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L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO

GIORNALE QUOTIDIANO

Non praevalebunt

Unicuique suum Anno CLIV n. 187 (46.729)

Città del Vaticano

mercoledì 20 agosto 2014

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Con i giornalisti durante il viaggio di rientro dalla Corea Papa Francesco rilancia le speranze di pace per il continente asiatico e per il mondo

Una porta sempre aperta E chiede alla comunità internazionale di valutare i mezzi con i quali fermare le aggressioni ingiuste contro i popoli Quindici risposte, come sempre senza mezzi termini o alchimie linguistiche, ad altrettante domande «a tutto campo». Per oltre un’ora Papa Francesco «come Daniele nella fossa dei leoni». Così egli stesso aveva definito l’ormai consueto incontro di fine viaggio con i giornalisti che lo accompagnano. E anche ieri, lunedì 18 agosto, pochi minuti dopo il decollo da Seoul, il Papa si è presentato nel reparto dell’aereo riservato agli operatori della comunicazione e si è sottoposto alle loro domande. Diversi i temi toccati: tra questi, la sofferenza per la situazione irachena; il timore di essere avviati verso una «terza guerra mondiale» ma condotta «a pezzi»; l’ennesima condanna della crudeltà della tortura, soprattutto quando coinvolge dei bambini; la volontà di recarsi personalmente nei luoghi dove i popoli soffrono e la disponibilità ad andare in Cina «anche domani»; le prospettive della preghiera per la pace nel Medio Oriente; il singolare modo di trascorrere le vacanze in Vaticano; il rapporto con il Papa emerito; il pro-

getto di un’enciclica “ecologica”; la beatificazione dell’arcivescovo di San Salvador Óscar Arnulfo Romero; i prossimi viaggi internazionali. Naturalmente ad attirare l’attenzione della stampa internazionale sono state anzitutto le sue affermazioni a proposito della tragedia che si sta consumando in Iraq. Rispondendo a una domanda a proposito del bombardamento delle milizie jihadiste, Papa Francesco ha detto di ritenere «lecito fermare l’aggressore ingiusto». Ma, ha precisato per evitare false o comunque errate interpretazioni, «sottolineo il verbo fermare. Non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo». E ha sottolineato che «i mezzi con i quali si possono fermare dovranno essere valutati» e valutati insieme dalla comunità internazionale, perché «una sola nazione — ha poi aggiunto — non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto». Sul tema dei conflitti che incendiano vaste aree del mondo il Pontefice è poi tornato riferendosi alla drammatica situazione di Gaza. E ri-

cordando l’incontro di preghiera svoltosi l’8 giugno scorso in Vaticano con i presidenti israeliano e palestinese, lo ha giudicato non «un fallimento» ma «una porta aperta»: quella della preghiera, che deve andare di pari passo con il negoziato e il dialogo. Di estrema attualità anche la questione del rapporto con la Cina. Un Paese che ha una grande storia, ha ricordato tra l’altro il Pontefice richiamando anche la testimonianza del missionario gesuita Matteo Ricci. Un popolo, quello cinese, che — ha aggiunto — è «bello, nobile; un popolo saggio che noi rispettiamo». Tra le altre domande gli è stato chiesto quali fossero i suoi rapporti con Benedetto XVI. E sottolineando la normalità con la quale egli vive la sua vicinanza al Papa emerito, ha rivelato di averlo incontrato prima di partire per la Corea, affermando: «È un uomo di grande saggezza e sentirlo mi fa bene e mi incoraggia». PAGINE 4

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Riconquistate alcune località finite sotto il controllo dei miliziani

Controffensiva curda nel nord dell’Iraq

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BAGHDAD, 19. Prosegue, con successo, la controffensiva delle forze curde nel nord dell’Iraq impegnate ad arginare l’avanzata dei miliziani dello Stato islamico. Dopo la riconquista della grande diga di Mosul — di forte valore strategico essendo la struttura di vitale importanza per almeno metà del Paese — i combattenti curdi hanno annunciato ieri di aver sottratto al controllo dei jihadisti alcune località situate nelle aree settentrionali del Paese. In questo scenario un importante contributo è dato dai raid aerei statunitensi che da giorni stanno compiendo attacchi per colpire le postazioni dei miliziani dello Stato islamico.

Un combattente curdo nei pressi di Mosul (Afp)

Ieri il presidente statunitense, Barack Obama, ha salutato con viva soddisfazione la riconquista della diga di Mosul (era caduta nelle mani dei jihadisti il 7 agosto). Una riconquista, ha detto il capo della Casa Bianca, che rappresenta «un passo importante» ottenuto «dalle forze irachene con il sostegno delle forze statunitensi». Per quanto riguarda gli aiuti alle popolazioni sofferenti, in fuga dalle violenze, Obama ha affermato che gli Stati Uniti stanno cercando di realizzare una «coalizione internazionale» per far fronte alla crisi umanitaria nel nord dell’Iraq. In tal senso, ha detto Obama, Washington «lavorerà con il Governo iracheno e con partner come Gran Bretagna, Francia, Italia e Australia, per fornire acqua e assistenza alle persone che sono state costrette a fuggire dalle loro case». Combattimenti, intanto, sono segnalati nella provincia di Al Anbar, dove i miliziani, nei giorni scorsi si sono impadroniti di alcune località. L’esercito di Baghdad è impegnato nel riconquistarle: nello stesso tempo le forze locali sono riuscite a respingere il tentativo dei jihadisti di impadronirsi della strategica città di Haditha, sull’Eufrate. Importante in questo caso il contributo dato dalle tribù locali all’esercito iracheno. In queste ore, intanto, si rincorrono gli interrogativi circa le precise modalità da seguire, in alcuni Paesi europei, nel sostegno alla causa irachena. In Gran Bretagna il ministro della Difesa, Michael Fallon, ha confermato ieri un utilizzo più ampio dei jet della Raf e ha parlato di un impegno che potrebbe durare mesi: in questo senso si supererebbe la natura strettamente umanitaria della missione. Ma il primo ministro, David Cameron, anche ieri è intervenuto per escludere un dispiegamento di forze, seppur limitato, sul terreno. «Non siamo coinvolti in una nuova guerra in Iraq» ha dichiarato Cameron. Riguardo alla Germania, si segnale che mentre prosegue l’erogazione di aiuti umanitari nel nord dell’Iraq, si è aperto a Berlino un vivace dibattito sull’opportunità o meno di inviare anche forniture militari: scenario, rilevano gli osservatori, che ribalterebbe una delle linee guida della politica estera tedesca, ovvero non esportare armi in Paesi in guerra. Comunque la settimana scorsa sono stati forniti, per la prima volta, anche beni non

umanitari. Attrezzature che, come hanno precisato fonti del ministero della Difesa, non possono essere utilizzate per uccidere: veicoli da difesa, strumenti per vedere di notte. Il dibattito se fornire o meno anche armi è in corso, ma il Governo non ha ancora preso una decisione. È arrivato intanto ieri a Baghdad, in visita ufficiale, il ministro degli Esteri libanese, Gebran Bassil, che si è poi trasferito a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, per colloqui con il presidente della regione autonoma, Massoud Barzani.

Proseguono i negoziati tra Israele e Hamas

Prolungato il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza TEL AVIV, 19. «La tregua nella Striscia di Gaza è stata prolungata di altre 24 ore per completare i negoziati». L’annuncio arriva da un portavoce di Hamas, Izzat Risheq, a poco meno di due ore dalla scadenza del cessate il fuoco concordato con Israele e mediato dall’Egitto. Il Governo israeliano e il movimento islamico che controlla la Striscia hanno dunque accettato un’estensione di 24 ore della tregua. Ma la vera novità delle ultime ore è che per la prima volta dall’inizio dei negoziati indiretti al Cairo la delegazione israeliana ha deciso di prolungare la propria permanenza nella capitale egiziana. La decisione — riferiscono fonti di stampa — è dovuta a «importanti sviluppi per un cessate il fuoco duraturo». Vanno avanti, dunque, anche se con qualche difficoltà, i negoziati. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas vedrà oggi il leader dell’ufficio politico di Hamas, Khaled Meshal, per esaminare le modalità di un accordo più vasto con Israele. Secondo fonti di stampa, Abbas si recherà venerdì al Cairo per un incontro col presidente egiziano Abdel Fattah El Sissi. Dal canto suo, il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha affermato che Israele approverà un «cessate il fuoco» permanente a Gaza «solo se verranno garantite le sue necessità di sicurezza» e dunque solo se ci sarà la completa smilitarizzazione della Striscia controllata da Hamas, con la distruzione di tutti i tunnel nel sud del territorio. Hamas chiede invece la li-

berazione dei detenuti politici in Israele e la fine dell’embargo. «Siamo pronti a qualsiasi scenario; l’esercito è pronto a rispondere con la forza se il lancio dei razzi riprenderà» ha detto Netanyahu. Continua intanto, tra mille difficoltà, la ricostruzione a Gaza. I donatori internazionali hanno fatto sapere che si incontreranno al Cairo

per mettere a punto la ricostruzione solo una volta che sarà raggiunta una tregua stabile. I fondi, raccolti sotto l’egida di Norvegia ed Egitto, saranno erogati all’Autorità palestinese, come ha spiegato il ministro degli Esteri norvegese, Børge Brende, il cui Paese guida il comitato internazionale per gli aiuti ai palestinesi.

Nella Striscia la situazione resta però drammatica. Decine di migliaia di persone sono rimaste senza casa; scarseggiano viveri, beni di prima necessità, farmaci e servizi di ogni tipo. La situazione è critica anche sul fronte del lavoro: circa trentamila persone sono rimaste disoccupate a Gaza — su un totale di 330.000 lavoratori — a causa delle ultime operazioni israeliane contro la Striscia. Lo denuncia la sezione di Gaza del Sindacato dei lavoratori palestinesi, secondo cui sono 170.000 le persone che nel territorio palestinese hanno perso il lavoro a causa dell’embargo israeliano e delle operazioni militari. Il sindacato, come riporta l’agenzia di stampa Anadolu, denuncia la distruzione nell’ultima offensiva israeliana a Gaza di fabbriche, negozi e laboratori. Secondo le autorità locali di Gaza, nel bilancio del conflitto reso noto ieri, i morti a causa dell’offensiva israeliana lanciata l’8 luglio scorso sono 2.016, mentre i feriti 10.193. Da parte israeliana, 64 soldati e tre civili sono morti a causa del lancio di razzi dalla Striscia.

Nelle prime ore del 20 agosto 1914

Un secolo fa moriva Papa Pio Palestinesi tra le macerie a Gaza (Reuters)

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L’OSSERVATORE ROMANO

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mercoledì 20 agosto 2014

Violenze a Ferguson mentre Obama ammette che sulla questione razziale in America c’è ancora molto da fare

Kiev accusa i filorussi di aver causato una strage di civili

L’urlo e il furore

Quotidiano orrore in Ucraina

WASHINGTON, 19. La rabbia di Ferguson non sembra attenuarsi, e l’America si trova a fare i conti con un presente che richiama terribilmente il suo recente passato. A dieci giorni dalla morte di Michel Brown — il diciottenne nero, disarmato, ucciso con sei colpi di pistola dalla polizia locale — la città continua a vivere nella violenza, costringendo il governatore del Missouri, Jay Nixon, non solo a chiedere l’intervento della Guardia Nazionale, tutt’ora dispiegata nelle strade, ma anche a togliere il coprifuoco imposto per due notti e per due notti violato. Nel tardo pomeriggio la polizia aveva compiuto alcuni arresti, tra i quali quello di un fotografo di Getty Images, Scott Olson, poi rilasciato alcune ore dopo. Poi le cose sono degenerate quando, secondo quanto riferiscono fonti di stampa sul posto, alcuni manifestanti hanno iniziato a lanciare pietre contro la polizia, che ha reagito inviando i blindati tra la folla e in molti sono scappati correndo. Molti altri manifestanti hanno però cercato di isolare i più violenti e di continuare la protesta pacificamente. Del resto, il capo della polizia stradale del Missouri, Ron Johnson, che ha la responsabilità dell’ordine pubblico, aveva nel pomeriggio stabilito nuove restrizioni e ammonito che non sarebbero stato consentito ai manifestanti di creare nuovi tafferugli e disordini. «La scorsa notte, in una giornata di speranza, preghiere e manifestazioni pacifiche sono state rovinate dalle violenze di

Manifestante con il volto coperto dalla bandiera statunitense a Ferguson (Ansa)

un gruppo di individui» ha affermato il governatore Nixon in una nota. «La Guardia nazionale — ha aggiunto — aiuterà a ristabilire la pace e l’ordine nella comunità». Il presidente Barack Obama, rientrato ieri sera alla Casa Bianca dalle vacanze estive, è stato aggiornato sui fatti dal procuratore generale Eric Holder, il quale ha disposto una autopsia indipendente su Michael Brown, dopo quelle fatte dal medico

Nel mirino gli stipendi dei manager britannici

I banchieri centrali si riuniscono a Jackson Hole

Sotto esame l’economia globale

Il presidente della Federal Reserve Janet Yellen (Reuters)

WASHINGTON, 19. Si apre questo fine settimana a Jackson Hole, negli Stati Uniti, l’annuale meeting nel quale i principali banchieri centrali, di tutto il mondo si riuniscono per fare il punto sull’economia globale. Uno dei temi cruciali del meeting saranno le strategia per la ripresa, con un occhio rivolto in particolare all’economia reale: il rilancio del mercato del credito a favore delle persone, delle famiglie, delle piccole e medie imprese. Secondo le attese della stampa, i due protagonisti quest’anno dovrebbero essere Janet Yellen, presidente della Federal Reserve (la Banca centrale statunitense), e Mario Draghi, presidente della Bce (la Banca centrale europea). Se dalla prima non sono attese grandi novità o annunci, il numero uno della Bce potrebbe invece rivelare nuove strategie in un momento molto delicato per l’eurozona, nel quale anche la locomotiva tedesca inizia a mostrare segni di rallentamento. «Draghi sta finendo gli strumenti legali per riparare l’euro» afferma Wolfgang Munchau sulle pagine del quotidiano economico «Financial Times», mettendo in rilievo che il principale errore del presidente della Bce sarebbe stato quello di non attuare manovre adeguate contro l’inflazione. Da Yellen è attesa una lezione in stile accademico, durante la quale

il presidente della Fed dovrebbe spiegare perché a suo avviso il sostegno del suo istituto all’economia statunitense è ancora necessario e perché non bisogna credere troppo facilmente che la crisi finanziaria sia passata.

