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mercoledì 15 ottobre 2014
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Nel mondo si gettano alimenti per oltre duemila miliardi di euro
Ankara smentisce la concessione della base aerea di Incirlik per le incursioni contro lo Stato islamico in territorio siriano
La fame e lo spreco
Resistono i curdi Decine di persone assassinate in pubblico dai jihadisti nella città irachena di Mosul
Una discarica alla periferia di Los Angeles
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ROMA, 14. In un mondo nel quale la fame resta una condizione drammatica si sprecano ogni anno alimenti per un valore di oltre duemila miliardi di euro. La cifra emerge dallo studio Food Wastage Footprint ralizzato dalla Fao, l’organizzazione dell’Onu per l’alimentazione, in vista della Giornata mondiale dell’agricoltura che si celebra questo giovedì 16 ottobre. La cifra di 2050 miliardi di euro indicata dalla Fao comprende anche i costi nascosti dello spreco di cibo: sfruttamento inutile delle risorse, inquinamento generato dallo spreco, costi per cambiamenti climatici e inquinamento delle falde acquifere, inclusi costi per conflitti nel mondo, per controllo delle risorse naturali e fondi pubblici per la produzione di cibo che non raggiungerà le tavole. Metà del totale, comunque, rappresenta lo spreco di cibo in quanto tale. Nel mondo, ma più precisamente nei Paesi ricchi, ogni anno viene gettato via il 30 per cento della produzione mondiale di cibo. La lotta allo spreco di cibo costituisce dunque una componente decisiva di quella più generale alla fame e sollecita a rivedere non solo aspetti culturali legati a un consumismo sregolato, ma soprattutto gli schemi di produzione, commercio e distribuzione delle risorse alimentari in un mondo globalizzato. A questo si aggiungono gli evidenti aspetti sanitari, con la stridente contrapposizione tra le aree del mondo nelle quali si muore di fame e quelle dove la principale causa di morte è al contrario un’alimentazione eccessiva o sregolata. Riguardo a questo problema, i Paesi aderenti alla Fao e quelli che fanno parte dell’O rganizzazione mondiale della sanità (Oms) hanno raggiunto dopo lunghi negoziati un accordo su una Dichiarazione politica e un Quadro operativo volontario. Quest’ultimo comprende oltre cinquanta raccomandazioni volte a garantire a tutti l’accesso a un’alimentazione più sana. La Dichiarazione e il Quadro operativo verranno adottati durante la seconda Conferenza internazionale sulla
L’incontro tra padre Bergoglio e il vescovo di La Rioja negli anni della dittatura
Braccato dai lupi per le vie di Buenos Aires NELLO SCAVO
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nutrizione che si terrà a Roma dal 19 al 21 novembre per iniziativa appunto della Fao e dell’Oms. «Concordare un Quadro operativo manda un segnale forte al mondo: gli Stati membri si impegnano seriamente sul problema della nutrizione», ha detto il direttore generale della Fao, José Graziano da Silva, annunciando ieri l’intesa con l’O ms.
ANKARA, 14. Le milizie curde resistono ancora a quelle del cosiddetto Stato islamico (Is) a Kobane, la città siriana al confine con la Turchia. Ai combattenti dell’Is stanno arrivando rinforzi da Ar-Raqqah, la principale località che controllano in Siria, nonostante i raid aerei sferrati sulle loro linee di rifornimento dall’aviazione della coalizione guidata dagli Stati Uniti. Di contro, l’esercito turco schierato oltre la frontiera non solo esclude di intervenire, ma impedisce il passaggio degli eventuali rinforzi di combattenti curdi dalla Turchia ai difensori di Kobane. Questa mattina la stampa turca ha riferito di bombardamenti sferrati domenica dall’aviazione governativa su postazioni del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) proprio nel sud-est del Paese. Il sito web del quotidiano «Hürriyet» specifica che i raid sono stati una risposta a un cannoneggiamento da parte del Pkk che assediava un avamposto dell’esercito turco nel villaggio di Daglic, nella provincia di Hakkâri, vicino al confine iracheno. Quella di domenica è stata la più importante operazione aerea contro il Pkk dopo l’inizio di colloqui di pace ufficiosi con il leader Abdullah Öcalan, prigioniero nel carcere di Imrali, incominciati due anni fa e conferma il riaccendersi delle tensioni in Turchia riguardo alla questione curda. Già la scorsa settimana queste tensioni erano degenerate in diverse città in sanguinosi scontri tra polizia e manifestanti, in maggioranza appunto curdi, che protestavano per l’inazione sulla vicenda di Kobane. Al tempo stesso, il Governo di Ankara ha smentito le affermazioni fatte ieri dal consigliere per la sicu-
rezza nazionale degli Stati Uniti, signora Susan Rice, sul fatto che avrebbe concesso la base aerea di Incirlik. per i raid contro l’Is. Il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu ha detto che nessuna decisione in merito è stata presa. I negoziati continuano, ma Ankara condi-
ziona la partecipazione alla lotta contro l’Is all’accoglimento della sua richiesta di costituire una zona cuscinetto e di non volo nell’area di confine con la Siria. Una simile ipotesi viene considerata dalla gran parte degli osservatori una misura diretta non solo contro l’Is, ma contro gli
Bombardamento della coalizione internazionale nei pressi di Kobane (Ansa)
Rapiti e costretti a lavorare in condizioni disumane nelle piantagioni di alberi da gomma
Profughi rohingya vittime della tratta di esseri umani NAYPYIDAW, 14. Trafficanti di esseri umani hanno rapito nei giorni scorsi decine di rifugiati della comunità apolide dei rohingya che vivevano in un’area di confine tra Myanmar e Bangladesh, dopo averli ingannati con false offerte di lavoro regolare. I profughi — hanno riferito alla stampa fonti delle forze dell’ordine thailandese — sono invece stati rinvenuti nei giorni scorsi in una piantagione di alberi da gomma della provincia costiera di Phang Nga,
distretto di Takua Pa, nel sud della Thailandia, costretti a lavorare in condizioni disumane e senza nessuna assistenza. Phil Robertson, vice direttore della sezione asiatica di Human Rights Watch, ha descritto i rapimenti come «una orribile nuova svolta», che va ad aggiungersi agli abusi sistematici subiti dai rohingya. Due uomini sono stati arrestati con l’accusa di traffico di esseri umani, ha detto ai media locali Nappadon Thiraprawat, funzionario della poli-
Riaperta dopo un quarto di secolo la linea tra Colombo e Jaffna
Una ferrovia per unire lo Sri Lanka COLOMBO, 14. Dopo un quarto di secolo, contrassegnato dai violenti combattimenti tra esercito governativo e ribelli secessionisti tamil, è stata riaperta nello Sri Lanka la linea ferroviaria dalla capitale, Colombo, alla città di Jaffna, capoluogo dell’omonimo distretto settentrionale. L’ultimo treno che aveva percorso la tratta verso Jaffna, situata circa trecentottanta chilometri a nord di Colombo, era stato lo Yal Devi, assaltato nella notte del 13 giugno del 1990 dai ribelli del movimento secessionista delle Tigri per la liberazione dell’Eelam tamil (Ltte), che hanno combattuto una sanguinosa guerra civile per rivendicare l’indipendenza di uno Stato tamil nelle regioni orientali e settentrionali del Paese. La regione di Jaffna, dove vivono più di un milione di tamil, fu collegata per la prima volta con il
resto dell’isola nel 1905, attraverso una linea ferroviaria costruita sotto il dominio coloniale britannico. I lavori di ricostruzione, iniziati nel 2011, hanno incontrato molte difficoltà a causa di vaste zone disseminate di mine, eredità di una sanguinosa guerra costata la vita a migliaia di persone, soprattutto civili. Un conflitto che ha messo in ginocchio l’economia del Paese del sud-est asiatico. Ma grazie alla riapertura della linea verso la regione del nord — assieme ad altri grandi progetti — lo Sri Lanka è pronto a ripartire. Autorevoli esperti hanno infatti evidenziato, in particolare, come la riattivazione della linea di trasporto ferroviaria — la più lunga dell’isola, con ben ottantatré stazioni locali — contribuirà a rilanciare l’economia nel nord del Paese, dove gran parte della popolazione è alle prese con la povertà.
zia thailandese. «Il gruppo sarà trattato come vittime di tratta, piuttosto che come immigrati irregolari — ha aggiunto il funzionario — perché non avevano intenzione di recarsi in Thailandia». Dalle indagini è infatti emerso che molti rohingya — considerati dalle Nazioni Unite tra le minoranze etniche più perseguitate al mondo — sono stati portati con la forza (in alcuni casi sarebbe stato usato anche un anestetico) su una barca che si è diretta verso il sud della Thailandia. Migliaia di rohingya — una minoranza musulmana non riconosciuta dalle autorità del Myanmar — sono fuggiti ai disordini scoppiati nel 2012 negli Stati del Rakhine e dell’Arakan, e molti di loro hanno cercato di raggiungere la Malaysia via mare, cadendo spesso nelle mani di trafficanti di esseri umani o morendo in naufragi. Nel Rakhine, nel nord-ovest del Myanmar, l’Onu ha sempre parlato di aggressioni e di violenze indiscriminate da parte della comunità locale buddista contro i rohingya, ai quali tuttora viene negata la cittadinanza. Un diritto negato, nonostante la comunità viva in quei luoghi da ben tre generazioni e conti quasi ottocentomila persone nell’intero Myanmar. Per il Governo di Naypyidaw, invece, i rohingya sarebbero immigrati irregolari provenienti dal vicino Bangladesh. La sempre più difficile convivenza tra buddisti e musulmani si è acuita nel giugno di due anni fa, quando un’ondata di violenza senza precedenti provocò la morte di circa duecento persone e centoventimila profughi. Per sfuggire alle ripetute violenze e non potendo più contare su un futuro nel loro Paese, migliaia di rohingya hanno abbandonato le proprie abitazioni, chi cercando ri-
fugio nei campi profughi in condizioni, però, di ristrettezze di cibo e acqua, chi tentando una disperata fuga via mare verso la musulmana Malaysia. Più volte, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha espresso preoccupazione per gli scontri etnico-religiosi nel Myanmar, chiedendo all’Esecutivo di agire per migliorare la situazione della minoranza dei rohingya ed esortandolo a proteggere tutti i diritti dei musulmani, compreso quello di cittadinanza.
stessi curdi e contro il Governo siriano. In ogni caso, si tratterebbe di una scelta destinata ad accrescere i contrasti internazionali, in particolare con la Russia che riterrebbe un’aggressione alla Siria ogni decisione presa senza il consenso del Governo di Damasco e senza l’avallo del Consiglio di sicurezza. Sviluppi sul piano militare, ma anche politico potrebbero venire dall’incontro di oggi e domani negli Stati Uniti al quale parteciperanno i rappresentanti dei Paesi che compongono la coalizione. All’incontro, nella base militare di Andrews, nel Maryland, è previsto oggi pomeriggio l’intervento del presidente statunitense Barack Obama. D all’Iraq, intanto, è stata diffusa oggi la notizia che a Mosul, occupata dall’Is, nelle ultime quarantotto ore sono state uccise in pubblico quarantasei persone. Sempre sui fronti iracheni, l’offensiva dell’Is ha costretto alla fuga altre centottantamila persone dalle zone intorno alla città di Hit, nella provincia occidentale di Anbar, secondo quanto riferito dalle agenzie dell’Onu che hanno lanciato un appello a fornire a questi sfollati cibo, coperte e medicinali. Nel darne notizia, l’emittente britannica Bbc cita il parere di analisti militari secondo i quali un’eventuale conquista dell’Anbar fornirebbe ai miliziani dell’Is una base d’appoggio ideale per attaccare Baghdad. La capitale irachena è stata insanguinata ieri sera da due attentati che hanno provocato trenta morti e sessantasei feriti in quartieri abitati da sciiti. Nella zona di piazza Aden, nella parte settentrionale della città, un’autobomba fatta esplodere contro una postazione delle forze di sicurezza ha provocato ventidue morti e quarantuno feriti. Nell’esplosione di un’altra autobomba in un mercato di Sadr City, la zona orientale della città, ci sono stati otto morti e venticinque feriti. Una terza autobomba è esplosa nel distretto di Habibiya, ma in questo caso non si ha notizia di vittime. A Baghdad si è recato ieri il ministro degli Esteri britannico, Philip Hammond, per incontrarvi il primo ministro Haider Al Abadi. Dopo l’incontro, Hammond ha dichiarato che i raid aerei «hanno fermato l’avanzata dell’Is, l’hanno forzato a cambiare la sua tattica e stanno riducendo la sua capacità militare». Il ministro britannico ha comunque ribadito che la campagna aerea da sola non è decisiva nel contrastare l’Is e ha sottolineato la necessità di un forte impegno con forze di terra dell’esercito iracheno.
