SE CI LEGGI È GIORNALISMO, SE CI QUERELI È SATIRA
UNIFORMI E DIVISE
MAMMA! | n. 10 | Uniformi e Divise
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Mamma! numero 10 - Maggio 2013
Testata numero 130640 - ROC Emilia-Romagna.
Direttore editoriale, Progetto grafico: Kanjano (Giuliano Cangiano) Coordinamento editoriale, Copertina: Lucio Villani Direttori irresponsabili: Carlo Gubitosa - Mauro Biani Sysadmin www.mamma.am: Francesco Iannuzzelli Grafinchiesta: Verdana Manuzio Antipibblicità: Bubbamara In questo numero: Akab, Ale Giorgini, Alessio Spataro, Amalia Caratozzolo, Andrea Bersani, Andrea Chronopoulos, Andrea Frau, Andrea Semplici, Assia Petricelli, Carolina Cutolo, Chiara Smacchi, Claudio Gianvincenzi, Daniele Sepe, Dario Campagna, Fabrizio Des Dorides, Flaviano Armentaro, Frago, Giacomo Sferlazzo, Gianpiero Caldarella, Giuseppe Lo Bocchiaro, John Black, Leonardo Pandolfi, Lorenzo Guadagnucci, Lucio “Lucho”Villani, MP5, Malì Erotico, Marco Pinna, Marco Rizzo, Mario Gaudio, Maurizio Boscarol, Mauro Biani, Mr. Thoms, Nicola Rabbi, Nome e Cognome, Pino Scaccia, Pseudonimo, Rita Petruccioli, Roberto Ugolini, Sergio Nazzaro, Sergio Ponchione, Sergio Riccardi, Simone Lucciola, Thierry Vissol, Thomas Magnum, Toni Bruno, Vito Manolo Roma. Il numero 10 di Mamma! è stato stampato in proprio presso Me.Ca. - Recco (GE) e sostenuto con le sottoscrizioni dei 300 valorosi lettori che hanno aderito alla nostra campagna abbonamenti nel corso del 2012. Se siamo ancora vivi lo dobbiamo a loro. Grazie davvero, ragazzi.
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CARLO GUBITOSA GIORNALISMI.INFO
RESISTERE
FOTO DI
MALÌ EROTICO
MALIEROTICO.COM
R
che fa germogliare buon giornalismo a fumetti là dove altri avevano seminato repressione. Nel frattempo stiamo realizzando con successo laboratori di microeditoria (chiamateci se volete farne uno nella vostra città) perché vogliamo condividere col maggior numero possibile di persone la forza creativa della carta stampata. Anche se non riusciremo a realizzare la nostra “rivoluzione culturale” in un paese dove si ragiona a colpi di clava, provarci sarà comunque un’esperienza formidabile.
ieccoci qui, più testardi che mai, lenti e carsici senza mai restare immobili, inesorabili come la lancetta dei minuti e altrettanto pazienti nel muoverci. Per questo numero dieci siamo partiti con l’idea di raccontare il paese attraverso gli abiti più svariati, dal pigiama dell’ammalato all’ermellino del magnifico rettore, ma alla fine divise, uniformi e mazzate sono emerse con forza dal nostro inconscio collettivo, e la copertina si è impregnata di rosso sangue. Quella che doveva essere semplicemente una rivista si è trasformata in una terapia di gruppo per guarire da un trauma sociale collettivo, per scrollarci di dosso una violenza strutturale che abbiamo esorcizzato con la parola, il fumetto, la fotografia e l’illustrazione. Nel nostro Paese il dissenso si è spesso trasformato in reato penale, l’aggregazione è diventata adunata sediziosa, le buone idee bersagli da colpire. Ma il pugno di ferro di chi confonde la politica con la legge del più forte non è riuscito a piegare la nostra creatività. È per questo che in questo numero troverete in mezzo alle uniformi e al netto delle mazzate anche uomini che indossano il burqa, supereroi trasformati in metafore, leader africani che difendono la ricchezza femminile e altri intensi racconti di vita. Queste pagine ci dimostrano che si può prendere la rabbia, l’ingiustizia e la violenza che siamo costretti a vivere, e trasformarle in una esperienza di racconto vitale e creativa,
Buona lettura e buona vita.
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SERGIO NAZZARO
TONI BRUNO
SERGIONAZZARO.COM
TONIBRUNOSTORY.BLOGSPOT.COM
IO SONO STAMPELLA
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gere. Disperata. Niente di che, una delusione sentimentale. Niente di che per noi, per lei l’inferno. Noi stampelle non possiamo parlare, è proibito. Ma quella volta ho sussurrato: alzati, mettiti i panni addosso. Metti la tua uniforme e affronta il mondo e sorridi. Non far vedere nulla a nessuno. Questa è la mia colpa brigadiere, è questa? Sì, credo di si. Ho rimesso le cose in ordine, ho deciso per Livia che il dolore personale viene dopo tutto il resto. Si deve morire dentro, ma viene dopo. Nessuno deve sapere, e tu stai solo senza nessuno che ti sostiene. Almeno io sono una stampella, da qualche parte mi reggo. Poi cosa è successo brigadiere, ditemelo voi. Per qualche giorno Livia non l’ho vista, e quando si è aperto l’armadio ho visto la faccia vostra. Io e i panni di Livia facevamo congetture. Forse stava poco bene, forse stava scegliendo quale vestito mettersi, e quindi era andata all’altro armadio. No, non me lo immaginavo che si sarebbe ripresa tutto Non mi vedete stanco, svuotato, e così tutti i vestiti di Livia. Si è ripresa la sua vita brigadiere e se ne è andata. Volete scrivere che si è imbottita di farmaci e si è suicidata? Embè cosa ho detto io, ha abbandonato uniforme e stampelle.
erbale numero sette, deposizione di persona informata sui fatti. Procede all’interrogatorio il brigadiere Antonio Amodeo. “Che volete che vi dica, che sono stato io? No, questo lo sapete già. Quello che mi chiedete e difficile da spiegare. Sì, va bene sono una stampella e chiedete a me perché Livia si è tolta la vita? Volete che cominci dall’inizio? E’ il mio lavoro, ci teniamo appese le vite della gente. No, non sbagliate, non solo i panni del giorno feriale o festivo, del vestito buono e quello dei lavori di casa. Le volete chiamare uniformi, brigadiere, e a me sta bene. Sapeste quante ne ho avute addosso e quante storie mi hanno raccontato. Sapeste quanta gente si fa male quando ci posa nell’armadio e chiude l’anta. Tantissimi, per un attimo schiacciano la vita vera, nel mentre chiudono l’armadio. Sentite un sospiro, una bestemmia, un sussurro. No, non tutti lasciano soltanto i panni sulla stampella, ma anche tutto il resto e vanno a letto nudi. No che dite, con il pigiama, ma nudi, svuotati, solo un involucro di carne. Lasciano tutto nell’armadio ed io ascolto storie. Tutto qua. Se ho interferito con Livia? Si, lo ammetto, lo confesso. Una mattina ha aperto l’armadio e poi è crollata a terra a pian-
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akab mattatoio23.blogspot.it
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LORENZO GUADAGNUCCI
LEONARDO PANDOLFI
LORENZOGUADAGNUCCI.WORDPRESS.COM
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METTIAMO CHE IO
ettiamo che io sia un poliziotto e che abbia in corpo una certa carica di aggressività. In polizia, specie se sei un operativo e non un uomo da scartoffie, averne una buona dose, più che utile è necessario. Mettiamo che a un certo punto della mia carriera mi trovi a far parte di un corpo speciale, di quelli che vengono costituiti in occasioni particolari, come grandi manifestazioni politiche frequentate da “facinorosi” (in polizia chiamiamo così quei ragazzi che vanno in corteo vestiti un po’ così, che si preparano e muovono in gruppo, insomma quelli pericolosi). Mettiamo poi che in questi corpi speciali si respiri un clima un po’... radicale. Ci sono colleghi che non amano proprio quei facinorosi, quelle zecche, come li chiamano loro. Non vedono l’ora di incontrarli, di vederli in faccia. Sperano di averli fra le mani. E di poter mettere in pratica quel che provano in addestramento. Roba pesa, ma si capisce: à la guerre come à la guerre. Lo dice sempre anche il capo. Mettiamo che io non sia proprio come loro, non così radicale, non così convinto di andare à la guerre, non così deciso a trattare le teste altrui come si fa con le teste dei fantocci che usiamo negli addestramenti. Mettiamo che abbia dei dubbi, ma che sappia anche che cos’è la gerarchia: il capo è il capo e questo sembra un capo al quadrato... Mettiamo allora che io poliziotto, entrato pro tempore in questo gruppo speciale, mi trovi davvero sul... fronte. Che il mio gruppo sia spedito nel covo di questi facinorosi. Dobbiamo entrare di notte in un grande edificio: sono asserragliati, sono pericolosi. Mettiamo che io in quel frangente mi ripeta qual è il
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LEONARDOPANDOLFI.BLOGSPOT.COM
compito di un poliziotto, quali i suoi limiti nell’uso della forza, qual è il perimetro definito dalla legge (lo faccio sempre, perché conosco le regole e mi piace rispettarle, è nella mia cultura). Mettiamo che appena entrati in quell’edificio i miei colleghi si mettano a pestare alla cieca chi si trovano di fronte, proprio come succedeva coi fantocci. Colpi violenti, terribili, e le stesse urla che si sentivano in caserma su... quelle luride zecche. Mettiamo che io in un lampo mi domandi che fare. Tutti picchiano, urlano, si eccitano l’un l’altro. Penserei: non si può, non si deve, perché io conosco la legge e so bene che le perquisizioni non si fanno così. Ma penserei anche: il capo qui è d’accordo, è lui che ci guida, è lui che potrebbe fermare i miei colleghi e non lo fa. Tutti picchiano e ora tocca a me. Non potrei, non dovrei, ma come faccio a dire di no, come faccio ad andare contro i miei colleghi? Non vorrei, ma l’adrenalina è l’adrenalina. Penserei: e poi che cosa rischio? Chi mi conosce? Chi può riconoscermi fra queste z... fra questa gente? E’ notte, ho il casco. Io a quel punto picchio. Faccio come gli altri. Chi sono io per oppormi, per dire di no? Chi sono io rispetto al capo? Come fa la legge ad essere sovrana in un momento così? Se tanto nessuno può riconoscermi? Mettiamo allora che io abbia spaccato un po’ di teste, insieme ai miei colleghi, e spedito un po’ di z..., di cittadini all’ospedale, diciamo una sessantina e che tutto questo sia successo una notte di luglio del 2001 in una città di mare durante una riunione di otto signori che si ritengono i più potenti della Terra. Che mi succederebbe? Niente, semplicemente niente. Nessuno avrebbe nulla da rimproverarmi. Certo non il capo, ovvio. Ma nemmeno i di-
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rigenti, il capo della polizia. Loro dicono che se ci sono stati dei reati, tocca alla magistratura il compito di accertarli. E la magistratura non farebbe niente, non potrebbe fare niente, perché i principi giuridici sono chiari: la responsabilità penale è personale e se non ci sono un nome e cognome nessuna azione può essere perseguita. Quindi se fossei quel poliziotto la farei franca, sotto tutti i punti di vista. E così tutti i miei colleghi. E chi non c’era quella notte penserebbe: alla fine sei protetto, alla fine nessuno ti punisce. Certo, in altri paesi non succederebbe, perché i poliziotti, quando sono impegnati nell’ordine pubblico, devono indossare dei codici di riconoscimento sulle divise. Mettiamo che quella scena, quella notte, fosse avvenuta in Inghilterra. Bè, i miei pensieri sarebbero stati diversi. Anche di fronte a colleghi che menano, mi sarei detto: qui si rischia il penale, qui può spuntare un testimone che memorizza cifre e numeri della mia etichetta. Avrei potuto dire al capo: no, io queste cose non le faccio, la legge non lo consente. Mettiamo ora che io sia un sindacalista di polizia, o il capo della polizia, o il ministro dell’Interno e che qualcuno là fuori, fra i cittadini, magari uno di quelli che hanno avuto le ossa spezzate sotto i colpi dei manganelli, mi chieda: perché non vi impegnate a mettere i codici sulle divise degli agenti. Perché non liberate gli agenti dalla tentazione dell’impunità, dalla costrizione del così fan tutti? Direi che non si può. E se mi chiedessero perché, ripeterei che non si può. Non sono un agente, né un sindacalista, meno che mai il capo della polizia o il ministro degli interni, ma solo un cittadino che crede nel principio di trasparenza e responsabilità. Appunto.
