Viareggio EuropaCinema 2010

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Viareggio EuropaCinema OTTOBRE 2010

LE LINEE GUIDA

Le 5 parole chiave: Viareggio, Toscana, Europa, Giovani, UniversitĂ

IL PROGRAMMA

Tutti gli appuntamenti, i film in concorso, le proiezioni, le mostre



Sommario 4

De Santi: “Vi spiego il mio Festival”

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Una nuova formula culturale

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L’Università di Pisa e il rapporto con il territorio

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Il Festival? Sarà attivo tutto l’anno

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Una rassegna rinnovata

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Questa edizione è una svolta importante

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Il ritorno del concorso

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Il programma generale

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Film in concorso

Supplemento al numero odierno de LA NAZIONE a cura della SPE

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Carlo Lizzani, sessant’anni di cinema

Direttore responsabile: Giuseppe Mascambruno

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Se al carrista piace il cinema

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Come ci innamorammo del grande schermo

Coordinamento: Umberto Guidi

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Il mio lungo viaggio nel secolo breve

Testi di: Pier Marco De Santi, Chiara Sacchetti, Daniele Michelucci (I testi relativi alle lezioni magistrali di Carlo Lizzani e Paolo e Vittorio Taviani sono pubblicati per concessione del Festival Viareggio EuropaCinema)

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Le serate di gala

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Gli eventi speciali

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Gli incontri con gli autori

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Alleanza nel segno della cultura

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Gli artisti per EuropaCinema

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Parola d’ordine: decentrare

Vicedirettori: Mauro Avellini, Piero Gherardeschi, Marcello Mancini Capo servizio: Enrico Salvadori

Direzione redazione e amministrazione: 50100 Firenze - Via Paolieri, 3 V.le Giovine Italia, 17 Grafica ed impaginazione: Kidstudio - FI Stampa: Grafica Editoriale Printing srl Pubblicità: Società Pubblicità Editoriale spa Direzione generale: V.le Milanofiori Strada, 3 Palazzo B10 - 20094 Assago (MI) Sede di Firenze: V.le Giovine Italia, 17 tel. 055-2499203

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EUROPACINEMA EDITORIALE

DE SANTI: “Vi spiego il mio Festival”

Le cinque parole chiave del nuovo corso: Viareggio, Toscana, Europa, Giovani, Università

Viareggio EuropaCinema è la prima edizione di un nuovo Festival. Impostato sulle parole chiave Viareggio, Toscana, Europa, Giovani, Università, il Festival ha tutte le ambizioni della vetrina internazionale del cinema, parte da un’impostazione rigorosa e ricca di elementi di originalità e si segnala all’attenzione delle Istituzioni Nazionali ed Europee come una manifestazione culturale e spettacolare di primissimo ordine. L’amichevole sostegno di un Comitato d’Onore di alto profilo e competenza, la presenza di un Comitato Scientifico costituito dai massimi studiosi e esperti di cinema degli Atenei italiani, 4

l’entrata in campo della Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa, hanno favorito quell’indispensabile orientamento e confronto di idee che hanno fatto sì che, in pochissimi mesi dalla mia nomina alla Direzione Artistica, si potessero raggiungere obiettivi di alto profilo. La completa fiducia e la costante e assidua collaborazione tra l’Amministrazione Comunale di Viareggio e il sottoscritto – con il fattivo controllo e gli opportuni suggerimenti ricevuti dal Sindaco Luca Lunardini e dal Vicesindaco e Assessore alla Cultura Ciro Costagliola a fare da timonieri del nuovo Festival – hanno favorito la

partnership istituzionale della Regione Toscana, della Provincia di Lucca, della Fondazione del Carnevale, della Fondazione Festival Pucciniano, dell’Azienda di Promozione Turistica della Versilia, dell’Associazione degli Albergatori, del Museo della Marineria, dell’Associazione dei Commercianti. Viareggio EuropaCinema è realizzato in stretta collaborazione con le principali istituzioni del territorio e ha una particolare attenzione nei riguardi del pubblico dei giovani e degli studenti universitari. I contatti instaurati con i massimi livelli degli Organismi cinematografici


Viareggio

nella foto: Pier Marco De Santi (a sinistra) con il regista Carlo Lizzani

nazionali e internazionali mi hanno favorito nell’obbiettivo di ampliare l’offerta dell’attuale patrimonio cinematografico europeo e di portarlo alla conoscenza, in particolare, del pubblico dei giovani e degli studenti universitari. Su queste basi, sono state interessate e coinvolte le più importanti majors cinematografiche europee che hanno risposto con grande interesse e convinta collaborazione ai nostri desiderata e alle nostre richieste. La messa in campo di un parterre de roi, sia per quanto riguarda lo staff scientifico che quello ideativo e organizzativo del Festival, è la sicura garanzia per il buon esito dell’iniziativa che – mi auguro vivamente – possa riscuotere, oltre a quella degli addetti

ai lavori e della stampa specializzata, la giusta attenzione di un pubblico vasto e il sostegno di tanti cittadini. Nell’apprestarmi a illustrare le finalità principali e i contenuti generali della prima edizione del Festival Viareggio EuropaCinema, porgo – anche a nome di tutti i miei collaboratori – la più profonda gratitudine alle più Alte Cariche dello Stato che ci hanno voluto dimostrare fiducia, consenso e sostegno con l’attestato ufficiale del loro Patrocinio. E, con particolare orgoglio, ringrazio il Presidente della Repubblica, Onorevole Giorgio Napolitano, per aver messo a disposizione della nostra manifestazione il Premio del Presidente da assegnare – ogni anno – a un grande regista italiano.

Viareggio EuropaCinema, per tentare di spiccare il volo e incamminarsi verso nuove prospettive – sia sul piano strettamente operativo che su quello della comunicazione di respiro internazionale – ha bisogno di tutti. Ha la necessità di trovare un ottimo rapporto con la città e con il suo territorio, ha l’esigenza di aprirsi alla collaborazione con le grandi realtà culturali e turistiche, ha l’urgenza di una partecipazione condivisa e adeguatamente coordinata nelle sue molteplici sinergie. La prima finalità di Viareggio EuropaCinema è quella di avvicinare i cittadini di Viareggio (e della Versilia) alle loro radici e alla loro storia; ma anche quello di affermare con forza che un nuovo Festival del Cinema, nello splendido scenario della più importante località balneare della costa tirrenica, non solo ha il dovere di esistere, ma ne ha il diritto. Occorre ricordare, ad esempio, che Viareggio è da sempre una città cosmopolita, a dimensioni di turismo europeo (e oggi mondiale)? Occorre ancora dire che la “Passeggiata” di Viareggio ha la più alta densità di cinematografi di tutte le città italiane? E che pensare dei suoi café-concerto dove si sono esibiti i più grandi protagonisti della scena e della canzone italiana e internazionale? Occorre poi andare con la memoria agli anni in cui Viareggio è stata il luogo di villeggiatura più frequentato dalle dive e dai divi del cinema e dello spettacolo, dai più importanti scrittori, musicisti, artisti del Novecento? Occorre, infine, segnalare che Viareggio è stata (ed è) una location cinematografica nel cui territorio sono state effettuate le riprese di oltre cento film? Queste sono solo alcune delle ragioni “storiche” che avvalorano il fatto che Viareggio possa a buon titolo vantare 5


Toscana

la palma di “Città del Cinema” e, dunque, acquisire a pieno titolo e merito il diritto di proporsi per la realizzazione di quello che auspico possa diventare il Festival cinematografico della Toscana e uno tra gli appuntamenti più significativi per una “vetrina” sul cinema europeo. Il Comune di Viareggio, con l’aiuto degli uffici preposti e dei loro Dirigenti di Settore, l’Azienda di Promozione Turistica della Versilia, l’Associazione degli Albergatori e le più importanti Istituzioni turistiche cittadine sono l’essenziale supporto per favorire la massima pubblicizzazione e il sostegno necessario a una partecipazione condivisa. Viareggio EuropaCinema, dunque. Un concetto, questo, ben sintetizzato nel logo sapientemente ideato e disegnato dall’architetto e designer Carlo Grassini; sviluppato idealmente nella sintesi del manifesto affidato 6

alla genialità grafico-cromatica di Ugo Nespolo; magistralmente focalizzato nella scultura e nella medaglia appositamente pensate e scolpite per i Premi da un artista di fama come Franco Adami. Mi piace pensare a Viareggio EuropaCinema come a una grande festa popolare, un luogo di incontro per tutti e, con questo intento, abbiamo impreziosito il Centro Congressi “Principe di Piemonte” trasformandolo nel “Palazzo del Cinema”. Opportunamente impreziosito da “cartelloni” cinematografici e da pannelli di grande impatto comunicativo, con le vetrine dei principali negozi e ritrovi adeguatamente addobbati grazie alla disponibilità e collaborazione dell’Associazione dei Commercianti a fare da richiamo al Festival – sarà la magnifica cornice di una settimana ricca di eventi.

Se Viareggio, la Versilia e – più in generale – il lungomare che va da Castiglioncello a Marina di Pisa sono i luoghi del cinema della costa tirrenica (si pensi agli studi cinematografici della Pisorno, poi Cosmopolitan), la Toscana tutta è, fino dai tempi del Muto, terra di cinema e fertile fucina di talenti cinematografici. Famosi e affermati registi, attori, attrici, sceneggiatori, scenografi, costumisti, musicisti, produttori e tante (tantissime) importanti maestranze della Settima Arte provengono dalla Toscana; e non c’è praticamente città della Regione che non sia stata “toccata” dal cinema e valorizzata dall’obbiettivo della macchina da presa. Centinaia e centinaia di film, di produzione sia italiana che internazionale, sono lo straordinario patrimonio di una invidiabile produzione cinematografica – spesso di opere di grande valore artistico e autoriale – che meritano di essere ricordate, studiate e divulgate come un inalienabile Bene Culturale tra i più preziosi della storia della Toscana nel XX secolo. Il ruolo che si giocherà nella Regione nei prossimi anni sarà, dunque, di fondamentale rilevanza, per recuperare e riappropriarsi di quel “primato” di attenzione e sensibilità verso il cinema e la sua storia, che negli anni Settanta (con l’istituzione della prima Mediateca regionale) la Toscana si era guadagnato su tutte le altre Regioni italiane. E’, infatti, maturo il tempo per seguire le normative e le indicazioni europee e per inserire il Cinema nel novero delle Arti Contemporanee. La recente istituzione di una importantissima realtà culturale come la Fondazione Sistema Toscana; il potenziamento del ruolo e delle competenze della Mediateca Regionale - Toscana Film Commission; un più cospicuo investimento finanziario e una sensibile attenzione da parte dell’attuale Presidente, Enrico Rossi,


e dell’Assessore alla Cultura, Cristina Scaletti; la capacità imprenditoriale, propositiva, interattiva e l’espressa volontà di decentramento sul “territorio” ad opera dei Quadri di Mediateca, Paolo Chiappini, Ugo Di Tullio, Stefania Ippoliti; tutto questo (e altro ancora) ha permesso a Viareggio EuropaCinema di trovare i suoi più naturali interlocutori. La manifestazione di Viareggio, infatti, è ora all’attenzione della Regione e Viareggio EuropaCinema ne ricambierà le aspettative. Gli eventi periodici che, sotto il nome di Viareggio EuropaCinema, si svolgeranno durante tutto l’anno, sono anche un modo per mettere a disposizione della Regione competenze, esperienze, strutture e un cospicuo patrimonio di documentazione sul cinema al fine di favorire tutte quelle iniziative comuni che la Toscana intenderà promuovere per rappresentare la sua “immagine cinematografica” nel mondo. E’ sulla base di un reciproco apporto di collaborazione che la Regione To-

scana partecipa alla realizzazione di Viareggio EuropaCinema come fattivo organismo propositivo di consulenza e di sostegno culturale. La stessa gratitudine devo anche alla Provincia di Lucca che ha trovato nel suo Presidente, Stefano Baccelli, l’interlocutore più attento e sensibile e con il quale Viareggio EuropaCinema intende stabilire un rapporto di fiducia per il decentramento, a Lucca e nel suo territorio, di retrospettive cinematografiche e di alcune importanti manifestazioni, già in programmazione nel corso di questo anno e in via di definizione per l’anno prossimo.

Europa

Viareggio EuropaCinema, attraverso il concorso e le serate di gala dedicate a rendere omaggio ai grandi del cinema internazionale, parla il linguaggio del cinema europeo e porta – grazie alle sue prime iniziative e mostre realizzate – l’immagine di Viareggio e della Toscana nei Festival cinematografici europei con i quali si è attualmente

instaurato un rapporto di gemellaggio. Oggi posso dichiararmi assai soddisfatto dei primi risultati ottenuti: soprattutto per essere riuscito a mettere in piedi – con un budget ridotto al minimo – un Festival di otto giorni, che prevede la partecipazione al Concorso, in esclusiva italiana, di 13 film provenienti da altrettanti Paesi dell’area geografica europea: pellicole selezionate tra le oltre ottanta scelte dalle Istituzioni Cinematografiche di ciascuna Nazione quali migliori produzioni (tra opere prime e terze) dell’anno 2009/2010. A Viareggio EuropaCinema sarà ospitata una significativa campionatura di film, realizzati da registi giovani, uomini e donne, e fortemente rappresentativi della cultura e della cinematografia dei Paesi di origine (sono stati esclusi, infatti, dalla selezione le co-produzioni internazionali). Coprendo praticamente un po’ tutti i filoni drammaturgici (con l’esclusione dei “film di genere” destinati a rassegne tematiche), si centrerà l’obbiettivo istituzionale del Festival.

nella foto: una scena di “Banditi a Milano” di Carlo Lizzani (1968) 7


Giovani

Il ruolo e la partecipazione dei giovani a Viareggio EuropaCinema è di fondamentale importanza. Anche per loro il Festival si profila come un appuntamento festoso e di alto profilo culturale: un’ esperienza nel cuore del cinema internazionale da non mancare. Favoriti, per quanto possibile, nell’ospitalità, nel vitto e nell’alloggio, viene data ad alcuni di essi la chance (non prevista in nessun altro Festival sia italiano che internazionale) di partecipare ai lavori della Giuria dei film in Concorso. Sono 100 i giovani – di nazionalità italiana e provenienti da Paesi Europei (gli studenti Erasmus) iscritti ai Corsi di Laurea delle Facoltà Italiane nelle quali si insegnano materie di Cinema, Musica e Spettacolo – chiamati a designare il Premio Viareggio EuropaCinema per il film vincitore. Gli studenti universitari scelti a far parte della giuria provengono in numero di 50 dal Corso di Laurea in Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa e sono stati selezionati dal Prof. Lorenzo Cuccu, Presidente della Giuria e responsabile per Viareggio EuropaCinema dei rapporti con le Università. I restanti 50 studenti provengono da altri Atenei italiani e sono designati e segnalati dai rispettivi docenti di materie cinematografiche. Per tutti sono previsti crediti formativi, così come per quei giovani universitari che vorranno essere presenti in qualità di stagisti e di spettatori alle 8

giornate del Festival e, in particolare, agli “Incontri con gli Autori” che vengono tenuti dalle personalità di alto profilo premiate nel corso delle Serate di Gala. Un’attenzione particolare viene data anche ai ragazzi e alle ragazze che frequentano le Scuole Medie e Superiori dei Comuni di Viareggio, della Versilia e della Provincia di Lucca. A loro sono riservati gli appuntamenti mattinieri delle “proiezioni guidate” per la conoscenza di alcuni tra i più importanti film italiani e europei della passata stagione. Un modo, questo, per sensibilizzarli gradatamente a una cultura internazionale del cinema e ai valori portanti di opere altamente rappresentative dell’Arte cinematografica contemporanea. L’importanza della indispensabile presenza giovanile alle iniziative di Viareggio EuropaCinema è, dunque, il primo obiettivo su cui poggiano tutte le mie aspettative e sul quale si basano le speranze di successo del Festival.

Università

Giovani e Università: un binomio perfetto per dare a Viareggio EuropaCinema quell’essenziale garanzia di innovazione e di modernità di cui si sente fortemente il bisogno. La necessità di questo stretto rapporto tra Viareggio EuropaCinema, i giovani e le Università è stata sancita e avvalorata in primis da uno specifico protocollo d’intesa e di fattiva collaborazione tra il Comune di Viareggio e la Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa. Nel porgere il più vivo ringraziamento al Preside, professor Alfonso Maurizio Iacono, e – con lui – a tutti gli amici e colleghi di Facoltà che all’unanimità hanno sostenuto la mia candidatura alla Direzione Artistica di Viareggio EuropaCinema, sarà mia massima cura rendermi degno di questo alto riconoscimento. L’impegno, è quello di far sì che il Festival possa essere di stimolo affinché tutte le Istituzioni che lo sostengono ne favoriscano a


breve una trasformazione e uno sviluppo radicali. In sostanza, Viareggio EuropaCinema – questo è l’obiettivo da centrare – deve aspirare a diventare un vero e proprio campus istituzionale (primo in Italia) di attività continuative e annuali, di formazione e di alti studi sul Cinema, in stretto rapporto con le discipline umanistiche, storiche e filosofiche, oltre che – naturalmente – con quelle storico-artistiche e con le specifiche materie di spettacolo, musica e comunicazione. Per questo, Viareggio EuropaCinema, già in quanto Festival, mira alla presenza dei giovani e degli studenti universitari, che avranno così modo di fare un’indispensabile esperienza formativa e di approfondimento non solo dal punto di vista della pianificazione e realizzazione generale di un grande evento sul cinema (e, quindi, nel campo di materie specifiche come “Museologia del Cinema” e “Produzione e organizzazione dello Spetta-

colo”), ma anche relativamente alla conoscenza storico-critica delle vaste (e scarsamente note) problematiche attinenti ai fermenti, agli sviluppi, alla produzione del cinema europeo (compreso, naturalmente, quello italiano) contemporaneo e “classico”. Agli stessi studenti viene affidato anche il compito, nei vari settori di lavoro di una macchina complessa e interdisciplinare, di essere parte attiva dell’intera organizzazione (dall’ideazione alla comunicazione) e, perciò, viene data loro la chance di una presa d’atto operativa “sul campo”, in modo da “aprirli” a tutte quelle scelte di lavoro che qualificano la futura professione di un laureato in Cinema, Spettacolo, Comunicazione e Produzione Multimediale: uno stage e un campus unici nel loro genere e nella loro potenzialità cognitiva e formativa. Gli accordi di fattiva collaborazione presi con i professori della Consulta Universitaria Italiana del Cinema (e,

mi auguro, per le prossime edizioni, con le più importanti Università d’Europa) sono il fondamento di un “valore aggiunto” e l’essenziale assist culturale e scientifico a una programmazione che è mirata a un pubblico nuovo e alla partecipazione di giornalisti, di personalità del mondo della Cultura e dello Spettacolo effettivamente “coinvolte” e “interessate” dal progetto di un Festival Internazionale (primo in Italia) di alto profilo e spessore universitario. La giustezza dell’ideazione e della proposta programmatica è tale da avere – non a caso – riscosso l’ampio consenso e l’attenzione da parte del Presidente del Consiglio, On. Silvio Berlusconi, del Ministro per i Beni e le Attività Culturali, On. Sandro Bondi, del Ministro della Gioventù, On. Giorgia Meloni, ai quali è rivolto il mio deferente ringraziamento. Il Direttore Artistico Ch.mo Prof. Pier Marco De Santi 9


nella foto: il governatore della Toscana Enrico Rossi

Una nuova formula culturale

Il presidente della Regione Rossi: “Il Festival diventerà una scuola di alti studi e un museo del cinema” Viareggio, Toscana, Europa, Giovani, Università, sono le parole chiave attorno alle quali ruota l’edizione 2010 di Viareggio EuropaCinema, che inaugura la nuova formula del festival, e da quest’anno amplia i suoi orizzonti e i suoi obiettivi, puntando a diventare, oltre ad una rassegna culturale di livello europeo, anche una Scuola di alti studi sul Cinema e sullo Spettacolo, ed un Museo del Cinema. Diretto dal Prof. Pier Marco De Santi, il Festival è promosso dagli Enti Locali e patrocinato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri della Cultura e della Gioventù. 10

La Regione è lieta di collaborare attraverso la Mediateca Regionale Toscana Film Commission, fondazione costituita per promuovere sul territorio toscano la cultura cinematografica, audiovisiva e multimediale. L’interesse per il Festival e per tutte le importanti iniziative collegate sta non soltanto nell’alta valenza culturale e formativa dell’evento, ma anche nel ruolo di promozione turistica e del territorio che attraverso la rassegna, il museo, la scuola, le collaborazioni internazionali che saranno attivate, contribuiranno a far crescere la Toscana.

Il cinema dunque non soltanto come opera d’arte o occasione di divertimento, ma anche come veicolo di sviluppo economico, sociale e culturale. Per questo motivo il mio ringraziamento e il mio apprezzamento vanno innanzitutto agli organizzatori della manifestazione, ed in seconda battuta al pubblico, ai giovani, agli appassionati, agli studenti, alle loro famiglie, che, attraverso l’arte cinematografica, impareranno a conoscere meglio e ad amare la Toscana. Enrico Rossi Presidente della Regione Toscana


nella foto : la firma del protocollo d’intesa per EuropaCinema tra la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa e il Comune di Viareggio. Da sinistra, il professor Pier Marco De Santi, l’assessore alla cultura Ciro Costagliola, il professor Alfonso Maurizio Iacono e il sindaco Luca Lunardini

L’Università di Pisa e il rapporto col territorio Vi sono almeno due ragioni che, dal mio punto di vista, segnano positivamente la convenzione che la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa e il Comune di Viareggio hanno stipulato per Viareggio Europa Cinema: la prima è che essa segna un momento importante delle relazioni che l’Università di Pisa sta costruendo e intende continuare a costruire con il territorio. Le attività di ricerca e di didattica, compiti istituzionali di una università pubblica, piuttosto che chiudersi in se stesse, devono intrecciarsi con le istituzioni e le attività culturali e formative che il territorio esprime.

