse temporale o quello della storia degli stili artistici. Il piano seguito, tuttavia, non equivale in alcun modo a navigare fra Scilla e Cariddi, a scambiare un postulato per un altro e ad affermare che l’immagine dipinta sarebbe stata la prima e che le spiritualità e le visioni si sarebbero formate attorno ai dipinti, avendo questi ultimi in definitiva sempre l’iniziativa. Il nostro piano non ha scambiato un principio astratto per un altro. Prima di tutto è pragmatico, non è tratto a priori da un’idea preconcetta della storia della Chiesa o della successione delle spiritualità. Non è

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dedotto. Si tratta di un piano indotto ed è solamente uno fra i possibili piani in vista di un dibattito. Un piano empirico, frutto di una moltitudine di osservazioni e analisi, il cui resoconto prende alla fine una svolta formale, scolastica, quella di una questione di cui si analizzano di volta in volta i pro e i contro. Sebbene il libro sia soprattutto empirico, il suo piano è sostanzialmente costruito come uno degli articoli della Summa Theologiae di san Tommaso d’Aquino, quindi come una quaestio disputata che mette in cima una tesi («il piccolo Gesù della pittura si comporta apparentemente in modo tale che sembra aver conosciuto tutto fin dall’inizio ed essere stato privato per questo motivo di una vera infanzia, con la sua dose di capricci e di spensieratezza, di successi e di ripartenze») che sembra condivisa da un certo numero di tipologie iconografiche, di epoca in epoca. Altre famiglie di immagini, invece, sembrano sostenere una tesi differente o addirittura opposta, che si può enunciare così: «Come tutti i bambini, Gesù ha dovuto attraversare un certo numero di progressivi apprendimenti e scoperte». Altre, infine, sono fatte in modo tale da sembrare fondate sulla convinzione che l’infanzia di Gesù fosse se non banale per lo meno normale a grandi linee, ma attraversata da presagi più o meno abbaglianti per quanto riguarda la sua missione, il suo destino e la sua morte in croce. Il motivo che ci ha portato ad immaginare questo tipo di presentazione è quindi principalmente sperimentale e di ordine tassonomico: è il risultato di uno sforzo di classificazione che porta, dopo aver studiato un corpus di immagini molto ampio e quasi scoraggiante, a raggrupparli in tre grandi insiemi, a seconda di quanto dicono o sembrano insegnare sul Bambino Gesù, di quanto sapeva di se stesso, secondo i suoi gesti e atteggiamenti. Diciamolo, questa presentazione formale, ispirata alla struttura delle questioni della Summa Theologica di san Tommaso d’Aquino (Videtur quod, Sed contra, Respondeo dicendum), non significa che si debbano classificare le immagini secondo un asse progressivo, quello della “sintesi”, essendo ritenute più profonde e dotate di una verità teologica superiore alle altre. Ma non abbiamo fatto mistero di una preferenza teologica per le opere che sembrano complici dell’affermazione secondo cui Gesù ha avuto una vera infanzia.

Bilancio provvisorio A nostro avviso non c’è alcun dubbio, tuttavia, che la tendenza della pittura occidentale a esaltare la bellezza, l’innocenza, la purezza, la semplicità, la perfezione di Gesù Bambino, i suoi poteri soprannaturali, la prescienza del suo destino e la sua autorità in tutti i campi, superi la tendenza opposta, consistente nel dipingerlo come un bambino così piacevole e docile, forse anche più dotato rispetto alla media dei suoi coetanei se non addirittura superdotato, ma in fondo normale, che ha dovuto attraversare certi apprendimenti fondamentali, delle cadute e degli urti, i rimproveri dei suoi genitori, l’incomprensione e persino l’aggressività di alcuni dei suoi compagni… Dalla fine del Medioevo è raro che le opere d’arte che mettono in scena Gesù Bambino non lo dotino di caratteristiche che lo rendono un essere quantomeno eccezionale, unico nel suo genere, con il rischio, da un lato, di presentarlo come altamente improbabile, attribuendogli dei gesti da adulto, vestendolo come un re o un sommo sacerdote, e

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dall’altro lato, sia dal punto di vista antropologico che teologico, di assorbire così bene la sua umanità nella divinità da diventare immediatamente sovrumano e privo di una vera umanità, con il rischio, quindi, di una sottile forma di docetismo: Gesù Bambino aveva l’aspetto di un piccolo uomo, ma questo era solo pura apparenza. Attraente, forse lo fu, magari anche affascinante, ma irrimediabilmente distante, almeno ai nostri occhi di cittadini del xxi secolo, cristiani o meno. Il Gesù Bambino del cristianesimo del Rinascimento e dell’epoca moderna sembra essere stato complessivamente il luogo di proiezione immaginaria di tutti i desideri più o meno fantastici di sfuggire alla condizione umana. Il che finirebbe per far dubitare della realtà della sua incarnazione. È vero che l’arte religiosa occidentale aiuta a credere che il Verbo di Dio ha assunto la condizione umana in Gesù di Nazaret? È troppo divino, sin dalla sua primissima età! Si tratta di un bambino più spesso privato di una vera infanzia, pensiamo di averlo dimostrato. La pittura cristiana nei Paesi latini può aver incluso, è vero, e noi le abbiamo accolte, varie correnti, così che non sembrava artificiale scrivere un secondo capitolo intitolato: «Gesù ha dovuto imparare?», il cui contenuto non è certamente vuoto e fa riferimento a dipinti e sculture che difendono eloquentemente l’autentica umanità di Gesù Bambino, almeno per certi aspetti. Ma alla fine dobbiamo ammettere che questo capitolo, anche se è il più lungo dei tre, è per così dire stretto, tanto nell’incertezza quanto nell’audacia, fra un primo capitolo dedicato alle tante opere d’arte ultra-ufficiali mosse dalla convinzione che Gesù Bambino sapesse fin dall’inizio chi era, da dove veniva e cosa doveva fare sulla terra, capitolo che fa di lui un extraterrestre che scoraggia ad amarlo e imitarlo – anche se è stato presentato per generazioni alla devozione dei fedeli ed è stato proposto come modello per tutti i giovani – e un terzo capitolo che classifica le opere, particolarmente numerose nel Seicento, incentrate su un Gesù che vive la sua infanzia in un mondo densamente popolato da presagi, intuizioni mistiche e presentimenti opprimenti. La proporzione non propriamente equilibrata dei capitoli di questo libro è il sintomo eloquente di un disequilibrio più radicale e anche più preoccupante fra gli elementi divini e quelli umani di Gesù Bambino, a scapito cronico di questi ultimi. Potrebbe sorgere un’obiezione che vogliamo accogliere. Infatti ci verrà detto che lo scopo dei pittori che abbiamo invocato per affrontare questo dossier non era veramente quello di raccontare la vera infanzia di Gesù, ma di costruire immagini sintetiche di questo bambino in funzione di ciò che la Chiesa insegna di lui, di ciò che i mistici vedono di lui. Si potrà quindi essere tentati dal considerare la nostra indagine come basata su un malinteso. Avremmo intentato una cattiva causa contro la pittura occidentale. E nel denunciare il suo larvato docetismo la accuseremmo ingiustamente, mentre essa ha sempre voluto rimanere fedele all’insegnamento della Chiesa. A questa obiezione rispondiamo in due modi. In primo luogo facendo osservare come la pittura, soprattutto quando è creativa e talentuosa, come quasi sempre le è stato permesso di essere in Occidente, non si riduce mai alla pura e semplice replica in immagini della teologia tradizionale: l’immagine è inseparabilmente intrecciata alla tradizione e alla sensibilità contemporanea, che permette di far, ma anche di completare, influenzare, correggere o addirittura tradire, sia pure piamente e con le migliori intenzioni. Non mancano esempi di inversioni comparabili. I molteplici dipinti della pittura religiosa del-

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la Controriforma, che dovrebbero dimostrare la resistenza del patriarca Giuseppe alle avances della moglie di Putifar (Gen 39,1-20) difendono in teoria la dottrina cristiana del matrimonio, in un’epoca per di più in cui nell’arte sacra si fa la caccia alla nudità. In realtà essi costituiscono per tutti, con la loro sensualità vittoriosa e dimostrativa, un magnifico esempio del ritorno vittorioso dei repressi, come d’altra parte l’ingiustificabile nudità di Gesù Bambino nella maggior parte delle opere che abbiamo preso in considerazione in questa ricerca. Riteniamo anche giusto chiederci se il silenzio dei Vangeli sull’infanzia e giovinezza di Gesù non abbia fatto il gioco, tanto nell’Oriente cristiano quanto in Occidente, di una teologia e di una spiritualità a loro volta tentate dalla versione segretamente docetista di questa infanzia. Questa seconda parte della nostra risposta consiste in fondo nel dire che la diagnosi che avevamo formulato riguardo alla tendenza preponderante della pittura potrebbe rimbalzare sul pensiero cristiano stesso, che ha lottato fino ad una data relativamente recente della storia per ammettere che l’umanità di Gesù era vera, anche se Gesù era umano «in ogni cosa […] escluso il peccato» (Eb 4,15). È anche ciò che riteniamo rilevino le tappe più recenti della lunga storia dell’esegesi e della cristologia. E voci più autorevoli della nostra non hanno paura di formulare la stessa diagnosi senza girarci tanto intorno, come quella di Walter Kasper: Sarebbe però errato limitarsi ad osservare questa tentazione docetistica soltanto nella teologia e chiudere gli occhi di fronte all’influsso, ben più pericoloso, che essa esercita sulla fede e vita della chiesa. Nella storia della pietà cristiana la figura di Gesù è stata spesso sublimata e divinizzata a tal punto che, per la coscienza ecclesiale media, essa venne ad assumere i lineamenti di un Dio ambulante, che si nasconde sotto l’ornamento e livrea di una forma umana da cui «lampeggia» continuamente la divinità, mentre non emergono invece i tratti che rientrano nella «banalità» della vita umana7.

L’infanzia dell’arte e l’esegesi storico-critica Il nostro approccio presuppone che l’arte costituisca non solo una fonte storica a tutti gli effetti, ma che sia un vero e proprio «locus theologicus», luogo teologico che designa un registro espressivo non riducibile ad una replica passiva del discorso fatto dalla Bibbia, dalla liturgia o dal dogma, in pratica a una docile serva, ma che si riveli dotato di iniziativa in quanto sviluppa l’equivalente di un discorso articolato portatore di un contenuto originale e capace di valere come contributo singolare e argomento a pieno diritto in un dibattito teologico8. Questo statuto è stato riconosciuto da alcuni teologi, in particolare dal vescovo e teologo spagnolo Melchior Cano (1509-1560). Questo è ciò che giustifica, al di là dell’interesse storico, estetico o patrimoniale delle opere, che si possa sondare ciò che esse “dicono” e valutarlo retrospettivamente con criteri teologici. Perché a modo loro (che non è quello dell’enunciato linguistico9) esse “dicono”, non senza forza e con eloquenza, trovando posto all’interno di dibattiti spesso secolari. La maggior parte delle opere che hanno posto al loro centro una figura di Gesù Bambino hanno effettivamente dato con i propri mezzi un notevole sostegno all’idea che quel

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bambino non abbia avuto una vera infanzia nella misura in cui era prestissimo o perfino da subito perfetto in tutto e abitato, per non dire posseduto o invasato, dall’idea della sua missione di Redentore destinato alla morte sacrificale in croce. Solo una minima parte delle opere d’arte ha esplorato un’altra ipotesi, e cioè che l’Incarnato, avendo assunto la condizione umana, avesse abbracciato anche i suoi ritmi costitutivi, senza per questo rinunciare agli apprendimenti attraverso cui deve passare ogni bambino; e che, in questo modo, ha potuto scoprire poco alla volta la sua identità di Figlio di Dio e correlativamente ciò che il piano di salvezza di Dio si aspettava da lui. Per secoli, fino all’Ottocento, senza ricadere nello schema che riduce l’arte ad una semplice replica, si può parlare di una profonda armonia fra teologia e spiritualità cristiana da una parte e le belle arti dall’altra. Ora questa armonia è spezzata. Da questo punto di vista, non è per cedere al gusto del dramma ma per precisarlo, il divario fra la visione dell’infanzia di Cristo trasmessa dal patrimonio dell’arte cristiana e il main stream dell’esegesi e della teologia dopo la crisi modernista non ha fatto altro che ampliarsi. La modernità del pensiero cristologico, quella che prende avvio propriamente con la Vita di Gesù di Ernest Renan (1863), può essere intesa come una forma di esodo al di fuori di questa percezione che pende in favore di una concezione di Gesù Bambino «tutto Dio tutto subito», e l’ingresso in un mondo di rappresentazioni in cui egli è, per così dire, riportato a forza sulla terra, con il rischio, per il momento, di farne un bambino in cui la divinità faticherà e tarderà a manifestarsi. La maggior parte degli specialisti di scienze religiose, credenti o no, ritengono, se non sbaglio, che le scienze bibliche, la filologia, la storia dei testi e dei generi letterari, l’archeologia e la storia comparata delle religioni non incoraggino affatto a credere in un’infanzia di Gesù popolata da miracoli, presenze soprannaturali e presentimenti, ma piuttosto si schierano a favore di un Gesù di Nazaret che progressivamente prende coscienza della propria identità. Questa percezione si è diffusa nella letteratura e ha trovato brillanti interpreti nella scrittura di romanzi come L’ultima tentazione di Nikos Kazantzakis (1954), messo all’Indice dal papa. È possibile che questo fenomeno abbia avuto ben presto delle profonde ripercussioni, anche nella catechesi. Il settimanale La Miche de Pain, che l’autore di questo libro ha sfogliato instancabilmente durante la sua giovinezza, nel suo numero del 13 gennaio 1936 dedicato all’infanzia di Gesù, lo mostra all’età di cinque o sei anni mentre cammina da solo per le strade di Nazaret. Una didascalia formula prima di tutto la domanda che ogni bambino dovrebbe porsi vedendo quest’immagine: «Che cosa fa? Dove va? Non lo so, forse a scuola?». Segue la spiegazione: Quando era bambino […] non predicava […] non faceva miracoli […] non faceva nulla di straordinario […] e la gente di Nazaret non sospettava che fosse il Figlio di Dio […] Gesù vi-

si può intravedere in ciò un chiaro segnale di un radicale congedo, non al termine di una discussione teologica speculativa, ma a livello didattico di base, sia del “meraviglioso” dei racconti apocrifi sia del docetismo edificante che, per la loro alleanza de facto, hanno dominato la maggior parte delle opere d’arte con Gesù Bambino come soggetto. Se il latente docetismo tinto di monofisismo è stata la tendenza inconscia dell’arte cristiana fin dalle sue origini e comunque dal Medioevo centrale, si scontra ormai con il diffuso adozionismo del nostro tempo. Alcuni autori, consapevoli della gravità di questo divorzio, si sono prefissati di dimostrare che l’insegnamento della Chiesa, riguardo alla domanda se Gesù sapesse o meno di essere Dio, ha dato e continua a dare una risposta affermativa – la questione sussidiaria che rinvia all’infanzia di Gesù: da bambino egli è già stato dotato di questa conoscenza, di questa «coscienza di sé»? Pensiamo fra gli altri a padre Paul Dreyfus (1918-1999), domenicano, professore all’École biblique et archeologique française di Gerusalemme (ebaf), autore di un libro premiato dall’Académie Française, Gesù sapeva d’essere Dio? (Ed. Paoline, Milano 1985) e di una serie di articoli intitolati «Exégèse en Sorbonne, Exégèse en Église – Esquisse d’une Théologie de la Parole de Dieu»12 in cui analizza il divario tra l’esegesi (che secondo lui sta diventando un’attività sterile) e la fede dei fedeli di oggi, ma anche tra l’esegesi e l’insegnamento tradizionale. Gli dà indirettamente ragione, in apparenza, il libro di France Quéré sull’infanzia di Cristo che riteniamo essere una delle migliori sintesi sull’argomento13. Esperta in simboli e in teologia narrativa, in ricerche storiche o archeologiche14 senza esserne prigioniera, capace di coniugare l’approccio credente con la documentazione scientifica, a rischio di irritare tanto i dogmatici quanto gli esegeti, l’autrice si dichiara, ci sembra, a favore di una «cristologia dal basso»15. Fra le pagine in cui riassume la sua posizione, frutto della sua ricerca e della sua meditazione, sulla “normale” infanzia di Cristo, citiamo questa: Gesù non gode della visione beatifica che gli zelanti gli assegnano dal suo concepimento. Egli passa attraverso le tappe della vita comune, si sottomette ai suoi lenti apprendimenti, ancora non completi all’età di dodici anni […] Mai il Vangelo lascia intendere che il bambino sia stato dotato di una conoscenza prodigiosa. Autentica incarnazione, in cui Dio non lascia intendere direttamente chi è […] Morto come tutti gli uomini, Gesù non è stato meno bambino di loro16.

