OSSERVAZIONI SUL TARANTISMO DI PUGLIA

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Lo sguardo degli altri 02 Collana diretta da Sergio Torsello

Da sempre il Salento è un topos letterario. Dall’epopea del Grand Tour fino alla stagione meridionalista sulla terra abbracciata da due mari si appuntano gli sguardi di medici, eruditi, antropologi e scrittori. Sguardi lucidi, oscillanti tra empatia e distacco, che spesso raccontano pagine di storia ormai dimenticate. Lo sguardo degli altri vuole riproporre questi contributi – soprattutto quelli meno noti – come un ulteriore strumento di riflessione e di conoscenza.


Edizioni Kurumuny Sede legale Via Palermo 13 – 73021 Calimera (Le) Sede operativa Via San Pantaleo 12 – 73020 Martignano (Le) Tel. e Fax 0832 801528 www.kurumuny.it • info@kurumuny.it ISBN 978-88-95161-81-5 Chiuso in stampa nel mese di novembre 2012 In copertina: particolare tratto dalla tavola 1, Tarantola di Pitaro L’editore si rende disponibile per eventuali richieste di soggetti o enti che possano vantare dimostrati diritti sulle immagini riprodotte nel volume.

© Edizioni Kurumuny – 2012


Salvatore De Renzi

Osservazioni sul tarantismo di Puglia a cura di Sergio Torsello



Indice

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Introduzione Sergio Torsello

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Osservazioni sul tarantismo di Puglia Salvatore De Renzi

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Appendice I Immagini della tarantola nel XIX secolo

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Appendice II Il tarantismo e la tarantola nell’Ottocento

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Bibliografia



Introduzione Sergio Torsello

Per più di tre secoli, dalla fine del Cinquecento alla prima metà del Novecento, il paradigma biomedico, cioè la riduzione del tarantismo a malattia (sindrome melanconica, disturbo psichico o reale avvelenamento da aracnide che fosse), fu il più diffuso canone interpretativo del fenomeno. È una lunga tradizione di studi fondata sulla classificazione zoologica, sullo studio della meccanica del veleno e i suoi effetti sul sistema nervoso e infine sull’osservazione clinica, che attraversa gran parte della letteratura storica sull’argomento. È sufficiente scorrere la pioneristica ricognizione nella letteratura medica compiuta un quarto di secolo fa da Angelo Turchini1 e ancora più la recente, per certi versi definitiva, storia biomedica del tarantismo nel XVIII secolo di Gino Di Mitri,2 per rendersi conto della vastità e della complessità di un dibattito che, secondo Clara Gallini, «chiamava in causa le contrapposizioni tra razionale e irrazionale, nel tentativo di medici e scienziati di costruire quell’immagine di uomo razionale che fu tipica dell’illuminismo».3 In sostanziale continuità con il programma razionalista dell’Età dei Lumi ma con l’aggiunta della fiducia assoluta nel metodo scientifico, nel XIX secolo il tarantismo torna prepotentemente al centro di un complesso e articolato dibattito quasi totalmente dominato dalle tesi di medici e naturalisti. Fu Ernesto

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de Martino, com’è noto, a decostruire l’ipotesi riduzionista di medici e scienziati, impostando l’analisi del tarantismo come “istituto culturale”, dimostrando che la Lycosa o il Latrodectus (le due specie di ragno ritenute responsabili del tarantismo) c’entravano poco o nulla con un dispositivo rituale che serviva, secondo l’etnologo napoletano, a reintegrare la presenza perduta di fronte all’insorgere del negativo nei momenti critici dell’esistenza. Scrive infatti De Martino: «Dal 1830 in poi fu ripresa la questione del tarantismo. Nel nuovo clima positivistico che si annunciava e nel quadro della progressiva specializzazione della scienza medica venne necessariamente a cadere proprio quella più ampia prospettiva del tarantismo come istituto culturale che, almeno come spunto, era affiorata nelle Lezioni del medico umanista e filosofo Francesco Serao. Se si ripercorre la letteratura medica sul tarantismo durante il secolo decimonono ed oltre, la valutazione diventa sempre più professionale e specializzata, la riduzione del fenomeno a malattia si fa sempre più esclusiva e gli aspetti culturali del fenomeno, col declinare della figura del medico umanista, sono ormai lasciati da parte come eccedenti la prospettiva prescelta».4 La lettura demartiniana è al solito puntuale e per certi versi illuminante. Soprattutto quando, più avanti, osserva: «Le due soluzioni mediche fondamentali, cioè il tarantismo come forma di aracnidismo o come disordine psichico, continuarono a combattersi tra loro senza che una delle due riuscisse con osservazioni ed esperimenti decisivi a debellare definitivamente l’altra; insomma tutta la controversia andava via via perdendo di vigore e rischiava di trascinarsi senza

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soluzione sino al giorno in cui, scomparso il fenomeno, sarebbe venuta meno la stessa materia del contendere. La verità è che proprio la prospettiva medica come tale palesava rispetto al tarantismo il suo limite interpretativo». Ma forse troppo sbrigativamente l’etnologo napoletano aveva liquidato tutta una tradizione di studi che, tra ripensamenti e verifiche, rivelazioni e occultamenti, si snoda tra mille rivoli anche periferici e minori che non di rado rivelano inediti scenari, inattese corrispondenze tra personaggi, scuole e sguardi in una ramificazione che segue insolite coordinate narrative e geografiche. Se si scorre la bibliografia sul tarantismo nel XIX secolo ci si accorge che la presenza nel dibattito di medici e scienziati è davvero preponderante, rispetto alle figure che solitamente hanno animato il dibattito attraverso i secoli: folkloristi, letterati, viaggiatori, esponenti dell’erudizione locale e non solo. Essa si inaugura con la memoria di Antonio Pitaro5 e idealmente si chiude con la monografia del Carrieri nel 1893.6 In posizione cronologicamente mediana si collocano le opere di Dimitry,7 Ferramosca,8 Costa,9 Vergari,10 Carusi,11 De Martino,12 Panceri,13 Cantani,14 Campelli,15 De Masi16 per citare solo i medici più noti e solo gli italiani protagonisti in un dibattito che coinvolge il centro (Napoli) e la periferia (il Salento) in un vertiginoso flusso di scritture e informazioni.17 L’impressione che se ne ricava è che nell’Ottocento, la reazione della scienza medica al fenomeno assume i contorni di un interesse derivante da almeno due fattori: da un lato il fascino esercitato sugli uomini di scienza dall’intricato “enigma del tarantismo”, bizzarra e straordinaria malattia – “mistero di natura”,

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la definiva ancora sul finire del secolo il De Masi – da studiare e catalogare con i moderni strumenti della ricerca, che neppure il progresso vertiginoso della scienza medica riusciva se non a debellare almeno a rubricare nelle griglie di una possibile risoluzione terapeutica; dall’altro l’assurgere del tarantismo a luogo simbolico all’interno del quale saggiare le nuove definizioni di malattia e del corpo malato e le potenzialità della medicina sperimentale contro la tradizione dell’empirismo. C’è un terzo motivo infine che emerge con forza: il nuovo metodo investigativo determinato dal rapido sviluppo degli studi di fisiologia e di patologia aveva contribuito a rifondare lo statuto disciplinare della medicina trasformando radicalmente la stessa figura del medico che diviene sempre più un osservatore distaccato teso unicamente alla raccolta di dati scientifici utili al trattamento terapeutico. La seconda metà dell’Ottocento – con l’introduzione di strumenti come lo stetoscopio che rivoluzionano il rapporto medico/paziente – è l’epoca in cui “l’antropologia medica del malato cede gradualmente il passo alla tecnologia medica della sua malattia” (cfr.Giorgio Cosmacini, Storia della medicina e della sanità in Italia, Laterza, Bari 2005, pp. 269 e ssgg.). Da qui, forse, il costante confronto tra gli esponenti più importanti della medicina nazionale e la folta schiera dei medici locali impegnati a contrastare sul “campo” il fenomeno e forse per questo più propensi a posizionarsi in una zona intermedia tra scienza ufficiale e terapeutica popolare (talvolta convalidando l’efficacia della terapia musicale, il ricorso a rimedi magico erboristici associati alle nuove terapie farmacologiche,ecc.). Il ci-

