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L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
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Città del Vaticano
domenica 19 ottobre 2014
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Concludendo la terza assemblea
straordinaria del sinodo il Papa beatifica Giovanni Battista Montini
Nella comunione dei santi
Una luce che brilla e riscalda
di LUCETTA SCARAFFIA n questi mesi, finalmente, Paolo VI è tornato al centro di studi, riflessioni, commenti: quasi tutta questa abbondante produzione si concentra però sugli anni del pontificato, e soprattutto sul suo ruolo nel concilio. Non si possono ovviamente sminuire la decisiva importanza di Papa Montini e la necessità di questo lavoro di ricerca e di interpretazione storica, ma il rischio è che passino in secondo piano la statura spirituale e la capacità di riflessione di un uomo che fu anche vero scrittore. Un piccolo libro che raccoglie i suoi Scritti spirituali (Studium) ci restituisce invece, in poche intense pagine, la dimensione interiore di un cristiano che ha saputo riflettere e osservarsi fin dagli anni giovanili, e che ha dedicato attenzione e amore al tempo in cui è vissuto. Il suo sguardo verso la modernità infatti è sempre profondo, e mai negativo. Se nel suo tempo individua una mancanza — «noi moderni abbiamo perduto la virtù della contemplazione. Siamo abili a leggere, a pensare, a parlare; ma non sappiamo farlo senza aderire pesantemente alle immagini sensibili» — subito cerca di trovare un modo di rovesciare di segno questa stessa mancanza: «Ma se potessi interpretare con i miei occhi miopi di moderno, con i miei occhi avidi di moderno, l’alfabeto materiale dello spirito immateriale, la gioia tornerebbe, la fiducia». Montini riconosce nell’egocentrismo, frutto di un individualismo senza limiti, il più grave problema del suo tempo: la tendenza a fare della religione una pura esperienza spirituale. In questo modo — scrive — ognuno mira a costruirsi una religione individuale, in contrapposizione a quella della Chiesa e, «invece dell’infallibilità del papa», proclama «quella della propria capacità emotiva». Da questo stato diffuso di eccitazione riemerge, e torna «di moda», un antico peccato, «così antico che nessuno più non solo sapeva commettere, ma neppure spiegarsi», cioè «l’idolatria», fissata «oggi in sentimenti propri, con un’indebita appropriazione dell’assoluto». La sua idea di fede è moderna e dinamica: «Chi Tu sia, lo so nel moto: man mano che la mente pensa alla natura di Dio, sostare non può», perché «Dio è conoscibile ma è ineffabile». Montini è tuttavia ben consapevole che nella cultura moderna si è imposta l’idea che solo il dubbio sia fonte di moto, mentre invece «è la certezza che muove e che feconda lo spirito». Se la via facile dell’emozione, del sentimento, è preclusa al cristiano, Montini sa però quanto questo rigore sia difficile: «Ma che Dio in me, il Dio della Rivelazione e della Grazia, ancora resti nascosto, questo mi è duro comprendere». Si tratta tuttavia di una sofferenza che deve essere accettata, perché la legge suprema del regno di Dio «è di cercare Dio, e non noi; anzi, di cercarlo mortificandoci». Ricco di consigli per crescere nella vita spirituale a partire dalla propria esperienza, arriva a sintetizzare in poche parole il dovere di un vero cristiano: «Molto aderenti e molto indifferenti alle proprie occupazioni bisogna essere». Perché l’uomo spirituale deve vivere consapevolmente nel proprio tempo: «Bisogna avere l’intelligenza delle cose, degli uomini, dei fatti; bisogna saper leggere nei segni dei tempi; bisogna dal libro passare alla vita senza perdere l’esercizio del pensiero». Nell’amore intelligente per il suo tempo, nell’adempimento rigoroso e attento della propria missione, egli traccia il modello che poi seguirà durante il suo pontificato e che apparirà chiaro in tutto il suo splendore negli ultimi scritti, quando Paolo VI riflette con parole profonde e nuove sulla morte. Qui egli, passando da una meditazione valida per tutti gli esseri umani a quella specifica sul suo ruolo di Papa, rivela in poche dense frasi quale immenso amore per la Chiesa, in tutti i suoi aspetti, abbia guidato il suo operare. «Prego pertanto il Signore — scrive — che mi dia grazia di fare della mia prossima morte dono d’amore alla Chiesa (…) Vorrei finalmente comprenderla in tutta la sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici, e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità. Corpo mistico di Cristo. Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla. Anche perché non la lascio (…) la morte è un progresso nella comunione dei santi».
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Pubblicato il messaggio alle famiglie «Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse una casa con la porta sempre aperta nell’accoglienza, senza escludere nessuno». A ricordarlo sono i padri del Sinodo dei vescovi nel nuntius, il consueto messaggio reso noto sabato mattina, 18 ottobre, durante la quattordicesima e penultima congregazione generale dell’assemblea straordinaria dedicata alla famiglia. Nel testo — che è stato approvato con una larghissima maggioranza dai presenti in aula — il sinodo esprime riconoscenza «ai pastori, fedeli e comunità pronti ad accompagnare e a farsi carico delle lacerazioni interiori e sociali delle coppie e delle famiglie». Ma assicura «ammirazione e gratitudine» anche «a tutte le famiglie dei diversi continenti e in particolare a quelle che seguono Cristo via, verità e vita» per «la testimonianza quotidiana» offerta alla Chiesa e al mondo. I padri riconoscono che nella vita familiare «si sperimentano luci ed ombre, sfide esaltanti, ma talora anche prove drammatiche». E «l’oscurità — specificano — si fa ancora più fitta fino a diventare tenebra, quando si insinua nel cuore stesso della fa-
miglia il male e il peccato». Il messaggio fa riferimento, in particolare, alle sfide della fedeltà, alle crisi matrimoniali, alle sofferenze, alle difficoltà economiche e alla povertà, alle ferite provocate da guerre, violenze, abusi, sfruttamento, migrazioni. «Facciamo appello — affermano i vescovi — ai governi e alle organizzazioni internazionali di promuovere i diritti della famiglia per il bene comune». Il sinodo invita anche a rivolgere lo sguardo verso «la luce che a sera splende dietro le finestre nelle case: essa brilla e riscalda corpi e anime». Una luce che «si accende con l’incontro», perché «l’amore dell’uomo e della donna — riconoscono i padri — ci insegna che ognuno dei due ha bisogno dell’altro per essere se stesso, pur rimanendo diverso dall’altro nella sua identità, che si apre e si rivela nel dono vicendevole». Da qui l’invito ad aprirsi al dono della vita, all’educazione alla fede, alla condivisione con gli altri, nella consapevolezza che «il vertice che raccoglie e riassume tutti i fili della comunione con Dio e col prossimo è l’Eucaristia domenicale». E proprio per questo, spiegano i sinodali, «nella prima tappa del nostro cammino abbiamo riflettuto sull’accompagnamento pastorale e sull’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati». PAGINA 7
NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto in udienza, nel pomeriggio di venerdì 17, Sua Eccellenza la Signora Park Geunhye, Presidente della Repubblica di Corea, e Seguito. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Nguyên Tân Dũng, Primo Ministro della Repubblica socialista del Vietnam, e Seguito. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi metropolitana di Malta, presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Paul Cremona
O.P.,
in conformità al canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.
Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Perpignan-Elne (Francia) l’Eccellentissimo Monsignore Norbert Turini, finora Vescovo di Cahors. Il Santo Padre ha nominato nuovi Membri della Pontificia Commissione Biblica ed ha rinnovato il mandato di altri del passato quinquennio. Detta Commissione per il quinquennio 2014-2019 risulta composta dai seguenti Membri: Reverendi Knut Backhaus (Repubblica Federale di
Udienza alla presidente della Repubblica di Corea
Nel pomeriggio di venerdì 17 ottobre Papa Francesco ha ricevuto in udienza, nello studio dell’Aula Paolo VI, Sua Eccellenza la Signora Park Geun-hye, presidente della Repubblica di Corea, e seguito.
Germania), Padre Pietro Bovati, S.I. (Italia), Suor Nuria Calduch Benages, M.N. (Spagna), Eduardo Córdova González (Messico); Professoressa Bruna Costacurta (Italia); Reverendi Monsignor Pierre Debergé (Francia), Juan Miguel Díaz Rodelas (Spagna), Luís Henrique Eloy e Silva (Brasile), Padre Francolino Gonçalves, O.P. (Portogallo), Adrian Graffy (Gran Bretagna); Professoressa Mary E. Healy (Stati Uniti d’America); Reverendi John Chijioke Iwe (Nigeria), Thomas Manjaly (India), Hugo Orlando Martínez Aldana (Colombia), Levente Balázs Martos (Ungheria), Jean-Bosco Matand Bulembat (Repubblica Democratica del Congo),
Fearghus Ó Fearghail (Irlanda), Johan Yeong-Sik Pahk (Corea), Eleuterio Ramón Ruiz (Argentina), Henryk Jozef Witczyk (Polonia). Il Santo Padre ha nominato Membri Ordinari della Pontificia Accademia delle Scienze gli Illustrissimi Professore Yves Coppens, Docente di paleoantropologia e preistoria al Collège de France di Parigi (Francia), e Professoressa Ada E. Yonath, Docente di biochimica e Direttore dell’Helen and Milton A. Kimmelman Center for Biomolecular Structure and Assembly del Weizmann Institute of Science di Rehovot (Israele).
Ricevuto il primo ministro della Repubblica socialista del Vietnam Papa Francesco ha ricevuto in udienza sabato mattina, 18 ottobre, il primo ministro della Repubblica Socialista del Vietnam, Nguyên Tân Dũng. Successivamente, il primo ministro si è incontrato con il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, accompagnato dall’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. Nel corso dei cordiali colloqui si è espresso compiacimento per l’odierno incontro, che segna un’importante tappa nel processo di rafforzamento delle relazioni tra Santa Sede e Vietnam, essendo questa la seconda visita che il primo ministro Dũng compie in Vaticano dopo quella del 2007. È stato messo in rilievo l’impegno della Chiesa a contribuire allo sviluppo del Paese, grazie alla sua presenza in vari settori a beneficio dell’intera società. In tale contesto è stato ribadito vivo apprezzamento per il sostegno dato dalle autorità alla comunità cattolica nel quadro degli sviluppi sanciti dalla Costituzione del 2013 in materia di politica religiosa, come anche per l’assistenza fornita al rappresentante pontificio non-residente della Santa Sede in Vietnam nello svolgimento della sua missione, volta alla promozione dei rapporti tra Chiesa e Stato in vista anche del comune obbiettivo delle relazioni diplomatiche. Ci si è quindi soffermati su alcune questioni che si auspica saranno
approfondite e risolte attraverso i canali di dialogo esistenti. Si è, infine, proceduto a uno scambio di opinioni su alcuni temi di attualità regionale e internazionale, con particolare riferimento alle iniziative volte a promuovere la pace e la stabilità nel continente asiatico.
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domenica 19 ottobre 2014
Primi soccorsi a un ragazzo nella capitale della Liberia (Ansa)
Prove di disgelo tra Putin e Poroshenko
Mosca e Kiev più vicine ma senza accordo KIEV, 18. Le prove di disgelo tra Russia e Ucraina a margine del vertice tra Europa e Asia (Asem) a Milano — lasciato sullo sfondo il conflitto che continua nonostante la tregua firmata il 5 settembre scorso — si sono concentrate, con esiti incerti, sul dossier delle forniture di gas. In attesa della trilaterale Russia-Ucraina-Ue in programma il 21 ottobre a Bruxelles, i negoziati si sono conclusi ieri sera con una promessa e un’apertura del presidente russo, Vladimir Putin, a Kiev ma dai risvolti minacciosi per l’Unione europea. Il leader del Cremlino ha infatti prima garantito all’Ucraina il metano «almeno per il periodo invernale». Poi ha anche rivisto al ribasso il debito di Kiev per le forniture non pagate, portandolo dai 5,3 miliardi di dollari, finora rivendicati da Gazprom, a 4,5. Ma il problema,
La scure di Moody’s si abbatte sulla Russia MOSCA, 18. La crisi non fa sconti alla Russia. L’agenzia di rating statunitense Moody’s ha deciso ieri di tagliare di un gradino la valutazione su Mosca a BAA2 da BAA1. L’outlook resta negativo. A pesare è proprio la crisi ucraina e le sanzioni internazionali imposte contro la Russia, oltre all’erodersi delle riserve di valuta estera in seguito alla fuga di capitali. «Il downgrade — si legge nella nota dell’agenzia — è legato ai danni di lungo termine che la già debole economia della Russia si troverà probabilmente ad affrontare come risultato della crisi in corso in Ucraina e delle sanzioni imposte». L’agenzia sottolinea inoltre che la crisi avrà un impatto macroeconomico negativo crescente sul clima degli investimenti in Russia. «Già prima della crisi in Ucraina, il potenziale di crescita era calato per le carenze nelle infrastrutture e nell’istruzione».
