Il pesce toscano - La Nazione

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ugarello, chi era costui. Palamita, chi l’ha mai incrociata. E il potassolo? E l’aluzzo? Pesci. Che nell’era dorata dell’astice democratico, della spigola e dell’orata d’allevamento su tutti i tavoli, fanno storcere il naso alla signora dalle labbra tipo canotto, al rampantoide dal rolex facile: il popolo dell’enogastronomia last minute, inghebbiato di cucina carica di faciloneria. Eppure, il sugarello è delizioso, provate a chiedere lungo le coste del Tirreno, a sentirlo cucinato all’arancia come si fa in Sicilia. La palamita è un bel tonnetto polposo, che abbonda nei mari dell’Arcipelago, e potrebbe perfino scongiurare la mattanza indiscriminata dei poveri tonni rossi. Per non parlare del potassolo: all’Argentario lo chiamano melù, e provate a farvi raccontare la storia delle “fiche maschie”, solo l’ossimoro del nome è tutto un romanzo. Pesce povero, pesce dimenticato. Potrebbe perfino diventare una forza, e far rivivere la poesia sfiorita della pesca lungo le coste della Toscana. Un’attività nobile e fiera, viva e presente anche se in numeri e forze distanti anni luce da un passato neppure troppo lontano. Con questo nostro volume, grazie anche al lavoro della Regione Toscana, vorremmo portarvi dentro questo mondo così duro eppure ancora carico di fascino. Alla scoperta di sapori che ci riportino indietro, lungo i binari della nostra storia. Paolo Pellegrini

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con piacere che presento questo supplemento dedicato al pesce toscano poiché ritengo che il settore ittico rappresenti un ambito produttivo di estrema importanza sia per il diretto rapporto con i cittadini , dovuto al consumo del prodotto; che per le numerose interrelazioni che caratterizzano l’attività di pesca e di acquacoltura con altri settori produttivi. Negli ultimi anni sono stati realizzati progetti comuni con l’obiettivo di valorizzare le produzioni ittiche attraverso l’accostamento dei piatti di pesce ai prodotti del paniere agricolo toscano, in particolare con i vini e gli oli toscani. In questo senso abbiamo sviluppato in Toscana azioni progettuali per la conoscenza e la diffusione dei “metodi per cucinare prodotti ittici che vengono normalmente scartati”, magari rigettati in mare, in quanto considerati non remunerativi da parte dei pescatori (sugarelli, palamite, muggini, acciughe, sardine, pesci sciabola, boghe). Ma le attività legate alla pesca ed all’acquacoltura interessano anche ambiti diversi quali ad esempio l’ambiente, la portualità, il turismo, lo sport attraverso le attività di pesca sportiva svolta in mare e nelle acque interne della regione. Tengo in modo particolare a evidenziare l’importanza attribuita alle attività di pesca turismo e di ittiturismo, ed alle opportunità derivanti dalla creazione di reti che consentano agli operatori degli agriturismi di offrire pacchetti che comprendano anche uscite in mare con i pescherecci per assistere all’azione di pesca e di consumare a bordo oppure a terra il prodotto fresco appena pescato. Mi preme ricordare l’appuntamento con Expo RURALE 2012 che si terrà a Firenze dal 20 al 23 settembre al parco delle Cascine dove ci sarà anche un’area dedicata al mondo della pesca. Gianni Salvadori Assessore all’Agricoltura e Foreste Caccia e Pesca

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Sommario 3 8 12 14 20 25 28 30

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Introduzione La pesca in Toscana Il settore La flotta e le attrezzature Sistemi di pesca La produzione Aree di protezione in Toscana il pesce dimenticato

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a cura di Paolo

Pellegrini

Supplemento al numero odierno de LA NAZIONE a cura della SPE

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Direttore responsabile: Gabriele Canè Vicedirettori: Mauro Avellini, Marcello Mancini Direzione redazione e amministrazione: Via Paolieri, 3, V.le Giovine Italia, 17 (FI) Grafica ed impaginazione: Kidstudio Firenze www.kidstudio.it Stampa: Grafica Editoriale Printing srl (BO) Pubblicità: Società Pubblicità Editoriale spa DIREZIONE GENERALE: V.le Milanofiori Strada, 3 Palazzo B10 - 20094 Assago (MI) Succursale di Firenze: V.le Giovine Italia, 17 Per la pubblicità: tel. 055-2499203

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LE RICETTE

Composizione di sugarello, sgombro e sciabola con cipolle e rape rosse all’aceto Crosatini con crema di fegatini di razza e patate Passato di brodo di potassolo con verdure e filetti di potassolo Scottata di muggine e potassolo con cavolfiore e porri Polenta in brodo di pesce con ragout di moscardino e sugarello Insalata di broccoli e razza in dolce cottura Filetto di sugarello con verdure stufate e pesto alle nocciole Giulebbe di palamita con cime di rapa, zucca gialla e aceto balsamico ridotto Paccheri di sugarello Tartare di muggine e melone Ali di razza alll’isolana Timballo di sardine e patate Ravioloni alla rucola con potassolo e melanzane Finocchi brasati e sciabola Nido di cipolle e sardine Mille foglie di sciabola e melanzana in salsa al pomodoro e basilico Panzanella con palamita (o sciabola) marinata Timballo di tagliolini con verdure du stagione, basilico e filetti di acciughe

Le Esperienze

L’acquacoltura La maricoltura Il pescaturismo Maricoltura a Capraia L’acquacoltura nel lago di Chiusi Allevamento intensivo nella Laguna di Orbetello Il mestiere della pesca Le Leonesse del mare

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LA PESCA IN TOSCANA La costa toscana si estende per circa 400 Km nella parte continentale, da Marina di Carrara alla foce del Torrente Chiarone, e per oltre 600 Km se vengono comprese le isole dell’Arcipelago. Dal punto di vista morfologico il litorale si presenta differenziato in tre tipologie fondamentali: litorali caratterizzati da coste basse e sabbiose, con fondali a debole pendenza e scarsa profondità anche a notevole distanza dalla costa; litorali a costa alta, con batimetriche ravvicinate e profondità notevoli già in vicinanza della riva; litorali con costa alta e rocciosa ad elevata energia (litorali dell’Arcipelago). Il litorale toscano è suddiviso dal punto di vista amministrativo, procedendo da nord a sud, in quattro Compartimenti Marittimi: Marina di Carrara, Viareggio, Livorno e Portoferraio, all’interno dei quali sono presenti 25 porti/approdi pescherecci; gli ultimi due compartimenti presentano aree interessate dall’istituzione delle riserve marine nell’am-

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bito del Parco dell’Arcipelago Toscano. Il complesso di porti ed approdi, variegato per struttura e dimensioni, presenta attività di pesca diversamente sviluppate e strutturate, sia per dimensioni che per tipologia di attività prevalenti. E’ possibile collegare tale polverizzazione al carattere eminentemente costiero dell’attività di pesca in Toscana e alla presenza di numerosi centri marittimi di limitate dimensioni, dove la piccola pesca possiede tradizioni profondamente radicate nella storia marinara della Toscana. L’attività di pesca in Toscana, come in tutto il Mediterraneo, è condizionata dalla fortissima multispecificità delle risorse alieutiche disponibili, dalla possibilità di impiegare nelle stesse aree di pesca battelli di varie dimensioni, armati con diversi sistemi di pesca, che risultano pertanto idonei alla cattura di più specie. Il numero delle imbarcazioni dell’area, come per il resto della flottiglia naziona-


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le, ha mostrato una tendenza alla riduzione che si è manifestata soprattutto negli ultimi anni, anche se ad essa non è corrisposta un analoga riduzione della forza motrice. Questa riduzione è stata favorita dagli incentivi nazionali e comunitari, tesi alla demolizione delle imbarcazioni più vecchie, al fine di contenere lo sforzo di pesca. Inoltre esigenze di una maggiore redditività, hanno portato alla progressiva eliminazione dei pescherecci meno produttivi, di solito più piccoli e peggio attrezzati, operanti vicino alla costa e caratterizzati da consumi elevati di carburante. Rispetto al tipo di armamento ed alle risorse pescate la flottiglia può essere divisa in tre grandi gruppi: 1. motopesca armati per la pesca a strascico di fondo, mirata allo sfruttamento di specie demersali; 2. motopesca armati per la pesca a circuizione, per lo sfruttamento di piccoli pelagici; 3. motopesca

armati per la pesca con reti da posta, palamiti e altri attrezzi in uso ai mestieri più costieri; di solito si tratta di piccola pesca artigianale diretta a specie demersali, bentoniche e pelagiche. In termini numerici le barche della pesca artigianale toscana sono quasi i tre quarti della flottiglia; la restante frazione è rappresentata dalle strascicanti, mentre solo un numero molto esiguo d’imbarcazioni pratica la pesca con reti a circuizione. Le imbarcazioni che effettuano la pesca a strascico rappresentano oltre la metà sia del tonnellaggio totale, sia della potenza motrice totale della flottiglia da pesca toscana. Esse sono presenti quasi esclusivamente nei porti distribuiti sul continente. Riguardo alle altre tipologie di pesca, le imbarcazioni artigianali sono diffuse in tutte le località, mentre la presenza di quelle che effettuano la pesca a circuizione è solo occasionale e limitata a pochi porti, come Livorno, Portoferraio e Marina di Campo. Quindi lungo il litorale toscano, contemporaneamente alla presenza di una flottiglia peschereccia caratterizzata in buona parte da un notevole livello d’organizzazione industriale, si è affermato un consistente numero di piccole imprese artigianali che operano con imbarcazioni di ridotte dimensioni (in media inferiore a 5 tonnellate di stazza lorda) e utilizzano mestieri più selettivi, rappresentati per lo più da numerose versioni costruttive di reti da posta. L’assenza di draghe idrauliche per la cattura dei molluschi bivalvi, lungo le coste toscane, può essere messo in relazione con la tipologia dei fondali della zona e la modesta presenza di specie commerciabili disponibili alla cattura con questo attrezzo. Sul litorale toscano è presente un complesso di porti ed approdi, variegato per struttura e dimensioni, con la presenza di numerosi centri marittimi di limitate dimensioni. Molti porti ed approdi svolgono, inoltre, altre funzioni quali quella commerciale, industriale, petrolifera, di trasporto passeggeri, turistica e da diporto. Le principali strutture per l’attività pesche-

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reccia sono localizzate a Marina di Carrara, Viareggio, Livorno e Porto Santo Stefano, dove approda il 46% circa della flotta regionale. Secondo lo studio recentemente svolto dal CeSIT ed inerente “Approdi di pesca della Regione Toscana” i porti pescherecci importanti sono più attrezzati e meglio organizzati sia per quanto riguarda le strutture che i servizi ai pescatori (a differenza dei porti più piccoli spesso carenti). Fanno eccezione i porticcioli turistici che ospitano barche da pesca: sono presenti le strutture ed i servizi forniti alle barche da diporto. Mancano comunque, in genere, spazi specifici per i pescatori. I grandi e piccoli porti presenti in località turistiche hanno in comune il problema del traffico, commerciale e/o turistico, soprattutto nel periodo estivo. Sono evidenti inoltre i proble-

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mi legati alla disponibilità dei posti barca a causa della concorrenza delle imbarcazioni da diporto. La presenza di un importante settore turistico legato alla nautica da diporto ha creato delle gravi ripercussioni sul settore della pesca professionale: gli spazi destinati alla flotta peschereccia sono stati notevolmente ridotti a vantaggio delle imbarcazioni turistiche e i pescatori professionali (con le loro attività), si trovano relegati ai margini dei porti con gravi ripercussioni sulle attività lavorative e spesso in situazione di tensione tra diportisti e pescatori locali e/o di altre marinerie toscane e nazionali che operano in zona. Da sempre infatti le acque toscane sono state sfruttate anche da altre marinerie pescherecce italiane provenienti sia da regioni confinanti (Liguria e Lazio) che dalle marinerie del


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sud Italia, in particolare siciliane, che si spostano al seguito dei grandi pesci pelagici, come il pesce spada e il tonno, ed i grandi banchi di pesce azzurro. La presenza stagionale delle imbarcazioni provenienti dalle altre marinerie, in genere durante i mesi estivi, spesso provoca delle situazioni di conflittualità poiché le strutture portuali non presentano adeguati punti di ormeggio per le imbarcazioni da pesca in transito o che vi stazionano per brevi periodi. Alle imbarcazioni provenienti da altre regioni vanno sommate anche le decine di imbarcazioni toscane che si spostano periodicamente lungo l’intero litorale alla ricerca delle aree di pesca migliori. La conformazione costiera, i numerosi piccoli porticcioli, le isole e gli ambienti marini eterogenei, hanno caratterizzato fortemente la flotta to-

scana che svolge attività a carattere artigianale con piccole imbarcazioni. Ciò ha portato allo sviluppo di un’attività che utilizza aree diverse di pesca nelle varie stagioni dell’anno con una conseguente mobilità della flottiglia, più accentuata nei porti e negli approdi centro meridionali della regione (Compartimento marittimo di Livorno e Portoferraio). Qui si svolgono attività a carattere stagionale (es. la pesca al rossetto) che impegnano molte imbarcazioni con la necessità di strutture e ricoveri adeguati. I porti di Vada, San Vincenzo, Piombino, il porto Canale di Cecina, i porti delle isole dell’Arcipelago e i numerosi approdi a sud della regione, come Castiglion della Pescaia, Telamone e l’Argentario, sono le zone particolarmente interessate da questo fenomeno di “transumanza”.

