Terra Rossa d'Arneo

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ISBN 978-88-98773-79-4

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Luigi e Paolo Chiriatti a cura di

TERRA ROSSA D’ARNEO Le occupazioni del 1949-1951 nelle voci dei protagonisti


Edizioni Kurumuny Sede legale Via Palermo 13 – 73021 Calimera (Le) Sede operativa Via San Pantaleo 12 – 73020 Martignano (Le) Tel e Fax 0832 801528 www.kurumuny.it – info@kurumuny.it ISBN 9788898773794

In copertina: Tina Mongiò Tamborino, accorsa sulla proprietà occupata. Progetto grafico di copertina e mappa dei luoghi: Alberto Giammaruco. Editing fotografico: Alessandro Sicuro. Redazione: Alessandra Avantaggiato e Anna Chiriatti. Chiuso in stampa nel mese di giugno 2017.

L’editore si professa a disposizione per le immagini delle quali non è stato possibile rintracciare eventuali aventi diritto. La realizzazione di un libro comporta per gli autori e la redazione un accurato lavoro di revisione e controllo delle informazioni contenute nel testo, dell’iconografia e del rapporto tra testo e immagine. Nonostante il costante perfezionamento delle procedure di controllo, è quasi impossibile pubblicare un libro del tutto privo di errori o refusi. Per questa ragione ringraziamo fin d’ora i lettori che vorranno segnalarli alla Casa editrice.

© Edizioni Kurumuny – 2017


Indice

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Presentazione

di Luigi Chiriatti

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Concessione delle terre e speranza di riscatto

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L’Arneo, le Assise del Mezzogiorno e l’opera degli intellettuali

di Dora Raho

di Vito Antonio Leuzzi

CAPITOLO PRIMO Le occupazioni dell’Arneo tra storia e mito

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Arneo, la Resistenza dei contadini

82

Mappa dei luoghi

87 89

di Remigio Morelli

CAPITOLO SECONDO Voci d’Arneo Le interviste

Un nuovo orizzonte

di Paolo Chiriatti

Soccombere o lottare

di Dora Raho


93

Giuseppe Calasso

101

Antonio Ventura

113 119 127 135 147 155 163 171 181 191

Ci muovemmo con bandiere al vento portate su biciclette Quarantacinque giorni e quarantacinque notti

Giorgio Casalino Miriadi di stelle

Gianni Giannoccolo

Andate e occupate le terre!

Antonio Casaluce

Sete di terra per i contadini

Giovanni Leucci

Andammo alla battaglia con la parola d’ordine «La terra a chi la lavora»

Franco De Pace

Per spirito di avventura

Cosimo Ingrosso

Lu sule è misu / la luna è calata patrunu l’amu fatta la sciurnata

Vincenzo Aprile

Smacchiare e spietrare

Lucia Malinconico

La mia vita insieme alle compagne

Fulvio Rizzo

L’aspirazione alla libertà e alla democrazia, pur repressa, non si spegne

Lu 15 maggiu

Intervista ai genitori di Aldo Nichil


203

235 239

255 273

CAPITOLO TERZO Immagini d’Arneo

Volti di ieri, contadini di domani

di Mirko Grasso

CAPITOLO QUARTO Terra Pane Lavoro Canti contadini d’amore e di lotta

Come buoni sarti di una volta

di Rocco Nigro

I canti

APPENDICE «Non c’è nulla, c’è l’Arneo»

L’occupazione delle terre nelle opere letterarie

di Simone Giorgino

Bibliografia essenziale



Presentazione di Luigi Chiriatti

Negli anni Settanta e Ottanta ho iniziato a interessarmi alla storia orale ai fini di ricostruire il panorama sonoro salentino attraverso una ricerca sul campo. A un primo approccio la memoria risultava essere dismessa: storie, canti, rituali, simboli sembravano relegati a un passato doloroso che nessuno voleva rievocare. Con dedizione e pazienza, tra narrazione e frammenti sonori, cominciarono anche a prender forma ricordi di un passato in cui la classe popolare, contadini braccianti operai, aveva lottato e sofferto per l’affermazione di una dignità alla vita diversa da quella a cui sembrava destinata per concezione fatalistica e soprattutto per volontà di un ceto ricco, agrario, feudale, restìo a perdere qualsiasi privilegio. Con grande discrezione raccoglievo le testimonianze di lotte, scioperi, manifestazioni per l’affermazione di diritti elementari quali pane, lavoro, migliori condizioni di vita: si lottava contro la miseria, per l’abolizione del cappuccio in favore del paniere nella raccolta delle olive, per la riduzione della giornata di lavoro a otto ore, per il miglioramento delle condizioni delle tabacchine nelle fabbriche. E ogni volta si verificava la repressione violenta delle forze dell’ordine, che con troppa facilità infierivano e sparavano sulle folle inermi e male organizzate. Morti e feriti riempivano con il proprio sangue le carreggiate solcate dai traini. Insieme al panorama sonoro, che non raccontava questo vissuto, venivano dunque allo scoperto ricordi, anche confusi e frammentati, di un ceto povero intento e proiettato verso una difficile emancipazione sociale economica e culturale. In questo lavoro convergono memorie di scioperi e agitazioni, dell’eccidio di Parabita, della rivolta delle tabacchine a Tricase, della breve ma significativa esperienza che portò alla costituzione della Repubblica di Nardò e poi ancora delle occupazioni delle terre, degli arresti e del processo che ne seguì e tante altre ancora. Memorie il più delle volte dimenticate, interrotte. Ritornare a ciò che era il Salento fra i due conflitti mondiali, durante il Fascismo e negli anni immediatamente successivi – con il governo clientelare della Democrazia cristiana influenzato dalle organizzazioni cattoliche e in sintonia con i grandi proprietari terrieri, 9


organizzati secondo una gerarchia feudale – era un esercizio doloroso. Un affrancarsi dal proprio passato, segnato da miseria fatica sacrificio, e culminato con l’emigrazione verso destinazioni ignote che fino a quel momento riecheggiavano solo nella retorica favolistica. Frammenti sparsi e ricordi, per impulso dell’Istituto Gramsci di Bari negli anni Ottanta, assumono i contorni di una ricerca organica e strutturata, coordinata dall’antropologa Miriam Castiglione, volta a ricostruire la storia del movimento contadino e operaio di Puglia e delle sue province attraverso la ricerca di fonti documentali scritte e orali. Per il Salento, e in particolar modo per le fonti orali, il lavoro venne affidato a me che già da tempo mi cimentavo nella più ampia e dettagliata ricerca del paesaggio sonoro del territorio. Intervistai i protagonisti: dirigenti sindacali, politici e capipopolo che con il loro operato, il loro senso etico civile e politico, furono guida e punto di riferimento per migliaia di braccianti e contadini, che nelle occupazioni delle terre e nella ricerca di una nuova dignità avevano trovato ragione della loro esistenza. Fra gli ascoltati abbiamo riportato stralci delle interviste all’on. Giuseppe Calasso, al segretario provinciale del Pci, Giovanni Leucci, e al suo vice Gianni Giannoccolo, al segretario provinciale della Cgil, Giorgio Casalino, al segretario della Confederterra, Antonio Ventura, all’avvocato Fulvio Rizzo, ai capipopolo Vincenzo Aprile, Cosimo Ingrosso, Lucia Malinconico e ancora ad Antonio Casaluce, Giovanni Leucci, Franco De Pace, che furono fra i massimi promotori di quegli avvenimenti. Riportiamo infine l’intervista, condotta insieme a Rina Durante, a una coppia di coniugi di Tricase. Rina e io eravamo ospiti a casa di Aldo Nichil; mentre pranzavamo chiedemmo a sua madre di cantarci una canzone e in risposta ci disse che a Tricase non si canta più dopo il 15 maggio. Si aprì un mondo davanti ai nostri occhi. I ricordi assumono, a distanza di tanti anni dagli avvenimenti, un alone di epopea storica. Viene fuori uno spaccato sociale culturale e politico variegato, che si muove fra la ricostruzione storica dei fatti e una memoria dilatata – a volte gloriosa, altre amara – dai contorni di una sconfitta che per molti si tradusse nel grande esodo migratorio che interessò il Salento dopo le occupazioni delle terre del ’49-51. 10


