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L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO

GIORNALE QUOTIDIANO

Non praevalebunt

Unicuique suum Anno CLIV n. 215 (46.757)

Città del Vaticano

domenica 21 settembre 2014

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Francesco chiede di pregare per l’Europa, per la Cina e per il Papa stesso

Intervista a monsignor Mirdita alla vigilia del viaggio papale

Tre periferie

L’esempio dell’Albania

E ricorda che la Chiesa deve essere segno di vicinanza per chi soffre La vecchia Europa, la Cina e il Papa stesso sono tre periferie che, per motivi diversi, hanno particolarmente bisogno di preghiere. E queste preghiere Francesco le ha chieste ai nuovi vescovi dei territori dipendenti dalla Congregazione per l’evange-

lizzazione dei popoli. Incontrando sabato mattina, 20 settembre, i presuli ordinati nell’ultimo anno che partecipano a un seminario di aggiornamento promosso da Propaganda Fide, il Pontefice ha consegnato loro il discorso preparato e —

improvvisando alcune parole in risposta a quelle del cardinale prefetto Filoni — ha parlato dell’Europa, come di «un continente un po’ invecchiato». Per questo ha raccomandato che «le Chiese nuove devono» sostenerla «con le preghiere e con l’aiuto affinché si riprenda». La seconda periferia evocata dal Pontefice è la Cina. «Dobbiamo anche pregare per la Chiesa della Cina, per i nuovi vescovi della Cina», ha esortato. Preghiamo «perché le cose possano andare bene e questa peri-

feria possa venire per incontrarci tutti». Infine l’ultima “periferia” è il Papa stesso. «Pregate pure per me», ha concluso. In precedenza, venerdì pomeriggio, aveva ricevuto nell’aula Paolo VI i partecipanti a un incontro sull’Evangelii gaudium, sottolineando che la Chiesa dev’essere «segno di vicinanza, di bontà, di solidarietà e di misericordia», specie per le persone che soffrono. PAGINE 7

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Istituita dal Pontefice una commissione speciale di studio

Per la riforma del processo matrimoniale canonico Il 27 agosto 2014, Papa Francesco ha deciso l’istituzione di una commissione speciale di studio per la riforma del processo matrimoniale canonico. Lo ha reso noto sabato 20 settembre un comunicato della Sala stampa della Santa Sede, nel quale si specifica che la commissione sarà presieduta da sua eccellenza monsignor Pio Vito Pinto, decano del tribunale della Rota romana, e sarà composta dai seguenti membri: il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi; l’arcivescovo Luis Francisco Ladaria Ferrer, gesuita, segretario della Congregazione per la dottrina della fede; il vescovo Dimitrios Salachas, esarca apostolico per i cattolici greci di rito bizantino; i monsignori Maurice Monier, Leo Xavier Michael Arokiaraj e Alejandro W. Bunge, prelati uditori del tribunale della Rota romana; padre Nikolaus Schöch, francescano, promotore di giustizia sostituto del Supremo tribunale della Segnatura apostolica; padre Konštanc Miroslav Adam, domenicano, rettore della Pontificia università San Tommaso d’Aquino (Angelicum); padre Jorge Horta Espinoza, francescano, decano della Facoltà di diritto canonico della Pontificia università Antonianum; e il professor Paolo Moneta, già docente di diritto canonico presso l’università di Pisa. I lavori della commissione speciale nominata dal Papa inizieranno quanto prima e avranno come scopo di preparare una proposta di riforma del processo matrimoniale, cercando di semplificarne la procedura, rendendola più snella e salvaguardando il principio di indissolubilità del matrimonio.

Mirco Marchelli, «Il Signore, padre del suo popolo» (2011)

In fuga dalle violenze scatenate dai miliziani dello Stato islamico

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La Chiesa non deve essere autoreferenziale

Per uscire da se stessa VÍCTOR MANUEL FERNÁNDEZ

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dotti nella città meridionale turca di Sanliurfa. E ieri sulla crisi in Iraq è intervenuto il rappresentante speciale dell’Onu nel Paese, Nikolay Mladenov, il quale ha comunicato che da gennaio in Iraq le violenze hanno provocato 8.500 morti tra i civili. Inoltre circa due milioni di persone sono sfollate nel Paese. Si stima poi che negli ultimi quattro giorni più di diecimila civili siano stati costretti

ad abbandonare la propria abitazione per sfuggire ai combattimenti. Parlando ieri al Consiglio di sicurezza dell’Onu, il segretario di Stato americano, John Kerry, ha detto che l’Iran può svolgere un ruolo per combattere i miliziani in Iraq e in Siria. «La coalizione richiesta per eliminare l’Is non è solo di natura militare» ha affermato Kerry, aggiungendo che essa deve includere «collabo-

razioni di diversi tipi». Per questo motivo, ha sottolineato il capo della diplomazia statunitense, «vi è un ruolo per quasi ogni Paese del mondo, incluso l'Iran». Ieri intanto il ministro egli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha annunciato che la minaccia globale dell’Is sarà fra i temi al centro di un G7 che si terrà il 25 settembre a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York.

Udienza al presidente della Repubblica di Lettonia Nella mattinata di sabato 20 settembre, Papa Francesco ha ricevuto il presidente della Repubblica di Lettonia, Andris Bērziņš, il quale si è successivamente incontrato con il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, accompagnato dall’arcivescovo Dominique Mamber-

ti, segretario per i Rapporti con gli Stati. Nel corso dei colloqui, improntati a un clima di cordialità, sono state evocate le buone relazioni esistenti fra la Lettonia e la Santa Sede, nonché il positivo apporto della Chiesa cattolica alla società, specialmente in ambito educativo e sociale. Ci si è soffermati poi su alcuni aspetti della vita del Paese, come pure su tematiche internazionali di mutuo interesse, in particolare nel contesto del turno di Presidenza del consiglio dell’Unione europea, che la Lettonia assumerà dal 1° gennaio 2015. Speciale attenzione è stata riservata alla situazione in Ucraina, auspicando che sia privilegiata la ricerca di una soluzione politica, fondata sul diritto, mediante il dialogo.

«Credo che la sofferenza e le aspirazioni della nostra gente siano alla base della decisione del Papa di visitare il nostro Paese. Egli stesso ha menzionato in vari pronunciamenti la sofferenza del popolo albanese, la persecuzione religiosa sotto il regime ateo e la pacifica convivenza tra i vari gruppi religiosi». Monsignor Rrok Mirdita, arcivescovo di Tiranë-Durrës, spiega così il significato della visita che domani, domenica, Francesco compirà in Albania,

la prima in un Paese europeo. E aggiunge: «Il riscontro a livello politico di questa convivenza ha il suo valore importante, perché la presenza di persone appartenenti a varie confessioni religiose fra i responsabili della vita pubblica aiuta il mantenimento degli equilibri sociali. In tal senso l’Albania potrebbe rappresentare un buon esempio». GAETANO VALLINI

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NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Andris Bērziņš, Presidente della Repubblica di Lettonia, e Seguito.

Ankara apre i confini ai civili curdi siriani ANKARA, 20. La Turchia ha deciso ieri di aprire i confini a centinaia di civili curdi siriani in fuga davanti all’avanzata dei miliziani dello Stato islamico (Is), responsabili di atrocità in Iraq e in Siria. Circa quattromila profughi, per lo più donne, anziani e bambini (gli uomini sono rimasti a combattere) hanno potuto così entrare in territorio turco. Da giovedì erano assiepati sul lato siriano della frontiera, dove si susseguono dall’inizio della settimana duri combattimenti fra gli jihadisti e le milizie curdo-siriane che stanno opponendo resistenza all’avanzata dei miliziani verso la città curda di Koban, vicina al confine turco. In un primo momento, ricorda l’agenzia Ansa, Ankara aveva rifiutato di lasciare passare i profughi. La Turchia ospita già più di un milione di rifugiati siriani. In diverse città vi sono tensioni fra loro e la popolazione turca. Poi vi è stato un ripensamento da parte delle autorità turche e così il premier Ahmet Davutoğlu ha dato l’ordine di aprire il confine. Sempre ieri il primo ministro turco ha reso noto che sono stati liberati quarantanove ostaggi turchi a Mosul: erano stati sequestrati dall’Is a giugno. Gli ostaggi liberati, tra cui alcuni diplomatici, sono stati con-

Nel viale principale di Tirana i ritratti dei martiri della fede (Ansa)

Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza la Signora Cristina Fernandez de Kirchner, Presidente della Repubblica Argentina. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza il Si-

Incontro con il presidente dell’Argentina

gnor Thorbjørn Jagland, Segretario Generale del Consiglio d’Europa, e Seguito. Il Santo Padre ha nominato l’Eminentissimo Cardinale Oswald Gracias, Arcivescovo di Bombay, Suo Inviato Speciale alle celebrazioni del 500° anniversario dell’evangelizzazione del Myanmar, in programma a Yangon dal 21 al 23 novembre 2014. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi metropolitana di Chicago (Stati Uniti d’America), presentata da Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Francis Eugene George, O.M.I., in conformità al can. 401 §1 del Codice di Diritto Canonico.

Provviste di Chiese Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo metropolita di Chicago (Stati Uniti d’America) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Blase J. Cupich, finora Vescovo di Spokane. Il Santo Padre ha nominato Abate Ordinario dell’Abbazia Territoriale di Montevergine (Italia) il Reverendissimo Padre Riccardo Luca Guariglia, O.S.B., Monaco della medesima Abbazia, finora lì stesso Priore claustrale e Maestro dei Novizi.

Nella tarda mattinata di oggi, sabato 20 settembre, il Papa ha ricevuto a Santa Marta il presidente della Repubblica Argentina, Cristina Fernandez de Kirchner

Il Santo Padre ha nominato Inviato Speciale, Osservatore Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo il Reverendo Monsignore Paolo Rudelli, Consigliere di Nunziatura.


L’OSSERVATORE ROMANO

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domenica 21 settembre 2014

Firmato a Minsk un memorandum di pace che crea una zona demilitarizzata tra le parti

Incursione in Camerun del gruppo armato islamista

Rafforzata la tregua tra Kiev e i separatisti

L’esercito tenta di arginare Boko Haram nel nord-est della Nigeria

KIEV, 20. Segnali di distensione e di speranza sulla crisi ucraina. Un memorandum di pace è stato siglato ieri sera a Minsk, in Bielorussia, dopo sette ore di riunione del gruppo di contatto formato dai rappresentanti dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), Ucraina, Russia e i ribelli separatisti filo-russi. Oltre al rafforzamento del cessate il fuoco si è raggiunto un accordo anche per la creazione di una zona demilitarizzata di trenta chilometri nella parte orientale del Paese. «Abbiamo firmato un memorandum», ha detto alla stampa l’emissario di Kiev, l’ex presidente Leonid Kuchma. Il documento «dovrebbe portare alla realizzazione di una zona di massima sicurezza», ha affermato il leader separatista filo-russo. L’accordo prevede un cessate il fuoco e un ritiro di 15 chilometri di artiglieria pesante da entrambi i lati della “linea di contatto” tra le truppe ucraine e i separatisti filo-russi. «I belligeranti hanno deciso di non usare le armi pesanti nelle aree popolate e vietare il sorvolo di aerei e di droni. L’area sarà sotto la supervisione dell’Osce», ha dichiarato ancora l’ex presidente Kuchma. Nonostante quest’importante intesa la tregua nella regione resta fragile. «Non si è ancora discusso dello stato di Lugansk e Donetsk (regioni

I rappresentanti di Russia, Ucraina e Osce dopo l’intesa a Minsk (Ansa)

sotto il controllo dei filo-russi)», ha specificato il rappresentante dei separatisti. Dopo la firma a sorpresa del protocollo di cessate il fuoco tra Kiev e ribelli a Minsk il 5 settembre scorso, il presidente ucraino, Petro Poroshenko, aveva proposto di assicurare uno “status speciale” provvisorio alle regioni dell’est, e lo svolgimento di elezioni locali nel mese di dicembre. I separatisti hanno però

Presentato in Polonia il nuovo Governo VARSAVIA, 20. In Polonia il premier incaricato, Ewa Kopacz, ha presentato ieri a Varsavia il Governo che si insedierà lunedì prossimo. La nuova compagine governativa è composta da diciotto ministri, cinque scelti per la prima volta e tredici riconfermati dall’Esecutivo del suo predecessore, Donald Tusk, dimessosi nei giorni scorsi per assumere l’incarico di prossimo presidente del Consiglio dell’Unione europea. Diversi i volti nuovi, tra cui quello del ministro degli Esteri, che diventa l’attuale capo della commissione Esteri del Parlamento, Grzegorz Schetyna, al posto di Radosław Sikorski, che lascia la guida della diplomazia di Varsavia per diventare presidente del Parlamento, al posto della stessa Kopacz. E per la prima volta nella storia del Paese, una donna, Teresa Piotrkowska, diventa ministro degli Interni. Tomasz Siemoniak, è riconfermato come titolare della Difesa e sarà anche vice premier. Il primo ottobre, Kopacz chiederà la fiducia del Parlamento.

L’Osce attua una missione di osservazione e pacificazione nella crisi ucraina grazie a una squadra di 250 osservatori, che sarà raddoppiata entro fine anno. Intanto, la Russia ha inviato un terzo convoglio di aiuti alimentari nell’Ucraina orientale. «Il convoglio è arrivato a Donetsk» ha affermato Alexander Drobyshevsky, portavoce del ministero per la Protezione civile russa. Il primo ministro russo, Dmitri Medvedev, ha invece annunciato di aver firmato un decreto per introdurre in un prossimo futuro dazi doganali sulle merci ucraine. La decisione arriva dopo che Kiev ha firmato l’accordo di associazione e libero scambio con l’Unione europea, nel quadro del quale Mosca vuole veder tutelati i suoi interessi. Parlando dal Forum internazionale degli investimenti a Soci, in riferimento alle sanzioni occidentali, il capo di Governo ha poi avvertito che «ogni tentativo di mettere pressione sulla Russia storicamente non ha mai portato ad alcun risultato». Medvedev ha inoltre denunciato che «i partner occidentali hanno cessato di riconoscere il fatto che la Russia abbia propri interessi nazionali», ma ha detto che Mosca è pronta ad ascoltare le richieste dell’O ccidente, a condizione che questa disponibilità sia ricambiata.

già fatto sapere di non accettare elezioni nell’est dell’Ucraina. Quasi 700 osservatori dell’O sce monitoreranno invece lo svolgimento delle legislative anticipate in Ucraina. Circa seicento persone saranno ai seggi il 16 ottobre, giorno del voto, mentre 16 esperti di stanza a Kiev e 80 «osservatori a lungo termine schierati in tutto il Paese» completeranno il contingente.