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tato medico brindisino De Masi, ad esempio, pur considerando il tarantismo una malattia, sostiene la validità della terapia musicale e polemizza duramente con i suoi colleghi che non hanno mai osservato dal vivo il fenomeno.18 Il medico calabrese Spizzirri descrive invece un caso in cui, accanto al trattamento farmacologico viene somministrato al paziente un infuso di erbe. Un giovane di Marano era stato morso da un ragno e fu portato da un «chirurgo che applicò tosto sulla parte un bottone rovente; ma senza alcun successo, ed anzi il fuoco non venne né anche avvertito. Il padre del paziente avendo cieca fiducia in taluni cerretani di Mendicino, conosciuti col nome di Ciraulari, mandò tosto a cercare il più perito il quale non appena giunto pronunciò i suoi superstiziosi carmi; applicò la man diritta, da prima sulla coscia sinistra, e quindi sulla dritta, e quasicché tocco della mano di Medea, cessa come per incantesimo nel paziente il tremore. Ciò che è certo è che il villano Esculapio avendo fatto prendere al suo infermo, precedentemente coperto da un mantello di lana, un bagno di vapori di vino, dentro al quale aveva fatto bollire le sue eroiche erbe, tra le quali noi potremmo distinguere il rosmarino, l’infermo al terzo giorno si trovò guarito. Abbiamo fondate ragioni – scrive Samuele Spizzirri – per creder che la pianta colla quale il medico villano di Mendicino opera tanti prodigi sia la Branca ursina, Achantus mollis, intorno ai quali fatti stiamo preparando una memoria che non tarderà a veder la luce».19 Il breve scritto del medico napoletano Salvatore De Renzi (1799 – 1872), Osservazioni sul tarantismo pugliese, apparso nel 1832 nei «Resoconti dell’Accademia medico-chi-

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rurgica napoletana», poi ripubblicato ne «Il Filiatre Sebezio» (anno II, vol. IV, 1832, pp. 162-171) nella versione che qui si ristampa, costituisce una testimonianza emblematica delle complesse dinamiche di circolazione del dibattito sul tarantismo nel milieu intellettuale che si iscrive nel solco della più brillante tradizione scientifica meridionale. Medico, patologo e storico della medicina, il De Renzi compì il suo apprendistato intellettuale a Napoli, dove si laureò giovanissimo in medicina e chirurgia a soli 22 anni. Divenne ben presto una delle figure di maggior spicco nel panorama della cultura scientifica partenopea ma la sua carriera fu duramente ostacolata per motivi politici dal governo borbonico che tuttavia in più occasioni fu costretto ad utilizzarne le notevoli competenze in materia di statistica, politica sanitaria, malattie infettive, topografia medica. L’interesse per il tarantismo di De Renzi coincide con una fase ben precisa del suo lungo itinerario scientifico, come testimoniato dal fatto che gli scritti sull’argomento sono tutti concentrati in un arco temporale lungo poco più di un quindicennio: dal 1832 al 1848 quando pubblica la sua opera più nota, la monumentale Storia della medicina.20 Sono gli anni che lo videro impegnato negli studi di patologia “relativi in particolare al colera, al tifo, alla malaria, al tarantismo, malattie infettive che il De Renzi definiva ‘popolari’ (Dell’obbligo che corre al medico di fare particolare studio delle malattie popolari, Napoli 1838)”.21 Sempre sul tema delle “epidemie” va segnalato un altro significativo intervento del De Renzi, “Sulla necessità di avere una storia delle principali epidemie. Con riflessioni sulla Danzimania. Discorso letto all’Ac-

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cademia Pontaniana nella sessione del 18 novembre 1838” («Il Filiatre Sebezio», fasc. 96, dicembre 1838). Tale contributo si colloca molto probabilmente nella scia del dibattito apertosi in seguito alla traduzione italiana (avvenuta proprio nel 1838) dell’importante volume di J.F. Hecker sulle “danzimanie”. Il suo interesse per il tarantismo va quindi letto come uno degli innumerevoli riflessi dell’articolato dibattito che coinvolse quasi tutti i maggiori esponenti del mondo scientifico napoletano in un’ampia risonanza nazionale ed europea. Non a caso il contributo del De Renzi, che nel 1831 aveva fondato un proprio giornale medico, «Il Filiatre Sebezio», sul quale appariranno diversi contributi sull’argomento,22 venne tradotto l’anno successivo in Francia.23 Come ci informa la stampa specializzata dell’epoca, il De Renzi in seguito alla pubblicazione delle sue note sul tarantismo, fu invitato in Francia, dal segretario dell’Accademia di Medicina di Parigi. Nei quarantacinque giorni di permanenza nella capitale francese presentò alla citata Accademia il suo lavoro. «La prelodata Accademia adottando un dottissimo rapporto dei suoi commissari Andral e Virey, trovò reprensibile quanto era stato detto circa talune particolarità nella storia naturale della tarantola, e riguardo alla etimologia di una tal voce, non che intorno alle mediche conclusioni da lui dedotte. Opinarono i valenti commissari Virey ed Andral Seniore che gli aragni arabi comunicano nel morso un veleno col quale uccidono anche dei piccoli vertebrati, ma ch’essi fuggono l’uomo; che in nessun’altra regione la tarantola è pericolosa; che i sintomi che attribuisconsi alla tarantola, si debbano ripetere dall’amore, dalle

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passioni ardenti ecc». (Tonelli, «Annali Universali di Medicina», LXXIV, 1835, pp. 318-319). La breve comunicazione del De Renzi ai colleghi dell’Accademia deriva da una breve permanenza dell’autore in Salento che però, è bene precisarlo, non coincise con il periodo estivo quando sarebbe stato possibile osservare “in vivo” il rituale del tarantismo. Pur interna a quella associazione tra tarantola, veleno e malattia, tutta dentro l’orizzonte dell’osservazione naturalistica, interessata alla formulazione di un quadro eziologico e in fondo pienamente partecipe di quel clima positivista che segnò la ripresa degli studi sul tarantismo nel quadro di una sempre maggiore riduzione patologica del fenomeno, la descrizione del De Renzi si rivela tuttavia ricca di informazioni e interessante da più punti di vista. Convinto sostenitore della necessità del recupero dell’ippocratismo che in qualche modo lo contrappose al generale movimento di rinnovamento di quegli anni, il De Renzi propugnò un “suo originale concetto dell’osservazione non disgiunta dal ragionamento”.24 Un metodo originale, che si discosta da un certo assolutismo scientifico e che significativamente traspare da queste puntuali “osservazioni” sul tarantismo salentino. Con una prosa forbita ed elegante che si apre con un suggestivo quadro corografico della penisola salentina, il De Renzi ne descrive la sintomatologia, la diagnosi, la terapia, raccogliendo e annotando diverse informazioni derivanti dal suo dialogo con gli informatori locali. Le notizie sulla “divisa musicale” della taranta, cioè la credenza che chiunque sia stato morso balli solo sulle note di quella particolare melodia;