La seconda è che sarà possibile offrire ai nostri studenti, in particolare (ma non solo) a quelli del corso in Discipline dello Spettacolo, un’esperienza didattica molto particolare, un vero laboratorio che non può non arricchire la loro esperienza formativa. Mi auguro inoltre che tutto ciò possa consolidarsi e avere sviluppi ulteriori sia dal punto di vista istituzionale sia dal punto di vista culturale, favorendo, a partire dal cinema, quel necessario intreccio di saperi senza il quale ogni disciplina, non volendo guardare oltre i propri confini, rischia sempre di esaurirsi in stanche ripetizioni. Infine, non

posso non sottolineare con piacere e soddisfazione il fatto che è stato nominato come Direttore di Viareggio Europa Cinema,il professor Pier Marco De Santi, stimato collega della mia Facoltà. Professor Alfonso Maurizio Iacono Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia

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nella foto: il sindaco Luca Lunardini

nella foto: L’assessore alla cultura Ciro Costagliola

Il Festival? Sarà attivo tutto l’anno Parlano il sindaco e l’assessore alla cultura: “L’amministrazione comunale crede fermamente nelle potenzialità di Viareggio EuropaCinema” Ci credono fino in fondo. Il Comune di Viareggio, proprietario del marchio EuropaCinema, ha “sposato” il nuovo corso del Festival, che si presenta al consueto appuntamento annuale con un nuovo marchio e un nome modificato, con spazio anche per la dicitura “Viareggio”. “La bontà del nuovo progetto culturale di Viareggio EuropaCinema – sostiene il sindaco Luca Lunardini – è testimoniata dai prestigiosi riconoscimenti e patrocini che il Festival 2010 ha ricevuto, a cominciare dal Premio del Capo dello Stato che per noi significa soprattutto sostegno e stimolo a continuare sulla strada di un Festival che vuole di distinguersi nel panorama internazionale per i suoi alti contenuti culturali e di sperimentazione. Ma Viareggio EuropaCinema ritrova, accanto alla sua dimensione europea e a quella nazionale, un rapporto speciale con la città e con tutte le sue altre 12

istituzioni culturali, coinvolgendo l’intera città e anche la sua unica frazione Torre del Lago Puccini e il meraviglioso spazio del gran teatro dedicato al Maestro. Una nuova sfida – prosegue Lunardini – che affrontiamo con fiducia sapendo di poter contare su prestigiosi partner tra i quali l’Università di Pisa, che ringrazio a nome dell’intera città per il prezioso supporto, la Regione Toscana e la Fondazione Sistema Toscana, la Provincia di Lucca e tutte le altre istituzioni della città che con passione ed entusiasmo hanno condiviso il nuovo percorso culturale di Viareggio EuropaCinema. “La manifestazione – osserva il vicesindaco e assessore alla cultura Ciro Costagliola – per volontà dell’amministrazione comunale è stata affidata alla direzione artistica di Pier Marco De Santi che ha pienamente condiviso e, con speciale entusiasmo, i nostri obiettivi che sono

soprattutto quelli di fare del Festival Viareggio Europacinema un grande contenitore culturale, proiettato sull’Europa a favore di una migliore conoscenza del patrimonio cinematografico contemporaneo e al tempo stesso una festa della città che intreccia sinergie e collaborazioni con il ricco e prezioso sistema culturale di Viareggio, dal Carnevale, al Festival Puccini, al Premio Viareggio. Ma Viareggio EuropaCinema – aggiunge Costagliola – non vuol dire solo Festival che si svolge e si esaurisce in una settimana. L’Amministrazione ha inteso dar vita a un progetto ben più articolato per la valorizzazione del cinema come bene culturale, sostenuto anche dalla scelta di stabilire la sede di Viareggio Europacinema nella bellissima e prestigiosa Villa Borbone, che diventa così il cuore pulsante delle attività di promozione della cultura cinematografica durante l’intero anno”.


nella foto: Ugo di Tullio

Viareggio Europa Cinema si rinnova quest’anno sotto la guida di Pier Marco De Santi attraverso un’impostazione del Festival completamente rinnovata, a partire dal nome, e finalizzata ad avvicinare i giovani al cinema, nel segno della coerenza con la lunga esperienza di docente universitario del nuovo direttore, sempre in contatto con la contemporaneità generazionale. Siamo lieti di poter essere anche quest’anno, come Fondazione Sistema Toscana, partner dell’iniziativa e sostenere un Festival che sempre di più vuole valorizzare la formazione al linguaggio del cinema e trasformarsi in un laboratorio permanente. Non tanto una vetrina di film la cui valenza si esaurisce nell’arco di pochi giorni, dunque, ma un crocevia di scambi culturali, una fabbrica della creatività e delle idee nuove che, attraverso il cinema, può far dialogare le culture e i

UNA RASSEGNA RINNOVATA

Di Tullio (Fondazione Sistema Toscana): “Sarà un crocevia di scambi culturali”

giovani di quello che si è soliti chiamare il “vecchio continente”. Un “vecchio” che si riferisce all’essere il continente dove hanno avuto sede alcune delle civiltà più antiche, ma che non deve pesare come retaggio culturale rivolto al passato su quella che oggi è la dinamicità dei Paesi europei, in particolare di quelli che sono entrati di recente nell’Unione Europea.

mentazioni in campo cinematografico e l’edizione 2010 di Viareggio Europa Cinema ce ne saprà dare un saggio significativo. Ugo Di Tullio Vice Presidente Consigliere Delegato Fondazione Sistema Toscana Mediateca Film Commission

I film lo dimostrano: l’Europa è ancora una fucina di nuove speri13


Questa edizione è una svolta importante nella foto: il presidente della Provincia di Lucca Stefano Baccelli

Il presidente della Provincia Baccelli: “Nonostante i tagli alla cultura sono certo che la qualità rimarrà alta” Europa Cinema rappresenta uno degli appuntamenti con il grande schermo di maggior prestigio nel panorama europeo e, dal 1989, è patrimonio della Versilia, dove ha trovato la sua sede stabile. L’edizione del 2010 segna una svolta col passato e il nuovo corso della rassegna cinematografica nasce sotto i migliori auspici, almeno dal punto di vista dell’impronta artistico-culturale.

alla nostra cultura, alla nostra stessa vita. Anche per questo il contributo pubblico risulta determinante per una effettiva valorizzazione del talento di giovani artisti ed emergenti registi ed attori, per i quali ‘vetrine’ come Viareggio EuropaCinema rappresentano un’occasione importante per far conoscere il loro lavoro al grande pubblico e alla stampa specializzata.

Sono convinto – ma il mio vuol essere ben più che un auspicio – che, nonostante i tagli alle sovvenzioni statali da parte del ministero dei beni culturali, anche quest’anno Viareggio EuropaCinema, saprà mantenere i livelli artistici e confermare le aspettative che le competono.

L’impegno della Provincia di Lucca, quindi, è di sostenere e promuovere la manifestazione come merita una delle eccellenze culturali del territorio: un elemento di attrattiva in più per un pubblico di appassionati e di turisti, in una stagione, l’Autunno, che conferisce a Viareggio e alla Versilia un fascino straordinario.

La nobile settima arte, con le sue suggestioni e le emozioni che sempre riesce a creare, appartiene 14

Stefano Baccelli Presidente della Provincia di Lucca


Carlo Lizzani (nella foto, con Giorgio Napolitano), riceverà il premio speciale del Presidente della Repubblica

Otto giornate, tredici film in concorso, sette serate di gala, cinque incontri con gli autori, per gli studenti universitari, quattro proiezioni per gli studenti delle scuole medie e superiori, sei appuntamenti speciali, tre mostre: questi sono i principali numeri della prima edizione di Viareggio EuropaCinema. Il primo elemento di valore dell’attuale Festival è stato quello di ripristinare il Concorso, riservandolo a opere “da prime a terze” selezionate tra quelle realizzate nella stagione 2009/2010 e scelte tra gli oltre ottanta film provenienti da tutti i Paesi dell’area geografica europea. Requisito fondamentale ed essenziale per l’ammissione è stato quello dell’anteprima esclusiva per l’Italia e l’assoluta necessità di riservare la partecipazione solo alle pellicole prodotte dalla Nazione di origine. La qualità culturale e artistica dei 13 film partecipanti è molto alta e i registi rappresentati – tra cui due donne – fanno parte del “fior da fiore” della cinematografia europea contemporanea. Albania, Croazia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Polonia, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Ungheria: questi sono i Paesi designati. Per tutti è prevista la partecipazione del regista del film o di un suo protagonista e l’account

Il ritorno del concorso

Tredici film europei in gara: il vincitore sarà deciso da una giuria composta da studenti universitari di una presenza diplomatica. Proiettati al Palazzo del Cinema del Centro Congressi Principe di Piemonte, nella fascia pomeridiana da lunedì 11 a venerdì 15 ottobre e brevemente introdotti dal loro autore o autrice, i film vengono valutati e giudicati da una giuria di 100 studenti universitari, italiani ed europei, provenienti dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa e da altri Atenei nazionali, presieduta dal ch.mo prof. Lorenzo Cuccu, Presidente Emerito della Consulta

Universitaria Cinematografica. Il Premio Viareggio EuropaCinema 2010 al migliore film del Concorso viene assegnato durante la Serata di Gala conclusiva di domenica 17 ottobre, che si svolgerà come evento d’eccezione all’Auditorium “Enrico Caruso” del Gran Teatro Giacomo Puccini di Torre del Lago, e consiste – novità assoluta – nell’impegno da parte di una società di produzione home video nazionale a realizzare e distribuire in Italia l’edizione in dvd della pellicola vincitrice. 15


Tutto il programma Proiezioni, incontri, eventi speciali, mostre: ecco come orientarsi negli otto giorni del Festival

CENTRO CONGRESSI PRINCIPE DI PIEMONTE (Sala Puccini, Sala Tobino, Sala Viani, Sala Viareggio) GRAN TEATRO DEL FESTIVAL PUCCINIANO (Auditorium Enrico Caruso)

Lunedì 11 Ore 9.00/13.00 – 15.00/20.00 Sala Viani Accrediti e informazioni sul Festival Ore 12.00 Sala Viani Conferenza stampa Sala Puccini Film in concorso Proiezioni In lingua originale con sottotitoli in italiano Ore 14.30 Agallas di Samuel Mateos e Andrés Pérez (Spagna) Ore 16.30 Twisted Roots 16

di Saara Saarela (Finlandia) Ore 18.30 Question in details di Zsombor Dyga (Ungheria) Sala Viareggio Libri al Festival Ore 17.00 Presentazione del volume I film in tasca. Videofonini, cinema e televisione a cura di Maurizio Ambrosini, Giovanna Maina, Elena Marcheschi, Felici Editore, 2009 Ore 18.30 Presentazione del volume

La Dolce Vita. Scandalo a Roma, Palma d’oro a Cannes di Pier Marco De Santi, Edizioni ETS Ore 21.00 Sala Puccini Serata di Gala Inaugurale First Gala Night Madrina Amanda Sandrelli Conduce Claudio Sottili Premio Viareggio EuropaCinema 2010 alla Memoria Omaggio a Massimo Troisi Con la partecipazione di Mauro Berardi, Paolo Bonacelli, Carlo Monni, Marco Duradoni A seguire, proiezione in anteprima


mondiale della nuova edizione Blu-Ray Disc del film Non ci resta che piangere (1984) scritto, diretto e interpretato da Roberto Benigni e Massimo Troisi. Evento in collaborazione con Cecchi Gori Group

Martedì 12

cinema in Italia a cura di Maria Adriana Giusti e Susanna Caccia, Edizioni ETS, 2010 Ore 18.30 Presentazione del volume Occhi da cinema di Leandro Castellani, Ibiskos Ulivieri Editore, 2009

Ore 9.00/13.00 15.00/20.00 Sala Viani Accrediti e informazioni sul Festival

Sala Tobino Ore 21.00 Proiezione pubblica del film Tu Ridi (1998) di Paolo e Vittorio Taviani

Ore 9.00 Sala Tobino Cinema per le scuole Il Concerto (2010) di Radu Mihaileanu - Coordina Giulio Marlia

Sala Puccini Ore 21.00 Serata di Gala In occasione del 150° Anniversario della Nascita di Anton Cechov Proiezione in anteprima nazionale del film Reparto n° 6 (2009) di Karen Shakhnazarov e Alexandr Gornovsky, alla presenza del regista Shakhnazarov e di Marco Duradoni, Presidente di General Video

Ore 10.00 Sala Puccini Incontri con gli Autori Proiezione del film Mèmoires (2006) di Maurizio Scaparro Premio Viareggio EuropaCinema 2010 a Maurizio Scaparro A seguire, incontro sul tema Cinema e teatro. Coordina Pier Marco De Santi Ore 12.00 Sala Viani Conferenza stampa Sala Puccini Film in concorso Ore 14.30 Alive! di Artan Minarolli (Albania) Ore 16.30 The last hanging di Francisco Manso (Portogallo) Ore 18.30 Pure di Lisa Langseth (Svezia) Sala Viareggio Libri al Festival Ore 17.00 Presentazione del volume Architetture e luoghi del

Mercoledì 13 Ore 9.00/13.00 15.00/20.00 Sala Viani Accrediti e informazioni sul Festival

Sala Viani Ore 12.00 Conferenza stampa Sala Puccini Film in concorso Ore 14.30 Garimpeiro di Marc Barrat (Francia) Ore 16.30 Guinness di Alexis Kardaras (Grecia) Ore 18.30 Sinestesia di Erik Bernasconi (Svizzera) Sala Viareggio Libri al Festival Ore 17.00 Presentazione del volume L’illusione e il sostituto – Riprodurre, imitare, rappresentare di Alfonso Maurizio Iacono, Bruno Mondadori Editore, 2010 Ore 18.30 Presentazione del volume Carlo Lizzani di Vittorio Giacci, Il Castoro Cinema, 2009 Sala Puccini Ore 21.00 Serata di Gala Premio Viareggio EuropaCinema 2010 del Presidente della Repubblica, Onorevole Giorgio Napolitano, a Carlo Lizzani. Conduce Claudio Sottili. A seguire, proiezione del film Il mio Novecento (parte II) (2010) di Carlo Lizzani

Ore 9.00 Sala Tobino Cinema per le scuole Welcome di Philippe Lioret (2009) - Coordina Giulio Marlia

Giovedì 14

Sala Puccini Ore 10.00 Incontri con gli Autori Proiezione dello speciale Intervista a Carlo Lizzani (2010) di Vito Zagarrio. A seguire, incontro con Carlo Lizzani sul tema Il neorealismo italiano. Coordina Vittorio Giacci e Vito Zagarrio

Ore 9.00/13.00 15.00/20.00 Sala Viani Accrediti e informazioni sul Festival Ore 9.00 Sala Tobino Cinema per le scuole L’uomo che verrà (2009) di Giorgio Diritti Coordina Giulio Marlia 17


A seguire, proiezione in anteprima nazionale del film The Last Report on Anna (2009) di Márta Mészáros

Venerdì 15 Ore 9.00/13.00 – 15.00/20.00 Sala Viani Accrediti e informazioni sul Festival Ore 9.00 Sala Tobino Cinema per le scuole Fortapàsc (2008) di Marco Risi – Coordina Giulio Marlia Ore 10 Sala Puccini Incontri con gli Autori Proiezione del film Salmo rosso (1971) di Miklós Jancsó A seguire, incontro con Miklós Jancsó sul tema La tecnica del tiranno. Coordina Giulio Marlia Ore 12.00 Sala Viani Conferenza stampa

Ore 10.00 Sala Puccini Incontri con gli Autori Proiezione del film L’uomo di Budapest (2004) di Márta Mészáros. A seguire, incontro con Márta Mészáros sul tema La memoria dell’offesa. Coordina Sandra Lischi Ore 12 Sala Viani Conferenza stampa Sala Puccini Film in concorso Ore 14.30 - Personal baggage di Janez Lapajne (Slovenia) Ore 16.30 - Love life of a gentle coward di Pavo Marinkovic (Croazia) 18

Ore 18.30 Sala Puccini Eventi Speciali Incontro con Franco Bixio sul tema: Immagini e Musica: La grande magia del Cinema. Il valore della colonna sonora nel messaggio emotivo. Presentazione in anteprima assoluta del CD Le colonne sonore dei film di Don Camillo. Coordina Pier Marco De Santi Ore 21.00 Sala Puccini Serata di Gala Premio Viareggio EuropaCinema 2010 a Márta Mészáros Gala Night Conduce Claudio Sottili.

Sala Puccini Film in concorso Ore 14.30 Boxhagener Platz di Matti Geschonneck (Germania) Ore 16.30 All that I love di Jacek Borcuch (Polonia) Sala Viareggio Libri al Festival Ore 17.00 Presentazione del volume La tecnica del Tiranno – Il Cinema di Miklós Jancsó di Giulio Marlia, Marco Del Bucchia Editore, 2010 Ore 18.30 Sala Puccini Eventi Speciali Proiezione del film Fortapàsc


(2008) di Marco Risi alla presenza dell’autore e dello sceneggiatore Andrea Purgatori. Coordina Giulio Marlia Ore 21.00 Sala Puccini Serata di Gala - Premio Viareggio EuropaCinema 2010 a Miklós Jancsó A seguire, proiezione del film I disperati di Sandor (b/n 1965) di Miklós Jancsó, in lingua italiana

Sabato 16 Ore 9.00/13.00 – 15.00/20.00 Sala Viani Accrediti e informazioni sul Festival Ore 10.00 Sala Puccini Incontri con gli Autori Proiezione in anteprima assoluta di La figlia, episodio inedito del film Tu Ridi (1998) di Paolo e Vittorio Taviani. A seguire, incontro con Paolo e Vittorio Taviani sul tema Il nostro cinema e Pirandello. Coordina Lorenzo Cuccu Ore 12.00 Sala Viani Conferenza stampa Ore 14.30 Sala Tobino Lavori della Giuria Eventi Speciali Sala Puccini Ore 14.30 Proiezione in anteprima assoluta del film I giorni della paura (2010) di Alessandro Tofanelli, alla presenza dell’Autore. Coordina Ciro Costagliola Ore 16.30 anteprima del film L’assassino dello Zar (1991) di Karen Shakhnazarov, in occasione

del 150° Anniversario della nascita di Anton Cechov Ore 18.30 Proiezione del film La vera storia della signora delle camelie (1981) di Mauro Bolognini, copia restaurata a cura del Centro Mauro Bolognini di Pistoia, alla presenza di Manolo Bolognini e di Roberto Cadonici, Presidente del Centro Studi “Mauro Bolognini” di Pistoia Ore 21.00 Sala Puccini Serata di Gala Premio Viareggio EuropaCinema 2010 del Direttore Artistico a Paolo e Vittorio Taviani Conduce Claudio Sottili A seguire, proiezione del film Padre Padrone (1977) di Paolo e Vittorio Taviani

Domenica 17 Ore 12.00 Hotel Esplanade Conferenza stampa d i presentazione del film vincitore del Premio Viareggio EuropaCinema 2010 Ore 21.00 Auditorium “Caruso” del Gran Teatro all’Aperto “Giacomo Puccini” di Torre del Lago Serata di gala Premio Viareggio EuropaCinema 2010 al Miglior Film in Concorso. Gala Night Conduce Claudio Sottili. A seguire, Concerto di Musiche da film eseguito da l’Ensemble del Festival Pucciniano. Direttore d’Orchestra e Pianista Solista, M° Luigi Nicolini

Lunedì 18 Ore 12.30 Sala Puccini conferenza stampa di chiusura del Festival Viareggio EuropaCinema 2010. Presentazione dell’attività annuale di Viareggio EuropaCinema coordina Umberto Guidi Ore 18.30 Sala Puccini Proiezione del film vincitore del Premio Viareggio EuropaCinema 2010

LE MOSTRE DEL FESTIVAL Villa Paolina 2 ottobre-17 ottobre 2010 Sabato 2 ottobre Ore 18 Inaugurazione delle mostre Sabato 9 ottobre Ore 17.00 Presentazione del catalogo generale di Viareggio EuropaCinema 2010 e dei cataloghi delle mostre Carlo Lizzani Sessant’anni di cinema e Il Carnevale di Viareggio e il Cinema. Carlo Lizzani Sessant’anni di cinema A cura di Pier Marco De Santi Il Carnevale di Viareggio e il Cinema a cura di Umberto Guidi e Paolo Fornaciari in collaborazione con la Fondazione Carnevale di Viareggio

Le mostre resteranno aperte dal 2/10 al 17/10, con orario 16/20 19


film in concorso proiezioni presso il Centro Congressi

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IL CONCORSO SPAGNA

Quando il crimine non paga Centro congressi, 11 ottobre ore 14,30

Agallas (Titolo Originale: Agallas!) Regia: Samuel Martìn Mateos, Andrés Luque Pérez Thriller. Durata: 99 min. Spagna, 2009.Produzione: Continental, Mucho Ruido, Agallas Aie. Interpreti: Hugo Silva, Carmelo Gómez, Carlos Sante, Rula Blanco, Tomás Lijó Sceneggiatura: Juan Antonio Gil Bengoa, Javier Echániz Petralanga Fotografia: Juan Carlos Gómez Montaggio: Guillermo Represa Musiche: Xabi Font, Arturo Vaquero

Sinossi Sebastian, un piccolo delinquente, decide di cercare lavoro in una piccola azienda della Galizia. Ad attirarlo è il fatto che ha saputo che il proprietario dell’impresa ha acquistato la sua Jaguar tramite la sua attività di pesca di granchi. Mediante un’astuzia, si fa amico di un incaricato e riesce a farsi assumere. A poco a poco Sebastian cambia aspetto, si compra vestiti nuovi, e guadagna la fiducia del suo capo. In realtà Sebastian ignora di essere parte di un gioco più grande di lui.

