Numero 94 - Aprile 2012
Ficulle
Mensile a diffusione gratuita di AttualitĂ e Cultura
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L’apprendista storico La redazione de La Pagina è onorata della collaborazione artistica del Maestro Roberto Bellucci
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Apprendista storico e stradino, così si definisce e si firma Angelo Ceccoli. Ceccoli Nato e residente a Terni, attualmente è pensionato e storico per passione. Ha sviluppato un interesse per la ricerca della verità in ambito storico, per quanto ardua e difficile. E’ un appassionato cultore della Storia, dei Costumi, delle usanze e dell’enogastronomia locali. Predilige la Storia Minore, quella vissuta dalla gente comune nella fatica del vivere quotidiano che ne ha scritto la microstoria entrando a far parte della “Grande Storia”. In BCT con il suo spazio del mercoledì “Il Paradiso può attendere” si dedica a personaggi locali ormai dimenticati, ma ancor oggi sorprendenti per le loro straordinarie qualità umane,
artistiche e scientifiche. Ogni martedì mattina lo ascoltiamo a Radio Galileo dove, con Giorgio Brighi, affronta tematiche riguardanti fatti di vita quotidiana locale e nazionale di maggior rilievo. Organizza visite guidate gratuite per far apprezzare aspetti poco conosciuti della città. Emanuela Ruffinelli
L’inimmaginabile è immaginabile C onosciamo diverse arti meccaniche a voi ignote e con esse otteniamo prodotti come carta, tela, seta, tessuti, eleganti lavori realizzati con lucenti piume, ottime tinture e molti altri prodotti… Abbiamo costruito anche gabinetti ottici nei quali facciamo esperimenti relativi alla luce, alle radiazioni e ai colori. Sappiamo produrre arcobaleni artificiali, aloni, circoli luminosi e ogni specie di riflessi, rifrazioni e moltiplicazioni degli oggetti… Abbiamo costruito anche Case dei suoni dove facciamo esperimenti su tutti i suoni e sulla loro generazione. Conosciamo armonie a voi sconosciute di quarti di toni e di passaggi ancora minori. Abbiamo diversi strumenti musicali a voi ignoti alcuni dei quali suonano più dolcemente dei vostri e anche campane e carillons dal suono dolce e delicato... Possediamo una Casa della matematica, dove si conservano tutti gli strumenti perfettamente costruiti, necessari alla geometria e all’astronomia... Abbiamo infine le Case per gli inganni dei sensi ove compiamo ogni specie di giochi di prestigio, di false apparizioni, di illusioni, di imposture con i relativi inganni. Potrai certo capire facilmente come noi, che possediamo tante cose che, pur essendo perfettamente naturali, generano stupore, potremmo in molti casi particolari ingannare i sensi, se volessimo mascherare queste cose e farle apparire miracolose. Ma noi odiamo ogni impostura e menzogna, tanto che è severamente proibito sotto pena di ignominia e di ammenda, a tutti noi confratelli, di alterare ed ampliare le opere da noi ottenute per via naturale, ma ci è fatto invece obbligo di farle conoscere nella loro realtà e senza nessuna affettazione di mistero. La Casa di Salomone, Francesco Bacone
A nche noi cercheremo di stupire. Non solo puntando fortemente sulla cultura, nemica della superstizione e della politica degenerata, ma effettuando puntate gratuite: chi verrà a far parte dell’Associazione Culturale La Pagina, entrando così nella nostra Casa, godrà gratuitamente di moltissime attività culturali. Penseremo ai giovani, in particolare per quanto riguarda la conoscenza della matematica, disciplina da sempre fondamentale per la buona salute di un popolo. Avremo riguardo anche per i meno giovani, effettuando, ad esempio, corsi di base per l’uso standard del computer. Presenteremo Mostre d’arte o d’artigianato, temporanee o permanenti. Terremo moltissimi corsi: arabo, arte del disegno, cinematografia, discipline scientifiche, etimologia, fotografia, greco antico, greco moderno, italiano, latino, lingue straniere. E poi conferenze, dibattiti, incontri teatrali e spettacoli di cabaret. La Sala G sarà un luogo di incontro per persone che hanno in disgusto il gossip, politico o sociale, ed amano costruire una società a misura di valori umani autentici. L a filosofia dei Senatori della città si espande: sta per terminare il terzo anno di corsi gratuiti di matematica; è appena terminato un corso di conoscenza del territorio, tenuto presso il Liceo Classico di Terni, che riproporremo nelle ore serali, presso la Sala G, ovviamente. Infine, proprio la creazione della Sala G: saremo in tanti a proporre disinteressatamente cultura e a favorire così la formazione di nuove, appropriate, rappresentanze politiche. Ci impegneremo perché si capisca che l’incarico di rappresentante dei cittadini dovrà limitarsi ad una, massimo due legislature, proprio per permettere ai tanti politici di valore di mettere la loro esperienza e il loro sapere a disposizione gratuita dei giovani, favorendo così nella politica quel ricambio di persone sempre più colte e preparate di cui abbiamo estremo bisogno e, soprattutto, per non consentire che l’impegno politico possa degenerare in una via regia o per sfamarsi o per sfuggire alla giustizia. S aremo dunque in molti ad impegnarci per il bene del nostro Paese e della nostra città e a pretendere politici e amministratori al di sopra di ogni sospetto: persone di elevatissma cultura, dalla logica stringente, dalla moralità straripante. Siano grandi professionisti, grandi lavoratori, grandi donne, grandi uomini. Perché però un popolo sappia scegliere gli amministratori adatti c’è bisogno di mille Santuari delle Muse di Pitagora, mille Case di Salomone, mille Sale G. Giampiero Raspetti
Una minaccia per All’inizio del mese scorso si è tornati a parlare di diritti degli omosessuali e delle coppie di fatto. Come sempre accade quando l’argomento non è di natura strettamente economico-finanziaria o proprio delle sagaci manovre strategiche dei partiti politici, affinché i riflettori si puntassero su questi argomenti è dovuto accadere un evento che superasse la soglia dell’indifferenza e dell’inerzia generali: in questo caso, il detonatore è Spagna, Portogallo, Argentina, Sudafrica e, negli USA, lo stato di New York. stata la morte di Lucio Dalla. Il cantautore di Bologna Un celeste più pallido ricopre quasi tutto il resto d’Europa, l’Australia e buona era un omosessuale che non ha mai fatto un esplicito parte del Sudamerica: è il colore degli stati che non riconoscono ai gay il diritto coming out, ovvero non hai mai dichiarato pubblicamente pieno di matrimonio, ma posseggono delle leggi che in qualche modo parificano le il suo orientamento sessuale: la rivelazione post-mortem unioni gay a quelle classiche eterosessuali. non è stata comunque una novità per molti, perché, L’assenza dell’Italia in una di queste due tonalità è triste: tutte le nazioni anche se non palesata, l’omosessualità di Dalla non è civilmente ed eticamente più progredite rientrano nel novero celeste o blu. L’unica neanche che fosse particolarmente nascosta o tenuta cosa più triste è scoprire che si può fare anche di peggio dell’italico nulla; esistono sotto il più stretto riserbo. paesi colorati in giallo o arancio, e il colore sta ad indicare che, in quei luoghi, La popolarità del cantante ha acceso l’attenzione l’omosessualità è considerata reato, e quindi viene legalmente perseguita: sono dei media, e i risultati non si sono fatti attendere questi colori che abbondano in Africa, e in alcuni paesi dell’Asia Centrale, dove ad troppo: si sono avute discussioni in