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L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum Anno CLIV n. 227 (46.769)
Città del Vaticano
domenica 5 ottobre 2014
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Il segretario di Stato ai nunzi dei Paesi mediorientali
Con la messa presieduta dal Papa
Non si deve rimanere neutrali o inerti
Si apre il Sinodo sulla famiglia
Di fronte alla violenza e alle persecuzioni scatenate in Medio oriente contro le popolazioni inermi la Chiesa non può tacere. E la comunità internazionale non deve «rimanere neutrale tra gli aggrediti e l’aggressore». È il forte monito lanciato dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, durante la messa cele-
brata sabato mattina, 4 ottobre, nella Cappella Paolina, con i nunzi apostolici dei Paesi mediorientali che hanno preso parte all’incontro in Vaticano con i superiori della Curia romana. Nel denunciare «le crescenti minacce alla pace» nella regione, il porporato ha sottolineato in partico-
lare le drammatiche «condizioni delle comunità cristiane che vivono nei territori tra Siria e Iraq, controllati da un’entità che calpesta il diritto e adotta metodi terroristici per tentare di espandere il suo potere». Sotto «la pretesa di affermare una determinata convinzione religiosa» si dissimula «la propria volontà di poten-
Ucciso un altro ostaggio occidentale
L’Is rilancia la sua sfida brutale
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Curdi in fuga (Reuters)
DAMASCO, 4. Un nuovo brutale delitto dei terroristi del cosiddetto Stato islamico (Is) appare in un video, il quarto, che mostra la decapitazione di un ostaggio occidentale, il britannico Alan Henning, e annuncia come imminente quella dello statunitense Peter Kassig. Le fonti di intelligence occidentali ritengono il video autentico. L'uccisione di Henning, rapito nel 2013 in Siria, segue quella dei giornalisti statunitensi James Foley, il 19 agosto, Stefen Sotlof, il 2 settembre, e del britannico David Haines, il 14 settembre. A questi quattro delitti, tutti perpetrati con le stesse modalità — le vittime sono vestite con una tuta arancione che ricorda quelle dei prigionieri nel carcere statunitense di Guantanamo, a Cuba, e a ucciderli sembra essere sempre lo stesso uomo, vestito di nero e a volto coperto — si era aggiunto un analogo crimine in Algeria, dove un gruppo terrorista che si dice sostenitore dell’Is aveva decapitato il 24 settembre un turista francese, Hervé Gourdel. Lo sdegno della comunità internazionale è stato espresso, tra gli altri, dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che in un comunicato ha condannato «l’omicidio brutale e vile» di Henning. «Questo crimine è un tragico promemoria del pericolo crescente che i volontari umanitari affrontano ogni giorno in Siria», si legge nel comunicato. Il testo prosegue precisando che quanto accaduto «dimostra ancora una volta la brutalità dell’Is», definita «responsabile di migliaia di abusi contro il popolo siriano e iracheno». Il Consiglio ribadisce che l’Is deve essere sconfitto e invita a non farsi intimidire da questi atti di barbarie, ma a essere anzi ancora più convinti della necessità di uno sforzo comune tra i Governi e le istituzioni per contrastare il terrorismo. Di una comunità internazionale destinata a soffrire per la minaccia dell’Is ha parlato ieri il responsabile dell’Onu per la lotta al terrorismo, Jean-Paul Laborde, intervista-
to dall’agenzia di stampa France Presse durante una visita a Parigi. Secondo Laborde ci sono attualmente sui fronti siriano e iracheno 15.000 combattenti stranieri. «Migliaia torneranno nei Paesi di origine molto agguerriti: bisogna individuarli, parlarci, cercare di lottare contro il loro indottrinamento e tutto questo rappresenta molto lavoro», ha avvertito Laborde, sottolineando l’importanza del coinvolgimento in quest’azione delle società civili e delle autorità religiose. L’esponente dell’Onu ha aggiunto che la creazione da parte di un gruppo terrorista di una sorta di entità statale a cavallo tra la Siria e l’Iraq è «una prima assoluta» e che pone «un vero problema alla comunità internazionale», anche perché i terroristi dell’Is «dispongono di ingenti risorse, gas, petrolio, commerci». Sui fronti di guerra, intanto i combattimenti restano particolar-
mente aspri a Kobane, la città siriana a maggioranza curda a meno di due chilometri dalla frontiera con la Turchia, oltre la quale è fuggita la popolazione civile, oltre 160.000 persone. Nel centro storico di Kobane resistono le milizie curde, mentre si susseguono i raid aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti sui combattenti dell’Is che ne hanno occupato la periferia. Le dichiarazioni rilasciate nelle ultime ore sembrerebbero confermare un imminente intervento dell’esercito turco schierato al confine, dopo che sono già stati segnalati sorvoli su Kobane di aerei militari di Ankara. Questo minaccia però di aggiungere un nuovo elemento di complicazione al conflitto. Il Governo siriano, in una lettera indirizzata al Segretario generale dell’Onu e al Consiglio di sicurezza, ha infatti affermato che considererà come un’aggressione ogni intervento turco sul suo territorio.
za» e si utilizzano «la violenza e il terrore» come «metodi» per imporsi agli altri. «Si tratta chiaramente — ha osservato il segretario di Stato — di «un pervertimento dell’autentico senso religioso, con esiti drammatici e a cui è necessario rispondere», evitando di rimanere «inoperosi o inerti spettatori». In proposito il cardinale ha ribadito l’importanza della «preghiera costante e fiduciosa», accompagnata dallo sforzo di «porre in atto tutte quelle iniziative concrete che servano a sensibilizzare i Governi e l’opinione pubblica». Per il porporato «nulla va tralasciato di quanto è possibile fare per alleviare le condizioni dei nostri fratelli nella prova e per fermare i violenti». In particolare i cristiani perseguitati e tutti quelli che soffrono ingiustamente «devono poter riconoscere nella Chiesa l’istituzione che li difende, che prega e agisce per loro, che non teme di affermare la verità, divenendo parola per chi non ha voce, difesa e sostegno di chi è abbandonato, profugo, discriminato». Da parte loro i rappresentanti pontifici sono chiamati a far sentire «la voce del Papa» e a rendere concreta «l’azione della Sede apostolica in favore del diritto alla vita e in favore della libertà religiosa, capisaldi dei diritti umani». Senza dimenticare la necessità di sensibilizzare «i Governi e le organizzazioni internazionali in ordine al loro dovere di garantire nei modi stabiliti dal diritto internazionale la pace e la sicurezza, al fine di porre gli aggressori nella condizione di non nuocere». Un appello ripreso anche dai nunzi apostolici, che a conclusione dell’incontro hanno ribadito «che è lecito fermare l’aggressore ingiusto, sempre nel rispetto del diritto internazionale». Tuttavia, hanno aggiunto, «non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare, ma esso va affrontato più approfonditamente a partire dalle cause che ne sono all’origine e vengono sfruttate dall’ideologia fondamentalista». Un ruolo importante in questo senso «dovrebbero svolgere i leader religiosi, cristiani e musulmani, collaborando per favorire il dialogo e l’educazione alla reciproca comprensione, e denunciando chiaramente la strumentalizzazione della religione per giustificare la violenza». PAGINA 7
Il voto per le presidenziali
Quale Brasile domani PIERLUIGI NATALIA
A PAGINA
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Marc Chagall, «Cantico dei cantici»
Una vigilia di preghiera il sabato sera in piazza San Pietro e domenica apertura solenne del Sinodo sulla famiglia. Papa Francesco presiede nella mattina del 5 ottobre nella basilica vaticana la messa inaugurale dell’assemblea straordinaria dedicata alla famiglia. Un tweet del Pontefice sabato mattina, ha ricordato che «come Gesù indica a Marta nel Vangelo, una cosa è necessaria: pregare». E nel pomeriggio il Papa partecipa insieme ai fedeli radunati in piazza San Pietro alla veglia convocata dalla Conferenza episcopale italiana in segno di vicinanza ai padri sinodali e in sintonia con lo spirito di «apertura», di «confronto sereno e leale» che segnerà i lavori dell’assemblea, come ha ricordato il cardi-
nale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo. «Pregando — ha affermato il cardinale Angelo Bagnasco intervistato da «Avvenire» — il popolo di Dio mostra di capire che la famiglia è il fondamento. E si impegna in un atto di fede».
Papa Francesco agli atleti del Comitato italiano paralimpico
Superiamo le barriere PAGINA 7
NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Joseph Edward Kurtz, Arcivescovo di Louisville (Stati Uniti d’America), Presidente della Conferenza dei Ve-
scovi Cattolici degli Stati Uniti, con Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Daniel N. DiNardo, Arcivescovo di Galveston-Houston, Vice Presidente, il Reverendo Monsignore Ronny E. Jenkins, Segretario Generale, e il Reverendo Monsignore Brian Bransfield, Segretario Generale Aggiunto della medesima Conferenza. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Wojciech Załuski, Arcivescovo titolare di Diocleziana, Nunzio Apostolico in Burundi.
Allarme dell’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati
Gravato dalla crisi il sistema di aiuti umanitari
Distribuzione di cibo in un campo profughi afghano (LaPresse/Ap)
GINEVRA, 4. L’aiuto umanitario ha raggiunto i livelli più bassi a causa della carenza di fondi, mentre i bisogni crescono in maniera esponenziale per il moltiplicarsi dei conflitti e delle catastrofi naturali. Lo ha evidenziato ieri António Guterres, alto commissario dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Durante una conferenza stampa a Ginevra, Guterres ha rivolto un appello a istituire un grande fondo d’emergenza dell’Onu, che permetta di mobilitare più risorse per le crisi umanitarie di “livello tre” (quelle classificate più urgenti, come la Siria, l’Iraq, l’Ucraina e la Repubblica Centroafricana). I fondi saranno finanziati con contributi obbligatori ripartiti tra gli Stati membri delle Nazioni Unite, come già avvenuto per le operazioni di peacekeeping.
Attualmente, l’Onu dispone già di un fondo di emergenza per le operazioni umanitarie — il fondo centrale di interventi d’urgenza alimentato solo da contributi volontari — che non riesce più a tenere il passo con il susseguirsi delle crisi. Guterres ha quindi auspicato che gli aiuti allo sviluppo, il cui ammontare è dieci volte superiore a quelli d’emergenza, siano utilizzati per operazioni umanitarie.
Intreccio di culti e traffico di taxi nello Sri Lanka
A PAGINA
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Arundel and Brighton (Inghilterra), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Kieran Conry, in conformità al canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.
Provvista di Chiesa
Una vita a zigzag MARTINI GRIMALDI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza il Reverendo Monsignore Paolo Rudelli, Inviato Speciale, Osservatore Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo.
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Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo Metropolita di Ljubljana (Slovenia) il Reverendo Padre Stane Zore, O.F.M..
L’OSSERVATORE ROMANO
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Nuova ondata di violenze nell’est dell’Ucraina
Centotrenta tra morti e dispersi in un duplice naufragio a poche miglia dalle coste libiche
Il Mediterraneo inghiotte altre vite
KIEV, 4. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha oggi avuto un colloquio telefonico con il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, al quale ha espresso la sua «inquietudine» per la nuova ondata di violenza registrata nell’Ucraina orientale. Lo ha riferito il portavoce del dipartimento di Stato, Jen Psaki, aggiungendo che nel corso della conversazione Kerry ha espresso «la sua preoccupazione per l’intensificarsi degli scontri». Nonostante il cessate il fuoco firmato in settembre a Minsk, non si fermano dunque i sanguinosi combattimenti tra l’esercito e i miliziani separatisti filo-russi. Teatro della battaglia è l’aeroporto di Donetsk che i separatisti cercano di conquistare. «Il continuo bombardamento di aree residenziali — ha affermato ieri l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea, Catherine Ashton — è inaccettabile. Chiediamo a tutte le parti in conflitto di rispettare pienamente il diritto umanitario internazionale, proteggere i civili e gli operatori umanitari e garantire il libero accesso alle organizzazioni umanitarie». Le autorità di Kiev denunciano intanto un aumento del numero di soldati russi vicino alla città di Mariupol, sul Mar Nero. Secondo il portavoce del consiglio di Sicurezza ucraino, Andrii Lisenko, sono state dislocate nella zona alcune unità militari dotate di armi pesanti che prima erano di stanza nella regione russa di Rostov sul Don, al confine con l’Ucraina. Secondo Lisenko, nei pressi di Mariupol sarebbero ora stanziati soldati di una brigata delle forze armate russe, proveniente dall’O ssezia del Nord. Il ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen, ha nel frattempo affermato che in questi giorni sarà inviato all’O rganizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) un rapporto comune franco-tedesco su come potremo sostenere «l’importante missione di pace» avviata dall’Osce stessa. Solo in seguito, ha aggiunto, saranno definiti i dettagli della missione che potrebbe prevedere l’invio di soldati di Berlino per proteggere l’incolumità degli osservatori e per garantire il rispetto del cessate il fuoco. «Il nostro obiettivo comune è far sì che la situazione nell’est dell’Ucraina si stabilizzi e si sviluppi in un processo di pace», ha concluso il ministro tedesco.
