Salento in movimento lento

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OIKOS SOSTENIBILE


Regione Puglia

Edizioni Kurumuny Sede legale Via Palermo 13 – 73021 Calimera (Le) Sede operativa Via San Pantaleo 12 – 73020 Martignano (Le) Tel e Fax 0832 801528 www.kurumuny.it – info@kurumuny.it Foto in copertina: Rajan Enrico Alfonsi Illustrazioni interne: Luca Manca ISBN 9788898773763 © Edizioni Kurumuny – 2017


Indice

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Presentazione di Katia Manca

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Nella valle

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L’albero millenario

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Profumo di mare

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La via delle stelle

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Sulla strada

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In locomotiva

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Ringraziamenti

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Nota sull’autore

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Nota sull’associazione

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Nota sulla curatrice del progetto



Presentazione

Impara attraverso i tuoi passi. Asseconda il tuo istinto. Raggiungi autonomamente la posizione eretta e cammina. E se cadi, non spaventarti. Rialzati e continua a camminare. Lentamente, ascoltando e dando voce a ogni singolo passo. Cammina oltre le retoriche dei paesaggi, compiendo un viaggio lungo la mappa dei tuoi itinerari e scoprirai di essere pronto a commuoverti di fronte alle bellezze e agli splendori della natura ma anche a indignarti per le rovine provocate dagli uomini, per le incurie volute da chi ci governa e a sorprenderti per le vicende umane raccolte e raccontate lungo il cammino. Poiché nulla è mai unilaterale. Il territorio è una mappa di tutte le civiltà che si sono succedute. A passo lento inoltrati verso luoghi dell’anima, sprofondando nell’universo sommerso dei volti antichi, solidi, inconfondibili di un mondo ormai lontano. Memorie di un mondo in estinzione. Cammina nel presente oltre la magia dei luoghi, esplorando i loro racconti. Ogni luogo attraversato ha una storia che si intreccia inevitabilmente con le vicende di chi li vive da sempre. Impara a conoscere i misteri, i paesaggi e le leggende che segnano il paesaggio. Apri la mappa e nuota con lentezza al suo interno, spingendoti fino ai racconti di fame e di miserie appena passate. Sempre più in profondità, nel punto in cui si allargano l’orizzonte e il mare. Lascia scaldare il tuo volto dal sole. E lentamente cammina con ardita curiosità. Da questa personale esperienza, ho fondato nella primavera del 2010 l’associazione di promozione sociale Oikos Sostenibile,

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per promuovere sul mio territorio di origine, il Salento, uno stile di vita sostenibile, con l’obiettivo di tutelare e valorizzare il territorio e le sue buone pratiche, la bellezza della sua natura, i suoi abitanti e le sue economie sostenibili. Ciò è avvenuto grazie a un processo evolutivo strettamente intimo attraverso numerose tappe: rispetto per l’ambiente; organizzazione della propria vita; consapevolezza della propria identità culturale. Da qui hanno preso forma i primi viaggi a piedi, nel Salento e sull’intero territorio pugliese. E promuovendo la nascita di una o più comunità di pratiche, capaci di incidere sulle scelte significative del territorio, anche attraverso progettualità e iniziative legate all’economia della cultura, abbiamo realizzato percorsi sostenibili a piedi, in bici e in treno, tutelando e valorizzando i saperi locali e sostenendo la progettazione partecipata intersettoriale con le comunità incontrate. Nel corso di questi sette anni, consapevoli dei pericoli e danni che l’industria turistica provoca sulle popolazioni e sui territori, abbiamo dato vita a diversi percorsi di mobilità sostenibile con l’obiettivo di conoscere, sperimentare e diffondere buone pratiche di sostenibilità, incoraggiando processi di bottom up di auto-promozione delle storie, dei racconti e delle memorie di comunità. Lontani dai numerosi tour esotici e dai racconti auto-referenziali basati sulla velocità dello sguardo, sulla mercificazione e folklorizzazione dei luoghi e delle persone, abbiamo scelto di promuovere il territorio come luogo di relazione e di raccordo tra le diverse realtà che promuovono la sostenibilità, come luogo di attraversamento, contaminazione, creatività, partecipazione; facendo emergere la creatività e la bellezza dei percorsi, delle voci, delle identità. Sostenendo e aumentando localmente il grado di identità e confronto culturale. Abituati alla logica “pago dunque pretendo”, espressione del modello di turismo più diffuso, edu-