Commento del regista I nostri corpi ci chiedevano di fare cinema. E’ stata una cosa naturale.

Filmografia Agallas - Guts (2009) (comes Samuel Martín) “Cartelera” (1 episode, 2007)

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IL CONCORSO FINLANDIA

Scene da una famiglia Centro congressi, 11 ottobre ore 16,30 Sinossi La famiglia Kuura, a causa della malattia ereditaria del padre, si ritrova, per la prima volta dopo molti anni, riunita sotto lo stesso tetto. I membri della famiglia cercano l’equilibrio tra i segreti e la verità: i genitori devono affrontare loro stessi e le proprie paure represse, mentre i figli cercano il loro ruolo in famiglia e provano a capire quale sarà il loro destino.

Note di regia Usando saggiamente la luce invernale per illuminare le emozioni dell’opera, la regista Sareela ha messo assieme un cast di prima classe per popolare il suo emozionante dramma familiare, con Milka Ahlroth nel ruolo del padre di famiglia.

Filmografia Twisted roots (Titolo originale: Väärät juuret) Regia: Saara Saarela Drammatico. Durata: 97 min. Finlandia, 2009. Produzione: Edith Film OY. Interpreti: Milka Ahlroth, Pertti Sveholm, Niko Saarela, Silva Robbins, Vieno Saaristo Sceneggiatura: Selja Ahava, Saara Saarela Fotografia: Rauno Ronkainen Montaggio: Harri Ylönen Musiche: Marko Nyberg

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Väärät juuret (2009) Twisted Roots (International: English title) Matka (2007) “Poikkeustila” (2007) TV series “Jako Kahteen” (2006) TV series Les Européens (2006) (segment “Teneriffa”) Yövuoro (2005) (TV) “Sairaskertomuksia” (2004) TV series (unknown episodes) “Tie Eedeniin” (2003) TV series (unknown episodes) “Rikospoliisi Maria Kallio” (3 episodes, 2003) Stella Polaris esittää: Veneen henki (2003) (TV) Hengittämättä ja nauramatta (2002) Stripping (International: English title) “Hämmentäjien kuningas” (2002) TV series (unknown episodes) “Kultakuume.com” (2001) TV mini-series Kuningas Hidas (2000) Slow at Heart (International: English title) Vapahtaja (1998) Redeemer (International: English title) Deer Men (1998) Tir (1997) Shot (International: English title) Made in Filmland (1997)


IL CONCORSO UNGHERIA

Se il passato ritorna Centro congressi, 11 ottobre, ore 18,30

Question in details (Titolo originale: Köntörfalak) Regia: Zsombor Dyga Drammatico. Durata: 82 min. Ungheria, 2009. Produzione: Film Team. Interpreti: Ferenc Elek, Kátya Tompos, Roland Rába Sceneggiatura: Zsombor Dyga Fotografia: Gábor Marosi Montaggio: Judit Czakó

Sinossi Un uomo e una donna, Zoli e Eszti, si incontrano per caso in un parco e cominciano a frequentarsi. Sciolti i dubbi iniziali i due cominceranno a conoscersi meglio fino a scoprire di avere qualcosa in comune nel loro passato che riguarda la moglie di Zoli, morta quattro anni prima in un incidente stradale.

Commento del regista Questo film parla della comunicazione, della forza delle parole, di come questi due mondi riescono a capirsi. Mi interessava come posso fare di una conversazione /chiacchierata una storia interessante mentre non succede nulla. I protagonisti sono lasciati completamente a se stessi, per tutto il tempo parlano soltanto. Durante la scrittura la sfida era: come si può servire di soli dialoghi tensione/suspense, mistero e soluzione

Filmografia Question in Details (2009) Kész cirkusz (2005) Bro (2003) Uno (2002) Öcsögök (2001) Tempo (2001) Vértakony (2000) Gyilkosok (2000) Roaming the Streets (1999)

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IL CONCORSO ALBANIA

In bilico tra vecchio e nuovo Centro congressi, 12 ottobre ore 14,30

Alive! (Titolo originale: Gjallë) Regia: Artan Minarolli Drammatico. Durata: 90 min. Albania, 2009. Produzione: Imperial Cinema Interpreti: Nik Xhelilaj, Xhevdet Feri, Besart Kallaku, Bruno Shllaku, Niada Saliasi, Sceneggiatura: Artan Minarolli Fotografia: Jacques Bouquin Montaggio: Oliver Neumann Musiche: Hjalti Bager-Jonathansson, Daniel Fritz

Sinossi Koli, uno studente di college, si nasconde in campagna per sfuggire ad una faida di sangue,

ma si renderà ben presto conto di dover tornare alla sua scuola, alla sua vita nella città, rischiando di affrontare il suo assassino. Involontariamente egli diventa lo specchio del rapporto di amoreodio del suo paese con la tradizione.

Commento del regista Tirana è la capitale, dove lo sforzo verso la civilizzazione è molto sentito. Alcune strade sono veramente moderne, la gente cerca di vestirsi e comportarsi come nel mondo occidentale. Ma le persone si sono mosse in tutto il paese, e il quadro che ne risulta è spesso incerto .L’energia che vibra intorno sembra essere dovuta a una volontà generale di avvicinarsi al mondo occidentale, e recuperare il tempo perso durante un mezzo secolo del totalitarismo. La città ha scoperto i caratteri della modernità come il rumore e il caos.

Filmografia Alive! - Gjallë (2009) The Moonless Night (2004) Plumbi prej plasteline (1994) Qind për qind (1993) 24


IL CONCORSO PORTOGALLO

La passione, il delitto, il castigo Centro congressi, 12 ottobre ore 16,30

The last hanging (Titolo originale: O Último Condenado à Morte ) Regia: Francisco Manso Drammatico. Durata: 94 min. Portogallo, 2009. Produzione: Cinemate. Interpreti: Ivo Canelas, Maria João Bastos, Nicolau Breyner, João Cabral, Albano Jerónimo Sceneggiatura: António Torrado Fotografia: Miguel Sales Lopes Montaggio: Tomás Baltazar Musiche: João Oliveira

Sinossi

che ha colpito quattro vite. Ma tutto sta al giudizio del pubblico, se la colpa individuale, interpretata come il rappresentante visibile della collettività, sarà espiata dalla pena che porterà alla fine di una vita.

Filmografia Assalto ao Santa Maria (2009) O Último Condenado à Morte “The Last Hanging” - Europe (2009) A Ilha dos Escravos (2008) “Almeida Garrett” (2000) TV mini-serie Clandestinos (2000) Dez Grãozinhos de Terra (2000)

La storia dell’ultima sentenza capitale in Portogallo, un’impiccagione nella Lisbona del 1842. La turbolenta relazione tra un giovane studente di seminario e la sua vittima, la sua bella zia francese. Un dramma passionale che sconvolse il paese e portò all’abolizione della pena di morte.

Commento del regista Il film non ammorbidisce la colpevolezza né concede l’amnistia per la colpa dell’orribile crimine

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IL CONCORSO SVEZIA

E Katarina scoprì Mozart Centro congressi, 12 ottobre ore 18,30 Sinossi Katarina ha 20 anni. Ha un passato tormentato, vissuto in un sobborgo squallido; il suo destino sembra essere già scritto. Tutto cambia quando sente il Requiem di Mozart che le apre un nuovo mondo meraviglioso: la musica. Sente di dover cambiare, ma il percorso che deve seguire si rivela ostico, pieno di bugie, tradimenti e una pericolosa storia con un uomo sposato: Adam, il direttore del teatro.

Commento del regista

Pure (Titolo originale: Till det som är vackert) Regia: Lisa Langseth Drammatico: Durata: 102 min. Svezia, 2010. Produzione: Tre Vänner Produktion AB. Interpreti: Alicia Vikander, Samuel Fröler, Martin Wallström, Helén Söderqvist Henriksson, Josephine Bauer Sceneggiatura: Lisa Langseth Fotografia: Simon Pramsten Montaggio: Malin Lindström Musiche: Per-Erik Winberg

Pure parla della scalata sociale di una giovane donna nel 2010. Il film interessa sia un livello politico sia uno psicologico, attraverso i quali è un semplice resoconto del percorso di una giovane donna nell’acquisire una nuova identità. L’elitaria cultura con la quale Katarina si confronta nella Sala Concerti funziona al contempo da catalizzatore e da trappola. Qui, nel regno delle visioni intellettuali e della bella musica, sono anche presenti, al fine di garantire le istituzioni, un accumulato capitale culturale e un basico elitismo maschile. Spero che i miei personaggi siano double-face allo stesso modo. Io non li vedo né come cattivi né come buoni; ma è più uno di quei casi dove le loro azioni sono governate dai rapporti causa-effetto. Dopotutto sono solo esseri umani. Pure è una delle storie più antiche del mondo, ma questa volta tuttavia è raccontata dalla prospettiva di una giovane donna.

Filmografia Pure (2010) “Till det som är vackert”(original title) Godkänd (2006)

nella foto: la regista Lisa Langseth 26


IL CONCORSO FRANCIA

La Guyana ha la febbre: dell’oro Centro congressi, 13 ottobre ore 14,30

Garimpeiro (Titolo originale: Orpailleur) Regia: Marc Barrat Avventura. Durata: 93 min. Francia, 2009. Produzione: Wide Management Interpreti: Tony Mpoudja, Julien Courbey, Sara Martins, Jimmy Jean-Luis, Philippe Nahon Sceneggiatura: Marc Barrat, Marie-Laure Berthelin, Apsita Berthelot, Salvatore Lista Camera/Fotografia: Claude Garnier Montaggio: Laurence Bawedin Musiche: Pierre Aviat

Sinossi Rod decide di ritornare nella Guyana, il suo paese natale, accompagnato da Gonz, suo amico d’infanzia. A Cayenne iniziano un’indagine sul passato di Rod. Una ricerca che li porterà direttamente nel cuore della foresta vergine, nei campi dei cercatori d’oro illegali.

Commento del regista Il paradosso è che la Guyana è un territorio francese, dove prendono vita storie incredibili. Le persone che cercano l’oro non sono necessariamente guidate dalla ricerca del profitto; sono, in primo luogo e soprattutto, individui che cercano di sopravvivere con ogni mezzo a disposizione. C’è, allo stesso tempo, profonda modernità e arcaismo. Tutto questo si svolge nel maestoso parco nazionale dell’Amazzonia nella Guyana francese. Per questo motivo non possiamo restare indifferenti. Il film è quindi un film di finzione che è saldamente ancorato alla realtà e spero che favorisca una sorta di miglioramento della situazione.

Filmografia Orpailleur (2009) “Garimpeiro: The Gold Forest”

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IL CONCORSO GRECIA

Un noir con sguardo ironico Centro congressi, 13 ottobre ore 16,30

Guinness (Titolo Originale: Guiness) Regia: Alexis Kardaras Avventura/ Commedia. Durata: 94 min. Grecia, 2008. Produzione: Bad Movies Interpreti: Giorgos Pyrpassopoulos, Marcella Yannatou, Stelios Mainas, Antonis Kafetzopoulos, Dimitris Alexandris Sceneggiatura: Alexis Kardaras in collaborazione con Nikos Panayiotopoulos Fotografia: Stamatis Giannoulis Montaggio: Ioanna Spiliopoulou Musiche: Stavros Xarhakos

Sinossi Ingegno ed azione in un’avventura dai contorni “noir” che racconta il carattere dei greci. Un giovane giocatore d’azzardo cerca di sfuggire al fascino letale di una donna, moglie infelice, e di scappare con un tesoro in lingotti d’oro, sepolto nella taverna del marito, situata “nel mezzo del nulla”.

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Commento del regista Con lo slogan “la commedia più sfortunata dell’anno” Guinness ha un approccio insolito nell’illustrare quanto incostante possa essere la fortuna – un attimo la avete, un attimo dopo non c’è più. Ispirato ai gangster-movie americani degli anni ’40, Guinness racconta la storia di un giocatore d’azzardo affascinante e sfortunato che giunge in una taverna nel “mezzo del niente” per un affare di oro. Invece attira le attenzioni dell’infelice moglie dello scontroso proprietario della taverna, il cui affetto complica il piano e perpetua l’incantesimo di sventura che lo affligge.

Filmografia Guinness (2008) The Robbery (1999) O Babis kai i Tasia pantrevontai (1993)


IL CONCORSO SVIZZERA

Un film solo, quattro generi Centro congressi, 13 ottobre ore 18,30

Sinestesia (Titolo Origianle: Sinestesia) Regia: Erik Bernasconi Drammatico/Commedia. Durata: 91 min. Svizzera, 2009. Produzione: Imagofilm Lugano. Interpreti: Alessio Boni, Giorgia Wurth, Melanie Winiger, Leonardo Nigro, Teco Celio Sceneggiatura: Erik Bernasconi, con la consulenza di Roan Johnson Fotografia: Pietro Zuercher Montaggio: Claudio Cormio Musiche: Zeno Gabaglio, Christian Gilardi

Sinossi Sinestesia segue le vicissitudini di quattro giovani in due momenti della loro vita, a ridosso di due episodi drammatici che avvengono a distanza di tre anni. In questo lasso di tempo i personaggi si confrontano con le gioie della quotidianità e con le difficoltà della vita. Ogni capitolo si ispira ad un genere

cinematografico (sentimentale, thriller, comico, drammatico) per mostrare le varie sfaccettature che il quotidiano può assumere.

Commento del regista In questo film la fortuna ha un ruolo centrale. Rappresenta una forza fondamentale, a tal punto che uno dei titoli possibili per il film poteva essere “Il gioco d’azzardo”. Sono convinto che siamo padroni del nostro destino e che possiamo controllare la nostra vita per il 99,9% del tempo. Ma nella vita di tutti i giorni, rimane sempre quel 0,1% in cui interviene la fortuna. Può essere positivo, drastico, banale o tragico. Ho cercato di riflettere questo nel film.

Filmografia Sinestesia (2009) Atgabbes: 40 anni di integrazione (2008) Carpe che? (2006) Fenêtre (2004)

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IL CONCORSO SLOVENIA

Amore, desiderio e natura Centro congressi, 14 ottobre ore 14,30

Personal Baggage (Titolo origianle: Osebna prtljaga ) Regia: Janez Lapajne Drammatico. Durata: 124 min. Slovenia, 2009. Produzione: Triglav Film. Interpreti: Nataša Barbara Gračner, Branko Završan, Tjaša Železnik, Boris Cazazza, Grega Zorc Sceneggiatura: Janez Lapajne, Nejc Gazvoda Fotografia: Matej Križnik Montaggio: Janez Lapajne e Rok Biček Musiche: Slovenian choral songs e Grimmski

Sinossi Ensemble narrativo di amore e desiderio a forma di spirale, circondato dall’ossessionante presenza delle foreste slovene, che permettono lentamente di scoprire un raccapricciante bagaglio storico, un sottotesto che il regista utilizza per creare un effetto atrocemente ironico.

Commento del regista Non mi interessa affatto accontentare i selezionatori dei festival di cinema internazionali con film

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speculativi su una inesistente Slovenia “esotica”. In “Personal Baggage”, mi concentro sulla totale incapacità di provare empatia al giorno d’oggi. Ciò che rende il protagonista del film interessante è il suo egoismo, che riflette l’atmosfera generale dell’attuale periodo. La mancanza di volontà della società slovena di far fronte al suo bagaglio storico centroeuropeo, mi dà fastidio come regista e, specialmente, come essere umano.

Filmografia Osebna prtljaga (2009) Short Circuits (2006) Selestenje - “Rustling Landscapes” -(2002)


IL CONCORSO CROAZIA

Vita amorosa di un timido Centro congressi, 14 ottobre ore 16,30

Love life of a gentle coward (Titolo originale: Ljubavni zivot domobrana ) Regia: Pavo Marinkoviç Commedia. Durata: 95 min. Croazia, 2009. Produzione: Alka-Film Zagreb Interpreti: Dijana Vidušin, Filip Sovagović, Jan Budar, Nenad Cvetko, Siniša Popović Sceneggiatura: Pavo Marinkovic Fotografia: Vedran Samanović Montaggio: Dubravko Slunjski Musiche: Hrvoje Crnić

Sinossi Sasa non è un ragazzo eccezionale: timido, reticente, normale. Lavora, sotto pseudonimo, come critico gastronomico per un giornale di Zagabria. É divorziato, può vedere il figlio solo occasionalmente. Un giorno incontra Ines, il suo esatto opposto: realizzata, bellissima. Incoraggiato dal suo affetto, Sasa cercherà di trascendere i suoi limiti e di opporsi all’ipocrisia che lo circonda.

Commento del regista Love life of a gentle coward è un film delicato e sottile, aromatizzato con una melanconia elegante. Anche se mascherato da commedia leggera, il film affronta alcune questioni fondamentali: come un uomo dovrebbe vivere? Come dovrebbe amare?

Filmografia Love Life of a Gentle Coward (2009)

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IL CONCORSO GERMANIA

C’era una volta Berlino Est Centro congressi, 15 ottobre ore 14,30 Filmografia

Boxhagener platz (Titolo originale: Boxhagener Platz ) Regia: Matti Geschonneck Drammatico. Durata: 103 min. Germania, 2010. Produzione: Pandora Film Interpreti: Gudrun Ritter, Michael Gwisdek, Samuel Schneider, Meret Becker, Juergen Vogel Sceneggiatura: Torsten Schultz Fotografia: Martin Langer Montaggio: Dirk Grau Musiche: Florian Tessloff

Sinossi 1968, Berlino est: le agitazioni studentesche e la rivoluzione sessuale in Occidente. A Berlino Est a Boxhagener Platz, è ambientata la speciale avventura di nonna Oma Otti e del suo nipote di dodici anni, Holger. Otti ha già cinque mariti nella tomba e al sesto non manca ancora molto quando riceve le avances dal vecchio nazista Fisch-Winkler e dall’ex combattente Spartacus Karl Wegner.

Commento del regista: La Piazza Boxhagen

non c’è piu. Però mi ricordo la vita che c’era qui, il mercato, le carrozze delle birrerie trainate da cavalli, gli arrotini, e due cinema ormai chiusi da tempo. Già sento la nostalgia dei tempi passati, di un mondo ormai tramontato, ma visto con lo spirito tipico dei berlinesi. Il film Boxhagener Platz non vuole idealizzare il passato del Est, piuttosto ne vuole raccontare le vicissitudini di chi l’ha vissuto.

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Tod in Istanbul - Jeder hat seinen Preis (2010) TV Boxhagener Platz (2010) Hinter blinden Fenstern (2009) TV Entführt (2009) TV Todsünde (2008) TV Zeit zu leben (2007) TV Duell in der Nacht (2007) TV “Stolberg” (2 episodes, 2006) Hexenjagd (2006) TV episode Todsicher (2006) TV episode Die Tote vom Deich (2006) TV Silberhochzeit (2006) TV Die Nachrichten (2005) TV Liebe nach dem Tod (2005) TV Mord am Meer (2005) TV Die Ärztin (2004) TV Wer liebt, hat Recht (2002) TV Die Mutter (2002) TV Liebe Schwester (2002) TV Späte Rache (2001) TV Jenseits der Liebe (2001) TV Ein mörderischer Plan (2001) TV Comeback für Freddy Baker (1999) TV Ganz unten, ganz oben (1999) TV “Polizeiruf 110” (3 episodes, 1996-1999) Mörderkind (1999) TV episode Lauf oder stirb (1996) TV episode Der Pferdemörder (1996) TV episode Reise in die Nacht (1998) TV Der Rosenmörder (1998) TV Der Schrei der Liebe (1997) TV Angeschlagen (1997) TV Angst hat eine kalte Hand (1996) TV Matulla und Busch (1995) TV Der Mörder und sein Kind (1995) TV “Tatort” (4 episodes, 1993-1994) Geschlossene Akten (1994) TV episode Die Sache Baryschna (1994) TV episode Tod einer alten Frau (1993) TV episode Berlin - Beste Lage (1993) TV episode Der gute Merbach (1994) TV Möbius (1993)


IL CONCORSO POLONIA

La musica? Ti rende libero Centro congressi, 15 ottobre ore 16,30

All that I love (Titolo originale: Wszystko, co kocham) Regia: Jacek Borcuch Commedia. Durata: 95 min. Polonia, 2009. Produzione: Prasa&Film Ltd. Interpreti: Mateusz Kosciukiewicz, Olga Frycz, Jakub Gierszał, Andrzej Chyra, Anna Radwan Sceneggiatura: Jacek Borcuch Fotografia: Michał Englert Montaggio: Agnieszka Glinska, Krzysztof Szpetmanski Musiche: Daniel Bloom

Sinossi La storia di quattro amici che vogliono formare una punk band. Mentre le proteste dei lavoratori si diffondono in tutto il paese, i figli di un ufficiale della marina, Janek e Staszek, il ribelle Kazik e il ricco Diabel si uniscono per dare vita ad un gruppo, ma le loro esistenze così diverse sono toccate dai tumulti sociali e dalla percezione del mondo esterno.