TRIPOLI, 4. Si sono purtroppo confermate terribili le conseguenze dell’ennesima tragedia della migrazione nel Mediterraneo avvenuta giovedì ad appena tre miglia marine dalle coste della Libia. Secondo quanto riferito dall’ufficio a Tripoli del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), a rovesciarsi sono state due imbarcazioni e non una, come era sembrato in un primo momento. Dalle testimonianze degli scampati risulta che sui due barconi c’erano duecentocinquanta persone. Centoventi sono state tratte in salvo dalla guardia costiera libica. I corpi recuperati sono solo dieci, ma le vittime sarebbero dunque centotrenta. La giornata di ieri, anniversario del naufragio del 3 ottobre 2013 che provocò 368 morti a Lampedusa, è stata occasione, tra l’altro, per precisazioni sulla fine della missione Mare nostrum della Marina italiana e sull’avvio di quella europea Frontex Plus. Come noto, quest’ultima è stata annunciata come una missione di controllo delle acque territoriali europee, cioè fino a dodici miglia dalle
Putin firma il Trattato dell’Unione eurasiatica MOSCA, 4. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha annunciato di aver firmato ieri la legge approvata dal Parlamento sulla ratifica del Trattato dell’Unione eurasiatica, che dal prossimo gennaio darà vita a uno spazio economico comune tra Russia, Bielorussia e Kazakhstan, oggi già uniti nell’Unione doganale. «È uno stadio significativo nel nostro lavoro comune sull’integrazione con i nostri partner e alleati più stretti», ha osservato il leader del Cremlino aggiungendo che si tratta di un «grande evento, veramente positivo». La Russia è il primo Paese ad aver ratificato il Trattato siglato ad Astana lo scorso 29 maggio. Hanno annunciato l’intenzione di aderire all’Unione eurasiatica — considerato uno dei più importanti progetti geopolitici di Putin nonostante il forfait di Kiev — anche altre ex Repubbliche sovietiche, come Armenia e Kyrgyzstan.
coste. Mare nostrum, invece, ha consentito in un anno il salvataggio di decine di migliaia di persone proprio perché le navi italiane hanno agito ovunque fossero imbarcazioni in difficoltà. Questo ha impedito dimensioni ancora più spaventose del bilancio di un anno terribile. Secondo l’Organizzazione mondiale delle migrazioni e l’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), solo dall’inizio del 2014 ci sono stati oltre tremila morti, i tre quarti di tutti quelli registrati nel mondo. Il ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, che si accinge ad assumere l’incarico di alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e di sicurezza, ha garantito ieri che il soccorso in mare continuerà. Mogherini, che ha partecipato a Lampedusa alla Giornata della memoria e dell’accoglienza voluta dal Comitato 3 ottobre costituito dopo la tragedia di un anno fa, ha aggiunto che l’Unione europea interverrà sulla Libia, uno dei Paesi dai quali partono gran parte dei migranti e profughi dell’Africa e del
Vicino oriente che cercano di raggiungere le coste europee. «Le prime due cose che dobbiamo pretendere dalla Libia quando ci sarà un Governo che rappresenterà il Paese, sono la firma della Convenzione di Ginevra sui rifugiati e la garanzia che l’Unhcr possa lavorare nel Paese», ha detto. Le operazioni di Mare nostrum, comunque, per ora stanno continuando. Cinquecento persone tratte in salvo dalle navi italiane sono arrivate in nottata nel porto siciliano di Pozzallo. Prima sono approdate le tre motovedette che hanno soccorso a 130 miglia a sud di Siracusa un peschereccio con a bordo 240 siriani e palestinesi. Successivamente è arrivata una nave della Marina militare con a bordo altri 260 migranti. Tra i cinquecento migranti, ci sono sei donne in stato di gravidanza che sono state ricoverate nell’ospedale di Modica. In un ospedale di Ragusa sono stati invece ricoverati due uomini che versavano in difficili condizioni.
Partito socialista andrebbe il 19,1 per cento. Alle spalle dei socialisti viene dato il Partito della minoranza turca, con il 15,4 per cento dei consensi. Le neocostituite formazioni di centrodestra — Blocco riformista e Bulgaria senza censura — entrerebbero anch’esse in Parlamento con il 6 per cento dei voti ciascuna. A sorpresa, negli ultimi giorni altre tre formazioni si sono avvicinate sensibilmente alla soglia di sbarramento del 4 per cento per accedere al Parlamento. Si tratta del Fronte patriottico (nazionalisti), Ataka (ultranazionalisti) e Abv, il partito di centrosinistra dell’ex presidente, Gheorghi Părvanov. In tal caso, secondo gli analisti politici, sarebbe molto più difficile per i maggiori gruppi parlamentari formare a Sofia un Esecutivo stabile e si proseguirebbe con l’ingovernabilità. Le elezioni si tengono sullo sfondo di una persistente crisi economica e povertà.
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Carlo Di Cicco vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Delegazione di Pyongyang a Seoul
Tensione a Hong Kong
Un segnale di disgelo tra le due Coree
PECHINO, 4. La polizia di Hong Kong ha arrestato 19 persone in seguito ai tafferugli verificatisi ieri a Hong Kong tra studenti e alcuni gruppi che hanno cercato di rimuovere i blocchi innalzati dai manifestanti dopo le decisioni di Pechino sul prossimo voto nella ex colonia britannica. Nuovi incidenti sono avvenuti oggi con altre 18 persone — tra cui 16 poliziotti — rimaste ferite. Gli studenti sostengono che gli attacchi siano stati condotti da gruppi legati alla malavita locale. Rimane dunque alta la tensione a Hong Kong proprio quando sembrava che la situazione si stesse normalizzando. La Federazione degli studenti, il gruppo che era stato invitato a dialogare con il “numero due” del Go-
verno di Hong Kong, Carrie Lam, ha infatti annunciato ieri sera l’annullamento dei colloqui. In un comunicato, gli studenti hanno affermato di «non aver altra scelta» dopo gli attacchi subiti. Come noto la protesta a Hong Kong è scaturita dopo la decisione del Governo cinese di restringere a una rosa di massimo tre nomi il numero di candidati eleggibili alla carica di chief executive nelle prossime elezioni previste per il 2017, le prime che si svolgeranno a suffragio universale. Pechino ha inoltre stabilito che le candidature dovranno essere passate al vaglio di un apposito comitato composto da 1.400 persone e anch’esso nominato dal Governo cinese.
Un momento degli scontri nella ex colonia britannica (Reuters)
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caporedattore
Gaetano Vallini
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Una sopravvissuta a Lampedusa (Ansa)
Cancellati i colloqui tra studenti e Governo
Alle urne per le legislative in Bulgaria SOFIA, 4. Domenica i bulgari andranno al voto per le seconde elezioni politiche anticipate in meno di due anni, con quattro Governi che si sono susseguiti in diciotto mesi. Il probabile vincitore della competizione elettorale — in base agli ultimi sondaggi — sarà l’ex primo ministro, Boyko Borisov, leader del partito di centro-destra Gerb (Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria), che ha dato le dimissioni nel 2013 dopo le massicce proteste di piazza contro il carovita. Ma lo stesso Borisov, difficilmente, avrà i voti sufficienti per mettere in piedi un Governo monocolore e dare stabilità al Paese, tra i più poveri dell’Ue. L’ex premier ha già annunciato che subito dopo le elezioni è disposto a negoziare con tutti gli altri partiti in Parlamento per garantire la governabilità. Secondo l’ultimo sondaggio, Gerb otterrebbe il 34,5 per cento dei voti, mentre al
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don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale
SEOUL, 4. Tre dirigenti nordcoreani, tra i quali colui che viene considerato il numero due del regime comunista di Pyongyang, hanno incontrato alti responsabili sudcoreani oggi a Seoul, in un rarissimo segnale di disgelo tra i due Paesi. L’alto esponente nordcoreano è il vicepresidente della commissione nazionale di Difesa, Hwang Pyong So, la cui presenza è stata confermata dal portavoce del ministero dell’Unificazione di Seoul.
Riavvicinamento tra Vietnam e Stati Uniti HANOI, 4. Gli Stati Uniti hanno parzialmente revocato ieri il divieto di vendere armi al Vietnam, l’ultima prova del riavvicinamento dei due Paesi ex nemici. La decisione presa dall’Amministrazione statunitense è volta a rafforzare la marina militare vietnamita, coinvolta in una serie di delicate dispute territoriali nel Mar cinese meridionale. Tra i beni ora esportabili, navi e aerei che potranno aumentare la capacità difensiva e di sorveglianza marittima di Hanoi. Il divieto era stato istituito nel 1984, in seguito a violazioni dei diritti umani da parte di Hanoi. Il cambio di rotta arriva quasi quarant’anni dopo la conclusione della guerra in Vietnam e dopo un decennio di collaborazione tra la marina militare americana e quella vietnamita. Per diversi anni, Washington ha resistito alle pressioni provenienti dal Congresso e dal Pentagono per la revoca del divieto di vendita di armi, facendo riferimento alla continua repressione politica attuata in Vietnam. Jen Psaki, portavoce del dipartimento di Stato, ha dichiarato che la decisione di ieri è stata presa per gli effetti del miglioramento dei diritti umani nel Paese asiatico.
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Attesi per la cerimonia di chiusura dei Giochi asiatici, i tre dirigenti nordcoreani sono arrivati all’aeroporto di Incheon: hanno incontrato il ministro dell’Unificazione della Corea del Sud, Ryoo Kihl Jae, per poi pranzare con il ministro e il consigliere per la Sicurezza della presidente, Park Geun Hye, nella primo incontro ad alto livello tra le due Coree dopo anni. Il capo della commissione nazionale per lo Sport del regime comunista di Pyongyang, ha ringraziato la Corea del Sud per l’accoglienza riservata agli atleti nordcoreani ai Giochi asiatici. «Sono fiero di constatare che, in termini di sforzi per la riunificazione, lo sport mostri la via», ha dichiarato. Le due Coree hanno combattuto una sanguinosa guerra dal 1950 al 1953 e all’armistizio firmato nel villaggio di Panmunjom non ha mai fatto seguito un vero e proprio trattato di pace. Questo primo gesto di apertura da parte del regime di Pyongyang potrebbe favorire la ripresa del dialogo per avviare alcuni progetti comuni in una serie di ambiti, dal settore umanitario a quello industriale.
Tre sanguinosi attentati in Pakistan ISLAMABAD, 4. È di almeno sei morti e quattordici feriti il bilancio provvisorio di tre differenti episodi violenti registrati oggi nelle province pakistane di Khyber Pakhtunkhwa e Punjab. L’attentato più cruento è avvenuto nella città di Kohat, in Khyber Pakhtunkwa, dove un ordigno è esploso all’interno di un minibus in transito vicino a un affollato mercato, causando la morte di quattro persone e il ferimento di altre sette. Nella Valle dello Swat, nella stessa provincia, un commando ha ucciso Ashraf Khan, membro del locale Comitato filogovernativo per la pace.