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chiamo allo sviluppo e alla promozione del turismo culturale e della sostenibilità ambientale; unico approccio di cambiamento non solo possibile ma sempre più opportuno, in grado di ridare un senso al viaggio, ristabilendo quell’antico vantaggio di sviluppo personale che si realizza attraverso l’incontro e l’avventura. Un turismo che riesce a costruire un patto sociale fra turisti e cittadini in cui i primi trovano una località accogliente, mentre i secondi guadagnano in termini di qualità della vita e di opportunità occupazionali. In un quadro di mete turistiche sature e omologate, abbiamo rivolto lo sguardo e i nostri passi a differenti narrazioni, a storie migranti, a percorsi non ufficiali, a spazi residuali ricchi di agrobiodiversità, attraverso cui raccontare una possibilità oltre la modernità, l’illegalità, il deturpamento, l’assenza di bene comune. Attraverso lo sviluppo di progetti partecipati dal basso, riguardanti l’arte relazionale, l’agricoltura a chilometro zero, il turismo a bassa velocità, abbiamo aperto antiche strade ma soprattutto abbiamo aperto nuove vie come esperienze, assegnando loro altre finalità, altri significati. Verso un turismo che mira alla scoperta del proprio molteplice patrimonio culturale che consente di trovare i tracciati di un ordine simbolico intimo e personale, capace di creare memorie e nuovi significati. Riconoscere i tracciati esplorati, riconoscere il cammino e attraversarlo significa riconoscere sé stessi e l’altro, consentendoci di scoprire e ritrovare le antiche tracce che ci parlano di rispetto per l’ambiente, naturale o culturale che sia. Da qui la scelta di realizzare e donare un diario di viaggio con sei itinerari ricchi di mappe e racconti, in grado di far scoprire il territorio in maniera sostenibile. Sei percorsi che ruotano lungo il territorio Idruntino, attorno alla nostra sede associativa: laboratorio urbano Stazione a Sud Est, spazio di condivisione che promuove la cultura della sostenibilità e dell’innovazione sociale.

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Siamo al secondo piano della stazione ferroviaria di Otranto in provincia di Lecce, nella casa un tempo abitata dai lavoratori della ferrovie del Sud Est. Sei itinerari che incrociano la costa e l’entroterra Idruntina e le memorie delle identità collettive. Un libro che nasce camminando, lungo antichi sentieri attraverso un rapporto di empatia tra i camminatori e le comunità locali. Strada e paesaggio sono gli elementi che ciascun viandante ha avuto a disposizione. Ciascun partecipante, durante i sei percorsi, ha potuto riportare le proprie intime emozioni su un quaderno di appunti. I pensieri espressi, attraverso un lavoro di scrittura collettiva, elaborati dal giornalista Stefano Martella, sono stati raccolti nel diario di viaggio Salento in Movimento lento che rompe l’autorità etnografica della narrazione romantica e bohemièn, la quale, basata sulla logica del ruba e fuggi, depaupera il territorio riducendolo a oggetto feticcio, lontano, esotico e così facendo priva i luoghi e le persone di dignità e di identità. Salento in Movimento lento è uno stile di vita, altro e sostenibile. Katia Manca

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Nella valle

Ogni percorso ha la sua porta d’entrata, quello per la valle dell’Idro è un tunnel di cemento ricoperto da una fitta edera, sopra il quale passa il cavalcavia che collega la litoranea con Otranto. Sembra il cordone ombelicale che unisce e separa due mondi, superato il cavalcavia si abbandona il paese e c’è la valle. La strada si stringe e si allunga verso l’alto, tortuosa come un serpente. I primi uliveti compaiono sulla destra, mentre sulla sinistra, in basso, scorre il letto del fiume Idro, delimitato da un lungo canneto e dal quale si alzano i campanacci delle capre al pascolo. Ancora più in là piccoli antri neri disseminati lungo una parete rocciosa, come quadrati sul tavoliere di una scacchiera. Sono le grotte rupestri della valle, nel Medioevo formavano un vero e proprio villaggio popolato dagli antichi abitanti di questi luoghi.* Oggi sono poco più di rifugi o rimesse per i contadini. Per noi è un buon posto per fermarsi a bere il primo bicchiere di vino. Ci lasciamo andare ai piedi degli ulivi, sopra un tappeto di fleoli, erbe spontanee con lunghi steli e il fiore a forma di coda di topo. Il vento fresco della primavera accarezza i volti e scompiglia i capelli delle ragazze, è uno di quelli istanti in cui staccare una coda di topo dalla terra e ficcarsela in bocca, con lo stelo penzolante dalle labbra, è un gesto che viene automatico. Mentre girano i bicchieri

* Stefano Calò, “L’insediamento nelle valli di Otranto. Un’indagine sistematica tra la Valle delle Memorie e Monte S. Angelo”.