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IL SETTORE La pesca e l’acquacoltura sono attività consolidate in Toscana: un settore da preservare, non solo per la rilevanza economica, ma anche ai fini della conservazione del patrimonio culturale.È in questo particolare contesto che occorre incentivare le pratiche di pesca ed acquacoltura sostenibili dal punto di vista economico, sociale ed ambientale. È una filiera singolare, in quanto all’interno di essa coesistono diverse realtà, che spaziano dalla pesca professionale, all’allevamento, alla trasformazione e vendita del prodotto, alla pesca sportiva, alle più recenti attività di diversificazione, alla sperimentazione e ricerca. Vengono perfino a crearsi situazioni di dualismo tra i diversi aspetti: ecco che troviamo la pesca professionale e la pesca sportiva, la pesca marittima e quella in acque interne, il pesce pescato e quello allevato, il prodotto fresco e quello trasformato, l’attività di pescaturismo e quella di ittiturismo. • la pesca professionale, sia marittima che in acque interne, è la pratica svolta dall’imprenditore ittico come attività esclusiva o prevalente. • la pesca sportiva o dilettantistica è l’attività di cattura esercitata senza fini di lucro. • l’acquacoltura è l’insieme di pratiche volte alla produzione di specie animali e vegetali in ambiente acquatico. • Il pescaturismo è l’accoglienza di persone sull’imbarcazione esercitata dall’imprenditore ittico, con possibilità di assistere all’attività di pesca profes-

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sionale, di praticare la pesca sportiva e di consumare alimenti e bevande. • l’ittiturismo è l’ospitalità, la somministrazione di alimenti e bevande, nonché la fruizione di altri servizi ricreativi e culturali esercitata dall’imprenditore ittico. Le catture più importanti della flotta da pesca toscana riguardano pesce azzurro, in particolare sarde e acciughe, mentre tra gli altri pesci vengono catturati naselli, triglie, sugarelli, boghe e cefali. Oltre il 25% dell’offerta nazionale di sarde proviene dall’attività di pesca esercitata in Toscana. Polpi e seppie rappresentano i molluschi più pescati e tra i crostacei, quota molto limitata del totale, emergono pannocchie, gamberi e scampi. I quantitativi dell’itticoltura regionale incidono per il 5% sulla produzione nazionale, ma scendono sotto il 2% se si considera l’acquacoltura nel complesso (pesci e molluschi). Date le caratteristiche di pregio delle specie allevate, il valore delle produzioni incide in misura maggiore rispetto ai volumi prodotti, con percentuali del 7% sulla piscicoltura e di quasi il 4% sull’acquacoltura totale. Nell’ambito della valorizzazione dei prodotti agroalimentari, in Toscana sono stati riconosciuti numerosi prodotti tradizionali ittici, che interessano in prevalenza le produzioni e le particolari lavorazioni delle zone di Orbetello e della Garfagnana. Inoltre, sono annoverati tra i presidi Slow Food la Palamita di mare di Toscana e la Bottarga di Orbetello.


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LA FLOTTA E LE ATTREZZATURE Il litorale toscano è suddiviso dal punto di vista amministrativo, procedendo da nord a sud, in quattro Compartimenti Marittimi: Marina di Carrara, Viareggio, Livorno e Portoferraio, all’interno dei quali sono presenti 26 porti pescherecci; gli ultimi due compartimenti presentano aree interessate dall’istituzione delle riserve marine nell’ambito del Parco dell’Arcipelago Toscano e delle Secche della Meloria. A partire dagli anni ‘70 fino ai primi anni ‘80, le imbarcazioni da pesca toscane sono state interessate da un costante incremento; successivamente il numero delle imbarcazioni è gradualmente diminuito, come risulta dai dati ISTAT e di altri enti di ricerca del settore: da 714 unità del 1961, siamo passati a 1000 degli anni ‘80, a 750 del 1995, fino a 626 imbarcazioni del 2010. Il naviglio toscano inoltre risulta obsoleto e gli investimenti per il rinnovamento scarsi. Analizzando i dati reperiti alle capitanerie durante il progetto è emerso che oltre il 46,0% delle imbarcazioni ha più di 30 anni, il 38,0% tra i 29 e i 10 anni e solo il 16,0% ha meno di 10 anni. L’invecchia-

mento è risultato più evidente nelle imbarcazioni di modesto tonnellaggio, dato che i pescherecci di stazza superiore hanno potuto usufruire, soprattutto negli ultimi anni, di contributi nazionali e comunitari per opere di riammodernamento. Al fronte della diminuzione del numero di imbarcazioni, la potenza totale della flottiglia, in termini di cavallaggio, non ha mostrato una riduzione, a testimonianza di un generale aumento della potenza motrice media per barca. Le 626 imbarcazioni presenti nella nostra regione presentano una potenza motrice media espressa in Kw di 70,7 e un GT medio di 9,5 contro una media nazionale rispettivamente di 81,4 Kw e 13,3 GT (ISTAT, 2010). In termini numerici le barche della pesca artigianale toscana sono quasi i tre quarti della flottiglia; la restante frazione è rappresentata dalle strascicanti, mentre solo un numero molto esiguo d’imbarcazioni pratica la pesca con reti a circuizione. Le imbarcazioni che effettuano la pesca a strascico sono quelle più grandi e con una potenza

motrice che rappresenta oltre la metà dell’intera flotta da pesca toscana. Queste ultime sono presenti quasi esclusivamente nei porti distribuiti sul continente. La rielaborazione delle informazioni raccolte può dare una sommaria indicazione sul tipo di pesca che viene svolta da queste marinerie: lungo le coste della Toscana e dell’Arcipelago Toscano hanno un notevole sviluppo i fondali della piattaforma continentale, consentendo la pesca anche a gran distanza dalla costa. E’ quindi necessario disporre d’imbarcazioni relativamente grandi, in grado di rimanere sulle zone di pesca anche per più giorni e di imbarcare notevoli quantità di pescato, spinte da motori potenti e veloci per raggiungere in breve tempo anche i banchi più distanti (es. l’Isola di Pianosa o la piattaforma continentale sardo-corsa) e dotate di moderne attrezzature tecnologiche per navigare ed operare in alto mare. Riguardo alle altre tipologie di pesca, le imbarcazioni artigianali sono diffuse in tutte le località, presentano piccole dimensioni (in media inferiore a 5 tonnellate di stazza lorda) e utilizzano me-

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stieri più selettivi, rappresentati per lo più da numerose versioni costruttive di reti da posta. La pesca a circuizione è solo occasionale e limitata a pochi porti, come Livorno, Portoferraio e Marina di Campo. Dai dati raccolti risulta che la maggior parte delle unità da pesca è abilitata, in licenza, a più sistemi di pesca, ma quasi sempre l’uso effettivo è monospecifico e si riscontrano periodiche variazioni solo sugli attrezzi utilizzati nell’ambito dello stesso sistema di pesca. Il 20,1% delle imbarcazioni utilizza il sistema strascico, il 3,2% la circuizione e il 76,7% la pesca artigianale, nelle versioni reti da posta, palangari, sciabica, nasse e lenze. Tra le unità censite: • 116 unità svolgono la pesca a strascico. Di queste 112 usano esclusivamente lo strascico, mentre 4 svolgono attività polivalente, alternando la pesca a strascico alla circuizione (2 unità) o all’impiego di reti da posta (2 unità). Tra le barche che esercitano lo strascico 35 hanno stazza inferiore a 10 TSL, e la loro massima concentrazione è presso la marineria di Viareggio. Infatti, la bassa profondità delle zone di pesca anche a diverse miglia dalla costa, tipica dei tratti antistanti questo porto, consente l’esercizio dello strascico anche a barche di modeste dimensioni.

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La restante porzione della flotta a strascico insiste prevalentemente in fasce di stazza maggiori a 10 TSL, dove è possibile individuare le imbarcazioni che hanno sufficienti requisiti di operatività e capacità di cattura anche a profondità elevate. Queste barche agiscono spesso a notevole distanza dalla costa e/o in zone di pesca distanti dai porti di riferimento. Tra queste imbarcazioni 42 sono comprese tra 10 e 30 TSL e 39 presentano una stazza maggiore di 30 TSL. Le catture tipiche di queste barche interessano tutte le specie demersali, ma tra le unità di stazza maggiore si riscontra un discreto livello di specializzazione nella cattura di crostacei di alto fondale (scampi e gamberi). La pesca di queste specie viene praticata con bordate anche di 2-3 giorni. • 494 unità svolgono la pesca artigianale o “piccola pesca”. L’attività può basarsi sull’utilizzo di un solo sistema di pesca, o assumere carattere polivalente; in questo caso viene svolta con sistemi di pesca diversi quali reti da posta, palangari, circuizione, sciabica. All’interno dei singoli sistemi di pesca vengono utilizzati uno o più attrezzi quali: - reti a imbrocco, tramagli e nasse; - palangari di superficie, di profonsità e lenze; - sciabica per zerri o per rossetto;

- circuizione a pesce azzurro o pesce bianco. In questo segmento di flotta alcune unità (circa una trentina) hanno stazza superiore a 10 TSL e la loro attività fondamentale è quella della pesca con reti a imbrocco per i naselli o “nasellare”, o con palamito per la pesca di pesci spada. Le rimanenti unità che svolgono la pesca artigianale marittima sono ripartite nella fascia di stazza minori di 10 TSL. La loro attività è strettamente legata alla fascia costiera, infatti, raramente si allontanano dalla costa e la loro operatività è quasi sempre limitata a 3–6 miglia marine. Alcune unità di questo segmento di flotta con stazza compresa tra 3 e 10 TSL hanno un’operatività estesa a venti miglia: queste barche svolgono la pesca del pesce spada con palamiti o dei naselli con reti a imbrocco, in modo analogo a quelle di stazza superiore a 10 TSL dalle quali differiscono per il quantitativo minore di attrezzi imbarcati (lunghezza delle reti) e per la maggiore velocità di spostamento che permette di sfruttare zone di pesca particolarmente ricche di pesce situate anche a distanze considerevoli dalla costa. Si segnalano inoltre unità di piccolissime dimensioni, generalmente a propulsione removelica, che vengono utilizzate prevalentemente da pescatori che svolgono attività integrative


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alla pesca marittima o da pescatori professionali di età avanzata. Alcuni addetti della pesca artigianale, facenti capo al compartimento marittimo di Livorno, svolgono anche attività di pesca subacquea professionale, che viene alternata con quella esercitata con gli attrezzi da posta; nel compartimento il numero di licenze rilasciate è contingentato a 10 dall’autorità marittima e risultano tutte utilizzate per la pesca del cannolicchio e del riccio di mare. •14 unità esercitano la pesca a circuizione per pesce azzurro e sono distribuite nelle marinerie di Viareggio, Livorno, Piombino e Isola d’Elba. L’attività di queste barche è stagionale e viene svolta nel periodo primaverile ed autun-

nale. Le unità pescano seguendo i banchi di pesce azzurro e si spostano nel Tirreno centro settentrionale alla ricerca del prodotto. Rispetto al tipo di armamento ed alle risorse pescate la flottiglia toscana può essere quindi divisa in tre grandi gruppi: 1. imbarcazioni armate per la pesca a strascico di fondo, mirata allo sfruttamento di specie demersali; 2. imbarcazioni armate per la pesca a circuizione, per lo sfruttamento di piccoli pelagici; 3. imbarcazioni armate per la pesca con reti da posta, palamiti e altri attrezzi in uso ai mestieri più costieri; di solito si tratta di piccola pesca artigianale diretta a specie demersali, bentoniche e pelagiche.

Sistemi di pesca A - Pesca con reti a traino di fondo Le reti a traino di fondo sono gli attrezzi più usati a livello mondiale per la cattura delle specie demersali. L’uso di queste reti impone un maggiore dispendio di energia in confronto ad altri tipi di rete che non necessitano del traino per operare (come ad esempio le reti da posta), per questo la loro competitività è strettamente legata ad un’insieme di variabili collegate allo sforzo di pesca impiegato. Flottiglie con reti a strascico si ritrovano a Viareggio, Livorno, Piombino, Castiglione della Pescaia, Porto Santo Stefano e Porto Ercole; altre località di minore importanza sono Marina di Carrara e

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Marina di Cecina, ove è dislocato un numero molto ridotto di pescherecci a strascico. Le flottiglie interessate dal progetto (Viareggio e Livorno) esercitano la loro attività sia a profondità comprese tra i 200 e i 400 m per la cattura di scampi, gamberi rosa, moscardini e naselli che nella fascia costiera entro i 100 m per la cattura del moscardino bianco, della triglia di fango e di scoglio e della frittura (triglie, naselli, merluzzetti, etc.). B - Pesca con sistemi artigianali La presenza di diversi tipi di fondo ha favorito nell’area il diffondersi di numerosi sistemi di pesca di tipo artigianale, che sono variamente distribuiti lungo tutta la costa e che possono essere globalmente divisi in quattro gruppi: reti da posta fisse (tramagli e reti ad imbrocco),

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palangari, piccola circuizione (cianciolini o lamparelle e sciabichetta o sciabichella) e nasse. B1 - Reti da posta fisse Questi attrezzi sono costituiti da una o più pannelli, armati in alto ad una lima dei sugheri alla quale sono attaccati i galleggianti e, in basso, ad una lima dei piombi; il peso di quest’ultima neutralizza l’azione dei galleggianti mantenendo le reti in posizione verticale. Per mantenere fissa la posizione sul fondo, oltre alla lima dei piombi, vengono attaccati all’estremità della rete alcuni pesi o delle ancore. A questa categoria appartengono i tramagli e le reti ad imbrocco. Con il termine di tramaglio sono indicate tutte quelle reti formate da tre pannelli di nylon assemblati, calati verticalmente nell’acqua e ancorate sul fondo.

