Juliet 208

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ANNO XLI, N. 208 GIUGNO 2022 Juliet online: www.juliet-artmagazine.com

36 | Produzione creativa e identità - Riflessioni sulla genesi e l’evoluzione (XII)

65 | Galleria Richard Saltoun - a Roma

Luciano Marucci

40 | Pasolini è vivo - oggi più di ieri

66 | To See a Photograph Differently - An Essay on Niko Luoma’s Pictures

Luciano Marucci

Duncan Wooldridge

44 | La Biennale di Cecilia Alemani - in anteprima

67 | Lee Bae - “Noir en constellation”

Luciano Marucci

Marta Dalla Bernardina

48 | La Biennale Arte 2022 di Venezia – L’arte del fare e la fisicità non affondano

68 | Marc-Olivier Wahler - Musée d’Art et d’Histoire di Ginevra

Loretta Morelli

Paola Forgione

52 | Biennale di Venezia 59. Esposizione Internazionale d’Arte

70 | Una, Galleria di Piacenza - Marta Barbieri e Paola Bonino

Roberto Vidali

Stefano Cavaliero

56 | Gian Maria Tosatti - La storia delle storie Rita Alessandra Fusco

72 | Fondazione Sergio Poggianella - Dialoghi contemporanei fra arti e culture

58 | Pinta PArC - Perù Contemporary Art

Emanuele Magri

Michela Poli

74 | Sesta Radice - Carlo e Fabio Ingrassia

Emanuele Magri

60 | Gianluigi Antonelli - Architetture celesti

Lucrezia Costa

61 | James Barnor - “Accra/London - A Retrospective”

76 | Un osservatorio per le immagini - intervista a Quentin Bajac

Anna Vittoria Magagna

Maria Cristina Strati

62 | Atelier Van Lieshout - assemblare con fantasia

78 | Yto Barrada - tra storia e memoria

Fabio Fabris

Bruno Sain

63 | Arte Fiera 2022 - a Bologna Emanuela Zanon

80 | Mirko Rajnar - in bilico tra un mondo reale/ razionale

64 | documenta fifteen - a Kassel

Roberto Vidali

Stefania Burnelli

Giacomino Pixi

82 | Alejandro Campins - “Distancia interna” Luca Sposato

Direttore responsabile Alessio Curto Editore incaricato Rolan Marino Direttore editoriale Roberto Vidali Servizi speciali Luciano Marucci Direzione artistica Stefano Cangiano Nóra Dzsida Contributi editoriali Piero Gilardi Enzo Minarelli Direttrice editoriale web Emanuela Zanon Assistenti editoriali web Anita Fonsati Marina Zorz Web designer Andrea Pauletich

Corrispondenti Berlino - Annibel Cunoldi Attems annibel.ca@gmail.com

Bologna - Emanuela Zanon emanuelazanon@yahoo.it

Brookings (USA) - Leda Cempellin leda.cempellin@sdstate.edu

Genève - Paola Forgione paola.forgione@unipv.it

Milano - Emanuele Magri emanuelemagri49@gmail.com

Melbourne - Stefano Cangiano ste.cangiano@gmail.com

Collaboratori Amina G. Abdelouahab, Lucia Anelli, Nicola Bacchetti, Elisabetta Bacci, Stefano Cavaliero, Angelo Bianco Chiaromonte, Boris Brollo, Antonio Cattaruzza, Lucrezia Costa, Micaela Curto, Serenella Dorigo, Sara Fosco, Dionisio Gavagnin, Roberto Grisancich, Andrea Grotteschi, Ernesto Jannini, Chiara Massini, Loretta Morelli, Ivana Mulatero, Liviano Papa, Gabriele Perretta, Paolo Posarelli, Michela Poli, Eleonora Reffo, Rosetta Savelli, Piero Scheriani, Luca Sposato, Giovanni Viceconte

Napoli - Rita Alessandra Fusco ritaalessandra.fusco@gmail.com

Paris - Marta Dalla Bernardina

Promozione e advertising Fabio Fieramosca

marta.dallabernardina@gmail.com

Tokyo - Angelo Andriuolo arsimagodei@gmail.com

Torino - Valeria Ceregini valeria.ceregini@gmail.com

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Pubbliche relazioni Giovanni Pettener Maria Rosa Pividori Paolo Tutta