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l’intuizione che al fondo del fenomeno vi sia il tema che oggi potremmo definire “dell’eros precluso”; i due casi riportati (uno, particolarmente emblematico, riguardante una bambina di appena tre mesi), registrati entrambi a Novoli, uno dei luoghi elettivi del tarantismo salentino dove, ci informerà qualche decennio più tardi l’erudito De Simone, c’è la “vera pianta della Taranta”.25 Da esperto di politica sanitaria, attento alle iniziative di prevenzione, analizza (il primo in assoluto) l’acqua “miracolosa” del pozzo della chiesa di San Paolo a Galatina, che già allora risulta gravemente inquinata. Cita infine una notevole bibliografia sull’argomento: dal Baglivi, al Serao, dal Lichtental per gli effetti terapeutici della musica26 agli autori locali come il medico calabrese Spizzirri, il salentino Rosato Dimitry, autore di una citata memoria sul tarantismo al chiar.mo prof. Pietro Ruggiero, medico degli “Incurabili” e docente universitario a Napoli.27 Il De Renzi conclude affermando che il veleno è vero e reale, che agisce sul sistema nervoso presentando effetti in parte simili a quelli della vipera. Ed è singolare – lo notava già il Turchini – «che la teoria del morso che influisce sui nervi, abbandonata nel XVIII secolo, di fatto viene ripresa nei primi decenni dell’Ottocento dopo la crescita degli studi psichiatrici tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo».28 De Renzi insomma tralascia ogni considerazione sugli aspetti simbolici e culturali del rituale, sulla funzione della componente coreuticomusicale, considera in definitiva il movimento e la diaforesi come gli strumenti utili a combattere il morbo. Come sottolinea Ubaldo Ceccarelli, «egli insomma ribadisce la teoria secondo la quale il ve-

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leno agisce direttamente sul sistema sanguigno e sul sistema nervoso centrale, percorrendo in certo senso i concetti della neuropsichiatria moderna che dal Charcot in poi riconobbero nell’isterismo collettivo, nel ballo di san Vito, ed in altre danzimanie, compreso il tarantolismo, dapprima una forma di psicosi e in seguito all’avvento della psicanalisi, una nevrosi.29 Ciononostante l’articolo del De Renzi costituisce una testimonianza oltremodo significativa utile a ricostruire i multiformi percorsi che attraversano la complessa vicenda delle categorie descrittive e interpretative del fenomeno.

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Note

1 Angelo Turchini, Morso, Morbo, Morte. La tarantola tra terapia medica e cultura popolare, Franco Angeli, Milano 1987. 2 Gino L. Di Mitri, Storia biomedica del tarantismo nel XVIII secolo, Olschki, Firenze 2006. 3 Clara Gallini, Intervista in Vincenzo Santoro e Sergio Torsello a cura di, Il ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del Salento, Aramirè, Lecce 2002. 4 Ernesto de Martino, La terra del rimorso, il Saggiatore, Milano 1961, pag. 263. 5 Antonio Pitaro, Considerations et expérencies sur la tarentule de la Pouille et sur les accidentes causés par la piqûre de cet insecte, Impr. De Guiget et Michaud, Paris, 1805, p. 64. Il medico calabrese, testimone di due casi di tarantismo, riportò un singolare rimedio usato dai mietitori per soccorrere le “vittime della tarantola”. Sulla ferita veniva posto il ragno schiacciato sul quale erano legate due monete bagnate con della saliva. Il medico tentò di dare una risposta scientifica all’empirismo popolare chiamando in causa il galvanismo: «il metallo delle monete, gli umori della tarantola, la saliva stabilivano una comunicazione elettrica eccitante sull’epidermide che favoriva la risoluzione della malattia». Cfr. Alfredo Focà, Riccardo Guerrieri, Stefania F. Leo, Antonio Pitaro: medico e scienziato da Borgia a Parigi, Laruffa Editore, Reggio Calabria 1999. 6 Ignazio Carrieri, Il Tarantolismo Pugliese, «Gli Incurabili», VIII, 1893 (Rist.Grottaglie, Altamarea, 1998). «Nell’ex Collegio medico cerusico di Napoli – ricorda il Carrieri – il tema del Tarantismo pugliese fu anche

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svolto nelle dissertazioni che periodicamente si tenevano in quel fiorente istituto con grande profitto di giovani medici e con positivo vantaggio della scienza. I dottori onorevoli Pignatelli e Lamartora, entrambi pugliesi, presentarono un lavoro sull’argomento. Su quel tema il prof. S. Delle Chiaie fece una dotta lezione, mostrando ai giovani tutte le diverse specie di tarantole e la struttura delle glandole accernenti il virus». I medici pugliesi, non solo i più noti, erano dunque in prima fila nello studio del fenomeno. Il medico Raffaele Castellano di Massafra (Ta) ad esempio tenne nel 1889 un’interessante conferenza sul tema “Il tarantolismo nella scienza”, come segnala Antonio Basile in Taranto, Taranta, Tarantismo, Ed. Nuoveproposte, Taranto 2000, pag. 98. 7 Saggio sul tarantismo di Puglia del dott. R. Demitry sallentino (estratto da MSS) in «Giornale medico napoletano», vol. 4, pp. 129-139. Il Demitry, che fu allievo di Cirillo a Napoli, al suo ritorno in Salento si dedicò per più di vent’anni allo studio del tarantismo. La sua memoria è estremamente interessante perché in una certa misura confuta la teoria, allora invalsa, della “naturale” ipocondria dei pugliesi. 8 Giuseppe Ferramosca, Nota sul tarantismo, «Osservatore Medico», XII, 15 giugno 1834, p. 90 (Rist. in «Il Filiatre Sebezio», IV, 1834, pp. 74-77). 9 Il grande scienziato e naturalista salentino (1787-1867) era legato da un profondo sodalizio umano e intellettuale al De Renzi. Quest’ultimo era membro dell’Accademia degli Aspiranti naturalisti fondata dal Costa che dominò il settimo Congresso internazionale degli scienziati che si tenne a Napoli nel 1845, e lesse un lungo e commovente elogio funebre in occasione della scomparsa dello scienziato alessanese nel quale sottolineava che Costa «fin dalla sua prima gioventù fu testimone dè furori della jena coronata». Cfr. Della vita e delle opere di Oronzo Gabriele Costa, Napoli, Tip. San Francesco Da Paola, 1868. Il Costa scrisse del tarantismo

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in Annuario zoologico contenente cenni Zoologici ossia descrizione sommaria delle specie nuove di Animali discoperti in diverse contrade del Regno nell’anno 1834, Napoli, 1834, pp. 28-37 (rist. in Sergio Torsello, Il tarantismo nelle Calabrie. Uno scritto poco noto di Achille Costa del 1876, in «Note di storia e cultura salentina», XVIII, 2006, pp. 39-58). Sulla complessa personalità di Gabriele Oronzo Costa, “erede di quella tradizione galileano sperimentale trapiantata a Napoli con l’Accademia degli Investiganti”, come ricorda Mario Proto, vedi i saggi raccolti in Oronzo Gabriele Costa e la tradizione scientifica meridionale nell’Ottocento, (a cura di Antonio Caloro e Mario Spedicato), Congedo, Galatina 1992. 10 Achille Vergari, Tarantismo o malattia prodotta dalle tarantole velenose, Napoli, 1839 (Rist. in Bruno Vergari, Problematiche filosofiche scientifiche in campo medico, Congedo, Galatina 1994, pp. 159-188) che, pur senza mai citarlo espressamente, si rifà abbondantemente al De Renzi. Ultimo “protomedico” del Regno di Napoli, il Vergari, nella stesura della sua erudita monografia si avvalse della collaborazione di una nutrita schiera di medici che gli inviarono lettere e memorie sul tarantismo nelle varie località. Tra i salentini, Samuele Pasquali di Lecce, Donato Calabrese di Campi, Antonio Franza di Gallipoli, Achille Palma di Galatone. Numerose anche le testimonianze dalla Calabria: Giovanni Nigro, viceprotomedico del distretto di Rossano, Vincenzo Milano del distretto di Catanzaro, Francesco Morrone del distretto di Crotone. 11 Giuseppe M. Carusi, Della tarantola e del tarantismo. Memoria del dott. Giuseppe Maria Carusi, Stamperia del Vaglio, Napoli 1848. Il Carusi annota: «Nel 1847 circolava a premura dell’accademia degli aspiranti naturalisti una Ministeriale dell’Interno a tutti medici di Puglia, e così l’ebbi anch’io. In quella ministeriale leggevasi i seguenti quesiti: se la tarantola pugliese sia o pur non sia velenosa; e se mordendo l’uomo, vada questi