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GIACOMO SFERLAZZO GIACOMOSFERLAZZOILFIGLIODIABELE.WORDPRESS.COM
CIÒ CHE DIVIDE
NON SON LE DIVISE
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sono sicuro che capirete / per andare in guerra non si bada a spese / quindi oltre ai caccia, bombe e fucili / belle divise noi vi daremo. / le ha disegnate un grande stilista / le cuce in cina, in Italia le imbusta / così che quando al vostro nemico / il fucile in faccia voi punterete / il made in italy trionferà / anche in battaglia si riconoscerà. / si sà che lo stile è fondamentale / specie se viene dallo stivale / ma non la chiamate guerra vi prego / è una missione di pace lo giuro / anzi siccome è giusto chiarire / la chiameremo missione di stile. volete mettere morire ammazzato / da uno vestito tutto firmato. / ciò che divide non son le divise / difatti uniformi si chiamano anche / che a chi le indossa ad altri assomiglia / subito si sente in una grande famiglia. / quindi per concludere quanto vi dico / provate a vestirvi di un solo vestito / che l’unica divisa dell’umanità / è la divisa della nudità.
FABRIZIO DES DORIDES FABRIZIODESDORIDES.BLOGSPOT.COM
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alessio spataro pazzia.org
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ANDREA “TABAGISTA” FRAU
ANDREA CHRONOPOULOS ACHRON.TUMBLR.COM
TABA.ALTERVISTA.ORG
UNIFORMI S
iamo in una mensa di un college americano. C'è il tavolo dei nerd, quello dei giocatori di football, le cheerleader, gli emo, gli hipster, liberal, nazi, vegani, fashion victim, anoressici e obesi, quelli da talent show, indie, studenti di Damasco vestiti tutti uguali; gli eccetera e i vari si sono suicidati. I nostri tavoli sono categorizzati come i tags di youporn. Si fa la fila con in mano tavole da surf per la razione quotidiana di regolatori dell'umore. Quando svanisce l'effetto si fa surf tra onde di lacrime e succhi gastrici d'ansia. La mensa è molto cara. I poveri fissano le pastiglie per l'umore dai vetri antiproiettile. I giovani appannano i vetri con il fiato, con il dito scrivono il loro numero identificativo e ritirano la loro razione. Chi non può pagare alita sul vetro ma non esce nulla, si sforza, poi cade a terra ed emette un piccolo fumetto senza parole, tipo fungo atomico. Appena uno intuisce che sta finendo il fiato prende il numero per la strage, afferra una pistola di piccolo calibro e fa fuoco sui tavoli della mensa settore per settore. Il mercato nero delle bombole d'ossigeno è gestito dallo Stato per dare un'illusione di individualità e devianza agli uniformati. Le piantagioni casalinghe di alberi da ossigeno invece vengono distrutte. Oggi è il giorno della parata generazionale. Quest'anno si sceglie il logo del movimento di maggioranza mondiale. La mano invisibile di Dio come dipinta da Michelangelo ne "La Creazione di Adam Smith" gioca a ruzzle muovendo a piacimento i corpicini della parata nel suo personale touch screen. La mano invisibile è alla ricerca del logo perfetto, del brand più accattivante. E' il 2100, ormai nessuno ricorda più i vecchi simboli. Dopo un rapido sondaggio si sceglie la svastica. La sfilata dei giovani continua sotto questo simbolo tornato di moda come i pantaloni a zampa. Il rumore di milioni di scarpe da tennis ticchetta come l'orologio biologico dell'ultima donna libera. Nel cielo compare un grande tasto "play", la mano di Dio sbuca tra le nuvole e ci clicca su. Inizia lo spettacolo degli F35: le frecce monocolore. Ogni tanto si apre una finestra di spam di protesta ma viene subito chiusa. Tutte le finestre che si aprono hanno il loro balcone con piccolo dittatore annesso. Gli utenti si affacciano e sbraitano, qualcuno contro l'esibizione acrobatica, qualcun altro ipotizza un collegamento tra le scie chimiche e Ustica. Il portavoce dei giovani del mondo ha un'uniforme ologramma che cambia ogni secondo per rappresentare tutti i target, comprese le nicchie con le velleità più individualiste. Giudica tutto, il suo super io ha la toga, mentre il suo es e le pulsioni più autentiche di libertà sono sotto regime di 41 bis. "Si aprano le danze!" urla il portavoce generazionale. Parte l'inno mondiale: il Gangnam Style. Ogni anno si sceglie la canzone più cliccata su youtube come inno. Milioni di giovani cittadini del mondo ascoltano in laico silenzio, infilano l‘usb nel
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cuore e caricano il file "amor di patria". Dio si ritira per lasciar spazio al libero arbitrio. I giovani ora giocano da soli. Si muovono all'unisono come formiche e formano una scritta, dall'alto si legge: Google. Giocano a ruzzle umano nella lingua comune componendo le parole: "Go", "Lego", "Gol", "Gel", "Logo", "Lol". Si blocca tutto. "Chi è stato?!?" urla il portavoce. "Chi ha scritto Lol? Non si può usare la stessa lettera più di una volta, le lettere non sono mica l'olio di Mc Donald!" Disappunto dagli spalti. Il colpevole viene indviduato e gettato in una grande friggitrice. Il cadavere fritto viene mostrato ai genitori che delusi gli spremono sopra tubetti di maionese e ketchup come da tradizione, come da laica estrema unzione. Una hostess sorridente con divisa da SS prende ciò che resta del badge del colpevole e lo butta insieme agli altri. In piazza come monito c'è una pila di badge, i loro volti nelle foto dei tesserini sono tumefatti e sanguinanti. I giovani soldati quando tornano a casa si tolgono l'uniforme. Fanno scorrere la cerniera dalla testa fino ai piedi ed escono fuori. Sistemano la loro divisa nell'armadio e mettono il loro badge nel cassetto. Quando tolgono la divisa cambiano persino voce, ma il numeretto identificativo che hanno tatuato sulla fronte rimane. La mattina dopo il viso nel tesserino è sempre rigato dalle lacrime. Non è possibile sabotare le divise. I terroristi hanno tentato di mettere dell'esplosivo nei binari delle cerniere ma le zip sono inattaccabili; un campo elettrificato le protegge e si disattiva solo con le impronte digitali del legittimo possessore. Prima di dormire gli uniformati vanno nell'Istituto LuceTube, il sito che trasmette video d'archivio in alta definizione. I soldati scovano nell'archivio video pornografici di gente che con buffe espressioni riflette e mette in discussione gli ordini. Masturbarsi con questi video è l'ultima grande perversione rimasta. In questi video la gente guarda fuori dalla finestra assorta, si toglie vecchie divise e si licenzia. Obiettori di coscienza e disertori sono le pornostar della rete. Gli spettatori si accontentano di questo surrogato della libertà, praticare il dubbio nella realtà è troppo faticoso e forse alla fine dei giochi tra malattie, sentimenti non corrisposti, delusioni e tradimenti non ne vale la pena. Un soldato abbassa e rialza la zip dell'uniforme con voluttà, su è giù, sempre più veloce, dopo pochi secondi eiacula lacrime dagli occhi, si accende una sigaretta elettronica e si addormenta esausto a dimostrazione che il vuoto si può svuotare sempre un po' di più.
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ALE GIORGINI ABNORMALE.BLOGSPOT.IT
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toni bruno tonibrunostory.blogspot.com
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bubbamara
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MR. THOMS
CLAUDIO GIANVINCENZI SDRAMMATURGO.WORDPRESS.COM
THOMS.IT
CARLETTO E LE MELE MARCE
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U
n giorno Carletto andò da Zio Pila il fruttarolo e prese un cesto di mele. Ne mangiò un paio, ma erano marce e gli venne la diarrea. Tornò dunque dal fruttarolo e si lamentò. “Strano”, si difese zio Pila “Sei stato sfortunato, hai beccato delle mele marce, ma le altre sono buone. Ecco, prendi un altro cesto”. Carletto le valutò con attenzione. Sembravano tutte uguali, belle lucide. Una volta a casa, ne mangiò qualcuna, ma anche questa volta gliene capitarono alcune marce e vomitò. Protestò nuovamente con il fruttarolo, il quale rispose: “Il fatto è davvero curioso. Queste mele passano un duro esame prima di finire nella mia bottega. Devono avere più o meno lo stesso peso, lo stesso colore, lo stesso sapore, la stessa qualità. Sono mele attentamente selezionate”. Il postino, che si trovava lì in quel momento, fece eco a zio Pila: “T’ha detto male, ragazzo. Possono sempre esserci delle mele marce, ma vedrai che le altre sono buone”. Carletto uscì quin-
di con un altro cesto. Giunse a casa e decise di fare una torta di mele, ma alcune mele marce gli diedero del frocio, lo sfotterono per l’abbigliamento e gli sputarono i vermi addosso. Carletto raccontò tutto al fruttarolo, e alcuni clienti presero subito le difese di zio Pila: “Suvvia, ragazzo, si tratta solo di alcune mele marce”. E sotto con un altro cesto ancora. Lo poggiò sul mobile della cucina, ma anche stavolta c’erano delle marce che gli dissero che da quel momento in poi era proibito entrare in salotto, e si schierarono sulla soglia per non lasciarlo passare. La muffa aveva contaminato anche le altre mele, le quali si mostrarono solidali con le colleghe. Esasperato, Carletto ritornò dal fruttarolo e inveì furente contro il commerciante, ma zio Pila, infastidito dalle rimostranze, lo rimbeccò: “Se ti hanno detto che non puoi entrare in salotto, non ci puoi entrare. Ci sono delle regole e vanno rispettate”. Gli diede dunque l’ennesimo cesto di mele e lo mandò via. Carletto entrò in casa, le rovesciò sul tavolo, fece per addentarne una, ma alcune mele marce all’improvviso lo afferrarono, lo trascinarono in cantina e lo pestarono. Due mele lo tenevano col picciolo mentre altre due lo riempivano di semate. Le altre mele abbassarono le tapparelle e si girarono dall’altra parte fischiettando. Coperto di lividi ed escoriazioni, Carletto si trascinò dal fruttarolo per insultarlo, e tra zio Pila, il postino e i clienti fu tutto un coro: “Vedi, sei un maleducato”, “Qui ci sono le mele migliori, hai solo trovato alcune mele marce”, “Sei capace solo di lamentarti” “Di sicuro te la sei cercata, se ti fossi comportato bene le mele non ti avrebbero fatto niente”. Carletto comprese allora la morale della storia: con tutte quelle mele marce, zio Pila era un fruttarolo da cui non servirsi.
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JOHN BLACK
RITA PETRUCCIOLI
TRAFFICANTEDIPINGUINI.CO.NR
RITAPETRUCCIOLI.NET
UNIFORMI
E DIVISE
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i hanno chiesto di scrivere qualcosa su uniformi e divise. Ho cercato “divise” su wikipedia perché desideravo un incipit di spessore per questo pezzo. Qualcosa che potesse darvi l’impressione che dall’altra parte del testo ci fosse una persona colta e capace. Volevo una “divisa da scrittore”, un abito retorico che mi rendesse degno della vostra attenzione. avrei anche potuto corredare il pezzo con una mia foto nella quale indosso una giacca con le toppe sui gomiti, mi liscio la barba e mi tocco la pelata finta parlando con fabiofazio. tuttavia, devo gettare la maschera. non sono altro che un fancazzista professionista. non ho assolutamente voglia di snocciolarvi una serie di copy-paste per darmi un tono. andate a leggervela da soli la storia delle divise. io sono pigro. sono talmente pigro che, se esistesse un campionato mondiale di pigrizia, vin... no. col cazzo. nemmeno mi iscriverei. ok. adesso che siete ferratissimi sulla genesi delle divise e sulle molteplici ed innumerevoli tipologie di uniformi, possiamo andare al nocciolo della questione. Robert BadenPowell (un uomo a cui piaceva da morire indossare gli hot pants anche d’inverno, e per questo si inventò lo scoutismo) se ne uscì con questa affermazione: “l’uniforme cela tutte le differenze di condizione sociale in un paese e favorisce l’uguaglianza; ma, cosa ancor più importante, copre le differenze di nazionalità e razza e fede, facendo sì che tutti si sentano appartenenti ad un’unica grande fratellanza”. che dire.. di fronte ad una frase del genere non possiamo far altro che toglierci il cappello e ripulirlo dalla merda che ci è piovuta addosso. la verità è che nessuno ha voglia di coprire un cazzo. la gente non vuole sentirsi “un’unica grande fratellanza”. non l’ha mai voluto. il motivo è semplice: se facessimo tutti parte dello stesso “gruppo” non faremmo parte di nessun gruppo. gli esseri umani, oggi più che mai, cercano disperatamente un “noi” in cui entrare. e una casa
per le vacanze, in pieno agosto, ad un prezzo ragionevole. illusi. ricordo che la mia prima esperienza con le divise l’ho fatta alle elementari. le suore ci avevano fatto comprare il grembiule. 30 mila lire per un pezzo di stoffa azzurro (made in cambogia da artigiani infradodicenni sotto una luce fioca e un crocifisso di plastica). Ad ogni modo, la linea dettata dal regime delle pinguine era “dovete essere tutti uguali, maschi e femmine, bimbi ricchi e bimbi poveri” (che poi i bimbi poveri erano quelli normali, con ambedue i genitori lavoratori, dato che quella scuola aveva una retta da far invidia ad un golf club. e servivano drink migliori). a dire il vero, indossare tutti lo stesso grembiule non serviva a un cazzo. le femmine le riconoscevi subito perché erano quelle che non capivano niente e non potevano giocare a calcio con noi maschietti mentre i bambini poveri avevano sempre il grembiule di seconda o terza mano, tramandato dal fratello adottato di un prozio. era sempre più liso e meno azzurro degli altri. anche i bambini poveri non potevano giocare a calcio con noi maschietti. noi si che eravamo uniformi nell’essere dei pezzi di merda. il fatto è che uomini e donne sono ossessionati dall’esclusione. E dai gratta e vinci. una paura di essere esclusi e al contempo uno strenuo bisogno di escludere altri al fine di sentirsi comunque appartenenti ad un gruppo idealmente creato ad hoc. ancora meglio se il tutto è corredato da simboli runici, cori da stadio, rituali strambi o santini da baciare. proprio da questo bisogno sono nate invenzioni come i partiti politici, il tifo calcistico e le religioni. Purtroppo siamo qui solo per parlare di divise quindi, mio malgrado, non posso riempire l’intera rivista con le mie idee malsane riguardo questi tre fulgidi esempi di ciò che il pensiero umano – questa meravigliosa e ancora sconosciuta caratteristica che ci differenzia dalle altre bestie – è in grado di partorire quando funziona male. ma se vi abbonate a Mamma! magari ne parliamo nel prossimo numero. ACQU T ALO SU RETINACIS OMICS.O RG
Salma Dorata, di Alessio Spataro, Retina Comics, pag. 23, euro1
ebook pdf, cbz, compatibile con Pc/Mac iPad,Tablet Android
Acquistabile a 1€ sul portale RETINA, il volume contiene tutte le storie a fumetti di Alessio Spataro pubblicate dal Male di Vauro e Vincino e una selezione di vignette dal 2010 a ieri. Per un totale di 123 pagine a colori (0,0081 centesimi a pagina considerando il valore reale dei protagonisti in copertina), Salma Dorata si avvale della straordinaria prefazione di Nickie Vendola, secondo il fumettista «prossimo probabile ministro delle pavide opportunità».