La città di Matera capitale europea della cultura ROMA, 18. Sarà Matera la città italiana designata a ricoprire il ruolo di Capitale europea della Cultura per il 2019. «È stata un’esperienza formidabile non solo per le città candidate, ma per tutto il Paese» ha dichiarato ieri il ministro dei Beni e delle attività culturali italiano, Dario Franceschini, aggiungendo che «questa è la strada virtuosa da percorrere, con progetti finalmente pensati a lungo termine». Proprio nell’ottica di favorire non solo la cultura ma anche la consapevolezza nei cittadini europei di far parte di un unico, grande patrimonio culturale, anche il presidente della giuria Steve Green ha tenuto a sottolineare il buon esito di tutta l’operazione: «Le sei città candidate hanno instaurato ottimi rapporti, in un modo eccellente, come non si era mai verificato prima». È importante «che le città non nominate non si scoraggino, ma continuino a lavorare» ha concluso Green.
ha sottolineato il presidente russo, è che Kiev non ha i soldi per onorare neanche le bollette precedenti e quindi dovranno essere i loro amici europei a saldare il conto. «Riteniamo che i nostri partner europei, la Commissione Ue, possano e debbano dare una mano all’Ucraina a risolvere questo problema», ha detto Putin, aggiungendo che l’unica certezza è che la Russia non fornirà più gas a credito a Kiev. Sulla stessa linea l’amministratore delegato di Gazprom, Alexei Miller, che ha chiarito come “la palla” per risolvere la crisi ucraina sia ora nel cortile di Bruxelles. Miller ha reso noto che l’Ucraina ha accettato tutti i termini delle richieste per risolvere il dossier delle forniture di gas, incluso il prezzo di 385 dollari per mille metri cubi, su cui finora Kiev aveva tenuto duro, pretendendo la stessa somma di 268,5 dollari pagata durante la presidenza del filorusso Viktor Ianukovich. Miller ha chiarito che l’unico problema, non di poco conto, è che le casse di Kiev sono vuote. Sul fronte opposto il presidente ucraino, Petro Poroshenko, ha visto il bicchiere mezzo vuoto: «Non siamo riusciti a raggiungere alcun risultato pratico sul gas, ma pensiamo di trovare una soluzione prima dell’incontro a Bruxelles del 21 ottobre». Sul fronte del conflitto armato che prosegue sottotraccia ci sarebbe anche un impegno ad applicare pienamente il memorandum di Minsk che ha sancito la tregua nell’est e a tenere elezioni nella regione di Donetsk sulla base della legge ucraina. Su questa tregua ripetutamente violata sia da Kiev che dai separatisti, Putin ha annunciato che «Mosca ha raggiunto un accordo con Francia, Germania e Italia» per usare droni per voli di ricognizione sui confini delle regioni orientali. Gli accordi sul processo di pace in Ucraina ci sono, «il problema principale è attuarli», ha detto ieri Poroshenko al termine dell’incontro con Putin, durato quasi un’ora. Gli elementi chiave degli accordi di pace sono, per quanto riguarda il cessate il fuoco, «il suo monitoraggio e la verifica dell’effettività, con la partecipazione degli osservatori dell’Osce». In un primo momento verranno dispiegati dei droni forniti da Francia e Germania. Ma mentre Putin ha definito “buono” il vertice di Milano sull’Ucraina, il cancelliere tedesco, Angela Merkel, non ha potuto «identificare alcuna apertura» da parte di Mosca nel corso dei colloqui. «Con Putin lo scopo è trovare una soluzione», ha aggiunto. «Parleremo ancora», ha detto il cancelliere durante una conferenza stampa. Secondo Angela Merkel, «il punto centrale è l’integrità dell’Ucraina» insieme alle elezioni convocate dai separatisti. Bisogna trovare «un modo per cui si possa concordare la possibilità di tenere elezioni nella regione di Donetsk secondo il diritto ucraino».
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Allarme per i rischi di contagio
L’ebola si combatte in Africa PARIGI, 18. La battaglia contro l’ebola va combattuta in Africa occidentale, dove l’epidemia resta ancora fuori controllo, ma a ostacolare un’efficace e concorde azione internazionale in questo senso contribuisce l’attenzione prioritaria data ai relativamente bassissimi rischi nei Paesi fuori dal continente, compresi quelli dove sono stati registrati casi di contagio. È questa l’opinione del presidente della Banca mondiale, Jim Yong Kim, secondo il quale il mondo sta perdendo la battaglia contro l’ebola a causa di una man-
canza di solidarietà globale, oltre a non comprendere la minaccia che l’epidemia rappresenta per l’economia mondiale. «Credo che il mondo ancora non abbia capito quale sia il rischio, non solo per l’economia dell’Africa occidentale, ma per l’economia globale, e stiamo ancora perdendo la battaglia», ha affermato Jim Yong Kim ieri a Parigi in una conferenza stampa congiunta con il presidente francese François Hollande e i vertici del Fondo monetario internazionale, dell’Organizzazione per la coopera-
zione e la sicurezza in Europa e di altre istituzioni multilaterali. Jim Yong Kim ha chiesto ai Paesi occidentali di smetterla di «pensare solamente ai propri confini» e impegnare più persone e risorse nella battaglia contro il virus, là dove questa va combattuta. «Nonostante un grande sforzo, abbiamo iniziato così tardi che ci vorrà un’ulteriore spinta», ha aggiunto il presidente della Banca mondiale, che tra l’altro è medico ed è stato in passato impegnato nell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), oltre ad aver
fondato la Partners in Health, un’organizzazione non governativa attiva sempre nel campo della salute. L’epidemia di ebola ha causato 4.555 morti su 9.216 casi di contagio in sette diversi Paesi, secondo gli ultimi dati diffusi dall’Oms. Il Paese più colpito rimane la Liberia, con 4.264 casi accertati e 2.484 decessi. In Guinea, da dove ha avuto origine l’epidemia, ci sono stati 1.519 casi e 862 decessi, mentre in Sierra Leone sono stati rispettivamente 3.410 e 1.200. In Nigeria si sono verificati venti casi e otto decessi, ma la fine dell’epidemia potrebbe essere dichiarata il 20 ottobre se non si registreranno altri contagi, così come è avvenuto venerdì scorso per il Senegal, dove sono trascorsi 42 giorni (il doppio del tempo di incubazione del virus) senza altri casi di infezione oltre il primo e unico paziente accertato, poi guarito. Altri due casi sono stati registrati negli Stati Uniti, quello di un liberiano, poi deceduto, che ha sviluppato la malattia contratta in patria una volta arrivato in Texas, e quello di un’infermiera che lo aveva curato e che è a sua volta attualmente sotto cura. Il settimo Paese dove il virus si è manifestato è la Spagna, anche in questo caso su un’infermiera che lo ha contratto da un paziente rimpatriato dall’Africa.
Nuove violenze tra gruppi rivali nel nord del Mali
Oltre cento miliziani di Boko Haram uccisi dall’esercito del Camerun
Notizie contraddittorie sulle studentesse nigeriane rapite YAOUNDÈ, 18. L’esercito del Camerun ha inflitto una dura sconfitta ai miliziani di Boko Haram sconfinati dalla Nigeria. Lo ha riferito ieri il Governo camerunense, nelle stesse ore nelle quali da quello nigeriano giungevano notizie contraddittorie sulla vicenda delle oltre duecento studentesse rapite sei mesi fa da Boko Haram a Chibok, nello Stato nordorientale del Borno. Il portavoce dei servizi di sicurezza nigeriani, Mike Omeri, ha infatti smentito che sia stato raggiunto un accordo per il loro rilascio. Un annuncio in questo senso — e più in generale di un accordo di cessate il fuoco con il gruppo fondamentalista islamico — era venuto poco prima dal capo di stato maggiore dell’esercito, Alex Badeh, ed era stato confermato da Hassan Tukur, primo segretario della presidenza federale. In Camerun, intanto, il ministero della Difesa ha comunicato che 107 combattenti di Boko Haram e otto soldati sono stati uccisi in combattimenti nella regione settentrionale del Paese incuneata tra il Ciad e appunto il nord-est della Nigeria. Non è la prima volta che le truppe camerunensi di stanza nelle aree lungo i 1700 chilometri di frontiera comune con la Nigeria si trovano a fronteggiare attacchi di Boko Haram, che cerca di allargare il proprio raggio d’azione oltre il territorio nigeriano
dove ha le proprie roccaforti, appunto nel Borno, ma anche negli Stati limitrofi dell’Adamawa e dello Yobe. Nei giorni scorsi, comunque, Boko Haram — dopo una trattativa che, secondo fonti concordi, aveva visto impegnato il Governo del Ciad — aveva rilasciato 27 ostaggi, tra i quali dieci lavoratori cinesi, oltre al-
la moglie del vice primo ministro camerunense Amadou Ali, catturati il 16 maggio a Waza e il 27 luglio a Kolofata. Si tratta di due località vicine appunto al confine con la Nigeria, in particolare alla foresta di Simbisa, nel Borno, dove si ritiene che i miliziani di Boko Haram abbiano le basi principali.
Torna a riunirsi il Parlamento del Lesotho MASERU, 18. Il Parlamento del Lesotho è tornato a riunirsi ieri nella capitale Maseru per la prima volta dopo che il premier Thomas Thabane, lo scorso 30 agosto, aveva denunciato un tentativo di colpo di Stato. Secondo Thabane, il tentativo era stato organizzato dal suo vice, Mothejoa Metsing, con il sostegno di reparti dell’esercito, ai quali si erano contrapposte le forze di polizia rimaste invece fedeli allo stesso Thabane. Alla seduta ha assistito il vicepresidente del Sud Africa, Cyril Ramaphosa, mediatore di un’intesa che prevede appunto la ripresa dei lavori parlamentari
come tappa in vista di elezioni anticipate nel prossimo febbraio. La riunione del Parlamento è stata presieduta dal re del Lesotho, Letsie III, mentre all’esterno dell’edificio stazionavano blindati della polizia sudafricana, a conferma di una ancora accesa tensione. Il compromesso sul voto anticipato è stato raggiunto grazie alle pressioni della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe e in particolare appunto del Governo sudafricano, per mettere fine alla crisi nel piccolo regno, posto all’interno del territorio sudafricano.
BAMAKO, 18. Non s’interrompono le violenze nel nord del Mali, dove non meno di sette persone sono state uccise nelle ultime ore in scontri a fuoco nella località di N’Tilit, nei pressi della città di Gao, tra gruppi armati legati a comunità rivali. Secondo quanto riferito dalla Minusma, la missione dell’Onu, a fronteggiarsi sono da giovedì pomeriggio combattenti del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) e unità del cosiddetto Gruppo di autodifesa tuareg imghad e alleati, una formazione ritenuta vicina non solo al Movimento arabo dell’Azawad (Maa), ma anche al generale dell’esercito maliano Elhaj Ag Gamou. Tanto l’Mnla quanto il Maa sono impegnati nei negoziati di pace in corso ad Algeri tra il Governo di Bamako e i gruppi armati radicati nel nord del Mali, negoziati sul cui esito positivo diversi osservatori nutrono forti dubbi. La ripresa delle violenze a N’Tilit segue di pochi giorni i sanguinosi attacchi sferrati contro la Minusma il 3 e il 7 ottobre quando furono uccisi rispettivamente nove caschi blu nigeriani a Gao e uno senegalese a Kidal, in quelli che il Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva definito crimini di guerra.
Primo sì a Westminster al referendum sulla permanenza in Europa LONDRA, 18. Ha ricevuto ieri il primo sì alla Camera dei Comuni il testo di legge per il referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea. 283 parlamentari su 650 si sono pronunciati a favore del testo. Il provvedimento è stato sostenuto in forze dai conservatori, mentre non hanno partecipato alla votazione laburisti e libdem. Il testo va così avanti nell’iter legislativo in cui però — sottolineano i commentatori — potrebbe rischiare di arenarsi, come già accaduto a una precedente proposta presentata dal conservatore James Wharton all’inizio dell’anno: dopo aver ottenuto il placet della Camera dei Comuni, il testo era stato bocciato dalla Camera dei Lord.
Il premier britannico conservatore David Cameron (Reuters)
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Inoltre, sul voto incombono le elezioni politiche in programma per il maggio del 2015. Il premier David Cameron ha promesso che il referendum si terrà entro il 2017. Cameron ha dichiarato che «la Gran Bretagna dovrebbe restare parte della Ue, ma questo solo se la Ue cambierà dall’interno promuovendo riforme per essere più democratica e trasparente». All’inizio del 2013, quando lanciò la proposta, il leader dei Tories dichiarò: «Voglio che l’Unione europea sia un successo. E voglio un futuro in cui la Gran Bretagna abbia una parte attiva e impegnata. Se non affrontiamo le sfide, il pericolo è che l’Europa fallisca e che i britannici scivolino via verso l’uscita».
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domenica 19 ottobre 2014
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Un curdo siriano nei pressi della zona del confine con la Turchia (Afp)
L’offensiva contro gli islamisti
A Bengasi si combatte casa per casa TRIPOLI, 18. La Libia è ormai ridotta a un teatro di guerra e la comunità internazionale fatica ad avviare un processo di riconciliazione per trovare una soluzione politica alla crisi. Oltre ai violenti scontri in corso a Tripoli, la battaglia principale si svolge a Bengasi, nell’est del Paese. Ieri un attentatore suicida si è fatto saltare in aria con un’autobomba a un posto di blocco eretto da cittadini ostili alle milizie islamiche, uccidendo quattro persone e ferendone diverse altre. L’attentatore ha preso di mira abitanti del quartiere centrale di Boudhima che avevano istituito il posto di blocco insieme a soldati governativi. Ma, nonostante quest’ultimo episodio, la vittoria a Bengasi «è vicina». Se ne è detto sicuro il generale Khalifa Haftar, che guida le forze anti-islamiste, mentre in città si combatte casa per casa, anche nei quartieri centrali roccaforte dei fondamentalisti di Ansar Al Sharia. Ieri si sono registrati almeno diciotto morti tra le fila dei miliziani e delle forze di Haftar sostenute dall’esercito fedele al Parlamento eletto il 25 giugno scorso. È quindi rimasto inascoltato l’appello per un cessate il fuoco lanciato dalla Croce rossa libica, «per liberare le decine di famiglie intrappolate». La città, culla della rivolta dei ribelli anti-Gheddafi, è ormai in piena emergenza umanitaria. Scarseggiano i viveri, e i combattimenti impediscono l’arrivo dei rifornimenti. I residenti raccontano che impossibile uscire per fare scorte, ed è perfino difficile trovare carburante. I jihadisti di Ansar Al Sharia, che hanno preso la città in estate dopo aver costretto alla ritirata le forze di Haftar, hanno terrorizzato la popolazione con una scia di assassinii e rapimenti mirati. Utilizzando anche ambulanze: «Quando ne passa una non sai se è per rapirti o un attacco suicida», ha raccontato un testimone. Miliziani di Ansar Al Sharia hanno lanciato un’ambulanza e un camion in un attacco suicida contro l’aeroporto, giorni fa, facendo strage tra i militari. Che però, successivamente, sono riusciti a respingere l’assalto, l’ennesimo in oltre un mese. Il 15 ottobre Haftar aveva annunciato una vasta controffensiva per liberare Bengasi. Lo stesso Haftar è sbarcato all’indomani nella base aerea di Benina, accanto all’aeroporto, saldamente in mano ai suoi soldati. Ma nel resto della città si continua a combattere. E in un nuovo appello, l’ex generale ha chiesto ai giovani libici delle varie formazioni anti-jihadiste di Bengasi di non vendicarsi e di non lanciare rappresaglie.
