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L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO

GIORNALE QUOTIDIANO

Non praevalebunt

Unicuique suum Anno CLIV n. 235 (46.777)

Città del Vaticano

mercoledì 15 ottobre 2014

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Nel mondo si gettano alimenti per oltre duemila miliardi di euro

Ankara smentisce la concessione della base aerea di Incirlik per le incursioni contro lo Stato islamico in territorio siriano

La fame e lo spreco

Resistono i curdi Decine di persone assassinate in pubblico dai jihadisti nella città irachena di Mosul

Una discarica alla periferia di Los Angeles

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ROMA, 14. In un mondo nel quale la fame resta una condizione drammatica si sprecano ogni anno alimenti per un valore di oltre duemila miliardi di euro. La cifra emerge dallo studio Food Wastage Footprint ralizzato dalla Fao, l’organizzazione dell’Onu per l’alimentazione, in vista della Giornata mondiale dell’agricoltura che si celebra questo giovedì 16 ottobre. La cifra di 2050 miliardi di euro indicata dalla Fao comprende anche i costi nascosti dello spreco di cibo: sfruttamento inutile delle risorse, inquinamento generato dallo spreco, costi per cambiamenti climatici e inquinamento delle falde acquifere, inclusi costi per conflitti nel mondo, per controllo delle risorse naturali e fondi pubblici per la produzione di cibo che non raggiungerà le tavole. Metà del totale, comunque, rappresenta lo spreco di cibo in quanto tale. Nel mondo, ma più precisamente nei Paesi ricchi, ogni anno viene gettato via il 30 per cento della produzione mondiale di cibo. La lotta allo spreco di cibo costituisce dunque una componente decisiva di quella più generale alla fame e sollecita a rivedere non solo aspetti culturali legati a un consumismo sregolato, ma soprattutto gli schemi di produzione, commercio e distribuzione delle risorse alimentari in un mondo globalizzato. A questo si aggiungono gli evidenti aspetti sanitari, con la stridente contrapposizione tra le aree del mondo nelle quali si muore di fame e quelle dove la principale causa di morte è al contrario un’alimentazione eccessiva o sregolata. Riguardo a questo problema, i Paesi aderenti alla Fao e quelli che fanno parte dell’O rganizzazione mondiale della sanità (Oms) hanno raggiunto dopo lunghi negoziati un accordo su una Dichiarazione politica e un Quadro operativo volontario. Quest’ultimo comprende oltre cinquanta raccomandazioni volte a garantire a tutti l’accesso a un’alimentazione più sana. La Dichiarazione e il Quadro operativo verranno adottati durante la seconda Conferenza internazionale sulla

L’incontro tra padre Bergoglio e il vescovo di La Rioja negli anni della dittatura

Braccato dai lupi per le vie di Buenos Aires NELLO SCAVO

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nutrizione che si terrà a Roma dal 19 al 21 novembre per iniziativa appunto della Fao e dell’Oms. «Concordare un Quadro operativo manda un segnale forte al mondo: gli Stati membri si impegnano seriamente sul problema della nutrizione», ha detto il direttore generale della Fao, José Graziano da Silva, annunciando ieri l’intesa con l’O ms.

ANKARA, 14. Le milizie curde resistono ancora a quelle del cosiddetto Stato islamico (Is) a Kobane, la città siriana al confine con la Turchia. Ai combattenti dell’Is stanno arrivando rinforzi da Ar-Raqqah, la principale località che controllano in Siria, nonostante i raid aerei sferrati sulle loro linee di rifornimento dall’aviazione della coalizione guidata dagli Stati Uniti. Di contro, l’esercito turco schierato oltre la frontiera non solo esclude di intervenire, ma impedisce il passaggio degli eventuali rinforzi di combattenti curdi dalla Turchia ai difensori di Kobane. Questa mattina la stampa turca ha riferito di bombardamenti sferrati domenica dall’aviazione governativa su postazioni del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) proprio nel sud-est del Paese. Il sito web del quotidiano «Hürriyet» specifica che i raid sono stati una risposta a un cannoneggiamento da parte del Pkk che assediava un avamposto dell’esercito turco nel villaggio di Daglic, nella provincia di Hakkâri, vicino al confine iracheno. Quella di domenica è stata la più importante operazione aerea contro il Pkk dopo l’inizio di colloqui di pace ufficiosi con il leader Abdullah Öcalan, prigioniero nel carcere di Imrali, incominciati due anni fa e conferma il riaccendersi delle tensioni in Turchia riguardo alla questione curda. Già la scorsa settimana queste tensioni erano degenerate in diverse città in sanguinosi scontri tra polizia e manifestanti, in maggioranza appunto curdi, che protestavano per l’inazione sulla vicenda di Kobane. Al tempo stesso, il Governo di Ankara ha smentito le affermazioni fatte ieri dal consigliere per la sicu-