Sinodo dei vescovi
La relazione all’esame dei circoli minori
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L’OSSERVATORE ROMANO
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Vigili del fuoco tra le macerie di Donetsk (Epa)
Durante la visita in Russia il premier cinese Li Keqiang firma numerosi accordi
Mosca e Pechino intensificano la cooperazione MOSCA, 14. Il premier cinese, Li Keqiang, ha incontrato oggi il presidente russo, Vladimir Putin, a Mosca. L’incontro si colloca nel quadro delle iniziative del Cremlino volte alla ricerca di nuovi partner internazionali sotto il peso delle sanzioni occidentali e del congelamento dei rapporti con Stati Uniti e Unione europea a causa della crisi ucraina. Per rompere la peggiore situazione d’isolamento dai tempi della guerra fredda, la Russia volge naturalmente il suo sguardo a est, intensificando la cooperazione con l’Asia e, in particolare con la Cina. Nell’incontro di ieri tra Li Keqiang e il suo omologo russo Dmitri Medvedev, i due Paesi hanno rinnovato l’impegno comune per promuovere un ordine mondiale «più giusto» e hanno siglato una serie di accordi che vanno dall’energia, alla finanza, ai trasporti e alla cultura. Una quarantina di «documenti bilaterali molto importanti», come li ha definiti il capo di Governo russo sottolineando che la Cina rimane il «principale partner commerciale»
Il premier cinese al suo arrivo a Mosca (Reuters)
Riappare in pubblico il leader nordcoreano SEOUL, 14. Il leader nordcoreano, Kim Jong Un è ricomparso per la prima volta in pubblico dal 3 settembre. Lo rende noto l’agenzia sudcoreana Yonhap. L’assenza del leader comunista dalle manifestazioni ufficiali ha suscitato una serie di speculazioni, in particolare quando venerdì non ha partecipato alle celebrazioni per il 69º anniversario della fondazione del Partito dei lavoratori. L’agenzia nordcoreana Kcna ha riferito che Kim Jong Un ha fatto una visita a un nuovo complesso residenziale costruito a Pyongyang appositamente per gli scienziati impegnati nel programma spaziale. Le prime fotografie diffuse ritraggono Kim Jong Un sorridente e più magro che discute con alti funzionari. Da segnalare inoltre la presenza di Hwang Pyong So, numero due del regime grazie anche alla carica di vicepresidente della commissione nazionale di Difesa.
Barricate rimosse a Hong Kong HONG KONG, 14. La polizia di Hong Kong ha rimosso tutte le barricate erette nei giorni scorsi dai manifestanti nelle aree in cui si trovano gli uffici del Governo. All’alba di oggi centinaia di poliziotti hanno iniziato l’opera di rimozione a partire da Causeway Bay, uno dei quartieri della città scelto da migliaia di giovani per protestare contro le limitazioni imposte alle elezioni del nuovo chief executive previste nel 2017. Testimoni hanno riferito che gli agenti erano muniti di particolari seghe elettriche con le quali hanno spezzato i blocchi di cemento usati per rinforzare le barricate. I quartieri di Admiralty, Causeway Bay e quello di Mong Kok sulla penisola di Kowloon, sono occupati da molte settimane dai manifestanti che incontrano tuttavia l’opposizione di altri cittadini.
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della Russia. L’obiettivo è quello di raggiungere nel 2015 i 100 miliardi di dollari di interscambio, da raddoppiare entro il 2020. «Penso si tratti di un livello assolutamente realizzabile», ha sottolineato Medvedev. Dopo dieci anni di negoziati, a maggio è stato firmato un accordo sulle forniture di gas russo a Pechino dal valore di 400 miliardi di dollari. Essenziale per andare avanti nel progetto è ora l’accordo sulle forniture dalla cosiddetta rotta orientale, per la quale è stato firmato ieri un accordo intergovernativo. Sulla rotta occidentale, invece, il premier Medvedev ha auspicato la sigla di un accordo per il prossimo anno. Il premier cinese dopo la missione a Mosca giunge oggi in Italia, dove parteciperà giovedì e venerdì al vertice Asem (Asia-Europa), al cui margine è previsto un incontro in formato allargato tra Putin e il presidente ucraino, Petro Poroshenko. Pechino si è schierata contro le sanzioni alla Russia e ha chiesto a tutte le parti di raggiungere un accordo politico.
Poltorak nominato ministro della Difesa ucraino
Kiev conferma il ritiro delle truppe russe KIEV, 14. Il Governo ucraino ha confermato l’avvio del ritiro delle truppe russe dalle zone prossime al confine. «Le unità militari dispiegate in accampamenti vicini alla frontiera si stanno ritirando», ha dichiarato ieri sera Andriy Lysenko, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale ucraino, dopo che il presidente russo, Vladimir Putin, ha annunciato il ritiro degli oltre 17.000 uomini impegnati in manovre presso il confine.
Molte vittime in una serie di agguati dei talebani
Incerto il futuro dell’Afghanistan dove la violenza non si ferma KABUL, 14. L’Afghanistan rischia di sprofondare nel caos nonostante la recente nomina del presidente Ashraf Ghani abbia scongiurato una crisi politica dalle conseguenze imprevedibili. Ma la lunga scia elettorale ha costituito un grave problema per le forze armate afghane che si trovano in questo momento sotto continui e pesanti attacchi dei ribelli talebani. Sei poliziotti sono stati uccisi oggi nella provincia di Logar, a sud di Kabul, in un attacco dei talebani all’indomani di un agguato nel nord del Paese. Lo si apprende da fonti locali. «Un gruppo di insorti ha attaccato una stazione di polizia locale nel distretto di Baraki Barak questa mattina presto e ha ucciso sei agenti di polizia», ha detto il capo del distretto, Mohammad Rahim Amin. Come accennato, altri attacchi terroristici contro i soldati afghani sono avvenuti ieri a Kabul e nel nord del Paese. Un convoglio dell’esercito è finito in un’imboscata nella valle di Laghman, nella provincia settentrionale di Sar-ePul. Il bilancio è di ventidue morti, tra soldati e agenti di polizia, mentre otto militari sono stati feriti e sette presi prigionieri. Dodici mezzi dell’esercito sono stati distrutti. In precedenza la capitale era stata teatro di un triplice attacco suicida: un
terrorista si è fatto esplodere al passaggio di un convoglio della missione Nato a Kabul. Un altro attentatore suicida ha colpito una clinica a est della capitale e un terzo ha preso di mira un mercato.
Secondo fonti ufficiali, negli attentati sono morti due civili, e sono rimaste ferite una ventina di persone mentre sono rimasti illesi i militari della missione della forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf). Entro la fine dell’anno è
GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile
Carlo Di Cicco vicedirettore
Piero Di Domenicantonio Gaetano Vallini
La Catalogna rinuncia al referendum
Il luogo di un attentato contro l’Isaf a Kabul (Epa)
to il 7 ottobre scorso, ma in quell’occasione il nome scelto, Ahmed Awad bin Mubarak, era stato bocciato dai ribelli sciiti huthi che occupano San’a dal 21 settembre. La stessa fonte vicina alla presidenza ha affermato, come riferisce l’agenzia France Presse, che i ribelli hanno promesso — dopo aver accettato la nomina del premier — di cominciare a mettere fine da oggi alla loro presenza armata a San’a. Il ritiro dei ribelli sciiti huthi dalla capitale è previsto dal-
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Ai nazionalisti le elezioni in Bosnia ed Erzegovina SARAJEVO, 14. Le elezioni di domenica per la presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina hanno sancito la vittoria dei candidati nazionalisti musulmano, serbo e croato. Bakir Izetbegović, dell’Sda, si è assicurato il secondo mandato di dirigente musulmano. Dragan Čović, leader dell’Hdz, sarà il membro croato, mentre il candidato dell’opposizione, Mladen Ivanic, ha battuto il premier, Željka Cvijanović, per la guida serba. I bosniaci hanno votato anche per il rinnovo del Parlamento centrale e delle Assemblee delle due entità che compongono il Paese dalla fine della guerra negli anni Novanta.
Nuovo capo del Governo nello Yemen per tentare di mettere fine alla crisi SAN’A, 14. Khaled Bahah, ex ministro del Petrolio, è stato scelto per formare un nuovo Governo nello Yemen, Paese dove i ribelli sciiti controllano la capitale e che ogni giorno sprofonda sempre di più nel caos. Lo ha riferito una fonte vicina alla presidenza. Bahah, 49 anni, è stato designato dal presidente Abd Rabbo Mansour Hadi al termine di una riunione con i suoi consiglieri rappresentanti di «differenti famiglie politiche». Un primo tentativo di nominare un premier, era stato fat-
previsto il ritiro delle truppe internazionali dal Paese, ma, con la firma del nuovo accordo bilaterale di sicurezza tra Kabul e Washington, scatterà una nuova missione con compiti di addestramento e assistenza dei vertici militari afghani.
Continuano intanto nell’est dell’Ucraina, malgrado il cessate il fuoco, scambi di colpi d’artiglieria fra separatisti filo-russi e forze di Kiev. Lysenko ha riferito che negli scontri delle ultime ore sono morti un civile e un soldato. Nel frattempo, il presidente ucraino, Petro Poroshenko, ha proposto ieri sera come nuovo ministro della Difesa il comandante della guardia nazionale, Stepan Poltorak, dopo aver destituito il titolare del dicastero, Valeri Geletey. La scelta di Poltorak è stata ratificata oggi dal Parlamento ucraino — presente lo stesso Poroshenko — con 245 voti su una maggioranza richiesta di 226 deputati. Infine, il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, sarà oggi a Parigi, dove incontrerà il segretario di Stato americano, John Kerry, per discutere della crisi ucraina. Lo riporta l’agenzia Itar-Tass.
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l’accordo politico siglato grazie alla mediazione dell’Onu per mettere fine ai combattimenti che hanno causato più di 270 morti. Ma intanto i ribelli sciiti hanno occupato la città portuale di Hodeida, sul Mar Rosso. Secondo una fonte dei servizi di sicurezza, i ribelli hanno preso il controllo dei più importanti settori strategici della città tra cui l’aeroporto. La loro avanzata non ha praticamente incontrato resistenza da parte delle forze governative.
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Westminster chiede il riconoscimento della Palestina LONDRA, 14. Con 274 voti favorevoli e dodici contrari, la Camera dei Comuni britannica ha approvato ieri sera una mozione non vincolante che chiede il riconoscimento dello Stato palestinese. Nel documento, si chiede al Governo di Londra di «riconoscere lo Stato palestinese con quello di Israele per assicurare la soluzione negoziata dei due Stati» nella regione.
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MADRID, 14. Il Governo della Catalogna ha deciso di rinunciare al referendum per l’indipendenza, indetto per il 9 novembre e sospeso dalla Corte costituzionale dopo un ricorso presentato da Madrid. Lo ha annunciato ieri il leader del movimento regionale Iniziativa per la Catalogna, Joan Herrera, dopo una riunione dei partiti che sostengono il fronte secessionista. Un recente sondaggio ha evidenziato che solo il 23 per cento dei catalani è favorevole a tenere comunque il referendum per l’indipendenza, mentre il 45 per cento vuole che si rispetti l’ordine della Corte costituzionale che ha sospeso la consultazione popolare in attesa di pronunciarsi sulla sua legittimità.
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Poliziotti in assetto antisommossa ad Antananarivo (Afp)
Riunione del Consiglio di sicurezza
Vertice Onu sull’ebola Morto in Germania un dipendente sudanese delle Nazioni Unite NEW YORK, 14. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si riunisce oggi a New York per discutere della minaccia posta dal virus ebola, che ha già fatto oltre 4.000 morti in Africa occidentale. Il vertice segue di poche ore l’appello lanciato alla comu-
Quaranta giovani rapite nell’est congolese KINSHASA, 14. Una quarantina di giovani donne sono state rapite da uomini armati nell’arco di tre giorni nei pressi della miniera di Bakaiko, nella provincia Orientale della Repubblica Democratica del Congo. Lo ha riferito Radio Okapi, l’emittente della Monusco, la missione delle Nazioni Unite in territorio congolese. Secondo Radio Okapi, le giovani sarebbero state portate nella foresta da uomini agli ordini di un capo ribelle noto come Manu. La notizia del sequestro è stata confermata da esponenti della società civile e da Alfred Bongwalanga, amministratore di Mambasa, il distretto dove si trova la miniera di Bakaiko. Bongwalanga ha aggiunto che nella zona la presenza dei militari è insufficiente e che le scorrerie di bande armate sono sempre più frequenti. Insieme con il Sud Kivu, il Nord Kivu e l’Ituri, la provincia Orientale è una di quelle dell’est congolese, a ridosso dei Grandi Laghi, dove non si è mai consolidata la pace dichiarata nel 2002 dopo cinque anni di conflitto nel Paese, all’epoca chiamato ancora Zaire, che provocò almeno tre milioni di morti e che si guadagnò il nome di prima guerra mondiale africana, non solo per la sua violenza, ma per il coinvolgimento, oltre che delle parti congolesi belligeranti, delle forze regolari di altri sei Paesi africani. In tutto l’est congolese, le violenze non si arrestano. L’ultimo episodio era stato segnalato la settimana scorsa nel Nord Kivu, dove nove civili erano stati uccisi in un attacco sferrato nella notte tra giovedì e venerdì contro la località di Oicha, attribuito dalla Monusco ai ribelli ugandesi dell’Alleanza delle forze democratiche (Adf). La missione dell’Onu ha sostenuto che l’accaduto dimostra la necessità di rafforzare la lotta contro tutti i gruppi armati nella Repubblica Democratica del Congo. Le Adf sono infatti una delle milizie, locali e straniere, attive da decenni nell’est congolese,
nità internazionale dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. «I due leader si sono trovati d’accordo sul fatto che, di fronte alla minaccia posta da ebola, la comunità internazionale deve dare prova di maggiore determinazione e impegno per rispondere in maniera più risoluta a questa crisi», ha spiegato in una nota la Casa Bianca. Incontrando ieri i consiglieri per la Salute pubblica e la Sicurezza nazionale, Obama ha chiesto che l’indagine sulla presunta violazione dei protocolli di sicurezza contro l’ebola nell’ospedale texano di Dallas — dove un’infermiera che aveva curato il cosiddetto “paziente zero”, poi deceduto, è rimasta contagiata — deve procedere il più velocemente possibile. E l’esito dell’indagine dovrà essere integrato nei futuri piani di risposta in tutti gli Stati Uniti. Obama ha anche parlato al telefono con il presidente francese, François Hollande, per coordinare le azioni contro l’epidemia in Africa
L’ex presidente Marc Ravalomanana arrestato al rimpatrio dopo cinque anni di esilio
Tensione in Madagascar ANTANANARIVo, 14. Minaccia di riesplodere le mai sopite tensioni in Madagascar, dove l’ex presidente del Madagascar, Marc Ravalomanana, tornato ieri in patria dopo cinque anni in esilio in Sud Africa, è stato fermato dalle forze di sicurezza subito dopo un comizio improvvisato sulle scale della sua abitazione. Ravalomanana, deposto nel marzo 2009 dall’allora sindaco della capitale Antananarivo, Andry Rajoelina, con la sostanziale acquiescenza dell’esercito, si era visto infliggere anche una condanna ai lavori forzati per la sua presunta responsabilità nell’uccisione di una trentina di manifestanti. L’ex
presidente aveva detto a luglio di essere pronto a comparire davanti a un tribunale malgascio per rispondere delle accuse mossegli. Fonti locali hanno riferito che una quarantina di agenti hanno preso in consegna Ravalomanana dopo aver disperso la folla con gas lacrimogeni. L’attuale presidente malgascio, Hery Rajaonarimampianina, ha confermato l’intervento delle forze speciali, ma ha negato che Ravalomanana sia stato arrestato. «Non si trova in prigione. È stato messo in sicurezza contro minacce di ogni genere», ha dichiarato.
