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Juliet 193 - giu/lug 2019 GIU 2019 – ISSN 11222050
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Anno XXXVIII, n. 193, giu - set 2019 Juliet è pubblicata a cura dell’Associazione Juliet. Autorizzazione del Tribunale di Trieste, n. 581 Illustrazione di Antonio Sofianopulo
del 5/12/1980, n. 212/2016 V.G. registro informatico Direttore responsabile: Alessio Curto Editore incaricato: Rolan Marino Editore associato: Eleonora Garavello Direttore editoriale: Roberto Vidali Servizi speciali: Luciano Marucci Direzione artistica: Stefano Cangiano, Nóra Dzsida Contributi editoriali: Piero Gilardi, Enzo Minarelli Direttrice editoriale web: Emanuela Zanon Contatti
Corrispondenti
info@juliet-artmagazine.com Juliet - via Battisti 19/a - 34015 Muggia (TS) f b: associazione juliet
Berlino - Annibel Cunoldi Attems
Collaboratori Amina G. Abdelouahab, Lucia Anelli, Elisabetta Bacci, Chiara Baldini, Margherita Barnabà, Angelo Bianco, Giulia Bortoluzzi, Boris Brollo, Elena Carlini, Antonio Cattaruzza, Serenella Dorigo, Roberto Grisancich, Andrea Grotteschi, Silvia Ionna, Ernesto Jannini, Alessia Locatelli, Emanuele Magri, Isabella Maggioni, Chiara Massini, Loretta Morelli, Ivana Mulatero, Camilla Nacci, Anna Maria Novelli, Liviano Papa, Gabriele Perretta, Paolo Posarelli Laura Rositani, Rosetta Savelli, Alexander Stefani, Giovanni Viceconte Illustrazioni Antonio Sofianopulo Fotografi Luca Carrà Fabio Rinaldi Stefano Visintin 32 | Juliet 193
annibel.ca@gmail.com
Bergamo - Pina Inferrera pina.inferrera@gmail.com
Bologna - Emanuela Zanon emanuelazanon@yahoo.it
Brookings (USA) - Leda Cempellin leda.cempellin@sdstate.edu
Londra - Laura Boggia lauraboggia@gmail.com
Milano - Sara Tassan Solet
Consulente tecnico David Stupar Promoter Gary Lee Dove Giovanni Pettener Maria Rosa Pividori Juliet Cloud Magazine Cristiano Zane Distribuzione Joo Distribution Stampa Sinegraf
saratassansolet@gmail.com
Melbourne - Stefano Cangiano ste.cangiano@gmail.com
Napoli - Rita Alessandra Fusco ritaalessandra.fusco@gmail.com
Parigi - Anna Battiston 90103annabattiston@gmail.com
Roma - Carmelita Brunetti carmelita.arte@tiscali.it
Torino - Valeria Ceregini valeria.ceregini@gmail.com
Abbonamenti 5 fascicoli + extra issue: Italia 50,00 € Europa 65,00 € others 90,00 € arretrati 20,00 € c/c postale n. 12103347 o Iban IT33V0200802203000005111867 Banca Unicredit, Trieste.
