141024(l'osservatore romano)

Page 1

Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004

Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00

L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO

GIORNALE QUOTIDIANO

Non praevalebunt

Unicuique suum Anno CLIV n. 243 (46.785)

Città del Vaticano

venerdì 24 ottobre 2014

.

All’associazione internazionale di diritto penale il Papa ribadisce il primato e la dignità della persona umana

Tensione tra israeliani e palestinesi

L’ergastolo è una pena di morte nascosta

Attentato a Gerusalemme

Promuovere una giustizia che rispetti la dignità e i diritti della persona umana, senza discriminazioni. È questa la missione dei giuristi che Papa Francesco ha ribadito stamane, giovedì 23 ottobre, ricevendo in udienza una delegazione dell’associazione internazionale di diritto pe-

nale. Pena di morte, ergastolo, tortura, corruzione sono solo alcuni dei temi affrontati dal Pontefice in un lungo e articolato discorso che si riallaccia alla lettera scritta nel giugno scorso al XIX congresso internazionale della stessa associazione. Dopo due premesse riguardanti l’in-

citazione alla vendetta e il populismo penale sempre più presenti nelle nostre società, il vescovo di Roma ha denunciato il duplice affievolimento del dibattito sulla pena capitale e sulla sostituzione del carcere con sanzioni alternative. Ribadendo il primato della vita e la dignità del-

la persona umana, il Papa ha affermato che «è impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone». Per questo ha esortato «tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà a lottare per l’abolizione della pena di morte, in tutte le sue forme» — anche quelle occulte — e per «migliorare le condizioni carcerarie». In proposito ha definito «l’ergastolo una pena di morte nascosta», stigmatizzando le «deplorevoli condizioni detentive che si verificano in diverse parti del pianeta», costringendo i detenuti a vivere in uno stato inumano e degradante. A tal proposito ha messo in guardia contro la legittimazione della tortura e invitato a evitare le sanzioni penali a categorie particolarmente vulnerabili, tra cui i bambini e gli anziani. Infine il Pontefice si è soffermato su alcune specifiche forme di criminalità «che non potrebbero mai essere commesse senza la complicità delle pubbliche autorità». Tra queste la tratta delle persone e il delitto di corruzione, definito «un male più grande del peccato». Anzi per Francesco la corruzione è un vero e proprio “processo di morte”, perché «ci sono poche cose più difficili che aprire una breccia in un cuore corrotto». PAGINE 4

E

5

Sparatoria presso il Parlamento di Ottawa causa la morte di un militare

Attacco al cuore del Canada

y(7HA3J1*QSSKKM( +[!#!z!$!&!

OTTAWA, 23. Il Canada «non si farà intimidire» dall’attacco condotto contro il cuore della sua Nazione, il Parlamento di Ottawa, e gli sforzi contro i terroristi «saranno raddoppiati». È quanto ha detto il premier canadese, Stephen Harper, dopo l’attentato perpetrato ieri che ha causato la morte di un soldato, il caporale Nathan Cirillo, un riservista di origini italiane che stava facendo la guardia al monumento ai caduti di fronte al Parlamento «Gli attacchi al nostro personale della sicurezza e alle istituzioni del nostro Governo sono attacchi al nostro Paese, ai nostri valori, alla nostra società, a noi canadesi come popolo libero e democratico che abbraccia la dignità umana per tutti», ha detto ancora Harper che si trovava nel Parlamento al momento dell’attacco ed è stato trasferito, insieme ad altri leader — il democratico Thomas Mulclair e il liberale Justin Trudeau — in un luogo sicuro.

Cinquant’anni fa il breve «Pacis nuntius»

Con la croce il libro e l’aratro MARIANO DELL’OMO

A PAGINA

7

«Ma non ci siano confusioni — ha concluso il premier — il Canada non si farà mai intimidire e questo ci porterà a rafforzare la nostra determinazione e raddoppiare i nostri sforzi per identificare e contrastare le minacce e mantenere il Paese al sicuro». Il capporale Cirillo aveva 24 anni e un figlio. Nessuno parla ancora ufficialmente di terrorismo. Ma più passano le ore più si rafforza l’ipotesi che a entrare in azione non sia stato un “lupo solitario”, come era sembrato all’inizio, ma forse un vero e proprio commando composto almeno da due-tre uomini. Uno di questi, quello che avrebbe sparato al militare ucciso, sarebbe a sua volta morto in seguito allo scontro con la polizia. Il suo nome era Michael Zehaf-Bibeau, nato nel 1982 in Quebec, era figlio di un uomo d’affari di origine libica. Secondo le prime ricostruzioni Zehaf-Bibeau, capelli lunghi e neri, era armato con un fucile da caccia, vestito in abiti civili e con una kefiah che gli copriva la parte inferiore del volto. In queste ore il clima nella città di Ottawa, soprattutto nell’area di D owntown, è surreale, con uomini della polizia e delle forze speciali che fermano ogni auto in uscita dal centro e controllano a tappeto ogni abitazione sospetta. Tutta l’area in cui sorge il Parlamento è in stato di assedio. E tutti vengono invitati dalle autorità di polizia a stare alla larga da porte, tetti e finestre. All’interno dell’edificio principale si sono vissuti momenti di vero e proprio terrore, come mostrano le immagini diffuse sui media e sui social network, con parlamentari, impiegati e visitatori in fuga nella hall in cui si sentono echeggiare gli spari. Questo mentre nell’aula era in corso una seduta e, in un locale attiguo, si svolgeva una riunione di maggioranza. Secondo le ricostruzioni Zahef-Bibeau è stato ucciso da un ex poliziotto delle Giubbe Rosse, ora responsabile della sicurezza, prima che potesse entrare negli ambienti in cui erano in corso i lavori parlamentari.

Fonti della polizia hanno parlato anche di spari provenienti dal tetto dell’edificio, sul quale avrebbero potuto esserci alcuni componenti del commando terroristico. Ma nessuna di queste informazioni è stata confermata ufficialmente. In breve tempo, mentre la situazione attorno agli edifici del Parlamento appariva ancora poco chiara e caotica, è scattata la massima allerta a livello nazionale, ma anche in seno al comando di difesa aerospaziale del Nord America : «Abbiamo preso tutte le misure adeguate per essere pronti a rispondere velocemente a

qualsiasi emergenza», ha confermato il portavoce dell’organizzazione. E anche negli Stati Uniti l’Fbi ha elevato il livello di allerta, mentre il presidente Barack Obama, appena informato dei fatti, ha avuto un colloquio telefonico con il premier canadese, esprimendogli la propria solidarietà. In particolare, nella capitale federale statunitense sarebbero state rafforzate le misure di sicurezza attorno all’ambasciata canadese e attorno al cimitero monumentale di Arlington — dove sono sepolti reduci di tutte le guerre — sul quale si erano dirette minacce di azioni terroristiche.

Udienza al primo ministro di Grenada

Nella mattinata di giovedì 23 ottobre, nel Palazzo Apostolico Vaticano, Papa Francesco ha ricevuto in udienza il Primo ministro di Grenada, Sua Eccellenza il Signor Keith Mitchell, che successivamente ha incontrato il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, accompagnato dall’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. Nel corso dei cordiali colloqui, ci si è soffer-

mati sulle buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e Grenada, nonché sull’importante apporto della Chiesa cattolica in campo educativo, sociale e caritativo, di fronte alle sfide del Paese, soprattutto per quanto riguarda la gioventù. Al riguardo, è stata affermata la necessità di una cooperazione tra tutte le forze sociali in vista della promozione del bene comune e dello sviluppo del Paese.

Il luogo dell’attentato nel quartiere di Sheikh Jarrah (La Presse/Ap)

TEL AVIV, 23. Il terrore torna nelle strade di Gerusalemme. Un uomo alla guida di un’auto ha travolto ieri sera una decina di persone a una fermata del tram. Una bambina di tre mesi è morta, due i feriti gravi. L’attentatore identificato come Abdel Rahman Shaludi, palestinese di venti anni, ha cercato di darsi alla fuga ma è stato colpito ed è deceduto in ospedale. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha ordinato l’invio immediato di rinforzi e ha accusato direttamente la leadership del presidente palestinese, Mahmoud Abbas. «Il terrorista che ha investito otto persone, uccidendo una bambina, era membro di Hamas» ha riferito il portavoce del premier, Ofir Gendelman. Secondo una prima ricostruzione dei fatti, quando un tram si è fermato a breve distanza dal comando della polizia di Gerusalemme, l’automobile guidata da Shaludi ha superato un marciapiede e ha investito in pieno il gruppo di passeggeri che stavano scendendo dal mezzo pubblico. Dopo l’impatto, riferiscono i media, l’attentatore ha cercato

A colloquio con Denis Mukwege vincitore del premio Sakharov

Lo stupro uccide la famiglia SANDRA ISETTA

A PAGINA

6

di darsi alla fuga a piedi. Una guardia che era nelle vicinanze lo ha raggiunto e gli ha sparato. Hamas, il movimento islamico che fa parte del nuovo Governo di unità palestinese, ha subito emesso un comunicato, sottolineando in esso che l’attentato «è una conseguenza naturale della politica israeliana sulla Spianata delle moschee e a Gerusalemme est». Il prossimo 27 ottobre è prevista una nuova tornata di colloqui tra Israele e Hamas per rafforzare la tregua nella Striscia di Gaza grazie alla mediazione del Cairo. Ma come fanno notare molti analisti, l’episodio di ieri è solo l’ultimo di una serie di fatti recenti che hanno alimentato la tensione tra israeliani e arabi a Gerusalemme. Sulla Spianata delle moschee sono avvenuti scontri tra palestinesi e polizia. E non sono mancati neanche momenti di tensione al confine con l’Egitto. Intanto, sul fronte politico, si registra la presa di posizione, ieri, dell’Unione europea che ha ammonito duramente il Governo israeliano, affermando che «appalti e costruzioni» di nuove case in territori palestinesi costituiscono «fatti compiuti» tali da poter pregiudicare «in modo cruciale» l’esito dei negoziati di pace. In un documento di due pagine Bruxelles afferma che se non ci sarà un netto cambiamento nella politica sugli insediamenti, la Commissione Ue è pronta a lanciare sanzioni economiche contro Israele.

NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto in udienza mercoledì 22 Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Nunzio Galantino, Vescovo di Cassano all’Jonio, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Luigi Ventura, Arcivescovo titolare di Equilio, Nunzio Apostolico in Francia. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Keith Mitchell, Primo Ministro di Grenada, con la Consorte, e Seguito. Il Santo Padre ha nominato Abate Ordinario dell’Abbazia

Territoriale di Montecassino (Italia) il Reverendissimo Padre Donato Ogliari, O.S.B., finora Abate del Monastero di Santa Maria della Scala in Noci (Italia). Il Santo Padre ha contestualmente applicato all’Abbazia territoriale di Montecassino il Motu Proprio Catholica Ecclesia, con conseguente riduzione del territorio della medesima, disponendo in particolare che: alla nuova configurazione territoriale della circoscrizione ecclesiastica «Abbazia territoriale di Montecassino» appartenga il territorio su cui sorgono la Chiesa Abbaziale e il Monastero, con le immediate pertinenze; alla Diocesi di Sora-AquinoPontecorvo passino le 53 parrocchie con i fedeli, il clero secolare e religioso, le comunità religiose, i seminaristi; la Diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo muti il proprio nome in quello di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo.


L’OSSERVATORE ROMANO

pagina 2

venerdì 24 ottobre 2014

Jean-Claude Juncker prossimo presidente della Commissione europea (LaPresse/Ap)

Intervento dell’osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite BRUXELLES, 23. Clima e investimenti per rilanciare crescita e occupazione al vertice dei capi di Stato e di Governo Ue in agenda per oggi e domani a Bruxelles. Sarà l’ultimo vertice per il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy. Dopo 41 summit, Van Rompuy lascerà la sua poltrona a fine novembre al polacco Donald Tusk. Mentre il primo novembre si insedierà ufficialmente la nuova Commissione presieduta dal lussemburghese JeanClaude Juncker, che ieri ha ottenuto dall’aula di Strasburgo la fiducia di 423 deputati, contro i 209 no e le 67 astensioni. L’ultimo summit per il presidente uscente della Commissione Durão Barroso e per Van Rompuy si aprirà questo pomeriggio con una discussione dei leader sul pacchetto clima ed energia: l’obiettivo è di arrivare a un accordo tra i Ventotto sulla riduzione entro il 2030 delle emissioni di gas serra del quaranta per cento rispetto al 1990. Fonti europee si sono dette fiduciose sulla possibilità di raggiungere un’intesa: si oppongono però Portogallo e Polonia. Lisbona chiede infatti target vincolanti anche sulla costruzione di nuove infrastrutture energetiche, mentre Varsavia ha un’economia che dipende ancora fortemente dal carbone, altamente inquinante. Di sicuro, sul tavolo dei leader ci saranno le linee direttive della nuova Commissione di Juncker. «Le regole di stabilità non si cambiano» ha annunciato ieri l’ex premier del Lussemburgo. Per questo, ha aggiunto, si applicheranno «i margini di flessibilità consentiti dai trattati», anche se «non ci saranno svolte epocali». La disciplina di bilancio, con la flessibilità e le riforme strutturali «sono necessari per ridare slancio all’economia europea». Dichiarazioni, queste, volte principalmente ad assicurare la continuità con la precedente Commissione. «Il mio obiettivo — ha spiegato l’ex premier lussemburghese — è di spezzare la mentalità campanilistica; la Commissione non deve essere un raggruppamento di funzionari anonimi». Sul piano economico, Juncker si è detto convinto che la sua sarà la Commissione «dell’ultima chance per l’Europa». Il punto cruciale del suo programma, per il momento, è il lancio del piano di investimenti da trecento miliardi di euro, promesso in luglio, e che dovrebbe essere presentato entro Natale. «Non possiamo permetterci che il piano di investimenti provochi nuovo debito pubblico» ha avvertito Juncker nel suo discorso. Intanto, oggi sono state inviate ad alcuni Governi dell’Unione le lettere della Commissione sulla si-

Politiche di sviluppo per le popolazioni indigene Pubblichiamo la traduzione italiana dell’intervento pronunciato il 20 ottobre dall’arcivescovo Bernardito C. Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, alla 69ª sessione dell’Assemblea Generale, sul tema delle popolazioni indigene. Signora Presidente, La Santa Sede apprezza la Conferenza mondiale sulle popolazioni indigene che si è appena conclusa e prende debitamente atto del documento conclusivo, che aiuterà nella promozione e nella tutela dei diritti delle popolazioni indigene. La mia Delegazione è inoltre lieta di notare, nel Rapporto del Segretario Generale, i risultati ottenuti per quanto riguarda i fini e gli obiettivi del Secondo Decennio Internazionale dei Popoli Indigeni del Mondo. Tuttavia, c’è ancora molto da fare per salvaguardare i diritti umani e le libertà fondamentali delle popolazioni indigene in molte parti del mondo, e occorre compiere sforzi ancora maggiori — a livello interna-

Confronto europeo sul piano da 300 miliardi di euro

Juncker ai blocchi di partenza tuazione economica e sulle manovre allo studio. Nella lettera indirizzata all’Esecutivo italiano si legge che «l’Italia programma una significativa deviazione dagli aggiustamenti richiesti per centrare l’obiettivo di medio termine», ossia il pareggio di bilancio nel 2015. Il commissario Ue per gli Affari economici e monetari,

Jyrki Katainen, chiede di spiegare «perché l’Italia programma di non rispettare il Patto di stabilità nel 2015» e «come assicurerà un pieno rispetto degli obblighi della politica di bilancio». Ciò nonostante — ha spiegato — la lettera «non pregiudica» il giudizio complessivo della Commissione sullo stato del Paese.