A prima vista si potrebbe quindi parlare di una «insistenza sulla kenosi come caratteristica del Dio incarnato»17 nel libro di France Quéré. Ma a guardarla meglio è ben lungi dall’essere così semplice. In altri passaggi del suo libro, in particolare quando si riferisce al ritrovamento al Tempio e alla risposta che Gesù dà a Maria, l’autrice non teme di affermare:

veva come gli altri bambini di Nazaret […] ma tutto ciò che faceva, lo faceva perfettamente10. [...] è evidente per entrambi che egli è il Figlio di Dio! Il fatto che egli sia divino è una con-

Un bambino che per essere il Dio-Bambino non è altro che un bambino qualunque, un bambino normale. Anche se il fine della lezione è quello di magnificare l’obbedienza di Gesù, con il rischio di farne un esempio di moralità e di allontanarlo nuovamente dall’infanzia reale11, si può parlare di un decisivo mutamento dell’immaginario cristiano e

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vinzione fondamentale e condivisa. Gesù, da parte sua, non aveva bisogno di un angelo che gli suggerisse da dove veniva. L’ha sempre saputo, intimamente, serenamente, in modo connaturale, così sa di essere ebreo, provinciale, figlio di un amore e di una terra. La sua coscienza di Figlio va da sé18.

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A nostro avviso, il confronto utilizzato indebolisce ciò che France Quéré vuole stabilire: quanto tempo ci vuole affinché un bambino sappia di essere ebreo o cristiano, francese o polacco, e perché possa farne una parte costitutiva e cosciente della propria identità? Nessuno può sostenere che un bambino normale lo sappia «da sempre, intimamente, serenamente, in modo connaturale».

Per una valutazione teologica delle opere d’arte Lo scopo del nostro lavoro, va ricordato, non è tuttavia quello di instaurare un dibattito in cui ci saremmo posti, in nome della tradizione artistica, nella posizione di Salomone o di Raminagrobis dando ragione agli uni e torto agli altri, sposando certe tesi sull’infanzia di Cristo e screditando altre prese di posizione. Sarebbe estremamente ridicolo. Nessuno può parlare a nome della tradizione dell’arte cristiana nel suo insieme, dal momento che è di una tale complessità che invalida tale pretesa, e non rivendichiamo alcuna particolare competenza in materia di teologia dell’incarnazione e di cristologia. Tuttavia la nostra curiosità per l’arte, lo ammettiamo volentieri, è spesso acuita dalle questioni teologiche sollevate dal soggetto stesso delle opere. Il nostro fine ultimo è innanzitutto quello di restituire alla tradizione artistica religiosa la sua dignità di partner a pieno titolo nelle discussioni antropo-teologiche fondamentali, come ad esempio quella che merita di essere aperta (e probabilmente non sarà mai chiusa) sull’infanzia di Gesù di Nazaret; e per questo motivo cerchiamo di dimostrare, sull’esempio di questa infanzia come abbiamo fatto per altri soggetti, che è possibile e ragionevole apprezzare il patrimonio artistico non solo come emanazione, sottoprodotto e riflesso di un contesto passeggero, ossia quello sociale al tempo della creazione dell’opera, che supera i termini puramente semantici, stilistici, retorici, estetici, per non parlare della sua valutazione economica in termini di investimento finanziario redditizio e promettente, un punto di vista che si sa, purtroppo, in molti casi è diventato decisivo. Per dirla in modo positivo, rivendichiamo il diritto all’esistenza e all’espressione di una valutazione propriamente teologica delle opere d’arte a soggetto religioso, il che equivale concretamente ad affermare che il teologo informato sulla storia dell’arte e un minimo attento alle opere, ai loro temi, allo schema compositivo, al soggetto principale e ai motivi significativi, ha piena e completa competenza per emettere un giudizio su quello che potrebbe essere chiamato il tasso di congruenza o, se si preferisce, il grado di armonia (molto carente, soddisfacente, profondo, quasi perfetto o nullo) fra ciò che l’opera mostra e il soggetto religioso che tratta (o maltratta), o si avvicina o affronta, o di cui si è impadronito, consapevolmente o in completa ingenuità. Noi abbiamo già difeso questo punto di vista in un lavoro precedente, a proposito della Trinità e delle numerosissime opere d’arte che questo arci-soggetto della fede cristiana ha ispirato, soprattutto nel xv secolo19. Ci siamo poi permessi di applicare questo modo di vedere in vari libri di sintesi20 e di pubblicare in lungo e in largo testi in cui un soggetto, come il Santo Volto nell’opera di Rouault21, o un dipinto, ad esempio il Polittico di Anchin di Jean Bellegambe22, viene esaminato con questo metodo.

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Riprendiamo nuovamente tale punto di vista alla fine di questo libro, nella convinzione che riguardi un soggetto che, come e forse più della Trinità, richiede una valutazione teologica o addirittura un giudizio sulla qualità “teologale” delle opere, cioè sulla loro capacità di favorire nei loro spettatori l’esercizio delle virtù “teologali” di fede, speranza e carità, fermo restando che una stessa opera non ha necessariamente una vocazione a produrre benefici spirituali in ogni tempo. Alcune opere hanno questa grazia, altre no: hanno potuto essere percepite come confortanti, fortificanti e benefiche in certe epoche, ma non è detto che siano state percepite allo stesso modo in altri momenti. Lo sguardo sulle opere d’arte religiose è infatti in continua evoluzione, è esso stesso intriso di storia, lo abbiamo visto più volte sopra, in particolare a proposito del dipinto di Max Liebermann. È in nome delle convinzioni che abbiamo appena citato che non ci siamo astenuti dal suggerire la nostra opinione sulla qualità teologica delle opere che raffigurano Gesù Bambino. Il nostro lavoro avrà raggiunto il suo obiettivo se convincerà il lettore che non è proibito né inutile interrogarsi sulle conseguenze propriamente intellettuali e spirituali dell’interazione fra le opere e Gesù stesso, e ricercare i legami che ci furono fra le opere e i suoi antenati e quelle che ci saranno fra queste e le loro discendenti…

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APPARATI


Note

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G. Schiller, Ikonographie der christlichen Kunst. I. Inkarnation, Kindheit, Taufe, Versuchung, Verklärung, Wirken und Wunder Christi, Gütersloh 1966, 19813, 69-124; R. Harries, The Nativity of Christ. A Gallery of Reflections, Oxford 1995; T. Pérez-Higuera, Puer natus est nobis. La natività di Cristo nell’arte medievale, Torino 1996; G. Lange, Weihnachtsbilder als Glaubensimpulse, München 2003. G. Schiller, Ikonographie der christlichen Kunst, i , 127-134; J. P arigi , La Fuite en Égypte, Parigi 1998; W. A ugustyn , «Flucht nach Ägypten», RDK, ix, 13521432; F. B œspflug – E. F ogliadini , La Fuga in Egitto nell’arte d’Oriente et d’Occidente, Milano 2017. Ci ritorneremo nel capitolo ii. V. O steneck , «Zwölfjähriger Jesus im Tempel», lci, iv, 583-589; G. Schiller, Ikonographie der christlichen Kunst, i , 134-135. L’Autore del presente volume sta preparando un libro di sintesi sul tema di Gesù tra i Dottori nell’arte. Sui racconti dell’infanzia di Cristo nella letteratura apocrifa, cfr. l’esposizione sintetica di S.C. Mimouni, «Prefazione», in Livre de l’Enfance du Sauveur. Une version médiévale de l’Évangile de l’Enfance du Pseudo-Matthieu ( x i i i e siècle), ed. C. D imier -P aupert , Parigi 2006, 7-17 [d’ora in poi, D i m i e r Paupert]. La ricerca più recente e meglio documentata sull’influenza dei testi apocrifi sull’immagine di Gesù Bambino nell’arte medioevale è quella di Mary Dzon (cfr. bibliografia), che purtroppo manca di rigore teologico e questo la conduce a interpretare scorrettamente un ampio numero di opere d’arte. La più recente opera di riferimento sulle spiritualità e devozioni incentrate sulla figura di Gesù Bambino è quella di S. La Rocca, L’Enfant Jésus. Histoire et anthropologie d’une dévotion dans l’Occident chrétien, Tolosa 2007. Tale è il Paradiesgärtlein [giardino del paradiso] dello Städelsches Kunstinstitut di Francoforte (ca. 1400); cfr. N. Chambon, Les Fleurs et les oiseaux du Jardin du Paradis de Francfort (1410-1420), tesi di dottorato sotto la direzione di A. Le Berre e F. Bœspflug (in pubblicazione); Id., «Le Paradiesgärtlein, un jardin à nul autre pareil», in G. Mocellin, ed., Le Jardin

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médiéval entre Orient et Occident, Parigi 2014, 18-31. D. A lexandre -B idon – D. L ett , Les Enfants au Moyen Âge, ve-xve siècle, Parigi 1997, 42. L’infanzia di Cristo è la grande assente dell’opera singolare ed entusiasmante di A. Stock, Poetische Dogmatik, Paderborn, cfr. soprattutto la parte Christologie. 3. Leib und Leben, 1998; cfr. anche 4. Figuren, 2001, A.1, «Schüler und Lehrer», 13-28. Per far riferimento al suggestivo titolo di un’opera di G. Pozzo, Sull’orlo del visibile parlare, Milano 1993. D. A l e x a n d r e -B i d o n – P. R i c h é , L’Enfance au Moyen Âge, Parigi 1994, 16. Avviene così nell’opera di G. Schiller, Ikonographie der christlichen Kunst, i , London 1971. Si veda l’eccellente studio di F. Alberti, «Ridente Redentore. Le rire de l’EnfantJésus dans l’art italien de la Renaissance», presentato sotto, cap. 1, n. 2. Der Schatten des Todes, 73 x 94 cm, 1870, Manchester, Art Gallery. Ci riferiamo, per il periodo medievale, ai libri di D. Alexandre-Bidon, D. Lett e P. Riché, tre autori le cui ricerche fanno parte più della storia della mentalità che della storia dell’arte, ma che si servono molto dell’iconografia come fonte documentaria. D. A lexandre -B idon – M. C losson , L’Enfant à l’ombre des cathédrales, Lyon 1985; L’Enfance au Moyen Âge, catalogo della mostra, Parigi 1994; M.-C. Autin Graz, L’Enfant dans la peinture, Parigi 2002; N. L aneyrie -D agen , L’Enfant dans la peinture, Parigi 2011; cfr. anche F. Vallet, L’Image de l’enfant au cinéma, Parigi 1991. In questa ricerca il Settecento è chiamato ad occupare un posto privilegiato, tenendo conto, tra l’altro, della revisione completa dell’infanzia di Gesù, di cui fu la sede (cfr. P. A riès , Padri e figli nell’Europa medievale, Bari 1968: il «sentimento dell’infanzia», cioè la consapevolezza della particolarità del bambino, non esiste fino alla fine del xviii secolo) e della diffusione avuta dalla devozione a Gesù Bambino (J. S imard , Une iconographie du clergé français au xviie siècle. Les dévotions de l’École française et les sources de l’imagerie religieuse, Québec 1976). Questo libro, tratto da una tesi sostenuta all’università di Strasburgo, studia, soprattutto fra il 1630 e il 1680, l’iconografia (“clericale”

e segnata dalla “vita interiore”) delle quattro comunità che hanno sofferto maggiormente l’influsso spirituale di JeanJacques Olier e del cardinal de Bérulle: il Carmelo, l’Oratorio, Saint-Sulpice e la Congregazione di Gesù e Maria (Eudisti). Una parte significativa dell’indagine è dedicata al Piccolo Re di gloria e al Gesù Bambino stretto in fasce ma trionfante – in contrapposizione con lo «stato d’infanzia», «il più miserabile e abietto della natura umana insieme a quello della morte» (Bérulle): «indigenza, dipendenza dagli altri, infantilità» (Condren); cfr. anche J. Le Brun, «La devozione al Bambin Gesù nel secolo xvii», in E. Becchi – D. Julia, ed., Storia dell’infanzia. I. Dall’antichità al Seicento, Roma – Bari 1996, 338-366. 18 Bernardo di Chiaravalle, In Nativitate Domini, sermo 3, 1, in pl 183, 123, citato in P. B eitia , L’Enfant Jésus de Prague. Histoire et spiritualité, un chemin de vie chrétienne, Parigi 20072, 17-18. Queste lacrime e vagiti immaginati da Bernardo di Chiaravalle sembrano non aver avuto alcuna eco nell’arte. 19 F. Bœspflug, «La double intercession en procès. De quelques effets iconographiques de la théologie de Luther», in F. Muller, ed., Art, religion et société dans l’espace germanique au xvie siècle, Strasbourg 1997, 31-61 [= Dieu dans l’art à la fin du Moyen Âge, Genève 2012, 371-401]. 20 Cfr. il testo di Olier citato da P. Beitia, L’Enfant Jésus de Prague, 65. 21 Krone und Schleier; cfr. Bildersturm, Wahnsinn oder Gottes Wille?, catalogo della mostra, Berna 2000, 220-221. 22 P. Beitia, L’Enfant Jésus de Prague, 26. 23 P. Beitia, ibid., 64: «I membri del seminario circonderanno con particolare tenerezza i misteri dell’infanzia del Signore. Saranno nutriti dalla sua vita, dalle sue disposizioni e dal suo spirito, soprattutto dal suo spirito di umiltà, di semplicità e di fiducia filiale»; su Bérulle, Margherita del Santissimo Sacramento e Gaston de Renty, cfr. S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 129-133; su Gaston de Renty, cfr. ibid., 149-152; su Margherita del Santissimo Sacramento e «il piccolo Re di gloria», cfr. ibid., 193s. 24 S. L a R occa , L’Enfant Jésus, 56.152161.169-173.178-188. 25 P. Beitia, L’Enfant Jésus de Prague, 106s. 26 P. Beitia, ibid., 113s. 27 S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 57-59.101106.124-125.219-222. 28 Grazie a Isabel Iribarren per aver attirato

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la mia attenzione su questo teologumeno scolastico. 29 P. Ariès, Padri e figli nell’Europa medievale; riassunto delle tesi dell’autore e della loro messa in questione in D. Alexandre-Bidon – D. Lett, Les Enfants au Moyen Âge, 9-10. 30 C. K l a p i s c h -Z u b e r , «L’Enfance en Toscane au début du xve siècle», Annales de démographie historique, n. speciale «Enfance et société» (1973) 99-122; P. Riché, «L’enfant dans le haut Moyen Âge», ibid. 95-98; «L’enfant au Moyen Âge», L’Histoire 18 (1979) 42-50; D. AlexandreBidon – P. Riché, L’Enfance au Moyen Âge; D. Lett, L’Enfant des miracles. Enfance et société au Moyen Âge (xiie-xiiie siècle), Parigi 1997. 31 F. Dolto, La Cause des enfants, Parigi 1985, in part. 15-31. 32 La Guide de la peinture, par le Dr. P. Durand, Parigi 1845 (con un testo di M. Didron, «Manuel d’iconographie chrétienne, grecque et latine»); cfr. la recente e comoda edizione tascabile di Dionisio da Furnà, Canone dell’icona. Il manuale di arte sacra del Monte Athos (sec. xviii), con una nota di Sergio Bettini, Savona 2014, con la traduzione fatta da Giovanna Donato Grasso sul manoscritto originale dell’edizione di A. PapadopoulosKerameus, del 1909. 33 Jean Van Meulen, detto Molanus, Traité des saintes images (1a ed. Lovanio 1570; 2a ed. Ingolstadt 1594), edito e annotato da F. Bœspflug, con O. Christin e B. Tassel, Parigi 1996. 34 Una recente indagine mostra che nel 2015, nelle librerie di lingua francese, ci sono stati 189 titoli che, con questo o con un altro titolo più sofisticato, si riferiscono principalmente a Gesù. Cosa dicono della sua infanzia e della sua eventuale formazione? 35 Benedetto xvi, L’infanzia di Gesù, Milano – Città del Vaticano 2012, è l’ultima parte, che completa il capolavoro di Joseph Ratzinger, Gesù di Nazaret («Non si tratta di un terzo volume, ma di una specie di piccola “sala d’ingresso” ai due precedenti volumi sulla figura e sul messaggio di Gesù di Nazaret. Qui ho ora cercato di interpretare, in dialogo con esegeti del passato e del presente, ciò che Matteo e Luca raccontano, all’inizio dei loro Vangeli, sull’infanzia di Gesù»); J. Doré, Gesù spiegato a tutti, Brescia 2016. 36 G. Bessière, Gesù, il Dio inatteso, Torino 1994; P.-M. Beaude, Per leggere Gesù di Nazaret, Roma 1985; R. Luneau, Jésus, l’homme qui évangélisa Dieu, Parigi 1999; C. Huchet, Un enfant nommé Jésus, Parigi 1986; F. Quéré, Jésus enfant, Parigi 1992, nuova edizione, aumentata con la rilettura di Élisabeth Parmentier («L’infanzia di Gesù è brevemente raccontata nei Vangeli. Ci sono dei modi per saperne di più? Per l’autore la risposta è sì, e il suo libro ne è una brillante dimostrazione»); H. Küng, Tornare a Gesù, Milano 2013. 37 M. Vidal, Un ebreo chiamato Gesù. Una lettura del Vangelo alla luce della Torah, Napoli 1998; J.-P. L émonon , Jésus de Nazareth, prophète et sage, Parigi 2002; M. Quesnel, Gesù Cristo. Un manuale per capire, un saggio per riflettere, Milano