Vi sono vari tipi di tramaglio in funzione delle specie bersaglio: • Tramaglio semplice: la dimensione delle maglie esterne (maglia stirata) varia tra 160 e 180 mm, mentre le maglie interne sono comprese tra 60 e 70 mm; la zona di pesca varia con la stagione e con le specie bersaglio (seppie, triglie, orate, occhiate, scorfani, ecc.). • Tramaglino: differisce dal tramaglio semplice per avere le maglie del panno interno di più piccole dimensioni (intorno a 45 mm). Questo attrezzo è mirato principalmente alla pesca delle triglie. • Tramaglione: le maglie esterne hanno una dimensione di 200 mm e quelle interne variano tra 60 e 90 mm; è diretto alla cattura di aragoste, è calato ad una profondità di circa 50-100 m su fondo duro e viene usato soprat-


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tutto in primavera-estate. • Tramaglio con vela: oltre a presentare la normale struttura del tramaglio ha, sulla parte superiore, una rete a panno singolo con le maglie di dimensioni maggiori rispetto alla parte inferiore; è impiegato soprattutto dopo una mareggiata (scaduta) ad una profondità che varia tra 3 e 30 m, ed è utilizzato principalmente per la cattura di pesce bianco. Le reti a imbrocco dette anche barracuda, sono reti di nylon trasparenti formate da un solo pannello, disposte verticalmente nell’acqua; le maglie hanno dimensioni di 35-40 mm e l’altezza delle reti è di 3-4 m, sono utilizzate per tutto l’anno. Se impiegate per la cattura delle sogliole o razze, le maglie del panno hanno dimensione di 70-80 mm. Se usate per la cattura di naselli, triglidi di grosse dimensioni e sugarelli la dimensione delle maglie varia tra 52 e 58 mm. B2 - Palangaro o palamito Questo attrezzo può essere considerato fra i più selettivi tra tutti i sistemi di pesca, ma solo nell’ultima decade ha preso un posto fisso negli usi delle marinerie toscane, probabilmente anche per il costo ed il tempo necessario alla messa in opera del mestiere. Al variare della specie bersaglio può operare sul fondo (palami-

to di profondità) o in superficie (palamito di superficie). I palangari da fondo possono essere usati sia per la pesca ai naselli sia per la pesca del pesce bianco. I palangari per naselli hanno una lunghezza della linea madre che varia tra i 2000 ed i 4000 m, lunghezza del braccio tra 1,5 e 2 m, distanziati tra loro 4/6 m, ami di dimensione del sette, innescati con sardine. I palamiti di fondo sono usati saltuariamente d’estate ad una profondità che varia tra 100 e 500 m. I palamiti di superficie sono indirizzati alla pesca del pesce spada; hanno lunghezza della linea madre tra i 5000 ed i 35000 m, lunghezza dei bracci tra 5 e 10 m, distanziati di 30-50 m con ami di dimensione 0-1 innescati con sgombri congelati. Sono usati tra la tarda primavera e l’estate da Livorno fino all’Argentario. C - Piccola circuizione Alcuni equipaggi delle imbarcazioni della pesca artigianale, nel periodo invernale, sospendono la loro attività e si dedicano a lavori alternativi; altri (almeno 30 tra Livorno, Vada e Piombino) si dedicano alla pesca del “rossetto” (il gobide Aphia minuta), una pesca speciale in deroga disciplinata dal Mi.P.A.F. e che dal 2010, per volere della Comunità Europea (Regolamentazione n.1936/2006) è realizza-

bile solo se inserita all’interno di un opportuno “Piano di Gestione”. Si tratta di una pesca prevalentemente diurna, di una specie particolarmente apprezzata dai consumatori locali ed esportata in grandi quantità in Liguria. Il rossetto viene pescato con la “sciabichella”, una rete a circuizione che, una volta calata sul banco di pesce individuato con metodi elettroacustici, con una complessa procedura viene recuperata direttamente dalla barca per mezzo di un verricello meccanico. La rete, nella zona del corpo e del sacco, presenta maglie che generalmente hanno dimensioni da 3 a 7 mm. D - Nasse Le nasse sono attrezzature artigianali, costruite solitamente dagli stessi pescatori, con caratteristiche diverse in base alle specie bersaglio. In genere hanno una forma cilindrica, a tronco di cono o a parallelepipedo, con una o due bocche, e sono costruite in maniera tale da non consentire la fuoriuscita dei pesci che rimangono intrappolati; spesso vengono innescate. Sono usate solo in alcune marinerie (Isola d’Elba, Monte Argentario, Vada) e su base stagionale; le principali specie bersaglio sono polpi di scoglio, seppie, aragoste e tanute.

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I sistemi di pesca Secondo la classificazione operativa, i principali tipi di pesca presenti nell’area toscana possono essere suddivisi tra lo strascico, la circuizione e la pesca artigianale. Lo strascico rappresenta uno dei sistemi di pesca più diffusi in Italia e viene effettuato grazie ad una rete a sacco collegata ai divergenti che consentono l’apertura della bocca della rete una volta che questa è trascinata in mare. In Toscana lo strascico comprende quattro principali tipologie di attrezzo: la tartana, la volantina, la francese e il rapido. La tartana è una rete asimmetrica che raggiunge un’apertura orizzontale variabile tra 5 e 20 m, mentre quella verticale al massimo è di un metro e mantiene un rapporto di stretto contatto con il fondo. La

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volantina può arrivare ad un’apertura verticale della bocca della rete superiore ai 2 metri e comporta un minor contatto con il fondo marino mentre il sistema francese prevede una rete simmetrica rispetto alla tartana, ha uno scarso contatto con il fondo marino e può raggiungere un’apertura verticale maggiore, anche fino a 3-4 metri. Il rapido ha una struttura rigida alla bocca ed è specificatamente indirizzato a specie con abitudini di vita strettamente legate ai fondi sabbiosi. Per quanto riguarda la volantina e la francese il target è un insieme di specie senza una evidente dominanza di alcuna anche se le condizioni ambientali, la profondità di pesca e il reclutamento possono far sì che alcune specie risultino più co-


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muni in certi periodi dell’anno o in certe aree. Le specie principalmente catturate in Toscana sono il nasello (Merluccius merluccius), la cicala (Squilla mantis), la seppia (Sepia officinalis), la triglia (Mullus barbatus) e numerose altre. In certi periodi dell’anno le catture della triglia (Mullus barbatus) e del moscardino (Eledone cirrhosa) possono raggiungere livelli molto elevati: nel caso della triglia questo si verifica soprattutto tra la fine di agosto e la fine di novembre quando la specie si concentra nella zona costiera in conseguenza dell’avvenuto reclutamento. Nel caso del moscardino si assiste ad un incremento dei tassi di cattura durante il periodo tardo primaverile ed estivo quando cioè tali organismi risultano essere molto concentrati

in acque più profonde, tra 60 e 100 m. Nella pesca con la tartana, le specie catturate sono estremamente varie, es. nasello, triglia, seppia, cicala, moscardino e decine di altre. In acque profonde, la specie più significativa, anche economicamente, è lo scampo (Nephrops norvegicus) che arriva a rappresentare il 40% dello sbarcato, seguito da altre specie con valori economici abbastanza ridotti quali la mostella (Phycis blennoides), con circa l’8%, e il potassolo (Micromesistius poutassou) che rappresenta poco più del 5%. Il rapido è una variante del sistema a strascico nel quale la bocca viene mantenuta aperta grazie ad una intelaiatura di ferro con denti arcuati che consentono la penetrazione nel fondo marino. Tale rete è molto adatta alla cattura di specie che vivono in prossimità del fondo quali ad esempio sogliole, rombi, razze. La sogliola (Solea vulgaris) in teoria rappresenta la specie target di tale attrezzo (20% circa delle catture) anche se in realtà la specie maggiormente catturata risulta essere la razza stellata (Raja asterias) che rappresenta circa il 30% delle catture nell’area di Viareggio. Altra specie degna di nota è la seppia (Sepia officinalis) che costituisce poco più del 10% delle catture ottenute con tale attrezzo. Nel compartimento di Viareggio esisteva fino a pochi anni fa una decina di imbarcazioni che praticavano lo strascico utilizzando un tipo di rete particolare, costituita da 3 sacchi di maglia diversa sovrapposti, per la cattura del rossetto (Aphia minuta). Le specie maggiormente catturate, oltre al rossetto che rappresenta circa il 35% delle catture, sono sugarelli (Trachurus mediterraneus) con il 13%, triglia (Mullus barbatus) con circa il 10% e nasello (Merluccius merluccius) con poco più del 5% del catturato totale. La pesca a circuizione si suddivide in due principali tipologie, quella al pesce azzurro e quella al pesce bianco. La circuizione al pesce azzurro viene effettuata con il cianciolo e con l’ausilio di fonti luminose che richiamano i banchi di pesce e permettono di poterli circondare. Questa rete viene calata da un peschereccio principale con l’ausilio di barche più piccole di appoggio tra

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cui le “lampare”. Le catture talvolta estremamente abbondanti sono comunque costituite quasi esclusivamente da sarde (Sardina pilchardus), acciughe (Engraulis enchrasicolus), sardinelle (Sardinella aurita) e talvolta sgombri (Scomber). La circuizione al pesce bianco avviene senza l’ausilio di fonti luminose e può essere di tipo diurno o notturno. Le imbarcazioni che effettuano tale tipo di pesca sono in Toscana un numero molto limitato e operano principalmente intorno alle Secche della Meloria e alle Secche di Vada. Nel caso della circuizione diurna al pesce bianco la specie maggiormente catturata è la ricciola (Seriola dumerillii) seguita dalla palamita (Sarda sarda). Le specie maggiormente catturate con questa circuizione notturna sono la salpa (Sarpa salpa), l’orata (Sparus auratus) e l’occhiata (Oblada melanura). Nel caso della circuizione diurna al pesce bianco la specie maggiormente catturata è la ricciola (Seriola dumerilii) seguita dalla palamita (Sarda sarda). Per quanto riguarda la pesca artigianale, o piccola pesca, gli attrezzi principalmente utilizzati sono le reti da posta, i palangari, la sciabica e le nasse.Un’attività diffusa a livello locale di pesca artigianale è quella indirizzata ai molluschi lamellibranchi effettuata con i rastrelli o da operatori subacquei. Le reti da posta sono destinate a sbarrare gli spazi acquei allo scopo di ammagliare i pesci o gli altri organismi che le incontrano: sono costituite da lunghi pannelli rettangolari di rete e possono presentare un solo pannello di rete (imbrocco) o tre pannelli nel caso del tremaglio. La rete a imbrocco cattura gli organismi che rimangono stretti dalle maglie nella zona branchiale. Il tremaglio è costituito da due pannelli esterni a maglie grandi e uno interno a maglie molto più piccole. La cattura avviene per ammagliamento dal pannello interno dopo aver attraversato il primo pannello. Una variante del tremaglio è rappresentata dalla rete incastellata costituita da un tremaglio sormontato da una rete di struttura simile a quella a imbrocco. Le catture

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ottenute con tali attrezzi sono molto diversificate per zona, stagione, tipo di fondale, condizioni meteomarine, ecc. e interessano un centinaio di specie diverse. Ad esempio, per quanto riguarda il tremaglio circa il 20% delle catture è costituito dagli scorfani (Scorpaena sp.), il 17% è costituito dalla seppia (Sepia officinalis) e un altro 17% è costituito dal polpo di scoglio (Octopus vulgaris). Nel caso della rete ad imbrocco circa il 15% delle catture è costituito da Sarpa salpa, circa l’11% è costituito da Liza ramada mentre valori intorno all’8% sono rappresentati da Mugil cephalus, Chelon labrosus e Lythognathus mormyrus. Le catture della rete incasellata sono rappresentate per il 25% dalla seppia (Sepia officinalis), per il 13% dalla razza chiodata (Raja clavata), per il 10% dalla salpa (Sarpa salpa) e per circa il 9% da Liza ramada. Il palangaro, fisso o derivante, è l’attrezzo ad ami più utilizzato a livello professionale ed è costituito da una serie di lenze (bracciuoli) appese ad un cavo (trave); ogni lenza porta un amo con un esca. Questa pesca viene usualmente esercitata di notte con l’attrezzo che viene calato al tramonto e salpato all’alba. Le specie target per il palangaro derivante sono i grandi pelagici quali il pesce spada (Xiphias gladius), il tonno (Thunnus thynnus), l’alletterato (Euthynnus alletteratus) e la palamita (Sarda sarda). Nel caso dei palangari fissi le specie maggiormente catturate sono saraghi (Diplodus sp.), orate (Sparus auratus), dentici (Dentex dentex), pagelli (Pagellus sp.), tanute (Spondyliosoma cantharus), gronghi (Conger conger) e gallinelle (Trigla lucerna) e il nasello (Merluccius merluccius). La pesca con la sciabica in Toscana è mirata alla cattura del rossetto (Aphia minuta) e prevede una tecnica particolare: la pesca inizia con la ricerca di banchi di rossetto mediante l’ecoscandaglio, quando il segnale rileva la presenza di quantità soddisfacenti di pesce i pescatori calano la rete in modo da circondare i pesci stessi. La rete viene poi salpata mediante l’utilizzo di un


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verricello, mentre il sacco terminale viene salpato a mano in quanto molto fragile e costituito da maglie di soli 3 mm. Di conseguenza questo tipo di pesca risulta essere praticamente monospecifico ed è regolato dalla normativa delle pesche speciali che ne prevedono l’utilizzo esclusivamente in inverno. Le nasse sono realizzate secondo una vasta tipologia di forme e materiali in quanto indirizzate alla cattura di una grande varietà di pesci, molluschi o crostacei. Concettualmente, il sistema di cattura è comunque costituito da un’apertura ad imbuto che facilita l’entrata degli organismi impedendone però allo stesso tempo l’uscita. Generalmente al suo interno vengono messe delle esche per facilitare l’attrazione delle prede. Le specie principalmente catturate in Toscana da tali attrezzi sono le seppie (Sepia officinalis), i polpi (Octopus vulgaris), le aragoste (Palinurus elephas) e gli astici (Homarus

gammarus). Specie accessorie possono essere il grongo (Conger conger), la murena (Murena haelena), i serranidi (Serranus sp.), gli sparidi (Diplodus sp.) e la tanuta (Spondyliosoma cantharus). I molluschi lamellibranchi, soprattutto telline (Donax trunculus), sono pescati con i rastrelli, solitamente retini di metallo con denti o lama che si infossano, in acque di limitata profondità. I rastrelli possono essere usati sia manualmente, sia da un’imbarcazione, ma la loro diffusione è estremamente limitata. La pesca subacquea di cannolicchi (Solen marginatus) viene esercitata da operatori in immersione con l’utilizzo di un’asta lunga 40 cm che presenta, alla sua estremità, un’ogiva a forma di cono: quest’asta viene introdotta nei fori sul fondale sabbioso permettendo l’estrazione del mollusco che vi si attacca. Con tale tecnica sono possibili anche catture superiori a 10 kg all’ora.