Sei mesi senza notizie delle oltre duecento liceali nigeriane sequestrate a Chibok
Il Camerun promette lotta senza quartiere a Boko Haram YAOUNDÈ, 14. La lotta a Boko Haram travalica ormai i confini della Nigeria e il presidente del Camerun, Paul Biya, ha promesso lotta senza quartiere al gruppo di matrice fondamentalista islamica responsabile da cinque anni a questa parte dell’uccisione di migliaia di civili in attacchi armati e attentati terroristici. L’azione di Boko Haram si concen-
tra soprattutto nel nord-est della Nigeria, dove ha le sue basi, ma nell’ultimo periodo i suoi attacchi hanno investito anche il Paese confinante. Mentre in Nigeria diversi manifestanti sono tornati in piazza per ricordare che domani saranno trascorsi sei mesi dal rapimento a Chibok, nello Stato nordorientale del Borno
che di Boko Haram è considerato la roccaforte, di oltre duecento liceali delle quali si sono perse le tracce, il presidente camerunense ha rivendicato la felice conclusione di altri due sequestri attribuiti a Boko Haram nel suo Paese. «Il Governo del Camerun vi assicura che continuerà a combattere senza sosta Boko Haram fino al suo totale sradicamento», ha
Manifestazione a Nairobi per chiedere la liberazione delle giovani (Afp)
Nuove polemiche in Colombia per il negoziato con le Farc BO GOTÁ, 14. Nuove polemiche stanno accompagnando in queste ore gli sviluppi del negoziato a Cuba tra il Governo di Bogotá e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farca) entrato in una fase cruciale. In particolare, pesanti critiche sono state mosse negli ultimi giorni dagli esponenti dell’opposizione al presidente Juan Manuel Santos, confermato alla guida del Paese nelle elezioni di quest’anno, riguardo al fatto che a Cuba in un paio di occasioni si è recato lo stesso leader delle Farc, Rodrigo Londoño Echeverri, meglio conosciuto come Timochenko. Santos ha confermato di aver autorizzato Timochenko a recarsi a Cuba due volte per contribuire a velocizzare il negoziato, ma ha specificato che questo «non significa aver abbassato la guardia neppure di un millimetro». Il capo dello Stato ha aggiunto che negli ultimi
occidentale. I due leader hanno concordato che «deve essere fatto di più, e velocemente, per realizzare strutture di cura nei Paesi africani colpiti e che tutte le Nazioni devono avere un ruolo nel fermare la diffusione del virus», ha riferito la Casa Bianca. Obama e Hollande hanno anche parlato di misure addizionali al di fuori della zona dell’epidemia, tra cui i controlli dei passeggeri negli aeroporti di tutto il mondo. In un’altra telefonata, Obama ha parlato con il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, discutendo della risposta internazionale all’epidemia e concordando una necessaria e maggiore assistenza da parte della comunità internazionale. Tutti i membri dell’Onu, ha detto Obama, devono inviare personale, strumentazione e forniture per fermare l’epidemia all’origine. Ma l’epidemia non accenna a diminuire. Oggi, un dipendente dell’Onu è morto in Germania. L’uomo, di origini sudanesi, era stato trasportato a Lipsia dopo avere contratto il virus in Liberia.
quattro anni, quelli della sua presidenza, alle Farc sono stati inflitti colpi più duri che in qualsiasi altro momento della loro storia. Santos, tra l’altro, era ministro della Difesa nel precedente Governo dell’ex presidente Álvaro Uribe, oggi suo acerrimo avversario. All’epoca, Santos aveva guidato e voluto la cosiddetta operazione Jaque, che aveva portato alla liberazione di Ingrid Betancourt, e successivamente aveva ordinato operazioni militari contro diversi leader della guerriglia. Lo stesso Timochenko aveva assunto la guida delle Farc dopo l’uccisione del suo predecessore Guillermo León Sáenz Vargas, meglio conosciuto come Alfonso Cano, per mano dei militari nel 2011, quando Santos era già presidente. Uribe, da parte sua, ha dichiarato che Santos sta consegnando la Colombia alle Farc.
dichiarato Biya, ricevendo ieri nel palazzo presidenziale a Yaoundè i 27 ostaggi cinesi e camerunensi, fra cui la moglie del vicepremier Amadou Ali, sequestrate il 16 maggio a Waza e il 27 luglio a Kolofata, due località vicine appunto al confine con la Nigeria, e liberati sabato scorso. Sulle circostante del rilascio dei 27 sequestrati in Camerun avanzano però dubbi diverse fonti locali, citate in particolare dal portale d’informazione Sahara Reporters. Secondo tali fonti, il rilascio degli ostaggi sarebbe costato al Camerun una consegna di armi, la liberazione di alcuni comandanti di Boko Haram catturati e almeno 400.000 dollari di riscatto, pagati anche con soldi cinesi e grazie a una mediazione del presidente del Ciad, Idriss Deby Itno. Sahara Reporters scrive che il rilascio annunciato sabato è stato il punto di arrivo di un negoziato lungo e complesso condotto dal Governo del Camerun d’intesa con l’ambasciata cinese a Yaoundè e con il contributo di Deby Itno, definito «vicino ad alcuni comandanti di Boko Haram». La regione camerunense dove erano avvenuti i sequestri si incunea tra il nord-est della Nigeria e il Ciad. La zona confina, in particolare, con la foresta di Sambisa, appunto nel Borno. Nell’area, secondo diverse fonti, si troverebbero anche le studentesse rapite da Boko Haram a Chibok, ma in merito non ci sono notizie certe.
Per protesta dopo la scomparsa di decine di studenti in Messico
Assaltata la sede del Governo di Guerrero CITTÀ DEL MESSICO, 14. Centinaia di studenti e insegnanti hanno assaltato e in parte, incendiato la sede governativa dello Stato messicano di Guerrero. Le violente manifestazioni di ieri sono state innescate dalla scomparsa di 43 giovani studenti di una scuola magistrale che si teme siano stati rapiti — per essere poi assassinati — da settori della polizia collusi con la criminalità organizzata. Lo si è appreso sul posto. I manifestanti, nelle proteste degenerate a Chilpancingo de los Bravo, la capitale dello Stato, pretendono di avere risposte ufficiali sulla sorte degli studenti rapiti e le dimissioni del governatore Ángel Aguirre. Poco prima vi erano stati una serie di scontri tra polizia e manifestanti armati di pietre e bastoni alle porte del parlamento locale: cinque insegnanti e due poliziotti erano ri-
masti feriti, secondo fonti giornalistiche. Come detto, le proteste sono state innescate dalla scomparsa dei 43 studenti il 29 settembre a Iguala, un centinaio di chilometri da Chilpancingo. Secondo testimonianze raccolte in loco, i giovani sarebbero stati arrestati da agenti corrotti della polizia locale per essere poi consegnati ai componenti del gruppo criminale dei Guerreros Unidos, che li avrebbero assassinati a sangue freddo. La magistratura indaga per accertare se i rapiti siano finiti nelle fosse comuni rinvenute nei pressi di Iguala e hanno per il momento arrestato 34 persone, fra cui 26 poliziotti accusati di collusione col crimine organizzato. Il sindaco di Iguala e la consorte dovevano essere interrogati, così come il capo della polizia locale, ma
sono attualmente irreperibili. L’apparente collusione tra autorità locali e crimine organizzato ha provocato manifestazioni in numerose città messicane e ha indotto il Governo federale a inviare truppe. Nei giorni scorsi, sempre nello Stato di Guerrero, aveva fatto la propria comparsa un altro gruppo, autodefinitosi Rivoluzionario del popolo insorgente (Erpi), che aveva proclamato la nascita di una “brigata di giustizia antinarcos” per combattere i Guerreros Unidos, ritenuti responsabili della strage degli studenti. In un video diffuso su Internet, un portavoce mascherato dell’Erpi aveva annunciato la nascita della formazione antinarcos, precisando che il gruppo «è stato fondato per affrontare nei suoi aspetti politico-militari la sfida dei trafficanti».
A São Tomé e Príncipe vince l’opposizione SÃO TOMÉ, 14. Le elezioni di domenica nell’arcipelago di São Tomé e Príncipe sono state vinte da Azione democratica indipendente (Adi), il partito guidato dall’ex primo ministro Patrice Trovoada. A scrutinio pressoché ultimato, i dati diffusi dalla stampa locale attribuiscono all’Adi la maggioranza assoluta dei 55 seggi del Parlamento. Trovoada e il suo partito tornano dunque al Governo, due anni dopo essere stati sfiduciati dal Parlamento uscente. Nettamente staccato risulta il Movimento di liberazione di São Tomé e Príncipe - Partito sociale democratico, che aveva guidato l’ex colonia portoghese negli ultimi due anni. Mentre venivano diffusi domenica sera i primi risultati del voto, già indicativi, Trovoada aveva parlato di una chiarificazione della situazione politica. Diversi commentatori evidenziano però il rischio di nuovi contrasti con il capo dello Stato, Manuel Pinto da Costa, eletto nel 2011 e decisivo l’anno seguente per la caduta del Governo dell’Adi. Sullo sfondo del contrasto, in un Paese la cui economia è legata molto agli aiuti internazionali, ci sono divergenze riguardo alle concessioni a compagnie straniere dei diritti di sfruttamento dei giacimenti petroliferi offshore scoperti negli ultimi anni nelle acque territoriali dell’arcipelago nel golfo di Guinea.
Forte scossa sismica in El Salvador SAN SALVAD OR, 14. È di almeno un morto il bilancio provvisorio del sisma di magnitudo 7,3 verificatosi a largo delle coste di El Salvador. Inizialmente era stata diramata un’allerta tsunami per le coste di Nicaragua, Honduras e dello stesso El Salvador, poi rientrata. Secondo l’Istituto geologico degli Stati Uniti l’epicentro del sisma è stato individuato a 174 chilometri a sud-est dalla capitale San Salvador e a 67 chilometri da Jiquillo, la zona costiera più prossima all’epicentro. La scossa tellurica si è verificata ieri sera alle 21.51 locali. Le autorità locali riferiscono che al momento non si sono registrati gravi danni ma hanno comunque chiesto alla popolazione costiera di spostarsi il più all’interno possibile.