ABUJA, 20. Mentre l’esercito tenta di arginare l’offensiva di Boko Haram nel nord-est della Nigeria, una nuova incursione nel confinante Camerun è stata sferrata dal gruppo di matrice fondamentalista islamica, responsabile di sistematiche stragi di civili in attacchi armati e attentati terroristici. Secondo fonti concordi, i miliziani di Boko Haram hanno fatto incursione ieri sera nel villaggio camerunense di Assighassia, lasciando due morti sul terreno dopo uno scontro con i soldati di Yaoundé, e successivamente hanno sferrato un ulteriore attacco nel villaggio di Gansé, uccidendo quattro abitanti. Da parte sua, l’esercito nigeriano afferma di aver consolidato le proprie posizioni nei tre Stati nordorientali, Borno, Yobe e Adamawa, teatro dell’offensiva di Boko Haram. In settimana, il portavoce dell’esercito, Olajide Olaleye, aveva annunciato una dura sconfitta inflitta a Boko Haram in combattimenti a Konduga, nei pressi di Maiduguri, la capitale del Borno, dopo che altre fonti militari avevano parlato di quasi cinquecento miliziani islamisti uccisi in scontri a Ngamdu, sempre nel Borno. Tali sviluppi, secondo fonti locali concordi, non avrebbero comun-

que fermato la pressione di Boko Haram che controlla ancora diverse località nei tre Stati — come Bama, Marte, Gwoza e Gamboru-Ngala, nel Borno, Michika e Madagali nell’Adamawa e Gujba nello Yole — e minaccia tuttora Maiduguri, dove si trovano in questo momento quasi la metà dei circa quattro milioni di abitanti del Borno. La popolazione di Maiduguri è stata infatti raddoppiata dall’arrivo di centinaia di migliaia di sfollati dalle altre località dello Stato.

Dopo la bocciatura del referendum sull’indipendenza della Scozia la regina invita ad andare avanti

Sigillo reale Il primo ministro Salmond annuncia le dimissioni LONDRA, 20. Il sigillo è “reale”: lo ha posto la regina Elisabetta II, con un raro intervento personale, ieri, ovvero nel giorno in cui si è appreso che la Scozia ha scelto di restare nel Regno Unito. «Ora andiamo avanti» ha detto la sovrana, in una nota personale inviata dalla residenza di Balmoral, facendo appello all’unità. «Vi saranno, in Scozia e altrove — si legge nella nota — sentimenti forti e contrastanti, nelle famiglie, nelle cerchie di amici e vicini, come è nella natura stessa di una robusta tradizione democratica di cui godiamo in questo Paese». Ma nello stesso tempo la sovrana sottolinea di non aver alcun dubbio che «queste emozioni saranno accompagnate dalla volontà di prendere in considerazione i sentimenti degli altri». La regina Elisabetta II rileva quindi che, nel momento di andare avanti, occorre ricordare che «condividiamo un amore duraturo verso la Scozia, che ci aiuta a restare uniti». Intanto, il primo ministro scozzese, Alex Salmond, che si era battuto

Udienza del Papa al segretario generale del Consiglio d’Europa

per l’indipendenza, ha annunciato che si dimetterà e ha dichiarato che non vi sarà un nuovo referendum nel prossimo futuro. Salmond si è detto comunque orgoglioso della campagna per il “sì” all’indipendenza, che ha raccolto 1,6 milioni di voti. «Ora — ha affermato — abbiamo l’opportunità di chiedere a Westminster di mantenere la promessa fatta e di devolvere nuovi e significativi poteri alla Scozia. Salmond ha dunque annunciato che non ripresenterà la candidatura alla leadership dell’Snp nel Congresso in programma a Perth dal 13 al 5 novembre. Fino ad allora continuerà a essere il first minister. Parole di apprezzamento per il primo ministro dimissionario sono state espresse dal premier britannico, David Cameron, il quale ha definito Salmond «un politico di enorme talento e passione». Cameron ha quindi affermato che, malgrado «ci abbia diviso un profondo disaccordo sul suo obiettivo di una Scozia separata, e su molte altre cose, io rispetto e ammiro il suo immenso contributo alla politica e alla vita pubblica». Intanto il presidente statunitense, Barack Obama, ha accolto «con favore» la vittoria del «no» al referendum e ha detto di guardare ora «alla prosecuzione del forte rapporto con il Regno Unito».

Nella mattina di sabato 20 settembre, il Papa ha ricevuto in udienza il segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, e seguito

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BERLINO, 20. Si moltiplicano le iniziative internazionali per fronteggiare l’epidemia di ebola in Africa occidentale. Oltre all’Unicef, il fondo dell’Onu per l’infanzia, anche Francia e Germania stanno allestendo un ponte aereo per aiuti a Guinea, Liberia e Sierra Leone, i Paesi più colpiti. Lo ha annunciato ieri un portavoce tedesco, dopo un incontro a Parigi tra il ministro francese della Difesa, JeanYves Le Drian, e la sua omologa tedesca, Ursula von der Leyen. La base di partenza del ponte aereo è prevista a Dakar, in Senegal. L’esercito tedesco, invierà fino a 100 soldati e quattro aerei di tipo Transall per assicurare e coordinare gli aiuti. In precedenza, un altro ponte aereo dall’inizio della settimana entrante era stato annunciato dall’Unicef, che prevede di consegnare 1.300 tonnellate di aiuti con 55 voli in quindici giorni. In Francia, intanto, sono stati autorizzati tre trattamenti sperimentali contro l’ebola, sulla cui scelta si sono confrontati nelle ultime settimane gli esperti. La prima a ricevere le terapie è stata la giovane infermiera di Medici senza frontiere rimpatriata la notte scorsa e sottoposta subito al trattamento, come ha spiegato il ministro della Sanità, Marisol Touraine.

Sostituito il premier dell’Uganda

La regina Elisabetta

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(Ansa)

Il presidente Kabila accelera la riforma delle forze armate della Repubblica Democratica del Congo KINSHASA, 20. Con il dichiarato intento di dare attuazione agli accordi di pace per la regione dei Grandi Laghi, firmati lo scorso anno ad Addis Abeba, il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Joseph Kabila, ha firmato una serie di provvedimenti per accelerare la riforma delle forze armate. Si tratta di 29 ordinanze, di cui è stata data lettura alla televisione pubblica, per riorganizzare le forze militari sul territorio. «Per consolidare la pace nell’est del Paese, lacerato da venti anni di guerre, il capo dello Stato ha deciso di creare setto-

Ponti aerei per aiuti ai Paesi colpiti dall’ebola

ri operativi non solo per proteggere la popolazione ma anche per sradicare la violenza, da qualsiasi parte provenga», recita uno dei provvedimenti. I settori non riguardano però solo l’est del Paese in senso lato, l’area cioè dove continua a provocare violenze l’intricata interconnessione tra le diverse e pluridecennali crisi dei Grandi Laghi, con la presenza di gruppi armati locali e stranieri, ma anche altre zone. L’elenco comprende infatti Nord Kivu, Grand Kivu, Sud Kivu, Ituri e provincia Orientale, appunto nell’est e nel nord-est,

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don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale

ma anche Nord Equateur, nel nordovest, e Katanga, nel sud-est. Al tempo stesso, il generale Gabriel Amisi è stato nominato al comando della prima zona di difesa, che copre a ovest le province di Kinshasa, Bandundu, Bas-Congo ed Equateur. Ex capo di Stato maggiore dell’esercito, Amisi è stato prosciolto all’inizio di agosto dalle accuse di traffico di armi basate su un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato nel novembre 2012. All’epoca Kabila aveva sospeso il generale, ordinando un’inchiesta.

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KAMPALA, 20. Il presidente dell’Uganda, Yoveri Museveni, ha destituito il primo ministro, Amama Mbabazi, sostituendolo alla guida del Governo con Ruhakana Rugunda, finora ministro della Sanità. La stampa ugandese attribuisce concordemente la destituzione all’intenzione di Mbabazi di contrastare nelle presidenziali del 2016 una rielezione di Museveni. Questi, andato al potere nel 1986 con un colpo di Stato e poi confermato in diverse elezioni, non ha peraltro ancora annunciato una sua nuova candidatura, sebbene tutti gli osservatori la diano per scontata. Tra l’altro, in febbraio il Movimento nazionale di resistenza, il partito governativo del quale sono esponenti sia Mbabazi sia Rugunda, aveva approvato una risoluzione a sostegno di un’ennesima rielezione dell’attuale capo di Stato. All’epoca, fonti vicine a Mbabazi, compresa sua moglie, avevano definito la risoluzione un atto autoritario per sbarrare la strada a una possibile candidatura dell’ormai ex primo ministro ugandese.

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L’OSSERVATORE ROMANO

domenica 21 settembre 2014

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I ribelli accettano il piano di pace dell’O nu

Mentre la commissione elettorale prende tempo prima di annunciare il nuovo presidente

Verso una tregua nello Yemen

Si profila un accordo in Afghanistan per un Governo di unità nazionale

SAN’A, 20. Timidi passi in avanti verso una tregua si sono registrati ieri nello Yemen, teatro nelle ultime 24 ore dell’inasprimento delle violenze a San’a tra ribelli sciiti e rivali sunniti filo-governativi, con decine di miliziani uccisi, con l’interruzione per poche ore delle trasmissioni della tv di Stato e la sospensione del traffico aereo all’aeroporto della capitale. Abdel Malek Al Huthi, leader dei ribelli zaiditi, derivazione sciita maggioritaria nel Paese, ha annunciato tramite suoi emissari nella roccaforte settentrionale di Sa’da di aver accettato il piano per un cessate il fuoco proposto dal negoziatore dell’Onu, Jamal Ben Omar, inviato speciale nello Yemen del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Non si hanno ancora dettagli dei termini dell’intesa, che deve ricevere il sì formale delle autorità governative e dei loro alleati armati, i miliziani sunniti del partito Al Islah. Nel quadro già teso di tensioni politiche e sociali a sfondo confessionale in atto dallo scorso giugno, giovedì erano scoppiati intensi scontri attorno all’aeroporto di San’a tra membri del partito Al Islah e ribelli huthi. Questi ultimi, dalla fine di maggio, avevano portato la loro rivolta armata ben oltre i confini della turbolenta regione di Sa’da: dopo aver conquistato facilmente la cittadina di Amran, sulla strada per San’a, hanno poi puntato sulla capitale, attestandosi sulle colline a nord e a est e minacciando di penetrare nella città. Le richieste degli huthi, in guerra con il Governo centrale da ben dieci anni, sono politiche e geografiche: dare alla regione di Sa’da l’accesso sul Mar Rosso, partecipare alla formazione dei Governi nazionali e vedere rimossi alcuni ministri accusati di corruzione e membri del partito Al Islah. Dopo il fallimento di un primo negoziato con il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, a luglio scorso gli huthi sono entrati a San’a con cortei e sit-in permanenti pacifici, installando tende e gazebo in alcune arterie della città, in particolare lungo la strada che collega la capitale all’aeroporto internazionale.

Manifestazione sul clima a Manhattan NEW YORK, 20. Domani, nella zona newyorchese di Manhattan è prevista quella che è stata definita la più vasta manifestazione di protesta sul clima nella storia degli Stati Uniti. Alle 13, dopo un minuto di silenzio, decine di migliaia di fischietti, suonerie di cellulari e clacson, daranno all’unisono un segnale — aiutati da venti bande musicali e dalle campane dell’intera città — per ricordare che il mondo è in pericolo. Impossibile prevedere quante persone parteciperanno all’iniziativa lanciata da una decina di organizzazioni ambientaliste, affiancate da altri 1.400 partner che si uniranno lungo il tragitto. Hanno già dato la propria adesione il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, l’ex segretario di Stato americano, Hillary Clinton, e il suo successore, John Kerry. «Chiediamo una vera transizione energetica verso un sistema basato su efficienza e rinnovabili e progressivamente sempre meno dipendente da combustibili fossili» hanno precisato in una nota gli organizzatori. Previste marce anche in altre città del mondo: da Jakarta a New Delhi, da Melbourne a Rio. E poi a Roma, Londra, Parigi, Amsterdam, e Berlino. Gli appuntamenti faranno leva sul malcontento individuale della gente per l’assenza di azione sul clima dei leader mondiali. Una inquietudine condivisa da Ban Ki-moon, che per martedì prossimo ha convocato all’Onu un vertice dei capi di Stato e di Governo. L’appuntamento successivo è nel 2015 a Parigi.

In seguito agli scontri delle ultime ore, gran parte delle compagnie aeree arabe e occidentali hanno annunciato la sospensione per 24 ore dei voli su San’a per ragioni di sicurezza. La sede della televisione di Stato è stata raggiunta da colpi di arma da fuoco e l’emittente ha interrotto per circa un’ora le trasmissioni. Fonti governative hanno accusato i ribelli sciiti di aver sparato colpi di artiglieria contro l’edificio della televisione nazionale. Nei violenti combattimenti almeno una settantina di miliziani sono stati uccisi. Nel quartiere dove ha sede la televisione, Al Yaraf, roccaforte degli huthi, sono arrivati rinforzi militari, tra cui carri armati e blindati. Ma le strade del quartiere, in cui da giorni sono rintanati centinaia di combattenti del movimento sciita, sono deserte e i negozi chiusi: i residenti sono in fuga dalle violenze che si prolungano da settimane. I miliziani del movimento huthi si sono spinti fin nella capitale dopo essersi scontrati per settimane alla periferia settentrionale della capitale. Secondo fonti locali i ribelli sono avanzati lungo la via Talatheen, l’arteria principale nel settore occidentale di San’a conquistando numerosi quartieri.

Il segretario di Stato americano con i due candidati alle presidenziali afghane (LaPresse/Ap)

In Australia il vertice finanziario del G20

Nettamente favoriti i conservatori del premier Key

Elezioni politiche in Nuova Zelanda

CANBERRA, 20. È iniziato a Cairns, in Australia, il G20 finanziario, che deve preparare la riunione dei capi di Stato e di Governo del prossimo novembre. Al centro del dibattito, le misure per rafforzare la crescita economica mondiale del 2 per cento in cinque anni, un impegno che i ministri e governatori delle Banche centrali intendono ribadire a Cairns. Dall’ultimo vertice di febbraio, la crescita si è indebolita e particolarmente preoccupante è la situazione dell’area euro, dove si teme il rischio di deflazione. Nella città australiana, il sostegno alla crescita con misure di stimolo monetario e di bilancio sarà, dunque, il tema principale, assieme al rilancio degli investimenti, prima di cedere il posto, nella giornata di domenica, ai temi fiscali e di regolazione finanziaria. E dopo un lungo periodo di assenza, torneranno di attualità anche le discussioni sui cambi. «La crescita globale è insufficiente» ha riconosciuto in una nota il segretario del Tesoro statunitense, Jack Lew, secondo il quale «occorre fare di più» per favorire la ripresa mondiale. «Nel complesso — ha aggiunto — l’economia mondiale continua ad avere delle prestazioni economiche insufficienti e questo vale soprattutto per l’area euro e il Giappone».

