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Giulia Angelucci Il viaggio di Yao

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Tesnota

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periodo passato in televisione e si trova a dirigere un’altra coppia di comici italiani (dopo aver diretto l’esordio cinematografico di Ale & Franz): Luca e Paolo.

Luca e Paolo ci hanno abituati a pellicole in cui l’amicizia di lunga durata (come quella dei tempi delle scuole di Immaturi) viene posta al centro della narrazione come elemento salvifico e questo film sembra scritto su misura per loro.

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Il tema del viaggio alla scoperta di luoghi stranieri (anche se i protagonisti avevano già vissuto in Portogallo) è centrale in tutta la durata del film, nel quale i quattro decidono di partire mossi da una motivazione che risulta debole (il funerale di una donna che hanno amato ben venti anni prima), in confronto al contesto della situazione di partenza in cui (almeno alcuni) versano (l’imminente matrimonio di Enrico ad esempio).

Il viaggio giustifica la forma. Il film assume le sembianze di un Road Movie in giro per i panorami portoghesi, a bordo di un furgone vecchio modello con la scritta “Mortaji” (una sorta di Mistery Machine), tra nuove esperienze e vecchi ricordi, tra una citazione a Camera Caffè e l’altra, alla ricerca del figlio ‘comune’. Il tutto accompagnati dalla protagonista femminile, Alice, un’esuberante ventenne che decide di aiutarli.

Le soluzioni utilizzate per il proseguo della storia rischiano e sfiorano spesso la banalità: troppo spesso, all’interno della narrazione, gli elementi che portano i personaggi a evoluzione scaturiscono da situazioni talmente casuali da far risultare il tutto forzato e artificioso. A ciò si collega l’inevitabile scarsa caratterizzazione dei personaggi che subiscono trasformazioni radicali dettate da motivazioni prive di consistenza (es. il devoto Jacopo che si abbandona a una festa in stile Una notte da leoni perché scopre l’omosessualità della sorella).

In conclusione, anche se spesso prevedibile, il film risulta piacevole e divertente e nella sequenza finale, dulcis in fundo, esalta quel valore di amicizia, del quale Luca e Paolo si fanno da sempre portavoce, che aiuta ad aprire gli occhi e a ritrovare la strada maestra nei confronti di scelte sbagliate. Un valore che è eterno e sopravvive anche alla morte.

Giallorenzo di Matteo

di Philippe Godeau

Origine: Francia, 2018 Produzione: Pan-Européenne, in Coproduzione con France 2 Cinéma, Korokoro Regia: Philippe Godeau Soggetto e Sceneggiatura: Agnès de Sacy, Philippe Godeau, Kossi Efoui Interpreti: Omar Sy (Seydou Tall), Lionel Louis Basse (Yao), Fatoumata Diawara (Gloria), Germaine Acogny (Tanam), Alibeta (Il tassista), Gwendolyn Gourvec (Laurence Tall), Abdoulaye Diop (Ibra) Durata: 103’ Distribuzione: Cinema di Valerio De Paolis Uscita: 4 aprile 2019

YYao ha 13 anni, vive in un villaggio del Senegal e nutre una vera passione per il suo idolo, il divo francese Seydou Tall, anch’egli di origine senegalese.

Seydou viene invitato a Dakar per promuovere il suo ultimo libro e non porta con sé suo figlio Nathan, trattenuto in Francia dalla mamma. Yao vuole andare a tutti i costi nella capitale per vedere il suo idolo e cerca senza successo

IL VIAGGIO DI YAO

di convincere il suo amico Dumba. Determinato, Yao si mette in viaggio da solo percorrendo con i mezzi più disparati 387 chilometri. Alla presentazione del libro, Yao porge a Seydou una copia strappata, e gli dice di aver riscritto per intero il volume dopo che una capra lo aveva mangiato. Colpito dal ragazzino, Seydou lo porta con sé nella sua camera d’albergo. Il mattino dopo lo accompagna alla stazione dei pullman per farlo rientrare ma poi ci ripensa e si offre di accompagnarlo lui stesso al suo villaggio a bordo del suo taxi. Il Senegal è la terra d’origine della sua famiglia ma lui non la conosce per niente. Il mattino dopo però il tassista li abbandona in una zona deserta. I due lo ritrovano in un villaggio, l’uomo vuole farli fermare per pranzo ma Seydou ha poco tempo: il mattino seguente ha un aereo da Dakar per la Francia. Un tale gli vende una vecchia Peugeot per 800 euro. Detto fatto, i due partono. Yao e Seydou iniziano a conoscersi. L’attore racconta al bambino di suo figlio Nathan e dei rapporti non buoni con la ex moglie, Yao confessa di non aver mai visto il mare e di voler diventare astronauta da grande. I due si fermano in un villaggio a comprare un regalo per Nathan. Durante una cena il bambino gli chiede consigli per diventare attore.