Merkel a colloquio con Kerry e con Poroshenko

Berlino sollecita una soluzione al conflitto in Ucraina BERLINO, 23. «Vogliamo l’Ucraina come ponte fra la Russia e l’Europa». Lo ha detto il segretario di Stato americano, John Kerry, dopo un incontro ieri a Berlino con il cancelliere tedesco, Angela Merkel. «Noi americani — ha aggiunto — siamo molto grati per il contributo tedesco alla ricerca di una soluzione diplomatica» a proposito del conflitto in Ucraina. Dal canto suo, il cancelliere tedesco ha affer-

mato che «sono molte oggi le questioni impegnative a livello internazionale ed è un bene che possiamo dire di essere in stretta partnership con gli Stati Uniti e di agire in grande accordo». Intanto, l’ufficio stampa presidenziale di Kiev ha reso noto che negli ultimi giorni Angela Merkel e il presidente ucraino, Petro Poroshenko, hanno avuto ripetuti colloqui telefonici. Al centro delle con-

versazioni la situazione nel Donbas, il protocollo di Minsk e il Consiglio europeo odierno. Nel frattempo, la Nato ha ieri intercettato e identificato un aereo spia russo vicino allo spazio aereo dell’Alleanza sul Baltico. Lo rende noto il comando militare precisando che l’aereo russo è stato individuato dai radar ed è stato intercettato da caccia F-16 danesi e portoghesi in servizio sul Baltico.

Nuove violenze contro la minoranza serba del Kosovo BELGRAD O, 23. Nuove violenze hanno colpito negli ultimi giorni la minoranza serba del Kosovo, la regione balcanica la cui indipendenza dichiarata dalla maggioranza albanese non è mai stata riconosciuta dal Governo di Belgrado. Sconosciuti hanno appiccato il fuoco ieri a una casa nel villaggio occidentale di Ljug di proprietà di serbi oggi profughi. Nel darne notizia, la polizia ha specificato che la casa, semidistrutta dall’attento incendiario, era appunto disabitata e che quindi non vi sono state conseguenze per le persone. In un analogo episodio tre giorni fa era stata incendiata una casa di profughi serbi nel vicino villaggio di Drsnik, a conferma di tensioni e violenze persistenti nell’area. L’Unione europea considera condizione indispensabile per il proseguo dei negoziati di adesione della Serbia un’intesa sulla questione del Kosovo tra il Governo di Belgrado e autorità albanesi di Pristina.

L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt

00120 Città del Vaticano ornet@ossrom.va http://www.osservatoreromano.va

Un uomo nella propria abitazione danneggiata a Donetsk (LaPresse/Ap)

Con l’assenso del Governo colombiano

Leader delle Farc ai negoziati a Cuba BO GOTÁ, 23. Diversi leader delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) si sono recati a Cuba per partecipare ai negoziati di pace con il Governo di Bogotá in corso da quasi due anni. Il Governo del presidente Juan Manuel Santos non solo ha acconsentito alla loro partecipazione ai negoziati, ma ha anche sospeso le operazioni militari in tre aree del Paese per agevolare l’uscita dei capi ribelli. Tra i leader delle Farc recatisi all’Avana c’è Felix Antonio Muñoz, meglio conosciuto come Pa-

GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile

Carlo Di Cicco vicedirettore

Piero Di Domenicantonio

stor Alape, uno dei sette membri del segretariato, il principale organo di direzione politica e militare del gruppo ribelle. Altri due membri del segretariato ora presenti a Cuba sono Iván Márquez e Pablo Catatumbo. Due settimane fa il presidente Santos aveva dato personalmente il via libera al massimo leader delle Farc, Rodrigo Londoño Echeverri, detto Timochenko, per recarsi almeno in un paio d’occasioni all’Avana. La decisione di Santos aveva sollevato polemiche.

Servizio vaticano: vaticano@ossrom.va Servizio internazionale: internazionale@ossrom.va Servizio culturale: cultura@ossrom.va Servizio religioso: religione@ossrom.va

caporedattore

Gaetano Vallini

segretario di redazione

Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 photo@ossrom.va www.photo.va

Il negoziato a Cuba per mettere fine al più lungo conflitto in America latina — che in mezzo secolo ha provocato oltre duecentomila morti — sembra ormai in dirittura d’arrivo. Le parti hanno raggiunto accordi per fornire l’accesso alla terra ai poveri delle zone rurali, il primo e cruciale punto di trattativa. Ora si stanno delineando gli ultimi particolari per arrivare alla trasformazione del gruppo guerrigliero in un partito politico e per combattere il traffico di droga.

Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 segreteria@ossrom.va Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano

don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale

zionale, nazionale e locale — per stabilire politiche di sviluppo che coinvolgano davvero le popolazioni indigene e ne rispettino l’identità e le culture specifiche. La Santa Sede crede fermamente che non si debba tollerare alcuna discriminazione basata su razza, sesso, religione o etnicità. Pertanto, la mia Delegazione apprezza gli sforzi compiuti in diversi Paesi per eliminare ogni discriminazione nei confronti delle popolazioni indigene e per promuovere la loro partecipazione piena ed effettiva al processo decisionale, soprattutto sulle questioni che le riguardano direttamente o indirettamente. Signora Presidente, Promuovere la specificità e le culture indigene non significa necessariamente ritornare al passato; di fatto, implica il diritto delle popolazioni indigene di andare avanti guidate dai loro valori collettivi consacrati dal tempo, come il rispetto per la vita e la dignità umana, i processi decisionali rappresentativi e la conservazione dei rituali comunitari. Dinanzi alla globalizzazione, l’industrializzazione e l’urbanizzazione, tali valori non devono essere semplicemente messi da parte. In questo contesto, la mia Delegazione desidera sottolineare i seguenti principi: — Alle popolazioni indigene nel mondo spettano gli stessi diritti fondamentali allo sviluppo di ogni altra persona, popolo o nazione. — La realizzazione del loro diritto allo sviluppo deve essere il più possibile coerente e in armonia con la loro identità specifica e i loro valori. — Le popolazioni indigene stesse devono aver voce nel proprio sviluppo. In tal senso, ci si dovrebbe astenere dall’attuare criteri o stabilire politiche estranee o inaccettabili per quanti sono coinvolti. Le politiche formulate per le popolazioni indigene senza la loro partecipazione attiva nel processo decisionale potrebbero fare più male che bene, specialmente se esse non ne rispecchiano o non rispettano l’identità e il sistema di valori. Occorre resistere alla tentazione di rivolgersi a loro soltanto o soprattutto per un effetto folkloristico. Il loro contributo al processo decisionale è fondamentale, poiché potrebbe essere in gioco la sopravvivenza stessa della loro identità e della loro eredità. Se gli sforzi internazionali a favore dello sviluppo di standard relativi ai diritti umani delle popolazioni indigene sono importanti, sotto molti aspetti le politiche nazionali e locali sono ancor più decisive per il rispetto dell’identità specifica e della cultura delle popolazioni indigene e per la tutela dei loro diritti. In questo contesto, la mia Delegazione desidera sottolineare l’importanza di leggi giuste per regolamentare il rapporto tra le popolazioni indigene e le industrie estrattive che operano

nelle terre ancestrali: terre che, in molti casi, hanno anche una grande importanza culturale e ambientale. Signora Presidente, Come il Segretario Generale ha evidenziato nel suo Rapporto, l’agenda post-2015 sarà un’occasione per proporre iniziative che affrontino i bisogni delle popolazioni indigene. In aggiunta a ciò, la Santa Sede suggerisce che i documenti conclusivi post-2015 approvati debbano anche prestare la dovuta attenzione alla situazione delle popolazioni indigene, e che tutte le eventuali iniziative che le riguardano dovrebbero essere ispirate e guidate dal principio del rispetto della loro identità e cultura, comprese le tradizioni specifiche, le credenze religiose e la capacità di decidere il proprio sviluppo in cooperazione con i relativi Governi nazionali e gli organi internazionali competenti. In conclusione, Signora Presidente, la mia Delegazione desidera ribadire l’impegno di lunga data della Santa Sede a favore della promozione dello sviluppo integrale degli oltre 370 milioni di indigeni, distribuiti in circa novanta Paesi in tutte le regioni del mondo. Grazie, Signora Presidente.

Più integrazione economica in America latina LIMA, 23. La volontà di una maggiore integrazione economica in America latina è stata ribadita in un incontro a Lima tra il segretario generale dell’Unione delle Nazioni sudamericane (Unasur), Ernesto Samper, e il suo omologo della Comunità andina (Can), Pablo Guzmán. Nel colloquio Samper e Guzmán hanno concordato sulla necessità di promuovere la convergenza a questo scopo tra le due organizzazioni.

Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, info@ossrom.va diffusione@ossrom.va Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675

Manifestazioni in Messico per gli studenti scomparsi CITTÀ DEL MESSICO, 23. Senza sosta continuano in Messico le proteste per chiedere che venga fatta chiarezza sulla sorte dei 43 studenti della scuola magistrale di Ayotzninapa spariti nel nulla lo scorso 26 settembre. Decine di migliaia di persone hanno manifestato ieri nella capitale chiedendo che il presidente Enrique Peña Nieto onori la sua promessa di fare chiarezza sul caso, che ha scosso l’opinione pubblica di tutto il Paese. A Iguala, la località dello Stato di Guerrero dove gli studenti sono scomparsi, i dimostrantri hanno nuovamente attaccato la sede del municipio. Il sindaco, José Luis Abarca, è sospettato di avere dato l’ordine di consegnare gli studenti — fermati da agenti della polizia locale mentre partecipavano a una marcia contro i cartelli del narcotraffico — ai sicari del gruppo Guerreros Unidos. Abarca, attualmente ricercato, si è dato alla macchia con la moglie e con il comandante della polizia locale, circostanza questa che sembrerebbe confermare le ipotesi di una loro complicità con l’organizzazione criminale. «È solo un altro corteo, uno dei molti che si susseguiranno finché i nostri compagni non ricompariranno o le autorità non puniranno i responsabili della loro morte», ha detto uno studente che partecipava alla protesta a Iguala. La maggior parte degli atenei della capitale, così come università pubbliche e private di Oaxaca (sud), Guanajuato (centro), Jalisco (ovest) e Nuevo León (nord) hanno aderito alla mobilitazione. Nei giorni scorsi il Governo ha inviato nello Stato di Guerrero agenti federali che hanno proceduto all’arresto di numerosi poliziotti locali. Alcune fosse comuni sono state rinvenute nella zona, ma gli esperti forensi hanno chiarito che i resti in esse contenuti non appartengono ai giovani scomparsi.

Concessionaria di pubblicità

Aziende promotrici della diffusione

Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 segreteriadirezionesystem@ilsole24ore.com

Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese


L’OSSERVATORE ROMANO

venerdì 24 ottobre 2014

pagina 3

Combattenti di una milizia islamica nei pressi della capitale libica (Afp)

Cento miliziani si arrendono mentre a Baghdad si susseguono gli atti di terrorismo

L’Is segna il passo BAGHDAD, 23. Scontri armati e attentati si susseguono in Iraq, dove l’esercito governativo e i peshmerga curdi, con l’appoggio dell’aviazione della coalizione guidata dagli Stati Uniti, fronteggiano gli attacchi dei jihadisti autodefinitisi Stato islamico

Non si arresta la scia di sangue nello Yemen SAN’A, 23. È di almeno trenta morti il bilancio di nuovi e violenti scontri iniziati ieri nella zona di Rad’a, nella provincia centrale yemenita di Al Baida. Ad affrontarsi sono i miliziani di Al Qaeda nella penisola arabica, che hanno in quell’area una propria base, e i ribelli sciiti dell’imam Abdel Malik Al Huthi. Secondo quanto ha riferito questa mattina l’emittente televisiva Al Jazeera, i terroristi islamici sunniti hanno lanciato ieri degli attacchi contro le case occupate dagli sciiti. In una nota diffusa da Al Qaeda si legge che «abbiamo combattuto gli sciiti con le armi leggere distruggendo le loro case a Rad’a». Al Qaeda non ha reso noto però quali sono state le perdite subite dai suoi uomini ma ha rivendicato un attacco compiuto a un posto di blocco dell’esercito yemenita dove sono morti tre soldati. In questa settimana sono state circa cento le persone uccise nello Yemen in attentati e scontri armati tra i ribelli sciiti huthi e i miliziani sunniti. Sembra dunque non reggere la tregua firmata lo scorso 21 settembre grazie alla mediazione dell’inviato speciale dell’Onu, Jamal Ben Omar. La situazione si fa dunque sempre più preoccupante nonostante i tentativi a livello politico di arrivare a un compromesso. E a poco sembra essere servita al momento la nomina a sucessore dell’ex premier Ahmed Awad Bin Mubarak, di Khalid Bahah, uno dei tre candidati proposti dalla comunità sciita huthi, ex ambasciatore in Canada e all’Onu, oltre che ex ministro del Petrolio, considerato una delle figure più adatte per favorire il processo di riconciliazione nel Paese. Ma nonostante il parere favorevole espresso in favore del nuovo premier, i ribelli sciiti huthi non sembrano intenzionati a deporre le armi e a lasciare la capitale yemenita, come prevede l’accordo raggiunto tra le varie fazioni opposte lo scorso settembre.