L’OSSERVATORE ROMANO
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mercoledì 15 ottobre 2014
Jacopo Ligozzi, «Allegoria dell’avarizia» (1590, particolare)
A Parigi per i cinquant’anni dell’Arca
Il mondo è troppo dritto di ERIK PILLET* ravamo in più di settemila riuniti attorno a Jean Vanier, fondatore delle comunità dell’Arca, a festeggiare, sabato 27 settembre sotto un bel sole d’autunno, i cinquant’anni dell’avventura umana così singolare di questa comunità. Più abituati alle grida di rivendicazione dei militanti di tutte le cause possibili, le strade e i viali parigini risuonavano delle risa e dei canti, che testimoniavano la gioia dei partecipanti di ritrovarsi lì. Di ogni età e provenienza, rappresentavano tutti e trentacinque i Paesi in cui l’Arca è presente. Alla vista del lungo corteo di persone, disabili e non, che procede lungo le vie di Parigi tra Place de l’Hôtel de Ville e Place de la République, una signora ci chiede: «Perché manifestate? Che cosa rivendicate?». Noi le rispondiamo: «Per niente, siamo solo felici di stare insieme!». «È una bella cosa, c’è bisogno di gioia e di sorrisi in questo momento», replica lei. Anne, che è con noi, ferma un altro passante brandendo un pezzo di bambù cavo. «Vuole che le sussurri un segreto?». «Se vuole» risponde il signore un po’ meravigliato. «Sei più bello di quanto immagini», gli bisbiglia lei all’orecchio. «Grazie», dice l’uomo con un grande sorriso. Un po’ più in là, un altro segreto viene sussurrato a un’anziana signora: «L’inizio della crescita umana è cominciare ad accettare la propria de-
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Mentre sfiliamo per la città Anne sussurra un segreto a un’anziana signora L’inizio della crescita umana è cominciare ad accettare la propria debolezza «Ci devo riflettere» replica lei seria bolezza». «Ci devo riflettere», replica lei seriamente. Poi c’è stata l’allegra sfilata delle biciclette con bandierine che contenevano citazioni della saggezza delle persone disabili: «Non sono io a essere fatto al rovescio, è il mondo che è troppo dritto». Ma anche: «Se non esistessimo, bisognerebbe inventarci» o «Essere unici, tutti possono farlo!». La festa è proseguita a Place de la République dove abbiamo ascoltato Philippe Pozzo di Borgo, l’ispiratore del film Quasi amici – Intouchables, e Jean Vanier, che ci ha invitati a batterci per la giustizia e la pace, a rifiutare la tirannia della normalità che opprime i diversi e i fragili, ad accogliere le nostre debolezze per stabilire un rapporto vero con gli altri, a lasciare sgorgare la tenerezza che abita in ognuno di noi. 1964-2014: mezzo secolo di una straordinaria avventura che ha visto migliaia di persone scoprire quanto può essere fonte di trasformazione personale entrare in contatto con i più poveri, e in particolare con le persone con un handicap mentale. Oggi l’Arca interpella ancora la nostra società perché il grido dei più deboli non smette di risuonare e ci ricorda quanto sia urgente costruire una società dove la fraternità sia veramente presente. In un mondo alla ricerca di senso e di punti di riferimento, un mondo spesso segnato dall’ingiustizia e dalla violenza, un mondo dove i piccoli e i fragili sono le vittime principali delle crisi di ogni tipo — economica, morale e spirituale —, in una società globalizzata dove gli uomini dubitano della propria capacità di vivere insieme, l’Arca, attraverso la sua esperienza e la voce dei più deboli, propone un messaggio profetico di speranza e di pace per gli uomini e le donne di oggi. Le comunità dell’Arca vogliono essere luoghi di una fraternità resa possibile proprio da quanti sono esclusi. I più fragili tra noi, le persone con un handicap mentale, allora non appaiono più come un peso o una minaccia, ma come uomini e donne capaci di sconvolgere i nostri pregiudizi e di aiutarci a crescere in umanità. Da cinquant’anni l’Arca sviluppa una spiritualità della relazione basata sulla fiducia in un Dio d’amore, vicino ai più deboli; un Dio presente al centro delle relazioni reciproche vissute in una quotidianità semplice e ricca di senso. Le sue comunità sono comunità di fede e la dimensione spirituale vi viene approfondita in molteplici modi, in un quadro interreligioso fatto di culture estremamente diverse. Le comunità dell’Arca sono quindi un segno di speranza per molti e vogliono contribuire a sviluppare uno spirito di pace e di comprensione reciproca tra persone di credi differenti, dando testimonianza di un’unità che si nutre della diversità dei suoi membri, in particolare di quanti vivono l’esperienza dell’handicap. Dimostrano così la capacità delle persone colpite nel proprio intelletto di vivere la loro fede in modo autentico e spesso straordinario. Abbiamo festeggiato questo giubileo per tutto l’anno. Sì, abbiamo gioito e reso grazie a Dio per tutta questa vita che da cinquant’anni sgorga nelle nostre comunità. Il 27 settembre 2014 questa vita zampillante era ben presente e visibile, suscitando in tutti il desiderio profondo e l’energia per continuare l’avventura. *Responsabile della comunità dell’Arca a Tolosa
Che fine ha fatto oggi il bene comune?
Quel pianoforte che suona da solo centrati sulle sue previsioni e raccomandazioni, sottolineando che man mano che il libro procede, ciò che inizia come uno sviluppo possibile diventa gradualmente un qualcosa determinato da leggi economiche. Ma i dati presentati da Piketty sono sostenuti da altri studi, i quali indicano che la spaccatura tra gli immensamente ricchi e tutti gli altri è cresciuta enormemente negli ultimi tre decenni. Il sociologo Zygmunt Bauman ne riporta alcuni nel suo volumetto Does the Richness of the Few Benefit Us All? (Polity Press, 2013). La cosa particolarmente sconvolgente è che l’un percento più ricco sembra aver incrementato le proprie ricchezze tra il 2007 e il 2011, vale a dire negli anni in cui forzieri pubblici sono stati svuotati per salvare banche private. Dal punto di vista politico, l’incremento delle sostanze dei ricchi di solito non è un problema fintanto che c’è crescita e aumenta la ricchezza di tutti in termini assoluti. Ci sono ancora molti poveri nel mondo. Di solito s’invoca la crescita economica come mezzo per migliorare la loro sorte. Ma che cosa accade se i molto ricchi assorbono la maggior parte — o tutta — di questa crescita? E che cosa accade se la tendenza attuale comporta il rischio che larghe fette del ceto medio sprofondino gradualmente in un precariato incerto e vulnerabile? Se un livellamento moralmente auspicabile tra nazioni ricche e povere è accompagnato tra crescenti disuguaglianze all’interno delle stesse? Sotto il dibattito sul libro di Piketty ne cova uno più profondo, etico e politico: che tipo di società vogliamo? E per chi? Sono domande affrontate dal filosofo francese François Flahault nel libro Où est passé le bien commun? (Mille et une nuits, 2011). Tradotto in parole semplici significa: che fine ha fatto il bene comune? Il libro è la versione estesa di un rapporto presentato al Consiglio d’Europa su come i diritti umani individuali — la cui promozione è tra le principali missioni del Consiglio — possono essere conciliati con la ricerca del bene comune. Flahault individua tre motivi per cui il concetto di bene comune è largamen-
ci, l’illuminazione stradale, e così via. Le espressioni immateriali sono, per esempio, la convivialità, la musica, le ricette di cucina, la lingua, gli argomenti di conversazione e la fiducia sociale. Sottolinea che si tratta di beni il cui valore per noi non diminuisce se li condividiamo con gli altri. Respirare la stessa aria o parlare la stessa lingua del nostro vicino, dare consigli a un amico o indicazioni stradali a uno straniero non ci priva di nulla. Ma — scrive Flahault — in una società di mercato liberale, «i beni comuni fanno sempre tappezzeria al grande ballo dei consumatori». Siamo giunti a ritenere che ogni cosa debba avere un prezzo per poter essere oggetto di una presa di decisioni razionale. Flahault non è anticapitalista. Commercio, crescita e prosperità sono per lui un aspetto importante del bien commun. Tuttavia, non può essere ridotto a tali valori; è interessante che il direttore del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, citando Papa Francesco, abbia affermato qualcosa di simile in un discorso al mondo finanziario internazionale il 27 maggio scorso. Flahault non nega l’importanza dei diritti individuali. Proprio come la libertà e una società aperta, sono per lui aspetti ovvi di un concetto moderno, aggiornato del bene comune. Il noi è più grande della somma di io, ma non deve — per come l’intende chi scrive — includerli (un punto impor-
te scomparso dal dibattito pubblico in occidente. Uno di questi è costituito dalle sue radici cristiane, premoderne, che lo hanno fatto sembrare inutilizzabile in una società moderna secolarizzata. Tommaso d’Aquino, dal quale ci giunge l’espressione bonum commune, considerava la società umana come voluta da Dio e non come risultato del peccato originale, quindi essenzialmente buona. Un altro motivo è che i regimi totalitari hanno abusato del concetto di bene comune e quindi è considerato democraticamente contaminato. Il terzo, infine, è che nell’economia di mercato liberale la “mano invisibile”, se esente da ingerenze Come scrive François Flahault esterne, è considerata respirare la stessa aria del nostro vicino come la più adatta a realizzare il bene coe dare consigli a un amico mune, nel senso di o indicazioni stradali a uno straniero una buona qualità di vita per tutti. non ci priva di nulla Il punto centrale del libro di Flahault è la critica del presupposto principio è meritocratico torna indietro della “mano invisibia uno in cui è il denaro ereditato e non le”. Non vede però il la capacità a decidere come sarà la probene comune come pria vita — allora il clamore non sorun’utopia teologica prende. Specialmente se questa tesi vie(vedi società senza ne presentata nella scia di una crisi gloclassi), né come condibale che ha modificato in modo radicale zione statica, definibila vita di centinaia di migliaia di perle. Lo descrive, in mosone. do forse un po’ vago, Una delle ragioni dell’impatto avuto come somma di tutte da Piketty è che egli appartiene al prele cose, materiali e imstigioso club di economisti professionimateriali, che favoriParticolare della locandina dello spettacolo «L’Avaro» sti, da oltre due decenni consiglieri per scono un’esistenza di Arturo Cirillo: il protagonista Arpagone è intrappolato in un guscio eccellenza dei leader politici, almeno in umana comune e il beformato da numeri che simboleggiano la sua ricchezza occidente. Il suo libro Capital in the 21st nessere individuale di Century si basa su molti anni di ricerca e ciascuno di noi. lunghe serie temporali. Questo rende S’iscrive nella tradiziodifficile ignorarlo, anche a coloro che rine comunitaria che vede la società (in tante per quanto riguarda le donne è la tengono che il suo peso sia principalsenso lato) come precedente l’individuo famiglia). Il sistema ecologico umano mente fisico, «sufficiente a trasformare e non il contrario. Lo stesso vale per non è un idillio. Ci sono conflitto e peil criceto dei bambini in un tappeto deltutte le specie. Ciò che rende la società ricolo di sfruttamento dei più deboli. Il la casa delle bambole» («Financial Tiumana unica è che ha istituzioni che re- modello di azione politica preferito da mes»). golano i rapporti sociali. Flahault è il movimento per l’abolizione A quanto vedo, finora nessuno è riuEspressioni materiali del bene comu- della schiavitù del XIX secolo, movimenscito a confutare in modo autorevole la ne sono, per Flahault, l’aria, l’acqua, la to non utopistico che si è concentrato sua analisi basilare. I critici si sono conbiodiversità, le strade e gli spazi pubbli- su un obiettivo limitato, ma eticamente fondamentale e concreto. Flahault è chiaramente influenzato dalla tradizione cattolica nella sua visione organica, non contrattuale, della società e vi fa spesso riferimento. Ma si concentra sull’aspetto politico. Invoca Il domenicano Jean Druel e lo studio dell’arabo medievale Aristotele e Adam Smith, i quali hanno entrambi affermato che non c’è limite all’avidità di ricchezza o di potere dell’uomo. Sono necessarie istituzioni politiche, nello spirito di Montesquieu, «Un “francese d’Egitto” nel cuore trasferimento nel Paese del Sol per garantire la giustizia e rafforzare la dell’islam» è il titolo scelto da «la Levante, o comunque in un Paese fiducia sociale. Tuttavia, secondo lui i Croix» per presentare fra’ Jean asiatico. Ma la vita ha deciso leader politici attuali hanno largamente Druel, nuovo direttore dell’Istituto diversamente, e l’Egitto ha preso il abdicato a questo ruolo. domenicano di studi orientali del posto del Giappone. «Per un Il sociologo Alexis de Tocqueville, Cairo. La vita di Druel è stata una appassionato di lingue straniere — autore non soltanto del famoso libro serie di colpi di fulmine, scrive spiega padre Druel — era una sfida sulla democrazia in America, ma anche Rémy Pigaglio nell’articolo praticamente irresistibile: quindici di un’analisi profonda sul contesto nel pubblicato sul numero del 10 secoli di storia e la dimensione quale è nata la rivoluzione francese, nel ottobre: dalla conversione — a mistica dell’islam tutta da esplorare. 1848, in un discorso alla Camera dei dediciotto anni, nella sua stanza di E, lo confesso, anche un po’ di putati francese, disse che l’Europa dovestudente piena di libri di orgoglio: tutti mi dicevano che era va scegliere tra riforma o rivoluzione. matematica — alla scelta di entrare molto, molto difficile da imparare». Forse una situazione storica analoga — fra i Domini canes (come, Nonostante l’incarico prestigioso, questa volta globale — si sta profilando scherzosamente, chiamavano se padre Jean non ama prendersi al nostro orizzonte. stessi durante il medioevo), dal troppo sul serio, come dimostra lo Allora una Chiesa universale, la cui sogno della missione stile giocoso del suo profilo twitter tradizione include sia il concetto di beall’innamoramento per la — @SteProvocation — e il suo ne comune, sia il rispetto della singola grammatica araba medievale. Non Partita a scacchi tra un cristiano e un musulmano ultimo libro Petit manuel de speed persona quale imago Dei (san Tommaso) immediato né scontato, visto che (miniatura dal «Libro dei giochi» dating avec Dieu (Paris, Cerf, 2014, potrebbe essere immensamente imporpadre Druel, dopo aver studiato il di Alfònso X il saggio, 1251-1283) pagine 137, euro 9). tante. giapponese, si aspettava un di ULLA GUDMUNDSON