Due ostaggi tedeschi liberati nelle Filippine
Secondo l’opposizione siriana il gruppo islamista dispone di aerei da combattimento
Resta forte la minaccia dell’Is DAMASCO, 18. Il cosiddetto Stato islamico (Is) che cerca di imporre il proprio controllo su vaste parti di territorio in Iraq e in Siria appare in queste ore sulla difensiva, ma la sua capacità militare e la sua minaccia restano alte. Tra l’altro, secondo fonti dell’opposizione siriana, l’Is avrebbe ora a disposizione anche aerei da combattimento. Sarebbe infatti in possesso di tre caccia Mig catturati all’aviazione siriana a est di Aleppo e disporrebbe di piloti iracheni, disertori dall’aviazione di Baghdad. Le notizie in questione, comunque, non hanno avuto conferme né dai Governi di Damasco e di Baghdad, né dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti e impegnata nei raid aerei contro le milizie jihadiste. «Non siamo a conoscenza di nessuna operazione aerea dell’Is in Siria o altrove», è stato il commento di Lloyd Austin, del comando statunitense, che ieri ha riferito sugli sviluppi della situazione sui fronti iracheno e siriano. Secondo Austin, la priorità nella lotta contro l’Is resta il fronte iracheno, mentre i bombardamenti nel nord della Siria, dove i difensori curdi della città di Kobane sembrano aver respinto l’of-
fensiva dei miliziani islamisti, puntano a distruggere le linee di approvvigionamento del nemico. In Iraq, però, l’Is ha lanciato ieri un’offensiva su due fronti contro Ramadi, il capoluogo della provincia di Al Anbar, nella quale continua ad assediare anche la località di Ameriya, ad appena quaranta chilometri dalla capitale Baghdad. Da parte sua, il comando dell’aviazione irachena ha comunicato che almeno cinquanta combattenti islamisti sono stati uccisi dai suoi raid nella zona industriale di Sharqat, a nord di Baiji, nell’area a cavallo tra le province di Ninive e Salah Al Din, dove i combattimenti sono fortemente aumentati di intensità nelle ultime ore. Per quanto riguarda la propaganda jihadista, ieri è stato il gruppo yemenita Al Qaeda nella Penisola arabica a chiamare alla mobilitazione per «attaccare l’America economicamente e militarmente» in sostegno ai «combattenti in Iraq e Siria» bombardati dalla coalizione. L’Aqpa ha lanciato online un appello in questo senso «a tutti i musulmani», contro i quali a suo dire sarebbe diretta l’azione della coalizione internazionale.
Violenti scontri nello Yemen
A tale propaganda si oppongono in tutto il mondo le iniziative delle comunità musulmane dalle quali giungono inequivocabili condanne dell’Is e di altri gruppi terroristici, la cui brutale azione è considerata incompatibile con l’appartenenza all’islam. Un incontro nel quale è stata ribadita con forza questa posizione è stato organizzato ieri nella moschea di Roma dal Centro islamico culturale d’Italia. All’incontro è intervenuta la presidente della Camera dei deputati italiana, Laura Boldrini, la quale ha ricordato che l’Is «non è solo una minaccia per l’Occidente, è una minaccia per il mondo intero, ma soprattutto per il mondo musulmano». Vittime del terrorismo del gruppo islamista sono infatti non solo gli esponenti delle minoranze etniche e religiose delle regioni nelle quali agisce, ma soprattutto i civili musulmani. Proprio per questo, a giudizio della presidente della Camera, va contrastata l’inaccettabile, generica e ingiusta propaganda contro le comunità musulmane praticata da molti in Occidente. Propaganda alla quale contribuiscono a rispondere incontri come quello di ieri a Roma.
Erdoğan in visita a Kabul KABUL, 18. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, è giunto oggi a Kabul per incontrare il capo di Stato afghano, Ashraf Ghani, e il premier Abdullah Abdullah. Erdoğan è una delle prime personalità internazionali a recarsi nella capitale afghana dopo l’investitura di Ghani lo scorso 29 settembre. Al centro dei colloqui — sottolineano fonti vicine alla presidenza turca — ci sarà in primo luogo la questione della sicurezza in Afghanistan. Ankara fa parte dell’Isaf, la coalizione internazionale a guida Nato, con un contingente di 393 soldati. L’esercito turco dovrebbe inoltre
Operazione antiterrorismo in Tunisia
Silva sostiene Neves in vista del ballottaggio
TUNISI, 18. Alla vigilia delle elezioni legislative in programma il 26 ottobre in Tunisia si susseguono le operazioni delle forze dell’ordine nei confronti dei terroristi. Il ministero dell’Interno ha reso noto ieri — come riferisce l’agenzia Ansa — che unità specializzate della Guardia nazionale hanno proceduto a Gabes all’arresto di Alaeddine Tahri, uno dei terroristi più ricercati del Paese, e di altri componenti del gruppo estremista sequestrando anche armi e munizioni, tra cui una granata. A Bizerta, invece, le forze dell’ordine hanno smantellato una cellula terroristica di sette persone facente capo a Houcine Abbasiya specializzata in furti a case e rapine destinate a finanziare le attività criminali del gruppo.
BRASILIA, 18. Prima apparizione pubblica di Marina Silva a fianco di Aécio Neves, dopo la sconfitta al primo turno delle presidenziali brasiliane. I due leader politici hanno registrato insieme, ieri, uno spot elettorale a San Paolo. Marina Silva, che era stata in corsa nel primo turno per il Partito socialista, nei giorni scorsi aveva già formalizzato il proprio sostegno al candidato conservatore in vista del ballottaggio che il prossimo 26 ottobre lo vedrà contrapporsi al capo di Stato uscente, Dilma Rousseff, esponente del Partito dei lavoratori. «Bisogna avere l’umiltà di capire che qualcosa di grandioso non si fa solo per un gruppo, un partito o una persona», ha dichiarato Marina Silva accanto a Neves.
Ribelle sciita a un checkpoint nella capitale San’a (Reuters)
SAN’A, 18. È di almeno venti morti il bilancio di violenti scontri tra combattenti tribali sunniti e ribelli sciiti nel sud-ovest dello Yemen. Secondo responsabili locali, hanno perso la vita dodici ribelli sciiti huthi e otto membri delle tribù sunnite. I combattimenti si sono verificati in alcuni quartieri della città di Ibb, conquistata da estremisti sunnuti legati ad Al Qaeda nella penisola arabica nei giorni scorsi. Intanto, il principale oleodotto yemenita è stato attaccato dalle tribù locali che hanno interrotto la fornitura di greggio. Le condutture
per il gas e il petrolio nel Paese sono state più volte sabotate, in particolare in seguito alle proteste antigovernative del 2011. Gli attentati sono tesi a ottenere concessioni da parte del Governo, come posti di lavoro e la liberazione di prigionieri. Attraverso l’oleodotto di Marib scorrono 70.000 barili di petrolio al giorno. La conduttura trasporta il greggio dai campi nel centro dello Yemen al terminal petrolifero Ras Isa sul Mar Rosso. Prima dell’ondata di attentati tre anni fa, nella conduttura di 435 chilometri passavano 110.000 barili al giorno.
partecipare alla missione di assistenza e formazione alle forze afghane in programma per il 2015, ovvero dopo il ritiro definitivo delle truppe dell’Isaf, previsto per il dicembre 2014. La Turchia — affermano gli analisti — è anche uno dei principali candidati a giocare un ruolo di primo piano nelle trattative tra il Governo di Kabul e i gruppi talebani. Dal 2007, inoltre, si tiene periodicamente ad Ankara una trilaterale tra Turchia, Afghanistan e Pakistan per discutere di questioni regionali legate alla sicurezza.
MANILA, 18. Per i due ostaggi tedeschi, un medico di 72 anni e una donna di 55, rapiti nelle Filippine dal gruppo terrorista Abu Sayyaf, l’incubo è finito ieri. Poche ore dopo la scadenza dell’ultimatum, che ha tenuto la Germania con il fiato sospeso. A confermare che i due velisti rapiti ad aprile sono finalmente al sicuro è stato il ministero degli Esteri tedesco, che aveva mandato sul posto un suo inviato. «Siamo sollevati di poter confermare che i due tedeschi non sono più nelle mani dei rapitori», ha detto una portavoce, sottolineando che la coppia è stata affidata a un delegato dell’ambasciata tedesca. La notizia dell’avvenuta liberazione era stata data in precedenza da un portavoce di Abu Sayyaf che aveva confermato l’avvenuto versamento del riscatto di 4,37 milioni di euro da parte del Governo tedesco.
Nuovi disordini tra manifestanti e polizia a Hong Kong HONG KONG, 18. La polizia ha arrestato 26 manifestanti nei nuovi scontri scoppiati questa mattina a Hong Kong dopo che gli studenti hanno nuovamente occupato un accampamento nel quartiere di Mong Kok sgombrato poche ore prima e teatro di proteste che durano da oltre tre settimane. Gli agenti hanno usato spray urticanti e manganelli per disperdere la folla che si faceva scudo con gli ombrelli. Quindici poliziotti sono rimasti leggermente feriti nella terza notte consecutiva di disordini nell’ex colonia britannica, dopo due settimane di relativa calma. Il capo della polizia, Andy Tsang, ha spiegato che i suoi uomini erano stati inizialmente tolleranti verso la protesta nella speranza che i manifestanti «si calmassero» ma ha lamentato che al contrario si sono resi responsabili di «atti ancora più radicali e violenti». In piazza sabato sono scesi circa 9.000 giovani manifestanti che continuano a chiedere una riforma della legge elettorale. Ora a causa di questi nuovi scontri è anche a rischio l’avvio dei negoziati dopo che il Governo di Hong Kong, guidato da Leung Chun Ying, ha aperto la porta al dialogo.
Il presidente messicano promette chiarezza sul caso degli studenti scomparsi CITTÀ DEL MESSICO, 18. «L’obiettivo più importante, per cui ho convocato il gabinetto di sicurezza, in questo momento è trovare i giovani studenti». Il presidente del Messico, Enrique Peña Nieto, ha voluto mandare un messaggio molto chiaro a un Paese sempre più mobilitato e preoccupato per la sorte dei 43 studenti scomparsi dallo scorso 26 settembre a Iguala, nello Stato meridionale di Guerrero. Risolvere il caso — ha detto il capo dello Stato — «che ci richiede maggiore attenzione e in cui siamo quotidianamente coinvolti, è una grande sfida per tutto il Messico». Il presidente ha parlato in occasione della marcia di protesta ad Acapulco organizzata dal Coordinamento statale dei lavoratori dell’istruzione e dai compagni degli stessi ragazzi scomparsi. Intanto, le autorità messicane hanno annunciato di aver arrestato
uno dei massimi esponenti della gang di narcotrafficanti Guerreros Unidos accusata del sequestro degli studenti. Secondo gli inquirenti, la cattura di Sidronio Casarrubias dovrebbe permettere di accertare cosa sia accaduto veramente ai giovani, di cui non si hanno più notizie da circa tre settimane. L’annuncio dell’arresto — eseguito a un posto di blocco lungo la superstrada tra Città del Messico e Toluca — è arrivato poche ore dopo la manifestazione ad Acapulco. Nei giorni scorsi un altro capo della banda, Benjamin Mondragon, si era ucciso dopo esser stato circondato dalla polizia nello Stato centrale di Morelos. Le autorità ritengono che il gruppo di narcotrafficanti abbia operato insieme ad alcuni agenti corrotti della polizia municipale. Trentasei agenti sono stati arrestati finora.
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L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 19 ottobre 2014
domenica 19 ottobre 2014
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Montini secondo Montini
Spiritus veritatis Nel 1931 Montini stende alcune note che prendono il titolo da un versetto del vangelo di Giovanni. Sono vere e proprie direttive di vita articolate in quattro punti (“che cosa”, “perché”, “in che modo”, “per chi e con chi”), che circolano come bozze di stampa tra pochissimi amici. docebit vos omnem veritatem (Giovanni 16, 13)
Quid LA
DIRETTIVA MORALE
Voglio che la mia vita sia una testimonianza alla verità per imitare così Gesù Cristo, come a me si conviene. (Giovanni 18, 37). Intendo per testimonianza la custodia, la ricerca, la professione della verità. Intendo per verità l’adesione ad ogni intelligibile realtà: Dio quindi somma e prima Verità, che in Sè sussiste Padre, Figlio, Spirito; ed ogni cosa che in me e fuori di me può essere oggetto di conoscenza e di espressione, e per ogni luce a me concessa, dalla natura e dalla grazia, può essere posseduto, goduto e manifestato dal mio spirito. Con questo proposito voglio dare uno specifico significato morale alla mia vita e voglio per questa via cercare la mia perfezione spirituale e la mia salute eterna, in conformità alla preghiera di Gesù per i suoi discepoli: «Santificali nella verità: la tua Parola è verità». (Giovanni 18, 17). Questo proposito deve rimanere caro segreto della mia coscienza, e valido solo di fronte a Dio e ad essa. L’esercizio del pensiero acquista così per me una somma importanza morale. Devo amare il silenzio, l’attenzione, il metodo, l’orario per rendere proficuo e virtuoso lo studio. Non devo dissipare in vane letture il tempo e lo spirito; ma cercare di sceglierle bene; con criterio conveniente per una larga coltura, ma con or-
Fratelli lontani, perdonateci
scere con sufficiente esattezza ed ampiezza la dottrina cristiana. Ma tutto ciò per illuminare e sorreggere, non per sostituire o inceppare lo studio che mi sono scelto come ramo della mia competenza; perché devo dare alla mia preparazione professionale le migliori fatiche intellettuali, vincendo l’indolenza dilettantista per precisare un campo di studio e di lavoro. Questo proposito di serietà deve tradursi anche in una sincera probità scientifica ed in una misurata critica dell’opera mia, così che nè fretta, nè vanità mi tentino ad immature affermazioni e pubblicazioni; ma nello stesso tempo deve anche infondermi il coraggio e l’umiltà per tendere a qualche conclusivo risultato di mia ed altrui utilità e per far fruttare quanto meglio possibile i talenti intellettuali che Dio mi ha dato.