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1997; D. Marguerat, L’uomo che veniva da Nazareth. Che cosa si può sapere oggi su Gesù, Torino 2005; Id., Jésus, compléments d’enquête, Parigi 2007; C. Perrot, Gesù, Brescia 1999. 38 J.-C. Petitfils, Gesù, Cinisello Balsamo 2013. 39 D. Alexandre-Bidon – P. Riché, L’Enfance au Moyen Âge; D. Alexandre-Bidon – D. Lett, Les Enfants au Moyen Âge; P. Riché, Être enfant au Moyen Âge: anthologie de textes consacrés à la vie de l’enfant, du ve au xve siècle, Parigi 2010. 40 J. Simard, Une iconographie du clergé français au xviie siècle; S. La Rocca, L’Enfant Jésus. 41 Dovrebbe essere effettuata una ricerca per scoprire cosa c’è nei libri che tratteggiano il profilo di Gesù destinati al grande pubblico e classificabili nella categoria dei saggi, tra gli altri A. G rün , Gesù, maestro di salvezza. Il Vangelo di Matteo, Brescia 2004; J. D uquesne , Jésus, Parigi 1994; G. M essadié , L’uomo che divenne Dio, Vicenza 1997; A. V ircondelet , Jésus, Parigi 2007; D. Decoin, Jésus, le Dieu qui riait. Une histoire joyeuse du Christ, Parigi 1999; G. Sinoué, Io, Gesù, Vicenza 2008; J.-C. Barreau, Biographie de Jésus, Parigi 1993; G. Mordillat – J. Prieur, Jésus, illustre et inconnu, Parigi 2001; F. Lenoir, Comment Jésus est devenu Dieu, Parigi 2010; C. Pedotti, Jésus, cet homme inconnu, Parigi 2013. 42 Si vedano le opere citate nelle prime note di questa Introduzione.

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I GESÙ CONOSCEVA TUTTO FIN DALL’INIZIO? 1 T.

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Pérez-Higuera, Puer natus est nobis. La natività di Cristo nell’arte medievale, Torino 1996; F. Bœspflug – E. Fogliadini, La natività di Cristo nell’arte d’Oriente e d’Occidente, Milano 2016. Sulle opere d’arte, tanto più sorprendenti in quanto in definitiva poche, in cui il piccolo Gesù sfoggia un sorriso grazioso, cfr. l’appassionante dossier raccolto e analizzato da F. A lberti , «Ridente Redentore. Le rire de l’Enfant-Jésus dans l’art italien de la Renaissance», in F. Alberti – H. Bodart, ed., Rire en images à la Renaissance, Turnhout 2018, 327-366. Vangelo dello Pseudo-Matteo 42, 2; Les Enfances du Christ dans les évangiles apocryphes, ed. A. Micha, Parigi 1993, 115 (d’ora in poi cit. come Micha) [Gli Apocrifi del Nuovo Testamento. i/2. Vangeli. Infanzia e Passione di Cristo, Assunzione di Maria, ed. M. Erbetta, Casale Monferrato 1981, 63 (d’ora in poi cit. come Erbetta)]. La riflessione su ciò che passa per dei dettagli nella pittura è fortemente stimolata dalla lettura del libro di D. Arasse, Il dettaglio. La pittura vista da vicino, Milano 2007. S. L a R occa , L’Enfant Jésus, Toulouse 2007; l’A. cita J. Wirth, L’image médiévale. Naissance et développements (vie-xve siècle), Parigi 1989; su questo punto cfr. anche R. Tefnin, Les Regards de l’image. Des origines

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jusqu’à Byzance, Parigi 2003; F. Bœspflug, Le Regard du Christ dans l’art. Temps et lieux d’un échange, Parigi 2014. Pseudo-Bonaventura, Meditationes Vitae Christi 9, cit. in S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 196. Su quest’icona, cfr. H. Belting, L’Art avant l’époque de l’art, Parigi 1998, 103.167.171; descrizione e storia in G. Gharib, Le icone mariane. Storia e culto, Roma 1987, 109111. Di questa antica immagine solo due frammenti sono originali, la testa della Vergine e a quella del Bambino, applicati su una tela che in origine era servita per l’intera icona. Le due teste sono state ritagliate dalla tela ed incollate sulla nuova tavola, dove un pittore toscano del xiii secolo completò l’immagine secondo l’iconografia della Vergine Odighitria. G. G harib , Le icone mariane, 143; E. Sendler, Les Icônes byzantines de la Mère de Dieu, Parigi 1992, 97, [trad. it., Le icone bizantine della Madre di Dio, Cinisello Balsamo 1995], la data «del v-vii secolo». Molti interpreti parlano di una data ignota e incerta, dal vii al xii secolo. G. Gharib, Le icone mariane, 179. Panaghia Psychosostria; G. Gharib, Le icone mariane, 239. E. Sendler, Les Icônes byzantines de la Mère de Dieu, 79; sull’Odighítria, cfr. ibid., 89-104. G. G harib , Le icone mariane, 197. «Il Bambino presenta i tratti marcati; il suo sguardo pensieroso si dirige verso l’osservatore; benedice alla greca con la mano destra […]», ibid., 199. Panaghia Portaitissa, coll. Arberg-Herzog, Kölliken (Svizzera); G. Gharib, Le icone mariane, 227. G. Gharib, Le icone mariane, 173; cfr. Un prophète de la beauté incréée, Le moine Grégoire (Kroug), catalogo della mostra tenuta presso il Centre culturel et spirituel orthodoxe russe di Parigi, maggio-giugno 2019. E. Sendler, Les Icônes byzantines de la Mère de Dieu, 81, fig. 8. G. G harib , Le icone mariane, 161. La descrizione dell’autore parla di un ampio gesto di accoglienza e dell’aspetto maturo del Bambino Gesù; la Madre di Dio del monastero delle grotte e di Svensk (1288), conservata presso la Galleria Tret’jakov, tiene un Bambino Gesù frontale, con le braccia aperte: E. S endler , Les Icônes byzantines de la Mère de Dieu, 89. Cristo Emmanuele, secondo quarto del xvii secolo, proveniente dalla chiesa della Trinità di Unitsy, nella regione di Tver’. Quest’icona lo raffigura con dei capelli crespi, una versione della capigliatura che nell’antichità rivaleggiava con la tradizione di Cristo dai capelli lisci e lunghi, con una riga centrale nella parte superiore del cranio. Affresco, 195 x 273 cm; la figura di Gesù Bambino serve come illustrazione di copertina al libro di F. Quéré, Jésus enfant, senza che questa scelta, salvo errori, sia spiegata. Su questa nozione, cfr. M. Guédron, in Handbuch der Bildtheologie, ed. R. Hoeps, ii, Paderborn, ancora da pubblicare.

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J.-C. Schmitt, La Raison des gestes dans l’Occident médiéval, Parigi 1990, 295s. [trad. it., Il gesto nel Medioevo, Roma - Bari 1990]. 21 Niños Jesús. Sculture policrome dalle Collezioni Reali di Madrid, catalogo della mostra, Milano, Basilica di Sant’Ambrogio, ottobre-dicembre 1989, Milano 1989, 77. 22 J. S imard , Une iconographie du clergé français au xviie siècle. Les dévotions de l’École française et les sources de l’imagerie religieuse, Québec 1976, 52-53. 23 Incisione, 17,9 x 12,8 cm (L’œuvre gravé de François et Nicolas de Poilly d’Abbeville, graveurs Parigiien du xviie siècle. Catalogue général, ed. J. Lothe, Parigi 1994), prima del 1671; cfr. J. Simard, Une iconographie du clergé français au xviie siècle, figg. 23, 25, 26. 24 J.-K. Huysmans, «Non è più di porcellana; è di flaccidità leccata»; William Bouguereau, catalogo della mostra, Parigi 1984; D. Bartoli – F.C. Ross, William Bouguereau, catalogo completo dell’opera, 2 voll., New York 2010. 25 La Vie, dossier «Jésus révélé par les plus grands artistes», 18-25 décembre 2014, 4243. 26 63 x 44 cm, Sofia, Santuario di Baloukli; G. Gharib, Le icone mariane, 209. 27 Gesù Bambino come Salvator mundi, olio su tela, 55 x 40 cm, 1519; coll. privata, Milano; Leonardo da Vinci, 1452-1519. Il disegno del mondo, catalogo della mostra, Milano 2015, cat. n° 208. 28 J. T rudel , «Statuaire traditionnelle du Québec: six enfants Jésus au globe», Vie des Arts 49 (1967-1968), 28-63. 29 Inv. n° 16890. 30 Cfr. il catalogo della mostra Leonardo da Vinci, 1452-1519. 31 Olio su tavola, 42,6 x 33 cm, intorno al 1515, National Gallery of Art, Washington. 32 E. Sendler, Les Icônes byzantines de la Mère de Dieu, 82. 33 F. B œspflug , «La résurrection comme victoire sur les monstres», Enseignement Catholique Actualités, n° 368, settembreottobre 2015, 44-45. 34 Sul «polimorfismo» delle immagini di Cristo nell’arte paleocristiana, cfr. G. Dagron, «L’iconoclasmo e la nascita dell’ortodossia (726-847)», in Storia del cristianesimo. Religione, politica, cultura. iv . Vescovi, monaci e imperatori (610-1054), Roma 1999, 108-181, in part. 110; G.G. Stroumsa, «Polymorphie divine et transformation d’un mythologème: l’“Apocryphon de Jean” et ses sources», Vigiliae Christianae 35 (1981), 412-434, l’A. sottolinea che l’opposizione giovane uomo/vegliardo, topos letterario della tarda Antichità, ha dei paralleli nell’antica letteratura rabbinica; J.M. Spieser, Images du Christ. Des catacombes aux lendemains de l’iconoclasme, Ginevra 2015. 35 Olio su tavola, 55 x 40 cm; in Leonardo da Vinci, 1452-1519, n. xi.13. 36 1612, Durham, Bowes Museum; in S. B arbagallo , San Giuseppe nell’arte. Iconologia e iconografia del Custode silenzioso del Redentore, Città del Vaticano 2013, 163, fig. 52. 37 P. Beitia, L’Enfant Jésus de Prague. Histoire

et spiritualité, un chemin de vie chrétienne, Parigi 20072, 24. 38 H. Wentzel, «Christkind», RDK, II, 1953, 500-608; C. Bertelli, «Il piccolo Gesù. Vicende della tradizione iconografica del Bambino Gesù», in Niños Jesús, 23-39, qui 28-30; S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 43. 39 F. A lberti , «Ridente Redentore», 352, fig. 19. 40 P. Beitia, L’Enfant Jésus de Prague; S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 68-70. 41 J. S imard , Une iconographie du clergé français au xviie siècle, 31s.; S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 48-49 e 52-55. 42 J. S imard , Une iconographie du clergé français au xviie siècle, 34. 43 F. Bœspflug – E. Fogliadini, La Fuga in Egitto, 66-69. 44 A. Micha, 94-95, fig. 2 (miniatura tratta da Les Faicts et la Vie de Notre-Seigneur Jésus-Christ, Parigi, BnF, ms. fr. 992 [senza indicazione di folio]); cfr. anche l’episodio in cui Gesù sottomette a sé una leonessa con i suoi leoncelli, in Vangelo dello PseudoMatteo 35-36 (ibid., 109-110) [M. Erbetta, 61]. 45 Le Livre de l’Enfance du Sauveur 31; DimierPaupert, 75. 46 Sulla figura del puer-senex, cfr. S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 35-36. 47 Le Livre de l’Enfance du Sauveur 34; DimierPaupert, 77. 48 Corano 19, 21-26, in cui si vede Maria partorire sotto questa palma. È Gesù stesso, appena nato, che rassicura Maria, la disseta, le dà da mangiare e le impone di asciugarsi le lacrime dagli occhi [cfr. Il Corano, ed. A. Bausani, Milano 19967, 220]. 49 F. Bœspflug – E. Fogliadini, La Fuga in Egitto, 100-102. La miniatura persiana offre degli esempi della Vergine (Maria) con il Bambino (Gesù), entrambi provvisti di un nimbo di fuoco e posti sotto una palma da dattero vicino alla quale sgorga miracolosamente una sorgente di acqua fresca: per esempio quella che decora un manoscritto delle Qisas al-anbiyâ (Storie dei profeti) proveniente da Qazvin (Iran), intorno al 1595, probabilmente opera di Sâdeq Bêg (1533-1610), uno degli artisti di punta della bottega reale safavide di Qazvin; Parigi, BnF, ms. suppl. persan 1313, f. 174. Sullo sfondo, un uomo barbuto che sta in agguato: Satana. Su questa miniatura, cfr. A. Vernay-Nouri, Enluminures en terre d’Islam. Entre abstraction et figuration, Parigi 2011, fig. 47. 50 Vangelo dello Pseudo-Matteo 20; A. Micha, 96-97, fig. 3 [M. Erbetta, 56]; Vangelo dell’infanzia armeno 23 [Erbetta, 173]. Questo riposo sotto alla palma ha dato origine a numerose immagini. 51 Vangelo dello Pseudo-Matteo 23; A. Micha, 98-99 [M. Erbetta, 57]; Le Livre de l’Enfance du Sauveur 34-35; DimierPaupert, 77; F. Bœspflug – E. Fogliadini, La Fuga in Egitto, 87-89, 91, 98-99, 115. 52 Vangelo dello Pseudo-Matteo 34; A. Micha, 109 [M. Erbetta, 60]. 53 Vangelo dello Pseudo-Matteo 41; A. Micha, 113-114 [M. Erbetta, 62]. 54 D. R udloff – C. E ggenberger , Zillis,

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images de l’univers roman, Zodiaque, Ginevra 1989, 101; H. Garcia, Zillis. Le fleuve Océan et le Christ-Roi. Exercices de mythologie et de littérature sur le plafond peint de l’église de Zillis, Ginevra 2011, 194-195. Vangelo dello Pseudo-Matteo 27; A. Micha, 102-103 [M. Erbetta, 58]. Il libro curato da A. Micha riproduce alla fig. 6 una miniatura che illustra questo miracolo in un manoscritto italiano del xiii secolo, conservato presso la Bibliothèque nationale de France di Parigi, di cui non indica però la collocazione. Vangelo arabo dell’infanzia 36; A. Micha, 143 [M. Erbetta, 112]. Riferimento citato in C. e J. Lagarde, La Prière de Noël, Parigi 1986, 103 [Erbetta, 83-84]. Vangelo dello Pseudo-Matteo 32; A. Micha, 108, fig. 10 [M. Erbetta, 60]. Vangelo dello Pseudo-Matteo 40; M. Erbetta, 62. T. Pérez-Higuera, Puer natus est nobis, 260. Vangelo dello Pseudo-Matteo 33; A. Micha, 109, fig. 11, tratta dal ms. fr. 992, Parigi, BnF [M. Erbetta, 56]; stesso miracolo nel Vangelo arabo dell’infanzia 45; A. Micha, 148-149 [Erbetta, 114]. Vangelo dello Pseudo-Matteo 37; A. Micha, 110-111, fig. 13 (Parigi, BnF, ms. fr. 992) [M. Erbetta, 61]; due miracoli simili nel Vangelo arabo dell’infanzia 38-39; A. Micha, 144-145 [M. Erbetta, 113]. Pseudo-Bonaventura, Meditationes Vitae Christi 15; A. Micha, 114 [trad. it. del passo delle Meditationes in T. Pérez-Higuera, Puer natus est nobis, 260-261]. T. Pérez-Higuera, Puer natus est nobis, 252; Vangelo dello Pseudo-Matteo 26; M. Erbetta, 57-58; Le Livre de l’Enfance du Sauveur 37; Dimier-Paupert, 78. T. Pérez-Higuera, Puer natus est nobis, 248-251. Vangelo dello Pseudo-Matteo 30; M. E rbetta , 59; Le Livre de l’Enfance du Sauveur 40-41; Dimier-Paupert, 80-82. Convinzione attribuita a Maria dal Vangelo dello Pseudo-Matteo 39, 2 [M. Erbetta, 62]. Vangelo dello Pseudo-Matteo 31; M. Erbetta, 59-60; stesso stupore del maestro (questa volta chiamato Zaccheo) nel Vangelo arabo dell’infanzia 48: «“Questo ragazzo, io penso, è nato prima di Noè”. Quindi si rivolse a Giuseppe nel modo seguente: “Mi hai portato questo bambino perché lo istruissi ed ecco che è egli il maestro dei maestri!”. E infine disse a Maria: “Tuo figlio non ha bisogno di alcuna istruzione”» [M. Erbetta, 115]; più avanti, tuttavia, con un altro maestro, il risultato è drammatico: Vangelo arabo dell’infanzia 49; M. Erbetta, 115. Vangelo dello Pseudo-Matteo 38; M. Erbetta, 61-62. Vangelo dello Pseudo-Matteo 39; M. Erbetta, 57, 62. Gesù Bambino di Messina proveniente da Ittenbach; imm. in S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 73. Franciszka Bergmana, San Giuseppe, 1899,