erché l’economista francese Thomas Piketty ha creato tanto trambusto nell’ambito del dibattito globale? Essenzialmente perché sfida la premessa fondamentale della filosofia del mercato globale secondo cui, se ci viene impartita un’educazione, lavoriamo sodo e ci comportiamo bene, riceveremo una parte consona della crescita generata da un’economia del libero mercato. Se Piketty ha ragione — se, di fatto, l’ulteriore arricchimento di chi è già ricco sta diventando un pianoforte che si suona da solo, se un sistema che di
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L’ho imparato perché era difficile
L’OSSERVATORE ROMANO
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Il Colegio Máximo a San Miguel
Con il golpe militare del 1976 il Colegio Máximo di San Miguel divenne prima saltuariamente e poi stabilmente sede di una silenziosa rete di protezione e salvataggio dei dissidenti in fuga dal regime
be voluto. Gli assassini non ne sarebbero usciti indenni, perché la gente di Angelelli, i suoi poveri, i suoi seminaristi, non avrebbero mai lasciato che il loro martire venisse dimenticato. Trent’anni dopo, il giovane provinciale gesuita che aveva dato un riparo ai ragazzi di Angelelli era diventato cardinale di Buenos Aires. Il 4 agosto 2006 il cardinale Bergoglio andò di persona a La Rioja per ricordare il sacrificio del vescovo: «Ha sparso il suo sangue per predicare il Vangelo» disse, mentre la folla non riusciva a trattenere le lacrime. Con quelle parole, per la prima volta la Chiesa cattolica argentina mostrò di propendere per la tesi dell’attentato, sempre respinta dalle autorità anche dopo il ritorno alla democrazia. «Angelelli era un uomo di incontro, di periferie, che fu in grado di vedere oltre il dramma della Patria», un vescovo «innamorato del suo popolo»: così lo definì Bergoglio, che volle ricordare anche gli altri due sa-
L’incontro tra padre Bergoglio e il vescovo di La Rioja negli anni della dittatura
Braccato dai lupi per le vie di Buenos Aires novizi. San Miguel alle volte sembrava un porto di mare. Gesuiti di passaggio, studenti in ritiro spirituale, docenti. Il viavai era la normalità. «Perciò quel braccio dell’edificio era l’ideale per nascondere qualcuno. In apparenza non c’era niente di insolito» spiega padre Martínez. A San Miguel, Martínez arrivò con altri due seminaristi, Miguel La Civita e Carlos González. Ad accompagnarli era il loro vescovo, Enrique Angelelli, che in quel modo volle metterli sotto la protezione di Bergoglio. All’inizio, i tre giovani non se ne resero conto. Del resto, lo stesso Angelelli non aveva I sommersi e i salvati di Bergoglio svelato loro la vera ragio(Casale Monferrato, Piemme 2014, ne di quel trasferimento. pagine 266, euro 16,50), in libreria dal «Lo capimmo solo dopo. 14 ottobre, è la capillare indagine che All’inizio credevamo che l’autore — cronista di razza e redattore monsignor Enrique lo di «Avvenire» — ha condotto sul avesse fatto per farci ultimare gli studi» ricorda grande e delicato impegno profuso da La Civita, rievocando padre Bergoglio per salvare tanti l’eroica e tragica figura dissidenti dalla dittatura argentina e in dell’uomo che, insieme a altri parti del Sud America. Ne Bergoglio, salvò loro la pubblichiamo uno stralcio. vita. Enrique Angelelli era nato a Córdoba nel 1923. Nel 1968 era stato nomiFu allora che il Colegio Máximo nato vescovo di La Rioja e nel suo dei gesuiti a San Miguel divenne — primo messaggio aveva affermato: prima saltuariamente e poi stabil- «Non vengo per essere servito ma mente — la sede di una silenziosa re- per servire tutti senza alcuna distinte di protezione e salvataggio dei zione, né di classe sociale né di modi NELLO SCAVO
iolenze squadriste, stato d’assedio, feroce repressione del dissenso, 340 centri di detenzione illegale, torture e omicidi su scala industriale: con il golpe militare del marzo 1976, l’Argentina si trasformò in un immenso campo di concentramento a cielo aperto.
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Sommersi e salvati
Bergoglio non fece fatica a credere alle allarmate parole del vescovo. Per quanto non avesse in simpatia i teologi della liberazione e le loro concessioni all’analisi marxista, sapeva bene che non si poteva generalizzare. E che, in ogni caso, quei ragazzi stavano correndo rischi seri. Già qualche anno prima, infatti, il provinciale dei gesuiti aveva potuto respirare quella stessa aria avvelenata dall’odio e dalla violenza che adesso Angelelli gli descriveva. Era successo quando Bergoglio si era recato nel nord del Paese insieme al preposito generale della compagnia, il «papa nero» Pedro Arrupe. «Quando io e padre Arrupe, nell’agosto del 1974, facemmo visita a La Rioja, molti settori della società espressero pubblicamente la loro indignazione per quella nostra visita a dei gesuiti impegnati con i più poveri» racconterà padre Bergoglio ai giudici di Buenos Aires rievocando l’atmosfera lugubre di quegli anni.
Angelelli tornò a La Rioja sapendo di non essere più solo. Ma il suo destino era scritto nel piano per il Processo di riorganizzazione nazionale. Il 4 agosto 1976 il vescovo Angelelli morì in uno strano incidente stradale. Alla guida c’era padre Arturo Aldo Pinto. Sul sedile posteriore Angelelli aveva disposto alcuni fascicoli con testimonianze e documenti che avrebbero potuto inchiodare i militari responsabili dell’omicidio di due preti scomodi, Carlos de Dios Murias e Gabriel Longueville, eliminati quindici giorni prima insieme al laico Wenceslao Pedernera. Quando la Fiat 125 su cui il vescovo viaggiava si trovò in una zona montagnosa, lungo uno di quei tornanti da cui non passa quasi mai nessuno, improvvisamente sbucò una
Un pomeriggio con Montini
Le pesche di Paolo Anticipiamo un estratto dal libro «Rialza il povero dall’immondizia. Confidenze sulla mia famiglia e la mia vocazione» (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2014, pagine 222, euro 18) del cardinale diacono di San Lino. di GIOVANNI COPPA
Murales di protesta contro la dittatura in Argentina
dissidenti in fuga dal regime. A crearla, a gestirla e a dirigerla era Jorge Mario Bergoglio. Padre Enrique Martínez lo comprese poco alla volta: «Ne avevamo il sospetto, poi ne avemmo la certezza». Martínez, per tutti «padre Quique», non era ancora un prete. E non studiava da gesuita. Una cosa però la sapeva. Gli esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola «devono essere svolti in silenzio, senza lasciarsi distrarre né disturbare». Per dirla con i testi di spiritualità ignaziana, «sono un modo di preparare e disporre l’anima a togliere tutti gli affetti disordinati e, dopo averli rimossi, a cercare e trovare la volontà di Dio nella disposizione della propria vita, per la salvezza della propria anima». Un certo isolamento si addice a questa scalata interiore. A San Miguel vi era un’ala del Colegio Máximo destinata a questo scopo. «C’erano molte stanze singole» ricorda padre Quique. «Venivano assegnate ai laici che affrontavano un periodo di meditazione. Durante gli esercizi non parlavano praticamente con nessuno. Di solito venivano ospitati durante i fine settimana. Poi se ne andavano e tornavano alla propria quotidianità». A quel tempo, Bergoglio doveva occuparsi di una quindicina di case gesuitiche sparse per l’intera nazione argentina, circa duecento confratelli e meno di trenta
do di pensare e di credere. Come Gesù voglio essere servitore dei nostri fratelli poveri». In fondo, un proposito perfino scontato per uno che è diventato vescovo. Eppure, agli occhiuti controllori della retta via che i militari si apprestavano a tracciare, apparve come il proclama di un vero comunista con la tonaca. Quello fu l’inizio di una lunga ostilità tra il vescovo, esponente della teologia della liberazione, e il potere. Ostilità che, col passare degli anni e l’intensificarsi delle tensioni sociali e politiche, cominciò a sconfinare nella violenza e a coinvolgere anche l’entourage di monsignor Enrique. Quando Angelelli cominciò a cercare un luogo dove mettere al sicuro i suoi seminaristi, furono in molti a sbattergli la porta in faccia. Invano il presule domandò a diversi collegi della capitale di prendere in carico i tre studenti: nessuno, a quanto pareva, era intenzionato ad accoglierli. Del resto, quelli di La Rioja non erano ben visti neanche all’interno dei vertici episcopali. Troppo pericolosi, troppo invisi alle forze che andavano prendendo il potere nel Paese, troppo “rossi”. Angelelli sapeva che il branco di lupi gli stava ormai addosso e si aggirava per Buenos Aires come un pastore in cerca di un riparo per le sue pecore. Finché non approdò a San Miguel.
Peugeot nera che spinse Angelelli e Pinto in un dirupo. In meno di un giorno la polizia archiviò il caso, liquidandolo come uno «sfortunato incidente stradale» nonostante le proteste dello stesso Pinto, che inizialmente era stato creduto morto Quando Enrique Angelelli ma che in realtà era stato estratto dai rottami e cominciò a cercare un luogo in cui medicato da alcuni aumettere al sicuro i suoi seminaristi tomobilisti di passaggio. Un colpo di fortufurono in molti na che i sicari non avea sbattergli la porta in faccia vano previsto. Uccidendo il vescovo di La Rioja, i militari vollero scrollarsi di dosso un proble- cerdoti e il loro collaboratore laico ma, eppure con quel finto incidente assassinati dal regime: «La Chiesa di del 4 agosto 1976 la dittatura comin- La Rioja è andata facendosi sangue ciò a scrivere la propria condanna. e si è chiamata Carlos, Gabriel e Non importa quanto tempo ci sareb- Wenceslao».
Il 1° novembre 1975 fui nominato Assessore della Segreteria di Stato, il numero tre dell’ufficio, come si diceva scherzosamente. Monsignor Benelli me l’aveva comunicato riservatamente qualche giorno prima come intenzione di Paolo VI, dandomi tempo per rifletterci. La proposta mi sorprese non poco, e mi procurò anche qualche preoccupazione, perché sapevo quale lavoro mi sarebbe toccato. Ma il giorno dopo, quando dovevo dare la risposta, il Vangelo della Messa era quello della pesca miracolosa e della risposta di Pietro a Gesù: In verbo tuo laxabo retia (Luca, 4, 5), nel tuo nome getterò le reti; e quelle parole mi diedero la sicurezza che, se il Signore chiamava, mi avrebbe anche dato la forza. E poi, come dire di no a Paolo VI? Accettai dunque; e credo che ripetei quel pensiero nella lettera di ringraziamento della nomina, a cui, come altre volte, il Santo Padre mandò una sua risposta autografa, come sempre molto espressiva e affettuosa. I colleghi, informati pubblicamente in riunione congiunta, se ne dimostrarono contenti. Il lavoro cominciò subito: ogni giorno vi erano mucchi di brevi risposte, in tutte le lingue, da firmare e inviare ai fedeli che scrivevano al Santo Padre da tutto il mondo. Mi accorsi in seguito che quelle letterine, benché impersonali e stereotipate, erano gelosamente conservate dai destinatari, perché le vidi incorniciate e appese in case private in Roma o fuori, e anche in Cecoslovacchia, quando fui Nunzio là, e il mittente mi ricordò entusiasta il fatto; una famiglia inglese del Galles mi scrive tuttora spesse volte all'anno, e ne sono passati da allora! Qualche volta le risposte non calzavano con le confidenze anche intime dei mittenti, e mi toccava ritoccare o avvertire i colleghi del settore, causando qualche malumore. Oltre a questo, bisognava anche ricevere persone per incarico del Sostituto, talora per richieste ritenute dai superiori un po’ fuori degli schemi, e spiegare, chiarire, consigliare: cosa né facile né simpatica. E qualche volta, per ordine di monsignor Sostituto, bisognava fare anche una “partaccia” con qualcuno. A Natale di quell’anno ci fu, in piazza San Pietro, la conclusione solenne
dell’Anno Santo 1975, ed era la prima volta che partecipavo a una cerimonia papale nel nuovo incarico. Poco per volta, conobbi personalmente tutti gli Ambasciatori presso la Santa Sede, perché toccava all’Assessore incontrare i nuovi Capi Missione dopo il loro arrivo, e dar loro le informazioni necessarie per l’inizio della loro missione: e lo faceva l’antico ragazzo di via Pierino Belli 13 di Alba, che ora trattava con quelle personalità di grande spicco, ed era da esse ricambiato con tanto rispetto. Era poi una grande lezione collaborare a fianco a fianco del Sostituto Benelli, un uomo tutto d’un pezzo, che non risparmiava osservazioni quando necessarie, ma aveva una grandissima carica umana e una viva fantasia inventiva per rendere sempre più efficace il servizio della Santa Sede. Il suo ricordo rimane vivo in me come di un uomo autentico, aperto, immediato, sincero fino alla rudezza, ma comprensivo nel contatto umano: il suo ideale era la “fedeltà” assoluta al dovere, al Papa, alla Chiesa, e per essa non guardava in faccia nessuno. Fu la mano destra di Paolo VI nel post-Concilio, interpretando con la massima esattezza le direttive del Papa alla guida della Chiesa (cf. Giovanni Coppa, in Antonio Lovascio, Giovanni Benelli. Un pastore coraggioso e innovatore, Firenze 2012, pp. 42 s.).