merito all’opportunità essere gay si rischia di finire in galera (ma non scandalizziamoci troppo… fino a o meno di cantare le sue canzoni durante il funerale non troppo tempo fa succedeva anche da noi). E, siccome non c’è limite al peggio, cattolico, al fatto che il suo compagno di vita sia stato ci sono anche delle chiazze rosso-cupo, o di un lugubre marrone: sono i colori o meno presentato ufficialmente propri di paesi come Iran, Afghanistan, Arabia come tale, e infine la polemica si è Saudita, Sudan, Yemen e altri, e quel marrone sta distaccata dal mero fatto di cronaca, significare che gli omosessuali, in questi posti, generalizzandosi, generando commenti vengono ammazzati direttamente dallo Stato. più o meno aggressivi da più parti. Poco meglio va per il rosso scuro del Pakistan, È perfino possibile che la recente del Bangla Desh o della Birmania, dove la vita presa di posizione della Corte di viene risparmiata, ma la si fa passare per intero in Cassazione, che il 15 Marzo 2012 ha galera. depositato una sentenza in cui si Si dice spesso che la civiltà di un popolo legge che le coppie gay hanno diritto è misurabile dalla clemenza con cui punisce chi ad un «trattamento omogeneo a sbaglia: c’è chi mette a morte i ladri, chi taglia quello assicurato dalla legge alla loro le mani, chi li imprigiona più o meno a coppia coniugata» sia stata in qualche lungo: ma, quanto meno, tutte le società riconoscono modo catalizzata dall’attenzione nel furto un reato, e a cambiare è solo il modo di risvegliata. punirlo. Quel che sconvolge, nel leggere quella Di certo, la sentenza ha mappa, è vedere come il giudizio possa essere nuovamente riacceso l’interesse sul Phyllis Siegel e Connie Kopelov, prima coppia gay sposata a New York così tanto distorto e differenziato da far ritenere diritto di famiglia e sulla sessualità. meritevole di pena di morte un atteggiamento che Nel florilegio generale di articoli che ne è seguito, un altri popoli giudicano privato e normale. Come è possibile una tale distanza di giudizio? grafico pubblicato da diversi quotidiani (grafico che, Una lettura più attenta fa anche notare che esiste una fortissima correlazione tra la peraltro, sembra preso per intero dalla corrispondente gravità con cui è punita l’omosessualità e il potere dell’integralismo religioso: quasi voce di Wikipedia) si è rivelato particolarmente sempre, tanto più il clero locale è forte e influente, tanto più è severo il giudizio. istruttivo, anche per la sua asettica assenza di giudizi. Come se i maggiori esperti di Dio sapessero con certezza che il Creatore odia i Vi si riproduceva un planisfero in cui tutte le nazioni gay: e sì che dovrebbe essere stato sempre Lui a farli a suo piacimento, oltre che a del mondo erano colorate con uno tra diversi possibili sua immagine e somiglianza. colori. Diciamo subito che all’Italia spettava uno Quella mappa, che lo si voglia o meno, è un ottimo indice del grado di civiltà smorto color grigio, che era quello che caratterizzava di un popolo. E che i popoli a più alto rispetto dell’uomo coincidano con quelli che le nazioni prive di una legislazione che tenesse conto hanno il più alto tasso di ateismo e agnosticismo è cosa che dovrebbe far riflettere dei diritti delle coppie omosessuali: nessuna legge tutti, specialmente i professionisti della fede. Per una mente razionale è veramente apposita, nessun riconoscimento legale, nulla - e il difficile comprendere quale possa essere la “minaccia per la società” costituita dal grigio smorto ben rappresentava questa moderna matrimonio delle coppie omosessuali. La foto scattata durante il matrimonio della forma d’ignavia. Un blu denso e acceso colorava prima coppia gay sposata ufficialmente a New York, lo scorso 24 Luglio 2011, invece quelle poche nazioni che consentono alle riesce a comunicare molto più amore di quanto riescano a fare centinaia di omelie, coppie gay di contrarre un regolare matrimonio, come che sono quasi sempre piene di inferno, peccati, peccatori. E di contrito dolore. le solite Svezia, Olanda, Norvegia, Canada; ma anche Piero Fabbri
tutti noi
Terni - Via dello Stadio 63 Tel. 0744 401995 3
Casa dolce casa... soprattutto se intelligente! Si parla da tempo e diffusamente di tecnologia a misura d’uomo o, meglio, a misura di casa, grazie alla domotica (temine che deriva dal francese domotique, formato dalla parola latina domus e dai termini informatique e télématique) che possiamo definire come quella scienza che nasce per automatizzare ed integrare le funzionalità dell’ambiente domestico, con lo scopo di migliorare la vita di tutti i giorni. Gli ambiti di applicazione sono principalmente quattro: risparmio energetico, comfort, sicurezza e safety. Sul fronte del risparmio energetico, con la domotica è possibile controllare direttamente gli elettrodomestici collegati all’impianto elettrico interno, per cui si possono gestire, ad esempio, tutti i dispositivi e gli interruttori del sistema d’illuminazione, che può capitare di lasciare inopportunamente accesi. Sul fronte del comfort, la domotica consente una migliore vivibilità della propria casa. La sicurezza è sia fisica, rendendo la casa più sicura, che telematica; mentre il safety fa riferimento al controllo di eventuali apparecchiature danneggiate e quindi potenzialmente pericolose, la domotica gestisce infatti anche l’impianto antincendio! E’ sempre più alto il numero di utenti che, potendoselo permettere, utilizzano queste tecnologie che non dovrebbe essere viste come un lusso per pochi anche se costano ancora abbastanza in quanto rispondono alle differenti esigenze di tutte le fasce della popolazione potendo risolvere alcuni problemi di anziani e disabili.
ANGELO CECCOLI, l’apprendista storico
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- R Bellucci, E Ruffinelli
ASSOCIAZIONE CULTURALE LA PAGINA - G Raspetti 3
Una minaccia per tutti noi
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Casa dolce casa... soprattutto se intelligente
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TECNO OFFICE
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Cosa fare per la fobia - V Policreti Moglie, marito e corna
- P Fabbri - A Melasecche
- VP
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L’invenzione dei giovani
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COMUNE DI FICULLE
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Il risveglio della consapevolezza per l’equinozio del nuovo Rinascimento - A Pieralli
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Cicci, il gatto
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Televisione e letteratura - P Seri
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INTERPAN
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Ce lo chiede l’Europa
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Solidarietà che cammina
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LICEO CLASSICO
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PROGETTO MANDELA - T
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LABORATORI SALVATI
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AZIENDA OSPEDALIERA SANTA MARIA DI TERNI
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AMARCORD TERNANA - M
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NUOVA GALENO
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Il 6 Nazioni
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L A S TA N Z A D E L S A L E
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CO. RE. IN.