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Wadowice, Santuario di San Giuseppe, imm. in S. B arbagallo , San Giuseppe nell’arte, 87, fig. 37. 73 B. Foucart, Le Renouveau de la peinture religieuse en France (1800-1860), Parigi 1897, fig. 95. 74 Montauban, Musée Ingres, in B. Foucart, Le Renouveau de la peinture religieuse en France, fig. 119. 75 B. Foucart, Le Renouveau de la peinture religieuse en France, fig. 218. 76 Cfr. la nota di É. Hardouin-Fugier in J.D. Jumeau-Lafond, Les Peintres de l’âme. Le symbolisme idéaliste en France, catalogo della mostra, 191-192, n° 93: «Tyr unisce così il tema del bambino profeta caro al Romanticismo»; F. Bœspflug, Le Regard du Christ, 166-167. 77 É. H ardouin -F ugier in J.-D. J umeau Lafond, Les Peintres de l’âme, 192. 78 É. H ardouin -F ugier in J.-D. J umeau Lafond, Les Peintres de l’âme, 192. 79 «Bar-Mitsva», in Dictionnaire encyclopédique du judaïsme, ed. G. Wigoder, Parigi 1996; questa regola che fa di un bambino un soggetto della Legge non è ancora attestata, è vero, al tempo di Gesù. Cfr. F. Quéré, Jésus enfant, 225. 80 F. Quéré, Jésus enfant, 231: «Al centro, la perla di grande valore, l’unica, tanto ricercata. A cerchio attorno a lui, i dottori». È un’esegeta di professione che parla. Il suo linguaggio, qui, sembra dovere molto più alla pittura che al testo evangelico… 81 Giovanni di Paolo (1403-1482), tempera su legno, 27 x 24 cm, ca. 1472, Isabella Stewart Gardner Museum, Boston. 82 Quentin Matsys (1456-1530), olio su tela, 62,5 x 80,5 cm, 1509-1511, Lisbona, Museo nazionale di arte antica. 83 Philippe de Champaigne, Gesù ritrovato nel Tempio, olio su tela, 244 x 170 cm, 1663, dipinto per il convento dei certosini di Parigi, Museo, Angers; Philippe de Champaigne (1602-1674). Entre politique et dévotion, ed. A. Tapié – N. Sainte Fare Carnot, catalogo della mostra, Lille – Ginevra 2007, 296-299, n° 92. 84 Questi quadri si trovano rispettivamente a Saint-Béat (olio su tela, 88 x 71 cm, Fos Alta Garonna); E. Henin, «L’Enfant Jésus au milieu des docteurs: une image de la parabole au xviie siècle. À propos d’une ekphrasis jésuite d’un tableau de Stella», gba 136 (2000) 31-48; Notre-Dame des Andelys (Eure), olio su tela, 380 x 200 cm, un tempo al noviziato dei Gesuiti di Parigi; cfr. Grand Siècle. Peintures françaises du xviie siècle dans les collections publiques françaises, catalogo della mostra, Montréal – Rennes – Montpellier 1993, 242, n° 78 [nota di M. Hilaire]; Le Dieu caché. Les peintres du grand siècle et la vision de Dieu, catalogo della mostra, Roma 2000-2001, 127-130, n° 18 [nota di E. Coquery]; J. Thuillier, Jacques Stella, 1596-1657, Metz 2006, 133; alla Basilica di Saint-Liduina di Schiedam (Olanda), olio su rame, 47,3 x 35,2 cm, firmato e datato 1649; cfr. P. Huys Janssen, «A newly discovered painting by Jacques Stella in Holland», bm 138 (1996) 750-751; J. Thuillier, Jacques

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Stella, 159; a Lione, nel Musée des BeauxArts, olio su legno, 65,5 x 54,5 cm, firmato e datato 1645; cfr. P. Rosenberg, «Tableaux français du xviie siècle», Revue du Louvre et des musées de France 5-6 (1979) 401-407, n° 5-6; J. Thuillier, Jacques Stella, 145, così come nella chiesa di Saint-Ayoul de Provins (Senna e Marna); S. Kerspern, «Jésus retrouvé par ses parents dans le Temple (1654) par Jacques Stella, Provins, église Saint-Ayoul», GBA 114 (1989) 1-10; J. Thuillier, Jacques Stella, 6 e 203, per non parlare di uno schizzo del precedente a pietra nera, 35 x 25 cm, del 1654, Worms, Kunsthaus Heylshof; J. Thuillier, Jacques Stella, 202. Su questo dipinto, cfr. P. Curie – B. D ucourau , «Hommage à Gilles Chomer: L’Enfant Jésus retrouvé au Temple, un nouveau Stella dans les Pyrénées», In Situ, Revue des patrimoines [online] 2005, n° 3, come il catalogo della mostra che è stata dedicata a Jacques Stella nel 2006-2007 presso il Musée des Beaux-Arts di Lione.

II GESÙ HA DOVUTO IMPARARE? 1

Per tutto quanto segue, utilizziamo la parola nel senso che ha al plurale, quello di inculcare l’educazione, e non nel senso (al singolare) di un bambino o ragazzo che è “mandato come apprendista” da un maestro di bottega o un padrone; per quest’ultimo senso nella cultura medievale, cfr. D. Alexandre-Bidon, «En apprentissage», in D. Alexandre-Bidon – D. Lett, Les Enfants au Moyen Âge, ve-xve siècle, Parigi 1997, 151-157. 2 T. Pérez-Higuera, Puer natus est nobis. La natività di Cristo nell’arte medievale, Torino 1996, 242. 3 Cfr. F. Q uéré , «L’apprentissage de la sagesse», in Id, Jésus enfant, 211-212. 4 S. La Rocca, L’Enfant Jésus. Histoire et anthropologie d’une dévotion dans l’Occident chrétien, Toulouse 2007, 36, che rinvia a F. Bovon – P. Geoltrain, ed., Écrits apocryphes chrétiens, i, Parigi 1997, cap. xxxvi, 227. 5 Sandro Botticelli, Natività mystica, 1501, National Gallery, Londra; Ghirlandaio, Adorazione dei pastori, 1483-1485, Chiesa della Santa Trinità, Firenze (queste due opere sono riprodotte in S. Barbagallo, San Giuseppe nell’arte. Iconologia e iconografia del Custode silenzioso del Redentore, Città del Vaticano 2013, 52 e 116). Alcune statuette di Gesù Bambino sdraiato del xvii secolo lo mostrano mentre indica con l’indice destro la sua bocca: Niños Jesús. Sulture policrome dalle Collezioni Reali di Madrid, catalogo della mostra, Milano, Basilica di Sant’Ambrogio, ottobre-dicembre 1989, Milano 1989, 43.48. 6 Tavola dipinta, 26,2 x 37,5 cm, ca. 1500; La Collezione Cagnola. I dipinti, ed. M. Boskovits – G. Fossaluzza, Busto Arsizio 1998, 172-173, cat. n° 49. Quest’opera è appena stata restaurata. Non si ha tuttavia alcuna garanzia che questo gesto infantile debba essere interpretato nel modo in cui lo

facciamo noi, e non come una semplice voglia di succhiarsi il dito. 7 F. Bœspflug, Arcabas, Saint-Hugues de Chartreuse, Parigi 1988, 85; Arcabas. SaintHugues-de-Chartreuse et autres œuvres, Grenoble 2008, 76. 8 S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 23, cita F. Bovon – P. Geoltrain, Évangile du PseudoMatthieu, cap. xiii-2, che parla di Gesù «appena nato e ritto sui piedi», adorato dagli angeli; lo stesso passaggio, nel Livre de l’Enfance du Sauveur. Une version médiévale de l’Évangile de l’Enfance du Pseudo-Matthieu ( xiii e siècle), ed. C. D imier -P aupert , Parigi 2006, 71 non va in quella direzione. 9 New York, Pierpont Morgan Library, ms. 917, p. 149; D. Alexandre-Bidon – P. Riché, L’Enfance au Moyen Âge, 79-80; S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 306-307. In altre immagini contemporanee nelle quali Gesù impara a camminare in un girello sotto lo sguardo di Maria, o di Maria e Giuseppe, si fa aiutare da un angelo (New York, pml , ms. G.4, f. 140v, Rouen ou Orléans, ultimo quarto del xv sec.), o da due angeli: Parigi, bnf, ms. Arsenal 655 réserve, f. 20r (1460-1477), Libro d’ore all’uso di Lione; Varsavia, Polittico dell’Annunciazione con l’unicorno, ca. 1480, conservato presso il Museo nazionale di Varsavia (Sr. 124). Grazie ad Alessandro Cavo per avermi segnalato queste miniature. 10 Kunsthistoriches Museum, diametro 29,5 cm, ca. 1490; M. Cinotti, Caravaggio. La vita e l’opera, Bergamo 1998. 11 Sull’educazione della Vergine nell’arte, cfr. M. Menard, Une histoire des mentalités religieuses aux xviie et xviiie siècles. Mille Retable de l’ancien diocèse du Mans, Parigi 1980, in part. 345s. («Les gestes d’Anne et de Marie dans l’éducation de la Vierge»); F. Bœspflug – F. Bayle, Sainte Anne. Histoire et représentations, Parigi 2012, 58-61 e fig. 12-15. 12 Olio su tela, 52 x 63 cm, Vienna, Liechtenstein Museum. 13 D. Alexandre-Bidon – D. Lett, Les Enfants au Moyen Âge, 111. 14 Ibid. 15 Ibid. 16 Parigi, bnf , ms. lat. 9474, f. 222r; D. Alexandre-Bidon – P. Riché, L’Enfance au Moyen Âge, 26-27: non è Maria che insegna a Gesù a leggere, ma è Gesù che rivela a Maria il significato di ciò che la madre legge nella Bibbia. 17 Olio su tavola, 100 x 52 cm, ca. 1435-1438, Prado, Madrid. 18 26,5 x 19,5 cm, del 1433; National Gallery of Victoria, Melbourne; cfr. anche la sua Madonna Ince Hall. 19 Olio su tavola, 55 x 45 cm, ca. 1503, Norton Simon Museum, Pasadena; o la Madonna Connestabile del Museo dell’Ermitage a San Pietroburgo, del 1504, imitata da Sassoferrato. 20 Pieter Fransz de Grebber, La Vergine che impara a leggere da Gesù Bambino, olio su tela, 96 x 73,5 cm senza la cornice, ca. 1630, Musée des Beaux-Arts, Quimper, Inv. 85-4; I. Van Thiel-Stroman, «Pieter Fransz de Grebber», in Painting in Haarlem 1500-1850. The Collection of the Frans Hals

Museum, Gand-Haarlem 2006, 168-172; F. Bœspflug, «La lecture dans la famille de Jésus», Enseignement catholique actualités, n° 362, agosto-settembre 2014, 42-43. In questo filone si può anche ricordare il dipinto di Pierre Puget, 1656 (Marsiglia, Musée des Beaux-Arts) e quello di Jean-Baptiste Enderle (1725-1798, Jettingen-Scheppach). 21 Non so se è stata intrapresa una ricerca su questo aspetto della scena della donna adultera nell’arte: ma non c’è dubbio che ci sia materiale per una eventuale indagine. 22 E. Renan, Vita di Gesù, Roma 1990, 25: «Imparò senza dubbio a leggere e a scrivere secondo il metodo orientale, consistente nel porre in mano al fanciullo un libro che egli va ripetendo in cadenza con i piccoli compagni, finché lo sappia a mente». 23 T. Pérez-Higuera, Puer natus est nobis, 252; la scena in cui Gesù è rappresentato ai piedi del maestro è riprodotta a p. 253. 24 Pseudo-Matteo 13; Parigi, bnf, ms. lat. 2688, f. 36v. 25 T. Pérez-Higuera, Puer natus est nobis, 253. 26 Sacra Famiglia, ms. bp h z 372, ca. 1450, Germanisches National-museum, Norimberga. 27 Andrea Lanzani, olio su tela, 133 x 85 cm, fine del xvii secolo, Milano, Sant’Eustorgio. 28 Lorenzo di Caro, 98 x 73 cm, xviii secolo, Ajaccio, Palais Fesch. 29 Giovanni Battista Benvenuti, detto l’Ortolano, Madonna col Bambino, tavola dipinta, 39,5 x 32 cm, ca. 1520, collezione della Villa Cagnola (Gazzada); E. Ruhmer, «Ortolano und Costa», Festschrift F. Dussler: 28 Studien zur Archäologie und Kunstgeschichte, Berlin 1972, 169-176; La Collezione Cagnola, tav. xxvii e cat. 41, 158159; J.-C. Schmitt, Il gesto nel Medioevo, Roma – Bari 1990; F. Bœspflug, «Jésus aussi a dû apprendre à prier», Enseignement catholique actualités, n° 367, giugno-luglio 2015, 42-43. 30 D. Lett, «L’éducation religieuse faite par la mère», in D. Alexandre-Bidon – D. Lett, Les Enfants au Moyen Âge, 111. 31 Secondo gli apocrifi, ai quali le immagini della Fuga in Egitto rimandano spesso su questo punto, Giuseppe avrebbe avuto dei figli da un precedente matrimonio. Cfr. E. Fogliadini, «Joseph dans l’ombre? Le fiancé de la Vierge Marie dans l’iconographie byzantine», Rivista di Storia e Letteratura Religiosa 2020/1 (a. 56). Di conseguenza, Gesù avrebbe avuto dei fratellastri. Cfr. le opere riprodotte in F. Bœspflug – E. Fogliadini, La Fuga in Egitto, 30, 38, 42, 90. 32 Su questa complessa questione, cfr. F. Quéré, Jésus enfant, 114-116.165 (e ibid., É. P armentier , 273); C. G ianotto , Giacomo, fratello di Gesù, Bologna 2013. Alcuni dipinti, come quello di Castelseprio in provincia di Varese, raffigurano una levatrice che con la mano verifica la verginità di Maria dopo il parto; questo affresco è riprodotto e commentato in F. Bœspflug – E. Fogliadini, La natività nell’arte d’Oriente e d’Occidente, 20-23, fig. 2. 33 F. Chandernagor, Vie de Jude, frère de Jésus, Parigi 2015. 34 Su questa opposizione, cfr. D. Lett, «Famille

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large ou famille étroite», in D. AlexandreBidon – D. Lett, Les Enfants au Moyen Âge, 97-98. Allo stesso modo, sembra dubbio che «il problema dei due Bambini Gesù» abbia lasciato tracce significative e inequivocabili nella storia della Sacra Famiglia nell’arte, nonostante quanto affermi il titolo dell’opera di H. Krause-Zimmer, Le Problème des deux enfants Jésus et sa trace dans l’art, Parigi 1989. Su questa categoria di immagini, cfr. M. Lechner, «Sippe, heilige», LCI, IV, 1972, 163-168; F. Bœspflug – F. Bayle, Sainte Anne, 29-30 e fig. 24. Per quanto riguarda il riso di Cristo, non ci siamo astenuti dal parlarne a partire dalla sua menzione in un testo gnostico (un Cristo «docetista», che ride all’idea che si creda che egli sia stato crocifisso; cfr. in part. G. Stroumsa, Il riso di Cristo. La rivoluzione del cristianesimo antico, Brescia 2014), ma questo tema non ha dato origine a immagini incontrovertibili; cfr. anche S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 33, che cita, dai testi apocrifi, alcuni episodi di Gesù Bambino che ride. Si veda lo studio innovatico sul tema condotto da Francesca Alberti, citato in bibliografia. Alcune miniature medievali che hanno per soggetto la Natività o che sono ispirate a questa scena mostrano Maria che misura con la mano la temperatura dell’acqua del bagno che sta per fare a Gesù. Nicole Chambon, che ringrazio, mi fa notare che Gesù in alcuni Giardini del Paradiso è comunque molto concitato. In alcune Natività scherza con il bue, scappa con la sua copertina. S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 34. Sull’allattamento materno, cfr. D. AlexandreBidon – D. Lett, Les Enfants au Moyen Âge, 123; sulle icone che presentano questo soggetto, cfr. E. Sendler, Le icone bizantine della Madre di Dio, 157ss. («La Madre di Dio allattante»); sulla sua origine, che non è ancora stata chiarita, fino a quando non si riuscirà a comprendere che cosa accadde tra la più tarda immagine di Maria che allatta dell’arte copta e le prime rappresentazioni di questo motivo nell’arte cristiana occidentale, cfr. F. Bœspflug, «D’Isis lactans à Maria lactans. Quelques réflexions sur deux motifs similaires», in Le myrte & la rose, Mélanges offerti a Françoise Dunand, ed. G. Tallet – C. Zivie-Coche, Montpellier 2014, 179-197. Nicolas Poussin, La Sacra Famiglia, Detroit Institute of Art, Detroit. Alcuni dipinti sono comunque dei possibili candidati, come mi ha fatto notare Nicole Chambon, ad esempio la Vergine col Bambino, detta Nostra Signora della Sede o Vergine col biberon, fermo restando che il biberon, fin dall’antichità, ha assunto diverse forme, molto diverse da quella che si è finalmente imposta; cfr. L. Clément, Le Biberon à travers les âges, Lione 2010, e il sito www.histoire-du-biberon.com. J. Thuillier, Jacques Stella, 1596-1657, Metz 2006, 194. Questo dipinto ha un fratello dello stesso pittore, un tondo dalla ubicazione attualmente sconosciuta. Jacques Stella, La Vergine che dà la pappa a Gesù, con un angelo in preghiera e uno che soffia sul fornello.