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Manifestazione a Bamako (Afp)
Il voto per le presidenziali
Quale Brasile domani di PIERLUIGI NATALIA Le elezioni presidenziali in Brasile di questa domenica e l’eventuale ballottaggio del 26 ottobre diranno se il più grande Paese latinoamericano punta ancora sul Partito dei lavoratori, che lo guida da tre mandati presidenziali e, soprattutto, se conferma la fiducia a Dilma Rousseff, vincitrice nel 2011, che si ricandida per un nuovo mandato. I sondaggi, per quel che valgono, danno Rousseff al 47 per cento al primo turno. Segue l’ambientalista Marina Silva — candidata dal Partito socialista dopo la morte in un incidente aereo del leader Eduardo Campo — alla quale viene attribuito il 24 per cento delle intenzioni di voto dei 141 milioni di elettori. Terzo nei sondaggi è Aécio Neves, del partito socialdemocratico, accreditato del 21 per cento. Per la prima volta da mesi, inoltre, i sondaggi stessi danno Rousseff sicura vincitrice al ballottaggio, chiunque sia lo sfidante. Tra l’altro, la stessa presidente, all’immediata vigilia del voto, ha dichiarato di ritenere possibile una mancata elezione al primo turno, dicendosi pronta al ballottaggio. Sotto questo aspetto il quadro politico sembra mutato. Fino a poche settimane fa, infatti, gli istituti di sondaggi ritenevano che in caso di confronto al secondo turno avrebbe prevalso Silva, che fu ministro con il predecessore di Rousseff, Luiz Inácio Lula da Silva, prima di lasciare il Partito dei lavoratori nel 2008. Secondo le rilevazioni, Silva ha però perso consensi con l’approssimarsi del voto e rischierebbe persino di non accedere al ballottaggio. I commentatori politici attribuiscono tale caduta di consensi sia al fatto che Silva, originaria dell’Amazzonia e identificata soprattutto come militante ambientalista, non viene accreditata della statura necessaria a guidare un grande e complesso Paese, sia ad alcune sue posizioni in materia economica giudicate di stampo liberista. Silva, prima candidata nera alla presidenza nella storia del Brasile, viene accusata da molti di volere un un’economia di mercato senza rigidi controllo pubblici che
Elezioni amministrative in Perú LIMA, 4. Oltre ventuno milioni di peruviani sono chiamati alle urne domenica per le elezioni amministrative. In lizza ci sono la presidenza di venticinque regioni, i comuni delle centonovantacinque province e 1647 distretti del Paese sudamericano. Il momento più teso della campagna elettorale è stato registrato il 27 settembre scorso con l’omicidio di un candidato a sindaco del distretto di San Martín de Pangoa, nella provincia di Satipo. L’appuntamento più atteso è nella capitale, dove in tredici si contendono la poltrona ora occupata dal primo sindaco donna di Lima, l’esponente della sinistra Susana Villarán, capace appena un anno fa di superare un temuto referendum revocatorio del suo mandato. Ad incalzarla è l’ex sindaco (2002-2010) e candidato di Solidaridad Nacional, Luis Castañeda, seguito dal primo cittadino del distretto di San Miguel, Salvador Heresi. Ma, stando agli ultimi sondaggi pubblicati fino al limite massimo di domenica scorsa — in base a quanto prevede la legge — l’esito del voto appare scontato. Infatti, secondo l’istituto privato Cpi, Castañeda avrebbe addirittura fino a quaranta punti percentuali di vantaggio rispetto a Villarán e otterrebbe il 59,7 per cento del favore popolare, contro appena il 13 per cento dei voti della rivale.
minaccerebbe le classi più povere del Paese, composte in gran parte proprio da neri e meticci. Molti accomunano cioè la candidata del partito socialista a Neves nella vicinanza a quei settori finanziari che puntano su un cambio di Governo, accusando le politiche prima di Lula e poi di Rousseff di aver provocato la stagnazione dell’economia che ora attanaglia il Paese dopo anni di crescita vertiginosa. Gli sfidanti della presidente uscente non sono comunque riusciti a intercettare i movimenti di protesta — causati dai rincari del trasporto pubblico — che hanno percorso il Brasile nell’ultimo anno e mezzo, soprattutto durante la preparazione dei campionati mondiali di calcio. Bersaglio delle proteste, infatti, sono stati tanto il Governo federale quanto quelli locali, in molti casi guidati dall’opposizione. A chiarire il quadro politico, oltre al voto per la presidenza, sarà quello contemporaneo per 27 governatori, 513 deputati dei Parlamenti locali, i 1.069 deputati di quello federale e 27 senatori (un terzo della Camera alta). Anche su questo voto, al di là dei fattori locali, sembra determinante il giudizio su Rousseff, che rivendica i successi conseguiti con il proseguimento delle politiche di Lula. In dodici anni ci sono state grandi trasformazioni e progressi sociali, con i programmi per l’eliminazione della fame, la scolarizzazione e l’accesso alla casa. Questo ha sottratto oltre quaranta milioni di persone dalla povertà, permettendo in alcuni casi l’ingresso nel ciclo produttivo. Ora però, complice anche la crisi finanziaria ed economica globale che ha accompagnato la presidenza di Rousseff, c'è delusione in molti strati della popolazione che pure sono stati i principali beneficiari delle scelte governative. Molti sono frustrati per il mancato miglioramento delle loro condizioni di vita al ritmo registrato durante il Governo di Lula e temono l’aumento dei prezzi che erode il loro potere di acquisto. La classe lavoratrice, soprattutto quella di recente emancipazione, si trova infatti oggi a fronteggiare problemi comuni a molte società nelle quali lo Stato sociale traballa. Problemi che vanno dall’accesso all’assistenza sanitaria — dove trovano sempre più spazio i privati a costi che la stragrande maggioranza della popolazione non può permettersi — all’aumento, appunto, del costo della vita, simboleggiato proprio delle tariffe dei trasporti, rincarate del doppio rispetto agli aumenti salariali. A questo si aggiunge che la massiccia spesa sociale ha causato un aumento dell’indebitamento pubblico che davvero pesa sulle prospettive economiche del gigante sudamericano.
È il più sanguinoso attacco mai sferrato alla missione dell’O nu
Nove caschi blu uccisi nel nord del Mali BAMAKO, 4. Nove caschi blu della Minusma, la missione dispiegata dall’Onu nel nord del Mali, sono stati uccisi in un’imboscata tesa al convoglio sul quale viaggiavano lungo la strada che collega Menaga a Kao. Si tratta dell’assalto con il più alto numero di vittime subito dalla Minusma, come ha confermato il portavoce Olivier Salgado, ricordando come già in passato i caschi blu abbiano avuto vittime in attentati dinamitardi e attacchi armati. L’ultimo c’era stato il 18 settembre, quando
cinque caschi blu del contingente ciadiano della Minusma erano morti e altri quattro erano rimasti feriti per l’esplosione di una mina al passaggio del loro veicolo su una strada nei pressi di Aguelhok. Fonti ufficiali del Niger, il Paese al quale appartenevano i nove caschi blu uccisi, hanno riferito al sito d’informazione Koaci, che ha dato per primo la notizia, di un assalto condotto con una tecnica mai usata in passato nella regione. Gli assalitori hanno agito a bordo di motociclette,
dalle quali hanno lanciato dei razzi anticarro contro gli automezzi bianchi della Minusma. Tutti gli assalitori sono riusciti a fuggire. Sulla loro identità non ci sono notizie certe, ma fonti della Minusma citate da alcune agenzie di stampa ritengono responsabili dell’attacco i fondamentalisti islamici del Movimento per l’unicità e il jihad in Africa occidentale (Mujao). Proprio contro il Mujao e contro Al Qaeda per il Maghreb islamico (Aqmi) c’era stato l’anno scorso l’intervento armato
Violenti combattimenti a Bambari
Sfollato il venti per cento dei centroafricani BANGUI, 4. Sempre più gravi le notizie che provengono dalla Repubblica Centroafricana, dove a causa dei violenti combattimenti circa il 20 per cento della popolazione è stata costretta alla fuga. A riguardo, a fine settembre il numero dei rifugiati all’estero ammontava a quasi quattrocentoventimila unità (il 9 per cento della popolazione), mentre gli sfollati inter-
ni erano poco meno di mezzo milione (l’11 per cento dei centroafricani), dei quali sessantaduemila nella capitale, Bangui. Malgrado gli accordi di Brazzaville e il dispiegamento dei caschi blu della Minusca, la missione dell’Onu, le condizioni di sicurezza nel Paese rimangono fragili, soprattutto nell’est e nell’ovest. I gruppi armati non rispettano l’accordo di
Washington invia altri militari per combattere l’ebola WASHINGTON, 4. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha telefonato dall’Air Force One al generale David Rodriguez, capo comando statunitense in Africa, per un aggiornamento sulla reazione militare americana all’epidemia di Ebola in Africa. Lo ha riferito oggi la Casa Bianca. Il Pentagono, intanto, ha annunciato l’invio di rinforzi militari per circa 600 uomini in aggiunta ai 3.000 soldati americani già promessi. Un team di 230 tra militari e civili statunitensi è già arrivato in Liberia per preparare il terreno all’operazione di contrasto all’epidemia.
Lo sforzo statunitense consiste dunque nel dispiegare fino a quattromila uomini per far fronte all’emergenza ebola in Liberia, uno dei Paesi africani più colpiti dall’epidemia. Nelle prossime settimane partiranno anche 1.800 uomini, tra cui ingegneri e specialisti dell’aviazione oltre a 1.400 già dispiegati a Monrovia per un totale di 3.200 uomini. L’epidemia di Ebola ha causato 3.439 morti in cinque Paesi Africani: Sierra Leone, Guinea, Liberia, Nigeria e Senegal. A rendere noto il nuovo bilancio è stata oggi l’O rganizzazione mondiale della sanità (Oms).
Brazzaville e le loro divisioni e scissioni interne accentuano ulteriormente le violenze, precisano gli esperti. Il 15 settembre la Minusca ha preso il posto della precedente missione dell’Unione africana, andando ad aggiungersi alla missione militare francese Sangaris e a quella dell’Unione europea. La presenza dei militari internazionali ha permesso di migliorare le condizioni di sicurezza a Bangui, ma in tutto il Paese sono in aumento violenze e rapine. La situazione rimane estremamente critica a Bambari, dove nelle ultime ore almeno venticinque persone sono morte negli scontri tra gruppi armati rivali. Dallo scorso giugno la terza città del Paese per numero di abitanti, capoluogo della provincia centro-orientale della Ouaka, dove gli ex ribelli della Seleka hanno stabilito il proprio stato maggiore, è stata più volte teatro di ondate di violenze, nonostante la presenza delle truppe francesi Sangaris e della Minusca. Fonti della gendarmeria di Bambari hanno riferito che le forze di sicurezza centroafricane e internazionali stanno facendo il possibile per riportare la calma in città, ma ci sono tante persone che per sfuggire ai combattimenti hanno trovato rifugio in chiese e missioni. Anche la cattedrale continua a ospitare diversi sfollati.
A settembre creati quasi 250.000 nuovi posti di lavoro
Balzo in avanti dell’occupazione negli Stati Uniti
Un ufficio di collocamento a New York (Ansa)
WASHINGTON, 4. Lo scorso mese, il numero degli occupati negli Stati Uniti è salito di 248.0o0, oltre l’atteso incremento previsto dagli osservatori di 215.000 nuovi posti di lavoro. Nello specifico, il settore delle costruzioni ha creato 16.000 posti di lavoro, quello dei servizi professionali 81.000, mentre nel settore sanitario sono state create 23.000 nuove posizioni. Il dato sull’occupazione è, dunque, di buon auspicio sulla ripresa del mercato del lavoro, più rapida di quanto ipotizzato in precedenza, e sull’andamento dell’economia nel suo complesso, ma restano tuttavia dei dubbi. Il dipartimento al Lavoro ha riferito che il tasso di disoccupazione è arretrato dal 6,1 per cento al 5,9 per cento, il minimo dall’ottobre del 2008, prima della crisi economica.
francese nel nord del Mali. Il Governo di Parigi e quello maliano hanno più volte definito tale intervento risolutivo, ma la presenza di miliziani del Mujao e dell’Aqmi è ancora segnalata nell’area, come del resto in molte altre zone del Sahel. Sconvolto e indignato per quanto accaduto in Mali si è detto il Segretario generale dell’Onu, Ban Kimoon, sottolineando in una nota che gli attacchi contro le forze di pace delle Nazioni Unite costituiscono una grave violazione del diritto internazionale. «Gli autori di queste azioni terribili devono essere assicurati alla giustizia», scrive Ban Kimoon, ribadendo la necessità di una soluzione politica alla crisi nel nord del Mali, che persiste. Una soluzione per la quale il Segretario dell’Onu sollecita tutte le parti coinvolte a dimostrare buona fede e impegno. Il riferimento sembra diretto al Governo di Bamako e ai movimenti arabi e tuareg dell’Azawad, appunto la regione settentrionale maliana, che da mesi non riescono a raggiungere un accordo sul futuro assetto del territorio. Senza esito si è rivelata a settembre anche la seconda tornata dei colloqui ad Algeri tra il Governo di Bamako e i principali gruppi armati del nord. A ostacolare i negoziati contribuisce il rifiuto dei tre gruppi più importanti — cioè il Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad, l’Alto consiglio per l’unità dell’Azawad e il Movimento arabo dell’Azawad — di ammettere ai colloqui altre formazioni minori.
Raid contro gli islamisti a Bengasi TRIPOLI, 4. Non accenna a fermarsi il conflitto in Libia nonostante i tentativi dell’Onu di far dialogare le fazioni rivali — l’inviato Bernardino León ha avuto un primo ciclo di negoziati il 29 settembre scorso a Ghadames — e attuare il piano dell’Algeria, in collaborazione con la Tunisia, anch’esso rivolto a creare un dialogo nazionale. La situazione più tesa si registra ancora a Bengasi, seconda città del Paese, dove le forze fedeli al generale Khalifa Haftar hanno bombardato negli ultimi giorni le postazioni delle milizie fondamentaliste di Ansar Al Sharia e Majlis Shura. Lo hanno riferito ieri le agenzie internazionali aggiungendo che Haftar ha ammesso la responsabilità dei raid notturni contro le postazioni occupate degli islamisti. Teatro della battaglia è l’aeroporto Benina di Bengasi che, secondo un militare libico di alto rango, è da ieri «sotto il controllo delle forze speciali» fedeli al Parlamento eletto a giugno. Nel corso dei cruenti combattimenti i soldati uccisi sono stati almeno 36 e altri 60 feriti. Tra le fila dei miliziani di Ansar Al Sharia, si apprende da fonti mediche, ci sono almeno 23 feriti. Fonti militari hanno confermato che l’aeroporto è stato attaccato con tre mezzi imbottiti di esplosivo guidati da attentatori suicidi. I soldati hanno respinto l’assalto utilizzando artiglieria pesante, carri armati e caccia. Si tratta della battaglia più violenta delle ultime settimane. I media hanno pubblicato l’elenco dei nomi dei soldati uccisi.