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Alla scoperta di... BEN VENGA MAGGIO
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A S S O C I A Z I O N E C U LT U R A L E L A PA G I N A
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Quasi amici: la bellezza della vita tra risate e commozione
- F Patrizi
- V G rech i
- G Ta l a m o n t i - C Renda
- M D’Ulizia, B Granaroli, L Bonaccini, R Grisanti, F Sordini, G Tessicini H ei d l a n d , A L abianca, C Calcatelli, D M ancini
B a rca ro t t i
- C C o l a sa n t i
FERZAN OZPETEK
- L Santini
- L Bellucci
- LB
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CONSORZIO TEVERE NERA
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I nativi digitali
- F Neri
CONFERENZE DI ASTRONOMIA
Oggi le nostre case sono ricche di apparecchi dotati di unità di elaborazione sempre più evolute. I vecchi elettrodomestici stanno sempre più frequentemente lasciando il posto alle nuove generazioni super hi-tech con cucine futuristiche, frigoriferi social ed ecologici e lavatrici autonome e intelligenti. Possiamo aggiungere cappe che, oltre che aspirare, si accendono con il programma tv preferito o suonano la nostra musica e frigoriferi con televisori che consigliano ricette, controllano la nostra posta elettronica e navigano nel web, e così via. Non a caso si parla di terza rivoluzione industriale. Con la casa 2.0 più qualità, più salute e meno sprechi. Al giorno d’oggi però, la diffusione di questi impianti integrati presenta ancora non poche resistenze fra utenti finali e difficoltà fra gli installatori, preparatissimi sul fronte dell’impiantistica specializzata, meno su quella integrata. La tendenza più recente è quella di dotare tali dispositivi della capacità di comunicare sia tra loro che con il mondo esterno, grazie anche ad efficaci sistemi di collegamento, cablati e non, disponibili anche a basso costo e facilmente programmabili. C’è chi riesce anche ad unire l’utile al dilettevole… Iniziare la giornata è talvolta faticoso? Una faccina sorridente, magari impressa sul pane tostato della nostra prima colazione, potrebbe favorire un briciolo di buon umore che non fa mai male: sarebbe questo un caso in cui la tecnologia può giovare anche allo stato d’animo di inizio giornata. Se il buongiorno si vede dal mattino… al es s ia .me la s e c c he @libe r o . i t
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ALFIO
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Astronomia -
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La caduta del Velino nella Nera
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ALLEANZA TORO
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Il Maestro di EGGI alla Abbazia di San Pietro in Valle - C
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GLOBAL SERVICE
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SUPERCONTI
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M Pasqualetti, E Costantini, P Casali, F Isoardi Valentini, T Scacciafratte
PA G I N A
- W M a zzi l l i
Favetti
Mensile di attualità e cultura
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti
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COSA FARE PER LA FOBIA Una signora ha una particolare fobia, che da qualche mese la terrorizza. L’incubo infatti è quello che le sue gambe all’improvviso si mettano a correre indipendentemente dalla sua volontà e, senza che possa controllarle, la spingano a compiere il gesto inconsulto di buttarsi dalla finestra. La signora è da poco uscita da una crisi matrimoniale che si è conclusa con la rottura definitiva, ma il rapporto non funzionava già da tempo, quindi, dato che non ha bambini ed è indipendente economicamente, la separazione è stata una liberazione più che un dramma. Nonostante il desiderio di godersi il suo appartamento tuttavia, la paura la costringe o ad andare a dormire dai suoi o a trascinare qualcuno a dormire da lei, e tutto ciò le dà un senso di grande disagio. Inoltre durante la notte a volte la prende un altro incubo, quello di fare del male, sempre contro la sua volontà, alle persone che ama di più, proprio quelle di cui cerca la compagnia. Chiede se restando da sola correrebbe un rischio effettivo e verso quale tipo di soluzione è il caso si orienti per tornare a una vita normale. La signora dunque percepisce vagamene il nesso tra la sua situazione di attuale solitudine dopo il fallimento del suo progetto matrimoniale e il disturbo che lamenta. Il problema è che non riesce a percepire l’angoscia che tutto questo le provoca, angoscia chiaramente espressa sia dalla carica emotiva, sia dalla simbologia delle sue fobie. E’ molto probabile che questa angoscia sia rimossa in quanto ancora troppo massiccia perché lei si possa permettere di sopportarla. La sua rimozione quindi va rispettata: quando lei sarà pronta, comincerà ad avvertire i sintomi del dolore o della depressione: potrà sembrarle allora di star peggio, ma in realtà il rendersi conto di stare male sarà il primo segno di miglioramento. Per il resto posso per ora dare un’unica certezza: tutte le volte che si chiede aiuto a qualcuno per la propria fobia, si rinforza senza saperlo la fobia stessa. Può darsi che sia ancora troppo presto per fare da sola, comunque è bene che ogni qual volta ricorre all’aiuto dei suoi o degli amici trascinati ad aiutarla, sappia che nella sostanza ciò la farà stare non meglio, ma peggio; c’è un perché preciso, ma è troppo lungo da spiegare. Quanto al pericolo di fare realmente ciò che costituisce l’oggetto della sua fobia, posso solo dire che è estremamente improbabile che le sue paure si concretino nell’azione. Ciò non accade praticamente mai. Ma per escluderlo tassativamente (come sarei tentato di fare) dovrò conoscere più a fondo la sua personalità. La soluzione del problema quindi sta anzitutto nell’imparare a fare a meno di sostegni esterni, poi nell’accostarsi –e qui può farsi anche aiutare– o al suo dolore o al suo timore della solitudine o alla sua eventuale rabbia per ciò che ha dovuto passare o, comunque, alle emozioni che attualmente si travestono da fobie, dando loro nome e cognome. Nell’improbabile caso che, avvenuto questo, le fobie una volta installatesi facessero fatica ad andarsene, non mancano tecniche semplici, rapide ed efficaci, per cacciarle via definitivamente. VP
PSICHE
MOGLIE, MARITO E CORNA Una signora mi consulta: sposata da 17 anni, ha due bei bambini, un carattere sereno e potrebbe essere felice e contenta. Senonché suo marito s'è invaghito di un'altra, lei ovviamente l'ha scoperto, ha reagito com'è normale reagire, lui ha confessato, lei gli ha chiesto di andarsene e lui, addolorato ma conscio di essere dalla parte del torto, s'è cercato un altro appartamento, l'ha trovato e stava per andarci, quando... Suspence: quando cosa? Quando la moglie, davanti alla distruzione della famiglia, ci ripensa e, superando il dolore e l'offesa, lo prega di soprassedere (e qui già sento lo starnazzare di alcune donne: che scema, caccialo via quel porco!... et similia). Essendo invece una donna intelligente, la signora si rivolge allo psicologo per capire se anche lei abbia sbagliato qualcosa (altro starnazzare: che c'entri tu! E' lui che...) e soprattutto cosa si debba fare per evitare sia la rottura del matrimonio, sia il ripetersi di incidenti come quello che lo ha messo in crisi. Dall'anamnesi risulta che l'unione è stata ben solida ino a questo episodio, salvo qualche trascurabile sbandata di lui, che è però sempre stato un marito af idabile e un padre attento. Lei lo ama e si sente amata. I loro rapporti sessuali, soddisfacenti, lo sono rimasti anche durante questo scivolone, almeno ino a quando lei ha scoperto il gioco (o lui glielo ha fatto scoprire). Ma indagando un po' meglio, risulta che negli ultimi anni la loro vita s'era un po' appiattita. Tutto era divenuto un tantino scontato e quindi un tantino noioso. A questo punto faccio una domanda diretta: cos'ha fatto la donna per ravvivare il matrimonio ingrigito? Mi guarda stupita, come se non capisse la domanda. Chiedo ancora: suo marito le piace? Lo stima? Lo ama? Ma certamente! Chiedo: glielo ha mai detto? Come? Cosa? La donna pare sinceramente interdetta; perché? Al marito si devono fare i complimenti? Controdomanda: i rimproveri glieli ha fatti? Le dardeggiano gli occhi mentre risponde che altroché, di casa lo voleva cacciare! E allora se lo rimproveri quando sbaglia perché in 17 anni di buon comportamento non