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della contea e dal dottor Michael Baden, incaricato dalla famiglia della vittima. Domani Holder si recherà a Ferguson insieme a una delegazione parlamentare bipartisan. Sempre ieri in un discorso Obama ha sottolineato che il ricorso alla Guardia Nazionale deve essere limitato perché «il diritto di riunirsi e di parlare deve essere salvaguardato». Ma ha aggiunto che «se non ci sono scuse per l’uso eccessivo della forza da parte

LONDRA, 19. Nonostante i ripetuti appelli a un calmieramento dei bonus e delle paghe ai manager, nel Regno Unito la differenza fra stipendio medio di un dirigente e quello di un impiegato sarebbe triplicata nell’arco di quindici anni, giungendo ora a un rapporto di 143 a uno. In pratica, ha sottolineato il think tank High Pay Centre, che ha diffuso queste stime, al momento gli alti dirigenti delle aziende, sia private che pubbliche, del Regno Unito vengono pagati mediamente 143 volte in più di un «normale lavoratore» della stessa azienda. Il think thank High Pay Centre, di conseguenza, ha chiesto al Governo di prendere «provvedimenti radicali» per contenere le paghe, che stanno creando «un profondo senso di ingiustizia». Queste stime stanno già creando un certo disagio nel Regno Unito, segnala l’agenzia Agi, dove l’ufficio nazionale di statistica ha mostrato come, negli ultimi dodici mesi, la paga media sia diminuita dello 0,2 per cento.

Accentuati contrasti sulla riforma costituzionale congolese KINSHASA, 19. La questione di un’eventuale revisione costituzionale nella Repubblica Democratica del Congo, auspicata dal presidente Joseph Kabila per poter concorrere nel 2016 a un nuovo mandato, allo stato attuale precluso, resta tra gli argomenti principali al centro del confronto politico nel Paese. Contro l’ipotesi è fermamente schierata l’opposizione e ora anche all’interno della maggioranza parlamentare si sollecita un dibattito aperto e approfondito. Lo ha fatto nel fine settimana il Movimento sociale per il rinnovamento, seconda forza della coalizione governativa, insistendo sulla necessità che la revisione costituzionale non sia tenuta segreta

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né che in alcun modo possa rispondere a singoli interessi e ribadendo che su un tema tanto sensibile occorre raggiungere una posizione comune della maggioranza e un auspicabile accordo anche con l’opposizione. Quest’ultima, da parte sua, mantiene ferma la sua contrarietà e denuncia intimidazioni del Governo. Tra l’altro, un suo esponente di spicco, il deputato Jean-Bertrand Ewanga, segretario generale dell’Unione per la nazione congolese, è stato arrestato la settimana scorsa con l’accusa di incitamento all’odio e oltraggio al capo dello Stato per alcune dichiarazioni fatte in una manifestazione contro la riforma costituzionale.

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della polizia, la gente deve manifestare pacificamente». Poi il presidente si è concentrato sulla questione razziale: «Abbiamo fatto progressi straordinari, ma c’è ancora molto da fare. In molte comunità — ha aggiunto l’inquilino della Casa Bianca — i giovani neri sono ancora visti come soggetti di cui avere paura». Intanto, si cerca di ricostruire le condizioni della morte del giovane Brown. La versione della famiglia del ragazzo morto è molto chiara: Michael sarebbe stato ucciso da colpo di pistola alla testa, esploso mentre si stava chinando. In sostanza, un’esecuzione. Tanto che in un’intervista alla rete Abc la madre di Michael, Lesley McSpadden, ha lanciato un appello per far arrestare l’agente che ha sparato e ucciso il figlio «e riportare così la pace». Opposta la versione della polizia, secondo la quale Michael aveva rubato una scatola di sigari e fatto uso di stupefacenti. Fermato dagli agenti, era scappato. Poi, tornato sui suoi passi, aveva deciso di sfidare apertamente i poliziotti, cercando di sottrarre la pistola a uno di loro. Di qui la reazione.

KIEV, 19. La guerra nell’Ucraina orientale sembra non risparmiare neppure i rifugiati in fuga, mentre la diplomazia internazionale prosegue i suoi sforzi a Berlino ma per adesso senza risultati concreti. Kiev ha accusato ieri i secessionisti filorussi di aver causato una strage sparando con mortai e lancia missili multipli — forniti da Mosca, secondo le autorità ucraine — contro una colonna di bus carichi di rifugiati sulla strada tra Khriaschuvate e Novosvitlivka. La strage avrebbe avuto luogo vicino a Lugansk, bastione dei filorussi dal quale sono scappate circa duemila persone in due giorni. «Molti civili sono stati uccisi, tra cui donne e bambini» ha sostenuto il portavoce militare ucraino Andrii Lisenko, senza peraltro fornire un bilancio preciso. Accuse respinte dai miliziani, che da giorni accusano a loro volta le forze di Kiev di fare strage di civili, a colpi di artiglierie, nelle aree di Donetsk e Lugansk. Le violenze, dunque, continuano senza tregua. Nelle ultime ore hanno perduto la vita nove soldati ucraini; venti sono rimasti feriti. E i bombardamenti provocano anche danni collaterali. Come è capitato ai trenta minatori ancora intrappolati a causa delle bombe sotto la Komsomolets, una delle più grandi miniere del Donbass, di proprietà dell’oligarca Rinat Akhmetov, con 4.800 operai: la miniera è potenzialmente esplosiva. O come è capitato agli abitanti dell’ormai semideserta Donetsk, l’altra roccaforte dei separatisti filorussi: sono rimasti senz'acqua potabile dopo che un tiro d’artiglieria ha danneggiato la linea elettrica che alimenta il principale impianto di purificazione. Numerose e lunghe le code davanti ai chioschi e nei supermercati. I controversi aiuti umanitari russi (trecento camion con 1800 tonnellate di viveri e medicinali) sono fermi da cinque giorni alla frontie-

ra, nonostante l’accordo trovato tra Kiev e Mosca per la loro ispezione da parte della Croce Rossa internazionale prima dell’ingresso in territorio ucraino. Secondo il capo della diplomazia di Mosca Serghiei Lavrov, questo è l’unico punto sul quale è stato trovato «pieno consenso» nei negoziati a Berlino tra i ministri degli Esteri di Russia, Ucraina, Germania e Francia, che proseguiranno nei prossimi giorni. Nessun risultato positivo invece su tregua e soluzione politica: secondo Lavrov, il cessate il fuoco «deve essere senza condizioni». Sabato il cancelliere tedesco, Angela Merkel, si recherà a Kiev per rilanciare il dialogo. Intanto, Mosca ha fatto sapere oggi che è pronta a rispondere a nuove sanzioni occidentali. Il portavoce del Cremlino ha detto che «si stanno esaminando ulteriori misure da approvare» se Ue e Stati Uniti «continueranno a ricorrere alla politica non costruttiva e addirittura distruttiva» delle sanzioni.

Vietati per quaranta giorni tutti gli ingressi dalla Nigeria

Contro l’ebola il Camerun chiude le frontiere YAUONDÉ, 19. Il Camerun ha chiuso le frontiere con la Nigeria per scongiurare il contagio dall’epidemia di ebola. Lo ha annunciato ieri il portavoce del Governo di Yauondé, il ministro dell’Informazione Issa Tchiroma Bakary, specificando che la misura resterà in vigore almeno una quarantina di giorni, in modo da consentire di valutare l’evoluzione dell’epidemia nel Paese confinante. Qualora alla fine di tale periodo in Nigeria non dovesse essere registrato alcun nuovo caso di infezione, le frontiere verranno riaperte, ha detto Bakary. A Lagos, principale metropoli nigeriana, ci sono state finora quattro vittime del virus. L’epidemia, intanto, ha fatto segnare conseguenze pesanti negli ultimi giorni. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha comunicato

oggi che tra il 14 e il 16 agosto sono stati accertati 113 nuovi casi di contagio con 84 decessi in Guinea, Liberia, e Sierra Leone, insieme con la Nigeria unici Paesi finora colpiti. D all’inizio dell’anno, quando il virus si è manifestato in Guinea, l’Oms ha accertato 1.229 decessi (466 in Liberia, 394 in Guinea, 365 in Sierra Leone e appunto quattro in Nigeria) su un totale di 2.240 casi. Nel frattempo, è stato accertato che la donna britannica trovata morta in Austria dopo un recente viaggio in Nigeria non aveva contratto il virus dell’ebola. Lo hanno confermato le analisi dell’Istituto tropicale di Amburgo, in Germania, al quale si erano rivolte le autorità sanitarie del land austriaco del Tirolo, che avevano comunque già parlato di probabilità in questo senso estremamente basse.

Personale medico controlla una ragazza sospettata di aver contratto l’ebola (La Presse/Ap)

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Pesante tributo di sangue degli operatori umanitari NEW YORK, 19. In un solo anno nel mondo sono stati uccisi 155 operatori umanitari, altri 171 sono stati feriti in modo grave e 134 sono stati rapiti. Lo rivela un rapporto relativo al 2013, che il centro studi Humanitarian Outcomes ha diffuso oggi, in occasione della Giornata mondiale umanitaria, istituita dall’Onu e che si celebra appunto il 19 agosto, nell’anniversario dell’attentato del 2003 contro la sede dell’Onu a Baghdad. Secondo la ricerca, inoltre, nei primi mesi di quest’anno gli operatori umanitari assassinati sono stati già 79, più di quanti furono uccisi in tutto il 2012. Le statistiche, compilate dall’Humanitarian Outcomes, rivelano che tra il 2012 e il 2013 c’è stato un incremento del 66 per cento del numero degli agguati mortali. Circa i tre quarti dei 251 episodi accertati si sono verificati in Afghanistan (il Paese più pericoloso con 81 vittime), Pakistan, Sudan e Sud Sudan.

Nuova strage perpetrata da Boko Haram ABUJA, 19. Dieci civili nigeriani, fuggiti da Krenuwa, un villaggio dello Stato nordorientale del Borno, attaccato il 6 luglio dai miliziani di Boko Haram, sono stati uccisi in un nuovo assalto di questi ultimi sferrato domenica nei non distanti villaggi di Durwa e Maforo, dove avevano trovato scampo. Il nuovo assalto, secondo fonti locali, è stato sferrato per rappresaglia dopo un’operazione militare, ma aveva come obiettivo proprio le persone scampate a quello contro Krenuwa. Secondo i testimoni del nuovo episodio di violenza, infatti, i miliziani del gruppo di matrice fondamentalista islamica, responsabili dell’uccisione di migliaia di civili in attacchi armati e attentati terroristici, al loro arrivo a Durwa e Maforo hanno cercato le persone originarie di Krenuwa e le hanno uccise.

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Completate le operazioni effettuate dalla nave statunitense Cape Ray

Colpite a Tripoli postazioni delle milizie di Misurata

Distrutte in mare le armi chimiche siriane

Raid aerei su islamisti libici

WASHINGTON, 19. Il Governo di Washington ha annunciato il completamento della distruzione in mare delle armi chimiche siriane, effettuata a bordo della nave statunitense Cape Ray. Come noto, il Governo di Damasco accettò un anno fa di consegnare il proprio arsenale chimico a una missione congiunta dell’Onu e dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac), dando seguito a un accordo raggiunto soprattutto fra Stati Uniti e Russia. Questo mise fine a settimane di tensione seguite a un attacco chimico che aveva colpito la popolazione civile. L’opposizione al presidente siriano Bashar Al Assad accusò l’eser-

Novecento morti in due mesi nella provincia di Helmand KABUL, 19. Mentre l’Afghanistan sta cercando di darsi un più equilibrato assetto istituzionale, anzitutto con la nomina del nuovo capo dello Stato (ciò dovrebbe avvenire entro la fine del mese), le persistenti violenze rischiano di minare sempre più la stabilità del territorio, già logorato da anni di conflitto. Questa realtà trova conferma nei dati resi noti ieri riguardo al bilancio delle vittime causate dagli scontri, nella turbolenta provincia di Helmand, tra le forze regolari e i talebani: in due mesi i morti sono stati novecento, in buona parte civili. In particolare nel distretto di Sangin i combattimenti sono stati cruenti. Il governatore della provincia di Helmand, Muhammad Naeem, ha poi sottolineato che i feriti sono più di mille e che molte persone, in queste ultime settimane, si sono viste costrette ad abbandonare la propria casa per sfuggire alle violenze. Ma è proprio nella provincia di Helmand che negli ultimi giorni sembra si stiano aprendo spiragli di dialogo fra il Governo e i talebani. Questa prospettiva, con tutte le cautele del caso, è stata indicata dal comandante delle forze speciali, Asafddulah Shizard, il quale ha anche osservato che se le autorità di Kabul e i miliziani riuscissero a raggiungere un accordo, lo stesso potrebbe servire da utile base per siglare ulteriori intese con i talebani in altre aree critiche del territorio. Del resto, a livello nazionale, gli sforzi finora compiuti nell’intavolare negoziati di pace tra il Governo e i talebani si sono rivelati infruttuosi. Ieri intanto un commando armato ha ucciso a colpi d’arma da fuoco Hamid Mirzai, responsabile dei servizi di intelligence per la provincia di Herat.

cito governativo, trovando credito a Washington, al punto che il presidente Barack Obama prospettò a lungo un intervento armato. Da parte sua, Damasco accusò i ribelli, ottenendo sostegno da molti osservatori internazionali. All’epoca, infatti, appariva vincente l’offensiva delle truppe governative contro gli insorti e questi ultimi non nascondevano di puntare soprattutto su un intervento armato straniero. Nessuna inchiesta internazionale, comunque, ha potuto accertare la responsabilità dell’uso in Siria di queste armi di distruzione di massa. Dopo settimane di crescente tensione e di stallo diplomatico all’Onu, la svolta arrivò al termine di una riunione del G8, all’epoca sotto presidenza di turno russa, che fino all’ultima ora era apparsa inconcludente. L’intesa fu annunciata dopo un colloquio tra Obama e il presidente russo Vladimir Putin, al quale, tra gli altri, si era rivolto lo stesso Papa Francesco. Damasco accettò di consegnare il suo arsenale alla missione congiunta dell’Onu e dell’Opac. Nonostante le difficoltà di spostare tali armi attraverso regioni siriane ormai da tempo fronti di guerra, le operazioni si sono completate. Le sostanze chimiche sono state portate fuori dalla Siria dalla nave danese Ark Futura e poi

Un militare libico durante una pausa dei combattimenti (Afp)

TRIPOLI, 19. Le forze guidate dal generale dissidente libico Khalifa Haftar, protagoniste della cosiddetta Operazione dignità, hanno rivendicato il raid aereo sferrato ieri nella capitale Tripoli contro una forza islamista di Misurata. Lo riporta la stampa locale, citando le dichiarazioni di uno dei comandanti militari vicini ad Haftar. Nel raid, cinque miliziani islamici sono rimasti uccisi e diversi feriti. Il cacciabombardiere che ha effettuato il raid ha colpito un centro del gruppo islamista allestito vicino alla strada che conduce all’aeroporto della capita-

le, in un’area tornata da un paio di settimane, dopo un breve periodo di relativa tregua, teatro di aspri combattimenti tra le milizie di Zintan e appunto di Misurata. In precedenza, il generale Suleiman Obeidi, capo delle forze armate regolari libiche, aveva sostenuto che almeno una delle bombe sganciate durante il raid era del tipo Mk83, di fabbricazione statunitense, cioè un modello per il cui impiego nessun aereo libico è dotato delle tecnologie necessarie. Questo aveva alimentato le voci di un intervento di forze straniere.