VI Paolo VI manteneva il ritmo da lui stesso impresso come Sostituto nella Segreteria di Stato negli anni precedenti, com’egli ricordava bene e con tanta delicatezza. Ebbi con lui un’udienza come Assessore, nel periodo estivo di uno di quegli anni: monsignor Sostituto era in vacanza, io lo sostituivo, e il Papa mi chiamò perciò in luogo di monsignor Benelli, un pomeriggio a Castel Gandolfo. Radunai le pratiche più urgenti e importanti dell’ufficio, preparandomi molto seriamente all’incontro; ma Paolo VI, davanti al quale avevo collocato la cartella dei dossier, non vi dedicò alcuna attenzione per parlare di tutt’altro. In primo luogo mi chiese se, come Assessore, fossi contento del mio lavoro. Al che risposi di sì, com’era vero, e la mia ansia sparì completamente: fu una grande lezione spirituale ascoltare il Papa che mi diceva tra l’altro: «Caro monsignore, la nostra vita è come un filo d’oro, che il Signore svolge per ciascuno di noi col suo amore infinito»: e così via di questo passo, con quel suo stile pensoso e persuasivo, che entrava nel cuore. Alla fine mi benedisse e mi accompagnò fino alla porta. Ma quale non fu la mia sorpresa e la mia contentezza quando, rientrato a casa, vidi che l’autista teneva con le due braccia una grossa cassetta con tante pesche belle e profumate, specialità sopraffina di quella cittadina dei Castelli Romani dov’è il Palazzo Apostolico. Bellissima conclusione fuori programma di quello splendido pomeriggio passato con Paolo VI.
L’arazzo È ricavato da una fotografia di Pepi Merisio l’arazzo ufficiale che sarà usato per la beatificazione di Paolo VI. Si tratta dell’immagine del fotografo originario di Caravaggio scattata a Manila, durante l’incontro di Papa Montini con il mondo universitario delle Filippine, il 28 novembre 1970. L’immagine usata per l’arazzo si differenzia dall’originale per lo sfondo che, fatto di sanpietrini, salendo verso il cielo, va dalla tonalità azzurra al blu. In occasione della beatificazione, il 14 ottobre alle 21.30 va in onda su Rai Storia il documentario «Paolo VI. Il Papa audace» di Antonia Pillosio, con testimonianze dei cardinali Poupard, Ravasi e Tucci.
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Incontro fra il segretario generale del Wcc e il Patriarca di Mosca
Tempo di collaborazione
Violenze nel Vicino oriente e dialogo ecumenico in un intervento di Bartolomeo
La religione non può dividere ISTANBUL, 14. «Un crimine commesso in nome della religione è un crimine contro la religione stessa, perché l’odio si traveste di religioso allo scopo di inserire inimicizia in una storia che non ha più niente né di santo né di sacro. Il fatto religioso agisce sull’immaginario collettivo, è un cemento comunitario. Ma il religioso si dissocia dalla religione nel caso in cui non sia portatrice di alcuna spiritualità creatrice, come il creato stesso e il nutrimento del legame universale che unisce tutta l’umanità». Ricevendo al Fanar un gruppo di pellegrini dell’arcidiocesi di Milano e una delegazione di giornalisti del quotidiano francese «la Croix», il Patriarca ecumenico e arcivescovo di Costantinopoli, Bartolomeo, è tornato sulle «insostenibili» violenze nel Vicino oriente e in Ucraina che «indeboliscono i nostri fratelli e sorelle non solo nella loro ecclesialità ma anche nella loro umanità». Tragedie, «barbarie di un’altra epoca», ingiustificabili da niente e nessuno. La Chiesa ortodossa — ha sottolineato Bartolomeo nel suo discorso — è impegnata per l’unità e la concordia, «le uniche due condizioni per costruire una pace duratura». Tuttavia, dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, «sembrerebbe che il fatto religioso sia diventato un fattore di sfaldamento e divisione, fino ad attizzare l’odio tra le persone». Il Patriarca ha parlato della libertà di credere e di non credere ma «il tema della libertà religiosa resta profondamente iscritto nella coscienza ecclesiale ortodossa» fin dai tempi dell’editto di Milano, sottoscritto nel 313 dagli imperatori Costantino e Licinio. Dall’alto della sua storia plurisecolare, il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli «testimonia un’esperienza autenticamente cristiana costruita sui fondamenti di un
Oriente plurale e vicino all’O ccidente. I punti di incontro attraverso i secoli sono stati numerosi, gli interscambi ricchi e vive le discussioni, ma — ha osservato ancora Bartolomeo — la specificità della nostra Chiesa è determinata dal suo ancoraggio orientale. In tal senso, la Chiesa ortodossa, il suo passato, il suo presente ma anche il suo futuro possono essere compresi solo attraverso lo spettro della propria appartenenza a quest’area geografica, caratterizzata innanzitutto dalla capacità di fungere da crocevia, da ponte, ma anche da intermediario fra le culture e le religioni». Vocazione, potenza dello Spirito, concordia, ma soprattutto unità, da cercare a livelli molto differenti: «Una volta acquisita, essa richiede grandi sforzi per conservarla. L’unità è una ricerca costante che non può costruirsi indipendentemente dall’amore e dalla carità. È in ogni caso l’esperienza che noi facciamo quotidianamente nel quadro del dialogo ecumenico e a maggior ragione del dialogo di amore e verità portato avanti con la Chiesa cattolica. L’unità è spesso un’idea un po’ vaga, mentre la comunione che significa quest’unità è una realtà tangibile della vita della Chiesa. Ma l’unità, come finalità, è importante tanto quanto il cammino che lì ci conduce. Così, con i nostri fratelli e sorel-
le cattolici, abbiamo imparato a conoscerci e ad apprezzarci. Le relazioni interpersonali sono una dimensione essenziale del nostro riavvicinamento, dell’imparare a tornare fratelli dopo secoli di allontanamento», spiega il primate ortodosso, ricordando la visita al Fanar, mesi fa, del cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, e soprattutto il suo rapporto personale con Papa Francesco: «Dal giorno della sua elezione, abbiamo tentato di far crescere l’eredità dei nostri predecessori, Papa Paolo VI e il Patriarca ecumenico Atenagora. Essi hanno, con un abbraccio, cinquant’anni fa, sconvolto la storia delle nostre Chiese offrendo loro la speranza di chiamarsi sorelle. Dopo aver pregato insieme a Gerusalemme, al Santo Sepolcro, ed esserci ritrovati in Vaticano nel mese di giugno con Shimon Peres e Mahmoud Abbas», Bartolomeo attende con gioia Francesco al Fanar alla fine di novembre per le celebrazioni in occasione della ricorrenza di Sant’Andrea apostolo. «Si tratta — ha detto ancora il Patriarca — di una tappa importante che andrà a rafforzare il lavoro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica, riunitasi in sessione plenaria nel settembre scorso ad Amman, in Giordania».
MOSCA, 14. L’analisi della difficile situazione internazionale, in particolare nel Vicino oriente e nell’Europa dell’est, insieme alla sottolineatura dell’importante ruolo che i cristiani e le organizzazioni ecumeniche possono giocare per contribuire a realizzare una nuova stagione di pace e giustizia: questi i principali argomenti al centro dei colloqui che il segretario generale del World Council of Churches (Wcc), Olav Fykse Tveit, ha avuto nei giorni scorsi a Mosca con il Patriarca Cirillo e con il metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato. Secondo il comunicato diffuso dal Wcc, durante l’incontro è stata espressa una valutazione comune della situazione e delle sofferenze delle persone coinvolte nei conflitti. E, soprattutto, con riferimento
alla crisi ucraina, sono state discusse le conseguenze negative sulle relazioni tra Est e Ovest dell’Europa e su come i rapporti tra le Chiese potrebbero essere rafforzati. «È incoraggiante — ha commentato il leader ecumenico al termine dell’incontro — che si rafforzi il ruolo del Wcc nel lavoro per la giustizia e la pace. Credo che questo sia il tempo di incontrarsi e di parlare di più, non di meno, insieme come Chiese. Le Chiese dovrebbero rafforzare le loro relazioni in tempo di conflitto». Da parte sua, secondo quanto diffuso dal sito del Patriarcato di Mosca, Cirillo ha espresso soddisfazione per il lavoro compiuto dal Consiglio ecumenico delle Chiese soprattutto nel campo della diffusione di relazioni improntate alla costruzione della pace e della giustizia, perché — ha detto — «la pa-
ce senza la giustizia è molto fragile». E, in tal senso, riferendosi direttamente alla situazione ucraina, ha rilevato l’importanza di «escludere discriminazioni linguistiche, nazionali e religiose». Di qui, il comune riconoscimento di coordinare gli sforzi delle Chiese e delle organizzazioni cristiane per la pacificazione di situazioni di crisi e di conflitto, in Ucraina così come in altre regioni del pianeta. Particolare attenzione, come accennato, è stata dedicata anche alle sofferenze dei cristiani nel Vicino oriente, accentuate negli ultimi mesi dalla sanguinosa avanzata delle milizie fondamentaliste del cosiddetto Stato islamico. In questo senso, è stata sottolineata l’estrema importanza di preservare la presenza cristiana nella regione ed è stato auspicato il rafforzamento del dialogo interreligioso.
Nelle Filippine dal 23 novembre
Progetto dei salesiani in India
L’Anno dei poveri aspettando Francesco
Quando la povertà si sconfigge con una piantina di tè
MANILA, 14. Verrà inaugurato ufficialmente solo il 23 novembre, a conclusione dell’anno dedicato ai laici, ma nelle Filippine la Chiesa cattolica è già pronta a coinvolgere il Paese nella celebrazione dell’Anno dei poveri: cerimonie ed eventi che si susseguiranno per tutto il 2015 assieme a progetti speciali e a iniziative per lo sviluppo. La Chiesa — ha dichiarato giorni fa ad AsiaNews padre Edwin Gariguez, responsabile del Segretariato nazionale per l’azione sociale (la Caritas filippina) — deve sempre rispondere alla sfida di essere al fianco di poveri e oppressi. E lo deve fare in particolare quando vi è una violazione dei diritti umani e la giustizia viene negata a contadini, popolazioni indigene, pescatori, operai e vittime di calamità naturali. La presentazione dell’Anno dei poveri e del progetto «Alay Kapwa 40» (AK 40) è avvenuta una settimana fa durante una cerimonia nella cattedrale di San Giuseppe a Butuan, capoluogo della regione Caraga. L’AK 40 si propone di raccogliere quaranta milioni di peso (poco meno di 900.000 dollari) nelle prossime quaranta settimane, per sostenere programmi e progetti caritativi dedicati alle fasce più povere e deboli della popolazione filippina. Con il denaro raccolto — riferisce l’agenzia di stampa — verranno finanziati progetti di microsviluppo, a beneficio dell’intera comunità. Fra gli obiettivi: combattere la cultura dell’accattonaggio, radicata nel profondo nella mentalità e nei costumi locali, e promuovere una cultura dell’autosufficienza da contrapporre alla dipendenza dai sussidi governativi. Padre Gariguez spiega che l’AK (nato nel 1974 come programma di
evangelizzazione quaresimale della Conferenza episcopale) è in linea con i dettami di Papa Francesco — che sarà nelle Filippine dal 15 al 19 gennaio 2015 — in quanto esalta l’ideale di Chiesa dei poveri e guarda a quanti sono ai margini della società. Con «AK 40 for the poor» si vogliono inoltre ricordare i quarant’anni di attività dell’ente al servizio dei poveri.
Ispirato, come motto, al Vangelo di Luca (22, 61), «Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro», l’Anno dei poveri è il terzo nel contesto dei nove previsti dal programma sulla nuova evangelizzazione. Esso accompagnerà la comunità cattolica locale fino al 2021, che segnerà i cinquecento anni di presenza cristiana nelle Filippine.
DIMAPUR, 14. Si chiama «Bosco Tea Project» ed è un programma di sviluppo sociale, curato dai salesiani, che oggi cerca di sollevare dalla povertà settecento famiglie impegnate nella coltivazione delle piantagioni di tè. L’India, come è noto, è uno dei maggiori produttori di queste foglie da cui si ricava la più diffusa bevanda aromatica del mondo, le cui piantagioni sono collocate in gran numero nei distretti di Golaghat, Sibsagar, Dibrugarh e Tinsukia, nello Stato di Assam, area nord-orientale del Paese. Tali coltivazioni sono spesso curate da operai che, nonostante lunghe ore di lavoro, non guadagnano a sufficienza nemmeno per soddisfare le loro esigenze primarie. A loro è rivolto, appunto, il «Bosco Tea Project». Molti dei lavoratori impegnati nelle piantagioni di tè possiedono essi stessi dei piccoli appezzamenti di terreno; tuttavia, paradossalmente, lasciano la loro terra incolta e vanno a lavorare nelle grandi piantagioni. E in tempi di crisi economica, sono anche spesso costretti a ipotecare i loro terreni per ottenere piccoli prestiti. E coloro che non riescono a restituire i soldi spesso sono costretti a cedere le proprie terre. I salesiani in India, consapevoli di questa situazione difficile, operano per fornire — riferisce l’Ansa — nuove opportunità ai lavoratori del tè e a rompere così il ciclo della povertà. Il «Bosco Tea Project», finanziato da Aida (la sezione per lo sviluppo in seno all’ispettoria salesiana di India-Dimapur, nel Nagaland), è nato nel 2008 per aiutare i lavoratori del tè nello Stato di Assam.