Commento del regista All That I love è offensivamente naïve, ma allo stesso tempo c’è qualcosa di affascinante - una purezza che le persone fanno rapidamente uscir fuori, la passione di scoprire il mondo, e l’idealismo giovanile. Tutto quello che abbiamo amato e che ci manca – più o meno da quando abbiamo compiuto diciotto anni.

Filmografia All That I Love (2009) “Magda M.” (5 episodi, 2005) Episode #1.5 (2005) TV episode Episode #1.4 (2005) TV episode Episode #1.3 (2005) TV episode Episode #1.2 (2005) TV episode Episode #1.1 (2005) TV episode Tulips (2004) Kallafiorr (2000)

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EUROPACINEMA MOSTRE

Carlo Lizzani

sessant’anni di cinema Un tributo al grande regista e intellettuale che ha attraversato il Novecento, dal Neorealismo ad oggi

Una mostra documentaria che ricostruisce la vita e l’opera di Carlo Lizzani, uno dei maestri del cinema italiano: regista, sceneggiatore, ma anche saggista e critico del cinema. “In occasione del mio incarico alla direzione artistica della prima edizione del Festival Viareggio EuropaCinema – spiega il professor Pier Marco De Santi – e in vista della serata d’onore con l’assegnazione del Premio Viareggio EuropaCine34

ma 2010, Premio speciale del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, assegnato – su mia proposta – a Carlo Lizzani, ho ideato e curato (insieme a Andrea Mancini) questa grande mostra: un evento nell’evento”. Si tratta di un’esposizione di manifesti, locandine, foto di scena, brochure, documenti, manoscritti che – tutti insieme – sono la testimonianza dello straordinario

viaggio nel mondo dell’immagine in movimento di uno tra i massimi registi del cinema italiano. Con il suo recente (e fondamentale) libro di memorie Il mio lungo viaggio nel Secolo Breve, edito da Einaudi nel 2007, Lizzani ci ha dato la fotografia esatta della sua esperienza di vita, trascorsa interamente seguendo un percorso – talvolta difficile e pieno di insidie, più spesso denso di soddisfazioni e


nelle foto alcune locandine e scene di film di Carlo Lizzani (nella foto grande con Dario Fo)

consensi – che lo ha portato ad essere unanimemente considerato tra i maggiori scrittori e autori cinematografici, dal dopoguerra a oggi. Durante il periodo della mostra (a Villa Paolina, dal 2 al 17 ottobre, orario 16-20), sulla base di una precisa scelta fatta dallo stesso Lizzani, verranno proiettate al pubblico – con le opportune introduzioni – alcune tra le “pietre miliari” di una invidiabile filmo-

grafia che comprende sessanta tra film e documentari. Vedremo così, a villa Paolina, film celeberrimi come Cronache di poveri amanti e Il processo di Verona, ma anche pellicole meno note – ma pur sempre assai significative e importanti – come Lo Svitato, legato alla collaborazione giovanile con il grande Dario Fo; Requiescant, nel filone nobile del film western e nel quale fa la sua seconda performance di attore (dopo Il Gobbo) Pier Paolo

Pasolini; La casa del tappeto giallo, un “thriller” mozzafiato; Celluloide, la ricostruzione cinematografica dell’intera vicenda che ha portato alla realizzazione del capolavoro di Roberto Rossellini, Roma città aperta. E come preludio alla rassegna, presentazione della suggestiva biografia cinematografica, Viaggio nel cinema di Lizzani, realizzata da Francesca Del Sette. 35


Se al carrista piace il cinema In una mostra a villa Paolina i rapporti fra le costruzioni del Carnevale di Viareggio e la settima arte

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dal 2 al 17 ottobre, orario 16-20), dedicata da Viareggio EuropaCinema all’influenza cinematografica nei carri del Carnevale viareggino sono 55 bozzetti originali, che coprono l’arco di tempo dal 1966 al 2010. I bozzetti degli anni precedenti risultano purtroppo perduti, in conseguenza dell’incendio, avvenuto nel 1960, dei capannoni dove venivano costruiti i carri mascherati. Per quel periodo ci restano le fotografie, i bozzetti pubblicati sulla rivista ufficiale della manifestazione (Viareggio in maschera), gli articoli di giornale, i libri. Un’ampia scelta di questo materiale viene esposta su pannelli fotografici e all’interno di alcune bacheche. Completano la mostra il documentario Cinema e Carnevale – Incontro con Arnaldo Galli, videointervista al decano dei carristi viareggini realizzata da Daniele Michelucci e Michele Nardini e una ricca messe di immagini visibili su computer.

Due giganteschi King Kong hanno passeggiato sul corso mascherato viareggino, la prima volta nel 1950 e quindi nel 2009. Charlot si è affacciato ripetutamente dal corteo di carri e maschere del celebrato carnevale toscano, e l’apparizione più spettacolare è stata nel carro Tempi moderni del 1953 di Beppe Domenici e Arnaldo Galli, costruzione nella quale l’omino inventato da Chaplin è alle prese con gli ingranaggi della produzione industriale. Nella sfilata carnevalesca viareggina non sono mancati l’automa-donna di Metropolis, diversi Dracula, qualche Frankenstein, per non dire dei comici di tutti i tempi e dei personaggi dei cartoni animati. E ancora, le stelle di Hollywood e di Cinecittà, da Clark Gable a Vittorio De Sica, da Jerry Lewis ad Alberto Sordi. Vanno ricordate poi le ‘Anitone’ di felliniana memoria, rievocate dai maghi della cartapesta, in omaggio al rapporto speciale che – per oltre un ventennio – ha legato il regista della Dolce vita alla “fabbrica del Carnevale”. La creatività dei costruttori del Carnevale di Viareggio ha guardato spesso al cinema. Per la prima volta, la mostra Il Carnevale di Viareggio e il Cinema, presentata dal festival Viareggio EuropaCinema 2010, racconta la profonda attrazione che lega cartapesta e pellicola. Il cuore della rassegna (a Villa Paolina,

La mostra del 2010 rappresenta una parte di un progetto più ampio che intende approfondire i diversi rapporti fra Carnevale e cinema, e per questo avrà un respiro triennale. A questo primo momento, seguiranno, nei prossimi due anni, prima una rassegna sull’apporto dei carristi alle scenografie cinematografiche e quindi un approfondimento sulla filmografia internazionale legata alla festa carnevalesca.

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Come ci innamorammo del GRANDE SCHERMO La Lectio Magistralis tenuta da Paolo e Vittorio Taviani in occasione del conferimento della laurea honoris causa da parte dell’Università di Pisa ai due cineasti di San Miniato È un grande onore quello che oggi riceviamo dall’Università di Pisa: sentiamo dunque prima di tutto il dovere di ringraziare il Magnifico Rettore, il Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, il Direttore del Dipartimento di Storia delle Arti, i docenti del Corso di Laurea Specialistica in “Cinema teatro e produzione multimediale”, l’Università tutta. Questa è stata la nostra Università. Anni di formazione, forti. Anche se pochi sono gli esami che abbiamo dato. È stata la nostra Università perché qui sono nate le prime sollecitazioni al nostro lavoro nel cinema. E di questo oggi vogliamo parlarvi. Ma prima dobbiamo confessare una certa inquietudine, senso di colpa misto a orgoglio, nell’accettare una laurea che 38

non avremmo mai immaginato. Invece siamo qui. Coincidenze? Chissà. Tutto può accadere nella vita e nei romanzi – diceva Dickens – anzi le coincidenze, forse, sono la legge della vita. Questa Università ci ha ispirato Curtatone e Montanara, uno dei nostri primi documentari andato perduto, uno dei pochi da noi amato. Una mattina di sole, con la nostra piccola troupe, occupammo il cortile della Sapienza per piazzare i binari di un lungo carrello. “Mancini” – si chiamava il mitico carrello di legno usato dal cinema di allora. Anche i binari erano di legno – l’agile steady cam non era stata ancora inventata – e il lavoro dei macchinisti era complesso e fragoroso. Quel fragore era musica di Mozart per le nostre orecchie. Ci pas-

savano accanto studenti e professori. Alcuni di loro, in passato, avevano incoraggiato la nostra scelta, così irregolare, di fare cinema. Altri no, avevano scosso la testa. E il tono della nostra voce sfiorava la provocazione quando gridammo: “azione!”. Il carrello corse a ritroso, abbandonò le logge della Sapienza per avventurarsi verso le strade di Pisa, le piazze, i lungarni. Iniziava così il viaggio degli studenti quarantotteschi verso il nord. Attraversava le campagne toscane e lombarde, si soffermava sulle sponde del Po, e finalmente si arrestava sui prati e le valli di Curtatone e Montanara, teatro della battaglia contro gli austriaci. Noi due inventammo una lunga soggettiva: “la macchina da presa – ci dicevamo


La laura honoris causa conferita nel 2008 dall’Università di Pisa a Paolo e Vittorio Taviani; al centro il professor Pier Marco De Santi

Lea Massari in una scena di “Allonsanfan”, diretto dai Taviani nel 1974

con la giovanile ebbrezza delle prime intuizioni – diverrà l’occhio degli studenti rivoluzionari alla scoperta del mondo della libertà, alla scoperta di se stessi e le loro voci, in colonna sonora, leggeranno le lettere inviate a casa, i commenti, i pensieri più segreti dettati dal viaggio. Quel lungo carrello aumentò la sua forza espressiva quando in moviola aggiungemmo la musica. Raggiunse l’acme col dilagare del coro “Guerra, guerra!” dalla Norma di Bellini. Tornavamo a casa eccitati dalla scoperta – ovvia forse, ma non per noi alle prime armi – delle possibilità inesplorate nel rapporto immagine–suono. Ci confidavamo di provare – come dire – la sensazione di un aumento della nostra energia inventiva. Provam-

mo la stessa emozione quando, anni dopo, in San Michele aveva un gallo, usammo ancora il “Guerra, guerra!”. Ancora su un interminabile carrello irrealistico che si allontana da Giulio, il protagonista, invade e dilata la cella in cui è prigioniero e la trasforma in un teatro d’opera immaginario. Fin dagli inizi presentivamo l’importanza che la musica avrebbe avuto per noi nel fare cinema. Musica intesa non come commento umilmente parallelo alle immagini, ma come struttura stessa del film. Per noi, l’abbiamo detto altre volte, il cinema è l’erede – a vent’anni dicevamo la summa! – di tutte le forme d’arte che l’hanno preceduto. E quella più vicina a noi è la musica. Perdonate il tono un po’ agiografico: i ricordi fanno questi scherzi. Il documentario, che per noi fu importante, sicuramente presentava i limiti di due registi che avevano troppo da dire e poco tempo a disposizione (per legge un documentario non poteva durare più di dieci minuti). Ecco, oggi possiamo finalmente rivelare un piccolo segreto: quelle lettere scritte dagli studenti, non esistono in nessun archivio storico, le abbiamo inventate. Tutte. Erano lettere che avremmo scritto noi due alle fidanzate, agli amici, ai maestri più amati. Nessuno osò metterne in dubbio l’autenticità, nemmeno alcuni storici, stupiti di fronte a quel materiale inedito e forse vergognosi della loro innocente igno-

ranza. Noi pensavamo e pensiamo che quelle lettere riportassero in vita gli studenti pisani, rendessero attuali i loro pensieri, ci dessero la possibilità di far diventare contemporaneo quell’avvenimento del ‘48. Un falso, sì. Ma già da qui potrebbe nascere un’indicazione del nostro modo di lavorare, una risposta alle domande di tanti giovani che vogliono sapere di noi, fare e scrivere cinema. Non pochi nostri film sono ambientati in epoche passate, alcune volte la scelta è dovuta al caso, altre alla ricerca di un’età storica affine al presente. Usiamo storie di ieri per interrogarci su quelle di oggi: la ricerca della verità non significa farsi condizionare dall’attualità, dalla cronaca riduttiva a cui ci costringe la televisione. La necessaria ricerca storica che precede la scrittura del film, ci ha dato e ci dà l’eccitante possibilità di leggere e studiare documenti e testimonianze dell’epoca in cui agiscono i personaggi del film, di sprofondare nel passato. Poi dimentichiamo. Vogliamo dimenticare tutto durante la sceneggiatura e la lavorazione. Di più: la verità storica viene spesso tradita in nome di un’altra verità. Quella del film, quel microcosmo rappresentato dal nostro racconto. «Non mostrerò questo film ai miei studenti, voi non aiutate a capire la storia del nostro paese – così ci rimproverò una volta un insegnante, e non è stato l’unico, durante un dibattito dopo la proie39


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zione, ci sembra, di Allonsanfan – che bisogno c’era d’inventarvi la storia? Voi, così, create una gran confusione». La sua protesta era sincera e accorata. Non ce la sentimmo di aggredirlo – la voglia era tanta – e chiedemmo aiuto a quegli autori che probabilmente lui insegnava a scuola, i grandi maestri che ci hanno indicato la strada dei falsi storici. Ricordammo, come esempio, le rappresentazioni, le più diverse, del personaggio storico di Giovanna D’Arco: strega per Shakespeare in Enrico VI, ribelle e popolare in Brecht, orgogliosa in Bresson, fino alla Giovanna tutta occhi, impaurita e vincente in Dreyer. Qual era la vera Giovanna? Tutte e nessuna. Ogni autore le ha affidato i propri sentimenti, l’ha usata per rappresentare il suo tempo. Anche i personaggi storici dei nostri film assumono spesso le fisionomie di uomini e donne della nostra vita. Di ognuno di loro costruiamo le biografie, dalla nascita al presente, oroscopi compresi. Non immaginate che sensazione di libertà fare indossare il costume agli amici, ai nemici, che tornano a vivere alcuni frammenti della loro vita e a viverne un’altra, quella che diamo a loro. Quel breve documentario – ce ne rendiamo conto oggi – era un’inconsapevole anticipazione delle successive opere della maturità, a cui lo unisce l’impazienza di futuro, dei protagonisti, il disagio di vivere in un presente meschino, anacronistico, il desiderio di felicità in un mondo diverso. La commissione dei premi di qualità bocciò il lavoro. Motivazione: troppo astratto. Concreta fu la nostra delusione…e una certa vergogna di noi stessi: che abbiano ragione? Eravamo convinti d’aver espresso qualcosa di diverso, di bello forse. Nel nostro donchisciottismo non avevamo dubbi che 40

avrebbe trovato un’eco in chi lo vedeva. Chi poteva immaginare, allora, quanti avversari “naturali” avremmo incontrato sulla nostra strada, allergici allo stupore per ogni lampo di novità. Abbiamo detto che le nostre riflessioni, oggi, avranno tutte il loro avvio qua, dentro queste mura della Sapienza. Manteniamo l’impegno e così ci troviamo sul portone centrale, alle una di una domenica di più di cinquanta anni fa. Avevamo visto Germania anno zero di Rossellini nell’aspra copia in tedesco. Una proiezione abbastanza anomala dell’Università Popolare, qui per quel giorno ospite. Con un certo disagio ci decidemmo a prendere la strada di casa. Ma c’era qualcosa che ci feriva la vista. Attraversammo la città deserta, tagliata da luci e ombre come in una tela di De Chirico. Amavamo l’enigma delle sue piazze toscane, ma oggi la luce rifiutava ogni mediazione culturale, perché era una luce cattiva, senza pietà. Era la luce di certe sequenze del film che avevamo visto, il suo bianco segno rivelatore. Nel film di Rossellini la luce non accettava mediazioni perché il nostro mondo aveva conosciuto l’abisso, il non umano e ora noi dovevamo fissarlo, rifiutando ogni zona d’ombra, perché mai più fosse dimenticato. D’altra parte già nel precedente Roma, città aperta, nella sequenza della morte della Magnani, insieme al suo grido e al suo braccio proteso, il bianco accecante della tonaca da chierichetto del figlio che dentro quel bianco scalcia e urla, rimane il segno più forte della sequenza, uno sgomento che ad ogni visione si rinnova. Tornando alla lontana domenica di Germania anno zero anche quella mattina nostra madre ci aspettava. Con lei avevamo uso di parlare di quanto

avevamo visto o letto. Ma quella volta le dicemmo… scusaci… con le parole non riusciamo a dirti… a farti capire… a farti vedere. C’era in noi quel tanto di esaltazione morbosa che accompagna la convinzione di una nuova scoperta; e noi due ora sapevamo che nel linguaggio del cinema uno dei primi segni è la luce. Dopo più di trent’anni, nella nostra maturità di registi, sentimmo che era venuto il momento di far riemergere il passato di sangue e in particolare quell’estate del ‘44 sui colli della nostra San Miniato, che vide la strage del Duomo e il nostro esodo verso i liberatori. Ci rendemmo subito conto come il tempo e la coscienza popolare avevano elaborato i molti lutti e il senso di una vittoria sempre da difendere. Il racconto orale aveva trasformato quel passato in una specie di chanson de geste o di una fiaba. Gli occhi di una bambina sono spesso gli occhi del film. Il tempo della pietà era tornato, e la luce non poteva essere quella cattiva del film di Rossellini. Nel nostro film la luce cerca una mediazione tra il paesaggio, gli eventi e la natura umana, una riconciliazione nel segno di una pacata luminosità. Pur su scene di quotidianità feroce, la luce tende a quella limpidezza che è anche promessa di futuro, e si permette perfino un’ambiguità scherzosa: «Piove e c’è il sole», dice la giovane donna con il suo bambino in braccio. È stata appena liberata e ora guarda stupita e divertita quella strana luce tra sole e pioggia che brilla sulla sua gente in festa. Se la luce di un film è il primo segno visibile del suo senso, il senso della Notte di San Lorenzo era rivolto in modo particolare ai giovani di quegli anni Ottanta, che nella palude di una società


L’elefante in fiamme in “Good Morning Babilonia” (1987)

dai fremiti oscuri, consumavano la loro vita «vivendo e vivendo a metà» come dice Eliot. Avevano bisogno, avevamo tutti bisogno di far riemergere la figura dell’uomo in tutte le sue possibilità. Per questo abbiamo sempre sentito il nostro film non come un film storico o di memoria – tantomeno di nostalgia – ma come il più contemporaneo che in quegli anni potessimo tentare di fare. «La luce è il cinema. Stop». Fellini è categorico. Ci è capitato di parlarne una volta con Michelangelo Antonioni, coinvolto con noi in uno strano caso. Tanto lui che noi avevamo trovato ispirazione nelle isole Eolie, uno dei paesaggi più assoluti del mondo. Un paesaggio soprattutto come protagonista dei nostri due film: stesse immagini, stessi scogli, stessa profondità del mare, stesso orizzonte. Eppure la luce così diversa nei due film fa di loro due pianeti diversi, due opposti luoghi dell’anima. Non è questione di bianco e nero (L’avventura) o di colore (Kaos). La luce grigia nell’indimenticabile film di Antonioni incupisce le cose e le persone. Le linee fantasiose degli scogli si trasformano in oscure masse acuminate, il mare in nemico di cui diffidare. Il giorno sembra ridotto a essere la vigilia della notte, quando nell’ora più ambigua lo sgomento diventa certezza della propria estraneità a se stessi e al mondo. In Kaos le stesse immagini, gli stessi spazi: ma il cielo si è spalancato e la luce rende più azzurro l’azzurro del mare, più bianco il bianco delle pomici. È questa esplosione di luce che spinge i piccoli fuggiaschi, che sulla barca vanno verso l’esilio, a scendere sulla spiaggia e dalla cima dell’altura volare giù dentro il mare. Un viaggio di lutto che inaspettatamente si trasforma in un momento di felicità: solo per pochi istanti, forse, ma quanto basta a quei

bambini a riprendere con più forza il loro viaggio. In questo ultimo anno abbiamo amato in particolare un film di Clint Eastwood, Lettere da Iwo Jima. Anche questo è un film che si fissa nella memoria e rivela il suo senso nel rapporto con la luce. Ma questa volta come sottrazione della luce, quasi fino alla sua negazione. È in un mondo di tenebre infatti che sono condannati a vivere i soldati giapponesi – molti sono giovani – che difendono il colle di Iwo Jima contro l’avanzata sanguinosa e vincente degli americani. Sono penetrati nelle viscere del terreno, dove hanno costruito grotte, trincee, cunicoli. Hanno ricevuto un unico ordine: combattere comunque, finché l’ultimo di loro avrà trovato in quelle tenebre la sua tomba. Ci viene in mente un detto che la saggezza popolare ha fissato nel linguaggio. Suona così: la luce è speranza, togli la luce, togli la speranza. Senza speranza, nell’oscurità i giovani giapponesi si ostinano

a scrivere le loro lettere d’amore e di addio, sapendo che non avranno mai risposta. È un film nel segno del lutto, che Eastwood e il suo sceneggiatore affidano alla nostra pietà. Facciamo un passo indietro. Questa è stata la nostra Università perché qui, ancora ragazzi, scoprimmo la “Storia del cinema” di Pasinetti. Scoprimmo che il cinema aveva una sua storia come la letteratura, la pittura, le altre arti studiate al liceo. In quegli anni – pensate – ci davano ancora temi come «il cinema può essere arte?». Fa sorridere la nostra ignoranza della letteratura cinematografica passata, ma erano gli anni del dopoguerra e le nuove riviste specializzate vennero dopo. Hollywood era l’unico rotocalco che si occupava di cinema, di attori, di gossip. Pubblicava anche recensioni dei lettori e uno di noi era tra quelli. Il volume di Pasinetti divenne il nostro vangelo cinematografico: occhi avidi scorrevano 41


Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica: un film formativo per i due fratelli di San Miniato

le righe che ci parlavano di Eisenstein, Ford, Renoir. La mattina entravamo in questa Università insieme agli studenti veri. Nel silenzio della biblioteca studiavamo con serietà, una serietà lieta, sentimento sconosciuto nell’indolenza dei banchi di scuola. La ricerca di sé, così viva e spesso angosciosa in un ragazzo, aveva trovato una sua strada. Trascrivemmo tutto il libro o quasi… forse in qualche nostra cantina esiste ancora il manoscritto. La nostra fratellanza si saldò. Iniziava il viaggio insieme. Due nature diverse. Un unico sogno. Un dono del caso, misterioso a noi stessi, ribelle ad ogni tentativo di razionale spiegazione. Col desiderio struggente di entrare in confidenza con la famiglia del cinema, ci iscrivemmo al cineclub pisano fondato da un pioniere, Mario Benvenuti e animato spesso dagli interventi appassionati di Valentino Orsini che diverrà il nostro grande amico e collaboratore, autore in cinema. Contavamo i giorni che mancavano alle proiezioni, come si aspetta l’appuntamento con una innamorata. Sì, ci siamo innamorati di tutti i film che vedevamo e dei registi che già con42

sideravamo padri, fratelli. Ci davano la consapevolezza di vivere rispecchiandoci in loro. Verrà più tardi il desiderio di misurare se stessi su quei maestri. Diciamo la verità, non tutti i film erano così belli, così assoluti, ma quando si scopre un mondo non ci sono vie di mezzo. Il nostro entusiasmo alcune volte ci mise in imbarazzo: proiettarono al cineclub Gli ammutinati dell’Elsinore di Pierre Chenal. Non era un gran film, ma noi riuscimmo a scovare alcune inquadrature da amare. In quei giorni al cinema Astra veniva programmato Gli ammutinati del Bounty con Clark Gable e Charles Laugthon. Un film di grande impatto spettacolare che travolse il pubblico e anche noi. Ma nel paragone tra i due film, durante furiose discussioni, noi difendevamo con accanimento Chenal contro il Bounty. Mentivamo a noi stessi senza rendercene conto. Oggi, quando amici della nostra generazione ci chiedono: «come fate a sopportare certi giovani critici e registi, l’arroganza che mettono nel mandare all’inferno o in paradiso questo o quel film?» Rispondiamo: «sarebbero insopportabili se noi, alla loro età, non fossimo stati peggio di loro!». La conoscenza del cinema ci fece

traditori. Traditori di ogni forma d’arte che non fosse cinema. Ci proiettava oltre la cultura umanistica, pur grande e amata, ma degradata secondo noi a scolastico, logorato patrimonio borghese. Si aprivano nuovi orizzonti. Perfino l’aspetto tecnico legato all’arte cinematografica, ai suoi strumenti: macchina da presa, pellicola, obiettivi, luci, rappresentava una novità rivoluzionaria. Anche oggi le nuove generazioni sono attratte dalle più avanzate tecnologie. Si infiammano, esagerano anche. Ma la fantasia, se c’è, avrà la forza di dominarle. Vivevamo di cinema e basta. Pisa e la sua solare architettura – così presente nello stile dei nostri film, come hanno sottolineato alcuni critici – in quei giorni si confondeva con un’idea irriverente della città: le piazze, le strade erano legate per noi all’ubicazione delle sale cinematografiche. I Lungarni al Supercinema, piazza San Paolo all’Odeon, corso Vittorio al cinema Italia, piazza Carrara al cinema-teatro Rossi, qui, a pochi passi dall’Università. Proprio al Rossi vedemmo Ladri di biciclette. Pioveva quel pomeriggio. Avevamo il viso bagnato di pioggia, ma anche di lacrime. “Lacrime estetiche!” ci scherzavano i nostri amici, commossi come noi. Di De Sica ci affascinava la novità di linguaggio tra documento e finzione, la cruda tenerezza con cui ci parlava della tragedia del ladro di biciclette, mediata a sprazzi dall’innocente comicità del bambino e dal formicolio dei personaggi: un’umanità prima d’allora mai apparsa sullo schermo, un coro che cammina accanto ai due protagonisti, commenta, ironizza, piange con loro. Forme nuove per rappresentare la tragedia, non sulle tavole del palcoscenico, ma su quelle della realtà quoti-


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diana, suggerendo, a suo modo e senza enfasi, l’urgenza di un rinnovamento sociale. A Orson Welles, genio shakespeariano dalla violenta espressività cinematografica, così lontano dall’autore italiano, fu chiesto: «il regista europeo che più ami?». «De Sica» rispose senza esitazioni. Gli farà eco anni dopo Woody Allen : «il film della mia vita? Ladri di biciclette». Vedemmo e rivedemmo il film. Lo andavamo a cercare, in bicicletta, nelle sale dei paesini nei dintorni di Pisa. Volevamo appropriarci della sua verità nascosta. In quegli anni non esistevano i dvd. Decidemmo di riscrivere a memoria i dialoghi e i movimenti di macchina: era l’unico modo per far parte del lavoro di De Sica e di Zavattini, condividere le loro intuizioni. Quando confrontammo la nostra ricerca con una nuova visione del film, restammo spiazzati dalla poetica semplicità delle soluzioni, in contrasto con la nostra esagerazione, nel tentativo di riprodurre una sequenza di particolare suggestione emotiva. Ricordiamone una. Bruno, il figlio, ma più che figlio, l’amico dolce e brontolone del padre alla ricerca della bicicletta, è esausto. La giornata è stata lunga e senza risultato. Il padre si è allontanato. Gli occhi del bambino improvvisamente sono attratti da qualcosa che sta accadendo, qualcosa di insopportabile. Cosa vedono? Un ladro che sta rubando una bicicletta, i passanti lo inseguono, lo afferrano, lo picchiano. Quel ladro è suo padre. Un lungo, lunghissimo carrello corre intorno al P.P. di Bruno, la macchina da presa esalta così lo stupore straziato del bambino… Abbiamo detto un lungo carrello. Questo annotammo. No, il carrello è breve, brevissimo: la nostra commozione, nel

ricordo, aveva dilatato il tempo dell’inquadratura. Fu una lezione di regia: studiammo con più cura la sequenza, la scansione delle inquadrature, le rime interne, l’inseguirsi delle emozioni, il loro montaggio, fino all’esplosione di quel carrello, di quel P.P., con cui De Sica ha raggiunto il cuore degli spettatori di tutto il mondo, senza ricorrere a virtuosismi della macchina da presa. Con un carrello, si, ma di pochi metri. Molti giovani apprendisti di cinema ci chiedono: voglio fare il regista, da dove comincio? Aiutatemi, datemi un consiglio. E’impossibile fornire ricette e non siamo adatti a fare i maestri. Voi – ed è una conquista, impensabile nei nostri anni giovanili – i maestri li avete qui, nell’Università e amano il cinema come voi l’amate. Ma, ripensando alla nostra esperienza, un suggerimento lo possiamo offrire, uno fra tanti. Un possibile inizio. Questo: scegliete tre o quattro film che più amate. Vedeteli e rivedeteli. E rivedeteli ancora: come ladri che spiano i movimenti di una banca da derubare. A poco a poco, ad ogni nuova visione scoprirete alcuni segreti del vostro amato regista. Non esitate ad abbandonarvi all’ammirazione: è un sentimento umile e forte, vi aiuterà a capire. Poi ricominciate tutto da capo, disfacendo e rifacendo il già fatto. Cercate in voi stessi. Noi chiediamo di essere stupiti dal nuovo che la vostra età vi porta in dote. Affronterete una lunga fatica, appassionata quanto aspra. Vi accorgerete che per realizzare un documentario, un film, non basta essere poeti, dovrete trasformarvi in uomini d’affari, cercare i finanziamenti, usare furbizia e menzogne, incontrare umiliazioni e guai. Affrontateli senza vergogna. Amerete questo mestiere, questo gioco, perché fare spettacolo è anche gioco. Ci dà la

possibilità di continuare i giochi dell’infanzia, ricchi di mistero e fantasia. Noi due lo amiamo questo mestiere, oggi, dopo tanti anni, forse più che ieri. Fa soffrire, certo, ma ne vale la pena, per vivere quegli attimi di felicità in cui si vede nascere, dalle proprie mani, una sequenza più coinvolgente, per audacia e verità, di come era stata immaginata. E siate pronti: non vi fate sorprendere dal puntuale, inesorabile sentimento di relatività che ogni regista avverte di fronte al film finito. Ricordate il proverbio: non si viaggia per arrivare, ma per viaggiare. E per l’ultima volta torniamo qui, nella nostra Università. È l’alba di un giorno del 1953, in una delle aule che danno sul cortile. L’aula, trasformata in seggio elettorale, è gremita di gente eccitata ed esausta. Giovani staffette popolari corrono attraverso la città a portare nei vari seggi la notizia ancora non ufficiale: la legge elettorale voluta dal potere non è passata. Il tentativo autoritario di relegare la sinistra in un angolo è stato sconfitto. Una vittoria relativa certo, ma pur sempre una vittoria. Anche qui, in questo seggio, euforia. Uno di noi due è tra questa piccola folla, come rappresentante di lista del Partito Comunista. E ora, dopo tre giorni corre finalmente fuori per portare la notizia. Bagnato da una pioggia fitta che lo rinfresca fin dentro le ossa, attraversa le vie deserte, ma che al suo orecchio risuonano delle voci di una comunità che veglia per salutare il nuovo giorno, come una conquista di libertà. Lui si sente parte di quel coro, di quella comunità, ed è felice. Ugualmente bagnato e felice gli va incontro suo fratello, che ha appena terminato lo stesso lavoro al suo seggio. Ecco: abbiamo rievocato quell’alba del 43


“Roma città aperta” di Roberto Rossellini (1945): un altro film fondamentale per i fratelli Taviani

C’è nobiltà e consapevolezza, mentre la didascalia ripete: “Vi capiamo, nostri padroni e fratelli”. La loro corsa si fa ancora più violenta: “Voliamo con tutte le forze della nostre ventiquattro gambe”. Corrono perché la rivoluzione li chiama a onorare in morte un loro fratello. La sequenza si fa fantastica, folle, in nome di una commozione che unisce uomini e animali.

1953, con l’impeto un po’ ingenuo di certi momenti collettivi, perché così possiamo tornare a parlare di cinema, del nostro cinema, e del rapporto così spesso equivocato tra cinema e politica. Noi, al di là delle teorie, vogliamo qui rendere testimonianza della nostra esperienza personale, che è già anomala alla sua partenza: è stato il cinema – e non viceversa – a portare noi due, di famiglia mazziniana ma pur sempre borghese, ad aprire lo sguardo sull’universo rosso e sul suo popolo. Sfidiamo il paradosso precisando che più che dai singoli film la spinta ci è venuta dalla forza misteriosa del loro linguaggio. D’altra parte, negli anni del nostro dopoguerra guerreggiato, era tutto un po’ paradossale. In quel clima succede 44

che un giorno noi due, giovani come tanti altri, aperti ad ogni possibilità di nuovo, ci troviamo di fronte a una immagine come questa: su una grande distesa bianca di neve, sei cavalli dalle grandi criniere, ripresi ora in P.P., ora in un carrello sempre più veloce – è la sequenza di un vecchio film muto – trasportano una barella su cui, circondato dai suoi compagni, sta morendo un combattente della rivoluzione: ha chiesto di essere sepolto nella sua terra che non rivede da anni. Il tempo è poco e i compagni incitano i cavalli: bisogna arrivare in tempo, muore un nostro eroe della rivoluzione. Correte, correte. Immagini di impronta realistica. Ma improvvisamente lo scarto: i cavalli rispondono. “Vi capiamo”.

Un altro film, un’altra immagine: questa volta è un piccolo cavallo bianco, attaccato a una carretta che sta cercando disperatamente di attraversare il ponte apribile nel centro di Pietroburgo: una Pietroburgo squassata dalle ondate di rivolta e dalla brutalità della repressione. Non si può più passare, perché il ponte si è aperto e le due parti stanno salendo sempre più in alto. La carretta, staccatasi dal cavallo, scivola giù in acqua. Dall’alto scivolano giù uomini e cose. Solo il cavallo bianco, chissà come attaccato a una trave, rimane lassù, sulla parete a picco. Nelle strade intorno al ponte si ripetono inquadrature di corpi umani che uccidono, che vengono uccisi. A contrasto, più volte, in campo lungo riappare la tenera figura del cavallo bianco, solo sulla cima della parete deserta. Un’immagine tragica e assurda: anche questa è rivoluzione. Poi il cavallo precipita e scompare nell’acqua del fiume. Un po’ sbalorditi ci interrogavamo sull’impeto che aveva potuto ispirare tanta forza fantastica nell’animo di giovani uomini che facevano i registi, in un sodalizio dove l’uno si riconosceva nell’altro: erano i figli della terra di Tolstoi e Dostoevskij. Dallo schermo ci arrivava, insieme alla conferma del linguaggio estremo del cinema, la testimonianza della forza dell’utopia che stava correndo nel mondo, l’utopia comunista. Intanto i grandi film del ne-


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orealismo rendevano più impaziente il nostro bisogno di fare cinema e insieme sollecitavano la nostra responsabilità di cittadini: ci riconoscemmo nel popolo di sinistra. Non ci siamo mai nascosti però che questo empito giovanile poteva portare a una esaltazione acritica delle nostre scelte artistiche e politiche. Il cinema ci è venuto ancora incontro con Rossellini, proponendoci il limite, l’ambiguità della condizione umana. Molti di noi ricordano il finale di Paisà: da una parte i corpi dei partigiani con le mani legate dietro la schiena e la macchina da presa che sta accanto a loro mentre vengono gettati in acqua, e ogni tonfo è una ferita acustica; dall’altra il silenzio indifferente del paesaggio selvaggio della palude, che la macchina da presa stenta a riprendere in totale: cielo e terra si confondono all’orizzonte, il presente si dissolve nel passato. L’immensità della natura e l’ambiguità del tempo ridimensionano le vicende umane, anche questa evocata da Rossellini. Abbiamo voluto usare le parole alte che avrebbe potuto pronunciare un nostro maestro, grande e schivo. Abitava a pochi passi da qua in via Santa Maria. Siamo passati davanti alla sua casa, ieri. La casa di Sebastiano Timpanaro. Ci avevano colpito nel profondo il confronto, il contrasto che lui stabiliva tra i ritmi frenetici dell’uomo storico e il ritmo dell’uomo biologico, così lento da apparire inesistente. I due ritmi convivono in noi: qui forse una delle ragioni della fatica e del dolore del vivere. Qualcuno ha detto che probabilmente anche per questo nei nostri film si scontrano due esigenze opposte ugualmente pressanti: la prima è la complicità con l’uomo, la fiducia e lo stupore per la sua creatività, nel bene e nel male, per l’unicità di ogni destino

individuale; e questo significa per noi che la macchina da presa sta addosso ai personaggi, ne fissa il volto, ne ascolta il respiro. L’altra esigenza nasce dalla consapevolezza della sua fragilità, della sua piccolezza nei confronti di una realtà più complessa e per molti versi misteriosa, e questo significa per noi cercare di distaccarci e di ridimensionare visivamente i nostri personaggi, inquadrandoli in campi lunghi e lunghissimi. Da queste contraddizioni e dalle molte altre che si consumano vivendo – noi crediamo – nascono le nostre storie. Ma nascono solo quando qualcosa di imponderabile, certe volte al di là della nostra volontà accende quel motore segreto che si chiama “lo spirito del racconto” e che lascia che la fantasia si muova in libertà. Per chiudere il discorso sui nostri cosiddetti “film politici” ci verrebbe voglia di rispondere scherzando: sono figli del caso. Lo scorrere della storia ha continuato a farci conoscere tragedie e resurrezioni; per noi due la tragedia più brutale perché più imprevedibile – vogliamo qui ricordarlo – fu la rivelazione del vero volto del socialismo reale, un volto di sangue. Ci sono voluti tempo e dolore per ricostruire dentro di noi un rapporto forte con il mondo, nella consapevolezza ora in certi momenti della storia l’utopia può assumere i contorni di una beffa. In anni relativamente più recenti abbiamo visto un certo tipo di politica assumere un ruolo privilegiato: il riferimento al ’68 e oltre è d’obbligo. Soprattutto tra i giovani, il rapporto con la politica si era trasformato in fatto di conoscenza o scelta esistenziale, oggetto di desiderio, crescita interiore o imbarbarimento. Questa umanità si è mossa intorno a noi e ha chiesto di essere guardata, di essere raccontata.

Abbiamo cercato di raccontarla. Con emozione: lo spirito del racconto si era acceso. Ma come spesso succede, qui può nascere l’equivoco: i personaggi dei film, le loro scelte politiche vengono identificate con le scelte degli autori stessi. Noi abbiamo ben radicata invece la coscienza della diversità dei due linguaggi: quello dell’arte e quello della politica. Sono contigui, certo, ma l’arte, fedele alla vita, è ambigua, mentre la politica, fedele a un mandato, se è ambigua tradisce se stessa. Per essere ancor più semplici, al di là dei contenuti di un film, è nel linguaggio dell’autore che si rivelano la sua visione del mondo, le sue scelte, la sua ambiguità e la sua innocenza. Si rivela il senso più segreto del film. Abbiamo finito, ma prima vorremmo dire un’ultima cosa. Tornando a Pisa, qui nell’Università, abbiamo raccolto vecchi e nuovi pensieri: questo ritorno per noi, come sempre, è anche una partenza per nuove avventure, se la fortuna ci aiuterà. Molte avventure abbiamo vissuto perché molti sono i nostri anni – più di 150 in due – e molti, ora qui lo sentiamo con commozione, sono anche i volti, le persone che ci hanno accompagnato nel nostro cammino e che ora non sono più. Volti di famiglia, compagni di vita, amici, collaboratori umili o determinanti….Ombre care, perché anche per loro, per le loro attese, la loro fiducia noi due ogni volta abbiamo lavorato e la loro complicità ci aiutava e ci confortava. Ora siamo più soli, com’è giusto alla nostra età, e proviamo malinconia. Ma quelle ombre – lo vogliamo credere – ci stanno qui intorno ed è come se sentissimo il loro bisbigliare. Alcune parole giungono sino a noi. Dicono: imparate a guardare le cose anche con gli occhi di chi non c’è più. Vi sembreranno più sacre e più belle. 45


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Il mio lungo viaggio nel secolo breve La Lectio magistralis tenuta da Carlo Lizzani in occasione del conferimento della laurea ad honorem dell’Università Lumsa Ero molto giovane quando mi colpì un’affermazione - che poi scoprii non essere di un singolo studioso d’arte, di letteratura o di cinema - e che sembrava elogiativa sia che si parlasse o scrivesse di un pittore o di un filosofo, sia di uno scrittore o di un regista. L’affermazione era questa “... In fondo (Tizio...) scrive, o riscrive, lo stesso libro. (Caio...) Dipinge sempre lo stesso quadro. (Sempronio...) Fa sempre lo stesso film”. E tanto per fare dei nomi, lo si diceva per ogni nuovo (o riscoperto) saggio di Croce, per ogni nuovo libro di Moravia o di Hemingway, ogni nuova poesia di Ungaretti o di Montale. Per ogni nuovo quadro di Morandi. E sì, anche di Picasso. E cominciai a dirlo anch’io, a proposito di ogni nuovo film di Antonioni o di Fellini, di De Santis o di Kurosawa o di Godard. E questo mi incoraggia a rievocare oggi, anche grazie alla straordinaria occasione offertami dalla LUMSA, alcune riflessioni che da anni, forse da decenni, cerco di offrire agli studiosi di cinema. E non solo di cinema, perché la mia attività in questo campo mi ha fatto meglio conoscere il mio paese e il mondo. E vivere da vicino il trionfo e poi il declino delle ideologie dominanti nel secolo scorso: il fascismo e il comunismo. Tanto da portarmi a concludere nella autobiografia pubblicata di recente da Einaudi (II mio lungo viaggio nel secolo breve) che la mia vita non è stata al servizio del cinema: mi sono piuttosto servito del cinema per conoscere, appunto, il 46

Lizzani con Giulietta Masina sul set del film “Ai margini della metropoli”

mio paese e il mondo ecc. E mi ha permesso e mi permette ancora qualche incursione nel campo storiografico o politico. Quindi non mi preoccupa se qualcuno potrà pensare - forse anche oggi ascoltandomi: “Ma queste cose, Lizzani non ce le ha già dette nei suoi film, nei suoi saggi, nei suoi libri? E non ci ha già detto tutto nel suo “Secolo breve”? Già, ma un conto è il sentito dire o anche una lettura perfino coinvolgente ma occasionale, un conto invece è quanto possa essere divenuta, una certa riflessione “senso comune” per un’area più vasta. (Ammesso che se lo meriti). Certe convenzioni di natura culturale, certe mode o ideologie diventano, col tempo, rigide, dure come la pietra. Non “sovrastrutture” - come diceva il vecchio Marx - ma “sistemi” più coria-

cei addirittura di quella struttura economica di base che a suo parere reggeva sulle spalle l’evoluzione dell’uomo, della società e del pensiero. E a volte non basta nemmeno il piccone, né la violenza di un bulldozer per scalfirle e disarticolarle e aprire lo spazio per qualche nuovo seme, ma piuttosto un lungo, paziente lavoro di anni, di decenni, a volte di secoli. Un lavoro forse più da orafo che da demolitore. Sono quattro i punti sui quali nel corso di sei decenni ho maggiormente riflettuto, brandendo a volte il piccone a volte il cesello. Naturalmente con varianti, approfondimenti e molteplicità di misure (l’articolo, il saggio, il libro, il filmato di carattere biografico o storico) e che non temo quindi oggi di riproporre. Partendo dall’ambito più circoscritto, di mia specifica competenza, e che ho vissuto in prima persona (la stagione del Neorealismo cinematografico


