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Giulia Angelucci Veronica Barteri Sorry We Missed You

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Odio l’estate

Odio l’estate

i problemi, li evidenzia, ma non dà nessuna soluzione: lo scopo è riflettere sui problemi. Un’altra tematica presente è la dicotomia animale - umano: da un lato c’è la società umana che sfrutta la Natura per i propri interessi, dall’altra ci sono gli orsi che vivono sul pianeta Terra con la consapevolezza di essere ospiti.

Se dal punto di vista dell’estetica convince, al contrario il film di Mattotti soffre di un avvicendarsi di situazioni che si presentano fragili e mal abbinate dal punto di vista narrativo. Un film d’animazione che conquista visivamente, ma non si concilia alla struttura della fiaba che vuol raccontare.

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giulia PrEvitali

SORRY WE MISSED YOU

di Ken Loach

NNewcastle, oggi. Classica famiglia del proletariato urbano composta da Ricky, che nella forte crisi del decennio precedente ha perso il lavoro nelle costruzioni; la moglie Abby, che assiste a domicilio anziani e handicappati, pagata a ore, sobbarcandosi le spese di trasporto; il figlio maschio Seb, spesso cacciato da scuola, writer ossessivo e ribelle che ha provato l’ebbrezza del furto nei supermercati e il fermo di polizia; la piccola Liza Jane, sensibile e dolcissima, la prima a risentire degli scossoni e delle crisi in casa.

Ricky vuole dare una svolta al bilancio famigliare e realizzare il miraggio di possedere una casa di proprietà; decide così di reinventarsi corriere free lance nell’ambito della cosiddetta gig economy. Ricky vende la macchina della moglie per pagare la prima rata di un furgone con cui consegna pacchi in giro per la città entro orari ben definiti e percorsi stressanti nel traffico cittadino. È un free lance, è vero, ma il collegamento con l’organizzazione centrale impersonata dal pessimo Maloney, costringe a rispettare turni impossibili, brevi spazi per il riposo e coprire in questo modo quattordici, quindici ore di lavoro giornaliere. Se non si rispettano i parametri fissati, fioccano multe salate e penali che vanificano gli introiti.

La coppia entra presto in crisi, fiaccata, spezzata da un lavoro massacrante e senza speranza per il futuro. Il giovane Seb diventa sempre più ribelle e rischia di essere cacciato definitivamente dalla scuola; tutto ciò porta al conflitto dichiarato con il padre con cui viene alle mani. La piccola Lisa Jane è sconvolta e incapace di comprendere quanto sta accadendo.

Il culmine è raggiunto quando Ricky è assalito da una banda di balordi che gli rubano il carico e lo pestano a sangue: i risultati sono i costi e le multe che gli sono ugualmente imputate da Maloney nonostante il ricovero in ospedale e il rapporto di polizia.

Ricky sente la necessità di ritornare immediatamente al lavoro per tentare di affrontare gli enormi debiti accumulati che lo stanno strangolando insieme alla sua famiglia.

KKen Loach, “Ken il Rosso” da sempre chiamato per il suo attivismo con i laburisti inglesi prima e con la sinistra radicale poi; sempre pronto a dire la sua in ogni parte d’Europa in cui sia messa in discussione la dignità di chi lavora in situazioni di precariato e sfruttamento, con questo film sale un altro gradino della sua poetica sociale.

Tutta la cinematografia di questo grande autore premiato ovunque, a Cannes, Berlino, Venezia, Locarno, Mosca, Torino, è stata dedicata a chi lavora nel sistema postcapitalistico tritatutto; qui però il giudizio sulla nuova strut-

Origine: Gran Bretagna, Francia, Belgio, 2019 Produzione: Rebecca O’Brien per Sixteen Films, coprodotto Why Not Productions, Wild Bunch, Les Films Du Fleuve Regia: Ken Loach Soggetto e Sceneggiatura: Paul Laverty Interpreti: Kris Hitchen (Ricky Turner), Debbie Honeywood (Abbie Turner), Rhys Stone (Seb), Katie Proctor (Lisa Jane) Durata: 101’ Distribuzione: Lucky Red Uscita: 2 gennaio 2020

tura delle giornate dei suoi protagonisti si dilata, si approfondisce allo spasmo, diventa dolore puro, in uno sguardo morale che abbraccia questa disumanizzazione totale dell’esistenza.

Questo è un uomo? Pare chiedersi Loach alla fine di ogni scena del suo film: perché lavorare significa, oggi, sgretolare un individuo per la stanchezza? Era forse migliore la catena di montaggio? Perché lavorare procura debiti e privazioni e colpisce l’unità di una famiglia nel sottoporla a una tensione e a un’angoscia senza fine? Com’è possibile questo martirio quotidiano, questa trepidazione minuto per minuto che toglie il respiro?

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