L’OSSERVATORE ROMANO
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domenica 5 ottobre 2014
La storia milanese del secolo decimosettimo si comincia a gustare sui trent’anni E meglio ancora dopo i quaranta
Una lettura atipica dei «Promessi Sposi»
Il ribelle tranquillo di GIOVANNI PAPINI ue ragioni principali mi fecero venire in uggia i Promessi Sposi da ragazzo: il doverlo studiare per obbligo, a scuola, col repellente contorno della famosa analisi grammaticale e logica — e il notissimo giudizio del Carducci. Anche oggi, pur avendo cambiato l’uggia in delizia, ritengo e sostengo che i Promessi non son libro da farsi studiar nelle scuole, fuor di quelle universitarie, dove si può, o si potrebbe, andare un po’ più in là della semplice lettura. La «storia milanese del secolo decimosettimo» si può cominciare a gustarla sui trent’anni, e, meglio ancora, dopo i quaranta. Quando il ragazzo, purtroppo, è diventato uomo e ha qualche idea più precisa degli amabili uomini, suoi fratelli, tra i quali deve per forza vivere: quando, conoscendo meglio sé, e la natura politeista e dolorosamente peccaminosa ch’è in ciascuno di noi, può arrivare, con uno sforzo tanto più difficile quanto più facilmente legge negli altri, a quella disincantata indulgenza che molti prendono per amorevolezza naturale ed è, non sempre ma troppo spesso, la posatura dello scetticismo e la confessione della propria debolezza. Nel Manzoni, che spiritualmente invecchiò presto, questa lucidità di giudizio, questa umiltà di peccante impotenza, ha creato quell’atmosfera di pacatezza cordiale, quella melodia in sordina, quella finezza che finirebbe in malizia se l’occhio non fosse velato, a tempo, da un’ombra di pianto, quell’insieme di qualità, insomma, che si chiama spirito o genio manzoniano e ch’è chiuso, oscuro, se non ripugnante, al giovane, il quale cerca fiducia, abbandono, impeto, affermazione. Lo stesso per lo stile. L’arte del Manzoni è tale che uno il quale non abbia corso la cavallina della rettorica immaginifica, e non si sia innamorato e di-
D
il manuale della rassegnazione. A quell’età la rassegnazione sembra, senza distinguere, vigliaccheria; e l’ubbidienza agli uomini d’Iddio, servilità dei paurosi verso i furbi. Dunque, scappato di scuola, non lessi più, o lessi male, i Promessi Sposi, e ci volle la maturazione degli anni, l’esempio di amici, la serietà delle cucine internazionali, e un confuso rimorso, perché ripigliassi in mano, con mutato animo, il gran libro, superando la vecchia ritrosia per il «ramo del lago di Como» e tutta la «filastrocca». Mi rappacificai
Francesco Gonin, «Renzo Tramaglino» (1840)
però col Manzoni in quanto artista, poco o punto mi garbava l’uomo, dove la bonomia signorile e l’umiltà giansenista parevano nascondere una gelidità non lontana dallo scetticismo. E allora come si spiega che del Manzoni accetto, oggi, non soltanto l’arte ma anche lo spirito? Forse perché son tornato a Cristo, come c’era tornato, a suo tempo, lo sposo di Enrichetta Blondel? Non mi pare: la conversione del Manzoni ha preceduto quell’altra, ben più difficile, e tutti sanno, e molti se ne dolgono, che tra gli scrittori cattolici io tengo l’occhio piuttosto a San Pier Damiani o a Veuillot che al mite Manzoni. Pubblichiamo stralci dell’articolo Non sarebbe il caso, piuttoManzoni “ribelle” in nome della sto, di riesaminare in appello la giustizia, originariamente comparso sentenza del Carducci? Dai su «Vita e Pensiero» nel fascicolo del Promessi Sposi, come asseriva il maggio 1923 e ripubblicato pugilista Enotrio, non si può sull’ultimo numero della rivista. davvero strizzare altro sugo che la rassegnazione delle vite rincantucciate? Non mi pare: codesta, tutt’al samorato via via di tutti i modi della più, potrebbe essere la conclusione prosa italiana — e son più che non si che ne trarrebbe don Abbondio, il creda — e non sia tornato, a poco a quale non è, in fondo, odioso a don poco, con tentazioni continue e tradi- Alessandro ma neppure può essere elementi, a lasciare l’acquarzente per il vato, nel romanzo, all’ufficio che aveva vino e il vino per l’acqua pura, e non il Coro nella tragedia greca. Renzo si abbia rifatto la bocca ai sapori casalin- ribella. Vorrebbe, sul primo, ribellarsi ghi e alla modellatura casta, non può colla violenza, e Padre Cristoforo e sentire quello che c’è di sapiente me- Lucia a gran fatica lo trattengono, e stiere, di nobile delicatezza, di riposa- fanno benissimo. Ma la ribellione, in ta intimità e, infine, familiare perfezio- altri modi, ha il suo corso. Il povero ne nella prosa dei Promessi Sposi. Ma Renzo tenta di difendersi e di vincere questa riprovata e avvertita esperienza per diverse vie: prima ricorrendo alla anche un uomo dell’arte, che non fac- giustizia, la quale, per la viltà dell’Azcia altro, l’acquista, se fa presto, fra i zeccagarbugli, lo respinge; poi col matrenta e i quarant’anni: i giovani cerca- trimonio di sorpresa che per la viltà di no l’oro, anche se galvanoplastico, e le Don Abbondio non riesce. pietre preziose, sian pur chimiche, e Un altro ribelle, e non c’è bisogno soltanto più tardi si contentano del di ricordarlo, è proprio quello che a macigno di Dante o dell’argento opa- Renzo, per due volte, consiglia o meco, ma di massello e di venti carati, glio ordina, con alte e commoventi padel nostro Alessandro. role, il perdono: proprio Padre CristoIl giudizio del Carducci è quello fa- foro. L’amore verso i peccatori non moso del 1873, poi raccolto in Bozzetti esclude la detestazione del peccato; la e scherme: «E dei Promessi Sposi la misericordia verso gli oppressori non morale più chiara e più deducibile impedisce la difesa degli oppressi; la non è ella questa? che a pigliar parte pietà per gli erranti non può togliere alle sommosse l’uomo risica di essere lo sdegno verso l’errore. In questo impiccato; e torna meglio badare in senso il Manzoni può dirsi anche ripace alle cose sue facendo quel po’ di belle: un ribelle cristiano, che si ribella bene che si può, secondo la direzione, in favore della giustizia e della verità e i consigli e li esempi degli uomini di che perciò si ricongiunge alla grande Dio». A quel tempo ero carducciano, tradizione cristiana e cattolica dei barricadiere, ignorante – insomma, ero combattitori — in capo alla quale, in giovane. E figuratevi se potevo man- Italia, sta Dante, a cui la fede in Cridar giù un libro battezzato, da colui sto non impedì di ammirare l’aspra ch’era il mio Chirone letterario, come fierezza di Catone e di Farinata.
Un saggio del 1923
La verità secondo Etty Hillesum
di GIANCARLO GAETA «Qualunque dolore può essere sopportato se lo si trasforma in un racconto o se si narra su di esso un racconto». Queste parole di Karen Blixen sono citate in un saggio di Hannah Arendt a lei dedicato, che le commenta così: «Il racconto rivela il senso di ciò che altrimenti rimarrebbe un insopportabile succedersi di meri avvenimenti. Il tacito genio di accettazione che tutto abbraccia, che è anche il genio della vera fede, sorge dal racconto perché nella ripetizione dell’immaginazione gli avvenimenti sono diventati quello che lei chiamerebbe un “destino”. (...) Tutte le sue storie sono in realtà “aneddoti del destino”: essi ci ripetono ogni volta che, alla fine, ci sarà dato il privilegio di giudicare». È una riflessione tanto di per sé illuminante quanto, a prima vista, sorprendente da parte di una pensatrice che aveva fatto dell’esercizio rigoroso del pensiero lo strumento indispensabile per la comprensione della condizione umana in generale e in particolare di quella capitata in sorte alla propria generazione. Mentre sarebbe stata perfettamente congeniale allo spirito poetico di Etty Hillesum, al suo incontenibile desiderio di riuscire un giorno a raccontare «il nostro destino e un pezzo di storia com’è ora e non è mai stato in passato». Tuttavia è precisamente intorno a questa capacità di dare senso agli avvenimenti non sottraendosi al dolore, ma anzi facendo leva su di esso, che i loro destini, pur tanto diversi, si toccano nel punto in cui è a noi dato di considerarli a distanza di tempo. È un peccato che Hannah Arendt non abbia potuto leggere gli scritti di Etty Hillesum, pubblicati soltanto sei anni dopo la sua morte. Vi avrebbe trovate espresse verità, colte con tutta chiarezza nel corso stesso del dramma, su ciò che ne è degli individui «messi alla prova nei fondamentali valori umani». Verità a cui ella invece giunse tardivamente grazie all’impatto col processo Eichmann e alle reazioni che il suo reportage provocò nell’intellettualità ebraica. Costrette ambedue a misurarsi con eventi di cui non si era
Reporter del male
appello: «Naturalmente, non si potrà mai riparare al fatto che alcuni ebrei collaborino a far deportare tutti gli altri. Più tardi la storia dovrà pronunciarsi su questo punto». Ma subito dopo aggiunge parole in cui trovo compendiata la sua volontà risoluta a comprendere le cose come sono: «Rimane sempre il fatto che la vita è così “interessante”, in ogni circostanza. Provo un bisogno quasi diabolico di osservare ciò che capita. Di vedere, sentire e esserci anch’io, di rubare alla vita tutti i suoi segreti, di osservare freddamente le espressioni degli uomini nelle loro ultime convulsioni. E poi mi ritrovo improvvisamente di fronte a me stessa e posso imparare molto dallo spettacolo offerto dalla mia A differenza di Hannah Arendt anima, di questi che definirà l’orrore tempi. E poi — più tardi — dola giovane ebrea uccisa ad Auschwitz vrò trovare le non vuole spiegare il sopruso subìto parole adatte Ma sceglie di raccontarlo per descrivere tutto questo». È il caso di rilevare i due «più tardi» di questo occhi e attestò come verità di brano del Diario. Quello in cui fatto ci furono i caratteri dei è demandato alla «storia» un funzionari della deportazione e giudizio criticamente informato i comportamenti delle vittime, sul ruolo dei Consigli ebraici e risucchiati, per un verso o per più latamente su tutta l’orrenda l’altro, nell’imperio del male. vicenda toccata in sorte agli Paradossalmente l’occasione che Ebrei, un giudizio che dovrà atfavorì una siffatta lettura fu tendere la pubblicazione di La d’essere impiegata durante l’ulti- banalità del male per imporsi almo anno della sua vita nel più la coscienza ebraica; e quello in vituperato dei Consigli ebraici, cui toccherà a lei «descrivere dapprima ad Amsterdam con tutto questo», vale a dire ciò funzioni amministrative, quindi, che ha visto e sentito e compresu sua richiesta, al campo di so degli uomini osservati «nelle smistamento di Westerbork per loro ultime convulsioni», che svolgervi assistenza sociale ai sono non tanto quelle dei corpi quanto quelle delle anime, comdeportati. Certo, ella si rese conto in presa la sua, costrette a misurarfretta del «gran marciume» di si con un impensabile più granuna struttura che in definitiva de della morte stessa. A differenza di Hannah Arenserviva più la causa dei persecutori che quella delle vittime. Il dt di Le origini del totalitarismo, suo giudizio fu da subito senza Etty Hillesum non ha sentito il bisogno di definire in qualche modo la natura di una forma inedita del male; si è provata piuttosto a raccontarlo nella molteplicità dei suoi effetti sugli individui e perciò delle espresIn mostra a Roma sioni concrete da esso assunte di volta in volta. Questa capacità eminentemente poetica di cogliere la verità dei fatti attraverso l’osservazione dei comportamenti si è in lei grandemente Sono completamente accresciuta col suo lavoro al perduti gli affreschi del Consiglio ebraico, che la colloCastello dei Cavalieri a cava al centro di un inferno doRodi realizzati da Pietro ve era inevitabile «trovarsi nei Gaudenzi nell’estate del guai» con l’idea che Dio abbia 1938. Anche per questo è creato l’uomo a sua immagine. particolarmente signifiAvendo chiesto quell’impiego cativa la mostra in corso, non nel tentativo di scansare la fino al prossimo 31 gendeportazione, ma per trovarsi naio, alla Galleria del «in mezzo al dolore e alle Laocoonte a Roma, preoccupazioni di questo temcomposta dai cartoni po», ne ottenne la possibilità di preparatori degli affreuna lettura più articolata e cirschi, da disegni, bozzetti costanziata dell’intreccio insoe una tavola a olio, tutti stenibile degli eventi e delle reaPietro Gaudenzi, «Giovane donna preliminari dell’opera zioni individuali a essi. Sopratcon fascio di grano» (1938, particolare) perduta. tutto nei mesi dell’internamento mai data prima esperienza e per i quali mancava il linguaggio per significarli, esse giunsero a comprensioni prossime, malgrado la differenza delle situazioni in cui si misurarono con i fatti: l’una nell’incombere della distruzione, l’altra in uno stato di scampato pericolo; l’una nella crescente consapevolezza che difficilmente ci sarebbe stato per lei un dopo per raccontare ciò che aveva visto e compreso, mentre l’altra ha potuto contare su un tempo sufficiente a riflettere sugli eventi e a ricercarne la verità con gli occhi della mente piuttosto che con gli occhi del corpo. Tra le molte cose che Etty Hillesum osservò con i propri
Gli affreschi perduti di Gaudenzi
a Westerbork, dove tutta la sua attenzione fu rivolta per un verso alla condivisione attiva delle sofferenze dei compagni di sventura, per l’altro a «osservare l’atteggiamento di una grande varietà di persone verso le questioni più ardue, le questioni ultime». Qui i racconti che costellano gli ultimi due quaderni del Diario e le Lettere forniscono una rappresentazione in presa diretta degli effetti sui singoli della potenza del male liberato da ogni inibizione etica, religiosa, giuridica. Si tratti delle vittime, alcune piene di coraggio e dignità, ma «in maggior parte non in grado di sopportare il proprio destino» e perciò propense a «scaricarlo sulle spalle altrui», o degli aguzzini, ad esempio il comandante del campo e il suo segretario ebreo, descritti in termini prossimi a quelli che impiegherà Arendt nel caso di Eichmann. Certo, ella era ben consapevole che più tardi non avrebbe potuto «scrivere le cose come la vita le ha scritte per lei, in caratteri viventi», avrebbe dovuto necessariamente affidarsi al processo di trasfigurazione artistica. Ma quel che intanto registra nel suo diario è già sostenuto dalla «percezione di un’unità che esiste e che, nel profondo, rende la vita un insieme ricco di significato». Per quanto ancora imbozzolata nella presa dei fatti bruti, Hillesum è tuttavia consapevole che sarebbe stato un errore raccontare una storia che di per sé non poteva offrire altro che dolore e disperazione e dalla quale non si sarebbe ricavato nulla per muovere un primo cauto passo verso «un periodo di
Convegno internazionale «Etty Hillesum. Un altro modo di dire l’umano» è il tema del convegno che si tiene lunedì 6 a Roma in Campidoglio, dedicato alla scrittrice ebrea olandese, in occasione del centenario della nascita (1914-1943). L’incontro è organizzato dall’università di Roma Tor Vergata e dal Centro studi Etty Hillesum. Uno dei relatori ha sintetizzato per noi il suo intervento.