Lizzani ha diretto oltre 60 tra film e documentari. Sotto: il regista disegnato in caricatura da Ettore Scola

italiano) e spingendo poi lo sguardo verso l’area più ampia della nostra identità culturale e ricordando infine le mie incursioni in campo storiografico, sociologico o politico, consentitemi da una pratica cinematografica di carattere documentaristico vissuta, sempre in un arco di vari decenni, in molte aree calde del pianeta: dalla Cina al Vietnam, dall’India all’Africa. Ricordando, insomma, il mio Lungo viaggio nel secolo breve e legittimando quindi, con questi riferimenti, l’ampiezza delle autocitazioni. Primo punto. Perché tornare ancora una volta, oggi, alle mie riflessioni sul Neorealismo? Perché si tratta di un periodo sul quale il dibattito è stato infinito fino a decretarne addirittura l’inesistenza. Perché, a forza di cercarne l’essenza pura, la si è ritrovata nemmeno più in questo o quell’autore (Rossellini o

Visconti? De Sica o De Santis?) ma, via via soltanto in alcune sequenze di questo o quel film, perdendo d’occhio la sua natura di “movimento”. Il suo linguaggio, la sua sintassi e la sua grammatica. Comuni a tutto un gruppo di autori. La stagione neorealista era stata certamente avviata dall’irrompere sulla scena nazionale di eventi di proporzione tragica, ma non nasceva su un terreno vergine. I nomi prestigiosi cui spesso facevamo riferimento erano - già in quegli anni - quelli di Vittorini, Moravia, Pavese, Montale, Campana, Saba, Svevo. Facevamo anche, come ho già ricordato, vere e proprie indigestioni di Kafka, Hemingway e Mann. Grazie al passaparola, circolavano poi certi autori ancora misteriosi e letti da pochissimi, ma già carismatici, come Proust e Joyce. Anche cineasti considerati per tanti anni piuttosto naïf - come De

Sica - leggevano tanto, e frequentavano concerti e mostre. Ricordo l’amore di De Sica per Morandi, Carrà, Rosai, De Chirico! I frutti di questa stagione così intensa di ricerche, di letture, di frequentazioni con scrittori, pittori, intellettuali di tante e diverse discipline, non tarderanno a vedersi, e spiegano i nuovi valori formali introdotti nel cinema e nel linguaggio cinematografico dal movimento neorealista. È il modo di vedere i tanti contenuti nuovi suggeriti dall’esperienza della guerra e del dopoguerra che farà dire ad André Bazin che con il Neorealismo prende corpo il “cinema moderno”. Un cinema non più cadenzato, come quello classico (americano o sovietico) sui ritmi di un montaggio a contrapposizioni, ma su piani sequenza in cui lo spettatore è indotto a sce47


Giancarlo Giannini mentre si gira “Celluloide”, storia del film “Roma, città aperta” (1996)

gliere contemporaneamente più punti di vista. Perché, come avviene nei film di Orson Welles e di Renoir, (i creatori appunto, insieme a Rossellini, del “cinema moderno”), l’azione di primo piano si svolge in simultanea con altre azioni sullo sfondo. Con l’inquadratura di tipo moderno, che via via sarà tipica di tutto il cinema neorealista, e che il Neorealismo contribuirà in maniera determinante a rendere universale, lo spettatore sarà indotto a “navigare” (si direbbe oggi) nell’immagine. Sarà più libero. E se subirà uno smarrimento iniziale, ecco, anche questo significherà che qualcosa di nuovo è avvenuto. Col cinema neorealista cambia il paesaggio. Ma non, o non soltanto, perché Cinecittà è diventata inagibile a causa della guerra (ecco una delle visioni più caricaturali, ma ancora coriacee del Neorealismo!). Anche nel cinema degli anni Venti o Trenta si erano visti film con esterni autentici. Il paesaggio del miglior regista degli anni Trenta, Alessandro Blasetti, è, sì, “vero”, non riprodotto “in trasparenza” dietro gli attori che recitano in studio, ma è ricco di effetti luminosi e plastici a volte di tipo espressionista, a volte di tipo pittoresco-celebrativo. Anche le risonanze di certo cinema classico sovietico evoca48

te dai suoi film creano suggestioni di spazio lontane da quelle che saranno le coordinate dello spazio neorealista. Nel cinema neorealista predominano le grandi periferie urbane, e in genere una linearità orizzontale (strade, argini della Padania) che è il contrario della verticalità virile e maestosa, della monumentalità che domina non solo nel cinema, ma in tutta l’iconografia degli anni Venti e Trenta. Strade, corsi d’acqua si perdono adesso verso un orizzonte non più rassicurante, circoscritto, come quello del decennio precedente. E la luce è piatta, grigia, non per mancanza di mezzi, o perché non si ha il tempo di aspettare il sole, ma per il piacere, tutto nuovo, di trasgredire i cliché cartolineschi di quel cinema rosa che fa del paesaggio la semplice cornice di tanti personaggi inconsistenti. Insomma, con il Neorealismo, l’inquadratura esplode, deflagra con altrettanta violenza dei contenuti che vi irrompono. Sotto le immagini, emerge il reticolo di strutture narrative nuove. Si verifica un profondo rimescolamento di “generi”. Una salutare confusione: grottesco e drammatico, tragico e comico. Provate infatti a domandarvi: a

che genere appartengono film come Sciuscià, Paisà, La terra trema, Riso amaro? Non scompaiono dunque solo i cliché, ma tutti i pezzi vecchi del gioco vengono rimescolati per formare topografie nuove. Cambia insomma la drammaturgia. Mutano anche i rapporti tra l’individuo e la collettività. Nel cinema del periodo fascista, la massa è sempre un coro colorito e passivo intorno a questo o a quel protagonista. In quasi tutti i film italiani neorealisti la gente ha veri e propri momenti di protagonismo. La coralità non è più, insomma, decorativa, scenografica, gerarchicamente ordinata, ma conflittuale, lacerata, emotiva, mutante. Ora, si sarebbe mai verificata una così profonda rivoluzione formale, se i nuovi cineasti fossero stati - come a lungo si è inteso - solo i trascrittori naïf delle sconvolgenti vicende della guerra e del dopoguerra? Fino a quando fu vivo, Cesare Zavattini, lo sceneggiatore principe del Neorealismo italiano, continuò a essere invitato nei tanti paesi che via via erano stati lacerati da guerre e rivoluzioni. Pensavano, gli intellettuali di quei paesi, e pensava ingenuamente lo stesso Zavattini, che quelle sciagure e tragedie bastassero a innescare altrettanti “neorealismi”. Come ormai tutti sanno, non fu così. Ben altra formazione, ben altra storia avevano vissuto e assorbito i nostri cineasti, e Zavattini per primo. Futurismo, metafisica, Surrealismo, dimestichezza con i movimenti letterari e musicali d’avanguardia avevano preparato il terreno, e il Neorealismo era dunque il frutto di un’ibridazione esplosiva, di cui anche i giovanissimi subivano il fascino. E per questo furono neorealisti - indipendentemente da certe predilezioni tematiche e stilisti-


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che - Visconti come De Sica, Rossellini come De Santis, Fellini come Germi o Lattuada. Visto dall’esterno - come suggerisce Bachtin per ogni fenomeno culturale -, il cinema italiano è considerato neorealista anche nella stagione de La strada. Su questo concordano André Bazin come Georges Sadoul e tutti i critici (non italiani) di formazione lukacsiana. Una rivoluzione formale profonda, quindi, non di soli contenuti. Ma credete che sia facile, per questa visione del Neorealismo diventare “senso comune”? Quante volte sentiremo ancora dire che il Neorealismo è nato perché era impraticabile Cinecittà! Secondo punto. Necessità per individuare il DNA del cinema italiano (al di là della stagione neorealista) di uno sguardo sul suo contenitore: l’identità culturale del nostro paese. L’identità culturale dell’Italia, l’identità della lingua italiana si sono formate nel corso di secoli - su una scala diversa da quella su cui si sono formate la cultura e la lingua della Francia, della Russia, dell’Inghilterra, cioè seguendo, assecondando processi di unità nazionale molto lenti, ma molto profondi. L’immaginario italiano (formatosi nel Medioevo, nel Rinascimento...) è certamente legato a tematiche, ideologie, raffigurazioni non “nazionali”: la Chiesa, l’Impero, le repubbliche marinare, gli stessi microcosmi comunali, le signorie che nessun principe è riuscito a immettere in un disegno nazionale, vissute piuttosto come cellule di un universo più vasto. Questo immaginario non ci potrà servire per circoscrivere un territorio identificabile, italiano, (non nel senso nazionale strettamente ottocentesco), e quindi perfino più adeguato alle correnti transnazionali

che attraversano il mondo? O piuttosto una produzione, per secoli, di strutture non nazionali impedirà all’Italia di essere moderna? Sarà impossibile essere davvero moderni, avendo di fatto saltato la fase dell’unità nazionale (o avendone vissuta una assai fragile)? Non è un caso che in Italia sia cresciuto il Partito comunista più forte dell’Occidente. Un partito profondamente nazionale, eppure per decenni profondamente collegato con un movimento basato su un’ideologia di tipo universalistico. È, questa, un’anomalia, o non si tratta di un fenomeno, invece, che contribuisce a darci i tratti di un’identità italiana? Italiani che diventano papi. Intellettuali e politici italiani, organici in fondo a egemonie sovranazionali... E veniamo dunque al nostro cinema. Intanto un primo dato essenziale. Nessun’altra cinematografia europea (per non parlare di quella hollywoodiana o orientale) ha saputo - come quella italiana - proporsi anche come sopranazionale, fino a identificarsi in altre culture. Visconti e i suoi sceneggiatori si sono mossi da maestri nella cultura tedesca e mitteleuropea. Blow up di Antonioni è un film italiano o un film inglese? La battaglia di Algeri e Queimada di Gillo Pontecorvo sono prodotti di mimesi rispetto ad altre tipologie culturali o non piuttosto frutto di un’antica capacità italiana d’identificarsi con altre comunità e culture, traendone però connotati originali e riconfermando quindi anche una profonda identità italiana? Germania anno zero di Rossellini non fa parte ormai della storia del cinema tedesco del dopoguerra toccando al tempo stesso i vertici del Neorea-

lismo? E il suo Louis XIV non fa parte a tutto titolo della storia della televisione francese? Nessun regista francese o tedesco, russo o americano o giapponese si sarebbe immaginata un’impresa straordinaria di mimetizzazione culturale come quella di Bertolucci con L’ultimo imperatore. E i western di Sergio Leone? Divenuto, giocando fuori casa, regista di culto per gli stessi cineasti americani? E i film shakespeariani di Franco Zeffirelli? E Le bal di Ettore Scola? Il portiere di notte di Liliana Cavani? Non deriva da questa flessibilità sopranazionale italiana anche una certa tematica cosmopolita (seppure radicata su un humus italiano) del nostro grande melodramma dell’Ottocento, in cui Shakespeare (che però, guarda caso, trae spunti dal Bandello), o il folclore egizio, confluiscono nella cantabilità italiana? Sì, un certo gusto dell’esotismo ha attraversato ovviamente tutta la cultura europea dell’Ottocento e del primo Novecento (basti pensare al Flaubert di Salambô, giù fino a Conrad), ma in Italia quel tratto è stato parte sostanziale della sua identità. È indubbio che la debolezza dello stato centrale, il maturarsi con tanto ritardo di una profonda coscienza nazionale sono all’origine delle aporie della cultura italiana moderna. Ed è ingenuo pretendere che la nostra cultura possa fondare il proprio nazional-popolare solo su Manzoni, Verdi e Verga, e sancirlo col Neorealismo. Ma è patrimonio nostro, è nostra cultura, cultura italiana tutto l’universalismo rinascimentale, tutto quell’immenso repertorio d’immagini e parole creato nei tanti secoli in cui l’Italia non fu nazione ma 49


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crocevia decisivo di tutta la civiltà occidentale. Nel corso delle tante mie riflessioni sul nostro cinema mi parve giusto interrogare i protagonisti di questo grande viaggio. Una delle risposte più giuste me la diede proprio quel cineasta che all’inizio ci era parso come il più estraneo alla linea portante della nostra produzione, quella di tipo realistico popolare: Sergio Leone. - Come hai potuto identificarti - gli chiesi - con l’epica americana, con quanto è più lontano insomma dalla realtà in cui ti sei formato, hai vissuto? - Con molto candore e anche un po’ stupito mi rispose: - E perché non ti domandi come ha fatto l’Ariosto a identificarsi con la chanson de geste? Allora erano molto lontani i mori, i Pirenei! Lì per lì rimasi sbalordito e mi parve che la risposta tradisse una certa presunzione... Ma in fondo aveva ragione. Del resto Leone è scomparso prima di poter realizzare il suo più grande sogno: un film sull’assedio di Leningrado, basato sul grande libro di Harrison Salisbury. Pensate che cocktail. Una Storia russa raccontata da uno scrittore americano e filmata da un italiano. Eppure, chi ha letto la sceneggiatura, dice che sarebbe stato il suo capolavoro. Insomma, la storia del cinema italiano ci suggerisce che una doppia identità non è sempre sinonimo di ambiguità. Ma straordinaria peculiarità. Doppia ricchezza che potrebbe farci trovare - più pronti di altri - ai grandi appuntamenti sovranazionali e planetari del nuovo secolo. Non siamo lontani dal fenomeno di penetrazione di tanti registi e intellettuali europei, slavi, ebrei, e non ebrei (anni Venti e Trenta), nel cinema di Hollywood. Fenomeno, che si spiega quando non si dimentica il retroterra 50

cosmopolita di questi cineasti, la loro provenienza da un universo multietnico e imperiale. (Non sembri irriverente verso i valori di tipo universalistico fin qui ricordati - e costituenti una parte importante dell’identità italiana - ricordare anche il mondo dei contropoteri! Non s’irradiò dall’Italia il contropotere più modulare, più esportabile, meno nazionale, anche se originariamente regionale, che mai la malavita abbia potuto creare: la mafia?) La domanda che dobbiamo porci oggi è, semmai, questa: in che modo il cinema italiano degli ultimi anni è riuscito a gestire quella doppia identità che mi sono sforzato d’individuare, quella ricchezza straordinaria che altre cinematografie possono addirittura invidiargli? Domanda, cui non possono che seguire altre domande... Perché il cinema italiano - che pure è ricco di talenti - ha visto via via impallidire la sua riconoscibilità, insomma la sua identità? Non è questo un paradosso, per un cinema che, nella Storia - se si accetta la mia tesi -, d’identità ne ha avuta addirittura una doppia? Si tratta allora di una ricchezza, di un patrimonio soltanto potenziali? La storia del cinema, non solo italiano, ci dà la risposta a tutto ciò: un’identità, di qualunque tipo essa sia, si forma, diventa riconoscibile, come ho già accennato altrove, quando un gruppo di autori, indipendentemente dai gusti, dalle inclinazioni, dagli stili personali diversi, si riconoscono in una comunanza d’interessi etici e linguistici; lottano insieme per affermarli; propongono insieme una svolta tale da diventare addirittura decisiva per tutto il cinema, non solo per il gruppo che ha lanciato il nuovo messaggio. È stato il caso, lo ripeto, del Neorealismo cinematografico italiano, che trovò an-

che il suo strumento d’identificazione nella rivista “Cinema”; della Nouvelle Vague francese, raccolta intorno ai “Cahiers du Cinema”; del gruppo di autori tedeschi firmatari del Manifesto di Oberhausen; del Free Cinema inglese raccolto intorno al critico (e poi regista) Lindsay Anderson... Vuol dire questo che un’identità è riconoscibile solo nel momento dell’emissione del messaggio? Certamente no. Certe svolte hanno un’onda lunga che resiste nel tempo. Il cinema italiano ha vissuto a lungo sull’eredità del Neorealismo, il cinema francese è ancora debitore verso quella rivoluzione formale, proposta dalla Nouvelle Vague che ha cambiato la sua identità e l’ha reso “riconoscibile”. Nel cinema italiano, però, è da troppo tempo che gli autori non fanno gruppo, tendenza, movimento insomma. Non basta un numero, perfino alto, di talenti, quale il cinema italiano può vantare oggi, per fare identità. Si possono vincere festival od Oscar, ma questo non è sufficiente per determinare un nuovo caso italiano, una nuova riconoscibilità. Quell’identità, insomma, per cui 1+1+1+1 non fa 4 ma 10. La parola crisi di per sé è troppo generica - e abusata - per definire la situazione attuale del nostro cinema. Sì, ci sono problemi economici. Ma questi ci sono sempre stati, da quando il cinema italiano è nato (e certo non ci stancheremo mai d’invocarne la soluzione). L’espressione esatta per definire la condizione del cinema italiano è piuttosto “crisi di identità”, risolvibile quindi soltanto con la presa di coscienza, da parte degli autori, di una loro assoluta responsabilità. Prioritaria rispetto a qualsiasi riforma di tipo legislativo. Dirò di più: quasi sempre


la conquista di un’identità ha richiesto anche la rottura con i padri, se non la loro uccisione (figuriamoci poi il destino dei nonni!) Se questo rito di passaggio dovesse servire oggi a far rinascere il cinema italiano (nel senso ormai detto e ripetuto, cioè di universale riconoscibilità, al di là di certe riconoscibilità e di certi primati individuali), ben venga, finalmente, questo parricidio! Terzo punto. Allarghiamo lo sguardo a quel territorio ancora più ampio che il cinema mi ha permesso di esplorare, e in cui spesso, inutilmente, mi sono addentrato col mio piccone per tentare di demolire tanti luoghi comuni. È la cornice dentro la quale tutto il cinema - non solo quello italiano -, tutta la cultura - non solo quella italiana -, hanno vissuto nel corso del secolo breve: quel Novecento che Hobsbawn fa nascere nel 1914 e morire finalmente nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, il secolo che vede appunto il trionfo e poi il declino del fascismo e del comunismo. Contigui alle mie prime riflessioni sul cinema italiano tra il 1941 e il 1943 sono i primi interrogativi sulla identità del fascismo, a cui risponderò poi, nel corso di decenni, con riflessioni che forse meritano di essere ricordate. E che provo ancora una volta a riassumere. È già stato scritto molto su quel periodo, basti ricordare Il lungo viaggio attraverso il fascismo di Zangrandi. Le posizioni che affioravano nei littoriali. L’ambiguità dominante in cui tutti eravamo immersi. Ma è forse necessario, ancora, insistere sulla natura ambigua del fascismo. Movimento reazionario ma “modernizzatore”. L’attribuzione, da cinquant’anni, di un generico aggettivo fascista a tutti i movimenti repressivi militari o autoritari

(colonnelli greci, dittature di destra latino-americane, lo stesso franchismo) nasconde alle nuove generazioni i tratti essenziali del movimento creato da Mussolini. Vi confluiscono, com’è noto, le nostalgie medievali della corporazione e il radicalismo soreliano, il nazionalismo e l’eco della stagione socialista, antiborghese e anticapitalista del capo, il dannunzianesimo e il Futurismo. Un gran calderone ideologico studiato con sorprendente genialità per accompagnare l’ingresso impetuoso delle masse nella Storia (fenomeno di fondo del secolo) e orientarle verso l’alveo ottocentesco del nazionalismo e dell’imperialismo, sotto la maschera di un impossibile socialismo nazionale eversivo e futurista. Quella vocazione al “sociale” che innerverà poi il movimento (fino a diventare una costante anche nei più lontani proseliti) lo mette in sintonia - negli anni Venti e Trenta - con la rivoluzione delle masse che dovunque nel mondo chiedono risposte alle tante domande epocali poste dal primo dopoguerra e dalla crisi del ’29. Meravigliarsi ancora che in quel territorio confuso di spinte innovatrici e conservatrici, di invettive antiborghesi e di richiami all’ordine, potessero anche ritrovarsi, come protagonisti o fiancheggiatori, poeti o filosofi, pittori o cineasti, significa ignorare i tratti originali del movimento mussoliniano. Il totalitarismo fascista - finché non si arrivò alle leggi razziali e poi alla catastrofe della guerra, riuscì ad armonizzare, tutte le spinte originarie verso la “modernizzazione” che, insieme al “sociale”, ne costituiva il tratto di fondo, con un orizzonte tardo ottocentesco ancora circoscritto nell’ambito della “nazione proletaria” e nei confini - avviati già al tramonto in tutto il mondo - di nuovi, velleitari

sogni coloniali. Sui limiti, i misteri, le ambiguità della fronda non si è mai cessato di discutere dal dopoguerra a oggi. Ho ricordato il libro di Ruggero Zangrandi. E resta fondamentale, per capirne il retroterra, l’opera di De Felice. Da qualche testimone, ancora vivente, continua, poi, a esser messo in luce ora un aspetto, ora un altro, di quella stagione. Per spiegare la tortuosità o addirittura l’enigmaticità dei percorsi di tanti giovani e meno giovani, è parso troppo semplicistico il termine fronda, e si è parlato di “dissimulazione onesta”, di “servitù volontaria”, di “nicodemismo”. Ma non dovremmo ricorrere, per alcuni casi addirittura la categoria della schizofrenia? Dove collocare quell’enfasi sul linguaggio (linguaggi: il cinema, il teatro, la poesia ermetica, la pittura metafisica...) che pareva tesa a rovesciare il mondo e invece ci isolava da quella realtà così fragorosa in cui eravamo immersi (Rivoluzione! Guerra!). Ma quella guerra destinata secondo le profezie di Mussolini - a cancellare il vecchio assetto demogiudaicoplutocratico era poi così virtuale, lontana dall’altra rivoluzione, quasi preannunciata dal Futurismo, volta a sconvolgere e modernizzare i linguaggi? Forse questa sostanziale organicità potrebbe spiegare anche quella disinvolta contiguità oggi quasi incomprensibile - di tanti nostri articoli critici su tematiche d’arte - con gli editoriali di un Bottai (su “Primato”) o di un Vittorio Mussolini (su “Cinema”), o di altri responsabili politici sulle varie testate universitarie di chiara impostazione fascista e addirittura razzista. L’ossessione dello “specifico fìlmico”, la difesa dell’artisticità del cinema (allora messa ancora in dubbio da tanti 51