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soggetto a quella famosa malattia, detto Tarantolismo». La memoria del Carusi è stata recentemente ripubblicata in appendice al volumetto di Mauro Gioielli, Tarantismo molisano, Palladino editore, Campobasso 2011. 12 Antonio De Martino, un allievo del De Renzi, pubblicherà Esperienze sull’istinto e sul morso della tarantola di Puglia, in «Il Filiatre Sebezio», XXXVII, 1849, pp. 69-72. 13 Paolo Panceri, Esperienze sopra il veleno della Lycosa tarentula, «Rendiconti dell’Accademia Pontaniana», Anno XVI, pp. 90-99 (Ripubbl. in «Rendiconti della Reale Accademia delle scienze», VII, 1874). Il Panceri, che fu tra i pochi a negare l’effetto del veleno della tarantola, concludendo «essere il celebre falangio minor di sua fama» segnala, a testimonianza della circolazione internazionale del dibattito, l’opera del «dottissimo bibliotecario dell’Accademia di medicina di Parigi», Charles Ozanam, autore di Étude sur le evenin des arachnides et son emploi thérapetique, suive d’une dissertation sur le tarentisme et le tigretier, Chez, J.B. Baillietre, Paris 1856. 14 Arnaldo Cantani, Lezioni sul tarantismo (corea major germanorum) illustrata da quattro casi clinici, «Il Morgagni», XIV, pp. 545-585. Al termine della sua lunga dissertazione, il Cantani sostiene che il tarantismo sarebbe una «nevropatia di conducibilità intermedia tra l’isterismo e la psicopatia che si sviluppa sul fondo isterico». Il Cantani fu anche autore di una celebre e discussa prolusione dal titolo Il positivismo nella medicina, nella quale auspicava che la medicina diventasse una scienza sociale. Lo scritto è ora riproposto in Arnaldo Cantani, Il positivismo nella medicina e altri scritti, a cura di Antonio Borrelli, Denaro Libri, Napoli 2010. 15 Giuseppe De Masi, Sul tarantolismo. Lettera ad un amico, in «Gazzetta medica di Puglia», VI, 1874, pp. 25-40 (Rist. a cura di Luigi Chiriatti, Bleve, Tricase 1997).

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Alberto Campelli, Sopra un caso di tarantismo felicemente curato, «Il Morgagni», 20, pp. 538-543. 17 Per un sintetico ma puntuale panorama della cultura scientifica salentina tra Sette e Ottocento si veda Luigi Scorrano, Replicati esperimenti e diligenti osservazioni. Aspetti della cultura scientifica tra Sette e Ottocento, in «Bollettino storico di Terra d’Otranto», 5, 1995, pp. 195-220. “Bandire l’empirismo” era il programma di una rara rivista scientifica locale, «L’igea salentina», diretta dal medico Aureliano de Mitry, della quale uscirono tre numeri tra il 1842 e il 1843. Lo stesso Dimitry fu autore di una lettera apparsa su «Effemeridi di medicina», nel 1841 dedicata “alle idee ora dominanti nel Salento sul tarantismo” che confutava la teoria che il veleno della tarantola producesse il ballo. Cfr.: Giuseppe Tonelli, Lettera al chiarissimo professore Francesco Cervelleri. Quattro parole sul tarantismo di Puglia del dott. Giuseppe Tonelli in replica alle poche parole del sig. Samuele Costa sullo stesso argomento, in «Annali Medico – Chirurgici», fasc. 3, vol. 4, maggio 1841, pp. 301-312. 18 Sulla posizione critica del De Masi si veda Eugenio Imbriani, La letteratura sul tarantismo in Terra d’Otranto dopo l’Unità d’Italia, in Rimorso. La tarantola tra scienza e letteratura, Besa, Nardò 2001, pp. 23-39. 19 Cfr. Osservazioni sul morso della tarantola del sig. Gaetano Spizzirri medico in Marano (Calabria Citra) comunicate da suo nipote Samuele Spizzirri, allievo in medicina, in «l’Osservatore medico» Anno XV, n. XIX, 1 ottobre 1827, pp. 146-147. 20 La Storia della medicina italiana, apparve in cinque tomi tra il 18451848, presso i tipi della Tipografia de «Il Filiatre Sebezio» a Napoli. Le pagine del secondo tomo dedicate al tarantismo, ampiamente utilizzate da E. de Martino per le acute riflessioni sulle origini medievali del fenomeno, sono state recentemente riproposte in Salvatore De Renzi, Tarantismo,

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«Archivio di etnografia», Anno I, n. 2, 1999, pp. 87-90. Sulla poliedrica personalità del De Renzi, medico, patriota, cultore di storia napoletana, infaticabile organizzatore di cultura, si veda Antonio Garzya, Lettere e scritti vari di Salvatore De Renzi, Napoli, «Quaderni dell’Accademia Pontaniana», 1999 che, tra l’altro, ne fissa la data di nascita al 1799, pubblicando l’atto di battesimo. 21 Si veda V. Cappelletti – F. Di Trocchio, De Renzi Salvatore, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 39, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1991, pp. 112-18. 22 Sul giornale diretto da De Renzi apparvero numerosi articoli sul tarantismo. Oltre a quelli già citati ospitò una lunga polemica sull’argomento: Tarantismo avviso del redattore agli associati, VI, XXXVI, 1833, pp. 379-380; Poche parole sul nuovo fatto di tarantismo, osservato dal dott. Giovanni Ferramosca di Muro Leccese nella Terra d’Otranto e registrato dall’osservatore medico del 15 giugno 1834, VIII, 44, 1834, pp. 7479; Sul tarantismo. Lettera di un anonimo, IX, 49 (1835) pp. 27-34; Sul tarantismo. Lettera di un anonimo, IX, 51 (1835) pp. 184-191. 23 L’anno dopo, l’articolo che qui si ripubblica fu tradotto in francese con il titolo Note sur le tarantisme observè dans le Royaume de Naples, e pubblicato in «Gazete medicale», 1833. Una traccia della ricezione francese in M.M. Andrai et Joseph Virey, Rapport sur le tarentisme et le memoire du doct. Salvatore De Renzi, «Accademia de medicine de Paris», 10, settembre 1833. 24 Per una rapida ricostruzione del dibattito sul ritorno dell’ippocratismo che coinvolse il De Renzi si veda V. Cappelletti - F. Di Trocchio, De Renzi Salvatore, cit. pag. 116. 25 De Simone L.G., La vita nella Terra d’Otranto, in «Rivista Europea», a. VII, vol. II, pp. 67-86 e 559-72; III 341-352; III, pp. 507-528, (Rist. a

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cura di Eugenio Imbriani, Del Grifo, Lecce 1997). Esponente di spicco dell’erudizione locale, il giudice Luigi De Simone, interrogò «i due più celebri musicisti della Taranta né nostri contorni, essi sono un cieco Francesco Mazzota da Novoli (il violino), Donata Dell’Anna di Arnesano (il Tamburrieddhu)», che gli rivelarono importanti informazioni etnografiche sul tarantismo. 26 Pietro Lichtental, Trattato sull’influenza della musica sul corpo umano e del suo uso in certe malattie, Milano Presso Giuseppe Maspero, 1811 (Rist. anast. Forni, Bologna, 2007, Tarantismo, pp. 52-56). 27 Su Pietro Ruggiero (Palo di Puglia 1760 - 1837) si veda il profilo biobibliografico in Scienziati di Puglia. Secoli V a.C. – XXI d.C., a cura di Francesco Paolo De Ceglie, Adda, Bari 2007, pag. 179. 28 Angelo Turchini, Morso, Morbo, cit. pag. 73. 29 Ubaldo Ceccarelli, Le osservazioni e gli studi sul tarantismo di Salvatore De Renzi, in “Atti del XXIV congresso nazionale di storia della medicina (Taranto – Bari, sett. 1969)”, Arti Grafiche E. Cossidente, Roma 1970, pp. 178-183:182. In realtà è la moderna categoria di nevrosi che è stata messa a punto da Freud e dalla psicoanalisi, ma di nevrosi si parla e si scrive anche prima.