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L’albero millenario

«Robin Hood! Dove sei? Robin Hood!». Le grida si disperdevano nel fitto bosco piemontese. Alfredo si era attardato a osservare una scritta incisa sopra un masso, poi udì le grida e cominciò a correre. Quel maledetto fucile gli pesava come un macigno sulla gracile spalla da quindicenne, gli scarponi affondavano nel fango, il fiato alzava nuvole di vapore nell’aria impregnata di umidità. Aveva quasi raggiunto i suoi compagni quando sentì dall’altro lato del bosco, separato dal torrente Belbo, un ritmico rumore metallico. Alfredo riconobbe subito quel suono, per i partigiani come lui era un segno inconfondibile della presenza del nemico. Erano le gavette dei tedeschi, sempre più vicini. Quando giunse davanti alla sua squadra il cuore gli stava esplodendo in petto, ma era comunque riuscito a compiere il suo lavoro: i tedeschi non erano ancora sbucati dal nugolo di tronchi di quercia e pino e lui aveva portato il fucile al suo caposquadra, tale Virgilio, uomo impavido e irruento. Dopo qualche minuto i tedeschi comparvero dall’altro lato del fiume, Virgilio strappò il fucile dalle spalle del giovane Alfredo, pronto a sparare. Tutti erano pronti a sparare. Eppure, non successe nulla. Le due formazioni si guardarono da lontano per qualche secondo, sfidandosi immobili, poi proseguirono nei rispettivi sentieri. «Proseguiamo», ordinò Virgilio con un gesto della mano, Alfredo guardò la scena con stupore, la vena sul collo ancora gli pulsava. Col tempo avrebbe imparato che la guerra odora di polvere da sparo ed è scandita da imprevedibili attese.

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Profumo di mare

Il mare s’intravede in lontananza, si allarga alla fine di un sentiero pietroso, come una grande macchia di olio azzurro si dilata alla fine di un rivolo. Le spighe di grano frusciano al vento. Sulla destra del sentiero si attorcigliano cespugli di more e mirto, sulla sinistra si allunga un piccolo canale di cemento. «Questa è una zona dove non ci sono pozzi, quindi fu creato un sistema di canaletti che partono dai laghi Alimini e forniscono di acqua i campi della zona. Viene ancora utilizzato dagli agricoltori, ad esempio io lo uso per i miei campi di grano e barbatelle», spiega Michele, ventenne con occhiali a specchio che avanza a bordo di un trattore. Il cielo è sgombro da nuvole, due rapaci sospesi nell’aria scrutano la presenza di prede. Più ci si avvicina al mare, più la tramontana ha campo aperto. Si dice che questo vento sia una “signora”, di un alto ceto nobiliare, perché, come il “giovin signore” del Parini, si alza tardi: si attenua la notte e poi riprende vigorosamente nella tarda mattinata. Un canneto ondeggia e risuona come un concerto di nacchere. Poi arriviamo su un precipizio e il mare si apre nella sua grandezza. La città di Otranto è abbracciata da due coste rocciose a strapiombo sul mare: quella a sud scende fino a Porto Badisco, quella dove ci stiamo addentrando è a nord e per la sua imponenza ricorda le scogliere di Moher, un paesaggio costiero dell’ovest dell’Irlanda dove i costoni si ergono come dighe. “Sapunerò”, “Mulino d’acqua” e “Imperia” sono i nomi che la tradizione popolare otrantina ha dato alle rocce di questi luoghi. Quando c’è tempesta gli schizzi del mare superano i costoni e arrivano sul sentiero. Proseguiamo verso sud, il sole ormai alto fa brillare il mare come una lastra di cristallo. 49