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intellettuali), in sintonia di fatto con le spinte modernizzatrici del fascismo, faceva convergere i nostri entusiasmi sia sui classici sovietici degli anni Venti che su certi autori nazisti (Leni Riefensthal o addirittura il Veit Harlan di Suss l’ebreo), sia sugli autori “degenerati”, come li definiva Goebbels, della stagione weimariana (Pabst, Wiene, Murnau) e sui democratici americani (Capra) che sul Griffith - in odore di razzismo - di Birth of a Nation, e ancora su certi nostri registi “di regime” rispettabili per il loro talento filmico (il primo Blasetti, Alessandrini, Genina). Contiguità certo, a ripensarci oggi, davvero imbarazzanti, e a volte incredibili. Gran parte di questi interrogativi probabilmente resteranno aperti finché non sarà diventato senso comune l’identità schizofrenica del movimento mussoliniano. (Ma non è schizofrenica un po’ tutta la Storia, malgrado Hegel e Marx?) Movimento, come ho detto, modernizzatore e al tempo stesso immerso con tutto il corpo nell’ideologia ottocentesca della nazione e dell’impero. Movimento affacciato sul Novecento (i principi del welfare; l’attenzione alla comunicazione di massa: cinema, radio; all’urbanistica; la creazione dell’Enciclopedia italiana; il richiamo alle avanguardie; la promozione dei giovani; il vagheggiato superamento del capitalismo; il disprezzo per la borghesia, classe destinata all’estinzione...) e però ancorato addirittura all’idea preilluministica di una supremazia razziale come fattore di discriminazione fra i popoli e come fonte di risorse per la nostra modernizzazione, nonché per il benessere dei figli migliori. Il lessico vagliato parola per parola, ad esempio, racconta il passaggio da 52

un’incondizionata adesione a un fascismo di sinistra (sociale, rivoluzionario, che prendeva alla lettera le invettive antiborghesi della dottrina ufficiale) a un fascismo problematico e, per alcuni giovani già critici del regime, a trasparenti forme di opposizione. Sfogliando, per esempio, le pagine di tanti giornali dei Guf dal ’40 in poi, s’incontra spesso invece della parola nazione la parola paese. Nazione evocava nazionalismo, sangue, razza. Ma qualcuno - chi sarà stato il primo? - cominciava già a scrivere paese, “il nostro paese”, espressione in cui si manifestava forse un’eco carpita da qualche pagina di Vittorini. Certamente era un modo per distinguersi, e nessuna censura poteva obbiettare qualcosa. Altro terreno ambiguo era quello del rapporto individuo-società. Nel linguaggio fascista c’era la cosiddetta “battaglia antindividualistica”, “antiborghese”... Quindi antindividualistico si poteva usare (evocando però un senso sociale diverso). Mentre l’espressione “esperienza individuale”, che si riscontra in qualche nostro articolo, era ancora qualcosa di più. La parola esperienza, infatti, alludeva già a un “farsi da soli”, un “muoversi” indipendentemente”. Affioravano anche espressioni come “responsabili”, “sentirsi responsabili e promotori”. L’aggettivo responsabile non appariva mai nel lessico fascista, perché la responsabilità era del potere. Ma comunque anche in questo caso era difficile che un censore potesse sospettare una trasgressione. Circolavano poi parole che il fascismo non pronunciava mai come umanità, che evocava una sorta di sovranazionalismo, dava il senso di qualcosa che andava al di là dei confini e delle frontiere. E, al posto della parola popolo,

si diffondevano altri tipi di vocaboli: i lavoratori, le masse... Questo per dire quanto fosse, in fondo, affascinante leggersi e scoprire delle parentele tra movimenti apparentemente inconciliabili attraverso parole che a tentoni, proprio nel buio, riuscivamo a individuare e che ci facevano da radar per segnalarci gli uni agli altri. Io fui reclutato, si può così dire, dal gruppo della rivista “Cinema” sia grazie ad alcune stroncature violente dei “telefoni“bianchi” - i film di pura evasione della produzione corrente - che andavo scrivendo sulla terza pagina di “Roma fascista” (cui collaboravano da Vito Pandolfi a Scalfari, da Ruggero Jacobbi ad Alfonso Gatto, e tanti altri futuri resistenti o antifascisti) sia per la mia posizione di freddezza nei confronti del formalismo di certi film di grande nobiltà ed eleganza, ma lontani dalle inquietudini che in quella stagione cominciavano a emergere. L’incontro con il gruppo di “Cinema” avvenne proprio al Cineattualità. Avevo 20 anni, e il fascismo, nella sua abile strategia, offriva ai giovani, che poi lo ripagavano con ben altri prezzi, responsabilità organizzative oggi impensabili. Fui avvicinato dunque da Beppe De Santis, e da Gianni Puccini. Attraverso discorsi cauti e allusivi, fui invitato a collaborare alla rivista. E così accadde il prodigio: attraverso la parola e gli scritti, ci si era riconosciuti. È la fine del ’42, e nella mia scrivania al Cineguf tengo sottochiave La storia della rivoluzione russa di Trotzckij e il saggio di Lenin L’estremismo malattia infantile del comunismo. La mia adesione però è ancora tutta libresca. Di militanza politica ancora non se parla. Nessun imbarazzo, quindi, nel riconoscere certe intuizioni, e il valore di certe “opere del regime”, che talvolta


Si gira “Hotel Meina” (2007)

l’antifascismo tradizionale ha dovuto, se non occultare, sminuire o addirittura ridicolizzare. Insomma, sì, i giovani, non solo a Roma ma in tante province, ebbero in quegli anni strumenti di promozione (Cineguf, Teatroguf) degni delle università americane. Ho partecipato anche io a questo tipo di esperienze. Le domande da porsi sono piuttosto altre. Quali erano considerate risorse per questo tipo di modernizzazione? Quali gli obiettivi verso cui venivano indirizzati conseguentemente i giovani? La rinuncia alla libertà, la costruzione di un impero coloniale, il ridimensionamento del primato ebraico nelle scienze e nella cultura. Questo è il problema con il quale gli eredi del fascismo non hanno ancora fatto i conti quando ostentano il “sociale”, la “modernità” del movimento. E che conti! In un mondo che già vedeva la crisi e il tramonto degli imperi coloniali, il fascismo e il nazismo, se avessero vinto, avrebbero dovuto far convivere il loro “socialismo nazionale” - e per almeno un secolo - con mille, un milione di battaglie di Algeri, con il saccheggio e la colonizzazione (distruzione) delle aree dell’Est. “Spazi vitali” per noi, spazi di morte per loro. Ecco il prezzo strategico di quella “modernizzazione”. Ecco, da parte nostra, la strada per ridimensionare fino in fondo - e quindi bocciare definitivamente - quell’esperienza. Ma anche in questo campo non basta il piccone. Ancora di recente, per aver rievocato certe mie esperienze positive al Cineguf, un giornale serio come “La Stampa” ha titolato su cinque colonne “Lizzani rivaluta il fascismo”. I conti col comunismo invece cominciai a farli in Cina già nel 1956-57, e ne ho scritto per decenni. La tragedia di una dottrina - sia pur utopica - pen-

sata per l’Occidente avanzato, e che finisce per incarnarsi nelle aree contadine del mondo. Una miscela micidiale che porta dritta dritta agli spaventosi conflitti etnici nella ex Urss, a Pol Pot, alla farsa tragicomica della Corea del Nord, agli scontri, ai massacri tribali in Africa. II cristianesimo fiorì radicandosi nell’area più avanzata del mondo. Roma, l’impero romano. Il proletario avanzato e cosciente di Chicago, di Londra, di Berlino, non ci ha seguiti, negli anni Venti, come aveva pronosticato Marx? Come ancora sperava Lenin? Come sperava Trotzkij? Beh. Rinunciamo alla lotta? No! Ma pensare di costruire una società socialista producendo l’acciaio nei fornelli casalinghi dei villaggi cinesi (sia pur milioni di fornelli), accerchiando la metropoli dall’esterno, mi parve infantile e grottesco già quando questo tipo di socialismo cominciò a prendere forma in Cina. E ancor più insensato e spaventoso quando fu evidente il percorso tragico fatto vivere da Stalin a milioni di contadini russi, sterminati per costruire - in provetta - un socialismo reale, nel tentativo d’imprigionare una dottrina che prefigura una dimensione internazionale in quella tragica del “socialismo in un paese solo”. Per non parlare degli orrori determi-

nati non solo nei corpi, ma anche nelle anime, nei cervelli, dagli “ingegneri delle anime” per costruire questo anomalo laboratorio. Ma anche la scoperta di questa non linearità della Storia (il prodursi nel Novecento di due giganteschi aborti come il nazifascismo e il comunismo reale) non deve diventare spunto per altre semplificazioni. Certo, Lenin e poi Stalin non potevano buttare a mare la “Comune di Mosca” visto che l’Occidente operaio non si muoveva, anzi sembrava offrire il consenso a un bellicoso e pericoloso populismo socialnazionalista. Ma che costi giganteschi! Certo, anche Mao pensava che accerchiando con l’oceano contadino cinese, e via via mondiale, la metropoli capitalistica, questa sarebbe venuta a patti e la Cina avrebbe potuto evitare la scorciatoia (e quindi il disastro) di una rivoluzione “culturale” sempre più sanguinosa, spietata (e costosa) (che fece paura perfino a Stalin!). Eppure anche la Cina capitalista di oggi è una propaggine della rivoluzione maoista! Certo, in Occidente, sempre più contraddittoria, inestricabile, enigmatica, diventava l’identità di un Partito comunista come quello italiano che, praticando in effetti nel proprio paese una politica obbiettivamente socialdemocratica (dal compromesso 53


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con la monarchia all’ideologia della “ricostruzione”, al consociativismo, al compromesso storico, un filo mai spezzato), non riusciva però a interrompere i legami col socialismo reale... Ma intanto contribuiva a trasformare e a dare fondamenta democratiche al nostro paese. Una storia fatta magari d’incertezze ed errori drammatici, ma che non ripudierò mai. Insomma anche la Storia non si può dirigere - o raccontare o illuminare cogliendo con un colpo solo quel frutto proibito che dall’epoca di Adamo ed Eva non smette di sedurre l’uomo. Non ha insegnato niente quella cacciata dal paradiso terrestre! Quella dannazione per aver voluto assaporare, con un gesto unico, rapido, risolutivo, il piacere di una spiegazione - tutto e subito, in pillole - di tutti i misteri dell’universo. La straordinaria metafora offertaci dalla Bibbia, continua, mi pare, a non insegnare niente. Resta il fatto che gli orizzonti verso i quali si sono mosse (semplificando tragicamente, e quindi fallendo) le due weltanschaungen erano, per l’una, la legge del più forte, la selezione naturale, una gerarchia di popoli e razze (e da qui l’unicità del suo esito), per l’altra, una società (globale) di eguali, il sogno (in cui andò a confluire perfino quello d’ispirazione cristiana) di una difesa del debole rispetto al forte. E forse proprio perché più universale e risolutiva e prolungata, questa seconda semplificazione è costata ancora più sofferenze, sangue e lutti. Come pensare che non sia giusto combattere per la costruzione di una società di uguali? Ma si sarà capito (come lo capì san Paolo) che il cammino andava iniziato proprio nelle zone più avanzate ed evolute del mondo? (Forse, domani, la stessa Cina, ma perché abissalmente diversa 54

da quella contadina gestita da Mao). E che forse conciliare libertà e giustizia sociale resta il traguardo più nobile per un essere umano, ma un traguardo non certo raggiungibile con i tempi scanditi - sul quadrante della Storia - dal succedersi di poche generazioni? E se tutto dovesse dimostrarsi - come sembra - utopia, non potrebbe diventare almeno impegno etico categorico, laico, da mettere alla prova ogni giorno, senza pensare di tradurlo in quella visione lineare della Storia uscita così sconfitta dal Ventesimo secolo? A chi non bastasse la metafora del “frutto proibito”, come condanna di ogni semplificazione potrei suggerire un prezioso aforisma di Kafka che figura come epigrafe nel mio libro di memorie: “Ci sono due peccati capitali dell’uomo, da cui derivano tutti gli altri: impazienza e inerzia. A causa dell’impazienza sono stati cacciati dal paradiso, a causa dell’inerzia non vi tornano”. Quarto punto. Ma torniamo al cinema. Un linguaggio che, appena conquistato il suo statuto d’arte, è costretto a fare i conti con tutto l’universo audiovisivo che intanto gli è cresciuto intorno, e che ho cercato di delineare nel mio saggio Il discorso delle immagini. A livello teorico si è dibattuto a lungo se il cinema fosse o meno un fenomeno d’arte, o quanto meno un linguaggio autonomo. La contesa è stata aspra per decenni. Poi si è passati alle analisi di tipo semiotico, alla ricerca delle unità grammaticali e sintattiche, ai problemi della codificazione o trascrizione in simboli (dal linguaggio alla lingua), trascurando però il fenomeno più macroscopico che avrebbe dovuto essere l’oggetto del primo livello di riflessione e cioè quello, appunto, dell’egemonia -

nel nuovo linguaggio - di un solo modello, di un solo autentico “genere”: il film di narrazione. L’effetto più importante e più significativo indotto dalla televisione nel linguaggio dell’immagine-in-movimento (motion picture) è stato proprio quello di ricordarci in quanti modi, per quali tipi di discorso, può essere usata l’immagine audiovisiva: appunto saggio, inchiesta, documentario, messaggio pubblicitario, composizione audiovisiva di tipo poetico, fiction di durata breve. Sono così risorti modelli - ma diciamo dunque generi - scomparsi dopo la fine della fase pionieristica e che si erano riaffacciati negli anni dell’Avanguardia storica (basti pensare ai primi documentari di Ivens, alle brevi composizioni del primo Clair, di Buñuel, di Cocteau). Per non parlare dei mediometraggi o corti di Chaplin, di Keaton, etc. L’attribuzione della parola genere ai sottogeneri del macrogenere fiction (commedia, dramma, film d’azione, noir, etc.) è dunque assai primitiva, e potrebbe somigliare alle prime definizioni derivate da un criterio di tipo etico-contenutistico. La distinzione che fu fatta, ad esempio, prima di Platone, tra il genere “serio” (tragedia, epopea) e il genere “faceto” (composizione giambica, etc.) Platone invece orienta i criteri di divisione già sui modelli, le metriche, le forme, piuttosto che sui contenuti e gli “umori” che darebbero la coloritura ai modelli. Parla di genere “mimetico o drammatico”, di genere “espositivo-narrativo”, di genere “misto”. È chiaro che con questo tipo di schematizzazione si legittima la parola scritta a ottenere statuto d’arte, o comunque statuto letterario, sia che la si usi per comporre poesia o drammi, o narrazioni storiche, o rifles-


sioni filosofiche. Si potrebbe dire: se nel linguaggio audiovisivo ha prevalso finora la fiction, ciò è dovuto a una domanda della società. Tutti i generi, nel passato, sono nati in conseguenza di domande sociali, e le egemonie si sono determinate in conseguenza del prevalere di questa o quella domanda di tipo politico, religioso o filosofico. Aristotele aggrega sotto la forma “tragedia” tutta la poesia, e stabilisce forse per la prima volta l’imperio di un genere (inteso come forma di composizione) su tutti gli altri. E, per parlare solo di un altro periodo storico, basti pensare all’egemonia concessa dal romanticismo al genere “lirica” rispetto a tutte le altre forme di espressione artistica. Anche nella musica - nei tempi moderni - il melodramma, all’interno dell’istituzione musicale, ha avuto popolarità e diffusione predominanti, condizionando scelte e opzioni degli stessi artisti. Nelle arti figurative, allo stesso modo, sono evidenti, a monte di certi generi, processi di tipo istituzionale, per cui l’affresco fiorisce in un determinato periodo, mentre il ritratto o il paesaggio in un altro. Ma nessuno può dire che la letteratura è solo tragedia o solo romanzo, che la poesia è solo lirica o solo poema, che la pittura è solo affresco, la musica solo sinfonia e non anche sonata, sonatina, concerto per solo e orchestra, melodramma e così via. Grazie alle diverse possibilità di distribuzione (per fasce differenziate di pubblico) e alla conseguente maggiore libertà nella scelta di misure temporali, rispetto al canone fisso offerto dalla sala cinematografica, sono nati i film brevi e saggistici di Rossellini (gli episodi di India, La presa del potere da parte di Luigi XIV), i film di Rouch (o hanno visto finalmente la luce i bellissimi documentari di De Seta). E, all’estremo

opposto, Berlin Alexanderplatz di Fassbinder, Decalogo di Kieslowski, Ludwig (versione televisiva) di Visconti, Io e il vento di Ivens, Heimat di Reitz. Come le chiameremo queste opere? Film, sì, perché è comunque una patente di nobiltà. Come dire: attenti, non si tratta di tv movie (cioè fiction di misura breve) né di serial. Ma non è troppo elementare e limitativa la definizione generica di film per prodotti così differenziati, ripeto, anche all’interno dell’universo fiction? E dove metteremo quello stupendo film che è Matti da slegare di Bellocchio, Rulli, Petraglia, Agosti (è cronaca, reportage? novella? apologo?) o i primi film di ricerca di Herzog, di Straub, o Il Pianeta azzurro di Piavoli? E i film di Daniele Segre? Si tratta di romanzi? di apologhi? di novelle? di diari? (Molte volte, durante la mia permanenza alla biennale di Venezia, ho dovuto constatare quanto fosse letale, specialmente per molti autori giovani, la dilatazione di un nucleo narrativo adatto a una misura di novella, di one-reel-movie a una durata artificiale di 90, 100 minuti, misura d’altra parte obbligata per entrare nella categoria del film tradizionale). Tutta la poetica di Zavattini s’iscrive in questo potenziale disegno di espansione o contrazione, sia nel genere fiction che in quello non fiction, nel cinemasaggio, inchiesta, e così via. Il tempo incalza. Oramai la TV come focolare domestico sta diventando storia del secolo passato. Nel web è previsto fra poco il sorpasso di internet rispetto al terminale TV. E quanti altri terminali ci offrirà il futuro, a quante altre metriche ci obbligherà lo schermo portatile! Racconti brevissimi, magari poesie di sei righe, giusto il tempo dell’attesa davanti a un semaforo rosso. Nella Biblioteca Universale digitale promossa

dall’UNESCO confluiranno parole e “Immagini in movimento”. In posizioni a volte di protagoniste. E quindi: sotto quale termine raccogliere questa molteplicità di espressioni audiovisive, questo universo di immagini-in-movimento? L’universo della parola scritta è raccoglibile sotto un solo vocabolo onnicomprensivo: letteratura (che si tratti di una poesia di due righe o di un romanzo o di un poema di mille pagine). Lo stesso per la musica, la pittura, etc. qualsiasi siano le metriche, le misure o i formati adottati, e i luoghi in cui questi linguaggi si trovano ad operare. La parola più giusta per abbracciare in modo completo l’universo dell’audiovisivo ci veniva dalla Francia: audiovisuel. Ma oramai anche questo vocabolo è un po’ troppo sbilanciato verso il continente televisivo. Così come il termine inglese motion-picture, o film, e quello tradizionale di cinema sono indistricabili dall’idea di spettacolo pubblico in sala. Forse il termine cinema potrebbe essere depurato dalla sua identificazione con il prodotto-spettacolo, adottandone l’ascendenza greca: kinema. E kineasta - se si accettasse il neologismo - sarebbe da quel momento colui che, con pari dignità, fa documentari, cronache, opere narrative di ogni misura. Insomma: non è paradossale vivere tutti, in quella che è divenuta una ionosfera che avvolge tutto il pianeta, e non riuscire a darle un nome? E dare un nome, un titolo a noi stessi che in quell’iconosfera operiamo? Ecco una ricerca di cui proprio questa Facoltà potrebbe diventare protagonista, collegandosi ad altre analoghe istituzioni italiane e - perché no - istituzioni straniere che possano diventare sensibili ad un interrogativo oramai ineludibile su un piano internazionale, planetario. 55


nella foto grande: una scena di Kaos. Ai fratelli Taviani sarà dedicata la serata di gala di sabato 16

Le SERATE DI GALA

Omaggio a Troisi. E poi i Taviani, Jancsò, Mészaros e gli altri Così sono stati chiamati gli eventi speciali durante i quali, e per tutte le sere del Festival, si rende omaggio – sempre al Centro congressi, il Palazzo del Cinema della città di Viareggio – a grandi personalità del cinema italiano e europeo. Si comincia lunedì 11 con l’omaggio a Massimo Troisi e con la proiezione in anteprima mondiale del Blue-ray Disc del capolavoro Non ci resta che piangere scritto, diretto e interpretato da Roberto Benigni e Massimo Troisi, realizzato per l’occasione da Cecchi Gori Group e contenente materiali inediti di straordinario interesse. Si prosegue martedì 12 con la proiezione pubblica di Tu Ridi dei Fratelli 56

Taviani e con la contemporanea celebrazione del 150° Anniversario della nascita di Anton Cechov. Per l’occasione sarà presentato in anteprima assoluta il film L’assassinio dello Zar (1991) di Karen Shakhnazarov, tratto da un famoso racconto del grande scrittore russo, alla presenza del regista, attuale Presidente della Mosfilm e dell’Unione dei Cineasti Russi. Mercoledì 13 sarà la serata del Premio Speciale Viareggio EuropaCinema 2010 del Presidente della Repubblica, Onorevole Giorgio Napolitano, da assegnarsi a un regista italiano. Sarà Carlo Lizzani a ricevere questo prestigioso riconoscimento e

il plauso del pubblico che, al termine della cerimonia di premiazione, assisterà alla proiezione del film Lo Svitato (1956), interpretato da Dario Fo e Franca Rame. Giovedì 14 e venerdì 15 si aprirà un focus sul cinema ungherese e sui grandi autori della filmografia magiara, Màrta Mészàros e Miklòs Jancsò, ai quali vengono assegnati il Premio Viareggio EuropaCinema 2010 del Presidente della Regione Toscana e il Premio Viareggio EuropaCinema 2010 del Presidente della Provincia di Lucca, Stefano Baccelli. Al termine delle rispettive cerimonie di premiazione, sarà proiettato il


Il grande regista ungherese Miklòs Jancsò sarà celebrato, insieme a Màrta Mészàros, nelle serate del 14 e del 15

Massimo Troisi verrà ricordato presentando il Blue Ray del suo “Non ci resta che piangere”, con 41 minuti mai visti prima

NON CI RESTA CHE… RIDERE GRAZIE A QUEI 41 MINUTI INEDITI film The last Report on Anna, anteprima europea dell’ultima prova registica della Mészàros, e verrà riproposto al pubblico il capolavoro I disperati di Sandor (1965) di Jancsò. Infine, sabato 16 si svolgerà la Serata di Gala dedicata a Paolo e Vittorio Taviani, ai quali viene conferito il Premio Viareggio EuropaCinema 2010 del Direttore Artistico e dell’Università di Pisa. A seguire sarà proiettato il film Padre Padrone (1977), con il quale i registi toscani ricevettero la Palma d’Oro al Festival di Cannes, riconoscimento fortemente voluto da Roberto Rossellini come Presidente della Giuria.