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La produzione La produzione complessiva del comparto ittico toscano, ad esclusione dell’acquacoltura, è valutata attraverso rielaborazioni dei dati 2006 e 2008 forniti da IREPA-ISTAT e inseriti nel sistema Statistico Nazionale SISTAN. Nel 2006, dal punto di vista del quantitativo globale catturato per sistema di pesca, la pesca a circuizione risulta la tipologia più importante, rappresentando con oltre 6000 tonnellate di prodotto il 55% dello sbarcato totale. Lo strascico segue con 3800 tonnellate di prodotto pari a circa il 35% del totale, mentre per la piccola pesca artigianale si rilevano circa 1000 tonnellate (9%) e per la pesca polivalente con strumenti passivi 175 tonnellate (1.6%). L’importanza relativa dei sistemi di pesca viene invertita se invece dei quantitativi di pescato in peso si analizza l’importanza dei ricavi. Da questo punto di vista, lo strascico rappresenta da solo il 58% del totale (28.9 milioni di euro), seguito dalla piccola pesca con 10.9 milioni di ricavo (circa 22.1% del totale), mentre la circuizione rappresenta solo il 15.5% con 7.7 milioni di ricavo. I polivalenti passivi contribuiscono marginalmente con il 4% del totale (circa 2 milioni di euro di ricavo). L’ovvia spiegazione di questo fenomeno risiede nel basso valore per unità di peso delle specie che sono il target principale della circuizione, la cui cattura è composta fondamentalmente da sardine e acciughe. Dal punto di vista della composizione per specie della cattura nell’anno 2006 la flotta toscana ha sbarcato oltre 11.000 tonnellate di prodotto ittico, fra cui i pesci rappresentano la voce principale (circa 9000 tonnellate), seguito dai molluschi (1600 tonnellate) e infine i crostacei con 540 tonnellate. Le specie di pesce più importanti, sulla base dei quantitativi sbarcati, sono ancora le sardine e le acciughe, che da sole rappresentano più del

53% del totale di prodotto ittico sbarcato. Tra le specie non pelagiche, il nasello rappresenta solo l’ 11% mentre la triglia di fango raggiunge l’ 8.4%, i sugarelli il 3.4%, i potassoli il 3.2% e la triglia di scoglio il 2.6%. Il rapporto tra le due specie di triglia appare però in contrasto con altri indicatori, per cui sembra più appropriato e sicuro considerarle insieme. Dal punto di vista dei ricavi, che rappresentano complessivamente circa 50midi euro, la specie più importante è l’acciuga, di relativo basso prezzo per unità di peso, ma catturata in grande quantità (2000 tonnellate, ovvero l’11% del ricavo complessivo). Le altre specie più rilevanti sono nasello (554 tonnellate, 5% del ricavo), triglia di fango (411 tonnellate, 3.7% del ricavo), sogliola (79 tonnellate di cattura, 2.9% del ricavo) e pesce spada, la cui cattura è di sole 85 tonnellate, ma che, per il suo alto valore commerciale, rappresenta il 2% dei ricavi complessivi del comparto. Tra i molluschi, la risorsa relativamente più importante è rappresentata dai polpi con cattura complessiva di circa 600 tonnellate, costituite in particolare soprattutto dal moscardino bianco (546 tonnellate). Le catture di seppie sono quasi equivalenti, con 520 tonnellate. I calamari e i totani superano di poco le 100 tonnellate ciascuno. Considerando il loro valore economico, la seppia diventa la specie di mollusco più importante con ricavi di 4 milioni di euro, rappresentando circa l’8.5% del totale dell’attività di pesca. La cattura dei crostacei è relativamente modesta, ma è costituita da diverse specie di elevato valore commerciale. Le pannocchie e i gamberi bianchi sono le specie più abbondanti tra i crostacei con 194 e 186 tonnellate rispettivamente,seguite dallo scampo (107 tonnellate). I gamberi rossi e viola, di alto valore commerciale, sono però catturati solo in aree limitate e gli sbarchi non raggiungo-

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no complessivamente le 4 tonnellate annue. Dal punto di vista economico, il ricavo annuo dello scampo è il più importante fra i crostacei, con 2.9 milioni di euro che rappresenta circa il 5.9% dei ricavi totali; anche la pannocchia contribuisce al ricavo totale con 1.2 milioni (2.4%). In conclusione, i pesci rappresentano circa l’80% dello sbarcato totale della flotta e il 60% dei ricavi, i molluschi circa il 15% e il 25% dei ricavi, mentre i crostacei solo il 5% in peso, ma il 17% dei ricavi. Molluschi e crostacei sono quasi esclusivamente catturati dallo strascico, con poche eccezioni come calamari, come la cattura di aragoste e astici ad opera della pesca artigianale o la pesca stagionale di seppie e con attrezzi fissi. Nel 2008, la produzione del settore ittico toscano dovuto alla pesca è stata di circa 6.200 tonnellate (1,3% del prodotto nazionale) pari ad un ricavo di circa 37 milioni di euro. La pesca a strascico e la circuizione contribuiscono in maniera preponderante ai quantitativi sbarcati (rispettivamente il 43% ed il 40,3% del totale), mentre la piccola pesca è in grado di fornire un prodotto di più alta qualità (27,2% dei ricavi totali del settore). Il fatturato derivante da attività di cattura ha mostrato una tendenza ad un aumento contenuto, dovuto principalmente all’incremento nella piccola pesca. Tale andamento è in controtendenza rispetto alla media nazionale, dove il fatturato derivante da attività di cattura è diminuito

del 31% nel periodo 2000-2006. Anche in Toscana, comunque, i bassi livelli di fatturato legati alla minore produzione, l’aumento dei costi operativi e la stagnazione della domanda interna hanno fortemente indebolito le imprese ittiche. In particolare, sulla pesca a strascico ha inciso significativamente il sostenuto incremento del costo del gasolioche ha condizionato principamente i pescherecci di maggiore dimensione che utilizzano attrezzi da traino. Nel 2008 lo strascico ha mostrato un calo consistente delle giornate di pesca corrispondente a -16% rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda l’alto Tirreno, nel 2008 si è interrotto il trend positivo per la pesca dei piccoli pelagici. La produzione della flotta dell’area è ammontata a 4.078 tonnellate per un valore economico di poco superiore agli 8,00 milioni di euro. Il confronto con i dati 2007 indica una riduzione di quasi il 50% per quanto riguarda i quantitativi prodotti e di oltre 1/3 per i ricavi. Sebbene il settore della pesca abbia registrato un calo delle catture, i prezzi alla produzione si sono mantenuti su livelli molto bassi; questi ultimi, piuttosto che riflettere gli aumenti dei costi operativi, sono rimasti stazionari se non addirittura in calo, impedendo alle imprese di pesca di riversare gli aumenti dei costi a valle della filiera. A questi fattori, si aggiunge il basso livello della domanda interna, sia per quanto riguarda il consumo pro-capite sia per la spesa complessiva delle famiglie.

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Aree di Protezione in Toscana Le aree marine protette (AMP), oltre alla fascia costiera interdetta allo strascico, sono identificabili in specifici settori intorno alle isole di Gorgona, Capraia, Pianosa, Giannutri e Montecristo; in corso di definizione è anche la protezione delle Secche della Meloria di fronte a Livorno. La normativa specifica, le delimitazioni, le attività di pesca consentite, il regime gestionale richiedono una revisione conoscitiva globale, anche in sinergia con il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. Riguardo alle aree protette, occorre verificare le giustificazioni della loro istituzione, gli obiettivi prefissati, e stabilire dei metodi operativi su come valutare quali benefici siano stati ottenuti come risultato della loro istituzione. Per questo tipo di valutazione sarebbe necessario analizzare dati sulle attività di pesca e turistiche

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precedenti all’istituzione, ma in molti casi questo tipo d’informazione non esiste o è assolutamente parziale. Qualsiasi restrizione delle attività antropiche in tali aree ha conseguenze sull’economia dei pescatori, di quelle legate al turismo, all’industria, ecc. e queste devono essere prese in considerazione quando si vuole impostare l’istituzione o la verifica di qualsiasi ordinamento che riguarda la frequentazione o l’uso di un certo ambiente, anche marino. È necessario monitorare l’evoluzione delle condizioni ambientali nelle aree già oggetto di qualche tipo di protezione ad esempio analizzando i livelli di copertura vegetale e animale, la biodiversità dei vari gruppi tassonomici, la biomassa delle specie presenti, l’incremento di individui per specie non più frequenti, la struttura demografica delle popo-


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lazioni, ecc. Il monitoraggio dovrebbe riguardare anche la pesca commerciale, sia industriale, sia artigianale, analizzando le strategie alternative dei pescatori e identificando dove si sia indirizzato lo sforzo precedentemente realizzato all’interno di tali aree. In aree protette dove le regolamentazioni non sono rispettate, occorrerebbe individuare sistemi che servano come deterrenti per le attività illegali quali sbarramenti, strutture antistrascico sul fondo, vigilanza da parte di volontari, ecc. Per la fascia costiera entro le tre miglia, zona vietata allo strascico, il posizionamento di strutture dissuasive antistrascico in cemento e acciaio sembra fornire buoni risultati e potrebbe essere esteso ad altre aree dove la pesca illegale è frequente. Nel caso di aree posizionate al largo, ad esempio le aree di nursery per il nasel-

lo, dove milioni di individui di piccola taglia sono concentrati e vulnerabili alla pesca, l’installazione di questo tipo di strutture non sembra praticabile, non solo per l’elevata profondità, ma anche perché queste aree sono abbastanza estese. Nel valutare i vantaggi di definire altre aree di nursery con divieto di pesca, è necessario considerare anche l’eventuale scarsa possibilità di vigilanza: occorre quindi valutare strategie alternative, o complementari, come un maggior controllo delle taglie al momento dello sbarco, della vendita nei mercati o al minuto, oppure un aumento della maglia regolamentare della rete. Queste misure o una loro combinazione potrebbero avere un’efficienza simile o superiore, per raggiungere lo scopo desiderato di protezione, che non la semplice istituzione di una o più AMP.

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IL PESCE DIMENTICATO Un vecchio proverbio afferma che il miglior cibo della terra viene dal mare, ma soltanto il 10% della ricchissima fauna marina arriva sulle nostre tavole. Questo perché, molto spesso, pesci gustosi e ricchi di sostanze preziose per l’uomo vengono trascurati e messi da parte definendoli “pesce povero” o “pesce dimenticato”. Il consumo del pesce da parte dell’uomo risale a due milioni di anni fa ed ha lasciato numerose testimonianze; immagini di pesci e di altri organismi marini si trovano su pitture rupestri di vari siti preistorici ed in mosaici dell’epoca romana. Un’affascinante ipotesi è che il nutrirsi di pesce, abbia avuto un ruolo non secondario nell’origine e nello sviluppo degli ominidi prima, delle specie preumane poi ed infine della nostra specie. Si ritiene, infatti, che i nostri ascendenti preumani che

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vivevano nelle foreste e nelle savane dell’attuale Africa, soprattutto coloro che si erano insediati in luoghi dove erano presenti acque salmastre e dolci, imparando ad apprezzare un nuovo cibo, il pesce, aprirono una nuova strada di sviluppo fisiologico, psicologico e mentale della specie: uno sviluppo che avrebbe portato all’attuale uomo. Gli antropologi infatti sostengono che a causa di questo tipo di alimentazione le dimensioni del cervello umano aumentarono, mentre quello delle grandi scimmie che nelle savane si nutrivano di vegetali e di animali terrestri, poveri di acidi grassi insaturi, rimaneva piccolo in proporzione alla massa corporea. Ormai è noto e accettato dalla comunità scientifica internazionale che il consumo di pesce comporta una serie di effetti positivi per l’uomo,


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da quelli conosciuti da tempo, quali il contributo nutrizionale e vitaminico dell’olio di fegato di merluzzo ad altri di più recente acquisizione. Più in generale è noto che gli acidi grassi polinsaturi del tipo omega 3 e omega 6, di cui i pesci di acqua di mare sono particolarmente ricchi, sono un nutrimento essenziale per il cervello umano in quanto favoriscono la sintesi dei fosfolipidi, cioè dei grassi che rafforzano la struttura e rendono ottimale la funzionalità delle membrane cerebrali. L’organismo umano non è in grado di sintetizzare tali grassi insaturi ma il soddisfacimento del fabbisogno può avvenire attraverso il consumo di pesce. Una corretta dieta con un giusto apporto di questi grassi insaturi è considerato indispensabile per la vita e la salute umana, a iniziare da una buona

difesa contro le infezioni, di un corretto sviluppo celebrale nell’infanzia, utile nella prevenzione dell’ictus cerebrale e di infarti del miocardio e per la riduzione dell’insorgenza di certi tumori e dell’arteriosclerosi. Da tutto ciò si è sviluppato un crescente interesse allo studio delle risorse ittiche, con particolari indagini sulla gestione sostenibile dei popolamenti ittici pescati, oggi spesso sovrasfruttati nei mari del mondo, e sulla salvaguardia dell’ambiente marino in cui queste fondamentali risorse vivono. Ma come le attività di pesca sono una complessa interazione tra pesce e pescatore, tra tecnologia e tradizione, tra nuove regolamentazioni e attrezzi, così l’uso del pesce da parte del consumatore moderno è influenzato dalle tradizioni gastronomiche, dalla qualità del prodotto, dalla disponibi-

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lità, dal prezzo, dagli stili di vita, ecc. Oggigiorno a livello nazionale, il grosso del consumo di pesce insiste su un ristretto numero di specie la cui commercializzazione ha importanti conseguenze sullo sfruttamento delle risorse e sulla sostenibilità ambientale della pesca producendo notevole quantità di scarto di prodotti ittici già pescati, ma non appetibili sul mercato. Si può mangiare il pesce tutti i giorni della settimana senza spendere somme proibitive, ma è necessario mettere in grado i consumatori di conoscere le varietà meno note ma altrettanto gustose e ricche di proprietà benefiche per l’organismo. Queste varietà meno note definite “pesce dimenticato”, “povero”, o “trascurato” vengono pescate nella quasi totalità dei mari italiani e costituiscono un eccezionale patrimonio nutrizionale ma soprattutto un importante risorsa economica se giustamente valorizzate. Trascurare o continuare a relegare in secondo piano questa risorsa può determinare effetti dannosi sugli equilibri ecologici, sul settore della pesca italiana, sul commercio ittico all’ingrosso ed al dettaglio, sulla nostra alimentazione e sui nostri portafogli.