(Is). Al tempo stesso, si combatte ancora a Kobane, la città siriana al confine con la Turchia. Sul piano militare, dopo i successi delle scorse settimane, l’Is sembra ora segnare il passo. Proprio ieri, oltre un centinaio dei suoi combattenti si sono arresi all’esercito iracheno a Jurf Al Sakhar, nella provincia di Bābil, a circa sessanta chilometri a sud di Baghdad. I tentativi dei miliziani di avanzare verso Baghdad, in particolare quello di assumere il controllo dell’aeroporto, sono stati respinti dall’azione congiunta delle forze governative e dell’aviazione della coalizione, ma nella capitale irachena si susseguono gli attentati. Undici civili sono stati uccisi ieri dall’esplosione di due bombe in quartieri della città a maggioranza sciita, quello occidentale di Al Furat e quello orientale di Nawwab. Negli ultimi dieci giorni sono stati centodieci i morti in attacchi terroristici. Martedì sera, inoltre, tre razzi erano caduti nell’area dell’ambasciata statuni-

Prosegue l’offensiva dell’esercito libico contro i fondamentalisti a Bengasi

Raid aerei su Tripoli TRIPOLI, 23. Il Parlamento libico, eletto il 25 giugno scorso, che si riunisce a Tobruk per motivi di sicurezza, ha rivendicato i raid aerei compiuti negli ultimi giorni dall’aviazione su alcune postazioni delle milizie islamiste a Tripoli. Ieri, il Governo del premier libico, Abdullah Al Thani, ha ordinato alle truppe governative di avanzare verso la capitale per liberare le sedi istituzionali dai gruppi armati. E dopo una settimana di intensi scontri, il comandante delle forze speciali libiche, Wanis Bukhamada, ha annunciato la riconquista da parte delle forze governative della zona di Benina, 25 chilometri a

sud-est di Bengasi, dove sorge l’aeroporto. Fonti governative, vertici militari e dirigenti dell’Operazione Dignità — lanciata lo scorso maggio dal generale Khalifa Haftar — prevedono la «totale riconquista di Bengasi entro una settimana». Nel frattempo, il ministro degli Esteri, Mohamed El Hadi El Dayri è arrivato oggi al Cairo per una visita di alcuni giorni. Durante i colloqui con le autorità egiziane, il ministro valuterà l’attuale situazione in Libia e cercherà di definire il tipo di assistenza che l’Egitto può offrire per la stabilità del Paese.

Per l’Oms la trasmissione del virus resta molto diffusa

Quasi diecimila casi di ebola in Africa GINEVRA, 23. Peggiora la situazione dell’epidemia di ebola in Africa. L’ultimo bollettino dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) parla di 9.936 casi di contagio con 4.877 morti. «La trasmissione del virus rimane persistente e diffusa in Guinea, Liberia e Sierra Leone — afferma l’Oms — in tutti i distretti in Liberia tranne uno; in tutti i distretti

della Sierra Leone c’è stato almeno un caso, mentre in Guinea il numero di casi è relativamente minore, ma sempre alto in termini assoluti». Particolarmente alta, spiega inoltre il rapporto dell’Oms, la diffusione fra gli operatori sanitari, fra cui si registrano 443 contagi e 244 morti. Per far fronte all’emergenza si stanno mobilitando istituzioni e

aziende farmaceutiche, con queste ultime che stanno accelerando il lavoro su vaccini e terapie sperimentali. Nelle ultime ore l’azienda Johnson and Johnson ha annunciato di voler aumentare la produzione per avere entro il 2015 un milione di dosi disponibili del proprio vaccino. Il vaccino è uno dei due di cui si sta verificando la sicurezza con test su

Un bambino in lacrime a Monrovia (Epa)

Obama ribadisce il sostegno alle autorità afghane KABUL, 23. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha parlato in videoconferenza con la sua controparte afghana, Ashraf Ghani, e con Abdullah Abdullah, ex ministro degli Esteri e candidato sconfitto alla presidenza. Abdullah è stato nominato chief executive officer, figura reintrodotta ad hoc per superare lo stallo post-elettorale a Kabul, assimilabile a quella di primo ministro, ma con poteri ancora da definire. Un breve comunicato diffuso dal Palazzo presidenziale questa mattina ha dato notizia della videoconferenza, la prima dall’assunzione degli incarichi da parte dei due leader afghani, senza però spiegare i dettagli della conversazione. La Casa Bianca, invece, ha dichiarato che durante la conversazione il presidente americano ha invitato Ghani e Abdullah a recarsi negli Stati Uniti all’inizio dell’anno prossimo.

tense, nella cosiddetta zona verde, senza conseguenze per le persone. Nel nord della Siria, i raid aerei della colazione avviati il 16 ottobre, secondo dati diffusi oggi dall’opposizione siriana, avrebbero causato 553 morti, 464 dell’Is e 57 del Fronte Al Nusra, l’altro gruppo jihadista attivo nell’area, ma anche 32 civili. Nel frattempo, il Parlamento del Kurdistan iracheno ha approvato l’invio dei peshmerga a Kobane. I primi duecento vi arriveranno attraverso la provincia turca di Sanliurfa, dopo che il Governo di Ankara nei giorni scorsi ha deciso di dare libero passaggio ai rinforzi per i difensori curdi della città siriana. Tuttavia, sulla vicenda non si placano le polemiche. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan ha contestato la decisione statunitense di paracadutare armi ai curdi di Kobane, dopo che parte di tali armi sono finite nelle mani dell’Is, peraltro secondo il Pentagono in percentuale irrisoria. Erdoğan, comunque, ha biasimato anche le forniture di armi ai curdi.

Obama ha quindi ribadito il sostegno degli Stati Uniti per un Esecutivo afghano di unità nazionale — Washington manterrà 9.800 soldati in Afghanistan dopo il ritiro delle forze internazionali nel 2014 — e si è congratulato con Ghani e Abdullah per il loro primo mese di Governo. «I presidenti hanno discusso del rafforzamento delle forze nazionali afghane per migliorare la situazione della sicurezza nel Paese, del sostegno americano e regionale al processo di pace guidato da Kabul e della riforma a breve termine del bilancio e a lungo termine della sostenibilità fiscale», ha spiegato una nota della Casa Bianca. Inoltre, Obama ha incoraggiato il Governo di Kabul a rafforzare gli sforzi per la lotta alla corruzione da cui dipendono, ha assicurato, i futuri aiuti economici da parte della comunità internazionale.

Salute a rischio per i lavoratori del Bangladesh DAKHA, 23. Ogni mese ventuno lavoratori muoiono e centinaia si ammalano in Bangladesh nelle concerie delle pelli, nei centri di smantellamento delle navi e nei settori agricoli. La causa è l’uso indiscriminato e non protetto di sostanze chimiche pericolose. Lo afferma un recente rapporto della Fondazione Occupational Safety, Health and Environment (Oshe). Tutti questi settori occupano insieme più della metà della forza lavoro in questa Nazione di 160 milioni di abitanti. «L’uso di sostanze chimiche pericolose, senza alcuna protezione è diventato molto comune in Bangladesh. Ogni anno centinaia di persone muoiono, ma nessuno sembra prendersene cura» ha detto Ripon Chowdhury, direttore esecutivo di Oshe, presentando i dati raccolti. Circa l’85 per cento degli agricoltori in Bangladesh utilizza sostanze

chimiche velenose e pesticidi e il 30 per cento soffre di problemi di salute cronici. Dal 1996, più di mille lavoratori sono morti, o sono rimasti invalidi a causa dell’uso di sostanze chimiche non regolamentate per la rottamazione delle navi, nei cantieri situati vicino alla città portuale di Chittagong. Ma sono i lavoratori delle concerie che affrontano i rischi maggiori. In questo settore «gli operatori soffrono di malattie croniche della pelle, malattie respiratorie e problemi gastrici», si legge nel rapporto che, di fronte al grave problema di salute pubblica, invita il Governo del Bangladesh a essere molto rigoroso nel far rispettare norme di salute e di sicurezza. Questo soprattutto nei settori dove sono utilizzate sostanze pericolose per la salute umana.

volontari sani, mentre i primi test di efficacia su persone a rischio dovrebbero iniziare il prossimo gennaio, e alcuni siti parlano anche di contatti tra Johnson and Johnson e Gsk, l’altra azienda che sta sviluppando un vaccino, per uno sviluppo comune. Intanto, buone notizie arrivano dagli Stati Uniti. Amber Joy Vinson, la seconda infermiera contagiata da Ebola in Texas, non ha più traccia del virus nel suo organismo. L’infermiera è curata attualmente all’Emory Hospital di Atlanta. «Sta recuperando forze e il morale è alto» ha detto la madre Debra Berry, secondo la quale i medici non le hanno più riscontrato tracce di ebola. La ragazza, che aveva messo in allarme almeno due Stati, avendo viaggiato in aereo tra Texas e Ohio, sarà presto fatta uscire dall’isolamento. L’infermiera aveva contratto il virus da Thomas Eric Duncan, il liberiano morto l’8 ottobre al Texas Presbyterian. E ieri il presidente statunitense, Barack Obama, ha incontrato alla Casa Bianca Ron Klain, il commissario nominato per coordinare la lotta contro l’epidemia di ebola. Obama ha incontrato Klain e il team che sta coordinando. L’obiettivo del commissario è quello di attuare «una risposta aggressiva, efficace e coordinata» dell’Amministrazione contro la diffusione dell’ebola. I servizi di sicurezza, intanto, hanno rafforzato le restrizioni per i passeggeri dei voli provenienti da Liberia, Sierra Leone e Guinea.

A Hong Kong prove di dialogo PECHINO, 23. Migliaia di persone, collegate attraverso la televisione, hanno assistito ieri al primo incontro tra gli studenti e il Governo locale di Hong Kong. Ma, secondo gli osservatori, il pacchetto di proposte presentato dall’Esecutivo difficilmente raggiungerà lo scopo di mettere fine alle manifestazioni. Al momento i colloqui non hanno portato a nessun risultato concreto. Il numero due del Governo, Carrie Lam, ha affermato di riconoscere la legittimità delle rivendicazioni dei manifestanti, ma ha sottolineato che i raduni devono restare entro i limiti della legge. Le autorità hanno proposto a breve nuovi incontri per cercare di trovare una soluzione alla più grave crisi dal 1997 nell’ex colonia britannica.

Nessuna tregua nelle violenze di Boko Haram in Nigeria ABUJA, 23. La violenza di Boko Haram non smette di devastare la Nigeria. Nei fatti vengono così smentite le notizie diffuse negli ultimi giorni dal Governo — e da quello del Ciad — riguardo a un accordo di cessate il fuoco raggiunto con il gruppo di matrice fondamentalista islamico responsabile da cinque anni a questa parte dell’uccisione di migliaia di civili. Non meno di cinque morti e una dozzina di feriti ci sono stati questa mattina nell’esplosione di un ordigno in una stazione di autobus presso Azare, nello Stato settentrionale di Bauchi, secondo quanto riferito dal portavoce della polizia locale, Mohammed Haruna. Il Bauchi è già stato teatro di simili attentati. Le stazioni degli autobus da molto tempo sono diventate obiettivo dei terroristi di Boko Haram. All’inizio dell’anno, in una duplice esplosione alla periferia della capitale federale Abuja, furono uccise quasi cento persone. Sempre questa mattina, si è appreso che Boko Haram ha rapito non meno di sessanta ragazze nello Stato nordorientale dell’Adamawa, uno dei tre, con lo Yobe e il Borno, dove da un anno e mezzo il presidente federale nigeriano, Goodluck Jonathan, ha proclamato lo stato d’assedio. Secondo quanto precisato dalle fonti locali citate dall’agenzia Misna, quaranta giovani sono state sequestrate a i Wagga Mangoro e altre venti a Grata, località entrambe in un’area da un paio di mesi sotto il controllo dei miliziani islamisti. Gli abitanti di Wagga Mangoro hanno riferito che un centinaio di uomini di Boko Haram fortemente armati sono entrati ieri nel villaggio, hanno ucciso due uomini, incendiato case e negozi e portato via le ragazze. Anche questa circostanza mette in dubbio l’ottimismo di alcune fonti governative nigeriane e ciadiane riguardo alle trattative per il rilascio delle oltre duecento studentesse sequestrate da Boko Haram lo scorso aprile a Chibok, nel Borno, e delle quali da allora non si hanno notizie certe. Sempre nel Borno, che del gruppo islamista è considerato la roccaforte, tre persone erano state uccise ieri in un attacco sferrato contro il villaggio di Pelachiroma, durante il quale erano state date alle fiamme case e chiese della comunità locale.


pagina 4

L’OSSERVATORE ROMANO

venerdì 24 ottobre 2014

venerdì 24 ottobre 2014

pagina 5

Messa a Santa Marta

Orizzonte infinito

All’Associazione internazionale di diritto penale il Papa ribadisce il primato e la dignità della persona umana

L’ergastolo è una pena di morte nascosta «Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono chiamati oggi a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà». Lo ha auspicato il Pontefice incontrando stamane, giovedì 23 ottobre, nella Sala dei Papi, una delegazione dell’Associazione internazionale di diritto penale. Illustri Signori e Signore! Vi saluto tutti cordialmente e desidero esprimervi il mio ringraziamento personale per il vostro servizio alla società e il prezioso contributo che rendete allo sviluppo di una giustizia che rispetti la dignità e i diritti della persona umana, senza discriminazioni. Vorrei condividere con voi alcuni spunti su certe questioni che, pur essendo in parte opinabili — in parte! — toccano direttamente la dignità della persona umana e dunque interpellano la Chiesa nella sua missione di evangelizzazione, di promozione umana, di servizio alla giustizia e alla pace. Lo farò in forma riassuntiva e per capitoli, con uno stile piuttosto espositivo e sintetico.

