I Quaderni della Finocchiona - La Nazione Firenze

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Firenze


I QUADERNI della FINOCCHIONA

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Seconda tappa del nostro viaggio tra i sapori toscani. Dopo i consigli per la dispensa, facciamo ora un tuffo nel tipico; e, considerato che si va verso la bella stagione, proviamo a scoprire cibi che assolvano anche a un’altra necessità: niente fuoco, grazie. O comunque, il meno possibile. Da sempre terra di contadini e di campagne, la Toscana vanta anche una lunga e diffusa tradizione di allevamento: non per nulla, è la patria della razza Chianina, la specie bovina più antica, più grande e più affascinante. Come pure, tra i suini, della Cinta Senese, da poco “marchiata” con il riconoscimento della Dop. Carne nelle stalle vuol dire da sempre carne da macellare, e dunque salumi: cibi da avvicinare con moderazione e senza abusi, secondo i dietologi, ma cibi capaci di regalare grandi emozioni all’assaggio. Andiamo dunque alla scoperta dei salumi più tipici della Toscana: con tante conferme, qualche sorpresa, e un pizzico di consigli per qualche piatto meno scontato. Insieme, una scelta di vini adatti da abbinare a questo o quel salume, ma tutti con due caratteristiche: buoni, e senza bisogno di mutui. Che, di questi tempi, non è poco. Paolo Pellegrini

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Sommario 3 6 9 10 13 14 16 19 20 23

SALUMI TIPICI

Introduzione Bardiccio Biroldo Buristo Carnesecca Chiorpetto Finocchiona Guanciale Lardo di Colonnata Mallegato

a cura di Paolo

Pellegrini

Ha collaborato Andrea Settefonti Si ringraziano per la gentile collaborazione Marco Stabile e il Ristorante Ora d’Aria di Firenze Si ringraziano Aurelia Bartoletti, Stefano Bencistà Falorni, Andrea Gori, Claudio Lombardi, Stefania Pianigiani, Leonardo Romanelli, il ristorante Pane e Vino di Firenze Le foto delle copertine sono di Luca Moggi / NewPressPhoto

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Torgaio 2011 Santa Cristina 2010 Fumaio 2011 Bitornino 2009 Chianti 2009 Fattoria Dianella Fucini Cancelli 2010 Respiro 2009 Rosso 2010 Montrasio 2010 Colline Lucchesi Morellino di Scansano La Torre 2010 Col di Sasso Chianti Classico 2008 La Beccaccia Braviolo 2010 Casamatta 2009 Arrone 2008

Vicedirettori: Mauro Avellini, Marcello Mancini Direzione redazione e amministrazione: Via Paolieri, 3, V.le Giovine Italia, 17 (FI)

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Grafica ed impaginazione: Kidstudio Firenze www.kidstudio.it

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Direttore responsabile: Mauro Tedeschini

Stampa: Grafica Editoriale Printing srl (BO) Pubblicità: Società Pubblicità Editoriale spa DIREZIONE GENERALE: V.le Milanofiori Strada, 3 Palazzo B10 - 20094 Assago (MI) Succursale di Firenze: V.le Giovine Italia, 17 Per la pubblicità: tel. 055-2499203

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Supplemento al numero odierno de LA NAZIONE a cura della SPE

Mortadella di Prato Mondiola della Garfagnana Prosciutto Prosciutto del Casentino Prosciutto penitente alle castagne Salame Salsiccia Sanbudello Soprassata Tarese del Valdarno Tizzone di Giustagnana Il Chianti sfida la Spagna La curiosità Il Porcellino con la “cintura” I principali salumi di Cinta Cinta: una carne unica Quei vasetti ricchi di gusto

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I Vini

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BARDICCIO

Il Bardiccio è un insaccato tipico della Montagna Fiorentina, in particolare della Val di Sieve. Ha la forma della salsiccia, ma è più lungo, legato con spago, ed è insaccato in budello di puro suino. Il colore rosso scuro varia a seconda della quantità di cuore impiegata nell’impasto e della freschezza: appena fatto è di colore più chiaro, poi acquista tonalità più scure. Il gusto è deciso, con un marcato sapore di finocchio selvatico, persistente, che anche nella cottura mantiene la sua rotondità. Per la produzione viene impiegata carne di seconda scelta suina, bovina e cuore (di preferenza bovino, ma anche suino). La carne suina costituisce almeno l’80% degli ingredienti: si usa quella non impiegata nella produzione di salame, salsiccia, finocchiona. La carne bovina serve ad ingentilire il gusto, il cuore a renderlo unico. Per quanto riguarda gli aromi, oltre al finocchio selvatico si usano aglio, spezie, sale e pepe.La cottura tipica è alla brace, oppure in umido, rifatto col pomodoro, ma è molto versatile e lo si può impiegare in tante ricette, dai risotti agli arrosti ripieni. Il vino ideale per l’abbinamento è un Chianti Rufina.

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Un'idea per un piatto

Minestra di ceci rosa e bardiccio (suggerita da Leonardo Romanelli)

Ingredienti per 6 persone: 250 gr di ceci rosa, 200 gr di bardiccio, una cipolla di medie dimensioni, una carota, una costola di sedano, 2 spicchi di aglio, una foglia di alloro, 1 dl di olio extravergine di oliva, 50 g di grasso di prosciutto, ½ l di brodo di verdure, sale fino, pepe nero. Mettere a lessare i ceci in abbondante acqua, salandoli dopo che è iniziata la bollitura. Intanto, tritare finemente la cipolla, la carota, il sedano, e far rosolare il tutto in una casseruola con l’olio e il grasso di prosciutto. Salare e pepare quindi portare a cottura sino a che assuma un bel colore dorato. Unire i ceci, farli insaporire, e bagnare con la loro acqua di cottura. Aggiungere anche il bardiccio intero, dopo averlo fatto sgrassare a parte in una padella. Al momento del servizio,togliere il bardiccio,tagliarlo a fette e distribuirlo nelle fondine individuali. Servire cosparso di pepe nero macinato al momento.

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Presidio Slow Food

BIROLDO

Il biroldo della Garfagnana è un salume dalle origini molto antiche: il nome si fa risalire a origini longobarde, e viene confezionato usando le parti meno nobili del maiale, in particolare la testa, che è più magra e dà la caratteristica morbidezza: si taglia, si mette a bollire per almeno tre ore, quindi si concia con sale e spezie la testa, il cuore e la lingua, che venivano tagliate e bollite, conciate con sale e spezie, tra cui prevale il finocchio selvatico, poi noce moscata, chiodi di garofano, anice stellato, sale, pepe e cannella; sono esclusi però i pinoli che invece si ritrovano nella versione lucchese, mentre c’è chi aggiunge un po’ di aglio; si amalgama con il sangue di maiale, si insacca nella vescica o nello stomaco del suino stesso, quindi si mette ancora a bollire; poi si raffredderà all’aria sottola pressione di un peso per fargli perdere la parte più grassa. Il risultato è un salume profumato e dal gusto piccante, dal colore molto scuro e dalla forma di palla leggermente schiacciata. Si consuma tagliato a striscioline alte un centimetro, accompagnato magari da pani tipici locali, di castagne o di patate. Il gusto è equilibrato: sangue e spezie non prevaricano il sapore della carne magra della testa del maiale, ma gli conferiscono sentori delicati e persistenti.

Un’idea per un piatto

Biroldo e castagne

In una padella con olio abbondante, scaldato prima, si mette a friggere il biroldo fatto a fette, per 3 o 4 minuti, girandole una volta; poi con si sgocciolano con la schiumarola e si lasciano a riposare su carta assorbente. In una casseruola, si porta a bollore il vino, nel quale si disporranno le fette di biroldo, che si lasceranno a insaporire per circa 3 minuti; le toglieremo, e le lasceremo su un piatto dopo averle sgocciolate. Si cuociono le caldarroste nella maniera consueta: incise nella parte piatta, le castagne vanno passate per un quarto d’ora sul ffuoco nell’apposita padella forata, che provvederemo a muovere continuamente; in alternativa, le possiamo bollire a “ballotte” in abbondante acqua fredda con una foglia di alloro. Poi serviremo le fette di biroldo anche a temperatura ambiente accompagnate con le castagne e, a piacere, con mezza cipolla cruda tagliata a rondelle sottili. Vino da abbinare: un Montecarlo Rosso, dal buon corpo, dal tannino morbido e con un’ottima acidità.

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BURISTO

Salume tipico del Centro Italia, e in particolare della Toscana, il cui nome potrebbe derivare dal tedesco würst, salsiccia. Si ottiene cuocendo e macinando anche in maniera grossolana le cotenne e tutte le parti della testa del suino: si aggiungono poi lardelli di grasso soffritti e portati a mezza cottura e, per ogni dieci chilogrammi di questo impasto, due etti di sangue di maiale filtrato. Si condisce con aromi, quali buccia di limone, pepe, prezzemolo e aglio. La versione senese prevede anche l’aggiunta di una sultanina e pinoli; inoltre la percentuale di sangue utilizzata è più elevata. L’impasto si insacca ancora caldo nello stomaco del suino, si cuce con filo, si cuoce e si consuma subito. Viene prodotto da dicembre a fine marzo: strano a dirsi, malgrado il gusto decisamente “forte”, è sempre più richiesto. Vino da abbinare: un Pomino Rosso, o un Pinot Nero del Mugello

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Un'idea per un piatto

Risotto al buristo alla Silvio Gigli

(consigliata da Stefania Pianigiani) Ingredienti: 200 gr di buristo tagliato a fette sottili; 4 pugni di riso Arborio o Vialone; 1/2 cipolla bionda; 1 bicchiere di Chianti dei Colli Senesi; pecorino senese grattugiato q. b.; brodo vegetale q. b.; dragoncello; pepe; peperoncino. Prima di tutto preparate il brodo e mettete da parte. Togliete la “bucciaâ€? al buristo, tagliate le fette sul tagliere a pezzi grossolani. Mettete il buristo a soffriggere in una padella antiaderente, bagnandolo con poco brodo, insieme a un trito di cipolla chiara e dragoncello. Quando il grasso sarĂ sciolto, unire il riso, quando comincerĂ ad assorbire il condimento, bagnate con il brodo, unire un pizzico di pepe e uno di peperoncino. Portare a cottura aggiungendo ancora del brodo e un bicchiere di vino rosso. Quindi una volta pronto, spolverizzare con un abbondante macinata di pecorino stagionato.