Sommario
Anno XXXVIII, n. 193, giugno - settembre 2019 34 | Estetica ed Etica degli Archivi Privati - Il ruolo della
82 | Inka Schube - Sprengel Museum Hannover
documentazione fisica in era digitale (V)
Annibel Cunoldi Attems
Luciano Marucci
84 | Esperienze sperimentali - Al di là della pittura
44| L’interazione disciplinare - Dall’arte visuale alla società
Luciano Marucci
globale Luciano Marucci
50| Fotocronaca 58. Biennale d’arte di Venezia Roberto Vidali
52 | Luc Tuymans - La pelle
PICS 69 | Barbara Bloom - “The Tip of the Iceberg” 75 | Liu Wei - Microworld 77 | Laura Lamiel - Forclose
Roberto Vidali
79 | Hicham Berrada - “Mesk-Ellil”
54 | Mimmo Paladino -Continuità del linguaggio
81 | Sturtevant - America America
Rita Alessandra Fusco
83 | Andreas Slominski - “Chamaleon”
56 | Resilienza/Resistenza - al PAV di Torino
85 | Michel François - “Paraphernalia (Bottles)”
Valeria Ceregini
58 | Ariel Cabrera Montejo - La pittura come mise-en-scène
RITRATTI
Emanuela Zanon
86 | Fil rouge - Alì Ehsani
60 | Da Dubai a Venezia - con Nujoom Al Ghanem
Fabio Rinaldi
Emanuele Magri
93 | Eva Frapiccini - Fotoritratto
62 | Christian Jankowski - Citare con ironia
Luca Carrà
Roberto Vidali
64 | Che fare? - prima del botto Boris Brollo
65 | Gabriele Naia - la tua arte non interessa Enea Chersicola
66 | Chto Delat - Che fare? Fabio Fabris
67 | Rita Vitali Rosati - il Tao al cuore dell’arte Alessia Bellucci
68 | Vasily Klyukin - In Dante Veritas Roberto Grisancich
70| Stockholm - “Shoegaze”
RUBRICHE 87 | Sign.media - Solo Mediale? Gabriele Perretta 88 | Appuntamento con il gioiello - Elisabetta Cipriani Alessio Curto 89 | P. P. dedica il suo spazio a... - Vera Portatadino Angelo Bianco 90 | (H) o - del senza titolo Angelo Bianco 91 | Maria Ilario - on Ray Johnson Leda Cempellin
Chiara Baldini
92 | Arte… e Vino - BorgoSanDaniele
71 | Carlo Manicardi - Phoresta Onlus
Serenella Dorigo
Pina Inferrera
72 | Carlo Danieli - collezionare per curiosità Emanuele Magri
73 | Claire Fontaine - La borsa e la vita Amina Gaia Abdelouahab
AGENDA 94 | Spray - Eventi d’arte contemporanea AAVV
74 | Louis Leroy - Eroi di plastica e territori rif lessi Anna Battiston
76 | Giovanna Ricotta - Sorprendimi Fabio Fabris
78 | Beral Madra - Autoritratti 7
COPERTINA Christian Jankowski “Neue Malerei – Lichtenstein”
80 | Paul Kooiker - foto e viraggio
2017, olio su tela, 89,8 x 96,5 x 5 cm.
Maurizio Guerra
Courtesy Galleria Enrico Astuni, Bologna
SA Se GG pr (D I O i v o N . . P. R G R d e l 6 6 . AT t r 3 26 UI ian ar / 1 TO g ol t . 2 0/ , l 19 e s. o et 7 2 IV t. ) A d
Giuliana Carbi Jesurun
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Luc Tuymans La pelle
di Roberto Vidali
nella pagina a fianco in alto: “Schwarzheide” 2019, Fantini Mosaici, Milano, installation view at Palazzo Grassi, 2019, mosaico in marmo, 960 x 960 cm (dall’omonimo olio su tela del 1986) © Palazzo Grassi, photography by Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti sotto: “Turtle” 2007, private collection, courtesy David Zwirner, New York/London. Installation view at Palazzo Grassi, 2019 © Palazzo Grassi, photography by Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti
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Luc Tuymans (nato nel 1958) è un artista belga che vive e lavora ad Anversa, ed è considerato uno dei pittori contemporanei più affermati e inf luenti, non solo per merito del suo lavoro artistico ma anche a causa di un non secondario aspetto curatoriale di cui la mostra al la Fondazione Prada (“Sanguine. Luc Tuymans on Baroq ue”, Mi lano, 18 ott 2018 - 25 feb 2019) ne è un esempio perfetto. Per il suo modo di procedere in campo pittorico (traducendo immagini fotografiche e filmiche in pittura o prendendo spunto da vecchi maestri della pittura fiamminga) possiamo considerarlo un pittore mediale al cento per cento, ma ancora nessuno se ne è accorto oppure a nessuno interessa questo particolare aspetto del suo lavoro. Questa modalità procedurale (di cattura, riuso, manipolazione di immagini pre-esistenti) che è pratica diffusa di tutta la storia dell’arte (dai d’après agli omaggi, alla citazione) e che non sempre tocca vette altissime, nel suo caso, pur conducendo a un r isu ltato i ndu bbiamente ar t ist ico (cioè creat ivo), gl i ha procurato dei problemi, tanto che nel gennaio del 2015 l’autore è stato denunciato e riconosciuto colpevole di plagio (ov vero di aver violato il copyright di un altro autore) per aver utilizzato una fotografia scattata da Katrijn Van Giel (fotografa professionista) come fonte per il dipinto “Un politico belga” (2011), in effetti un ritratto