Per protesta contro il Governo parte dell’opposizione annuncia l’intenzione di abbandonare il Parlamento

Si rischia la crisi istituzionale in Pakistan PAKISTAN, 19. Si rischia la crisi istituzionale in Pakistan. Sta acquistando dimensioni sempre più vaste la protesta contro il primo ministro, Nawaz Sharif, e lo scenario che nelle ultime ore si sta configurando è caraterizzato da uno scontro aperto fra Governo e opposizione. Ieri i deputati del blocco del partito del leader dell’opposizione, Imran Khan, hanno annunciato l’intenzione di abbandonare il Parlamento, come segno di aperta protesta contro le politiche dell’Esecutivo. Tale annuncio è arrivato nel momento in cui il Governo sta cercando di intavolare trattative sia con la formazione di Khan, il partito della Giustizia, sia con la formazione guidata da Tahir Ul Qadri. I due leader dell’opposizione accusano l’Esecutivo di «mancanza di legittimità»: a loro dire, le elezioni politiche, svoltesi nel maggio dello scorso anno, sarebbero state macchiate da brogli. Il 14 agosto, per le strade della capitale Islamabad, hanno sfilato centinaia di dimostranti (l’opposizione, rilevano le agenzie di stampa internazionale, contava su una partecipazione più massiccia) che hanno intonato slogan contro il premier, chiedendo le sue dimissioni. Sharif, dal canto, suo, oltre a respingere ogni ipotesi di dimissioni, ha tenuto a precisare che è sua intenzione fare piena luce sulle accuse formulate riguardo a presunti brogli. Tanto che si sta pensando di formare una commissione d’inchiesta inca-

Sostenitrici dell’opposizione durante un raduno politico a Islamabad (Reuters)

Verso un’intesa nelle Filippine sulla regione autonoma musulmana MANILA, 19. È stata consegnata ieri al presidente delle Filippine, Benigno Aquino, la bozza finale del trattato per la creazione di una nuova regione autonoma musulmana nel sud del Paese. Questa, nelle speranze della popolazione e delle autorità, dovrebbe propiziare la fine di un conflitto quarantennale che ha provocato oltre 120.000 vittime, soprattutto nel Mindanao. Il documento potrà ora essere trasmesso dal presidente al Parlamento per essere trasformato in legge e quindi essere in vigore prima della fine del mandato presidenziale di Aquino a metà 2016. Per il presidente si tratta di un successo politico. Un accordo con il maggior movimento di guerriglia islamista, il Fronte islamico di liberazione Moro (Milf), seppure avversato da altri gruppi indipendentisti e di matrice fondamentalista islamica, era stato infatti tra i prin-

trasbordate sulla Cape Ray, dove all’inizio di luglio si è incominciato a distruggerle. Obama ha espresso soddisfazione e gratitudine per l’Onu, l’Opac e i Paesi che hanno collaborato: Danimarca, Finlandia, Gran Bretagna, Italia e Norvegia. Obama, comunque, si è detto intenzionato a «verificare attentamente che la Siria adempia ai suoi impegni per la distruzione degli impianti dei quali ancora dispone per la produzione di armi chimiche». Nonostante tale positivo sviluppo, la situazione in Siria resta estremamente difficile e non s’interrompono i combattimenti non solo tra esercito e ribelli, ma anche tra le diverse formazioni di questi ultimi, che fra l’altro dispongono sempre più di armi sofisticate. Ne ha dato un’ulteriore conferma ieri la Federal Aviation Administration (Faa), l’agenzia federale statunitense per l’aviazione civile, che ha sconsigliato tutti i voli commerciali nei cieli della Siria. «Gruppi estremisti armati in Siria dispongono di una varietà di armi antiaereo che hanno la capacità di minacciare aerei civili», si legge in un comunicato della Faa, che ultimamente aveva preso analoghi provvedimenti per lo spazio aereo di Ucraina, Iraq e anche Israele.

cipali impegni presi nel 2010 da Aquino con i suoi elettori. A giudizio di molti osservatori, questo sviluppo potrebbe rafforzare la volontà espressa dal presidente di candidarsi a un secondo mandato, ottenendo dal Parlamento e poi eventualmente con un referendum una modifica della Costituzione che ora gli nega tale possibilità. Lo stesso Aquino, peraltro, non ha nascosto le difficoltà di arrivare a un accordo, che ha già mancato la scadenza del 5 maggio per la presentazione al Parlamento di Manila e che da allora si è trascinato su questioni di espressione e di interpretazione. La bozza, frutto del negoziato tra commissione governativa e Milf prevede un’autorità di transizione che operi fino alle elezioni. Obiettivo del Milf è ora di arrivare alle prime elezioni per la leadership della regione autonoma in coincidenza con le elezioni presidenziali.

ricata di «sgombrare il campo da ogni dubbio». Questa delicata situazione politica acquista particolare rilievo perché si sta dipanando mentre sul piano militare — con la vasta offensiva nel Nord Waziristan — si stanno conseguendo importanti progressi nella lotta contro i talebani. E i difficili rapporti fra Governo e opposizione, rilevano gli osservatori, rischiano di vanificare i risultati fin qui conseguiti con un’operazione su vasta scala, avviata nella metà del giugno scorso, che ha permesso di eliminare più di quattrocento talebani e di distruggere numerose loro postazioni. E dunque in questo momento il primo ministro si trova a dovere fronteggiare due sfide, delle quali, per sua stessa ammissione fatta nell’assumere l’incarico, avrebbe fatto volentieri a meno. Sharif, infatti, puntava a un dialogo costruttivo con l’opposizione, pur nell’ambito di inevitabili divergenze: ora le differenti valutazioni su argomenti importanti di politica interna (una politica fiscale, per esempio, che andrebbe a gravare eccessivamente sulle fasce meno abbienti della popolazione) stanno inducendo l’opposizione a chiedere le dimissioni del premier. Lo stesso vale per quanto riguarda il rapporto con i talebani. Da principio si puntava al dialogo, poi, quando i miliziani hanno continuano a compiere stragi, si è deciso di lanciare la vasta offensiva nel Nord Waziristan.

Accordo con l’ufficio dell’Onu su droghe e crimine

Myanmar impegnato contro il narcotraffico NAYPYIDAW, 19. Il Governo del Myanmar e l’Ufficio delle Nazioni Unite su droghe e crimine (Unodc) hanno firmato un accordo per un programma di collaborazione volto a rafforzare lo stato di diritto e ad affrontare importanti questioni legate al traffico di stupefacenti e alla lotta alla criminalità nel Paese del sud-est asiatico. Lo ha annunciato un comunicato stampa diffuso ieri dalla delegazione dell’agenzia dell’Onu a Naypyidaw, la capitale del Myanmar. L’accordo, relativo al quadriennio 2014-2017, è giunto dopo un anno di trattative e ora è stato esaminato e approvato dal presidente U Thein Sein e dal suo consiglio. Il comunicato dell’Unodc specifica che questo programma nazionale integrato arriva in un momento critico per il Myanmar, il maggior pro-

duttore di droghe sintetiche nel sudest asiatico e il secondo produttore mondiale di oppio. «L’attività criminale in Myanmar sta minando gli sforzi di sviluppo, aumentando l’insicurezza umana e minacciando il processo di pace» si legge nel comunicato. Questo specifica che il programma prevede una forte e lunga cooperazione in cinque settori: lotta al crimine organizzato transnazionale, lotta alla corruzione, giustizia penale, farmaci e salute e sviluppo alternativo per i coltivatori di papavero da oppio. Già alla cerimonia della firma dell’accordo, il rappresentante dell’Unodc in Myanmar, Jeremy Douglas, aveva sostenuto che «lavorando insieme per migliorare l’applicazione della legge e la capacità di giustizia penale, aumentando la disponibilità dei servizi sanitari per i

tossicodipendenti e offrendo alternative economiche sostenibili ai coltivatori di oppio e alle loro famiglie, sapremo contribuire allo sviluppo economico e sociale del Paese». La lotta al traffico internazionale di droga, insieme con altri importanti temi, compresa la tutela dei diritti umani, era stata di recente argomento in agenda anche della missione condotta a Naypyidaw dal segretario di Stato americano, John Kerry, in occasione della riunione dell’Associazione dei Paesi del sudest asiatico (Asean) della quale proprio il Myanmar ha la presidenza di turno. La riunione dell’Asean, comunque, si era concentrata soprattutto sul modo per allentare le tensioni nel Mar cinese meridionale, dove la Cina rivendica sovranità suscitando proteste in altri Paesi della regione.

Tensione fra New Delhi e Islamabad NEW DELHI, 19. Sale la tensione nei sempre complessi rapporti fra India e Pakistan. Ieri le autorità di New Delhi, a conferma di uno scenario che rischia di diventare sempre più critico, hanno annunciato la cancellazione di un previsto incontro, il 25 agosto, fra i vice ministri degli Esteri indiano e pakistano. Un incontro che si proponeva di fare il punto della situazione nei rapporti fra i due Paesi. Questa decisione è stata presa, hanno dichiarato le autorità di New Delhi in un comunicato, «a causa della palese ingerenza pakistana negli affari interni indiani». Il portavoce del ministero degli Esteri di New Delhi ha poi fatto riferimento, parlando con i giornalisti, alla decisione dell’ambasciatore del Pakistan a New Delhi di ricevere una delegazione di separatisti del Kashmir: una mossa che le autorità indiane non hanno gradito. Come sottolineano gli analisti, la decisione di cancellare l’incontro fra i vice ministri degli Esteri indiano e pakistano rappresenta un duro colpo alle prove di dialogo che il premier indiano, Narendra Modi, aveva voluto avviare con l’obiettivo di rilanciare i sempre difficili rapporti fra i due Paesi. Anche il primo ministro pakistano, Nawaz Sharif, sin dal suo insediamento (nel maggio dello scorso anno) ha sempre manifestato l’intenzione di favorire rapporti di buon vicinato con New Delhi, ma allo stato delle cose il processo di dialogo sta segnando il passo. Ed è proprio questo il dato significativo in un contesto da sempre segnato da alti e bassi, da tensioni spesso sopite ma sempre pronte a ridestarsi e a manifestarsi con rinnovata virulenza: i premier dei due Paesi, in più di un’occasione, hanno dichiarato apertamente l’intenzione di rilanciare i rapporti fra i due Paesi cercando di lasciare dietro le spalle, per quanto possibile, un passato costellato di accuse e recriminazioni. È del resto interesse — come sottolineano gli analisti — sia di Modi sia di Sharif favorire una serena intesa fra i due Paesi, se è loro intenzione svolgere un ruolo importante anche nello scenario internazionale, proponendosi come punto di riferimento. Non a caso la comunità internazionale segue sempre con particolare attenzione l’evolversi dei rapporti fra i due Paesi (ovviamente comprese altre Nazioni come Afghanistan e Iran), nella consapevolezza che lo stato di salute delle dinamiche regionali riveste un peso non indifferente nello scenario mondiale.


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L’OSSERVATORE ROMANO

mercoledì 20 agosto 2014

Durante il viaggio di ritorno dalla Corea, lunedì 18 agosto, il Pontefice si è intrattenuto per oltre un’ora con i rappresentanti dei media internazionali che lo hanno seguito e ha accettato di rispondere a una serie di domande riguardanti il pellegrinaggio e diversi altri argomenti. Il colloquio è stato introdotto dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Le domande sono state formulate da alcuni giornalisti che hanno parlato in rappresentanza dei diversi gruppi linguistici. Nel salutare i presenti all’inizio dell’incontro il Pontefice ha espresso riconoscenza per l’attività di informazione svolta dagli operatori della comunicazione che hanno seguito il viaggio. «Grazie tante — ha detto — per il vostro lavoro che è stato molto impegnativo. Grazie per quanto avete fatto, e ora per l’attenzione per questo colloquio. Grazie tante». A nome dei giornalisti coreani e del nostro popolo, desidero ringraziarla per la sua visita. Lei ha portato la felicità a molta gente, in Corea. E grazie anche per l’incoraggiamento all’unificazione del nostro Paese. Santo Padre, durante la sua visita in Corea, lei si è rivolto in primo luogo alle famiglie delle vittime del disastro del traghetto Sewol e le ha consolate. Ho due domande. Una: che cosa ha provato quando le ha incontrate? Due: non si è preoccupato che il suo gesto potesse essere frainteso politicamente? Quando ti trovi davanti al dolore umano, devi fare quello che il tuo cuore ti porta a fare. Poi diranno: «Ha fatto questo perché ha questa intenzione politica o quell’altra...». Si può dire tutto. Ma quando tu pensi a questi uomini, a queste donne, papà e mamme, che hanno perso i figli, i fratelli e le sorelle, al dolore tanto grande di una catastrofe, non so, il mio cuore... io sono un sacerdote, e sento che devo avvicinarmi! Lo sento così; è prima di tutto questo. Io so che la consolazione che potrebbe dare una parola mia non è

mercoledì 20 agosto 2014

visto che lei ha dovuto cancellare qualche appuntamento, anche all’ultimo momento. C’è da preoccuparsi per il ritmo che lei tiene?