Introduzione Prima di tutto vorrei porre due premesse di natura sociologica che riguardano l’incitazione alla vendetta e il populismo penale. a) Incitazione alla vendetta Nella mitologia, come nelle società primitive, la folla scopre i poteri malefici delle sue vittime sacrificali, accusati delle disgrazie che colpiscono la comunità. Questa dinamica non è assente nemmeno nelle società moderne. La realtà mostra che l’esistenza di strumenti legali e politici necessari ad affrontare e risolvere conflitti non offre garanzie sufficienti ad evitare che alcuni individui vengano incolpati per i problemi di tutti. La vita in comune, strutturata intorno a comunità organizzate, ha bisogno di regole di convivenza la cui libera violazione richiede una risposta adeguata. Tuttavia, viviamo in tempi nei quali, tanto da alcuni settori della politica come da parte di alcuni mezzi di comunicazione, si incita talvolta alla violenza e alla vendetta, pubblica e privata, non solo contro quanti sono responsabili di aver commesso delitti, ma anche contro coloro sui quali ricade il sospetto, fondato o meno, di aver infranto la legge. b) Populismo penale In questo contesto, negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina. Non si tratta di fiducia in qualche funzione sociale tradizionalmente attribuita alla pena pubblica, quanto piuttosto della credenza che mediante tale pena si possano ottenere quei benefici che richiederebbero l’implementazione di un altro tipo di politica sociale, economica e di inclusione sociale. Non si cercano soltanto capri espiatori che paghino con la loro libertà e con la loro vita per tutti i mali sociali, come era tipico nelle società primitive, ma oltre a ciò talvolta c’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici: figure stereotipate, che concentrano in sé stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose. I meccanismi di formazione di queste immagini sono i medesimi che, a suo tempo, permisero l’espansione delle idee razziste. I. Sistemi penali fuori controllo e la missione dei giuristi Il principio guida della cautela in poenam

Stando così le cose, il sistema penale va oltre la sua funzione propria-

mente sanzionatoria e si pone sul terreno delle libertà e dei diritti delle persone, soprattutto di quelle più vulnerabili, in nome di una finalità preventiva la cui efficacia, fino ad ora, non si è potuto verificare, neppure per le pene più gravi, come la pena di morte. C’è il rischio di non conservare neppure la proporzionalità delle pene, che storicamente riflette la scala di valori tutelati dallo Stato. Si è affievolita la concezione del diritto penale come ultima ratio, come ultimo ricorso alla sanzione, limitato ai fatti più gravi contro gli interessi individuali e collettivi più degni di protezione. Si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre sanzioni penali alternative. In questo contesto, la missione dei giuristi non può essere altra che quella di limitare e di contenere tali tendenze. È un compito difficile, in tempi nei quali molti giudici e operatori del sistema penale devono svolgere la loro mansione sotto la pressione dei mezzi di comunicazione di massa, di alcuni politici senza scrupoli e delle pulsioni di vendetta che serpeggiano nella società. Coloro che hanno una così grande responsabilità sono chiamati a compiere il loro dovere, dal momento che il non farlo pone in pericolo vite umane, che hanno bisogno di essere cu-

rate con maggior impegno di quanto a volte non si faccia nell’espletamento delle proprie funzioni. II.

Circa il primato della vita e la dignità della persona umana.

Primatus principii pro homine a) Circa la pena di morte È impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone. San Giovanni Paolo II ha condannato la pena di morte (cfr. Lett. enc. Evangelium vitae, 56), come fa anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (N. 2267). Tuttavia, può verificarsi che gli Stati tolgano la vita non solo con la pena di morte e con le guerre, ma anche quando pubblici ufficiali si rifugiano all’ombra delle potestà statali per giustificare i loro crimini. Le cosiddette esecuzioni extragiudiziali o extralegali sono omicidi deliberati commessi da alcuni Stati e dai loro agenti, spesso fatti passare come scontri con delinquenti o presentati come conseguenze indesiderate dell’uso ragionevole, necessario e proporzionale della forza per far applicare la legge. In questo modo, anche se tra i 60 Paesi che mantengono la pena di morte, 35 non l’hanno applicata negli ultimi dieci anni, la pena di morte, illegalmente e in diversi gradi, si applica in tutto il pianeta. Le stesse esecuzioni extragiudiziali vengono perpetrate in forma sistematica non solamente dagli Stati della comunità internazionale, ma anche da entità non riconosciute come tali, e rappresentano autentici crimini. Gli argomenti contrari alla pena di morte sono molti e ben conosciuti. La Chiesa ne ha opportunamente sottolineato alcuni, come la possibilità dell’esistenza dell’errore giudizia-

La vera giustizia «La vera giustizia» è quella che «non si accontenta di castigare semplicemente il colpevole», ma cerca di «fare il possibile per correggere, migliorare ed educare». Già nel giugno scorso Papa Francesco aveva affrontato questo tema di grande attualità nella lettera inviata ai partecipanti al XIX congresso internazionale dell’Associazione internazionale di diritto penale. Auspicando «una giustizia che rispetti la dignità e i diritti della persona umana, senza discriminazioni, e tuteli dovutamente le minoranze», il Papa vi denunciava quei «gravi problemi per la società» rappresentati dalle «carceri sovrappopolate» e dalle «persone detenute senza condanna».

le e l’uso che ne fanno i regimi totalitari e dittatoriali, che la utilizzano come strumento di soppressione della dissidenza politica o di persecuzione delle minoranze religiose e culturali, tutte vittime che per le loro rispettive legislazioni sono “delinquenti”. Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o

illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo io lo collego con l’ergastolo. In Vaticano, da poco tempo, nel Codice penale vaticano, non c’è più l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte nascosta. b) Sulle condizioni della carcerazione, i carcerati senza condanna e i condannati senza giudizio Queste non sono favole, voi lo sapete bene. La carcerazione preventiva — quando in forma abusiva procura un anticipo della pena, previa alla condanna, o come misura che si applica di fronte al sospetto più o meno fondato di un delitto commesso — costituisce un’altra forma contemporanea di pena illecita occulta, al di là di una patina di legalità. Questa situazione è particolarmente grave in alcuni Paesi e regioni del mondo, dove il numero dei detenuti senza condanna supera il 50 per cento del totale. Questo fenomeno contribuisce al deterioramento ancora maggiore delle condizioni detentive, situazione che la costruzione di nuove carceri non riesce mai a risolvere, dal momento che ogni nuovo carcere esaurisce la sua capienza già prima di essere inaugurato. Inoltre è causa di un uso indebito di stazioni di polizia e militari come luoghi di detenzione. Il problema dei detenuti senza condanna va affrontato con la debita cautela, dal momento che si corre il rischio di creare un altro problema tanto grave quanto il primo se non peggiore: quello dei reclusi senza giudizio, condannati senza che si rispettino le regole del processo. Le deplorevoli condizioni detentive che si verificano in diverse parti del pianeta, costituiscono spesso un autentico tratto inumano e degradante, molte volte prodotto delle deficienze del sistema penale, altre volte della carenza di infrastrutture e di pianificazione, mentre in non pochi casi non sono altro che il risultato dell’esercizio arbitrario e spietato del potere sulle persone private della libertà.

derni campi di concentramento, ma anche in carceri, istituti per minori, ospedali psichiatrici, commissariati e altri centri e istituzioni di detenzione e pena. La stessa dottrina penale ha un’importante responsabilità in questo, con l’aver consentito in certi casi la legittimazione della tortura a certi presupposti, aprendo la via ad ulteriori e più estesi abusi. Molti Stati sono anche responsabili per aver praticato o tollerato il sequestro di persona nel proprio territorio, incluso quello di cittadini dei loro rispettivi Paesi, o per aver autorizzato l’uso del loro spazio aereo per un trasporto illegale verso centri di detenzione in cui si pratica la tortura. Questi abusi si potranno fermare unicamente con il fermo impegno della comunità internazionale a riconoscere il primato del principio pro homine, vale a dire della dignità della persona umana sopra ogni cosa. d) Sull’applicazione delle sanzioni penali a bambini e vecchi e nei confronti di altre persone specialmente vulnerabili Gli Stati devono astenersi dal castigare penalmente i bambini, che ancora non hanno completato il loro sviluppo verso la maturità e per tale motivo non possono essere imputabili. Essi invece devono essere i destinatari di tutti i privilegi che lo Stato è in grado di offrire, tanto per quanto riguarda politiche di inclusione quanto per pratiche orientate a far crescere in loro il rispetto per la vita e per i diritti degli altri. Gli anziani, per parte loro, sono coloro che a partire dai propri errori possono offrire insegnamenti al resto

contro l’umanità e come crimine di guerra, tanto dal diritto internazionale quanto da molte legislazioni nazionali. È un reato di lesa umanità. E, dal momento che non è possibile commettere un delitto tanto complesso come la tratta delle persone senza la complicità, con azione od omissione, degli Stati, è evidente che, quando gli sforzi per prevenire e combattere questo fenomeno non sono sufficienti, siamo di nuovo davanti ad un crimine contro l’umanità. Più ancora, se accade che chi è preposto a proteggere le persone e garantire la loro libertà, invece si rende complice di coloro che praticano il commercio di esseri umani, allora, in tali casi, gli Stati sono responsabili davanti ai loro cittadini e di fronte alla comunità internazionale. Si può parlare di un miliardo di persone intrappolate nella povertà assoluta. Un miliardo e mezzo non hanno accesso ai servizi igienici, all’acqua potabile, all’elettricità, all’educazione elementare o al sistema sanitario e devono sopportare privazioni economiche incompatibili

c) Sulla tortura e altre misure e pene crudeli, inumane e degradanti L’aggettivo “crudele”; sotto queste figure che ho menzionato c’è sempre quella radice: la capacità umana di crudeltà. Quella è una passione, una vera passione! Una forma di tortura è a volte quella che si applica mediante la reclusione in carceri di massima sicurezza. Con il motivo di offrire una maggiore sicurezza alla società o un trattamento speciale per certe categorie di detenuti, la sua principale caratteristica non è altro che l’isolamento esterno. Come dimostrano gli studi realizzati da diversi organismi di difesa dei diritti umani, la mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani, provocano sofferenze psichiche e fisiche come la paranoia, l’ansietà, la depressione e la perdita di peso e incrementano sensibilmente la tendenza al suicidio. Questo fenomeno, caratteristico delle carceri di massima sicurezza, si verifica anche in altri generi di penitenziari, insieme ad altre forme di tortura fisica e psichica la cui pratica si è diffusa. Le torture ormai non sono somministrate solamente come mezzo per ottenere un determinato fine, come la confessione o la delazione — pratiche caratteristiche della dottrina della sicurezza nazionale — ma costituiscono un autentico plus di dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione. In questo modo, si tortura non solo in centri clandestini di detenzione o in mo-

della società. Non si apprende unicamente dalle virtù dei santi, ma anche dalle mancanze e dagli errori dei peccatori e, tra di essi, di coloro che, per qualsiasi ragione, siano caduti e abbiano commesso delitti. Inoltre, ragioni umanitarie impongono che, come si deve escludere o limitare il castigo di chi patisce infermità gravi o terminali, di donne incinte, di persone handicappate, di madri e padri che siano gli unici responsabili di minori o di disabili, così trattamenti particolari meritano gli adulti ormai avanzati in età. III. Considerazioni su alcune forme di criminalità che ledono gravemente la dignità della persona e il bene comune

Alcune forme di criminalità, perpetrate da privati, ledono gravemente la dignità delle persone e il bene comune. Molte di tali forme di criminalità non potrebbero mai essere commesse senza la complicità, attiva od omissiva, delle pubbliche autorità. a) Sul delitto della tratta delle persone La schiavitù, inclusa la tratta delle persone, è riconosciuta come crimine

con una vita degna (2014 Human Development Report, Unpd). Anche se il numero totale di persone in questa situazione è diminuito in questi ultimi anni, si è incrementata la loro vulnerabilità, a causa delle accresciute difficoltà che devono affrontare per uscire da tale situazione. Ciò è dovuto alla sempre crescente quantità di persone che vivono in Paesi in conflitto. Quarantacinque milioni di persone sono state costrette a fuggire a causa di situazioni di violenza o persecuzione solo nel 2012; di queste, quindici milioni sono rifugiati, la cifra più alta in diciotto anni. Il 70 per cento di queste persone sono donne. Inoltre, si stima che nel mondo, sette su dieci tra coloro che muoiono di fame, sono donne e bambine (Fondo delle Nazioni Unite per le Donne, Unifem). b) Circa il delitto di corruzione La scandalosa concentrazione della ricchezza globale è possibile a causa della connivenza di responsabili della cosa pubblica con i poteri forti. La corruzione è essa stessa anche un processo di morte: quando la vita muore, c’è corruzione. Ci sono poche cose più difficili che aprire una breccia in un cuore corrotto: «Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso

Dio» (Lc 12, 21). Quando la situazione personale del corrotto diventa complicata, egli conosce tutte le scappatoie per sfuggirvi come fece l’amministratore disonesto del Vangelo (cfr. Lc 16, 1-8). Il corrotto attraversa la vita con le scorciatoie dell’opportunismo, con l’aria di chi dice: “Non sono stato io”, arrivando a interiorizzare la sua maschera di uomo onesto. È un processo di interiorizzazione. Il corrotto non può accettare la critica, squalifica chi la fa, cerca di sminuire qualsiasi autorità morale che possa metterlo in discussione, non valorizza gli altri e attacca con l’insulto chiunque pensa in modo diverso. Se i rapporti di forza lo permettono, perseguita chiunque lo contraddica. La corruzione si esprime in un’atmosfera di trionfalismo perché il corrotto si crede un vincitore. In quell’ambiente si pavoneggia per sminuire gli altri. Il corrotto non conosce la fraternità o l’amicizia, ma la complicità e l’inimicizia. Il corrotto non percepisce la sua corruzione. Accade un po’ quello che succede con l’alito cattivo: difficilmente chi lo ha se ne accorge; sono gli altri ad accorgersene e glielo devono dire. Per tale motivo difficilmente il corrotto potrà uscire dal suo stato per interno rimorso della coscienza. La corruzione è un male più grande del peccato. Più che perdonato, questo male deve essere curato. La corruzione è diventata naturale, al punto da arrivare a costituire uno stato personale e sociale legato al costume, una pratica abituale nelle transazioni commerciali e finanziarie, negli appalti pubblici, in ogni negoziazione che coinvolga agenti dello Stato. È la vittoria delle apparenze sulla realtà e della sfacciataggine impudica sulla discrezione onorevole. Tuttavia, il Signore non si stanca di bussare alle porte dei corrotti. La corruzione non può nulla contro la speranza. Che cosa può fare il diritto penale contro la corruzione? Sono ormai molte le convenzioni e i trattati internazionali in materia e hanno proliferato le ipotesi di reato orientate a proteggere non tanto i cittadini, che in definitiva sono le vittime ultime — in particolare i più vulnerabili — quanto a proteggere gli interessi degli operatori dei mercati economici e finanziari. La sanzione penale è selettiva. È come una rete che cattura solo i pesci piccoli, mentre lascia i grandi liberi nel mare. Le forme di corruzione che bisogna perseguire con la maggior severità sono quelle che causano gravi danni sociali, sia in materia economica e sociale — come per esempio gravi frodi contro la pubblica amministrazione o l’esercizio sleale dell’amministrazione — come in qualsiasi sorta di ostacolo frapposto al funzionamento della giustizia con l’intenzione di procurare l’impunità per le proprie malefatte o per quelle di terzi.

Conclusione La cautela nell’applicazione della pena dev’essere il principio che regge i sistemi penali, e la piena vigenza e operatività del principio pro homine deve garantire che gli Stati non vengano abilitati, giuridicamente o in via di fatto, a subordinare il rispetto della dignità della persona umana a qualsiasi altra finalità, anche quando si riesca a raggiungere una qualche sorta di utilità sociale.