“parodistico” del politico Jean-Marie Dedecker. I due autori (il pittore e la fotografa), poi, grazie alla mediazione di uno studio legale, per chiudere la vertenza, nell’ottobre 2015, raggiunsero un accordo amichevole, riservato ed extragiudiziario (ma è ovvio che ci debba essere stata una transazione economica ovvero un congruo risarcimento del l’immagine uti lizzata). Certo, questo è un precedente che ci dà un po’ di apprensione e che se da una parte giustamente protegge il lavoro di ogni autore, dall’altra spaventa per una possibile limitazione della libertà di espressione (se pensiamo a tutti i riusi del la fotograf ia operati dai dadaisti e dagli artisti del la Poesia Visiva ci vengono i brividi alla schiena). Torniamo a Tuymans. Il suo percorso di studi è proseguito su due fronti: inizialmente ha studiato all’Ecole Nationale Supérieure des Arts Visuels de la Cambre a Bruxelles (1979-1980) e alla Konink lijke Academie voor Sc hone Ku nsten ad A nver sa (1980 -1982), poi , per quattro anni, si è specializzato in storia dell’arte presso la Vrije Universiteit, Bruxelles (1982-1986). Ha iniziato dedicandosi al video e al cinema sperimentale per rivolgersi infine, dal 1986, al l’attività pittorica, toccando subito vette altissime. I suoi temi pittorici spaziano da eventi storici importanti, come l’Olocausto o la politica del Congo Belga,
a ciò che in genere si considera irrilevante, banale e stereotipato, come i motivi decorativi della carta da parat i, gl i addobbi natal izi, gl i oggett i d’uso q uot idiano, la raffigurazione di animali. Tra le più importanti mostre personali e collettive di questi ultimi anni dobbiamo includere il contributo di Tuymans al Padiglione belga alla Biennale di Venezia nel 2001 e la sua par tecipazione al la documenta X I nell’anno successivo. Nel 2004, Tuymans ha avuto una grande personale alla Tate Modern di Londra, e le sue opere sono state incluse nel progetto The Painting of Modern Life alla Hay ward Galler y, Londra, nel 2007 (a cura di Ralph Rugoff e che all’epoca era direttore appena nom i nato). Lo stesso an no, l’ar t i sta è stato oggetto di una grande retrospettiva europea, in viagg io t ra Mücsar nok Ku nst ha l le, Budapest; Haus der Kunst, Monaco di Baviera; e Zachęta National Gallery of Art, Varsavia. Nel 2009-2011, la prima retrospettiva di Tuymans negli Stati Uniti fu organizzata congiuntamente dal Wex ner Center for the A r ts, Columbus, assieme al San Francisco Museum of Modern Art. Altre sedi espositive includevano il Dallas Museum of Art; il Museo di arte contemporanea di Chicago; e il Palais des Beaux-Arts, Bruxelles. Nel maggio 2015, l’autore ha tenuto una personale intitolata Le Mépris da David Zwirner, New York, la galleria che attualmente, in collaborazione con lo Studio Luc Tuymans, sta lavorando a un catalogo ragionato della sua opera pittorica. Ora, i n q ues ta g ra nde mos t ra a Pa l a zzo Gras s i , s i av ver te, nel lo scor rere rav v ici nato d i t ut te q ueste opere, un senso d i mal i ncon ia e nostalg ia, come se con i suoi cicli pittorici, un po’ giocati sulla sfocatura
e un po’ sull’indistinto semplificato, il Nostro, nell’affrontare i problemi della raffigurazione, pensasse non solo alla madeleine di Marcel Proust, ma anche al dettaglio come colonizzazione della quotidianità, o come estrazione di un pensiero che dal nulla può condurre alla rif lessione. “La pelle”, mostra di Luc Tuymans a Palazzo Grassi, Venez i a , s a rà v i s it a bi le f i no a l 6/1/ 2020, i n fo 0 41 20 01057. La most ra, c u rata da Ca rol i ne Bou rgeoi s in col laborazione con Luc Tuymans, raccogl ie oltre ottanta opere, con una selezione di dipinti realizzati dal 1986 a oggi, provenienti dalla Collezione Pinault e da musei internazionali e collezioni private. Il titolo della mostra è stato proposto dall’artista e si ispira al romanzo dello scrittore Curzio Malaparte (1898-1957), pubblicato nel 1949.