Segnalazioni gratuite di iniziative amiche. Nessun annuncio a pagamento è presente nella rivista.
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SOSTIENE SANKARA
P R E S E N T A N O
RACCONTI DISEGNATI DI FELICITÀ RIVOLUZIONARIE Quelle che Thomas Sankara, il Presidente povero, rivoluzionario, femminista, visionario, ci ha lasciato sono, a livello esistenziale, traiettorie precise ed indicazioni sane da tenere a mente ed applicare, quotidianamente, ma a livello narrativo sono degli incipit che ci permettono di lanciare oltre la siepe il senso del suo vissuto e del suo pensiero politico. Ognuna delle brevi storie a fumetti raccolte nella mostra è ispirata ed intitolata ad uno dei capisaldi del Sankara-pensiero. Un piccolo consesso di ordinari artisti e storyteller si vuol fare custode dei germogli di rivoluzione, con la consapevolezza che la sola volontà di farli germinare – non troppo tempo fa - ha permesso ad un popolo debole e vessato di intravedere la luce della felicità rivoluzionaria.
ABBONATI A
sostienesankara.blogspot.com sostienesankara@gmail.com
Mamma! è la prima rivista italiana di graphic journalism, nata da un gruppo di autori senza padrini e senza padroni. Penne e matite fuori dal coro, che sperimentano il fumetto, l’infografica e l’illustrazione come strumenti per capire meglio la realtà che ci circonda. Un laboratorio editoriale che nel corso degli anni ha saputo coinvolgere alcune tra le migliori firme del fumetto e del giornalismo italiano. Con lo slogan “Se ci leggi è giornalismo, se ci quereli è satira”, la rivista “Mamma!” sta cercando di dare spazio ad una generazione di autori rimasta schiacciata tra la crisi editoriale e la gerontocrazia che ha occupato tutti i posti chiave dell’informazione. E pian piano qualcosa si muove.
DI LA RICHIEA NELLA R MOSTA CITTÀ TU
SOSTIENE SANKARA
P R E S E N T A N O
Per ricevere Mamma! basta iscriversi all’associazione culturale Altrinformazione con queste quattro differenti modalità: Socio: 15 euro - Rivista in PDF Abbonato: 25 euro - Come il socio, ma con la rivista cartacea Sostenitore: 35 euro - Come l’abbonato, ma con un libro a scelta Eroe: 100 euro - Come il sostenitore, ma ricevendo a casa tutti i libri prodotti dall’associazione nell’anno solare. Per abbonarti ti basta cliccare su www.mamma. am/abbonati o versare la somma corrispondente alla tua modalita’ di iscrizione sul c/c postale 6972234 intestato a Associazione Altrinformazione - Bologna, specificando nella causale di versamento “Iscrizione Altrinformazione” e l’eventuale libro richiesto nel caso di iscrizione come sostenitore.
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RACCONTI DISEGNATI DI FELICITÀ RIVOLUZIONARIE
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Discorso di Thomas Sankara sulle donne [8 marzo 1987, in occasione della giornata internazionale della donna a Ouagadougou]
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(…) Se per la società quando nasce un maschietto è un “dono di Dio”, la nascita di una bambina è accolta, se non proprio come una fatalità, come un regalo che servirà a produrre alimenti e a riprodurre il genere umano.
Si insegnerà all’ometto a volere ed ottenere, a dire e a essere servito, a desiderare e a prendere, a decidere senza appello.
Mentre il fratello di quattro, cinque o sei anni giocherà fino alla spossatezza o alla noia (...)
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Le nostre sorelle crescono fra riti e obblighi di sottomissione, sempre piĂš dipendenti, sempre piĂš dominate, sempre piĂš sfruttate e con sempre meno tempo libero e svago.
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Invece la vostra apparente debolezza fisica non è nient’altro che la conseguenza delle regole di vanità e di gusto che questa stessa società vi impone perché siete donne.
In ogni uomo dorme un essere feudale, un fallocrate che occorre distruggere.
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“Per oppresso che sia, un uomo trova sempre un essere da opprimere: sua moglie. (...) La vera emancipazione della donna è quella che induce l’uomo alla considerazione e al rispetto.” 33
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ANDREA SEMPLICI ANDREASEMPLICI.IT
IL CAPPUCCIO
E IL REGGISENO
N
on mi sono subito reso conto che erano “divise”. Ero solo sorpreso e attratto dalla composizione della scena che sembrava non stupire nessuno. Un frate domenicano… alt: io non so riconoscere le divise e quindi non so se questo uomo alto, massiccio, bello, con un cappuccio nero e una tunica elegante sia un monaco o un frate. Non so se è davvero un domenicano. Azzardo che lo sia. E lei, la Grande Donna, così bella e imponente, che divisa indossa? E’ altissima questa donna, la sua divisa mi appare speciale, lustra e luccicante, certo “essenziale”, ma colpisce l’immaginazione, sfiora la fantasia. Solo la mia immaginazione? Siamo alla stazione di Milano. I suoi marmi sono il fondale di questa scena piccola e grandiosa. Uomini e donne, centinaia di uomini e donne, passano in fretta. Camminano così velocemente che non si rendono conto. Non porgono omaggio alla contraddizione delle divise. E’ troppo grande, la Grande Donna per essere notata sul serio. La sua divisa lancia messaggi che nessuno sembra comprendere. Confesso: mi sembra un errore pubblicitario. Mi sarei fermato se, sotto di lei, non mi fossi accorto di questo raffinato (e inconsapevole?) frate domenicano? Oppure mi sarei messo io al suo posto, all’ambito servizio di attendente della Grande Donna? In fondo non è così scandalosa questa uniforme femminile. E’ che appare fuori posto nella grande sala di ingresso della stazione di Milano. Ma forse non lo è. Qui deve stare. Esposta come un corazziere di fronte al Quirinale. Ne ha
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lo stesso portamento fiero e sensuale. Il frate domenicano non deve essersi accorto di niente. Io mi ostino a girarci attorno e a fare foto con timidezza. E lui sembra non vedermi. Non ha occhi per le mie manovre. E’ tutto preso dal cellulare. Sono fortunato: un domenicano distratto, avvolto nei suoi pensieri, e una donna che, per dovere di contratto, non può muoversi. Di solito le divise non amano essere fotografate di nascosto. Ma questi due, il frate con la tunica le Grande Donna in mutande e reggipetto, appaiono indifferenti. Non si guardano, si ignorano, tutti presi nel loro ruolo e nel non sapere esattamente cosa fanno qui. Il domenicano (e se fosse un certosino, magari un benedettino?) lo immagini nel chiostro di un convento. La donna la immagini in una camera da letto. Forse sta aspettando qualcuno e si è messa bella per lui. Invece, entrambi se ne stanno in mezzo a una stazione. Avevano un appuntamento clandestino? Avevano firmato un’alleanza fra divise diverse? Un patto a difesa della loro identità contrapposta? Una soluzione alla loro contraddizione? La donna avrebbe voluto essere sorella e il frate avrebbe voluto stare lì in mutande? E’ lei che il frate sta cercando al cellulare? Non lo so. Non lo saprò mai. Anche il mio treno parte. Non si riesce mai a fermare il tempo. Non si ha mai il coraggio di chiedere. Sono indulgente per loro due. Li ho fotografati perché non volevo dimenticare il loro stare così sull’attenti, mentre, invece, avrebbero voluto prendersi per mano e togliersi di dosso le loro divise. Magari lo hanno fatto non appena me ne sono andato. Non sono stato paziente.
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Sono i testi presenti nelle collane polinformazione e ping the world. Dalla rivoluzione tunisina, all’uso dei social media in cina, dall’uso delle tecnologie in africa alle navi dei veleni al largo delle coste calabresi, dal viaggio in Giappone dopo lo tsunami del 2011, alle voci dei blogger africani.
Quintadicopertina è una casa editrice senza libri. Sembra strano? Eppure, in realtà nessuno legge libri. E ogni lettore sa che i libri non si possono portare sempre tutti con sé. Legge storie, informazione, fumetti, racconti. E se li può portare ovunque vada. E di questi, Quintadicopertina ne ha molti.
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GIANPIERO CALDARELLA
THOMAS MAGNUM
SCOMUNICAZIONE.IT
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DISERTORI DI LUSSO
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a certe uniformi si esce solo coi piedi a paletta. Una volta indossata, è come se rimanesse attaccata alla pelle. Non si stacca. Non si può. Una bianca uniforme che si posa su una pelle bianca che infine si riposa dentro un marmo bianco, nei secoli dei secoli. É il bianco a dominare, anche se l’uniforme completa, almeno da 150 anni a questa parte, cioè dai tempi di Pio IX, prevede una sottana di lana color avorio, un abito talare bianco con o senza manicotti e 33 bottoni che evocano gli anni di Cristo, una sottana di seta “moire” da chiesa, una fascia di seta, uno zucchetto, un paio di scarpe di pelle rossa e la mozzetta, cioè la mantellina bianca. Avete capito di chi stiamo parlando. Per lui non vale il detto che “l’abito non fa il monaco”. No no! È proprio l’abito che fa il papa. Perché di quell’abito, in giro ce ne dev’essere uno solo. L’usato sicuro non esiste. Neanche un sosia del pontefice potrebbe indossarlo senza destare sospetti. Due papi avvistati contemporaneamente in luoghi diversi sarebbero devastanti per la cristianità, un po’ come stravolgere il mistero della “trinità”, sostenendo che non sono tre, ma nove, gli elementi che compongono il nostro dio. Sarebbe una “novità”, una cosa tipo tetris o un brevetto dell’Ikea. Ma la Chiesa, si sa, ama le tradizioni, per questo da secoli si serve degli stessi ”santari”, cioè i sarti ecclesiastici, per confezionare l’abito dell’unico erede di San Pietro. Papi o cardinali, tutti da lì sono passati. Giro fianchi, giro vita, giro papa. Morto un papa, se ne fa un altro, di abito, anzi, se ne
fanno tre, di taglie diverse, per esser certi che almeno uno possa andare bene per il neopapa. E le uniformi dei papi che furono? Nessuno le ha mai volute indietro. Il problema non si è mai posto. Non esistono gli ex papa. Uno può essere ex presidente della Repubblica, ex primo ministro, ex capo di quello che volete, ma un ex papa non si è mai visto. E invece l’ex papa Ratzinger ha rotto una tradizione che reggeva da secoli. Altro che vecchio topo di biblioteca e conservatore. Il buon Joseph ha dimostrato di avere del sangue punk che gli scorre nelle vene, di essere un uomo di rottura, uno spaccaclero, più di Sartre che rifiutò il Nobel o di Milingo che accolse tra le sue braccia Maria Sun. E pensare che per gran parte del suo pontificato, Giuseppe Razzingher, ha dovuto fare i conti con l’ingombrante presenza di Giovanni Paolo II. Riuscire a trovare uno spazio nei cuori dei fedeli era più difficile per lui che per il figlio di De André. Impossibile riuscire a farsi notare dopo un predecessore che negli anni continuava a vendere più calendari di Belen e Belìn (noto trans genovese) messi insieme. E così, dall’alto della sua uniforme, gli venne l’ideona: “Io mi posso spapare”. Era l’unico modo per entrare nella grande storia dalla porta principale. E ripensò: “in culo al polacco, taglierò le gomme alla papamobile, darò due buffetti sulla quacchera al cardinale Sodano e poi...poi potrò finalmente vestire Dolce & Gabbana, come Madonna. IO ME NE VADO”. Non aveva torto, con un curriculum così poteva fare qualunque cosa. Anche il testimonial per il Dash. “Più bianco non si poteva”.