WELLINGTON, 20. Con la disoccupazione in calo, l’inflazione sotto controllo e un’industria agroalimentare fiorente, grazie agli alti prezzi internazionali e ai grandi clienti cinesi, oltre tre milioni e mezzo di neozelandesi si recano oggi alle urne per eleggere il nuovo Parlamento di Wellington. Attraverso il sostegno di due partiti minori — che gli assicurano una

solida maggioranza dal 2008 — il Partito nazionale del premier conservatore, John Key, è nettamente favorito, anche se negli ultimi sondaggi si è ridotto il vantaggio sull’opposizione laburista di David Cunliffe, che potrebbe allearsi con i Verdi, in forte crescita. Si vota con un complesso sistema elettorale proporzionale misto di tipo tedesco. Key, alla ricerca di un terzo

L’ex capo dell’esercito vince le legislative nelle Fiji SUVA, 20. L’ex comandante delle forze armate delle Fiji, Voreke Bainimarama, autore di un colpo di Stato incruento nel 2006, ha vinto le elezioni legislative nell’arcipelago dell’Oceania, le prime indette dopo otto anni di regime militare. Il partito di Bainimarama, Fiji First, ha ottenuto circa il 60 per cento dei consensi, mentre la principale formazione dell’opposizione, Sodelpa, guidata da Ro Teimumu Kepa, ha raccolto il 27 per cento dei voti. L’ampio margine assicura all’ex comandante dell’esercito di governare a pieno titolo con il sistema

proporzionale in vigore. Pur avendo assunto il potere con un colpo di Stato, il quarto nel Paese dal 1987, Bainimarama è molto popolare nell’arcipelago del Pacifico, grazie a diverse iniziative intraprese negli ultimi anni dal suo Governo, tra cui l’introduzione di programmi sociali e l’aumento della spesa per le infrastrutture. Se lo svolgimento delle operazioni di voto e lo scrutinio delle schede riceverà un giudizio positivo degli osservatori internazionali, le Fiji potrebbero essere riammesse nel Commonwealth.

mandato, potrà contare sui consensi derivati da una buona gestione delle finanze pubbliche, con un bilancio in attivo, un tasso di crescita superiore al 3,5 per cento (e del 4 per cento nel 2015) e lo stimolo impresso dalla ricostruzione dopo il terremoto del 2011, che ha raso al suolo il centro della grande città di Christchurch, uccidendo centottantacinque persone. E governando con prudenza e moderazione, il primo ministro si è guadagnato il pieno sostegno del mondo degli affari, ma evitando ad autorizzare esplorazioni minerarie nei parchi naturali per non alienarsi l’elettorato ambientalista e di centro. Per molti analisti politici, il leader dell’opposizione Cunliffe, alla guida dei laburisti solo da due anni, non sarebbe riuscito a guadagnarsi le simpatie degli elettori. Il suo programma è incentrato soprattutto su una riforma fiscale, con la promessa di aumentare le tasse per i redditi più alti. Gli ultimi sondaggi attribuiscono ai laburisti circa il 26 per cento dei consensi, contro oltre il 47 per cento di Key, mentre i Verdi raggiungerebbero il 12 per cento dei voti. Attualmente, i nazionalisti dispongono di cinquantanove seggi su centoventi, i laburisti trentaquattro e i Verdi quattordici.

Assemblea straordinaria dell’Organizzazione degli Stati americani

Strategie contro il narcotraffico

I partecipanti al vertice dell’Osa in Guatemala (Ansa)

CITTÀ DEL GUATEMALA, 20. La 46ª assemblea straordinaria dell’O rganizzazione degli Stati americani (Osa), in corso questo fine settimana in Guatemala a livello di ministri e viceministri degli Esteri, ha in agenda un’approfondita discussione su come unificare progressivamente le politiche nazionali di contrasto al narcotraffico. Una proposta continentale in merito potrebbe essere presentata all’Assemblea generale delle Nazioni Unite tra due anni, come affermato ieri, all’apertura dell’incontro, dal ministro degli Esteri guatemalteco, Carlos Raúl Morales Moscoso, e dal segretario generale dell’Osa, José Miguel Insulza. «Non esiste una ricetta universale nella lotta alle droghe poiché colpiscono tutti i Paesi in modi distinti», ha detto il segretario gene-

rale dell’Osa, sottolineando però che «una larga parte delle droghe che si consumano e producono in questo mondo ha origine in America» e che quindi spetta soprattutto al continente cercare risposte. «Questa assemblea sarà ricordata per molto tempo come il momento istituzionale in cui si è preso nota di tutti i difetti e le difficoltà che incontrano le nostre politiche contro le droghe», ha aggiunto Insulza, augurandosi un dibattito costruttivo. L’assemblea straordinaria dell’Osa incominciata ieri giunge due anni dopo quella tenuta sempre in Guatemala, nella città coloniale di Antigua, la prima dedicata alla ricerca di una strategia continentale condivisa di lotta contro le organizzazioni criminali del narcotraffico.

KABUL, 20. Sembrano aprirsi spiragli nel muro contro muro che da mesi oppone i due candidati alla presidenza afghana, l’ex ministro delle Finanze, Ashraf Ghani, e l’ex ministro degli Esteri, Abdullah Abdullah. Secondo fonti di stampa, i due avrebbero infatti raggiunto un compromesso per la creazione di un Governo di unità nazionale. Se tale accordo fosse confermato ufficialmente, si aprirebbe la strada all’annuncio, da parte della commissione elettorale indipendente, del successore di Hamid Karzai. Nei giorni scorsi sempre la stampa afghana era concorde nell’indicare che la scelta, formulata nel ballottaggio del 14 giugno scorso, era caduta su Ghani, ma anche in questo caso manca l’ufficialità. A tale indiscrezione (secondo cui Ghani avrebbe ottenuto ottocentomila voti in più di Abdullah) ha fatto subito seguito la puntualizzazione della commissione elettorale indipendente, che si è ripromessa di annunciare il nuovo capo di Stato a tempo debito. L’intesa che sarebbe stata raggiunta, riferisce l’agenzia Ansa, contempla in particolare la figura del premier, chief executive (che al momento non è prevista dalla Costituzione afghana): una figura che sarebbe incarnata dal candidato sconfitto al ballottaggio. Sull’esigenza di formare un Governo di unità nazionale, che dia voce il più possibile alle diverse istanze formulate dal popolo afghano e che sia rappresentativo dei diversi attori della scena politica, è da tempo che insiste la comunità internazionale. In particolare il segretario di Stato americano, John Kerry, che ha tessuto una paziente opera diplomatica per far addivenire a più miti consigli sia Ghani che Abdullah, ha più volte sottolineato l’urgenza di creare un Esecutivo di tal fatta per superare uno stallo che rischia sempre più di configurarsi come una vera e propria crisi istituzionale. Ma sull’esito di questa impresa non sono molti a essere fiduciosi, evidenziano gli analisti, ricordando come i pesanti ritardi nel calendario elettorale per la nomina del nuovo presidente siano indizi di grandi divergenze che certo non rappresentano la migliore premessa per un Governo di unità nazionale. Basti pensare che da principio l’annuncio del nuovo presidente sarebbe dovuto avvenire il 22 luglio. Del resto le denunce di brogli nelle operazioni di voto, prima formulate da Abdullah, poi da Ghani, hanno finito per creare un clima di sfiducia e di sospetto, in cui è difficile raggiungere compromessi di lunga durata. E in questo complesso scenario continua a pesare l’azione destabilizzante, fatta di attentati e imboscate, portata avanti dai talebani. Anche ieri si sono registrate sanguinose violenze. Come ha riferito l’agenzia di stampa Pajhwok, in un attentato dinamitardo, nella provincia settentrionale di Baghlan, otto persone sono morte e altre tredici sono rimaste ferite. Una bomba è esplosa in un affollato mercato del distretto di Baraka, poco prima della preghiera del venerdì. Tra le vittime figura un bambino.

In Messico l’incubo saccheggi dopo l’uragano CITTÀ DEL MESSICO, 20. Sta crescendo il numero dei gruppi di autodifesa nel sud della penisola della Baja California, in Messico, dopo gli episodi di saccheggio nella zona seguiti al passaggio del devastante uragano Odile. Uomini armati e con il viso coperto hanno saccheggiato otto supermercati, hanno riferito i media locali, evidenziando nello stesso tempo che in diverse aree periferiche fra Cabo San Lucas e San José del Cabo numerosi abitanti, armati di coltelli e bastoni, hanno chiuso i propri quartieri e hanno fatto turni di vigilanza per prevenire l’ingresso di estranei malintenzionati. Il passaggio dell’uragano Odile ha provocato ingenti danni, privando ampie aree di acqua potabile ed elettricità.


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domenica 21 settembre 2014

Una modernità fondata sull’economia e sulla paura dell’altro di FRANCESCO DEL PIZZO* on più schiavi, ma fratelli» è il tema su cui Papa Francesco ha chiesto alla Chiesa di riflettere per la giornata mondiale della pace che si svolgerà il 1° gennaio 2015 e che riprendiamo in occasione, il 21 settembre, della giornata della pace indetta dall’Onu. La fratellanza, bussola della pace, si contrappone alla schiavitù logicamente e semanticamente. In un linguag-

«N

Francisco Goya, «Il colosso» (1808)

Fratelli o schiavi? gio cristiano, ma anche civile e socio-politico, che significa essere fratelli in un mondo che sembra vivere, dice il Papa, una «terza guerra mondiale a pezzi»? L’uomo contemporaneo deve riconsiderarsi e rivalutarsi fratello e non oppressore, poiché beato è colui che riconosce nell’altro la comune dignità dei figli di Dio. O si è fratelli o schiavi: se non si riconosce tale dignità, si può essere facilmente schiavi di se stessi, schiavi del proprio io, immaginando una libertà illusoria e inesistente, che non lascia termini di confronto se non con se stessi e rende gli altri addirittura merce da usare e gettare. Francesco ci fa riconsiderare un termine che, forse, può sembrare desueto a chi, soprattutto in Occidente, si è lasciato assuefare alla logica, per dirla con Baumann, del laissez-faire globale, che ha prodotto povertà e disuguaglianza. La schiavitù, forse moderna in alcune forme, in quanto espressione della tecnocrazia, resta nei contenuti essenzialmente da definirsi a partire dal livello giuridico, in cui si configura come la condizione di chi è, appunto, considerato proprietà privata, privo di ogni diritto umano e completamente soggiogato alla volontà e all’arbitrio altrui (cosa, non

persona). In tal modo la necessità dell’affermazione della propria libertà si trasforma in privazione di quella altrui e, ancora, la libertà diviene sinonimo di potere e opulenza. La questione, dunque, non è semplicemente teologica o pastorale: la schiavitù, in senso lato, diviene un sistema sociale e pone l’accento sulla dimensione sociogiuridica oltre che socio-economica. Ci si muove, cioè, tra la riconsiderazione, la riconcettualizzazione del termine in riferimento ai diritti della persona e le particolari forme di sfruttamento del lavoro. È significativo quanto affermava il Papa già nel discorso del 24 maggio ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti: «La Chiesa rinnova oggi il suo forte appello affinché siano sempre tutelate la dignità e la centralità di ogni persona, nel rispetto dei diritti fondamentali, come sottolinea la sua Dottrina Sociale, diritti che chiede siano estesi realmente là dove non sono riconosciuti a milioni di uomini e donne in ogni Continente. In un mondo in cui si parla molto di diritti, quante volte viene di fatto calpestata la dignità umana! In un mondo dove si parla tanto di diritti sembra che l’unico ad averli sia il denaro. Cari fratelli e sorelle, noi viviamo in un mondo dove comanda il denaro. Noi viviamo in un mondo, in una cultura dove regna il feticismo dei soldi». Parlare di schiavitù e fratellanza è andare, dunque, al cuore del magistero sociale, che ha il suo fondamento proprio nella dignità della persona, oltre che nella solidarietà tra gli uomini e tra i popoli, così come, tra l’altro, già sottolineava la Scuola neotomista napoletana del secondo Ottocento, con uno dei suoi massimi esponenti ed esperti di scienze sociali, monsignor Salvatore Talamo. Stretto collaboratore di Leone XIII e ispiratore della Aeterni Patris, Talamo nella «Rivista Internazionale di scienze sociali e discipline

Giornata mondiale dell’Alzheimer

Di fronte alla fragilità finisca. A volte sul volto di un malato di Alzheimer si accende come una luce. A «Non è più lui!» Questa è la prima cosa e volte quella luce viene da dentro, è il rila più sconvolgente che salta agli occhi di flesso di un pensiero che non possiamo cochi si trova a vivere vicino a un malato di noscere, a volte è il riflesso di un altro volAlzheimer. La perdita della memoria è solo to, familiare o no una delle caratteristiche di questa malattia, non importa, che lo anche se è per questa caratteristica che essa guarda con serenità, è nota ai più. In realtà questa malattia col- e lo rassicura. pisce profondamente prima la mente e poi Di fronte a quel il corpo di chi ne è affetto, sconvolgendo volto sfigurato che entrambi. si apre a un sorriso Prima la mente. La perdita di memoria, ci si commuove, cocertamente, poi l’incapacità a orientarsi, me di fronte a una poi la perdita di contatto con la realtà, le cosa davvero bella. allucinazioni. Il passato scompare e il futu- Ho visto malati di ro non esiste. A mano a mano tutto si ri- Alzheimer con il duce all’attimo presente. Una stimolazione volto sereno. E non dolorosa, una contrarietà, un’allucinazione è stato un caso. Mi e si ha un’esplosione di rabbiosa violenza, diceva un amico: verbale o anche fisica; un attimo dopo la «Gli voglio bene e vista di una foto di un bambino piccolo ed cerco di ricordarmi ecco aprirsi uno sguardo di stupore, di be- com’era, ma faccio nevola tenerezza. Poi, a volte più lenta- sempre più fatica. mente, a volte molto rapidamente, la ma- Non lo riconosco lattia progredisce e anche la capacità di più, non è più lui, parlare ne è stravolta. La parola perde il ma continuo a vosuo significato. Il malato parla, dice cose lergli bene, ma ogni sconnesse, le parole vengono sostituite da giorno che passa è altre di diverso significato, tutto diventa tutto così diverso!». C’è un lungo e incomprensibile. A volte riemerge improvvisa una filastrocca imparata da bambino, difficoltoso cammino da compiere per chi ma è un attimo, un momento. La realtà di- si trova vicino a un malato di Alzheimer. viene estranea, le persone, i familiari, ma Da un lato la fragilità evidente, la dipenanche il proprio corpo, i propri indumenti, denza totale. Dall’altra la totale inconsapei propri occhiali, la propria dentiera. Non volezza di essere in questa condizione. La fragilità però è il luogo dove si può vivere si riconosce più nulla e nessuno. Tutta la vita di un malato di Alzheimer un sentimento troppo spesso smarrito nella sembra ridursi a una successione senza nostra società: la tenerezza. Per una genesenso di attimi. Un attimo dopo l’altro, razione di adulti che vive in una società senza più storia. Anche il corpo mostra il peggio di sé. Difficoltà a muoversi, a deTutto diviene estraneo glutire. Il malato si riduce a un corpo da nutrire, da cola realtà, i familiari e anche il proprio corpo prire, da lavare, da spostare. La vita sembra ridursi Il ritmo della giornata è a una successione di attimi senza più storia scandito da evacuazioni, cambio delle buste dell’urina, preparazione e somministrazione del cibo. Poi i momenti peggiori; le febbri improvvise, l’agi- sempre più “liquida”, che ha ridotto al mitazione, le notti di veglia, senza sapere nimo la capacità di fare figli e che ha perché, che cosa stia realmente accadendo. smarrito la necessità e quindi la capacità di E infine la solitudine di chi assiste. Con accudire e assumersi la responsabilità chi parlare? Con chi confidarsi? Quando dell’altro, la malattia dei propri anziani, riposarsi? Quando finirà? E non volere che per assurdo, diviene l’occasione per vivere di ALESSANDRO SERENELLI

queste due esperienze: accudimento e assunzione di responsabilità, e l’Alzheimer ne è un esempio chiarissimo. Non sono cose solo da donne, e non sono cose solo da badanti. Ogni storia è a sé.

ausiliarie», da lui diretta, assieme a Giuseppe Toniolo, dedicò alcuni articoli proprio alla schiavitù. Per il filosofo napoletano, il termine è rievocativo e compendia l’intera storia della salvezza, letta e interpretata alla luce delle Scritture, dei Padri e dei Dottori della Chiesa, in particolare dell’insegnamento di Tommaso d’Aquino, grazie al quale si costruiscono le basi di una diversa visione dell’uomo, dei suoi diritti e del primato della legge naturale. In buona sostanza, Talamo s’interroga circa la motivazione, che muove molti popoli a non rispettare il principio di

Già nel secondo Ottocento il filosofo Salvatore Talamo s’interrogava sulla ragione che muove i popoli a non rispettare il principio di uguaglianza uguaglianza che è invece naturale, appunto, a partire anche dalla «morale unità del genere umano». Insomma, nel termine “unità” potrebbe esserci tutto il senso della “fratellanza”, che rende il tema prescelto da Papa Francesco una preoccupazione antica quanto attuale della Chiesa, in cui nuovo è l’approccio alla schiavitù come problema non di alcuni popoli, ma globale. In quanto sistema sociale è infatti difficile cogliere i contorni di un concetto diventato, forse, “liquido”, per l’eccessiva penetrabilità in ogni contesto sociale, economico, politico, culturale ed ecclesiale, in ogni contesto in cui, sulla comunione, prevale il senso di una egofania spietata. Il termine schiavitù ci lascia rivedere e riflettere ulteriormente, in questo senso, sulla storia della nostra democrazia, che si è forse infranta dietro il sogno di una modernità solida, fondata spesso sulla paura dell’altro.