sotto: “Die Zeit” 1988, private collection. Installation view at Palazzo Grassi, 2019 © Palazzo Grassi, photography by Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti
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Ariel Cabrera Montejo La pittura come mise-en-scène di Emanuela Zanon
Ariel Cabrera Montejo “Wet Campaign n. 4” (dalla serie “Secondary Scenes”) 2018, olio su tela, 190 x 250 cm, courtesy Galleria Emilio Mazzoli Modena
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Nelle più importanti rassegne internazionali dell’ultimo decennio si è registrata una nuova consacrazione, a livello di vendite e di presenza, della pittura di figura, sulla quale all’inizio degli anni Zero gravava un forte sospetto di anacronismo a causa della prevalenza di nuovi media apparentemente più in linea con la fluidità della globalizzazione digitale. Quest’ennesimo ritorno, complici le quotazioni milionarie di pittori come David Hockney (l’artista vivente più costoso di sempre), Jenny Saville e Kerry James Marshall, testimonia un rinnovato bisogno di garanzie e stabilità con cui il linguaggio pittorico sembra riuscire a rassicurare un pubblico sempre più disorientato dalla disgregazione della storia e delle grandi narrazioni. La pittura figurativa, più immediata rispetto a certe ambigue concettualizzazioni, appare più concreta e tangibile dell’arte astratta e performativa e più facilmente fruibile per un’audience bombardata da una miriade di linguaggi disparati, spesso di ardua comprensione. Da ormai cinquant’anni la galleria Emilio Mazzoli di Modena focalizza il suo programma espositivo sull’esplorazione delle più interessanti ricerche pittoriche del panorama internazionale con un’estrema sensibilità nel recepire sul nascere le poetiche di numerosi artisti, poi diventati punti di riferimento per la recente storia dell’arte. Considerando la galleria come un luogo di costruzione
e incubazione, Emilio Mazzoli iniziò la sua avventura negli anni ‘70 con giovani del calibro di Kounellis, Agnetti, Fabro per poi sostenere sin dagli esordi la Transavanguardia, l’ultimo grande movimento italiano che riuscì a proiettare i suoi protagonisti ai vertici della ribalta internazionale. A nche oggi, dopo che i movimenti e le correnti artistiche sono stati sostituiti da un narcisistico individualismo, la galleria è in prima linea nell’individuare nuovi pittori di talento in un panorama quanto mai babelico e inflazionato da epigoni, accademici e i nf i nite ripetizioni del “già visto”. L’intento è promuovere poetiche originali che sappiano far fronte al la complessità del nostro mondo dando voce a criticità e domande attuali senza trascurare le qualità formali dello specifico pittorico. Un esempio em blemat ico è A r iel Cabrera Montejo (nato a Camagüey, Cuba nel 1982, vive a New York), giovane pittore a cui recentemente la galleria ha dedicato un’ampia retrospettiva, la prima in Europa, incentrata su alcuni cicli di lavori realizzati negli ultimi due anni. Le radici del suo lavoro risalgono alla formazione come studente d’arte, periodo in cui inizia la sua fascinazione per oggetti da collezione, opere e documenti relativi al collezionismo di cimeli storici di Cuba. Queste testimonianze materiali, che custodivano informazioni in molti casi divergenti rispetto alla dottrina unilaterale sulle vicende della lotta per l’indipendenza a Cuba poi consegnate alla storia, lo hanno portato a riflettere sulle discrepanze tra le narrazioni ufficiali e l’inafferrabile realtà dei fatti. Da qui derivano il suo intento di sottoporre la storia a una sorta di revisione artistica e la sua scelta di adottare le tecniche di pittura più tradizionali per realizzare opere che mettono in crisi la fittizia legittimazione