l'hai mai lodato? Questa ottima moglie non sapeva, come tante altre, che se le donne sono sensibili al complimento, al iore (che i mariti non offrono quasi mai), gli uomini sono altrettanto sensibili a leggere, negli occhi delle loro donne, la considerazione e anche, perché no, l'ammirazione (che le donne non manifestano quasi mai). Se per troppo tempo il trantran domestico resta senza questi preziosi agenti vivi icatori, può accadere che o l'uomo legga quell'ammirazione negli occhi di un'altra o che la donna si veda offrire un iore dalle mani di un altro. E se ambedue non sono in grado di correre ai ripari (e noi psicologi serviamo anche a questo) possono derivarne lacrime e sangue. Prescrivo: almeno due complimenti la settimana, ma ad una condizione: che siano sinceri. Inventarseli non funziona, occorre siano sentiti. Alle starnazzatrici che urlano non è giusto, rispondo: giusto è preservare il rapporto, specie quando ci sono bambini; perciò qualsiasi cosa serva allo scopo lo è. In ine: se lui quando rientra viene assorbito da quella maledizione che è Internet, sia allora lei ad organizzare, che so, un ine settimana a Capri od ovunque, magari a sorpresa. Lasciando i bimbi alla nonna – preciso. Le brillano gli occhi mentre risponde: Si capisce! Dr . Vincenzo Policreti Ps ico lo go , ps ico terapeuta - policreti@libero.it
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Non trovano lavoro, non vogliono andar via di casa, neanche protestano più… ma questi giovani, chi li ha inventati? Partiamo dall’origine del fenomeno così come la racconta Jon Savage in L’invenzione dei giovani. L’adolescenza, nel primo ‘900, è ancora una condizione sconosciuta, i giovani sono forza lavoro al pari degli adulti e sono trattati nella stessa maniera, specie in America dove finiscono in carcere insieme ai grandi, davanti allo stesso tribunale e insieme nella stessa cella. Solo quando viene proibito il lavoro minorile e viene istituita l’istruzione prolungata, qualcosa comincia a cambiare. Con la nascita degli scout di Baden-Powell nasce il mito del ragazzo che deve cercare una missione nella vita. Simile, ma agli antipodi, è invece il movimento Wandervogel che inneggia al lebensraum, allo spazio vitale dove il ragazzo può sfogare i suoi istinti, perché essere giovani significa essere una dirompente forza vitale. L’ingresso nell’età adulta può attendere, la gioventù sta diventando uno status sociale e il vitalismo una filosofia di vita che animerà, di lì a poco, le avanguardie del Secolo, Futurismo in primis. Quando si rompe il legame di rispetto con le generazioni precedenti? Al termine della I Guerra Mondiale, i soldati partiti adolescenti, ritornano e mal vedono i vecchi rimasti a casa: se il vitalismo fa la Storia, i vecchi allora sono solo un peso: nascono così i movimenti basati sul culto della Giovinezza che alimenteranno le grandi dittature. I ragazzi americani, invece, restano fuori dalla politica e diventano teenager, ovvero ribelli senza causa, piccoli adulti già sedati dai piaceri del consumismo. Il New York Times pubblica il loro Decalogo dove reclamano il diritto a sbagliare, al divertimento e alla lotta. L’adolescente si ritrova in un mondo autoreferienziale, invischiato in un percorso che non lo porta più a diventare grande, ma a restare giovane. L’età adulta, come insegna Peter Pan, è un incidente di percorso. I ragazzi europei che escono dalla II Guerra Mondiale si rimboccano le maniche ed entrano in politica, ma poco dopo sbarca anche da noi il modello americano: il ribelle che ascolta musica giovane, veste
L’invenzione dei giovani abiti giovani e corre su moto giovani: l’adolescenza diventa status sociale, poi marketing. Una ventata di lotta e di utopia scuote le giovani coscienze gli anni ’60 e ‘70, ma non dura per molto. Oggi crescono nel nostro paese ragazzi che provengono da paesi dove l’adolescenza non esiste e si diventa subito adulti, ma non siamo preparati ad accoglierli: la nostra scuola non è pronta, perché si sono persi i valori dell’insegnamento e dell’apprendimento; le nostre città non sono pronte perché si è perso il valore dell’aggregazione; la nostra società non è pronta, perché i ragazzi non hanno più un ruolo definito. I nostri giovani sono ormai l’ultimo baluardo della società edonista, perché per vivere alla grande (cioè consumare senza produrre) bisogna avere la testa sgombra da pensieri e non avere responsabilità, perciò viene prolungata la condizione sociale del postadolescente, che esce la sera, vive alla giornata e non crea una famiglia (altrimenti dovrebbe risparmiare). Accanto a questo modello, però, convive l’adolescente extracomunitario che spesso non trova posto nella società se non come forza lavoro. Un mix molto pericoloso. L’adolescenza, scriveva Margaret Mead, non dipende dall’età, ma dalla società. Per questo si può e si deve reinventare i giovani del nostro tempo. E non esiste una questione più urgente e più politica di questa. Francesco Patrizi
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A Ficulle è Festa di Primavera L’operosa comunità di Ficulle, borgo medioevale a circa 500 m d’altitudine, noto come il paese della terracotta, si accinge, anche quest’anno, con rinnovato entusiasmo, a dar vita all’evento che ormai è una consuetudine, essendo giunto alla sua XXII edizione: la Festa di Primavera. Dopo il rigore invernale, il ritorno al clima mite primaverile è l’occasione propizia per riprendere tutte le attività all’aria aperta, da quelle indispensabili per la campagna a quelle ludicoricreative dedicate al benessere personale per migliorare la qualità della vita. Così, ci si predispone alla scoperta di nuove amichevoli frequentazioni, in un contesto caratterizzato dal calore dell’accoglienza e dalla genuinità dei sentimenti, ed alla riproposizione di antiche tradizioni, che insieme alle ricchezze naturalistico-paesaggistiche e storico-architettoniche e al patrimonio dei costumi e dei saperi costituiscono i veri valori di questa terra da preservare e rivalutare secondo le finalità dell’Ecomuseo del Paesaggio Orvietano di cui Ficulle è sede. La Festa di Primavera, che prende il via con i Fuochi di S. Giorgio il 24 aprile e culmina nel Cantamaggio Ficullese che ha luogo la successiva notte del 30, celebra il risveglio della Natura, qui particolarmente prodiga di prodotti d’eccellenza, veri tesori tramandati da generazioni, che un’antica sapienza, avvalendosi anche di moderne tecnologie, consente di coltivare, raccogliere e manipolare. Vino, olio, tartufi, zafferano, prodotti di salumeria e carne chianina pregiata sono tra le peculiarità più ambite di questo territorio, che, grazie anche ai suoi agriturismi ed alla piazzola di sosta camper, dispone di una capacità recettiva adeguata a soddisfare ogni esigenza. Non ci resta che invitarvi tutti a Ficulle per far sì che la vostra permanenza nel nostro borgo, che ci e vi auguriamo non fugace, sia una concreta esperienza di piacere, per dirla alla ficullese, ricordevole. Gino Ter r ezza Sindaco di Ficulle
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PROGRAMMA FESTA DI PRIMAVERA Martedì 24 aprile Ore 16,30 - Presentazione mostra fotografica “Arte Vivente” di Marina Comar “Breve sguardo all’Australia Occidentale” presso il “Teatro” a seguire visita alla Rocca sede dell’esposizione Ore 21,15 - Accoglienza della primavera con i fuochi di S. Giorgio, percorso itinerante per le vie del paese con la compagnia “La meglio gioventù” con le varie soste ai Fuochi e assaggi di antichi sapori in Via delle Mura per proseguire presso il campo sportivo con il gruppo “Organicanto” Mercoledì 25 aprile Nella mattinata visita presso le botteghe artigiane con dimostrazione della lavorazione dei “cocci”. Nel pomeriggio visita alle locali cantine e frantoi con conoscenza dei sistemi di lavorazione e produzione del prodotto. Alle ore 17,00 spettacolo itinerante per le vie del paese di un artista “funambolo” Sabato 28 aprile Nel pomeriggio Passeggiata campestre. La sera Cena in Piazza e concerto musicale con “Official Tribute Band NOMADI” Domenica 29 aprile Nella mattinata passeggiata a cavallo. Nel pomeriggio giochi equestri presso il campo sportivo e successivo spettacolo teatrale “La Gatta Gnuda” presso la piazza comunale Lunedì 30 aprile ore 21,00 - “Cantamaggio Ficullese” per le vie del paese
Dal 28 aprile sarà allestito un mercatino della scuola Materna e la tradizionale “Pesca” organizzata dal Centro Sociale Anziani di Ficulle.