umanesimo». Occorreva piuttosto una narrazione in grado di rivelarne il senso, ma per questo le parole avrebbero dovuto in lei “crescere” fino alla misura poetica, la sola in cui è il giudizio di Dio a risuonare anticipato. Non ci fu tempo per questa maturazione. Tuttavia la sua scrittura, se non ha potuto raggiungere la pienezza artistica a cui Etty Hillesum aspirava, custodisce un giudizio sul nostro tempo che ci interpella.
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 5 ottobre 2014
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Templi di ogni religione convivono negli stessi quartieri Imesha è buddista come tutta la sua famiglia ma ogni mercoledì va a messa con i suoi amici cattolici
dal nostro inviato a Colombo CRISTIAN MARTINI GRIMALDI yubowan presidente Xi Jinping» si legge nei giganteschi cartelloni ai bordi delle congestionate strade di Colombo città. La calorosa accoglienza al presidente cinese è ben meritata: la Cina è il più grande investitore dell’isola del dopoguerra; autostrade, centrali elettriche, perfino un aeroporto. L’autostrada che ho appena percorso in autobus dal Bandaranaike International Airport è stata asfaltata solo pochi mesi fa, anche questa finanziata da Pechino. «Ai bordi delle strade hanno fatto pulizia di centinaia di catapecchie, e in previsione della visita del presidente cinese hanno perfino messo enormi vasi pieni di fiori agli incroci più importanti», mi dice con un bonario sorriso il businessman singalese seduto nell’autobus accanto a me. Ma se lo Sri Lanka oggi deve molto, economicamente, agli aiuti che vengono dalla Cina, in passato la più grande influenza culturale ed economica è venuta dall’Occidente e questo vale anche per la religione. Se in Corea il cristianesimo è arrivato attraverso il passaggio di testi cinesi scritti da gesuiti, e in Giappone e Cina attraverso l’opera di una manciata di coraggiosi missionari, in Sri Lanka il cristianesimo è giunto in modo del tutto casuale. L’arrivo dei primi cattolici nell’isola che i greci chiamavano Taprobane e gli arabi Serendib, si ebbe in seguito al naufragio di una nave portoghese che era in cerca di spezie. Era il 1505 e il capitano di quella nave, Lorenzo de Almeida, trovò un Paese diviso in tre: un regno tamil nel nord dell’isola e nel sud due regni singalesi, uno negli altopiani centrali con Kandy come capitale, e l’altro nelle pianure del sud-ovest. Il governatore di questa regione, il re Dharma Parakramabahu IX, era anche considerato l’imperatore di tutto il Paese e risiedeva nella capitale di Kotte.
Intreccio di culti e traffico di taxi nello Sri Lanka
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Una vita a zigzag
Si racconta che i messaggeri del re di Kotte accompagnarono gli occidentali in una lunga marcia, di almeno tre giorni, nel tentativo di far loro credere che il Regno fosse più vasto di quello che in realtà era. Tanto che ancora oggi si usa dire «accompagnare i portoghesi a Kot-
san Lorenzo è anche il patrono principale della città di Colombo. La religione lentamente cominciò a diffondersi tra gli abitanti ma, al contrario degli altri grandi Stati asiatici dove furono i gesuiti ad arrivare per primi, qui in pole position furono i missionari francescani. Verso la fine dell’anno 1543, cinque frati furono inL’arrivo dei primi cristiani nell’isola viati dal re Giovanni III del Portogalsi ebbe in seguito al naufragio lo con il preciso di una nave portoghese obiettivo di converche era nella zona in cerca di spezie tire il re di Kotte e suoi sudditi alla fede cattolica. Solo quando il re Dharte» per descrivere un comportamen- mapala salì al trono nel 1551 i missionari riuscirono nel loro intento, guato ingannevole. Con il permesso del re, de Almei- dagnandosi, di conseguenza, anche da ottenne delle concessioni com- una piena libertà di evangelizzaziomerciali e la possibilità di costruire ne. Fu proprio durante il regno del un forte. Si mise in piedi anche una re Dharmapala, e negli anni immepiccola cappella e fu il francescano diatamente successivi alla sua morte, Vicente, il cappellano della flotta, a che i missionari francescani realizzacelebrare la prima messa sul suolo rono il loro progetto di portare il dello Sri Lanka. La cappella venne Vangelo sino all’estremità nord dedicata a san Lorenzo e per questo dell’isola, a Jaffna.
Ma se la popolazione locale accolse benevolmente gli stranieri e la loro religione, fu l’arrivo in Sri Lanka di un’altra potenza coloniale, l’Olanda, a spodestare i primi colonizzatori e con loro il credo cattolico. Con gli olandesi infatti il cattolicesimo venne proibito e il suo posto venne occupato dalla fede protestante. I cattolici cominciarono a essere perseguitati e molti furono costretti a fuggire dall’isola. Chiese e scuole cattoliche vennero chiuse e per quasi trent’anni non ci fu un singolo sacerdote in tutta l’isola. «A quel tempo se i cattolici volevano andare a scuola dovevano diventare protestanti», mi dice con onestà Donald, che è un ministro protestante in una chiesa al centro di Colombo. «Oggi, dopo decenni di guerra civile, dopo tanto odio religioso che è stato seminato, si comincia a respirare una grande tolleranza. Ho molti fedeli che vengono in chiesa ma poi vanno anche al tempio buddista o pregano per Vishna». Da oltre venticinque anni, la guerra civile ha causato disagi significativi tra la popolazione, l’ambiente e l’economia del Paese, e si stimano centomila morti, ma c’è anche chi parla di cifre dieci volte superiori. Eppure nonostante la fine delle ostilità risalga a soli cinque anni fa, a Colombo regna un’atmosfera di pacificazione e grande tolleranza tra religioni. Le chiese cattoliche in Sri Lanka sono a due passi dai templi buddisti e questi, a loro volta, vicinissimi alle moschee. Incontro Imesha sul bus locale, ha ventidue anni ed è buddista come tutta la sua famiglia: «ho studiato
L’alleanza tra Vangelo e arte dal Niceno di SILVIA GUSMANO «I suoi piedi raccontano il suo cammino tra gli uomini — per predicare, guarire, incontrare — e anche il destino di condannato alla croce da chi non ha voluto o potuto accogliere i suoi passi. Nel guardare questi piedi, chi conosce Gesù non può dimenticare una sua parola: Io sono la via, la verità, la vita». I piedi qui descritti da Ermenegildo Manicardi sono quelli dipinti in primo piano con ardito realismo da Andrea Mantegna nel suo Cristo morto, attraverso una scelta prospettica che, nella lettura di un altro esperto, Pierluigi Lia, ha qualcosa di sacrilego e allo stesso tempo rivela come nell’autore agisca la scintilla divina: mostrando Cristo come un cadavere sul tavolo anatomico, Man-
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dalle suore da piccola, e oggi ogni mercoledì vado in chiesa con i miei amici cattolici». Imesha non è la prima giovane che incontro a “parlare” due lingue religiose differenti. Roshan l’ho conosciuto in un negozio del Cinnamon Grand Hotel, proprio sulla Galle Road che dà sull’oceano Indiano, ovvero sulla spiaggia dove sul tardo pomeriggio moltissime coppiette vengono ad ammirare uno splendido tramonto. «Ho vissuto sette anni in Italia», dice Roshan, «ho anche il certificato di residenza, ho lavorato come domestico per un avvocato nel quartiere Flaminio» a Roma. È musulmano come sua madre, ma il padre è cattolico. «Sì, va-
a Michelangelo
Forme che aprono lo sguardo tegna ci invita a «considerare fino a che punto, al di là di ogni retorica, Gesù di Nazaret si è fatto prossimo a ogni uomo». Parole illuminanti che aiutano a comprendere più a fondo il sacrificio di Gesù e lo sgomento provato da chi lo amava davanti alla sua salma. È questo il merito principale del volume curato da Cristina Uguccioni, La forma di Dio (Milano, Mondadori, 2014, pagine 184, euro 24,90) da cui sono tratte le precedenti riflessioni. Si offre al lettore un prezioso strumento di interpretazione di testi e immagini sacre —
tra i più densi di significato — attraverso il loro diretto accostamento. L’opera, infatti, raccoglie ventiquattro contributi di esegeti biblici e critici d’arte a commento di dodici passaggi delle Sacre Scritture (tratti dal Nuovo Testamento, a eccezione del brano della Genesi sulla Creazione) e di altrettante immagini a essi ispirate: dall’Annunciazione del Beato Angelico alla Natività di Giotto, dal Battesimo di Piero della Francesca alla Trasfigurazione di Raffaello, dall’Ultima Cena di Leonardo, al crocifisso di Cimabue, fino al Giudizio universale di Mi-
Andrea Mantegna, «Lamento sul Cristo morto» (1475-1478 circa, particolare)
do in moschea con mia madre e in chiesa con tutta la famiglia, molta altra gente che conosco si divide tra due fedi». Chiedo al conducente del tuk tuk che ho preso per tornare in ostello se si possono servire due padroni, facendogli simpaticamente notare i due grossi medaglioni con i simboli di Shiva e Buddha ben in evidenza al centro del suo parabrezza. Lui scoppia in una grande risata e dice: it’s all good my friend!. Con millimetrico calcolo il tuk tuk si incunea tra due macchine per svoltare a un incrocio. Lo zigzag qui è più di un’abile manovra per scartare il traffico, è quasi uno stile di vita.