Dopo una preparazione di quasi due anni, nel novembre 1957 si svolge la Missione di Milano, che l’arcivescovo Montini presenta anche ai «fratelli lontani». Uno scopo principale ha la Missione, quello di far ascoltare un’autentica parola religiosa ai fratelli lontani. I Lontani sono legione: quelli che non vengono in Chiesa; quelli che non pregano più e che non credono più; quelli che hanno la coscienza triste per qualche peccato, o insensibile per le troppe faccende profane; quelli che disprezzano la Chiesa e che bestemmiano Dio; quelli che si credono bravi e sicuri, perchè non pensano più alla religione, al paradiso e all’inferno. Quanti! Quali vuoti nella comunità dei fratelli! Quale solitudine, talvolta, nella casa di Dio. Quanta pena, quanta attesa per chi ama i lontani come figli lontani! Se una voce si potesse far loro pervenire la prima sarebbe quella di chiedere loro amichevolmente perdono. Sì, noi a loro; prima che loro a Dio. Quando si avvicina un lontano, non si può non sentire un certo rimorso. Perchè questo fratello è lontano? Perchè non è stato abbastanza amato. Non è stato abbastanza curato, istruito, introdotto nella gioia della fede. Perchè ha giudicato la fede dalle nostre persone, che la predicano e la rappresentano; e dai nostri difetti ha imparato forse ad aver a noia, a disprezzare, a odiare la religione. Perchè ha ascoltato più rimproveri, che ammonimenti ed inviti. Perchè ha intravisto, forse, qualche interesse inferiore nel nostro ministero, e ne ha patito scandalo.
Quomodo LA
DIRETTIVA SPIRITUALE
Questo programma di vita esige ch’io abbia intensità ed unità spirituali intimamente cristiane, superiori alla comune maniera di chi semplicemente si dice credente e praticante. Eppure nessuna regola, nessuna aggiunta straordinaria distingua la mia vita cristiana dalla sua forma normale ed essenziale. Anzi una sola nota mi sia straordinaria, e cioè un particolare amore a ciò che è essenziale e comune nella vita spirituale cattolica. Così avrò la Chiesa Madre di carità: la sua Liturgia sarà la regola preferita per la mia spiritualità religiosa; la parrocchia il luogo preferito per la mia preghiera; la riverenza al Parroco, al Vescovo, al Papa, l’espressione concreta del mio omaggio alla carità e all’unità e della mia rinuncia all’egoismo e al particolarismo. Mi sia quindi caro che alla mia educazione spirituale presiedano la semplicità dei dogmi fondamentali della fede e l’armonia della costituzione unitaria della Chiesa, bastando e sovrabbondando alla mia pietà, per esser vivace e verace, la fortuna di appartenere semplicemente, ma direttamente al seguito di Cristo, e di partecipare, con l’adesione al suo Corpo mistico, ai suoi meriti, alla sua storia, alla sua gloria. Nutrirò la mia anima della sapienza e del gaudio di qualche pia meditazione, almeno settimanale, ispirandola principalmente alle letture liturgiche del tempo, al Vangelo o ad altri scritti della Bibbia, o a quelli di qualche grande savio cristiano; e spingerò abitualmente così in alto i desideri della mia anima da rendermi connaturale bisogno l’esercizio della preghiera. Per ricordare tutti questi impegni ed alimentare questo spirito procurerò (senza farmene stretto obbligo), di recitare nei giorni festivi, in unione a tutta la Chiesa orante, una o due delle Ore Canoniche dell’Ufficio divino (per es., le Lodi, Prima, Vespro, Compieta). E cercherò l’opportunità di raccogliermi, possibilmente ogni anno, in un breve ritiro spirituale.
dine e con intento di profittare, per qualche verso, di tutte. Un deciso vigore applicherò per tenere libera la mente da dubbi futili, da abbandoni pessimisti, da fantasmi impuri, da intenzioni astute, doppie, egoiste, da pigrizia di ricerca e di riflessione. Invece procurerò di seguire le ispirazioni felici, di sviluppare i buoni pensieri, di conservare e far fruttificare le certezze sperimentate. Con occhio pio e puro cercherò in ogni verità particolare riflessi della Verità prima, e non lascerò definitivamente posare ed esaurirsi il desiderio di sapere nell’indagine terrestre; ma manterrò agile alla mente lo slancio per un abituale allargarsi ed innalzarsi in Dio, profittando, ove mi siano concessi, dei doni dello Spirito Santo. La disciplina morale che intendo seguire non aggiunge obblighi nè impone vincoli particolari a quelli inerenti al mio stato.
Cur LA
DIRETTIVA INTELLETTUALE
Intento della disciplina morale che mi prefiggo, oltre quello della mia personale perfezione, è di contribuire all’incremento della vera e buona cultura. Per quanto sarà possibile all’indole del mio lavoro, cercherò di promuovere lo studio di cose religiose. Convinto della provvidenziale missione confidata al magistero della Chiesa cattolica nelle cose divine e necessarie alla salvezza umana, coltiverò in me la passione della fedeltà alla Chiesa, come Maestra di verità, e con umile ed intelligente comprensione cercherò di appropriarmi la sapienza vitale degli imperituri insegnamenti di essa. Qualunque sia dunque l’ordine dei miei studi, amerò la letteratura che raccoglie il pensiero tradizionale della Chiesa. S. Agostino e S. Tommaso avranno da me venerazione particolare. Mi farò precetto di cono-
Docile all’invito della verità da conquistare, devo esserlo anche all’invito della verità da propagare. Non mi basti essere un fedele; mi sia doveroso essere un apostolo. Perciò amerò. Amerò ancora innanzitutto la verità confidatami da Dio, chiedendo a Lui la grazia di difenderla, senza esitazioni, restrizioni, compromessi, e di professarla, scevra da esibizioni, con pura libertà e cordiale fortezza di spirito, e di mostrarmi sempre coerente, nel pensiero, nella parola, nell’azione. Ma gli altri non si accorgano facilmente di questa interiore offerta alla verità, e solo s’avvedano che i miei rapporti con essi sono sempre improntati ad una grande umiltà, ad una grande bontà. Ed anche: ad una grande sincerità. Una primitiva sincerità di linguaggio e di modi deve essere riflesso esteriore dell’energia con cui voglio interiormente servire il vero. Poi mi studierò di esercitare qualche opera di carità anche materiale, e di essere normalmente calmo e cortese, ed anche, a tempo debito, lietamente socievole. E per quanto lo consentirà il raccoglimento dello studio, vedrò di favorire la diffusione della verità negli altri. Determinerò quale possa essere per me la forma migliore per far ciò, accordandola possibilmente con lo stesso ordine dei miei studi e senza soverchio scapito della libertà ch’essi reclamano. La cattedra, la stampa, l’opera d’arte, la conferenza, la corrispondenza, il consiglio e sempre l’amicizia, e poi ogni altra forma di comunicazione con gli altri, potranno essere, a ragion veduta, un dovere per me; dovere, che una volta prefisso, adempirò volentieri e con disinteresse. Se incontrerò altri che come me siano impegnati dalla stessa offerta interiore, li avrò carissimi e ne gradirò l’amicizia, aggiungendo ad altre eventuali già esistenti relazioni una particolare dilezione, intesa ad avvalorare i comuni propositi. Nei limiti del giusto e del possibile, procurerò anche di aiutare la loro attività scientifica e di sostenerli nelle loro necessità professionali. Se mai sorgesse con queste amicizie un gruppo omogeneo, esso non costituirà associazione, bastando all’unione degli intenti e degli animi i vincoli consueti della carità della Chiesa. Si studierà piuttosto con quali iniziative si possa insieme contribuire all’incremento degli studi e alla mutua consolazione ed edificazione. Maria, sede della Sapienza, mi aiuti a mantenere questi propositi.
no, voi sappiate che non vi respingiamo, ma vi chiamiamo. Vogliamo che voi, uomini, come noi bisognosi d’essere perdonati e salvati da Dio, non ci abbiate a rimproverare: perché non ci avete invitati? perché ci avete chiuse le porte? perché non ci avete fatto capire qualche cosa del nostro vero destino e della vostra fortuna? Per questo, una volta almeno, lealmente, come amici, vi invitiamo. Venite alla Missione ed ascoltateci. Che cosa diremo? Le solite cose? sì, ma le conoscete? permetteteci di dubitarne, perchè se le conosceste, ne sareste entusiasti. Sono cose vecchie? dite piuttosto sono cose eterne, cioè sempre vere, sempre vive, sempre attuali. Ed è proprio il progresso moderno a mettere in evidenza, a chi la sa scorgere, questa perenne vitalità del Vangelo. Sono cose difficili? ma sono belle e indispensabili. Ogni scienza è difficile; se anche quella di Dio lo è, non c’è da meravigliarsi; ma Cristo ha rivestito il suo messaggio, pieno di profondità e di mistero, del mantello regale della semplicità: tutti lo possono ascoltare, e in qualche modo capire. Sono cose inutili? no: sono utili come l’aria, come il pane. L’aria ed il pane servono alla vita del corpo; ma l’anima ha bisogno di respirare la Verità, ha bisogno di nutrirsi di Cristo: Egli è la via, la verità, la vita. Sono cose troppo gravi e impegnative? Può darsi, perchè non sono superflue o estranee alla nostra coscienza, ma vi entrano come luce, come forza. Sì, hanno la potenza di rigenerare la nostra vita; di rifarla buona ed onesta; di darle coraggio e pazienza; d’infonderle fame di giustizia e di amore. Perchè non le ascoltate? Perchè non siete interiormente liberi? ma vincolati da una inconfessata pigrizia, o piegati da qualche immonda passione, o paralizzati da qualche puntiglio di orgoglio, o intimiditi da chi vi guarda, e chiacchiera e ride di voi? Se siete liberi, se siete
onesti, dovete anche essere abbastanza forti e indipendenti per venire e per ascoltare. Ascoltare, non altro. Come gente seria ed educata, non altro. Volete un saggio? Ecco ciò che si legge nel gran Libro: «Presto va’ per le piazze e per le vie della città e conduci qua poveri, storpi, ciechi e zoppi... – È stato fatto come Tu hai ordinato, ma c’è ancora posto... – Va’ per le strade e lungo le siepi, e spingi la gente ad entrare, affinchè la mia casa sia piena». (Luca 14, 21-24). Questo disse Cristo, in linguaggio figurato, per amore ai lontani.