PICS 69 | Jaidir Esbell - e il culto della tradizione 71 | Daniel Buren - alla Galería Galguera 73 | Kader Attia - “Shifting Borders” 75 | Claus Feldmann - “Ground Control” 77 | Naama Arad - “Bo – Ba” 79 | Ayano Nohara - “Gratitudine” 81 | Ryushi Ishida - “Shimoda con bagliore serale” 83 | Chitoshi Araki - “Giove”

AGENDA 92 | Spray - Eventi d’arte contemporanea A AV V

COPERTINA Sandra Mujinga “Sentinels of Change” 2022, installazione all’Arsenale, Biennale Arte Venezia 2022 (courtesy La Biennale; ph Loretta Morelli)

RITRATTI 84 | Scatti di luce - Maurizio Stagni Stefano Visintin

91 | Fotoritratto - Alberto Casiraghy Luca Carrà

RUBRICHE 85 | Sign.media - Capitale e linguaggio Gabriele Perretta

86 | Appuntamento con Enota Architects - Dean Lah e Milan Tomac Micaela Curto

87 | P.P* - Luigi Battista Angelo Bianco Chiaromonte

88 | (H) o - dell’oralità Angelo Bianco Chiaromonte

89 | Part 2 - Jerry Fogg L.Cempellin, J.Lundgren, N.Mansour

90 | Arte e… cinema - Nicoletta Romeo Serenella Dorigo

Illustrazione di Antonio Sofianopulo

Illustrazioni Antonio Sofianopulo Consulente tecnico David Stupar Juliet Cloud Magazine Cristiano Zane Collaborazioni JULIET art magazine collabora con scambio di notizie con la web-rivista www.olimpiainscena.it di Francesco Bettin Stampa Sinegraf

Abbonamenti 5 fascicoli + extra issue: Italia 60,00 € Europa 65,00 € others 90,00 € copia Italia 15,00 € copia estero 25,00 € arretrati 30,00 € c/c postale n. 12103347 o Iban IT75C0200802242000005111867 Banca Unicredit, Trieste. con paypal tramite il sito juliet-artmagazine.com Contatti info@juliet-artmagazine.com Juliet - via Battisti 19/a 34015 - Muggia (TS)

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www.juliet-artmagazine.com f b: associazione juliet

Juliet è pubblicata a cura dell’Associazione Juliet. Autorizzazione del Tribunale di Trieste, n. 581 del 5/12/1980, n. 212/2016 V.G. registro informatico

SA Se GG pr (D I O i v o N . .P.R G R d e 6 6 . AT l t r 3 26 UI ian a r / 1 TO g t . 2 0/ o , l 19 e s . l o et 7 2 IV t. ) A d

Fotografi Luca Carrà Stefano Visintin


PRODUZIONE CREATIVA E IDENTITÀ RIFLESSIONI SULLA GENESI E L’EVOLUZIONE (XII) a cura di Luciano Marucci

