SULLE ORME DI IDRUSA

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Wilma Vedruccio

Sulle orme di Idrusa


Questo volume è stato pubblicato in prima edizione nel 2001 da Piero Manni s.r.l.

Edizioni Kurumuny Sede legale Via Palermo 13 – 73021 Calimera (Le) Sede operativa Via San Pantaleo 12 – 73020 Martignano (Le) Tel. e Fax 0832 801528 www.kurumuny.it

info@kurumuny.it

ISBN 978-88-95161-69-3 In copertina: particolare del mosaico di Otranto, elaborazione grafica di Alessandro Sicuro © Edizioni Kurumuny – 2012


Alle nonne al mito...



L’idea di questo testo ha origine dalla lettura de L’ora di tutti di Maria Corti. La sua stesura nasce quale canovaccio per l’allestimento di uno spettacolo teatrale.

W.V.



Indice

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Idrusa ritrovata Giuliana Coppola

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Idrusa bambina All’epoca Idrusa era nome di donna

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Idrusa sposa S’era ritrovata sposa Idrusa

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Idrusa innamorata Sì come galletto di marzo

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Idrusa pietosa L’amor proprio rese ardita Idrusa

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La tela di Idrusa Guarda Idrusa

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L’eco del mito Lucio Toma



Idrusa ritrovata Giuliana Coppola

“Guarda Idrusa il filo a volte s’intreccia con armonia leggero succede a volte raramente…”. Leggero, con la leggerezza che le è propria, Wilma m’ha ridonato il volto di Idrusa; ri-donato perché l’avevo persa Idrusa, anzi pensavo d’averla perduta ma lei è ritornata quando meno me l’aspettavo con la forza dei versi di un cantico che le appartiene per sempre ed ora è come se fosse stato ieri il tutto. Così il tempo, anche il tempo passato, diventa leggero …“A volte il filo fa i nodi ed il groviglio sembra inestricabile e confuso. Come nella vita”. Ecco, il groviglio della vita ha fatto incontrare me, Wilma, Maria Corti, Idrusa, Otranto, la sua storia, il suo mare, i suoi silenzi. Ora tutto ritorna, grazie a questo Sulle orme di Idrusa che rivede la luce; ed è storia lieve come giglio “che dondola nell’aria” giglio bianco “con un lungo stelo grasso” a trattenerlo; questo ho pen-

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sato, sussurrando i versi scritti da Wilma; li ho sussurrati tra me e me, quasi una fiaba dolce che si ripete a se stessi, perché scivoli nell’animo, lasci il segno, ma non si sciupi. E d’un tratto anche questo ho pensato, anzi ho provato; ho provato e provo il timore che io possa turbare, sia pur solo leggendo e parlandone e scrivendone, l’armonia del suo andare; possa farle del male, sfiorandola. Sensazione strana, ma mi succede, a volte, con una storia che ho tra le mani e mi diventa così cara che a mia volta ne divento gelosa, gelosa della sua purezza. Chissà se riesco a far comprendere il mio pensiero; ma è come se, leggendo i versi di Wilma, si segua davvero, orma su orma, il destino di Idrusa, straordinario mito che illumina questa terra nostra, del suo passo, del suo sorriso, delle sue scelte ché, in fondo, è sempre lei a tener ben saldo il filo della sua esistenza. Idrusa bambina è il suo silenzio, racchiuso nello sguardo che osserva, per ore, la vita che le scorre accanto a cui lei non partecipa, così diversa, così lei e nient’altro. Idrusa sposa è il suo interrogarsi, l’interrogare il suo cuore per cercare e darsi ragione d’un malessere, d’una sottile forma di delusione, di quel sentirsi “tortora/ racchiusa nel pollaio insieme alle galline”. Idrusa innamorata è il suo stupirsi di fronte a notti luminose, dorate, profumate di gelsomino e salsedine insieme e insieme “come l’incenso nelle chiese, sapevano di benedizione”. Idrusa pietosa non ha più paura “La trama cresce leggera e aerea senza costrizioni quasi non si regge

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sembra che si può all’improvviso disfare… e mostra infine la sua bellezza ed è tenace”. Cresce leggera la trama verso dopo verso, quasi nodo dopo nodo di tela di ricamo; Wilma l’ha ordita e sull’ordito con lieve tenacia ha ricavato la sua Idrusa, quella che lei ha voluto che fosse, creatura nuova e diversa, ombra tra ombre ormai, ma un giorno concreta e vera come le figure del mosaico di Pantaleone che lei sfiora, andando. Creatura silenziosa, un tempo; ora, grazie a Wilma e alla sua scrittura, il silenzio di Idrusa è un canto; non è più “misterioso come un oceano”; sono “emerse le parole”… …“come isole inesplorate ma sono emerse”.