con cui il potere strumentalizza immagini e documenti operando omissioni e inclusioni ideologiche. A questo modo la pittura, da sempre utilizzata come str umento d i persuasione e propaganda, d iventa i l veicolo di un’azione critica e destrutturante che smaschera la sofisticata illusione di credibilità dell’artificio rendendo lampante la sua capacità di affermare simultaneamente una verità e il suo contrario. La tecnica di Ariel Cabrera Montejo è accurata nei dettagli, nella selezione dei pigmenti e del supporto e nella composizione di lacerti visivi che ricostruiscono la storia attraverso
la sua frammentazione. Nelle sue tele convivono senza apparenti incongruenze logiche momenti e avvenimenti storici che alludono a contesti molto diversi nel tempo e nello spazio: immagini della storia cubana trapassano senza soluzione di continuità in ambientazioni contemporanee ed episodi generici. Le scene, costruite con un’abile intersezione di piani e prospettive osmotiche, creano tensioni che fanno scaturire il dialogo tra i vari eventi, rinvigoriti da un potente intreccio di violenza, sarcasmo, divertimento ed erotismo. L’alchimia pittorica dell’artista, inoltre, risolve con disinvoltura problemi antichi come la rappresentazione della luce, dello spazio e del passare del tempo. Il suo approccio è simile a quello dei vecchi maestri, non ancora condizionati dalla fretta contemporanea, ma allo stesso tempo s’inscrive a pieno titolo nel vivo del dibattito contemporaneo sulla pittura che, come afferma una celebre frase di Tony Geoffrey riferita a Luc Tuymans, riesce a discutere la storia recente solo attraverso i suoi rifiuti fotografici. Per Ariel Cabrera Montejo la storia è una messa in scena scrupolosa dove si incontrano personaggi e luoghi aderenti al vero se presi singolarmente ma assurdi nel loro insieme. Nello stesso spazio possono coesistere campi di battaglia, ospedali di campagna, bordelli, guerrieri, generali e prostitute, tutti indifferentemente prelevati da polverosi archivi fotografici e costretti in un nuovo contesto sovraffollato. Il pittore è un demiurgo che frantuma, raccoglie e ricostruisce la narrazione dei fatti come se il patrimonio storico fosse
un accumulo arbitrario di frammenti e l’immaginario simbolico collettivo un materiale vergine da plasmare. Enfatizzando il ruolo giocato dalla falsificazione nelle immagini di propaganda, specialmente in un periodo così ricco di irreversibili cambiamenti sociali come la fine del XIX secolo, le scene corali di Montejo mettono volutamente sullo stesso piano personaggi aulici e vernacolari: la crudezza delle immagini tratte dalla stampa di guerra unita alla banalizzazione dell’istinto sessuale veicolato da gadget erotici a buon mercato crea un mix esplosivo di propaganda e pornografia, ipotizzando un indistinto campo di battaglia in cui gesta belliche si mescolano a prodezze sessuali. Critico e sarcastico nella narrazione del suo paese, l’artista accentua la componente erotica dell’esistenza rappresentandola come un continuum naturale della violenza scatenata dalla guerra. A questa insistenza sulle emozioni primarie del genere umano si aggiunge poi l’atteggiamento ostentatamente voyeuristico, tipico dei media contemporanei, con cui il pittore tradisce la sua compiaciuta presenza in qualità di regista e di paradossale testimone. Grazie a un’abilità tecnica degna dei grandi maestri del passato e a un’innata schiettezza di visione, Ariel Cabrera Montejo riesce a coniugare una sottile riflessione sulla natura illusionistica di ogni mezzo di rappresentazione, un disincantato umorismo e un gusto sensuale per la pennellata e per il colore dimostrando come la pittura oggi possa essere un linguaggio estremamente vitale e versatile.