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Il risveglio della consapevolezza per l’equinozio del nuovo Rinascimento
L’Equinozio di Primavera segna il risveglio della Natura, l’inizio del ciclo ascendente della Vita e la vittoria sul ciclo discendente della Morte. Un duetto eterno che scandisce le regole dell’esistenza dell’Essere. Crescere e vivere, decadere e morire, per poi nuovamente crescere e vivere e morire ancora. Non è difficile, osservando la storia che abbiamo alle nostre spalle, ravvisare un meccanismo del tutto analogo nello sviluppo della società umana. I momenti di fioritura si alternano a quelli di decadenza, corruzione e disfacimento. Non esito a pensare che, se dovessimo interpellare un gran numero di persone, il responso sarebbe chiaro e lampante: viviamo in un periodo di rovina. È spiacevole e doloroso, ma forse fa parte dell’ordine delle cose. Ad ogni modo questa caduta dura già da troppo tempo. Credo che sia arrivato il momento in cui, dalle ceneri dello sfacelo, debbano sbocciare i semi del cambiamento e della Rinascita. Quando parlo di Rinascita intendo letteralmente un processo di nuova nascita, ovvero un vero e proprio Rinascimento della società, dei suoi valori e dei suoi princìpi. Il parallelo storico è evidente. Il Rinascimento ha rappresentato la luce che ha spazzato via le ombre fredde del Medioevo. Un capovolgimento epocale che aveva alla sua base una grande novità: lo spostamento del centro dell’Universo da Dio all’Uomo. Parimenti oggi, anche se con modalità naturalmente diverse, è necessario un ritorno della società a regole antropocentriche. Se il Medioevo si reggeva sul culto di Dio, l’epoca che viviamo ha come fondamento il culto del Denaro. Non sto facendo della facile demagogia o della retorica da circolo delle bocce. Questa è la pure e semplice verità. Basti vedere l’erosione continua dei diritti conquistati a fatica negli ultimi decenni. Ci viene detto che non ci sono più soldi per garantire certi diritti, che non ce lo possiamo più permettere. Ma che cosa sono i soldi se non una creazione umana? Che cos’è l’economia se non un dato modo di organizzare la produzione e il consumo di una società? E così come è una creazione della società, la società può benissimo organizzarsi diversamente. Chi sostiene che le regole dell’economia sono date e immutabili (il famoso TINA, there is no alternative di tatcheriana memoria, a proposito, la Divina Commedia andrebbe aggiornata con un girone intero riservato solo all’anima, ammesso che ne avesse una, della Tatcher!) mente sapendo di mentire. Non esiste alcuna legge naturale che imponga questo tipo di organizzazione economica, e se quest’ultima non funziona (debito, disoccupazione, esclusione sociale, polarizzazione dei redditi), allora è tempo di cambiarla. Per farlo, però, è prima necessario che un ampio strato della popolazione attraversi un radicale processo di presa di coscienza, ovvero è indispensabile che le persone diventino consapevoli del fatto che è l’Uomo, e non l’economia o la finanza, il vero protagonista della società. È l’economia che si deve piegare alle necessità dell’Uomo e non viceversa. L’esperimento comunista è stato l’ultimo tentativo di umanesimo mal riuscito. Il fallimento è derivato dall’aver posto al centro non l’Uomo, come in un primo momento sembrava, ma l’Ideologia stessa, il rispetto di un’Idea che è stata messa sopra l’Uomo. L’aver trasformato l’Uomo da fine a mezzo dell’Idea ne ha decretato la caduta definitiva. I rappresentanti dell’ideologia capitalista sono ancora oggi terrorizzati da questo esperimento che cercano di demonizzare ovunque nonostante sia ormai chiaro il suo fallimento. Ma se lo temono è per un motivo ben preciso: sanno che i privilegi di chi oggi detiene il potere politico ed economico verrebbero travolti se l’Uomo tornasse protagonista della società. Per evitare ciò negli ultimi 30 anni è stata sguinzagliata una muta di cani rabbiosi che abbaiono contro l’Uomo per difendere il Denaro. In questo processo di decadenza e morte ci hanno imposto, americani primi fra tutti, una visione del mondo dove l’economia viene privata del suo
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sostentamento ideologico e viene presentata, promossa e diffusa come un insieme di regole immutabili, alla stregua di regole fisiche. Qui sta la menzogna che dobbiamo svelare e rivelare al mondo. Se è vero che la legge di gravità non può essere cambiata, le leggi dell’economia possono e devono cambiare perché non ci arrivano dalla Terra o dagli elementi naturali, ma sono semplicemente delle creazioni dell’Uomo. Dunque, l’Uomo ha il diritto di modificarle secondo i propri bisogni. Anche perché queste leggi che ci vengono imposte come cosa fatta da accettare passivamente in realtà dietro nascondo dei beneficiari ben precisi, anzitutto le banche e i grandi capitali. Già questo fatto rende palese che di immutabile hanno ben poco. Così come qualcuno le ha disegnate (Rockefeller, Rothschild, Morgan & Co.), qualcun altro le può ridisegnare secondo i propri bisogni. E quel qualcun altro siamo noi. In questo processo di riconquista è necessario rendersi conto di due fattori fondamentali. Il primo è che il successo di questa decadenza deriva dal fatto di aver mascherato l’aspetto ideologico delle leggi economiche attuali, in linea con la teoria secondo cui sarebbero delle leggi immutabili che possiamo solo accettare passivamente. Negandone l’aspetto ideologico, di fatto, esse diventano inattaccabili e inopinabili. Ma qui sta il grande inganno: esse, in realtà, sono tanto ideologiche quanto lo erano i princìpi di organizzazione socialista e comunista della società. Sono ideologiche perché sono basate su un’idea e non su una legge della fisica soggetta a prova di laboratorio. Sono ideologiche perché il loro funzionamento poggia su una struttura di idee e princìpi ben precisa, questa struttura non ha niente di eterno o oggettivo, è una creazione umana e come tale, nel momento in cui se ne svela il cattivo funzionamento, può e deve essere cambiata, aggiustata e migliorata. Quindi, per mutare queste leggi dobbiamo prima essere consapevoli del fatto che è possibile farlo. Purtroppo oggi sono in troppi gli opinion-maker convinti della loro sacralità. Siamo diventati vittime di un’idea e non vediamo che le idee sono una nostra proiezione mentale che possiamo cambiare quando e come vogliamo. Il secondo fattore di cui tener conto è il fallimento della politica. I padroni dei cani rabbiosi di cui sopra sono riusciti a infiltrare i loro aguzzini e i loro doberman velenosi dentro le istituzioni politiche fino al punto da averne conquistato il controllo. La politica, quindi, oggi non è più uno strumento sociale al servizio dell’Uomo, ma è diventato il braccio legale ed istituzionalizzato che opera soltanto a favore degli interessi di una cerchia ristretta di centri di potere. Dalla Democrazia stiamo retrocedendo verso l’oligarchia. La consapevolezza di ciò ci impone l’obbligo di destituire gli attuali partiti di ogni fiducia. L’impegno morale ed etico è di boicottarli a favore di nuove forme di rappresentanza politiche. Queste potranno avere successo solo nel momento in cui propugneranno una politica incentrata sull’Uomo, ovvero lotteranno per l’affermarsi di un nuovo Umanesimo dove le esigenze, le speranze e i sogni dell’Uomo trovino il loro posto al centro di un nuovo Rinascimento del XXI secolo. Personalmente non vedo alternative. Se il mondo non vedrà l’alba di questo nuovo Rinascimento, perdurerà il medioevo moderno che non potrà che riportare l’umanità alla povertà, culturale ed economica, la schiavitù, l’ignoranza, la violenza e l’imbarbarimento delle persone. Forse non tutti lo vedono, ma questa è la direzione verso la quale stiamo andando. Fortunatamente cresce il numero di coloro che cominciano ad accorgersene, e questo mi rende moderatamente ottimista per il futuro. Per questo mi auguro sinceramente che questa Primavera, insieme al risveglio della Natura, porti con sé anche un risveglio delle coscienze e della consapevolezza di ognuno di noi. Smettiamo di credere alle brutte favole che ci hanno propinato già per troppo tempo: non è vero che l’economia non può essere cambiata, il mondo è nelle nostre mani. Andreas Pieralli