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É. Mâle, L’arte religiosa nel ’600. Italia, Francia, Spagna, Fiandra, Milano 1984, 264 e fig. 119; il distico utilizzato come legenda dichiara: «Eia age care puer, calicem bibe, te manet alter qui tensis manibus non nisi morte cadet» («Caro Fanciullo, bevi questo calice in attesa di quello che ti è riservato e che solo la morte ti toglierà dalle mani»). 46 Gesù che recita il Benedicite (Charles Le Brun, Sacra Famiglia o Le Bénédicité, olio su tela, 130 x 89 cm, intorno al 1655, Parigi, Museo del Louvre, Parigi, Inv. 2881. 47 Cfr. la nota dedicata a quest’opera nel catalogo della mostra Saint-Paul-Saint-Louis; les Jésuites à Parigi, Parigi 1985 (nota di Bernard de Montgolfier, n° 116, 99-101). 48 F. Bœspflug, Le immagini di Dio, 404, fig. 2. 49 Sacra Famiglia, o Il ritorno di Gesù dopo la discussione con i dottori, o I rimproveri di Maria e Giuseppe a Gesù, tempera all’uovo su tavola, 49,6 x 35,1 cm, 1342, Walker Art Gallery, Liverpool; F. Bœspflug, «Les reproches de Marie et Joseph à Jésus», Enseignement catholique actualités, n° 365 (febbraio-marzo 2015) 42-43. 50 Questa sarebbe una delle due parti di un dittico probabilmente destinato, date le sue dimensioni, alla devozione privata di un ecclesiastico, ad esempio di un prelato della corte pontificia di Avignone. Nella cornice, in basso, si legge un’iscrizione in lettere maiuscole: SYMON. DE. SENIS. ME. PINXIT. SUB. A. O. MCCCXLII («Simone di Siena mi ha dipinto nell’anno 1342»). 51 J. Gagliardi, La Conquête de la peinture. L’Europe des ateliers du xiiie au xve siècle, Parigi 1993, 66-73, qui 70. 52 È in linea con l’analisi degli esegeti attuali, ad esempio quella di F. Quéré, Jésus enfant, 237: «Gesù si comporta qui da adolescente, senza una parola di scuse». 53 J. Gagliardi, La Conquête de la peinture, 70. 54 A. Martindale, in L. Bellosi, ed., Siena – Firenze 1985; C. Bertelli – al., Storia dell’Arte Italiana, ii, Milano 1990, 39. 55 D. Denny, «Simone Martini’s “The Holy Family”», jwci 30 (1967) 138s.; su questa tavola dipinta, cfr. anche P. L. De Castris, Simone Martini, catalogue complet des œuvres, Parigi 1991, 132; P. Torriti, Simone Martini, Firenze 1991, 40-43; J. Gagliardi, La Conquête de la peinture, 66-73; M. Pierini, Simone Martini, Milano 2000. 56 1926. Olio su tela, 196 x 130 cm, Museum Ludwig, Colonia. 57 F. Bœspflug, «Caricaturer Dieu? Se moquer du Prophète? Liberté d’expression et respect du sacré», Bulletin du Centre Protestant d’Études 60/1-2 (2008) 25-47. 58 François Dupuigrenet-Desroussilles, che ringrazio, mi fa notare che Calvino avrebbe affermato di essersi servito di Gesù che gioca per giustificare la propria pratica, che era di interrompere regolarmente il suo lavoro di esegeta per giocare a bocce. 59 S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 28, dove l’A. cita diversi esempi. 60 Miniatura, Meditatione de la uita del nostro Signore Ihesu Christo, xiv secolo, Parigi, bnf, ms. italien 115, f. 43r; T. Pérez-Higuera, Puer natus est nobis, 243.

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Per la storia del giocattolo, cfr. M. Manson, Jouets de toujours, Parigi 2001. 62 Le Mans, Musée de Tessé, xv secolo; D. Alexandre-Bidon – P. Riché, L’Enfance au Moyen Âge, 72-73. 63 Grazie a Nicole Chambon per avermi messo su questa pista interpretativa, ricordandomi che il salterio evoca la parola tedesca per salmo: Psalter. 64 F. Garnier, Le langage de l’image au Moyen Âge. II. Grammaire des gestes, Parigi 1989, 120-127. 65 G. Gharib, Le icone mariane. Storia e culto, 185. 66 E. Sendler, Les Icônes byzantines de la Mère de Dieu, 233. 67 Tavola dipinta, 34 x 28 cm, tra il 1500 e il 1525, Parigi, Museo del Louvre, Parigi, Inv. 390. 68 Per un’interpretazione teologica di questa dinamica, cfr. F. Bœspflug – F. Bayle, Sainte Anne, 64-65.198 69 S. Barbagallo, San Giuseppe nell’arte, 71, fig. 28. 70 Sulla funzione simbolica della caccia agli uccelli tra i ragazzi, cfr. Daniel Fabre cit. in S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 29 e 210; sul simbolismo dello scricciolo, cfr. ibid. 214. 71 Nicole Chambon, nella sua tesi di dottorato, che rinvia a rdk, 1937-2003, viii, 1327-1328. 72 A.M. F ioravanti B araldi , Il Garofalo, Rimini 1998. 73 Così in Cecco di Pietro, Madonna col Bambino con un mazzo di miglio, 1379; Leonardo Malatesta, Madonna con Bambino e cardellino, ca. 1505; Raffaello, Madonna Solly, tre esempi allegati nella tesi di Nicole Chambon. 74 T. Pérez-Higuera, Puer natus est nobis, 242. 75 D. R udloff – C. E ggenberger , Zillis, images de l’univers roman, Parigi 1989, 101. 76 Lettura dell’opera che devo a Nicole Chambon, che sviluppa questo punto nel capitolo della sua tesi dedicato al cardellino. 77 J. Thuillier, Jacques Stella, 135. 78 S. Kerspern, «La Vierge au chardonneret Piasecka. Une peinture de Jacques Stella», online. Il dipinto è un olio su tela, 82,5 x 65,5 cm. L’autore rimanda a Raffaello. 79 Testo citato da T. Pérez-Higuera, Puer natus est nobis, 244. 80 Miniatura, Meditatione de la uita del nostro Signore Ihesu Christo, xiv secolo, Parigi, bnf, ms. italien 115, f. 43r; T. Pérez-Higuera, Puer natus est nobis, 243. 81 Anonimo tedesco, Gesù va a prendere l’acqua, xv secolo, Vita di Gesù di Nazaret. 82 Lucio Massari, Sacra Famiglia del bucato, olio su tela, 52,7 x 38,8 cm, inizio del xvii secolo, Galleria degli Uffizi, Firenze, Inv. 1890, n° 6719. Su questo dipinto, cfr. M. Gregori, Uffizi e Pitti. I dipinti delle gallerie fiorentine, Udine 1994, n° 465; A. Brogi, «Bolognesi di primo Seicento, Nuovi Studi 5», Rivista di arte antica e moderna 1998; Ludovico Carracci (1555-1619), Bologna 2001; F. Bœspflug, «Tâches ménagères: la Sainte Famille exemplaire», Enseignement catholique actualités, n° 366 (aprile-maggio 2015) 42-43. 83 Grazie a Nicole Chambon per avermi comunicato questa ipotesi di lettura.

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Isabel Iribarren mi precisa, e per questo la ringrazio, che Gerson distingue in questo senso fra grandevus (che evoca saggezza e altre qualità degne di un uomo maturo) e senex (che si riferisce alla vecchiaia fisica); cfr. J. Gerson, Josephina, l’épopée de saint Joseph, ed. I. Iribarren – G.M. Roccati, Parigi 2019, in part. vol. 1, 364-366. 85 P. Payan, Joseph. Une image de la paternité dans l’Occident médiéval, Parigi 2006. 86 O. Büttner, Imitatio Pietatis. Motive der christlichen Ikonographie als Modelle zur Verähnlichung, Berlino 1983. 87 Sul tema della Sacra Famiglia, cfr. É. Mâle, L’arte religiosa nel ’600, 263-264.281; H. Sachs, «Familie, heilige», LCI, II, 1970, 4-7. 88 F. Bœspflug – E. Fogliadini, La Fuga in Egitto, 104.108.126. 89 N. Verdier, Façon de dire, façon de faire, Parigi 1970: etnografia di un paese borgognone negli anni 1970. Grazie a Sandra La Rocca per aver attirato la mia attenzione su quest’opera. 90 D. Alexandre-Bidon – D. Lett, Les Enfants au Moyen Âge, 133-137. 91 M.-D. Chenu, Spiritualité du travail, Parigi 1941; Per una teologia del lavoro, Roma 1964. 92 Vetrata, Le Perrier, paese della Loira. 93 Così il Gesù della Sacra Famiglia del Maestro di Serrone, che sembra legare una corda intorno ad un bastone, sotto lo sguardo vigile di Giuseppe. 94 124 x 123,5 cm; monastero di San Bartolomeo, Maiorca (Baleari); imm. in La Vie. L’hebdomadaire chrétien d’actualité, n° 3616-3617, dal 18 al 31 dicembre 2014, 44. 95 Juan del Castillo, Sagrada Familia, Taller de Nazaret («La Sacra Famiglia nella bottega di Nazaret»), olio su tavola, 100 x 56,5 cm, 1634-1636, Museo di Belle Arti, Siviglia. 96 Georges de la Tour, San Giuseppe falegname, olio su tela, 137 x 102 cm, ca. 1640, Museo del Louvre, Parigi, rf 1948-27; F. Bœspflug, «Jésus apprenti dans l’atelier de Joseph», Enseignement catholique actualités, n° 363 (ottobre-novembre 2014), 40-41. 97 Dipinto di René-Xavier Prinet (1861-1946). 98 Vetrata (scomparto della finestra di San Giuseppe) nella chiesa di Saint-Lô de Bréchamps (Eure-et-Loir), di Ferdinand Hucher (1814-1889) e figli [prima grande fabbrica di vetrate monastiche in Francia], ca. 1883; vetrata, Saint-Martin de Biscarosse (sullo stesso schema di composizione); vetrata, chiesa di Saint-Martin de Pontlieu, Le Mans. 99 Juan del Castillo (1584-1640), Cristo bambino e san Giuseppe falegname, 100 x 56,5, ca. 1630, Museo di Belle Arti, Siviglia. 100 Vetrata, di Mazuet, Chiesa di Le-MesnilAmand. 101 Vetrata, Chiesa di Brévands (Manche). 102 Ulysse Drupt (1876-1968), mosaico sul frontone della facciata della Chiesa di SaintJoseph a Digione, prima del 1939. 103 Vetrata, di Antoine Bernard, Chiesa di Chirens (Isère); vetrata, Fermanville (Manche). 104 Joan de Juanes (1507-1579), San Jose con el niño Jesu, seconda metà del xvi secolo, Berlino, Gemäldegalerie. 105 Vetrata, Chiesa di Saint-Joseph, Enghien-lesBains. 106 F. Quéré, Jésus enfant, 213.

107 Ibid. 108 Ibid. 109 C.A. Isermeyer, «Beschneidung Christi», lci, i, 1968, 271-273. 110 S. Barbagallo, San Giuseppe nell’arte, 57. 111 C.A. Isermeyer, «Beschneidung Christi», 272: dal xiv secolo, «il sacerdote è ritratto

come crudele, il bambino e i genitori (Maria) come ritratti, inorriditi: espressione dell’ostilità verso gli ebrei». 112 Questo accostamento, già presente nella Legenda aurea («In questo giorno infatti Cristo iniziò, per la prima volta, a effondere il suo sangue per noi […] e questa effusione fu l’inizio della nostra redenzione», in Iacopo da Varazze, Legenda aurea, ed. A. e L. Vitale Brovarone, Torino 1995, 98) è reso visivamente nel Tondo di Malouel, al Louvre, così come nella Trinità della Certosa di Champmol; cfr. F. Bœspflug, La Trinité dans l’art d’Occident (14001460). Sept chefs-d’œuvre de la peinture, Strasburgo 20062, 41; F. Bœspflug – E. Fogliadini, Crucifixion. La Crucifixion dans l’histoire de l’art. Un sujet planétaire, Parigi 2019, 156. Anselmo d’Aosta ( xi secolo) è sicuramente il primo teologo a considerare la circoncisione come la prima piaga di Cristo; cfr. C. Bertelli, «Il piccolo Gesù. Vicende della tradizione iconografica del Bambino Gesù», in Niños Jesús, 23-39, qui 24. 113 La sua storicità è formalmente contestata da alcuni lavori storici recenti, come quello di M. Hadas-Lebel, Hérode, Parigi 2017. 114 G. Schweicher – G. Jaszai, «Flucht nach Ägypten», lci, ii, 1970, 43-50 (gli autori discutono le quattro tappe di cui stiamo parlando, e anche del ritorno dall’Egitto); W. Augustyn, «Flucht nach Ägypten», rdk, ix, 1352-1432. 115 Olio su tela, 98 x 133 cm, 1657 o 1658, Musée des Beaux-Art, Lione; I. Dubois Brinkmann, La Fuite en Égypte: Nicolas Poussin 1657, Lione 2000. 116 J. Parigi, La Fuite en Égypte, Parigi 1998; L. Valensi, La Fuite en Égypte. Histoire d’Orient & d’Occident, Parigi 2002. 117 F. Bœspflug, «Les Paysages de la Fuite en Egypte», in G. Mocellin – N. Chambon, Le cèdre et le papyrus. Paysages de la Bible, catalogo della mostra, Musée de saintAntoine l’Abbaye, 2020. 118 Erode il Grande muore nel 4 a.C. 119 Berlino, Staatliche Museen, Gamäldegalerie; S. Barbagallo, San Giuseppe nell’arte, 67, fig. 26. 120 La legenda dice: «Atlas dux, custos, gestat, regit atque tuetur/Cuelum humeris, matrem voce et utrumque fide». 121 J. Thuillier, Jacques Stella, 162. 122 Il ritorno della Sacra Famiglia dall’Egitto, 1863. 123 Cfr. F. Bœspflug, Le immagini di Dio. Una storia dell’Eterno nell’arte, Torino 2012, 304. 124 E. H a n c k e , Max Liebermann, Sein Leben und seine Werke, Berlin 19232; B. K üster , Max Liebermann – ein Malerleben, Hamburg 1988; N. Bröhan, Max Liebermann, Berlino 2002. 125 Max Liebermann, Gesù a dodici anni