Leone d’oro per Steve Reich di MARCELLO FILOTEI Il minimalismo è quanto di più ridondante esista nel linguaggio musicale. Si tratta di esaltare un “minimo” elemento, di reiterare costantemente schemi molto semplici sviluppati in durate spesso così estese da rendere ipnotico il risultato. È il contrario esatto del serialismo, che invece evita le ripetizioni ritenute elementi di incoerenza. Due mondi contrapposti. Una sorta di cartina di tornasole delle differenze ideologiche che esistono tra la vecchia Europa e gli Stati Uniti. Laddove il serialismo europeo, a partire dal secondo dopoguerra, proponeva, e spesso imponeva, un rigore assoluto basato sulla “differenza”; il minimalismo Usa, dagli anni Sessanta del Novecento in poi, rispondeva innalzando l’iterazione a unico ideale estetico. Due forme di estremismo: il serialismo integrale ha allontanato gran parte del pubblico con sprezzante senso di superiorità, il minimalismo ha riportato la gente nelle sale spesso seguendo i gusti predominanti piuttosto che anticipandoli.

Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale

ro saggezza, ma anche per la loro fragilità. Il 21 settembre è la giornata mondiale dell’Alzheimer, un’occasione per far uscire questa malattia dal buio in cui è stata relegata per tanto tempo, ma anche per ripensare la nostra società, i nostri rapporti, i nostri legami. Quanti sono i malati di Alzheimer nel mondo? Nessuno lo sa. In Italia si stima che siano seicentocinquantamila, ma con l’invecchiamento della popolazione questo numero è destinato a crescere. È una malattia che pesa ancora in gran parte sulle famiglie. In Italia esistono notevoli differenze se si vive in una regione piuttosto che in un’altra riguardo al sostegno che si può sperare di ricevere. Familiari e badanti; sono soprattutto loro che si prendono cura di questi malati. I

C’è anche la solitudine di chi assiste Con chi parlare? Con chi confidarsi? Quando riposarsi? Quando finirà? E non volere che finisca

C’è la donna benestante, che lavora in un grande ufficio pubblico, e che preferisce lasciare il lavoro, andare in pensione anticipatamente per badare alla madre malata, invece di lasciarla nelle mani di un’estranea. C’è il figlio con alle spalle un matrimonio fallito, che da giovane ha avuto un rapporto difficile con il padre e che torna a vivere sotto lo stesso tetto dei suoi genitori per accudire proprio quel padre ormai malato, e scopre un’affettività fisica mai esplorata prima. C’è la donna rumena, partita dal suo paese di campagna, giunta a Roma a fare la badante, e poi rientrata di corsa nel suo paese per accudire la madre che nel frattempo si è ammalata. La mamma è morta ma lei ringrazia chi, qui a Roma, l’ha sostenuta e le ha insegnato ad assistere una persona anziana, perché quello che ha imparato qui le è servito per assistere al meglio la sua mamma. C’è la suora che è venuta da un altro continente, e si è ritrovata ad assistere un anziano monsignore malato, in un Paese e in un contesto tanto diversi da quelli da dove viene. Gli anziani vanno rispettati non solo per la lo-

Biennale Musica

servizi territoriali, a causa dei tagli alla spesa sanitaria e sociale, fanno fatica a svolgere il ruolo di rete protettiva e di sostegno così come dovrebbero. Oltre alla malattia, spesso i familiari devono “combattere” per ottenere cateteri, una sedia a rotelle, un letto ortopedico. La rabbia e il senso di solitudine e di abbandono pervadono i familiari, mentre gli amici e i conoscenti fanno fatica a rapportarsi con una persona così trasformata. Le cronache nere dei giornali sono piene di storie drammatiche, di solitudini, di abbandoni, di violenze, più spesso subite, ma a volte anche compiute proprio da chi soffre di Alzheimer, ed è giusto che i riflettori si accendano su questi fatti. Come pure che i media denuncino la latitanza delle istituzioni. Ma non si può affrontare la domanda che nasce dalla fragilità solo denunciando o pensando di dover organizzare meglio i servizi. La fragilità è una domanda personale, che ci arriva diretta. A noi lasciarci coinvolgere o delegare la risposta a qualcun altro. La fragilità, per uomini forti e sani, è l’occasione per lasciarsi prendere dalla tenerezza. E la malattia può diventare l’occasione per rinsaldare i legami. L’Alzheimer è come un’erba amara. Difficile da mandar giù. Difficile da digerire. Ma a volte lascia dietro di sé un’inaspettata benedizione.

Ovviamente dall’una e dall’altra parte gli artisti meno fondamentalisti sono stati e sono quelli più interessanti. Lo statunitense Steve Reich, che domenica 21 settembre a Venezia riceve il Leone d’oro alla carriera nell’ambito della Biennale musica, è tra coloro che nel corso degli anni ha inseguito una ricerca in continua evoluzione, esplorando diverse tradizioni musicali, da quella africana alla cantilazione ebraica. Eseguito in tutto il mondo, Reich, recita la motivazione del premio, «è il rappresentante carismatico di un modo nuovo e originale di intendere la musica accolto con entusiasmo da un vastissimo pubblico e che tanta influenza ha esercitato sulle giovani generazioni non solo americane». Il suo linguaggio «fibrillante di una pulsazione ritmica di forte impatto emozionale — continua il testo — si è via via arricchito, attraverso uno sperimentalismo colto e raffinato, di istanze provenienti da diverse tradizioni musicali che hanno ispirato composizioni considerate, ormai, “classici” della contemporaneità». Alcuni dei “classici” in questione saranno eseguiti al Teatro alle Tese dopo la cerimonia di premiazione. Sul podio dell’Orchestra Sinfonica del Teatro Petruzzelli di Bari salirà Jonathan Stockhammer. In programma City Life e Triple Quartet. Il primo lavoro, del 1995, prevede l’amplificazione di tutti gli strumenti, tranne le percussioni non intonate. La presenza di campionatori digitali consente inoltre l’utilizzo di inserti come clacson, freni ad aria, allarmi per auto, voci e molti altri suoni associati con la città di New York, usati allo scopo di portare la vita quotidiana nella musica. L’idea — già presente nelle sperimentazioni degli anni Cinquanta portate avanti anche da Luciano Berio e Bruno Maderna presso lo Studio di Fonologia di Milano — è utilizzata qui in modo strutturale, un po’ didascalico, ma efficace all’interno di un linguaggio che cerca l’immediatezza dell’ascolto.


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Per produrre cambiamenti significativi non bisogna indugiare in attesa di modifiche nella legislazione e nell’organizzazione Occorre infondere uno spirito intenso e comunitario che produrrà strutture a lui conformi

Jean Guitton «Discepoli di Emmaus» (1958)

La Chiesa non deve essere autoreferenziale

Istituita per uscire da se stessa bene degli altri, comunicando il bene, aprendosi, donandosi, accogliendo, entrando in dialogo e in comunione. In fondo il Papa sta indicando alla Chiesa una strategia di sopravvivenza e di fedeltà a se stessa. Essere fedele alla sua propria natura, per la Chiesa, non è anzitutto custodire un deposito di dottrina, ma uscire da se stessa evangelizzando, servendo, comunicando vita, rendendo presente l’amore misericordioso di Dio che ci spinge avanti. Ci chiediamo ancora una volta se ciò sia solo una questione del cuore. Ma se la conversione sociale porta a un cambiamento di strutture sociali, la conversione pastorale missionaria porta a un cambiamento di strutture ecclesiali, ed esige di sottoporre tutto al servizio della «La conversione pastorale» è il tema istaurazione del Redella relazione che il vescovo Víctor gno di vita. È un rinManuel Fernández, rettore della novamento di tutte le Pontificia Universidad Católica strutture e usanze ecArgentina ha pronunciato nel corso clesiali affinché siano dell’incontro sull’Evangelii gaudium, più missionarie, incluorganizzato dal Pontificio Consiglio per dendo l’abbandono la promozione della nuova delle strutture che evangelizzazione, che si conclude non favoriscono decisabato 20 settembre in Vaticano. samente la missione. Ma voglio ora sottolineare che questa pastorale, che ha la propria origine conversione implica necessariamente nella Trinità stessa. Perché le tre Per- una conversione comunitaria. Nel sone sono riferite l’una all’altra e so- quadro di una conversione strutturano in costante relazione, ma hanno le, ciò si esprime in una strutturaziovoluto anche stabilire un’alleanza ne comunitaria della pastorale diocecon noi. Da questa vita divina deriva sana, in una comunione pastorale un dinamismo di uscita da se stessi che trova la sua espressione migliore che la grazia imprime nel nostro nella pastorale organica. Ancora più cuore. Perciò la carità, che ci fa usci- concretamente, come struttura di core da noi stessi per andare verso gli munione missionaria, si esprime in altri, è la più grande delle virtù. una piano pastorale partecipativo, Quando diciamo che la Chiesa è elaborato, attuato e valutato con la missionaria per natura, stiamo espri- partecipazione di tutti (Documento di mendo proprio questo: è stata isti- Aparecida, n. 371), e allo stesso temtuita affinché uscisse costantemente po flessibile, adattabile, secondo le da se stessa nel servizio, nel dialogo, sfide costanti del popolo di Dio. La conversione “strutturale” di nel dono di sé, nella missione. La metafisica, che cerca di capire la ogni diocesi si plasma in particolare realtà nel profondo, ci insegna che il in una struttura: il piano comunitabene è di per sé diffusivo, ciò che è rio, volto a raggiungere tutti, dove buono tende sempre a diffondersi. tutti si sentono rispecchiati, invitati Se la realtà creata da Dio funziona e inseriti, e che, a sua volta, è una così, e se il dinamismo della grazia è struttura viva, sempre aperta alle noun dinamismo di uscita, allora l’uni- vità dello Spirito. Non bisogna farsi trarre in inganco modo per mantenerci vivi e crescere è uscire da noi stessi nella mis- no: siamo nella postmodernità privasione, e l’unico modo per una comu- tizzatrice e non nella modernità con nità di mantenersi viva e crescere è le sue certezze e le sue utopie! Perciò i nostri vecchi discorsi contro uscire da se stessa. Se una persona capisce questo, al- l’attivismo degli agenti di pastorale lora smette di vivere sulla difensiva, sono fuori luogo. Erano più consoni smette di essere ossessionata dal be- trent’anni fa, o addirittura dieci anni nessere e dai propri interessi, e sco- fa. Negli ultimi anni però la tendenpre che il modo migliore per vivere za alla privatizzazione dello stile di bene è uscire da se stessi cercando il vita si è andata accentuando nella di VÍCTOR MANUEL FERNÁNDEZ

a chiave della conversione permanente, in tutti i suoi aspetti, per ogni individuo e per l’intera Chiesa, è l’autotrascendenza. «Uscire da se stessi» è una categoria chiave per comprendere il pensiero e la proposta di Papa Francesco, perché, come lui stesso dice, il Vangelo «ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé» (Evangelii gaudium, n. 21). È il contrario dell’«autoreferenzialità» che tanto si critica. Si tratta di una categoria antropologica, teologica, spirituale e

L

maggior parte di noi. Non mi riferisco ai discorsi e alle parole, che possono essere molto sociali e civili, ma alle abitudine, alle opzioni concrete, all’uso del tempo, al modo di vivere. Allora la formazione e la cura della spiritualità possono divenire facilmente scuse per rimandare impegni missionari più radicali. Non bisogna mai dimenticare il costante bisogno di sviluppare e di alimentare un determinato “spirito” senza il quale i cambiamenti strutturali nascono morti, nascono caduchi. Quando dico “spirito” non mi riferisco solo a un profondo amore per Gesù Cristo, o alla fiducia nello Spirito Santo, o al fervore evangelizzatore in generale. Certo, questo è il

primo presupposto. Ma, come spiega il Papa nell’ultimo capitolo della Evangelii gaudium, dietro ogni compito c’è un determinato “spirito” che lo motiva e lo riempie di fervore, dietro ogni progetto pastorale deve esserci uno spirito che spinga ad attuarlo, e dietro ogni tappa pastorale nuova o riforma di strutture occorre sviluppare un determinato spirito, una “mistica” che risvegli l’interesse, il piacere, la passione per ciò che si vuole fare. A tal fine, per produrre

cambiamenti significativi, non bisogna indugiare in attesa di modifiche nella legislazione e nell’organizzazione, ma occorre innanzitutto infondere uno spirito che, se realmente intenso e comunitario, produrrà di per sé strutture a lui conformi. Le strutture sono cammini di vita che presuppongono comunità vive, piene di convinzioni in grado di motivare. Lo ha detto bene Benedetto XVI, «le strutture migliori funzionano soltanto se in una comunità sono vive

delle convinzioni che siano in grado di motivare gli uomini» (Spe salvi, n. 24). Perché per le strutture si può dire lo stesso che per le leggi: il fatto che occorre creare molte leggi e strutture per assicurare che qualcosa venga vissuto è un cattivo segnale e non promette buoni risultati. Il fatto che occorra creare determinate norme, documenti e strutture affinché si possa vivere qualcosa è indizio di un cattivo funzionamento all’origine. In tal caso, le ipotetiche nuove strutture non opereranno magicamente e si sommeranno alle innumerevoli esigenze che già gravano sugli agenti di pastorale. In base a quanto detto, risulta chiaro che la riforma delle strutture dovrebbe consistere piuttosto in una semplificazione che ci liberi dalle zavorre temporanee che ostacolano il dinamismo missionario, e non tanto in una moltiplicazione di nuove strutture. Dice Francesco: «Le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima». Altrimenti «qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo» (Evangelii gaudium, n. 26), come di fatto è accaduto in alcuni movimenti ecclesiali.