La via delle stelle

Si narra che in una campagna di Giuggianello, sopra una collina, ci siano degli olivi dalle sembianze umane. Qui, nel primo millennio avanti Cristo, un gruppo di giovani pastori messapi si avventurò con il proprio gregge. La collina era piena di gigantesche pietre, cetacei di roccia arenati e dormienti sul terreno. I pastori camminavano lentamente, ammirandone la grandezza, il silenzio era rotto solo dal belare delle pecore. Poi videro delle donne, libravano nell’aria in danze sinuose. Avevano la pelle bianca come latte e i capelli dello stesso colore dell’oro. Erano di una bellezza eterea, di un fascino che può appartenere solo a delle ninfe. Infatti erano Epimelidi, bellissime protettrici dei greggi, amiche di Dioniso. Ma i giovani pastori, ebbri dell’adolescente esuberanza, non si resero conto di avere di fronte degli dei. Così gonfiarono i petti, si scambiarono degli sguardi compiaciuti e con la spavalderia che solo un uomo può aver al cospetto di una donna, sfidarono le ninfe nel ballo. I loro passi rudi e grezzi si mischiarono con le movenze eleganti delle ninfe. L’esitò non lasciò dubbi, eppure i pastori esigevano la vittoria. Allora le donne rivelarono la propria identità e maledirono i ragazzi, trasformandoli in olivi. A nulla valsero le proteste e le suppliche, i corpi iniziarono a contorcersi, le braccia imploranti, distese verso il cielo, mutarono in rami. Sui volti lisci della giovinezza comparvero le rughe della corteccia, la disperazione delle espressioni fu scolpita nel legno. Di notte si sentono ancora i loro lamenti, confusi con l’ululare del vento e il frusciare delle fronde. Mai sfidare gli dei. Soprattutto all’epoca,

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Sulla strada

Sembrava dovesse piovere per sempre. Paolo osservava dalla finestrella del bunker l’acqua venir giù come un torrente, la cavità amplificava lo scrosciare della pioggia. Lui però era tranquillo. Aveva appena 15 anni ma sapeva che quel nubifragio se ne sarebbe andato con la stessa velocità con cui era arrivato. Quindi aspettava fischiettando accovacciato col mento poggiato sulle ginocchia, la testa avvolta da un elmetto così largo da scenderli fino al naso. Ogni tanto incideva il suo nome sulle pareti, accanto a quelli dei soldati che vissero quel luogo prima di lui. Poi cacciava la testa fuori dal bunker e controllava il gregge. Pioveva sempre a dirotto, il vento ululava e sferzava il volto, nel mare si attorcigliavano le spume bianche delle onde. Le trincee erano colme d’acqua che fuoriusciva a cascate. Due colori dominavano il paesaggio: il grigio metallico delle nuvole e delle rocce che scendevano a strapiombo verso un mare blu opaco. D’un tratto smise di piovere, Paolo sgattaiolò fuori, con gambe agili e sottili come spilli saltò una trincea e raggiunse le sue pecore. Erano fradice ma non si erano mosse di lì. Cominciò a risalire la scarpata in direzione della masseria, alla sua destra sfilavano dei cannoni puntati in direzione del mare. Non era uno scenario di guerra, non ci furono morti e non fu sparato neanche un colpo. Era il paesaggio delle Orte di Otranto subito dopo la Seconda guerra mondiale. Paolo era il massaro dell’omonima masseria, l’abitante più a oriente d’Italia. Per la sua posizione strategica questa località fu utilizzata come avamposto militare nelle varie epoche. Alla fine del 1400, prima

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In locomotiva

«Il mare Adriatico chiudeva in fondo con alta frangia azzurra il panorama formato da lievi ondulazioni di poggi sparsi qua e là, di ville e di cascine a mò di torri e nel resto imponente della sua nudità. La palude delle Fontanelle occupava il centro di un alto bacino chiuso. Discesi alle falde del Monte Vergine, così detto da una rustica cappella costruita sul dorso del colle, ci fermammo un minuto alla stazione di Giurdignano, presso la grossa fattoria di Palanzano. Fummo accolti alla stazione con una salva di petardi alla quale rispondemmo col fischio della locomotiva; e poi difilato volgemmo a sinistra verso la città dei Martiri e dei gelsi mori. Giungemmo finalmente sull’altipiano della stazione otrantina. Una calca di gente si affollava e si pigiava lungo le rotaie salutando con alte grida e con battimani il treno che maestosamente si avvicinava, traversando un arco trionfale di mirto e di alloro. La banda militare del sesto di linea intonava anch’essa degli inni patriottici, poi seguirono le preci e benedizione a quell’enorme Anteo di ferro che ruggiva, dominato dal genio redivivo degli Stephenson e dei Watt.» Cosimo De Giorgi, 1875

Il vento ululava e scuoteva i corpi. I tronchi esili e lunghi delle palme si curvavano ma non si spezzavano. In questo lembo di terra falcidiato dai venti sono più di sessant’anni che vedono tempeste, senza aver mai ceduto. Le piantò il ferroviere Giuseppe De Santis, da allora divennero il simbolo, un po’ esotico, della stazione di Otranto. Si vedono fin dal mare e sono utilizzate dai pescatori come punti di riferimento per la pesca.