Quella sera in un locale Seydou conosce la bella cantante Gloria. La donna racconta di vivere una vita sempre in viaggio e di mandare i soldi che guadagna per suo figlio. Il mattino dopo la ragazza chiede a Seydou se può accompagnarla a un’audizione. I tre in auto vengono fermati dalla polizia: Seydou è costretto a pagare per poter essere lasciato andare. Gloria dice a Seydou che lui è come se fosse bianco agli occhi della popolazione locale. Yao gli dice che è nero fuori

e bianco dentro come il Bounty. Il ragazzino risponde al telefono di Seydou e parla con Nathan. Seydou propone a Gloria di seguirlo a Parigi ma la ragazza gli risponde che lui non conosce l’Africa. Durante una sosta per fare rifornimento, la ragazza va via. Seydou dice a Yao che deve tornare a Dakar per prendere il suo aereo e mette il ragazzino su un pullman. Ma poco dopo ci ripensa, lo va a riprendere e lo porta al mare. Il mattino dopo l’auto si guasta. I due trovano un passaggio da un uomo con un carretto. Un meccanico recupera l’auto e li invita a pranzo a casa sua. I due restano a casa dell’uomo che si chiama Ibra fino a sera. Al calar del sole, Ibra gli mostra che il confine con la Mauritania è proprio lì davanti. L’uomo racconta che suo nonno emigrò in Francia dove divenne un operaio di una nota casa automobilistica, poi era tornato nella sua terra natale dove era morto. Poi parla del destino: è Dio che passeggia in incognito. Seydou si sveglia all’alba, la moglie del meccanico gli dice, osservando la linea di confine, di prendere come ispirazione per i suoi passi i suoi avi, poi lo esorta a riportare a casa il bambino.

Il mattino dopo Seydou riparte con Yao, vede da lontano la casa della sua famiglia d’origine e dice che ci tornerà con suo figlio Nathan. Poi riporta Yao a casa. Quella sera Seydou viene presentato a tutta la comunità del villaggio. Il mattino dopo riparte, Yao gli dà una busta per Nathan. Yao al villaggio racconta a tutti di aver visto il mare e parla di tutte le cose che ha fatto con Seydou.

UUn viaggio, anzi “il” viaggio, un percorso di un uomo alla scoperta delle sue radici. Un viaggio per caso o forse per destino quello non programmato dalla star del cinema francese di origini senegalesi compiuto per riaccompagnare nel suo villaggio il piccolo Yao che ha percorso quasi quattrocento chilometri solo per farsi autografare il suo libro.

La fonte d’ispirazione per il regista Philippe Godeau è stato proprio Omar Sy: l’attore francese, la sua improvvisa popolarità grazie al personaggio interpretato nel film di successo Quasi amici, il fatto che anche la sua sia una storia di sradicamento. Mescolando arte e vita, il film affronta il tema delle origini e anche la questione della paternità, fortemente sentita anche da Sy, padre di cinque figli. La somiglianza è evidente con questa storia di un attore di successo che desidera portare suo figlio alla scoperta del paese dei suoi antenati e che si ritrova a fare questo viaggio in compagnia di un bambino diverso rispetto al suo.

È singolare il ribaltamento di ruolo che avviene in questo film per Omar Sy. Dopo aver interpretato in diverse occasioni il ruolo dello sradicato (pensiamo solo a Mister Chocolat di Roschdy Zem e a Samba di Eric Toledano e Olivier Nakache), questa volta l’attore incarna uno strano ‘bianco’ dalla pelle nera. Il divo Seydou Tall viene paragonato dal bambino senegalese suo fan, a un ‘Bounty’, il famoso snack “nero fuori, bianco dentro”. Questa battuta richiama il tema dell’alterità affrontato nel film da una prospettiva diversa e regalando a Sy (figlio di immigrati africani e proveniente dalle banlieu) un ruolo legato alla sua vera storia familiare.

Tra le righe della narrazione, si percepisce chiaramente il pensiero di Godeau (che da bambino andava a trovare il padre che era stato trasferito in Mali per lavoro) sulla terra d’Africa. Il Senegal descritto nel film è lontano dai luoghi comuni turistici ma è invece un paese pieno di cultura e antiche tradizioni.

Terzo lungometraggio per Godeau (dopo Le dernier pour la route del 2009 e 11.6 del 2013), e terza collaborazione del regista con la sceneggiatrice Agnès de Sacy, il film è letteralmente illuminato dal sorriso e dallo sguardo pulito del giovanissimo Lionel Louis Basse, un viso espressivo come pochi che incarna alla perfezione l’immagine di un Senegal aperto a culture diverse e mondi lontani.

A metà strada tra il road movie e la fiaba, Il viaggio di Yao è un film sospeso tra realtà e finzione, tra strade polverose, ritmi, odori, sapori di una terra che non smette di affascinare gli occidentali.

Per Omar Sy, divenuto anch’egli una star del cinema (come il personaggio che interpreta) si tratta di un’altra storia di un’amicizia intensa e particolare. D’altronde per un attore che ha fatto dell’essere un ‘quasi amico’ la sua fortuna, il tema dell’amicizia è destinato a ripresentarsi con prepotenza in una carriera fatta di cinema di grandi incassi in Francia alternata a incursioni in grandi produzioni hollywoodiane.

Il viaggio di Yao è un film semplice (e a tratti fin troppo semplicistico) che ha comunque il pregio di trattare temi come le differenze tra culture, l’arricchimento che può venire dal ‘diverso’ e le difficoltà della paternità in modo lieve e a tratti toccante.

elena Bartoni

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