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CARNESECCA

È il nome con cui in Toscana si chiama la pancetta, che qui ha un gusto sapido e deciso, una speziatura ricca e una caratteristica tenacità che le vale appunto il nome, anche se molti preferiscono il termine “rigatino”. Si ricava del ventre del maiale. La pancetta stesa ha forma quadrata, è aromatizzata con aglio e semi di finocchio, e viene appunto stagionata senza arrotolare. Per produrre la pancetta stesa stagionata, la parte della pancia, con relativa cotenna, viene rifilata, salata, aromatizzata e stagionata per 20-30 giorni in un ambiente fresco e ventilato: si otterrà una pancetta con aroma dolce, grande morbidezza e delicatezza grazie alla giusta venatura di grasso nobile e bianchissimo. Tagliata a cubetti viene impiegata nella preparazione di frittate e salsa per condire la pasta. La pancetta arrotolata risulta morbida e dal gusto saporito, ma non troppo pronunciato grazie al confezionamento, che porta la parte grassa all’esterno. La parte magra è minoritaria, permettendone così un agevole utilizzo in preparazioni culinarie. Viene impiegata per la confezione di ripieni o per avvolgere carni magre - come la selvaggina - prima della cottura. La stagionatura è sempre breve, perché la pancetta si mantenga morbida: una prolungata attesa rischia infatti di farla divenire, oltre che troppo dura, eccessivamente salata. Vino da abbinare: provate uno spumante, anche toscano, meglio se di uva Sangiovese.

Un'idea per un piatto

Ciaccia con i friccioli (focaccia con cubetti di pancetta)

Ingredienti: pasta per il pane 500 gr, pancetta 400 gr, 5 cucchiai di olio extravergine, pepe. Si fa struggere, ovvero rosolare a fuoco lento, la pancetta tagliata a pezzettini, poi si lascia raffreddare per bene e quinsi si mette in una ciotola insieme alla farina e a un po’ di pepe, e si procede come nella preparazione della pasta e del pane. Una volta ottenuto l’impasto ben omogeneo, si forma un panetto, si avvolge in un tovagliolo e si lascia lievitare per almeno un’ora. Un consiglio: una volta lievitato l’impasto, meglio formare una bella pagnotta con al centro un taglio in modo che durante la cottura prenda la forma della “doppia pagnotta”. Quando è pronto, si mette in forno per almeno un ora a 180°.

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CHIORPETTO di Capezzano Monte

Il chiorpetto è un salame di forma smilza e grana finissima, lavorato come richiede un’antica e tipica ricetta versiliese da una sola azienda, il salumificio del signor Marco Lanè (nella foto), che si trova a Capezzano Monte, delizioso paese a balcone su una collina ammantata di olivi e di boschi che sovrasta Pietrasanta. Deve il suo nome a una storia di scaramucce tra pievi della zona per una storia di campane. Si prepara con le parti più pregiate del prosciutto di maiale, cioè il culatello e una piccola percentuale di pancetta: a queste si aggiungono solo sale, pepe e aglio. Tutto viene marinato due giorni nel vino rosso ed insaccato in budello naturale di maiale. Il sapore e il profumo finale sono estremamente delicati. Un vino da abbinare: il Canaiolo delle colline tra Massa e Sarzana.

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FINOCCHIONA

È sicuramente il più toscano tra i salumi tipici, ed è così chiamato per i semi di finocchio aggiunti all’impasto di puro suino che ne risulta piacevolmente insaporito: già nel Medioevo, del resto, i semi di finocchio erano utilizzati nella conservazione della carne con lo scopo di nasconderne l’eventuale degenerazione. La carne grassa, costituita dal guanciale e dalla pancia viene tritata finemente insieme a quella magra (della spalla), quindi miscelata con vino rosso, sale, pepe ed erbe aromatiche, infine insaccata in budello cieco di manzo, spesso di notevoli dimensioni. Durante la stagionatura, che dura pochi mesi, sul budello si sviluppano muffe, facilmente asportabili. Nella campagna fiorentina la finocchiona viene anche chiamata “sbriciolona” poiché, grazie a una diversa composizione dell’impasto, risulta estremamente morbida, tanto da sbriciolarsi al taglio, che deve essere eseguito rigorosamente a mano: e la fetta, in questo caso, dovrà essere alta circa mezzo centimetro. Greve in Chianti e Impruneta, ma anche Campi Bisenzio e Bivigliano, amena località di mezza montagna tra Firenze e Vaglia, se ne contendono la paternità, mentre sicuramente una sbriciolona superba è quella che si mangia alla bottega del

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salumificio di Scarpaccia, nel comune di Pratovecchio, scendendo dal Passo della Consuma verso il Casentino. A Pratolino, la macelleria Rosi riprende la tradizione della famiglia Messeri: di finocchiona proposta nella trattoria della signora Giulia (Messeri), a Bivigliano, si parla fin dal 1841. E questa famiglia di norcini e macellai l’avrebbe inventata per riutilizzare le parti di grasso “scaldata” da temperature più alte, e guastate, rese inutilizzabili per la lavorazione del salame, in una miscela con carne e semi di finocchio selvatico, pianta che si trova dovunque. Esiste una variante versiliese della “sbriciolona” conosciuta come mortadella di Camaiore. Ha la tipica forma del salame, colore scuro, consistenza morbida, sapore e odore molto speziati.Per la preparazione vengono utilizzate le rifilature del prosciutto, della coppa e la carne magra della spalla del suino a cui si aggiungono aromi e spezie (fra cui sale, pepe, semi di finocchio, cannella e chiodi di garofano). La carne viene macinata insieme a pezzi di grasso duro, impastata a mano e insaccata in budello naturale con una legatura stretta. Il prodotto viene lasciato maturare per circa una settimana in un ambiente areato e poi posto a stagionare in luogo adatto per un periodo variabile in funzione del peso della mortadella. Si produce tutto l’anno. Il prodotto deve la sua tradizionalità alle materie prime utilizzate nella produzione, alla particolare tecnica di lavorazione, alle caratteristiche qualitative e alla particolarità del gusto. Vini da abbinare: bianchi di buona personalità (chardonnay ben strutturati, trebbiani toscani ben lavorati) o rossi giovani (Chianti Montespertoli).

Un'idea per un piatto

Finocchiona con polenta (suggerita da Leonardo Romanelli)

Ingredienti per 6 persone: 300 gr di farina di mais, 1 litro di acqua, 6 fette spesse di finocchiona, 6 foglie di verza, 600 gr di passata di pomodoro, due mazzetti di basilico, due spicchi di aglio schiacciati Versare la farina di mais nell’acqua bollente salata, girarla con un mestolo quindi farla cuocere a calore moderato per un’ora. Avvolgere la finocchiona, tagliata a fette spesse, nelle foglie di verza, legarla strettamente e farla sobbollire per almeno trenta minuti nella passata di pomodoro, aromatizzata con il basilico e l’aglio. Togliere lo spago e servire la finocchiona cosparsa della salsa, accompagnata dalla polenta

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GUANCIALE

Proviene, come dice il nome, dalla guancia del maiale che viene salata e stagionata. Prodotto usato fin dai tempi antichi come condimento, oggi è stato riscoperto come uno dei salumi più delicati ed aromatici. Dopo aver rifilato la guancia del maiale, questa viene posta sotto sale per pochi giorni con pepe, aglio e vari aromi naturali che gli conferiscono quel gradevole profumo. Dopodiché viene messa a stagionare per circa 30-40 giorni. Vino da abbinare: bollicine o rosé.

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LARDO DI COLONNATA Un prodotto dimenticato - in passato era considerato un semplice condimento o il companatico “povero” per i lavoratori delle cave, tanto che per il grande apporto nutritivo non di rado era chiamato “la forza dei cavatori” - ed oggi riscoperto e rivalutato come uno dei salumi più buoni e delicati derivanti dalla lavorazione delle carni suine. È un salume tipico, che ha ottenuto dall’Europa il riconoscimento della Igp, nasce nella valle intorno all’omonimno paesino delle Apuane, frazione del comune di Carrara. Il lardo si ottiene prendendo lo strato grasso della schiena del

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maiale e lo si taglia in corrispondenza della pancetta e si ripulisce della parte più grassa, detta sugnosa. Queste grandi fette vengono accuratamente rifilate e lavorate in un modo particolare, frutto di antica tradizione e di secolare esperienza. Si pongono in una vasca scavata in un blocco di marmo (conca) poche ore dopo la macellazione, senza alcuna sosta in frigorifero: prima le conche sono vigorosamente strofinate con aglio e aromi (la caratteristica “camicia”), quindi si adagia il primo pezzo di lardo sul fondo, su uno strato di sale marino naturale


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Un'idea per un piatto

Bruschetta con lardo e mazzancolle Ingredienti: 4 fette di pane toscano raffermo; 4 fette di lardo di Colonnata; 4 mazzancolle, olio extravergine di oliva, sale e pepe. Bollite le mazzancolle per pochi minuti in acqua salata e sgusciatele. Abbrustolite il pane e conditelo con del sale e un filo d’olio d’oliva. Adagiate sulle bruschette le fette di lardo e poi le mazzancolle.

in grani, pepe nero appena macinato, aglio fresco sbucciato, rosmarino, e salvia spezzettati. La conca viene poi riempita a strati, alternando sempre il lardo al sale ed agli aromi, e chiusa con una lastra di marmo. Il lardo rimane così nella conca per almeno sei mesi per l’indispensabile stagionatura. Al termine, il lardo esce asciugato dal sale, profumato ed insaporito dagli aromi. Privato della cotenna viene tagliato a fette sottili e servito come antipasto, o contorno a determinati piatti. Il marmo estratto dalle cave locali esi presta particolarmente a tale funzione poiché

ha delle caratteristiche particolari di traspirazione e impermeabilità e soprattutto è ricco di carbonato di calcio. La denominazione “Lardo di Colonnata” si può individuare nella località di Colonnata, ma soprattutto in un metodo di stagionatura che è quello delle conche di marmo che ha le caratteristiche ottimali per tale uso. Il sistema di lavorazione è quindi quello di centinaia di anni fa e ha mantenuto la tradizione e le ricette originali. Un vino da abbinare: spumanti di grande personalità; champagne.

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Presidio Slow Food

Mallegato

A San Miniato resiste la tradizione del sanguinaccio, quello fatto senza carne suina (a parte un poco di lardo). Il mallegato è un... parente del buristo e del biroldo. La versione classica prevede di insaccare il sangue crudo e di condirlo con lardello suino tagliato in cubetti (i dadi di grasso possono essere saltati nel vinsanto o nel vino bianco) lardelli, sale, noce moscata, cannella, pinoli e uva passa. Una volta semipieno il budello è legato un poco “lasco” (da qui il nome: legato male) – altrimenti durante la cottura scoppierebbe – e poi finisce nel pentolone a bollire sino a che la temperatura al cuore dell’insaccato raggiunge i 90°C circa e il sanguinaccio raggiunge la consistenza giusta. Si presenta scuro, quasi nero, e il gusto non è facile: aromatico per le spezie e dolce per il sangue. Un tempo era considerato il modo più semplice ed economico per assumere ferro e proteine e a San Miniato, un tempo, quando i macellai tiravano fuori dalla pentola il mallegato appena fatto, un banditore passava per la città gridando «c’è il buricco, c’è il buricco!», uno dei tanti nomi del sanguinaccio, e la gente accorreva a comprare. Vino consigliato: bianco delle Colline Pisane.