Papa Francesco nell’incontro con i giornalisti durante il viaggio di rientro dalla Corea rilancia le speranze di pace per il continente asiatico e per il mondo

Una porta sempre aperta E chiede alla comunità internazionale di valutare i mezzi con i quali fermare le aggressioni ingiuste contro i popoli un rimedio, non restituisce la vita a quelli che sono morti; ma la vicinanza umana in questi momenti ci dà forza, c’è la solidarietà... Ricordo che come arcivescovo a Buenos Aires ho vissuto due catastrofi di questo tipo: una, l’incendio di una sala da ballo, dove si teneva un concerto di musica pop: sono morte 193 persone! E poi, un’altra volta, una catastrofe con i treni, credo che sono deceduti in 120. E io, in quei momenti, ho sentito lo stesso: di avvicinarmi. Il dolore umano è forte, e se noi in questi momenti tristi ci avviciniamo, ci aiutiamo tanto. E su quella domanda, alla fine, io vorrei aggiungere una cosa. Io ho preso questo [Si riferisce a un distintivo a forma di fiocco portato dai familiari e da chi si è mobilitato per la tragedia del traghetto]. Dopo averlo portato per mezza giornata — l’ho preso per solidarietà con loro —, qualcuno si è avvicinato e mi ha detto: «È meglio toglierlo... Lei dev’essere neutrale...»

— «Ma, senti, con il dolore umano non si può essere neutrali». Così ho risposto. È quello che io sento. Grazie della tua domanda, grazie. Come lei sa, le forze militari degli Stati Uniti da poco hanno incominciato a bombardare dei terroristi in Iraq per prevenire un genocidio, per proteggere il futuro delle minoranze — penso anche ai cattolici sotto la sua guida. Lei approva questo bombardamento americano? Grazie della domanda così chiara. In questi casi, dove c’è un’aggressione ingiusta, posso soltanto dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare, dovranno essere valutati. Fermare l’aggressore ingiusto è lecito. Ma dobbiamo anche avere memoria! Quante volte, con questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista! Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, è stata l’idea delle Nazioni Unite: là si deve discutere, dire: «È un aggressore ingiusto? Sembra di sì. Come lo fermiamo?». Soltanto questo, niente di più. Secondo, le minoranze. Grazie della parola. Perché a me dicono: «I cristiani, poveri cristiani...» Ed è vero, soffrono. I martiri, sì, ci sono tanti martiri. Ma qui ci sono uomini e donne, minoranze religiose, non tutte cristiane, e tutti sono uguali davanti di Dio. Fermare l’aggressore ingiusto è un diritto dell’umanità, ma è anche un diritto dell’aggressore, di essere fermato per non fare del male. Tornando ancora sulla vicenda irachena. Come il cardinale Filoni, con il superiore dei domenicani, Cadoré, lei, Santità, sarebbe pronto a sostenere un intervento militare sul terreno in Iraq per fermare i jihadisti? E poi avevo un’altra domanda: lei pensa di potere andare un giorno in Iraq, forse in Kurdistan, per sostenere i profughi cristiani che la aspettano, e pregare con loro in questa terra dove vivono da duemila anni? Grazie. Io sono stato poco tempo fa con il Presidente del Kurdistan, e lui aveva un pensiero molto chiaro sulla situazione, come trovare soluzioni... Ma era prima di questa aggressione ultima. Alla prima domanda ho risposto: io sono d’accordo sul fatto che, quando c’è un aggressore ingiusto, venga fermato... Sì, io sono disponibile, ma credo che posso dire questo: quando abbiamo sentito con i miei collaboratori di questa situazione delle minoranze religiose, e anche il problema, in quel momento, del Kurdistan che non poteva ricevere tanta gente — è un problema, si capisce, non poteva — ci siamo detti: che cosa si può fare? Abbiamo pensato tante cose. Abbia-

mo scritto prima di tutto un comunicato che ha fatto padre Lombardi a nome mio. Dopo, questo comunicato è stato inviato a tutte le Nunziature perché fosse comunicato ai governi. Poi, abbiamo scritto una lettera al Segretario Generale delle Nazioni Unite... Tante cose... E alla fine abbiamo deciso di inviare un Inviato Personale, il Cardinale Filoni. E infine abbiamo detto: se fosse necessario, quando torniamo dalla Corea, possiamo andare lì. Era una delle possibilità. Questa è la risposta: sono disponibile. In questo momento non è la cosa migliore da fare, ma sono disposto a questo. Lei, Santo Padre, è il primo Papa che ha potuto sorvolare la Cina. Il telegramma che ha mandato al presidente cinese è stato accolto senza commenti negativi. Pensa che questi siano passi in avanti di un dialogo possibile? E avrebbe desiderio di andare in Cina? (Padre Lombardi) Siamo sullo spazio aereo cinese, adesso? Sì, posso annunciare che siamo sullo spazio aereo cinese, in questo momento, quindi la domanda è pertinente... E quando stavamo per entrare nello spazio aereo cinese, io ero nel cockpit con i piloti, e uno di loro mi ha fatto vedere lì un registro e ha detto: «Mancano dieci minuti per entrare nello spazio aereo cinese, dobbiamo chiedere l’autorizzazione. Si chiede sempre, è una cosa normale, ad ogni Paese si chiede». E ho sentito come chiedevano l’autorizzazione, come si rispondeva... Sono stato testimone di questo. E il pilota ha detto: «Adesso va il telegramma», ma non so come abbiano fatto. Così... Poi mi sono congedato da loro, sono tornato al mio posto e ho pregato tanto per quel grande e nobile popolo cinese, un popolo saggio... Penso ai grandi saggi cinesi, una storia di scienza, di saggezza... Anche i gesuiti: abbiamo storia lì, con padre Ricci... E tutte queste cose venivano da me. Se io ho voglia di andare in Cina? Ma sicuro: domani! Eh, sì. Noi rispettiamo il popolo cinese; soltanto, la Chiesa chiede libertà per la sua missione, per il suo lavoro; nessun’altra condizione. Poi, non bisogna dimenticare quel documento fondamentale per il problema cinese che è stata la Lettera inviata ai Cinesi da Papa Benedetto XVI. Quella Lettera oggi è attuale, ha attualità. Rileggerla fa bene. E sempre la Santa Sede è aperta ai contatti: sempre, perché ha una vera stima per il popolo cinese. Il prossimo viaggio sarà in Albania. Forse l’Iraq. Dopo, Filippine e Sri Lanka... Ma dove andrà nel 2015? E le dico anche: lei sa che in Avila e in Alba de Tormes c’è tanta attesa: possono ancora sperare? Sì, sì... La Signora Presidente della Repubblica di Corea, in perfetto spagnolo, mi ha detto: «La esperanza es lo ultimo que se pierde». Così m’ha detto, riferendosi all’unificazione

della Corea. Mi viene da dire questo: si può sperare, ma non è deciso. Ma dopo: Messico, Philadelphia...? No, adesso ti spiego. Quest’anno è prevista l’Albania, è vero. Alcuni dicono che il Papa ha uno stile di incominciare tutte le cose dalla periferia. Ma no, vado in Albania perché? Per due motivi importanti. Primo, perché sono riusciti a fare un governo — pensiamo ai Balcani! —, un governo di unità nazionale tra islamici, ortodossi e cattolici, con un consiglio interreligioso che aiuta tanto ed è equilibrato. E questo va bene, è armonizzato. La presenza del Papa è per dire a tutti i popoli: «Si può lavorare insieme!». Io l’ho sentito come se fosse un vero aiuto a quel nobile popolo. E l’altra cosa: se pensiamo alla storia dell’Albania, è stata religiosamente l’unico dei Paesi comunisti che nella sua Costituzione aveva l’ateismo pratico. Se tu andavi a Messa era anticostituzionale. E poi, mi diceva uno dei ministri, che sono state distrutte — voglio essere preciso nella cifra — 1.820 chiese. Distrutte! Ortodosse, cattoliche... in quel tempo. E poi, altre chiese sono state trasformate in cinema, teatro, sale da ballo... Io ho sentito che dovevo andare: è vicino, in un giorno si fa... Poi, l’anno prossimo vorrei andare a Philadelphia, all’incontro delle famiglie; e sono stato anche invitato dal Presidente degli Stati Uniti al Parlamento americano, e anche dal Segretario delle Nazioni Unite, a New York: forse le tre città insieme... Il Messico: i messicani vogliono che io vada alla Madonna di Guadalupe, e si potrà approfittare di quel viaggio, ma non è sicuro. E infine, la Spagna. I Reali mi hanno invitato e l’episcopato mi ha invitato.... c’è una pioggia di inviti per andare in Spagna: Santiago de Compostela... forse è possibile, ma non dico di più perché non è deciso; andare al mattino ad Avila e ad Alba de Tormes, e tornare il pomeriggio... Sarebbe possibile... È possibile... Sì, ma non è deciso. E questa è la risposta. Grazie a te. Santità, quale tipo di rapporto c’è tra lei e Benedetto XVI? Esiste un abituale scambio di opinioni, di idee, esiste un progetto comune dopo questa enciclica? Ci vediamo... Prima di partire sono andato a trovarlo. Lui, due settimane prima, mi ha inviato uno scritto interessante: mi chiedeva l’opinione... E abbiamo un rapporto normale, perché torno a questa idea, che forse non piace a qualche teologo — io non sono teologo —: penso che il Papa emerito non sia un’eccezione, ma dopo tanti secoli, questo è il primo emerito. Pensiamo, sì, come lui ha detto: «Sono invecchiato, non ho le forze». È stato un bel gesto di nobiltà e anche di umiltà e di coraggio. Io penso: 70 anni fa anche i vescovi emeriti erano un’eccezione, non esistevano. Oggi i vescovi emeriti sono

una istituzione. Io penso che “Papa emerito” sia già un’istituzione. Perché? Perché la nostra vita si allunga e a una certa età non c’è la capacità di governare bene, perché il corpo si stanca, la salute forse è buona ma non c’è la capacità di portare avanti tutti i problemi di un governo come quello della Chiesa. E io credo che Papa Benedetto XVI abbia fatto questo gesto che di fatto istituisce i Papi emeriti. Ripeto: forse qualche teologo mi dirà che questo non è giusto, ma io la penso così. I secoli diranno se è così o no, vedremo. Lei potrà dirmi: «E se Lei non se la sentirà, un giorno, di andare avanti?». Farei lo stesso, farei lo stesso! Pregherò molto, ma farei lo stesso. Ha aperto una porta che è istituzionale, non eccezionale. Il nostro rapporto è di fratelli, davvero. Io ho detto anche che lo sento come se avessi il nonno a casa per la saggezza: è un uomo con una saggezza, con le nuances, che mi fa bene ascoltarlo. E anche mi incoraggia molto. Questo è il rapporto che abbiamo con lui. Papa Francesco, intanto grazie mille per la sua prima visita in Asia. In questo viaggio, lei ha incontrato delle persone che hanno sofferto. Che cosa ha provato quando lei ha salutato le sette “donne comfort” alla messa di questa mattina? Per quanto riguarda la sofferenza delle persone, come in Corea, c’erano i cristiani nascosti anche in

Giappone, e l’anno prossimo sarà il 150° anniversario della loro “riemersione”. Sarà possibile pregare per loro insieme con lei a Nagasaki? Grazie mille. Sarebbe bellissimo, sarebbe bellissimo! Sono stato invitato: sia dal governo, sia dall’episcopato; sono stato invitato. Le sofferenze... Lei torna su una delle prime domande. Il popolo coreano è un popolo che non ha perso la dignità. È stato un popolo invaso, umiliato, ha subito guerre, adesso è diviso, con tanta sofferenza. Ieri, quando sono andato all’incontro con i giovani, ho visitato il Museo dei martiri. È terribile la sofferenza di questa gente, semplicemente per non calpestare la Croce! È un dolore o una sofferenza storica. Ha capacità di soffrire, questo popolo, e anche questo fa parte della sua dignità. Anche oggi, quando c’erano queste donne anziane, davanti, a Messa: pensare che in quell’invasione sono state, da ragazze, portate via, nelle caserme, per sfruttarle... e loro non hanno perso la dignità. Oggi mostravano il volto, anziane, le ultime che rimangono... È un popolo forte nella sua dignità. Ma tornando a queste realtà di martirio, di sofferenze, anche di queste donne: questi sono i frutti della guerra! E oggi noi siamo in un mondo in guerra, dappertutto! Qualcuno mi diceva: «Lei sa, Padre, che siamo nella Terza Guerra Mondiale, ma “a pezzi”?». Ha capito? È un mondo in guerra, dove si compiono queste crudeltà. Vorrei fermarmi su due parole. La prima è crudeltà. Oggi i bambini non contano! Una volta si parlava di una guerra convenzionale; oggi questo non conta. Non dico che le guerre convenzionali siano una cosa buona, no. Ma oggi arriva la bomba e ti ammazza l’innocente con il colpevole, il bambino, con la donna, con la mamma... ammazzano tutti. Ma noi dobbiamo fermarci e pensare un po’ al livello di crudeltà al quale siamo arrivati. Questo ci deve spaventare! Non lo dico per fare paura: si può fare uno studio empirico. Il livello di crudeltà dell’umanità, in questo momento, fa piuttosto spaventare. E l’altra parola sulla quale vorrei dire qualcosa, e che è in rapporto con questa, è la tortura. Oggi la tortura è uno dei mezzi quasi — direi — ordinari dei comportamenti dei servizi di intelligence, dei processi giudiziari ... E la tortura è un peccato contro l’umanità, è un delitto contro l’umanità; e ai cattolici io dico: torturare una persona è peccato mortale, è peccato grave! Ma di più: è un peccato contro l’umanità. Crudeltà e tortura. Mi piacerebbe tanto, a me, che voi nei vostri media, faceste delle riflessioni: come vedete queste cose, oggi? Com’è il livello di crudeltà dell’umanità? E cosa pensate della tortura? Credo che farà bene a tutti noi, riflettere su questo. La nostra domanda è: lei tiene un ritmo molto, molto impegnativo, molto serrato e si concede poco riposo e nessuna vacanza; fa questi viaggi massacranti. Poi, negli ultimi mesi, abbiamo

