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Direttore Responsabile: Flavio Vergerio La Douleur

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Odio l’estate

Odio l’estate

secondo Barbara Alberti, interprete di Elena, non risiede nella rappresentazione di un amore omosessuale, bensì nello spingere a domandarci se siamo davvero felici della nostra vita e della persona che abbiamo accanto, al di là dell’orientamento sessuale, il che si riflette su una regia e una sceneggiatura ineccepibili nel saper descrivere i personaggi senza ricadere in un campionario di stereotipi piuttosto ridondanti, soprattutto in una certa commedia popolare. La coppia gay cessa di essere quella da festini promiscui o da isteriche scenate di gelosia, così come i protagonisti sono avulsi dall’eccentricità macchiettistica insita nel tradizionale soggetto maschile femminilizzato, scelto come immagine socialmente riconosciuta di omosessuale; l’etichetta con i suoi stereotipi lascia il posto alla rappresentazione sincera di un’umanità trattata con tutte le sue fragilità, universali e non circoscrivibili a un genere o a un orientamento sessuale, il che riguarda anche Mina, l’amica transgender dei protagonisti, la cui condizione non viene rimarcata, permettendole un trattamento alla pari degli altri personaggi femminili, atteggiamento rispettoso apprezzato dall’interprete Cristina Bugatty. Questa dimensione ordinaria e normalizzata rende il film più politico di molti altri apertamente LGBT+ che, nel tentativo di surclassare barriere e pregiudizi, finiscono per accentuarli e legittimarli, spesso inconsapevolmente.

Accorsi e Leo si confrontano con una delle loro interpretazioni più complesse e riuscite, capaci di mostrare le proprie insicurezze attraverso una recitazione che non sfiora mai il pietoso, incarnando alla perfezione le contraddizioni di una coppia raccontata nel graduale sfiorire della passione, trasformata in un sentimento indefinito da quello scorrere della vita che è precluso al contraltare rappresentato dai due amici Filippo e Ginevra; lui, malato di Alzheimer, trascende la dimensione temporale, capace di rivivere quotidianamente quel “raddoppiamento narcisistico” lacaniano che gli permette di innamorarsi continuamente di sua moglie. Tale traiettoria sarà per i protagonisti possibile solo mediante l’intromissione della Fortuna, non intesa come buona sorte ma come Caso, incarnata da Annamaria, una straziante Jasmine Trinca che, con il suo sguardo devastato, esterna una sofferenza silenziosa ma tremendamente struggente, intorno alla quale aleggia un alone mortifero profetizzato all’inizio dall’inquietante aleggiare della macchina da presa su raffigurazioni di scheletri nella villa di Elena, accompagnato da una musica minacciosa e dalle urla della piccola Annamaria, in un’atmosfera da film dell’orrore. È impossibile non ritrovare una parte di sé nell’ordinaria danza tra gioie e dolori che è la vita messa in scena di Özpetek che, con la sua semplicità e poeticità, si riconferma capace di parlare al cuore e all’anima del suo pubblico.

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lEonardo MagnantE

LA DOULEUR

di Emmanuel Finkiel

MMarguerite è una giovane scrittrice che gode di una certa fama ed è una fervente militante della Resistenza al Nazismo. Siamo nella Francia del 1944, Parigi è occupata dai tedeschi e, insieme al marito Robert Antelme fa della politica di resistenza la sua ragione di vita. Antelme, è anch’egli uno scrittore molto noto e, come sostiene il devoto amico Dionys Mascolo, il movimento si è indebolito dopo il suo arresto. Robert, infatti, viene arrestato dalla Gestapo e da quel giorno Marguerite non si dà pace, ma lotta con ogni mezzo - compresa la disperazione - per salvarlo. Tra i vari personaggi che tale lotta la condurrà ad incontrare c’è quello di Rabier, l’uomo che ha di fatto arrestato suo marito e con il quale intesse una pericolosa relazione dalle note velatamente passionali. Rabier è uno dei collaboratori locali del Governo di Vichy e fa mostra di mettere a repentaglio la sua stessa vita pur di liberare Robert. Coinvolge Marguerite in una serie di incontri in vari luoghi della città, ma il suo afflato è autentico? Chi usa chi dei due? Cosa accade davvero quando s’incontrano ed entrambi tentano di estorcere informazioni per il proprio tornaconto l’uno all’altra e viceversa? All’inizio Rabier le garantisce che se rivelerà alcune di queste informazioni sulla Resistenza clande-