Concessione delle terre e speranza di riscatto di Dora Raho

La sete di terra dei contadini del Sud è atavica: le leggi eversive della feudalità di Età napoleonica, infatti, se avevano liberato i comuni e i contadini dalla soggezione giuridica ai baroni, non avevano comportato però la redistribuzione delle terre nobiliari; d’altronde neanche l’abolizione delle terre demaniali aveva portato vantaggi ai contadini, visto che era servita piuttosto solo a incrementare la ricchezza dei proprietari borghesi. Tanto meno lo Stato unitario, con i suoi governi elitari, riuscì a dare risposte adeguate, e i contadini rimasero ancora una volta sottomessi ai grandi proprietari, nobili o borghesi che fossero. La Prima guerra mondiale, viceversa, da un lato portò la morte di milioni di giovani e tantissimi contadini, dall’altro alimentò in questi ultimi, che al fronte avevano maturato, tra paura e stenti, una nuova consapevolezza, la speranza di ottenere proprio quella terra che era stata loro promessa sul Carso e che per tanti secoli avevano desiderato. Le speranze, com’è noto, furono tradite ma la consapevolezza, nonostante il Fascismo, continuò a maturare e sfociò nella Resistenza di tanti contadini, operai, intellettuali. Tutte le componenti politiche antifasciste italiane – Democrazia cristiana, Partito socialista e Partito comunista – ancor prima della fine della guerra, pur nella diversità delle matrici ideologiche, contribuirono a traghettare l’Italia fuori dalla tempesta del Fascismo e cercarono di avviare una linea d’azione organica, capace di incidere sui programmi di ricostruzione del Paese. I programmi per la ricostruzione, in questa prima fase, si ponevano, tra gli altri obiettivi, anche la ricerca di soluzioni tese verso un reale miglioramento delle condizioni di coloro che avevano pagato il prezzo più alto alla guerra, i contadini; la legge Gullo, del 1944, fu uno dei tentativi più significativi che andarono in questa direzione. Il Decreto legislativo n. 279 del 19 ottobre del 1944 “Concessione ai contadini delle terre incolte”, proposto dall’allora ministro dell’Agricoltura, il comunista Fausto Gullo, recitava infatti: «Le associazioni dei contadini, regolarmente costituite in cooperative o in altri enti, possono ottenere la concessione di terreni di proprietà privata o di enti pubblici che risultino non coltivati o insufficientemente 15


coltivati in relazione alle loro qualità, alle condizioni agricole del luogo e alle esigenze culturali dell’azienda in relazione con le necessità della produzione agricola nazionale.» (Art. 1). Fausto Gullo era un avvocato siciliano, e conosceva le condizioni dei contadini, in particolare di quelli del Sud; era un comunista che credeva nelle riforme, credeva che spezzare gli equilibri esistenti nei rapporti di classe delle campagne meridionali fosse possibile, che fosse finalmente arrivato il momento di dare dignità e voce alle contadine e ai contadini che avevano pagato il prezzo più alto alla guerra e per secoli avevano aspettato quel riscatto. E questo doveva essere un riscatto reale, la liberazione da una serie di obblighi, l’abbandono di comportamenti e norme imposte sia da provvedimenti legislativi che da vigenti consuetudini sulle quali si fondavano i rapporti tra i membri delle comunità rurali; doveva essere il riconoscimento, da parte dello Stato, degli errori commessi nei secoli precedenti, del mancato rispetto, perpetrato da tempi immemorabili, “dell’uomo verso l’uomo”; il riconoscimento di diritti, non una concessione, una risposta paternalistica all’emergenza dei tempi, ma piuttosto un’assunzione di responsabilità, un risarcimento dello Stato verso chi fino a quel momento era stato trattato peggio di una bestia, da soma o da macello: da soma se si trattava di lavoro, da macello se si trattava di guerra. La legislazione Gullo era in definitiva un prodotto molto complesso, che prevedeva non solo la redistribuzione delle terre ma anche una riforma dei patti agrari, in modo da garantire ai contadini almeno il 50% della produzione; il permesso di occupare i terreni incolti o mal coltivati; un’indennità ai contadini per incoraggiarli a consegnare i loro prodotti ai magazzini statali che furono ribattezzati «granai del popolo»; una proroga dei patti agrari e la proibizione, per legge, di intermediari tra contadini e proprietari. Per la prima volta nella storia d’Italia i contadini diventavano dunque soggetti portatori di diritti ed erano riconosciuti come tali dallo Stato, uno stato non più nemico, come era stato percepito subito dopo l’Unità, ma garante di leggi che, per la prima volta, difendevano gli interessi dei contadini e non dei proprietari terrieri. La legge Gullo imponeva ai contadini di organizzarsi in cooperative o comitati per poter usufruire dei benefici previsti e quindi diventava immediatamente anche un incentivo alla loro azione collettiva, alla loro mobilitazione, uno sprone a superare l’atteggiamento individualistico e fatalistico che per secoli li 16


L’Arneo, le Assise del Mezzogiorno e l’opera degli intellettuali di Vito Antonio Leuzzi

Particolarmente insalubri la zona brindisina, la lunga striscia di San Cataldo, presso Lecce, la zona dell’Arneo, che da sola si stende fra Avetrana e Nardò. [...] In quelle dell’Arneo, vi sono oltre agli specchi di acqua dolce detti chidri, altre polle acquifere che prendono il nome di “uasi”.