Riccardo Orioles Segnalazioni gratuite di iniziative amiche. Nessun annuncio a pagamento è presente nella rivista.
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CAROLINA CUTOLO
AMALIA CARATOZZOLO
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PERDONATEMI
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MADRE
erdonatemi, Madre, perché ho peccato. Quella mattina Suor Paola, dopo aver recitato i salmi preparatori in sagrestia, si avvicinò al piccolo confessionale con gli stessi sentimenti di ogni giorno: fiducia nel potere del pentimento, gratitudine di poter servire la sua Sposa Celeste, e un senso di profonda superiorità morale dovuto all’esclusiva facoltà di estinguere i peccati degli uomini. Una volta entrata nell’antico gabbiotto in legno di noce, prese posto sullo sgabello e si aggiustò l’amata tonaca con un gesto che, dopo ben 32 anni di esercizio della sua funzione, si collocava perfettamente a metà tra automatismo e concentrazione rituale. Le prime confessioni si susseguirono come nella norma, i soliti peccatucci veniali, le solite lagne da paese di provincia. Tutto liscio come l’olio finché una richiesta di perdono non fu pronunciata da una voce familiare, provocandole un brivido di inquietudine: perché Don Mario si era messo in fila con i fedeli qualsiasi? Glielo chiese, e il prete, evidentemente turbato: Perché il mio peccato è così grave che merito di espiare in mezzo a tutti i comuni non ordinati. Tra la curiosità e la preoccupazione, Suor Paola lo incalzò: Parla, dunque, ti ascolto. Sono tre anni ormai. Tre anni che vivo tormentato in segreto da un demone che mi tenta e mi fa dubitare dell’ordine sacro, dei misteri della fede, e soprattutto di uno dei precetti più saldi su cui si fonda la nostra Santa Madre Chiesa. Sorpresa di sentire simili parole da uno dei fratelli più devoti e pii non solo della Parrocchia, ma dell’intera Diocesi, Suor Paola insistette: Caro fratello, la Santa Madre è qui per ascoltare i tuoi peccati. Parla senza timore. L’ultima volta è stato ieri, la tentazione era così forte... Sapevo di essere nell’errore ma non ho potuto resistere: ho sottratto una delle sue tuniche per la celebrazione della messa, l’ho indossata, e ho recitato l’omelia davanti allo specchio immaginando centinaia di fedeli davanti a me... Suor Paola si coprì gli occhi con una mano e fece un gesto tremante l’altra come a dire: continua: Il demone mi sussurra in continuazione frasi tentatrici, mi dice che non è giusto che solo le sorelle suore possano indossare la gonna sacra, dire messa, dare l’eucarestia ai fedeli! Io lo so che è sbagliato, ma il desiderio scellerato
cresce in me ogni giorno!! Madre, lei che può: mi aiuti! Mi convinca! Mi redima! E pensare che si era fatta trasferire dalla città a un piccolo centro proprio per evitare simili blasfemie. Ora le toccava ricominciare da capo: Fratello Mario. Tu sei in una profonda oscurità che deve essere spezzata. La Santa Madre Vergine Maria, unica e sola nostra luce, è DONNA. Costei ha ben distinto fin dai tempi dell’Eden i due generi. Ed è stato l’UOMO a tentare la donna, porgendole il frutto proibito, simbolo del peccato originale. Lo so! E mi creda, Madre, nessuno lo sa più di me! Ma non riesco a non pensare che sia ingiusto che io non possa indossare la tunica femminile, che sia costretto ai calzoni da laico! Perché? Madonna Santissima, Vergine dall’Eterno Candore, perché punire tutti per il peccato di un solo uomo? Suor Paola, esasperata, abbandonò in un solo istante il contegno faticosamente costruito in tanti anni di sacerdozio: Fratello Mario! Lei è un cretino! Il corpo dell’uomo è fisiologicamente per sua natura scandaloso e non potrà MAI essere degno della sacra tunica! E meno che mai di toccare l’ostia consacrata con le proprie mani o di parlare ai fedeli dal pulpito! Solo alla donna, il cui corpo timorato nasconde castamente i genitali alla luce del sole, sono concessi dalla Madonna questi sacri privilegi! Ma io... NIENTE MA! Finché l’uomo avrà un disgustoso pene tra le gambe è assolutamente IMPOSSIBILE che sia degno di accedere all’esercizio dei riti sacri! Il prete, nel sentire quelle parole, cambiò improvvisamente espressione. Dalla prostrazione della supplica passò di punto in bianco a una postura più eretta, a uno sguardo deciso, a un sorriso rasserenato. Grazie, Madre. Ero certo che solo lei, nella sua infinita saggezza, avrebbe potuto aiutarmi. Non mi resta che estirpare il male alla radice, punire il mio corpo peccatore e renderlo finalmente degno dei santi uffici, eliminando l’unico ostacolo che si frappone tra me e la santità: il disgustoso pene. La suora, esausta ma finalmente sollevata, si asciugò il sudore dalla fronte, si risistemò l’abito sacerdotale, e aggiunse con un filo di voce: Bravo Mario. Va e non peccare più.
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DARIO CAMPAGNA DARIOCAMPAGNA.BLOGSPOT.COM
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ROBERTO UGOLINI
CHIARA SMACCHI KIA063.WIX.COM/CHIARASMACCHI
INTERVISTA A RUDRA BIANZINO
A
ldo Bianzino, falegname di 44 anni, conduce una vita tranquilla in un casale di Pietralunga (PG). La mattina del 12 ottobre del 2007 le forze dell’ordine fanno irruzione nella sua abitazione e sequestrano alcune piante di marijuana. Aldo si assume la totale responsabilità di fronte agli agenti ma, sia lui che la compagna Roberta Radici, vengono condotti nel carcere di Capanne, a Perugia. Il figlio Rudra, appena quattordicenne, rimane solo in casa con l’anziana nonna. L’epilogo è tragico: due giorni dopo Aldo viene ritrovato esanime all’interno della sua cella di isolamento, il decesso verrà dichiarato poco dopo dal personale sanitario. Aldo Bianzino, entrato in carcere in perfette condizioni di salute, ne è uscito morto in quarantotto ore. Per i medici legali la morte è avvenuta per cause naturali. L’unico procedimento giudiziario è quello per omissione di soccorso ai danni della guardia penitenziaria. La compagna Roberta, dopo aver iniziato la sua battaglia per la giustizia, morirà di dolore nel 2009, senza conoscere la verità. Rudra, rimasto completamente solo, viene raggiunto dallo zio Ernesto che torna dalla Germania per occuparsi di lui.
SI
AVVICENDANO DIVISE BLU, DIVISE GRIGIO-VERDI, CAMICI BIANCHI E TOGHE NERE DANDO VITA A UN COPIONE OLTREMODO LUCIDO E CRUDELE, MA GIÀ VISTO FIN TROPPE VOLTE. PER RUDRA - APPENA ADOLESCENTE NON È INCUBO, MA UNA SPIETATA REALTÀ CON LA QUALE CONVIVERE. LO STATO GLI HA STRAPPATO IL PADRE, IL DESTINO LA MADRE. UN RAPIDO E TRAGICO SUSSEGUIRSI DI EVENTI CHE LO HANNO OBBLIGATO A MATURARE PRECOCEMENTE. ORA, A NEANCHE VENT’ANNI, È GIÀ UN UOMO DECISO A CONTINUARE UNA BATTAGLIA IN NOME DI SUO PADRE ALDO, DELLA VERITÀ E DELLA GIUSTIZIA. LO INCONTRIAMO UNA FREDDA DOMENICA POMERIGGIO A POCHI CHILOMETRI DA PIETRALUNGA, IL PAESE IN CUI VIVE, IMMERSO NELL’APPENNINO UMBROMARCHIGIANO. CERCHIAMO DI CAPIRE CHE SPERANZE CI SONO DI RIAPRIRE UN CASO SU CUI LA GIUSTIZIA HA FATTO CALARE TROPPO PRESTO IL SIPARIO.
Partiamo dal dicembre 2009, quando l’inchiesta per omicidio contro ignoti viene archiviata. Proviamo a ripercorrere la vostra la vostra battaglia per la verità da quel momento ad oggi. Quando è stata aperta l’inchiesta per omicidio ero appena quattordicenne, il PM disse a mia madre: “Svolgeremo le indagini a 360° ma non vi assicuriamo di trovare il colpevole”. Ora, ragionandoci, si trattava di indagare su un evento avvenuto in una struttura chiusa dello Stato e non puoi partire con questi presupposti. Le indagini furono affidate alla polizia penitenziaria, non venne fatta alcuna rilevazione e il tutto venne archiviato nel dicembre 2009 per mancanza di prove. Nel frattempo continua il processo per omissione di soccorso. L’unico ad essere processato è Cantoro (la guardia penitenziaria presente la notte della morte di Aldo, ndr), l’ultima ruota del carro. L’anno scorso il processo si è concluso con la condanna dello stesso Cantoro a un
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anno e mezzo per omissione di soccorso con pena sospesa. E’ emerso qualcosa riguardo agli agenti che hanno fatto irruzione quella notte? Sono mai stati coinvolti nel processo? Sono emersi elementi sconcertanti, come il fatto che le celle degli altri detenuti furono coperte con delle lenzuola mentre trascinavano il corpo di mio padre fuori dalla cella. Poi ci sono molti punti bui, ma partiamo dalla perquisizione a casa: sono arrivati in cinque e hanno trovato solo qualche piantina e 30€ in contanti. Benché mio padre si fosse assunto ogni responsabilità a riguardo, arrestarono entrambi i miei genitori lasciandomi solo con mia nonna che – per fortuna – nonostante i 92 anni era pienamente autosufficiente. Si sono avviati con due macchine e una camionetta verso la procura di Città di Castello e, pur essendo partiti tutti insieme, la macchina
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che trasportava mia madre ha aspettato l’altra – quella con dentro mio padre – per almeno 15 minuti. I miei conoscevano benissimo quelle strade, potrai capire il loro stato d’animo in quegli istanti. Nonostante tutto ciò, nessuno di questi agenti è mai comparso agli atti di alcuna inchiesta. Le morti di Aldo, Cucchi e Aldrovandi hanno diversi punti in comune. Sembra che ci sia una sorta di matrice ideologica dietro questi delitti. Certo, qui non si parla di un episodio isolato ad opera di uno squilibrato, tipo il mostro di Firenze. Sono luoghi diversi, persone diverse. Questo è proprio un sistema, che queste cose accadano è appurato. Cose incredibili per un paese che dovrebbe essere avanzato e democratico. Pensa appunto ad Aldrovandi, un ragazzo che se ne stava semplicemente tornando a casa. Ho forti dubbi sui criteri di selezione delle forze dell’ordine. Quasi sempre le vittime di questi episodi sono i più vulnerabili, potrebbe veramente succedere a chiunque; eppure la reazione della maggioranza dei miei coetanei di fronte a questi fatti è di totale menefreghismo. Il PM ha ritenuto insussistente l’ipotesi di omicidio. Quali motivazioni ha fornito? Secondo il giudice le lesioni erano legate alle manovre di rianimazione. Capisci, è difficile giustificare un simile buco nell’acqua. Considera inoltre che fu sempre lo stesso PM ad autorizzare la perquisizione a casa mia. Le figure coinvolte mi hanno dato l’idea di essere le dita della stessa mano: distinte, ma comunque vincolate tra di loro. Insomma, come spesso accade, ci sono interessi enormi che purtroppo finiscono per schiacciare la verità e compromettere la vita delle persone più deboli. Ad esempio, perché non ha mai ritenuto utile, ai fini dell’inchiesta, prendere in mano i tabulati telefonici e l’analisi dei filmati delle telecamere a circuito chiuso ? Il processo era per omissione di soccorso e non si potevano includere prove al di fuori di questo capo d’imputazione. La situazione era evidentemente paradossale visto che, se mio padre necessitava di un soccorso, evidentemente doveva essere anche accaduto qualcosa. Queste richieste non sono mai state accettate anche se, come dimostrano i recenti casi come quello di Uva, le registrazioni potevano essere decisive. Lo scontro tra periti ha fatto emergere diverse contraddizioni, tra cui il fortis-
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simo dubbio sul presunto aneurisma di tuo padre.