chelangelo. Oltre alle tavole delle opere, il volume riporta per intero i passaggi della Bibbia presi in esame. A quindici anni dalla Lettera agli artisti di Giovanni Paolo II, «geniali costruttori di bellezza», e a cinquanta dal memorabile discorso di Paolo VI nella Cappella Sistina, La forma di Dio intende rinsaldare l’antica alleanza tra Vangelo e arte, sancita dal secondo concilio di Nicea nel 787. Fu allora, infatti, che la Chiesa, ponendo fine alla lotta iconoclasta, affermò in maniera definitiva l’importanza delle rappresentazioni visive ai fini dell’annuncio della Parola. Un’intuizione fondamentale che per secoli ha portato il mondo ecclesiastico a incoraggiare e spesso a finanziare la migliore produzione artistica di ispirazione cristiana, con risultati di cui oggi gode l’intera umanità. La vera bellezza infatti, scrive Benedetto XVI, richiama l’uomo al suo destino ultimo, lo rimette in marcia, lo riempie di nuova speranza, gli dona il coraggio di vivere fino in fondo il dono unico dell’esistenza. Questo piccolo miracolo si rinnova ogni volta non solo in virtù della potenza creatrice degli artisti, ma anche, spesso, grazie al loro coraggio, un tema ricorrente nel libro curato da Uguccioni. Il coraggio di osare, sfidando tabù e convenzioni. È il caso, oltre che del Cristo morto, de La vocazione di san Matteo a San Luigi dei Francesi. Qui, come spiega Timothy Verdon, Caravaggio sceglie di dipingere in «una cappella voluta da un cardinale in una chiesa di centro città», accanto a «un altare su cui veniva celebrata la liturgia eucaristica» un’osteria romana contemporanea, «obbligando chi va a messa a stare gomito a gomito» con personaggi equivoci e di dubbia onestà. L’effetto fu lo stesso che potrebbe avere oggi vedere «accanto all’altare di una chiesa moderna, una grande foto di
spacciatori in una discoteca di periferia». Quale modo migliore, in effetti, per tradurre in immagine la portata rivoluzionaria del gesto (sedersi alla tavola di un pubblicano) e delle parole di Gesù alla chiamata di Matteo («Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori»)? Il messaggio arriva potente al cuore dei fedeli e Caravaggio dà forma così al «nuovo linguaggio artistico auspicato dal concilio tridentino» se nel suo Discorso intorno alle immagini sacre e profane (1582), il cardinale Gabriele Paleotti incoraggia gli artisti a «compungere le viscere» dei credenti. Certo, perché il messaggio arrivi, chi guarda, come chi ascolta la Parola, deve
Per capire l’effetto prodotto sui contemporanei dai quadri di Caravaggio immaginiamo una grande foto di spacciatori accanto all’altare di una chiesa moderna
saper cogliere i segni del trascendente. Deve voler vincere — secondo le parole del cardinale Martini qui a commento del brano evangelico di Matteo sul Giudizio universale — la cecità in cui «purtroppo viviamo». I discepoli a Emmaus — altro passo del Vangelo dipinto da Caravaggio e presente nel libro — dopo ore di cammino al suo fianco, riconoscono Cristo Risorto solo quando spezzando il pane rievoca l’ultima cena. «Non tocca a Gesù cambiare il volto — scrive Bruno Maggioni — bensì ai discepoli cambiare lo sguardo. Occorre un modo nuovo di guardare ciò che già prima si è visto». E i grandi artisti, definiti dal cardinale Paul Poupard nell’introduzione al volume «annunciatori del sublime» e «preziosa famiglia al servizio di Dio», hanno il potere e il dono di guidarci in tal senso.
L’OSSERVATORE ROMANO
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domenica 5 ottobre 2014
Il videomessaggio del Papa per il cinquantesimo di fondazione della Cittadella di Loppiano
Cultura delle relazioni Pubblichiamo il testo del videomessaggio che Papa Francesco ha trasmesso al Centro internazionale dei focolari di Loppiano per il cinquantesimo anniversario della fondazione della Cittadella. Cari fratelli e sorelle abitanti tutti di Loppiano, buonasera. Con voi saluto anche tutte le persone che oggi popolano la cittadella voluta da Chiara Lubich, ispirata al Vangelo della fraternità — quella fraternità universale — e coloro che da ogni angolo del mondo sono collegati e partecipano alla festa per i primi cinquant’anni della sua fondazione. Loppiano è una realtà che vive al servizio della Chiesa e del mondo, per la quale ringraziare il Signore; una cittadella che è testimonianza viva ed efficace di comunione tra persone di diverse nazioni, culture e vocazioni, avendo anzitutto cura nel quotidiano, di mantenere tra voi la mutua e continua carità. Sono contento che abbiate scelto per questa vostra ricorrenza il giorno in cui in tutta la Chiesa si festeggia San Francesco di Assisi, testimo-
ne e artefice di pace e fraternità. È una felice coincidenza anche per me, davvero. Gli abitanti di Loppiano, quelli che vivono stabilmente e quelli che vi trascorrono un periodo di esperienza e di formazione, vogliono diventare esperti nell’accoglienza reciproca e nel dialogo, operatori di pace, generatori di fraternità. Proseguite con rinnovato slancio su questa strada, vi auguro che sappiate restare fedeli e possiate incarnare sempre meglio il disegno profetico di questa cittadella fiorita dal carisma dell’unità proprio cinquant’anni fa. Vivere questo in sintonia profonda con il messaggio del Concilio Vaticano II che allora si stava celebrando, il disegno cioè di testimoniare, nell’amore reciproco verso tutti, la luce e la sapienza del Vangelo. Loppiano scuola di vita, dunque, in cui vi è un unico maestro: Gesù. Sì, una città scuola di vita per far ri-sperare il mondo, per testimoniare che il Vangelo è davvero il lievito e il sale della civiltà nuova dell’amore. Ma per questo, attingendo alla linfa
spirituale del Vangelo, occorre immaginare e sperimentare una nuova cultura in tutti i campi della vita sociale: dalla famiglia alla politica, all’economia. Cioè la cultura delle relazioni. Principio della sapienza è il sincero desiderio di istruzione, la cura dell’istruzione è amore. Non è un caso che a Loppiano abbia sede, da qualche anno, l’Istituto Universitario Sophia eretto dalla Santa Sede. C’è un urgente bisogno, infatti, di giovani, di uomini e donne che, oltre ad essere opportunamente preparati nelle varie discipline, siano al tempo stesso, impregnati della sapienza che sgorga dall’amore di D io. Cari amici, di cuore auguro, a Loppiano e a tutti voi, di guardare avanti e guardare avanti sempre, guardare avanti e di puntare in alto con fiducia, coraggio e fantasia. Niente mediocrità. Vi affido a Maria Theotokos, Madre di Dio, che vi accoglie tutti nel santuario al cuore della cittadella. E a voi chiedo di pregare per me. Vi saluto e vi benedico. Arrivederci.
L’episcopato francese e l’ipotesi di una nuova legge sul fine vita
Dichiarazione della Conferenza dei vescovi latini nelle regioni arabe
Senza giustizia non ci sarà mai pace RAS AL-KHAIMAH, 4. Non c’è pace senza giustizia. E senza, dunque, che siano sanate le cause dei molti conflitti che oggi infuocano l’area mediorientale. È quanto, nella sostanza, si afferma nella dichiarazione diffusa al termine dell’incontro della Conferenza dei vescovi latini nelle regioni arabe (Celra). I presuli — provenienti oltre che dalla penisola araba, da Siria, Libano, Giordania, Palestina, Israele, Cipro, Gibuti e Somalia — si sono incontrati dal 30 settembre fino a oggi, sabato 4, presso la chiesa di
Fraternità nella sofferenza PARIGI, 4. «Rafforzare il diritto individuale di scegliere la propria morte costituisce una deriva pericolosa. La società dà la migliore immagine di sé quando offre prospettive di solidarietà piuttosto che quando lascia decidere i malati, soli, nella sofferenza. Quando incoraggia, con le cure palliative, alla solidarietà familiare, medica, sociale, le domande di morte diminuiscono»: è uno dei passaggi più significativi dell’intervista rilasciata al quotidiano «la Croix» dall’arcivescovo presidente della Conferenza episcopale francese, Georges Pontier, e pubblicata nell’edizione di giovedì 2 ottobre a firma di Bruno Bouvet e Dominique Quinio, direttrice del giornale. Un colloquio in gran parte dedicato all’ipotesi di una nuova legge sull’accompagnamento delle persone in fin di vita, in vista della quale due deputati, Alain Claeys e Jean Leonetti, sono stati incaricati di redigere un rapporto da consegnare a fine novembre. Leonetti è fra l’altro l’autore della legge, dell’aprile 2005, che tuttora regola in Francia i diritti dei malati e il fine vita. Un provvedimento, secondo monsignor Pontier, che «ha trovato un punto di equilibrio soddisfacente tra il no all’accanimento terapeutico e il rispetto della vita fino al termine». Per questo «considerare una nuova legge per cercare di tenere conto di casi particolarmente drammatici ha qualche cosa di deresponsabilizzante». Per l’arcivescovo di Marsiglia il fatto che alcune persone muoiano dopo un lungo percorso di sofferenza non può indurre a facilitare l’eutanasia o il suicidio assistito. Il problema, piuttosto, è come aiutare le famiglie, spesso lasciate sole, a sop-
portare queste situazioni. Anche le associazioni e la Chiesa devono farsene carico. Al riguardo Pontier ha annunciato la creazione di un gruppo di lavoro con l’obiettivo di approfondire tali questioni e fornire elementi di riflessione sui valori fondamentali della dignità dell’uomo e della solidarietà: «Come esseri umani, confidiamo l’uno sull’altro. Quando questa fiducia viene meno, sopraggiunge la disperazione. Quando non si conta più per nessuno, perché continuare?», si chiede il presule. La riflessione verrà alimentata con argomenti antropologici, giuridici, filosofici, «in modo che il calendario politico non governi solo l’evoluzione delle leggi. Il soggetto merita molto di più. Anche se la Chiesa cattolica ha già preso spesso posizione, vuole aiutare ad aprire un dibattito nella società», ha sottolineato il presidente della Conferenza episcopale. È in gioco il rapporto fra la legge e la misericordia, non negoziabile per i cristiani: «La sfida della Chiesa è cercare oggi di esprimere la misericordia all’interno delle istituzioni». Il gruppo di lavoro sarà guidato dall’arcivescovo di Rennes, Pierre d’Ornellas, alla stregua di quello sulla bioetica di cui è stato responsabile un paio d’anni fa. Entro tre mesi dovrebbe produrre documentazione utile non solo per le diocesi ma anche per il Parlamento. «Si tratta soprattutto — conclude monsignor Pontier — di prendere parte al dibattito nazionale su temi essenziali. Si ha a volte l’impressione che la soluzione dei problemi sociali compensi le difficoltà di risolvere altre questioni». Claeys e Leonetti hanno incontrato mercoledì scorso una delegazione
della Conferenza dei responsabili del culto composta, fra gli altri, da monsignor d’Ornellas, dal metropolita Emmanuel, presidente dell’Assemblea dei vescovi ortodossi, dal pastore François Clavairoly, presidente della Federazione protestante, dal gran rabbino Haïm Korsia e da Marie-Stella Boussemart, presidente dell’Unione buddista. Non era presente Dalil Boubakeur, presidente del Consiglio francese del culto musulmano. I responsabili religiosi si sono espressi in modo unanime contro una qualsivoglia legalizzazione dell’eutanasia o del suicidio assistito, ma anche contro lo strumento dell’accanimento terapeutico. «Tu sceglierai la vita», ha detto Korsia citando il Deuteronomio e osservando come la società contemporanea, quasi come una forma di orgoglio, sia invece tentata di controllare tutto, perfino la morte. «Nessuna legge potrà risolvere tutti i casi che si configurano. Una delle questioni centrali dell’audizione è stata quella sull’uso di “direttive anticipate” che consentano a ciascuno di fissare le condizioni della propria vita», ha riferito Clavairoly. Al riguardo d’O rnellas ha fatto notare che, fissando tali direttive, ognuno potrà designare specificamente dei familiari o degli amici che siano a conoscenza delle sue intenzioni. Ma per elaborare la pratica giuridica corretta «bisogna tenere conto del diritto del paziente a essere pienamente informato, del rispetto della sua volontà quando essa è espressa, della sua libertà di cambiare parere quando lo desidera, e di poterlo fare facilmente senza essere ostacolato da difficoltà procedurali. Ma è necessario anche considerare chi cura e il rispetto della sua competenza e della sua coscienza». Nel suo intervento l’arcivescovo di Rennes ha insistito sull’importanza di sviluppare le cure palliative, di optare per una sedazione nella fase terminale e non per una sedazione terminale («sopprimere una vita è sempre una violenza»), di promuovere più in generale una “cultura del morire”. Parlare del fine vita — ha affermato — «significa inevitabilmente alzare lo sguardo sull’uomo e sulla sua finitezza, sulla comune fragilità di fronte alla morte. Sguardo tanto più intenso poiché si rivolge a persone in stato di vulnerabilità e sofferenza, situazione che richiede un’empatia guidata da saggezza e benevolenza. Sguardo tanto più attento poiché la persona in fin di vita e quella che la cura, come il legislatore e il sacerdote, hanno in comune il fatto di essere posti davanti alla morte, e più precisamente davanti alla propria morte. La fraternità lega gli uomini nella loro comune umanità segnata dalla finitezza».