Conversione

«La Civiltà Cattolica» ripercorre la storia del pluralismo

Scambio di doni «Vado in Albania perché? — ha detto Papa Francesco durante il volo di ritorno dalla Repubblica di Corea, lo scorso 18 agosto — per due motivi importanti. Primo, perché sono riusciti a fare un governo — pensiamo ai Balcani! — un governo di unità nazionale tra islamici, ortodossi e cattolici, con un consiglio interreligioso che aiuta tanto ed è equilibrato. E questo va bene, è armonizzato. La presenza del Papa è per dire a tutti i popoli: “Si può lavorare insieme!”. Io l’ho sentito come se fosse un vero aiuto a quel nobile popolo. E l’altra cosa: se pensiamo alla storia dell’Albania, è stata religiosamente l’unico dei Paesi comunisti che nella sua Costituzione aveva l’ateismo pratico. Se tu andavi a Messa era anticostituzionale. E poi,

mi diceva uno dei ministri che sono state distrutte — voglio essere preciso nella cifra — 1.820 chiese. Distrutte! Ortodosse, cattoliche… in quel tempo. E poi, altre chiese sono state trasformate in cinema, teatro, sale da ballo… Io ho sentito che dovevo andare». Sul numero appena uscito della «Civiltà Cattolica» Mario Imperatori coglie l’occasione del viaggio del Papa, il 21 settembre, per riflettere sul pluralismo confessionale e sulla pacifica convivenza delle comunità religiose locali. L’avvicinamento dell’Albania — scrive il gesuita — all’Unione europea e alla migliore tradizione del Vecchio continente non è un processo a senso unico, perché anche l’Unione può trarre dall’esperienza albanese utili benefi-

Il battistero paleocristiano di Butrinto nell’Epiro meridionale

Cervi e pavoni nel porto di Enea tica, da un piccolo, ma sicuro, circuito murario, che si aggiungeva al precedente e che includeva l’area al di sotto dell’antica acropoli. Solo nel V secolo si percepisce un vero e proprio processo di cristianizzazione, se, tra i firmatari del sinodo episcopale dell’Illiricum, tenuto nel 458, compare anche il vescovo di Butrinto Stefano. Tra il V e il VI secolo l’organizzazione topografica a carattere cristiano tocca il suo apice, con la costruzione di una basilica monumentale, di un enorme battistero, di una piccola chiesa presso l’acropoli e di un edificio di culto suburbano. Di quest’ultimo edificio si è conservato parte del pavimento musivo, con decorazioni di tipo geometrico e zoomorfo, secondo una prassi assai diffusa tra il momento paleocristiano e quello bizantino, che contempla anche l’inserimento di iscrizioni dedicatorie dei fedeli, che contribuirono all’arredo della chiesa funeraria. La basilica urbana, di grandi dimensioni, si situa presso uno degli accessi della cinta muraria; è distinta in tre navate, preParticolare di un mosaico con i pavoni affrontati (VI secolo) senta un transetto tripartito ed è dotata di un’abside circolare all’interno e poligonale all’esterno, secondo una tipologia molto diffusa nell’architettura cristiana orientale. Ma il vero simbolo della stagione criconfessionale in Albania stiana di Butrinto è costituito dal monumentale battistero, che si presenta come una costruzione autonoma rispetto agli altri edifici cristiani della città. Gli scavi dell’insigne monumento risalgono alla fici per la soluzione di alcuni dei prone degli anni Venti del secolo scorso e blemi indotti dalla globalizzazione. furono effettuati da una missione italiana, Possiamo perciò parlare — continua guidata da Luigi Maria Ugolini. Il battiImperatori — di un vero e proprio stero, edificato su un complesso termale scambio di doni tra Albania e Coromano del IV-V secolo, è a pianta centramunità europea, di cui entrambe le le, sviluppa un diametro di 14 metri, è parti, se vogliono, possono profittascandito da un doppio anello di colonne re intelligentemente, rifuggendo sia di granito e presenta una vasca polilobada ogni tentazione di colonialismo ta. giuridico-culturale, sia da un nazioUn sontuoso pavimento musivo intenalismo miope e chiuso in se stesso, ressava l’intero battistero, organizzato seriattualizzando in questo modo per condo fascioni concentrici, che accolgono l’oggi il meglio della storia delle lomedaglioni campiti da elementi geometriro reciproche relazioni». Infatti, «se ci, uccelli, creature marine, animali esotiun uomo senza memoria non ha ci, scene di caccia. Tutti questi simboli ripersonalità, così un ordinamento mandano a un campionario di tipo cosenza la propria storia non ha capasmico, che ben si addice a un andamento cità di esistere e viene meno alle sue circolare della decorazione, nel senso che funzioni essenziali che sono quelle il complesso programma decorativo vuole di garantire la libera convivenza di rappresentare l’ordine del cosmo, che si soggetti diversi». organizza attorno alla vasca battesimale, di FABRIZIO BISCONTI

Nel cuore dell’Epiro meridionale, nell’attuale Albania, sulle rive del lago di Vivari, si sviluppa l’antica città di Butrinto, che rappresenta un nodo nevralgico per le rotte commerciali tra l’Adriatico orientale e il Mediterraneo. Virgilio fa riferimento a questo antico centro — fondato, secondo la tradizione, da Eleno e Andromaca — come al luogo da cui salpò Enea per le coste laziali (Eneide, 3, 493-505). Teatro dello scontro tra Giulio Cesare e Pompeo, Butrinto divenne un’importante colonia, dotata di acquedotti, teatri, terme, fontane e ninfei. La città visse alterne fortune e fu recinta, in età tardoan-

Disegno della pavimentazione in mosaico del battistero di Butrinto

ovvero al simbolo della rinascita, della purificazione, dell’illuminazione, che si intreccia, come è intuitivo, alla luce finale, alla risurrezione in Cristo. Due emblemi figurati interrompono la sequenza dei medaglioni. Il primo di questi riquadri accoglie una coppia di pavoni affrontati specularmente a un vaso da cui si sviluppano tralci di vite popolati da altri piccoli volatili. Ebbene, il quadro zoomorfo, assai fortunato anche in pittura e in scultura, vuole alludere alla pace paradisiaca, ma vuole anche parlare della salvezza finale, intrecciando il simbolismo rigenerativo dei pavoni al cantaro con quello eucaristico della vite. L’intreccio simbolico si ripropone con il secondo riquadro che affronta due cervi alla croce. Il cervo, come è noto, rimanda immediatamente al sacramento del battesimo, in quanto protagonista del Salmo 41 («Come la cerva anela ai corsi d’acqua, la mia anima anela a te, o Signore») che veniva intonato o recitato dai neofiti, durante la solenne celebrazione della notte di Pasqua, il cui culmine era toccato proprio con il rito dell’iniziazione. Il battistero di Butrinto e la sua decorazione pavimentale dimostrano il collegamento della civiltà cristiana che, nel corso del VI secolo, nonostante gli eventi bellici e i conflitti dottrinali, teneva uniti l’oriente e l’occidente. Una medesima cultura figurativa e una omogenea tipologia architettonica collegavano intimamente le due rive dell’Adriatico, nel senso che le comunità delle due sponde, al di là degli scontri teologici, parlano una stessa lingua e si raccolgono attorno ai sacramenti fondamentali, come quello ineliminabile del battesimo, che dava avvio all’itinerario spirituale dei fratelli della fede in Cristo.


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domenica 21 settembre 2014

A colloquio con il segretario di Stato sulla visita del Pontefice a Redipuglia

L’arcivescovo Rodríguez Carballo sulla gestione dei beni degli istituti religiosi

La fraternità antidoto alla guerra

Meno profitto e più solidarietà

di NICOLA GORI

Qual è l’antidoto più forte contro la guerra?

La diversità è per la crescita e l’incontro, non per la contrapposizione e lo scontro. È questo il passaggio chiave per costruire una vera cultura di pace ed evitare che l’umanità prosegua sulla via che conduce alla «terza guerra» mondiale evocata da Papa Francesco a Redipuglia. Lo afferma in questa intervista al nostro giornale il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, che sabato scorso ha accompagnato il Pontefice nel pellegrinaggio al cimitero austro-ungarico e al sacrario militare goriziano in occasione del centenario dell’inizio della prima guerra mondiale.

Senza dubbio la fraternità: sentirci tutti fratelli, vivere da fratelli, non gli uni contro gli altri ma gli uni per gli altri, gli uni a servizio degli altri. Nella misura in cui si cresce in questa fraternità universale, il pericolo di guerre e di conflitti diminuisce sempre più. E poi sentire in carne propria la sofferenza e il dolore degli altri.

Che impressioni ha avuto vivendo da vicino il pellegrinaggio del Papa? È stata una visita breve, ma intensa, una specie di statio dolorosa caratterizzata da uno spirito di raccoglimento e di preghiera, e si è svolta all’insegna della riflessione sui temi della guerra e della pace. Temi sviluppati molto efficacemente dal Papa nell’omelia, soprattutto laddove, richiamando il libro della Genesi, ha affermato che alla radice di ogni guerra c’è sempre questo atteggiamento: «A me che importa di mio fratello?». Credo che anche la gente, per quello che ho potuto vedere, abbia compreso il carattere particolare di questa visita. Naturalmente c’è sempre grande gioia per la presenza del Papa; ma, oltre a ciò, a Redipuglia c’è stata anche una partecipazione molto attenta, sentita, profonda. Eppure sembra che nonostante la preghiera le guerre non si fermino. Sono convinto, come ha detto il Papa, che la preghiera non è mai inutile. La preghiera è un capitale che sta nelle mani di Dio e che lui farà fruttificare secondo i suoi tempi e i suoi disegni. Di questo dobbiamo essere sicuri. Anche se non vediamo risultati immediati, dobbiamo perseverare nella preghiera. Essa è sempre efficace: prima o poi dispiegherà la sua potenza e la sua forza. Il Pontefice ha parlato ancora una volta di una «terza guerra» mondiale già in corso. Certo, questa è un’idea sulla quale il Papa sta insistendo da un po’ di tempo, a cominciare dall’intervista rilasciata durante il volo di ritorno dal viaggio in Corea. Mi pare un’immagine che descrive bene la situazione che stiamo vivendo nel nostro mondo. Di fatto, si sta combattendo in moltissime parti. Ci sono conflitti crudelissimi, al pari di quelli della prima guerra mondiale o addirittura più cruenti, perché le armi sono diventate più sofisticate di allora. Non siamo ancora riusciti a integrare le diversità sociali, culturali, religiose. Queste diversità sono per la crescita degli uomini e devono essere messe in comune al servizio di tutta l’umanità. Invece diventano elemento di scontro e di contrapposizione. Ritengo fondamentale realizzare questo passaggio: da una diversità intesa come contrapposizione a una diversità intesa come arricchimento e crescita reciproca. Cosa si può fare per i cristiani perseguitati? In effetti, persino la gente comune chiede cosa possiamo fare. C’è un lavoro diplomatico da portare avanti per fermare la barbarie e permettere ai cristiani di tornare nelle loro case e di riprendere la loro vita normale in tutta sicurezza. C’è poi la possibilità di agire, anche se non in modo eclatante, ciascuno nel proprio piccolo. Tantissimi profughi stanno arrivando in Italia. Cominciamo con l’aprire il cuore alle loro necessità, ai loro bisogni. Cerchiamo, per quanto dipende da noi, di far sì che un giorno possano tornare nei loro Paesi. Anzi, adoperiamoci perché conservino il desiderio e l’intenzione di rientrare nelle loro terre, perché ne hanno diritto ed è là che sono necessari per la riconciliazione e il benessere dei loro Paesi.

C’è un filo conduttore che lega i numerosi appelli alla pace da parte dei Pontefici degli ultimi due secoli, a cominciare da quello di Benedetto XV contro l’«inutile strage»? I Papi degli ultimi due secoli hanno manifestato costantemente la preoccupazione per la pace e la Santa Sede ha sempre lavorato per promuoverla. Il filo rosso che unisce i Pontefici fino a Papa Francesco, io lo vedo in questo: che non si sono mai arresi di fronte alla realtà della guerra. Sembra che a volte i fatti li smentiscano; ma tornare continuamente a fare appello alla pace, pur

sapendo che nel cuore dell’uomo alberga il male, conseguenza del peccato originale; è questo il segno che essi conservano una grande fiducia nei confronti dell’umanità. Se i Papi continuano a ripetere gli inviti alla pace, lo fanno perché sono sicuri che l’uomo può accoglierli e corrispondervi in maniera positiva. In altri termini, è la speranza che l’uomo, con la grazia di Dio, possa davvero cambiare e diventare buono. Qual è la migliore risposta alla cultura di morte e ai fondamentalismi? È saper accettare gli altri anche nelle loro differenze. Questo è essenziale. È offrire esempi di pace e di riconciliazione nelle nostre realtà. Come dice la parola di Dio, in particolare nella lettera dell’apostolo Giacomo, la guerra nasce nel cuore dell’uomo. Quindi, dobbiamo essere costruttori di pace là dove siamo. Ognuno al suo livello, nella sua realtà. Solo così la pace trionferà contro tutti i fondamentalismi e i conflitti.

Il cardinale Parolin sui rapporti internazionali

Comunione e partecipazione «In un tempo in cui l’informatica è una componente essenziale del vivere sociale», è necessaria un’analisi della «nostra quotidianità di internauti» per poter «comprendere la cosiddetta agenda internazionale». Così il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, venerdì pomeriggio, 19 settembre, al quarantasettesimo convegno promosso dall’Istituto Nicolò Rezzara di Vicenza, su la partecipazione democratica nell’era informatica. Il cardinale — in un intervento su «La “relazione” cardine dei rapporti internazionali» — ha detto che se da un lato l’informazione «sembra che ci allontani dal reale, dall’obbligo di riflettere sul significato dei fatti e sul senso delle parole, per legarci piuttosto all’immagine e alla sensazione», dall’altro «ci impone la ricerca della novità, usando parametri del sapere e modi di espressione del tutto nuovi». Infatti, «attraverso la rete sperimentiamo il nostro desiderio di appartenenza all’intera famiglia umana, ma non sempre ci sentiamo partecipi». Il porporato ha poi esortato a «far nostro il valore dell’inclusione», cioè a operare «perché nessuna identità sia lasciata ai margini. Così comunicazione e partecipazione potranno realmente imporsi come elementi costitutivi della relazione sul piano internazionale».