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Il professor Fineschi, consulente dei miei avvocati, oltre che un grande professionista si è rivelato anche una persona eccezionale. Come dicevo poc’anzi, ha fatto emergere lacune sconcertanti sui referti dei medici legali. Pensa che alcune TAC, agli atti del processo come esami eseguiti sul corpo di mio padre, si sono in realtà rivelate immagini d’archivio. Ci sarebbero già le basi per riaprire il caso sulla base di queste perizie? Tutte le nostre richieste durante il processo appena concluso sono rimbalzate contro un muro di gomma ma, secondo i nostri legali, basterebbe reimpostare tutte le prove raccolte alla luce degli elementi emersi di cui ti parlavo per aprire un nuovo processo. Durante questa vostra battaglia per la verità, siete venuti a conoscenza di altri casi del genere che non hanno avuto alcuna risonanza mediatica? Questi episodi succedono spesso, infatti ai miei avvocati sono arrivate diverse lettere, anche da parte di altri legali, che ci avvertivano delle difficoltà che ci sono nell’intraprendere un processo contro le istituzioni. Ci sono anche molte persone che non trovano il coraggio di denunciare gli abusi e per gli immigrati è ancora più difficile. Avete subito anche atti intimidatori, come l’aggressione ai danni della segretaria dell’avvocato Zaganelli. Ci sono stati altri episodi? Per fortuna, oltre a quell’episodio, non è successo altro. La situazione mi sembra già abbastanza pesante com’è. Che rapporto si è instaurato con il tuo legale? Si è instaurato un legame che va ben al di là del lato economico e professionale. Il mio avvocato ne ha fatto una sua questione personale, ha accettato un incarico molto scomodo e sta lottando insieme a noi per la verità e la giustizia. Appena due settimane dopo un altro delitto, quello di Meredith Kercher, che ha goduto di a un enorme copertura mediatica. Può aver influenzato negativamente l’inchiesta sulla morte di Aldo? Sicuramente. Sono successi 2 fatti clamorosi praticamente insieme, nello stesso posto, ma tutta l’attenzione è stata rivolta verso il caso Kercher. Come al solito l’informazione si occupa più di vendere storie che di fare inchieste.
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quella era la storia perfetta: droga, trasgressioni sessuali, immigrati: tutti gli ingredienti giusti per catalizzare l’attenzione. Spesso, purtroppo, l’attenzione mediatica è una spinta indispensabile alla macchina della giustizia. La sentenza Aldrovandi ne è un esempio positivo da questo punto di vista. Dopo la tragedia è nato il comitato “Verità per Aldo”, puoi informarci sulle prossime iniziative previste? Al momento il comitato è un po’ fermo, i ragazzi che lo hanno fondato sono ovviamente presi dagli impegni della loro vita privata. Comunque il sito è ancora attivo e c’è anche la pagina facebook. Con altri comitati stiamo pensando ad una manifestazione a Roma, vi terrò aggiornati. Parlaci della tua quotidianità, con quali sussidi sei riuscito a vivere e studiare ? Lo Stato non mi ha aiutato per nulla, si può dire che vivo ancora grazie alla sottoscrizione promossa a suo tempo da Beppe Grillo. Dopo la morte di mia madre mio zio è venuto a vivere con me, anche se non era assolutamente obbligato a farlo. Viveva in Germania da vent’anni e aveva un lavoro redditizio. Quando è arrivato qui gli avevano garantito un’occupazione che gli è stato data solo dopo tre anni, ora lavora nella società che si occupa di gestione dei rifiuti per il comune di Perugia. E per il tuo futuro cosa hai in mente? Questa è la domanda più difficile. Intanto quest’anno mi diplomerò, poi valuterò se iniziare subito a lavorare o se continuare a studiare. Mi piacerebbe iscrivermi all’università, sarebbe anche una bella esperienza di vita, ma devo comunque considerare l’impegno economico che comporterebbe.
esso si divise. Piacevolmente identitaria lo chiuse al mondo che voleva salvare da altre divise.
alfine la odiò perchè disse siamo tutti uguali
finalmente per nulla uguali
appendendo lo status al chiodo
e si scoprĂŹ diviso uscendo dalla stessa stanza, non dalla stessa porta.
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PINO SCACCIA PINOSCACCIA.WORDPRESS.COM
IL MONDO
VISTO ATTRAVERSO
UNA RETINA KANJANO KANJANO.ORG
è
sempre girata fra noi cronisti di frontiera una battuta: “sai che sotto il burka potrebbe nascondersi anche un marinaio?” per dare l’idea di quell’obbrobrio di lunga tanica azzurra (a Kabul) che trasforma una donna in un essere che cammina. E non è solo una battuta se è vero che un reporter inglese, nei primi anni di occupazione, ha tentato di infilarsi dentro le linee talebane nascosto da un burka. Non so se il burka sia una divisa, ma certamente rappresenta da solo tutto il grande mistero afghano. Una volta l’ho voluto provare. Sono andato nella solita Chicken street, la via dei (pochi) turisti e di negozi che vendevano burka ne ho trovati molti. Il paradosso era che insieme a noi cretini di occidentali che lo cercavamo come souvenir c’erano le donne tagike che lo acquistavano per rinnovare il guardaroba. Ho scoperto anche che sembrano tutti uguali, ma non lo sono. I tessuti sono diversi, così come i prezzi. Insomma, ci sono burka per afghane ricche e afghane povere. Io ne ho comprato uno di qualità media, a trenta dollari, che lì sono una cifra. Prima di portarlo a casa, come ricordo di un mondo lontanissimo, l’ho voluto provare. Alla sera, chiuso nella mia stanzetta fredda della guest house l’ho infilato. La sensazione è stata sconvolgente. Non per quello che gli altri potevano vedere, ma per quello che vedevo io. Quella retina davanti agli occhi la sentivo come una prigione. Il mondo visto attraverso una retina: l’alba, il tramonto, i colori, tutto filtrato da quella retina. Mi sono chiesto: ma che mondo è? Può essere accettabile per una donna un mondo senza dignità, pieno di sogni repressi, senza luce né speranza, prigioniera di una cultura che le assegna un destino così triste? La mattina dopo ne ho parlato, con Fausia: cinque figli, uno piccolissimo. L’ho incontrata a casa dove non è obbligatorio il burka ma lei ce l’aveva perché doveva parlare con un uomo. E’ già una che sta avanti, sulla strada per la riscossa. Le ho chiesto di toglierselo: l’ha fatto. - Si sente diversa adesso? “Si’, molto diversa. Quando mostro il mio viso sono felice” - Che cosa desidera di più nella vita? “Voglio poter vivere, mangiare, bere, non morire di freddo, mandare i figli a scuola” - Cosa invidia alle donne occidentali? “Niente, non invidio niente. E neanche chiedo aiuto. Siamo noi donne afghane a dover lottare per l’Afghanistan, dobbiamo cambiare, da sole”. Un sogno, Fausia. “Io ho tre sogni. La pace innanzitutto. E poi cibo, e libertà”. Quando sono andato via ha trovato il coraggio di stringermi la mano. Ma attraverso quella tela azzurra cucita da lei stessa. Il futuro è ancora lontano. Ho ancora quel burka. Ma non l’ho più messo: ho voglia di vedere il mondo pulito, senza filtri.
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THIERRY VISSOL
CONSIGLIERE SPECIALE MEDIA & COMUNICAZIONE COMMISSIONE EUROPEA - RAPPRESENTANZA IN ITALIA
UNIFORME UNIFORMITÀ
PENSIERO
UNIFORMATO
L’ABITO DEL FUNZIONARIO EUROPEO
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Bruxelles, dove risiedono e lavorano la gran maggioranza dei funzionari europei, piove spesso. Il cielo è più basso che in altri paesi e di un colore grigio inimitabile. Forse è questa la ragione per la quale i belgi hanno un umorismo peculiare, e si sono inventati il surrealismo. Non a caso l’esponente principale del surrealismo, il belga René Magritte ha fatto piovere dei funzionari vestiti tutti allo stesso modo: impermeabile scuro, cravatta, pantaloni di un bel grigio scuro e cappello a bombetta. Una figura, questa del funzionario, che attraversa tutta la sua opera. Morto nel 1967 Magritte ha ben conosciuto l’inizio della costruzione europea, presente dal 1951 a Bruxelles, la capitale provvisoria dell’Unione. (E’ diventata definitiva solo col Trattato di Lisbona, entrato in vigore quattro anni fa). Certo, il cappello a bombetta non è più tanto di moda. E, di fatto, a Bruxelles, che fu all’inizio del secolo scorso la capitale del cappello, c’è ancora vicino alla Grand Place una strada: “la Rue des Chapelliers” testimone di questo passato, ma non ci sono quasi più negozi di cappelli. Di conseguenza, pochissimi funzionari comunitari portano ancora un cappello. Questo permette di smentire l’adagio francese: “grand chapeau, petite tête” (grande capello, piccola testa), forse un segno di speranza, utile in questo periodo di crisi generale dei valori. Tuttavia ammetto che – come funzionario europeo da ben trentatré anni, di cui ventotto a Bruxelles – porto sempre d’inverno un cappello, soprattutto per lottare, con mezzi sostenibili (il “politically correct” del buon funzionario), contro la sinusite. Ma è sempre un cappello di produzione italiana, di una marca da cui tacerò il nome, per non fare pubblicità commerciale in queste colonne. Basta dire che questo tipo di cappello fu anche il preferito del presidente francese François Mitterrand. Di quest’ultimo si può dire tutto, ma non che avesse una piccola testa. Mi sto allontanando dal tema, ma non cosi tanto, sapendo che fu Mitterrand, insieme a Helmut Köhl e a Jacques Delors, che rilanciò la costruzione dell’Unione europea iscritta nel trattato di Maastricht insieme ai diritti dei cittadini europei e all’euro, il capro espiatorio preferito di molti cittadini e politici. (Sempre meglio accusare uno strumento che i veri responsabili “umani” dei disastri e del mal governo). Ritorniamo all’uniforme del funzionario comunitario. Quando si gira nel quartiere europeo intorno a Rond-Point Schuman, dove si trovano le sedi delle tre principali istituzioni europee (parlamento, Consiglio e Commissione) ma anche del Comitato delle regioni e del Comitato economico e sociale, sorprende sempre incrociare gruppi di uomini con cravatta e abito scuro, spesso poco visibile perché coperto dell’indispensabile impermeabile – generalmente marrone o grigio – e come unico tocco di colore l’ombrello blu con stelle gialle (chissà perché?) Un po’ caricaturale certo, ma non tanto per l’abbigliamento degli uomini. Le istituzioni comunitarie, grazie a una politica dinamica, assicurano le pari opportunità tra i sessi, e di conseguenza più della metà dei funzionari sono funzionarie. E come si sa, è difficile obbligare una signorina (anche se non più tanto “ina”) a limitare il suo guardaroba a due colori, neppure per motivi superiori come la possibilità di fare carriera dimostrando la propria professionalità col tono serio dei colori scuri. Tuttavia, sempre per rimanere nel campo degli adagi “l’abito non fa il monaco” o per rimanere con Magritte, a cui piacevano le rondini: “Una rondine non fa primavera”. Si deve notare che la specie “eurocrate”, come tante altre specie di una natura sempre più dominata dalle multinazionali globali e dal consumo stereotipato, è in via di estinzione. Via, via, il funzionario comunitario, considerato dai politici nazionali come pericoloso perché troppo indipendente dalle politiche nazionali e troppo attento al “comonwealth” europeo, è sostituito da funzionari nazionali, che fanno un’“andata-ritorno” di circa tre anni tra Bruxelles e il loro nido naturale – il tempo massimo per non essere contagiato dall’”europeite” (malattia molto difficile da curare).
*L’autore si esprime a titolo personale. Le sue opinioni non coincidono necessariamente con quelle della Commissione Europea.