IL DIALOGO CON VINCENZO TRIONE, CHE OCCUPA QUESTA PUNTATA, EVIDENZIA IL SUO METODO OPERATIVO NELL’AFFRONTARE I TEMI DELL’ARTE CONTEMPORANEA CON L’USO DI VARI MEDIA E VERSATILITÀ COMUNICATIVA; POI SI SOFFERMA SUI CONTENUTI DELL’ULTIMO LIBRO SULL’“ARTIVISMO” DOVE IL RAPPORTO ARTE-POLITICA È ANALIZZATO CON IDEALE PARTECIPAZIONE MEDIANTE EMBLEMATICHE OPERE DI TALENTI CREATIVI ISPIRATI DALLE EMERGENZE CULTURALI ED ESISTENZIALI DELLA REALTÀ IN TRASFORMAZIONE Vincenzo Trione, storico e critico d’arte, preside della Facoltà di Arti e Turismo dell’Università IULM di Milano, presidente della Scuola dei Beni e delle Attività Culturali del Ministero della Cultura, collaboratore del “Corriere della Sera”, direttore dell’Enciclopedia dell’Arte Contemporanea della Treccani, saggista Luciano Marucci: Ha scelto di fare divulgazione artistica, complementare a quella di docente, per praticare una didattica culturale diffusa? Vincenzo Trione: Io credo che uno dei grandi obiettivi di chi fa questo mestiere sia quello di declinare la pratica della critica su diversi registri che vanno dalla didattica universitaria alla scrittura teorica e saggistica, al lavoro per un grande giornale come il “Corriere della sera”, alla direzione di opere storiche come l’Enciclopedia dell’Arte Contemporanea della Treccani. Sono tutti modi diversi per cingere d’assedio il mondo dell’arte e le opere d’arte. Credo che due grandi limiti caratterizzino l’approccio all’arte nel nostro tempo: da un lato la storia dell’arte che tende sempre più a essere ripiegata su sé stessa e a farsi esercizio filologico, dall’altro lato molti curatori che invece hanno rinunciato completamente all’idea di comprendere l’opera d’arte e spesso rendono più ermetico, oscuro e criptico il messaggio di opere d’arte complesse. Il mio obiettivo è sottrarmi ai vizi e ai limiti di certa storia dell’arte e anche di certa curatela. In genere, nell’esaminare la produzione artistica mette in rilievo anche le sue criticità? Sì, io cerco sempre di muovermi, nel mio discorso, su un piano fenomenologico-critico; da un lato c’è un aspetto descrittivo dell’opera o Vincenzo Trione (ph Aurelio Amendola)

di un fenomeno, poi c’è l’aspetto strettamente ermeneutico, interpretativo. Con la pubblicazione di libri assolve a una funzione (in)formativa privilegiando un linguaggio comunicativo specialistico rispetto a quello giornalistico? L’obiettivo dei miei libri è sempre quello di cercare, da un lato, di problematizzare un fenomeno, un’opera, pensare l’arte come problema, come avrebbe detto