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Ringraziamenti

Desideriamo esprimere la nostra gratitudine a tutti coloro che ci hanno sostenuto sin dall’inizio, a chi ancora crede nelle proprie utopie e a chi non proietta le proprie illusioni ma prova a elaborarle per testare la loro validità. A chi lotta quotidianamente contro la società ineguale, ignorante, condannata al consumo o all’esclusione. A Gina Cacciatore, Romolo Manca, Fabio, Sandro, Luca, Sara, Filippo, Andrea, Lory, Barbara e Pasqualino D’Amato, i nostri primi fan. A Guglielmo Minervini per aver creduto fortemente nel nostro progetto ed essersi impegnato con tutto se stesso nella realizzazione di una Puglia nuova e migliore. Al caro Vito Ferrante. A Guendalina Salini, Mirko Verdesca, Marta Valiani, Enrico Guarini, per il sostegno continuo e senza sosta alcuna. Grazie a Javier e Anita Salnisky, a Giuseppe De Paola, a Marco Termo, Fabio Tarantino, Anna Cerignola, Alessandro Sicuro, Mauro Marino, Rory e Dolly Cosi, Vito Verdesca, Stefania e Luigi Lezzi. Grazie ai primi camminatori di Salento in Movimento Lento Vincenza Magnolio, Sidonio, Pamela, Titina, Flavia, Giorgio, Titti, Aaron, Rajan. Grazie ai contadini, ai pescatori, alle donne, agli uomini, ai bambini, alle bambine e alle realtà sostenibili incontrate lungo i nostri cammini. Un infinito grazie ai vecchi e nuovi viandanti lenti. Arrivederci al prossimo cammino!

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Nota sull’autore

Stefano Martella è un giornalista e collabora con le testate «Fanpage», «Altreconomie», «Informant» e «Nuovo Quotidiano di Puglia». Nel 2014, nella sezione “miglior reportage”, vince il Premio giornalistico nazionale Maurizio Rampino. L’anno dopo, nella sezione “miglior inedito”, gli viene assegnato il Premio Michele Frascaro per il giornalismo d’inchiesta. È socio di Oikos Sostenibile e collabora con il collettivo di filmaker Muud Film. Per le edizioni Negroamaro, nel 2016 ha pubblicato la guida narrata Approdo a Porto Cesareo. Per Besa Editrice, nel maggio 2017 ha pubblicato I segreti della Lupa. Il lato oscuro di Lecce, una raccolta di cinque reportage narrativi su alcuni aspetti torbidi della città di Lecce.

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Nota sull’associazione

L’associazione culturale di promozione sociale Oikos, ispira e promuove un cambiamento responsabile nella società attraverso idee che si concretizzano in progetti/azioni; disseminando esperienze significative in chiave di sostenibilità, aumentando il senso di corresponsabilità nelle scelte quotidiane. Punto di riferimento per la promozione dello sviluppo sostenibile nella Provincia di Lecce, l’associazione Oikos Sostenibile, è stata la prima realtà a promuovere sull’intero territorio pugliese la mobilità ed il turismo sostenibile, l’agricoltura a Km0, attraverso progetti culturali, sociali, ambientali, concreti e innovativi. L’associazione Oikos Sostenibile è un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale. Produzioni: Secret Station (2017) Rassegna di arte, musica, fotografia e teatro all’interno del laboratorio urbano Stazione a Sud Est di Otranto. Stazione a Sud Est (2016). Abbiamo in concessione il secondo piano della stazione Fse (Ferrovie del Sud Est) di Otranto (Le). All’interno della struttura, ci occupiamo di ospitalità, arte e mobilità sostenibile, puntando alla creazione e il consolidamento di un sistema territoriale integrato di matrice ambientale, sociale, culturale e turistica di qualità. Corte in Festa (edizione 2015 e 2016) festival che coniuga arte, cultura, musica, artigianato, ambiente, benessere, agricoltura, mobilità sostenibile, comunità e paesaggio in un connubio non asservito alle logiche del puro consumo culturale. Corte in Festa è un processo di comunità attivato dal motore-cultura, in cui si è strutturato e attivato un processo partecipato che coinvolge ad ogni edizione cittadini, associazioni, gruppi informali, commercianti e imprese. 117