Un'idea per un piatto

Oggi il mallegato si mangia per sfizio: meglio se freddo, tagliato a fette piuttosto spesse, anche due centimetri, infarinato e fritto in padella, accompagnato da legumi o da qualche erba amarognola che contrasta il dolce del sangue e dell’uvetta. Tagliato a fettine più sottili è ottimo con un uovo sbattuto sopra. Un accostamento nuovo, ma particolarmente riuscito, è quello con le cipolle di Certaldo cotte sotto la cenere.

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Presidio Slow Food

MORTADELLA DI PRATO

Antico salume cotto toscano, prodotto da prima degli anni ‘50 a Prato e dintorni, è un particolare salume fatto con le carni del maiale rimaste dopo la selezione per ottenere la finocchiona e veniva prodotto anche per recuperare le carni di seconda scelta.L’accentuata speziatura, con l’aggiunta di alkermes, rende la mortadella molto saporita e profumata. La ricetta moderna è stata rielaborata in anni recenti ed alleggerita di spezie ed aromi per ottenere un prodotto più delicato. La scelta delle carni magre, ottenute dalle spalle e dalle rifilature dei prosciutti, viene effettuata avendo particolare cura nel togliere nervo e grasso; il dado di grasso proviene dalle guance e dai lardoni. Le carni scelte vengono messe a freddare e poi macinate, speziate ed insaccate. Le mortadelle vengono successivamente riposte in stanze di stufatura per circa 6 giorni, per essere poi cotte a vapore per circa 12 ore fino a raggiungere una giusta cottura al “cuore”. Vino consigliato: Barco Reale Carmignano doc servito fresco.

Un'idea per un piatto

Mousse alla mortadella

(suggerita da Aurelia Bartoletti) Ingredienti: 300 g di Mortadella di Prato, 150 g di ricotta di pecora, 6 cucchiai di panna fresca, sale e pepe, pistacchi di Bronte Si mette la ricotta in un colino, perché perda tutto il siero, finché non sarà perfettamente asciutta. Si trita nel mixer la mortadella di Prato, poi si mette in una ciotola, dove si aggiungeranno la ricotta setacciata e la panna. Si mescola fino a far amalgamare tutti gli ingredienti, si aggiusta di sale e di pepe, ma senza esagerare: la mortadella è abbastanza saporita di suo. Questa mousse andrà sistemata in un “cestino” di pasta brisée, che si trova anche già pronta.

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MONDIOLA DELLA GARFAGNANA Grazie alla forma caratteristica, la mondiola della Garfagnana è facilmente riconoscibile. Il suo originale aspetto viene realizzato dai norcini mediante la legatura tra loro delle due estremità del budello, in modo da formare una “U”, con una foglia d’alloro incastrata in mezzo. Questo insaccato è il salume più noto della Garfagnana; viene prodotto lungo la valle del fiume Serchio (ed anche in Lunigiana dove viene chiamato Morta-

della). Nel procedimento di lavorazione della mondiola viene impiegata esclusivamente carne di suino, da maiali allevati allo stato semibrado e macellati non prima dei due anni, senza l’utilizzo di alcun additivo. La grana, di media dimensione, più grossa di quella tipica del salame, è formata per la parte magra dalla coscia e dalla spalla; dal guanciale, dalla groppa o dalla pancetta per quella grassa. L’impasto viene condito con sale, pepe e

spezie in quantità differenti secondo la zona di produzione e poi viene insaccato in budelli naturali di grosse dimensioni e quindi stagiona per un mese e mezzo; un tempo veniva fatta asciugare sui grandi camini delle case contadine. Ha un colore generalmente chiaro, rosato, e morbida consistenza dell’impasto che tende talvolta a sfaldarsi. Il profumo ed il sapore sono molto speziati. Un vino consigliato: Colli di Luni rosso doc.

Un'idea per un piatto

Questo insaccato, relativamente magro, è un protagonista in Garfagnana degli antipasti a base di affettati, ma si può consumare anche bollito con il contorno di patate.

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PRosciutto Dopo quello sulla finocchiona, il capitolo che parla del prosciutto è uno dei più fascinosi, ricchi di storia, di gusto e di memoria di cultura materiale nel “dizionario” dei salumi toscani. Perché l’arte della norcineria è antica in Toscana quanto l’allevamento, un mestiere antico: il porcellino di Cinta senese effigiato nell’affresco senese del Lorenzetti, i tanti maialini con la “cinta” raffigurati ai piedi di Sant’Antonio parlano appunto di tempi lontani, di attitudini tramandate di generazione in generazione. E nel prosciutto toscano di oggi sono raccolte antichissime esperienze degli Etruschi, popolo amante della bella vita e della tavola. Quando circa 2.800 anni fa i loro progenitori, fuggiti per una grande carestia dalla Lidia (antica regione dell’Asia Minore), arrivarono nell’Italia

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Centrale, terra ricca di maiali selvatici, poterono conservare le carni - e soprattutto la coscia - con la salagione e l’invenzione del prosciutto. Certo, il prosciutto che si mangia oggi non ha più, forse, le caratteristiche e i sapori che piacevano tanto ai nostri nonni: proprio come per il vino, i gusti affermati dopo la maggiore diffusione dei prodotti alimentari grazie alla diffusione capillare della grande distribuzione hanno in qualche modo alterato anche il senso della “territorialità”. Parlare di prosciutto oggi, significa riferirsi alle fette più carnose, fresche e dolci dei cosci emiliani o, tra i gourmet “di nicchia”, del San Daniele, se non dei grandi prodotti spagnoli, primi tra tutti i “gioielli” del “campione del mondo” Joselito Gomez da Salamanca.


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Difficile dunque – ma non impossibile! – trovare ancora quei prosciutti asciutti, tirati e salati che facevano coppia perfetta con il pane raffermo – e sciocco – e i vinelli dei contadini. Anche il prosciutto toscano ha “ammorbidito” in qualche modo il sapore, pur mantenendo caratteri riconoscibili, se non altro attraverso la speziatura, i processi di lavorazione e soprattutto la definizione dell’area da cui devono provenire le cose. Nacque così nel 1996 grazie all’Europa il Prosciutto Toscano Dop, oggi prodotto da un consorzio che conta 22 soci e raggiunge la lavorazione di 350mila cosce di maiali di almeno nove mesi di età e un peso tra 144 e 176 chili. Il tradizionale processo produttivo del Prosciutto Toscano Dop prevede, dopo la selezione e

la rifilatura delle cosce, la salatura a secco con l’impiego di sale marino, pepe ed altre essenze tipiche del territorio d’origine. La salatura - che dura circa tre, quattro settimane - è seguita dalla pre-stagionatura, durante la quale il prosciutto ad una progressiva disidratazione e lenta e graduale maturazione della carne. Dopo circa sei mesi dall’inizio della lavorazione, tutti i prosciutti passano alla fase di sugnatura (impasto di grasso di suino macinato con l’aggiunta di farina di grano o riso, sale e pepe). Da questo momento inizia la fase di stagionatura di almeno 10 mesi - in apposite sale a microclima controllato, dove i prosciutti svilupperanno tutti quegli aromi e sapori particolari che contraddistinguono il Prosciutto Toscano Dop grazie all’uso di sale marino e aromi tipici del territorio toscano: alloro, bacche di ginepro, aglio, pepe. Al taglio il prosciutto si mostra di colore rosso-rosato, di consistenza compatta, dal profumo intenso e sapore piccante, valorizzato con un taglio delle fette piuttosto spesso. Abbinamento consigliabile: Vernaccia di San Gimignano; in alternativa: vini rossi giovani del Chianti e di Montepulciano. Per i palati più raffinati: champagne rosé.

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nella foto: Simone Fracassi

Presidio Slow Food

PROSCIUTTO DEL CASENTINO La conca dell’alto corso dell’Arno era un tempo terra di boscaioli e pastori. Vi pascolavano, bradi o semibradi, anche rustici maiali dal manto scuro, probabilmente della cappuccia di Anghiari, una delle tre razze locali (le altre erano la casentinese e la rossa del Casentino) allevate per la produzione di prosciutti crudi pregiati. In un testo storico dell’Ottocento si citano prosciutti pregiati che erano spediti perfino in Germania e in Inghilterra. Rispetto al Toscano Dop, la ricetta tradizionale prevede una doppia salatura delle cosce, e l’uso – facoltativo – di peperoncino e noce moscata nell’impasto per la salagione; durante la maturazione, poi, an-

cora la tradizione voleva il prosciutto appeso nelle cucine al calore del camino: per questo è consentito anche un leggero gusto di fumo naturale (ottenuto con legna di querce, faggio e, in misura minore, ginepro). La stagionatura deve durare almeno 12 mesi. La forma del prosciutto del Casentino è tondeggiante, leggermente allungata e tendente al piatto. Al taglio, la fetta è di un bel colore rosso vivo con una buona percentuale di grasso candido. Il profumo è intenso e penetrante e il gusto delicato, a volte con note finali di affumicato. Informazioni su allevatori e produttori in http://www.cm-casentino.toscana.it.

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PROSCIUTTO PENITENTE ALLE CASTAGNE Tipico di Gombitelli, paese dell’Alta Versilia inerpicato ai piedi dei primi contrafforto delle Apuane, che nascono proprio lì sopra, con il monte Prana, o Prano. Il metodo di lavorazione è molto antico. Secondo documenti datati 1797, i prosciutti meno pregiati che non avevano una salagione adeguata, venivano messi nei “metati”, le tipiche costruzioni usate per essiccare le castagne. Qui, il prosciutto acquisiva un sapore dolce e gli aromi delle castagne. Il prosciutto penitente era quello che non prendeva sale e che veniva messo “in penitenza” in un ambiente chiuso che conteneva farina di castagne, assumendo profumi caratteristici. Oggi si è ripresa questa tradizione trattando con farina di castagne i prosciutti prima della stagionatura. Insomma un “prosciutto dolce” del quale sono maestri i componenti della famiglia Triglia (nella foto), nel borgo versiliese di Gombitelli, dove il primo aprile si festeggia assaggiando i “Penitenti” al termine della stagionatura.

Un'idea per un piatto

Insalata di rose di Toscana Ingredienti per 4 persone: 400 gr. di radicchi misti di stagione, 300 gr. di ricotta fresca, 8 fette di prosciutto toscano media grandezza, 30 gr. di timo, 30 gr. di maggiorana, 3 cucchiai di olio extra vergine, 2 cucchiai di succo di limone, pepe nero e sale q.b. Creare in un piatto da portata una base di radicchi misti, sistemando al centro della ricotta montata con erbette fresche, timo, maggiorana e pepe nero. Guarnire con rose di prosciutto e condire con vinaigrette. Servire con crostoni di pane toscano tostati.