Argan, dall’altro il linguaggio che si utilizza in un articolo deve essere chiaramente divulgativo, ma più che divulgativo deve tendere a chiarire alcuni problemi. Nel caso di un libro, oltre al chiarimento, c’è anche la messa in questione di alcuni problemi. Per aggiornarsi in tempo reale, oltre a visitare le mostre, frequenta gli studi degli operatori artistici e consulta Internet? Sì, assolutamente, questi sono degli strumenti di informazione costanti. Devo dire che accanto alla frequentazione di artisti e di mostre, alla lettura di testi sull’arte, c’è un aspetto che per me è fondamentale: la lettura di testi apparentemente lontani dall’arte, che tuttavia mi consentono di capire molto meglio l’arte. Tiene conto anche degli orientamenti degli altri critici e delle mutazioni del sistema dell’arte? Per la verità, no. Non sono particolarmente sensibile a quello che fanno gli altri critici, perché la critica, purtroppo, è diventata una pratica molto residuale, soprattutto nel nostro Paese, cioè ci sono tantissimi curatori ma quasi nessuno si proclama più “critico”. Possiede un ricco archivio documentale? Questa è una delle cose di cui sono più fiero. Derrida direbbe “ho un mal d’archivio”, cioè mi piace molto catalogare, raccogliere articoli, annotazioni. È una pratica che in qualche modo fa parte del mio lavoro. Come curatore del Padiglione Italia della Biennale d’Arte di Venezia del 2015 aveva messo in scena il suo modo di intendere un evento culturale, capace di evidenziare, in particolare, l’interdisciplinarità e la complessità del mondo reale? Il Padiglione Italia è stato un momento, in qualche modo l’approdo di un lavoro che stavo portando avanti sul tema della memoria, dai miei studi su De Chirico, fino alla mostra che avevo dedicato ai post-classici. Quindi era un po’ l’approdo di questo percorso e certamente condivido la domanda, nel senso che la questione dell’interdisciplinarità, l’intermedialità, emergeva; era uno dei tratti distintivi di quell’itinerario ed è un po’ il cuore di ciò che a me interessa in questo lavoro. Il titolo della sua ultima pubblicazione, “Artivismo. Arte, politica, impegno” (Einaudi, 2022, 218 pp.), che focalizza cronologicamente tendenze individuali e di gruppo condivisibili, indica anche le preferenze dell’autore che prende le distanze dall’arte puramente autoreferenziale? Prima parlavo del mio atteggiamento fenomenologico-critico e in “Artivismo” credo che questo emerga in maniera abbastanza chiara. Per un verso ho cercato di far emergere una coerenza tra alcune