Eh sì, qualcuno me l’ha detto! Io ho fatto le vacanze, adesso, a casa, come faccio di solito, perché... una volta, ho letto un libro interessante, il titolo era: Rallegrati di essere nevrotico! Anch’io ho alcune nevrosi, ma bisogna trattarle bene, le nevrosi! Dare loro il mate ogni giorno... Una di queste nevrosi è che sono un po’ troppo attaccato all’habitat. L’ultima volta che ho fatto vacanze fuori Buenos Aires, con la comunità gesuita, è stato nel 1975. Poi, sempre faccio vacanze — davvero! —, ma nell’habitat: cambio ritmo. Dormo di più, leggo le cose che mi piacciono, sento la musica, prego di più... E questo mi riposa. A luglio e parte di agosto ho fatto questo, e va bene. L’altra domanda: il fatto che ho dovuto cancellare [degli impegni]: questo è vero, è vero. Il giorno che dovevo andare al «Gemelli», fino a 10 minuti prima, ero lì ma non ce la facevo, davvero... Erano stati giorni molto impegnativi. E adesso devo essere un po’ più prudente. Tu hai ragione! A Rio, quando la folla gridava: «Francesco, Francesco», lei rispondeva: «Cristo, Cristo». Oggi lei come gestisce questa immensa popolarità? Come la vive? Ma, non so come dire... Io la vivo ringraziando il Signore che il suo popolo sia felice — questo lo faccio davvero — e augurando al popolo di Dio il meglio. La vivo come generosità del popolo, questo è vero. Interiormente, cerco di pensare ai miei peccati e ai miei sbagli, per non illudermi, perché io so che questo durerà poco tempo, due o tre anni, e poi... alla casa del Padre... E poi, non è saggio chiedersi questo, ma la vivo come la presenza del Signore nel suo popolo che usa il vescovo che è il pastore del popolo, per manifestare tante cose. La vivo più naturalmente di prima: prima mi spaventava un po’... Faccio queste cose... Mi dico anche nella mente: non sbagliare, perché tu non devi fare torto a questo popolo; e tutte queste cose... Un po’ così... Per il Papa venuto «dalla fine del mondo», che si è ritrovato in Vaticano, al di là di Santa Marta — di cui ci ha raccontato com’è la sua vita e la sua scelta — come vive dentro il Vaticano, il Papa? Ci chiedono sempre: che cosa fa, come si muove, passeggia? Poi abbiamo visto che lei va alla mensa, e ci sorprende ogni giorno... abbiamo visto che è andato alla mensa del Vaticano, per esempio... Lei ci sorprende... Quindi, che tipo di vita fa, al di là del lavoro, all’interno di Santa Marta? Mah, io cerco di essere libero... Ci sono appuntamenti di ufficio, di lavoro... Ma poi la vita, per me, è la più normale che posso fare. Veramente, mi piacerebbe potere uscire, ma non si può, non si può... no, non è per la precauzione; non si può perché se tu esci, la gente ti viene intorno... e non si può, è una realtà. Ma all’interno, a Santa Marta, faccio una vita normale di lavoro, di riposo, di conversazioni...

pio, per farti ridere: vado a prendere l’ascensore, subito viene uno, perché il Papa non poteva scendere in ascensore da solo. «Tu vai al tuo posto, che io scendo da solo». E finita la storia. È così, no? È la normalità, una normalità. Mi scuso, ma devo farle, per il gruppo spagnolo, all’interno del quale c’è anche l’Argentina, una domanda che richiede le sue conoscenze teologiche profonde. La sua squadra, il San Lorenzo, per la prima volta è diventata campione d’America! Mi piacerebbe sapere come vive questo evento, e mi dicono anche che lei riceverà una delegazione della società sportiva questo mercoledì all’udienza generale... Dopo il secondo posto del Brasile, è una buona notizia. Io l’ho saputo, questo, qui, qui a Seoul me l’hanno detto; e mi hanno detto: «Senti, mercoledì vengono...». Ma che vengano, è udienza pubblica, ci saranno... Per me il San Lorenzo è la squadra della quale tutta la mia famiglia era tifosa: mio papà giocava nel basket di San Lorenzo, era giocatore nella squadra di basket. E da bambini andavamo, anche mamma veniva con noi al gasometro... Io lo ricordo come oggi, la stagione del ’46, una squadra brillante aveva il San Lorenzo, sono usciti campioni... Lo sai, con gioia, lo vivo con gioia. Ma miracoli, no! Non parliamo di miracoli! Si parla da tempo del progetto di un’enciclica sull’ecologia. Si può dire quando uscirà e quali sono i punti centrali? Questa Enciclica... Ho parlato tanto con il Cardinale Turkson e con altri, e ho chiesto al Cardinale Turkson di raccogliere tutti i contributi che sono arrivati. E prima del viaggio, una settimana prima, no, quattro giorni prima, il Cardinale Turkson mi ha consegnato la prima bozza. La prima bozza è grossa così... Direi che è un terzo di più della Evangelii gaudium! È la prima bozza. Ma adesso è un problema non facile, perché sulla custodia del creato, l’ecologia, anche l’ecologia umana, si può parlare con una certa sicurezza fino ad un certo punto. Poi, vengono le ipotesi scientifiche, alcune abbastanza sicure, altre no. E un’Enciclica così, che dev’essere magisteriale, deve andare avanti soltanto sulle sicurezze, sulle cose che sono sicure. Perché, se il Papa dice che il centro dell’universo è la Terra e non il Sole, sbaglia, perché dice una cosa che dev’essere scientifica, e così non va. Così succede adesso. Dobbiamo fare adesso lo studio, numero per numero, e credo che diventerà più piccola. Ma, andare all’essenziale e a quello che si può affermare con sicurezza. Si può dire in nota, a piè di pagina, «su questo c’è questa ipotesi, questa, questa...», dirlo come informazione, ma non nel corpo di un’Enciclica, che è dottrinale e deve essere sicura. (Padre Lombardi) Abbiamo fatto 12 domande, tutti i gruppi hanno già fatto due giri. Vuole continuare o vuole che andiamo a mangiare? Dipende dalla fame che loro hanno...

Non si sente prigioniero, insomma?

(giornalisti) Non abbiamo fame, non abbiamo sonno...

No, no. All’inizio sì, adesso... sono caduti alcuni muri... non so...: «il Papa non può andare...»; un esem-

Santità, grazie tante per la sua visita alla Corea del Sud. Le farò due do-

mande. La prima è: appena prima della messa finale alla cattedrale di Myeong-dong, ha consolato alcune “donne di conforto”: quali pensieri l’hanno attraversata? Questa è la mia prima domanda. La seconda è: Pyongyang afferma che il cristianesimo rappresenta una minaccia diretta al suo regime e alla sua leadership. Noi sappiamo che qualcosa di terribile è successo ai cristiani nordcoreani. Non sappiamo però cosa sia accaduto. C’è un impegno particolare nel suo animo per tentare di cambiare l’approccio di Pyongyang ai cristiani nordcoreani? La prima domanda, ripeto questo: oggi, queste donne erano lì perché, malgrado tutto quello che hanno sofferto, hanno dignità: ci hanno messo la faccia. Io ho pensato quello che ho detto anche poco fa, alle sofferenze della guerra, alle crudeltà che porta una guerra... Queste donne sono state sfruttate, sono state schiavizzate, queste sono crudeltà... Ho pensato tutto questo: la dignità che loro hanno e anche quanto hanno sofferto. E la sofferenza è un’eredità. Noi diciamo, i primi Padri della Chiesa dicevano che il sangue dei martiri è seme di cristiani. Voi coreani avete seminato tanto, tanto. Per coerenza. E si vede adesso il frutto di quella semina dei martiri. Sulla Corea del Nord, io non so... So che è una sofferenza... Una la so di sicuro: che ci sono alcuni parenti, tanti parenti che non possono ritrovarsi, e questo fa soffrire, questo è vero. È la sofferenza di questa divisione del Paese. Oggi, in cattedrale, dove ho indossato i paramenti per la Messa, c’era un regalo che mi hanno fatto, che era una corona di spine di Cristo, fatta con il filo di ferro che divide le due parti dell’unica Corea. E lo portiamo, questo regalo, io lo porto sull’aereo... La sofferenza della divisione, di una famiglia divisa. Io, come ho detto — ieri, credo, non ricordo quando, o parlando ai vescovi, non ricordo — abbiamo una speranza: le due Coree sono fratelli, parlano la stessa lingua. Quando si parla la stessa lingua è perché si ha la

stessa madre e questo ci dà speranza. La sofferenza della divisione è grande, io capisco questo e prego perché finisca. Un’osservazione e una domanda: come italo-americano volevo farle i complimenti per il suo inglese. Non deve aver paura. E se prima di andare in America, la mia seconda patria, vuole fare un po’ di pratica, io sono disponibile. Qualsiasi accento che lei voglia prendere, newyorkese... – io sono di New York – io sono disponibile. La domanda è questa. Lei ha parlato del martirio: a che punto siamo con il processo per il vescovo Romero? Lei cosa vorrebbe vedere uscire da questo processo? Il processo era alla Congregazione per la Dottrina della fede, bloccato «per prudenza», si diceva. Adesso è sbloccato. È passato alla Congregazione per i Santi. E segue la strada normale di un processo. Dipende da come si muovono i postulatori. Questo è molto importante, di farlo in fretta. Io, quello che vorrei, è che si chiarisca: quando c’è il martirio in odium fidei, sia per aver confessato il Credo, sia per aver fatto le opere che Gesù ci comanda, con il prossimo. E questo è un lavoro dei teologi, che lo stanno studiando. Perché dietro di lui [Romero], c’è Rutilio Grande e ci sono altri; ci sono altri che sono stati uccisi, ma che non sono alla stessa altezza di Romero. Si deve distinguere teologicamente, questo. Per me Romero è un uomo di Dio, ma si deve fare il processo, e anche il Signore deve dare il suo segno... Se Lui vuole, lo farà. Ma adesso i postulatori devono muoversi perché non ci sono impedimenti. Santo Padre, vista la guerra a Gaza, è stata un fallimento, secondo lei, la preghiera per la pace organizzata in Vaticano l’8 giugno scorso? Grazie, grazie per la domanda. Quella Preghiera per la pace, assolutamente non è stata un fallimento. Primo, l’iniziativa non è venuta da me: l’iniziativa di pregare insieme è venuta dai due Presidenti, dal Presi-

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dente dello Stato di Israele e dal Presidente dello Stato di Palestina. Loro mi avevano fatto arrivare questo desiderio. Poi, volevamo farla là [in Terra Santa], ma non si trovava il posto giusto, perché il costo politico di ognuno era molto forte se andava dall’altra parte. La Nunziatura, sì, sarebbe stata un posto neutrale, ma per arrivare in Nunziatura il Presidente dello Stato di Palestina sarebbe dovuto entrare in Israele e la cosa non era facile. E loro mi hanno detto: «Lo facciamo in Vaticano, e noi veniamo!». Questi due uomini sono uomini di pace, sono uomini che credono in Dio, e hanno vissuto tante cose brutte, tante cose brutte che sono convinti che l’unica strada per risolvere quella storia lì è il negoziato, il dialogo e la pace. Ma la sua domanda, adesso: è stato un fallimento? No, io credo che la porta è aperta. Tutti e quattro, come rappresentanti, e Bartolomeo ho voluto che fosse lì come capo dell’O rtodossia, Patriarca ecumenico dell’O rtodossia — non voglio usare termini che forse non piacciono a tutti gli ortodossi — come Patriarca ecumenico era bene che fosse con noi. È stata aperta la porta della preghiera. E si dice: «Si deve pregare». È un dono, la pace è un dono, un dono che si merita con il nostro lavoro, ma è un dono. E dire all’umanità che insieme con la strada del negoziato — che è importante —, del dialogo — che è importante — c’è anche quella della preghiera. Giusto. Dopo è arrivato quello che è arrivato. Ma questo è congiunturale. Quell’incontro invece non era congiunturale: è un passo fondamentale di atteggiamento umano: la preghiera. Adesso il fumo delle bombe, delle guerre non lascia vedere la porta, ma la porta è rimasta aperta da quel momento. E siccome io credo in Dio, io credo che il Signore guarda quella porta, e guarda quanti pregano e quanti gli chiedono che Lui ci aiuti. Sì, mi piace questa domanda. Grazie, grazie per averla fatta. Grazie. (Padre Lombardi) Santo Padre, grazie mille. Credo che abbia fatto più di un’ora di conversazione con noi e quindi sia giusto adesso potere andare a riposare un poco al termine di questo viaggio. Tra l’altro, noi sappiamo che probabilmente questa sera tornerà dalla Madonna... D all’aeroporto passerò a ringraziare la Madonna [a Santa Maria Maggiore]. È una cosa bella. Il Dott. Giani aveva ordinato di portare i fiori della Corea con i colori della Corea, ma poi all’uscita dalla Nunziatura una bambina è venuta con un mazzo di fiori, di rose, e abbiamo detto: «Portiamo alla Madonna proprio questi fiori di una bambina della Corea». E questi li porteremo. D all’aeroporto andiamo a pregare un po’ lì e poi a casa. (Padre Lombardi) Bene. Sappia che anche noi saremo con lei a ringraziare il Signore per queste giornate straordinarie. E auguri per la ripresa poi del suo ministero a Roma; noi continueremo ad accompagnarla e speriamo che lei continui a darci, come ci ha dato in questi giorni, cose bellissime di cui parlare. Grazie. E grazie a voi del vostro lavoro, grazie tante... E mi scuso di non rimanere più tempo con voi. Grazie! Buon pranzo!


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mercoledì 20 agosto 2014

Dalla Corea i fiori alla Salus populi Romani Promessa mantenuta: il profumato bouquet di fiori che Mary sol ha donato a Papa Francesco lunedì mattina, 18 agosto, a Seoul, davanti alla nunziatura apostolica in Corea, è ora ai piedi della Salus populi Romani. Nella basilica di Santa Maria maggiore lo ha portato lo stesso Pontefice appena rientrato dalla sua visita al Paese del “calmo mattino”. Aveva promesso che quel gesto delicato, quel dono della piccola coreana, così ricco nella sua semplicità, sarebbe stato destinato alla Madonna. A Roma. E così, prima ancora di rientrare in Vaticano, ha chiesto di andare nella basilica liberiana. La visita alla Vergine era programmata. In occasione del suo primo viaggio fuori dai confini italiani, a Rio de Janeiro nel luglio 2013, Papa Francesco ha inaugurato infatti la consuetudine — poi rinnovata nel maggio scorso in occasione della visita in Terra santa — di recarsi a pregare dinanzi a quell’immagine cara alla devozione dei romani: sia alla vigilia della partenza, per affidarle il suo pellegrinaggio, sia al rientro, per una preghiera di ringraziamento. Questa volta era già pronto il

mazzolino di fiori da portare come omaggio: fiori con i colori della Corea. Lo ha confidato proprio il Papa ai giornalisti durante l’incontro a bordo dell’aereo sulla rotta di ritorno. Ma quando la bambina coreana gli ha offerto il suo piccolo dono, al Pontefice è venuto spontaneo pensare di deporre quel semplice segno di devozione del popolo coreano sull’altare della Salus populi Romani. E così ha fatto. Accolto da alcuni sacerdoti, in una basilica quasi deserta, Papa Francesco ha reso omaggio all’immagine mariana. Poi si è seduto ed è rimasto in profondo raccoglimento. Qualcuno lo ha riconosciuto e si è avvicinato. Poi, al momento di lasciare la basilica, l’accenno di un applauso e lo scambio di saluti e sorrisi con i pochi presenti. Il rientro in Vaticano alle 19.30 circa. E questa mattina, ancora un pensiero alla Corea in un tweet: «Grazie, amici coreani! Con l’aiuto di Dio, tornerò molto presto in Asia! #Philippines #SriLanka».