Condivisione e comunione per una gestione trasparente e per una vigilanza attenta. Sono le condizioni necessarie per crescere nella comunione e nella solidarietà. Le indica l’arcivescovo José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, in questa intervista al nostro giornale, rilasciata a poco più di un mese dalla pubblicazione della lettera circolare del dicastero sulla gestione dei beni appartenenti ai religiosi. Crede che le recenti linee orientative per la gestione dei beni negli istituti religiosi possano aiutare a seguire una linea evangelica? Aiutare a seguire una linea evangelica nella gestione dei beni è l’obiettivo delle recenti linee orientative. Esse si offrono — è detto nell’introduzione — come un aiuto perché gli istituti «rispondano con rinnovata audacia e profezia alle sfide del nostro tempo, per continuare ad essere segno profetico dell’amore di Dio». Le linee ricordano che il campo dell’economia è uno strumento dell’azione missionaria della Chiesa. Parlare di beni temporali significa indicare che essi sono necessari nel tempo a servizio delle finalità proprie di ogni istituto, per la realizzazione delle opere di carità materiale e spirituale. Riconosciute le finalità, valutati i progetti e verificata la loro sostenibilità, è necessario organizzare i beni di cui ogni istituto dispone rispetto alla propria missione. Tutto questo naturalmente parte dall’ascolto del Vangelo, quindi dalla logica del dono, ed è sostenuto da una gestione seria e responsabile, in cui non sono tollerati sprechi né improvvisazioni né gestioni “personalizzate”. Con le indicazioni della prima parte delle linee ogni istituto è invitato a considerare le proprie opere e attività, a verificarne la rispondenza alla propria missione, a riflettere se non vi siano nuove frontiere o periferie in cui è possibile, in piena fedeltà al proprio carisma, avviare nuovi percorsi di testimonianza evangelica. Ma perché questo si realizzi è necessario pianificare le risorse, elaborare proiezio-

ni, leggere in maniera oculata i bilanci, prevenire l’insorgere dei problemi, attivarsi tempestivamente per risolverli. Nulla deve essere tralasciato perché le risorse vengano gestite nel rispetto dei principi evangelici e al tempo stesso con obiettivi di economicità, in maniera efficace ed efficiente. Questa è una testimonianza importante che la vita consacrata può offrire: passare dall’homo oeconomicus, le cui scelte sono definite dalla massimizzazione dei profitti, all’homo fraternus, l’uomo in relazione, le cui scelte sono, invece, determinate dalla volontà di rispondere alle necessità dei fratelli, dal desiderio di contribuire alla realizzazione di una società giusta e solidale, inclusiva e fraterna. Concetti importanti delle linee sono la trasparenza e la vigilanza. Applicare i principi indicati è un modo molto concreto di annunciare il Vangelo, di garantire la credibilità della testimonianza e di rendere presente nella società un modello alternativo di vita. Le comunità religiose sono in condizioni di poter applicare quelle indicazioni? Siamo assolutamente convinti che nelle comunità ci siano tutte le condizioni per applicare le linee. Alcuni istituti già lavorano in questo senso. La domanda decisiva per i consacrati in questo momento storico non è quale sarà il loro futuro, ma come devono operare oggi per mettersi a servizio, anche con i beni, della richiesta di solidarietà, di comunione, di compassione. Nel passato anche nel campo economico i consacrati hanno operato delle scelte profetiche e innovative. I principi enunciati nelle linee vogliono aiutare a tradurre in prassi il cammino verso un’economia evangelica di comunione e di condivisione. Pianificare e gestire in maniera attenta è molto di più che dare attuazione a delle indicazioni tecniche: è un atto di responsabilità di chi è consapevole di utilizzare beni e gestire opere a vantaggio dei fratelli e per la costruzione di una società più inclusiva. Inoltre le linee orientative, tracciate con la consapevolezza che è indispensabile non trascurare nella di-

In preparazione del quinto Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali

Il contributo della politica al dialogo tra le fedi ASTANA, 20. Rappresentanti religiosi dei cinque continenti si sono riuniti giovedì scorso ad Astana, capitale del Kazakhstan, in preparazione del quinto Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali che si svolgerà nella stessa Astana dal 10 al 12 giugno 2015. I partecipanti hanno manifestato unità e determinazione nell’essere ascoltati dalla classe politica in un mondo lacerato come mai dalle guerre che, spesso, vengono presentate come conflitti tra civiltà. «È necessario che il Congresso estenda il dialogo tra i responsabili religiosi per promuovere un altro forum, tra leader religiosi e politici. E deve essere un dialogo tra persone che si ascoltano», ha detto in un’intervista all’agenzia Efe il presidente del Senato kazako Kasim Zhomart Tokáev. Ad Astana erano presenti rappresentanti di primo piano dell’islam, di varie comunità cristiane, del buddismo, dell’ebraismo, dell’induismo, del taoismo e dello shintoismo. Era il tredicesimo incontro del Segretariato dei leader delle religioni mondiali e tradizionali, riunitosi per porre le basi del prossimo Congresso che avrà per tema «Dialogo tra leader religiosi e politici in nome della pace e dello sviluppo». Un evento che ha l’obiettivo di aprire un nuovo spazio per la comunicazione e la cooperazione: «Inviteremo i politici che sono davvero in gra-

namica formativa l’attenzione alla dimensione economica, chiedono che già nella formazione iniziale si avviino percorsi di educazione alla dimensione economica e gestionale, ai costi della vita e della missione, come pure di responsabilizzazione nel vivere il voto di povertà nell’attuale contesto socio-economico. Le linee suggeriscono, inoltre, che tutti i membri siano aiutati a crescere nella consapevolezza dell’importanza di abituarsi a lavorare con budget e preventivi, sapendo che questi riflettono i valori e lo spirito dell’istituto. In che modo questo documento può contribuire a un’evoluzione positiva del rapporto tra vita consacrata e denaro? Le linee partono dalla considerazione che tutto quanto possiedono gli istituti è loro donato in vista delle finalità carismatiche che sono chiamati a realizzare e che le opere devono essere gestite in ordine a principi di gratuità, fraternità e giustizia. La frase evangelica che apre gli orientamenti — «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto, a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» — è un richiamo alla responsabilità. Il Signore chiederà conto di come i consacrati avranno utilizzato beni destinati all’evangelizzazione e ai poveri. Le linee insistono molto sulla trasparenza e sulla vigilanza. Esse non solo favoriscono un’amministrazione e una gestione delle opere più efficace, ma creano un clima di fiducia che alimenta la comunione. La vigilanza e i controlli non costituiscono un limite all’autonomia degli enti o una mancanza di fiducia verso chi amministra, sempre più spesso impegnato in situazioni complicate in cui è difficile discernere e decidere, ma al contrario sono una tutela per chi svolge compiti così delicati in campo economico, evita il sopraggiungere di incomprensioni interne e valorizza la responsabilità di chi amministra. Da un lato la condivisione e la comunione sono le premesse per una gestione trasparente e per una vigilanza attenta, dall’altra la trasparenza e la vigilanza aiutano a crescere nella comunione e nella solidarietà. Inoltre le linee insistono molto sulla formazione alla dimensione economica affinché non si generi disinteresse nei riguardi degli aspetti economici e non si verifichi una perdita di contatto con il costo della vita e le fatiche gestionali. È presente inoltre nel documento un richiamo all’austerità, che non può essere trascurata nella gestione dei beni, anche nei mezzi dell’apostolato. È importante che ogni istituto si interroghi sulle modalità con cui gestisce i beni e si chieda che cosa può fare di più perché il loro utilizzo si concretizzi in gesti di amore e di servizio ai poveri. Quanto influiscono i temi economici nel rapporto tra religiosi e vescovi?

do di contribuire al dialogo tra le diverse religioni. Tra essi, naturalmente, ci saranno presidenti e primi ministri», ha precisato il viceministro degli Affari esteri, Yerzhán Ashikbáev. Solo in questo modo — è stato ribadito durante il vertice — si potrà passare dalle parole ai fatti, cosa che viene considerata essenziale per trovare la soluzione definitiva a tutta una serie di conflitti con un’apparente e, secondo essi, «falsa tinta religiosa», come desiderano proprio coloro che scatenano le guerre. Con l’estremismo islamista al centro dell’attenzione mondiale, a causa principalmente dell’ascesa dell’organizzazione jihadista Stato islamico in Iraq e in Siria, tutti i leader riuniti ad Astana hanno vo-

luto affermare con chiarezza che in nessun modo si può identificare il terrorismo con una delle fedi più importanti del pianeta. «L’islam non ha nulla a che fare con il terrorismo. E lo hanno sottolineato in particolare i rappresentanti cristiani», ha dichiarato Yerzhan Mayamérov, mufti supremo del Kazakhstan nonché guida spirituale del Consiglio dei musulmani kazaki, aggiungendo che il Kazakhstan, Paese nel quale convivono più di 140 popoli di quasi tutte le confessioni, è riuscito a evitare il fondamentalismo religioso. Preoccupazione perché i conflitti «colpiscono sempre più luoghi e riguardano ormai milioni di persone» è stata espressa da Román

Bogdasárov, ortodosso, responsabile della Segreteria del Consiglio interreligioso della Russia, mentre l’arcivescovo di Maria Santissima in Astana, monsignor Tomash Bernard Peta, presidente della Conferenza dei vescovi cattolici del Kazakhstan, ha ringraziato Dio perché «questo incontro è potuto avvenire, oggi, in tempi così difficili per il mondo, con tante persecuzioni per motivi religiosi». Il vertice si è concluso con una dichiarazione nella quale si ribadisce che «gli atti di terrorismo non devono essere associati o in alcun modo giustificati da nessuna religione. Nessuno può perpetrare atti di violenza in nome di Dio. Si tratta di una perversione, di un travisamento della religione».

La missione della vita consacrata è universale. Gli istituti hanno comunità sparse in diverse nazioni e coloro che amministrano i beni devono provvedere a tutte le situazioni in varie parti del mondo. Può così accadere che debbano vendere alcuni immobili, o, visto il calo vocazionale, abbandonare un prezioso apostolato. Questo a volte può generare delle incomprensioni con il vescovo della diocesi in cui è ubicato l’immobile o dove si intende abbandonare un’opera. Le linee rinnovano l’invito agli istituti a dialogare con l’ordinario del luogo quando abbiano intenzione di sopprimere comunità o di alienare immobili. Il dicastero non concede la licenza per la vendita di immobili se non dopo aver sentito il parere dell’ordinario del luogo. Le linee chiedono, inoltre, che prima di prendere decisioni relative a un territorio, i superiori maggiori condividano le loro intenzioni con gli altri istituti presenti nel medesimo territorio, in modo da impedire che una diocesi possa essere privata della presenza dei consacrati. Naturalmente chiediamo anche agli ordinari di dialogare con i consacrati. (nicola gori)


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domenica 21 settembre 2014

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Per l’anniversario della traslazione delle reliquie dei Magi

Il cardinale Scola inviato speciale del Papa a Colonia

Intervista all’arcivescovo di Tiranë-Durrës

Il 26 luglio scorso il Papa ha nominato il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, suo inviato speciale alla celebrazione dell’850° anniversario della traslazione delle reliquie dei Re magi da Milano a Colonia, in programma nella città tedesca il prossimo 28 settembre. Il porporato sarà accompagnato da una missione composta da monsignor Klaus Krämer, del clero di Rottenburg-Stuttgart, presidente di Missio-Aachen e dell’Opera missionaria della sacra infanzia ad Aquisgrana (che ogni anno organizza l’iniziativa “Re Magi” per la raccolta di fondi in favore delle missioni); e dal prevosto Hubertus Böttcher, del clero di Paderborn, decano ad Arnsberg (dove furono nascoste le reliquie dei Re magi nel XVIII secolo a causa dell’invasione napoleonica). Di seguito il testo della lettera pontificia di nomina.

Venerabili Fratri Nostro ANGELO S.R.E. CARDINALI SCOLA Archiepiscopo Metropolitae Mediolanensi Octingentesimus et quinquagesimus iam appetit annus ex quo tempore Trium Regum Magorum exuviae Coloniam sunt translatae atque ibidem in mirabilis artis scrinio servatae. Fulgida stella duce, gaudentes ad Iesum infantem illi quondam accesserunt dona daturi Eumque adoraturi. Eorum nunc reliquiae in cathedrali templo reconditae non modo ornamentum ac splendorem ipsi templo praebent, verum etiam frequentium peregrinatorum concitant animos fidemque roborant. Admodum ideo aequum est et convenit ut eventus hic congruenter commemoretur et optimo iure extollatur. Celebratio enim haec copiam dat et facultatem non huius rei dumtaxat memoriam repetendi, verum istis in locis ferventiorem religionis sensum concitandi. Divina igitur suffragante gratia, consequentis mensis Septembris die XXVIII sollemnia agentur atque augustiori ritu Missa celebrabitur, quae veluti fastigium habetur illorum commemorationis, frequenti adstantium ecclesiasticorum laicorumque corona. Quocirca cum Venerabilis Frater Noster Ioachimus S.R.E. Cardinalis Meisner, Archiepiscopus quondam Metropolita Coloniensis, rogavisset ut te mitteremus, Mediolani Pastorem, utpote cum illorum trium Regum quae superesse dicuntur ista ex urbe iter Coloniam olim suscepissent, huic postulationi obsecundandum iudicavimus, quo ritus ille elatius et luculentius pera-

geretur. Ad te ideo animum convertimus, personam inibi Nostram gerere paratum. Itaque permagna moti affectione, te, Venerabilis Frater Noster, Missum Extraordinarium Nostrum renuntiamus et constituimus ad celebrationem quam supra diximus Coloniae memorato die mensis Septembris agendam. Novo Pastori Coloniensi, Rainerio Mariae S.R.E. Cardinali Woelki, memorato Archiepiscopo emerito, Episcopis Auxiliaribus, universis igitur participibus fidelibusque inibi cunctis voluntatem Nostram benignam ostendes, ac pariter cohortationem ad pristinam illam pietatem repetendam Dominique nutum parendum. Omnibus Nostro nomine auctoritateque Benedictionem Apostolicam impertias volumus, quae sit animorum renovationis signum et futuro de tempore supernarum gratiarum documentum, ab omnibus pro Nostro Petrino munere frugifere absolvendo simul preces petentes. Ex Aedibus Vaticanis, die VI mensis Augusti, in Transfiguratione Domini, anno MMXIV, Pontificatus Nostri secundo.