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Joseph Beuys “La rivoluzione siamo Noi” novembre 1971, collotipia su pellicola di poliestere, timbrata con testo autografo, es. 51/180 numerato e firmato dall’autore, 191 x 102 cm, Edizione Modern Art Agency Napoli / Edition Tangente Heidelberg (collezione privata)

esperienze artistiche maturate dal 2000 a oggi, quindi la vocazione politica dell’arte. Dall’altro, nel capitolo conclusivo del libro, che è quello a cui io tengo maggiormente, ho assunto una posizione piuttosto severa, critica, nei confronti di tante esperienze dell’arte politica contemporanea. In sostanza, individua, metabolizza e racconta le esperienze più emblematiche rispetto all’assunto!? Cerco di individuare alcune del le esperienze più significative dell’arte del nostro tempo, cerco di raccontarne le origini, i punti spesso non evidenti, e credo che questo sia un po’ il dovere e la missione della critica. Le analisi, condotte senza limiti spazio-temporali, favoriscono la comprensione dei fenomeni che caratterizzano il presente? Secondo me, una delle sfide sta nel non abbandonarsi a teorie astratte,

che credo vadano affidate ai filosofi. Ritengo, al contrario, che si debba ripartire dalla centralità delle opere d’arte. È quello che ho cercato di fare, per esempio, nel mio libro precedente, “L’opera interminabile”, in cui ho scelto di far emergere le idee dal confronto con le opere. In questo periodo i creativi dovrebbero contribuire più apertamente al miglioramento della realtà sociale? In “Artivismo” cerco di raccontare anche una serie di esperienze artistiche che stanno provando a immaginare forme di rigenerazione, di miglioramento, di riscatto di pezzi di società. Talvolta, attraverso l’arte, alcuni artisti pensano che sia possibile ancora migliorare pezzi di mondo. L’arte per l’arte è divenuta anacronistica? Credo di sì, l’arte per l’arte mi sembra una memoria del secondo Novecento. Pier Paolo Pasolini era citazionista e soggettivava le sue visioni, ma è stato un modello ineguagliabile di intellettuale civilmente impegnato e lei, giustamente, nel libro ne ha parlato. Il libro si apre non tanto con un omaggio a Pasolini ma con un omaggio che a Pasolini ha dedicato Fabio Mauri. Ritengo che quell’opera, intitolata “Intellettuale”, racconti in maniera perfetta quella che a parer mio è una virata significativa dell’arte del nostro tempo, in cui alcuni artisti pensano sé stessi esattamente come intellettuali, che talvolta vogliono testimoniare alcune emergenze della nostra epoca, altre volte invece vogliono intervenire nel corpo vivo della nostra età e della società. Condivido anche l’esempio del mitico Beuys, il quale con le suggestive operAzioni altamente simboliche e comunicative, tendenti alla “plasticità sociale”, ha sdoganato e promosso l’arte politica, non soltanto fondando, in Germania, il Partito dei Verdi. La sua scritta autografa “La rivoluzione siamo Noi” alla base dell’opera non è semplice slogan né un’astrazione ideologica. Come valuta questa lettura? Beuys, anche nella sua visione sciamanica dell’arte, ha dato un avvio rilevante a tutta quell’esperienza dell’arte politica, civile, impegnata, che oggi ha uno spazio molto importante a tutte le latitudini. Secondo me, il limite nell’opera di Beuys e soprattutto nell’opera di tutti quelli che si sono richiamati a lui, in maniera più o meno consapevole, è la sparizione dell’opera. Quindi, c’è la vaporizzazione, quella che il filosofo francese Michaud ha definito l’arte allo stato gassoso. Quello è un po’ il rischio, che l’opera non ci sia più. ...Usava il corpo e la propria opera come mezzo di comunicazione e ha dato l’avvio a una nuova creatività. Non c’è dubbio, stiamo parlando comunque di un gigante, però come Gillo Dorfles ripeteva, l’opera di Beuys è molto forte con la sua presenza; senza Beuys quelle opere diventano un po’ delle reliquie. Trova che la Street Art di questi anni, spesso fin troppo libera di intervenire ovunque, abbia un impatto significativo in senso estetico e politico? Decisiva la vis politica. A differenza dei graffitisti, che avevano usato la pittura come luogo per pronunciare il proprio disagio individuale, gli street artists pensano questo linguaggio come arena su cui mettere in scena urgenze e temi legati alla storia contemporanea. Sorretti dall’idea dell’arte come dispositivo per liberare dai dogmi, per far cadere il velo dagli occhi, per sfidare i potenti, per violare i perbenismi e le parole vuote, essi vogliono tradurre in immagini un sempre più diffuso desiderio di denuncia e di liberazione. Dipingendo sui muri delle metropoli iconografie di ribellione, sembrano prospettare così un “ordine nuovo”, finalmente più giusto, ponendo le basi per una rivoluzione ulteriore, possibile. L’utopia: attraverso l’arte, abbattere dalle fondamenta, un mondo violentato da emarginazioni e da ingiustizie. Hogre ha detto: “Penso all’arte come a un detonatore per innescare l’imprevedibile, far saltare automatismi, rimescolare possibilità, spazzare via ideologie incancrenite”.