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SALAME Si caratterizza per il gusto sapido, molto aromatico, e per l’aspetto, con il grasso triturato piuttosto grossolanamente. È un insaccato stagionato di carne suina e spezie, di consistenza compatta, colore rosso scuro, profumo e sapore molto intensi. Le pezzature vanno dai 500 gr ai 2 kg. La tradizionalità del prodotto è legata al metodo di lavorazione, molto antico e rimasto pressoché immutato. Assai tipico è il trattamento con il grasso per i salami più grandi durante la stagionatura. Come si prepara: le parti magre del maiale (prosciutto, spalla, collo) vengono tritate finemente e unite al grasso ricavato dalla regione dorsale tagliato a cubetti. Si impasta il tutto con aromi (sale, pepe in grani, vino rosso, aglio e zucchero) e

si insacca in budello di maiale o di manzo. La stagionatura dura dai 20 giorni ai 12 mesi a seconda delle dimensioni del salame. Dopo il quarto mese gli insaccati più grossi vengono trattati esternamente con grasso semilavorato che ne consente una stagionatura più lunga, con conseguente intensificazione del sapore. Si produce tutto l’anno. L’eventuale formazione di lievi muffe nella parte esterna è indice di genuinità; è sufficiente asportarle tramite spazzolatura manuale. Nei prodotti artigianali, dopo qualche mese il colore tende al brunastro. Nel bicchiere: un vino rosso, giovane, con buona acidità e freschezza e che possibilmente non abbia mai soggiornato in legno.

Un'idea per un piatto

Se il suo impiego in cucina è piuttosto atipico, a causa del gusto sapido, insieme ai legumi riesce a stemperare in parte la carica aromatica. Oltre che essere consumato al naturale, insieme a del pane o della focaccia, magari in un ricco “tagliere” con altri affettati – prosciutto, finocchiona, buristo, lardo – e con i tradizionali crostini neri, viene anche unito in alcune preparazioni alla frutta, come nel caso dell’antipasto estivo, composto da salame e fichi.

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Salsiccia

In Toscana si chiama anche “salciccia” o, nelle forme più arcaiche di vernacolo, “sarciccia”. È un salume di antichissima tradizione, che nel corso dei secoli si è evoluto in diverse varietà, fino a costituire una vera e propria famiglia, con specialità per ogni regione. Per confezionarla si impiegano parti grasse e magre del maiale, che vengono macinate lungamente assieme, quindi insaporite con droghe, sale e pepe, infine inserite in budello naturale. Si procede quindi alla confezionatura e alla legatura, che varia a seconda del tipo di salsiccia. Per la classica salsiccia toscana vengono utilizzate carni di varie parti del maiale come spalla e prosciutto. La carne viene selezionata, quindi impastata con aromi naturali quali salvia e rosmarino, e poi insaccata. La salsiccia toscana può essere consumata fresca oppure stagionata (circa un mese). Viene sempre bucata prima della cottura, per evitare che la pelle scoppi. Vino da abbinare: Chianti Rufina riserva; Chianti Classico.

Un'idea per un piatto

Il tipo di macinatura della salsiccia è tale da consentirne il consumo in modi diversi: cruda spalmata sul pane, tagliata nel mezzo o intera e posta sulla griglia tradizionale, in umido con fagioli, salvia aglio e pomodoro, con i rapini o per preparare sughi per ottimi primi. Conservandola in un luogo fresco e asciutto, può essere anche stagionata e mangiata a fettine.

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Sanbudello (o Sambudello, detto anche Ammazzafegato) Il sanbudello è una salsiccia piccola e rotonda, lunga al massimo 15 cm. Ha consistenza abbastanza morbida, colore rosso scuro, sapore piccante e odore molto intenso. Il polmone, il cuore, la trippa e altre parti del maiale vengono lessate insieme al sangue. Una volta raffreddata, la carne viene tritata, impastata con aromi e poi insaccata nel budello. La stagionatura ha luogo in apposite celle. Questo tipico salume aretino deve il suo aspetto e il suo sapore particolari agli ingredienti utilizzati e alle tecniche di lavorazione. Nella pro-

vincia di Arezzo ci sono circa trenta produttori di sanbudello, sparsi nei comuni di Stia, Pratovecchio, Montemignaio, Castel San Niccolò, Poppi, Chiusi della Verna, Bibbiena, Ortignano Raggiolo, Castel Focognano, Capolona. La produzione è stagionale (da settembre-ottobre ad aprile) e si aggira sui 90 quintali annui. Il sanbudello è destinato prevalentemente alla vendita diretta: solo una piccola percentuale viene venduta a negozi locali di prodotti tipici. Un vino consigliato: Nobile di Montepulciano.

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SOPRASSATA (o Capofreddo, o Capaccia) Ecco un’altra “regina” del gusto tradizionale: in Toscana si chiama appunto “soprassata”, anche se il nome corretto dovrebbe essere “soppressata” (a indicare chiaramente il tipo di lavorazione per realizzarla), ma i più anziani o i più legati agli usi locali continueranno a chiamarla “capofreddo” o “capaccia”. Come nel caso di altri salumi, gli ingredienti sono i meno nobili estratti dal maiale, e chi ha lo stomaco delicato farà bene a evitare di leggerne l’elenco: coda, lingua, testa (la “capaccia”, privata delle setole) senza occhi e cervello, cotenne e parti cartilaginose, tenute insieme grazie ad una sapiente cottura in acqua. A cottura ultimata si smi-

nuzza la carne e si amalgama con sale, pepe, spezie, aglio, rosmarino tritato, scorza di limone o arancio. Il tutto si insacca in un contenitore circolare di fibra di juta; si lascia raffreddare per poi servirla affettata. Il colore varia dal rosa intenso al grigio, a seconda degli ingredienti utilizzati. Uno dei trucchi per riconoscere quella artigianale è guardarne il colore: in quella industriale sono aggiunti dei conservanti ed additivi che fanno rimanere il colore bello rosato anche dopo giorni che la soprassata è stata prodotta. Quella artigianale ha un colorito grigiastro, ma ha un profumo e un’aroma che non ha uguali. Nel bicchiere: Chianti Rufina Riserva; Maremma rosso Igt.

Un’idea per un piatto

Apprezzata quale ripieno di schiacciate e panini, in cucina ha un impiego vario. Nel periodo primaverile è senz’altro da provare l’insalata di soprassata, dove verdure crude, quali finocchi, carote o sedano, formano un gradevole accompagnamento a fette sottili di questo salume.

Insalata calda di fagioli e soprassata

(alla maniera del ristorante Pane e Vino di piazza Cestello - Firenze) Ingredienti: 2 etti di fagioli toscani: cannellini, zolfini, coco nano, 2 etti di soprassata, 1 indivia belga, olio extravergine q.b., aceto balsamico q.b. e sale e pepe. Ammollare i fagioli la sera prima. Cuocere a fuoco basso con due spicchi d’aglio e qualche foglia di salvia, 2 cucchiai d’olio e qualche grano di pepe. Tagliare la soprassata a cubetti e metterla in padella per scioglierla leggermente, unire i fagioli e condire sulla fiamma. Tagliarel’indivia a julienne spessa e metterla nel piatto con sopra una cucchiaiata di fagioli e soprassata.

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Tarese del Valdarno Nel Valdarno, area compresa tra le province di Arezzo e Firenze, la produzione di questa “pancetta” dalle dimensioni inusuali ha origini antiche e riconducibili alla necessità di recuperare ogni parte del maiale adulto: quando non esisteva la refrigerazione, la salatura era l’unico metodo per la conservazione delle carni. Per produrre questa enorme pancetta si utilizzano la schiena e la pancia, con la presenza pregiata di parte dell’arista. La lavorazione prevede che la parte centrale sia disossata e rifilata dal grasso in eccesso. Il pezzo è poi strofinato con una prima mistura di pepe, aglio rosso macinato grossolanamente, ginepro e altre spezie toscane – c’è chi usa anche la scorza dell’arancia – e, infine, messo sotto sale grosso. Dopo la salatura, che dura circa 10 giorni, la tarese è lavata, fatta asciugare, nuovamente massaggiata con aglio e spezie, e avviata quindi alla stagionatura per un periodo variabile dai 60 ai 90 giorni. La

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tarese del Valdarno si caratterizza per un sapore pronunciato e persistente, ma, allo stesso tempo, più fine e delicato rispetto ad altri salumi di simile fattura. Il grasso dell’arista dona morbidezza e pastosità mentre il profumo è aromatico anche in virtù delle spezie di cui è ricoperta. Un vino da abbinamento: Chianti Colli Aretini.

Un’idea per un piatto

Tarese alla griglia con fagioli Nel passato era abitudine gustarla, non troppo stagionata, passata per qualche minuto sulla griglia, con un contorno di teneri radicchi invernali che ne esaltano il sapore, o con i fagioli coco e zolfino.



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Tizzone di Giustagnana La produzione del Tizzone di Giustagnana, una ridente località a balcone dalla cima di una collina nel comune di Seravezza, in Alta Versilia, risale al 1800 e proviene, quindi, da un’antica tradizione. Questo salume ha un sapore molto particolare, conferito dal tipo di stagionatura sotto cenere per settimane e si presenta con un colore scuro all’esterno. Viene commercializzato in due pezzature, una a forma allungata e una a forma rotondeggiante, ed è disponibile tutto l’anno. Il Tizzone di Giustagnana viene prodotto macinando insieme parti grasse e magre del suino di razza Landrace e poi, amalgamate a mano, vengono aggiunte le spezie. Una volta insaccato, il Tizzone di Giustagnana viene fatto asciugare per un periodo variabile e che dipende dalla pezzatura: da 2 settimane a 3 mesi;

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trascorso questo periodo, viene messo sotto cenere e lasciato stagionare per un altro periodo che va da 1 a 4 mesi, sempre a seconda della pezzatura. La cenere utilizzata in questa fase deriva dalla combustione di legnami vari, quali ad esempio castagno e olivo, con l’aggiunta di aghi di pino. Trascorso anche questo periodo di stagionatura, il Tizzone di Giustagnana viene estratto dalla cenere e lasciato all’aria un massimo di 5 giorni, al termine dei quali viene commercializzato. Il passaggio sotto la cenere, oltre ad accrescere la conservabilità del prodotto, lo arricchisce di aromi. Per acquistarlo, l’indirizzo giusto è l’Azienda agricola Lorenzoni (via Lorenzoni 108, tel. 335.8381961). Nel bicchiere: Montecarlo rosso, vini del Monte di Ripa.