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emmeppi mp-vignacce-e-fumetti.blogspot.it
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CARLO GUBITOSA TWITTER.COM/CARLOGUBI
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MARCO RIZZO
GIUSEPPE LO BOCCHIARO
WARBULLETIN.BLOGSPOT.IT
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MAFIA STYLE C’
erano tutti, alla riunione. C’era pure Alfio, da Barcellona Pozzo di Gotto, co’ tutto che era rimasto sulla sedia a rotelle da un anno, per il diabete. Da Milano era venuto Nino, il messinese che aveva aperto una catena di macchine a noleggio e s’era creato un impero. Da Palermo c’erano quattro persone, tra cui spiccava perlomeno per massa fisica Totò Barcone, detto U’ Titanich. La provincia di Trapani era rappresentata da Gino Melluso, che da quando era indagato a piede libero sulla trattativa Stato-Mafia si atteggiava manco fosse una star del cinematografo. Da Catania c’era Sciortino, il rais dei supermercati e imperatore dei centri commerciali, che indossava un completo di Armani di cui spolverava le maniche con la punta delle dita con ossessione. Tra le assenze eccellenti si segnalava quella di Petru “Fudduni”, che avevano beccato nel suo bunker a Gela giusto tre giorni prima. Aveva una mano nelle mutande e un’altra sul mouse del computer mentre rivedeva vecchie puntate della Prova del Cuoco. Non era un’uscita di scena degna di Scarface come sognava, evidentemente. La convocazione però gli era arrivata, come a tutti e 20 del resto. Sotto forma di pizzino da bruciare quanto prima, una strisciolina di carta con su scritto: MERCOLEDÌ 23 GENNAIO – ORE 19:00 RIUNIONE PROGRAMMATICA CAPI MANDAMENTO SOLITO POSTO OGGETTO: AGGIORNAMENTO ESTETICO Affianco al trio a capo della cupola (Barcone, Sciortino e Caravò in sostituzione di “Fudduni”) sedeva un giovanotto con i capelli ricci e gonfi come un cantante da disco dance di qualche decennio fa. Gli occhiali grandi e dalla montatura spessa, con le stanghette a scacchi, non nascondevano lo sguardo smarrito. Fu introdotto da Sciortino al resto degli astanti, poco dopo che finalmente presero a sedersi, dopo i baci, gli abbracci, le strette di mano e anche un paio di malutaliate tra
Melluso e Tano Scillato, di Agrigento. «Questo, cari gentiluomini, è Tony. Tony è un creativo.» «Ah! Un cretino? Unn’u viri comu si veste?» Alle parole di Scillato (a cui la vecchiaia giocava brutti scherzi), Tony, il creativo, percorse il suo stesso abbigliamento con lo sguardo, dall’alto verso il basso. Per alcuni sembrava che si stesse vergognando di sé e non reggesse le occhiate giudicanti della cupola riunita. «Un creativo, scimunito! Te l’ho detto che ti devi mettere l’apparecchio per le orecchie!» Toccò a Tano vergognarsi pubblicamente, ma questo non rese Tony più sicuro di sé. La parola passò a Totò Titanich. «Abbiamo chiamato Tony per darci una mano a svecchiare l’immagine della nostra organizzazione. L’ultima volta risale a vent’anni fa, quando sapete tutti cosa è successo e cosa abbiamo dovuto fare». Totò sospese il suo discorso per lasciare che gli astanti facessero cenno di sì con la testa, inarcando le labbra e scambiandosi sguardi di intesa e commozione, con un pizzico di nostalgia per i tempi che furono. «Adesso anche quel vecchio approccio non funziona più. Sta cosa dei colletti bianchi c’ha rovinato. Non ci aiuta più. Lo sanno anche i nostri colleghi emigrati su a Milano… avete visto quelli della ‘ndrangheta, no? Sto sistema non ci fa mimetizzare, anzi! Ora un giudice abbasta che vede uno con la cravatta e la camicia ci va rompe i cugghiuna.» Disse l’ultima frase guardando Sciortino, a suo agio nel completo come se indossasse carta vetrata ma che nonostante la scomodità della cravatta sul triplo mento fece di sì con la testa, come a dire: «Minchia, che non lo so?». «Quindi Tony, che è un esperto… ehm…» «Di immagine…», precisò il ragazzo. « Tony, che è un esperto di immagine, ci darà qualche dritta su come aggiornare il nostro look.» Tony, ancora leggermente intimidito, aprì il suo macbook, pigiò un tasto dal videoproiettore e sulla parete scorticata del rifugio apparve una prima diapositiva.
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«Ehm… buonasera. Come certamente sapete…» L’imbarazzo di Tony era così percepibile e concreto che Melluso avrebbe potuto afferrarlo e strangolarlo. Ma il ricordo della cifra promessa per quella semplice consulenza gli fece riprendere coraggio. “Oh, il lavoro è lavoro”, pensò. «Ehm… come sapete, oggi l’apparenza è tutto. Come vi siete messi alle spalle coppola e lupara, è tempo che aggiorniate ancora una volta il look della vostra organizzazione. Nel mondo di oggi, è necessario un look coordinato e allo stesso tempo personalizzato, che rispecchi la personalità di ognuno ma conferisca un senso di unità.» Gli astanti si guardavano a vicenda perplessi, cercando di trovare le risposte uno nell’occhio dell’altro. Furono distratti quando la foto di un modello, un ragazzo biondo sulla ventina, apparve sulla parete, con indosso una polo rosa salmone. «Quindi, via le cravatte, in le polo. Colori giovanili, estivi, che rispecchiano il clima solare di questa terra. Scarpe sportive, per tutti: sneakers comode per tutte le attività. Sia chiaro, le giacche sono ammesse sulla polo, ma basta che abbiano un taglio moderno--» Un rumore. «Che minchia è?», disse Alfio aggrappandosi ai braccioli della sedia a rotelle. Da quel momento in poi, tutto fu confuso. Tranne Alfio, si alzarono tutti. Un paio misero mano alla pistola. I rumori continuarono un po’, poi smisero. Poi con uno schianto si aprì la porta. Tony si spaventò, fece cadere a terra il computer, che si portò appresso il proiettore, e si mise a gridare. Gli uomini della Dia entrarono, armi spianate, cappucci in testa, giubbotti antiproiettile. Un look evergreen. Dopo che tutti furono ammanettati, dopo che Sciortino si complimentò con lo sbirro che dirigeva le operazioni, dopo che un poliziotto disse a Tony “Stai zitto, cretino”, non credendo alla scusa che era un “esperto di immagine, lì per lavoro”, un altro sbirro fermò i colleghi. Passata la confusione, aveva intravisto un fascio di luce per terra. «Guardate, stavano guardando qualcosa», disse rimettendo il proiettore sul tavolo. Il biondino riapparì sulla parete: «Mmm. Che palle. Ora c’è da capire chi è sto frocio.»
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La Marcia di Pio, di Nico Blunda e Giuseppe Lo Bocchiaro, Centro Studi Pio La Torre
Questo racconto parla di un ragazzino che ha guidato la rivoluzione dei contadini che occupavano le terre, contro la mafia del latifondo. Questo libro parla di un giovane che ha combattuto contro il sacco di Palermo, contro la mafia del cemento. Questo fumetto parla di un uomo che ha mostrato il vero volto della politica e dell’impegno, contro la mafia internazionale della droga e degli appalti. Questa Storia parla di Pio La Torre e della sua marcia, contro tutte le mafie, per un mediterraneo di pace. Testimonianze di Franco La Torre e Tiziana Di Salvo. Ricerche e documentazione di Antonella Lombardi. Segnalazioni gratuite di iniziative amiche. Nessun annuncio a pagamento è presente nella rivista.
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07/2011 Qualche giorno dopo aver testimoniato in procura sul “crack” del SRMT, si suicida Mario Cal, storico braccio destro di Verzé.
08/2011 Nichi Vendola: “Per noi non cambia il progetto, comunque vada. Darem o 200 milioni per questa grande opera pubblica, ospedale che la città di Taranto merita”.
06/2011 La Procura della Repubblica milan es avvia una indagine e sulla crisi del San Raffaele e sui debit i dell’ospedale.
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ASSIA PETRICELLI
SERGIO RICCARDI
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LA STORIA DI CLAUDE CAHUN È TRATTA DA CATTIVE RAGAZZE
Cattive ragazze, di Assia Petricelli e Sergio Riccardi, Sinnos, pag. 96, euro 12,00.
SERGIORICCARDI.BLOGSPOT.COM
15 storie di donne che hanno fatto vacillare tradizioni secolari, abbattuto barriere, aperto nuovi percorsi. Donne coraggiose inventrici di se stesse, ribelli, innamorate, creative, capaci di sfidare il potere e di battersi fino in fondo per essere quelle che desideravano. Un patrimonio di esperienze da cui trarre la consapevolezza che non siamo sole, che già prima di noi altre ci hanno aperto la strada, che essere donne, e uomini, “fuori dagli stereotipi” si può! Tutto questo raccontato in un fumetto pensato per un pubblico di adolescenti (ma godibile a tutte le età!) che è anche la prima graphic novel ad alta leggibilità, adatta anche ai ragazzi e alle ragazze dislessici o con difficoltà di lettura.
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PSEUDONIMO
MALÌ EROTICO
PSEUDONIMATO.WORDPRESS.COM
MALIEROTICO.COM
TUTTI NAZISTI
SIAMO NOI DA CHE MONDO È MONDO, LE MAMME DEI NOSTRI PERIODI STORICI HANNO DA SEMPRE DETENUTO IL MONOPOLIO DEL DIPARTIMENTO TESSILE DELLA REALTÀ. UNA FORMA DI POTERE NEFASTA CHE HA ROVINATO INDIFFERENZIATAMENTE LA VITA A MIGLIAIA DI SALOTTI E LA PRIMA INFANZIA AD ALTRETTANTI PARGOLETTI DI PROPRIETÀ, ERRONEAMENTE INCLUSI NELLA LISTA DI COSE DA DECORARE MALE COI TESSUTI DEL MERCATO.
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ersonalmente, realizzai per la prima volta che il copridivano a fiori s’interrompeva con un pavimento marmorizzato per poi ricominciare magicamente sulla mia camicetta, mentre la radio passava Everything counts dei Depeche Mode e mia madre la lucidatrice in corridoio. Da quel momento in poi, provai più volte a fare leva sulle differenti qualità chimiche che mi distinguevano dal mobilio: Mammina, niente...volevo solo informarti che nella mia struttura chimica non è presente alcun ottetto di Cadmio. Te lo dico perché, sai, mi piacerebbe ogni tanto vestirmi da materiale biologico. Ma mica te lo dico per male. E’ che sento il peso di una missione sociale diversa da quella di una poltrona angolare. E poi, poi mi piacerebbe tanto che, da Aiazzone, la gente riconoscesse velocemente la mia natura antropomorfa, senza alcun bisogno di analisi più approfondite. Tipo pizzicotti. Forse articolavo troppo le argomentazioni, non so. In ogni caso, niente da fare: tappezzeria senza limiti molecolari. Per questo, quando all’asilo fui costretto ad indossare i residuati altrettanto tessili del fascismo, non ebbi nulla in contrario. Accolsi di buon grado piuttosto, dopo anni di perversioni ornamentali subite, il minimalismo e l’austerità di una divisa. Niente più bacche selvatiche o foreste intricate di rododendri, né fantasie damascate o ricami patchwork di guerre puniche a delimitare la mia eventuale personalità. Piuttosto, un grembiulino azzurro per distinguerla dalla personalità floreale di una chaise longue. Mi guadagnai così l’accesso ufficiale al regno dell’organico: con la coercizione scolastica e la sua necessità di organizzare il Kaos della materia. Fin troppo meticolosa, più meticolosa del previsto, meticolosissima, la scuola faceva distinzione pure tra gli antropomorfi maschietti e gli antropomorfi femminucce. Ed ecco i grembiulini rosa.