Con queste parole Tommaso Fiore nel 1925, in una delle lettere per «La Rivoluzione liberale»1 di Piero Gobetti, descriveva le condizioni geofisiche dei latifondi della parte meridionale della Puglia, in mano a poche famiglie dell’aristocrazia terriera e aggiungeva Ma per questi signori, per quelli di loro, la quasi totalità, che non vedono mai le loro stesse terre, che non sanno dove sono e quante sono con precisione”.2

Le lettere a Gobetti sulla Puglia furono raccolte e ripubblicate nel 1951 dalla Casa editrice Laterza, con il titolo Un popolo di formiche, sull’onda dei dibattiti e delle mobilitazioni di massa, per la riforma agraria e per lo sviluppo del Mezzogiorno, che coinvolsero alcune zone della Capitanata e del Salento, soprattutto tutta la zona gravitante sull’Arneo. La storia dell’occupazione delle terre dell’Arneo, uno dei più grandi latifondi del Salento, rappresentò, nel periodo compreso tra il 1949 e il 1951, una delle

«La Rivoluzione Liberale» fu la seconda rivista di cultura politica di Piero Gobetti, che uscì dal 1922 al 1925. Le quattro annate si compongono complessivamente di 165 numeri, di cui alcuni doppi. 2 Tommaso Fiore, Un popolo di formiche (prefazione di Gabriele Pepe), Laterza, Bari 1954, p. 83. 1

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espressioni più alte delle lotte popolari e una delle vicende più significative dello sviluppo democratico del Mezzogiorno nel secondo dopoguerra. Il protagonismo delle masse contadine in una delle aree più povere della regione fu alla base di una nuova fase della riflessione intellettuale di poeti, scrittori, giornalisti, registi, giuristi tutti caratterizzati da un forte impegno politico-civile. Ai nomi di Vittorio Bodini, Tommaso Fiore, Ernesto de Martino, Carlo Levi, Gabriele Pepe, Rocco Scotellaro bisogna aggiungere quelli di una schiera di penalisti tra i quali Mario Assennato e Mario Marino Guadalupi, che aderivano a “Solidarietà democratica”, l’associazione nazionale dei giuristi guidata da Umberto Terracini e Lelio Basso e rappresentata in Puglia da Francesco Muciaccia3. Nell’autunno-inverno del 1949, con le Assise della rinascita meridionale, si assistette a una forte mobilitazione politica e culturale sotto la spinta delle denunce delle condizioni di lavoro nella realtà di fabbrica e nelle campagne, in particolare delle donne (raccoglitrici di olive, lavoratrici della raccolta del tabacco e operaie della manifattura) e più in generale delle condizioni di vita di una popolazione che in molti centri della Puglia e della Lucania viveva al limite della sopportabilità in abitazioni malsane e in grotte. Per le Assise si costituirono in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia comitati promotori e si lanciò un appello alla nazione in cui si chiedeva il rispetto «dei diritti civili dei suoi cittadini che combattono per il pane, per il lavoro e per la libertà». Nell’appello, infatti, si affermava: Il Mezzogiorno ha deciso di levare di fronte a tutta la nazione la sua voce che dice: Non più parole, ma fatti! Non carità, ma libertà e giustizia chiede allo stato italiano. Il Mezzogiorno non chiede al governo paternalistiche regalie ma l’adempimento di impegni solenni nei suoi confronti. Gli chiede prima di tutto il rispetto della Costituzione repubblicana.

Per la comprensione della complessa attività dei giuristi democratici molto utile è la consultazione del fondo Comitato solidarietà democratica Bari (donato all’Ipsaic dagli eredi dell’avvocato Francesco Muciaccia), che conserva gli atti dei processi delle lotte contadine e operaie del primo e del secondo dopoguerra. 3

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CAPITOLO PRIMO Le occupazioni dell’Arneo tra storia e mito



Arneo, la Resistenza dei contadini di Remigio Morelli

Tra il ’49 e il ’50 si sviluppa la prima fase delle lotte per la terra nel Salento sull’onda dei decreti Gullo del ’44 e Segni del ’46 che, per la prima volta nella storia d’Italia, introducevano e legittimavano il principio della “eversione” e della “redenzione” dei latifondi incolti o mal coltivati, con l’obiettivo di espandere la piccola proprietà contadina, di fronteggiare, soprattutto nel Mezzogiorno, l’antica piaga della disoccupazione agricola e, più in generale, di sovvertire la permanenza di rapporti feudali nelle campagne, nello spirito della nascente democrazia1. Obiettivo principale delle lotte non può che essere l’Arneo, un’immensa estensione di 42.000 ettari, di cui 28.000 quasi tutti nelle mani di due sole famiglie, i Tamborino di Maglie e i Bozzi Colonna di Lecce. Il paesaggio dell’Arneo sino agli anni precedenti la Riforma Fondiaria – evocato da Eugenio Imbriani in uno studio del 1998 – era macchioso e paludoso, la boscaglia dominante, malsano e malarico: L’uomo vi soggiornava in modo temporaneo. Durante la stagione dei raccolti. I pastori vi svernavano le mandrie portate a pasturare dalle Murge

Per una bibliografia essenziale sulle occupazioni di terre in Puglia e in provincia di Lecce nel secondo dopoguerra, cfr.: G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna. Dalla rivoluzione nazionale all’Unità. 18491860, Feltrinelli, Milano 1986; V. Castronovo (a cura di), Storia d’Italia. Dall’Unità ad oggi; vol. 4/1, La storia economica, Einaudi, Torino 1975; S. Turone, Storia del sindacato in Italia (1943-1980), Laterza, Bari 1981; G. Bocca, Storia della Repubblica Italiana, Rizzoli, Milano 1983; M. De Giorgi, C. Nassisi, Antifascismo e lotte di classe nel Salento. 1943-47, Milella, Lecce 1979; R. Zangheri, Agricoltura e contadini nella storia d’Italia, Einaudi, Torino 1977; R. Morelli, Cristiani e sindacato, dalla fase unitaria alla Cisl nel Salento. 1943-1955, Capone, Cavallino (LE) 1992; M. Magno, La Puglia tra lotte e repressioni. 1944-63, Edizioni Levante, Bari 1988; S. Coppola, Cronache e documenti di storia sociale salentina. (1947-1954), Grafiche Giorgiani, Castiglione d’Ot. (LE) 1991; Quegli uomini coperti di stracci. La lotta dei braccianti salentini per la redenzione dell’Arneo (1949-1952), Castiglione d’Ot. (LE) 1997. 1

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tarantine. La poca presenza stabile era data dai massari e dai lavoranti dei grandi complessi residenziali produttivi. Le masserie cerealicolo-pastorali d’Arneo, con le loro torri munite di elementi di difesa, punteggiavano, calcinate, uno “spazio dell’assenza”. Mancavano, infatti, le vie di comunicazione. I paesi distavano ore di cammino. L’isolamento connotava questa silenziosa porzione di un Salento inusuale, privo di centri abitati tra loro vicini e di campi minuzzati dalle successioni ereditarie. Qui, il latifondo non dava tregua. L’assenteismo dei padroni marcava contrade ove i lupi, ancora nei primi anni del nostro secolo, trovavano rifugio nel folto mantello delle macchie. Il sasso affiorante e l’acqua ristagnante allontanavano il piccone. I dissodamenti non potevano che essere ardui e dispendiosi. D’energie fisiche e finanziarie.2

Così lo descriveva Vittorio Bodini in un reportage per «Omnibus» nel ’51: Un’espressione vagamente favolosa come nelle antiche carte geografiche quei vuoti improvvisi che s’aprivano nel cuore di terre raggiunte dalla civiltà. [...] Una landa macchiosa che ci circonda a perdita d’occhio, tutta groppe ispide come d’una sterminata mandria di bufali, [...] la maggior parte, e per disgrazia, la più deserta.3