Come una confidenza del cuore Dopo il testamento, datato 30 giugno 1965, la meditazione sulla morte torna in uno scritto privato di pochi mesi dopo. Pensiero alla morte
Pro et cum quibus LA DIRETTIVA SO CIALE
I lontani spesso sono gente male impressionata di noi, ministri della religione; e ripudiano la religione, perchè la religione coincide per essi con la nostra persona. Sono spesso più esigenti, che cattivi. Talora il loro anticlericalismo nasconde uno sdegnato rispetto alle cose sacre, che credono in noi avvilite. Ebbene, se così è, fratelli lontani, perdonateci. Se non vi abbiamo compreso, se vi abbiamo troppo facilmente respinti, se non ci siamo curati di voi, se non siamo stati bravi maestri di spirito e medici delle anime, se non siamo stati capaci di parlarvi di Dio come si doveva, se vi abbiamo trattato con l’ironia, con il dileggio, con la polemica, oggi vi chiediamo perdono. Ma ascoltateci. Innanzi tutto: voi non ci conoscete. Non conoscete, almeno, il nostro ministero. Noi non lavoriamo per noi, lavoriamo per voi. Siamo stati mandati per il vostro bene, per la vostra salvezza. Provate a conoscerci. Pensate che anche noi, almeno come uomini, abbiamo una «coscienza professionale». Questa ci obbliga a volervi bene. Se siamo talvolta importuni, si è che voi ci state massimamente a cuore; dobbiamo cercarvi, dobbiamo curarci di voi, dobbiamo fare ogni sforzo, perchè non restiate privi del dono di verità e di salvezza che noi abbiamo per voi nelle nostre mani. Dobbiamo amarvi. Vi trattiamo da nemici? No, da nemici nostri, non mai. Forse come nemici di Dio, di Cristo, della sua Chiesa, cioè da avversarii alla nostra missione: sì, può essere; anzi, così è; perchè voi ci obbligate ad assumere tale infelice posizione, ci obbligate a difendere la nostra missione, la Verità del Vangelo, la santità della Chiesa. Ma comprendeteci questa volta: non vi siamo ostili per partito preso, non vi disprezziamo, non desideriamo umiliarvi, non desideriamo profittare della vostra desiderata conversione. Vogliamo che, questa volta alme-
1 – Tempus resolutionis meae instat (2 Tim. 4, 6) Certus quod velox est depositio tabernaculi mei (2 Petr. 1, 14) Finis venit, venit finis (Ez. 2, 7) Questa ovvia considerazione sulla precarierà della vita temporale e sull’avvicinarsi inevitabile e sempre più prossimo della sua fine si impone. Non è saggia la cecità davanti a tale immancabile sorte, davanti alla disastrosa rovina che porta con sé, davanti alla misteriosa metamorfosi che sta per compiersi nell’essere mio, davanti a ciò che si prepara. Vedo che la considerazione prevalente si fa estremamente personale: io, chi sono? che cosa resta di me? dove vado? e perciò estremamente morale: che cosa devo fare? quali sono le mie responsabilità? e vedo anche che rispetto alla vita presente è vano avere speranze; rispetto ad essa si hanno dei doveri e delle aspettative funzionali e momentanee; le speranze sono per l’al di là. E vedo che questa suprema considerazione non può svolgersi in un monologo soggettivo, nel solito dramma umano che al crescere della luce fa crescere l’oscurità del destino umano; deve svolgersi a dialogo con la Realtà divina, donde vengo e dove certamente vado; secondo la lucerna che Cristo ci pone in mano per il grande passaggio. Credo, o Signore. L’ora viene. Da qualche tempo ne ho il presentimento. Più ancora che la stanchezza fisica, pronta a cedere ad ogni momento, il dramma delle mie responsabilità sembra suggerire come soluzione provvidenziale il mio esodo da questo mondo, affinché la Provvidenza possa manifestarsi a trarre la Chiesa a migliori fortune. La Provvidenza ha, sì, tanti modi d’intervenire nel gioco formidabile delle circostanze, che stringono la mia pochezza; ma quello della mia chiamata all’altra vita pare ovvio, perché altri subentri più valido e non vincolato dalle presenti difficoltà. Servus inutilis sum. Ambulate dum lucem habetis (Jo. 12, 35) Ecco: mi piacerebbe, terminando, d’essere nella luce. Di solito la fine della vita temporale, se non è oscurata da infermità, ha una sua fosca chiarezza: quella delle memorie, così belle, così attraenti, così nostalgiche, e così chiare ormai per denunciare il loro passato irricuperabile e per irridere al loro disperato richiamo. Vi è la luce che svela la delusione d’una vita fondata su beni effimeri e su speranze fallaci. Vi è quella di oscuri e ormai inefficaci rimorsi. Vi è quella della saggezza che finalmente intravede la vanità delle cose e il valore della virtù che doveva caratterizzare il corso della vita: vanitas vanitatum. Quanto a me vorrei avere finalmente una nozione riassuntiva e sapiente sul mondo e sulla vita: penso che tale nozione dovrebbe esprimersi in rico-
noscenza: tutto era dono, tutto era grazia; e com’era bello il panorama attraverso il quale si è passati; troppo bello, tanto che ci si è lasciati attrarre ed incantare, mentre doveva apparire segno e invito. Ma, in ogni modo, sembra che il congedo debba esprimersi in un grande e semplice atto di riconoscenza, anzi di gratitudine: questa vita mortale è, nonostante i suoi travagli, i suoi oscuri misteri, le sue sofferenze, la sua fatale caducità, un fatto bellissimo, un prodigio sempre originale e commovente, un avvenimento degno d’essere cantato in gaudio e in gloria: la vita, la vita dell’uomo! Né meno degno d’esaltazione e di felice stupore è il quadro che circonda la vita dell’uomo: questo mondo immenso, misterioso, magnifico, questo universo dalle mille forze, dalle mille leggi, dalle mille bellezze, dalle mille profondità. È un panorama incantevole. Pare prodigalità senza misura. Assale, a questo sguardo quasi retrospettivo, il rammarico di non aver osservato quanto meritavano le meraviglie della natura, le ricchezze sorprendenti del macrocosmo e del microcosmo. Perché non ho studiato abbastanza, esplorato, ammirato la stanza nella quale la vita si svolge? Quale imperdonabile distrazione, quale riprovevole superficialità! Tuttavia, almeno in extremis, si deve riconoscere che quel mondo, qui per Ipsum factus est, è stupendo. Ti saluto e ti celebro all’ultimo istante, sì, con immensa ammirazione; e, come si diceva, con gratitudine: tutto è dono; dietro la vita, dietro la natura, l’universo, sta la Sapienza; e poi, lo dirò in
questo commiato luminoso, (Tu ce lo hai rivelato, o Cristo Signore) sta l’Amore! La scena del mondo è un disegno, oggi tuttora incomprensibile per la sua maggior parte, d’un Dio Creatore, che si chiama il Padre nostro che sta nei cieli! Grazie, o Dio, grazie e gloria a Te, o Padre! in questo ultimo sguardo mi accorgo che questa scena affascinante e misteriosa è un riverbero, è un riflesso della prima ed unica Luce; è una rivelazione naturale d’una straordinaria ricchezza e bellezza, la quale doveva essere una iniziazione, un preludio, un anticipo, un invito alla visione dell’invisibile Sole, quem nemo vidit unquam (cfr. Jo. 1, 18): unigenitus Filius, qui est in sinu Patris, Ipse enarravit. Così sia, così sia. Ma ora, in questo tramonto rivelatore un altro pensiero, oltre a quello dell’ultima luce vespertina, presagio dell’eterna aurora, occupa il mio spirito: ed è l’ansia di profittare dell’undicesima ora, la fretta di fare qualche cosa d’importante prima che sia troppo tardi. Come riparare le azioni mal fatte, come ricuperare il tempo perduto, come afferrare in quest’ultima possibilità di scelta l’unum necessarium? Alla gratitudine succede il pentimento. Al grido di gloria verso Dio Creatore e Padre succede il grido che invoca misericordia e perdono. Che almeno questo io sappia fare: invocare la Tua bontà, e confessare con la mia colpa la Tua infinita capacità di salvare. Kyrie eleison; Christe eleison; Kyrie eleison. Qui affiora alla mente la povera storia della mia vita, intessuta, per un verso, dall’ordito di singolari
Giuseppe Macrì, «Paolo
VI
morto»
e innumerevoli benefici, derivanti da un’ineffabile bontà (è questa che, spero, potrò un giorno vedere ed “in eterno cantare”); e, per l’altro, attraversata da una trama di misere azioni, che si preferirebbe non ricordare, tanto sono manchevoli, imperfette, sbagliate, insipienti, ridicole. Tu scis insipientiam meam (Ps. 68, 6). Povera vita stentata, gretta meschina, tanto tanto bisognosa di pazienza, di riparazione, d’infinita misericordia. Sempre mi pare suprema la sintesi di S. Agostino: miseria et misericordia. Miseria mia, misericordia di Dio. Ch’io possa almeno ora onorare Chi Tu sei, il Dio d’infinita bontà, invocando, accettando, celebrando la Tua dolcissima misericordia. E poi un atto, finalmente, di buona volontà: non più guardare indietro, ma fare volentieri, semplicemente, umilmente, fortemente, il dovere risultante dalle circostanze in cui mi trovo, come Tua volontà. Fare presto, fare tutto, fare bene. Fare lietamente: ciò che ora Tu vuoi da me, anche se supera immensamente le mie forze e se mi chiede la vita. Finalmente, a quest’ultima ora. Curvo il capo ed alzo lo spirito. Umilio me stesso ed esalto Te, Dio, “la cui natura è bontà” (S. Leone). Lascia che in questa ultima veglia io renda omaggio, a Te, Dio vivo e vero, che domani sarai il mio giudice, e che dia a Te la lode che più ambisci, il nome che preferisci: sei Padre. Poi io penso, qui davanti alla morte, maestra della filosofia della vita, che l’avvenimento fra tutti più grande fu per me, come lo è per quanti hanno pari fortuna, l’incontro con Cristo, la Vita. Tutto qui sarebbe da rimeditare con la chiarezza rivelatrice, che la lampada della morte dà a tale incontro. Nihil enim nobis nasci profuit, nisi redimi profuisset. Questa è la scoperta del preconio pasquale, e questo è il criterio di valutazione d’ogni cosa riguardante l’umana esistenza ed il suo vero ed unico destino, che non si determina se non in ordine a Cristo: o mira circa nos tuae pietatis dignatio! Meraviglia delle meraviglie, il mistero della nostra vita in Cristo. Qui la fede, qui la speranza, qui l’amore cantano la nascita e celebrano le esequie dell’uomo. Io credo, io spero, io amo, nel nome Tuo, o Signore. E poi ancora mi domando: perché hai chiamato me, perché mi hai scelto? Così inetto, così renitente, così povero di mente e di cuore? Lo so: «quae stulta sunt mundi elegit Deus ... ut non glorietur omnis caro in conspectu eius» (1 Cor 1, 27-28). La mia elezione indica due cose: la mia pochezza; la Tua libertà, misericor-
diosa e potente. La quale non si è fermata nemmeno davanti alle mia capacità di tradirTi: «Deus meus, Deus meus, audebo dicere, ... in quodam aestasis tripudio de Te praesumendo dicam: nisi quia Deus es, iniustus esses, quia peccavimus graviter ... et Tu placatus es. Nos Te provocamus ad iram. Tu autem conducis nos ad misericordiam!» (PL, 40, 1150). Ed eccomi al tuo servizio, eccomi al tuo amore. Eccomi in uno stato di sublimazione, che non mi consente più di ricadere nella mia psicologia istintiva di pover’uomo, se non per ricordarmi la realtà del mio essere, e per reagire nella più sconfinata fiducia con la risposta, che da me è dovuta: amen; fiat; Tu scis quia amo Te. Uno stato di tensione subentra, e fissa un atto permanente di assoluta fedeltà la mia volontà di servizio per amore: in finem dilexit. Ne permittas me separari a Te. Il tramonto della vita presente, che sognerebbe d’essere riposato e sereno, deve essere invece uno sforzo crescente di vigilia, di dedizione, di attesa. È difficile; ma è così che la morte sigilla la meta del pellegrinaggio terreno e fa ponte per il grande incontro con Cristo nella vita eterna. Raccolgo le ultime forze, e non recedo dal dono totale, compiuto, pensando al Tuo: consummatum est. Ricordo il preannuncio fatto dal Signore a Pietro sulla morte dell’apostolo: «amen, amen dico tibi: ... cum ... senueris, extendes manus tuas, et alius te cinget, et ducet quo tu non vis». Hoc autem [Jesus] dixit significans qua morte [Petrus] clarificaturus esset Deum. Et, cum hoc dixisset, dicit ei: «sequere me» (Jo. 21, 18-19). Ti seguo; ed avverto che non posso uscire nascostamente dalla scena di questo mondo; mille fili mi legano alla famiglia umana, mille alla comunità, ch’è la Chiesa. Questi fili si romperanno da sé; ma io non posso dimenticare ch’essi richiedono da me qualche supremo dovere. Discessus pius. Avrò davanti allo spirito la memoria del come Gesù si congedò dalla scena temporale di questo mondo. Da ricordare come Egli ebbe continua previsione e frequente annuncio della sua passione, come misurò il tempo in attesa della “sua ora”, come la coscienza dei destini escatologici riempì il suo animo ed il suo insegnamento, e come dell’imminente sua morte parlò ai discepoli nei discorsi dell’ultima cena; e finalmente come volle che la sua morte fosse perennemente commemorata mediante l’istituzione del sacrificio eucaristico: mortem Domini annuntiabitis donec veniat. Un aspetto su tutti gli altri principale: tradidit semetipsum; la sua morte fu sacrificio; morì per gli altri, morì per noi. La solitudine della morte fu ripiena della presenza nostra, fu pervasa d’amore: dilexit Ecclesiam. (ricordare le mystère de Jésus, di Pascal). La sua morte fu rivelazione del suo amore per i suoi: in finem dilexit. E dell’amore umile e sconfinato diede al termine della vita temporale esempio impressionante (cfr. la lavanda dei piedi) e del suo amore fece
termine di paragone e precetto finale. La sua morte fu testamento d’amore. Occorre ricordarlo. Prego pertanto il Signore che mi dia grazia di fare della mia prossima morte dono d’amore alla Chiesa. Potrei dire che sempre l’ho Floriano Bodini, Immagine ricordo della Missione cittadina a Milano amata; fu il suo (4-24 novembre 1957) amore che mi trasse fuori dal mio gretto e selvatico egoismo e mi avviò al suo servizio; e che per essa, non per altro, mi pare d’aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse; e che io avessi la forza di dirglielo, come una confidenza del cuore, che solo all’estremo momento della vita si ha il coraggio di fare. Vorrei finalmente comprenderla tutta nella sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici, e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità. Corpo mistico di Cristo. Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla. Anche perché non la lascio, non esco da lei, ma più e meglio con essa mi unisco e mi confondo: la morte è un progresso nella comunione dei Santi. Qui è da ricordare la preghiera finale di Gesù (Jo. 17). Il Padre e i miei; questi sono tutti uno; nel confronto col male ch’è sulla terra e nella possibilità della loro salvezza; nella coscienza suprema ch’era mia missione chiamarli, rivelare loro la verità, farli figli di Dio e fratelli tra loro: amarli con l’Amore, ch’è in Dio, e che da Dio, mediante Cristo, è venuto nell’umanità e dal ministero della Chiesa, a me affidato, è ad essa comunicato. O uomini, comprendetemi; tutti vi amo nell’effusione dello Spirito Santo, ch’io, ministro, dovevo a voi partecipare. Così vi guardo, così vi saluto, così vi benedico. Tutti. E voi, a me più vicini, più cordialmente. La pace sia con voi. E alla Chiesa, a cui tutto devo e che fu mia, che dirò? Le benedizioni di Dio siano sopra di te; abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell’umanità; e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo. Amen. Il Signore viene. Amen.