L’esempio albanese di GAETANO VALLINI «Un gesto di grande incoraggiamento per il nostro popolo. È vero, l’Albania bussa alle porte dell’Unione europea e gli albanesi, specialmente i giovani, si sentono profondamente europei, ma nella corsa per entrare nell’Unione non bisogna trascurare le ferite profonde che hanno lasciato sul corpo della nazione gli anni della dittatura comunista e quelli recenti della transizione. La Chiesa cattolica si è occupata e si occupa con dedizione di queste ferite, ma è piccola e debole a causa della lunga ed indicibile persecuzione, per questo ha bisogno dell’attenzione del Papa». Monsignor Rrok Mirdita, arcivescovo di Tiranë-Durrës, spiega così il significato della visita che domani, domenica 21, Papa Francesco compirà in Albania, la prima in un Paese europeo. «Credo che la sofferenza e le aspirazioni della nostra gente — aggiunge il presule — siano alla base della decisione del Santo Padre di visitare il nostro Paese. Egli stesso ha menzionato in vari pronunciamenti la sofferenza del popolo albanese, la persecuzione religiosa sotto il regime ateo e la pacifica convivenza tra i vari gruppi religiosi». Che cosa ci si aspetta, dunque, da questa visita? La nostra gente vede Papa Francesco come una guida morale autorevolissima. Tutti ammirano la sua semplicità e coerenza, la capacità di parlare direttamente al cuore delle persone, la fermezza con la quale denuncia i mali del mondo di oggi, soprattutto il male della corruzione, che qui è un punto molto sensibile, la sua chiara presa di posizione dalla parte dei poveri, che sono maggioranza in terra albanese. La società civile si aspetta parole di incoraggiamento da parte del Papa, l’incisività delle sue raccomandazioni per i responsabili della vita politica, ma anche maggiore attenzione da parte della comunità internazionale verso l’Albania, Paese uscito da una delle più feroci dittature d’Europa e che ha bisogno di aiuto. Tutti aspettano che l’incontro con Papa Francesco riaccenda la speranza.

eravamo appena usciti dall’Egitto e ci indicò la strada. Francesco ci raggiunge nel faticoso cammino attraverso il deserto. In questo cammino abbiamo smarrito la strada varie volte, soprattutto a livello politico e, di conseguenza, anche sociale. Penso al difficile 1997, ma anche all’emigrazione massiccia, al debole sistema di giustizia, ai servizi sanitari scadenti, alla povertà, alla disoccupazione. Dunque, Francesco troverà un Paese che vuole uscire dalla lunga transizione e ha bisogno di essere incoraggiato e orientato. Giovanni Paolo II venne a ricostituire una Chiesa devastata dalla persecuzione e segnata dal martirio. Quale Chiesa incontrerà 21 anni dopo il Papa? Ad attendere Giovanni Paolo II, con il popolo di Dio e i missionari arrivati da diversi Paesi per aiutare la rinascita della Chiesa, c’erano i sacerdoti, i religiosi e le religiose che avevano conosciuto la dura persecuzione. Di quella generazione di religiosi sono rimasti solo due sacerdoti e poche religiose. Ad attendere Papa Francesco, invece, insieme al popolo di Dio e ai missionari, ci saranno i nuovi sacerdoti, i religiosi e le religiose consacrate in questi due decenni, ma anche una nuova generazione di cristiani. La Chiesa sta cercando di realizzare due cose. Prima di tutto deve organizzarsi al suo interno come popolo di Dio, attingendo alle fonti della rivelazione cristiana, a partire dall’ascolto del Vangelo. La comunità dei battezzati, riunita intorno all’Eucaristia, guidata da pastori profondamente obbedienti e legati all’eterno Pastore, deve ritrovare la propria identità. Ormai abbiamo

delle diocesi, parrocchie e movimenti laicali vivaci, ambiti nei quali la vita cristiana scorre con ritmi regolari, senza, però, cadere nella monotonia. In secondo luogo, la Chiesa deve trovare il suo ruolo nella società postcomunista. Questo ruolo è chiaro e inequivocabile: l’annuncio della gioia del Vangelo. Le nostre comunità cristiane devono saper testimoniare Cristo con coraggio e coerenza. Il contesto albanese è multireligioso, secolare, e questo pone la Chiesa di fronte alla necessità del dialogo. Non si può dialogare in maniera fruttuosa senza una identità propria e senza portare un contributo alla parte dialogante. Il contributo migliore che può dare la Chiesa in questo dialogo è l’annuncio di Cristo, che, se fatto con rispetto ed umiltà, certamente non offende nessuno. All’interno della società albanese, la Chiesa è presente nel campo dell’istruzione, dei servizi sanitari, della promozione della donna e della carità. Dunque, Papa Francesco troverà una Chiesa dinamica, ma anche bisognosa di attenzione e di aiuto. In un Paese a maggioranza musulmana, quali aspettative ha la Chiesa per questa visita e quali sono le parole chiave sulle quali verterà? Sì, è vero, la comunità musulmana è la più grande comunità religiosa nel Paese, ma la libertà di culto, che è reale, finalmente, crea un clima in cui nessuna confessione si sente minoranza. I cristiani (cattolici, ortodossi e protestanti) sono cittadini di un Paese aconfessionale, come lo sono i musulmani e i non credenti. Le sofferenze dei cristiani sotto il lungo

Il benvenuto al Pontefice sulla nuova cattedrale di Tirana, dedicata a San Paolo

Il cardinale Amato presiede a Como la beatificazione di Giovannina Franchi

Un inno alla carità «Per amore di Cristo Crocifisso si è dedicata con tutte le sue forze all’assistenza corporale e spirituale degli infermi e dei moribondi». Così Papa Francesco sintetizza la figura di Giovannina Franchi (1807-1872), nella lettera apostolica in occasione della beatificazione della fondatrice delle suore infermiere dell’Addolorata. Riprendendo queste parole, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha ripercorso la vita e l’opera della religiosa durante il rito di beatificazione, presieduto in rappresentanza del Pontefice, sabato mattina, 20 settembre, nella cattedrale di Como. Il porporato ha ricordato che la nuova beata apparteneva a una delle più agiate famiglie della città. Rimasta orfana in giovane età, ricevette in eredità un cospicuo patrimonio. Grazie a questo lascito poté dedicarsi «con maggiore fervore e generosità al servizio degli infermi, soprattutto a domicilio e nelle carceri, e all’accoglienza dei più poveri». Per questo scopo, ha detto il cardinale Amato, acquistò una casa nel centro storico di Como, nel quartiere allora malfamato della Cortesella. «In questa casa — ha aggiunto — trovarono asilo ed assistenza tutti coloro che la buona società emarginava: ammalati, poveri, ex carcerati, monache i cui monasteri erano stati soppressi, infermi di mente, ex prostitute, donne sole, come sartine e ricamatrici, che dopo una lunga vita di lavoro non avevano case e mezzi di sussistenza». Nel 1853 con alcune compagne fondò la pia unione delle sorelle infermiere di carità, che poi presero il

nome di suore infermiere dell’Addolorata. «La loro missione — ha spiegato il cardinale — era l’accoglienza e l’assistenza dei bisognosi, in modo particolare degli infermi da visitare a domicilio, secondo il progetto originario che, a suo tempo, san Francesco di Sales aveva proposto per le visitandine». E, infatti, tutta la vita della nuova beata fu all’insegna delle carità. Per lei, l’inno alla carità «non rimase uno spartito scritto su un foglio di carta, ma fu una vera canzone d’amore, interpretata con gioia e cuore grande facendo quotidianamente del bene ai poveri e agli ammalati». Per

Alla Chiesa gli albanesi riconoscono non solo di non essere mai scesa a compromessi con il regime, ma anche di aver combattuto con più forza di altri il materialismo. Qual è oggi il compito principale della Chiesa? Guidare le persone verso una più profonda comprensione dell’uomo, del valore della vita, dell’importanza della solidarietà. La gente oggi cerca una vita più dignitosa e un maggiore benessere materiale e la Chiesa deve saper camminare al loro fianco, per condividere le fatiche di questo cammino, ma anche per indicare i percorsi giusti. Deve essere onesta, per educare all’onestà; misericordiosa, per educare al perdono e alla riconciliazione; fiduciosa, per educare alla speranza. In Albania c’è ancora tanta povertà e la povertà è l’amaro frutto dell’ingiustizia. La Chiesa deve prendersi cura dei poveri, ma anche educare le persone benestanti alla carità e alla giustizia. Detto in parole semplici: la Chiesa deve stare con il Vangelo in mano, perché nelle pagine del Vangelo trova tutte le persone che incontra nella società, e Gesù, là, in mezzo a tutti, maestro e salvatore. La persecuzione ha rafforzato la comunione tra le diverse religioni. Il Papa ha espresso apprezzamento per il dialogo esistente, che ha avuto riscontro anche a livello politico. Quanto è stato faticoso raggiungere questo traguardo?

Papa Francesco vedrà un’Albania diversa da quella visitata da Giovanni Paolo II nel 1993. Che Paese troverà? Un Paese che cerca di recuperare il tempo perduto. Papa Wojtyła venne all’alba della libertà e ci parlò in maniera profetica delle sfide del cammino che ci attendeva. Usando un’immagine biblica, potremmo dire che Giovanni Paolo II venne quando

dominio ottomano e la repressione comunista hanno lasciato il segno profondo della discriminazione storica, la cui ombra pesa sulla memoria collettiva, ma siamo sulla buona strada della liberazione dal complesso minoritario. L’unica aspettativa che ha la Chiesa da questa visita è quella di essere confermata nella fede, perché possa contare sull’appoggio del Papa. Le parole chiave sulle quali verterà questa visita saranno: rispetto, fiducia reciproca, convivenza fraterna, coraggio.

lei, ha sottolineato il prefetto, Gesù «era presente nel tabernacolo, così come era realmente presente nella persona sofferente, ammalata, povera». E la sua carità verso gli infermi «era fatta di gesti semplici e quotidiani: rifare il letto, portare la biancheria pulita, aiutare nell’igiene personale, spazzare la casa, offrire una scodella di brodo caldo, riattizzare il fuoco con la legna, far compagnia ai più soli e abbandonati, comprare qualche medicina, pulire una piaga e cambiare la fasciatura, pagare il consulto del medico, recarsi in carcere per

assistervi una donna malata con i suoi cinque figli». Per questo, l’ideale che la madre propone alle sue suore è molto concreto: le vuole «coraggiose ed umili al tempo stesso, pazienti e cortesi nelle maniere, amanti del silenzio e della fatica, ben disposte all’assistenza degli infermi ed a qualunque opera di carità senza eccezione di alcun officio anche se faticoso e ributtante». Le suore infermiere, infatti, vengono esortate dalla madre «ad applicarsi all’assistenza degli infermi, come conseguenza della loro consacrazione a Gesù Crocifisso e alla santissima Madre Addolorata, di cui i cristiani sono immagine più viva nei giorni della malattia». Oltre alla carità, ha aggiunto il celebrante, brillano in lei «atteggiamenti di modestia, umiltà, laboriosità. Era una donna fondamentalmente riservata e di poche parole e non amava attribuirsi alcun merito. Soleva dire, ad esempio, che il fondatore e il direttore dell’opera era don Giovanni Abbondio Crotti, penitenziere e canonico della cattedrale di Como». Per questo, ha concluso il porporato, madre Franchi «fa parte di quell’epopea gloriosa delle suore, che sono le autentiche eroine della nostra patria». Esse abitano «in mezzo a noi e sono fari di solidarietà, di fraternità e di carità. La Chiesa conosce queste sue figlie, le onora, le esalta, le glorifica. Il loro distintivo è la carità a tutto campo verso piccoli e grandi, ricchi e poveri, italiani e stranieri. La loro presenza è una benedizione per tutti, per la Chiesa e per la società».

La convivenza religiosa si è presentata come necessità assoluta per il successo della causa nazionale prima dell’indipendenza dall’impero ottomano e per la costruzione dello Stato albanese dopo la proclamazione dell’indipendenza, nel 1912. L’élite cattolica, ortodossa e musulmana ha aiutato il popolo ad accettare le differenze religiose come una ricchezza e a fondare l’unità e la pace sociale sulla stessa identità nazionale, sulla stessa lingua e sulla comune vocazione europea. Certamente, ci sono state difficoltà e grandi sacrifici nel corso della storia, ma il nostro popolo non cova rancore per le sofferenze subite nel passato a causa delle violenze per motivi religiosi, perché è ben cosciente che i motivi veri di tali violenze erano prettamente politici e la religione era solo un pretesto. Dalla fondazione dello Stato moderno albanese, con tutte le guerre e i conflitti che si sono susseguiti, mai la religione è stata motivo di scontro fra gruppi o individui. La persecuzione ha rafforzato la comunione tra le diverse religioni, ma ha anche indebolito il senso religioso, preparando la strada alla secolarizzazione. Il riscontro a livello politico di questa convivenza, a cui fa riferimento il Papa, ha il suo valore importante, perché la presenza di persone appartenenti a varie confessioni religiose fra i responsabili della vita pubblica aiuta il mantenimento degli equilibri sociali. Tuttavia bisogna precisare che l’appartenenza religiosa dei membri del Governo o del Parlamento non è stata mai considerata come un criterio esplicito per la loro scelta. Dunque, le cariche di Stato non rappresentano le comunità religiose, per non intaccare la laicità delle istituzioni statali. Ritiene esportabile il modello politico albanese? È difficile dire quale sia il modello politico albanese, perché questi ventitré anni di libertà sono serviti come scuola di democrazia e i nostri politici sono ancora studenti in questa materia. A volte superano bene gli esami e spesso vengono bocciati. Se per modello politico da esportare intendiamo il rapporto della politica con la religione nei Paesi multireligiosi, direi che sì, l’Albania potrebbe rappresentare un buon esempio.


L’OSSERVATORE ROMANO

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domenica 21 settembre 2014

Ai vescovi dipendenti da Propaganda fide

Conversione missionaria Di seguito il testo del discorso consegnato dal vescovo di Roma — dopo quello improvvisato a braccio — ai presuli dipendenti da Propaganda fide ricevuti sabato mattina, 20 settembre. Cari Fratelli, vi do il mio cordiale benvenuto, insieme ai responsabili del Dicastero Missionario, guidati dal Cardinale Fernando Filoni, che ringrazio per le parole con le quali ha introdotto il nostro incontro. Vi auguro che que-

sto Seminario di aggiornamento sia fruttuoso per ciascuno sia spiritualmente sia pastoralmente. Voi avete risposto con fede e generosità alla chiamata del Signore, che vi ha scelti per essere Pastori del suo gregge. Non vi siete lasciati impaurire dalle difficoltà e dalle sfide del mondo attuale (cfr. Esort. ap. Evangelii gaudium, 52-75), che rendono ancora più ardua oggi la missione dei Vescovi, ma avete posto la vostra fiducia nel Signore, a imitazione dei primi discepoli e di san Pietro, il quale esclamò: «Sulla tua parola getterò le re-

ti!» (Lc 5, 5). Anche voi siete chiamati, con tutti i Pastori della Chiesa, a porre alla base della vostra missione la Parola di Gesù, per offrire speranza al mondo. Durante queste due settimane avete guardato alle varie dimensioni della vita e del ministero episcopale, che rispondono alla missione fondamentale della Chiesa: annunciare il Vangelo. Come ho sottolineato nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, si avverte oggi l’imperiosa necessità di una conversione missio-

Tre periferie L’Europa, la Cina e lo stesso Papa: sono queste le tre periferie di cui ha parlato questa mattina, sabato 20 settembre, il Pontefice improvvisando un breve discorso ai nuovi vescovi dipendenti da Propaganda fide. Impegnati in questi giorni in un seminario di aggiornamento, i 95 presuli sono stati presentati a Papa Francesco, all’inizio dell’udienza nella sala Clementina, dal cardinale prefetto Fernando Filoni. Ai presuli, originari di quattro continenti, il vescovo di Roma ha detto, riferendosi all’Europa, che «c’è un quinto continente un po’ invecchiato. E questa è una “periferia”. Alcuni dicono che l’Europa

non è la “madre Europa”, ma la “nonna Europa”. Non so se è vero! Ma questo continente è una “periferia”». Per questo motivo ha detto «le Chiese nuove devono sostenere l’Europa con le preghiere e anche con l’aiuto, affinché si riprenda. Penso a tanti Paesi dell’Europa che sono stati generosi nell’invio di missionari e adesso non hanno sacerdoti, non hanno preti, non hanno suore. E questo è un segno di invecchiamento: è una periferia». Da qui il forte invito a non dimenticare «questo quinto continente, che è nostro, è della nostra Chiesa. È una Chiesa, la Chiesa dell’Euro-

pa, che ha bisogno di preghiera e di aiuto». La seconda periferia evocata dal Pontefice è la Cina. «Dobbiamo anche pregare per questa Chiesa, la Chiesa della Cina, per i nuovi vescovi della Cina — ha esortato — che hanno fatto un corso, ma non come il vostro. Loro fanno un altro corso, “esistenziale”, un altro metodo, che la Provvidenza ha scelto per loro. Preghiamo perché le cose possano andare bene e questa periferia possa venire per incontrarci tutti». La terza “periferia” è infine lo stesso Papa. «Pregate pure per questa “periferia”, pregate per me», ha concluso.