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IDRUSA BAMBINA

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All’epoca Idrusa era nome di donna, non d’ostello. Nome antico. Era cresciuta fra le barche del porto e i cespugli della macchia appena fuori il paese. Le altre bambine nei vicoli del borgo si allenavano al loro mestiere di donna facevano esercizi di sorda rassegnazione e di ipocrisie fra pari. Lei no. Non aveva appreso quel mestiere non aveva imparato a mentire a subire, a rinunciare‌ E si può capire. Le barche a riposo, con la pancia al sole, stese su i banchi delle posidonie era lo scenario dei suoi giochi al pari dei maschi del paese non delle bambine. Annoiavano la piccola Idrusa i giochi delle femminucce nei cortili assolati le loro chiacchiere, i loro dispetti le loro storie.

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Aveva seguito con occhi incantati per ore il volo frenetico di volatili ubriachi d’aria e di sole aveva fatto lunghi esercizi di sogno senza cose sognate appesa alle ali di superbi gabbiani e di acute ed attente poiane. Aveva respirato gli odori che a primavera affollano l’aria intorno alla macchia aveva imparato a distinguere il timo dalla santoreggia il ginestrino dal cisto senza sapere il loro nome. Si era appropriata del loro codice come un piccolo animale. E conosceva le erbe le mille erbe selvatiche che in aprile si affrettano a spigare perchÊ il sole di maggio possa poi seccare il loro seme dialogava con esse. Aveva a lungo combattuto Idrusa con la paura di andare e

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la voglia di scoprire che coabitavano nel suo cuore. Più volte aveva tremato alla vista di serpi e sacare che fra erbe e cespugli rubavano il sole ma sempre aveva ricacciato indietro l’atavico timore perché davanti a lei c’era un fiore aveva intravisto un uccello in lontananza. Nelle sue vene, oltre al sangue fluiva il desiderio di soddisfare la curiosità dei suoi occhi la vivacità dei suoi sensi la gioia di vivere. Aveva a lungo guardato il taglio fra il cielo e il mare e in silenzio aveva sorbito il mito le tante storie del mito senza sapere. La Grecia per lei era solo una direzione verso l’orizzonte. Le montagne dell’Albania che all’improvviso in alcuni mattini occupavano l’orizzonte lì a Oriente

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erano il suo miraggio senza nulla conoscere senza sapere niente di quel paese. Quel profilo di monti che tratteneva i vapori del cielo era il suo eldorado. Aveva visto le tempeste Idrusa le tempeste del mare. Aveva familiarizzato con le onde. Avida respirava la salsedine e si leccava le labbra le piaceva il sale. E seguiva incantata il volo degli spruzzi d’acqua quando le onde, alte come montagne rompevano contro gli scogli seguiva il corso dei rivoli che s’affrettano a tornare al mare. Non capiva perchÊ non sapeva nulla delle leggi di natura non si interrogava. Ne partecipava solamente. Il lavoro dei contadini negli orti, la sua scuola. Li osservava per ore quando piantavano o sarchiavano quando innaffiavano le giovani piantine stordite dal sole. 18


Sapeva i tempi di crescita delle piante dell’orto i tempi della loro maturazione. I pomodori accendevano la sua fantasia quando s’arrossavano sotto il solleone si divertiva a raccoglierli si meravigliava sempre delle mani sporcate dal fogliame che si ripulivano subito schiacciando un pomodoro fra le dita ma non riusciva ad addentarli mai a sentirne il sapore. Ascoltava in silenzio il canto delle contadine, cadenzato a cui rispondeva il canto virile degli uomini del campo ma non partecipava si sentiva estranea a quel ritmo inseguiva senza capire le loro parole. La disturbavano poi le loro risa sfacciate.

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