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L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO
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Non praevalebunt
Unicuique suum Anno CLIV n. 241 (46.783)
Città del Vaticano
mercoledì 22 ottobre 2014
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Consentito dal Governo turco il passaggio di rinforzi ai difensori di Kobane
Ogni giorno ottocento donne muoiono durante il parto
Soccorso curdo
Madri senza speranza
I miliziani jihadisti dell’Is tentano di guadagnare terreno in Iraq DAMASCO, 21. Nuove strategie, politiche e non solo militari, contro il cosiddetto Stato islamico (Is) sembrano emergere dagli sviluppi della battaglia a Kobane, la città siriana a ridosso della frontiera con la Turchia, dove le milizie peshmerga curde sono alla controffensiva contro quelle jihadiste. Modificando la posizione tenuta finora nell’annosa questione curda, il Governo di Ankara ha annunciato che consentirà il passaggio attraverso la frontiera ai combattenti che intendono portare soccorso ai difensori di Kobane. Non si tratta, però, dei curdi turchi — la cui principale formazione politica, il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), è da tempo fuori legge in Turchia — ma dei peshmerga che già combattono l’Is in Iraq. «Aiuteremo i peshmerga a entrare a Kobane. Stiamo negoziando la questione», ha spiegato il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu. L’annuncio rappresenta un’assoluta novità, dopo che il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, aveva equiparato al Pkk il Partito di unione democratica (Pyd) dei curdi siriani, al quale fanno riferimento i peshmerga di Kobane. Ciò nonostante, Çavuşoğlu non ha affatto contestato la scelta della coalizione guidata dagli Stati Uniti di sostenere le forze del Pyd, paracadutando armi, munizioni e materiale medico ai difensori di Kobane. «Non abbiamo alcun desiderio di veder cadere la città», ha detto il ministro, le cui dichiarazioni sono state accolte con favore a Washington, come affermato ieri sera dalla portavoce del dipartimento di Stato, Marie Harf. Da parte loro, i curdi iracheni si sono detti pronti a inviare rinforzi ai difensori di Kobane. Al tempo stesso, questi ultimi hanno sollecitato
un’ulteriore modifica delle strategie militari contro l’Is in Siria, chiedendo di favorire l’apertura di corridoi di sicurezza per collegare la città con le altre due zone a maggioranza curda nel nord del Paese. Lo ha detto al quotidiano «Al Hayat» il loro comandante, Öcalan Isso, ricordando che ad Afrin, a ovest di Aleppo, e nella regione di Hasake i curdi han-
no decine di migliaia di uomini e armi pesanti che potrebbero far convergere sul fronte di battaglia. Isso ha aggiunto che a Kobane non combattono solo curdi, ma anche forze ribelli insorte tre anni e mezzo fa contro il Governo del presidente siriano Bashar Al Assad. Il che lascia aperta una delle questioni che minacciano di compromettere la
Profughi curdi fuggiti da Kobane in un campo in territorio turco (Reuters)
coesione internazionale nella lotta contro l’Is. Come noto, infatti, i ribelli siriani hanno il sostegno di molti Paesi, a partire dagli Stati Uniti, ma sono equiparati ai terroristi dalle autorità siriane. A questo si aggiunge che il Governo di Mosca sostiene la posizione di Damasco nel giudicare un’aggressione alla Siria qualsiasi intervento armato non autorizzato dall’O nu. Nel confronto diplomatico nell’area si segnala in queste ore la visita a Teheran del primo ministro iracheno, Haider Al Abadi, che sta incontrando il presidente iraniano, Hassan Rohani. Tema dei colloqui è proprio la minaccia dell’Is alla stabilità nella regione. Prima di partire per Teheran, Al Abadi aveva ribadito che il suo Governo non consentirà la presenza di truppe straniere in Iraq. Costretti alla difensiva in Siria, i miliziani dell’Is nelle ultime ore hanno tentato nuovi attacchi proprio in Iraq. Secondo l’agenzia curda Rudaw, ieri ne hanno sferrati quindici — compreso uno nella zona della diga di Mosul — nel tentativo di recuperare il terreno perduto nelle scorse settimane con gli interventi aerei della coalizione internazionale. Al tempo stesso, dopo aver consolidato le proprie posizioni nella provincia sunnita di Al Anbar, le milizie jihadiste stanno avanzando anche in quella di Diyalá e sembrano puntare di nuovo verso Baghdad, colpita ieri da altri attentati che hanno provocato cinquanta morti. Due autobombe sono esplose anche a Karbala e nei pressi della diga di Mosul. Di contro, l’esercito iracheno è all’offensiva su Tikrit, la città a maggioranza sunnita conquistata a giugno dalle milizie dell’Is.