Intorno al 1960 una famiglia si spostò dalla scomoda ma silenziosa frazione di campagna dove era vissuta fino ad allora, nella più comoda ma rumorosa periferia di un paese della Valnerina. Il trasloco comportò anche lo spostamento del felino bianco, con macchie grigie, di nome Cicci. Qualcuno sostiene che i gatti si affezionino alla casa piuttosto che alle persone. Nel nostro caso accadde invece che, nonostante l’odio viscerale che il gatto aveva sviluppato contro i mobili moderni -e tra poco capirete il perché-, dimostrò un uguale attaccamento sia alla casa che ai suoi abitanti. All’inizio dell’inverno, nella precedente abitazione, si accendeva il fuoco in un capace camino nell’ampio salone adibito a cucina e Cicci, se voleva scaldarsi, non doveva far altro che accovacciarsi nel cantuccio che aveva scelto. Il pavimento poi era di vecchi mattoni resi tiepidi dal calore che saliva dalla sottostante stalla piena di vacche e di vitelli. Nella nuova casa ovviamente la stalla non c’era, ma non c’erano nemmeno i mattoni, sostituiti da policrome ma freddissime mattonelle. Non c’era nemmeno il camino, sostituito da una stufa economica a legna, sistemata nella piccola cucina di due metri per due. Quando la stufa veniva accesa il calore si diffondeva dal soffitto fino all’altezza del tavolo, essendo le parti basse esposte agli spifferi che provenivano dalle altre stanze senza riscaldamento. Se uno doveva studiare era giocoforza inginocchiarsi sulla seggiola per non rischiare il congelamento degli arti inferiori. Figuriamoci il gatto! Il primo giorno di freddo vero Cicci, dopo aver gironzolato tra le gambe del tavolo con i polpastrelli intirizziti dalle mattonelle gelide, si era accovacciato sulla sedia impagliata tirando un sospiro felino di sollievo. Dopo un po’ però avvertì che più in alto c’era qualcosa di più caldo, proprio all’altezza di quel buffo mobile di ferro e ghisa che nella vecchia e calda casa non c’era. Fu questione di un attimo: con un balzo Cicci atterrò sopra la piastra rovente dello sconosciuto mobile e immediatamente si rese conto di aver commesso il più grande errore della sua breve vita: con uno straziante miagolìo balzò di nuovo verso terra e nonostante il refrigerio offerto dalle gelide mattonelle, volle uscire fuori a leccarsi le scottature. Passato bene o male (più male che bene, come si è visto) l’inverno, chiusa la caccia, i cacciatori di casa tolsero i richiami vivi dalle anguste gabbiette, dove si erano spennacchiati a furia di sbattere sulle pareti e li misero a riposo in un ampio gabbione, posto in un angolo del pavimento della cantina. Cicci osservava con finta indifferenza i saltelli del merlo che inseguiva a becco teso i due tordi con i quali non era mai riuscito a legare. L’occhio del felino era attratto invece in modo spasmodico dai
Cicci, C icci, il gat t o movimenti felpati dell’unico tordo sassello (o cecafella che dir si voglia) specializzato in fischi acutissimi. Questo interesse morboso verso la cecafella si concretizzò nel mese di luglio quando, avendo qualcuno lasciato per sbadataggine la porta della cantina socchiusa, Cicci entrò e con un colpo secco d’artiglio, attraverso la rete del gabbione, staccò la testa del bramato pennuto. Appena i cacciatori si resero conto del misfatto, decretarono per il gatto assassino morte per affogamento nel Nera. Il giorno dopo, giorno dell’esecuzione, in appello la pena fu commutata in abbandono nel bosco ad almeno 15 chilometri dalla casa del delitto. Detto e fatto. Il gatto fu messo in un sacco di juta, caricato in vespa, portato in un bosco molto lontano e ivi liberato. Con la coscienza serena di aver fatto giustizia i due cacciatori dimenticarono presto Cicci, ma non le sue malefatte. Agli inizi di ottobre, i richiami sopravvissuti, insieme al tordo sassello neo acquistato, furono di nuovo rimessi nelle piccole gabbie, pronti per la stagione del passo. Verso fine mese, il giovane cacciatore stava seduto sul pianerottolo delle scale esterne a riscaldarsi al tiepido sole del tramonto. Si era quasi appisolato quando sentì un miagolio molto familiare e vide Cicci, molto ben messo in carne, che si stava strofinando sui suoi calzoni come se mai fosse stato allontanato da casa. Aveva impiegato circa quattro mesi, col suo animalesco senso di orientamento, o per caso, a ritrovare la famiglia che lo aveva deportato lontano e la casa dove si era scottato; si era alimentato cacciando ed ora era felice e faceva le fusa dimostrando di non nutrire rancore per alcuno e, forse, pretendendo altrettanto nei suoi riguardi. Vittorio Grechi
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TELEVISIONE e LETTERATURA PRIMO INCONTRO: il Teleteatro e lo Sceneggiato
Il punto di incontro tra tv e letteratura si è realizzato attraverso il teleteatro che rappresenta il primo tentativo di trasposizione della grande tradizione letteraria e teatrale. Il genere si presta bene ad inserirsi nel progetto pedagogico di produzione culturale e letteraria attraverso il servizio pubblico. Il tele teatro inizialmente presenta due versioni produttive: nella prima la rappresentazione teatrale viene ripresa in diretta da una troupe televisiva che si reca sul luogo dove essa è in atto. Nella seconda si mette in scena il testo teatrale con la differenza che a posto del pubblico si trova la telecamera. In entrambi i casi gli spazi e tempi della scena vengono lasciati immutati comprese le pause tra un atto e l’altro. Le rappresentazioni del teleteatro rimasero fino agli anni Settanta. Accanto al teleteatro si colloca nello stesso periodo il genere più fortunato conosciuto col nome di Sceneggiato o Teleromanzo, basato su di una serialità breve che richiama il modello del noto feuilleton ottocentesco inventato dal francese E. Sue. La prima fase della trasposizione televisiva fu caratterizzata da una forte dipendenza dal modello teatrale sia nel linguaggio che nella recitazione e dal prevalere del dialogo sull’azione. Forte limitazione tecnologica che ha, almeno nella fase iniziale, fortemente condizionato le capacità espressive del genere che troppo spesso scade nella trasposizione pedissequa dei testi letterari nel tentativo di restituire la solennità delle opere messe in scena. Condizionamenti strutturali a parte, nel trentennio 1954-1985 la produzione di sceneggiati fu assai numerosa; in questo periodo possiamo distinguere due fasi: 1954-1962 in cui lo sceneggiato è fortemente dipendente, come è stato già detto, dal teleteatro, in cui spiccano i lavori di A. G. Majano, considerato l’inventore del genere, con Piccole donne (1955), L’isola del tesoro (1959), Delitto e castigo (1963), di G. Vaccari con L’idiota (1959), di S. Bolchi con Il mulino sul Po (1963) alla cui sceneggiatura partecipò l’autore dell’opera R. Bacchelli, segno che le riserve iniziali degli scrittori cominciavano a cadere; 1962-1985 fase in cui il fortunato genere si avvicina alla spettacolarità del cinema, grazie anche ad alcune innovazioni tecnologiche. Infatti nel 1962 venne introdotta dall’America la tecnologia Ampex dal nome dell’industria produttrice che consentiva la registrazione dei programmi su pellicola, la famosa video-tape, svincolandolo sceneggiato dalla diretta e facilitando e riprese in esterni, con conseguente miglioramento della qualità del genere. Il primo sceneggiato su pellicola fu Mastro don Gesualdo (1964) di G. Vaccari, ma il grande successo fu La cittadella (1964) di Majano. In questi anni il genere si fa più cinematografico con una produzione scenografica più sfarzosa vicina al cinema, con maggiore spazio all’azione rispetto al dialogo. Nel 1964 va in onda I miserabili di D. Guardamagna e nel 1967 I promessi sposi di S. Bolchi, l’ultima produzione interamente realizzata dalla Rai.