I primi tentativi di trasformazione agraria delle terre di Arneo erano stati quelli della Sebi (Società elettrica bonifiche e irrigazioni) nel 1926 con l’acquisto delle masserie “Monteruga” e “Pigna”, destinate all’appoderamento e alla colonizzazione. L’Arneo non è l’unico latifondo che ancora sopravvive nella provincia di Lecce nei primi anni ’50. In un territorio come quello della fascia occidentale salentina, l’antica “zona della vite”, il cui paesaggio agrario è caratterizzato dalla prevalenza della piccola e piccolissima e, in moltissimi casi, pulviscolare proprietà fondiaria,

E. Imbriani, M. Mainardi, “Oggetti, case e lavoro nell’Arneo della Riforma”, in Mario Spedicato (a cura di), Politica e conflitti sociali nel Salento post-fascista, Conte, Lecce 1998, p. 136. 3 V. Bodini, L’aeroplano fa la guerra ai contadini, in «Omnibus», a. VI, n. 5, Milano, 4 febbraio 1951; in I fiori e le spade, a cura di F. Grassi, Lecce 1984, p. 201. 2

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permane tuttavia una componente latifondistica che occupa in media il 50% della superficie fondiaria, con punte del 62% e del 75% a Guagnano e Ugento. Ma l’Arneo rimane, nell’immaginario collettivo, il latifondo per antonomasia, la plastica metafora dell’ingiustizia sociale, dove ogni vacca delle mandrie dei massari disponeva di due ettari per pascolare, ma dove un bracciante disoccupato che si fosse introdotto senza permesso nella macchia a rimediare una fascina di legna o a raccogliere lumache, funghi o erbe, poteva essere bastonato dai guardiani o addirittura ucciso a colpi di fucile come era accaduto, negli anni terribili del dopoguerra, al povero Antonio Contejanni di Nardò4. L’aspirazione alla terra, antico retaggio antropologico del proletariato agrario, tradotto nella modernità dal socialismo e riassunto nell’espressione “la terra ai contadini”, assume nel dopoguerra il valore di obiettivo strategico dell’azione riformistica e trova nuova legittimazione di lotta democratica nel fondamento costituzionale del diritto al lavoro, della destinazione sociale dell’impresa, dei vincoli alla proprietà terriera e alla sua estensione, della promozione della bonifica delle terre e della trasformazione del latifondo. Nel Salento del dopoguerra, dove le parallele inchieste parlamentari del ’51-52 sulla miseria e sulla disoccupazione rilevavano la povertà assoluta al limite della fame materiale di 40.000 persone solo nel proletariato agricolo e un tasso di disoccupazione che toccava il 60%5, l’aspettativa di riscatto e di giustizia sociale varca i confini del rivendicazionismo ribellistico che avevano dato forma all’antico movimento contadino e assume la nuova forma di battaglia per i diritti sociali e le libertà civili.

4 Così Giuseppe Calasso denunciava alla Camera dei deputati il 5 febbraio ’52: «Il governo, per difendere le macchie dell’Arneo, [si mosse] solo per proteggere il diritto di proprietà dei grandi proprietari che per secoli erano stati assenti per ogni minimo loro dovere sociale; per difendere i proprietari che fino allora si erano preoccupati solo di far bastonare e uccidere a schioppettate – come capitò al povero Contejanni! – i braccianti disoccupati». (Atti Parlamentari, Camera dei deputati, seduta del 5 febbraio 1952, p. 35267). 5 Cfr.: P. Braghin (a cura di), Inchiesta parlamentare sulla miseria in Italia, Einaudi, Torino 1978; G. Palamara, Una Repubblica fondata sul lavoro. L’inchiesta parlamentare sulla disoccupazione 1950-1954, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2007. «La bassa percentuale delle forze di lavoro – scive Palamara – potrebbe raffigurarsi come un tronco di cono rovesciato. [...] Nell’Italia settentrionale, infatti, ogni lavoratore ne ha a suo carico un altro; nell’Italia meridionale due altri».

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Il tema della riforma agraria, della bonifica e dell’assegnazione ai disoccupati agricoli delle zone costiere tenute prevalentemente a pascolo, della messa a coltura di vaste aree incolte o mal coltivate, dell’appoderamento e della trasformazione del latifondo si fa strada con sempre maggiore convinzione tra il ’47 e il ’49 e appare l’unica e più realistica soluzione al problema del bracciantato povero. Se n’era cominciato a parlare a Lecce, con l’Italia ancora divisa, dopo l’emanazione del decreto n. 279 del 19 ottobre 1944, più noto come “decreto Gullo”, dal nome dell’allora ministro comunista dell’agricoltura. A partire dal ’45 il dibattito nei partiti, tra gli intellettuali, sulla stampa locale, si fa incalzante. Pur con le dovute differenze tra le diverse ispirazioni ideologiche, dagli azionisti de «La provincia di Lecce» e «Libera Voce» ai repubblicani de «L’Italia del popolo», ai socialisti del «Tribuno salentino», ai cattolici de «L’Ordine», ai comunisti de «Il lavoratore del Salento», comune è in tutti l’auspicio e la convinzione che alla riforma agraria sia possibile affidare la soluzione dell’atavico problema della disoccupazione e della subalternità delle plebi meridionali. Scriveva «La voce di Galatina»: Il rimedio c’è. Dare la terra ai contadini; occorre, in altri termini, aggiudicare il latifondo. Vi sono vaste plaghe della provincia di Lecce pressoché abbandonate, concentrate nelle mani di pochissimi proprietari che nulla fanno per coltivare intensamente. Si spendono tanti miliardi in lavori pubblici spesso inutili e improduttivi, nella vana ricerca di fonti di lavoro e non si pensa piuttosto a bonificare terreni, costruire case e villaggi agricoli, appoderare latifondi.6

Subito dopo il varo del decreto Gullo, il Prefetto di Lecce aveva proceduto tempestivamente, ma con risultati deludenti, al varo di una commissione provinciale con l’incarico di censire e assegnare le terre incolte e insufficientemente coltivate del territorio provinciale: solo 22 erano state le assegnazioni per complessivi 911

6 «La voce di Galatina» del 19 gennaio 1947. Cfr. anche: «La Rassegna», a. II, nn. 42, 45 e 48, 1944; «Libera Voce», a. II, nn. 38 e 39, 1944; «L’Italia del Popolo», a. II, n. 2, 1945.