L’OSSERVATORE ROMANO
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domenica 19 ottobre 2014
L’omelia tenuta il 10 agosto 1978 dal cardinale arcivescovo di Monaco e Frisinga
Trasfigurazione di JOSEPH RATZINGER Per quindici anni, nella preghiera eucaristica durante la santa messa, abbiamo pronunciato le parole: «Celebriamo in comunione con il tuo servo il nostro Papa Paolo». Dal 7 agosto questa frase rimane vuota. L’unità della Chiesa in quest’ora non ha alcun nome; il suo nome è adesso nel ricordo di coloro che ci hanno preceduto nel segno della fede e riposano nella pace. Papa Paolo è stato chiamato alla casa del Padre nella sera della festa della Trasfigurazione del Signore, poco dopo avere ascoltato la santa messa e ricevuto i sacramenti. «È bello per noi restare qui» aveva detto Pietro a Gesù sul monte della trasfigurazione. Voleva rimanere. Quello che a lui allora venne negato è stato invece concesso a Paolo VI in questa festa della Trasfigurazione del 1978: non è più dovuto scendere nella quotidianità delPaolo VI la storia. È potuto rimanere lì, dove il Signore siede alla mensa per l’eternità con Mosè, Elia e i tanti che giungono da oriente e da occidente, dal settentrione e dal meridione. Il suo cammino terreno si è concluso. Nella Chiesa d’oriente, che Paolo VI ha tanto amato, la festa della Trasfigurazione occupa un posto molto speciale. Non è considerata un avvenimento fra i tanti, un dogma tra i dogmi, ma la sintesi di tutto: croce e risurrezione, presente e futuro del creato sono qui riuniti. La festa della Trasfigurazione è garanzia del fatto che il Signore non abbandona il creato. Che non si sfila di dosso il corpo come se fosse una veste e non lascia la storia come se fosse un ruolo teatrale. All’ombra della croce, sappiamo che proprio così il creato va verso la trasfigurazione. Quella che noi indichiamo come trasfigurazione è chiamata nel greco del Nuovo Testamento metamorfosi (“trasformazione”), e questo fa emergere un fatto importante: la trasfigurazione non è qualcosa di molto lontano, che in prospettiva può accadere. Nel Cristo trasfigurato si rivela molto di più ciò che è la fede: trasformazione, che nell’uomo avviene nel corso di tutta la vita. Dal punto di vista biologico la vita è una metamorfosi, una trasformazione perenne che si conclude con la morte. Vivere significa morire, significa metamorfosi verso la morte. Il racconto della trasfigurazione del Signore vi aggiunge qualcosa di nuovo: morire significa risorgere. La fede è una metamorfosi, nella quale l’uomo matura nel definitivo e diventa maturo per essere definitivo. Per questo l’evangelista Giovanni definisce la croce come glorificazione, fondendo la trasfigurazione e la croce: nell’ultima liberazione da se stessi la metamorfosi della vita giunge al suo traguardo. La trasfigurazione promessa dalla fede come metamorfosi dell’uomo è anzitutto cammino di purificazione, cammino di sofferenza. Paolo VI ha accettato il suo servizio papale sempre più come metamorfosi della fede nella sofferenza. Le ultime parole del Signore risorto a Pietro, dopo averlo costituito pastore del suo gregge, sono state: «Quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» (Giovanni, 21, 18). Era un accenno alla croce che attendeva Pietro alla fine del suo cammino. Era, in generale, un accenno alla natura di questo servizio. Paolo VI si è lasciato portare sempre più dove umanamente, da solo, non voleva andare. Sempre più il pontificato ha significato per lui farsi cingere la veste da un altro ed essere inchiodato alla croce. Sappiamo che prima del suo settantacinquesimo compleanno, e anche prima dell’ottantesimo, ha lottato intensamente con l’idea di ritirarsi. E possiamo immaginare quanto debba essere pesante il pensiero di non poter più appartenere a se stessi. Di non avere più un momento privato. Di essere incatenati fino all’ultimo, con il proprio corpo che cede, a un compito che esige,
giorno dopo giorno, il pieno e vivo impiego di tutte le forze di un uomo. «Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore» (Romani, 14, 7-8). Queste parole della lettura di oggi hanno letteralmente segnato la sua vita. Egli ha dato nuovo valore all’autorità come servizio, portan-
successo e l’approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità, sulla fede. È per questo che in molte occasioni ha cercato il compromesso: la fede lascia molto di aperto, offre un ampio spettro di decisioni, impone come parametro l’amore, che si sente in obbligo verso il tutto e quindi impone molto rispetto. Per questo ha potuto essere inflessibile e deciso quando la posta in gioco era
impone la berretta cardinalizia a Joseph Ratzinger nel suo ultimo concistoro (27 giugno 1977)
dola come una sofferenza. Non provava alcun piacere nel potere, nella posizione, nella carriera riuscita; e proprio per questo, essendo l’autorità un incarico sopportato — «ti porterà dove tu non vuoi» — essa è diventata grande e credibile. Paolo VI ha svolto il suo servizio per fede. Da questo derivavano sia la sua fermezza sia la sua disponibilità al compromesso. Per entrambe ha dovuto accettare critiche, e anche in alcuni commenti dopo la sua morte non è mancato il cattivo gusto. Ma un Papa che oggi non subisse critiche fallirebbe il suo compito dinanzi a questo tempo. Paolo VI ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente. Ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il
la tradizione essenziale della Chiesa. In lui questa durezza non derivava dall’insensibilità di colui il cui cammino viene dettato dal piacere del potere e dal disprezzo delle persone, ma dalla profondità della fede, che lo ha reso capace di sopportare le opposizioni.
Paolo VI era, nel profondo, un Papa spirituale, un uomo di fede. Non a torto un giornale lo ha definito il diplomatico che si è lasciato alle spalle la diplomazia. Nel corso della sua carriera curiale aveva imparato a dominare in modo virtuoso gli strumenti della diplomazia. Ma questi sono passati sempre più in secondo piano nella metamorfosi della fede alla quale si è sottoposto. Nell’intimo ha trovato sempre più il proprio cammino semplicemente nel«La la chiamata della fede, nella preghiera, nell’incontro con Gesù Cristo. In tal modo è diventato sempre più un uomo di bontà profonda, pura e matura. Chi lo ha incontrato negli ultimi anni ha potuto sperimentare in modo diretto la straordinaria metamorfosi della fede, la sua forza trasfigurante. Si poteva vedere quanto l’uomo, che per sua natura era un intellettuale, si consegnava giorno dopo giorno a Cristo, come si lasciava cambiare, trasformare, purificare da lui, e come ciò lo rendeva sempre più libero, sempre più pro-
Per la morte di Paolo
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Il 10 agosto 1978 il cardinale Joseph Ratzinger, arcivescovo di Monaco e Frisinga, celebrò nella cattedrale del capoluogo bavarese la messa per Paolo VI e tenne un’omelia che fu riprodotta nella «OrdinariatsKorrespondenz» (numero 28, del 14 agosto 1978), il bollettino dell’arcidiocesi. La pubblichiamo in una nostra traduzione.
Trasfigurazione» (vetrata di fratel Eric, chiesa della Riconciliazione, Taizé)
fondo, sempre più buono, perspicace e semplice. La fede è una morte, ma è anche una metamorfosi per entrare nella vita autentica, verso la trasfigurazione. In Papa Paolo si poteva osservare tutto ciò. La fede gli ha dato coraggio. La fede gli ha dato bontà. E in lui era anche chiaro che la fede convinta non chiude, ma apre. Alla fine, la nostra memoria conserva l’immagine di un uomo che tende le mani. È stato il primo Papa a essersi recato in tutti i continenti, fissando così un itinerario dello Spirito, che ha avuto inizio a Gerusalemme, fulcro dell’incontro e della separazione delle tre grandi religioni monoteistiche; poi il viaggio alle Nazioni Unite, il cammino fino a Ginevra, l’incontro con la più grande cultura religiosa non monoteista dell’umanità, l’India, e il pellegrinaggio presso i popoli che soffrono dell’America Latina, dell’Africa, dell’Asia. La fede tende le mani. Il suo segno non è il pugno, ma la mano aperta.
Nella Lettera ai Romani di sant’Ignazio di Antiochia è scritta la meravigliosa frase: «È bello tramontare al mondo per il Signore e risorgere in lui» (II, 2). Il vescovo martire la scrisse durante il viaggio da oriente verso la terra in cui tramonta il sole, l’occidente. Lì, nel tramonto del martirio, sperava di ricevere il sorgere dell’eternità. Il cammino di Paolo VI è diventato, anno dopo anno, un viaggio sempre più consapevole di testimonianza sopportata, un viaggio nel tramonto della morte, che lo ha chiamato a sé nel giorno della Trasfigurazione del Signore. Affidiamo la sua anima con fiducia nelle mani dell’eterna misericordia di Dio affinché egli diventi per lui aurora di vita eterna. Lasciamo che il suo esempio sia un appello e porti frutto nella nostra anima. E preghiamo affinché il Signore ci mandi ancora un Papa che adempia di nuovo il mandato originario del Signore a Pietro: «Conferma i tuoi fratelli» (Luca, 22, 32).
Un rapporto vitale di ENZO BIANCHI Ricordo ancora vivamente il modo in cui Paolo VI proclamava il termine “Cristo”: con voce convinta e vibrante, ripetendolo più volte, quasi in una litania nella quale egli vi accostava definizioni e attributi densissimi. Già in questa espressione, e nello stile con cui la pronunciava, si intuivano tutto l’amore, tutta la fede e tutta la speranza che Paolo VI poneva nel Signore Gesù Cristo. La sua vita spirituale — tutti l’hanno notato — era essenzialmente cristocentrica, perché Cristo, il Figlio di Dio e l’uomo nato da Maria, era al centro di ogni suo pensiero, parola e azione. Restano memorabili le sue parole del 29 settembre 1963, nell’allocuzione di apertura della seconda sessione del concilio, quando volle raffigurarsi nel suo rapporto con Cristo ricorrendo a questa immagine: «Noi sembriamo quasi rappresentare la parte del nostro predecessore Onorio III che adora Cristo, come è raffigurato con splendido mosaico nell’abside della basilica di San Paolo fuori le Mura. Quel pontefice, di proporzioni minuscole e con il corpo quasi annichilito prostrato a terra, bacia i piedi di Cristo, che, dominando con la mole gigantesca, ammantato di maestà come un regale maestro, presiede e benedice la moltitudine radunata nella basilica, che è la chiesa». Questa è veramente l’icona capace di illustrare il rapporto vitale che Paolo VI viveva con il Cristo Signore. Egli aveva un profondo senso di umiltà e di indegnità personale, confessava la sua pochezza e il suo peccato, come Pietro quando disse a Gesù: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore» (Luca, 5, 8). Ma si sentiva anche un suo discepolo chiamato e amato, un successore di Pietro al quale Gesù continuava a chiedere nient’altro che l’amore: «Mi ami tu? … Pasci i miei agnelli» (Giovannni, 21, 15). Quante volte la penna di Paolo VI trascrive le parole di questo brano evangelico in cui Pietro è fatto pastore sull’unico fondamento del suo amore per Cristo! La sera della sua elezione a papa, il 21 giugno 1963, così scrive: «Sono nell’appartamen-
to pontificio: impressione profonda di disa- mensa, silenziosa, discreta ed effettiva simpagio e di confidenza insieme … Il mondo mi tia. Per essere lui noi stessi» (Pasquale Macosserva, mi assale. Devo imparare ad amarlo chi, Paolo VI nella sua parola). Paolo VI aveva un senso fortissimo del pecveramente. La chiesa qual è. Il mondo qual è. Quale sforzo! Per amare così bisogna pas- cato dell’uomo, ma poneva questo peccato sare per il tramite dell’amore di Cristo: mi davanti a Cristo, confidando nella sua miseriami? Pasci! O Cristo, o Cristo! Non permet- cordia e nel suo perdono. Come non ricordatere che io mi separi da te» (testo citato in re la grande preghiera litanica fatta nella baPasquale Macchi, Paolo VI nella sua parola, silica del Santo Sepolcro, durante il suo pellegrinaggio in Terra santa del gennaio 1964: Brescia, Morcelliana, 2014). Cristo era per Paolo VI “il compagno inse- «Siamo qui, Signore Gesù. Siamo venuti coparabile”. Si può dire che lui viveva insieme me i colpevoli che ritornano al luogo del loro a Cristo (cfr. I Tessalonicesi, 5, 10), e tutto ciò che pensava, viveva, decideva, diceva e scriveva, sembra averlo fatto con accanto questa presenza. Segno di questo legame spirituale è anche un piccolo libretto, il Manuale christianum Pubblichiamo la parte centrale della meditazione (Malines, H. Dessain, 1914), condal titolo «Paolo VI, un ritratto spirituale» tenente tra gli altri il Nuovo Teche il priore di Bose ha letto stamento e il De Imitatione Chrinella cattedrale di Brescia il 5 ottobre scorso, sti, che Paolo VI porterà sempre alla presenza del vescovo Luciano Monari. con sé, anche nei viaggi apostoli-
Cristocentrismo
ci, fino al termine della sua vita. Il Cristo in cui egli credeva e che amava era quello dei vangeli, letti con assiduità, meditati e pregati; vangeli certamente anche attualizzati grazie all’aiuto di varie opere su Cristo, in particolare di autori del ‘900, ma soprattutto accostati come richiesto dall’Imitazione di Cristo: attraverso la liturgia e l’ascesi cristiana che impegna a una continua reformatio di se stessi e delle realtà affidate a noi dalla volontà divina. Da tutti gli scritti di Paolo VI si riceve la testimonianza di una sequela sempre più intima di Cristo, che egli sente come Figlio di Dio venuto nel mondo attraverso l’incarnazione, ma per questo «Figlio dell’uomo, … [che] ha raffigurato in sé l’umanità nella sua tragica, immonda, conclusiva realtà: dolore e peccato. L’umanità lebbrosa di tutti i suoi mali, specchio del più spaventoso realismo; ognuno vi si ritrova. Ma perché?… Per far trovare noi stessi in lui; per assumere in sé ogni nostra sofferenza, ogni nostra miseria; per im-
delitto …Tu sei la nostra redenzione e la nostra speranza» (ibidem). Nel 1921, dunque a 24 anni, scriveva: «Desidero vederlo, Gesù, forse presto», e questo “voler vedere Gesù” è la sua ricerca essenziale, il filo conduttore di tutta la sua vita. In uno scritto di dieci anni dopo annota: «Voglio che la mia vita sia una testimonianza alla verità per imitare così Gesù Cristo, come a me si conviene» (cfr. Giovanni, 18, 37). Egli sceglie il nome di Paolo perché — confessa in una nota manoscritta dopo la sua elezione — l’Apostolo era «amoroso di Cristo», amante di Cristo. Durante tutto il pontificato ha sentito rivolte a sé le parole del Signore: «Mi ami? … Pasci i miei agnelli». E nel Pensiero alla morte, il testo (preparatorio al Testamento) che è forse il più espressivo di Paolo VI, esclama in forma di preghiera: «Meraviglia delle meraviglie, il mistero della nostra vita
in Cristo» (Pasquale Macchi, Paolo VI nella sua parola). Il cristocentrismo di Paolo VI è un vivere con Cristo al centro, è un riconoscere Cristo come Signore, è una comunione con un Cristo che è compagno e amante! Cristo, infatti «è il centro della storia e del mondo; egli è colui che ci conosce e che ci ama; egli è il compagno e l’amico della nostra vita» (Manila, omelia del 29 novembre 1970). Davvero — per citare Papa Francesco — «Paolo VI ha saputo testimoniare, in anni difficili, la fede in Gesù Cristo. Risuona ancora, più viva che mai, la sua invocazione: “Tu ci sei necessario o Cristo!” Sì, Gesù è più che mai necessario all’uomo di oggi, al mondo di oggi, perché nei “deserti” della città secolare lui ci parla di Dio, ci rivela il suo volto» (22 giugno 2013). Proprio questo porre Cristo al centro, questo suo decentrarsi, mette in evidenza un tratto fondamentale della vita spirituale di Paolo VI, a cui già si è fatto cenno: la virtù dell’umiltà, che egli cercava di manifestare anche nell’esercizio del ministero petrino. Sono molti i gesti che ne danno testimonianza, ma è sufficiente ricordare la pulsione che Paolo VI sentì prepotente in sé alla fine della concelebrazione che il 14 dicembre 1975, nella Cappella Sistina, ricordava la reciproca abrogazione delle scomuniche tra le chiese di Roma e di Costantinopoli, avvenuta dieci anni prima. Sceso dall’altare, il Papa si avvicinò al metropolita Melitone, inviato del Patriarcato ecumenico, cadde in ginocchio davanti a lui e gli baciò i piedi. Gesto improvviso, di cui nessuno era preavvertito; gesto che sorprese tutti e — dobbiamo ricordarlo — destò critiche al papa. Un noto teologo scrisse, su una rivista arcivescovile, che era miserevole diminuire così il papato davanti a un vescovo ortodosso! Paolo VI aveva nel cuore “passione”, non era affatto un moderato nei sentimenti, e se a volte si esprimeva in modo enfatico – per esempio: «Eccoci dunque in mezzo a voi. Il nostro nome è Pietro» (Ginevra, D iscorso al Consiglio ecumenico delle chiese, 10 giugno 1969) — tuttavia conservava un cuore disponibile all’abbassamento, all’arte della kènosis per amore di Cristo.