rezza nazionale degli Stati Uniti, signora Susan Rice, sul fatto che avrebbe concesso la base aerea di Incirlik. per i raid contro l’Is. Il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu ha detto che nessuna decisione in merito è stata presa. I negoziati continuano, ma Ankara condi-

ziona la partecipazione alla lotta contro l’Is all’accoglimento della sua richiesta di costituire una zona cuscinetto e di non volo nell’area di confine con la Siria. Una simile ipotesi viene considerata dalla gran parte degli osservatori una misura diretta non solo contro l’Is, ma contro gli

Bombardamento della coalizione internazionale nei pressi di Kobane (Ansa)

Rapiti e costretti a lavorare in condizioni disumane nelle piantagioni di alberi da gomma

Profughi rohingya vittime della tratta di esseri umani NAYPYIDAW, 14. Trafficanti di esseri umani hanno rapito nei giorni scorsi decine di rifugiati della comunità apolide dei rohingya che vivevano in un’area di confine tra Myanmar e Bangladesh, dopo averli ingannati con false offerte di lavoro regolare. I profughi — hanno riferito alla stampa fonti delle forze dell’ordine thailandese — sono invece stati rinvenuti nei giorni scorsi in una piantagione di alberi da gomma della provincia costiera di Phang Nga,

distretto di Takua Pa, nel sud della Thailandia, costretti a lavorare in condizioni disumane e senza nessuna assistenza. Phil Robertson, vice direttore della sezione asiatica di Human Rights Watch, ha descritto i rapimenti come «una orribile nuova svolta», che va ad aggiungersi agli abusi sistematici subiti dai rohingya. Due uomini sono stati arrestati con l’accusa di traffico di esseri umani, ha detto ai media locali Nappadon Thiraprawat, funzionario della poli-

Riaperta dopo un quarto di secolo la linea tra Colombo e Jaffna

Una ferrovia per unire lo Sri Lanka COLOMBO, 14. Dopo un quarto di secolo, contrassegnato dai violenti combattimenti tra esercito governativo e ribelli secessionisti tamil, è stata riaperta nello Sri Lanka la linea ferroviaria dalla capitale, Colombo, alla città di Jaffna, capoluogo dell’omonimo distretto settentrionale. L’ultimo treno che aveva percorso la tratta verso Jaffna, situata circa trecentottanta chilometri a nord di Colombo, era stato lo Yal Devi, assaltato nella notte del 13 giugno del 1990 dai ribelli del movimento secessionista delle Tigri per la liberazione dell’Eelam tamil (Ltte), che hanno combattuto una sanguinosa guerra civile per rivendicare l’indipendenza di uno Stato tamil nelle regioni orientali e settentrionali del Paese. La regione di Jaffna, dove vivono più di un milione di tamil, fu collegata per la prima volta con il

resto dell’isola nel 1905, attraverso una linea ferroviaria costruita sotto il dominio coloniale britannico. I lavori di ricostruzione, iniziati nel 2011, hanno incontrato molte difficoltà a causa di vaste zone disseminate di mine, eredità di una sanguinosa guerra costata la vita a migliaia di persone, soprattutto civili. Un conflitto che ha messo in ginocchio l’economia del Paese del sud-est asiatico. Ma grazie alla riapertura della linea verso la regione del nord — assieme ad altri grandi progetti — lo Sri Lanka è pronto a ripartire. Autorevoli esperti hanno infatti evidenziato, in particolare, come la riattivazione della linea di trasporto ferroviaria — la più lunga dell’isola, con ben ottantatré stazioni locali — contribuirà a rilanciare l’economia nel nord del Paese, dove gran parte della popolazione è alle prese con la povertà.