L’obiettivo è aiutare i lavoratori del tè a iniziare a coltivare la propria terra, dando loro l’opportunità di diventare proprietari di piccoli appezzamenti. Ai coltivatori viene assicurata assistenza nell’avvio del progetto, sia attraverso risorse finanziarie sia tramite la donazione di piantine da tè. Vengono inoltre formati nelle discipline d’impresa e alle tecniche di mercato nel settore. «Aida ha fatto un “miracolo”. Ho ricevuto tremilaottocento piantine da tè nel 2008. Oggi — racconta Mathias Soreng, uno dei beneficiati — ottengo circa cinquanta chilogrammi di foglie verdi ogni settimana. Prima dipendevo dai prestiti e non avevo mai un soldo in tasca. Oggi ho cancellato tutti i miei debiti».
Lutto nell’episcopato Monsignor José Hernán Sánchez Porras, vescovo ordinario militare per il Venezuela, è morto intorno alle 14.30 di lunedì 13 ottobre, all’ospedale Clinicas Caracas, dove era stato ricoverato d’urgenza la sera precedente per febbre da chikungunya associata a un’importante infezione polmonare. Il compiante presule era nato a Palmira, in diocesi di San Cristóbal del Venezuela, il 31 marzo 1944 ed era stato ordinato sacerdote il 25 giugno 1967. Il 19 dicembre 2000 era stato eletto ordinario militare per il Venezuela e il 16 febbraio successivo aveva ricevuto l’ordinazione episcopale.
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Quando si viaggia per motivazioni religiose e spirituali
Turisti non per caso di ANTONIO MARIA VEGLIÒ
Per il centenario della fondazione del movimento apostolico
Il cardinale Lajolo inviato del Papa a Schönstatt Com’è noto, il 19 agosto scorso è stata pubblicata la nomina del cardinale Giovanni Lajolo, presidente emerito del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, a inviato speciale del Papa per la celebrazione del centenario della fondazione del movimento apostolico di Schönstatt, in programma a Schönstatt in Vallendar (Germania) dal 16 al 19 ottobre. La missione pontificia che accompagnerà il porporato sarà composta da monsignor Peter Wolf, del clero di Freiburg im Breisgau, direttore generale dell’istituto dei sacerdoti diocesani di Schönstatt, e da padre Michael Marmann, già superiore generale dell’istituto dei padri di Schönstatt e presidente del presidio generale di Schönstatt. Pubblichiamo di seguito il testo della lettera pontificia di nomina.
Venerabili Fratri Nostro IOANNI S.R.E. Cardinali LAJOLO Pontificiae Commissionis ac Gubernatoratus Status Civitatis Vaticanae Praesidi emerito Saecularis mox recoletur memoria ex quo tempore Motus Apostolicus Schönstatt est conditus, complectens posthac complures fideles, apostolico studio incensos. Etenim apud «Pulchrum Locum» illum Beata Maria Virgo impensius coli coepta est, quippe quae materna sua tutela ipsa cunctis ad se decurrentibus adiumenta largiter praeberet. Intervenientibus duobus mundanis bellis, cum omnia labi viderentur, probi homines sursum ad caelum oculos sustulerunt, superna praesidia fidenter petituri. Annorum quoque decursu inde incitamenta obvenerunt ad operam in Ecclesiae beneficium navandam. Admodum ideo aequum est et convenit ut eventus hic congruenter commemoretur et merito extol-
latur. Celebratio enim haec facultatem dat non modo huius Motus incunabula commemorandi, verum ipsius proposita confirmandi, quo homines qui nunc sunt ad potiora trahantur. Ipso igitur miserenti favente Domino, proximi mensis Octobris diebus XVI-XIX, recoletur centenaria haec memoria, frequenti adstantium civium corona, cum huius loci primordia revocabuntur ac superiora pietatis testimonia. Quocirca cum Reverendus Pater Henricus Walter, Motus Apostolicus Schönstatt Praeses, rogavisset ut Purpuratum Patrem mitteremus, huic postulationi obsecundandum iudicavimus, quo ritus ille elatius et luculentius explicaretur. Ad te ideo, Venerabilis Frater Noster, cogitationem convertimus, quandoquidem in Germania Apostolici
Ex Aedibus Vaticanis, mensis Septembris, in Nativitate Beatae Mariae Virginis, anno MMXIV, Pontificatus Nostri secundo. die
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Delegazione della Cei tra i profughi in Iraq BAGHDAD, 14. È da ieri in Iraq una delegazione della Conferenza episcopale italiana guidata dal vescovo segretario generale, Nunzio Galantino, e composta fra gli altri dal direttore nazionale di Caritas Italiana, don Francesco Antonio Soddu. Lo scopo è incontrare i presuli e i rappresentanti della Chiesa locale, visitare alcune strutture in cui sono ospitati migliaia di profughi cristiani e yazidi e confrontarsi con le autorità civili. Con Caritas Iraq verranno delineati progetti di collaborazione e solidarietà.
Alleanza di organizzazioni lancia una proposta al Governo
Un reddito di inclusione sociale per i cittadini italiani in povertà assoluta ROMA, 14. Un reddito di inclusione sociale (Reis) per tutti cittadini che vivono nell’assoluta indigenza, stimati oggi in circa sei milioni: è quanto chiede l’Alleanza contro la povertà in Italia al Governo. Si tratta di una misura, da indicare già nella legge di stabilità, che a regime costerebbe 7 miliardi di euro all’anno, una cifra che «colmerebbe la distanza tra la spesa pubblica italiana e quella media europea per il contrasto alla povertà». La proposta, presentata oggi a Roma nella sede del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, è il frutto di un anno di approfondimenti e offre una serie di punti-chiave per redigere una riforma. Secondo l’Alleanza — della quale fanno parte tra gli altri le Associazioni cristiane lavoratori italiani, l’Azione cattolica italiana, la Caritas italiana, la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione nazionale Società di San Vincenzo de Paoli, il Jesuit social network e Umanità Nuova - Movimento dei Focolari — il principio-guida è «l’universalismo»: si tratta di una misura per tutte le famiglie in povertà assoluta (erano il 4,1 per cento nel 2013) residenti in Italia da almeno un anno. Ogni nucleo — si legge nel documento firmato dalle sigle sociali — riceverebbe mensilmente una somma pari alla differenza tra il proprio reddito e la soglia Istat della povertà assoluta. Al trasferimento monetario si
Nuntii munus studiose olim sustinuisti. Quapropter idoneus occurris ut eventui illi intersis personamque inibi Nostram geras. Itaque permagna moti affectione, te, Venerabilis Frater Noster, Missum Extraordinarium Nostrum renuntiamus et constituimus ad celebrationem diebus XVI-XIX mensis Octobris Sconestadii, quod vulgo Schönstatt appellatur, agendam. Universis igitur participibus fidelibusque inibi cunctis voluntatem Nostram benignam ostendes, ac pariter cohortationem ad pristinam illam pietatem repetendam tenendamque, Ecclesiae Matre opem affatim ferente. Omnibus Nostro nomine auctoritateque Benedictionem Apostolicam impertias volumus, quae sit animorum renovationis signum et futurum in tempus supernarum gratiarum documentum, dum pro Nostro ministerio Petrino efficaciter gerendo preces amabiliter petimus.
accompagnerebbe l’erogazione di servizi sociali, socio-sanitari, socioeducativi o educativi. Il Reis verrebbe gestito a livello locale dai comuni e dal terzo settore e tutti i membri della famiglia tra i 18 e i 65 anni ritenuti abili al lavoro dovrebbero attivarsi in tale direzione. Il reddito di inclusione sociale, considerato un livello essenziale delle prestazioni sociali, verrebbe introdotto gradualmente — precisa l’Alleanza — attraverso un percorso quadriennale: dal 2015, ogni anno, la spesa pubblica aumenterebbe rispetto al precedente. A regime, nel 2018, la misura costerebbe 7,1 miliardi di euro, «pari solamente a poco più dell’1 per cento della spesa primaria corrente» e coprirebbe le spese per i trasferimenti e l’organizzazione dei servizi. Il primo anno si dovrebbero quindi investire 1,77 miliardi di euro per raggiungere il 2 per cento delle famiglie italiane, partendo da chi è in condizioni più gravi; nel secondo servirebbero 3,55 miliardi per il 2,9 per cento delle famiglie, nel terzo 5,32 miliardi per il 3,7 per cento e nel quarto 7,1 miliardi di euro per il 4,5 per cento delle famiglie. Per l’Alleanza contro la povertà in Italia, il reddito di inclusione sociale contribuirebbe allo sviluppo economico grazie alla crescita della domanda e all’incremento dell’occupazione.
Inaugurazione dello Studium per la vita consacrata Nell’Anno della vita consacrata indetto da Papa Francesco, lo Studium della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica dedica l’iter formativo al sentire in Ecclesia e cum Ecclesia. L’inaugurazione dei corsi si tiene mercoledì pomeriggio, 15 ottobre, nell’auditorium della Pontificia Università Urbaniana. Nell’occasione viene presentata anche la lettera circolare del dicastero Scrutate. Ai consacrati e alle consacrate in cammino sui segni di Dio. Intervengono il cardinale prefetto Braz de Aviz, l’arcivescovo segretario Rodríguez Carballo, i sottosegretari padre Paciolla e suor Spezzati. Lo Studium, aperto anche ai laici, ha una struttura biennale, articolata in due sezioni complementari: interdisciplinare e pratica. Le lezioni settimanali si svolgono ogni mercoledì mentre la sezione pratica ha luogo il primo e il terzo martedì del mese. I corsi presentano le diverse forme di vita consacrata, analizzate dal punto di vista storico, teologico e giuridico.
Sul tema «Turismo e sviluppo comunitario» è stata celebrata la trentacinquesima giornata mondiale del turismo, promossa, come ogni anno, dall’Organizzazione mondiale del turismo (Omt). Ormai dal 1980 è un appuntamento fisso per trattare temi legati al settore turistico. Quest’anno, a Guadalajara, in Messico, il dibattito si è focalizzato sull’attività turistica come mezzo di promozione dello sviluppo economico delle comunità attraverso una forma di lavoro più sostenibile. La Santa Sede, che aderisce alle giornate mondiali del turismo fin dalla prima edizione, è attenta ai progressi del settore e attiva nel dare un’impronta cristiana a una realtà in continua crescita. Nel messaggio per la giornata del 2014 il Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti ha sottolineato come il legame tra lo «sviluppo comunitario» e lo «sviluppo umano integrale» debba passare attraverso il rispetto del contesto economico, sociale e ambientale. A questo proposito, il dicastero ha partecipato al primo congresso internazionale dell’Omt su «Turismo e pellegrinaggi», organizzato a Santiago di Compostela dalle Nazione Unite, dal Governo spagnolo e dalla regione della Galizia. Questa iniziativa è nata dalla consapevolezza della forte crescita che il settore dei pellegrinaggi ha registrato negli ultimi anni e dalla sua influenza positiva sullo sviluppo dell’industria turistica; ma, soprattutto, è nata per sottolineare l’opportunità che il pellegrinaggio rappresenta nel dialogo tra le culture e le religioni, nella costruzione della pace e nella conservazione dell’ambiente e del patrimonio culturale, tangibile e intangibile.