nel Tempio, 1879; Amburgo, Hamburger Kunsthalle (acquistato nel 1911, il quadro venne rivenduto nel 1941 dall’ideologia politica, prima di essere riacquistato dalla Kunsthalle nel 1989). 126 Per quanto riguarda il libro, è stato accusato di blasfemia dalle autorità cattoliche e ortodosse e iscritto nell’Index librorum prohibitorum sotto i papi Giovanni xxiii e Paolo vi; per quanto riguarda il film, ha fatto scandalo appena è uscito, e ha causato diversi incidenti in Francia quando è stato proiettato nelle sale. 127 F. Bœspflug, Dio nell’arte. Sollicitudini nostrae di Benedetto xiv (1745) e il caso di Crescenzia di Kaufbeuren, Casale Monferrato 1986. 128 Ricordiamo fra gli altri Benvenuto Tisi, alias Il Garofalo, Giovanni Battista Salvi da Sassoferrato, Pompeo Batoni. 129 L. Bottoni, Leonardo e l’androgino. L’eros transessuale nella cultura, nella pittura e nel teatro del Rinascimento, Milano 2003. 130 F. Bœspflug, Le Dieu des peintres et des sculpteurs. L’Invisible incarné, Parigi 2010, 133-136 («Le Christ masculin: le silence de la théologie»). 131 Alcune Crocifissioni nella storia dell’arte, soprattutto alla fine del Medioevo, nel Rinascimento e nel Seicento, presentano un Cristo in croce di cui si ricerca invano il sesso virile, sebbene sia completamente nudo; cfr. F. Bœspflug – E. Fogliadini, Crucifixion. La Crucifixion dans l’histoire de l’art. Un sujet planétaire, Parigi 2019, in part. cap. 6 e 8. 132 L. S teinberg , La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Milano 1986; fra le recensioni di questo libro, cfr. quella di J. Baschet – J.C. Schmitt, «La “sexualité” du Christ», Annales ESC (marzo-aprile 1991) 337-346. 133 D. L ett , «L’amour maternel», in D. Alexandre-Bidon – D. Lett, Les Enfants au Moyen Âge, 99-102. 134 D. L ett , «La tendresse paternelle» e «L’amour filial», in D. Alexandre-Bidon – D. Lett, Les Enfants au Moyen Âge, 105110. 135 Fra tutte le ultime creazioni letterarie sull’argomento, siamo lieti di consigliare il romanzo di G. Sébastien, Entre père et fils, Parigi 2015. 136 Cfr. E. Fogliadini, «Joseph dans l’ombre?», in Rivista di Storia e Letteratura Religiosa, di prossima pubblicazione. 137 Come fa giustamente osservare D. Lett in D. Alexandre-Bidon – D. Lett, Les Enfants au Moyen Âge, 113-114. 138 F. Bœspflug, «Jésus au chevet de Joseph mourant», in J. Mateu, ed., Le Corps en partance. Les assises du corps transformé, colloque International de Montpellier, 13 et 14 mars 2020, https://www. assisesducorpstransforme.fr. 139 Olio su tela, 130 x 95 cm con la cornice, esposto nella Chiesa parrocchiale di Villerssur-Mer (Calvados); imm. in Beauté divine! Tableaux des églises bas-normandes (xviexxe siècles), catalogo della mostra, Digione 2015, 384-385. 140 E. Luis, in Beauté divine!, 385.

III GESÙ BAMBINO E L’INTUIZIONE DELLA PASSIONE 1

Ringrazio Nicole Chambon per avermi segnalato l’esistenza di questo filone che sembra assai ricco; e a François DupuigrenetDesroussilles che mi ha fatto conoscere la ricerca che Giovanni Pozzi ha dedicato a questo riguardo nella sua opera Sull’orlo del visibile parlare. 2 Tempera su legno, 58 x 39,5 cm, ca. 1480148, Museo Poldi Pezzoli, Milano. 3 Può tuttavia sorgere un dubbio, all’inizio di questo capitolo, che non vogliamo schivare. Non era forse più opportuno classificare queste immagini di presagio e di presentimenti fra quelle che costituiscono l’oggetto del primo capitolo, che suggeriscono che Gesù avesse saputo già tutto a priori, o in ogni caso che fosse stato avvertito presto di ciò che lo attendeva? La questione è difficile da risolvere, ma noi forniamo qui sotto un criterio. 4 J. Doré, «Coscienza di Cristo», in J.-Y. L acoste , Dizionario critico di teologia, Roma 2005, 354-357, da completare con V. Carraud – J.-Y. Lacoste, «Scienza divina», ibid., 1229-1233. 5 Olio su tela, 1605 o 1606, Galleria Borghese, Roma; G. Lange, Christusbilder sehen und verstehen, München 2011, 149-151: l’A. vi vede una versione “infantile” del Christus Victor. 6 Il dipinto venne commissionato dall’arciconfraternita dei Palafrenieri per ornare l’altare della cappella di Sant’Anna dei Palafrenieri della Basilica di San Pietro a Roma. Fu respinta dai cardinali della Fabbrica di San Pietro in ragione, fra le altre cose, della nudità di Gesù e della scollatura della Vergine. 7 Grazie a Thierry Lentz per avermi segnalato questo dipinto. 8 Su questo soggetto, cfr. C.I. Ciobianou, «L’iconographie orthodoxe du Sommeil de l’Enfant – Jésus, endormi comme un lion, et ses variantes roumaines», Revue Roumaine d’Histoire de l’art 49 (2012) 17-82. 9 G. L ange , Christusbilder sehen und verstehen, Monaco 2011, 76-81 (cap. ix). 10 E. S endler , E. SENDLER, Les Icônes byzantines de la Mère de Dieu: «La Madre di Dio: «La Madre di Dio della Passione: la prima icona di questo tipo è stata creata da Andrea Ricco, iconografo cretese del xv secolo, secondo la tecnica della pittura post-bizantina. Quest’icona divenne assai popolare in Italia dove i “Madonnari” la diffusero fra il xv e il xvii secolo. A quest’epoca, veniva inoltre venerata a Roma dai religiosi Agostiniani che la cedettero più tardi ai Redentoristi. È nella loro chiesa di Via Meruala che essa divenne oggetto della venerazione del popolo a partire dal 1865. I Redentoristi propagarono il suo culto in tutto il mondo sotto il nome di “Madonna del Perpetuo Soccorso”». 11 Juan de Sevilla, La Sacra Famiglia e i presagi della passione, olio su tela, 1,25 x 1,65 m, 1674-1675, Cattedrale, Granada. 12 Juan de Sevilla, La Sacra Famiglia e i presagi

della passione, olio su tela, 1,90 x 1,30 m, ca. 1680, Museo Nacional de Escultura, Valladolid. 13 Luca Giordano, Presagio della morte di Gesù, olio su tela, 1660-1664, Saint-Étienne, Musée d’Art moderne de Saint-Étienne Métropole, deposito del Museo del Louvre. 14 Olio su tela, 61 x 42 cm. 15 P. Malgouyres, «Gian Lorenzo Bernini en trois épisodes», in L. F ranck – P. Malgouyres, ed., La Fabrique des saintes images, Roma-Parigi 1580-1660, catalogo della mostra, Parigi 2015, cat. n° 35, 126140, in part. 140-141. 16 J. Thuillier, Jacques Stella (1596-1657), 88-91. 17 Alessandro Varotari, detto Il Padovanino (1588-1646), Gesù Bambino in croce, olio su tela, 103 x 85 cm, prima metà del xvii secolo. 18 Penna, inchiostro e colori marroni su carta bianca, 18,8 x 27 cm, Museo de Bellas Artes de San Pío v, Valencia. 19 Mateo Cerezo, Il presagio della passione, 1660-1666, olio su tela, 140 x 120 cm, collezione privata. 20 Niños Jesús. Sculture policrome dalle Collezioni Reali di Madrid. 21 Niños Jesús, 68-69 (e anche 36 e 38). 22 D. A lexandre -B idon – D. L ett , Les Enfants au Moyen Âge, ve-xve siècle, Parigi 1997, 134. 23 Dello stesso artista, un altro dipinto simile, con un Gesù Bambino dotato di un nimbo triangolare (!), conservato a Madrid e riprodotto in Niños Jesús, 33 e commentato da C. Bertelli, «Il piccolo Gesù», ibid., 31. 24 J. S imard , Une iconographie du clergé français au xviie siècle. Les dévotions de l’École française et les sources de l’imagerie religieuse, Québec 1976, 43. 25 E. Valdivieso, «Una Virgen niña hilando y un Niño de la Espina de Juan Simón Gutiérrez», Laboratorio de arte, 15, 2002, pp. 395-398. 26 O. Delenda, «Zurbarán, interprète idéal de la Contre-Réforme espagnole», Revue du Louvre et des musées de France 1988; J. Baticle, Zurbarán, aperçu de sa vie et de son œuvre; dello stesso autore Catalogue de l’Exposition Zurbarán du Grand Palais, Parigi 1988. 27 Londra, Tate Gallery. Quando John Everett Millais espose per la prima volta il suo quadro nel 1850, non gli diede un titolo, ma lo accompagnò semplicemente con questa citazione tratta dall’Antico Testamento: «E se gli si dirà: “Perché quelle piaghe in mezzo alle tue mani?” egli risponderà: “Queste le ho ricevute in casa dei miei amici”» (Zc 13,6). 28 P. Malgouyres, «Gian Lorenzo Bernini en trois épisodes», 137-140. 29 Ibid. 30 Olio su tela, 80,8 x 64,5 cm, Galerie Alexis Bordes, Parigi. 31 «Un giorno pregavo insistentemente il Signore a rendere la vista a una persona a cui ero molto obbligata. L’aveva perduta quasi del tutto, e io ero molto addolorata, ma temevo che per i miei peccati Dio non mi ascoltasse. Allora Egli mi apparve

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come già altre volte e, mostrandomi la piaga della mano sinistra, ne cavò fuori con l’arta un gran chiodo che vi era infisso. Nell’uscire il chiodo parve portar via della carne, e immaginai lo strazio. Mentre me n’affliggevo, il Signore mi disse di non temere, perché se per me aveva tanto sofferto, a maggior ragione avrebbe ascoltate le mie domande. Mi promise che avrebbe esaudito ogni mia preghiera perché sapeva che non gli avrei chiesto se non cose conformi alla sua gloria. Così avrebbe fatto per quello che allora gli chiedevo, perché se mi aveva sempre esaudita al di là di ogni mio desiderio anche quando non lo servivo, come potevo ben ricordarmi, a maggior ragione l’avrebbe fatto allora che era ormai sicuro del mio amore. Perciò non dovevo dubitare. Dopo neppure otto giorni, mi pare, a quella persona il Signore ridonava la vista. E lo venne subito a sapere anche il mio confessore. Può darsi che non sia stato per le mie preghiere, ma avendo avuto quella visione, mi entrò nell’anima la certezza che il Signore l’abbia fatto a mio riguardo, e lo ringraziai vivamente»: Santa Teresa di Gesù, Libro della vita 39, scritto di suo pugno con l’approvazione di P. Domingo Bañez, suo confessore, professore a Salamanca. 32 A. Collaert e C. Galle I, Visione del chiodo di Santa Teresa, incisione, 1613. 33 S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 231. 34 Cfr. la nota del catalogo del museo di Gap. 35 Niños Jesús, 59, 71-73, 75. 36 É. Mâle, L’arte religiosa nel ’600. Italia, Francia, Spagna, Fiandra, Milano 1984, 285288; la fig. 127 a p. 279 riproduce a colori il Bambino Gesù addormentato sulla croce attribuito ad Orazio Gentileschi, Museo del Prado, Madrid. 37 C.I. Ciobanou, «L’iconographie orthodoxe du sommeil de l’Enfant Jésus endormi», in particolare la conclusione, 73-74: «La confusione che alcuni ricercatori […] fanno tra l’iconografia dell’Anapeson e l’immagine di Gesù Bambino sdraiato sulla croce non è senza ragione. La citazione del Cantico dei Cantici – “Ego dormio et cor meum vigilat” (5,2), che è formulata nel titolo di alcuni dipinti e incisioni occidentali su questo argomento [Cristofano Allori e altri] – ci indica che il messaggio dell’immagine è quello di assicurare che, anche sulla croce, nel sonno della morte, il cuore del Signore veglia. Ora, abbiamo già incrociato un messaggio simile nell’iconografia ortodossa dell’Anapeson (compresa la sua variante russa chiamata “Il Salvatore dall’occhio che veglia”): è l’idea della paradossale simultaneità della morte umana e della vita divina nella persona di Cristo, il leone spirituale. Il suo corpo si è addormentato sulla croce, dice il Fisiologo greco, ma la sua divinità è rimasta sveglia, alla destra del Padre. Salomone – continua la stessa fonte – ne rende testimonianza con queste parole nel Cantico: “Dormo, ma veglia il mio cuore”». 38 Dipinto su vetro, 20,5 x 30 cm, Sandl (Austria); scultura policroma, 12 x 27 cm. 39 A partire dal 1680 Christophe Veyrier

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divenne veramente indipendente e si stabilì ad Aix-en-Provence per un periodo di due anni [...] Durante il suo soggiorno ad Aix, Christophe Veyrier ricevette un’importante commissione da parte di Jean-Claude Viany, priore della chiesa di Saint-Jean de Malte. Tuttavia realizzò ben poca roba, soprattutto una statuetta di marmo raffigurante il Bambino Gesù sdraiato su una croce che si trova nella cappella Saint-Louis a sinistra dell’altare. 40 J. Simard, Une iconographie du clergé français au xviie siècle, 43, n. 65: «Si incontreranno altri due tipi ben definiti di questo tema nel corso del xvi, xvii e xviii secolo: gli angeli gli portano la croce (Francesco Albani, intorno al 1600), egli si intrattiene con gli strumenti della passione». 41 C.I. Ciobanou, «L’iconographie orthodoxe du sommeil de l’Enfant Jésus endormi», 7374. 42 Gesù Bambino addormentato sulla croce, olio su tela, 63 x 91 cm, 1681; Madrid, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando. Alonso del Arco o Mateo Cerezo? 43 É. Mâle, L’arte religiosa nel ’600, 23-33. 44 André Lebre (1651-1700), 76 x 133 cm; Toulouse, Musée des Augustins; Cristofano Allori, Ego dormio et cor meum vigilat, incisione (Gesù sulla croce è posto all’esterno; C.I. Ciobanou, «L’iconographie orthodoxe du sommeil de l’Enfant Jésus endormi», fig. 69); Giovan Battista Baiardo; Felix Gagnereaux (Gesù è completamente nudo e dorme beato, all’aperto, in una foresta); Guido Reni (e discepoli: diversi dipinti e un’incisione: Gesù dorme appoggiato sul braccio sinistro, nudo, in aperta campagna); Francesco Albani (incisione; Gesù è nudo e dorme all’esterno su una croce); Luigi Miradori (all’esterno, ma con gli strumenti della Passione); M urillo , Bambino addormentato sulla croce, 141 x 108 cm, Sheffield Galleries and Museums Trust Graves Art Gallery (all’esterno, con due putti e un teschio); Pierre Mignard (1612-1695), 29,8 x 42,7 cm (all’esterno, senza strumenti della passione). 45 J.-M. Husser, Le Songe et la parole. Étude sur le rêve et sa fonction dans l’ancien Israël, Berlino-New York 1994; «Songe», Supplément au Dictionnaire de la Bible, xii, Parigi 1996; articolo ripreso e sviluppato in Dreams and Dream Narratives in the Biblical World, «The Biblical Seminar 63», Sheffield 1999. 46 L’ombra della morte, 73 x 94 cm, 1870, Art Gallery, Manchester. 47 F. Bœspflug, Le Regard du Christ dans l’art, 162 e 165. 48 Cfr. supra n. 43. 49 Quel 15 giugno 1658, dopo la comunione, ella lo vide, disse, «con gli occhi del corpo, nell’aria, proteso verso di me con un volto sorridente e una gioia estrema; lui mi guardò, come se avessimo avuto la stessa età; aveva pressappoco tre anni. La sua bellezza era senza pari; i suoi capelli biondi che gli scendevano sulla spalla con tre anelli, uno più lungo dell’altro; i piedi nudi; l’abito bianco ondulato come se fosse moire, senza che lo cingesse alcuna cintura. Portava al

suo braccio sinistro una croce di lunghezza e dimensione sproporzionate rispetto alla sua piccolezza, come quella su cui è morto, per sottolineare che, fin dalla sua infanzia, egli ha sofferto tanto quanto quando è morto sulla croce». 50 J. S imard , Une iconographie du clergé français au xviie siècle, 42 e fig. 14-16; «Si può ancora osservare oggi, nella cattedrale di Aix, una statua di Gesù Bambino con gli strumenti della passione conforme al tipo descritto dalla mistica» (p. 44 che rinvia a É. Mâle, L’arte religiosa nel ’600). 51 M. Bernos, «Perraud, Jeanne de l’EnfantJésus», Dictionnaire de spiritualité ascétique et mystique, xii, Parigi 1983-1984, 1172-1174. 52 Parigi, bnf, Est Kc 36, g.a. f° 42; J. Simard, Une iconographie du clergé français au xviie siècle, fig. 16.