I giovani coreani e il Papa

Viaggio in smartphone da Seoul CRISTIAN MARTINI GRIMALDI Durante la messa di Papa Francesco nella cattedrale di Myeongdong, mi trovavo sulla metro di Seoul e, come solitamente avviene qui, tutti fissavano il proprio smartphone. Non è una novità: i coreani hanno sempre lo sguardo puntato sul telefonino. Faccio avanti e indietro lungo la carrozza del metro che mi sta portando a Myeongdong. Gran parte dei passeggeri sono giovani. E ne scorgo qualcuno collegato in diretta streaming che assiste alla messa. Se per un italiano l’idea di seguire in diretta un grande evento stando seduti nel metro può apparire fantascienza, qui è una pratica normalissima, anche grazie a una connessione wi-fi tra le più veloci al mondo. Giusto un mese fa, durante i mondiali di calcio, nonostante i coreani fossero pienamente coscienti di avere una squadra alquanto mediocre, almeno la metà delle persone che si incontravano in metro o in autobus erano collegate per seguire le partite. Qualunque partita fosse, non solo quella della loro nazionale. Ora qui non si vuol fare un raffronto, certamente improprio, tra un evento sportivo e uno religioso. Senza cercare di analizzare il successo di un avvenimento in termini oggettivi, si prova invece a capire la sua diffusione a prescindere dai grandi titoli di giornale e dalla miriade di articoli usciti negli ultimi mesi sulla visita papale in Corea del sud. I giovani coreani erano davvero così presenti e partecipi agli eventi che si sono tenuti a Daejeon, Solmoe, Gwanghwamun, alla cattedrale di Myeongdong? Alla messa per la beatificazione dei 124 martiri era presente un milione di persone. La stragrande maggioranza erano uomini e soprattutto donne di mezza età. Ma c’erano anche tantissimi giovani sui cui volti si poteva scorgere tutto l’entusiasmo di poter partecipare a un incontro atteso da sei mesi. Una studentessa coreana, cristiana, ha effettuato un suo sondaggio il giorno stesso della partenza di Papa Francesco per Roma. Attraverso un social network molto noto in Corea ha chiesto a 40 amici, conoscenti e colleghi, cattolici e non, se avessero guardato in televisione o assistito dal vivo a una delle quattro maggiori celebrazioni del Pontefice. Qual è stato il risultato? Delle 40 persone intervistate 18 hanno detto di essere non credenti. Tra queste,

sei hanno detto di aver seguito in tv o dal vivo uno o più avvenimenti della visita. Cioè uno su tre. Un dato assolutamente rilevante. La cosa sorprendente è però che tra i 13 giovani cattolici che hanno risposto al sondaggio, solo 3 hanno detto di aver visto in tv o di aver partecipato a uno o più eventi. Sarà un caso, ma questa è esattamente la stessa percentuale (circa 20 per cento) di battezzati coreani che partecipa alla messa domenicale nella propria parrocchia. Certo, si tratta di un piccolo sondaggio, per di più fatto in casa. Ma in qualche modo conferma dati già noti. Tra questi, il fatto che Papa Francesco riesca a chiamare a sé non solo i giovani credenti, ma anche agnostici e atei. Il segnale è chiaro: come ha detto lo stesso Pontefice citando il suo predecessore, se la Chiesa cresce è per attrazione (in questo caso un’attrazione ispirata dalla figura del Papa per i suoi modi semplici e il suo linguaggio diretto e spontaneo). A questo dato va poi aggiunto un interessante commento della stessa ragazza che ha svolto il sondaggio, Hyekyung (nome di battesimo Floriana), ventitré anni, che tra l’altro si è occupata delle traduzioni televisive in inglese delle omelie e dei di-

scorsi papali: «I coreani nel loro profondo — sottolinea — restano un popolo, più che di tradizione confuciana, ancora legato all’animismo e piuttosto superstizioso. Una mia amica, che ha avuto lungo tutto quest’anno una serie di problemi per via di uno stalker ed era molto depressa, invece di cercare soluzioni di tipo pratico mi confidava di essere convinta che stava attraversando solo un periodo nero, che si era cacciata in una sorta di ciclo negativo e che prima o poi ne sarebbe uscita». Secondo Hyekyung questo tipo di ragionamento è molto diffuso anche quando si parla della situazione del proprio Paese. «Vari incidenti sulle linee ferroviarie coreane quest’anno, a cui si è aggiunta poi la grande tragedia del traghetto Sewol — continua — hanno fatto pensare a una sorta di ciclo negativo per la Corea. Se, come scrivono molti giornali, la visita di Papa Francesco ha portato un vento nuovo in Asia, forse questo vento è stato percepito da tanti come un segnale di speranza che si possa aprire un nuovo ciclo, questa volta positivo». Ma una cosa è chiara dopo i cinque giorni della visita del Papa. Se è più importante, come ha ripetuto di nuovo Francesco a Solmoe, ritrovare la pecorella smarrita piuttosto

che curare le altre novantanove del gregge, allora questa è stata una missione pastorale che ha centrato in pieno il suo obiettivo. I giovani coreani non credenti hanno infatti avuto la possibilità di vedere da vicino quella che è per loro una vera star mediatica, che è apparsa sulle copertine laiche di «Vanity Fair», «Rolling Stones» e «Time». E soprattutto — al contrario delle altre personalità mondiali — riesce a trasmettere un forte messaggio positivo e di speranza, scegliendo parole chiare e semplici, con il

fine di incoraggiarli a non disperare mai. È bene allora che per questi giovani non credenti lo sguardo sul futuro sia animato da una nuova speranza, perché l’incontro con il Papa ha ispirato loro anche una curiosità spirituale. Se poi continueranno ad avere uno sguardo superstizioso sul mondo, Francesco ai loro occhi ha forse contribuito a chiudere definitivamente un ciclo negativo e a inaugurarne uno nuovo. E viene in mente il titolo di un film di Woody Allen, Whatever works («in ogni caso opera»).

Lezioni di Francesco Al viaggio del Papa il quotidiano di Seoul «JoongAng Ilbo» di sabato 16 agosto ha dedicato l’editoriale che pubblichiamo in una nostra traduzione italiana. Papa Francesco ha stupito e commosso i sudcoreani non solo con i radiosi sorrisi che lo contraddistinguono e con le sue confortanti parole, ma anche con il suo atteggiamento umile, tenero e sincero verso le persone di tutte le estrazioni sociali. Durante il primo viaggio papale in Corea degli ultimi 25 anni, Papa Francesco ha salutato centinaia di migliaia di persone emozionate da una piccola utilitaria Kia

invece che da una berlina di lusso blindata come quelle che di solito prediligono i vip nei loro viaggi all’estero. Ha portato lui stesso la sua borsa. Nei cinque giorni della sua permanenza in Corea ha pranzato e dormito nella modesta residenza a due piani dell’arcivescovo Osvaldo Padilla, capo della rappresentanza diplomatica della Santa Sede a Seoul. Lungo il tragitto per recarsi alla messa nel World Cup Stadium di Daejeon ha rifiutato le solite formalità della sicurezza e ha fatto fermare la macchina diverse volte per salutare e incontrare la folla. Il suo

contatto sincero con le persone e la sua umiltà sono un’immagine che poco conosciamo nelle figure dei potenti. Il pontefice argentino, ben noto per la sua rottura con le consuetudini autoritarie della Chiesa cattolica romana, ha scelto di indossare un semplice anello piscatorio in argento piuttosto che uno in oro, e vecchie comuni scarpe di pelle nera piuttosto che mocassini rossi fatti a mano. Attraverso pratiche esemplari di modestia e di frugalità, Francesco ha accresciuto l’autorità e la reputazione del Pontefice e della sua religione. La sua leadership dallo stile semplice, umile e pratico gli ha dato l’autorità morale per perseguire vaste riforme nelle istituzioni cattoliche, compresa la banca vaticana, tormentata dalla corruzione e colpita da scandali. Ha dichiarato guerra ai gruppi avidi, impegnandosi a scomunicare l’organizzazione criminale mafiosa. Incontrando la presidente Park Geun-hye, ha consigliato alla leadership di dedicare particolare attenzione «ai poveri, a coloro che sono vulnerabili e a quelli che non hanno voce». Ha benedetto e consolato le famiglie degli studenti

morti nel naufragio del traghetto Sewol, indossando sulla sua veste un nastro giallo, segno della nostra più grande tragedia in mare. «E la giustizia, come virtù, fa appello alla tenacia della pazienza; essa non ci chiede di dimenticare le ingiustizie del passato, ma di superarle attraverso il perdono, la tolleranza e la cooperazione». Le sue parole, chiare e semplici, hanno avuto una grande eco in un Paese colpito da disuguaglianze, conflitti d’interesse e sfide esterne e tensioni con la Corea del nord. Il Papa della gente gode di un sostegno e di una popolarità senza precedenti in tutto il mondo, ben oltre la popolazione cattolica, grazie alla sua leadership unica, caratterizzata da modestia, semplicità, tolleranza, impegno e disciplina, concentrata interamente sulle persone e sul bene comune. Dà preziose lezioni ai leader del Paese.


L’OSSERVATORE ROMANO

mercoledì 20 agosto 2014

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La preghiera accompagna la visita del cardinale Filoni tra le popolazioni perseguitate

Per costruire in Iraq un futuro di speranza

BAGHDAD, 19. «Tutte le autorità ci hanno garantito la loro collaborazione. Bisogna pensare che qui in Iraq oggi ci sono un milione e duecentomila rifugiati, quattrocentomila bambini, persone appartenenti a vari gruppi religiosi ed etnici». È quanto afferma il cardinale Fernando Filoni, inviato personale del Papa tra le popolazioni perseguitate dell’Iraq. Ieri il porporato, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha proseguito la sua visita ad Erbil, nel Kurdistan, per esprimere «la vicinanza, l’affetto

e l’incoraggiamento» del Papa ai cristiani e alla minoranza yazida messi in fuga dalle milizie fondamentaliste dello “Stato islamico”. «Giorno dopo giorno — ha detto ai microfoni di Radio Vaticana — si vede che, anche se nella precarietà, si prendono già opportune soluzioni per facilitare la presenza di questi oltre ventimila rifugiati qui a Erbil, soprattutto nella cittadina di Ankawa, una cittadina quasi totalmente cristiana caldea, dove sono stati ospitati nei vari luoghi, dai giardini vicini alla chiesa, alla chiesa

stessa, ai luoghi di catechismo, oppure nei centri che sono stati messi a disposizione ma dove, ovviamente, si è dovuto far fronte alla logistica: pensiamo ai bagni, alle docce. Qui ci sono 48 gradi! Quindi le esigenze di queste persone sono i beni di prima necessità. Naturalmente, dopo questa prima sistemazione, inizia a emergere più forte il problema del futuro». In questo senso, il porporato ha sottolineato che «ci sono delle questioni relative proprio alla certezza da parte di questa gente di poter vivere, anche se in luo-

ghi di rifugio, ma comunque in sicurezza. Da parte nostra, quello che sollecitiamo lo facciamo a nome di tutta la gente, che ovunque siamo andati ci ha chiesto questo». Si moltiplicano, intanto, in tutto il mondo le iniziative di preghiera, vicinanza spirituale e solidarietà con la popolazione irachena. Nel giorno della solennità dell’Assunta, come è noto, si sono svolte le particolari giornate di preghiera indette dagli episcopati italiani e francesi. Domenica 17 un’analoga iniziativa è stata promossa in Albania, mentre per i prossimi giorni sono in programma altre manifestazioni. Una veglia interreligiosa di preghiera è stata organizzata per domani, mercoledì 20, a Ginevra dall’episcopato elvetico assieme a esponenti ortodossi ed episcopaliani del Paese. All’incontro parteciperanno anche rappresentanti della comunità yazidi e di numerose associazioni musulmane. Ognuno pianterà una rosa bianca in segno di pace e di compassione per le vittime della persecuzione. Venerdì 22, ricorrenza della beata Vergine Maria Regina, a unirsi in preghiera con le popolazioni irachene saranno i cattolici dell’India. «Maria Regina del Cielo è la nostra unica speranza. Ella è molto rispettata dai musulmani, è un modello di fede per loro», ha detto annunciando l’iniziativa il vescovo di Vasai, Felix Anthony Machado, presidente dell’Ufficio per il dialogo e l’ecumenismo della Catholic Bishops’ Conference of India.

Iniziativa diocesana a Bergamo

L’assistenza ai rifugiati del patriarcato di Gerusalemme dei Latini

Gli immigrati nella casa per i ritiri

A Gaza c’è bisogno di tutto

BERGAMO, 19. La diocesi di Bergamo apre le porte all’ospitalità di oltre cinquanta profughi richiedenti asilo. Il vescovo Francesco Beschi, accogliendo il forte invito di Papa Francesco, ha deciso di destinare ai rifugiati la casa per ritiri spirituali, in località Botta di Sedrina. Lo rende noto il sito in rete della diocesi orobica che, spiegando il significato dell’iniziativa, ricorda la visita compiuta il 10 settembre dell’anno scorso dal Pontefice al Centro Astalli, luogo nel cuore di Roma che accoglie, nutre e aiuta rifugiati, proseguendo idealmente il suo viaggio a Lampedusa dell’8 luglio precedente. «Nel suo discorso — viene ricordato — il Santo Padre ha consegnato alla Chiesa delle linee molto chiare: “I conventi vuoti non servono alla Chiesa. (...) I conventi vuoti non sono vostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati. (...) Certo non è qualcosa di semplice, ci vogliono criterio, responsabilità, ma ci vuole anche coraggio. Facciamo tanto, forse siamo chiamati a fare di più, accogliendo e condividendo con decisione ciò che la Provvidenza ci ha donato per servire”».

