Il mio bambino è un artista

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Luigi Lezzi

IL MIO BAMBINO È UN ARTISTA Ciò che genitori ed educatori devono sapere sul disegno infantile

Nota critica di Angelo Semeraro


Edizioni Kurumuny Sede legale Via Palermo 13 – 73021 Calimera (Le) Sede operativa Via San Pantaleo 12 – 73020 Martignano (Le) Tel e Fax 0832 801528 www.kurumuny.it – info@kurumuny.it Luigi Lezzi lu.lezzi@alice.it – 3492336050 Chiuso in stampa nel mese di novembre 2017 ISBN 9788898773701 © Edizioni Kurumuny – 2017


a Francesco



Indice

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Presentazione Angelo Semeraro Premessa Gli obiettivi Non è una novità Tutti creativi (fino a un certo punto) Alla ricerca dell’arte perduta

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L’incontro con gli artisti Forse non tutti sanno che

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Arte e infanzia Il bambino è un artista A volte anche noi L’artista è un bambino Crescendo e diminuendo Una possibile via d’uscita Il fanciullino Musica a colori Un secolo dopo Kandinskij Ma io non mi permetterei mai

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Perché si disegna La danza delle emozioni Prendere appunti


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Le fasi grafiche Fase 0: segni senza segno Fase 1: scarabocchio

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0-2 anni 2-3 anni

Tutorial Mettiamoci in gioco

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Le altre fasi Fase 2: un mondo di uova Fase 3: forme fisse Fase 4. il disegno realistico Fase 5: la rinuncia Fase 6: la ripresa

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4-5 anni 6-7 anni 8-10 anni 12-13 anni 15-16 anni

È tutta colpa della scuola? Forse che sì forse che no

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Disegni a destra / Parole a sinistra

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Bambini, primitivi, naïf, malati di mente Primitivi Naïf Malati di mente

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Interpretazione psicanalitica

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Conclusioni

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Bibliografia orientativa

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Galleria di immagini


Presentazione Angelo Semeraro

Favorire lo sviluppo della creatività, come apertamente suggerisce questo prezioso saggio che Luigi Lezzi ricava dalle proprie esperienze di educatore, non è cosa facile. Non possiamo nasconderci che attorno a questa dimensione della formazione umana abbiano sempre aleggiato timori, sospetti ed equivoci d’ogni tipo e provenienti da ogni parte. Vi è in generale una difficoltà della nostra organizzazione culturale a tollerare il pensiero trasformativo, per sua natura eretico rispetto a quello dominante, anche se le società postindustriali, soprattutto nella lunga fase recessiva che ci attraversa, non fanno che esprimere bisogno di saperi innovativi; tecnici e cittadini capaci di fronteggiare situazioni nuove, di inventarsi lavoro; di incentivare startup in forme sempre più duttili e innovative. Mai come in quest’ora insomma il creativity imprinting della mente umana è incalzato perché assuma posizioni più dinamiche rispetto a una formazione euristica; più orientata a un poter essere e poter vivere diversamente. La domanda che sorge e si fa problema è tuttavia la seguente: quanto siamo disposti a investire nella trasformazione creativa? Quanto le istituzioni sono in grado di accogliere il pensiero laterale (il lateral thinking di Goleman), la discontinuità, l’effrazione come ipotesi di lavoro formativo? Chi è disposto, insomma, ad accettare una idea regolatrice di comportamenti ispirata al rischio del cambiamento

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che altre possibilità suggeriscono? Eppure divergere e se è il caso trasgredire sono strategie educativamente positive per salvarci dal banale, dal ripetitivo, dalla noia del sempre identico. Per vivere una quotidianità “festosa” occorrono atteggiamenti costantemente innovativi, capaci di intercettare della realtà gli aspetti inesplorati. Tutto è però affidato al rischio personale di assumere l’irruzione del disordine divergente nei propri schemi (di vita e di pensiero sulla vita) convergenti. I creativi vengono spesso indicati come portatori di provocazioni nel mondo della serialità ordinata e apparentemente disciplinata (e disciplinatrice) della “norma”. Ma è certo che senza questa categoria umana festosa e fuori norma il mondo sarebbe molto più triste. Proprio come sarebbe triste un mondo senza bambini, senza il loro immaginario libero e fantastico; senza i loro scarabocchi, le disinvolte creazioni con cui esprimono il loro mondo interiore. A cui stentiamo a riconoscere un valore di vere e proprie opere d’arte. Molto opportunamente – e qui sta uno dei tanti pregi di questo libro rivolto a genitori e insegnanti – Lezzi rompe non pochi pregiudizi sul valore d’arte della produzione fantastica dei bambini, andando ben oltre l’uso diagnostico su base psicologica che la scuola può fare in presenza di un disagio o di un ritardo scolastico. Il suo discorso ci porta su livelli più elevati che francamente non immaginavamo potessero ancora prender voce e sembianze dall’interno della scuola di oggi. Il mondo adulto, sostiene l’autore di questo saggio, deve rassegnarsi: il Bambino è Artista totale. Non era già un avanzato quarantenne Kandinskij quando si mise a dipingere con la tecnica dello scarabocchio il suo primo acquerello astratto? E Picasso non confessa che già da pic-