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Salvatore De Renzi

Osservazioni sul tarantismo di Puglia

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Questo saggio di Salvatore De Renzi viene ripubblicato rispettando fedelmente la stesura originale. Sono stati corretti solo alcuni evidenti refusi di stampa.

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Osservazioni sul tarantismo di Puglia – Prolusione accademica recitata nell’ordinaria seduta del 28 luglio 1832 dell’Accademia medico-chirurgica napoletana, dal dott. SALVATORE DE RENZI, socio della medesima

Le Puglie per la posizione ed i rapporti topografici e per la natura del suolo, offrono condizioni interamente proprie, che meritano di essere rilevate. Al Nord un’immensa pianura, nuda di alberi, intersecata da paludosi torrenti nel verno, ed in està fessa in larghi crepacci; nel mezzo sonvi umili colline di una pietra bianca, rossiccia o giallognola, coverte da leggiero strato di terra, sul quale pur vegetano ameni vigneti, e boschetti di aranci, di mandorle e di ulive, fra le quali la ceratonia siliqua eleva le folte chiome di un verde cupo e delizioso; al sud infine seguono le stesse colline, con un pendìo poco rilevante, che per tutto offrono scoverte pietraje o gessaje, sulle quali veggonsi umili vigne, o lungi boschi dell’albero di minerva, che abbraccia colle estese radici quei sassi, che senza di esso presenterebbero lo spettacolo della desolazione.Quest’ultima parte che forma la Terra d’Otranto, sulla quale Idomeneo, e Pirro, le squadre di Augusto e quelle dei Crociati, la baronale potenza, e le incursioni dè Saraceni, han lasciate orme incaccellabili di gloria e di sventura, ed in cui Taranto, Brindisi e altre città sono ancora per ricordarci quello che fummo; merita più di ogni altra di essere conosciuta. A guisa di promontorio essa s’inoltra fra le onde cupamente azzurre di un doppio mare:

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priva di fiumi e di fonti, colle spiagge contaminate per lungo tratto da impuri ristagni, soggetta a libere e variabilissime correnti atmosferiche che si alternano or dallo stretto che la divide dall’antica Grecia, ed or dal golfo cui dà Taranto il nome, e ch’è dominato dalle montagne Bruzzi e Lucane, dalle quali irreligiosi torrenti cadono ad interrare gli avanzi di Metaponto, di Sibari e di Eraclea. Avendo avuto non ha guarì l’opportunità di fare colà un viaggio, accompagnandovi, da medico, rispettabile persona, ho dato opera a ricercare quanto poteva istruirmi sulla parte che riguarda la professione che esercito e gli studj miei prediletti, e fra le numerose osservazioni che a me naturalmente sonosi offerte, due sole ho trovato che meritassero riguardo maggiore, cioè il così detto in quei luoghi costipo, ed il tarantismo. Per costipo ivi intendesi qualunque affezione reumatica acuta, e le malattie acute di petto dal catarro alla pulmonìa. Il costipo è una voce magica, come si esprime un viaggiatore; affari, piaceri, tutto è trascurato pel timore di andarvi soggetto. Ma non è questo un panico timore, ed evvi una ragione per cui quei morbi son colà più frequenti. In diciotto giorni che sono restato in quella provincia non ho potuto osservare due ore soltanto di costanza nell’atmosfera. Spesso un vento impetuoso agita l’aria con violenza mentre il sole scotta con i suoi raggi di fuoco. Ai tiepidi fiati degli austri subentrano in un momento i gelati buffi degli aquiloni; ad un meriggio affannosamente caldo succede sovente una fresca sera, e spesso dopo una notte tranquilla sopraggiunge burrascosa l’aurora. A questo si aggiunge un suolo nudo e sassoso, una pietra fragile e polverosa, l’aspetto

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bianchiccio della campagna non coltivata; le rugiade abbondevoli, ed il frequente ed impetuoso squilibrio dell’elettricità; e finalmente il modo di costruzione. Nella maggior parte dei paesi le case sono di un sol piano e poggiano sul nudo terreno: dopo un piccolo cortile succede l’appartamento, che riceve lume dal giardino, o dal cortile medesimo. Se qualche abitazione ha un piano superiore questo è unicamente destinato per magazzino. Con siffatte dimore, che hanno l’apparenza ed il gusto delle case antiche che osserviamo in Pompei, si sta cautelato dai buffi dè venti impetuosi che vi spirano, e più fresco si gode in està; ma sono esse però molto umide, specialmente dopo le piogge. Sono queste le circostanze tutte che influiscono alla produzione di tali morbi, i quali spesso prendono lo stato cronico e quindi le reumatologie, e le tisi, conseguenze di esse, sono fatalmente comuni nella provincia e sonmi assicurato che in Lecce e Taranto, due delle maggiori città, trapassa per tisi la quarta parte di quei che scendono nella tomba. Riguardo al tarantismo si sa purtroppo ciò che si è scritto in favore e contro di esso. Baglivi lo ha accolto con troppa buona fede,Serao lo nega con soverchia incredulità. Io ho desiderato accertarmene, e poiché la stagione non mi offriva l’opportunità di esser testimone degli effetti che produce il morso del phalangio di Aristotele, volli almeno prendere tutte le indagini da persone degne di fede, e raccolsi numerose spezie dell’animale che meco conservo. È questo un insetto appartenente alla famiglia dei ragni, e che presenta l’esterno di diversi coloriti. Ve n’ha dei neri che son più temuti, e di maggior volume, e telgono la voce comune di saettone; ve ne

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son bigii, giallicci, e variegati. La più bella tarantola presenta l’addome ed il dorso di un rosso vivo con un solco nero sul dorso; il rimanente del corpo e la grossa testa son dipinte da una lucida vernice nera segnata alla parte superiore da due linee bianche: nere sono le antenne e la proboscide è nera, ma degli otto suoi piedi i due anteriori terminano con bianco pelume, i quattro seguenti hanno la penultima maggiore falange di un rosso carne, e di due ultimi sono di color cinerino. Posseggono esse otto occhi, dè quali quattro ne sono visibili a occhio nudo e tengono inoltre due maggiori e due minori mascelle, fra le quali evvi nuda proboscide. Io non ricercherò l’etimologia del suo nome, lasciando tali ricerche agli oziosi: trovasi in essa però l’origine del nome di un ballo nazionale, ch’è l’espressione della giovialità del nostro popolo, della sua mobilità, del suo gusto per i piaceri. Ma è egli vero che il morso della tarantola produca gli effetti comunemente gli si attribuiscono, che non si curano che ballando al suono di dati accordi? Non trovansi nella Iapigia che pochi soltanto che pongono in dubbio tutto ciò che accertato vi viene dal filosofo del pari che dall’idiota, e testimoni vi si presentano quei medesimi che sono andati soggetti al morso dell’insetto. Il volgo dice che ciascuna tarantola muovesi ad un accordo particolare, e che colui che n’è morso ha bisogno precisamente di quella data melodia per muoversi, e che gli atteggiamenti che colle mani accompagnasi il ballo sono quelli stessi che colle sua falangi fa la tarantola nell’intessere la sua tela. Un caso inoltre mi si è raccontato in Novoli, ameno paese, posto sei miglia a ovest di Lecce, e di buonissimi e cordiali