Ostensione a Goa delle reliquie di san Francesco Saverio NEW DELHI, 4. Fervono i preparativi nell’arcidiocesi indiana di Goa per l’ostensione delle reliquie di san Francesco Saverio, evangelizzatore dell’oriente e compatrono delle missioni, la cui ricorrenza liturgica cade il 3 dicembre prossimo. L’ostensione, prevista ogni dieci anni, si terrà dal 22 novembre 2014 al 4 gennaio 2015. Un evento per il quale sono attesi a Goa milioni di pellegrini. Si tratta, infatti, di un appuntamento ritenuto molto importante non solo per i cristiani, ma anche per i fedeli di altre religioni. Tanto che l’ostensione — lo ricorda l’agenzia Fides — è stata inserita ufficialmente anche nel calendario dell’Ufficio per il turismo del Governo indiano e rappresenta un richiamo di caratura mondiale. L’ultima esposizione delle reliquie, nel 2004, ha attirato infatti oltre 2,5 milioni di pellegrini. La celebrazione inaugurale verrà presieduta dal cardinale arcivescovo di Bombay, Oswald Gracias. In quella occasione le reliquie saranno trasferite, con una solenne processione, dalla basilica del Buon Gesù alla cattedrale di Goa, dove le spoglie mortali del santo verranno esposte alla venerazione quotidiana, con messe e confessioni in varie lingue. La messa conclusiva, secondo il programma, verrà celebrata dal nunzio apostolico Salvatore Pennacchio. Francesco Saverio, uno dei primi compagni di Ignazio di Loyola, fu inviato a Goa nel 1541 su richiesta del re del Portogallo. Evangelizzò l’India e il Giappone e approdò anche in Cina, sull’isoletta di Shanchuan, dove morì nel 1552. Il suo corpo fu prima traghettato a Malacca e poi, nel 1637, dopo la canonizzazione, avvenuta nel 1622, collocato a Goa nella basilica del Buon Gesù costruita dai gesuiti. A Goa i fedeli cattolici costituiscono circa il 30 per cento della popolazione del piccolo Stato sulla costa occidentale, che nel complesso conta 1,4 milioni di abitanti. In occasione della festa del santo, ogni anno oltre un milione di fedeli, cattolici e non, si reca in pellegrinaggio per rendergli omaggio.
Sant’Antonio da Padova a Ras alKhaimah, capoluogo dell’omonimo emirato, negli Emirati Arabi Uniti. Al centro dei lavori il tema della famiglia, anche in virtù dell’imminente assemblea sinodale, e quell0 dell’immigrazione, fortemente sentito per la presenza di lavoratori stranieri, oltre ovviamente a quello scottante e di estrema attualità dei conflitti nell’area mediorientale. «Noi — esordiscono i presuli nella dichiarazione — partecipiamo alle sofferenze dei nostri popoli a Gaza, nella Siria e Iraq che hanno subito una distruzione massiva con un gran numero di vittime e feriti, e a quelle dello Yemen e della Somalia, dove prevale una grande instabilità politica». Le informazioni che provengono da queste zone di conflitto, viene sottolineato, sono «orribili». Nove milioni di siriani sono profughi o senza casa. Più della metà dei cristiani siriani e iracheni hanno lasciato i loro Paesi. E, per la prima volta da 17 secoli, una grande città come Mosul si trova senza la sua comunità cristiana. Al pari, anche «le sofferenze di altre minoranze come i yazidi e i curdi, nonché di numerosi sciiti e sunniti non ci lasciano indifferenti». Per mettere fine a questi «conflitti assurdi», occorre però «guarire le cause che si trovano sia nell’ingiustizia come in Palestina, sia nell’intolleranza religiosa ed etnica come in Siria e Iraq, senza escludere gli interessi politici ed economici dei Paesi che hanno sostenuto la guerra e venduto armi».
In questa prospettiva, i presuli della Celra ribadiscono innanzitutto che, appunto, «non c’è pace senza giustizia come non c’è giustizia senza rispetto dei diritti umani, sociali e religiosi». Insomma, «non c’è pace senza perdono e riconciliazione». E la Chiesa «prega e lavora perché questa riconciliazione diventi una realtà in tutto il Medio oriente». Infatti, «senza una vera riconciliazione, basata sulla giustizia e il perdono reciproco, la pace rimarrà assente, perché gli stessi fattori che hanno prodotto il conflitto continueranno a generare più odio e più guerre». I presuli ribadiscono inoltre come non si possa «utilizzare la violenza in nome della religione poiché ogni persona umana ha diritto al rispetto a prescindere dalla sua appartenenza religiosa, etnica o dal suo statuto minoritario». A ciò si aggiunge l’apprezzato riconoscimento per «il ruolo delle Chiese e delle sue agenzie umanitarie nella distribuzione di aiuti senza guardare alla religione delle persone, nonché l’eroicità di molti musulmani che hanno condannato il radicalismo religioso o che hanno difeso le minoranze perseguitate a rischio della loro vita». In questa prospettiva, viene anche ribadito «il diritto degli oppressi all’autodifesa e alla possibilità da parte della comunità internazionale di utilizzare la forza in modo proporzionato per fermare l’aggressione e l’ingiustizia contro le minoranze etniche e religiose».
Dal custode di Terra Santa appello al dialogo tra le religioni
Strada obbligata per il Medio oriente SAN MARINO, 4. Oggi più che mai, in Medio oriente come nel resto del mondo, non è tempo di scontro di civiltà. Perché proprio la nuova ondata di barbarie che si abbatte sulle minoranze religiose rende «ancora più attuale» e «urgente» quel dialogo «senza il quale si lascia il campo libero ai diversi integralismi». Parola di padre Pierbattista Pizzaballa. Intervenuto giovedì alla cerimonia d’insediamento dei capitani reggenti della Repubblica di San Marino — «la più antica realtà di civiltà democratica che conosciamo nell’era recente» — il custode di Terra Santa ha lanciato un nuovo appello per la pace e la comprensione tra i popoli. «Non siamo — ha detto — a uno scontro religioso e non dobbiamo cedere alla tentazione di quanti ci vogliono riportare ai tempi delle guerre di religione. Al contrario, oggi si fa più che mai necessario, proprio a causa della minaccia di questi integralismi, rafforzare e approfondire il dialogo tra credenti delle diverse fedi. Tale dialogo può avere un'influenza importante sulla politica, soprattutto in Medio oriente». Per padre Pizzaballa è, ovviamente, «drammatico e sconvolgente vedere come la barbarie operata dallo Stato islamico e dai suoi satelliti e imitatori, rivestita da valori apparentemente religiosi, possa uccidere e travolgere i più elementari diritti di persone, di popoli interi, di credenti differenti». Anche perché, «l’atroce lotta di potere in corso nel Medio oriente sta cambiando la sua compagine dal punto di
vista politico e religioso ma, soprattutto, sta correndo il rischio di distruggere per sempre un patrimonio unico di tradizioni, relazioni, intrecci culturali che per secoli hanno caratterizzato quella parte di mondo». Di fronte a tanta violenza, le reazioni sono le più disparate. E naturalmente, ha sottolineato il padre custode, si corrono dei «rischi»: dall’«indifferenza», che deriva dall’assuefazione mediatica anche davanti a notizie tanto sconvolgenti, a una posizione diametralmente opposta e pericolosa, quella della «chiamata alle armi» e dello «scontro di civiltà». Un altro rischio assai evidente è quello della «parzialità», laddove «la lettura degli eventi viene elaborata attraverso il filtro delle proprie opinioni», oppure di chi «vuole affrontare o cercare di comprendere quanto accade da una prospettiva solo politica, o solo militare, o solo religiosa», quando invece, «il Medio oriente, come sappiamo, non conosce questa distinzione». Si comprende allora come «questa drammatica situazione può anche diventare un’incredibile opportunità». Infatti, «le tensioni, la guerra e le tragedie che ci coinvolgono ci obbligano a prendere una posizione comune e a reagire insieme in maniera nuova». A partire dal dialogo tra le religioni che «non afferma e nemmeno presuppone che siamo tutti uguali», ma «riconosce le differenze, che però non considera minacce».
L’OSSERVATORE ROMANO
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Il segretario di Stato ai nunzi dei Paesi mediorientali
Non si deve rimanere neutrali o inerti di PIETRO PAROLIN
Papa Francesco agli atleti del Comitato italiano paralimpico
Superiamo le barriere «Ogni atleta è testimone di quanto sia importante vivere gioie e fatiche dello sport nell’incontro con gli altri». Nel discorso agli atleti disabili del Comitato paralimpico italiano — ricevuti in Aula Paolo VI nella mattina di sabato 4 ottobre — il Papa ha ricordato come lo sport «ci abitua a vivere accogliendo le differenze, a fare di esse un’occasione preziosa di reciproco arricchimento e scoperta». Francesco ha poi ringraziato gli atleti disabili perché il loro sano agonismo «si trasforma in un messaggio di incoraggiamento per tutti coloro che vivono situazioni analoghe» e diventa un invito a superare «le barriere che possiamo incontrare intorno a noi, e prima di tutto quelle che ci sono dentro di noi». Cari atleti, cari amici, buongiorno! Vi ringrazio per la vostra presenza — numerosa e festosa! — e ringrazio il Presidente del Comitato Italiano
Chi vince davvero Uno spettacolo con musica, canti, balli e testimonianze ha preceduto, nell’Aula Paolo VI, l’incontro della rappresentanza di atleti del Comitato italiano paralimpico con Papa Francesco. A guidare il gruppo di circa settemila persone provenienti da tutto il mondo erano il presidente del Comitato, Luca Pancalli, e il presidente della Federazione italiana tennis tavolo, Franco Sciannimanico. «Believe to be Alive»: con questo titolo gli organizzatori dell’incontro hanno voluto porre l’accento sulla forza interiore che aiuta a far emergere le risorse custodite da ogni persona. Una forza interiore che Annalisa Minetti — medaglia di bronzo nei 1.500 metri alle paralimpiadi di Londra e anche cantante esibitasi durante lo spettacolo — ha provato a esprimere a nome di tutti i presenti, dicendo che non bisogna mai abbattersi di fronte alle difficoltà e, con metafora sportiva, ricordando che «è sempre più veloce chi ci prova. E vincente è colui che tenta l’impresa, non chi arriva primo». Nel corso dell’incontro si è esibita anche l’artista Simona Atzori, pittrice e ballerina senza braccia, che ha danzato sulle note della formazione giovanile dell’orchestra di Santa Cecilia. Il presidente Luca Pancalli, nel suo saluto a Papa Francesco ha con orgoglio sottolineato come la «famiglia dello sport paralimpico» testimoni quotidianamente l’amore per lo sport e per la vita cercando di essere «strumento di inclusione e integrazione» e così diventando strumento per «riabilitare» la società e la cultura. Nell’occasione è stato consegnato al Pontefice un tavolo da ping pong come simbolo di un’iniziativa che vedrà le delegazioni di tutto il mondo donare a Francesco attrezzature tecniche e sportive da destinare a persone o progetti che saranno indicati dalla Santa Sede. L’incontro «Believe to be Alive» avrà una appendice nella giornata di domenica quando — dalle 9 alle 17 — davanti alla basilica di San Pietro, tra via della Conciliazione e piazza Pio XII verrà realizzata una palestra all’aperto con diverse aree da gioco accessibili agli atleti di tutto il mondo.