L’OSSERVATORE ROMANO
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Nomina episcopale in Francia Il Messaggio dei padri sinodali alle famiglie cristiane e a quelle di tutto il mondo
Una casa con la porta sempre aperta
Pubblichiamo il testo del messaggio della terza assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, approvato nel corso della quattordicesima congregazione generale svoltasi sabato mattina, 18 ottobre. Noi Padri Sinodali riuniti a Roma intorno a Papa Francesco nell’Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, ci rivolgiamo a tutte le famiglie dei diversi continenti e in particolare a quelle che seguono Cristo Via, Verità e Vita. Manifestiamo la nostra ammirazione e gratitudine per la testimonianza quotidiana che offrite a noi e al mondo con la vostra fedeltà, la vostra fede, speranza, e amore. Anche noi, pastori della Chiesa, siamo nati e cresciuti in una famiglia con le più diverse storie e vicende. Da sacerdoti e vescovi abbiamo incontrato e siamo vissuti accanto a famiglie che ci hanno narrato a parole e ci hanno mostrato in atti una lunga serie di splendori ma anche di fatiche. La stessa preparazione di questa assemblea sinodale, a partire dalle risposte al questionario inviato alle Chiese di tutto il mondo, ci ha consentito di ascoltare la voce di tante esperienze familiari. Il nostro dialogo nei giorni del Sinodo ci ha poi reciprocamente arricchito, aiutandoci a guardare tutta la realtà viva e complessa in cui le famiglie vivono. A voi presentiamo le parole di Cristo: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui e cenerò con lui ed egli con me» (Apocalisse 3, 20). Come usava fare durante i suoi percorsi lungo le strade della Terra Santa, entrando nelle case dei villaggi, Gesù continua a passare anche oggi per le vie delle nostre città. Nelle vostre case si sperimentano luci ed ombre, sfide esaltanti, ma talora anche prove drammatiche. L’oscurità si fa ancora più fitta fino a diventare tenebra, quando si insinua nel cuore stesso della famiglia il male e il peccato. C’è, innanzitutto, la grande sfida della fedeltà nell’amore coniugale. Indebolimento della fede e dei valori, individualismo, impoverimento delle relazioni, stress di una frenesia che ignora la riflessione segnano anche la vita familiare. Si assiste, così, a non poche crisi matrimoniali, affrontate spesso in modo sbrigativo e senza il coraggio della pazienza, della verifica, del perdono reciproco, della riconciliazione e anche del sacrificio. I fallimenti danno, così, origine a nuove relazioni, nuove coppie, nuove unioni e nuovi matrimoni, creando situazioni famigliari complesse e problematiche per la scelta cristiana. Tra queste sfide vogliamo evocare anche la fatica della stessa esistenza. Pensiamo alla sofferenza che può apparire in un figlio diversamente abile, in una malattia grave, nel degrado neurologico della vecchiaia, nella morte di una persona cara. È ammirevole la fedeltà generosa di molte famiglie che vivono queste prove con coraggio, fede e amore, considerandole non come qualcosa che viene strappato o inflitto, ma come qualcosa che è a loro donato e che esse donano, vedendo Cristo sofferente in quelle carni malate. Pensiamo alle difficoltà economiche causate da sistemi perversi, dal «feticismo del denaro e dalla dittatura di un’economia senza volto e senza scopo veramente umano» (Evangelii
gaudium, 55), che umilia la dignità delle persone. Pensiamo al padre o alla madre disoccupati, impotenti di fronte alle necessità anche primarie della loro famiglia, e ai giovani che si trovano davanti a giornate vuote e senza attesa, e che possono diventare preda delle deviazioni nella droga o nella criminalità. Pensiamo, pure, alla folla delle famiglie povere, a quelle che s’aggrappano a una barca per raggiungere una meta di sopravvivenza, alle famiglie profughe che senza speranza migrano nei deserti, a quelle perseguitate semplicemente per la loro fede e per i loro valori spirituali e umani, a quelle colpite dalla brutalità delle guerre e delle oppressioni. Pensiamo anche alle donne che subiscono violenza e
ziale dei coniugi, si accende con l’incontro: è un dono, una grazia che si esprime — come dice la Genesi (2, 18) — quando i due volti sono l’uno “di fronte” all’altro, in un “aiuto corrispondente”, cioè pari e reciproco. L’amore dell’uomo e della donna ci insegna che ognuno dei due ha bisogno dell’altro per essere se stesso, pur rimanendo diverso dall’altro nella sua identità, che si apre e si rivela nel dono vicendevole. È ciò che esprime in modo suggestivo la donna del Cantico dei cantici: «Il mio amato è mio e io sono sua... io sono del mio amato e il mio amato è mio», (2, 16; 6, 3). L’itinerario, perché questo incontro sia autentico, inizia col fidanzamento, tempo
Fay Ocampo, «Preghiera in famiglia» (arte filippina)
vengono sottoposte allo sfruttamento, alla tratta delle persone, ai bambini e ragazzi vittime di abusi persino da parte di coloro che dovevano custodirli e farli crescere nella fiducia e ai membri di tante famiglie umiliate e in difficoltà. «La cultura del benessere ci anestetizza e [...] tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo» (Evangelii gaudium, 54). Facciamo appello ai governi e alle organizzazioni internazionali di promuovere i diritti della famiglia per il bene comune. Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse una casa con la porta sempre aperta nell’accoglienza, senza escludere nessuno. Siamo perciò grati ai pastori, fedeli e comunità pronti ad accompagnare e a farsi carico delle lacerazioni interiori e sociali delle coppie e delle famiglie. C’è, però, anche la luce che a sera splende dietro le finestre nelle case delle città, nelle modeste residenze di periferia o nei villaggi e persino nelle capanne: essa brilla e riscalda corpi e anime. Questa luce, nella vicenda nu-
dell’attesa e della preparazione. Si attua in pienezza nel sacramento ove Dio pone il suo suggello, la sua presenza e la sua grazia. Questo cammino conosce anche la sessualità, la tenerezza, la bellezza, che perdurano anche oltre la vigoria e la freschezza giovanile. L’amore tende per sua natura ad essere per sempre, fino a dare la vita per la persona che si ama (cfr. Giovanni, 15, 13). In questa luce l’amore coniugale, unico e indissolubile, persiste nonostante le tante difficoltà del limite umano; è uno dei miracoli più belli, benché sia anche il più comune. Questo amore si diffonde attraverso la fecondità e la generatività, che non è solo procreazione, ma anche dono della vita divina nel battesimo, educazione e catechesi dei figli. È pure capacità di offrire vita, affetto, valori, un’esperienza possibile anche a chi non ha potuto generare. Le famiglie che vivono questa avventura luminosa diventano una testimonianza per tutti, in particolare per i giovani. Durante questo cammino, che è talora un sentiero d’altura, con fatiche e cadute, si ha
sempre la presenza e l’accompagnamento di Dio. La famiglia lo sperimenta nell’affetto e nel dialogo tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle. Poi lo vive nell’ascoltare insieme la Parola di Dio e nella preghiera comune, una piccola oasi dello spirito da creare per qualche momento ogni giorno. C’è quindi l’impegno quotidiano dell’educazione alla fede e alla vita buona e bella del Vangelo, alla santità. Questo compito è spesso condiviso ed esercitato con grande affetto e dedizione anche dai nonni e dalle nonne. Così la famiglia si presenta quale autentica Chiesa domestica, che si allarga alla famiglia delle famiglie che è la comunità ecclesiale. I coniugi cristiani sono poi chiamati a diventare maestri nella fede e nell’amore anche per le giovani coppie. C’è, poi, un’altra espressione della comunione fraterna ed è quella della carità, del dono, della vicinanza agli ultimi, agli emarginati, ai poveri, alle persone sole, malate, straniere, alle altre famiglie in crisi, consapevoli della parola del Signore: «C’è più gioia nel dare che nel ricevere» (Atti degli apostoli, 20, 35). È un dono di beni, di compagnia, di amore e di misericordia, e anche una testimonianza di verità, di luce, di senso della vita. Il vertice che raccoglie e riassume tutti i fili della comunione con Dio e col prossimo è l’Eucaristia domenicale, quando con tutta la Chiesa la famiglia si siede alla mensa col Signore. Egli si dona a tutti noi, pellegrini nella storia verso la meta dell’incontro ultimo quando «Cristo sarà tutto in tutti» (Colossesi, 3, 11). Per questo, nella prima tappa del nostro cammino sinodale, abbiamo riflettuto sull’accompagnamento pastorale e sull’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati. Noi Padri Sinodali vi chiediamo di camminare con noi verso il prossimo sinodo. Su di voi aleggia la presenza della famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe nella loro modesta casa. Anche noi, unendoci alla Famiglia di Nazaret, eleviamo al Padre di tutti la nostra invocazione per le famiglie della terra: Padre, dona a tutte le famiglie la presenza di sposi forti e saggi, che siano sorgente di una famiglia libera e unita. Padre, dona ai genitori di avere una casa dove vivere in pace con la loro famiglia. Padre, dona ai figli di essere segno di fiducia e di speranza e ai giovani il coraggio dell’impegno stabile e fedele. Padre, dona a tutti di poter guadagnare il pane con le loro mani, di gustare la serenità dello spirito e di tener viva la fiaccola della fede anche nel tempo dell’oscurità. Padre, dona a noi tutti di veder fiorire una Chiesa sempre più fedele e credibile, una città giusta e umana, un mondo che ami la verità, la giustizia e la misericordia.
Per un cammino condiviso Alle «sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione», oggetto della riflessione dell’assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi, è dedicato il nuntius, il breve messaggio che i padri hanno inviato alle famiglie di tutto il mondo, e in particolare alle famiglie cristiane, a conclusione delle due settimane di lavoro. Sono parole di «ammirazione e gratitudine per la testimonianza quotidiana» delle famiglie e sintetizzano i temi posti sul tavolo della discussione dall’assemblea, l’ana-
lisi delle difficoltà che la vita familiare sperimenta nella società contemporanea e i possibili campi d’azione pastorale per dare, insieme, delle risposte concrete e per evidenziare quanto di bello la famiglia può annunciare al mondo intero. L’auspicio è quello di un cammino condiviso, e posto sotto la protezione della famiglia di Nazaret, verso il prossimo sinodo in programma nell’ottobre 2015. Il testo, letto in aula dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente della
Gli insegnamenti di Bergoglio su famiglia e vita Famiglia e vita sono due costanti punti di riferimento nella predicazione di Jorge Mario Bergoglio, fin dal periodo del suo ministero episcopale alla guida dell’arcidiocesi di Buenos Aires. Per questo il Pontificio Consiglio per la famiglia ha voluto raccogliere il suo ricco magistero sull’argomento nel volume Gli insegnamenti di Jorge Mario Bergoglio Papa Francesco sulla famiglia e sulla vita 1999-2014 (Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 25 euro, 558 pagine) curato dal capo ufficio del dicastero, il francescano conventuale Gianfranco Grieco. Un’opera che vuole offrire un significativo contributo ai lavori del sinodo straordinario in corso e di quello ordinario in programma nel 2015.
commissione incaricata di redigerlo, è stato votato a maggioranza assoluta dai padri sinodali nella mattinata di sabato 18 ottobre. In aula, alla presenza di Papa Francesco, c’erano al momento della votazione 183 padri e sui 174 che hanno espresso il proprio parere, i placet sono stati ben 158. Non tutte le numerose proposte — ha spiegato il porporato ringraziando i padri sinodali per il coinvolgimento e lo spirito propositivo dimostrati — hanno potuto trovare piena espressione nel messaggio, caratterizzato per sua natura dalla brevità. Alcune è stato possibile solo accennarle nella tematica ma non in maniera distesa e nei dettagli. Le proposte hanno comunque potuto trovare maggiore accoglimento nella stesura più distesa e dettagliata della relatio finale, ha assicurato il cardinale Ravasi. Proprio la lettura della relatio ha aperto questa mattina i lavori dell’assemblea. Dopo la preghiera dell’ora terza e la breve meditazione dell’arcivescovo coadiutore di Thành - Phô Hô Chí Minh, monsignor Paul Bùi Văn Đoc, sul brano della Lettera ai Romani in cui san Paolo afferma «Io non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio
La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Francia.