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ettari, 20 delle quali attuate per decreto prefettizio. Altrettanto deludente si era rivelato il dato nazionale: 155.000 ettari concessi su 777.000 richiesti. Al fallimento di questa fase concorrevano fattori diversi: l’indisponibilità finanziaria dello Stato, ma soprattutto il muro di ostilità all’esecuzione dei provvedimenti di esproprio opposto dal mondo agrario e dall’opinione pubblica moderata che nel decreto di riforma scorgevano il rischio di un attacco alla proprietà e temevano una forte ipoteca ideologica comunista. «La Rassegna», settimanale regionale vicino ai liberali, giudicava lo schema di decreto, prima ancora del suo varo, «una limitazione abbastanza grave al diritto di proprietà privata»7, e in un successivo numero scriveva: Il principio comunista di una ripartizione dei mezzi di lavoro tra coloro che a esso sono dediti viene affermato in termini assoluti. In realtà occorre ponderare bene il sistema di frazionamento. Anche il Fascismo lo attuò, ma con risultati disastrosi.8

Il tema torna alla ribalta tra il ’48 e il ’49, dopo che, sulla spinta degli scioperi mezzadrili e bracciantili del ’48, viene presentato un programma di riforma agraria da parte della “Costituente per la terra” che, nell’Assise di Modena, tra il 20 e il 21 febbraio, aveva elaborato una piattaforma che tra l’altro includeva una serie di richieste di riconversione agraria e di definizione di un limite alla estensione della proprietà fondiaria. Sono le forze cattoliche, in questa fase, a sviluppare in provincia un più forte protagonismo nella questione della bonifica delle masserie e nella costituzione di cooperative per l’assegnazione delle terre incolte, soprattutto per l’impulso impresso all’azione legislativa da Antonio Segni e da Aldo Ramadoro. In particolare, la questione della bonifica e dell’appoderamento del vasto comprensorio dell’Arneo è posta, a partire dal gennaio ’49, dalla Coldiretti e dall’Associazione provin-

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«La Rassegna», 19 ottobre 1944. «La Rassegna», 30 novembre.

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ciale degli agricoltori. La cooperativa agricola “Aurora Salentina”, di cui è presidente l’avv. Pietro Leone De Castris, che è anche presidente dell’Associazione agricoltori, nel gennaio ’48 annuncia il progetto di fondazione di un villaggio rurale nel centro dell’Arneo, necessario per promuovere l’appoderamento di quel comprensorio e per valorizzare e incrementare la produzione agricola in quella zona. Il segretario provinciale della Dc A. Fiocca si fa personalmente promotore di un’iniziativa per l’inserimento della bonifica dei comprensori salentini nel piano nazionale, mobilitando deputati e tecnici di area e coinvolgendo uno dei maggiori proprietari terrieri della provincia, l’on. Vincenzo Tamborino, in una commissione provinciale col compito di raccogliere e coordinare tutti i progetti di bonifica elaborati. Tamborino si offre di anticipare 230 milioni per la bonifica degli Alimini. All’iniziativa del Comitato per il Mezzogiorno promosso dalla Dc di Lecce, si associa in prima persona il martanese ministro della Giustizia Giuseppe Grassi. Non sono da meno le Acli che, in un convegno provinciale del marzo ’49 sulla proposta Segni, aderiscono con entusiasmo alla filosofia della riforma e ai valori sociali e solidali cui è ispirata e auspicano «leggi sulla limitazione della proprietà, da distribuire, oltre una determinata misura, in maniera equa fra i contadini, con esclusione di intermediari che favoriscono la speculazione», com’è riportato nel documento conclusivo9. La stessa Associazione agricoltori preme sul governo perché «metta a disposizione mezzi finanziari adeguati per la costruzione di borgate rurali e la messa a coltura delle terre di bonifica.10 Che il problema non sia più rinviabile lo testimoniano il grave disagio e le diffuse e quasi quotidiane agitazioni di braccianti e contadini poveri che segnano tutto il periodo invernale, anche per la recrudescenza della disoccupazione provocata dalla pessima annata olearia, dal forte taglio alle produzioni di tabacco, dall’accresciuto carico dei contributi unificati in agricoltura.

Cfr.: «L’Ordine», 12 marzo 1949. Nel documento finale del convegno, riporta il giornale, «È stata manifestata la necessità che alla riforma dei contratti facciano seguito le leggi limitatrici della proprietà, da distribuire oltre una fissata misura in maniera equa tra i contadini con esclusione di intermediari che favoriscono la speculazione». 10 Cfr.: «La Gazzetta del Mezzogiorno», 26 gennaio 1949. 9

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CAPITOLO SECONDO Voci d’Arneo Le interviste Giuseppe Calasso Antonio Ventura Giorgio Casalino Gianni Giannoccolo Antonio Casaluce Giovanni Leucci Franco De Pace Cosimo Ingrosso Vincenzo Aprile Lucia Malinconico Fulvio Rizzo Lu 15 maggiu



GIUSEPPE CALASSO Ci muovemmo con bandiere al vento portate su biciclette


Giuseppe Calasso (Copertino, 16 ottobre 1899 – 16 settembre 1983) è stato un deputato comunista. Insieme alla moglie e compagna di partito Cristina Conchiglia (Brindisi, 4 gennaio 1923 – Lecce, 5 maggio 2013), fu tra i promotori delle lotte contadine dell’Arneo e più in generale attivo sostenitore della necessità di redenzione delle masse diseredate del Salento. Il forte impegno e la grande popolarità lo resero inviso ai nemici politici. Subì un attentato nel 1945, durante un comizio a Lizzanello; in quell’occasione morirono due persone. È stato sindacalista e due volte sindaco di Copertino e di Lizzanello. La presente intervista è stata realizzata da Luigi Chiriatti e Dora Raho, il 7 maggio 1981.


ANTONIO VENTURA Quarantacinque giorni e quarantacinque notti


Antonio Ventura nasce a Sannicola il 13 febbraio 1927. Sin dalla tenera età aiuta il padre Giuseppe lavorando in campagna. Nel 1941 si trasferisce a Roma, dove lavora come manovale edile. Nei cantieri romani conosce personalità anarchiche e comuniste che stimolano in lui la passione per la politica e la cultura. Rientrato a Sannicola, nel 1944 si iscrive al Partito comunista e inizia la sua attività politica organizzando i contadini salentini. Nel 1949 è segretario provinciale della Confederterra, organizzatore e riferimento durante le occupazioni delle terre. Negli anni Cinquanta è tra i giovani dirigenti del Pci che s’impegnarono nel rinnovamento del Partito contro le posizioni staliniste interne e svolge attività di giornalista per «l’Unità». Nel 1960 viene inviato da Enrico Berlinguer, allora organizzatore nazionale del Pci, a Matera come segretario provinciale. Sino al 1965 a Matera è stato, oltre che politico, attento uomo di cultura, frequentando e conoscendo grandi intellettuali come: Pier Paolo Pasolini, Alfonso Gatto, Natalia Ginzburg, Enzo Siciliano, Elsa Morante. Dal 1965 al 1970 è vicesegretario regionale del Pci a Bari con Alfredo Reichlin. Si trasferisce a Lecce nel 1970. Dal 1970 al 1985 è consigliere regionale del Pci ricoprendo anche la carica di vicepresidente del Consiglio regionale. Nel 1980, presidente della Commissione Urbanistica regionale, redige la L.R. n. 56 del 31.5.1980, tra le prime e più avanzate leggi di tutela e uso del territorio. Dal 1985 e sino alla sua morte, il 28 ottobre 1997, è stato dirigente provinciale del Pci e del Pds salentino. La presente intervista è stata realizzata il 14 aprile 1983.