Paralimpico per le sue cortesi parole. Siete venuti da tante parti del mondo, e ognuno di voi porta con sé la propria esperienza di sportivo e prima di tutto di uomo e di donna: porta le conquiste, i traguardi raggiunti con tanta fatica, anche con tante difficoltà che ha dovuto affrontare. Ciascuno di voi però è testimone di quanto sia importante vivere queste gioie e queste fatiche nell’incontro con gli altri, poter condividere la propria “corsa”, trovare un gruppo di amici che ti danno una mano e dove tu dai una mano agli altri. E così ognuno riesce a dare il meglio di sé! Lo sport promuove contatti e relazioni con persone che provengono da culture e ambienti diversi, ci abitua a vivere accogliendo le differenze, a fare di esse un’occasione preziosa di reciproco arricchimento e scoperta. Soprattutto, lo sport diventa un’occasione preziosa per riconoscersi come fratelli e sorelle in cammino, per favorire la cultura dell’inclusione e respingere la cultura dello scarto. Tutto questo risalta ancora maggiormente nella vostra esperienza, perché la disabilità che sperimentate in qualche aspetto del vostro fisico, mediante la pratica sportiva e il sa-
no agonismo si trasforma in un messaggio di incoraggiamento per tutti coloro che vivono situazioni analoghe alle vostre, e diventa un invito ad impegnare tutte le energie per fare cose belle insieme, superando le barriere che possiamo incontrare intorno a noi, e prima di tutto quelle che ci sono dentro di noi. La vostra testimonianza, cari atleti, è un grande segno di speranza. È una prova del fatto che in ogni persona ci sono potenzialità che a volte non immaginiamo, e che possono svilupparsi con la fiducia e la solidarietà. Dio Padre è il primo a sapere questo! Dio conosce perfettamente i vostri cuori: sa tutto. È il primo a sapere questo! Lui ci conosce meglio di chiunque altro, e ci guarda con fiducia, ci ama come siamo, ma ci fa crescere secondo quello che possiamo diventare. Così, nel vostro sforzo per uno sport senza barriere, per un mondo senza esclusi, non siete mai soli! Dio nostro Padre è con voi! Che dunque lo sport sia per tutti voi una palestra nella quale allenarvi quotidianamente al rispetto di voi stessi e degli altri, una palestra che vi dia l’occasione di conoscere persone e ambienti nuovi e vi aiuti a sentirvi parte attiva della società. Che possiate sperimentare, anche attraverso la pratica sportiva, la vicinanza di Dio e l’amicizia dei fratelli e delle sorelle. Vi ringrazio di questo incontro. Benedico tutti voi e i vostri cari. E, per favore, ricordatevi di pregare per me! Grazie! Adesso chiedo al Signore che vi benedica tutti, benedica tutta la vostra vita, benedica il vostro cammino, benedica i vostri cuori.
La nostra riunione è frutto della pace portata nel mondo da Cristo che si fa dono per tutti noi, Eucaristia, venendo ogni giorno ad alimentarci con la novità della sua vita divina, ed è illuminata dalla nobile e santa figura di san Francesco, che ci testimonia la via della carità, dell’umiltà e della povertà come strade privilegiate per diventare veramente nuove creature, in grado di comprendere e porre in atto la volontà del Padre e giungere alla salvezza. Il santo di Assisi ci insegna le ragioni, il coraggio e la pazienza del dialogo, anche con i più lontani, perché, toccati dalla purezza delle nostre intenzioni, possano ravvedersi e desistere dai loro progetti di violenza e di sopraffazione. Oggi celebriamo questa santa Eucaristia nella trepidazione per quanto sta accadendo in alcuni Paesi del Medio oriente. Siamo profondamente colpiti nel vedere le crescenti minacce alla pace
cui potersi servire per imporre agli altri la propria volontà di potenza, dissimulata addirittura sotto la pretesa di affermare una determinata concezione religiosa! Si tratta chiaramente di un pervertimento dell’autentico senso religioso con esiti drammatici e a cui è necessario rispondere. La Chiesa non può rimanere in silenzio di fronte alle persecuzioni sofferte dai suoi figli e la comunità internazionale non può rimanere neutrale tra gli aggrediti e l’aggressore. «Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio» (Salmo 15). Così prega il salmista. Egli, a cui non mancano le difficoltà e gli avversari violenti, si rivolge confidente al Signore. Gli empi e le loro macchinazioni non lo sgomentano, perché sa che la sua vita è nelle mani di Dio. Egli sa che
La messa nella Cappella Paolina Pubblichiamo integralmente l’omelia pronunciata dal cardinale segretario di Stato durante la messa celebrata nella Cappella Paolina, sabato mattina 4 ottobre, con i nunzi dei Paesi mediorientali.
e turbati per le condizioni delle comunità cristiane che vivono nei territori tra Siria e Iraq, controllati da un’entità che calpesta il diritto e adotta metodi terroristici per tentare di espandere il suo potere. Tali comunità, che fin dai tempi apostolici abitano quelle terre, si trovano perciò ad affrontare situazioni di grave pericolo e di aperta persecuzione e sono spesso costretti ad abbandonare tutto e a fuggire dalle loro abitazioni e dal loro Paese. È triste constatare quanto siano persistenti e attive le forze del male, quanto in alcune menti corrotte si sia fatta strada la convinzione che la violenza e il terrore siano metodi di
la sua vera forza e sicurezza è il Signore che gli dà pace e letizia e che sta preparando per lui un futuro definitivo di gioia. Una letizia che non viene meno dunque neppure nelle tribolazioni e nei pericoli, perché si fonda in Dio. Una letizia come quella esperimentata da san Francesco, immedesimato con Cristo crocifisso al punto da ricevere le stimmate nella sua stessa carne. È la letizia di ogni fedele cristiano che sa che la Storia è condotta dalla Provvidenza e che le forze del male non prevarranno.
Concluso in Vaticano l’incontro dei rappresentanti pontifici
Per fermare le violazioni dei diritti umani Si è concluso sabato 4 ottobre l’incontro dei rappresentanti pontifici nei Paesi mediorientali, convocati in Vaticano, per desiderio del Papa, per riflettere sulla drammatica situazione nella regione. I partecipanti alla riunione hanno manifestato la loro gratitudine al Pontefice per questa iniziativa e per la sua presenza all’inizio dei lavori. La presenza dei nunzi della regione ha permesso di conoscere di prima mano la situazione dei cristiani nei diversi Paesi, così come quella del contesto in cui vivono. I superiori dei diversi dicasteri hanno contribuito a favorire una visione d’insieme. Nell’esprimere la vicinanza ai patriarchi, ai pastori e ai cristiani del Medio oriente e alle altre componenti religiose ed etniche che soffrono a causa della violenza che imperversa in tutta la regione, soprattutto in Iraq e in Siria, i partecipanti alla riunione hanno assicurato la loro preghiera e quella di tutta la Chiesa. Nello stesso tempo hanno riaffermato la necessità di fare tutto il possibile per aiutare queste persone e venire incontro ai loro bisogni, come tante volte richiamato dal Papa. La situazione di violenza alla quale c’è il rischio di abituarsi, dandola quasi per scontata come oggetto di cronaca quotidiana, deve cessare. I partecipanti alla riunione hanno considerato l’urgenza di porre fine alle guerre in atto che hanno già provocato numerosissime vittime. Essi hanno denunciato le violazioni da più parti delle norme più elementari del diritto umanitario internazionale, con un riferimento particolare alle sofferenze dei bambini e delle donne. Purtroppo senza scrupoli continua il traffico di armi e ancor più grave le persone stesse sono oggetto di commercio. Dopo aver esaminato la drammatica situazione umanitaria, della quale soffrono le conseguenze tra gli altri i numerosissimi sfollati e rifugiati
in altri Paesi, hanno sottolineato l’imperiosa necessità che sia garantita a tutti, senza discriminazioni, la doverosa assistenza umanitaria. Grave preoccupazione desta l’operato di alcuni gruppi estremisti, in particolare del cosiddetto “Stato islamico”, le cui violenze e abusi non possono lasciare indifferenti. Non si può tacere, né la comunità internazionale può rimanere inerte, di fronte al massacro di persone soltanto a causa della loro appartenenza religiosa ed etnica, di fronte alla decapitazione e crocifissione di esseri umani nelle piazze pubbliche, di fronte all’esodo di migliaia di persone, alla distruzione dei luoghi di culto. I partecipanti all’incontro hanno ribadito che è lecito fermare l’aggressore ingiusto, sempre nel rispetto del diritto internazionale. Tuttavia non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare, ma esso va affrontato più approfonditamente a partire dalle cause che ne sono all’origine e vengono sfruttate dall’ideologia fondamentalista. Un ruolo importante dovrebbero svolgere i leader religiosi, cristiani e musulmani, collaborando per favorire il dialogo e l’educazione alla reciproca comprensione, e denunciando chiaramente la strumentalizzazione della religione per giustificare la violenza. Di fronte al dramma di tante persone che sono state costrette a lasciare le loro case in maniera brutale i partecipanti hanno ribadito la necessità che sia riconosciuto il diritto dei cristiani e degli altri gruppi etnici e religiosi a rimanere nelle loro terre di origine e, qualora siano stati costretti a emigrare, il diritto di ritornare in condizioni adeguate di sicurezza, avendo la possibilità di vivere e di lavorare in libertà e con prospettive per il futuro. E ciò richiede nelle circostanze attuali l’impegno sia dei Governi interessati che della comunità internazionale. Sono in gioco principi fonda-
mentali come il valore della vita, la dignità umana, la libertà religiosa, e la convivenza pacifica e armoniosa tra le persone e tra i popoli. Non ci si può rassegnare a pensare il Medio oriente senza i cristiani, che da duemila anni vi confessano il nome di Gesù. Essi vogliono continuare a contribuire al bene della società, inseriti quali cittadini a pieno titolo nella vita sociale, culturale e religiosa delle nazioni a cui appartengono. In esse svolgono un ruolo fondamentale come artefici di pace, di riconciliazione e di sviluppo. È stata ribadita l’importanza dell’azione dei fedeli laici nella vita sociale e politica e perciò la necessità di una loro adeguata formazione anche per quanto riguarda la dottrina sociale della Chiesa.
Questa certezza che ci rallegra, lungi dal lasciarci inoperosi o inerti spettatori, ci sprona come singoli e come comunità cristiana, come Chiesa, alla preghiera costante e fiduciosa e a porre in atto tutte quelle iniziative concrete che servano a sensibilizzare i Governi e l’opinione pubblica. Nulla va tralasciato di quanto è possibile fare per alleviare le condizioni dei nostri fratelli nella prova e per fermare i violenti. La Provvidenza vuole anche servirsi di noi, della nostra libertà e della nostra operosità e creatività, della nostra iniziativa e del nostro impegno quotidiano. I cristiani perseguitati e tutti coloro che soffrono ingiustamente devono poter riconoscere nella Chiesa l’istituzione che li difende, che prega e agisce per loro, che non teme di affermare la verità, divenendo parola per chi non ha voce, difesa e sostegno di chi è abbandonato, profugo, discriminato. Tutto infatti dipende da Dio e dalla sua Grazia, ma occorre agire come se tutto dipendesse da noi, dalla nostra preghiera e dalla nostra solidarietà. Vi ringrazio cari nunzi apostolici che operate in Medio oriente, per aver accolto questo invito a essere presenti in questi giorni in Vaticano per approfondire cum et sub Petro la situazione nei Paesi dove siete inviati a rappresentare la Santa Sede. Vi ringrazio per il contributo che date con il vostro lavoro e la vostra presenza alla pace e alla comprensione tra i popoli. Tramite voi parla la voce del Santo Padre, tramite voi viene chiarita l’azione della Sede apostolica in favore del diritto alla vita e in favore della libertà religiosa, capisaldi tra i diritti umani. Tramite la vostra prudente azione vengono sensibilizzati i Governi e le organizzazioni internazionali in ordine al loro dovere di garantire nei modi stabiliti dal diritto internazionale la pace e la sicurezza, al fine di porre gli aggressori nella condizione di non nuocere. Siamo chiamati tutti a svolgere con impegno questo compito per la pace nel mondo, per la continuità e lo sviluppo della presenza delle comunità cristiane del Medio oriente, per il bene comune dell’umanità. Nell’inno di giubilo, tratto dal brano di Matteo che abbiamo proclamato, Gesù ringrazia e loda il Padre celeste per aver rivelato i misteri divini ai piccoli, a chi ha il cuore semplice e puro (cfr. Matteo 11, 25), a chi non si chiude all’amore di Dio pensando di non averne bisogno e di poterne fare a meno. E questo mistero rivelato è Gesù Cristo, in cui si svela il vero volto del Padre e il cui giogo è davvero dolce e il peso leggero, mentre altri gioghi sono di una pesantezza e disumanità tale da schiacciare e sfigurare il volto dell’essere umano. San Francesco, profondamente immedesimato con Cristo nostra pace e per questo profeta della pace e del dialogo, interceda per noi, ci aiuti a essere testimoni credibili di Cristo risorto e preghi il Signore perché converta i cuori dei violenti e li pieghi al suo giogo soave.
Nomina episcopale in Slovenia La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Slovenia.
Stane Zore arcivescovo di Ljubljana Nato il 7 settembre 1958 a Sel pri Kamniku, nell’arcidiocesi di Ljubljana, ha svolto gli studi filosofico-teologici presso la facoltà di teologia di Ljubljana. Il 4 ottobre 1984 ha emesso i voti solenni nell’ordine dei Frati minori. Il 29 giugno 1985 ha rice-
vuto l’ordinazione presbiterale. Dopo l’ordinazione presbiterale ha ricoperto i seguenti incarichi: vicario parrocchiale, parroco, rettore del santuario nazionale di Brezje e di quello di Sveta Gora, guardiano in diverse fraternità, maestro dei novizi. Dal 1998 al 2004 ha ricoperto un primo mandato come ministro provinciale della provincia di Santa Croce in Slovenia. Attualmente è per il secondo mandato ministro provinciale del suo ordine (dal 2011) e presidente della Conferenza dei religiosi e delle religiose in Slovenia (Korus).