CONCLUSIONE 1 F.

Bœspflug – E. Fogliadini, La natività nell’arte d’Oriente e d’Occidente, Milano 2016; I d ., La Fuga in Egitto nell’arte d’Oriente e d’Occidente, Milano 2018. 2 F. Bœspflug – E. Fogliadini, La Risurezione nell’arte d’Oriente e d’Occidente, Milano 2019; Id., Crucifixion. La Crucifixion dans l’histoire de l’art. Un sujet planétaire, Parigi 2019. 3 Dionisio da Furnà, Canone dell’icona. Il manuale di arte sacra del Monte Athos (sec. xviii), con una nota di Sergio Bettini, Savona 2014. 4 Cfr. le opere già citate di J. Simard e di S. La Rocca. 5 Facciamo riferimento alle conclusioni che abbiamo tratto dalle nostre ricerche sulla Compassione del Padre, tipologia iconografica libera dal postulato teologico dell’apatheia divina; F. B œspflug : «La compassion de Dieu le Père dans l’art occidental (xiiie-xviiie siècles)», Suppl. 172 (1990) 123-159 [= Dieu dans l’art à la fin du Moyen Âge, Ginevra 2012, 221266]; cfr. anche Id., La Trinité dans l’art d’Occident (1400-1460). Sept chefs d’œuvre de la peinture, Strasburgo 2000, 20062, in part. capp. i e ii. 6 F. Bœspflug, « De la parole à l’image, et retour. Approche théorique et contemplative, et échantillon de problèmes historiques », Revue de Théologie et de Philosophie, in corso di pubblicazione. 7 W. Kasper, Gesù il Cristo, Brescia 1975, 19762, 275. Ringrazio Yves Labbé per aver attirato la mia attenzione su questo testo. 8 F. Bœspflug, «L’art chrétien comme ‘lieu théologique’», RThPh 131 (1999) 385-396. 9 Come sottolineiamo in F. B œspflug , «L’annonce de l’Évangile est-elle possible en images?», RevSR 87/3 (2013) 273-292; Id., «L’image peut-elle prêcher et enseigner? Le cas des images de l’incarnation du Christ», in D. Zabunyan, ed., Que peut une image?, Parigi 2014, 12-27. 10 S. La Rocca, L’Enfant Jésus. Histoire et anthropologie d’une dévotion dans l’Occident chrétien, Tolosa 2007, 264. 11 Questo rischio è ben analizzato da S. La Rocca, L’Enfant Jésus, 307.

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Questi articoli, derivati da un unico articolo, «Exégèse en Sorbonne, exégèse en Église», rb 82 (1976) 321-359, sono stati pubblicati inizialmente nella Revue des sciences philosophiques et théologiques (rspt). Sono poi stati raggruppati in un libro, pubblicato presso le edizioni Parole et Silence nel 2007 con una prefazione del cardinal Gérard Cottier. 13 F. Quéré, Jésus enfant, Parigi 1992, nuova edizione, aumentata con la rilettura di Élisabeth Parmentier. 14 Per la ricerca storica su Gesù, cfr. ad esempio J.P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. i. Le radici del problema e della persona, Brescia 2001. 15 Per riprendere questa espressione divenuta di uso comune fra i teologi. Indica un orientamento della cristologia che costruisce la persona umano-divina di Gesù a partire dalla sua umanità, in opposizione alle «cristologie dall’alto», che prendono come punto di partenza il Verbo di Dio eterno e

si sforzano di pensare la sua incarnazione partendo dal cielo fino al momento in cui Cristo si fa «Emmanuele, Dio con noi». 16 F. Quéré, Jésus enfant, 211; cfr. anche 2122.35 (corsivo nostro). 17 L’espressione è di Élisabeth Parmentier, nella sua rilettura di F. Quéré, Jésus enfant, 271. 18 F. Quéré, Jésus enfant, 242-243, che rimanda a Gustave Martelet, cioè ad un teologo… Non possiamo quindi essere d’accordo con quanto sostiene Elisabeth Parmentier (268-269) sulla consapevolezza che Gesù, secondo France Quéré, poteva avere della sua messianicità: «Quéré non si avventura nella problematica dogmatica». 19 F. Bœspflug, La Trinité dans l’art d’Occident (1400-1460). Sept chefs-d’œuvre de la peinture, Strasbourg 20062, «Conclusione»; Id, Le immagini di Dio. Una storia dell’Eterno nell’arte, Torino 2012, in part. cap. 8, «Dio patetico e famigliare. Le audacie del xv secolo», 210-251.

20 F. Bœspflug, Le immagini di Dio. Una storia

dell’Eterno nell’arte, Torino 2012; Le Dieu des peintres et des sculpteurs. L’Invisible incarné, Parigi 2010; Les Théophanies bibliques dans l’art médiéval d’Occident et d’Orient, Strasburgo 2012; Dieu dans l’art à la fin du Moyen Âge, Ginevra 2012; Le Regard du Christ dans l’art. Temps et lieux d’un échange, Parigi 2014. 21 F. Bœspflug, «La Sainte Face dans l’œuvre de Georges Rouault (1871-1958)», in P.-L. Rinuy – I. Saint-Martin, ed., Sainte Face, visage de Dieu, visage de l’homme dans l’art contemporain (xixe-xxie siècle), Parigi 2015, 45-66. 22 F. B œspflug , «Dieu-Trinité selon Jean Bellegambe: Polyptyque d’Anchin, Musée de la Chartreuse, Douai», Les Amis de Douai 16/4 (2015) 13-22.

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Indice delle illustrazioni

Introduzione Fig. 1: Il sogno di Giuseppe e La fuga in Egitto, 1143, mosaico bizantino della Cappella Palatina del Palazzo Reale (o dei Normanni), Palermo. Fig. 2: Giovanni Francesco Romanelli, Il Ritorno dall’Egitto, 1635-1640 ca., olio su tela, 168,6 × 197,4 cm, Musée National d’Art Catalan, Barcellona. Fig. 3: Il Ritorno dall’Egitto, miniatura dalla Bibbia di Holkham, 1320-1330, British Library, Add. Ms 47682, f. 17v, Londra. Fig. 4: Andrea Previtali, Madonna col Bambino tra i santi Gerolamo e Anna, 1511-1513, olio su legno, 87,5 x 119,6 cm, Accademia Carrara, Bergamo. Fig. 5: Mateu Lopez, Il Falegname di Nazareth, 1580-1582, olio su tela, 124 × 124 cm, Monastero di San Bartolomeo Maggiore, Maiorca, Isole Baleari. Fig. 6: Willem Vrelant, Il Bambino Gesù in un giardino chiuso, miniatura dal Libro d’ore Arenberg, 1460 ca., tempera, oro e inchiostro su pergamena, 25,6 × 17,3 cm, J. Paul Getty Museum, Los Angeles. Fig. 7: Bartolomeo Veneto, Gesù Bambino come Salvator mundi, 1502-1546, olio su legno di pioppo, 43,7 × 38,3 cm, Städel Museum, Francoforte. Fig. 8: Luca Giordano, Sacra famiglia con i simboli della Passione, 1660, olio su tela, 430 × 270 cm, Museo di Capodimonte, Napoli.

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Fig. 9: Gesù Bambino benedicente, xvii secolo, Spagna, Sotheby’s. Fig. 10: Visione dell’Incarnazione, 1321 ca., affresco, Monastero di Gra/anica, Kosovo.

Capitolo I:

Gesù conosceva tutto dall’inizio? Fig. 11: Lorenzo Lotto, Adorazione del Bambino, 1523, olio su tavola, 46 × 34,9 cm, National Gallery of Art, Washington. Fig. 12: Raffaello, Madonna dell’Impannata, 1513-1514, olio su tavola, 158 × 125 cm, Palazzo Pitti, Firenze. Fig. 13: Vergine in trono con Bambino, 1050 ca., affresco, Cattedrale di Santa Sofia, Ocrida. Fig. 14: Beato Angelico, Madonna delle ombre, 1439, affresco tra le celle 25 e 26, 195 × 273 cm, Convento di San Marco, Firenze. Fig. 15: Giulio Romano, La Madonna Hertz, 1516-1517, olio su legno, 36 × 30,5 cm, Palazzo Barberini, Roma. Fig. 16: Émile Munier, Il Bambino Gesù benedicente, 1893, olio su tela, 41,9 × 33,9 cm, collezione privata. Fig. 17: Gesù disteso nella paglia. Fig. 18: Gesù benedice calice e ostia, 1460 ca., incisione, Alto Reno. Fig. 19: Albert Roze, Vergine con Bambino, 1927-1929, scultura in bronzo

dorato su base di marmo, basilica di Notre-Dame de Brebières d’Albert, Piccardia. Fig. 20: Vergine del segno, 1315-1317, affresco, Cupola del parekklesion della chiesa di Chora, Istanbul. Fig. 21: Cristo benedicente, 1337-1347, affresco del nartece, chiesa del Pantocratore, Monastero di Visoki De/ani, Kosovo. Fig. 22: William Bouguereau, Vergine con angeli, 1900 ca., olio su tela, 285 x 185 cm, Musée du Petit-Palais, Parigi. Fig. 23: Panagia Argokiliotissa, xviii secolo, tempera su legno, Monastero di Zoodochos Pigi, Grecia. Fig. 24: Pinturicchio (attrib.), Bambin Gesù delle mani, 1492 ca., affresco staccato, 48,5 x 33,5 cm, Fondazione Guglielmo Giordano, Perugia. Fig. 25: Leonardo da Vinci (Bottega di Marco d’Oggiono), Cristo adolescente come Salvator mundi, 1505 ca., olio su tavola, 46 × 38 cm, Musée des Beaux-Arts, Nancy. Fig. 26: Domenico Fetti, Salvator mundi, 1622-1623, olio su legno, 59,7 × 43,8 cm, Metropolitan Museum of Art, New York. Fig. 27: Bernardino Luini, Il Bambino Gesù, Salvatore del mondo, 1520 ca., olio su legno, 36 × 30 cm, Musée Condé, Chantilly. Fig. 28: Il Bambino Gesù di Malines, 1500 ca., statua in legno di quercia, h 32,5 cm, Museo del Louvre, Parigi.

Fig. 29: Ivo Strigel, (attr. all’atelier di) Bambino Gesù Salvator mundi, 1480-1490 ca., statua in legno, h. 37 cm, Oberschwäbische Elektrizitätswerke, Ravensburg. Fig. 30: Qisas al-anbiyâ («Storia dei profeti»), Quazvin (Iran), 1595 ca., miniatura, bnf, ms. suppl. persan 1313, f. 174, Parigi. Fig. 31: Miracolo degli uccellini, tra 1109 e 1114, soffitto dipinto, chiesa di San Martino, Zillis, Cantone dei Grigioni, Svizzera. Fig. 32: Gabriel Tyr, Cristo Bambino insegnante, 1850, olio su tela, 101 × 67 cm, Musée Crozatier, Le Puy-en-Velay. Fig. 33: Maurice Denis, Nazareth, 1905, olio su tela, 114 × 162 cm, Musei Vaticani, collezione d’Arte religiosa moderna, inv. 23158, Palazzi Apostolici Vaticani, Roma. Fig. 34: Ludovico Mazzolino, Gesù tra i dottori, 1524, olio su legno, 256 × 182 cm, Gemäldegalerie (Cl. rmn), Berlino. Fig. 35: Jacques Stella, Ritrovamento di Gesù al Tempio, 1645-1650, olio su legno, 66 × 54 cm, Musée des Beaux-Arts, Lione.

Capitolo II: Gesù ha dovuto imparare? Fig. 36: Giampietrino, La Sacra Famiglia, 1500 ca., tavola dipinta, 26,2 × 37,5 cm, Collezione Cagnola, Gazzada.

Fig. 37: Gesù impara a camminare, 1440 ca., miniatura da Libro d’ore di Catherine de Clèves, ms. 917, p. 149, Pierpont Morgan Library, New York. Fig. 38: Simon Vouet (bottega di), L’Educazione di Gesù, xviii secolo, chiesa di San Tommaso d’Aquino, Parigi. Fig. 39: Vassilii Dmitrievich Polenov, Cristo tra i dottori, 1890 ca., olio su tela, 150 × 272,5 cm, Galleria Tret’jakov, Mosca. Fig. 40: Vincenzo Foppa, Il giovane Cicerone che legge, 1464 ca., affresco, 101,6 × 143,7 cm, The Wallace Collection, Londra. Fig. 41: Pieter Fransz de Grebber, La Vergine insegna a leggere a Gesù Bambino, 1630 ca., olio su tela, 96 × 73,5 cm, Musée des Beaux-Arts, Quimper. Fig. 42: Giovanni Battista Benvenuti, detto l’Ortolano, La Vergine insegna a pregare a Gesù, 1520 ca., tavola dipinta, 39,5 × 32 cm, Collezione Cagnola, Gazzada. Fig. 43: Jacques Stella, La Vergine fa mangiare Gesù Bambino, con un cherubino che soffia sul fornello, olio su tela, 66 × 52 cm, Museo comunale del castello, Blois. Fig. 44: Simone Martini, I rimproveri di Maria a Gesù, 1342, pittura all’uovo su tavola di legno, 49,6 × 35,1 cm, Walker Art Gallery, Liverpool. Fig. 45: Max Ernst, La sculacciata, o La Vergine corregge il Bambino Gesù davanti a tre testimoni: André Breton, Paul Éluard e il pittore,

1926, olio su tela, 196 × 130 cm, Museo Ludwig, Colonia. Fig. 46: Leonardo da Vinci, Vergine con Bambino e Sant’Anna, 1503 ca., olio su legno di pioppo, 168 × 130 cm, Museo del Louvre, Parigi. Fig. 47: Nicolas Poussin, Il ritorno della Sacra Famiglia dall’Egitto, 1628-1638, olio su tela, 117,8 × 99,4 cm, Dulwich Picture Gallery, Londra. Fig. 48: Lucio Massari, Sacra Famiglia del bucato, inizio del xvii secolo, olio su tela, 52,7 × 38,8 cm, Galleria degli Uffizi, Firenze. Fig. 49: Georges de La Tour, S an Giuseppe falegname, 1640 ca., olio su tela, 137 × 102 cm, Museo del Louvre, Parigi. Fig. 50: Gerrit van Honthorst, Gesù aiuta Giuseppe nella sua bottega, 1620 ca., olio su tela, 137 × 185 cm, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo. Fig. 51: Philippe Quantin, pannello centrale del Trittico della Circoncisione, 1635, olio su legno, 221,2 × 188,5 cm, Musée des Beaux-Arts, Digione. Fig. 52: Jacob Jordaens, I l ritorno della Sacra Famiglia dall’Egitto, 1616 ca., olio su tavola di quercia, 63 × 50 cm, Gemäldegalerie, Berlino. Fig. 53: William Holman Hunt, Il ritrovamento del Salvatore nel Tempio, 1860, olio su tela, 85,7 × 141 cm, Birmingham Museum and Art Gallery, Birmingham.

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Fig. 54: Max Liebermann, Gesù dodicenne nel Tempio, 1879, olio su tela, 151 × 131 cm, Kunsthalle, Amburgo. Fig. 55: Jean-Auguste-Dominique Ingres, Gesù tra i dottori, 1862, olio su tela, 265 × 320 cm, Musée Ingres, Montauban. Fig. 56: Benjamin Constant, San Giuseppe padre adottivo di Cristo, xix secolo, olio su tela, 130 × 95 cm, chiesa parrocchiale, Villers-sur-mer (Calvados). Capitolo III: Gesù Bambino e l’intuizione della Passione Fig. 57: Caravaggio, Madonna col serpente, 1606, olio su tela, 292 × 211 cm, Galleria Borghese, Roma. Fig. 58: Maestro Bertram, La Vergine che fa la maglia, 1400 ca., anta destra del polittico di Buxtehude, olio su legno, 54,3 × 46,5 cm, Kunsthalle, Amburgo.