GIORGIO CASALINO Miriadi di stelle


Giorgio Casalino (Gallipoli, 26 novembre 1919 – 29 aprile 2006) è stato segretario della Camera del lavoro di Lecce, membro del direttivo della Confederterra e dal 1956 segretario della Federazione del Pci. Eletto alla Camera dei deputati nella VII e VIII legislatura, ha ricoperto la carica di membro della X Commissione trasporti e aviazione civile, marina mercantile, poste e telecomunicazioni dal 5 luglio 1976 all’11 luglio 1983. La presente intervista è stata realizzata da Luigi Chiriatti e Dora Raho, il 22 maggio 1975.


GIANNI GIANNOCCOLO Andate e occupate le terre!


Gianni Giannoccolo (Martano, 1922) è stato partigiano sulle montagne emiliane, attivo dirigente sindacale della Confederterra, nonché sindaco di Veglie per due mandati, a partire dal 1956. Svolse un ruolo di primo piano durante le occupazioni delle terre d’Arneo. A conclusione dell’esperienza amministrativa si trasferì a Correggio – paese natale della moglie, in provincia di Reggio Emilia – dove divenne coordinatore della Camera del lavoro. La presente intervista è stata realizzata il 10 ottobre 1983.


ANTONIO CASALUCE Sete di terra per i contadini


Antonio Casaluce (Nardò, 1925 – 13 ottobre 2016) è stato contadino e militante comunista a partire dagli anni Quaranta. Per due decenni, in qualità di consigliere comunale, sindacalista e segretario del Partito comunista di Nardò, fu tra i più importanti promotori delle occupazioni delle terre d’Arneo e di molte altre battaglie per i diritti delle tabacchine e dei braccianti meridionali.


GIOVANNI LEUCCI Andammo alla battaglia con la parola d’ordine «La terra a chi la lavora»


Giovanni Leucci è stato barbiere, segretario della Federazione di Lecce del Partito comunista, dirigente della Camera del lavoro di Lecce e, dal 1947, segretario generale della Cgil. Tra i piĂš attivi partecipanti delle lotte d’Arneo, fu arrestato e tenuto in carcere per oltre un mese e mezzo.


FRANCO DE PACE Per spirito di avventura


Franco De Pace (Nardò, 4 gennaio 1933 – 1998) fin da giovanissimo è militante del Partito socialista. Partecipa alle lotte d’Arneo, con il ruolo di vivandiere, e a diversi scioperi delle tabacchine di Nardò e dei paesi limitrofi. La presente intervista è stata realizzata a Nardò il 24 gennaio 1981.


COSIMO INGROSSO Lu sule è misu la luna è calata patrunu l’amu fatta la sciurnata


Cosimo Ingrosso, nato nel 1926; fu membro della Federazione del Partito comunista e dirigente sindacale a Guagnano. Fu tra i principali promotori del movimento bracciantile nel Salento. Ci ha lasciati il 26 gennaio 2017. La presente intervista è stata realizzata il 13 febbraio 2015.


VINCENZO APRILE Smacchiare e spietrare


Vincenzo Aprile (Calimera, 12 gennaio 1917 – 2 marzo 2012) discende da genitori contadini e appena adolescente è costretto a emigrare in Albania, a causa della situazione di indigenza della famiglia. In seguito, da adulto, ha svolto i mestieri di macchiarulu e partitaru, entrambi finalizzati alla produzione di legna da ardere o da destinare alla trasformazione in carbone. Fu assessore del comune di Calimera dopo le elezioni del 1956 e contribuì notevolmente alla costruzione di alcune opere del paese. Fu, inoltre, attivo partecipante delle occupazioni delle terre tanto della zona di Calimera tanto del comprensorio d’Arneo. La presente intervista è stata realizzata il 30 giugno 1975.


LUCIA MALINCONICO La mia vita insieme alle compagne


Lucia Malinconico è stata militante del Partito comunista e membro della segreteria nazionale della Cgil. Operaia tabacchina, fin da giovanissima sente la necessità di combattere le prepotenze della classe padronale. Fu tra le principali promotrici di scioperi e manifestazioni che coinvolsero Lecce e i paesi circostanti tra la fine degli anni Quaranta e la metà degli anni Sessanta. La presente intervista è stata realizzata nel 1981.

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FULVIO RIZZO L’aspirazione alla libertà e alla democrazia, pur repressa, non si spegne


Fulvio Rizzo (5 febbraio 1917 – 18 giugno 2010) si laurea in Giurisprudenza all’Università statale di Milano nel giugno 1940; chiamato subito dopo alle armi, partecipa come ufficiale alle operazioni belliche sui Balcani. Procuratore legale dal 1946, eserciterà nei rami penale, civile e amministrativo, coniugando l’attività forense agli ideali politici di giustizia e solidarietà sociale, condividendo le ansie e le aspirazioni degli assistiti. Prende parte al collegio di difesa dei contadini nel processo dell’Arneo. Numerosissimi sono gli incarichi ricoperti sia nel campo professionale che in quello politico e amministrativo, a livello locale, provinciale e nazionale. Negli anni Cinquanta è consigliere comunale di Tricase e capogruppo del Partito socialista; Sindaco di Tricase dal ’56 al ’59. La presente intervista è stata realizzata nel maggio del 1981.


LU 15 MAGGIU Intervista ai genitori di Aldo Nichil


L’intervista è stata realizzata il 3 aprile del 1975, nel contesto di una più ampia ricerca volta a ricostruire il panorama sonoro salentino. Rina Durante e Luigi Chiriatti erano ospiti in casa di Aldo Nichil; durante il pranzo la madre di Aldo, cui era stato chiesto di cantare una canzone, replicò che a Tricase nessuno più cantava dopo il 15 maggio.


CAPITOLO TERZO Immagini d’Arneo

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Volti di ieri, contadini di domani di Mirko Grasso

Queste immagini derivano dalla mostra fotografica Rosso d’Arneo. A 50 anni dalle lotte per la terra nell’Arneo, ideata e realizzata nel 2001 da Mario Vantaggiato che si ringrazia per l’aver reso possibile la pubblicazione di alcuni di quei materiali. Attraverso la selezione documentaria proposta è possibile rivedere ampia parte dei protagonisti e degli attori principali delle vicende dell’Arneo del 1950, unendone anche le voci che finalmente si possono ascoltare. È possibile ritrovare i volti di alcuni di quei duemila contadini, mezzadri, braccianti, nullatenenti, uomini e donne provenienti dai paesi che tra il 28 e il 29 dicembre occuparono le terre incolte dell’Arneo e quelle che l’anno precedente erano state escluse dall’assegnazione; accanto a questi i sindacalisti, i capilega, i padroni. Volti e vicende che ci fanno andare indietro nel tempo, un tempo vicino seppur percepito oggi come distante per via della grande trasformazione che ha vissuto la classe contadina dagli anni Sessanta in poi, come ha ben scritto Goffredo Fofi: Nel mondo di ieri non c’erano solo i contadini, c’erano gli artigiani, gli ambulanti, i carabinieri, e c’erano i “luigini”, i padroni e i commercianti e i professionisti che erano spesso anche proprietari di terra, per esempio nell’Italia mezzadrile. Dei “luigini”, contrapposti ai contadini perfino fisicamente, un’altra specie perfino fisicamente (la divisione luigini-contadini è quella fissata da Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli) diceva Salvemini che, una volta morti, di loro restava solo l’impronta del culo nelle poltrone dei “circoli dei signori”. Ancora seguendo Levi, nei paesi – non solo quelli del Sud anche se lì erano certamente più disperati – c’erano i “don Traiella”, i preti e intellettuali frustrati, a volte disperati, che avevano visto le loro scarne speranze inaridirsi per l’immobilità dei poteri. Nei paesi del Sud, e non solo in quelli, essi erano i pochi che avessero studiato, i pochi che “sapevano”.1