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abitatori, che sembra affermare queste assertive. Concetta Scardìa, figlia di D. Pasquale è morsicata dalla tarantola al terzo mese dell’età sua. La bambina ne diviene in sulle prime inquieta, manifesta quindi un inceppamento del respiro ed uno acuto pianto ed uno stridulo lamento caccia fuori tra le forti inspirazioni. Sintomi soffogativi, vomito, lassezza e celerità di polso, non che gl’indizi della flogosi locale nel sito del morso, confermano gli afflitti genitori sulla natura della malattia. Si tenta il suono consueto, la bimba si agita, si dimena, come in una forte convulsione; si fa muovere allora per lungo tratto, finchè abbondevole sudore viene a manifestarsi sulla cute, e l’innocente fanciulla n’è defatigata, appressa, avvilita. Coricata, si abbandona ad un sonno che diviene riparatore, e dal quale torna quasi sana ai teneri amplessi materni. Con tutto ciò è d’uopo osservare che i fatti sieni ancora diminuiti di numero di quel che si narravano per lo passato, e nella maggior parte avvengono in persone, alla cui buona fede può con ragione elevarsi alcun dubbio, e di un’età in cui le passioni sogliono spiegare maggiore intensità. Sovente, come sono stato assicurato, l’amare rappresenta la parte essenziale del dramma, e vezzose forosette mostransi attarantate per nascondere più grave ferita che le fa delirare. Un culto medico delle vicinanze di Lecce, che molto studio ha fatto sull’argomento, si diè a pericolosi esperimenti. Egli avvicinò al piede di un mietitore dormiente una tarantola di quelle cui si attribuisce più efficace veleno, ed instigolla in modo che la spinse a mordere quell’infelice, ed uccise e poi nascose l’insetto per non dar campo a riscaldamento di fantasia. Svegliatisi il mietitore, e sentesi addolorato il piede ove os-

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serva un circolare indurimento di color fosco – bruno, e del diametro di un pollice circa. Fermassi col pensiero che fosse stato ferito da un’ape, che abbondantissime in queste regioni succhiano dai fiori di timo e di ginestra un mele più dolce dè favi Iblei. Uno stordimento di testa, una specie di affanno, un abbattimento in tutto il sistema nervoso, furono i sintomi che tosto si annunciavano. Oppresso, abbattuto, delirante, trovatasi nello stato più miserando, allorché tentarono i soliti accordi, i quali svegliarono il ballo consueto, che diè all’infermo competa e subita guarigione. Né credasi poi che fosse in tutto lieve cosa distruggere gli effetti del veleno della tarantola, poiché sovente la vita vien tratta all’estremo, e persona di Novoli di circa anni 50, Francesca De Luca nomata, dopo gravissima e lunga malattia, ricevendo pure gli estremi conforti della religione, scampò appena da un male che le restò lunghe tracce di sua gravezza. Il veleno della tarantola sembra quindi agire sul sistema nervoso, e vi produce una specie di esalamento. Questo accoppiato alla prevenzione ne cresce l’intensità. In tal modo riunito l’effetto reale del veleno, e l’esaltazione cerebrale, si producono tutti gli effetti velenosi che hanno dello stravagante. Una energia suscitata nel sistema nervoso medesimo mercè della musica, il violento moto che attiva la circolazione, ed apre la diaforesi, sono al certo i mezzi di cui la natura si serve per distruggere il male. Mezzi ai quali l’arte potrebbe sostituire degli altri, e specialmente dè rimedi interni tratti dalla classe dè diaforetici, ma questi ultimi siccome mancanti del prestigio della fantasia, sarebbero certamente di minore efficacia di quei che vengono ordinariamente adoperati in quella provincia, in cui è d’uopo curare l’effetto fisico

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del male, e quello che ne riceve il morale. In tal circostanza richiamo, o Socj ordinari, la vostra attenzione sugli effetti della musica in sul sistema nervoso. Non rammento l’influenza degli accordi che Davide traèva dall’arpa divina, sull’agitato cuore di Saulle; non altri fatti moltissimi che ne presenta la storia e la mitologia. A chi non è noto in qual modo una dolce melodia vale a calmare gli spasimi nervosi, la più cupa melanconia; il delirio più furioso? Chi non sentesi tratto in una dolcissima estasi, cò nervi in viva esaltazione, all’udire accenti armoniosi? Il dott. LICHENTHAL nella sua opera sull’influenza della musica sul corpo umano, ha raccolto numerosi fatti per provare come alcuni accordi sono valevoli a calmare e guarire date malattie convulsive. Dagl’individui in preda a gravi affezioni melanconiche, e che ascoltano con indifferenza la musica più deliziosa, ne sono tratti all’istante allorché si toccano quegli accordi che hanno analogia allo stato dè loro nervi. Drahonnet ne rapporta il caso di una donna che giaceva oppressa da gravissima e diuturna monomania malinconica, ed ascoltava senza alcuna commozione il suono di un piano toccato da sua sorella nella prossima stanza. Un giorno però comincia a suonar per caso un accordo, il quale produsse in un istante un invincibile trasporto alla gioja nella compianta ammalata. Schiudendo la prima volta le sue labbra al sorriso del contento, prega la sorella perché continuasse a toccare quelle corde che le davano tanto sollievo. La continuazione di questo mezzo valse in seguito a ridonarle completamente una salute che si credeva perduta per sempre.1 Non potreb-

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Il ch. Pietro Ruggieri P. Prof. di patologia nella nostra Regia Università, 33


besi quindi il tarantismo, definire per una monomania ipocondriaca, in cui una particolare armonia può aver influenza a rimenare il sistema nervoso nella normalità del suo modo di sentire. Per analogia, il veleno della tarantola può venir assimilato a quello della vipera, avuto riguardo della diversa intensità e grado di loro rispettiva virulenza. I fenomeni morbosi che si attribuiscono alla tarantola sono quegli stessi che si osservano dietro il morso del coluber – berus, sembrano nell’uno e nell’altro caso attaccato direttamente il sistema encefalico, ed il cardiaco. Lo stato vertiginoso, l’abbattimento dè nervi, il tremor generale, le sincopi, il respiro affannoso, la nausea, il vomito, la profonda tristezza sono comuni ad entrambi, come in ambi i casi il polso è frequente e irregolare. Sembra però che il veleno della tarantola agisca più direttamente sul nervo trisplanico e sue dipendenze. Le funzioni della respirazione ne sono lese fin da principio, ed una specie di torpore nel sistema muscolare sembra essere la conseguenza immediata del virus. Evvi ancora nel Salentino altro argomento a creder mio che confirma la cennata analogia fra il veleno della vipera e quello della tarantola. In S. Pietro a Galatina conservasi un pozzo, che secondo la credenza deli abitanti contiene un’acqua

e così benemerito alla patria medicina per le dotte opere da Lui scritte di vario argomento, ne ha riferito un fatto analogo a quello del dott. Drahonnet, e che mostra l’influenza di speciali accordi della musica nella guarigione di alcune malattie nervose.