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Per comprendere meglio l’entità del problema basti ricordare che delle 550 specie ittiche commestibili che abitano nei nostri mari solo una sessantina arriva sulle nostre tavole. Tutte le altre presentano uno scarso valore commerciale perché il consumatore non le conosce, è naturalmente diffidente e non le compra. Viene quindi a perdersi l’interesse per la commercializzazione di questa risorsa nonostante l’elevata qualità delle carni e l’ottimo apporto nutritivo. Ultimamente però, le cose almeno nella nostra regione sembrano cambiare. Grazie alla sensibilità di responsabili della grande distribuzione, ristoratori e all’impulso dei media in alcuni mercati è iniziata la commercializzazione di alcune specie conosciute magari a livello locale ma poco note ai più come ad esempio il pesce sciabola, la palamita e lo zerro. Al’interno di questa nuova tendenza si è inserito questo progetto che ha puntato l’attenzione su alcune specie ittiche variamente sfruttate e commercializzate, fornendo informazioni sulla biologia e pesca, sulle caratteriariche organolettiche e nutrizionali insieme ad alcune ricette che ne hanno ancora meglio esaltato le qualità. Le 11 specie


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selezionate in base ai buoni quantitativi che possono essere garantiti sul mercato, alla loro stagionalità, all’indubbia qualità delle carni e comunque alla tradizione che le ha sempre viste protagoniste indiscusse in alcune realtà marinare locali, sono di seguito elencate: RAZZA STELLATA Raja asterias SUGARELLO -Trachurus trachurus SUGARELLO MAGGIORE Trachurus mediterraneus POTASSOLO Micromesisitus poutassou MUGGINE Mugil cephalus MUGGINE RAMATO Liza ramada PESCE SCIABOLA Lepidopus caudatus ACCIUGA Egraulis encrasicolus SARDINA Sardina pilchardus PALAMITA -Sarda sarda MOSCARDINO BIANCO -Eledone cirrhosa I caratteri organolettici che infatti determinano il grado di freschezza del pesce sono: • l’odore: il pesce fresco ha odore di mare, salmastro e tenue, mentre un odore più evidente e sgradito indica il deterioramento del prodotto;

• la rigidità: il pesce fresco conserva il rigor mortis che si manifesta subito dopo la pesca e si conserva solo per poche ore; • la consistenza e l’aspetto dell’occhio, della pelle, delle branchie e del ventre: le carni del pesce fresco sono sode ed elastiche; l’occhio è vitale, di colore luminoso, arrotondato e sporgente verso l’esterno; la pelle è lucida, brillante e ben tesa, eventualmente con squame bene attaccate al corpo e tutta la superficie corporea è ricoperta da muco trasparente; inoltre, le branchie hanno eventualmente l’opercolo serrato e le lamelle rosso vivo o rosate, integre, compatte e coperte di muco limpido. Infine il ventre è tumido, ben conservato e flessibile; al contrario, possibili sporgenze o consistenza molliccia denotano alterazione. L’analisi sensoriale per la valutazione della freschezza del prodotto ittico si effettua in due fasi: osservazione/valutazione visiva e valutazione olfattiva degli aromi emanati e permette di definire delle categorie di freschezza suddivise in base alla valutazione sensoriale (“Extra”, “A”, “B” e “Non Ammesso”).

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LE RICETTE

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Composizione di sugarello, sgombro e sciabola con cipolle al forno e rape rosse all’aceto Ingredienti per 6 persone Sgombro 500 g Sugarello 500 g Sciabola 500 g Cipolle dorate cotte al forno 400 g Rape rosse cotte al forno 400 g Olio extra vergine di oliva 100 g Aceto bianco 50 g Erba cipollina q.b.

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Procedimento Pulire, sfilettare e togliere la pelle fino a metà del filetto. Dopo aver porzionato il pesce, metterlo su di un foglio di carta da forno e salarlo leggermente. Pulire le cipolle, tagliarle ad anelli piuttosto grossolane e posizionarle nel centro del piatto. Tagliare le barbe rosse a cubetti addizionarle di aceto, olio e poco sale, lasciar macerare per una decina di minuti. Cuocere il pesce passandolo in forno a 250° per un minuto e mezzo. Posizionarlo attorno alle cipolle, che avremo riscaldato al micronde, salsare con i cubetti di rape rosse ed il liquido leggermente emulsionato. Guarnire con l’erba cipollina.


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Crostini con crema di fegatini di razza e patate Ingredienti per 4 persone Fegato di razza 100 g Patate 200 g Pane 12 fette sottili e tostate Brodo di pesce 400 g Olio extra vergine 40 g Prezzemolo tritato 2 g

Procedimento Pulire e lavare bene il fegato del pesce, pelare le patate, tagliarle a cubetti e metterle a cuocere nel brodo di pesce. A cottura ultimata aggiungere il fegato di pesce che lasceremo cuocere a fuoco lento per 3 minuti. Scolare un po’di liquido, se in eccesso, tenendolo da parte prima di frullare con un mixer ad immersione. Durante l’emulsione aggiungere la metà dell’olio e se necessita due granelli di sale iodato. Se la crema ottenuta risultasse troppo densa aggiungere un po’di liquido che abbiamo tenuto da parte. Il risultato deve essere come un purè denso spalmabile. Spalmare la crema ottenuta su i crostini, ultimando con l’olio a gocce ed il prezzemolo tritato.

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Passato di brodo di potassolo con verdure e filetti di potassolo Ingredienti per 4 persone Potassolo 800 g Carote 100 g Sedano 3 g Cipolla 60 g Patate 100 g Gambi o foglie di cavolo 60 g Acqua 1,2 litri Olio extra vergine 20 g

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Procedimento Pulire e sfilettare il potassolo privandolo anche della pelle, diliscarlo e tagliare la polpa ottenuta a filetti di 3 cm di lunghezza per 1/2 cm di spessore. Lavare bene le lische e porle in una pentola abbastanza alta dove aggiungeremo le verdure pelate, lavate, tagliate a pezzetti copriremo con l’acqua e metteremo a cuocere. Dall’inizio dell’ebollizione lasciamo cuocere per 15-20 minuti a fuoco lento. Filtriamo il brodo ottenuto, recuperando le verdure e la polpa di pesce attaccata alla lisca. Mettere le verdure e la polpa recuperate in una pentola stretta, aggiungervi una parte del brodo e frullare con un mixer ad immersione finoad ottenere una crema omogenea, assaggiare il composto ottenuto e se necessita addizionare di pochissimo sale iodato. Mettere i filetti di pesce, dopo averli scottati, nelle ciotole di portata calde, coprire con il passato bollente, aggiungere l’olio extra vergine e servire dopo 3 minuti.


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Scottata di muggine e potassolo con cavolfiore e porri Ingredienti per 4 persone Muggine 600 g Potassolo 600 g Cavolfiore 300 g Porri 200 g Aceto di vino 20 g Olio extra vergine di oliva 20 g Acqua 1,2 l

Procedimento Pulire, sfilettare, diliscare e spellare i pesci ottenendo 4 scaloppe per varietà. Pulire le verdure lasciando da parte gli scarti che useremo per fare la crema. Cuocere le verdure a vapore tagliandole a piccoli pezzi, a parte faremo il brodo con le lische di pesce ben lavate e gli scarti delle verdure. Dall’inizio dell’ebollizione lasciate cuocere per 20 minuti a fuoco lento. Togliere le lische, recuperare le verdure e frullarle aggiungendo brodo fino ad arrivare alla densità di una crema. Se necessita aggiungere pochissimo sale iodato. Disporre le verdure sulla metà del piatto e dall’altra parte una cucchiaiata di crema di verdure, scaldare una padella antiaderente e porvi le scaloppe che lasceremo cuocere solo da un lato per alcuni istanti, dopodiché le metteremo rovesciate sulla crema di verdura. Il tutto sarà condito con un filo di olio. A piacimento alcune gocce di aceto solo sulle verdure a vapore.

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Polenta in brodo di pesce con ragout di moscardino e sugarello

Ingredienti per 4 persone Moscardini 600 g Sugarello 600 g Farina di mais fresca 250 g Pomodoro in barattolo 400 g Prezzemolo 20 g Aglio 1 spicchio Carote 100 g Sedano 50 g Cipolla 50 g Porro 80 g Peperoncino frantumato 1-2 g Scarti di lavorazione di altre verdure (foglie di cavolo, coste di bietola, gambi di carciofo, ecc.) 150 g Olio extra vergine di oliva 20 g

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Procedimento Pulire, desquamare, sfilettare e diliscare il sugarello; i filetti ottenuti verranno tagliati a bocconcini e le lische ben lavate ci serviranno per il brodo. Pulire i moscardini, spellarli e dividere la polpa del corpo dalla testa, gli scarti ottenuti verranno usati nella produzione del brodo dopo averli ben lavati. La testa dei moscardini verrà tritata nel cutter e messa da parte. La polpa dei moscardini sarà tagliata a listarelle sottilissime e lasciate in frigo fino al momento dell’utilizzo. Preparare il brodo di sugarello e moscardino usando gli scarti della pulizia delle verdure ben lavati, i gambi del prezzemolo e metà della cipolla, coprire con 1,6 litri di acqua fredda e portare ad ebollizione lenta per almeno 20-30 minuti. Filtrare il brodo ottenuto e riportare ad ebollizione aggiungendo la farina di mais. Lasciar cuocere per 30-40 minuti a fuoco dolce girando di tanto in tanto. Mettere le verdure rimaste nel cutter o nel tritacarne, dopo averle tritate metterle in pentola con le teste dei moscardini, il pomodoro, l’aglio (possibilmente senza germoglio) ed il peperoncino. Iniziare la cottura e quando arriva ad ebollizione abbassare la fiamma e far cuocere finché il ragout non risulti abbastanza denso, più o meno 35-45 minuti, le variabili sono date dalla presenza maggiore o minore di acqua nei prodotti usati. A cottura ultimata aggiungere i bocconcini di sugarello che cuoceranno in 1 minuto senza fiamma. Scaldare una padella antiaderente e mettervi le listarelle di moscardino poche alla volta, scottarle per alcuni secondi e sistemarle in un piatto con qualche goccia di olio coprendole con la pellicola. Il piatto sarà così ultimato: un mestolo di polenta su di un lato e dall’altra parte un mestolo di ragout, le listarelle di moscardino in diagonale sui due composti, terminando con il prezzemolo a foglioline o tritato, l’olio extra vergine e per chi non riuscisse a gustare il sale naturale lasciato dal moscardino, aggiungere un’ombra di sale iodato.


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Insalata di broccoli e razza in dolce cottura

Ingredienti per 4 persone Razza 1,6 kg Broccoli 350 g Arancia n.1 Olio extra vergine 40 g Sale grosso 20 g per 1 litro di acqua

Procedimento Pulire la razza e spellarla, con l’ausilio di una vaporiera cuocerla per 6-8 minuti e lasciarla intiepidire fino all’utilizzo. Pulire i broccoli, lasciandoli con il gambo lungo e pelato, tagliarli in quarti o in ottavi a seconda della grandezza dei broccoli. Cuocere in abbondante acqua salata per un minuto, sgocciolare e mettere da parte. Lavare bene l’arancia, grattare un po’di scorza facendo attenzione a non usare il bianco della buccia che risulterebbe amaro. Dopo di che peleremo a vivo l’arancia ottenendo più o meno 8 spicchi. Il piatto sarà così composto: con l’aiuto di un tagliapasta cilindrico con diametro di 10 cm inizieremo a stratificare i broccoli, poca scorza di arancia, alcuni pezzetti della polpa della razza e una parte degli spicchi di arancia tagliati a cubetti, ripetiamo l’operazione per due volte dopo di che pressiamo leggermente l’insalata e con delicatezza togliamo il cilindro, ultimiamo con l’olio extra vergine.

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Filetto di sugarello con verdure stufate e pesto alle nocciole Ingredienti per 6 persone Sugarello 1,5 kg Verza 400 g Catalogna 500 g Pomodorini essiccati n.6 Mais in chicchi al naturale 50 g Foglia di basilico n.6 Olio extr. Verg. 60 g Aceto 40 g Per il pesto alle nocciole: Basilico 80 g Prezzemolo 40 g Nocciole 50 g Aglio 1/2 spicchio Olio extra vergine di oliva 100 g Un cubetto di ghiaccio Sale q. b.

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Procedimento Pulire, sfilettare, diliscare e spellare il pesce, metterlo in un sacchetto per S. V. con le foglie di basilico e chiuderlo. Pulire la verza, aprirla lasciando le foglie intere e scottarle in acqua salata, dopo averla raffreddata e asciugata inciderla sulla membrana centrale da entrambi le parti. Pulire e scottare la catalogna usando solamente la cima delle foglie esterne ed il cuore, raffreddarle ed asciugarle. Scaldare una padella antiaderente mettervi la catalogna e lasciarla stufare per alcuni minuti coperta a fuoco dolce, salare e tenere in caldo. Ripetere l’operazione con la verza. Cuocere il pesce in forno a vapore termostatato a 65° per 3 minuti, aprire il sacchetto far uscire i filetti e posizionarli nei piatti, contornare con le verdure, guarnire con il mais passato in olio extra vergine ed il pomodorino essiccato. Terminare il piatto con delle gocce di pesto alle nocciole, che avremo preparato frullando gli ingredienti assieme per qualche secondo, diluito con l’aceto.


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Giulebbe di palamita con cime di rapa, zucca gialla e aceto balsamico ridotto

Ingredienti per 6 persone Palamita 1,5 kg Cime di rapa 800 g Zucca gialla 600 g Semi di zucca q. b. Olio extra vergine di oliva 150 g Aceto balsamico 150 g Aglio n.1 spicchio Sale q. b.

Procedimento Pulire, sfilettare, diliscare il pesce e tagliarlo a rombi, metterlo da parte. Pulire la zucca, togliere la buccia, tagliarla a cubetti e cuocerla sotto vuoto a 80° per ½ ora. Pulire le cime di rapa pelandole lungo il gambo, scottarle in acqua bollente salata per 1 minuto, raffreddarle, sgocciolarle e lasciarle asciugare su di un canovaccio. Insaporire le cime di rapa in padella antiaderente con l’aglio schiacciato salando leggermente. Tenere in caldo. Nella stessa padella far caramellare leggermente la zucca gialla, salare e tenere a caldo. Scaldare una padella antiaderente adagiarvi il pesce con la pelle sotto, salare, non appena il pesce comincia a cambiare colore lungo il perimetro, girarlo e toglierlo, mantenendolo a caldo. Montare il piatto mettendo al centro le cime di rape, i cubetti di zucca, il pesce con la pelle verso l’alto, condire il tutto con l’olio extra vergine e i semi di zucca sbucciati. Ultimare il piatto con gocce di balsamico che avremo fatto ridurre della metà e lasciato raffreddare.