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Per cui: non solo divani da una parte ed io e Salvatore Bucolo dall’altra, ma anche e soprattutto Napoli Stefania ed Annalisa Li Volsi da un’altra parte ancora. Col tempo capii che mi è stato conveniente imparare ad essere esteticamente difforme ad un complemento d’arredo. Ma col tempo capii pure che mi è stato più conveniente ancora imparare ad essere esteticamente conforme ad una tipologia di ominidi. In un mondo che ti somministra fricchettoni ed hipster, metallari e coatti, comunisti e fascisti, alfisti e porschisti, juventini e romanisti, buddisti e cristiani, vegani e carnivori, pacifisti e guerrafondai, borghesi e neoproletari, tennisti e calciatori, femministi e maschilisti, tramezzinisti e paninari, ognuno con la loro rigorosa divisa, non puoi mica permetterti di fare l’individuo generico. Piuttosto è meglio imparare il prima possibile le regole del pret-à-portèt. E perciò fortuna che ci ha pensato la maestra Alongi, tanti anni fa, ad introdurmi il meraviglioso mondo della moda. Questo strato dell’atmosfera dove ad ogni stoffa corrisponde una diverso punto di vista. Cominci a cinque anni con un grembiulino azzurro, e ti ritrovi un martedì sera di vent’anni dopo in una serata punk. Eccola qua dunque la vera missione pedagogica dell’apparato didattico. Imporci il valore simbolico del vestiario per insegnarci a suddividerci autonomamente in gruppi di stile e di corrispondente pensiero sempre più variegati. La storia? La geografia? La matematica? Tutte attività di copertura: i soldi veri si fanno a lungo termine con la vendita al dettaglio delle uniformi e il corrispondente smercio di ideologie cui ogni abito fa da rappresentanza. Frazionare la gente è da sempre il segreto – poi per la verità manco tanto segreto – del potere. I pacchetti di idee e le nuove collezioni autunno-inverno si riproducono per partenogenesi studiate a tavolino dal governo. Pare una cosa lampante, non credete? Massì, il famoso principio del “Divide et impera”. Perché mica ci limitiamo a pensarla diversamente l’uno dall’altro,
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o ad acchittarci in modo da sembrare differenti tipologie di coglioni, noi. No, noi ci scanniamo pure nel frattempo. Il mio look è più giusto del tuo e la Sinistra è mejo della Destra. E così, mentre noi siamo occupati ad azzuffarci in ridicole battaglie politiche per rivoluzionare il sistema con le nostre forme avanzate di grembiulini o, in alternativa, per sabotarlo tutti insieme alla serata punk del prossimo martedì, il sistema piuttosto si consolida. Evitare tutto questo sarebbe facile, se si esclude il piccolo inconveniente che, ahimè, siamo esseri umani. Creature fisiologicamente inadeguate a capire che non ci sono vestiti definitivamente fighi nella cabina armadio dell’umanità. Nel senso che, in un posto dove tutte le idee sono nostri personali fraintendimenti, dove la trovi un’ideologia che non sia una sòla? Insomma, è chiaro che nessuno c’ha capito un cacchio dell’esistenza e, nonostante questo, guarda un po’ te, ognuno ha ancora la presunzione di dichiarare all’anagrafe le congetture condivise dal suo gruppo come verità assolute: conoscete per caso creatura vivente che non interpreta in
modo religioso il punto di vista che ha fatto proprio? Rispondo io per voi: no. E la cosa figa è che, a partire da questo, decide cosa comprare da H&M e poi di conseguenza, con chi scannarsi. Vai a spiegare ad un essere umano che, a prescindere dalla catena d’abbigliamento, il multiverso delle casacche offre solo varianti sartoriali di vecchie uniformi da Gestapo. In che senso? Nel senso che, se è vero che ogni divisa sponsorizza una dottrina e se è altrettanto vero che sponsorizzare una dottrina significa rinnegare tutte le altre ad essa non conformi, allora siamo tutti nazisti. Tutti nazisti siamo noi. Ma ora questa cosa ad un comunista gliela dici tu però, perché io non ci penso minimamente.
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ASC LTA IL PEZZO O COL TUO SM A COSO RT-
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NOME E COGNOME
ANDREA BERSANI
(NO, NON È UNA SVISTA, MA UNO PSEUDONIMO)
ANDREABERSANI.IT
IL NUOVO
ZINGARETTI S
ono in molti a chiedersi il perché dovrebbero chiedersi il perché io mi spinga a chiedermi il perché delle cose. Alcuni addebitano questo mio interesse a una presunta e innata curiosità, altri a misteriosi tornaconti personali, mentre la maggior parte si asterrebbe dal commentare, se comprendesse appieno cosa si deve fare per astenersi e, per ovviare a tale lacuna in maniera rapida ed efficace, se ne fotte altamente. La mia stessa voce dal mio stesso corridoio si leva a dipanare questo enigma rivelando una scabrosa verità: non ho un cazzo da fare. In virtù di questo squallido disimpegno, seppur dotato di funzionale angolo cottura, durante una bella giornata di sole, mi sono ritrovato nel pieno della sfavillante kermesse che più appassiona gli animi di tutto lo stivale proponendo il classico sebbene avvincente scontro tra big e volti nuovi e che quest’anno ha offerto emozioni al cardiopalma per l’introduzione della pratica del televoto, ovvero La Campagna Alito Orale. Il fulcro della competizione consiste nell’impegno profuso dai concorrenti al fine di dare un saggio del proprio alito agli spettatori votanti e non mediante un utilizzo incessante dell’eloquio; sarà poi il pubblico a decretare quale degli aliti possa considerarsi più gradevole. Durante la competizione è assolutamente vietato il ricorso a colluttori o gomme da masticare che contengano ingredienti che presentino la consonante X all’interno del proprio nome commerciale e che si promuovano con spot pubblicitari basati su paradossi zenoniani, pena l’esclusione. Fu proprio il richiamo dell’eccitante concorso a strapparmi dai rari raggi di sole di una tiepida giornata invernale, scaraventandomi in un noto cinema di proprietà di un noto regista legato a un noto partito concorrente. Nella sala era presente il concorrente regionale del PD (Partito Dentistico) che si prefiggeva di incontrare
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i rappresentanti della piccola e media editoria e dell’associazionismo culturale presenti sul territorio, al fine di stabilire un rapporto tra la lettura in sala d’attesa e le cure odontoiatriche. Non nascondo di aver sempre subito il grande fascino di questo mondo fatto di persone colte e raffinate, forse per via dei miei trascorsi universitari di natura umanistica che fortunatamente volgono verso la proscrizione, grazie alla quale sarò presto incensurato e, si spera, sempre più gretto. Le piccole realtà e le grandi illusioni chiamate a intervenire hanno espresso in maniera polifonica, forbita ed elegante le mille difficoltà che si incontrano nell’otturazione delle menti cariate delle masse mediante protesi in cellulosa e inchiostro, hanno elencato le iniziative di prevenzione dagli attacchi alla placca batterica dovuti a un’alimentazione non regolamentata dalla sinistra anestetica ufficiale. Tuttavia l’unanimità degli obiettivi non ne è uscita scalfita, la lotta contro il tartaro accomuna tutti e l’accordo proposto in molteplici e variopinte fogge si riassume in un solo e unico richiamo al giuramento di Ippocrate, all’etica sociale e a Tristan Tzara: “Si te votamo ce devi da dà li sordi!”. La sorprendente risposta del concorrente non tarda ad arrivare, egli sfida spazio e tempo, domina dall’alto l’economia fattasi monumento per un candido colombo whitening, spazza via i vincitori uscenti con un colpo ben assestato di spazzolino autorotante a setole medie e tranquillizza gli astanti i quali, forse memori dell’eco di un booonii… slogan del simpatico e rasserenante tricheco mascotte del dentifricio P2 con cui si lavavano i dentini da piccoli, si chetano appagati e si dirigono all’esterno per socializzare convulsivamente.
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A SEGUIRE UN GLOSSARIO REDATTO AL FINE DI OFFRIRE UN QUADRO COMPLETO E REGOLARIzzARE LA FLORA BATTERICA.
BARBISMO: NE
FERISCE PIÙ LA PENNA CHE LA LAMETTA.
SACHERTORTE, TRACCE DI CARNE DI CAVALLO DI
TRACCE PILIFERE NELLA TROIA NEGLI AFTER SHAVE DEI ROT-
TAMATORI.
BUFFETTISMO: “PANEM
ET CIRCENSES”.
SIN.: GOZZOVIGLIANESIMO, FR.: SCROC-
CANTERIE.
CALIMERISMO: FRANGIA ESTREMA DELLO SLIDISMO MILITANTE, SPESSO TACCIATA DI CASOUMANESIMO.
CIAOISMO: PRATICA SOCIALE POSTCOMUNISTA. CIFROLALIA: EROGAZIONE NUMERICA, FLUSSO PERCENTUALE COPIOSO ATTO A CAMUFFARE CARENZE CONCETTUALI TIPICHE DI “QUEI GIORNI”.
CRISISMO
ARGOMENTALE:
LA
CORRENTE NASCE CON LA CRISI ECONOMICA, AR-
GOMENTO CHE HA PERMESSO DI ESPRIMERSI CON COGNIZIONE DI CAUSA ANCHE A CHI NON HA NIENTE DA DIRE.
DIGITALISMO EDITORIALE: ALLERGOPATIA ALLA CELLULOSA. EXTRACOMUNICAZIONE: SFRUTTARE I MIGRANTI NEL MONDO DEI MEDIA. FABRIANESIMO: RELIGIONE EDITORIALE CHE VENERA L’ICONOGRAFIA DELLA PAGINA BIANCA DILUNGANDOSI RIGUARDO AL TEMA DELLE PUBBLICAZIONI ED EVITANDO ACCURATAMENTE IL RIFERIMENTO AI CONTENUTI.
FILIAZIONE DEL SUORGERMANESIMO
POSTCONCETTUALE.
GRANDEPUFFISMO: INVITARE AL BUONSENSO CON LA SERENA EFFICACIA DERIVANTE DA UN LAUTO COMPENSO PER INCARICHI STATALI O DI PARTITO, SAGGEZZA DERIVANTE DALLA BRIOSA E SALUBRE CAPACITÀ DI CONIUGARE VITA E VITALIZIO.
H&MISMO: OVVERO LO SCRIVERE GIOVANE, CASUALMENTE CHIC, PREFERIBILMENTE ECONOMICO, ANALCOLICO, SUGARFREE.
PEZZARCULESIMO: L’ARTE
DEL FINGERE POVERTÀ AL FINE DI INCAMERARE RIC-
CHEZZA.
PIERRECARDISMO ZEPPATO: CORRENTE VENDOLIANA. RETROLINGUISTICA: SCIENZA DELLA PULIZIA SFINTERICA
AD AZIONE SALIVARE,
EN.: ORGANIC ANAL BLEACHING.
RINGRAZIANESIMO
ORATORIO:
DI
SOLITO CON QUESTA PRATICA CI SI RIVOLGE
ALLA PERSONA DALLA QUALE SI RICEVONO (O SI VOGLIONO RICEVERE) FONDI, PRIVILE-
Rido Amaro,
328 vignette digestive 2012
di Andrea Bersani, Cicogna Editore, pag. 178, euro 12,90.
Per un narratore di fiabe, come per un disegnatore satirico, la scelta di esprimersi per bocca di un animale, non è mai un caso. Fra le tante “maschere” che la sua fantasia gli offre, l’autore sceglie di dissimularsi dietro una creatura che non appartiene al genere umano proprio nel momento in cui esprime la propria posizione morale contro l’immoralità dei suoi simili. Leggendo le vignette di Andrea Bersani e la realtà che prendono di mira, viene da pensare che l’orrore che ci circonda (e al quale ci siamo colpevolmente assuefatti), può essere guardato con ironia soltanto dalla prospettiva di una gru (o di uno struzzo).
GI O IL MERO DIRITTO A ESPRIMERSI PUBBLICAMENTE.
SCIATTISMO: IDEOLOGIA FONDATA SULL’ATTACCO AL “BELLO” ESTETICO QUALE ANTAGONISTA DI UN’IPOTETICA CULTURA “ALTA”.
SETTENANISMO PERIFERICO: ASSUMERE BUFFE SEMBIANZE AL FINE DI AVVICINARE SACCHE SOCIALI DI POVERTÀ E/O DEGRADO AL FINE DI OTTENERE UN POSTO DI LAVO-
Segnalazioni gratuite di iniziative amiche. Nessun annuncio a pagamento è presente nella rivista.
RO PUBBLICO E SICURO.
SLIDISMO
MILITANTE:
PROTESTARE ALTERNATIVO CHE STRIZZA L’OCCHIO A MODERNO, PACIFICO, COSTRUTTIVO, ALTAMENTE INEFFICACE. STICAZZISMO: TECNICA MEDITATIVA DI SOPRAVVIVENZA.
CHI
STRIZZA L’OCCHIO.
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Cosa beve il padrone? Champagne. E noi che gli daremo?...
Dallo scontro tra un immalinconito salutista e un inguaribile etilista in “Brinnese”, dove ovviamente il veghian-vegetarianbevitore di acqua parla italiano e l’etilista risponde in dialetto. Dalle canzoni tradizionali che trattano di alcol come “Ouzo”, “Drunk man song”, “Black and Brown”… Quelle della tradizione d’autore napoletana, “Nu poco ‘e sentimento”, le canzoni e le serenate che si accompagnano alla notte, dove il vino è presenza essenziale… “In vino veritas” è vino senza solfiti, non filtrato, con molto residuo, un album nato sulle tovaglie a quadri di trattorie, lontano da sommelier e gourmet, da Sassicaie e simili. Le voci di Floriana Cangiano, Enzo Gragnaniello, il rapper Paolo Romano “Shaone”, lo straordinario folksinger romeno Florin Barbu, il bluesman Mario Insenga, napoletano di New Orleans, e tanti altri avvinazzati comprimari ci rendono meno pesante l’atmosfera da acqua minerale di questi anni. Per riprendersi il vino e le rose.