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LA BIENNALE DI CECILIA ALEMANI IN ANTEPRIMA

a cura di Luciano Marucci

Cecilia Alemani, critica d’arte e curatrice, direttrice artistica della Biennale Arte 2022 di Venezia

del passato, del Novecento, anche con qualche eccezione, perché mi interessava creare un dialogo tra generazioni diverse e guardare indietro in questo momento di crisi globale. La Biennale di Venezia Luciano Marucci: Negli ultimi due anni le restrizioni imposte dalla è un’istituzione che esiste da più di cento anni ed è bene rivalutare, pandemia hanno condizionato la strutturazione della rassegna riconsiderare anche periodi simili a quello che stiamo vivendo, di e il rapporto personale con gli artisti scelti per il suo progetto? grandi trasformazioni o anche di guerre, per vedere come l’Istituzione stessa ha affrontato o meno le crisi. Cecilia Alemani: Tutta la preparazione della mostra è avvenuta durante La parte inclusiva della sua esposizione come si manifesta più la pandemia, quindi ha avuto sicuramente un effetto sugli aspetti apertamente? più logistici e, forse, anche sui LA CONVERSAZIONE CON CECILIA ALEMANI – NEI C’è una maggioranza di artiste contenuti della produzione artiGIORNI IN CUI ALLESTIVA LA SUA GRANDE MOSTRA stica. Per quanto riguarda quelli donne, scelta importante da segnaINTERNAZIONALE ALLA BIENNALE ARTE 2022 DI lare perché è una novità rispetto logistici, ovviamente, la mostra VENEZIA DA LEI CURATA – SVELA, IN ANTEPRIMA, LA al passato, anche se nel 2022 non posticipata di un anno ha reso FILOSOFIA DEL PROGETTO GENERALE E LE MOTIVAZIONI dovremmo sconvolgerci di quetutto estremamente complicato. DELLE ESPERIENZE ARTISTICHE PRESCELTE, DA QUELLE sto. Poi ci sono molti artisti che Adesso sono a Venezia, nella fase DEL PASSATO ALLE ALTRE LEGATE AL PRESENTE; POI vengono da culture indigene, e clou delle installazioni e la comRIFLETTE SULLE IDENTITÀ DI GENERE E DEI PADIGLIONI plessa situazione dei Padiglioni anche questa è una novità. Inoltre, NAZIONALI, SUL RUOLO CENTRALE DELLA CULTURA Nazionali, in particolare, di quelli la mostra, nonostante sia stata NELL’EVOLUZIONE DEL MONDO GLOBALE IN CRISI europei, a causa della guerra, fatta in prevalenza tramite mezzi è difficile da gestire. C’è anche telematici, cerca di essere più globale e inclusiva possibile. Infatti, ci sono artisti provenienti da 58 carenza di materie prime come la carta per il catalogo. Però gli effetti nazioni, molte delle quali non sono mai state presenti alla Biennale. più marcati si sono avuti sugli artisti, essendo una mostra globale Quindi ha voluto dare più presenza ai talenti creativi al femmiche ne raccoglie 113, molti negli ultimi mesi hanno dovuto affrontare nile per ridurre la disparità di genere!? una crisi anche esistenziale. I condizionamenti più gravi di questa Certo, anche perché il mondo è così ed è importante che ci sia una pandemia forse si vedranno nei contenuti di alcune opere nate proprio in questo periodo di emergenza. riflessione su questa realtà. Le ultime 57 edizioni sono state decisamente sbilanciate al maschile e questo non è stato mai un problema Dove va colto l’aspetto più caratterizzante della sua Mostra in Italia… Internazionale? Qual è il pensiero filosofico più rilevante alla base della sua direÈ una mostra molto grande che riunisce artisti contemporanei di zione artistica? tutto il mondo, ma c’è pure un grande contributo di artisti e artiste La mostra è una selezione basata su tante letture fatte in questi anni, Cecilia Alemani (courtesy La Biennale di Venezia 2022; ph Andrea Avezzù) in particolar modo sul pensiero post-umano, che viene portato avanti da tanti filosofi, come ad esempio Rosi Braidotti, i quali sostengono che siamo in un momento di svolta nella nostra cultura e nella nostra umanità; una svolta post-umana nel senso che l’idea della centralità dell’essere umano nel pianeta rispetto ad altre forme di vita e altre specie, adesso è completamente superata e bisogna immaginare e creare o riconoscere che viviamo in un mondo che ha superato questo fenomeno. La pandemia ha dimostrato che la superiorità dell’umano ormai, purtroppo, è un mito molto vecchio. Praticamente si è tenuta fuori dagli schemi, mettendo in evidenza la produzione artistica più innovativa e le nuove modalità rappresentative legate pure alle mutazioni della realtà. Ho cercato di assorbire le tante preoccupazioni degli artisti. Ovviamente, non mi sono messa a tavolino a fare grandi dichiarazioni, ma mi sembra che il pensiero postumano in molti artisti in mostra fosse presente già prima della pandemia. Un riconoscimento di questo scarto esistenziale e culturale in atto che la pandemia ci ha sbattuto in faccia con violenza, con grande realtà. Si riscontra anche la tendenza di far emergere l’interiorità dell’essere umano e la trascendenza dal reale? Soprattutto per quanto riguarda gli artisti più giovani, che hanno prodotto arte negli ultimi due anni, sento di dire che ci sia un ritorno, non so se alla trascendenza dal reale, a una certa introspezione come metodologia artistica, non come fuga dalla realtà o dall’inconscio, ma