Il rispetto della dignità umana non solo deve operare come limite all’arbitrarietà e agli eccessi degli agenti dello Stato, ma come criterio di orientamento per il perseguimento e la repressione di quelle condotte che rappresentano i più gravi attacchi alla dignità e integrità della persona umana. Cari amici, vi ringrazio nuovamente per questo incontro, e vi assicuro che continuerò ad essere vicino al vostro impegnativo lavoro al servizio dell’uomo nel campo della giustizia. Non c’è dubbio che, per quanti tra voi sono chiamati a vivere la vocazione cristiana del proprio Battesimo, questo è un campo privilegiato di animazione evangelica del mondo. Per tutti, anche quelli tra voi che non sono cristiani, in ogni caso, c’è bisogno dell’aiuto di Dio, fonte di ogni ragione e giustizia. Invoco pertanto per ciascuno di voi, con l’intercessione della Vergine Madre, la luce e la forza dello Spirito Santo. Vi benedico di cuore e per favore, vi chiedo di pregare per me. Grazie.

L’«esperienza mistica» che Paolo fa di Gesù ci ricorda che non si può essere cristiani da soli, amando Dio e il prossimo «senza la forza e la grazia dello Spirito Santo». Ed è proprio l’esperienza dell’apostolo che Papa Francesco ha riproposto, rilanciandone l’attualità spirituale come preghiera di adorazione e di lode, nella messa celebrata giovedì mattina, 23 ottobre, a Santa Marta. «Paolo ha un’esperienza di Gesù Cristo, un’esperienza del Signore, che lo ha portato a lasciare tutto» fino a dire «tutto ho lasciato perdere, e considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in Lui». Difatti egli «aveva visto Cristo, aveva conosciuto Cristo, era innamorato di Cristo». E «va avanti in questo mistero». Così, ha fatto notare il Pontefice, «nella prima lettura — Efesini 3, 14-21 — abbiamo ascoltato quell’atto di adorazione che Paolo fa davanti a Dio: “Fratelli, io piego le ginocchia davanti al Padre”». Ecco, dunque, il suo atto di adorazione al Padre. Ma «poi ci spiega perché» lo fa. Il brano proposto dalla liturgia di oggi, ha affermato Francesco, «è originale per il linguaggio che usa Paolo». Si tratta, infatti, di «un linguaggio senza limite, un linguaggio di grandiosità, di ampiezza: parla di ricchezza della sua gloria; parla di comprendere l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza, la profondità; conoscere il Cristo che supera, il Cristo che fa che noi siamo ricolmi di tutta pienezza». È, appunto, «un linguaggio senza limite, che non si può capire nel senso di prendere», perché è «quasi senza orizzonte». Paolo «adora questo Dio che ha il potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo quella potenza che Lui ha anche nel tempo, per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli». È un vero e proprio «atto di adorazione, un’esperienza davanti a questo Dio che è come un mare senza spiagge, senza limiti, un mare immenso». E «Paolo davanti a questo Dio piega le ginocchia del suo cuore, della sua anima». «In questo atto di adorazione — ha affermato il Papa — Paolo ci parla del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». E «cosa chiede Paolo, per lui, per la Chiesa — la Chiesa di Efeso in questo caso — e per tutti

noi?». Rivolgendosi «al Padre, da cui ha origine tutta la discendenza in cielo e sulla terra», Paolo chiede per prima cosa «di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore, mediante il suo Spirito». Inoltre domanda «al Padre che lo Spirito venga e ci rafforzi, ci dia la forza». Sa benissimo che «non si può andare avanti senza la forza dello Spirito. Le nostre forze sono deboli. Non si può essere cristiani, senza la grazia dello Spirito». Infatti «è proprio lo Spirito che ci cambia il cuore, che ci fa andare avanti nella virtù per compiere i comandamenti». Poi, Paolo «chiede un’altra grazia al Padre, ma per mezzo di Cristo: “Che il Cristo abiti, per mezzo della fede, nei vostri cuori, e così,

radicati e fondati nella carità”». In sostanza «chiede la presenza di Cristo perché ci faccia crescere nella carità, ma radicati nell’amore, fondati nell’amore». E, anche, «chiede al Padre di conoscere questo amore di Cristo che supera ogni conoscenza, che non si può capire». Ma, allora, «come posso conoscere quello che non si può capire?». La risposta di Paolo è chiara: «Per mezzo di questo atto di adorazione di quell’immensità grande». Nel passo della Lettera agli Efesini, Paolo prosegue parlando «ai fedeli sul Padre: ha cominciato sul Padre e finisce col Padre». Parla, dunque, direttamente ai fedeli di «Colui che in tutto ha potere di fare». L’apostolo afferma che il Padre può fare «molto più di quanto possiamo domandare o pensare». Anche miracoli, certo. «Ma noi non possiamo immaginare cosa può fare il Padre, secondo la potenza che opera in noi». Quindi Paolo finisce questa sua adorazione con una lode: «A Lui sia la Gloria, per i secoli dei secoli». Siamo davanti, ha spiegato Francesco, a «un’esperienza mistica di Paolo, che ci insegna la preghiera di lode e la preghiera di adorazione». Così «davanti alle nostre piccolezze, ai nostri interessi egoistici — tanti! — Paolo scoppia in questa lode, in questo atto di adorazione». E «chiede al Padre che ci invii lo Spirito per darci forza e poter andare avanti; che ci faccia capire l’amore di Cristo e che Cristo ci consolidi nell’amore». E dice al Padre: «Grazie, perché Tu sei capace di fare quello che anche noi non osiamo pensare». Questa di Paolo «è una bella preghiera» ha rimarcato il Papa. E «con questa vita interiore si può capire che Paolo abbia lasciato perdere tutto e consideri tutto spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in Cristo». Le sue parole valgono anche per noi perché «ci fa bene pensare così, ci fa bene adorare Dio anche a noi». Sì, «ci fa bene lodare Dio, entrare in questo mondo di ampiezza, di grandiosità, di generosità e di amore». E, ha concluso Francesco, «ci fa bene perché così possiamo andare avanti nel grande comandamento — l’unico comandamento che è alla base di tutti gli altri — che è l’amore: amare Dio e amare il prossimo».

El Greco «San Paolo» (1606)

L’anno liturgico in Vaticano

Tempo mai ordinario di CINDY WO ODEN «La liturgia è tempo di Dio e spazio di Dio», ha detto Papa Francesco durante un’omelia in una mattina d’inverno in occasione di una messa nella sua residenza in Vaticano. «Noi dobbiamo metterci lì nel tempo di Dio, nello spazio di Dio e non guardare l’orologio». Il libro Papa Francesco: Una Guida al Tempo di Dio vi invita a entrare nel tempo e nello spazio di Dio unendovi a Papa Francesco in un viaggio lungo il cammino della Chiesa nell’anno liturgico. Il nostro viaggio con il Papa si estende dal tempo liturgico dell’Avvento e del Natale alle settimane del tempo ordinario. Si muove dalla Quaresima e i giorni del triduo pasquale, al tempo di Pasqua e poi di nuovo al temÈ appena uscito il libro po ordinario. Papa Francesco. Una Con Papa Franceguida al tempo di Dio sco che ci conduce at(Washington - Città del Vaticano, Catholic News traverso l’anno liturService - Libreria gico, ci fermeremo Editrice Vaticana, 2014, anche noi con lui per pagine 120, euro 20) nel celebrare le solennità quale gli autori, Cindy speciali della Beata Wooden e Paul Haring, Vergine Maria — il attraverso testi e primo discepolo — e immagini seguono Papa per contemplare più e Francesco durante i vari più volte l’amore di momenti dell’anno Dio nei nostri conliturgico. Pubblichiamo fronti, la sua miserialcuni stralci cordia e la sua chiadell’introduzione. mata per diventare misericordiosi a nostra volta. Anche se gran parte dell’anno solare è etichettato dalla Chiesa come “tempo ordinario”, il suo anno di culto non è mai ordinario! È straordinario in ogni suo momento sia nella sua celebrazione della bontà e misericordia di Dio sia in tutto ciò che rivela sulla presenza attiva di Dio nella nostra vita quotidiana.

Giorno per giorno

Papa Francesco afferma ripetutamente che l’anno liturgico si rivolge direttamente a noi, sia come comunità sia come individui e famiglie. Il ritmo di ogni santa messa e l’oggetto delle sue preghiere e delle sue letture sono pensati per aiutare i cattolici a uscire dalle loro vite impegnate e a entrare invece nel tempo di Dio. Papa Francesco suggerisce ai fedeli che, con la messa e l’anno liturgico, non sono i cattolici a trasformare il tempo, ma Dio. Papa Francesco celebra messa ogni giorno dell’anno liturgico sia con una grande messa nella basilica di San Pietro o in una chiesa parrocchiale, oppure con una messa più intima la mattina presto nella Cappella dello Spirito Santo della Domus Sanctae Marthae. Come la moderna cappella è decorata con alcuni mazzi di fiori che riflettono la stagione dell’anno, allo stesso modo l’incedere dell’anno liturgico della Chiesa è segnalato visivamente dal colore dei paramenti del Papa e dalle vesti degli altri sacerdoti concelebranti (verde del tempo ordinario, per esempio, oppure viola durante l’Avvento e la Quaresima e rosso nei giorni della festa dei martiri). Degne di nota le omelie del Papa che, riflettendo sulle letture bibliche di ogni messa, mettono in risalto i tempi liturgici. Papa Francesco attribuisce una grande importanza all’omelia. Ciò appare chiaro dall’ampio spazio che egli dedica alla predicazione nell’Evangelii gaudium. In tale esortazione Papa Francesco consiglia i predicatori su come preparare e tenere le omelie, insistendo sul fatto che la priorità deve essere quella di aiutare le persone a cambiare la propria vita. Egli incoraggia l’omileta a «porsi in ascolto del popolo», al fine di conoscere le sue esigenze. «In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia», afferma nell’esortazione apostolica. D’altra parte, egli scrive, è possibile che si sia così preoccupati per questioni legate alla politica, alla giustizia sociale e alla vita quotidiana della congregazione che la messa tradisce una «mondanità spirituale» da parte dei parteci-

panti o si trasforma in una sessione di «auto-aiuto». Le omelie non sono scritte completamente in anticipo, ma vengono preparate con la preghiera. Papa Francesco inizia ogni giorno alzandosi intorno alle 4.30 e aprendo il suo breviario estremamente usurato. Come suggerisce il titolo, il libro della preghiera è un altro modo di aiutare i cattolici a santificare il tempo e dedicare la loro giornata, la loro settimana e i tempi liturgici a Dio. Le lodi mattutine, gli scritti dei padri e dei dottori della Chiesa, i vespri e la compieta sono i componenti principali della liturgia delle ore. I suoi salmi, le letture e i testi delle preghiere cambiano non solo con il tempo liturgico, ma anche con l’ora del giorno. Sensibili ai ritmi della vita reale, le lodi mattutine aiutano le persone a dedicare al Signore la giornata che sta per iniziare. Con la compieta invece ci si volge indietro a ciò che è stato fatto o ciò che non si è riusciti a fare nel giorno che ormai volge al termine. Papa Francesco inoltre ha mantenuto una pratica presso la Domus Sanctae Marthae iniziata molto tempo fa in Argentina, sua terra d’origine: trascorre un’ora la sera — solitamente dalle 19 alle 20 — in silenziosa adorazione davanti all’Eucaristia. Quando egli racconta alla gente di questa ora di adorazione, lo fa in modo molto realistico. Riconosce che la gente a volte potrebbe assopirsi, come di tanto in tanto capita anche a lui. Nella processione «seguiremo Gesù realmente presente nell’Eucaristia» egli

esorta i cattolici a riconoscere la loro essenza, offrirla quindi a Cristo affinché li trasformi. Come l’anno liturgico accompagna le persone passo dopo passo nel ministero, nella passione, nella morte e nella resurrezione di Gesù, Papa Francesco riflette sugli eventi della vita del Signore e ciò che essi rivelano circa il grande amore di Dio per l’uomo e la misericordia verso coloro che si smarriscono. Ma il Papa include anche consigli pratici per i cristiani su come seguire Gesù, estendendo a tutti l’amore e la misericordia con-

Corpus Domini (30 maggio 2013)

cretamente, soprattutto ai poveri e a coloro che vivono ai margini della società. I messaggi del Papa spaziano dall’invitare le persone a rinunciare al pettegolezzo e a parlare male degli altri, fino al raccomandare che, quando viene fatta l’elemosina ai bisognosi, li si guardi negli occhi, si sorrida loro e li si tratti sempre con dignità, riconoscendo nei loro volti il volto di Cristo.


L’OSSERVATORE ROMANO

pagina 6

venerdì 24 ottobre 2014

Franca Schininà, «Sete d’Africa» (2003)

Per tutto il nucleo domestico la madre è la rappresentazione della dignità della fedeltà e della credibilità Se viene violata in pubblico non ci sono più né dignità né credibilità e sono distrutti tutti i valori familiari

la famiglia nel sacramento del matrimonio. Grazie alla Chiesa oggi abbiamo sempre più ricongiungimenti famigliari, famiglie che malgrado la tragedia vissuta tornano a vivere insieme. La riabilitazione della donna stuprata è al centro del conflitto sociale tradizione-Chiesa: i religiosi hanno aiutato gli uomini a capire che lo stupro è un atto subito, non volontario, che le donne violate meritano il rispetto sociale. Credo che la Chiesa possa aiutare molto nella mediazione famigliare, tra donna, uomo, bambino. L’aborto è illegale in Congo, è prevista una pena di cinque anni per chi lo pratica. Disgraziatamente, alcune donne cercano di abortire clandestinamente con metodi orribili, in situazioni non presidiate medicalmente: arrivano poi nel nostro ospedale in setticemia e in condizioni molto difficili. Tentano l’aborto soprattutto le donne che hanno vissuto devastanti esperienze di schiavitù sessuale.

di SANDRA ISETTA Denis Mukwege ha una figura imponente, anche i suoi movimenti trasmettono una certa solennità, forse è la regalità del giusto, di colui che è in pace con Dio. Ma non con gli uomini. I suoi occhi scurissimi, profondi come i grandi laghi africani, rispecchiano un dolore antico, stanco, ma non sopito. Quando gli dico che l’intervista è per l’Osservatore Romano si illumina. Gli regalo l’inserto di «donne chiesa mondo» sull’Africa, si compiace di questo interesse per le donne ma scrolla il capo e guarda lontano: «È incredibile vedere quello che gli uomini riescono a fare alle donne, non sembrano essere umani. Compiono violenze che nemmeno gli animali sarebbero in grado di fare. Io nutro una grandissima ammirazione per Papa Francesco, abbiamo bisogno di un Papa così, che parla con semplicità all’orecchio ma le sue parole poi volano in alto. C’è bisogno della voce del Papa per denunciare questi crimini». In quattordici anni, Denis Mukwege ha curato circa quarantamila donne vittime dello stupro di guerra, «donne spezzate, rovinate, svestite della loro umanità. La neonata più piccola che ho operato per l’utero perforato aveva sei mesi e la donna più anziana aveva più di ottant’anni. Lo stupro di guerra è un’arma pianificata di