ROMA, 21. Ogni giorno nel mondo ottocento madri perdono la vita durante il parto, e di queste oltre la metà sono africane. Più di quattrocento neonati, di conseguenza, restano orfani nel continente. Scarsa prevenzione, distanze enormi da coprire per arrivare a un ospedale, mancanza di informazione, scarsità di operatori sanitari sono le cause principali che spiegano il divario tra l’Africa e i cosiddetti Paesi sviluppati. A lanciare l’allarme è l’organizzazione internazionale non governativa Amref (African Medical and Research Foundation), in occasione del lancio della campagna Mai più
L’Organizzazione mondiale della sanità dichiara la Nigeria libera dal virus
Coordinatore unico in Europa per contrastare ebola
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LUSSEMBURGO, 21. L’Europa avrà un coordinatore unico per l’azione di contrasto all’epidemia di ebola, che nei Paesi dell’Africa occidentale ha già causato oltre 4.500 vittime. Dopo la nomina di un “supercommissario” contro il virus da parte del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che inizierà a lavorare domani, anche l’Europa ha deciso, dunque, una via analoga per coordinare gli interventi. La linea di azione è stata confermata ieri a Lussem-
burgo durante il vertice dei ministri degli Esteri dell’Ue, che hanno stimato in un miliardo di euro i fondi necessari per fermare l’epidemia in Africa, concordando sulla necessità di aumentare gli sforzi dell’Europa. Intanto, da Oslo è arrivata una buona notizia: è infatti guarita la dottoressa norvegese di Medici senza frontiere che aveva contratto il virus in Sierra Leone, mentre in Spagna si attendono i test definitivi che dovrebbero confermare la guarigio-
ne dell’infermiera Teresa Romero. Sempre dalla Sierra Leone arriva, però, la conferma del decesso di un altro membro del personale delle Nazioni Unite, una operatrice dell’organizzazione Un Women. Sempre sul fronte africano, l’O rganizzazione mondiale della sanità, dopo il Senegal, ha dichiarato ufficialmente «libera dal virus» la Nigeria, dopo quarantadue giorni senza nuovi casi sospetti. L’attenzione resta, però, molto alta e l’emergenza ebola sarà discussa anche nel vertice dei leader europei in programma giovedì e venerdì prossimi, durante il quale il premier britannico, David Cameron, solleciterà l’aumento dell’impegno finanziario europeo. Anche Obama, al termine ieri di colloqui telefonici con diversi leader mondiali, si è impegnato per stanziare trecento milioni di dollari nella lotta contro la malattia di febbre emorragica. Intanto, i ministri degli Esteri Ue hanno sottolineato l’importanza che tutte le persone coinvolte nella lotta al virus nei tre Paesi dell’Africa occidentale più colpiti (Liberia, Sierra Leone e Guinea) lavorino in raccordo con le Nazioni Unite, accogliendo, inoltre, con favore la decisione di Ban Ki-moon di istituire la prima missione sanitaria di emergenza dell’Onu per ebola nel Continente nero, la cui sede sarà ad Accra, capi-
Il valore profetico della misericordia
Quei gesti che testimoniano la grandezza della vita Un operatore impegnato nella disinfezione di una casa a Monrovia (Afp)
JÜRGEN MOLTMANN
A PAGINA
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tale del Ghana. Proprio ieri, alcuni esperti sanitari dell’Unione europea si sono recati in Guinea per valutare, qualora la situazione dovesse peggiorare, la possibilità di «operazioni civili e militari» nei Paesi più colpiti. E mentre anche il Belgio — dopo Francia e Gran Bretagna — ha annunciato l’avvio di controlli negli aeroporti per i voli provenienti dai tre Paesi africani, le autorità statunitensi hanno rassicurato che le altre quarantatré persone che hanno avu-
to contatti con il «paziente zero», il liberiano Thomas Eric Duncan, deceduto, sono ufficialmente fuori dalla quarantena, dopo ventuno giorni in osservazione. Altre centoventi persone resteranno, invece, sotto controllo fino al 7 novembre. Sul versante medico, poi, l’Amministrazione degli Stati Uniti sta accelerando sul vaccino anti-ebola sviluppato dal National Institute of Health, che dovrebbe essere pronto già all’inizio del prossimo anno.
senza mamma, il cui obiettivo è proprio quello di fornire personale medico per aiutare mamme e bambini nei Paesi in difficoltà. Nel continente africano — ha reso noto ieri l’Amref, presentando la campagna — il rischio che una donna muoia durante la gravidanza o il parto è di una su quaranta, mentre in Europa e Nord America è di una su 4.700. La zona più pericolosa in cui mettere al mondo un bambino è l’area subsahariana, che soffre non solo di mancanza di informazione, ma anche di scarsità di strutture sanitarie. In Mozambico — 184° su 187 Paesi, secondo le stime dell’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite — solo il 55 per cento dei parti è assistito, mentre in Sud Sudan c’è uno dei tassi di mortalità materna più alti al mondo, con 2.054 donne morte ogni centomila nuovi nati e oltre il 10,5 per cento di decessi di bambini nei primi cinque anni di vita. Stando ai dati delle Nazioni Unite, nella regione subsahariana circa il cinquanta per cento delle nascite avvengono da madri adolescenti. Inoltre, l’insufficiente sviluppo del feto a causa della malnutrizione è ogni anno causa di morte di 800.000 bambini durante il primo mese di vita. Se sopravvivono, i bambini di madri malnutrite hanno un rischio maggiore di sviluppare gravi malattie entro i due anni d’età.
Deforestazione aumentata del 290 per cento in un anno
Amazzonia in cenere BRASILIA, 21. La foresta amazzonica continua a essere in pericolo. Le numerose campagne ambientaliste e i piani di conservazione messi in campo dalla politica non riescono a evitare che questo patrimonio mondiale della biodiversità, che copre una superficie di oltre sette milioni di chilometri quadrati, venga distrutto. Le ultime notizie arrivano dal Brasile, dove si trova il sessanta per cento della foresta amazzonica. Qui — in base alle stime raccolte da diverse organizzazioni non governative lo scorso settembre, e rese note ieri — la deforestazione è cresciuta del 290 per cento su base annua, il che equivale alla completa distruzione di un’area boschiva pari a 402 chilometri quadrati. Per otto anni consecutivi la deforestazione aveva mostrato un rallentamento grazie soprattutto a norme più severe varate dal Governo. Nel 2013, tuttavia, questa tendenza si è invertita.