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portentosa a guarire gli effetti del morso del falangio. Spettacolo di pietà si presenta nella calda stagione, d’infelici che ingombri di tristo assopimento, ligati sugli asini sono condotti in tal sito. Ivi giunti si fa loro bere abbondantemente dell’acqua il cui primo effetto è di promuovere vomito incoercibile, in modo che il volgo crede che vi contenghi dell’emetico. Io mi ebbi della bontà della coltissima ed amabile Baronessa Gorgoni – Plantera una quantità di acqua che esaminai con diligenza. Era essa oltremodo pregna di sostanze animali putrefatte, e conteneva abbondevole quantità di ammoniaca, sì che bevuta diventava cagione di nausea e vomito. Ed invero quel pozzo è in un sito dove distillano le acque imputridite della città. Oltre all’influenza morale della bevanda, e delle conseguenze del vomito, non si potrebbe forse calcolare egualmente l’effetto dell’ammoniaca sull’animale economia? Si sa come è stata essa predicata da alcuni nel morso della vipera, sebbene il celebre Fontana le presti poca fede. Il dot. Giri ha adoperato ancora con vantaggio l’ammoniaca internamente nel tarantismo, ed esternamente il sapone ammoniacale, accompagnandola però con eccitanti diffusivi. Anche il laudano liquido è stato dato da lui con molto vantaggio. Si sa parimenti che gli antichi usavano la teriaca nel morso della vipera, e la usavano pure insieme col vino generoso, col pepe, coll’aglio, ec. Nel morso della tarantola, come ne accertano Dioscoride, Plinio, Galeno, Oribasio, Rhasis, Serapione, ec. (Esculapio del Tevere, pag. 27). Riguardo il moto convulsivo degli arti esercitato o dalla forza del veleno, o dalle forze della natura tendenti ad eliminarlo, egli è d’uopo riflet-

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tere che anche coloro che hanno osservato tal malattia in altri siti parlano sempre degli stessi sintomi come costanti e patognomici del tarantismo. Dal dottore Spizzirri venne ciò osservato nella Calabria, del pari che dal dott. Wirtzmann in Odessa e dal Mazzoleni presso Roma, siccome trovasi nell’Osservatore Medico registrato; ed i sintomi medesimi riferisce il dott. Raffa Pancaldo aver osservato in Sicilia, come scrive nella Biblioteca scientifico letteraria, e lo stesso rapporta il dott. Giuseppe Giri anche nella maremma di Viterbo, nell’Esculapio del Tevere. Può desumersi da ciò che per una specie di antica ciarlataneria, da questa tendenza al moto irregolare se nè fatto derivare il ballo, al quale si fanno abbandonare i morsicati: il ballo però che non si esegue là dove non esiste questa superstiziosa credenza. In tal modo soltanto considerando la cosa può sceverarsi il vero dal falso, e formarsi una giusta idea di tarantismo. Riguardo le lesioni locali, nel salentino, queste si riconducono soltanto ad una flogosi circoscritta come quella del morso dell’ape. In Odessa la flogosi è accompagnata da un forte dolore con gonfiezza dell’arto, sì che si usa con vantaggio esternamente l’acqua di luce, o, in mancanza di essa, l’urina. In Calabria il dolore si è osservato acerbissimo e bruciante, comunicatesi all’ascelle, all’inguine, alle articolazioni, ed alle ossa, con colore itterico della cute. In Sicilia non si è veduto nel sito del morso altro che una macchia rossa tendente al livido, con successivo gonfiore, e dolori generali. Il Dottor Demitry, che si è dato moltissimo a studiare ciò che concerne il tarantismo, considera il ballo come un rimedio semplicemente palliativo, e ne assicura che il freddo ado-

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perato nel sito del morso, ed internamente gli antimoniali, la scilla, la cipolla comune, ed altri diaforetici sono rimedi validissimi, ma che gli acidi citrico ed acetico possono considerarsi come neutralizzanti diretti del veleno. Il dottore Spizzirri ha veduto sgombrare gli effetti del tarantismo mediante bagno di vapori di vino in cui siensi fatte bollire delle erbe aromatiche, mezzo per quanto pare anch’esso atto a promuovere la traspirazione. Il sig. Pancaldo non ci dice che in Sicilia si fosse usato un trattamento interno, ma per unica cura adoperarsi il moto in qualunque modo eseguito, anche in una culla. Conchiudendo quindi posso con ragione affermare che il veleno della tarantola sia vero e reale, che agisca sul sistema nervoso e sanguigno, che i suoi effetti non sono quasi mai mortali, e che sgombrar si possano mediante un trattamento energicamente diaforetico. Che tutto ciò che ha relazione alla musica ed al ballo, sebbene siano anch’essi rimedi utili, tuttavia si debbono definire piuttosto a popolari inveterate credenze, le quali sonosi in qualche modo vinte nelle Puglie occidentali, e che rimangono tuttora nella Japigia, senza crederle di una efficacia esclusiva. Confesso però che i fatti debbono essere un poco più attentamente considerati, ed il farlo sarebbe pur troppo utile ed indispensabile per la patria medicina. Scrittori francesi, osservando che tutto sia meraviglioso in questa malattia, i suoi sintomi, la sua maniera di curarsi, e la sua cagione; pretendono che quanto si racconta sul veleno della tarantola sia un tessuto di favole. Questo giudizio non si sarebbe emesso se si fosse partito dall’esame dei fatti, che debbonsi in tali questioni unicamente consultata, e consultare con sana filosofia.

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Appendice I Immagini della Tarantola nel XIX secolo

La complessa vicenda storica delle immagini della tarantola nate in ambito scientifico è uno dei temi meno indagati nella letteratura sul tarantismo. Come ha osservato Gabriele Mina, «l’indagine anatomica e la raffigurazione della tarantola rientra in più ampio indirizzo della zoologia e delle scienze naturali dell’età moderna, in grado di delucidare aspetti della pratica della dissezione, la logica della classificazione e di organizzazione delle parti». In particolare, è proprio nel panorama della cultura medica dell’Ottocento che le immagini della tarantola, contestualmente al crescente sviluppo delle apparecchiature scientifiche e al perfezionarsi delle descrizioni, si fanno via via sempre più precise, tese ad illustrare non solo la morfologia dell’insetto, ma anche gli organi interni, le modalità di iniezione del veleno. Rientrano in questo quadro, soprattutto nei primi decenni dell’Ottocento, anche gli sforzi di aggiornamento della nomenclatura zoologica. Le tassonomie ottocentesche, insomma, fanno della tarantola un animale “reale”, da studiare in ogni minimo particolare con descrizioni e raffigurazioni sempre più dettagliate, oltremodo minuziose, che diventano parte essenziale, esplicativa del discorso medico scientifico.

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Tav. 1 – Tarantola di Pitaro


Tav. 2 – Tarantola di Treviranus


Tav. 2.1 – Tarantola di Treviranus


Tav. 2.2 – Tarantola di Treviranus


Tav. 2.3 – Tarantola di Treviranus


Tav. 3 – Tarantola di Núñez


Tavola spiegativa N. 1 e N. 2: Lycosa tarentula dal vero. N. 2: Forma generale della glandola velenosa. N. 3: Parte secretrice della glandola a) Epitelio. b) Connettivo interno. c) Fibre muscolari. d) Connettivo esterno. N. 4: Parte escretrice della glandola a) Epitelio. b) Connettivo interno. c) Fibre muscolari. d) Connettivo esterno. N. 5: Fibre muscolari. N. 6: Cellule secretrici.