I tempi della benzina stentano a tornare, quelli dello champagne per chi è capitano di industria o amministratore delegato di banca abbondano. In questi tempi duri, però, noi non ci facciamo mancare il nostro aglianico o il nostro barbera. E’ dai tempi che l’uomo ha cominciato a coltivare che il vino, o i suoi parenti, accompagnano le nostre storie. Dalla ciclopica coppa offerta da Ulisse a Polifemo ai bicchieri all’arsenico che si offrivano nemici poco accorti. Accompagna la colazione del muratore o del contadino, la festa campagnola e la riunione di collettivo, per non parlare della sua presenza dove si fa musica. “In vino veritas” attraversa le più diverse condizioni in cui l’uomo comune si confronta con il bisogno primario più essenziale, alimentarsi e bere. Dalla mensa operaia della Fiat in “Tempi Moderni”, mensa spostata a fine turno dalla direzione per evitare quel momento di aggregazione, di scambio, di confronto che è il mangiare insieme. La mensa era più pericolosa di una riunione sindacale.
Nei negozi dal 10 maggio a 10 euro. Distribuito da Good Fellas
Segnalazioni gratuite di iniziative amiche. Nessun annuncio a pagamento è presente nella rivista.
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NICOLA RABBI
SERGIO PONCHIONE
BANDIERAGIALLA.IT
MONDOBLIQUO.BLOGSPOT.IT
IL CORPO DI FLAVIO H
o sempre sentito il suo corpo come qualcosa di separato da lui; tra i due (lui e il suo corpo) sembrava essere in atto una lotta senza fine, un’opposizione a volte drammatica, a volte comica come capita talvolta in certi cartoon dove il protagonista si trova a fare i conti con una parte del suo corpo che non gli obbedisce più (la mano destra gli stringe il collo, mentre la sinistra cerca di allentare la presa). Oppure, anzi di più, i robot che per qualche cortocircuito perdono il controllo di sé, lasciandosi andare ad azioni scoordinate. Ho conosciuto Flavio quasi dieci anni fa; colpito, si col-
pito, dalla nascita da una paralisi cerebrale che gli ha reso incontrollabile ogni movimento del corpo tranne l’uso della lingua e la capacità di parlare. “Sei a posto Flavio”? I miei rapporti con lui sono stati di vario tipo; come operatore, volontario, amico, ma certe situazioni si sono ripetute sempre uguali; i suoi bisogni come il bere, mangiare, trovare la giusta posizione sulla carrozzina, urinare ti mettevano sempre di fronte ad un corpo non addomesticabile né dal suo proprietario né dal suo operatore. La relazione con Flavio era sempre interrotta dalle neces-
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sità di un corpo; uso il verbo interrompere perché sentivo come interruzioni le richieste che faceva nel bel mezzo di un discorso o la difficoltà di raggiungere un posto per via della carrozzina. È vero che l’handicap lo crea la società ma, ugualmente, quante volte ho desistito dall’idea di uscire con lui alla sera per via di quel corpo deficitario e delle difficoltà che avremmo incontrato solo per andare in una osteria? Interruzioni. E quando queste richieste mancavano, veniva spontaneo rivolgergli la domanda: “Tutto a posto Flavio”? *) Irritarsi e poi strofinare Le parole che uso (e che usano anche gli altri) quando devo “trafficare” con il suo corpo sono molto significative: “Ti devo incastrare il braccio o vuoi che te lo leghi”? “Ti devo bloccare le gambe”? “Stringo più forte le cinghie!”...È la descrizione di una piccola lotta che io e lui ingaggiamo con il suo corpo; lui è il mio suggeritore, conosce molti trucchi per riuscire ad addomesticare quelle gambe troppo rigide o la testa che resiste: alla fine vinciamo. Non è possibile però separare Flavio dal suo corpo, soprattutto quando le difficoltà provocano il malumore: nei momenti delicati (l’attraversamento di una strada, un posto pubblico...) il suo corpo diventa ancor più teso, più difficile da manovrare, sembra quasi che lo faccia apposta, anche se so che non è così. La mia irritazione peggiora le cose e oltretutto non so bene con chi prendermela, con Flavio che non collabora o con questo braccio che non si incastra? Anche la pipì capita, ed è sempre incontenibile, nelle situazioni meno adatte. Può sembrare strano, ma una grande parte del rapporto tra un assistente e un assistito, si gioca proprio qui, nell’urinare, nel defecare. In questi momenti, apparentemente così neutri, professionali, si comunica moltissimo, l’uno dice molte cose di sé all’altro e viceversa, tra una salvietta e l’altra. Una volta in bagno feci una mossa sbagliata e la cacca invece di finire nella cassetta si infilò nei pantaloni. Iniziò un’affannosa ricerca che si concluse sotto una doccia; l’acqua cadeva piano sulla pelle imbrattata di Flavio ed io con la spugna pu-
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livo accuratamente ogni zona; l’irritazione per l’imprevisto si era via via trasformata in qualcos’altro di tranquillo e di dolce a cui non so dare altre parole. *) Tariffe maggiorate Il suo corpo di uomo richiede una donna; argomento trattato fino all’ossessione con parole che a volte ci portavano sui lunghissimi viali della nostra città. Io, davanti, guidavo il suo furgone mentre lui, dietro, con occhio da cacciatore guardava le austriache e le slave bionde, le alte senegalesi, delle giovanissime albanesi. Ben presto ci accorgemmo che per lui la scelta non era così vasta; le ragazze nere, ma anche molte altre, rifiutavano il rapporto e ci guardavano sbigottite. Le più disponibili, le italiane “over 50” e le austriache, spesso richiedevano (forse per il corpo più difficile?) delle tariffe maggiorate. Quando la macchina ci riportava a casa filtravano dalle sue parole le domande a cui non sapeva dare una risposta: “Può piacere questo mio corpo da uomo? E a chi”? L’occhio, lo specchio dell’anima Flavio non riesce girare a suo piacimento la testa; il classico movimento di chi ti guarda negli occhi non gli è usuale, ma tiene la testa reclinata all’indietro facendo roteare gli occhi da una parte all’altra per avere una panoramica completa. È un diverso modo di vedere e per chi crede che gli occhi siano lo specchio dell’anima pone parecchi quesiti di interpretazione. Miracolo A volte immagino come sarebbe Flavio se non fosse disabile; mi immagino che lasci quella sedia a rotelle e che cammini. Apre la porta di casa, mangia con le sue mani, va in bagno da solo, sale le scale, cade e si rialza, abbraccia una amica, scrive, si gratta, fischia, si strofina gli occhi per la stanchezza quando è sera. Ma a questo punto non riconosco più quell’uomo. Conosco solo quel Flavio, con quel corpo non addomesticabile.
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I LIBRI DI ANCHE IN EBOOK Grazie alla collaborazione con la casa editrice digitale Quintadicopertina (www.quintadicopertina.it) alcuni libri dell’associazione Altrinformazione sono disponibili anche in versione ebook, nei formati più diffusi.Tutte le informazioni su www.mamma.am/ebook TOM TOMORROW
IL PAZZO MONDO A STELLE E STRISCE
MANUALE A FUMETTI PER CAPIRE GLI STATI UNITI
Prefazione di
MICHAEL MOORE Introduzione di
EDDIE VEDDER Traduzione di
CARLO GUBITOSA
Una raccolta dei migliori editoriali a fumetti di Dan Perkins, in arte “Tom Tomorrow”, pubblicati con cadenza settimanale su 80 quotidiani statunitensi, e su testate come New York Times, New Yorker, The Nation, Esquire, The Economist. Gli “editorial cartoons” di Tom Tomorrow ci guidano attraverso le nevrosi della politica statunitense trattando con la leggerezza del fumetto temi molto seri come guerre, politiche presidenziali, manipolazioni mediatiche, turbocapitalismo, diritti civili, controllo delle armi e fanatismo religioso. Tra i fans di Tom Tomorrow il regista Michael Moore e il leader dei Pearl Jam Eddie Vedder, che hanno scritto la prefazione e l’introduzione al libro. www.mamma.am/tomtomorrow ISBN 9788897194040
ROKURO HAKU
NO ALLA GUERRA, NO AL NUCLEARE
LE ARMI ALL’URANIO IMPOVERITO CHE DISTRUGGONO L’UOMO E L’AMBIENTE. Nana Kobato, studentessa delle medie, si affaccia sul “lato oscuro del nucleare”: i pericoli delle centrali atomiche, gli effetti dei proiettili all’uranio impoverito, le devastazioni ambientali che uccidono adulti e bambini. In un racconto a fumetti chiaro e documentato, il figlio di una sopravvissuta alle radiazioni di Nagasaki racconta gli effetti delle guerre moderne sull’uomo e sull’ambiente, e mette a nudo i poteri occulti che sostengono l’energia nucleare. Un libro da leggere per scoprire che non esiste un “nucleare civile” senza applicazioni militari, non esiste “energia atomica pulita” senza rischi inaccettabili, non esistono “armi sicure” senza vittime di guerra. L’edizione italiana e’ stata curata da Stefania Divertito, autrice del libro “Uranio, il nemico invisibile” www.mamma.am/nonuke ISBN 9788897194002
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KANJANO E CARLO GUBITOSA
LA MIA TERRA LA DIFENDO
UN RAGAZZO, UNA PROTESTA, UNA SCELTA DI VITA
Ventidue anni, pastore per vocazione, cittadino indignato per passione: la storia di Giuseppe, il ragazzo di Campobello di Licata che ha affrontato “il pregiudicato Sgarbi” con una telecamera, due amici e un pacco di volantini.
Prefazione di
www.mamma.am/giuseppe 80 pagine, f.to 15 x 21 cm ISBN 9788897194033
RICCARDO ORIOLES Introduzione di
DON LUIGI CIOTTI
MP
NICOLA. R-ESISTENZA PRECARIA
COME PERDERE CON STILE CONTRO IL GRANDE CAPITALE
Con una prefazione disegnata di
ALTAN E CIPPUTI
Nicola, l’antieroe in tuta blu del terzo millennio, ci guida in un mondo precario dove lotta per salvare la sua fabbrica dalla chiusura, e scopre i trucchi più loschi con cui i padroni fregano le classi medio-basse. Più spericolato di Batman, più sfigato di Fantozzi, più ribelle di Spartacus e più solo di Ulisse: Nicola è il simbolo della nostra voglia di resistere alle ingiustizie. Contro di lui un padrone senza scrupoli e una famiglia senza vergogna, incarognita dalle mode più devastanti del momento. Uno spietato “reality show” a fumetti, un micromanuale di economia finanziaria, un prontuario di autodifesa sindacale ma soprattutto lo sfogo di satira rabbiosa di un “artista-operaio”. Ottanta pagine di sopravvivenza proletaria: astenersi perditempo. www.mamma.am/nicola 104 pagine, f.to 15 x 21 cm ISBN 9788897194019
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Mauro Biani
CHI SEMINA
RACCONTA SUSSIDIARIO DI RESISTENZA SOCIALE Contributi di Antonella Marrone, Carlo Gubitosa, Cecilia Strada, Cinzia Bibolotti, Ellekappa, Franco A. Calotti, Gianpiero Caldarella, Makkox, MaoValpiana, Massimo Bucchi, Nicola Cirillo, Pino Scaccia, Riccardo Orioles, Stefano Disegni, Vincino Gallo Formato 17x24, 240 pagine, colori ISBN 9788897194057 15 euro
I
l meglio delle vignette, sculture e illustrazioni di Mauro Biani, autore di satira sociale a tutto tondo che unisce la vocazione artistica all’impegno professionale come educatore in un centro specializzato per la disabilità e la non disabilità mentale. Uno sguardo disincantato e libero che sa dare le spalle ai potenti quando serve, per toccare temi universali come la
nonviolenza, i diritti umani, l’immigrazione, il cristianesimo anticlericale, la resistenza alla repressione e la lotta alle mafie. L’AUTORE Mauro Biani (Roma, 6 marzo 1967) ha pubblicato vignette in rete per anni per poi fare il salto verso il professionismo su quotidiani e settimanali nazionali, riviste del terzo settore e organi di informazione indipendente. Ha fondato la 79
rivista di giornalismo a fumetti “Mamma!” che ha chiamato a raccolta un gruppo nutrito di giornalisti, vignettisti e fumettari in cerca di nuovi spazi espressivi. Collabora con il gruppo internazionale “Cartooning For Peace” sotto l’alto patrocinio dell’Onu. Nel 2009 ha pubblicato il volume “Come una specie di sorriso”, una antologia di illustrazioni ispirate alle canzoni di Fabrizio De Andrè. MAMMA! | n. 10 | Uniformi e Divise
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, CN/BO - Rivista Mamma! Ass. Altrinformazione - Via S.Anna 20 - 40128 Bologna
ANNO V. NUMERO 1/2013
AUTOPRODUZIONE EDITORIALE NO-PROFIT A CURA DELL'ASS. CULT. ALTRINFORMAZIONE
www.mamma.am | info@mamma.am Tel. 06916504826 – Cell. 3459717974 Tiratura: 1500 copie. | Costi vivi: 3 €/copia Compenso richiesto dagli autori: 0 €
Valore dei contenuti: 15 euro/copia Offerta consigliata: 5 €/copia I ricavi verranno reinvestiti nel progetto editoriale
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