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colo era in grado di dipingere come Raffaello, ma che poi gli ci è voluta tutta una vita artisticamente intensa per arrivare a dipingere come un bambino? E l’astrattismo di Mirò, Klee, Mondrian, e di altri dopo di loro, cos’altro esprime se non rifiuto di realismo? Lezzi vede una indubitabile relazione tra l’arte contemporanea e il disegno infantile. E ci fa notare che ai disegni dei bambini non solo non guardiamo con l’attenzione che riserviamo alle opere d’arte esposte nei musei, ma neppure li degniamo di considerazione. Teniamo ben distinta insomma l’arte infantile dal resto dell’arte. Oltre tutto il disegno infantile non ha valore di mercato. Non costituisce un bene rifugio, come invece l’arte esibita nelle gallerie pronta per essere venduta come forma di investimento sicura. Puntando sull’obiettivo di rimuovere ostacoli e pregiudizi che irretiscono il mondo adulto e le stesse politiche scolastiche, nonché l’intero impianto formativo nazionale Lezzi utilizza tanto il registro sincronico – le fasi che il bambino attraversa nell’età scolare: dall’astrattismo pre-concettuale dello scarabocchio pre-scolare al disegno realistico degli 8-10 anni, fino al “disincanto” dei 12 anni, quando prende il sopravvento l’occhio adulto che giudica, e subentra nei ragazzi la preoccupazione di non deluderlo – quanto quello diacronico: dalle arti visive a quelle legate alla produzione musicale, e a quelle non meno neglette dell’espressività cinetica; e qui si avverte – sia detto tra parentesi – l’esperienza dell’animatore teatrale di Lezzi, formatosi nel turbinio degli anni Settanta, la stagione più fertile e progettuale forse, dopo quella dell’immediato dopoguerra di Zavattini-De Sica, delle scuole-città Pestalozzi, del Diario di un maestro di Albino Bernardini (messo in scena da Vittorio De Seta e interpretato impareggiabilmente dall’indimenticabile

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Premessa Se si invita un bambino di due o tre anni a fare un disegno a piacere farà immediatamente uno scarabocchio. Lo farà di getto, con un gesto di una tale spontaneità che molti performers contemporanei gli invidierebbero. A prima vista, a causa della sua rapidità, saremmo portati a dire che ha tracciato delle line e dei colori a caso, senza alcuna intenzione, mentre, come vedremo meglio in queste pagine, i suoi segni sono sempre la conseguenza di un processo volontario e carico di significato. Dobbiamo prendere l’abitudine di guardare con attenzione quei disegni, con lo stesso atteggiamento di complicità e di impegno che è sempre necessario quando ci si trova di fronte a un’opera d’arte. In tal caso per raggiungere una qualche consonanza con l’autore abbiamo bisogno di entrare, anche noi, nella nostra dimensione creativa, in quella che tutti abbiamo sperimentato durante l’infanzia e che ora, anche se in misura ridotta, resta celata in noi. Per poter cogliere il contenuto di qualsiasi opera non si può guardarla distrattamente, bisogna dedicare a essa il tempo necessario affinché la forma che percepiamo con i sensi, con la vista se si tratta di un’opera pittorica, si traduca in emozioni interne provocate dalla risonanza con le emozioni dell’autore. Le opere di pittura infantile, a dispetto di ciò che farebbe supporre l’età dei loro autori, non sono mai banali; dobbiamo sempre presupporre in esse la presenza di una quantità infinita di immagini e di relazioni. Possiamo incominciare a leg-

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gerle a partire da qualsiasi punto per poi scorrerle alla ricerca di un filo narrativo. È necessario mettersi nello stesso atteggiamento con cui ci disponiamo, per esempio, all’ascolto di un’esecuzione musicale. Non possiamo pretendere di coglierne il senso con un ascolto distratto e superficiale. Lo sguardo veloce che di solito dedichiamo ai disegni dei bambini è paragonabile al tentativo di capire il contenuto di un libro scorrendone rapidamente le pagine fra il pollice e l’indice, oppure di cogliere il contenuto di un film riproducendolo alla velocità massima del lettore dvd.