zia thailandese. «Il gruppo sarà trattato come vittime di tratta, piuttosto che come immigrati irregolari — ha aggiunto il funzionario — perché non avevano intenzione di recarsi in Thailandia». Dalle indagini è infatti emerso che molti rohingya — considerati dalle Nazioni Unite tra le minoranze etniche più perseguitate al mondo — sono stati portati con la forza (in alcuni casi sarebbe stato usato anche un anestetico) su una barca che si è diretta verso il sud della Thailandia. Migliaia di rohingya — una minoranza musulmana non riconosciuta dalle autorità del Myanmar — sono fuggiti ai disordini scoppiati nel 2012 negli Stati del Rakhine e dell’Arakan, e molti di loro hanno cercato di raggiungere la Malaysia via mare, cadendo spesso nelle mani di trafficanti di esseri umani o morendo in naufragi. Nel Rakhine, nel nord-ovest del Myanmar, l’Onu ha sempre parlato di aggressioni e di violenze indiscriminate da parte della comunità locale buddista contro i rohingya, ai quali tuttora viene negata la cittadinanza. Un diritto negato, nonostante la comunità viva in quei luoghi da ben tre generazioni e conti quasi ottocentomila persone nell’intero Myanmar. Per il Governo di Naypyidaw, invece, i rohingya sarebbero immigrati irregolari provenienti dal vicino Bangladesh. La sempre più difficile convivenza tra buddisti e musulmani si è acuita nel giugno di due anni fa, quando un’ondata di violenza senza precedenti provocò la morte di circa duecento persone e centoventimila profughi. Per sfuggire alle ripetute violenze e non potendo più contare su un futuro nel loro Paese, migliaia di rohingya hanno abbandonato le proprie abitazioni, chi cercando ri-

fugio nei campi profughi in condizioni, però, di ristrettezze di cibo e acqua, chi tentando una disperata fuga via mare verso la musulmana Malaysia. Più volte, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha espresso preoccupazione per gli scontri etnico-religiosi nel Myanmar, chiedendo all’Esecutivo di agire per migliorare la situazione della minoranza dei rohingya ed esortandolo a proteggere tutti i diritti dei musulmani, compreso quello di cittadinanza.

stessi curdi e contro il Governo siriano. In ogni caso, si tratterebbe di una scelta destinata ad accrescere i contrasti internazionali, in particolare con la Russia che riterrebbe un’aggressione alla Siria ogni decisione presa senza il consenso del Governo di Damasco e senza l’avallo del Consiglio di sicurezza. Sviluppi sul piano militare, ma anche politico potrebbero venire dall’incontro di oggi e domani negli Stati Uniti al quale parteciperanno i rappresentanti dei Paesi che compongono la coalizione. All’incontro, nella base militare di Andrews, nel Maryland, è previsto oggi pomeriggio l’intervento del presidente statunitense Barack Obama. D all’Iraq, intanto, è stata diffusa oggi la notizia che a Mosul, occupata dall’Is, nelle ultime quarantotto ore sono state uccise in pubblico quarantasei persone. Sempre sui fronti iracheni, l’offensiva dell’Is ha costretto alla fuga altre centottantamila persone dalle zone intorno alla città di Hit, nella provincia occidentale di Anbar, secondo quanto riferito dalle agenzie dell’Onu che hanno lanciato un appello a fornire a questi sfollati cibo, coperte e medicinali. Nel darne notizia, l’emittente britannica Bbc cita il parere di analisti militari secondo i quali un’eventuale conquista dell’Anbar fornirebbe ai miliziani dell’Is una base d’appoggio ideale per attaccare Baghdad. La capitale irachena è stata insanguinata ieri sera da due attentati che hanno provocato trenta morti e sessantasei feriti in quartieri abitati da sciiti. Nella zona di piazza Aden, nella parte settentrionale della città, un’autobomba fatta esplodere contro una postazione delle forze di sicurezza ha provocato ventidue morti e quarantuno feriti. Nell’esplosione di un’altra autobomba in un mercato di Sadr City, la zona orientale della città, ci sono stati otto morti e venticinque feriti. Una terza autobomba è esplosa nel distretto di Habibiya, ma in questo caso non si ha notizia di vittime. A Baghdad si è recato ieri il ministro degli Esteri britannico, Philip Hammond, per incontrarvi il primo ministro Haider Al Abadi. Dopo l’incontro, Hammond ha dichiarato che i raid aerei «hanno fermato l’avanzata dell’Is, l’hanno forzato a cambiare la sua tattica e stanno riducendo la sua capacità militare». Il ministro britannico ha comunque ribadito che la campagna aerea da sola non è decisiva nel contrastare l’Is e ha sottolineato la necessità di un forte impegno con forze di terra dell’esercito iracheno.

Sinodo dei vescovi

La relazione all’esame dei circoli minori

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