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Paccheri di sugarello Ingredienti per 6 persone Paccheri n.36 Melanzane 300 g Pomodori San Marzano n.6 Sugarelli 400 g Olio extra vergine di oliva q.b. Sale e pepe q.b. Spicchi di aglio n.2 Mazzetto di Basilico n.1 Mazzetto di prezzemolo n.1

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Procedimento Pulire, sfilettare, diliscare il pesce privandolo delle lische, tagliarlo a rombi e metterlo da parte. Prendere una melanzana, privarla della buccia e tagliarla a cubetti regolari. Pelare un pomodoro San Marzano e farlo seccare al forno a 50° gradi per un’ora. Preparare un battuto con aglio, prezzemolo, basilico, pomodoro precedentemente seccato, olio extra vergine di oliva. Mettere una pentola al fuoco con acqua salata e portare ad ebollizione. Aggiungere i Paccheri e portarli a cottura. Mentre i Paccheri sono in cottura, predisporre sul fuoco una padella con olio extra vergine di oliva e aglio. Lasciare che si scaldi ed aggiungere i cubetti di melanzane, saltare e salare. Mettere i Paccheri in padella e portarli a cottura. Aggiungere il sugarello. Aggiungere il battuto di pomodoro. Saltare il tutto e servire i Paccheri disposti a binario e ben salsati su un piatto di portata.


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Tartar di muggine e melone Ingredienti per 6 persone Muggine 1 kg Erba cipollina n.1 mazzetto Olio extravergine di oliva q.b. Melone piccolo n.1 Sale e pepe q.b lime o limone verde n.1 Insalata Lollo q.b

Procedimento Sfilettare il muggine, togliere le lische, passarlo in congelatore per almeno 72 ore (come obbligo di legge per eliminare gli eventuali parassiti). Tagliarlo a cubetti e metterlo in una ciotola insieme all’erba cipollina tritata. Aggiungere sale e pepe e lasciar riposare per 4 ore. Preparare la fonduta di melone. Pulire il melone, sbucciandolo e privandolo dei semi. Tagliarlo a pezzetti, metterlo in un recipiente con sale e pepe ed emulsionarlo con l’aiuto di un minipimer aggiungendo olio extra vergine di oliva e succo di lime. Mettere la fonduta di melone nel centro di un piatto con sopra le “polpettine” di muggine che di ottengono passando l’impasto di cui al punto 1, da un cucchiaio all’altro fino a quanto non si forma un impasto omogeneo di forma ovale. Disporle sul piatto, condire con olio extravergine di oliva e guarnire con l’insalata.

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Ali di razza all’isolana Ingredienti per 6 persone Razze n.2 Zucchine n.3 Patate n.3 Sale e pepe q.b. Olio extravergine di oliva Basilico q.b

Procedimento Pulire le razze, spellarle e sfilettarle. Pelare le patate e tagliarle a fette sottili. Tagliare le zucchine a rondelle. Sbollentare le verdure in acqua bollente salata. Con il forno a microonde: mettere in un piatto le ali di razza con sopra le zucchine e le patate e chiudere con un’altra ala di razza. Salare e pepare. Avvolgere il piatto con la carta pellicola e cuocere nel microonde per 20 sec. Condire con olio extravergine di oliva, guarnire con basilico e servire. Con il forno normale: mettere nel forno per 5/6 minuti a 180°.

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Timballo di sardine e patate Ingredienti per 6 persone Sardine 600 g Patate 600 g Rosmarino Foglie salvia n.2 Sale e pepe q.b. Pomodori n.2 Olio extravergine di oliva q.b.

Procedimento Pelare le patate e tagliarle a fette sottili. Pulire, sfilettare, diliscare il pesce privandolo delle lische. Sbollentarle e spadellarle con olio extravergine di oliva, rosmarino e salvia. Salare e pepare. Mettere in uno stampa a strati, una fetta di patata con una scaloppa di sardina e cubetti di pomodoro, chiudere con una patata e ripetere il procedimento fino a riempire lo stampo. Salare e pepare ed infornare a forno caldo 180째. Condire con un filo di olio extravegine di oliva e servire.

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Ravioloni alla rucola con potassolo e melanzane Ingredienti per 6 persone Pasta per ravioli Farina 0 500 g Uova intere n.2 Acqua 125 gr Mazzetto di rucola n.1 Melanzane 400 g Potassolo 400 g Olio extravergine di oliva150 g Pomodori 300 g Mazzetto di basilico n.1

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Procedimento Tritare la rucola e unirla agli altri ingredienti della pasta. Lavorarla pochi minuti fino a renderla omogenea. Lasciarla riposare. Tagliare le melanzane a cubetti, tagliare il potassolo a cubetti dopo averlo pulito, tagliare i pomodori a cubetti. Cuocere a parte le melanzane in una padella antiaderente e lasciarle raffreddare prima di unirle al potassolo. Aggiungere sale, olio e prezzemolo. Tirare la sfoglia sottilissima, inserire l’impasto, e modellare il raviolo. Cuocere in acqua bollente. Predisporre i ravioli sul piatto aggiungere i cubetti di pomodoro al basilico, condire con olio extravergine di oliva e servire.


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Finocchi brasati e sciabola Ingredienti per 6 persone Sciabola pulito 2 kg Fiori di zucca n.6 Finocchi 300 g Capperi 10 g Acciughe salate n.2 Un bicchiere di vino bianco Sale e pepe q.b. Brodo di carne q.b. Olio extravergine di oliva 100 g

Procedimento Pulire lo sciabola e batterlo dolcemente con un batticarne facendo attenzione a non romperlo. Sovrapporre i filietti alternando a questi i fiori di zucca privati della parte “legnosa”. Farne un rotolino aiutandosi con la pellicola. Cuocere in acqua 85° gradi per 5 minuti. Tagliare il finocchio a spicchi, metterlo in una pentola bassa e brasarlo con olio extravergine di oliva, acciughe salate, capperi. Bagnare con vino bianco fino a far evaporare l’alcool e bagnare con il brodo. Portare il tutto a cottura., Disporre gli spicchi di finocchio in una fondina, adagiandovi sopra i rotolini di sciabola. Fare una scifonad (affettare in modo sottilissimo) con il finocchio fresco scegliendo la parte più vicina al cuore. Disporla a pioggia sopra il rotolino. Salsare con il fondo della pentola dove si sono cotti i finocchi e servire.

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Nido di cipolle e sardine Ingredienti per 4 persone Cipolle 600 g Sardine 400 g Cipollotto bianco n.1 Zucchine 40 g Asparagi 40 g Misticanza (insalata primavera) 20 g Pomodorini varietĂ ciliegino n.4 Olio extra vergine di oliva Aceto rosso Sale e pepe q.b.

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Procedimento Sfilettare le cipolle e le sardine, tagliare a dadini. Tagliare il cipollotto, le zucchine e l’asparago a strisce sottili. Mischiare pesce e verdure, prendere un anello a stampo (coppa pasta) metterlo in padella antiaderente precedentemente scaldata, senza olio. Riempire l’interno del coppa pasta con il composto preparato in precedenza e caramellizzare per circa 3 minuti per parte. Tagliare in maniera grossolana la misticanza e creare una base al centro del piatto. Disporvi il pesce precedentemente cotto sempre al centro. Finire il piatto con dadini di pomodoro, olio extravergine e qualche goccia di aceto.


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Mille foglie di sciabola e melanzana in salsa al pomodoro e basilico Ingredienti per 6 persone Melanzana n.1 Pomodori ben maturi n.2 Mazzetto di basilico n.1 Brodo vegetale (sedano, cipolla, carota, pomodoro, gambi di prezzemolo) Olio extravergine di oliva q.b. Sale e pepe q.b. Maggiorana q.b.

Procedimento Tagliare lo sciabola a fettine dopo averlo sfilettato. Spadellarlo con sale, pepe e poco olio. Tagliare una melanzana molto finemente e spadellarla in una padella antiaderente con sale e maggiorana. Assemblare una fettina di melanzana e una fettina di sciabola fino a formare un composto di 7 - 8 strati. Per la salsa, sbollentare per 30 secondi un pomodoro e pelarlo, spezzettarlo e togliere i semi. Metterlo in un recipiente alto insieme a sale, basilico, brodo vegetale e olio extravergine di oliva. Emulsionare con un frullino a immersione fino a che non sia diventata una crema. Guarnire il piatto con la crema appena realizzata e aggiungere una foglia di basilico.

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Panzanella con palamita (o sciabola) marinata Ingredienti per 6 persone Palamita 800 g Pane raffermo 250 g Pomodoro da insalata 300 g Sedano n.1 cuore Ravanelli n.1 mazzetto Basilico n.1 mazzetto Cipollotti n.1 mazzetto Cetriolo n.1 piccolo Pomodori ciliegia n.6 Porcini 60 g Olio extravergine di oliva 200g Aceto q. b. Sale e pepe q.b.

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Procedimento Sfilettare e spinare la palamita, tagliarla a scaloppe sottili in diagonale, sistemarla su della pellicola aggiungere sale, olio e foderarvi uno stampo a mezza sfera così da ottenere una cupola. Privare il pane della crosta e tagliarlo a cubetti, metterlo in una terrina e condirlo con tutti gli ingredienti tagliati anch’essi a cubetti tranne il cetriolo, il fungo, i pomodori ciliegia e qualche fettina di cipollotto. Questa operazione sarà fatta almeno mezz’ora prima per dare modo agli ingredienti di amalgamarsi bene fra loro. Riempire con il composto ottenuto gli stampi e lasciar riposare in frigo alcuni minuti per dare la possibilità all’aceto di agire sulla palamita. A parte frullare assieme l’olio ed il basilico con un cubetto di ghiaccio per non farlo annerire. Preparare il piatto rovesciandovi sopra lo stampo, tagliandone uno spicchio per far vedere l’interno e guarnire a proprio piacimento con gli ingredienti che abbiamo lasciato ultimando con l’olio al basilico.


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Timballo di tagliolini con verdure di stagione, basilico e filetti di acciughe

Ingredienti per 4 persone Tagliolini freschi 180 g Fagiolini 100 g Asparagi 150 g Pomodori ciliegia 120 g Aglio n.1 spicchio Basilico n.1 mazzetto Timo n.1 rametto Acciughe 600 g Olio extravergine di oliva 150 g

Procedimento Pulire le acciughe, sfilettarle e privarle della spina. Tagliare delle scaloppe sottilissime in diagonale, dalla testa verso la coda, lasciando in fondo alla scaloppa una strisciolina di pelle. Disporre le scaloppe su della pellicola formando una stella a 6 punte con al centro la pelle delle acciughe rivolte verso il basso che formerà un cerchio. Salare leggermente e sistemare la stella su di uno stampo cilindrico con diametro di 8 cm e altezza 4cm. Premere la stella nel centro facendo scendere dolcemente le acciughe fino a toccare il fondo del piatto, tenere da parte. Pulire e cuocere le verdure, tagliarle a rombetti in diagonale della lunghezza di 2 cm, tagliare i pomodorini a spicchi. Cuocere i tagliolini per circa 3-4 minuti, nel frattempo preparare una padella con olio, aglio, basilico, lasciare insaporire alcuni istanti prima di aggiungervi le verdure, salare ed aggiungere a proprio gusto un po’ di peperoncino. Dopo 2 minuti che le verdure si stanno insaporendo aggiungere un po’ d’acqua di cottura della pasta, poi i tagliolini che continueremo a tenere in padella fino a che l’emulsione fra acqua ed olio sia divenuta bella densa; in quel momento con un cucchiaio prendere un po’ di verdure e posizionarle nel centro della stella in ordine sparso, mettervi sopra i tagliolini ben mantecati e chiudere il timballo con le punte della stella aiutandosi con la pellicola. Appoggiare il piatto di portata rovesciato e ben caldo sopra il timballo, rovesciare i due piatti, sfilare lo stampo cilindrico e la pellicola, guarnire con timo e un filo d’olio.

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L’ACQUACOLTURA Nel contesto dell’acquacoltura italiana, la Toscana assume particolare rilievo nell’ambito dell’allevamento delle specie ittiche marine, mentre per altre specie l’importanza della produzione regionale appare modesta. Nonostante la forte pressione competitiva proveniente dai paesi del Bacino del Mediterraneo, gli allevamenti di piscicoltura localizzati lungo la fascia costiera toscana costituiscono un esempio di piccolo nucleo di distretto produttivo e un importante settore di nicchia, in grado di realizzare prodotti di elevata qualità e con potenzialità di sviluppo. In base alla divisione territoriale e alla specializzazione produttiva è possibile individuare tre principali aree: una zona costiera, dedita all’allevamento intensivo e in misura più limitata semiintensivo e estensivo di specie marine o eurialine, spigole e orate prevalentemente, a cui negli ultimi anni si sono aggiunti alcuni impianti di maricoltura; una zona appenninica, dove la presenza di acque

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sorgive con disponibilità idriche costanti durante tutto l’arco dell’anno consente l’allevamento della trota e in misura minore di altre specie di acqua dolce; un settore interno, dove l’attività acquacolturale risulta estremamente limitata a causa della carenza di acque sorgive. Il monitoraggio effettuato dall’ARSIA nel 2008 ha consentito di censire in Toscana 28 imprese, costituite per la maggior parte da allevamenti di specie d’acqua dolce e in secondo luogo di specie marine, per un totale di 41 siti produttivi. Tra gli allevamenti, sono presenti 3 impianti di recente installazione per la maricoltura, 1 allevamento di ostriche e 1 impianto per la riproduzione e l’allevamento di specie ornamentali. Tra le eccellenze produttive toscane abbiamo 2 impianti di acquacoltura certificata bio, un’azienda che pesca e certifica la trasformazione del prodotto ittico toscano, e una di pesca sostenibile. Piccoli numeri ma, per un settore che vede solo ora una normativa