Ariel Cabrera Montejo “Apotheosys” 2017, olio su tela, 243 x 167 cm, courtesy Galleria Emilio Mazzoli Modena
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Spray Eventi d’arte contemporanea
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Carlos Amorales “L’ora dannata” 2019, installazione per la Fondazione Adolfo Pini. Ph Andrea Rossetti, courtesy Fondazione Adolfo Pini, Milano
Tullio Pericoli “Vene mobili” 2018, olio su intonaco intelato, 55 x 55 cm, courtesy l’artista
ANCONA
ASCOLI PICENO
Il Museo Premio Ermanno Casoli 1998-2007 a Serra San Quirico, in occasione della sua inaugurazione, ha affidato a Patrick Tuttofuoco (Milano 1974, attivo tra Berlino e il capoluogo lombardo) il compito di celebrare la nota famiglia marchigiana di mecenati, titolare dell’azienda Elica, che produce cappe da cucina. Il nuovo spazio, ospitato nel suggestivo Complesso Monumentale Santa Lucia, conserva le opere acquisite dalla sua costituzione (1998). Il Premio dal 2007 è divenuto Fondazione Ermanno Casoli, ben conosciuta nel panorama dell’arte contemporanea per la mission di incentivare anche la creatività e lo spirito di squadra dei dipendenti aziendali attraverso workshop con artisti affermati prescelti dal curatore Marcello Smarrelli. I Casoli - con un passaggio di testimone dal padre ai figli - hanno saputo dare continuità a un intento ambizioso, contribuendo alla produzione e diffusione dell’arte. Tuttofuoco ha realizzato un’installazione luminosa posizionata, entro la volta del soffitto antico, all’ingresso delle sale espositive; un’opera site-specific dal titolo The relay, che rappresenta esplicitamente una staffetta: sport olimpico di squadra, metafora di grande unione e collaborazione. Cinque mani di neon diversamente colorate si susseguono, afferrano il bastone e se lo passano, componendo una sequenza temporale e di movimento che diventa simbolo dello scambio generazionale, del dono e della vita che si rinnova. Un semplice gesto in grado di coinvolgere in maniera diretta il pubblico e di guidarlo alla conoscenza di un grande progetto familiare. -Loretta Morelli
La Galleria d’Arte Contemporanea “Osvaldo Licini” (annessa alla Biblioteca Comunale e al Chiostro di Sant’Agostino, corso Mazzini 90) ospita, fino al 30 giugno, la mostra Io nel pensier mi fingo… – a cura di Stefano Papetti – dell’anconetano Giorgio Cutini, ormai conosciuto come uno dei più apprezzati fotografi italiani. Gli scatti in bianco e nero, che coprono un periodo dal 1995 al 2018, indagano il tema della natura con immagini di paesaggi, ma propongono anche vedute urbane e non oggettive. Sono apparizioni per lo più indistinte: campagne solitarie, animali, cieli tempestosi e acque impetuose, che stimolano nei visitatori fantasie, ricordi, sentimenti, emozioni. In questo contesto non potevano mancare le citazioni di Giacomo Leopardi, dal titolo dell’esposizione, che riporta un verso de L’Infinito (la “poesia perfetta” della quale ricorre il bicentenario della pubblicazione), alla falce di luna che in una chiara notte senza vento sta a guardia di un paese addormentato, come altri che adornano la sommità dei colli marchigiani. C’è anche il richiamo a Osvaldo Licini con la luna piena che l’artista, dal cielo di Monte Vidon Corrado, trasfigurava in poetiche, surreali “Amalassunte”. Una condivisione lirica, quella di Cutini, che si avvicina con discrezione ai due grandi creativi, spesso trasformando con sensibili elaborazioni le semplici visioni fotografiche in opere dalla valenza pittorica. Particolarmente interessanti, anche dal punto di vista linguistico, i soggetti reiterati in cui l’azione performativa,
grazie alla manipolazione della forma-luce, fa perdere consistenza all’immagine reale a vantaggio della percezione che diviene più immateriale e intrigante, tanto da indurre i fruitori a guardare oltre la “siepe” in senso leopardiano. Arnaldo Marcolini al Forte Malatesta (via delle Terme) ha esposto la sua produzione artistica passata e presente, relazionandola con i suggestivi spazi dello storico monumento (per decenni utilizzato come penitenziario). Ha concretizzato così una sorta di installazione in cui i quadri, disposti in modo asimmetrico e con gusto fin troppo scenografico, hanno assunto pure un aspetto plastico. E stabilivano una connessione con i suoi tipici “nodi” riproposti in veri tubi metallici flessibili, sagome di legno o materiali industriali collocati qua e là. Ogni opera, costruita manualmente con certosina pazienza, era composta da elementi eterogenei – figurali, geometrici, informali – amalgamati da colori tenui che armonizzano con il bianco dello sfondo. In altre parole, le parti, combinate con equilibrio e sensibilità, dialettizzavano costantemente con il supporto cartaceo. Entravano in gioco anche le cornici di legno appositamente trattate. I soggetti, in apparenza anacronistici, spaziavano dalla storia al contemporaneo. I nuclei centrali rimandavano alla civiltà Maya e ai suoi misteri, che l’artista ossessivamente riporta in superficie con visioni culturali, surreali e perfino sociali. La raffinatezza delle opere, finite e indeterminate, l’inconsueta iconografia con i fantasmi del passato, ironici e grotteschi, che irrompono nel presente, sollecitavano l’osservatore ad avvicinarsi ai singoli lavori Juliet 193 | 95