Gli obiettivi Questo manuale suggerisce gli atteggiamenti da evitare e quelli da tenere nei riguardi del bambino che disegna. Vuole mettere in luce gli errori che si fanno nel corso delle sue diverse fasi grafiche. Insisteremo fino a diventare noiosi sulla necessità di guardare con attenzione le sue opere partendo dal presupposto che egli, nei suoi primi anni di vita, è un vero artista, anzi il prototipo dell’artista. Il bambino vive ogni attimo della sua vita, sia da sveglio che perfino durante il sonno, in una totale dimensione creativa. Solo grazie a questa sua intensa attività egli riesce a dare un nome e una funzione a tutte le cose, a capirne la relazione, e a imparare a rapportare se stesso al resto del mondo. Attraverso l’attività grafica riesce a dare una forma al caos delle informazioni che gli giungono continuamente, tutte nuove per lui, dal mondo che lo circonda. In verità questa sua continua dimensione creativa egli la manifesta in mille modi ma, fra tutti, il disegno è quello che

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noi riusciamo a cogliere con maggiore evidenza. Tutti, prima o poi, ci accorgiamo che il bambino ha una speciale attitudine a disegnare e, a volte, la carica espressiva dei suoi disegni riesce anche a sorprenderci e a scalfire la nostra distrazione. Occorre però fare di più che appenderne qualcuno al muro per un certo tempo con un pezzo di nastro adesivo oppure conservarlo nella scatola dei ricordi per farglielo vedere quando si farà grande. Spesso pensiamo che i suoi disegni ci piacciono solo perché ogne scarrafone è bello a mmamma soa; ma non è così, dovremmo invece cercare di valorizzarli come si fa con le autentiche opere d’arte, farli circolare e metterli bene in mostra. Lo faremo quando ci saremo resi conto che quelle opere sono la testimonianza di un momento molto intenso della vita di un artista. Ci affanneremo quanto possiamo per convincere il lettore che il disegno del bambino non è solo un groviglio casuale di linee e che le forme che egli traccia non sono tentativi falliti di disegnare come fanno gli adulti. Egli, in questa sua attività, non si pone proprio il problema di imitare qualcun altro anzi, come vedremo, se mai è il pittore adulto che si sforza di dipingere come fa lui. Il bambino che disegna non fa altro che tradurre in linee e colori, con un linguaggio e uno stile tutto suo, le impressioni che riceve da ciò che lo circonda, come ci si aspetta che faccia un vero artista. Se si accetta questo fatto si converrà che è un vero peccato trascurare un così grande e significativo patrimonio artistico. Se ne potrebbero arredare gli ambienti domestici, corridoi e sale di attesa dei luoghi pubblici, di ospedali, di stazioni, di aeroporti e di centri commerciali, tutti spazi le cui pareti ospitano spesso un’accozzaglia di immagini scelte distrattamente fra le più scialbe e le più insignificanti. L’esposizione ricorrente della pittura infantile ricorderebbe

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L’incontro con gli artisti Abbiamo maturato l’opportunità di questa pubblicazione nel corso di un Laboratorio condotto con gli allievi della Scuola per l’Infanzia, della Scuola Primaria e della Scuola Media di Martignano di Lecce, all’interno di un progetto di sensibilizzazione ambientale promosso dall’Amministrazione Comunale. Il nostro intervento, data la natura del progetto, non era finalizzato in modo specifico allo sviluppo delle capacità grafiche degli allievi ma intendeva servirsi del disegno, assieme ad altre strategie di intervento, per incoraggiare l’espressività del gruppo. L’occasione che in modo particolare ci ha suggerito di pubblicare questi appunti è stato il confronto con i bambini di 3-5 anni della Scuola per l’Infanzia quando abbiamo notato che, nel momento in cui erano intenti alla pittura, il loro atteggiamento, da rumoroso e tendenzialmente irrequieto, come è normale in un gruppo di bambini di quell’età, diveniva silenzioso, assorto e contemplativo; mostrava cioè le caratteristiche che sono proprie dello stato creativo.