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che ne permette la certificazione, sono comunque realtà imprenditoriali importanti e di esempio per il resto del sistema produttivo, permettendo non solo l’immissione sul mercato di un prodotto di gran qualità, ma andando anche incontro alle esigenze di tutela ambientale che anche la pesca cerca. I quantitativi dell’itticoltura regionale possono essere stimati in circa 4.000 tonnellate annue (cui si deve aggiungere la produzione di uova di trote e di novellame di specie eurialine). La produzione proviene per oltre il 76% dagli allevamenti di specie marine realizzati negli impianti a terra e nelle gabbie off-shore e per il 21,5% da specie di acqua dolce, con una quota residua costituita da ostriche e specie ornamentali. In particolare, 21 imprese allevano 936 tonnellate di trote, salmerini e carpe in acqua dolce (23,24%), mentre il restante 76,76% è costituito da 11 aziende, che allevano 3.090 tonnellate di spigole, orate, saraghi, ricciole e paraghi. In termini di valore le specie marine raggiungono un peso dell’87% sull’offerta regionale complessiva proveniente dall’attività di allevamento e le specie di acqua dolce incidono per il 13%. All’interno del settore si possono individuare contesti diversificati tra i vari comparti e le tipologie di allevamento. Le principali specie eurialine allevate, spigole e orate, continuano nel complesso a soffrire la concorrenza proveniente dai paesi del Bacino del Mediterraneo (prevalentemente Grecia e Turchia), i cui prodotti vengono immessi nei mercati italiani a prezzi fortemente competitivi. Permangono nel comparto dell’anguillicoltura, da un lato, i problemi collegati al calo dei consumi nazionali e della domanda estera (soprattutto per il prodotto non trasformato), dall’altro, le difficoltà di reperimento del materiale da semina, con una forte dipendenza dalle importazioni, per cui i volumi allevati risultano fortemente al di sotto di quelli rilevati nel corso degli anni ‘90. La troticoltura consolida il proprio ruolo nel mercato, a conferma della maggiore stabilità e matu-

rità del comparto, sebbene continuino le difficoltà di collocazione del prodotto vivo, che interessa in maniera generalizzata gli allevamenti di acqua dolce, dovute anche alla contrazione delle attività di pesca sportiva. Gli allevamenti toscani presentano una elevatissima specializzazione produttiva su un numero limitato di specie, almeno in parte collegata ad una scarsa diversificazione dei canali di vendita e ad una certa limitatezza dei circuiti di commercializzazione praticati da alcuni impianti. Per ciò che riguarda la commercializzazione del prodotto, occorre rilevare nella regione una netta differenziazione nei canali di distribuzione e nella destinazione della produzione a seconda delle specie allevate e, quindi, del territorio di provenienza. Per le produzioni di acqua dolce i principali canali di commercializzazione sono costituiti dalla vendita diretta in azienda, la vendita a laghetti di pesca sportiva e per ripopolamento, la vendita a ristoranti, la grande distribuzione, mentre una quota limitata di prodotto viene destinata alla prima trasformazione. La quasi totalità del prodotto di specie eurialine viene rivenduto fresco a ristoranti, commercianti o alla grande distribuzione, settore che fino a poco tempo fa risultava dominato dalle importazioni, mentre solo una quota limitata viene destinata alla trasformazione. Una quota consistente delle produzioni viene commercializzata nei mercati extra regionali, mentre i mercati locali assorbono quantitativi più ridotti, che però aumentano nel periodo estivo. Per far fronte ai problemi di mercato, da imputare in parte all’elevato livello di concorrenza estera e alla scarsa varietà produttiva, sono state messe in atto dalle aziende acquacolturali diverse strategie, quali la diversificazione delle produzioni con l’allevamento di nuove specie e l’ulteriore miglioramento della qualità del prodotto, le azioni di marketing e di valorizzazione delle produzioni, unitamente all’ampliamento dell’offerta attraverso processi di trasformazione e conservazione.

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LA MARICOLTURA La maricoltura può essere esercitata in impianti di gabbie galleggianti o in impianti costieri a terra. Questi ultimi possono essere di tipo estensivo, generalmente in ambienti lagunari (vallicoltura) o intensivo e organizzati in vasche con ricambio idrico forzato. A seconda della distanza dalla costa e dal grado di riparo che questa può fornire alle gabbie dall’impatto delle onde e dal vento, si distinguono impianti in gabbie galleggianti offshore o inshore. I primi presentano maggiori difficoltà di gestione e strutture più costose, ma normalmente essendo situati al largo in acque profonde e soggette a forti correnti, non presentano problemi di accumulo di inquinanti sul fondale o deleteri fenomeni di ombreggiamento sullo stesso e conseguente riduzione della possibilità di crescita delle fanerogame marine. Gli impianti inshore (o sottocosta) richiederebbero una attenta valutazione degli impatti ambientali prima dell’installazione, questi dipendono principalmente dalla profondità dell’acqua, dalle correnti e dai venti dominanti, dalla superficie delle gabbie, dalla distanza tra di esse e dalla quantità di

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mangime somministrata al pesce. Va attentamente considerato anche l’impatto sulla navigazione e sul turismo locale, ma uno dei problemi più contestati agli impianti in gabbie sono la possibilità di fughe di pesce allevato ed il conseguente rischio di riduzione della variabilità genetica delle popolazioni ittiche selvatiche. In Norvegia le licenze per l’installazione degli impianti sottocosta, tipicamente all’interno dei fiordi, prevedono il periodico spostamento dell’impianto per consentire all’ambiente il naturale recupero dell’equilibrio ecologico iniziale. Le produzioni più importanti da gabbie galleggianti sono costituite da salmone (in Norvegia, Scozia, Cile e Canada), dalle specie marine mediterranee, soprattutto orata e spigola e da quelle giapponesi. Particolarmente in Asia, l’allevamento in gabbie galleggianti viene anche utilizzato in laghi e fiumi d’acqua dolce per produrre, ad esempio, tilapia o pangasio. Numerosi i progetti condotti soprattutto dall’Arsia per verificare i tipi di colture e le attrezzature più idonee a questa forma di allevamento.


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IL PESCATURISMO Il termine Pescaturismo coniuga l’attività della pesca professionale con quella del turismo, in un contesto reale che rende possibile essere imbarcati su una motobarca insieme ai pescatori per una giornata di pesca svolgendo il lavoro del pescatore. Il mestiere del pescatore è distinto in varie tipologie di attività che si effettuano utilizzando strumenti e modi di pesca diversi tra loro. I natanti di dimensione medio/piccole utilizzano attrezzi da posta, ovvero strumenti calati in mare e ritirati dopo un certo periodo di stazionamento in cui vengono catturati i pesci; la pesca a strascico viene effettuata tramite imbarcazioni di dimensioni più elevate che operano con reti di ampio volume a forma di sacco che vengono trainate una volta immesse nel mare per poter pescare quantitativi superiori di pesce. Lo svolgimento del pescaturismo con pernottamento a bordo, è possibile solo se l’imbarcazione possiede le caratteristiche richieste dal regolamento di sicurezza per le navi abilitate all’esercizio della pesca costiera (locale e ravvicinata). La giornata lavorativa di un pescatore della “piccola pesca” è caratterizzata dalle condizioni meteo marine, e dalla stagionalità, infatti a seconda della stagione e delle caratteristiche degli areali marini, viene svolta una tipologia di pesca mirata alle specie presenti in quel periodo. Durante tutte le fasi lavorative che vengono effetuate a bordo, nel rispetto delle norme di sicurezza, gli Ospiti possono assistere alle varie operazioni, di ”cala” di “salpa” degli attrezzi, della raccolta e selezione del prodotto pescato. Potrà essere possibile partecipare a piccole funzioni di lavoro a bordo, come quella di smagliare i pesci,

con i dovuti accorgimenti nel rispetto delle norme sanitarie, accompagnare il pescatore nelle funzioni di avvicinamento agli attrezzi da pesca ed alla navigazione in generale. Cucinare a bordo è una delle cose più accattivanti delle uscite, in questi momenti di pausa operativa, si scelgono i pesci da cucinare tra quelli pescati, si decide in quale piatto trasformarli e se occorre, si partecipa alla preparazione. Il pasto a bordo rappresenta un momento di aggregazione e di dialogo dovuto alla condizione generale di tranquillità, durante il quale si raccontano esperienze dirette della giornata di pesca e quelle passate riassuntive delle esperienze del pescatore. Gli argomenti sono infiniti: il mare, i pesci, il mestiere, le imbarcazioni, le regole dell’attività, la cucina, la storia del comparto toscano e del suo territorio, l’Arcipelago e la fascia costiera, le storie personali dei pescatori. Durante i momenti di pausa, quando dobbiamo attendere che il mestiere faccia il proprio dovere, si possono visitare zone costiere e isole circumnavigando le più piccole e soffermandosi nelle zone più belle della costa. Possiamo inoltre fare pesca a lenza con canne e “filaccioni”, portati dall’esperienza del pescatore in punti favorevoli in cui la presenza di bellissime e ottime prede è garantita. Le barche adeguatamente attrezzate permettono anche di sdraiarsi e prendere il sole direttamente sulla terrazza della cabina della motobarca in tutta sicurezza e comodità. In mare ogni componente ed ogni azione è diversa da quella che la precede, osservare il volo dei gabbiani, il movimento delle acque, la scia della barca, le nuvole ed il movimento delle condizioni

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del tempo, in funzione del movimento del sole, i delfini che nuotano intorno alla barca e in alcune zone i cetacei presenti nell’area essendo immersi nel “santuario dei cetacei”, il tutto è garanzia per uno spettacolo sempre nuovo e diverso. Scoprire le storie delle isole e delle coste: Montecristo, le Formiche di Grosseto, Giannutri, Elba, Giglio, Gorgona, Pianosa, le Formiche di Montecristo, vedere dal mare le spiagge più famose e quelle più belle non molto conosciute. Fondamentale è la sicurezza a bordo, garantita dal comandante che informa gli ospiti sul comportamento a bordo prima di salpare. Il pescaturismo in Toscana. Ecco dove: Cooperativa Il Maestrale:www.pescamarefantasia.it Mallegni Alfo: www.evolution-viareggio.it F.lli Tremaroli: www.pescaturismobagliore.com F.lli Bertozzi: www.pescaturismosantalucia.it Coop.Pescatori Venere: www.giteinbarca.net Ittiturismo ElFaro: www.ristorantelfaro.it Coop.Pescatori Venere: www.daniela3.com Fanciulli Palo: www.paoloilpescatore.it Orbetello Pesca Lagunare soc.coop.pescatori: www.orbetellopesca.it, Ittiturismo Le Barche in Cielo: www.ittiturismoelba.it Tenuta delle Ripe Alte: www.tenutadelleripealte.it

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“Salendo a bordo dell’Evolution, imbarcazione veloce e sicura, troverete – racconta Alfo Mallegni, il comandante, viareggino – un equipaggio di professionisti della pesca. Tutte le fasi della pesca saranno documentate da Alfo che darà nozione sul tipo di pesca praticata e sul pescato. Sarà inoltre offerta una merenda e un pranzo della cucina tradizionale toscana. Questa opportunità viene offerta ad un gruppo di 12 persone (al massimo) amanti del mare e della natura. Assieme ad Alfo e all’ equipaggio, si potrà assistere e partecipare alle varie fasi in mare , fino alla salpata delle reti, con la cattura di pesci e crostacei: entrando cosi nel vivo della pesca e affrontando il mare da protagonisti. Per gli appassionati di pesca con la canna. Evolution offre sessioni di pesca con la canna, tutti possono pescare, anche i meno esperti, il comandante e l’equipaggio… saranno lieti di insegnarvi nozioni di pesca. Le canne da pesca e le pasture sono messe a disposizione degli ospiti gratuitamente.


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Maricoltura a Capraia Nel 1995 il «Codice di condotta per una pesca responsabile» della Fao definì la necessità di un maggior equilibrio tra la produzione e la protezione ambientale. Prendendo in considerazione questo obiettivo, Arpat ha realizzato l’impianto sperimentale di acquacoltura nelle acque antistanti l’Isola di Capraia (Baia di Porto Vecchio). Tale struttura è costituita da una gabbia galleggiante di 1.600 m3 e due gabbie sommerse di 800 m3 ciascuna. Tale sito è stato selezionato tenendo conto delle acque incontaminate e dell’alto livello di idrodinamismo ed è caratterizzato da un fondale che degrada progressivamente da 15 a 40 m di profondità. Altre procedure adottate per ridurre l’impatto ambientale sono state ad esempio l’uso di mangimi liberi da Ogm, una densità di allevamento inferiore a 10 kg/ m3 e il monitoraggio dei parametri chimicofisici sia dell’ambiente sia della carne dei pesci. Non essendo stato possibile reperire novellame di altre specie, sono stati utilizzati 55.000 avannotti di orata (Sparus aurata) con un peso iniziale di 15 grammi ciascuno, corrispondente ad un’età di 6 mesi. Nel primo periodo sono stati nutriti con 25 kg/ giorno di pellets da 2,2 mm, fino a che non hanno raggiunto un peso medio di 100 g. La relazione lunghezza-peso risulta coerente con le altre precedentemente osservate: per la stessa taglia gli individui allevati mostrano un peso leggermente superiore rispetto agli organismi selvatici. Il prelievo dei sedimenti, per la successiva analisi, è stato effettuato mediante una benna

di Van Venn in 13 punti localizzati al di sotto della gabbia e lungo 4 direzioni ortogonali sino ad una distanza di 40 m. La concentrazione di azoto (NO2, NO3, NH4) e fosforo (PO4) conferma un accumulo irrilevante dovuto al forte idrodinamismo caratterizzato da correnti direzionate principalmente verso sud e ovest. Le popolazioni bentoniche risultano ben diversificate, con elementi caratteristici di diverse biocenosi: le specie più caratteristiche sono il crostaceo Liocarcinus depurator, i molluschi Pharus legumen, Tellina pulchella, Corbula gibba, l’echinoide Amphiura filiformis e inoltre Apseudes latreillii, Ditrupa arietina, Pitar rudis, ecc. Il campione di Posidonia oceanica, utilizzato per l’analisi fenologica, è stato prelevato ad una profondità di circa 42 m. È stata osservata una percentuale di ricoprimento del fondo da parte della fanerogama pari al 50% ed una densità relativa fra 80-160 fasci/m2. Con tali valori, basandosi sulla scala di Pergent, la situazione sotto le gabbie può essere definita di normalità. Inoltre sono state anche realizzate foto e video subacquei al fine di registrare e valutare lo stato attuale per comparazioni future. Successivamente sono state analizzate le carni dei pesci allevati ed i mangimi utilizzati per individuare la presenza di bifenili policlorurati (Pcb) e di metalli pesanti (Cd, Hg, Pb): concentrazioni di Pcb fino a 0,02 mg/kg sono da considerarsi di due ordini di grandezza inferiori rispetto al valore di attenzione riportato dalla bibliografia e anche il cadmio, il piombo e specialmente il mercurio mostrano concentrazioni trascurabili.