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Il Chianti sfida la Spagna

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anno forte i salami, anche quelli tipicamente toscani come la finocchiona, seguiti dalla meno nobile soprassata. Decisamente fuori dal giro, invece, il buristo insaccato troppo difficile da spiegare e dal gusto fin troppo deciso. Da oltre 300 anni i salumi chiantigiani hanno il nome della famiglia Falorni di Greve in Chianti, otto generazioni di macellai, un forte legame con le tradizioni. Ed è proprio Stefano Bencistà Falorni (nella foto al centro), 64 anni, 53 passati in macelleria («ho iniziato a lavorare con il babbo quando facevo l’Avviamento, ma respiro odore di insaccati fin dalla nascita») a parlare del mondo dei salumi oggi. Partiamo dal quadro generale: come vanno le vendite? “Il mondo è cambiato. Le vendite sono calate e

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sono calati i consumi, specie quelli di carne. In negozio si vende poca carne nonostante la nostra sia tutta certificata di filiera toscana e italiana. -C’è un problema di potere d’acquisto? “Certo. Ora poi che aumentano le tasse, di sicuro la gente continuerà a comprare meno. Si vede in negozio, la media è più bassa”. - Anche per i salumi l’export riesce a tenere a galla il settore? “Per fortuna i nostri tanti clienti all’estero ci salvano. Siamo presenti nei negozi di tutta Europa. Se fosse per l’Italia i posti di lavoro dei nostri 50 collaboratori sarebbero a rischio”. -Quali sono i mercati esteri di riferimento? “Vendiamo tanto in Svezia, in Germania, in Svizzera. Vanno pazzi per la finocchiona e il salame.


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Va molto forte anche il salamino di cinghiale”. -Ma una produzione artigianale come fa a reggere le esportazioni, a contenere la concorrenza? “Il nostro marchio è sempre più credibile in tutto il mondo. Siamo rimasti tra i pochi in Europa a fare salumi senza additivi. I nostri prodotti li possono mangiare anche i celiaci in quanto sono senza farine, anche lo stucco del prosciutto è con farina di riso, sono zuccheri e in budello naturale, legati a mano”. -Produzioni che premiano la qualità? “Abbiamo una particolare attenzione alla materia prima e poi abbiamo la lavorazione. Il non usare additivi inizia dalla macellazione. Ma qui mi fermo, altri potrebbero imparare”.

-I vostri sono prodotti di una volta, si direbbe. “I nostri sono prodotti naturali, come lo erano cento anni fa. Il salamino grevigiano è il solito da 300 anni”. -Ma si può stare sul mercato con un prodotto di trecento anni fa? “Da noi l’innovazione va di pari passo con la tradizione. I salumi, il prodotto finito, è lo stesso da sempre. Ma abbiamo le confezioni da due bustine da 30 grammi per regalo o assaggio. Abbiamo inventato le scatoline “spuntino” con sei salumi in confezioni da trenta grammi per assaggio. Oppure il tris di salumi monoporzione”. -Innovazione nel packaging, ma nella produzione? “Anche qui abbiamo fatto un passo indietro. Siamo tornato alla tradizione del maiale grigio. Nelle campagne toscane non c’erano i maiali bianchi, ma i “grigi”, incroci che hanno fatto l’economia dei contadini. Così sei anni fa ho comprato un large white in purezza e l’ho fatto incrociare con le mie scrofe di cinta senese. Oggi, dopo sei anni, e venti mesi di stagionatura, ho messo in vendita i primi prosciutti di grigio. Sono un prodotto unico, 48 in tutto”. -Però anche gli spagnoli dicono che il loro Patanegra è unico, il migliore “Il mio “grigio” è migliore del Patanegra. È vero che quello spagnolo non si fa altrove, ma quello nostro è meglio”. -Torniamo al mercato. Quali sono i prodotti che vanno per la maggiore? “Le nostre vendite sono prevalentemente di salame, finocchiona e cinghiale. La produzione di cinta che va bene da tutte le parti, in tutta Europa, non soltanto in Italia”. -Tutti vendono Cinta senese, non ce ne sarà troppa in giro? “Io so soltanto che per allevarla ci vuole tanto tempo, che cresce poco. Un po’ come la Chianina, ci vuole tempo per allevarla. Se tutti dicono di averla, ce l’avranno. Io guardo poco gli altri, sono attento al mio territorio, ai prodotti. Faccio quello che facevano il mio babbo o la mia nonna”.

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-Lei parla tanto di finocchiona e di salame ma poco di proscutto. Perché? “C’è una giungla attorno al prosciutto. Si trovano a 4 euro al chilo, quando costano così a me da freschi e poi devo lavorarli. I prosciutti disossati devono chiamarsi “coscia di maiale” ma tutti lo chiamano prosciutto. È una concorrenza sleale”. -Quindi sul prosciutto in giro c’è poca qualità, non si sa da dove arrivino le cosce? “Noi abbiamo una filiera tutta toscana, pensata per gli agriturismo che devono vendere prodotti toscani, e una filiera tutta italiana. Con i prezzi che ci sono in giro noi non ci stiamo. I prezzi bassi disorientano i consumatori”. -In Toscana c’è la Dop del prosciutto. Ma il disciplinare prevede che in Toscana sia fatta la salatura e la lavorazione… “Io so che ho la filiera tutta toscana ma non posso chiamarlo toscano, c’è la Dop. Lo devo chiamare prosciutto di Greve in Chianti. Mi fa piacere perché a Greve sono solo io a farlo, in Toscana siamo tanti”.

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-Che rapporto c’è tra i giovani e i salumi? “In bottega tanti giovani vengono a fare degustazioni. Chi assaggia finocchiona o salamino fa sempre grandi esclamazioni di piacere”. -Prodotti tradizionali, sì, ma non tutto ha mercato. “È vero, il buristo non lo facciamo più, si vendeva troppo poco. All’estero non va, contrariamente alla soprassata che ha mercato anche fuori dai confini, in Germania. Ne vendiamo a quintali tutte le settimane. Il buristo, purtroppo, si perde, si vende solo un po’ in Toscana”. -Ci vorrebbero delle azioni di promozione. “Il primo maggio faremo il Finocchiona Day. La finocchiona l’ha inventata la mia famiglia, e voglio proprio valorizzare e far conoscere meglio questo prodotto fatto con il finocchio selvatico. Poi dedicheremo un giorno alla soprassata”. Andrea Settefonti


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LA CURIOSITÀ Il classico antipasto toscano.

Per servire un antipasto toscano “evergreen”, non bisogna dimenticare anzitutto i tradizionali “crostini neri”, di fegatini: ma qui si entrerà in un dibattito acceso, perché ci sarà chi non rinuncia alla milza. Come ci sarà chi vorrà il sugo da crostini in forma di paté, quasi di mousse, chi invece lo preferirà come una sorta di ragù, con tutti i suoi pezzetti belli separati.

Non dovranno poi mancare:

• il salame • la finocchiona, meglio se sbriciolona • il prosciutto, se è toscano di tipo tradizionale • qualche fettina di lardo, o di pancetta, o di guanciale • qualche fettina di pecorino, di due tipi: uno fresco, l’altro più stagionato, ma non troppo • qualche bel carciofino sottolio, meglio se artigianale A piacere, poi, coccoli fritti con uno stracchino liquido

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Il porcellino con la “cintura”

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a prima “fotografia” gliela fece Ambrogio Lorenzetti nel 1338, e ancora si ammira nel Palazzo Comunale di Siena, in quel suggestivo affresco che va sotto il nome di “Effetti del buon governo”. Non c’è dubbio, è proprio lui, lo stesso che si trova effigiato tante volte a razzolare intorno al barbuto Sant’Antonio, come negli affreschi di fine Cinquecento nella Cappella di Casanova di Ama, a Gaiole in Chianti. E’ il porcellino con la cintura, il maialino di Cinta Senese. Una razza di origini antichissime ma ancora incerte, che oggi ha però una carta di identità importante firmata dall’Unione Europea: il riconoscimento del mar-

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chio Dop, Denominazione di origine protetta, come “Suino Cinto Toscano”. Una razza, la Cinta Senese, che soprattutto nella sua zona di origine ha conosciuto la maggiore diffusione. Le carni, i salumi ed il grasso di questo animale hanno dato un contributo notevole al miglioramento delle condizioni di vita in questa zona di Italia; infatti ritroviamo esemplari di Cinta Senese dipinti in un manuale di medicina risalente al XIV secolo: probabilmente i depositi adiposi erano preziosi oltre che per l’alimentazione, anche per la preparazione di unguenti e pomate. L’allevamento di questa razza suina ha superato,


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quasi indenne, molteplici vicende storico-culturali: dall’inizio dell’Evo Moderno, fino alla fine della mezzadria e anche nell’immediato secondo dopoguerra, le Cinte Senesi erano allevate regolarmente. A memoria d’uomo si ricorda sempre il leggendario “Verro Cinto” di proprietà dei Ricasoli di Brolio come il più ambito esemplare per le riproduzioni. Fino agli anni ’50 del Novecento, quasi tutte le famiglie contadine allevavano qualche maiale di Cinta per poi lavorane le carni e fare scorta di salumi: tra l’altro, la buona diffusione è dovuta anche alle caratteristiche di robustezza e di facile adattabilità all’allevamento allo stato brado. Negli anni ‘50, iniziò l’introduzione delle razze suine “Bianche” - con predominanza dei “Large

White”. Fu una grande rivoluzione, in quanto, quest’ultima razza, anche se non idonea all’allevamento brado, era più prolifica della Cinta, e l’animale era pronto per la macellazione dopo solo 6 mesi di vita, mentre lo sviluppo della Cinta richiede un periodo superiore ad un anno. Venne poi di moda l’incrocio tra verro Large White e scrofa di Cinta Senese, con la produzione di maiali detti “Grigi”. L’interesse per il ripristino in purezza della Cinta Senese è della fine degli anni ‘70. L’intervento dell’uomo, quindi nei secoli ha selezionato suini in grado di adattarsi bene all’ambiente toscano ed al tipo di allevamento naturale, condizioni che hanno facilitato il mantenimento di una inalterata tipologia di allevamento, con conseguenza diretta sulle tradizionali caratteristiche compositive, bromatologiche e qualitative delle carni che risultano caratterizzate da un maggiore contenuto di grasso intramuscolare, tipico della razza ma esaltato dal tipo di allevamento; inoltre il pascolamento influisce sulla composizione genetica rendendo la carne maggiormente idonea per il consumo fresco e soprattutto per i prodotti trasformati, in quanto tale fattore si traduce in una maggior capacità di ritenzione idrica e quindi minori cali di cottura dovuta alla perdita di acqua e minori perdite di salagione nella prima fase di stagionatura dei prodotti trasformati. Nella carne “Suino Cinto Toscano” risulta interessante anche la composizione degli acidi grassi insaturi, influenzata dall’alimentazione costituita dall’essenze tipiche dei boschi e dei pascoli toscani, in cui risulta una maggior quantità di acido oleico, precursore di aromi favorevoli alle caratteristiche