Origine: Francia, Belgio, 2017 Produzione: Les Films du Poisson, Cinéfrance 1888, KNM. Coproduttori: Versus Production, Need Productions, France 3 Cinéma, Same Player Regia: Emmanuel Finkiel Soggetto: dal romanzo omonimo di Marguerite Duras Sceneggiatura: Emmanuel Finkiel Interpreti: Mélanie Thierry (Marguerite), Benoît Magimel (Rabier), Benjamin Biolay (Dionys), Shulamit Adar (Madame Katz), Grégoire Leprince-Ringuet (Morland), Emmanuel Bordieu (Antelme) Durata: 126’ Distribuzione: Walmyn Wanted Uscita: 17 gennaio 2019

stina Robert non verrà deportato in un campo di concentramento. Il loro sembra un vero e proprio gioco al gatto e al topo. Chi dei due sta usando veramente l’altro? Tutto il tempo vuoto dell’attesa in cui sosta l’angoscia di Marguerite è pervaso da una sotterranea domanda: Rabier vuole veramente aiutarla? Alle porte del luogo dove Robert è detenuto, Marguerite lo scorge insieme ad altri uomini mentre, su una camionetta militare, viene trasportato in un campo di concentramento. Da quel momento in poi la donna fa di tutto, insieme al suo amante segreto Dyonis, per sapere di più circa il destino di Robert. Quando la guerra finisce ed alcuni dei deportati iniziano a fare ritorno si perdono le tracce sia di Rabier che di Robert. Più volte Marguerite va alla stazione dei treni e più volte assiste ai ritorni degli altrui figli, compagni, fratelli e mariti senza che tra essi vi sia suo marito. La lunga attesa della donna continua a trascinarsi nel dolore crescente, innominabile, mai condivisibile. Ad ogni ora del giorno e della notte, Marguerite scaccia il pensiero di Robert Antelme morto in un campo di concentramento. Nel frattempo si ammala e viene assistita dall’amorevole Dionys con il quale quella relazione che va ben oltre la pura amicizia sembra anch’essa perdere consistenza. Un giorno però ecco che l’arrivo di Robert viene annunciato proprio da Dyonis e il suo corpo in vita, ma denutrito e malato, viene trasportato di peso dai compagni della Resistenza. Il dolore di Marguerite è ancora lì, dove è sempre stato, nonostante il ritorno di Robert. È davvero un ritorno? Può davvero tornare tutto come prima? Forse sono questi i pensieri della giovane Marguerite mentre, sulla spiaggia, guarda in lontananza, in controluce, il corpo dell’amato Robert tornato a lei e, forse, alla vita.

NNell’introduzione all’omonimo volume pubblicato per la prima volta nel 1985, da cui questo film è tratto, Marguerite Yourcenar scriveva: “Il dolore è una delle cose più importanti della mia vita. La parola ‘scritta’ non funzionerà. Mi sono ritrovata di fronte a pagine rigorosamente piene di una piccola scrittura straordinariamente regolare e calma. Mi sono ritrovata di fronte a un disordine eclatante del pensiero e del sentimento che non ho osato toccare e di fronte al quale la letteratura mi ha fatta vergognare”. Il regista Emmanuel Finkiel costruisce un film che fa eco a questo sentimento di vergogna di fronte al nero su bianco della prosa, puntando a raffinati fuori fuoco ed eleganti composizioni visive. Quel nucleo di indicibile ed invedibile del dolore, quell’’eclatante disordine del pensiero e del sentimento che pare indescrivibile e indesiderabile è al tempo stesso cosa nota e pertanto, nella sua magmatica complessità, restituibile. Quando l’interpretazione di Mélanie Thierry (Marguerite) sale come una marea, inesorabile, via via che gli eventi scorrono quasi immoti verso un lieto fine di dolore sempre più puro - perché sempre più indipendente da essi - ecco che per un intenso e brevissimo istante ci pare di afferrarlo quel dolore, perché esso è ogni dolore. Se è difficile portare a termine un volume come La douleur in quanto letteratura quasi didascalica di un senso ultimo dell’esistenza stessa e pertanto lontanissimo dalla trama e necessitante di una immersione negli aguzzi spiriti dell’alienazione umana, il film riesce a trasferire il racconto in una storia della mente incurante delle rotondità, eppure dotata di una forma precisa. La scelta autoriale di ambientare tutto nella realtà’nonostante il predominio del dolore interno della protagonista non può che condurre al ritorno di Robert con la crescente consapevolezza che esso avverrà, sì, ma attraverso accadimenti interiori di deviazione, slittamento, erranza. A tratti Marguerite appare come un personaggio queer ante-litteram, se così si può dire, perché il suo sé sembra piantato oltre i confini della norma. La maniera in cui affronta il dolore è infatti un tentativo di sutura costante del fuori norma come testimonianza di esistenza, laddove non è la foggia dell’abito o la forma della parola a definire il peso e la consistenza del dolore. Esso è l’adilà terrestre per antonomasia, il tangibile impalpabile il cui nome può essere una cosa del mondo - altrove fu Hiroshima, mon amour - che smette presto di poter dirsi perché smette presto di avere un luogo fisico in cui accadere. La letteratura non può che far vergognare la scrittrice che sa le parole, ed esse non dicono, sa il dolore e può solo lasciare che esso si dia, senza pace e quindi senza romanzo. La trasposizione di Finkiel accetta il ‘senza romanzo’ di Yourcenar lasciando che i suoi carnali sospesi assecondino fino in fondo la storia di una mente che attende e, quando ciò che è atteso ritorna, non può più riconoscerlo.

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