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L’acquacoltura nel lago di Chiusi Il Lago di Chiusi con quello di Montepulciano sono le ultime zone rimaste ancor’oggi allagate di quella vasta zona palustre che ricopriva l’intera Val di Chiana e si estendeva da Arezzo ad Orvieto L’opera di bonifica voluta dai Lorena prima e dal regime poi, ha di fatto invertito il corso delle acque che ora vanno a confluire con il fiume Arno ad Arezzo. La bonifica fortunatamente non era perfettamente progettata (i due laghi sono rimasti) e si è finalmente interrotta negli anni 80 quando il Comune di Chiusi ha fatto del bacino lacustre la sua primaria fonte di approvvigionamento idrico e la Provincia di Siena ha istituito la Riserva naturale del Lago di Montepulciano. Quello che oggi vediamo a Chiusi è un lago di circa 4 Kmq. Con ampi spazi di canneto e ninfee, bassi acquitrini popolati da uccelli acquatici, sia palmipedi che trampolieri. Una piccola garzaia ospita ancora centinaia di nidi. I tre kmq. di specchio d’acqua, con profondità sino a 6 mt. (prima del 1930 era di 15

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mt.) nonostante la pressante eutrofizzazione ospita ancora tutte le 8 specie ittiche autoctone già presenti prima della bonifica. Alcune stentano a sopravvivere perché pressate da altre introdotte dall’uomo per gli scopi più vari, da quelli sanitari a quelli sportivi passando da quelli alimentari ed economici. Il tranquillo e ridente lago è attrazione per i pescatori sportivi appassionati dello “spinning” a lucci e persici ma anche per quelli amanti della cucina “padana” perchè queste acque pullulano di “pesce gatto”. Un incubatoio Provinciale gestito dall’Associazione Lenza Etrusca, anche con il ns. contributo, garantisce ogni anno massicci ripopolamenti di luccio e persico, Un sentiero ciclopedonabile costeggia larga parte delle sponde toscane dei due laghi e del canale che li congiunge garantendo scorci paesaggistici unici e pittoreschi. Questa piccolissima Coop. che detiene la concessione di pesca professionale dalla


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Provincia di Siena nel Lago di Chiusi, dà lavoro a due/ tre operai, collabora e propone studi e progetti inerenti la pesca e l’ambiente, rifornisce i ristoranti locali dei pesci tipici che consentono di mantenere viva la tradizione di piatti unici come “Il Brustico” ed il “Tegamaccio”. Intrattiene anche un proficuo rapporto commerciale con i consumatori di pesce gatto, che dal nord Italia richiedono continue forniture del pregiato baffuto. Il Brustico è un piatto unico e tradizione vuole che sia stato a noi tramandato dagli antichi Etruschi. Era il pasto quotidiano dei pescatori e raccoglitori delle erbe palustri ma anche di contrabbandieri e briganti che si nascondevano al confine tra Stato Pontificio e Granducato di Toscana nei canneti fitti e impenetrabili, intersecati da innumerevoli “viaggi” o sentieri navigabili con le tipiche barche chiusine a fondo piatto, spinte col “menatoio” (un palo, biforcuto ad una estremità, lungo fino a 5 metri, con il quale si

spinge la barca anche in mezzo al canneto più fitto). Era facile, pescare con gli attrezzi più svariati, nasse, reti, fiocine, mani, ecc, ed accendere un fiammeggiante fuoco di canne secche (non mancavano certo a chi lavorava e viveva nel mezzo dei canneti e della palude) dove far “ abbrusticare” (dal latino ustus) il pesce pescato; in genere i piccoli lucci e scardole. I pesci più grandi venivano portati a vendere nei vari mercati. Il pesce, una volta carbonizzato, veniva e viene grattato con una lama e liberato del carbone formatosi con l’ustione delle squame e della pelle, sfilettato, sventrato e ripulito da tutte le lische, così, rapidamente fatto, veniva condito con sale e aceto (oggi con sale, pepe, olio d’oliva, limone e/o aceto) e mangiato caldo o freddo accompagnato sempre da un bicchiere di buon vino, bianco o rosso ma maglio ancora rosè. Il risultato nella sua semplicità era ed è comunque ottimo per gusto e salubrità. I nostri ristoranti sono orgogliosi di poter mantenere questa tradizione e far gustare questi sapori unici. Non da meno è il “ tegamaccio”, era piatto da Signori o Nobili, comunque più elaborato; è una succulenta zuppa di pesce dove si mescolano carni di anguilla, luccio e tinca servite poi in una ciotola di coccio su una fetta di pane abbrustolito e strusciato con aglio; và accompagnato con vino rosso o rosè. Non sono meno gustosi i piatti a base di pesce gatto anche se stentano ad entrare nel menù giornaliero dei ristoranti della zona. L’offerta ed il prezzo sono molto più appetibili di altri prodotti ma manca completamente la domanda locale del prodotto. Il pescato prodotto dal lago oggi è costituito per l’80% dal Pesce Gatto seguito da un 10% di Carpa, il restante pescato è costituito da Luccio, Anguilla e Persico.

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Allevamento intensivo nella Laguna di Orbetello Lo sfruttamento della capacità produttiva della Laguna di Orbetello è evidenziato dalla significativa applicazione della tecnica dell’allevamento estensivo, che trae vantaggio appunto dalla naturale ricchezza dell’habitat acquatico lagunare. Infatti, dopo l’immissione del novellame, l’accrescimento dei pesci è affidato esclusivamente alla loro capacità di procacciarsi il cibo in situazione di naturale competitività con gli individui autoctoni presenti nei bacini lagunari. Il principale vantaggio dell’allevamento estensivo consiste nella possibilità, data all’acquacoltore, di fruire al massimo delle peculiarità delle acque, ricche ed ospitali per i piccoli pesci proprio per la loro naturale tipologia di acque lagunari costiere, con un consumo energetico estremamente basso che consentono, nei vari stadi di allevamento, un costo di produzione ridotto. Nell’allevamento estensivo vengono, appunto, ridotti al massimo i costi per lalimentazione, limitata alla prima fase di preingrasso, e quasi azzerati i costi di gestione degli ambienti poiché si utilizzano ambienti di enormi dimensioni e, quindi, siti che non presentano problematiche di innalzamenti di temperature e abbassamenti dei livelli di ossigeno, situazione tipica di quelli ad alta densità di allevamento.

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Ovviamente, è di primaria importanza la scelta del soggetto da introdurre in un ambiente sensibile come quello della Laguna di Orbetello; a tale proposito, dopo la sperimentazione con altre specie, si è individuata nellorata la specie che consente migliori risultati sia dal punto di vista produttivo sia dal punto di vista della sostenibilità ambientale. Infatti, è da rilevare come questo tipo di allevamento abbia rappresentato un esempio importante della possibilità di uninterazione positiva fra attività produttiva e conservazione ambientale: il mantenimento di una sostanziale stabilità ambientale è, infatti, alla base della redditività nel tempo di una valle da pesca (Grimaldi, 1993; Rossi, 1989). Quindi possiamo affermare che questa tecnica di allevamento è senza dubbio sostenibile per lecosistema della Laguna di Orbetello ma anche migliorativo per lambiente stesso in relazione alla capacità della specie immessa di adattarsi al meglio senza sconvolgere gli equilibri esistenti fra le specie ittiche presenti, ma soprattutto in considerazione del fatto che tali specie riescono ad utilizzare come cibo le praterie di microalghe che, in particolari condizioni, rappresenterebbero, al contrario, un problema.


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IL MESTIERE DELLA PESCA Un tempo, molti vivevano di pesca e di pesce e molti ancora oggi. Per opera (e merito) de “La Pescherec-

cia”, costituita nel 1943 (il cui logo commerciale è “Orbetello Pesca Lagunare), che ha salvato il mestiere e raggruppa ben 65 pescatori, oltre ad altrettanti addetti e collaboratori, riuscendo a sviluppare una forte attività di pescato e di allevamento estensivo, sopratutto di orate e di spigole: 3000 quintali di esemplari, inviati ed apprezzati nei mercati di tutta Italia, come ci dice Massimo Bernacchini, presidente della Cooperativa.

LE ANGUILLE DELLA TRADIZIONE Nella gamma dei prodotti della Cooperativa, insieme ad altre specie, figurano le anguille, sia fresche che lavorate. Un tempo cibo tradizionale, graditissimo, spesso presente nelle povere mense delle famiglie orbetelliane, per le quali rappresentavano una risorsa alimentare insostituibile quanto modesta, di facile approvvigionamento e in grado di offrire un po’d i soddisfazione palatale ai poveri desinari cui gran parte della popolazione, pescatori in testa, doveva sottostare. Due le ricette, destinate ad assicurare una più o meno prolungata conservazione sotto forma di affumicatura o di marinatura e quindi a rappresentare una piccola polizza contro la fame quando ce ne fosse stato bisogno oltre a consentire qualche elementare commercio. Le anguille sfumate costituivano e costituiscono la prima ricetta: si utilizzano anguille “torte”, relativamente grasse ma gustose, piccole, quelle meno richieste dal mercato; ben mondate, messe a seccare al sole e al vento di tramontana, “condite” con una salsa densa di pomodoro, peperoncino, olio, aceto, sale si affumicano con i fumi e i vapori di un fuoco di odorosi arbusti di pineta. Aper-

te, assumono un bel colore rossiccio e si servono saltate in padella per attivare morbidezza e fragranza. Un antipasto ma anche un secondo da accompagnarsi ai fagioli lessati e ben oleati. La seconda ricetta riguarda le anguille scavecciate, come le chiamano in loco, poiché si rifanno allo “scaveccio”, dallo spagnolo “ escabeche”: le anguille, mondate (anzi “morchiate” come si dice da queste parti), non aperte ma “ bagnate” di sale grosso o di cenere, asciugate all’aria, appese come “fossero calzini” , ridotte a pezzi si mettono a friggere o ad arrostire in padella abbondante d’olio d’oliva e finalmente le si sommergono nello scaveccio. Cioè in una sorta di conserva o marinatura a base di aceto o vino bianco, aglio,peperoncino, salvia, rosmarino, alloro. Spesso le anguille così preparate si introducevano in un comodo recipiente di vetro o in un caratello, ben rimboccandole di scaveccio. Si conservavano mesi e mesi. La Cooperativa di pesca le ripropone al consumo, salvaguardando tradizione e gastronomia. INFO: Cooperativa Orbetello-Pesca Via Leopardi 9- Orbetello Tel.0564. 860288

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LE LEONESSE DEL MARE C’è un gruppo di donne, a Marina di Carrara, un gruppo addirittura multietnico, che lancia la sua sfida alla crisi e a un lavoro difficile e pesante con un’alleanza tutta particolare. Donne che pescano, e l’alleato-nemico è il mare. Con orari peggio della caserma, del monastero: alcune si alzano alle quattro del mattino, ogni giorno, e portano il peschereccio al largo, gettano le reti e tirano su il largo a bordo di un peschereccio, e tirano su il pesce fresco da portare sui banchi della bottega “Bio e Mare”, dove le altre socie vendono il pescato e confezionano prodotti biologici. Radi, Sabrina, Tania, Maria Laura, Valentina, Rita, Cristina, Margherita e Carolina hanno un’età compresa tra i 20 e i 40 anni e hanno fondato la prima cooperativa di pescatrici donne. Molti le hanno chiamate “leonesse”: ma queste ragazze meritano davvero l’attenzione, e anche il successo, perché hanno scelto di il mare, praticando una pesca sostenibile. Sfruttano in modo intelligente le numerose varietà di pesce del Mediterraneo, inventandosi prodotti di conserva con metodi e ingredienti biologici richiestissimi dai gruppi d’acquisto solidali. A metà maggio apriranno un ristorante dove servire a pranzo e cena il pesce che hanno tirato su al mattino e persino il prezzo del menu dovrebbe essere solidale con le nostre tasche: sui 15 euro a persona. Della Bio & Mare fa parte Radoslava (Rady) Petrova, bulgara di nascita, italiana di adozione, fondatrice della prima cooperativa italiana di pescatrici. E la sua è la storia-esempio di questo gruppo. Una donna che prima di tutto ci mette una grande passione. “Sì, ho sempre avuto un’attrazione forte. Forse sarà stata mia nonna a trasmettermela. Lei abitava in un villaggio sul Mar Nero. Ricordo bene i tempi trascorsi insieme. Quanto ci divertivamo!”, confessa

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in un’intervista rilasciata al sito tipitosti.com. Rady Petrova – tre lauree nel paese di origine: giornalismo, turismo e pedagogia – è da circa tredici anni nel Belpaese, sposata e separata da un italiano; oggi il mare rappresenta la sua unica fonte di guadagno e, soprattutto, di benessere. La cooperativa è composta oltre che dalla presidente bulgara da un team internazionale: Margherita polacca, Carol colombiana, Sabrina, Tania, Cinzia e Rita - italiane. Rady descrive com’è nata l’idea: “Avevo lavorato per la cooperativa di pescatori, la Maestrale, di Massa Carrara, presieduta da Giuseppe Maffei. Ero in ufficio. E a dire la verità, quell’impiego mi stava stretto. Così, con Sabrina, una mia amica, ho pensato a qualcosa di diverso, al femminile. Abbiamo avuto l’incoraggiamento e l’aiuto dei pescatori della Maestrale. Ci siamo formate, abbiamo capito che il mare è la nostra passione. Ed eccoci qua.” La cooperativa pesca nella zona in cui opera oltre al pesce azzurro, agli scampi e ai gamberoni anche altre tipologie di pesce meno conosciute e pregiate, utili a salvaguardare l’ambiente marino. Il 70% del pescato giornaliero viene prenotato dei gruppi di acquisto solidale (GAS). Nel laboratorio annesso alla pescheria, il pesce non venduto viene trasformato in prodotti biologici con un metodo di produzione regolarmente certificato. Inoltre, Rady è impegnata con l’associazione “Pesce, mare e fantasia” facendo la promozione dei prodotti ittici del posto Rady afferma che il un mondo maschile come quello dei pescatori, loro sono la prima bandiera rosa. È bello sentire quello che dice a proposito dell’accoglienza riservata alla cooperativa femminile da parte degli uomini sul molo. “Ci vogliono bene, siamo coccolate. E ci aiutano anche quando c’è da sbarcare le casse di pesce.”


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