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organolettiche della carne, ed una minor percentuale di acido linoleico, che in quantità eccessive portano a scadimento della qualità del prodotto. L’interesse per il ripristino in purezza della Cinta Senese è di questi ultimi anni. Una serie di allevatori hanno deciso di partecipare alla reintroduzione di questa razza autoctona e quasi estinta. La Regione Toscana, La Provincia di Siena, L’Associazione degli Allevatori Senesi ed altri Enti preposti hanno fatto un notevole sforzo, incentivando anche con contributi, l’acquisto ed il mantenimento dei riproduttori, al fine di raggiungere un numero sufficiente di animali atto a togliere la Cinta Senese dalla lista delle specie in estinzione. La battaglia per salvaguardare la razza è tuttora in corso, ma le speranze di salvare questi splendidi animali migliorano ogni giorno. E ora, a metà marzo, è arrivata la Dop, “firmata da Dacian Ciolos, commissario europeo all’agricoltura. ‘’Si conclude così, felicemente - commenta l’assessore regionale all’agricoltura, Gianni Salvadori - il lungo percorso che ha portato al riconoscimento della Dop per questa razza di suini autoctoni della Toscana. Una razza particolarmente antica e famosa da sempre in Toscana, pregiata per la qualità organolettica e nutrizionale delle sue carni, che viene allevata al pascolo, ma che aveva rischiato seriamente l’estinzione. E’ stato proprio il lavoro congiunto degli allevatori, insieme alla Regione, alla provincia di Siena e a tutti gli enti preposti - conclude Salvadori - a permettere di nuovo la diffusione di questo suino e la valorizzazione dei prodotti derivati dalle sue carni. Ora il riconoscimento ufficiale della Dop corona questo lavoro’’. Ma come si riconosce la Cinta Senese? Si caratterizza per avere taglia media, con cute nera, setole nere poco folte, ed una caratteristica fascia bianco rosata (una sorta di cintura, per l’appunto) che cinge torace, spalle, garrese e arti anteriori. Il grifo si

presenta più allungato e stretto rispetto alle altre razze di maiali, un adattamento ad uno stile di vita più rustico; la coda con pennacchio di setole in fondo è quasi sempre portata senza ricciolatura. Le orecchie sono di piccola dimensione, dirette in avanti e un po’ in basso, a coprire gli occhi dai rovi e dalle sterpaglie.L’alimentazione è costituita prevalentemente di tuberi, radici e materiale organico del tappeto erboso, per trovare questi alimenti è attrezzato con un organo dell’olfatto molto sviluppato, ma nello stesso tempo anche adatto alla ricerca in zone melmose ed al rimescolamento della terra.

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i principali salumi di cinta Lonza di Cinta Senese Uno dei salumi più nobili per la sua morbidezza e delicatezza. Ricavata dal lombo del maiale, è stagionata dai due ai quattro mesi a seconda dell’uso. Più fresca è consigliabile consumarla come carpaccio condita con un filo d’olio, avanti con la stagionatura come semplice affettato. Lardo di Cinta alle erbe Ottenuto dalle spalle e dal dorso del suino di almeno 12-14 mesi di età. Si consiglia di consumarlo sul pane caldo affettato in maniera sottile. Ottimo per la preparazione di piatti di carne ma anche di pesce. Capocollo di Cinta Prodotto con la parte terminale del lombo del suino (il collo), viene messo a marinare nel vino Chianti per qualche giorno insieme a sale, pepe e spezie varie. Si presenta con parti magre alternate a strati di grasso morbido ed aromatico.

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Pancetta di Cinta Un prodotto molto semplice ma allo stesso tempo molto gustoso. E’ ricavata dallo strato adiposo del suino. In Toscana è conosciuta come “Rigatino”. Tagliata a cubetti viene usata per la preparazione di pasta all’amatriciana e carbonara. Guanciale di Cinta Proviene come dice il nome dalla guancia del maiale che viene salata e stagionata. E’ ottimo per lardellare arrosti e farcire carne e pesce.

Prosciutto di Cinta È sicuramente il prodotto che si distingue di più. Viene lavorato ancora come una volta e la stagionatura avviene all’aria senza l’ausilio delle celle condizionate come succede per le produzioni industriali.

Salame di Cinta Le caratteristiche organolettiche di questo salame sono la totale assenza di acidità e il gusto morbido e dolce. Vengono scelte carni di primissima qualità ricevate dalle spalle, scamerite e rifilature di prosciutto.

Spalla di Cinta Prodotta con la parte anteriore del suino è uno dei salumi più tipici. Più saporita del prosciutto viene servita principalmente come affettato magari accompagnata con fichi di stagione.

Finocchiona di Cinta La Finocchiona non ha il così detto “lardello”. Il grasso della finocchiona è ottenuto infatti dalle guance e dalla pancetta del suino che vengono macinate in modo più grossolano.



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cinta: una carne unica L’allevamento al pascolo, con la particolare alimentazione che ne deriva (a base soprattutto di ghiande, sia quelle dolci della quercia che quelle amare del leccio, ma anche di tuberi, radici e materiale organico del tappeto erboso), dà alle sue carni sapore e caratteristiche uniche: • ha positivi effetti sulla sapidità e sulla succulenza della carne: è più rossa e gustosa delle altre carni suine • le carni hanno migliori qualità dietetiche per la maggiore concentrazione di acidi grassi insaturi, in particolare della serie Omega 3 (i quali sono associati ad una diminuzione dei grassi nel sangue) e Omega 6 (i quali hanno una azione antitrombosi) • il suo lardo è più ricco di acido oleico (quello che, per capirsi, tiene lontano il colesterolo) e di acidi grassi polinsaturi rispetto a quello tradizionale • il grasso è meno consistente e più fluido, perciò molto più gradevole al palato • la sua migliore fluidità, dovuta ad una maggiore insaturazione, permette nei salumi che si ottengono, una più rapida diffusione degli aromi usati per la speziatura assicurando al prodotto ottime caratteristiche aromatiche.

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Quei vasetti ricchi di gusto

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arciofini, olive, pomodori, e poi paté di crostini neri,m e ancora di carciofi, e di olive, e chi più ne ha più ne metta. Un trionfo di sapori, per accompagnare salumi e carni, bolliti e arrosti, per realizzare antipasti o condire succulenti piatti di pasta e di riso. La linea di produzione è industrializzata, tutta automatica e supercontrollata. Ma le ricette sono quelle delle nonne. Anzi, alcune si rifanno addirittura ai tempi dei Medici, come le Olive di Caterina, l’Antipasto di Cosimo e i Carciofi di Lorenzo”. Ci tiene, Claudio Lombardi, pratese doc, sessant’anni dei quali più della metà pas-

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sati tra pile di vasetti, a sottolineare la qualità dei suoi prodotti. E la toscanità, se non altro delle ricette per le preparazioni: alla Lombardi srl di Montemurlo (la sede è in via Udine) questo aspetto è un “must”. -Ma come avete cominciato con questo settore, Lombardi? “L’azienda nasce nel 1976 come commercializzazione di prodotti conservati. Poi abbiamo acquistato una vecchia azienda, la Nanni Maria, che aveva linee di prodotti conservati, a livello artigianale. Uno standard che all’inizio era anche il nostro. Poi, grazie alla Superal di Aldo


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Grassi e all’ingresso su altri mercati, abbiamo fatto il salto: linee automatizzate, produzione industrializzata. E le macchine ci hanno consentito di mantenere costante un alto livello di qualità, con le certificazioni che ci servono a stare sui mercati”. -Su che cosa si basano le vostre verifiche di qualità? “Prima di tutto sulla scelta dei prodotti. Andiamo a visionare tutti gli ortaggi e la frutta nella zona di produzione: in Campania sotto il Vesuvio, dove nasce tanta roba bella, e in Puglia che è un bellissimo fornitore di olive, di pomodori, di sedani”. -In Toscana nulla? “Le olive ‘nostraline’, che noi mettiamo in salamoia. Un tempo si lavorava anche il carciofo della Val di Cornia: ora però i produttori preferiscono conferirlo alla Coop di Riotorto, per la vendita del fresco. Il conservato comporta

costi aggiuntivi che non si sono più sentiti di sostenere”. -E le ricette? “Quelle sono toscane, qui si sente la nostra toscanità, soprattutto nelle spezie. Ci mettiamo basi di origano, aglio e peperoncino, naturalmente, ma poi anche droghe più toscane come mentuccia, nepitella, dragoncello, insomma quelle che usavano le nonne. Certo, questi prodotti sono solo il 7-8 per cento del totale, sono prodotti un po’ di nicchia, più saporiti, che piacciono soprattutto nell’Italia Centrale, dall’Emilia Romagna al Lazio. Al Nord meno”. -Qualche esempio? “I carciofi alle erbette, fatti con una ricetta tradizionale, che risale ai Medici. Le ricette della linea A Tavola con i Medici per l’Unicoop: le Olive di Caterina, i Carciofi di Lorenzo, l’Antipasto di Cosimo...”. -Ma ci racconti qualcosa della linea di produzione. “Abbiamo 240 prodotti, divisi in 40 ‘famiglie’ secondo le tipologie e la pezzatura. Una linea

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che copre le esigenze di un’ampia gamma di clienti, dalla grande distribuzione al settore Ho.re.ca, insomma ristoranti e catering. Tra i nostri clienti, per fare due nomi, ci sono la Marr e Cremonini. Le dimensioni dell’azienda: due soci e 13 dipendenti, per una produttività di 40mila vasetti al giorno. Tutto automatizzato, pastorizzato, supergarantito”. -E l’olio? C’è spazio per l’extravergine? “Sì, ma solo per certi prodotti. In genere per la conservazione si usa l’olio di semi di girasole, per le conserve vegetali è il migliore in assoluto, ci permette di garantire i 36 mesi di durata e alla pastorizzazione non lascia odori né sapori, e non cambia colore”. -Quali sono i prodotti che vanno di più? “I carciofi, gli antipasti, i pomodori secchi, e quelli semisecchi lavorati direttamente dal fresco sul campo. Poi le olive, i peperoncini ripieni di tonno o di formaggio. E le olive nostrali Pikkantine, appena bagnate in olio extravergine di oliva leccino e pastorizzate”. -Quali sono i vostri mercati? “L’80 per cento in Italia tra grande distribuzione

e ho.re.ca, poi il 15 per cento in Europa (Francia, Germania, Polonia, Gran Bretagna, Repubbliche Baltiche e un paio di clienti in Russia), e il 5% tra Usa e Australia. Siamo presenti a tutte le principali fiere del settore, ma lavoriamo molto anche in promozione diretta, in workshop con Toscana Promozione e con l’Ice”. -Com’è andata nell’arco di questi anni? “Abbiamo registrato una crescita del 10-12 per cento dal 2003 in poi, e negli ultimi due anni abbiamo mantenuto i fatturati, all’incirca sui 5-5,5 milioni di euro. I prezzi sono normali, il prodotto punta a una fascia medio-alta, poi c’è la linea da discount ma con una ‘private label’ per non inquinare il nostro mercato”. -Ci dia qualche spunto gastronomico. “I sottoli sono splendidi con i salumi, naturalmente. Gli antipasti sono il regno dei preparati per bruschette e crostini. I pomodori si possono adoperare per preparare piatti: i semisecchi sono ottimi sugli spaghetti, si fa un soffritto e si saltano, e sulla pasta vanno benissimo i paté di olive e carciofi. E in primavera riparte la base per il riso freddo”.

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Vini buoni a poco prezzo?