1

Goffredo Fofi, Contadini, in «Parolechiave», n. 54, Roma 2015, p. 117. 203


«L’Eccellenza Vostra riconosce la sostanza dei fatti: essi si inquadrano nel momento storico attuale, caratterizzato da un fervore, da un programma addirittura ufficiale, governativo, di redenzione di terre incolte e distribuzione delle stesse con criteri economici validi per una massima produttività.» Giovanni Guarino al procuratore generale della Corte d’appello di Lecce, 22 gennaio 1951. *** Alcuni dati sulla ripartizione della proprietà della terra nella provincia di Lecce potranno fornire una significativa dimostrazione non solo della giustezza della lotta attuale ma anche della necessità di una immediata e profonda riforma agraria e della applicazione della legge stralcio che il governo invece non vuole applicare in questa provincia. Secondo i dati ufficiali della ripartizione della società della terra nel leccese, si hanno ben 80 mila e 523 famiglie contadine che conducono in proprietà o in affitto meno di mezzo ettaro per un totale di soli 14.765 ettari. Ben 44.735 famiglie possiedono o hanno in affitto da mezzo ettaro a due ettari per un totale di 43.477 ettari. Novantatrè soli proprietari sostengono invece ben 27 mila e 566 ettari, dodici famiglie posseggono 8.762 ettari e infine due famiglie posseggono da sole 6.010 ettari. Questi dati del resto non danno una idea del tutto esatta sulla accentuatissima concentrazione della proprietà terriera nel leccese. Una stessa famiglia che possieda grandi estensioni di terra in due differenti comuni non viene considerata come un unico proprietario della somma delle estensioni della terra esistenti nei due comuni. In questo caso le due estensioni vengono invece considerate come due differenti proprietà. Andrea Pirandello su «l’Unità», 2 gennaio 1951.

1. Vincenzo Tamborino con i figli Giuseppe, Laura e Francesco. Archivio Fam. Cezzi. 2. Vincenzo Tamborino e la moglie. Archivio Fam. Cezzi. 3. Tina Mongiò Tamborino. Foto S. De Maggio, Maglie (Le). 206



«[...] soliti sobillatori e facinorosi pronti a sfruttare la credulità e l’ignoranza delle masse, specie alla vigilia di riforme statali di natura sociale, onde prevenire tali riforme e assicurarsi il merito e quindi nuove categorie di lavoratori. [...] Attiva e continua era tra gli altri l’opera del capolega contadini Mellone Salvatore fu Pietro, del segretario della sezione giovanile comunista De Marco Luigi e dell’attivista comunista Potenza Antonio Salvatore, tutti e tre in oggetto generalizzati, i quali, oltre a svolgere propaganda nella massa dei lavoratori, solevano accompagnarli addirittura nei locali sia della Camera del lavoro, sia del Psi per farli catechizzare dai soliti esponenti politici provinciali e farli iscrivere nell’apposito elenco detenuto dal Salvatore Mellone, per sostituire le schiere dei neo occupanti le terre in Arneo, in unione con gli altri elementi della zona.» Commissariato di Pubblica sicurezza di Nardò, 29 dicembre 1950.

210


6. Antonio De Marco, Nardò. Foto Mauro, Nardò; 7. Raimondo Buffo, Nardò. Foto Mauro, Nardò; 8. Eugenio Carrozzo, Pci Veglie; 9. Salvatore Mellone. Foto Mazzarella, Nardò; 10. Felicetto Cacciatore, Psi Veglie; 11. Cosimo Ingrosso, Pci Guagnano.


43. e 44. I primi raccolti: uva e grano. Archivio Lorenzo De Benedittis, Veglie (Le).


CAPITOLO QUARTO Terra Pane Lavoro Canti contadini d’amore e di lotta

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.

Lu prima Maggiu La Repubblica di Nardò Sentiti tabacchine L’America La pacenzia Mi presi la cavalla L’Albania La mescianza Scusati amici cari La ballata delle terre occupate Sic transit gloria mundi. Quella storia di certi cafoni

3’ 4’ 2’ 3’ 4’ 4’ 3’ 5’ 3’ 3’ 3’

34” 44” 55” 40” 04” 38” 59” 22” 43” 21” 41”


Rocco Nigro

Vito De Lorenzi

Rachele Andrioli

Giorgio Distante

direzione musicale arrangiamenti e fisarmonica voce e tamburello

Antonio Castrignanò voce e cucchiai

Massimiliano De Marco

voce, mandolino e chitarra classica

Dario Muci voce

Giancarlo Paglialunga

voce, cupa cupa violino a sonagli e tamburello

Sorelle Gaballo Ada, Franca, Mimina e Rosaria voci

Giulio Bianco zampogna

Valerio Daniele chitarra elettrica

set di percussioni, rullante, grancassa piatti, tamburello, duff e triangolo tromba

Mariasole De Pascali flauto e piccolo

Redi Hasa violoncello

Francesco Massaro

clarinetto basso e sassofono contralto

Giuseppe Spedicato

basso acustico e basso tuba Registrato e mixato da Valerio Daniele presso Chora Studi Musicali a Monteroni di Lecce.


APPENDICE «Non c’è nulla, c’è l’Arneo»



L’occupazione delle terre nelle opere letterarie di Simone Giorgino

1. Le vicende dell’Arneo – in particolare l’occupazione delle terre incolte avvenuta nel dicembre 1950 - gennaio ’51, il violento sgombero dei contadini e il processo a loro carico che si è celebrato nell’aprile dello stesso anno – sono state l’argomento di due memorabili prose di Vittorio Bodini, L’aeroplano fa la guerra ai contadini e L’Arneide, ultimo atto, e hanno ispirato tre romanzi di diverso genere e valore: Il canale di Salvatore Paolo e i più recenti Sangue di nemico di Giacomo Toma e Vento freddo sull’Arneo di Tina Aventaggiato.1 Delle prose di Bodini è opportuno parlare in un paragrafo a parte, perché la loro indiscussa qualità letteraria e il decisivo impatto che hanno avuto sia sull’opinione pubblica del tempo sia sul successivo sviluppo della poetica bodiniana meritano un approfondimento più dettagliato. In questo primo paragrafo, invece, passerò in rassegna i romanzi, iniziando dal più riuscito dei tre, Il canale. L’autore, Salvatore Paolo (1920-1976), scrittore irregolare e appartato, tanto da essere definito da Maria Corti, in un suo articolo apparso su «l’immaginazione» (n. 121, 1995, p. 22), «un fantasma salentino», completa una prima stesura

