e la sua influenza sul cinema moderno
L’espressionismo tedesco nasce all’inizio del ‘900 con la fondazione del movimento Die Brücke, il Ponte, da parte di Fritz Bleyl, Erich Heckel, Ernst Ludwig Kirchner e Karl Schmidt-Rottluff. Il Ponte stava a significare il collegamento che gli artisti volevano costruire tra l’arte neoromatica classica e quella che sarà poi definita, appunto, espressionista. Il tema principale di questa corrente, che nasce come pittorica, ma si estende ben presto a tutte le arti applicate, è la ricerca della soggettività calata nella realtà e nel contesto che ha intorno. È l’espressione e non più l’impressione, ciò che conta: l’angoscia, il disagio sociale, la critica nei confronti delle metropoli borghesi. Questo urlo interiore aveva bisogno di essere esternato e a farlo sono paesaggi onirici sinistri, segni distorti, colori acidi, una pittura volitiva ben lontana da quella accademica. Il cinema espressionista si appropria di questi temi e di questi mezzi pittorici e si inserisce nelle avanguardie tedesche degli anni dieci e venti del ventesimo secolo. Per rappresentare cinematograficamente le distorsioni del segno espressionista, i registi recuperano tutta la tradizione di trucchi del cinema delle attrazioni, dando vita a mondi irreali, allucinatori.
Contenutisticamente ben si adattavano i temi del soprannaturale, dell’onirico, delle creature sinistre che agivano nel buio. L’esasperazione stilistica della deformità dà vita nel pubblico ad un misto di soggezione e inquietudine, genera emozioni forti negli spettatori. Fondamentale per ricreare questi mondi è stata l’invenzione del fotografo Eugen Schüfftan: cartoni disegnati che venivano proiettati e ingigantiti con un gioco di specchi, diventavano sfondo di una parte dell’inquadratura, mentre in un’altra si muovevano gli attori in carne ed ossa, spesso inquadrati da lontano. In questo modo presero vita intere architetture e città fantasma, vertiginose, e distorte. L’esempio più eclatante dell’effetto Schüfftan è rappresentato dalla città che dà il nome al film Metropolis, del 1927. Grandissima importanza era data, inoltre, ai primi piani, grazie ai quali appariva tutta la carica espressiva dei volti pesantemente truccati, dalle mimiche demoniache, sovraccariche, dei carnefici o delle vittime. Angoli acuti, ombre marcate e recitazione spigolosa si aggiungevano in fine all’utilizzo importantissimo dei fondali dipinti mutuati dal teatro, che portava gli attori a doversi adattare alle scenografie.
Considerato il simbolo del cinema espressionista tedesco, Il gabinetto del Dottor Caligari, film muto del 1920 diretto da Robert Wiene, gioca sulle tematiche del doppio, in primis sulla difficile distinzione fra realtà ed allucinazione. Video-essay: How THE CABINET OF DR. CALIGARI Invented the Horror Movie, di Siegfried Kracauer “Scenery of the soul.”, scenario dell’anima, sono le parole che Kracauer ha scelto per esprimere il grande cambiamento che Il gabinetto del dottor Caligari ha portato al cinema tradizionale appena uscito dalle devastazioni del primo conflitto mondiale. Cosa succede se il film inizia a proiettare ciò che è dentro di noi: le nostre emozioni, fantasie e paure? Questa è stata la svolta di Caligari, scatenando contemporaneamente un nuovo genere del cinema: il film horror. Guardando il video-essay, è interessante notare come molti degli elementi dell’espressionismo tedesco che identifica Kracauer servono come blocchi di costruzione per il cinema dell’orrore. Kracauer sottolinea immagini e pattern gotici portati all’estremo e, ancora più importante, l’utilizzo della luce per creare un’atmo-
sfera ultraterrena che riflette gli spazi oscuri dell’anima. Per Kracauer, la dipendenza così profonda di Caligari sull’utilizzo di set interni con poca preoccupazione per la corrispondenza con la realtà riflette una “general retreat into a shell”, una ritirata generale in un guscio dei suoi connazionali in cerca di una via di fuga dagli orrori della Prima Guerra Mondiale. “Once the Germans had determined to seek shelter within the soul, they could not well allow the screen to explore that very reality which they abandoned.”: una volta che i tedeschi avevano deciso di cercare un riparo dentro l’anima, non potevano assolutamente permettere allo schermo di esplorare quella stessa realtà che hanno abbandonato.
https://vimeo.com/110151233 Filmografia: Das Cabinet des Dr. Caligari, R. Wiene,1920
Video-essay: Tim Burton: A German Expressionism Influence, di Cinema Sem Lei Il video-essay compara, grazie anche all’efficace utilizzo dello split-screen, i film espressionisti tedeschi e quelli di Tim Burton e mostra come sia fondamentale l’influenza che i primi hanno avuto su gran parte del lavoro del secondo. Vengono mostrate prima di tutto le ambientazioni e le scenografie, per poi passare alla comparazione delle inquadrature ed infine il parallelismo tra i soggetti. Il video-essay si chiude con la successione di intere scene e movimenti di macchina che Tim Burton riprende dal cinema espressionista.
https://vimeo.com/130795708 Filmografia: Metropolis, 1927 • Batman Returns, 1992 • Edward Scissorhands, 1990 • Sweeney Todd, 2007 • Nosferatu, 1922 • Das Cabinet des Dr. Caligari, 1920 • Vincent, 1982 • Faust, 1926 • Corpse Bride, 2005 • Dark Shadows, 2012
Das Cabinet des Dr. Caligari, Robert Wiene, 1920, Germania, autore sconosciuto. Analisi dei titoli Caratterizzati da una tipografia tagliente, angolare, diegnata per rispecchiare il soggetto inquietante e il paesaggio visivo contorto e frastagliato, i titoli e le didascalie sono stilizzati e traggono ispirazione dai lavori di illustratori contemporanei espressionisti come Josef Fenneker. Durante l’epoca del cinema muto, la titolazione dei film dovevano elencare in modo chiaro il cast e la troupe, mentre le didascalie servivano ad esprimere il dialogo tra i personaggi. Rappresentavano, quindi, informazioni descrittive, in assenza di suono. Con le sequenze di titoli di Caligari questo precetto utilitaristico scompare completamente, per lasciare spazio ad una tipografia deforme, ad una ortografia arcaica e a sottolineature esasperate. Questo rispecchia pienamente il contenuto e lo spirito del film e le sue caratteristiche sovrannaturali e distorte. Inoltre il colore dei titoli contribuisce a caricare ancora di più di pathos l’ambientazine inquietante che di lì a poco verrà messa in scena. Quasi subito appare di sfondo un’architettura verticale aguzza e sinistra,
che si staglia nel mezzo dello schermo, che verrà ripresa negli sfondi pittorici della pellicola. I titoli di testa sono una perfetta anticipazione grafica di tutto l’ambiente e le caratteristiche del film: la tonalizzazione verde acido in contrasto con il nero, la teatralità delle scenografie, che nonostante siano per lo più piatte, grazie agli angoli vertiginosi e taglienti, come la tipografia scelta, si vestono di un movimento incredibile. In una delle scene finali della pellicola si assiste, inoltre, ad uno dei primi esempi noti di tipografia che interagisce con una scena attraverso l’uso di effetti speciali visivi, in questo caso, dell’animazione stop-motion.
Giulia Landoni Politecnico di Milano Design della Comunicazione Corso di storia dell’arte contemporanea e linguaggi della comunicazione visiva Prof. Paolo Castelli, Sergio Giusti A.A. 2015/16