A sedici anni dalla scomparsa di Massimo Troisi, Viareggio EuropaCinema dedica un omaggio all’uomo e all’attore, che ha commosso e divertito le platee di tutto il mondo rivoluzionando il concetto stesso di fare commedia. Grazie alla collaborazione con Cecchi Gori Group e General Video nella persona di Marco Duradoni, che tanto ha contribuito alla “costruzione” del nuovo corso del Festival, sarà proiettato in anteprima assoluta il Blu-Ray Disc di Non ci resta che piangere nella sua versione integrale, con circa 41 minuti di girato inediti.

Si tratta di un film culto che ha segnato, con le sue memorabili sequenze e con le sue gags che sono ancora nella memoria di almeno due generazioni, gli spettatori italiani di tutte le età. Chi non ricorda e non sorride ancora oggi di fronte a sequenze come quella della “Dogana”, della “Lettera a Savonarola” o quella che vede Massimo Troisi e Roberto Benigni alle prese con uno stordito Leonardo Da Vinci, straordinariamente interpretato da Paolo Bonacelli? Chi non risponde “Un Fiorino!” davanti a insistenti e ottusi burocrati?

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Gli eventi speciali Sei appuntamenti per palati fini e appassionati di cinema

Marco Risi presenta il suo film “Fortapasc�

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Eve Queler

Una finestra sulle colonne sonore dei film di Don Camillo

Libri al Festival “L’assassinio dello Zar”, un’anteprima per i 150 anni della nascita di Cechov

Sei sono gli appuntamenti speciali previsti al Palazzo del Cinema nel corso delle giornate del Festival. Il primo, che aprirà ufficialmente il Festival Viareggio EuropaCinema, è la proiezione pubblica, alle ore 10,30, del film Tu Ridi (1998) di Paolo e Vittorio Taviani. Il secondo (alle 18,30 del 14 ottobre), è l’incontro con Franco Bixio sul tema “Immagini e Musica: La grande magia del Cinema. Il valore della colonna sonora nel messaggio emotivo”. Nel corso dell’incontro sarà presentato il anteprima assoluta il CD Le colonne sonore dei film di Don Camillo. Il terzo appuntamento (alle 18,30 del 15 ottobre) riguarda la proiezione pubblica del film Fortapàsc di Marco Risi, alla presenza dell’autore e dello sceneggiatore Andrea Purgatori, che si intratterranno con gli spettatori sui temi e sugli aspetti più significativi del cinema di impegno sociale. Tre sono gli appuntamenti concentrati nel pomeriggio di sabato 16 ottobre. Il primo, alle 14,30, vede protagonista il regista Alessandro

Tofanelli che presenta in anteprima assoluta il suo documentario I giorni della paura (2010), realizzato durante l’alluvione che ha colpito le province di Lucca e Pisa lo scorso 25 dicembre. Il secondo, alle 16,30, in occasione delle celebrazioni del 150° Anniversario della nascita di Anton Cechov, prevede la proiezione in anteprima italiana del film russo L’assassinio dello Zar (1991), di Karen Shakhnazarov Alexandr Gornovski. Il terzo appuntamento, alle 18,30, realizzato in collaborazione con il Centro Mauro Bolognini di Pistoia, intende rendere omaggio alla figura del grande regista toscano e a due grandi attori: Isabelle Huppert e Gian Maria Volonté, con la proiezione della copia restaurata del capolavoro La vera storia della Signora della Camelie (1981). E a questo film è dedicata la terza mostra del Festiva, riguardante la lavorazione di La vera storia della Signora delle Camelie di Mauro Bolognini. Si tratta di cinquanta scatti fotografici inediti eseguiti sul set dal grande fotografo Aurelio Amendola che, riprodotti in gigantografia, fanno bella mostra di sé nell’atrio del Palazzo del Cinema.

Viareggio EuropaCinema intende date spazio e portare sotto i riflettori anche l’editoria cinematografica, facendo conoscere alcuni libri della più recente produzione. Il fitto calendario di appuntamenti che arricchiscono i pomeriggi del Festival prevede la presentazione, nella Sala Viareggio del Centro Congressi “Principe di Piemonte”, dei seguenti volumi: I film in tasca. Videofonini, cinema e televisione a cura di Maurizio Ambrosini, Giovanna Maina, Elena Marcheschi, Felici Editore, 2009; Architetture e luoghi del cinema in Italia a cura di Maria Adriana Giusti e Susanna Caccia, Edizioni ETS, 2010; Occhi da cinema di Leandro Castellani, Ibiskos Ulivieri Editore, 2009; L’illusione e il sostituto – Riprodurre, imitare, rappresentare di Alfonso Maurizio Iacono, Bruno Mondadori Editore, 2010; Carlo Lizzani di Vittorio Giacci, Il Castoro Cinema, 2009; La tecnica del Tiranno – Il Cinema di Miklós Jancsó di Giulio Marlia, Marco Del Bucchia Editore, 2010; La Dolce Vita. Scandalo a Roma, Palma d’oro a Cannes di Pier Marco De Santi, Edizioni Ets.

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Venerdì 15, per introdurre l’incontro con Miklòs Jancsò, sarà proiettato il suo film “Salmo rosso” (1971)

Gli incontri con gli autori

I big premiati si confronteranno con gli studenti e il pubblico Riservate a un pubblico adulto, obbligatorie per gli studenti universitari facenti parte della giuria del Festival e aperte a tutti gli studenti presenti, le mattine dal 12 al 16 ottobre saranno dedicate agli “Incontri con gli autori”, svolti al Palazzo del Cinema dagli illustri personaggi che hanno ricevuto il Premio Viareggio EuropaCinema. Un appuntamento da non perdere e di notevole rilevanza culturale. A Maurizio Scaparro, la mattina del 12, sarà consegnato il Premio 60

Viareggio EuropaCinema 2010 del sindaco di Viareggio, Luca Lunardini, e sarà poi affidata la prima delle cinque lezioni previste sul tema “Scaparro fra Cinema e Teatro”. Incontro coordinato da Pier Marco De Santi e preceduto dalla proiezione del suo capolavoro Mémoires (2006). Carlo Lizzani è il protagonista della mattina del 13. Preceduto dalla proiezione dello speciale Intervista a Carlo Lizzani di Vito Zagarrio, il regista terrà la sua lezione

sul tema “Il Neorealismo Italiano”, coordinata dal professor Zagarrio. La mattina del 14 è la volta di Màrta Mészàros. Dopo la proiezione del film L’uomo di Budapest (2004), la regista ungherese centrerà la sua lezione sul tema “La memoria dell’offesa”. Coordina la professoressa Sandra Lischi. Venerdì 15 sarà Miklòs Jancsò a confrontarsi con il pubblico. Del celebre regista magiaro sarà proiettato – in edizione originale


I Film per le scuole

con sottotitoli in italiano – il suo capolavoro Salmo rosso, al termine del quale Jancsò tratterà il tema “La tecnica del tiranno”. Coordina Giulio Marlia. Infine, sabato 16, Paolo e Vittorio Taviani, dopo la proiezione in anteprima dell’episodio inedito La figlia del film Tu ridi (1998), tratteranno il tema “Il nostro cinema e Pirandello”. Coordina il professor Lorenzo Cuccu.

Nelle foto sopra, dall’alto: una scena di “L’uomo che verrà” di Giorgio Diritti; la locandina de “Il concerto” di Radu Mihaileanu e una foto di scena di “Welcome” di Maja Milanovich

Viareggio EuropaCinema rivolge la sua attenzione particolare agli studenti delle scuole medie e superiori del territorio. Introdotti da Giulio Marlia, i film proposti intendono avvicinare gli alunni delle scuole alla conoscenza e alla visione ragionata di alcuni grandi film italiani ed europei degli ultimi anni. Una “vetrina”, estremamente succinta ma pur sempre significativa, alla quale i ragazzi potranno assistere al Palazzo del Cinema nelle mattine dal 12 al 15 ottobre. Saranno proiettati Il Concerto di Radu Mihaileanu, Welcome Le scene di Turandot sono di Ezio Frigerio. Nel ruoloche di Liù si di Maja Milanovich, L’uomo alternano Donata D’Annunzio verrà di Giorgio Diritti, FortaLombardi e Mimma Briganti pàsc di Marco Risi. Toccherà poi alla scuola il compito di fare un’operazione di rifinitura e di approfondimento sulle tematiche e sugli aspetti formali e contenutistici dei singoli film presentati.

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Il presidente della Fondazione Carnevale, Alessandro Santini

Alleanze nel segno della cultura Importanti collaborazioni con il Festival Puccini e il Carnevale di Viareggio Il nuovo corso di Viareggio EuropaCinema segna anche una fase di stretta collaborazione con le altre prestigiose “testate” culturali della città. Quest’anno si è iniziato con il Festival Pucciniano e la Fondazione Carnevale. Pucciniano. La conclusione della prima edizione di Viareggio Euro-

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paCinema avrà sede all’Auditorium “Enrico Caruso” del Gran Teatro all’aperto “Giacomo Puccini” di Torre del Lago. “È, questa, una significativa occasione – spiega il direttore Pier Marco De Santi – concordata con l’amministrazione comunale di Viareggio, a favore di un decentramento del

Festival e dell’opportunità istituzionale per una effettiva e fattiva collaborazione tra una realtà culturale “storica”, qual è quella del Festival Pucciniano, e una nascente istituzione, qual è quella di Viareggio EuropaCinema, al suo primo tentativo di affermarsi e consolidarsi sul territorio viareggino. Un segnale


Il presidente della Fondazione Festival Pucciniano Massimiliano Simoni

forte che, grazie alla disponibilità, sensibilità e lungimiranza della Fondazione Festival Pucciniano, non mancherà, certamente, di dare risultati proficui nelle prossime edizioni di Viareggio EuropaCinema”. Al Pucciniano, dunque, l’onore di ospitare, domenica 17 ottobre, la serata finale di Viareggio EuropaCinema e la cerimonia di premiazione dell’ambito concorso europeo. Si tratta di un galà durante il quale la musica farà gli onori di casa e, visto che si parla di cinema internazionale, l’orchestra del Pucciniano si “aprirà” ai grandi successi mondiali e immortali della colonna sonora. Un concerto, questo, ideato e concepito insieme al maestro Luigi Nicolini che, con brani espressamente e abilmente arrangiati, si

esibirà al pianoforte come solista e direttore d’orchestra. Carnevale. L’altra collaborazione importante di quest’anno è rappresentata dall’organizzazione della mostra “Il Carnevale di Viareggio e il cinema”, della quale parliamo a pagina 36. Il presidente della Fondazione Carnevale, Alessandro Santini, ha dato subito la sua entusiastica collaborazione, anche attraverso le competenze del Museo del Carnevale, diretto da Paolo Fornaciari. “La mostra che indaga sulle interessanti relazioni fra il mondo dei costruttori del Carnevale (i carristi) e la cosiddetta settima arte – spiega Santini – è frutto di un rapporto di fattiva collaborazione fra le due istituzioni culturali. Fin dal suo insediamento, il direttore artistico del

Festival Viareggio EuropaCinema, professor Pier Marco De Santi, ha inserito fra i suoi obiettivi il dialogo e l’interazione fra le più autorevoli realtà culturali del Comune di Viareggio. L’impostazione che privilegia la sinergia fra gli enti che fanno cultura e spettacolo mi trova da sempre concorde. Finalmente – prosegue il presidente del Carnevale – si è passati dalle enunciazioni di principio all’operatività reale. Del resto è solo il primo passo, se è vero che l’esplorazione dei rapporti fra il Carnevale e il mondo del cinema si articola in una iniziativa triennale, che scandaglierà altri aspetti non meno rilevanti. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, la Fondazione Carnevale continuerà ad essere al fianco di EuropaCinema, attuando una sinergia che – ne sono certo – darà frutti proficui”. 63


Gli artisti per EuropaCinema

Franco Adami ha creato i premi, Ugo Nespolo il manifesto, Carlo Grassini il nuovo logo Franco Adami, scultore toscano, conosciuto soprattutto per il suo stile “art animalier”, ha dedicato due sue creazioni alla rassegna cinematografica viareggina: un’opera in bronzo dorato come Premio al vincitore del Concorso e una medaglia artistica fusa in oro e bronzo che costituirà il Premio Speciale che Viareggio EuropaCinema consegnerà alle grandi personalità omaggiate dal Festival. 64

La vicenda artistica e biografica di Adami si intreccia visceralmente con i passaggi salienti del dibattito intorno alla scultura del Novecento, toccando il “nervo” stesso della dialettica tra astrattisti e scultori “narrativi”. Come spesso capita ai grandi che modificano lo spettro di una tecnica o di una tendenza epocale, Adami esprime una sua cifra specifica, un tratto autoriale inconfondibile che ha fatto del suo immaginario e

della sua “qualità” artistica un punto di riferimento nel panorama dell’arte del XX secolo. Formatosi giovanissimo alla scuola d’arte di Cascina, Adami arriva a Parigi nel 1958. Dopo un lungo tirocinio alla scuola del Louvre, ha espresso piena padronanza delle diverse tecniche scultoree e dei materiali, soprattutto del legno. Nel 1972, con l’apertura del suo atelier a Pietrasanta, “inau-


Nelle foto a sinistra: Lo scultore Franco Adami Nella foto a destra: Il bronzo dorato di Adami che andrà al vincitore del concorso

gura” la conoscenza del marmo e del bronzo, ancora oggi i suoi materiali preferiti. Il manifesto. “Ringrazio Ugo Nespolo”, dichiara Pier Marco De Santi, “un grande artista e uno dei massimi esponenti italiani del cinema di avanguardia, per aver accettato con entusiasmo la proposta di illustrare attraverso il manifesto la nuova filosofia del Festival Viareggio EuropaCinema. Nespolo, artista poliedrico, aperto alle più svariate forme d’espressione, dalla pittura alle arti plastiche a quelle visive del cinema e del video, è riuscito a interpretare perfettamente attraverso questo suo bellissimo e colorato manifesto la nuova anima del Festival Viareggio EuropaCinema”. Ugo Nespolo nasce a Mosso in provincia di Biella; durante la sua formazione culturale si diploma all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino e successivamente si laurea in Lettere Moderne. Negli anni Sessanta, entra a far parte del panorama artistico italiano, influenzato soprattutto dalla Pop Art. I suoi lavori sono caratterizzati da una spiccato senso dell’ironia, da una accentuata vena trasgressiva e da un particolare senso del divertimento che diventeranno il suo personale marchio di fabbrica. Negli anni Settanta, Nespolo si indirizza verso un altro mezzo di comunicazione: il cinema sperimentale, d’artista. I suoi film ricevono consensi e critiche positive in vari centri culturali europei come Parigi e Varsavia. Sempre in questo periodo, Ugo Nespolo sperimenta nuove

tecniche. Negli anni Ottanta si trasferisce negli Stati Uniti, dove i suoi soggetti principali sono rappresentati dalle strade, dalle vetrine e dai personaggi che popolano New York. Da questo periodo fino ai giorni nostri, Ugo Nespolo collabora a diverse creazioni artistiche, scenografie, realizza un altro film, inoltre partecipa con le sue opere a diverse mostre a livello internazionale come in Giappone e in America Latina. Il nuovo marchio. Viareggio e il Cinema protagonisti del marchio che individua Viareggio EuropaCinema, sintetizzati in una composizione grafica semplice e di immediata lettura, opera di Carlo Grassini. Il volto di una donna, che ricorda, sia la grande attrice del cinema muto Francesca Bertini, sia le celebri raffigurazioni femminili di Alfons Maria Mucha, pittore dei caffè concerto, si staglia sul cerchio arancio del sole che tramonta. I caratteri sinuosi tipici dello Stile Liberty, delle insegne degli stabilimenti balneari di inizio ‘900 , sono i tratti distintivi del nuovo logo di Viareggio EuropaCinema, sottolineando così il binomio inscindibile tra gli eventi organizzati e la città che li ospita. Carlo Grassini è un designer pubblicitario tra i più affermati della Toscana. Dopo l’approdo professionale presso gli studi televisivi Rai di Milano e Firenze, Grassini torna a Marina di Pisa dove con la moglie da vita a uno straordinario sodalizio creativo dal quale nascono segni e disegni che diventeranno familiari al grande pubblico perché simbolo e identità delle principali attività imprenditoriali della Toscana. 65


La settima stanza” (1995) di Márta Mészáros, uno dei titoli della rassegna di Villa Bottini a Lucca

Parola d’ordine decentrare

Le rassegne retrospettive a Lucca, Pisa e Firenze. Il festival riparte dal 19 ottobre in poi II nuovo corso di Viareggio EuropaCinema è all’insegna del radicamento sul territorio toscano. Così il festival viareggino si espande in altre realtà della Regione, aprendo un dialogo con istituzioni culturali lucchesi, pisane e fiorentine. Dunque il Festival, una volta conclusi i suoi otto giorni viareggini, proseguirà, dal 19 ottobre in poi, con interessanti “code” che si protrarranno sino alla fine del mese. Tre gli eventi che saranno realizzati dal Lucca Film Festival, dalla Casa del Cinema di Firenze e dal Cinema Arsenale di Pisa. In programma proiezioni e omaggi dedicati agli autori del Festival viareggino.

Lucca

Cinema Italia - In collaborazione con Cineforum Ezechiele Martedì 19 ottobre Ore 21.00 Silenzio e grido (1968) di Miklós Jancsó, sarà presente l’autore

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Villa Bottini Mercoledì 20 ottobre Ore 17.30 lgy jòttem (Sono venuto così, 1965) di Miklós Jancsó Ore 21.30 Óròkbefogadas (Adozione, 1975) di Márta Mészáros

Sabato 23 ottobre Ore 17.30 A temetetlen halott (L’uomo di Budapest 2004) di Márta Mészáros Ore 21.30 Szornyek evadya (La stagione dei mostri, 1987) di Miklós Jancsó

Giovedì 21 ottobre Ore 17.30 Napló apamnak, anyamnak (Diario per mia madre e mio padre, 1990) di Márta Mészáros Ore 21.30 Még kér a nép (Salmo rosso, 1971) di Miklós Jancsó

Cinema Arsenale Martedì 26 ottobre ore 21.00 Proiezione del film vincitore del Festival Viareggio EuropaCinema 2010

Venerdì 22 ottobre Ore 17.30 Szerelmen, Elektra (Elettro amore mio 1974) di Miklós Jancsó Ore 21.30 Siódmy pokój (La settima stanza 1995) di Márta Mészáros

Pisa

Mercoledì 27 ottobre ore 20.30 Proiezione del film The Last Report on Anna (2009) di Márta Mészáros

Firenze

Cinema Odeon - Casa del Cinema Sabato 30 ottobre ore 17.30 Film vincitore del festival Viareggio EuropaCinema 2010 ore 20.30 Proiezione di Carlos (2010) di Olivier Assayas




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