Ecco, qui di seguito, i dettagli bibliografici delle opere citate e, fra parentesi quadre, le abbreviazioni che userò in questo intervento: Vittorio Bodini, L’aeroplano fa la guerra ai contadini, in «Omnibus», a. VI, n. 5, Milano, 4 febbraio 1951, pp. 30-31 (il titolo era preceduto dall’occhiello Accaduto in Puglia), ripubblicato in Id., I fiori e le spade. Scritti civili (1931-1968), a cura di Fabio Grassi, Milella, Lecce 1984, pp. 201-207, e poi in Id., Barocco del Sud. Racconti e prose, a cura di Antonio Lucio Giannone, Besa, Nardò (LE) 2003, pp. 91-99 [GC]; Id., L’Arneide, ultimo atto, in «Omnibus», a. VI, n. 20, Milano, 20 maggio 1951, pp. 9-10 (il titolo era seguito da Cronaca di Vittorio Bodini), ripubblicato in Id., I fiori e le spade, cit., pp. 208-213, e poi in Id., Barocco del Sud, cit., pp. 107-114 [UA]; Id., Tutte le poesie, a cura di Oreste Macrì, Besa, Nardò (LE) 2004 [TP]; Salvatore Paolo, Il canale, Nuova Accademia, Milano 1962, nuova edizione: Calcangeli, Carmiano (LE) 2006 [IC]; Giacomo Toma, Sangue di nemico, Lupo, Copertino (LE) 2011 [SN]; Tina Aventaggiato, Vento freddo sull’Arneo, Loffredo, Napoli 2013, seconda edizione accresciuta del 2015 [VF]. 1

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del romanzo, che all’epoca si intitolava I Melcari, nel marzo del 1947. Dopo una profonda rielaborazione, terminata circa dieci anni più tardi, Il canale si classifica al secondo posto del Premio «Città di Bari» del 1959, nella categoria ‘inediti’. La prima edizione in volume esce nel 1962 presso l’editore milanese Nuova Accademia, con una prefazione di Ettore Mazzali, direttore della collana «I gabbiani». Il nucleo più antico del Canale, dunque, è stato scritto in pieno clima neorealista e Paolo si dimostra attento, fin da subito, alla nuova koinè letteraria, in particolare a quella linea della meridionalistica che, capostipite Verga, è stata poi ripresa da autori come Carlo Levi, Jovine, Alvaro e Silone e che ha avuto in Puglia esponenti di spicco come Tommaso Fiore e Rina Durante. Va rilevato, inoltre, che la prima stesura è di ben tre anni anteriore ai fatti dell’Arneo, aggiunti dall’autore solo nelle rielaborazioni successive, evidentemente perché ritenuti adeguati a rappresentare il disagio socio-esistenziale dei contadini del Sud e la loro possibile emancipazione da un sistema economico di tipo pressoché feudale. La parte più cospicua del libro, nella sua versione definitiva, è ambientata durante gli anni della Seconda guerra mondiale, precisamente fra il 1939 e il 1944, mentre le lotte contadine occupano soltanto gli ultimi tre capitoli (X-XII). Paolo, che s’ispira direttamente al grande modello verghiano, tanto da ricalcare persino il cognome dei suoi protagonisti, i poveri caprai Mangialerba, su quello dei più celebri Malavoglia, ha una visione fatalista della rigida suddivisione in classi della società, i paria da una parte e i soverchiatori dall’altra: «I ricchi e i poveri li ha fatti Dio e nessuno ci può fare nulla» (IC, 63), si ostina a ripetere Domenico, il capofamiglia, che guarda con timore e sospetto l’emersione delle inedite istanze di riscatto sociale, più o meno ideologizzate, avanzate dalle nuove generazioni, le quali, a differenza di un tempo, non riconoscono più solo nel paziente e duro lavoro di ogni giorno, ma ora anche nella lotta di classe e nelle nuove forme di protesta organizzata, lo strumento per ottenere, anche con la forza, una maggiore equità sociale: «“La nostra politica è di lavorare sempre”, concluse il babbo e riprese a strappare le erbe» (IC, 64); ma alla visione conservatrice di Domenico si oppone ormai quella di suo figlio, il quale «Si era incaponito nella politica e si era procurato un coltello a serramanico. Noi tremavamo nel vedergli quel coltello in mano» (IC, 66). All’autore, però, non interessa solo la denuncia degli squilibri sociali, che pure è un motivo ricorrente del romanzo, svolto peraltro con sincera partecipazione 256


Bibliografia essenziale

AA.VV., Campagne e movimento contadino nel Mezzogiorno d’Italia; vol. I, De Donato, Bari 1979. AA.VV., La Cgil, il Salento. 70 anni di lotte per l’emancipazione sociale e la dignità del lavoro. Dall’Arneo a Boncuri, Grafiche Giorgiani, Castiglione d’Otranto (LE) 2015. Abatelillo Martino, Storie di contadini, Argo, Lecce 1999. Agamennone Maurizio (a cura di), Musiche tradizionali del Salento. Le registrazioni di Diego Carpitella ed Ernesto de Martino; con CD audio, Squilibri, Roma 2005. Aventaggiato Tina, Vento freddo sull’Arneo, Loffredo, Napoli 2013. Biasco Attilio, Progetto di massima per la trasformazione fondiaria dell’Arneo, Editrice Salentina, Galatina (LE) 1932. Barberis Corrado, Teoria e storia della riforma agraria, Vallecchi, Firenze 1957. Bocca Giorgio, Storia della Repubblica Italiana, Rizzoli, Milano 1983. Bodini Vittorio, L’aeroplano fa la guerra ai contadini, in «Omnibus», a. VI, n. 5, Milano, 4 febbraio 1951, pp. 30-31. Bodini Vittorio, L’Arneide, ultimo atto, in «Omnibus», a. VI, n. 20, Milano, 20 maggio 1951, pp. 9-10. Bodini Vittorio, Il sei dita ed altre visioni, Besa, Nardò (LE) 2005. Braghin Paolo (a cura di), Inchiesta parlamentare sulla miseria in Italia, Einaudi, Torino 1978. Caggia Carlo, Cronache fra due secoli. Lotte politiche e sociali dal 1896 al 1909 in una città del Salento attraverso la stampa socialista, Congedo, Galatina (LE) 1976. Candeloro Giorgio, Storia dell’Italia moderna. Dalla rivoluzione nazionale all’Unità. 1849-1860, Feltrinelli, Milano 1986. Castronovo Valerio (a cura di), Storia d’Italia. Dall’Unità ad oggi; vol. 4/1, La storia economica, Einaudi, Torino 1975. Castronovo Valerio, De Felice Roberto, Scoppola Pietro, L’Italia del Novecento, Utet, Torino 2004. Chiriatti Luigi, Opillopillopìopillopillopa. Viaggio nella musica popolare salentina 1970-1998, Edizioni Aramirè, Lecce 1998. Coppola Salvatore, Cronache e documenti di storia sociale salentina. (1947-1954), Grafiche Giorgiani, Castiglione d’Otranto (LE) 1991. 273


ISBN 978-88-98773-79-4

9 788898 773794

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