Norbert Turini vescovo di Perpignan-Elne Nato il 30 agosto 1954 a Cannes, nella diocesi di Nizza, ha compiuto gli studi secondari presso il liceo Carnot di Cannes. Ha quindi intrapreso studi universitari in biologia, concludendoli con il diploma. Entrato nel seminario maggiore interdiocesano di Marsiglia, ha concluso la formazione con la licenza in teologia. Ordinato sacerdote il 27 giugno 1982 per il clero di Nizza, è stato nominato aggiunto al servizio diocesano per le vocazioni (1982-1986), e poi responsabile della casa SaintPaul per studenti cristiani, del servizio diocesano per le vocazioni e dell’anno propedeutico nel seminario (1986-1996), vicario episcopale per la pastorale giovanile (19962000) e nel contempo, dal 1999 al 2000, amministratore della parrocchia Saint-Jean-Baptiste a Nizza. Dal 2000 al 2004 è stato vicario generale della diocesi. Nominato a Cahors il 30 giugno 2004, è stato ordinato vescovo il 10 ottobre successivo. Nella Conferenza episcopale è membro della commissione per i ministri ordinati e i laici in missione ecclesiale.
Nuovi membri della Pontificia Accademia delle Scienze Yves Coppens Nato il 9 agosto 1934 a Vannes, ha studiato fisica, chimica, geologia, zoologia, botanica all’università di Rennes e si è laureato in paleontologia all’università di Parigi-Sorbona. La sua carriera, iniziata nel 1956, si è svolta in diverse istituzioni, tutte a Parigi, in tempi successivi, al Centro nazionale di ricerca scientifica (Cnrs), al museo di storia naturale, dove è stato chiamato alla cattedra di antropologia biologica, al Collegio di Francia, dove è stato chiamato nel 1983 alla cattedra di paleoantropologia e preistoria. Il professor Coppens ha organizzato, diretto o co-diretto molte spedizioni nell’Africa tropicale, in Asia, in Nord e Sud Africa, come pure scavi in Francia. Come risultato delle ricerche sul campo, ha raccolto tonnellate di fossili, centinaia di ominidi, raggiungendo una considerevole quantità di dati. La sua ricerca si è focalizzata su vertebrati fossili, il loro insieme e il loro significato, in paleoambienti, paleoclimi e biocronologia, come pure su ominidi fossili. È autore o co-autore di oltre mille pubblicazioni scientifiche e libri di ricerca o divulgazione ed è membro di varie istituzioni scientifiche in tutto il mondo.
Ada E. Yonath per la salvezza di chiunque crede» (1, 16), tre relatori si sono incaricati di far conoscere il testo scaturito dal lavoro della commissione incaricata: nell’ordine hanno parlato il cardinale Péter Erdő, l’arcivescovo Bruno Forte e il cardinale Raymundo Damasceno Assis. Il documento è stato quindi consegnato a tutti i padri sinodali per una lettura personale approfondita e una riflessione che precederà la votazione di questo pomeriggio. La relatio — ha spiegato il segretario generale del sinodo, il cardinale Lorenzo Baldisseri — sarà votata per singoli punti e sarà possibile esprimere il placet o il non placet. Una volta approvato, il testo definitivo sarà consegnato a Papa Francesco che deciderà se pubblicarlo o meno. In precedenza, sempre alla presenza del Pontefice, nel pomeriggio di venerdì 17 si era svolta la tredicesima congregazione generale. I 178 padri sinodali intervenuti hanno ascoltato la lettura della bozza del nuntius da parte del cardinale Ravasi. Il porporato ha anche illustrato a grandi linee le caratteristiche del
messaggio. Al termine, si è svolta la discussione libera, durante la quale hanno preso la parola 55 padri sinodali indicando variazioni e integrazioni da apportare al messaggio. Il cardinale Baldisseri ha anche informato l’assemblea che Papa Francesco ha offerto ai partecipanti due doni, poi consegnati sabato mattina: si tratta della medaglia ufficiale del secondo anno di pontificato, nell’edizione speciale per il Sinodo dei vescovi, che porta l’iscrizione Familia Christiana Ecclesia Domestica, e del libro Paolo VI. Una biografia, edito dall’Istituto Paolo VI di Brescia in occasione della beatificazione di Papa Montini. Sul volume vi è la dedica di Papa Francesco per ogni destinatario del regalo.
Nata il 22 giugno 1939 a Gerusalemme, nel 1962 si è laureata in chimica, specializzandosi nel 1964 in biochimica presso l’università ebraica di Gerusalemme. Nel 1968 ha conseguito presso il Weizmann Institute of Science di Rehovot (Israele) un’ulteriore specializzazione in cristallografia. È titolare della cattedra di biologia strutturale intitolata a Martin S. e Helen Kimmel e direttore del centro Helen e Milton A. Kimmelman per la struttura biomolecolare del Weizmann Institute of Science. È specializzata in traduzione del codice genetico, struttura e funzione dei ribosomi, modalità d’azione, selettività e resistenza degli antibiotici. La Professoressa Yonath è stata insignita di vari premi e riconoscimenti e ha ricevuto il Premio Nobel per la Chimica nel 2009, per i suoi studi sulla struttura e sulla funzione dei ribosomi. La Professoressa Yonath è anche membro di varie accademie scientifiche internazionali, fra le quali l’Accademia nazionale di scienze degli Stati Uniti d’America, l’Accademia israeliana di scienze e lettere, l’Accademia europea di scienze e arte, l’Accademia internazionale di astronautica (Iaa) e l’Accademia internazionale di microbiologia.
L’OSSERVATORE ROMANO
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Secondogenito di Giorgio e di Giuditta Alghisi, Giovanni Battista Montini nacque a Concesio, un piccolo paese del Bresciano, il 26 settembre 1897. Di famiglia cattolica molto impegnata sul piano politico e sociale, tra il 1903 e il 1915 frequentò le elementari, il ginnasio e parte del liceo nel collegio Cesare Arici, tenuto a Brescia dai gesuiti, concludendo gli studi secondari presso il liceo statale cittadino nel 1916. Nell’autunno di quell’anno entrò nel seminario di Brescia e quattro anni dopo, il 29 maggio 1920, ricevette in cattedrale l’ordinazione sacerdotale dal vescovo Giacinto Gaggia. Dopo l’estate si trasferì a Roma, dove seguì i corsi di filosofia della Pontificia Università Gregoriana e quelli di lettere dell’università statale, laureandosi poi in diritto canonico nel 1922 e in diritto civile nel 1924. Intanto, in seguito a un incontro con il sostituto della Segreteria di Stato Giuseppe Pizzardo nell’ottobre 1921, fu destinato al servizio diplomatico e per alcuni mesi del 1923 lavorò come addetto alla nunziatura apostolica di Varsavia. Entrato nella Segreteria di Stato il 24 ottobre 1924, l’anno dopo vi fu nominato minutante. In quel periodo partecipò da vicino all’attività degli studenti universitari cattolici organizzati nella Fuci, della quale fu assistente ecclesiastico nazionale dal 1925 al 1933. Nel frattempo, agli inizi del 1930, era stato nominato segretario di Stato il cardinale Eugenio Pacelli, di cui egli divenne progressivamente uno dei più stretti collaboratori, finché nel 1937 fu promosso sostituto della Segreteria di Stato. Ufficio che mantenne anche quando a Pacelli — che fu eletto Papa nel 1939 prendendo il nome di Pio XII — successe il cardinale Luigi Maglione, morto nel 1944. Otto anni più tardi, nel 1952 divenne prosegretario di Stato per gli affari ordinari. Fu lui a preparare l’abbozzo dell’estremo ma inutile appello di pace che Papa Pacelli lanciò per radio il 24 agosto 1939, alla vigilia del conflitto mondiale: «Nulla è perduto con la pace! Tutto può esserlo con la guerra».
domenica 19 ottobre 2014
Giovanni Battista Montini
Trento Longaretti «Paolo VI accende il cero pasquale» (Brescia, Collezione d’arte contemporanea Arte e Spiritualità)
Il 1° novembre 1954 gli arrivò inattesa la nomina ad arcivescovo di Milano, dove fece ingresso il 6 gennaio 1955. Alla guida della Chiesa ambrosiana si impegnò a fondo sul piano pastorale, dedicando una speciale attenzione ai problemi del mondo del lavoro, dell’immigrazione e delle periferie, dove promosse la costruzione di oltre cento nuove chiese. Dal 5 al 24 novembre 1957 tenne una capillare «Missione per Milano», sottoscrivendo nell’occasione un significativo «invito» rivolto «ai fratelli lontani». Primo cardinale a ricevere la porpora da Giovanni XXIII, il 15 dicembre 1958, partecipò al concilio Vaticano II, dove sostenne apertamente la linea riformatrice. Morto Roncalli, il 21 giugno 1963 fu eletto Papa e scelse il nome di Paolo,
con un chiaro riferimento all’apostolo evangelizzatore. Nei primi atti del pontificato volle sottolineare in ogni modo la continuità con il predecessore, in particolare con la decisione di riprendere il Vaticano II, che si riaprì il 29 settembre 1963. Condusse i lavori conciliari con attente mediazioni, favorendo e moderando la maggioranza riformatrice, fino alla conclusione avvenuta l’8 dicembre 1965 e preceduta dalla reciproca revoca delle scomuniche intercorse nel 1054 tra Roma e Costantinopoli. Al periodo del concilio risalgono anche i primi tre dei nove viaggi che nel corso del pontificato lo portarono a toccare i cinque continenti (dieci furono invece le visite compiute in Italia): nel 1964 si recò in Terra santa e poi in India, e nel 1965 a New York, dove pronunciò uno storico discorso davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite. In quello stesso anno iniziò una profonda azione di modifica delle strutture del governo centrale della Chiesa, creando nuovi organismi per il dialogo con i non cristiani e i non credenti, istituendo il Sinodo dei vescovi — che durante il suo pontificato tenne quattro assemblee ordinarie e una straordinaria tra il 1967 e il 1977 — e attuando la riforma del Sant’Uffizio. La sua volontà di dialogo all’interno della Chiesa, con le diverse confessioni
e religioni e con il mondo fu al centro della prima enciclica Ecclesiam suam del 1964, seguita da altre sei: tra queste sono da ricordare la Populorum progressio del 1967 sullo sviluppo dei popoli, che ebbe una risonanza molto ampia, e la Humanae vitae del 1968, dedicata alla questione dei metodi per il controllo delle nascite, che suscitò numerose polemiche anche in molti ambienti cattolici. Altri documenti significativi del pontificato sono la lettera apostolica Octogesima adveniens del 1971 per il pluralismo dell’impegno politico e sociale dei cattolici, e l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del 1975 sull’evangelizzazione del mondo contemporaneo. Impegnato nel non facile compito di attuare e applicare le indicazioni emerse dal concilio, impresse un’accelerazione al dialogo ecumenico attraverso incontri e iniziative rilevanti. L’impulso rinnovatore nell’ambito del governo della Chiesa si tradusse poi nella riforma della Curia nel 1967, della corte pontificia nel 1968 e del conclave nel 1970 e nel 1975. Anche nel campo della liturgia svolse una paziente opera di mediazione per favorire il rinnovamento raccomandato dal Vaticano II, senza tuttavia riuscire a evitare le critiche dei settori ecclesiali più avanzati e la tenace opposizione dei conservatori, tra i quali l’arcivescovo francese Marcel Lefebvre, sospeso a divinis nel 1976. Con la creazione di 144 porporati, la maggior parte dei quali non italiani, in sei concistori rimodellò notevolmente il collegio cardinalizio e ne accentuò il carattere di rappresentanza universale. Durante il pontificato sviluppò inoltre
in modo considerevole l’azione diplomatica e la politica internazionale della Santa Sede, adoperandosi in ogni modo per la pace — anche grazie all’istituzione di una apposita giornata mondiale celebrata dal 1968 il 1° gennaio di ogni anno — e proseguendo il dialogo con i Paesi comunisti dell’Europa centrale e orientale (la cosiddetta Ostpolitik) avviato da Giovanni XXIII. Nel 1970, con una decisione senza precedenti, dichiarò dottori della Chiesa due donne, santa Teresa d’Ávila e santa Caterina da Siena. E nel 1975 — dopo il giubileo straordinario tenuto nel 1966 per la conclusione del Vaticano II e l’Anno della fede celebrato tra il 1967 e il 1968 per il diciannovesimo centenario del martirio dei santi Pietro e Paolo — indisse e celebrò un Anno santo. La fase conclusiva del pontificato fu segnata drammaticamente dalla vicenda del sequestro e dell’uccisione del suo amico Aldo Moro, per il quale nell’aprile 1978 indirizzò un appello agli «uomini delle Brigate Rosse» chiedendone invano la liberazione. Il 29 giugno successivo celebrò in San Pietro il quindicesimo dell’elezione. Morì la sera del 6 agosto, nella residenza di Castel Gandolfo, quasi improvvisamente, dopo un giorno di permanenza a letto. Dopo il funerale celebrato il 12 in piazza San Pietro, fu sepolto nella basilica vaticana. L’11 maggio 1993 è stata avviata nella diocesi di Roma la causa di canonizzazione. Il 9 maggio scorso Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle cause dei santi a promulgare il decreto riguardante il miracolo attribuito alla sua intercessione.