A colloquio con Denis Mukwege, vincitore del premio Sakharov

Lo stupro uccide la famiglia E la voce del Papa risveglia le coscienze le donne, per contenerne la mortalità durante il parto, che è elevatissima nel mio Paese. Nel 1999 ha scoperto un nuovo volto della guerra, sui corpi devastati delle vittime. Un numero infinito, una cosa incredibile, «sovrumana»: ho letto che nel suo ospedale sono

Ananas e cipolle per pagargli il biglietto di ritorno Figlio di un pastore protestante, Denis Mukwege si laurea in medicina nel 1983 presso l’università del Burundi. Nel 1984 riceve una borsa di studio per la specializzazione in ginecologia all’università d’Angers in Francia. Torna nel suo Paese e fonda l’ospedale Panzi a Bukavu nel Kivu Sud, dove si dedica alla ricostruzione degli organi genitali delle donne vittime di violenza sessuale ed è riconosciuto come uno degli esperti mondiali nel trattamento delle fistole. Da anni è impegnato nel far conoscere al mondo la barbarie dello stupro collettivo come arma pianificata di guerra. In un articolo pubblicato su «Le Monde» critica sia l’insufficiente operato dei diciassettemila soldati della locale missione Onu, sia l’esercito regolare reo di violentare le donne esattamente come le milizie ribelli, e accusa l’interesse della Repubblica Democratica del Congo nel mantenere il Paese nell’instabilità. Di particolare importanza il discorso che nel settembre del 2012 ha tenuto alle Nazioni Unite, dove ha ribadito la gravità dell’impunità degli stupri di massa, chiamando in causa pubblicamente la comunità internazionale e il Governo congolese. Passato indenne attraverso otto attentati, è costretto a un soggiorno forzato in Belgio e in Svezia, ma nel 2013 fa ritorno in Congo dove la popolazione lo accoglie con calore lungo tutto il tragitto dall’aeroporto di Kavumu alla città di Bukavu: in prima linea le sue pazienti, che hanno raccolto fondi per pagare il suo biglietto di ritorno vendendo frutta e verdura, ananas e cipolle. (sandra isetta)

genocidio. C’è infatti un’orribile metodicità nella pratica dello stupro che viene compiuto in pubblico e in presenza di familiari e poi seguito da torture sull’apparato genitale per impedire la riproduzione. Lo stupro di massa — trecento donne violentate in un’unica notte e in un unico posto — segue lo stesso modello di traumatizzazione delle decapitazioni mediatiche praticate dall’Is». Uno sterminio ancora in atto nel Kivu sud, zona strategica per l’approvvigionamento di risorse minerarie come oro e tungsteno, ma si combatte soprattutto per il coltan e la cassiterite, materiali indispensabili per costruire pc e cellulari, come racconta Colette Braeckman nel libro Muganga. La guerra del dottor Mukwege (Roma, Fandango, 2014, euro 16, pagine 190). Ma chiediamo direttamente a muganga (“medico”, in swahili) di raccontarci la sua storia.

state curate quarantamila donne, con una media di tremila casi per anno. Il suo lavoro di muganga è diventato una missione umanitaria, per denunciare questi stupri di massa come arma di guerra. Vedendo tanto orrore accadere nell’indifferenza del mondo, la fede del pastore ha vacillato? No, mai. La mia fede non ha mai vacillato. Considero il mio lavoro alla luce dell’insegnamento del nostro maestro, Gesù Cristo, che durante tutta la sua missione ha curato i malati, li ha aiutati, sollevati. Quando mi portano dei malati, nella mia fede cristiana, penso che Gesù ha avuto “com-passione”, e che noi dobbiamo compatire, soffrire insieme ai nostri

fratelli. Per questo la mia fede non solo non si è indebolita, ma è divenuta più forte. Di fronte agli autori di questi crimini, di fronte a questi assassini, penso che ogni uomo abbia libertà di scelta, di fare il bene o di fare il male. Il bene è dentro ognuno di noi, tutti possiamo compierlo. Il fatto che alcuni scelgano di fare il male non può indebolire la nostra fede, anzi ci sollecita sempre più a divenirne consapevoli. Nel mio Paese ci sono due tipi di criminali: bambini e adulti. Il primo tipo sono bambini presi tra i 10 e i 13 anni, che vengono iniziati dagli adulti a fare il male, a distruggere la comunità, alla violenza, allo stupro. Sono bambini che subiscono un lavaggio del cervello per istruirli a fare del male e sono anche vittime, afflitte dalla sindrome dello stress post-traumatico. Credo che sia necessario farsi carico di questi giovani e curarli perché sono malati. La seconda categoria è quella degli adulti che io considero dei vigliacchi, perché non sono inconsapevoli, scelgono la violenza, sanno di distruggere dei bambini, di trasmettere le malattie. Sono dei vigliacchi che devono assolutamente rispondere dei loro crimini davanti alla giustizia. Ma questi uomini che compiono il male non devono indebolirci nella fede, anzi interpellano il nostro senso di responsabilità a parlare con loro.

Come descriverebbe l’aiuto delle religiose, delle suore missionarie? Sono numerose? Le suore hanno un’altissima formazione medica, sono loro che hanno aperto centri di formazione e di cura. Io lavoro con una suora di Bunyakiri: non ho mai visto una persona così energica, così impegnata in favore delle donne. Sono veramente impressionato da questa suora. La vedo correre in auto per portare le malate in ospedale, per nasconderle, proteggerle. Per noi sarebbe difficile fare il nostro lavoro senza di lei. Dimostra una forza eccezionale, malgrado le minacce di morte che riceve per avere accolto tante donne, per averle curate e accompagnate nel recupero. Per proteggerla preferisco non dire il suo nome.

Ha incontrato qualcuno di questi assassini? Sì, ho incontrato e potuto parlare con alcuni di loro: non riescono a guardarti negli occhi, sanno di essere dei criminali. Sono criminali che devono rispondere alla giustizia, è una cosa orribile che un adulto formi un bambino alla violenza, a compiere azioni terribili, questo è un crimine enorme. Ma non si è fatta giustizia, questi assassini vestono divise, hanno ricevuto gradi militari e promozioni, come se niente fosse accaduto. È triste. Soprattutto per le vittime, che vivono un senso di oppressione permanente nel vedere come questa persona che li ha distrutti non solo è rimasta impunita, ma è stata gratificata e premiata. È veramente duro. Devono essere giudicati, la giustizia non è vendetta, è un atto che restituisce alla vittima, alla persona, quanto gli è stato strappato e non applicare la giustizia è tenere nel pregiudizio le vittime. Non si possono perdonare semplicemente i colpevoli senza che paghino il loro debito, è pericoloso: non avere fatto giustizia è come conservare un seme della violenza che prolifera di nuovo. Lasciandoli impuniti, non si interrompe la catena della violenza, ci saranno sempre adulti criminali che formano bambini criminali. C’è stato un accanimento particolare contro le donne cristiane ?

Una vita consacrata alle donne. Doppiamente consacrata. Lei è un pastore — come suo padre — e ha sempre aiutato e curato le donne, anche prima dell’orrore degli stupri di guerra. Perché ha sentito l’esigenza di diventare ginecologo per aiutare le donne del suo Paese, già dagli anni Ottanta? Ho sentito fin da bambino la vocazione di fare il medico, stando accanto a mio padre, un pastore protestante, che nel suo ministero portava assistenza ai malati. Subito volevo fare il pediatra, infatti mi sono laureato in pediatria. Arrivato però nel mio Paese, ho visto il numero di donne che morivano ogni giorno nel dare alla luce i bambini e ho avuto un vero e proprio choc nel vedere le condizioni in cui le donne portavano avanti le gravidanze e poi partorivano. Ho capito così che la mia vocazione era diventare ostetrico e aiutare

Paese è molto cristiano. Credo che la donna rappresenti un grande valore nella società, come la Chiesa: distruggere la Chiesa ha la stessa finalità dello stupro di massa delle donne, l’abbattimento dei valori più alti della società. Per tutta la famiglia, la mamma è la rappresentazione della dignità, la rappresentazione della fedeltà e della credibilità: e dunque se viene violata in pubblico non c’è più dignità e credibilità, sono distrutti i valori della famiglia. Allo stesso modo uccidere suore, pastori, religiosi è fare anche di questa fede in Dio un obiettivo, per far crollare il tessuto etico sociale: la classe familiare insieme a quella religiosa. Franano insieme la

Antonio Canistrà, «L’emorroissa» (2012, particolare)

Come si sa, lo stupro di massa è un metodo per distruggere l’edificio sociale, un metodo per annientare comunità intere. Quando ho cominciato a lavorare nel mio Paese, le prime persone che ho visto cadere vittime di questa pianificazione di morte sono stati dei preti con cui lavoravo nell’ospedale di Lemera, poi è stato ucciso l’arcivescovo di Bukavu, quindi sono stati distrutti molti conventi e missioni. Il mio

Denis Mukwege davanti al suo ospedale

famiglia e la Chiesa, i fondamenti della società. Oltre che con le operazioni chirurgiche, che sono già dei veri miracoli, come aiutate le donne che sono sopravvissute alla violenza? Il nostro è un aiuto olistico. All’inizio facevamo solo operazioni chirurgiche, poi ci siamo resi conto che non erano sufficienti. Adesso facciamo quattro tipi di intervento: dopo il chirurgo, operano in sinergia lo psicologo, l’assistente socio-economico e legale. Forniamo un accompagnamento giudiziario, per dare alla donna vittima di stupro la possibilità di rientrare nella società, perché non riceva solo pietà attraverso l’aiuto economico, ma anche un supporto psicologico nel percepire che quello che ha subito è stato riconosciuto dalla società come violenza, di cui non ha colpa, e che il colpevole è stato assicurato alla giustizia: una giustizia riconosciuta e una riparazione avvenuta. Penso che questo sia un fattore molto importante nel percorso di guarigione. Senza giustizia non ci sono diritti. In questo modo la donna può rientrare nella società, che ne ha bisogno. Lei ha dichiarato che gli uomini che accetterebbero di sposare le donne vittime di stupro di guerra rifiutano però i bambini nati dal frutto della violenza. I cristiani sono più disposti ad accettarli? Qual è l’importanza del fattore religioso? La Chiesa collabora con noi e ha sempre aiutato molto nella mediazione famigliare, ha un ruolo chiave per tenere unita

Le Nazioni Unite, o altre associazioni, danno un contributo specifico per le donne vittime di stupro di massa? La maggior parte delle donne sono infettate dall’Aids, vengono distribuiti contraccettivi e preservativi? Innanzi tutto il preservativo non serve alle donne vittime di stupro, perché l’obiettivo è infettarle, è un’operazione clinica per spargere la malattia, per far nascere bambini con l’Aids. Informiamo le donne del pericolo dell’Aids conclamato, però non abbiamo la quantità necessaria di questi farmaci, ed è la cosa più grave. Quale messaggio, quale appello vuole affidare all’Osservatore Romano? O, in altre parole, come possiamo sostenerla nella sua battaglia? Sono convinto che abbiamo bisogno della voce del Papa perché lo stupro delle donne è una nuova arma di guerra che distrugge non solo la persona ma tutta la famiglia, il tessuto sociale. Purtroppo queste conseguenze si trasmettono sulle generazioni: attraverso l’Aids, attraverso i disturbi psicologici dei bambini nati dalla violenza. La voce del Papa può risvegliare le coscienze, perché oggi abbiamo bisogno che gli uomini si ergano a condannare chi distrugge la donna, e che dunque distrugge la nostra umanità. È riduttivo, ma il messaggio che sento di dover portare ovunque è questo: come abbiamo detto stop alle armi chimiche, dobbiamo dire stop agli stupri di massa, che sono un mezzo altrettanto grave di distruzione delle generazioni. Sono entrambe armi di guerra.


L’OSSERVATORE ROMANO

venerdì 24 ottobre 2014

pagina 7

Per iniziativa di Paolo VI la specificità benedettina venne riconosciuta nel ruolo di fondazione e di guida per l’intera Europa

Paolo VI arriva a Cassino per consacrazione la nuova basilica (24 ottobre 1964)

Cinquant’anni fa il breve «Pacis nuntius»

Con la croce il libro e l’aratro di MARIANO DELL’OMO e nel 1947, anno quattordici volte centenario della morte di san Benedetto, non erano ancora maturi i tempi per una sua proclamazione a patrono dell’Europa, le cui macerie materiali e ancor più morali e spirituali giacevano ancora in tutta la loro drammatica visibilità dal Mediterraneo agli Urali, nel 1964, appena subito dopo il pontificato così distensivo e benefico di Giovanni XXIII, che ancora da cardinale si era impegnato per una rapida definizione del patronato europeo di Benedetto, ecco che per l’impulso decisivo di un Papa «monaco nel cuore», Paolo VI, il carisma benedettino poté finalmente essere riconosciuto nel suo ruolo, storicamente

S

così evidente, di fondazione e guida per l’intera Europa. A Papa Montini furono inviate lettere postulatorie da moltissimi vescovi e cardinali, tra i quali personalità come i cardinali Josef Frings, arcivescovo di Colonia, o il vescovo di Ratisbona, Rudolf Graber, che insieme a Josef Stangl, vescovo di Würzburg primo consacrante, e a Ernst Tewes, ausiliare di Monaco e Frisinga, conferirà nel 1977 l’ordine episcopale al neo-arcivescovo di Monaco e Frisinga Joseph Ratzinger, futuro Papa Benedetto XVI. Tra gli esponenti dell’accademia si segnalarono Antonio Piolanti, rettore della Pontificia Università Lateranense; tra quelli della vita religiosa Augustin Sépinski, ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori, Basilius M. Haiser, ministro generale