Migdal Bavel, dialogo interculturale partecipato (2015) Un progetto di ricostruzione aperto che riconosce e mette in gioco le cornici di riferimento esistenziali entro le quali la comunicazione ha luogo, preferendo metodologie nuove e contesti allargati in cui costruire relazioni. Amore vero a Km0 (2015) Appuntamento itinerante col cibo, l'artigianato e l'arte nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi. Revolution Sostenibile (2014) Incontro tra realtà territoriali che si occupano di cultura, sociale, ambiente, economia in maniera sostenibile. Modelli di culture sostenibili interculturali da condividere; storie di vita, narrazioni sociali di inestimabile valore antropologico da sostenere. Il Tempo del Sogno (2013) Percorso di mobilità sostenibile a piedi, in treno e in bicicletta con l’obiettivo di conoscere, sperimentare e diffondere buone pratiche di sostenibilità incoraggiando processi di auto-promozione delle storie. Un percorso d’arte relazionale che ha visto la collaborazione di numerosi musicisti, artisti, performer. Nel porto di Santa Maria di Leuca (Le), abbiamo attivato, attraverso duecentocinquanta biciclette, il primo palco al mondo interamente alimentato a pedali. Musica itinerante a Sud Est (2013) viaggio itinerante in treno insieme a cinquanta musicisti della giovane Orchestra del Salento. Umano Mezzodì (2012) Un percorso d’arte relazionale che ha fornito un modello di scambio, di umana convivenza, in cui arte, cultura e comunità si sono incontrate. Un’azione che, attraverso una metodologia maieutica, ha scardinato e rovesciato le categorie e gli schemi presupposti, contribuendo alla scambio delle proprie conoscenze, esperienze per impostare la direzione delle azioni verso una visione d’insieme. Un progetto di ricerca e interazione con il paesaggio e le persone di una comunità. Il Sonno della Crisalide (2012) Workshop sulla mobilità sostenibile che ha offerto alcune riflessioni e alcuni esempi pratici di

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sviluppo locale in chiave sostenibile, come risultato della valorizzazione integrata del patrimonio complessivo di natura ecologica oltre che economica e sociale. Fossili nel Presente (2012) Progetto che racconta sulle pietre alcuni cammini sviluppati durante i nostri percorsi di mobilità sostenibile. Bike Bag (2011) Borsa multifunzione per la mobilità sostenibile, realizzata con materiali di riciclo dalle donne di una piccola comunità. Puglia in Movimento Lento (2011) Percorso di mobilità sostenibile a piedi, in treno e in bici tra le sei province pugliesi con l’obiettivo di conoscere, sperimentare e diffondere buone pratiche di sostenibilità incoraggiando processi di auto-promozione delle storie. Arte in Movimento Lento (2011) Percorso di arte relazionale e itinerante. Cammino a piedi, in bici e in treno nelle sei province pugliesi con musicisti e performer. Tribù Sostenibili (2011) Attivazione di gruppi sull’intero territorio pugliese per la realizzazione di percorsi di mobilità sostenibile curati a differenti livelli da alcuni facilitatori locali. Biodiversità in pratica (2010) Laboratori rivolti ai bambini per sperimentare e tutelare la biodiversità in tutti i suoi aspetti. Sulle Orme della via Francigena del Salento (2010) Itinerario a piedi lungo l’antico percorso della via Francigena del Salento. Salento in Movimento Lento (2010) Viaggio a piedi col coinvolgimento di numerose associazioni, movimenti, enti pubblici e privati, con l’obiettivo di conoscere, sperimentare e diffondere buone pratiche di sostenibilità incoraggiando processi di autopromozione delle storie. Oikos, il periodico per uno stile di vita Sostenibile (2010) Progetto editoriale, spazio di promozione e di condivisione di idee e punti vista utili a promuovere una consapevolezza collettiva sui temi della sostenibilità.

www.stazioneasudest.it | www.oikosostenibile.it

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Nota sulla curatrice del progetto

Katia Manca da oltre dieci anni si occupa di tematiche transdisciplinari tra cultura ed ecologia. Laureata in Scienze della Comunicazione, è giornalista pubblicista dal 2008, per anni collaboratrice de «La Gazzetta del Mezzogiorno». Nel 2010 ha fondato l’associazione Oikos Sostenibile di cui è presidente. Esperta in promozione della mobilità sostenibile, turismo culturale e progettazione partecipata dal basso, è ideatrice di numerosi progetti incentrati sulle diverse modalità di valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale.

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