Il congresso ha segnato una svolta per il settore; per la prima volta, infatti, il turismo religioso e, in particolare, il pellegrinaggio, sono stati presi in considerazione dall’Omt in modo specifico e non più inseriti, come in passato, nel più generico settore del “turismo culturale”. Al dibattito hanno partecipato delegati di numerosi Paesi: ministri, promotori del settore turistico, imprenditori, studiosi, associazioni specializzate e rappresentanti di diverse confessioni religiose. A nome del Pontificio Consiglio, è intervenuto monsignor José J. Brosel, incaricato del settore della pastorale del turismo e dei pellegrinaggi che, con la relazione «Il pellegrinaggio e il turismo religioso nel contesto cristiano», ha sottolineato le peculiarità del viaggio intrapreso dai fedeli e ha avviato una collaborazione e un dibattito con i responsabili coinvolti (enti civili e professionisti del settore). Il pellegrinaggio non si trova tra le pratiche religiose della Chiesa primitiva, ma è iniziato nel secolo IV, sperimentando una crescita nei secoli successivi. Per i cristiani, diversamente da quanto accade in altre religioni, il pellegrinaggio non è un atto dovuto, ma costantemente promosso, favorito e consigliato per i valori che racchiude. Prima di tutto è il riflesso dell’essere profondo della persona in quanto homo viator, essere in cammino, simbolo della sua esistenza e metafora della sua vita. Nel suo intervento, monsignor Brosel ha sottolineato come il “cammino esteriore” che percorre il pellegrino è riflesso ed espressione del suo “cammino interiore”, e per questo il primo deve aver presente e favorire il secondo. Il carattere religioso del pellegrinaggio è il suo elemento preponderante, che deve es-
Il segretario di Stato all’associazione Santi Pietro e Paolo
C’è bisogno di un cuore Si deve all’interessamento dell’arcivescovo Giovanni Battista Montini, sostituto della Segreteria di Stato durante il pontificato di Pio XII, la ristrutturazione dell’intero quartiere della Guardia palatina d’onore. La cappella venne ricavata da una grande aula del Palazzo apostolico. Era il 15 giugno 1947, quando il vescovo Alfonso De Romanis, sacrista di Sua Santità e vicario generale per lo Stato della Città del Vaticano, consacrò l’altare. Lo ha ricordato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, domenica 12 ottobre, in occasione della dedicazione dell’altare e della benedizione della cappella di San Pietro dell’associazione Santi Pietro e Paolo, a conclusione dei lavori di restauro e di ristrutturazione realizzati nei mesi scorsi. «Da allora — ha detto il porporato — questa cappella ha accolto diverse generazioni di persone desiderose di servire il Santo Padre, prima nella Guardia palatina e poi, dopo lo scioglimento della Guardia nel 1970, nella nuova associazione Santi Pietro e Paolo». Il cardinale ha ricordato come Giovanni Paolo II, che «tanto ha fatto per far crescere l’associazione, incoraggiando i soci con le sue numerose visite e affidando loro diversi compiti nel contesto delle celebrazioni liturgiche pontificie, ha definito la cappella “il cuore dell’associazione”». Perché, ha spiegato, «proprio come ogni corpo per vivere ha bisogno di un cuore, anche un’associazione come la vostra, che vuole dare una testimonianza particolare di vita cristiana, è un corpo che ha bisogno di un cuore». Cosa è questo cuore? «È il cuore tessuto dalla relazione con Dio — ha detto — che si rinnova e si rafforza
continuamente nella preghiera e nella partecipazione ai Sacramenti». Infatti, ha aggiunto, in questa cappella «avete la possibilità di crescere sempre di più nell’amicizia con il Signore». La celebrazione è stata, tra l’altro, l’occasione per il primo incontro ufficiale del segretario di Stato con il sodalizio vaticano che, da statuto, dipende dalla Segreteria di Stato. Il cardinale Parolin — con il quale hanno concelebrato, fra gli altri, i monsignori Wells, assessore della Segreteria di Stato, Xuereb, prelato segretario della Segreteria per l’Economia, e Murphy, assistente spiri-
sere rispettato e mantenuto, e in funzione del quale devono essere considerate le altre componenti, come quelle di indole culturale. A seconda della motivazione che spinge a fare il viaggio, nello stesso spazio sacro convergono diverse tipologie di visitatori, tra cui il pellegrino, il turista religioso e il turista culturale. Comunque, non è sempre facile individuare le vere motivazioni, sia per la difficoltà di “verbalizzarle”, sia perché coesistono motivazioni diverse e compatibili tra di loro. Perciò, la diversità di pellegrini e turisti esige un’accoglienza diversificata. Il Pontificio Consiglio ha presentato una serie di proposte che possono contribuire a migliorare l’accoglienza a pellegrini e turisti. La prima di queste è l’importanza di considerare il pellegrinaggio, da parte di enti civili e organizzazioni professionistiche, come un settore differenziato del turismo culturale. Infatti, il pellegrinaggio e il turismo religioso hanno le proprie dinamiche, come si è evidenziato nella crescita che si è registrata in tempo di crisi economica, diversamente da altre tipologie. Per questo, si chiede una sensibilità particolare da parte del mondo civile e imprenditoriale, che riconosca e rispetti la dimensione spirituale, il “cammino interiore” sopra menzionato. Come secondo punto, è fondamentale sviluppare canali di collaborazione per consolidare strategie, promuovendo un’opportuna convergenza di sforzi che conduca a migliorare l’accoglienza del pellegrino. La Chiesa, da parte sua, sta già lavorando in ambito universitario, per arricchire la formazione delle guide turistiche e altri operatori del settore, per far sì che essi conoscano non solo la storia o lo stile artistico del patrimonio religioso, ma anche l’esperienza di fede che vi sta alla base. Da ultimo, si è proposta la necessità di lavorare anche sul ritorno del pellegrino, in modo che quanto vissuto possa continuare a essere condiviso con gli altri. In questo sarà di grande importanza il ruolo delle reti sociali. L’intervento di monsignor Brosel si è concluso con il riconoscimento che la Chiesa ha tanto da offrire nell’ambito del turismo, mettendo a disposizione di questo fenomeno il suo patrimonio architettonico, i suoi musei e le tradizioni religiose. Ma allo stesso tempo esige dagli altri settori coinvolti il rispetto della natura propria di queste espressioni religiose. Come risultato finale del congresso, è stata diffusa la Dichiarazione di Santiago di Compostela su turismo e pellegrinaggi, un importante punto di partenza per un lavoro congiunto a favore dei fedeli che in futuro si metteranno in viaggio.
† I Funzionari ed il personale dell’Ambasciata della Repubblica Argentina presso la Santa Sede, profondamente commossi per la perdita del
D r.
ANTONIO CAFIERO partecipano al dolore della sua famiglia e lo ricordano come uno degli Statisti più emblematici della politica e della storia della Democrazia argentina e pregano il Signore per l’eterno riposo della sua anima e per il conforto dei suoi cari.
† tuale del sodalizio — ha ringraziato l’associazione per i tanti servizi svolti in Vaticano, come richiesto di volta in volta dai superiori, e in particolare per lo zelo e la fedeltà dimostrati nei servizi di vigilanza, ordine ed assistenza liturgica nella basilica vaticana. Inoltre ha apprezzato la presenza di molti giovani e il lavoro che negli ultimi anni è stato fatto con la formazione delle nuove generazioni, in particolare nella costituzione e crescita del gruppo allievi.
L’Ambasciata della Repubblica Argentina presso la Santa Sede desidera esprimere al Capo Missione, Ambasciatore Juan Pablo Cafiero, da parte di tutti i suoi collaboratori le più sentite condoglianze per la dolorosa dipartita di suo Padre il
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ANTONIO CAFIERO uomo di grande carisma e figura politica indelebile nella storia della Nazione Argentina, elevando una sentita orazione alla sua cara memoria e chiedendo al Signore la consolazione dei suoi cari.
L’OSSERVATORE ROMANO
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mercoledì 15 ottobre 2014
Sinodo dei vescovi
La relazione all’esame dei circoli
Messa del Papa a Santa Marta
Apparenza e verità «Gesù condanna le persone di buone maniere ma cattive abitudini», perché un conto è «apparire buoni e belli», altra cosa è la verità interiore. Allo stesso modo, non serve essere legati esclusivamente alla lettera della legge, perché «la legge da sola non salva. La legge salva quando ti porta alla fonte della salvezza». Durante la messa celebrata questa mattina, martedì 14 ottobre, nella cappella di Santa Marta, Papa Francesco ha invitato ognuno a fare un «esame di coscienza su come sia la sua fede». Soffermandosi sul brano del Vangelo di Luca (11, 37-41) proposto dalla liturgia del giorno, il Pontefice ha spiegato l’atteggiamento di Gesù nei confronti del fariseo, scandalizzato perché il Signore non compie le abluzioni rituali prima del pranzo. La risposta di Cristo è severa: «Siete tanto preoccupati dell’esterno, dell’apparenza, ma il vostro interno è pieno di avidità e cattiveria». Parole che si accompagnano a quelle del parallelo passo di Matteo, dove si parla di «cupidigia e putredine» e dove si paragonano i farisei a «sepolcri imbiancati; pieni di ossa di morti e ogni putredine e immondizia». In proposito il Papa ha sottolineato che «Gesù condanna» fermamente la sicurezza che i farisei «avevano nel compimento della legge», condanna «questa spiritualità della cosmetica». Il riferimento è alla gente «alla quale piaceva passeggiare nelle piazze», farsi vedere mentre pregava e truccarsi con i segni del digiuno. «Perché il Signore è così?» si è chiesto Francesco, mettendo in evidenza come il Vangelo usi per le azioni dei farisei due aggettivi diversi ma collegati: «avidità e cattiveria». E spiegando che questa cattiveria è «molto unita ai soldi». Del resto — ha detto il Pontefice raccontando un breve aneddoto — «una volta ho
sentito un anziano predicatore di esercizi che diceva: “Ma, come può entrare il peccato nell’anima? Ah, semplicemente! Per le tasche...”». Proprio i soldi, in sostanza, sono «la porta» per la quale passa la corruzione del cuore. Si capisce perciò il motivo per cui Gesù afferma: «Date piuttosto in elemosina tutto quello che avete dentro». «L’elemosina — ha spiegato Francesco — è sempre stata, nella tradizione della Bibbia, sia nell’antico che nel nuovo Testamento, una pietra di paragone della giustizia. Un uomo giusto, una donna giusta sempre è collegata all’elemosina»: perché con l’elemosina si condivide il proprio con gli altri, si dona quello che ognuno «ha dentro». Ritorna così il tema dell’apparenza e della verità interiore. I farisei di cui parla Gesù «si credevano buoni perché facevano tutto quello che la legge comandava di fare». Ma la legge «da sola non salva». La legge salva «quando ti porta alla fonte di salvezza, quando prepara il tuo cuore per ricevere la vera salvezza che viene dalla fede». È lo stesso concetto, ha chiarito il Papa, che emerge dalla prima lettura della liturgia, tratta dalla lettera nella quale Paolo discute con i Galati (5, 1-6) perché essi «molto attaccati alla legge, hanno avuto paura della fede e sono tornati alle prescrizioni della legge» riguardo alla circoncisione. Parole che ben si adattano anche alla nostra realtà quotidiana, perché la fede, ha sottolineato il vescovo di Roma, «non è soltanto recitare il Credo: tutti noi crediamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, nella vita eterna...». Ma se la nostra fede è «immobile» e «non operosa», allora «non serve». Quello che vale in Cristo Gesù è dunque «la fede che si rende operosa nella carità», Ecco allora che si torna al tema dell’elemosina. Un’elemosina intesa «nel senso più am-
pio della parola», ovvero «staccarsi dalla dittatura del denaro, dall’idolatria dei soldi» perché «ogni cupidigia ci allontana da Gesù Cristo». Per questo, ha spiegato il Papa, in tutta la Bibbia si «parla tanto dell’elemosina, sia quella piccola di ogni giorno», sia «quella più forte». È necessario, però, fare attenzione a due cose: non dobbiamo «far suonare la tromba quando si fanno le elemosine» e non dobbiamo limitarci a donare il superfluo. Occorre, ha detto Francesco, «spogliarsi» e non dare «soltanto quello che avanza». Bisogna fare come quella vecchietta «che ha dato tutto quello che aveva per vivere». Chi fa elemosine e fa «suonare la tromba» perché tutti lo sappiano, «non è cristiano». Questo, ha ribadito Francesco, è un agire «farisaico, è ipocrita». E per meglio far comprendere il concetto, il Papa ha raccontato quello che accadde una volta a padre Pedro Arrupe, preposito generale della Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983. Nel periodo in cui «era missionario in Giappone», durante un viaggio alla ricerca di offerte per la sua missione, ricevette l’invito da una importante si-
gnora che voleva fare una donazione. La donna non lo ricevette in privato, ma volle consegnare la sua busta davanti ai «giornalisti che facevano la fotografia». Faceva cioè «suonare la tromba». Padre Arrupe, ha ricordato il Pontefice, raccontò di aver «sofferto una grande umiliazione» e di averla sopportata solo per il bene dei «poveri del Giappone, per la missione». Una volta tornato a casa, aprì la busta e scoprì che in essa «c’erano dieci dollari». Se il cuore non cambia, ha commentato Papa Francesco, l’apparenza non conta nulla. E ha così concluso la sua omelia: «Oggi ci farà bene pensare com’è la mia fede, com’è la mia vita cristiana: è una vita cristiana di cosmesi, di apparenza o è una vita cristiana con la fede operosa nella carità?». Ognuno potrà, «davanti a Dio», fare il suo esame di coscienza. E «ci farà bene farlo».
La relazione post disceptationem presentata dal cardinale Erdő lunedì mattina è «è un documento di lavoro, che riassume gli interventi e il dibattito della prima settimana, e ora è proposto alla discussione dei membri del Sinodo riuniti nei circoli minori, secondo quanto prevede il regolamento del Sinodo stesso». La puntualizzazione della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi è contenuta in una dichiarazione resa questa mattina, martedì 14 ottobre, dal direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, durante un briefing al quale hanno preso parte anche i cardinali Filoni e Fox Napier, moderatori di due dei dieci circoli minori al lavoro in questi giorni sul testo della relazione. La precisazione si è resa necessaria, è stato sottolineato, «in seguito alle reazioni e discussioni» suscitate dopo la pubblicazione del documento, «le è stato spesso attribuito un valore che non corrisponde alla sua natura». I risultati della discussione dei circoli minori — ha ricordato in proposito padre Lombardi — verranno presentati all’assemblea nel corso della congregazione generale di giovedì mattina. Ed è previsto che la sintesi del loro lavoro venga resa pubblica, in modo che emerga chiaramente il legame tra le relazioni che hanno preceduto e seguito la discussione, la riflessione dei circoli minori e la Relatio Synodi che verrà presentata a Papa Francesco. Da parte loro i due porporati hanno confermato che nell’ambito dei circoli minori procede spedito il dibattito sul documento, con osservazioni e proposte che esprimono i diversi punti di vista. «Noi stiamo lavorando — ha assicurato in particolare il cardinale Filoni — per mettere nelle mani del Papa un risultato su cui egli stesso deciderà in vista del Sinodo del 2015».