Tav. 4 – Tarantola di Carrieri


Appendice II Il tarantismo e la tarantola nell’Ottocento. Bibliografia diacronica

Il dibattito sul tarantismo nel XIX secolo è animato soprattutto dalle teorie di medici e naturalisti. Un dibattito variamente articolato, con ampie diramazioni in Spagna, Francia, Inghilterra a testimonianza del vasto interesse internazionale attorno al fenomeno, nel quale non mancano le voci di una nutrita schiera di zoologi. Da segnalare, a questo proposito, il contributo di un fine letterato danese Vilhelm Bergsoe (1835-1911) che esordisce con una dissertazione zoologica sulla tarantola prima di dedicarsi alla letteratura. Quasi certamente, Bergsoe fu anche il tramite attraverso il quale il grande drammaturgo danese, Henrik Ibsen, inserì la famosa scena di Nora che balla la tarantella nella sua opera più nota, Casa di bambole.1 Accanto a medici e scienziati, tuttavia, non mancano in questo ricco panorama i contributi di folcloristi, eruditi, viaggiatori, cronisti regionali, raffinate scrittrici come l’inglese Caterin Grace Frances “Mrs Gore” (1799-1861). Sempre significative poi le numerose testimonianze regionali (Campania, Sardegna, Puglia, Calabria) frutto di costanti osservazioni sul campo. Dopo il secolo dei Lumi, insomma, anche l’Ottocento positivista dispiega

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il suo armamentario teorico nel tentativo di svelare la complessa fenomenologia del tarantismo. Ecco di seguito una bibliografia, sicuramente non esaustiva, ordinata secondo una scansione cronologica, dei piÚ importanti contributi sull’argomento.2

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Note

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Su questi aspetti si veda il saggio di Sandra Colella, Ibsen, Bergsoe and tarantism. Some considerations abaut A doll’s house and Nora’s tarantella, in «Nort-west passage. Yearly review of the centre for Nothern Performing arts studies», Università di Torino, Edizioni di Pagina, 2008, pp. 193-205. 2 Tra i molti riferimenti imprecisi o incompleti che allo stato attuale non è stato possibile verificare ne cito solo alcuni: Wolkenauer, Lettre sur la tarentula «Archives litteraries de Vandeburg», uno scritto di G. B. Marzano su «La Calabria» del 1890. Due infine le memorie inedite di cui abbiamo notizie emerse nel corso della ricognizione: quelle di Tommaso Chetchuti, autore di una Memoria sul tarantismo e Antonio Pitaro, autore di Nouveau mémoire sur la tarentula, Paris 1831. A queste bisogna aggiungere poi la memoria inedita Nove osservazioni e conjetture sul male detto Tarantismo, letta il 18 marzo 1801 dall’arcidiacono di Altamura Luca de Samuele Cagnazzi nell’adunanza dell’Accademia dei Georgofili. Questo importante documento è stato recentemente pubblicato a cura di Anna Pietrofonte, Il tarantismo in uno scritto inedito di Luca de Samuele Cagnazzi, in «Altamura», bollettino dell’a.b.m.c., n. 50/51, 2009-2010, pp. 3-54. Si precisa inoltre che da questa rassegna bibliografica sono stati volutamente esclusi tutti riferimenti bibliografici relativi alla voce “tarantella” che nell’Ottocento fu al centro di un vastissimo fenomeno di riscrittura anche in ambito colto che coinvolse i maggiori esponenti della cultura musicale e teatrale dell’epoca. Per una rassegna ragionata di questa fioritura letteraria e per la fortuna non solo europea della tarantella come “vero e proprio genere pianistico ottocentesco” si vedano i fondamentali lavori di Marcello Cofini, Un incontro di culture: la tarantella per pianoforte, Quaderni della taranta, Firenze 1995, Tarantella in musica, Accademia musicale salernitana, 2001. 48


Bibliografia

1800 MARMOCCHI F., Memoria sopra il ragno rosso di Volterra, Atti dell’Accademia delle Scienze di Siena detta Dè Fisico-Critici, 8. 1804 – 1807 BALLANO A., Diccionario de Medicina y cirugía o Biblioteca manual médico – quirúrgica, Madrid, t. IV, voz “Musica”, pp. 431-436; voz “Vesanias”, VII, p. 354. 1805 PITARO A., Considérations et expériences sur la tarentule de la Pouille et sur les accidents causés par la piqûre de cet insecte, Impr. De Guiget et Michaud, Paris, p. 64. 1806 MANICONE M., La fisica Appula, Sangiacomo, Napoli. [rist. anastat. Malagrinò, Bari, 2000, 5 voll.]. 1811 LICHTENTHAL P., Trattato dell’influeza della musica sul corpo umano e del suo uso in certe malattie, presso Giuseppe Maspero, Milano 1811. [Rist. anast. Forni, 1988]. 1812 TREVIRANUS G.R., Ueber den inneren Bau der Arachniden, Nuernberg, J. L. Schrag, 1812.

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1817 CANCELLIERI F., Lettere al chiarissimo dottore Koreff sopra il tarantismo e l’aria di Roma, con le notizie di Castel Gandolfo e dè paesi circonvicini, presso Francesco Baurlie, Roma. 1818 VOLPE P.F., Memorie storiche profane e religiose sulla città di Matera, Stamperia Simoniaca, Napoli. [Rist. anast. Atesa Editrice, Bologna 1990, pp. 32 -33. Segnala l’uso dell’erba Falingio, volgarmente detta Scorzonera contro il morso della tarantola]. 1819 BAMONTE G., Antichità pestane, Napoli [Cenni sul tarantismo campano, pp. 4-5]. CASTELLAN A.L., Lettres sur l’Italie faisant suite aux lettres sur la Morée, l’Hellespont et Costantinople, A. Nepveu Libraire, III, Paris. 1820 MORGAGNI G.B., Epistola anatomico – medica LLX de morbis a venneno inductos, in De secolis et causis morborum, a cura di F. Chaussier, M.C. Coupiere, Parigi, t. VII, pp. 323-325. 1821 CEVA GRIMALDI G., Itinerario da Napoli a Lecce e nella Provincia di Terra d’Otranto nell’anno 1818, Napoli. [Rist. Milano, Studio Editoriale Insubria, 1978]. Dictionaire des sciences médicales, a cura di Charles Louis FLEURY, Panckouck, [Art. Tarentisme, pp. 345-347 e Art. Tarentule, pp. 347-351]. KRAVEN KEPPEL R., A tour through the Southern provinces of the kingdom of Naples 1821, pp. 187-188. Rockwelland Martin, London, [Ed. it. Viaggio nelle province meridionali del Regno di Napoli, Catanzaro, 1990].

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1822 A selection of curiosities natural, artificial and historical, 2 voll. Hartford 1822, vol. II pp. 318-321 [Ripubblica la Lettera di S. Storace del 1753 su un caso di tarantismo a Torre Annunziata]. 1824 DIMITRY R., Saggio sul tarantismo di Puglia del dott. R. Dimitry Sallentino (estratto da MSS) in «Giornale medico napoletano», vol. 4, pp. 129139. 1825 MAZZOLANI F., Storia di avvelenamento per morso di tarantola del sig. Francesco Mazzolani, medico condotto di Montecorsaro nel bolognese, «Giornale medico chirurgico di Bologna», fasc. I, in «L’osservatore medico», anno 1825, pp. 99-100 [firmato l’Estensore]. 1826 DE LA MARMORA A., Voyage en Sardaigne de 1819 à 1825, Paris, Livre sixième, 1826, pp. 494-495 [Rituali dell’argìa]. The Edimburgh Journal of Medical Science, vol. II, ottobre 1826, pp. 441-443. [Si ripubblica la lettera di Storace dopo una nota di Francesco Mazzoleni]. LICHTENTHAL P., Dizionario e bibliografia della musica, Fontana, Milano, [voce “Tarantismo”, pp. 237-238]. 1827 SPIZZIRRI G., Osservazioni sul morso della tarantola di Gaetano Spizzirri medico in Marano (Calabria Citra) comunicate da suo nipote Samuele Spizzirri, allievo in medicina, in «L’osservatore medico», Anno V, n. XIX, 1 ottobre 1827.

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Ringraziamenti

Questo lavoro non sarebbe stato possibile senza l’aiuto di molte persone che a vario titolo hanno messo a mia disposizione tempo e competenze. Desidero pertanto ringraziare: il dott. Antonio Borrelli, responsabile del sevizio informazioni bibliografiche della Biblioteca nazionale di Napoli, Maristella Martella, che ha condotto in mia vece alcune ricerche nelle biblioteche bolognesi, Mauro Gioielli, per alcune segnalazioni di testi e immagini della tarantola, Gabriele Mina, Pilar Leon Sanz, Mario Cazzato, Andrea Carlino, Eugenio Imbriani, Flavia Gervasi e Silvia Orlando per i suggerimenti e le segnalazioni.





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