Bag in Box, oppure on line

“I

n Toscana non è semplice trovare vini buoni a prezzo basso. Ma è anche vero che la qualità è molto alta, in media. E comunque lo shopping on line ha aperto la strada a soluzioni interessanti per le tasche di tutti”. Parola di Andrea Gori, fiorentino, oste, dei Gori proprietari di Burde, baluardo della fiorentinità a tavola. Sommelier, (campione toscano 2006, vicecampione d’Europa due anni dopo), ambasciatore dello Champagne per l’Italia, scrittore (“Divinando. Le stelle nel bicchiere” ha vinto il Bancarell’Vino nel 2011)e autore di testi didattici per l’Ais, blogger (vinodaburde.com, poi Dissapore e Intravino, i siti che hanno rivoluzionato il modo di parlare di cibo e vino in Rete), creatore di un piccolo ma interessante festival come God Save The Wine. Insomma, un esperto doc, a dispetto dei quaranta non ancora compiuti (anzi, neppure trentanove, ancora). E, per tutti, il “Sommelier informatico”: davvero un punto di vista privilegiato per un mondo in movimento come quello del vino. -Gori, ma davvero il vino in Toscana è caro? “Mah, ci sono talmente tanti prezzi che non direi... Però oggi tutto ciò che parla di Toscana può comunque spuntare qualcosa in più, e allora i produttori sono tentati di farlo pagare di più. E a

parità di qualità, ripeto, si riesce a farlo grazie al brand Toscana”. -Prezzi giustificati, secondo lei? “In massima parte sì, poi ci sono zone magari anche sopravvalutate; ma in genere il rapporto qualità-prezzo è buono. Sicuramente, dove bevi meglio non fai certo affari. Voglio dire, non abbiamo in Toscana vini come Valpolicella (tranne l’Amarone, ovvio), Soave bianco, il Ruché del Monferrato, il Dolcetto, il Roero, che sono buoni, e stanno nella fascia dei vini da tutti i giorni. In Toscana si riesce però a trovare dell’ottimo sfuso, e degli ottimi vini confezionati nel Bag in Box. Ma a cercare tra gli imbottigliati è più difficile strappare prezzi tra i 5 e gli 8 euro”. -Già, anche Oscar Farinetti, il creatore di Eataly, poco tempo fa è stato piuttosto ironico quando ha detto: certo, voi toscani, con tutti quegli ‘aia’...”. “In Toscana si sconta il fatto che la maggior parte del vino è doc o docg, il che significa già un costo burocratico-amministrativo maggiorato per il produttore. Il Morellino, da quando è passato da doc a docg, sarà anche più buono ma è aumentato in media di 0,50-1 euro a bottiglia tra costi delle lungaggini, dell’etichettatura e di tutto il resto. Poi

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è vero, in Toscana è entrato il modello Bordeaux, quello degli chateau, che non era del nostro territorio, ma si è creato con Bolgheri. Tutti questi big puntano a fare il ‘grand vin’, poi il secondo vino dalle vigne più giovani, poi la terza scelta, ma hanno già prezzi che partono da 15 euro”. -Tutti? “Mah, il Chianti Classico in genere parte con un Igt base, poi propone un Chianti a 10 euro, la riserva a 18-25, poi l’Igt di fascia più alta. Insomma, gli ‘...aia’ della situazione, di fascia alta con piccole produzioni, e con vini d’attacco che economicissimi non sono”. -Insomma, Gori: un consiglio per le tasche delle famiglie che vogliono bere bene tutti i giorni? “Ho fatto di recente una piccola ricerca sul mondo del Bag in Box, e ho trovato prodotti notevoli, paragonabili a bottiglie da 6 euro ma con prezzi assai più bassi, alla fine li puoi pagare anche un euro al litro. Sono molto buoni, non hanno problemi di conservazione perché una famiglia che beve apre i 5 litri e in una settimana li finisce, e il vino non prende di plastica. Il Bag in Box

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italiano, ci dicono le statistiche, è il 50 per cento del vino venduto in Scandinavia, una risorsa notevole. Con lo sfuso è più complicato, per la conservazione”. -Qualche esempio di aziende di nome che vendono vino in Bag in Box? “La fattoria Le Corti. Alla Marsiliana, in Maremma, fa un Igt che si chiama Birillo e si trova a 8-9 euro in enoteca, ma è simile a quello che va nel Bag in Box, ed è molto piacevole. Anche Diadema, il brand di Villa L’Olmo all’Impruneta, vende Sarà di Sera, un sangiovese-syrah firmato da un enologo di fama come Stefano Chioccioli, oltretutto in una confezione Bag in Box anche molto elegante, di design, nera con una striscia d’argento, che non costa molto. Piuttosto che incaponirsi con le bottiglie, dove si buttano via due euro per i costi della confezione...”. -Già: e per gli irriducibili della bottiglia? “In azienda, in genere, quasi tutti vendono un Igt solo in loco, come Capezzana a Camignano. Sono i vini che danno ai ristoranti e vengono etichettati dal ristoratore, non dal produttore, come “vino della casa”, o vengono venduti a pancali... ma mai per meno di 5 euro, ecco”.


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-Vabbè, ma alla grandi distribuzione qualcosa si spunta, no? “Se si seguono i ‘primi prezzi’ e le offerte, si trova roba buona, Tipo un Lamole di Lamole, un ottimo Chianti Classico, a meno di 7 euro, o il classico Santa Cristina Antinori a 6 euro, o il Pomino a 6,50, e il Remole più o meno allo stesso prezzo, o il Chianti Montalbano della fattoria Castellina, ottimo, a 5 euro. Questi sono affari, sì, come i vini della Fattoria San Felice di Castelnuovo Berardenga altre grosse realtà che hanno accordi storico con la gdo. Ormai il Santa Cristina è un vino di qualità altissima,”. -E gli acquisti on line? “Benissimo per i prodotti di base. Vedo quelli di Banfi, per esempio: tutti prodotti a Montalcino, è un fattore chiave di vendita... In Piemonte, da Ceretto, hanno creato doyouwine. com, che non è un semplice catalogo da sfogliare, ma è interattivo, si chiacchiera, si commenta, funziona anche per l’enoappassionato più avvertito, più avanzato. Insomma, su Internet compri a prezzo di costo; semmai, può esserci il problema di un approvvigionamento mai certo, oggi c’è un’offerta che il mese dopo non c’è più. Ma la prima cosa è il prezzo, per fare affari è ottimo perché lanciano di tutto”. -Ci ha fatto un pensierino anche lei, Gori? “Sì, partiremo nei prossimi mesi. Non sarà uno scaffale, piuttosto offriremo ‘visti d’acquisto’, ti do un Ornellaia che però non ho fisicamente: per le aziende è un ottimo sistema per svuotare le cantine dalle giacenze senza svendersi. Il problema per noi è il magazzino, per il cliente la spedizione: se costa 20 euro, per una bottiglia non vale la pena. Però il vantaggio è che sei seguito come in un’enoteca, e spunti ottimi prezzi, il più delle volte i ‘prezzi sorgenti’, come li chia-

mava Veronelli, con il pagamento anticipato per esempio becchi anche scnti dell’8-10 per cento”. -E ci si può fidare? “Sì. Il problema però è che poi il vino lo devi aspettare, più spesso lo compri perché lo vuoi aprire subito. Però per gli acquisti programmati, in stock, può essere vantaggioso”. -Insomma, un mercato dalle molte facce. “Sì, e in Toscana è più difficile, perché le cose buone costano. Ma la qualità media è alta”.

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Prezzo euro 3,91

alla Coop

Torgaio 2011 Toscana Igt

A un mercato che chiede bottiglie “facili” ma non banali, Ruffino – azienda toscanissima di proprietà della famiglia Folonari – risponde con il Torgaio, uno degli ultimi nati, prodotto interamente con uva Sangiovese. È profumato, giovane, beverino, al naso esprime buoni profumi violacei. In bocca rivela grande equilibrio, con sensazioni di frutta matura e buona persistenza aromatica. Un rosso di grande piacevolezza, non troppo muscoloso con i suoi 12,5°. Nel piatto si abbina con diversi sapori, dal baccalà fritto all’insalata orzo e verdure, e poi con bollito, pasta al pesto, terrina di cavolfiore.

Tenimenti Ruffino piazzale Ruffino 1 Pontassieve (Fi) tel. 055 6499717 www.ruffino.it

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Prezzo euro 5,23

alla Coop

Santa Cristina 2010

Il vino è un blend di uve composto da un 60 per cento di Sangiovese, mentre al restante 40 per cento partecipano Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah. Si presenta di colore rosso rubino, con riflessi violacei. Il profumo è ampio intenso, con note di frutta rossa che ricordano la ciliegia e il lampone. In bocca si presenta morbido, equilibrato. Il finale è caratterizzato dalla dolcezza dei tannini e dal persistente sapore del frutto che lo rendono piacevole e facile da bere. Si lega bene con pappa al pomodoro, ribollita, peposo al cioccolato, crostini di polenta e funghi.

Marchesi Antinori Cantina Santa Cristina Case Sparse Centoia 52/A Cortona (Ar) tel. 055 23595 www.santacristina1946.it

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Prezzo euro 3,08

alla Coop

FUMAIO 2011

È un bell’esempio di interpretazione dei bianchi freschi di Toscana, immediato e di grande freschezza grazie alla rotondità dello Chardonnay e al carattere del Sauvignon Blanc. Colore giallo paglierino scarico, profumo ampio, intensamente fruttato e fresco, in bocca si propone pieno, armonico e lievemente acidulo. Ideale come aperitivo e accompagnamento a piatti di pesce, è comunque un vino da tutto pasto che accompagna egregiamente i primi piatti e il pesce fresco in generale. La gradazione varia dai 12° ai 12,5° secondo il decorso delle stagioni.

Banfi

Castello di Poggio alle Mura Montalcino (Si) tel. 0577 877701 www.castellobanfi.it

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Prezzo euro 7,00

in enoteca

BITORNINO 2009 IGT TOSCANA

Uvaggio a prevalenza Sangiovese (85%) con partecipazione di Canaiolo e Colorino (10%) più una piccola parte delle classiche uve bianche toscane, Trebbiano e Malvasia. Tutte le uve dell’azienda sono biologiche. Bel colore rubino brillante, profumi soprattutto floreali, si notano i fiori di campo e le bacche rosse, le more di rovo, le ciliegie. Il grado alcolico raggiunge i 13,5°, in bocca spicca una bella acidità – dovuta all’altitudine delle vigne e all’età delle piante di Sangiovese – che ne fa un vino da bere fresco e giovane, in abbinamento a pane e salame e primi piatti al sugo.

Azienda Agricola Frascole loc. Frascole Dicomano (Fi) tel. 055 8386340 www.frascole.it

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Prezzo euro 8,00

in azienda

FATTORIA DIANELLA FUCINI CHIANTI 2009

Il fresco profumo di frutta rossa, deciso e penetrante, caratterizza questo vino dal bel colore rosso rubino con riflessi porpora, grazie al 5 per cento di uva Colorino che completa il bouquet di un interessante Sangiovese, coltivato a un’altitudine di 100 metri sul livello del mare, con esposizione sud-sud ovest e vendemmiato a mano. In bocca si propone morbido e scorrevole, con tannini dolci e facili, che ne fanno un vino ottimo per ogni occasione, da abbinare a salumi, carni bianche, primi piatti.