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interessante riguardare questa mostra magari fra qualche anno e pensare a come gli artisti hanno processato questo momento di trasformazione, di evoluzione sociale. Ci sono opere capaci di trasformare la cronaca socio-culturale del presente in storia pressoché attendibile del contemporaneo? Ora che è tutto molto fresco spero che il visitatore possa cogliere non soltanto l’immediatezza della risposta degli artisti attuali, ma un po’ del processo di separazione dal contemporaneo; guardare anche a momenti simili nella storia del Novecento in cui gli artisti hanno avuto a che fare, da un lato con grandi crisi, trasformazioni, ma anche con l’introduzione di nuovi linguaggi e nuove tecnologie. Il mio obiettivo è quello di rendere possibile allo spettatore la lettura delle rime, dei rimandi, degli echi che vanno ben oltre il 2022, ma che si riconnettono magari agli anni del Surrealismo; anni che, se uno ci pensa, sono molto simili alle crisi che stiamo vivendo. Quindi occorre guardare questa mostra non solo come se fosse nata dalla pandemia, ma che si connette a una linea della storia dell’arte, della storia dell’“exhibition making” un po’ più vasta. Il legame con il passato resta fondamentale? Certo, non uso un passato che volta le spalle al futuro, ma con la consapevolezza che il mondo attuale è il risultato della storia, quindi anche la mostra è il risultato di mostre avvenute in precedenza. La Biennale non va guardata come una cartolina dal 2022, ma in un contesto più allargato e, a un tempo, più critico del passato. Oltre a dare rilievo al linguaggio del corpo, viene esibito l’avanzamento delle tecnologie? La riflessione del legame tra corpo e tecnologie è sicuramente fondamentale nella mostra, però, per me, “tecnologie” non vuol dire necessariamente NFT o le ultime invenzioni dell’arte digitale: mi interessava fare un discorso più lato, anche qui guardando a tendenze come, ad esempio, l’Arte Programmata italiana o l’Arte Cinetica in cui gli artisti hanno risposto alle nuove tecnologie, come quella Simone Leigh “Sovereignty” 2022, veduta esterna del Padiglione degli Stati Uniti (Giardini di Castello), Biennale Arte Venezia 2022 (courtesy La Biennale; ph L. Morelli)

Dana Kosmina “Piazza Ucraina” 2022, installazione di Borys Filonenko, Lizaveta German e Maria Lanko, curatori del Padiglione Ucraina (Spazio Esedra, Giardini di Castello), Biennale Arte Venezia 2022 (courtesy La Biennale; ph L. Morelli) Costruzione dalla valenza ideologica formata da sacchi di sabbia difensivi che vorrebbero salvare una monumentale opera dalle azioni belliche in atto

come strumento per leggere la stessa realtà. Ricordiamoci che questi artisti hanno creato opere d’arte magari nel profondo isolamento di due anni in cui non hanno visto nessuno, come tutti noi, quindi, mi sembra si possa dire che ci sia stato un tentativo di digerire la grande crisi della pandemia con modalità meno documentaristiche, meno politiche o politiche ma attraverso la lente del proprio corpo, della propria interiorità. Nelle opere degli artisti partecipanti si nota un’attenzione per la situazione critica di questo periodo o prevale la neutralità? Sicuramente non è una mostra sulla pandemia ma, secondo me, se si legge alla luce di quello che è successo in questi due anni, forse si può riscontrare un filo conduttore più vasto della pandemia, una crisi esistenziale dell’uomo al centro dell’universo, però non mi viene in mente neanche un lavoro sulla pandemia, perché le questioni sono più profonde e più ampie. Nella sua mostra è possibile individuare una sinergia tra rappresentazione estetica delle espressioni artistiche e la condizione del mondo in cui viviamo? È sempre molto interessante, anche se tragico, guardare all’arte che viene prodotta in periodi di grande crisi, come ci ha insegnato anche la storia della Biennale, ripensare all’arte dopo la Seconda Guerra Mondiale, piuttosto che negli anni Sessanta di grande fermento politico. Adesso siamo ancora nel mezzo della crisi, quindi sarà

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SPRAY EVENTI D’ARTE

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Lucia Gangheri “Sakura 1” 2022, tecnica mista tradotta in digitale,

Nikhil Chopra

stampa su carta Hahnemuhle Bamboo

“Drawing a Line through Landscape” 2017, performance, installazione, video (50’)

cm 40 x 90 circa, courtesy Millenium, Bologna

documenta 14 (supportato da Piramal Art Foundation, Payal e Anurag Khanna). Design costumi: Loise Braganza; on-site production: Stephen Frick e Madhavi Gore; set design: Aradhana Seth; film: Sophie Winqvist; on-site documentation: Madhavi Gore. Photo Ilan Zarantonello, OKNO studio, courtesy the artist and Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana

BOLOGNA “NO, NEON, NO CRY”, ospitata dal MAMbo (via Don Minzoni 14) fino al 4 ottobre, è una mostra che tenta una narrazione “disordinata” della Galleria Neon. Nata nel 1981 senza un progetto, senza strategia, senza budget e senza obiettivi predeterminati, Neon è stata un laboratorio permanente, una comunità per artisti, critici e curatori e un luogo di formazione per tutte le persone che vi hanno collaborato. Al suo attivo risultano oltre trecento mostre, alle quali si sono aggiunte nel tempo numerosissime attività collaterali, collaborazioni e iniziative esterne. Questa immensa mole di materiali ha posto una sfida: come approcciarsi alla magmatica attività ultra quarantennale di Neon per raccontarla attraverso una mostra, senza limitarsi al progetto strettamente documentale o, all’opposto, tentare un impossibile “best of ” degli artisti e delle opere che vi hanno trovato accoglienza? La risposta, di Gino Gianuizzi, da sempre mentore e anima della Neon e qui nella veste del curatore, è stata quella di ricorrere alla formula della Wunderkammer trasformando lo spazio della Project Room in luogo abitato da opere in proliferazione, da un accumulo

visivo in cui inoltrarsi con circospezione tentando di decifrare i singoli lavori per poi ricondurli agli artisti. Una sorta di organismo complesso, una comunità che continua a dialogare, discutere, mettere in dubbio e a rafforzarsi nella contaminazione. “NO, NEON, NO CRY” include lavori di 51 artisti, a testimoniare la ricchezza di relazioni costruite nel tempo dall’attività di questo spazio no-profit: Aurelio Andrighetto, Alessandra Andrini, Sergia Avveduti, Fabrizio Basso, Francesco Bernardi, Maurizio Bolognini, Ivo Bonacorsi, Anna Valeria Borsari, Domenica Bucalo, Angelo Candiano, Silvia Cini, Gianluca Codeghini, Daniela Comani, Cuoghi Corsello, Maria Novella Del Signore, Nico Dock x, Drifters, Emilio Fantin, Francesco Gennari, Patrizia Giambi, Paolo Gonzato, Gian Paolo Guerini, Nazzareno Guglielmi, M+M, Mala Arti Visive, Eva Marisaldi, Maurizio Mercuri, Dörte Meyer, Giancarlo Norese, Giovanni Oberti, Marco Pace, Paolo Parisi, Chiara Pergola, Alessandro Pessoli, Gianni Pettena, Marta Pierobon, Leonardo Pivi, Premiata Ditta, Marco Samorè, Fabio Sandri, T-yong Chung, Alessandra Tesi, Diego Tonus, Tommaso Tozzi, Luca Trevisani, Massimo Uberti, Maurizio Vetrugno, Luca Vitone, Francesco Voltolina, Wolfgang Weileder, Alberto Zanazzo. Questa Juliet 208 | 93

iniziativa è stata realizzata con il sostegno della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. “Innesti” è il titolo della mostra che vede il dialogo tra due autrici: Annalaura di Lug go e Lucia Gangheri alla Millenium Gallery (Palazzo Gnudi di via Riva di Reno 7 7 ). “ Innesti ” può essere, quindi, letto come un discorso a più voci, uno sguardo p r e s e nte su c i ò c h e c i a p p a r ti e n e: un risveglio di esistenze, dettato anche dal momento storico che stiamo vivendo, fatto di interconnessioni e collegamenti, luci e ombre, simboliche fioriture e introspezioni tangibili. Reminiscenze tecnologiche e n at u r a , te c n i c h e p it to r i c h e e d i g it a l i sviluppano, in queste opere, condizioni p o e t i c h e d i o r i g i n e m e d i a l e a p e r te a molteplici sug gestioni: le infiorescenze digitalizzate di Lucia Gangheri e le iridi che si fanno occhio della storia e del paesaggio di Annalaura di Luggo, testimoniano la cifra stilistica di due singolari artiste, il cui lavoro è regolarmente esposto in Italia e all’estero. La mostra, curata da Rita Alessandra Fusco e Marcello Palminteri, sarà visitabile fino al 14 giugno. In catalogo un’introduzione di Aldo Gerbino. -Fabio Fabris


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