Scriveva l’abate Gregorio Diamare

Dalle macerie di Montecassino Pax. Roma, Collegio S. Anselmo. Eminenza reverendissima e carissima, Iddio sia benedetto, sia fatta sempre la sua santa volontà in ogni cosa, oggi e sempre più che mai. Ho lasciato Montecassino alle ore 7.30 del giorno 17, il terribile bombardamento aereo si ebbe durante la giornata del 15 (ma il cannoneggiamento formidabile, e con crescendo spaventoso, era cominciato fin dai primi di febbraio), quando oramai vi era imminente e sicuro pericolo di rimanere sepolti sotto le macerie delle stanze inferiori della Torre di S. Benedetto, ultimi nostri rifugi; le superiori erano già un mucchio di rovine. Con me erano rimasti Don Martino che mi è stato sempre vicino e Don Agostino e quattro fratelli conversi, di cui uno gravemente malato, ed una quarantina di persone, la maggior parte donne e fanciulli, tra cui parecchi feriti e malati che non potevano affatto camminare, con appena sei o sette uomini ancora validi. Ci aprimmo un varco attraverso le macerie che già ostruivano l’ingresso dell’antica porta principale di Montecassino, l’altra era del tutto ostruita, detti l’assoluzione a tutti ed io innanzi con un crocifisso in mano, gli altri portando in braccio, su le spalle o barelle improvvisate i poveri feriti ci avviammo recitando preghiere per la via resa impraticabile che mena a S. Rachisio. Non tardò molto che cominciarono a cadere lungo il nostro cam-

mino granate, ma noi sempre avanti finché dopo circa tre ore giungemmo al luogo detto del Colloquio, ove vedemmo esservi un posto di pronto soccorso. Da lì si dovette passare a circa altri quattro chilometri innanzi, sotto l’imperversare delle granate. Ci eravamo riservati, Don Martino ed io, partire gli ultimi per assicurarci che gli altri fossero arrivati sani, ma per evidente disposizione della provvidenza divina fummo consigliati a rimanere, per poterci mettere più sollecitamente a contatto col comando delle truppe, onde avere soccorsi. Non scendo a dettagli che per me sono prove evidenti della intercessione di santa Scolastica. Era il giorno ottavo della sua festa e con un unico Breviario che Don Martino aveva in tasca dicemmo, nell’attesa in quel luogo, l’ufficio divino. Alle 4.30 del pomeriggio un carro ambulanza mandato dal comando venne a rilevarci, ove prendemmo posto con alcuni feriti e soltanto alle 5 p.m., dopo circa un mese da che stavamo sotto il fuoco incrociato dei due contendenti, arrivammo a Roccasecca, fuori dei tiri. Il giorno seguente non avendo con noi che i miseri abiti sporchi e laceri che avevamo indosso fummo condotti Don Martino ed io a Roma; Don Agostino con altri tre fratelli, da cui poi eravamo rimasti distaccati, ci raggiunsero due giorni dopo, tre ci precedettero perché lasciarono Montecassino nel po-

dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, Aniceto Fernandez, maestro generale dell’Ordine dei Frati Predicatori. Lo stesso cardinale Augustin Bea, presidente del Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, pur non potendo porgere al Papa alcuna supplica in quanto membro della Sacra Congregazione dei Riti avente l’ufficio di studiare e curare tutte le nomine di patroni celesti, si premurò — tramite

Due lettere inedite al cardinale Schuster Pubblichiamo due documenti inediti: la prima parte del messaggio inviato dall’abate Gregorio Diamare al cardinale Schuster dopo la distruzione dell’abbazia e il testo integrale di una lettera datata 23 febbraio 1944 scritta dal sostituto Giovanni Battista Montini. Quest’anno Montecassino ricorda il cinquantesimo anniversario della proclamazione di san Benedetto patrono primario d’Europa. Il 25 ottobre il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin presiederà alle 16 i vespri votivi; seguirà il convegno: «Identità europea e radici cristiane dell’Europa». Per l’occasione sarà esposto l’originale del Breve Pacis nuntius, datato 24 ottobre 1964, con cui Paolo VI proclamava ufficialmente il 24 ottobre 1964 san Benedetto patrono d’Europa.

meriggio del 15 appena dopo il bombardamento aereo. Tutti quelli che lasciarono con me la mattina del 17 Montecassino si sono salvati, eccetto fra Carlomanno che si sperdette nella pianura. Il carissimo Don Eusebio Grossetti era morto per malattia contratta nel pomeriggio del 13. Facemmo a tempo e stentatamente a farlo seppellire in S. Anna già violata da granate. Montecassino, nel momento in cui lo lasciammo era un cumulo di macerie: l’interno della chiesa e della sacrestia interamente crollato; non fu possibile assicurarci se la volta della cripta aveva resistito al cumulo delle macerie — il coro d’inverno e la biblioteca monumentale con i locali sottostanti un cumulo di macerie, e sembra che sotto di esse vi siano rimaste vittime in numero non precisabile. La loggia del Paradiso, quella detta dell’Olimpo, la grande gradinata, il chiostro dei benefattori, quelli detti del Bramante, non esistono

più. Tutto l’angolo della foresteria che dava sull’ingresso cadendo ha sfondato il piano superiore delle Stanze di san Benedetto, minacciando anche il piano inferiore. Questa è una descrizione sommaria di quanto potemmo constatare, ma ho la convinzione che tutta la parte superiore di Montecassino e le mura interne siano crollate; può darsi che il corridoio inferiore e locali sottostanti, pur rimanendo fortemente danneggiati abbiano resistito; le mura esterne pericolanti. Ma sappiamo che il giorno 17 ci fu un altro bombardamento aereo ed ignoriamo quello che sia accaduto. Le ossa di san Vittore, san Bertario, e san Carlomanno che erano sotto gli altari loro dedicati erano già state estratte e portate a Roma assieme alla maggior parte delle altre reliquie di santi. Le ossa di san Benedetto che dovrebbero essere sotto l’altare maggiore non sarebbe stato possibile, né forse conveniente rintracciarle. I manoscritti dell’archivio, i

il suo segretario e confratello padre Schmidt — di comunicare all’abate di Montecassino Ildefonso Rea «quanto Sua Eminenza stimi il lavoro dell’inclito Ordine di San Benedetto e tanto più, se si pensa al medioevo». Alle postulatorie del 1964 non si può non affiancare la serie pur essa notevole delle suppliche per la proclamazione di Benedetto a patrono d’Europa inviate già in concomitanza con i 1400 anni dalla morte di san Benedetto, tra le quali un particolare valore riveste in questo anno centenario della Società San Paolo (19142014), quella del suo fondatore il beato Giacomo Alberione, inviata a Pio XII da Roma il 29 ottobre 1946, con sottoscrizione autografa (Montecassino, Archivio privato), dove in terza persona — quale «Superiore Generale della Pia Società San Paolo» — così scrive: «Facendo eco alle domande di tutto il mondo perché san Benedetto venga proclamato patrono d’Europa, unisce la sua voce a quella di tutti i suoi figli, ed implora dalla Santità Vostra questa grazia. Le benemerenze dell’Ordine di San Benedetto sono ben note, ed in questi tempi così calamitosi è bene che il Patriarca dei Monaci divenga defensor et tutela Ecclesiae Sanctae Dei». Pio XII pubblicava finalmente il 21 marzo 1947 in occasione del XIV centenario della morte di san Benedetto la sua decima lettera enciclica Fulgens radiatur, nella quale per sette volte ricorre il termine «patriarca» riferito al santo, e per tre volte si cita la parola «Europa» con riferimento

libri della biblioteca antica, alcuni della Paolina e della privata erano stati già trasportati a Roma, così alcuni dei parati ricchi dei pontificali; tutto il resto è rimasto sotto le macerie, se non già distrutto. A me dispiace principalmente che son rimasti lì l’archivio privato del monastero con i relativi documenti, quello della Curia, quello riservato del P. Abate etc., che avevo cercato di mettere in ordine e chiudere in casse e valigie riposte nei luoghi che umanamente si ritenevano i più sicuri, mai pensando alla possibilità di una distruzione della Casa. 13 aprile – Questa lettera cominciata a scrivere poco dopo la mia venuta a Roma non ho potuto più continuarla. La consegnerà a mano Don Martino, il quale potrà darle ulteriori e più dettagliate notizie ed esporle ancora la ragione della sua venuta costì. Montecassino pur troppo non è più! Risorgerà? Non solo lo spero, ma ne ho piena fiducia.

Scriveva Montini

Pio

L’altare della cripta dopo il bombardamento del 1944

XII

La ricorda spesso

23. II. 1944. Eminenza reverendissima, non voglio trascurare di servirmi anche di questa occasione per inviarle un commosso pensiero di condoglianza per la sorte di Montecassino e per le tante afflizioni che so circondare l’Eminenza vostra reverendissima. La ringrazio delle sue missive: cerco con ogni cura di seguirne l’evasione, che riguarda sovente la competenza di altri uffici. Mi sarebbe utile sapere il pensiero di Vostra Eminenza sul servizio del nostro

Ufficio informazioni e delle nostre emissioni Radio, per meglio corrispondere, con le limitate possibilità del momento, a cotesti bisogni e desideri. Sua Santità sta bene; La ricorda spesso, sempre con paterna benevolenza: soffre, prega, fatica, spera sostenendo il nostro lavoro con il Suo esempio e la Sua parola. Bacio la sacra Porpora e mi dico con profonda venerazione di V.E. Rev.ma devotissimo e obbligatissimo, G.B. Montini

in particolare all’azione missionaria dei monaci benedettini, ma nessuno specifico titolo o patrocinio è conferito a Benedetto. Nondimeno Pio XII all’indomani dell’enciclica, recatosi a San Paolo fuori le mura il 18 settembre di quello stesso anno, riconobbe esplicitamente per ovvie ragioni storiche il profondo legame tra Benedetto e il continente europeo, con la certezza — Papa Pacelli la esprimeva in forma di domanda — che non vi è chi «potrebbe mettere in dubbio quanto stiamo per asserire», che cioè «san Benedetto è padre dell’Europa». Nella piena continuità di tre pontificati (Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI) i padri conciliari nel corso dei loro incontri in pieno concilio Vaticano II poterono non solo inviare lettere postulatorie personali a Papa Paolo VI ma anche sottoscrivere in forma autografa un modello comune di lettera indirizzata al Sommo Pontefice, in cui tra l’altro si dichiarava che «è giusto ed opportuno che colui il quale, con gli insegnamenti della sua celeberrima Regola e l’opera dei suoi innumerevoli seguaci, ha guidato tutte le Nazioni europee ad accogliere la verità del Vangelo e a ricevere con le tradizioni cristiane la cultura del bene comune, questo stesso a buon diritto sia costituito presso Dio Patrono e Protettore di quei popoli, talché con la sua intercessione possa custodirli nella legge divina e al tempo stesso giovare al consolidamento della Chiesa». Uno dei firmatari di questa lettera era + Carolus Wojtyła, archiepiscopus Cracoviensis, il futuro Papa Giovanni Paolo II. Si giunse così al breve Pacis nuntius, la lettera apostolica che Papa Montini datava il 24 ottobre 1964, attribuendo al santo di Norcia e di Montecassino (i luoghi della nascita e della morte) un titolo che ne riconoscesse i meriti nella costruzione e nell’affratellamento delle Nazioni europee. Con la croce, il libro e l’aratro — cioè con la preghiera che fa memoria della redenzione, con la cultura che eleva la nostra umanità, e con il lavoro che redime la labilità del tempo — Benedetto insegnò all’Europa l’ordine e la giustizia, per usare le parole di Papa Paolo VI, «come base della vera socialità». Civiltà sociale per eccellenza quella dell’Europa, essa grazie a san Benedetto trova così il suo compimento nella valorizzazione dell’incontro tra le differenze. Benedetto con la sua Regola, sintesi del carisma monastico occidentale, è ancora oggi «araldo di pace» nel dinamismo delle molteplici Nazioni europee che gradualmente partecipano, sia pure in tempi diversi, oggi e in vista di domani, al processo della piena integrazione e unità.

Lutto nell’episcopato Monsignor Paul Henry Walsh, vescovo titolare di Abtugni, già ausiliare di Rockville Centre, è morto negli Stati Uniti d’America sabato scorso, 18 ottobre. Il compianto presule era nato in Brooklyn il 17 agosto 1937 ed era stato ordinato sacerdote il 9 giugno 1966. Eletto alla sede titolare di Abtugni e nel contempo nominato ausiliare di Rockville Centre il 3 aprile 2003, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 29 maggio. Il 17 agosto 2012 aveva rinunciato all’ufficio pastorale. Le esequie sono state celebrate giovedì 23 ottobre nella cattedrale di Saint Agnes a Rockville Centre, nello Stato di New York.


L’OSSERVATORE ROMANO

pagina 8

venerdì 24 ottobre 2014

Nomina di abate La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Italia.

Documento della Pontificia Commissione Biblica

Ispirazione e verità di KLEMENS STO CK* La Pontificia Commissione Biblica ha pubblicato un documento su Ispirazione e Verità della Sacra Scrittura. La Parola che viene da Dio e parla di Dio per salvare il mondo (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2014, pagine 254, euro 10). Nell’assemblea sinodale del 2008 sulla Sacra Scrittura nella vita e nella missione della Chiesa, venne suggerito uno studio approfondito delle due caratteristiche principali della Bibbia, ossia la sua ispirazione e verità. La commissione, accogliendo questo suggerimento, ha iniziato la propria riflessione basandosi sull’insegnamento del Vaticano II che ritroviamo nella costituzione dogmatica Dei verbum. A partire da questa traccia, il documento della Commissione si sofferma anzitutto sulla natura dei libri sacri. Una prima parte è dedicata a verificare che cosa essi stessi testimoniano riguardo alla loro provenienza da Dio. Una seconda parte indaga poi come viene presentata la verità che Dio vuole comunicarci. Segue una terza parte che si occupa di alcuni passi della Bibbia che sembrano metterne in dubbio la verità e di conseguenza l’ispirazione. Secondo quanto si trova attestato dagli stessi testi sacri, la loro provenienza da Dio viene presentata in diversi modi. Vengono indicati alcuni esempi. Mosè viene chiamato da Dio, diventa il mediatore fra Dio e il popolo d’Israele e deve comunicare al popolo, oralmente e per iscritto (cfr. Esodo, 24, 4; 34, 27; Deuteronomio, 31, 9) le istruzioni ricevute da Dio. Simile è il caso dei profeti che dopo la loro chiamata da Dio (per esempio Isaia 6, 1-13) ricevono le parole di Dio per comunicarle al popolo, talvolta con un esplicito comando di metterle per iscritto (cfr. Geremia, 36, 2). Per l’autore del libro del Siracide la lettura meditativa e credente «della Legge, dei Profeti e degli altri libri dei nostri padri» diventa la fonte della sapienza che