Fattoria Dianella Fucini Via Dianella 48 Vinci (Fi) tel. 0571 508166 www.fattoriadianella.it

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Prezzo euro 4,16

alla Coop

CANCELLI 2010 IGT TOSCANA

È un vino giovane e fresco a base di Sangiovese con un 15% di Syrah. La scelta delle uve è finalizzata ad ottenere un vino di qualità, piacevolmente fruttato, adatto a un consumo quotidiano. Colore porpora intenso,con sfumature violacee. Al naso è intenso, con aromi di spezie, pepe nero, ciliegia e note floreali. In bocca è fresco, abbastanza morbido e persistente, con piacevoli note minerali, di ruggine e frutti di bosco non troppo maturi.Con i suoi 12,5° gradi, si abbina bene a salumi, primi piatti, carni magre, formaggi stagionati. Va servito a una temperatura di 18°.

Azienda Agricola Badia a Coltibuono loc. Monti di Sotto Gaiole in Chianti (Si) tel. 0577 746110 www.coltibuono.com

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Prezzo euro 8,00

su www.vinopedia.com

Respiro 2009

Prodotto da uva Sangiovese con una piccola percentuale di Trebbiano toscano vendemmiate rigorosamente a mano, nel rispetto della tradizione, questo vino – che raggiunge i 13° di alcol – è dotato di un colore rosso rubino intenso e brillante. Si avvertono piacevoli sentori di frutti rossi identificabili in ciliegia e ribes nero. Molto percettibile l’erba falciata che si accompagna a fiori di campo; in particolare la mammola. Chiude con sentori di cioccolato e delicato caffè. Le barrique nelle quali si affina il 40% della totalità del prodotto conferiscono piacevoli tannini a un prodotto complessivamente pulito e rotondo. Buona persistenza e retrogusto piacevole. Gustatelo con formaggi, arrosti o salumi di sapore intenso.

Fattoria Le Sorgenti

Via Docciola Bagno a Ripoli Tel. 055 696004 www.fattoria-lesorgenti.com

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Prezzo euro 4,85

alla Coop

ROSSO 2010

Le terre di una delle più recenti denominazioni protette della Toscana, ai piedi del Monte Amiata, producono vini eleganti come questo, da uva Sangiovese tutta biologica. Nel bicchiere il vino, che raggiunge i 13,5° di gradazione alcolica, si presenta con un colore rosso rubino intenso; nel naso è vivace, con profumi di piccoli frutti rossi. Al palato la vivacità è accentuata da tannini setosi e compatti, che uniti alla componente alcolica regalano un buon equilibrio gustativo. Si abbina a carni bianche e rosse, primi piatti al sugo, salumi e formaggi.

Azienda Agraria Montecucco

Loc. Montecucco Cinigiano (Gr) tel. 0564 999029 www.tenutadimontecucco.it

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Prezzo euro 4,85

alla Coop

MONTRASIO 2010 COLLINE LUCCHESI

È il frutto del Sangiovese e del Ciliegiolo migliori dell’azienda, che uniti a Merlot e Cabernet Sauvignon danno un vino di colore rosso rubino, profumo ampio e caratteristico di ciliegia matura e mammola, corpo equilibrato e una certa persistenza, con sensibile presenza di tannino e un lieve sentore di tostato. Con i suoi 12,5°, va bevuto dal secondo anno, preferibilmente fino al quarto, a una temperatura di 18°. Gli abbinamenti consigliati: carni bianche e rosse arrosto o alla griglia, zuppa alla frantoiana, lardo di Colonnata e formaggi toscani meglio se stagionati.

Azienda Agricola Il Colle via Torre 17 Porcari (Lu) tel. 0583 298062 www.vinimontrasio.net

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Prezzo euro 4,43

alla Coop

MORELLINO DI SCANSANO LA TORRE 2010

Questo vino che fa parte della linea “Classici & Moderni” della maison Frescobaldi viene prodotto con uve Sangiovese, con piccole aggiunte di Cabernet Sauvignon. Si distingue per il colore rubino intenso, e per gli aromi di frutta matura, tra cui si riconoscono la prugna e la ciliegia, ma anche la mandorla fresca e la mora di rovo, il mallo di noce, il fieno tagliato e la foglia di tabacco fresco. In bocca è di buon corpo, dalla trama tannica setosa e ben amalgamata, con sentori di liquirizia nel finale. La gradazione alcolica è di 12,5°. Si abbina a piatti a base di pollame o coniglio arrosto, pasta condita con ragù a base di maiale, formaggi stagionati, carni rosse saltate.

Marchesi de’ Frescobaldi via Santo Spirito, 11 Firenze tel. 055 27141 www.frescobaldi.it

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Prezzo euro 4,16

su shoppydoo.it

COL DI SASSO TOSCANA IGT

Uno dei dodici vini messi sul mercato dalla divisione “Toscana” della griffe con la corona, e realizzato con uve Cabernet Sauvignon e Sangiovese. La macerazione delle uve non supera i 5-6 giorni, ed avviene ad una temperatura di 24-25°C; questo consente di acquisire una buona estrazione di colore senza appesantire la struttura tannica e una buona freschezza aromatica. Il vino viene commercializzato dopo un adeguato affinamento in bottiglia. All’aspetto si presenta di colore rosso rubino, giovane ma intenso. Il profumo è fresco, arricchito da note speziate. Il sapore pieno e morbido, equilibrato, di pronta beva per una delle etichette Banfi più conosciute ed apprezzate nel mondo, un vino immediato, di grande pulizia nei profumi e per questo estremamente versatile nelle possibilità di consumo. Si abbina egregiamente a primi piatti importanti, carni bianche e secondi leggeri. Secondo la stagione, varia dai 12 ai 12,5 gradi alcolici.

Castello Banfi

Castello di Poggio alle Mura Montalcino (Si) Tel. 0577 840111 www.castellobanfi.it

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Prezzo euro 5,00

in azienda

CHIANTI CLASSICO 08 LA BECCACCIA

“Scolopax rusticola”, c’è scritto sull’etichetta accanto all’immagine della beccaccia. Una delle prede più amate dai cacciatori: come Alberto Martini, casentinese di nascita e chiantigiano di adozione, che alla “regina dei boschi”, così difficile da catturare quanto squisita poi da gustare, ha voluto dedicare questo suo Chianti Classico... anacronistico. Il vino è ancora prodotto infatti con il mix di uve indicato un secolo e mezzo fa da Bettino Ricasoli per realizzare vini pronti da bere subito, quotidiani, e tuttavia non vinelli di bassa lega. Questo, che comunque raggiunge i 13,5° alcolici, grazie all’età delle piante e alla felice esposizione riceve dal blend delle uve una grande compostezza, una bella esplosione di profumi nel bicchiere, un gusto rotondo in cui spiccano comunque i sentori classici delle uve chiantigiane a bacca rossa, la mammola e i frutti di bosco. Non promette lungo invecchiamento, ma può stare qualche anno in bottiglia.

Azienda Agricola La Beccaccia Podere Casanuova delle Celle Barberino Val d’Elsa (FI) tel. 055 8072625 cell. 335 6099329

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Prezzo euro 4,90

su www.vinopedia.com

BRAVIOLO 2010

La Fattoria del Cerro è una delle cinque aziende toscane del “pianeta” Saiagricola. Tra i numerosi (e premiati) vini prodotti, ecco questo Braviolo, un bianco ottenuto da uve Trebbiano, nei nostri campi la tradizionale “uva del contadino” usata per ingentilire le spigolosità dei rossi o, da sola, per ottenere i caratteristici vinsanti. Questo è fresco ed estremamente piacevole in tutte le occasioni, ha colore paglierino con leggeri riflessi verdolini. Il profumo è delicatamente fruttato, con note di mela Golden, di susina bianca e di banana acerba. Al gusto risulta immediato, piacevole, di media concentrazione, con un finale dominato da una gradevole nota acidula che ne facilita la beva. Va servito a 10°C in calici di media ampiezza ed è particolarmente adatto per accompagnare antipasti di mare, primi piatti con frutti di mare, pesci bianchi al vapore o alla griglia. Può invecchiare non più di uno-due anni.

Fattoria del Cerro

via Grazianella 5 fraz. Acquaviva Montepulciano - Siena tel. 0578 767722 www.fattoriadelcerro.it

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Prezzo euro 7,90

su winexplorer.it

CASAMATTA 09

Testamatta di Bibi Graetz è un’azienda vitivinicola situata nel comune di Fiesole. Le vigne di questo giovane vignaiolo dal carattere passionale e caparbio, innamorato della terra e dei suoi prodotti si affacciano a terrazza su Firenze, con un panorama unico al mondo. Uscita con la prima annata nel 2000, l’azienda crede fermamente nell’utilizzo di vitigni autoctoni e di vigne molto vecchie. I vini rossi sono prodotti con sangiovese, canaiolo e colorino, provenienti da piccoli appezzamenti disposti a macchia di leopardo nel territorio di Fiesole e dei comuni limitrofi. Questo Casamatta, realizzato solo con uva Sangiovese, ha colore rubino intenso, mote erbacee e di violette nel bouquet pieno e pulito, e al palato si presenta moderno nel gusto fruttato, pronto da bere. Alcol 12,5°

Testamatta di Bibi Graetz via di Vincigliata 19 50014 Fiesole (FI) Tel. 055 597222 Fax 055 597155 www.bibigraetz.com

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Prezzo euro 5,90

in azienda

Valdichiana ARRONE 08

Nel linguaggio popolare della Valdichiana, Arrone era la pietra pilastro posta alle due estremità del filare. L’Arrone, uno dei cinque prodotti di vigna e di cantina nell’azienda diretta dalle donne di famiglia, è un vino d’annata, leggermente tannico, fresco e fruttato con sentori di ciliegia, da tutto pasto. Si ottiene da un uvaggio di Sangiovese, Canaiolo e Malvasia nera. I grappoli scelti e raccolti a mano in cassette sono pigiati, diraspati e posti in acciaio a basse temperature per circa 2 giorni in criomacerazione pre fermentativa. Viene poi impostata una temperatura di 25-26 gradi e avviata la fermentazione con frequenti rimontaggi e follature. Dopo una ventina di giorni si procede con la svinatura e la pressatura delle vinacce con accurata separazione dei torchiati che vengono poi lavorati separatamente. L’affinamento avviene in acciaio per 5 mesi e prosegue in bottiglia per altri 2 mesi. Adatto a primi piatti, zuppe di pesce e formaggi freschi, ha 12,5° di alcol.

Casali in Val di Chio

via S. Cristina 16 Castiglion Fiorentino (Ar) tel. 055 650179 www.casaliinvaldichio.it

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