Fig. 59: Juan de Juanes, Il piccolo Gesù prende la croce o Sacra Famiglia, 1570-1575, olio su tavola, 51 × 36 cm, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid. Fig. 60: Luisa Ignacia Roldan («La Roldana»), Il Bambino del dolore, xvii secolo, statuetta, chiesa di san Fermín de Los Navarros, Madrid. Fig. 61: Antonio de Pereda, Il Bambino Gesù e la vanità del mondo, olio su tela, 204 × 146 cm, chiesa Saint-Bénigne, Arc-Senans. Fig. 62: Anonimo, discepolo di Zurbaran, Bambino con spina, fine xviii sec., olio su lino, 71,5 × 52 cm, Museo del Prado, Madrid. Fig. 63: John Everett Millais, Cristo in casa dei suoi genitori o La bottega del falegname, 1850 ca., olio su tela, 86,4 × 139,7 cm, Tate Gallery, Londra. Fig. 64: Louis de Boullogne, Jesus cogitanti, 1704 ca., olio su tela,

Bibliografia

80,8 × 64,5 cm, Musée national d’histoire et d’art, Lussemburgo. Fig. 65: Gesù disteso sulla croce si intrattiene con Dio Padre, Musée de Gap. Fig. 66: William Blake, Gesù Bambino addormentato sulla croce o La Madonna adora Gesù Bambino addormentato sulla croce, 1799-1800, tempera su tela, 27 x 38,7 cm, Victoria and Albert Museum, Londra. Fig. 67: Guido Reni, Il Bambino Gesù addormentato sulla croce, 1635, olio su tela, 64,5 × 76 cm, collezione privata. Fig. 68: Alonso del Arco, Il Bambino Gesù addormentato sulla croce, 1681, olio su tela, 63 × 91 cm, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid. Fig. 69: William Holman Hunt, L’ombra della morte, 1871, olio su tela, 73 × 94 cm, Art Gallery, Manchester.

Articoli di riviste o dizionari F. Alberti, «Ridente Redentore. Le rire de l’Enfant-Jésus dans l’art italien de la Renaissance», in F. Alberti – H. Bodart, ed., Rire en images à la Renaissance, Turnhout 2018, 327-366. W. Augustyn, «Flucht nach Ägypten», Reallexikon zur deutschen Kunstgeschichte, ix, 13521432. S. Barnay, « De l’Enfant Jésus à l’enfance spirituelle, une relecture de l’histoire du christianisme », Transversalités 115 (2010) 15-26. Benedetto xvi, L’infanzia di Gesù, Milano – Città del Vaticano, 2012. M Berder, «L’enfance de Jésus dans les évangiles canoniques et dans les apocryphes», in F.-M. Humann – J.-N. Pérès, ed., Les Apocryphes chrétiens des premiers siècles. Mémoire et traditions, Parigi 2009, 211-244. R. Burnet, «L’enfance de Jésus, un récit populaire», Le Monde des religions, novembre-décembre 2012, 30-32. N. Chambon, Les Fleurs et les oiseaux du Jardin du Paradis de Francfort (1410-1420), tesi di dottorato sotto la direzione di A. Le Berre e F. Bœspflug (in pubblicazione); Id., «Le Paradiesgärtlein, un jardin à nul autre pareil», in G. Mocellin, ed., Le Jardin médiéval entre Orient et Occident, Parigi 2014, 18-31. C.I. Ciobianou, «L’iconographie orthodoxe du Sommeil de l’Enfant – Jésus, endormi comme un lion, et ses variantes roumaines», Revue Roumaine d’Histoire de l’art 49 (2012) 17-82. M. Corre, «Une influence majeure sur l’art chrétien», Le Monde des religions, novembre-décembre 2012 (Les apocryphes juifs et chrétiens), 46-48.

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Z. Zuffetti, Il Bambino Gesù nell’arte, Milano 2015.

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Indice icono-teologico

Indice degli artisti

Aertsen, Peter: p. 71 Albani, Francesco: pp. 126, 154 Andersen, Harry: p. 71 Angelico, Beato: pp. 30, 156 Arcabas: pp. 66, 71, 150 Arco, Alonso del: pp. 130, 132, 154, 158 Baiardo: pp. 127, 154 Bernard, Emile: p. 50 Bernini, Gian Lorenzo: pp. 122, 153, 154 Biagio, Antonio: p. 50 Bida, Alexandre: pp. 71, 103 Bilivert: p. 127 Blake, William: pp. 126, 128, 158 Boullogne, Louis de: pp. 110, 122, 126, 158 Bourdelle, Antoine: p. 56 Bourdichon, Jean: p. 69 Brueghel: p. 71 Callot, Jacques: p. 79 Cano, Alonso: p. 52 Caravaggio: pp. 103, 114, 116, 150, 157 Caro, Lorenzo di: pp. 74, 151 Caro, Manuel: p. 121 Carpaccio: p. 66 Carracci (fratelli): pp. 92, 152 Castillo, Juan de: pp. 98, 152 Cazes, Romain: p. 58 Cerezo, Matteo: pp. 120, 153, 154 Champaigne, Philippe de: pp. 60, 150 Cibot, Edouard: p. 58 Cingal, Marie-Héléne: p. 56 Constant, Benjamin: pp. 110, 112, 157 Correggio: p. 44 Cotan, Juan Sancez: p. 50 Daret, Jean: p. 50 David, Gérard: p. 79 Degas: p. 106 Delacroix: p. 71 Denis, Maurice: pp. 58, 157 Dobson, William C.T.: pp. 84, 103, 106 Domenichino: p. 92 Duccio: p. 81 Dürer, Albrecht: pp. 60, 90 Erhart, Gregor: p. 52 Ernst, Max: pp. 84, 157 Espinosa, Jeronimo Jacinto de: p. 79 Fetti, Domenico: pp. 46, 48, 156 Fisen, Englebert: p. 74 Foppa, Vincenzo: pp. 69, 75, 157 Francia, Giacomo: p. 126 Franken, Franck: p. 71

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157

Galle, Comelis: p. 127 Gentileschi, Orazio: pp. 126, 154 Giampietrino: pp. 44, 66, 157 Giordano, Luca: pp. 20, 118, 156 Giotto: pp. 60, 81 Giovanni di Paolo: pp. 60, 150 Giulio Romano: pp. 30, 34, 156 Goyrand: p. 103 Grandi, Giacomo: p. 100 Grebber, Pieter Fransz de: pp. 71, 76, 151,

Honthorst, Gerrit Van: pp. 96, 98, 157 Hunt, Wilhelm Holman: pp. 16, 104, 106, 108, 130, 132, 157

Munier, Emile: pp. 30, 37, 156 Murillo, Bartolom. Esteban: pp. 86, 126, 154 Oggiono, Marco d’: pp. 44, 46, 50, 156 Padovanino, il: vedi Varatori Papety, Dominique-Louis-F.r.ol: pp. 56, 108 Passarotti: p. 92 Pereda, Antonio de: pp. 121, 158 Picasso, Pablo: p. 69 Pinturicchio: pp. 44, 60, 71, 156 Polenov, Vassilii Dmitrievitch: pp. 69, 72, 108, 157 Poussin: pp. 71, 157, 79, 86, 90, 101, 103, 151 Quantin, Philippe: pp. 99, 101, 157

Ingres: pp. 58, 108, 109, 157 Juan de Juanes: pp. 118, 120, 158 Jordaens, Joacob: pp. 103, 157 Jouvenat, Jean: p. 74 Juan de Sevilla: p. 153 La Hyre, Laurent de: p. 74 La Tour, Georges de: pp. 94, 98, 152, 157 Lanzani, Andrea: pp. 74, 151 Le Brun, Charles: pp. 50, 79, 147, 151, 159, Leonardo da Vinci: pp. 16, 44, 46, 86, 110, 149, 156, 157 Liebermann, Max: pp. 106-108, 143, 153, 157 Lippi, Filippino: p. 70 Lippi, Filippo: p. 70 Lopez, Mateu: pp. 14, 98, 156 Lorenzetti: p. 84 Lotto, Lorenzo: pp. 28, 50, 156 Luini, Bernardino: pp. 48, 50, 60, 122, 156 Maestro Bertram: pp. 116, 158 Maestro di Estimariu: p. 90 Maestro di Pedret: p. 48 Maestro di Vivoin: p. 84 Manet: p. 106 Mantegna: p. 36 Maratta, Carlo: p. 127 Mariette, Pierre: p. 134 Martini, Simone: pp. 24, 81, 82, 152, 157 Massari, Lucio: pp. 92, 152, 157 Matsys, Quentin: pp. 60, 150 Mazzolino, Ludovico: pp. 60, 86, 157 Mellan, Claude: p. 118 Menzel, Adolf: p. 106 Messina, Pietro di: p. 56 Millais, John Everett: pp. 122, 154, 158 Millet: p. 106 Mostaert, Jean: p. 79

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Raffaello: pp. 30, 70, 101, 152, 156 Rembrandt: pp. 71, 103, 106 Reni, Guido: pp. 69, 79, 126, 127, 131, 154, Richomme, Louis Jules: p. 100 Roldan, Luisa Ignacia: pp. 120, 121, 158 Rosselli, Cosimo: p. 48 Rouault, Georges: pp. 142, 155 Rubens: pp. 71, 106

Santafede, Fabrizio: p. 118 Saura, Dominguo: p. 120 Schedoni, Bartolomeo: p. 79 Scorsese, Martin: p. 110 Signol: p. 71 Stella, Jacques: pp. 60, 62, 79, 80, 90, 103, 106, 118, 150-153, 157 Tisi, Benvenuto: 90, 101, 153 Tiziano: p. 86 Trevisani, Francesco: p. 116 Tyr, Gabriel: pp. 56, 58, 108, 150, 157 Van der Weyden, Rogier: p. 70 Van Dick, Antoine: p. 116 Van Eyck: p. 70 Van Loo: p. 118 Varatori, Alessandro: pp. 120, 152 Veronese, Paolo: p. 60 Veyrier: pp. 126, 154 Vézien, élie-Jean: p. 34 Vivarini: p. 44 Vouet, Simon: pp. 69, 70, 157 Wierix, Jean: pp. 50 Wierix Jérome: p. 121

157

Adorazione dei Magi: pp. 30, 46, 135 Adozionismo: p. 141 Anapeson: pp. 126, 154 Anna, sant’: pp. 69, 74, 78, 86, 114, 153, 157 Arma Christi: pp. 113, 118, 120, 121, 130 Arte, locus theologicus: p. 139 Battesimo di Cristo: p. 46 Benedizione, gesto della: pp. 28, 30, 34, 46 Chiodi (della crocifissione): p. 122 Circoncisione: pp. 7, 8, 99-101, 110, 152,

Colomba (dello Spirito Santo): pp. 106, 130 Corona di spine: pp. 113, 116, 118, 120, 122, 130 Croce: pp. 5, 16, 19, 34, 48, 79, 86, 98, 101, 106, 110, 113, 116, 118, 120, 121, 122, 126, 128, 130, 131, 132, 135, 137, 140, 158 Docetismo: pp. 19, 120, 138, 141 Fuga in Egitto: pp. 8, 11, 16, 54, 56, 90, 101, 103, 120, 147, 149, 151, 152, 156, 159 Kenosi: p. 141 Madre di Dio: vedi Vergine col Bambino Mani giunte (gesto di preghiera): pp. 58, 79 Monofisismo: pp. 19, 62, 141 Natività: pp. 7, 11, 18, 27, 112, 120, 135, 147, 148, 150, 151, 154, 159 Neotenia: p. 18 Nudità (di Gesù): pp. 11, 34, 71, 110, 114, 120, 139, 153 Pastore (Buon): pp. 28, 48, 86 Perizomi: p. 110 Porpora (tunica): pp. 116, 121 Portacroce (Gesù): pp. 7, 120 Praga, Piccolo Gesù di: p. 52 Prescienza di Cristo: pp. 113, 114, 118, 130, 137 Presentazione al Tempio: pp. 8, 36 Ritorno dall’Egitto: pp. 7-10, 74, 92, 100, 103, 106, 152, 156 Ritrovamento al Tempio: pp. 7, 8, 69, 81, 92, 106, 141 Sacerdote (Gesù vestito come un): pp. 34, 38, 137 Sacra Famiglia: 8, 10, 19, 20, 38, 46, 52, 54, 66, 74, 78-86, 90-94, 101, 103, 106, 112, 114, 118-120, 151-153 Salvator mundi: pp. 16, 44, 46, 48, 50, 110, 122, 149, 156 Specchio: p. 118 Sphaera mundi: pp. 38, 44 Stella: pp. 51, 82 Vergine col Bambino: pp. 110, 151 Veronica, velo della: p. 130

Indice dei teologi e dei mistici

Aelredo di Rievaulx: p. 19 Antonio da Padova: p. 19 Bernardo di Chiaravalle: pp. 18, 147 Bérulle: pp. 19, 36, 147 Bonaventura: pp. 19, 28, 55, 65, 90, 148-149 Brigida di Svezia: p. 65 Cano, Melchior: p. 139 Dionisio da Furnà: pp. 23, 135, 148, 155 Dreyfus, padre Paul: p, 141 Edith Stein: p. 19 Francesco d’Assisi: p. 19 Francesco di Sales: p. 106 Gaston de Renty: pp. 19, 52, 147 Gerson, Jean: pp. 19, 92, 152 Gracian, Jérome: p. 103 Guglielmo di Saint-Thierry: p. 18 Guyon, Madame: p. 19 Kasper, Walter: pp. 139, 155 Kazantzakis, Nikos: pp. 110, 140 Ludolfo il Certosino: p. 19 Lutero, Martin: p. 19 Margherita del Santo Sacramento: pp. 19, 52, 147, 148 Maria di Agreda: p. 74 Molanus: pp. 23, 148 Olier, Jean.Jacques: pp. 19, 147 Perraud, Jeanne: pp. 7, 130, 132, 154 Poilly, Francois de: pp. 36, 149 Quéré, France: pp. 141, 148-152, 155, 159 Renan, Ernest: pp. 136, 140 Teresa d’Avila: pp. 19, 122 Teresa del Bambino Gesù: pp. 19, 136 Tommaso d’Aquino: pp. 19, 69, 70, 137, 157 Ubertino da Casale: pp. 19, 82 Yvonne-Aimée de Malestroit: p. 19

Zurbaran: pp. 122, 154

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Ringraziamenti

Crediti fotografici

La nostra riconoscenza va innanzitutto a Sante Bagnoli e a Vera

P. 9: Courtesy of National d’Art Catalan, Barcellona; p. 14: © Al-

Minazzi che presiedono ai destini della casa editrice Jaca Book:

bum Archivo Fotográfico, Barcellona; p. 15: Courtesy of J. Paul

li ringraziamo di cuore per l’interesse che hanno dimostrato sin

Getty Museum, Los Angeles; p. 17: cc by-sa 4.0 Städel Museum,

dall’inizio per una questione che non è certo di attualità, ma di

Frankfurt am Main; p. 25: Courtesy Monastero di Gra/anica;

cui hanno intuito la portata e il significato profondo e duraturo.

p. 29: Courtesy of National Gallery of Art, Washington; p. 32:

Le qualità professionali di coloro, in particolare Barbara Micco-

Courtesy Arcidiocesi di Ohrid; p. 41: Archivio degli Autori; p. 42:

lupi, che ci hanno aiutato nel portare a termine questo complesso

Courtesy Monastero di Visoki De/ani; p. 43: Courtesy of Musée

progetto editoriale rendono onore all’équipe della Casa Editrice.

du Petit-Palais, Parigi; p. 47: Courtesy of Musée des Beaux-Arts, Nancy; p. 53: Courtesy of bnf, Parigi; p. 55: Interfoto / Alamy

La nostra gratitudine va poi ad Alessandro Cavo, del quale abbia-

Foto Stock; p. 57: Courtesy Musée Crozatier, Le Puy-en-Velay; p.

mo scoperto che l’interesse per l’argomento e l’amicizia per l’au-

61: Courtesy of Gemäldegalerie (Cl. rmn), Berlino; p. 67: Courtesy

tore lo avevano spinto ad intraprendere sua sponte la traduzione

Collezione; p. 68: Courtesy Pierpont Morgan Library, New York;

in italiano della nostra ricerca, con attenzione e accuratezza: oltre

pp. 72-73: Heritage Image Partnership Ltd / Alamy Foto Stock;

alla riconoscenza, ha indiscutibilmente diritto all’ammirazione.

Cagnola; p. 75: World History Archive / Alamy Foto Stock; p. 77: Courtesy Collezione Cagnola; p. 85: Max Ernst © by siae 2020;

Mi pentierei, infine, se non ringraziassi Emanuela Fogliadini, mia

p. 86: Courtesy of Museo del Louvre, Parigi; pp. 96-97:

moglie, per tutto ciò che il mio lavoro le deve da quando viviamo

archivo / Alamy Foto Stock; p. 102: Courtesy of Gemäldegalerie,

insieme. Non si tratta, che il lettore ci creda, di retorica amorosa:

Berlino; p. 121: Courtesy chiesa di san Fermín de Los Navarros;

le sue domande, la sua scienza, le sue riletture ora accompagnano

p. 122: Courtesy Museo del Prado, Madrid; pp. 124-125: Agefo-

ciascuno dei risultati della mia penna. E questo libro, pubblica-

tostock / Alamy Foto Stock; pp. 128-129: Courtesy vam, Londra.

prisma

to a nome di un solo autore, potrebbe benissimo averne due… Grazie a lei.

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