Lutto nell’episcopato Monsignor Paul Nguyên Thanh Hoan, vescovo emerito di Phan Thiêt in Vietnam, è morto lunedì 18 agosto. Nato l’11 novembre 1939 a Nghe An, in diocesi di Vinh, era stato ordinato sacerdote il 29 aprile 1965. Eletto vescovo coadiutore di Phan Thiêt il 4 luglio 2001, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale l’11 agosto. Era quindi divenuto vescovo di Phan Thiêt il 1° aprile 2005 succedendo per coadiuzione. Il 25 luglio 2009 aveva rinunciato al governo pastorale della diocesi. Le esequie saranno celebrate giovedì 21 agosto nella cattedrale di Phan Thiêt.

Fondazione Migrantes sull’operazione Mare nostrum

Centomila profughi salvati nel Mediterraneo ROMA, 19. «Nel 2014 quasi centomila persone che attraversavano il Mediterraneo alla ricerca di pace, libertà e sicurezza sono state accompagnate dall’operazione “Mare nostrum” a sbarcare nei porti della Sicilia, della Calabria, della Campania e della Puglia». Lo ricorda monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, citando Lampedusa, Augusta, Pozzallo, Porto Empedocle, Palermo, Catania, Trapani, Messina, Reggio Calabria, Salerno, Taranto tra i luoghi «dell’approdo, della salvezza, le città della prima accoglienza, della cura, della vita, anche della partenza verso altre città d’Italia e d’Europa». L’Italia, sottolinea monsignor Perego, «ha insegnato con tanti operatori della Marina, delle cooperative, dei Comuni, con i volontari giovani e

anziani delle nostre comunità ecclesiali e dell’associazionismo che il mondo in guerra, alla fame, perseguitato per la propria fede, vittima di un nuovo traffico di esseri umani, sta arrivando tra noi». E i volti dei migranti «ci ricordano nelle loro ferite cosa sta realmente accadendo in alcune parti del mondo». Un monito per l’intera Europa, «perché la paura e l’indifferenza non spengano la storia d’incontri, di cura e di accompagnamento che sta avvenendo ai confini italiani ed europei. E in questa storia quotidiana di sofferenza che il Mediterraneo ci regala, nascono fatti, crescono segni di una fantasia della carità che non ha fine». Anche per questo, aggiunge, “Mare nostrum” è stata «la più imponente operazione militare umanitaria dell’Italia nel Mediterraneo».

GAZA, 19. «I rifugiati hanno bisogno di tutto: cibo, acqua, vestiti»: tacciono le armi ma nella Striscia di Gaza resta sempre alta l’emergenza profughi. A riferirlo è padre Mario da Silva, che opera nella parrocchia della Sacra Famiglia. La Chiesa e diverse istituzioni cristiane cercano di rispondere alla drammatica situazione e di fornire assistenza. Circa novecento profughi, racconta padre Mario, sono stati alloggiati nella scuola cattolica. Come sempre, però, le risorse a disposizione non riescono a far fronte all’emergenza. Per questo, in seguito alla richiesta del patriarcato di Gerusalemme dei Latini, nei giorni scorsi la fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) ha inviato un primo contributo straordinario di 50.000 euro in favore delle vittime del conflitto in atto a Gaza. La donazione — riferisce un comunicato di Acs — coprirà i costi delle spese mediche e permetterà alle strutture ospedaliere cristiane presenti a Gaza di fornire assistenza e di avere a disposizione il carburante necessario al funzionamento dei generatori di elettricità. Parte della somma servirà alla ricostruzione delle case dei cristiani distrutte dalla guerra. Obiettivo che, viene sottolineato, probabilmente richiederà nuovi aiuti. «La situazione umanitaria a Gaza è terribile — ha scritto monsignor William Hanna Shomali, vescovo ausiliare e vicario generale di Gerusalemme dei Latini, in un appello inviato ad Acs — vi chiediamo di pregare per la pace e di aiutare le vittime della guerra». Nella Striscia di Gaza vivono circa 1.300 cristiani a fronte di 1.800.000 musulmani. A causa dei bombardamenti, quasi nessuno esce di casa per andare in chiesa. «Noi celebriamo la liturgia ogni giorno, ma la parrocchia è quasi sempre vuota. Soltanto i più coraggiosi assistono alla messa», dice padre Mario da Silva. Per questo è stato inaugurato un servizio di pastorale telefonico: «Ogni giorno chiamiamo i fedeli, chiediamo loro se hanno bisogno di aiuto e cerchiamo di incoraggiarli».

Con il pensiero alle vittime della violenza

La fiducia del cuore passività. Anche noi possiamo preFRATEL ALOIS parare la pace. In questo non c’è Fratel Roger amava invitare alla forse un appello di fratel Roger gioia. Non pensava però molto a verso tutti noi oggi? Iniziamo con questi grandi momenti di felicità qualcuno laddove siamo, laddove che tutti conosciamo ma che resta- siamo inviati. Sappiamo che l’effino fuggevoli. La gioia di cui parla- cacia durevole non viene da azioni va mi sembra piuttosto vicina alla spettacolari, ma da una pace che pace, quella che sperimentiamo riceviamo da Cristo, e che si irradia quando interiormente siamo uniti, per tutte le persone che abbiamo non divisi o lacerati. Questa unità intorno. «Consegui la pace e una interiore non possiamo crearla da moltitudine la troverà intorno a noi stessi. Dobbiamo riceverla. La te»: fratel Roger amava citare quesentiamo soprattutto quando sap- ste parole di san Serafino di Sarov. Quando penso a Maria, penso al piamo di essere amati. Ma l’amore che ci viene da altre persone e che coraggio che lei ha avuto nel dire noi stessi diamo agli altri è così fra- sì a qualcosa che sembrava imposgile e dolorosamente limitato. Deve sibile, che la superava completarinnovarsi costantemente. Fratel mente. Lei ha dovuto accettare, talRoger sapeva che possiamo ferire anche le persone che amiamo. E che dire di tutti coloro che sono rifiutati dalla società, coloro che conoscono la violenza, la guerra, «Anche oggi siamo sconcertati dalle violenze delle malattie incurae dalle catastrofi nel mondo. Pensiamo ai bili? Spesso siamo conflitti armati in Ucraina, a Gaza, in Iraq e impotenti di fronte alaltrove. Non siamo tuttavia condannati alla le calamità e alle lacepassività. Anche noi possiamo preparare la razioni che vediamo pace». È un passaggio della meditazione — nel mondo o proprio della quale pubblichiamo ampi stralci — vicino a noi. pronunciata il 14 agosto dal priore della Di fronte al male, comunità di Taizé in ricordo di fratel Roger, fratel Roger ha preso a nove anni dalla morte avvenuta il 16 agosto risolutamente il cam2005. Sabato scorso, nella chiesa della mino che gli sembraRiconciliazione, c’erano tanti giovani riuniti va quello del vangelo: in preghiera. Solo un’anteprima di quanto abbandonarci a Dio accadrà nel 2015 quando si celebreranno il nella fiducia del cuo100° anniversario della nascita di fratel Roger re. Sempre più vedo il e il 75° di fondazione della comunità. valore di questo cammino di fratel Roger quando diceva «Beato chi si abbandona a te o Dio, nella fiducia del cuore». volta duramente, che Gesù fosse Cosa voleva dire? È un combatti- del tutto diverso dalle attese umamento che può richiedere tutte le ne. Maria ha però accompagnato il nostre forze: prendere la decisione suo unico figlio sotto la croce, là interiore di affidarci a Dio. Non a dove ogni speranza sembra morire. un Dio lontano, ma a un Dio che è È una gioia cantare con lei, che è amore, che nel Cristo ha condiviso in cielo, il suo canto, il Magnificat: le nostre gioie e le nostre pene e «L’anima mia magnifica il Signore, che abita in noi attraverso lo Spiri- e il mio spirito esulta in Dio mio to Santo. Avere fiducia in Cristo, Salvatore». Domani sera, durante anche senza sentire la sua presenza, l’eucaristia, accoglieremo nella noecco che cosa è la “fiducia del cuo- stra comunità un giovane del Guare” di cui parlava fratel Roger. In temala, si chiama Henry. Chiedentutte le situazioni prendiamo il ri- do di essere un fratello della nostra schio di avere fiducia che l’amore comunità, vuole seguire Cristo e di Dio avrà l’ultima parola nelle dire insieme a fratel Roger «Beato nostre vite e nello svolgersi della chi si abbandona a te, o Dio, nella storia. La fiducia del cuore si fortifiducia del cuore». fica in noi quando lasciamo che impregni la nostra vita: quando non rispondiamo troppo in fretta a una parola che ci ferisce, quando rifiutiamo di accusare tutto un popolo di cui solo una parte agisce male, quando restiamo vicini a un malato anche senza poterlo aiutare. Fratel Roger è venuto a Taizé da solo all’età di 25 anni. Era l’inizio della seconda guerra mondiale. Di fronte alla violenza e alla negazione dell’umanità, cosa poteva fare? Non aveva mezzi per arrestare la barbarie. Ma, anche da solo, ha potuto accogliere persone in difficoltà. E soprattutto ha preso la decisione di preparare già la pace. In che modo? Egli era cosciente che i cristiani avevano una responsabilità particolare per la pace. Diceva a se stesso: iniziamo con qualcuno a vivere veramente la pace e la riconciliazione fra di noi. Riconciliamoci fra cristiani per essere insieme un segno della pace di Cristo. Anche oggi, siamo sconcertati dalle violenze e dalle catastrofi nel mondo. Pensiamo certamente ai conflitti armati in Ucraina, a Gaza, in Iraq e anche altrove. Non siamo tuttavia condannati alla di

Ricordo di fratel Roger


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Un secolo fa, nelle prime ore del 20 agosto 1914, moriva Pio

mercoledì 20 agosto 2014

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Con lo stile di chi serve Il segretario di Stato ricorda la figura di Papa Sarto Sono molte «le somiglianze», soprattutto nello «stile del servizio», fra Pio X e Papa Francesco, accomunati anche dalla circostanza di aver esercitato «il ministero diretto in una diocesi, tra sacerdoti e fedeli». A proporre questo parallelo è il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, nell’intervista pubblicata dal settimanale della diocesi di Treviso «La Vita del popolo» nell’edizione del 10 agosto, dedicata al centenario della morte di Papa Sarto. «Sono convinto — afferma — che Papa Pio X e Papa Francesco ci possono ispirare una profonda gioia di appartenere a Cristo e alla Chiesa, una sincera adesione al Vangelo da testimoniare in qualsiasi ambiente di

Sono nelle mani di Dio Pubblichiamo una pagina dal libro «Il santo pontefice romano Pio X» di Nello Vian (con fotografie di Leonard von Matt) uscito sessant’anni fa alla vigilia della canonizzazione. di NELLO VIAN uattro giorni dopo l’undicesimo anniversario della sua elezione, l’8 agosto 1914, avvertì i primi segni di malessere, ma fino alla festa dell’Assunta, che cadde di sabato, seguitò a celebrare messa e a dare udienza. La domenica 16 e i due giorni che seguirono, li passò tra il letto e il tavolo, la sera conversando con le sorelle Anna e Maria e due sue nipoti Parolin, presente anche il medico Amici, che egli chiamava «il beato Andrea ». Il 18 sera, suonate le otto e mezzo, congedò le donne e si raccomandò per un’avemaria, con la fede semplice di un vecchio prete di campagna. In quella notte, l’ultima passata in piena conoscenza, tra pensieri che furono gli estremi colloqui del Papa con Dio, peggiorò. Alla mattina la crisi, salita la febbre fino a quaranta gradi, apparve mortale. Erano le dieci del mercoledì 19 agosto, e circa le undici Pio X era in agonia. Un crocifisso e due candele sopra una tavola rappresentarono tutto l’apparato dei riti supremi. Egli disse solo: «Sono nelle mani di Dio, fate come vi pare», ma sopra il suo volto splendeva una luce strana. Ricevette il Corpo di Cristo come viatico, e per l’estrema Unzione rivoltò egli stesso le mani. Nell’unzione dei piedi, uscì di conoscenza e non si riscosse al toccargli la pupilla. Ma poco dopo riaprì gli occhi. Durante il pomeriggio, senza parlare più, strinse per un’ora la mano del cardinale segretario di Stato e altrettanto a lungo quella dell’aiutante di camera, il grande prelato e il servitore. Con il moto degli occhi, in silenzio, salutò gli altri e le povere donne della sua famiglia, che mescolavano i loro abiti neri alle porpore cardinalizie. Levava ancora la mano a benedire e a segnarsi con larghi gesti. All’improvviso, i cupi rintocchi del campanone di San Pietro per l’agonizzante Pontefice percorsero l’aria pesante immota di quella sera d’estate. Tutte le campane di Roma echeggiarono, e nel mondo desolato dalla guerra la cristianità si raccolse in preghiera per il Padre che consumava il sacrificio. La bella testa candida posava sul biancore del guanciale. Il Papa sentiva avvicinare la morte, con fermezza. La camera era quasi deserta. Verso la mezzanotte Pio X perdette la conoscenza, e all’1 e 16 del 20 agosto, spirò senza un trasalimento, come il lavoratore della sua terra si abbandona nel sonno dopo la lunga giornata di fatica.