«viene dal Signore» (Siracide, 1, 1) e lo spinge a scrivere la sua opera. È caratteristico per tutti gli scritti del Nuovo Testamento che ogni rapporto degli autori con Dio viene mediato dalla persona di Gesù. L’apostolo Paolo asserisce il suo rapporto immediato con Gesù risorto (1 Corinzi, 9, 1; 15, 8) e lo considera come dono ricevuto da Dio Padre (cfr. Galati, 1, 15-16; anche Galati, 1, 12). L’autore del quarto Vangelo attesta la sua contemplazione della gloria del Figlio unigenito (Giovanni, 1, 14) e si presenta come testimone oculare di ciò che racconta e come è istruito e guidato dallo Spirito di verità mandato da Gesù glorificato. Diverso è il caso dell’autore del Vangelo di Luca e di quello della Lettera agli Ebrei. Il primo fonda il suo racconto «di tutto quello che Gesù fece e insegnò» (Atti, 1, 1) sui «testimoni oculari e ministri della parola» (Luca, 1, 2); il secondo si riferisce ai testimoni auricolari dell’annuncio del Signore per la sua esposizione di «una salvezza così grande» (Ebrei, 2, 3). I dati biblici così raccolti non costituiscono una dottrina integrale sull’ispirazione biblica ma una tale dottrina ne deve tener conto. La salvezza umana è il fine della rivelazione di Dio. Secondo la Dei verbum i libri biblici comunicano la verità in quanto è in connessione con questa salvezza (n. 11). Secondo la stessa costituzione la verità che si trova al centro della rivelazione riguarda Dio stesso e la salvezza umana e raggiunge il suo pieno svelamento nella persona di Gesù (n. 2). Di conseguenza si deve tener conto di due aspetti. Primo: la lettura che corrisponde alla finalità della Sacra Scrittura è quella che cerca in essa la conoscenza di Dio e della sua salvezza. Secondo: la venuta di Gesù, e con essa il culmine della rivelazione, viene preparata da una lunga “economia” della rivelazione divina. I libri biblici attestano non soltanto la meta (Nuovo Testamento) ma anche il cammino di preparazione (Antico Testamento). Perciò la piena verità su Dio e sulla sua salvezza

non si trova in una lettura ristretta a singoli e isolati libri ma soltanto in una lettura “canonica”, nella luce che viene dalla persona di Gesù. Il documento riferisce la verità che si manifesta in diversi libri biblici. Il culmine della rivelazione su Dio e la salvezza apportato da Gesù può essere espresso in riferimento a Matteo, 28, 19-20: Gesù rivela il Dio che è Padre, Figlio, Spirito Santo, il Dio che è e vive in se stesso perfetta comunione. Gesù chiama i discepoli alla sequela (Matteo, 4, 18-22), alla comunione di vita con sé, e li incarica di fare suoi discepoli tutte le persone di tutti i popoli (Matteo, 28, 19), di introdurli cioè nella stessa comunione di vita con lui. Gesù esprime poi in Giovanni, 17, 24 il suo desiderio più alto. La verità su Dio e sulla salvezza umana, rivelata da e in Gesù, può essere sintetizzata così: Dio è perfetta comunione in se stesso e Dio offre la comunione di vita con sé a tutti gli esseri umani per mezzo del suo Figlio (cfr. anche Dei verbum, 2). Fra i testi che appaiono problematici dal punto di vista di ciò che è effettivamente accaduto, il documento si occupa dei racconti del ciclo di Abramo (specialmente Genesi, 15) e del passaggio del mare (Esodo, 14), dei libri di Tobia e Giona, dei vangeli dell’infanzia (Matteo, 1-2; Luca, 1-2), dei racconti di miracoli e dei racconti pasquali. Accenniamo a queste spiegazioni. Per Abramo si mette in rilievo il carattere normativo del suo atteggiamento, per il passaggio del mare la salvezza completamente realizzata dal Signore; si mostra il carattere sapienziale ed edificante del libro di Tobia e si indicano alcuni temi teo-

Donato Ogliari abate ordinario di Montecassino (Italia)

Evangeliario di Godescalco (VIII secolo)

logici del libro di Giona. I vangeli dell’infanzia servono come introduzioni ai due vangeli e fondano le caratteristiche della persona e opera di Gesù già nelle sue origini. Le azioni straordinarie di Gesù costituiscono parte essenziale del suo ministero. I termini «opere di potenza» le qualificano come manifestazioni del regno di Dio che si è reso vicino e chiama alla conversione, e «segni» le caratterizzano come rivelazioni dell’identità di Gesù che chiamano alla fede in lui. Le molte divergenze nei particolari dei racconti pasquali possono dirigere l’attenzione sul «perenne valore teologico dei Vangeli» (istruzione Sancta mater ecclesia), sulla possibilità cioè di trovare un commento teologico espresso in modo narrativo che indichi il rapporto con Dio dei fatti raccontati. Esempi di pratiche scandalose e contrarie all’insegnamento di Gesù sono la preghiera a Dio che chiede vendetta (per esempio nel Salmo 109) o il votare allo sterminio gli

Pastorale dell’incontro nante per la vita. Perciò, in un piano pastorale concordato con tutte le altre realtà diocesane, bisogna porre molta attenzione a molti particolari: all’«accoglienza dei pellegrini», alle omelie che dovrebbero avere un «tratto profondamente missionario», alla «dignità» e al «decoro delle celebrazioni liturgiche». Il santuario, cioè, dovrebbe diventare «modello di riferiFesteggiamenti al santuario della Vergine di Urkupiña mento» per le para pochi chilometri dalla città boliviana di Cochabamba rocchie e per le altre comunità di culto. In ciò, ha approfondito Bentoso di appartenenza a una comunità di riferimento» non si può non te- glio, i santuari sono facilitati dal nere conto di quanti entrano in fatto che essi, pur essendo meta di contatto con la realtà dei santuari: una varietà notevole di pellegrini persone che vi arrivano saltuaria- provenienti da luoghi disparati, mente, che chiedono assistenza spi- «mantengono un rapporto intimo e rituale in occasioni specifiche, che a profondo con la cultura del luogo» volte cercano una sorta di anonima- e l’evangelizzazione, come sottolito, o cercano esperienze forti di spi- neava Giovanni Paolo II, non scenritualità e di preghiera. «Nel san- de in profondità se non si verifica tuario — ha detto il missionario sca- proprio l’«incontro felice tra l’opera labriniano — si ritrovano ampi settodi evangelizzazione e la cultura lori della società, un gran numero di cale». In tal senso i santuari possopersone di tutte le età e condizioni no «offrire alla Chiesa particolare il sociali e religiose», molte di queste «si sono allontanate dalla vita di fe- senso della tradizione» di cui sono de e vivono ai margini dell’apparte- eredi e custodi. Essi garantiscono nenza ecclesiale. Non sono però in- «un contributo importante alla differenti, bensì alla ricerca del sen- creazione di sentimenti di comunità so della vita e delle cose». L’incon- e di identità, di appartenenza e di tro con queste persone è occasione coesione». Per meglio valorizzare privilegiata di evangelizzazione. E tale realtà, occorre anche «abbandoper i pellegrini i santuari possono nare certe posizioni rigide e certi essere occasione d’incontro efficace pregiudizi» riguardanti la religiosità con una comunità e occasione popolare. Senza cadere in atteggiadell’“incontro” più alto e determi- menti estremistici, è senz’altro utile

*Segretario della Pontificia Commissione Biblica

Riorganizzazione della abbazia di Montecassino e della diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo

Convegno in Bolivia sulla forza evangelizzatrice dei santuari

Luoghi privilegiati in cui il messaggio del Vangelo può toccare in maniera profonda ed efficace il cuore. Piccoli e grandi santuari disseminati in tutto il mondo richiamano la devozione di milioni di pellegrini e custodiscono una «forza evangelizzatrice» potente che i piani pastorali non possono ignorare o sottovalutare. Se ne è parlato dal 20 al 24 ottobre a Cochabamba, in Bolivia, nel sesto Congresso dei santuari delle Americhe organizzato dal dipartimento di missione e spiritualità del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam). Ha aperto e introdotto i lavori lo scalabriniano Gabriel Ferdinando Bentoglio, sottosegretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti: «La Chiesa — ha sottolineato — è ben consapevole di essere inviata a evangelizzare tutto l’uomo e tutti gli uomini» e, «in questo contesto, il santuario offre una piattaforma senza precedenti per la sollecitudine pastorale della Chiesa, grazie alla sua capacità di mobilitare i singoli e i gruppi». Partendo dall’evidenza dello stretto rapporto che nella Chiesa lega le dimensioni della «comunione» e della «evangelizzazione», il relatore ha innanzitutto ricordato che «la comunione dà credibilità al messaggio». Perciò le attività di programmazione e organizzazione pastorale devono puntare a realizzare una spiritualità di comunione. Serve in questo senso una «pastorale d’insieme» che tenga conto di tutte le realtà presenti in un tessuto parrocchiale e analizzi seriamente la situazione socio-religiosa del territorio. E, in un mondo in cui la mobilità crescente «sta cambiando il modo di intendere il sen-

abitanti del paese di Canaan (Deuteronomio, 7, 1-2; Giosuè, 6-11). Collocarli nel loro contesto storico e letterario serve a una comprensione migliore del loro significato originale; validi per i cristiani sono però unicamente l’esempio e l’insegnamento di Gesù. Lo studio dei libri biblici in riferimento alla loro auto-testimonianza circa la provenienza da Dio e alla verità che essi ci consegnano mette in risalto i diversi modi del rapporto dei loro autori con Dio e della espressione della verità, la quale rimane sempre orientata alla conoscenza di Dio e della sua salvezza. Si raggiunge il culmine nella persona di Gesù in cui si verifica la piena rivelazione della verità. La comprensione adeguata dell’ispirazione e della verità biblica deve essere fondata sul ruolo della persona e opera di Gesù.

Nato a Erba (Como) il 10 dicembre 1956, è entrato da ragazzo nell’Istituto missioni Consolata e vi ha percorso l’iter formativo fino al sacerdozio. Dopo il liceo classico, ha frequentato il biennio filosofico a Torino e il triennio di teologia a Londra, dove ha ottenuto il baccalaureato in teologia e il diploma di master of arts in scienze religiose. Ha fatto la prima professione come membro missionario della Consolata, a Torino, il 3 settembre 1978 ed è stato ordinato sacerdote il 3 luglio 1982. Quindi ha fatto una breve esperienza in campo formativo e ha poi proseguito gli studi presso la Katholieke Universiteit di Lovanio (Belgio), dove ha conseguito il baccalaureato in filosofia, la licenza e il dottorato in sacra teologia. Nel 1988 ha chiesto di entrare nell’abbazia di Praglia (Padova) per iniziare la vita monastica ed essere poi destinato all’Abbazia Madonna della Scala di Noci (Bari), dove è entrato nel 1989 e ha emesso i voti solenni nel 1992. Qui ha ricoperto l’incarico di direttore editoriale della rivista «La Scala», dal 1990 ad oggi, di maestro dei novizi, dal 1993 al 1999, e di priore amministratore, dal 2004 al 2006, anno in cui è stato eletto abate della medesima comunità pugliese, ricevendo la benedizione abbaziale il 7 ottobre. Nella provincia italiana della congregazione benedettina sublacense ha rivestito il ruolo di consigliere (dal 2003 al 2012) e di presidente della commissione per la formazione (2003-2008). Dal 2008 è vice-presidente della Conferenza monastica italiana (C.i.m.) e dal 2012 è visitatore dei monasteri italiani della congregazione benedettina sublacense-cassinese. Ha, al suo attivo, la pubblicazione di alcuni libri e di numerosi articoli, soprattutto di carattere teologico e spirituale.

valorizzare certe espressioni della devozione perché, accolte con equilibrio, possono essere — lo ricordò Giovanni Paolo II nel 1980 — «un modo provvidenziale per permettere alle folle di perseverare nella loro adesione alla fede degli antenati e alla Chiesa di Cristo». Concludendo il suo intervento, padre Bentoglio ha invitato a considerare che «il santuario può essere l’unico legame» di un pellegrino «con la comunità ecclesiale» e che per questo motivo la Chiesa in essi, come in un «ospedale da campo», deve vestire «i panni del Buon Samaritano del Vangelo che si prende cura della persona ferita e abbandonata lungo il cammino».

A proposito della riorganizzazione dell’abbazia di Montecassino e della diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, disposta giovedì 23 da Papa Francesco, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha diffuso una nota esplicativa nella quale sottolinea che la Chiesa ha sempre avuto particolare sollecitudine per la vita monastica e perciò il Concilio Vaticano II ha insistito sulla necessità di consolidare il ruolo dell’abate come padre della comunità religiosa, il cui ministero è dedicare la propria vita al monastero, senza essere occupato dalle attività proprie degli ordinari di circoscrizioni ecclesiastiche. Quindi ricorda che Paolo VI, nel motu-

Corso all’istituto superiore di scienze religiose Mater Ecclesiae

In missione con l’«Evangelii gaudium» In che modo è possibile evangelizzare secondo le indicazioni dell’Evangelii gaudium di Papa Francesco? L’istituto superiore di scienze religiose Mater Ecclesiae, collegato con la facoltà di teologia della Pontificia università San Tommaso (Angelicum) di Roma, organizza per l’anno accademico 2014-2015 il corso «Evangelizzare. Modulo pratico teorico-pastorale», per promuovere la scelta missionaria «capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale», come afferma l’esortazione apostolica al numero 27. Al centro del corso — diretto dal teologo domenicano Giuseppe Marco Salvati, preside dell’istituto, e dalla docente Maria Gerarda Schiavone — ci sono temi come la secolarizzazione, il dialogo tra le religioni, le nuove forme di spiritualità, i diritti umani, la corporeità, l’impegno educativo, la felicità, la bellezza, la giustizia e la pace. Le origini del Mater Ecclesiae risalgono al 1913, anno in cui Luigia Tincani, fondatrice delle missionarie della scuola dell’Unione Santa Caterina da Siena, organizzò un corso superiore di religione.

proprio Catholica ecclesia del 23 ottobre 1976, aveva raccolto l’indicazione formulata dai padri conciliari, stabilendo che le abbazie territoriali non fossero più erette in futuro e che quelle esistenti fossero «più idoneamente definite quanto al territorio» o «trasformate in altre circoscrizioni ecclesiastiche». Con tale disposizione si voleva favorire una più specifica identità e un quadro giuridico più consono alla vita monastica, e assicurare ai fedeli che vivono nei territori abbaziali una cura pastorale più rispondente alle esigenze del mondo odierno. Di conseguenza, prosegue la nota, per promuovere tale prospettiva, realizzandola in armonia con gli accordi concordatari con lo Stato italiano, e rispettando la grande eredità storica e culturale rappresentata dalle abbazie, è stato disposto che in Italia non si procedesse alla soppressione, ma ci si limitasse a restringerne al minimo indispensabile l’estensione del territorio. Pertanto — aggiunge padre Lombardi — la Santa Sede dopo prolungata e accurata riflessione e attente consultazioni, ha ritenuto maturi i tempi per poter attuare anche per Montecassino il motuproprio Catholica ecclesia, dopo averlo già applicato alle abbazie di Subiaco (2002), di Montevergine (2005) e di Cava de’ Tirreni (2013). In definitiva, Montecassino rimane una circoscrizione ecclesiastica equiparata a diocesi, sia pure con territorio notevolmente ridimensionato. E la diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo passa da una superficie di 1.426 kmq a 2.016; da una popolazione di 155.000 abitanti a 235.000; da 40 comuni a 60; da 91 parrocchie a 144; da 83 sacerdoti diocesani a 120; da 131 religiose a 181.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.