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Il successo degli sceneggiati è tale da risvegliare l’interesse per la letteratura, incrementando la vendita di libri, al punto che alcune case editrici come Mondadori, Einaudi ecc. crearono delle collane a basso costo tipo gli Oscar Mondadori o i Gettoni della Einaudi. E’ il momento in cui la letteratura ha abbandonato definitivamente le riserve sul piccolo schermo e letterati, critici, poeti, pittori, architetti… non disdegnano di apparire sul piccolo schermo e addirittura di dare la loro collaborazione. La vicinanza tra cinema e tv è ravvisabile non solo nella tecnica, ma anche nella partecipazione di grandi registi come R. Rossellini alla produzione di vari sceneggiati. La svolta cinematografica e l’internazionalizzazione della produzione danno il via ad una serie di kolossal televisivi con attori di varia nazionalità, girati in inglese, realizzati con la partecipazione di enti stranieri, spesso lanciati con successo sul mercato estero; tra questi vanno ricordati L’Odissea (1968), L’Eneide (1971) di F. Rossi e il Mosé (1974) di G. De Bosio. Con l’avvento della Neotelevisione, neologismo creato dal semiologo-romanziere U. Eco, lo sceneggiato entra in una fase di progressivo declino fino quasi a scomparire sul quale non poca influenza hanno esercitato innovazioni tecnologiche quali colore ed elettronica digitale, prodotti americani basati su lunga serialità e l’ingresso aggressivo delle tv private e commerciali. Tuttavia ancora negli anni Novanta qualche sceneggiato emerge ancora come il remake dei Promessi sposi di S. Nocita, Il conte di Montecristo (1998) di J. Dayan, Cuore (2001) di M. Zaccaro, Resurrezione (2002) dei fratelli Taviani. Proprio negli anni Ottanta si realizza, per usare la terminologia di Eco, il passaggio dalla Paleotelevisione alla Neotelevisione con una vera e propria svolta nel rapporto letteratura e tv. Nel prossimo ed ultimo articolo ci occuperemo più dettagliatamente di questo argomento che tratta proprio dell’evoluzione televisiva di questi anni. F in e parte II Pierluigi Seri
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Ce lo chiede l’Europa Il monito di un’Europa attenta a tutte le mancanze di un paese pasticcione come il nostro ci ha accompagnato per le passate legislature e ha funzionato da rimprovero insindacabile, richiamo intransigente, allineamento irrinunciabile ai doveri di cittadini appartenenti, volenti o nolenti, a una comunità allargata. Ce lo chiede l’Europa è stata, e seguita ad essere, l’espressione che non ammette trattative; equivale al dictat: l’ha detto tuo padre! che, tramite nostra madre, ci veniva da ragazzini dalla massima autorità famigliare. Parole che suonavano come condanne senza appello; guai a verificarne la fondatezza, né a trattarne i termini. Non avevamo sempre la sensazione che quell’ordine fosse per il nostro bene; troppo piccoli per afferrarne le conseguenze. L’obbedienza era un dovere, ma gli effetti benefici non mancavano mai. C’è, però, una differenza abissale fra i due richiami: alla certezza dei vantaggi che derivavano dall’osservanza dell’ordine paterno, fa riscontro la precisa sensazione di essere sistematicamente fregati dall’appello che ci viene rivolto con puntuale ricorrenza. Il sospetto, insomma, che di quell’atteggiamento paterno, preteso e sofferto, se ne approprino indegnamente i censori di oggi, non è solo legittimo, ma inquietante. Per dire come stanno le cose, questa Europa, tanto appassionatamente invocata e tanto attenta ai doveri, ci sembra di memoria corta. Non si chiede e non ci spiega perché la benzina in Italia costi il 30% più della Spagna, perché gli operai italiani guadagnino meno dei colleghi europei, perché i deputati nostrani si mettano in tasca stipendi tripli rispetto a quelli della Comunità, perché i conflitti di interessi abbiano in Italia carattere permanente, perché il diritto al lavoro, sancito nella Costituzione, continui ad essere
una chimera per un giovane su tre, perché… perché… perché… Dietro alla minaccia “ce lo chiede l’Europa”, c’è un prudente atteggiamento di paura per le reazioni della gente; c’è il tentativo maldestro di soffocare le critiche; c’è l’aria buonista dei populisti alla Cetto Laqualunque che fingono solidarietà per chi soffre ma non rinunciano a dare ascolto alla voracità dei caimani. Una politica così è un’autentica offesa alla nostra intelligenza, perché fatta da gente poco propensa ad assumere responsabilità e ad indicare soluzioni che possono essere anche scomode, ma indirizzate al bene degli amministrati. Un po’ come faceva nostro padre, quando ci comunicava quanti buchi della cinghia bisognava stringere in certi periodi per conservare l’equilibrio economico della famiglia, con la differenza che ai sacrifici che oggi l’Europa chiede al popolo, corrisponde sempre un allargamento della cinghia di certi personaggi in grado di interagire con la cosa pubblica. Come mai questa Europa distratta non ci chiede perché non investire in cultura, in saperi, in abilità; come mai nella globalità dei mercati questa Europa distratta non ci impone di creare un numero sufficiente di figure che consentano la crescita industriale; come mai questa Europa non ci chiede conto di quanto abbiamo fatto in tema di orientamento, organizzazione scolastica, formazione, ricerca, innovazione e lavoro? Come mai? Possiamo serenamente sperare in una disposizione che ci liberi da ladri, da mafiosi, da truffatori e approfittatori? Che bello sarebbe poter dire: “Fuori dalle balle. Ce lo chiede l’Europa!” Ing. Giocondo Talamonti
Sostituisci il tetto in eternit con un tetto fotovoltaico: più salute, più risparmio Grazie agli incentivi statali promossi per l’anno 2012 il contributo per lo smaltimento di un tetto in eternit e l’installazione di un impianto fotovoltaico è particolarmente vantaggioso: +5 cent. di €/kWh. Punto Fotovoltaico offre un pacchetto chiavi in mano che comprende lo smaltimento eternit, una nuova copertura e l’impianto fotovoltaico. Punto Fotovoltaico è la più qualificata rete in Italia di professionisti dedicati al fotovoltaico e alle energie rinnovabili. La nostra missione? Rendere i vantaggi del fotovoltaico e delle nuove energie più accessibili per tutti. Noi seguiamo tutta la filiera di un impianto: dalla progettazione alla distribuzione, dalle pratiche per gli incentivi all’assistenza post-vendita. Per questo realizziamo impianti fotovoltaici chiavi in mano, attraverso installatori qualificati. Per questo abbiamo sviluppato il più grande network italiano di punti vendita, distribuito su tutto il territorio nazionale e in continua espansione. E per questo, ogni giorno, mettiamo tutto il nostro impegno per realizzare il nostro grande obiettivo: essere il punto di riferimento per le nuove energie. Questo è il nostro sistema. Venite a scoprirlo.