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vita e una fervorosa ansia missionaria». Del resto, tiene a precisare, ciò che davvero conta è che «ogni Papa ha ricevuto da Cristo il mandato di pascere il suo gregge ed è chiamato a rivivere in se stesso la figura e i sentimenti del buon Pastore e di spendersi nella custodia e per la crescita della Chiesa che il Signore gli ha affidato». Perciò «le sensibilità e i modi possono essere diversi, ma il larità sostanziale tra le riforme istituzionali e Papa, che si chiami Pietro, Pio, Cledi CARLO FANTAPPIÈ organizzative, quelle strettamente giuridiche e mente o con qualsiasi altro nome, a almeno mezzo secolo il pontifi- quelle pastorali. Il tutto è raccordato a un diseche sia italiano o non italiano, deve cato di Pio X ha diviso e continua gno di rinnovamento centrato sulla missione risvegliare sempre nel cuore dei cata dividere non solo la Chiesa ma spirituale della Chiesa con connotati fortementolici un profondo affetto e un grananche gli studiosi. Tuttavia sareb- te cristocentrici. de senso di comunione con lui». Tuttavia la volontà di riforma di Papa Sarto be errato imputare la responsabiliEd è precisamente ciò che ha satà del contrasto di giudizi e di valutazioni agli era destinata, per un lato, a scontrarsi con la puto fare Pio X, «il quale — secondo storici di diverso orientamento oppure alle sorda resistenza del centro e della periferia delil cardinale — ha mantenuto per tutstrumentalizzazioni dei lefebvriani. Bisogna la Chiesa, àncorati per tanti versi alle tradiziota la vita i lineamenti dell’umile e laprendere atto che siamo di fronte a una figura ni di antico regime, e, per un altro lato, a enborioso prete delle nostre diocesi vecomplessa di Papa, la cui azione di governo e, trare in rotta di collisione con le istanze di renete di fine ‘800: la modestia e la prima ancora, i reali propositi e i tratti psicolo- visione dogmatica, disciplinare e istituzionale bonomia; la battuta spontanea e begici pongono difficoltà interpretative non anco- avanzate, in sintonia con la cultura liberale, dal nevola; la preparazione e lo studio ra del tutto superate. È dunque opportuna e movimento modernista. Bene fa quindi Romateologico e giuridico che coltivò con meritevole l’intenzione di Gianpaolo Romana- nato a richiamare frequentemente il tema delle assiduità, anche da parroco; la proto di tracciare un profilo a tutto tondo di Pio resistenze interne (ancora da studiare) e, al fonda fedeltà alla Chiesa e ai pastotempo stesso, a evocare lo spettro del moderniX . Vi si era cimentato già nel 1992; lo rifà adesri; la capacità di essere guida di aniso, in occasione del centenario della morte del smo come l’antitesi del programma di rinnovame con la confessione, la predicazioPontefice, con Pio X. Alle origini del cattolicesi- mento papale. ne e la direzione spirituale; la sinceD’altra parte va considerato che questo rinmo contemporaneo (Torino, Lindau, 2014, pagine ra condivisione delle misere condi584, euro 32), opera aggiornata sulla base delle novamento delle strutture e delle regole interne zioni di vita di gran parte del popoalla vita della Chiesa viene concepito da Pio X più recenti indagini. lo a lui affidato; il senso concreto e Uno dei pregi maggiori di questa indagine è secondo modalità assolutamente centralistiche, realista (il buon senso!) delle cose e l’aver unito la compiutezza e la finezza della per quanto attuato con la collaborazione di delle situazioni, e delle soluzioni da ricostruzione biografica con un’immagine uni- una squadra di esperti. Dunque il peso adottare». E, in proposito, il carditaria ed equilibrata di Sarto. Facendo ricorso a dell’ideazione delle grandi riforme, così come nale ricorda «lo stupore e l’entusiauna costante correlazione tra ricostruzione ana- la loro attuazione o fallimento, proveniva e smo dei romani nei primi anni del litica e quadro generale, Romanato ha valicato gravava interamente sulla persona papae. In suo pontificato, quando videro il Pal’interpretazione sezionale e polemica cui que- questo senso l’azione di governo di Pio X va pa accogliere tutti in Vaticano per sta figura è andata soggetta. In un tempo in posta in relazione anche con il grado di autospiegare il catechismo o il vangelo cui prevale, nella storia del papato, un impian- coscienza papale e con la peculiare consapevodella domenica». Questo stile pastorale, spiega, ha to storico-politico o di carattere sociale, a detri- lezza del proprio officium. Un intellettuale filomodernista come Luigi Salvatorelli parlava di fatto sì che «molte lui come di «un individuo ripieno di una forza dimensioni del mie di una virtù divina, un individuo contenente nistero di Pio X» del sacro». siano valide ancor Alla luce del ruolo speciale rivestito dal Paoggi. Tra queste, il pa nella riforma della Chiesa, si comprende la porporato indica necessità di riferirsi alla psicologia del pontefi«la liturgia; poi il ce. Romanato la tratteggia acutamente, vacatechismo per picIn occasione del centenario della morte di gliando e comparando le numerose testimocoli e adulti, come Papa Pio X, sabato 23 agosto, alle 20, il nianze raccolte per il processo di beatificazioluogo di conoscencardinale segretario di Stato, Pietro ne. La personalità di za delle verità della Parolin, presiederà la messa nel parco del Pio X si presenta prima fede e di maturasantuario delle Cendrole a Riese. La di tutto fortemente dezione delle convincelebrazione, preceduta da una processione terminata. Da qui la zioni interiori dei che partirà dalla chiesa parrocchiale, sarà il tendenza a pianificare battezzati e della momento culminante delle numerose e a organizzare le varie vita cristiana». E, iniziative promosse dalla diocesi di Treviso riforme adottando il ancora, «altre scelte per ricordare Papa Sarto. Durante il rito si metodo burocraticopastorali di Pio X pregherà per la pace, specialmente in amministrativo in uso che mantengono Medio oriente. presso lo Stato liberaintatta la loro atle. Ogni riforma papatualità», ha prosele segue un iter comuguito, sono «la prene: parte da un’ideacisa teologia cui base, espressa in un ispirare la proposta cristiana e la temento degli aspetti piano generale; questo stimonianza evangelica; la creatività culturali, teologici e reviene poi affidato, per nell’annuncio della fede e nella praligiosi, questa scelta essere specificato, a tica dell’amore fraterno; la comuniometodologica non può esperti cui il Pontefice ne con i pastori della Chiesa; la parche essere salutata ponon fa mai mancare, tecipazione dei fedeli alle associaziositivamente. mediante comunicazioni ecclesiali (si veda, ad esempio, la Ma quel che è da ne scritta, direttive tasgrande riforma dell’Azione cattolica apprezzare maggiorsative; i dubbi evenda lui voluta); l’esemplare sollecitumente in Romanato è tualmente insorti nelle dine per i poveri e i diseredati». il coraggio intellettuale commissioni così come Nella formazione del Papa, fa nodi contrastare i domile fasi di avanzamento tare il segretario di Stato, hanno innanti clichés storiogradella riforma, infine, ciso anche le radici venete, a cominfici che, a seconda dei sono oggetto di interciare dalla famiglia e dalla parrocpunti prospettici, hanvento e controllo cochia: «Da qui la sua insistenza sulla no dipinto Pio X ora stante da parte del Pasantità dei vescovi e dei preti e sui come «il buon parroco pa e della sua segreteloro doveri nella cura delle anime; mite e ingenuo», ora ria privata. sul catechismo, che nel Veneto era come «l’arcigno conQuesto modo autoIl corpo di Pio X esposto in San Pietro ormai da secoli entrato a far parte servatore nemico di cratico di concepire il del patrimonio parrocchiale; sull’arogni riforma», ora — governo della Chiesa è ticolazione delle parrocchie, in speaccompagnato in Pio X ed è lo stereotipo oggi cie per quanto concerne l’apostolato più diffuso — come «il cieco martellatore della da un atteggiamento tendenzialmente difensivo dei laici, la valorizzazione della donnei confronti dell’establishment e diffidente nei cultura». na, la viva attenzione all’emigrazioCredo sia pienamente da condividere la tesi riguardi degli stessi collaboratori, della cui fene». di fondo che sorregge l’interpretazione di Ro- deltà e obbedienza non di rado dubitava. Ciò Proprio questi elementi hanno manato, e cioè che la «cifra vera del suo ponti- permette di inquadrare meglio certe decisioni portato i fedeli ad amare Papa Sarto ficato» sia rappresentata dalla «riforma della papali come la creazione della «Segretariola», e a riconoscere in lui la santità. Non Chiesa» e non dalle preoccupazioni politiche. un organismo agile, efficiente e sicuro al servic’è dunque da stupirsi se «da diversi Un pontificato, dunque, che si discostava dalle zio delle riforme, che però scavalcava spesso il anni prolificano studi, volumi e conpriorità diplomatiche del suo predecessore Leo- filtro della Segreteria di Stato e le inerzie della vegni su Pio X», rileva il cardinale, ne XIII e del segretario di Stato Rampolla, an- Curia. Ma ci fa comprendere anche come sia che rimarca come la figura di Pio X che se la difesa a oltranza della sovranità e stato possibile che il Papa abbia sconfinato in non sia «più vincolata al solo prodell’autonomia della Chiesa dalle ingerenze de- pratiche dissimulatorie o esercitato una particoblema del modernismo. È piuttosto gli Stati-nazione in Europa e in America Lati- lare sospettosità e durezza nei confronti di tasulla ventata “pastorale” da lui introna sarà uno dei tratti salienti del nuovo ponti- luni cardinali, vescovi e chierici. Avvalendosi dotta nella Chiesa del primo ‘900 ficato e una delle ragioni del recupero di pre- delle indagini recenti sulle carte vaticane, Roche si sta concentrando l’attenziomanato elimina definitivamente quelle ipotesi stigio internazionale della Santa Sede. ne». Del resto, conclude, egli «effetA partire da questo assunto centrale, mi apologetiche che cercavano di addebitare le retivamente fu un pastore, un parroco sembra debbano venire reinterpretati tanto i sponsabilità delle misure poliziesche agli stretti anche da Pontefice, un riformatore, nuovi rapporti ad extra (messa in sordina della collaboratori anziché direttamente al Papa. un creativo, un uomo che accolse i A mio avviso i metodi repressivi del moderquestione romana, rifiuto delle associazioni fedeli e allargò le braccia per abcultuali in Francia, opposizione al partito cat- nismo si spiegano solo facendo riferimento a bracciare tutti (e così lo si volle raptolico e a ogni ideologia sociale autosufficien- un complesso di fattori. Il modernismo si sconpresentare nella statua nella basilica te), quanto le numerose riforme ad intra (dalla trava con una determinata visione dell’ortodosdi San Pietro), un sacerdote consamusica sacra alla codificazione canonica, dal sia e della Chiesa che era propria della teologia pevole della grandezza del ministero nuovo assetto dei seminari italiani alla riorga- della Restaurazione, secondo cui il dogma era sacro e totalmente consacrato al benizzazione della Curia Romana, dal Catechi- una dimensione connessa più alla disciplina ne dei fedeli, soprattutto di quelli smo per i fanciulli alla pietà eucaristica). Non che alla ragione teologica. Il fondamento della più umili e poveri». si tratta di provvedimenti slegati: c’è una circo- Chiesa istituzione era poi identificato nel prin-

Il riformatore

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Celebrazioni a Riese

Antoon van Welie, «Pio X» (Musei Vaticani)

cipio di autorità e di sovranità assoluta del Papa, come l’aveva definito il Vaticano I. Inoltre per Papa Sarto — formatosi nella cultura intrasigente veneta e assiduo lettore di monsignor Pie — l’errore nelle materie dottrinali rivestiva una rilevanza superiore a qualunque deviazione pratica. Dunque era assente dal suo orizzonte l’idea che le componenti filosofiche e ideologiche avessero una loro consistenza autonoma nella società contemporanea e potessero condizionare le scelte indipendentemente dalle intenzioni individuali. Ma su Pio X influiva specialmente una visione del potere e dell’obbedienza nella Chiesa analoga per tanti aspetti all’esecuzione dei comandi nell’apparato centrale degli Stati liberali. Nella concezione del ius publicum ecclesiasticum l’uso del potere coercitivo da parte della Chiesa era giustificato dalla corrispondenza con i poteri dello Stato sovrano, per cui era preciso dovere dell’autorità competente ricorrere a sanzioni per evitare non solo comportamenti antigiuridici ma anche deviazioni dottrinali «sempre perniciosi ma deleteri al sommo se riguardino la religione» scriveva il suo segretario di Stato Merry del Val ancora nel 1929. Questi diversi aspetti sono sufficienti per capire che il modernismo metteva in crisi, oltre il patrimonio dogmatico, la stessa autorità e costituzione della Chiesa: sulla base di queste coordinate dottrinali e giuridiche esso era percepito come l’elemento disgregatore dell’intera compagine ecclesiastica. Non poteva non attivare una grande reazione oppositiva. Tuttavia — nota Romanato — il problema di fondo non è quello del metodo con cui fu represso il modernismo, bensì quello della opportunità e validità della sua condanna. Non c’è dubbio che Pio X avesse una chiara consapevolezza del carattere decisivo della posta in gioco. Appena tre anni fa, il maggiore storico del modernismo, Émile Poulat, osservava che «il merito, troppo dimenticato, dell’enciclica Pascendi, è di avere compreso e indicato che si trattava d’una rivoluzione culturale totale, che non si limitava all’esegesi, ma inglobava ogni aspetto della vita intellettuale». Da questo punto di vista lo scontro tra ortodossia romana e modernismo teologico assumeva un carattere ultimativo. Era in discussione la definizione dei dogmi fondanti il cristianesimo, il valore del deposito della fede e della tradizione dogmatica, ossia l’essere stesso del cattolicesimo. È mia convinzione che il modernismo si sia posto come il più grosso intralcio al disegno riformatore della Chiesa di Papa Sarto e, nella coscienza dei decenni successivi alla sua morte, abbia oscurato il suo eccezionale apporto al cattolicesimo del Novecento. Pio X ereditò una Curia Romana e una Chiesa italiana ancora immersa nell’atmosfera della Restaurazione. Nonostante la rivoluzione francese, la soppressione dello Stato pontificio e il consolidamento degli Stati nazione, la Curia manteneva la struttura, i metodi e lo stile che Sisto V le aveva dato nel 1588. La volontà di Pio X era di trasformarla radicalmente da organismo di antico regime qual era, in un organismo amministrativo e burocratico al servizio del governo pastorale del papato. Quanto alla Chiesa italiana, nessun Papa prima del Sarto aveva avuto il coraggio di indagarne a fondo la pulviscolare organizzazione delle diocesi e la carente formazione e condotta morale del clero mediante un piano sistematico di visite apostoliche. È evidente che l’impegno profuso da Pio X doveva avere carattere esemplare. Opportunamente Romanato ha aggiunto quale sottotitolo alla nuova biografia di Papa Sarto la frase «alle origini del cattolicesimo contemporaneo». Se dovessi sintetizzare il legato storico del pontificato di Pio X indicherei almeno quattro punti: il pieno recupero di una sovranità spirituale della Chiesa nei confronti degli Stati, la codificazione canonica, la modernizzazione della Curia romana e la riforma pastorale morale e intellettuale della Chiesa. Il che è sufficiente per assicurare un ruolo unico a Pio X nel traghettare il cattolicesimo dalle strutture e dalla mentalità della Restaurazione alla modernità istituzionale, giuridica e pastorale.


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