naria (cfr. 19-49); una conversione che riguarda ogni battezzato e ogni parrocchia, ma che naturalmente i Pastori sono chiamati a vivere e testimoniare per primi, in quanto guide delle Chiese particolari. Pertanto vi incoraggio a ordinare la vostra vita e il vostro ministero episcopale a questa trasformazione missionaria che interpella oggi il Popolo di Dio. Al centro di questa conversione missionaria della Chiesa c’è il servizio all’umanità, a imitazione del suo Signore che ha lavato i piedi ai suoi discepoli. La Chiesa, in quanto comunità evangelizzatrice, è chiamata a crescere nella prossimità, ad accorciare le distanze, ad abbassarsi fino all’umiliazione se è necessario e assumere la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo (cfr. Esort. ap. Evangelii gaudium, 24). In questa prospettiva, il Concilio Vaticano II, trattando del dovere del Vescovo quale guida della famiglia di Dio, sottolinea che i Vescovi nell’esercizio del loro ministero di padri e pastori in mezzo ai loro fedeli devono comportarsi come «coloro che servono», avendo sempre sotto gli occhi l’esempio del Buon Pastore, che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti (cfr. Esort. ap. postsin. Pastores gregis, 16 ottobre 2003, 42). Un esempio luminoso di tale servizio pastorale sono i santi Martiri coreani, Andrea Kim Taegŏn, sacerdote, Paolo Chŏng Hasang e Compagni, la cui memoria liturgica celebriamo proprio oggi. Ancorati in Cristo, Buon Pastore, essi non hanno esitato a versare il proprio sangue

per il Vangelo, di cui erano dispensatori fedeli e testimoni eroici. La Chiesa ha bisogno di Pastori, cioè servitori, di Vescovi che sappiano mettersi in ginocchio davanti agli altri per lavare loro i piedi. Pastori vicini alla gente, padri e fratelli miti, pazienti e misericordiosi; che amano la povertà, sia come libertà per il Signore sia come semplicità e austerità di vita. Voi siete chiamati a sorvegliare incessantemente il gregge a voi affidato, per mantenerlo unito e fedele al Vangelo e alla Chiesa. Sforzatevi di dare un autentico impulso missionario alle vostre Comunità diocesane, perché crescano sempre di più con nuovi membri, grazie alla vostra testimonianza di vita e al vostro ministero episcopale esercitato come servizio al Popolo di Dio. Siate vicini ai vostri sacerdoti, curate la vita religiosa, amate i poveri. Mentre mi rivolgo a voi, non posso fare a meno di andare con il mio pensiero a quei Confratelli che, per varie ragioni, non sono qui con noi. A tutti mando un saluto fraterno e benedicente. Come vorrei, ad esempio, che i Vescovi cinesi ordinati negli anni recenti fossero presenti all’incontro di oggi! In fondo al

cuore, però, auspico che non sia lontano quel giorno! Desidero assicurarli non solo della mia e della nostra solidarietà, ma anche di quella dell’Episcopato mondiale perché, nella comune fede, sentano che, se a volte possono avere l’impressione di essere soli, più forte è la certezza che le loro sofferenze porteranno frutto — e gran frutto! — per il bene dei loro fedeli, dei loro concittadini e di tutta la Chiesa. Cari fratelli, stiamo vivendo un tempo di cammino sinodale sulla famiglia. Mentre confido anche sulle vostre preghiere per la prossima Assemblea del Sinodo, mi piace sottolineare con voi che le famiglie sono alla base dell’opera evangelizzatrice, con la loro missione educativa e con la partecipazione attiva alla vita delle comunità parrocchiali. Vi incoraggio a promuovere la pastorale familiare, affinché le famiglie, accompagnate e formate, possano dare sempre meglio il loro apporto alla vita della Chiesa e della società. La Vergine Maria, Stella dell’Evangelizzazione, vi accompagni con la sua tenerezza materna. Su tutti voi e sulle vostre Diocesi, invoco la benedizione del Signore.

Il Papa ai partecipanti al convegno sull’Evangelii gaudium promosso dal dicastero per la nuova evangelizzazione

Segno di vicinanza «Quante persone vivono in grande sofferenza e chiedono alla Chiesa di essere segno della vicinanza, della bontà, della solidarietà e della misericordia del Signore». Lo ha constatato Papa Francesco rivolgendosi ai partecipanti all’Incontro internazionale «Il progetto pastorale di Evangelii gaudium» ricevuti in udienza nel pomeriggio di venerdì 19 settembre. Organizzati dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, i lavori si sono svolti in Vaticano da giovedì 18 a sabato 20. Di seguito il discorso pronunciato dal Papa dopo il saluto rivoltogli dall’arcivescovo presidente Rino Fisichella. Cari fratelli e sorelle, buon pomeriggio. Sono contento di prendere parte ai vostri lavori e ringrazio Mons. Rino Fisichella per la sua introduzione. Ringrazio anche per questa cornice di «vita»: questa è vita! Grazie. Voi lavorate nella pastorale in diverse Chiese del mondo, e vi siete riuniti per riflettere insieme sul progetto pastorale della Evangelii gaudium. In effetti io stesso ho scritto che questo documento ha un «significato programmatico e dalle conseguenze importanti» (n. 25). E non potrebbe essere altrimenti quando si tratta della missione principale della Chiesa, cioè evangelizzare! Ci sono dei momenti, però, in cui questa missione diventa più urgente e la nostra responsabilità ha bisogno di essere ravvivata. Mi vengono in mente, anzitutto, le parole del Vangelo di Matteo dove si dice che Gesù «vedendo le folle, ne sentì compassione perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore» (9, 36). Quante persone, nelle tante periferie esistenziali dei nostri giorni, sono «stanche e sfinite» e attendono la Chiesa, attendono noi! Come poterle raggiungere? Come condividere con loro l’esperienza della fede, l’amore di Dio, l’incontro con Gesù? È questa la responsabilità delle nostre comunità e della nostra pastorale. Il Papa non ha il compito di «offrire un’analisi dettagliata e completa sulla realtà contemporanea» (Evangelii gaudium, 51), ma invita tutta la Chiesa a cogliere i segni dei tempi che il Signore ci offre senza sosta. Quanti segni sono presenti nelle no-

stre comunità e quante possibilità il Signore ci pone dinanzi per riconoscere la sua presenza nel mondo di oggi! In mezzo a realtà negative, che come sempre fanno più rumore, noi vediamo anche tanti segni che infondono speranza e danno coraggio. Questi segni, come dice la Gaudium et spes, devono essere riletti alla luce del Vangelo (cfr. nn. 4 e 44): questo è il «tempo favorevole» (cfr. 2 Cor 6, 2), è il momento dell’impegno concreto, è il contesto dentro il quale siamo chiamati a lavorare per far crescere il Regno di Dio (cfr. Gv 4, 35-36). Quanta povertà e solitudine purtroppo vediamo nel mondo di oggi! Quante persone vivono in grande sofferenza e chiedono alla Chiesa di essere segno della vicinanza, della bontà, della solidarietà e della misericordia del Signore. Questo è un compito che in modo particolare spetta a quanti hanno la responsabilità della pastorale: al vescovo nella sua diocesi, al parroco nella sua parrocchia, ai diaconi nel servizio alla carità, ai catechisti e alle catechiste nel loro ministero di trasmettere la fede... Insomma, quanti sono impegnati nei diversi ambiti della pastorale sono chiamati a riconoscere e leggere questi segni dei tempi per dare una risposta saggia e generosa. Davanti a tante esigenze pastorali, davanti a tante richieste di uomini e donne, corriamo il rischio di spaventarci e di ripiegarci su noi stessi in atteggiamento di paura e di-

fesa. E da lì nasce la tentazione della sufficienza e del clericalismo, quel codificare la fede in regole e istruzioni, come facevano gli scribi, i farisei e i dottori della legge del tempo di Gesù. Avremo tutto chiaro, tutto ordinato, ma il popolo credente e in ricerca continuerà ad avere fame e sete di Dio. Ho detto anche alcune volte che la Chiesa mi sembra un ospedale da campo: tanta gente ferita che chiede da noi vicinanza, che chiede da noi quello che chiedevano a Gesù: vicinanza, prossimità. E con questo atteggiamento degli scribi, dei dottori della legge e dei farisei, non daremo mai una testimonianza di vicinanza. C’è una seconda parola che mi fa riflettere. Quando Gesù racconta del padrone di una vigna che, avendo bisogno di operai, uscì di casa in diverse ore del giorno per chiamare lavoratori nella sua vigna (cfr. Mt 20, 1-16). Non è uscito una sola volta. Nella parabola Gesù dice che è uscito almeno cinque volte: all’alba, alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio — abbiamo ancora tempo che venga da noi! —. C’era tanto bisogno nella vigna e questo signore ha passato quasi tutto il tempo per andare nelle strade e nelle piazze del paese a cercare operai. Pensate a quelli dell’ultima ora: nessuno li aveva chiamati; chissà come si potevano sentire, perché alla fine della giornata non avrebbero portato a casa niente per sfamare i

loro figli. Ecco, quanti sono responsabili della pastorale possono trovare un bell’esempio in questa parabola. Uscire in diverse ore del giorno per andare ad incontrare quanti sono in ricerca del Signore. Raggiungere i più deboli e i più disagiati per dare loro il sostegno di sentirsi utili nella vigna del Signore, fosse anche per un’ora soltanto. Un altro aspetto: non rincorriamo, per favore, la voce delle sirene che chiamano a fare della pastorale una convulsa serie di iniziative, senza riuscire a cogliere l’essenziale dell’impegno di evangelizzazione. A volte sembra che siamo più preoccupati di moltiplicare le attività piuttosto che essere attenti alle persone e al loro incontro con Dio. Una pastorale che non ha questa attenzione diventa poco alla volta sterile. Non dimentichiamo di fare come Gesù con i suoi discepoli: dopo che questi erano andati nei villaggi per portare l’annuncio del Vangelo, ritornarono contenti per i loro successi; ma Gesù li prende in disparte, in un luogo solitario per stare un po’ insieme con loro (cfr. Mc 6, 31). Una pastorale senza preghiera e contemplazione non potrà mai raggiungere il cuore delle persone. Si fermerà alla superficie senza consentire che il seme della Parola di Dio possa attecchire, germogliare, crescere e portare frutto (cfr. Mt 13, 1-23). So che tutti voi lavorate molto, e per questo voglio lasciarvi un’ultima parola importante: pazienza. Pazienza e perseveranza. Il Verbo di Dio è entrato in «pazienza» nel momento dell’Incarnazione, e così, fino alla morte in Croce. Pazienza e perseveranza. Non abbiamo la «bacchetta magica» per tutto, ma possediamo la fiducia nel Signore che ci accompagna e non ci abbandona mai. Nelle difficoltà come nelle delusioni che sono presenti non di rado nel nostro lavoro pastorale, abbiamo bisogno di non venire mai meno nella fiducia nel Signore e nella preghiera che la sostiene. Non dimentichiamo, comunque, che l’aiuto ci viene dato, in primo luogo, proprio da quanti sono da noi avvicinati e sostenuti. Facciamo il bene, ma senza aspettarci la ricompensa. Seminiamo e diamo testimonianza. La testimonianza è l’inizio di un’evangelizzazione che tocca il cuore e lo trasforma. Le parole senza testimonianza non van-

no, non servono! La testimonianza è quella che porta e dà validità alla parola. Grazie del vostro impegno! Vi benedico e, per favore, non dimentica-

tevi di pregare per me, perché io devo parlare tanto e anch’io dia un po’ di testimonianza cristiana! Grazie. Preghiamo la Madonna, la Madre dell’evangelizzazione: Ave Maria...

Nomine episcopali Le nomine di oggi riguardano gli Stati Uniti d’America, l’Italia e il Consiglio d’Europa.

presidente del board of directors della National catholic education association.

Blase J. Cupich arcivescovo di Chicago

Riccardo Luca Guariglia abate di Montevergine (Italia)

Nato a Omaha, Nebraska, il 19 marzo 1949, dopo aver frequentato le consuete scuole primaria e secondaria, ha frequentato il College of Saint Thomas a Saint Paul, Minnesota, dove ha ottenuto il baccalaureato in filosofia nel 1971. Dal 1971 al 1975 è stato alunno del Pontificio collegio Americano del Nord a Roma e ha studiato teologia alla Pontificia università Gregoriana. Più tardi ha ottenuto la licenza (1979) e il dottorato (1987) in teologia sacramentale presso l’Università cattolica d’America a Washington, D.C. Ordinato sacerdote il 16 agosto 1975 per l’arcidiocesi di Omaha, è stato vice-parroco di Saint Margaret Mary e insegnante alla Paul VI high school (1975-1978); direttore dell’ufficio liturgico (19781981); collaboratore locale presso la nunziatura apostolica a Washington, D.C. (1981-1987); parroco di Saint Mary a Bellevue (1987-1989); presidente/rettore del Pontifical college Josephinum a Columbus, Ohio (1989-1997); parroco di Saint Robert Bellarmine a Omaha (19971998). Nominato vescovo di Rapid City, South Dakota, il 7 luglio 1998, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 21 settembre successivo. È stato trasferito a Spokane, Washington, il 30 giugno 2010 e ha fatto l’ingresso in diocesi il 3 settembre. Membro di numerosi comitati della Conferenza episcopale attualmente è presidente del subcommittee on the Church in Central and Eastern Europe, membro del National collections committee e del subcommittee on the Translation of Scripture Text. Inoltre, è membro del board of governors della Catholic extension society e

Nato a Santa Maria di Castellabate, diocesi di Vallo della Lucania, il 2 marzo 1967, è entrato in monastero il 26 febbraio 1992 e il 14 agosto ha iniziato il noviziato. Emessa la professione solenne nel 1997, dopo gli studi filosofico-teologici nell’Istituto teologico Madonna delle Grazie di Benevento, è stato ordinato sacerdote il 29 aprile 2000 dall’arcivescovo Francesco Pio Tamburrino, già abate di Montevergine. Nel 2001 ha iniziato il corso di studi in Sacra liturgia nel Pontificio istituto liturgico Sant’Anselmo di Roma, conseguendo la licenza. Nel 2004 è stato nominato economo della comunità monastica. Dal 2006 insegna liturgia fondamentale all’Istituto teologico di Benevento. Nel 2009 è divenuto priore claustrale e maestro dei novizi di Montevergine. Attualmente è anche consigliere del visitatore della provincia italiana della congregazione benedettina sublacense cassinese.

Paolo Rudelli inviato speciale osservatore permanente presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo Nato a Gazzaniga (Italia) il 16 luglio 1970, è stato ordinato sacerdote il 10 giugno 1995. Incardinato a Bergamo. È laureato in teologia morale. Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede il 1° luglio 2001, ha prestato la propria opera nelle rappresentanze pontificie in Ecuador e in Polonia e presso la sezione per gli affari generali della Segreteria di Stato.


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