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Seri, assorti e contemplativi come veri artisti.

Risultati sorprendenti.

La conferma di tale impressione è arrivata osservando i lavori e rilevando che tutti, a uno sguardo attento, presentavano qualità estetiche sorprendenti. Il nostro entusiasmo ha avuto il conforto e lo sprone sia delle insegnanti con cui abbiamo condiviso gli incontri, sia della Dirigenza Scolastica e soprattutto dell’Amministrazione Comunale che non solo è stato l’Ente promotore del Laboratorio ma ne ha voluto seguire lo sviluppo in tutte le sue fasi, tant’è che ha espresso l’intenzione di creare una galleria stabile di dipinti infantili nella sede municipale. Siamo stati colpiti inoltre dal fatto che, invitati a dipingere, tutti i bambini, nessuno escluso, si dedicano al disegno senza esitazione e con immenso piacere. Non è un singolo bambino a essere particolarmente portato, ma il disegno è un’attività che riesce facile e piacevole a tutti, della stessa piacevolezza del gioco. Quello che un ragazzo appena più grande affronta come un compito, vale a dire, più o meno come un dovere, il bambino piccolo lo affronta con il piacere con cui si dedica al gioco, e qui con la parola gioco intendiamo, nel suo significato più nobile, tutte quelle attività che egli pratica per conoscere il mondo che lo circonda e per imparare a rapportarsi con esso.

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I disegni che escono dalle loro mani sono tutti bellissimi. Colpiscono in modo particolare quelli non figurativi, i cosiddetti scarabocchi, quei ghirigori in cui non compaiono forme riconoscibili ma solo grovigli di segni tutti diversi e tutti ugualmente carichi di espressività. Siccome queste prime pitture infantili rivelano, anche all’occhio del profano, una certa parentela con l’arte contemporanea, abbiamo subito provato, inizialmente solo per gioco, a metterle a confronto diretto con le tele dei pittori astratti più noti. Le abbiamo scannerizzate per poterle vedere sul monitor di un computer insieme a quelle di Paul Klee, di Mondrian o di Kandinskij. Isolate dal contesto scolastico nel quale erano state realizzate, visualizzate nelle stesse dimensioni e alternate con le loro consorelle più accreditate, la parentela appariva ancora più stretta, tanto da far sorgere, agli occhi di chi le guardava ignaro della loro provenienza, molti dubbi sulla loro stessa origine infantile.

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Quattro astratti d’autore e quattro dipinti infantili.

Kandinskij.

Domenica.

Capogrossi.

Gabriele.


Twombly.

Anna.

Kandinskij.

Collettiva.



Bibliografia orientativa Anati Emmanuel, Origine dell’arte e della concettualità, Jaca Book, Milano 1989. Clottes Jean, Williams David Lewis, Les Chamanes de la Préhistoire: Transe et Magie dans les Grottes Ornées, Seuil, Paris 1996. Desmond Morris, Biologia dell’arte, Bompiani, Milano 1969. Edwards Betty, Disegnare con la parte destra del cervello, Longanesi & C., Milano 1982. Fornari Franco, Psicoanalisi della musica, Longanesi, Milano 1984. Fromm Erich, Anatomia della distruttività umana, Mondadori, Milano 1975. Hauser Arnold, Storia sociale dell’arte, Einaudi, Torino 1987. Jaynes Julian, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, Adelphi, Milano 1996. Kellogg Rhoda, Analisi dell’arte infantile. Una fondamentale ricerca sugli scarabocchi e i disegni dei bambini dai due agli otto anni, Emme, Milano 1979. Leroi Gourhan André, Il gesto e la parola, Einaudi, Torino 1979. Luquet Georges-Henri, Il disegno infantile, Armando, Roma 1997. Oliverio Ferraris Anna, Il significato del disegno infantile, Bollati Boringheri, Torino 1990. Piaget Jean, Lo sviluppo mentale del bambino, Einaudi, Torino 1967. Read Herbert, Educare con l’arte, Ed. Comunità, Milano 1976. Vygotskij Lev Semënovič, Immaginazione e creatività nell’età infantile, Editori Riuniti, Roma 1972.

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