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Solidarietà ChE Cammina Quanto costa quel libro? - 9 euro e 1 SCEC. Proprio così: 1 SCEC, cioè uno Sconto o Solidarietà ChE Cammina. Io ho una libreria e io lo sconto lo faccio così: faccio uno sconto che dal mio cliente passa nelle mie mani, e da me, che sono cliente di qualcun altro, passa in nuove mani e così via attraverso una rete di associati all’interno della quale ci scambiamo non solo prodotti, prestazioni e denaro, ma anche sconti, gli uni con gli altri, cioè sostegno e solidarietà. Gli SCEC si presentano come semplici banconote, cioè come pezzi di carta con indicato un valore nominale stabilito da coloro che decidono di effettuare transazioni tramite quel mezzo -coloro che, in questo caso, si associano ad ARCIPELAGO SCEC- e vengono accettati come sconto percentuale sul prezzo in euro (ogni attività decide quanto sconto-SCEC vuole e può applicare sui suoi prodotti, a partire da un minimo del 10%). Il cliente così risparmia, grazie a una riduzione del prezzo, e vede aumentare il suo potere d’acquisto, e al contempo sostiene l’intera comunità, permettendo alla moneta di circolare e creare nuovi scambi. Perché questo è il punto: riscoprire che siamo una comunità. Basta che ci mettiamo d’accordo tra noi, che stipuliamo un semplice patto e che ci rendiamo conto che nella chiusura e nell’isolamento, negli egoismi -che in periodi di crisi tendono a farsi più spietati e generalizzati- non c’è nessuna strada che ci porti a migliorare le cose - né per noi singoli né per la comunità tutta. Da poco siamo passati all’ora legale; pensiamoci: cosa è successo? Che un gesto in se stesso privo di azione sul reale come spostare le lancette agli orologi, ha avuto l’effetto di darci un’ora di luce naturale in più ogni giorno, e questo è potuto accadere solo e semplicemente perché tutti gli appartenenti a una comunità si sono messi d’accordo su un gesto da compiere. È stato un semplice patto tra persone. I patti hanno grandi effetti. E più persone si riuniscono in una rete in virtù di un patto di solidarietà, più gli effetti saranno estesi, duraturi ed efficaci. Credo sia importante che ci ricordiamo che l’economia ci riguarda non soltanto come soggetti passivi che ne subiscono effetti e variazioni, ma come soggetti attivi, che possono -e a questo punto devono- proporsi come creatori di nuovi modelli e possibilità, e riprendersi il controllo sui mezzi di scambio e sul tipo di economia che vogliono sostenere. Io nella mia libreria accetto gli SCEC e spero siano sempre di più i clienti che verranno a chiedermi uno sconto utilizzando questo mezzo, permettendo a se stessi di risparmiare e permettendo a me di utilizzare lo sconto che ho riconosciuto loro per andare a fare, risparmiando, una spesa equa e solidale, di andare al cinema, di rivolgermi a professionisti - perché tante sono già le attività a Terni e in Italia, che hanno deciso di aderire a questo progetto. É un mezzo di scambio tra persone che si sentono di voler prendere parte, in quanto membri di una comunità sana, costruttiva, propositiva e che si rinnova, ad un’economia che riconosca la solidarietà, l’interazione, e favorisca uno sviluppo sano delle attività locali, invece che ad una che ci sprofonda nel meccanismo del debito, dell’individualismo sfrenato che diviene sfiducia e chiusura e stagnazione, che diviene paura dell’altro e tendenza al proprio esclusivo interesse. Meccanismo, questo, che chiaramente non può funzionare e che chiaramente non possiamo amare, e da cui possiamo salvarci, ricordandoci che da quando con un patto ci siamo riuniti in comunità abbiamo rifiutato di essere quell’homo homini lupus che vive sulla distruzione dell’altro - e che probabilmente non vivrebbe a lungo, di certo non vivrebbe bene, e non vivrebbe davvero come essere umano. Colleghiamoci, uniamoci, incontriamoci, scambiamo tra di noi idee, proposte, prodotti, creazioni, sostegno; ricordiamoci che siamo in tanti, tutti insieme su questo Pianeta, contemporanei che possono collegarsi, creando ponti di solidarietà in un esteso Arcipelago di aiuto e sostegno in cui persone, merci, idee possono e devono circolare liberamente e consapevolmente. Chiara Renda Info: www.arcipelagoscec.org - Libreria Mondolibri, Via dell’Ospedale 7 – Terni
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Da Carosello a Videocracy S t o r i a di una co ntra ddizion e Il paleontologo extragalattico che tra un milione di anni ritroverà i suoi resti fossili in qualche caverna, in mezzo a lattine di birra arrugginite e a frammenti di tubo catodico, la mano ancora avvinghiata alla carcassa del telecomando, non potrà che attribuirgli il nome di “homo videns”. Queste parole, con cui Riccardo Chiaberge e Aldo Grasso presentavano sul Corriere della Sera del 24 ottobre 1997 il libro di Giovanni Sartori, Homo videns, appunto -allora appena pubblicato ma oggi diventato canonico nell’ambito degli studi sul medium televisivo- ben si prestano a introdurre il tema della quindicesima edizione del corso sul Novecento, che il nostro Liceo organizza per gli studenti del quinto anno: un’analisi delle profonde trasformazioni che la TV ha prodotto non solo nel costume sociale ma anche e soprattutto nelle categorie mentali e nel sistema di valori dell’homo videns. Le conclusioni sono state tratte dai ragazzi stessi, con consapevolezza ed efficacia, in saggi di cui si offre un campione significativo. Prof. Marisa D’Ulizia
La filosofia dell’insignificanza Se ci trovassimo in un libro di fantasia in cui tutto è possibile, potremmo assurdamente sognare di chiudere in una scatola l’occhio immaginativo della nostra mente, scuotere bene e metterci a guardare cosa accade. Otterremmo una poltiglia densa di immagini. Non soddisfatti, potremmo prenderci la briga di togliere uno ad uno i pensieri costruttivi e le motivazioni necessarie, ed ecco che otterremmo un rudimentale concetto di televisione. Questo punto di vista non è per niente esageratamente negativo, anzi potremmo dirlo senza remore lucido. E’ invece quello abituale ad essere abbagliato, torbido. Correntemente, infatti, consideriamo la televisione un qualcosa di prodigioso e, senza rendercene conto, la sopravvalutiamo a tal punto da asservirci ad essa, da dipenderne. Cos’è che di questa scatola, allora, l’homo videns, l’ultimo della scala evolutiva secondo Sartori, non vede? Probabilmente la prima cosa a sfuggire è la valenza fondamentale che alla televisione appartiene, ovvero quella di strumento. Prendiamo ad esempio l’ambito della conoscenza: le nozioni che la televisione ci offre, frammentarie ed imprecise, non sono incentivo alla curiosità o esercizio di rinverdimento di una cultura pregressa, sono la Conoscenza. Non c’è da sorridere, per questo, se ci sono persone che oggi si ritengono colte perché esperte conoscitrici di quiz televisivi. O ancora, per i bambini, vittime più inconsapevoli di ogni altra, la televisione non è solletico frizzante per la loro immaginazione autonoma, è la Fantasia. In virtù di questo la TV, con un balzo impressionante, passa da elettrodomestico a fenomeno sociale. Abbiamo per le mani qualcosa di potenzialmente tanto grande che ce ne lasciamo inghiottire. Noi “non siamo di fronte a uno strumento di comunicazione, ma a uno strumento antropogenetico, che cambia la natura dell’uomo”, sostiene Giovanni Sartori, proprio perché non siamo noi che modelliamo la TV a nostro piacimento, ma è lei che ci plasma: pensa al nostro posto, ci dice come vestirci, cosa è meglio credere, da che parte politica stare, che giocattoli comprare ai nostri figli. Ci fa vivere a modo suo, ma quale modo è questo? La televisione si fa maestra, ma di che cosa? Della maggiore delle filosofie moderne: la filosofia della
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insignificanza. Quello che ci è proposto non è nient’altro che vanità, ma non nel senso estetico o etico, piuttosto nel senso etimologico: la televisione ci offre il vuoto. Andiamo pure fieri della nostra sterminata cultura in leggerezza. Chiediamoci com’è che è arrivata ad essere questo e, senza demonizzarla, rivolgiamoci direttamente a noi stessi, che una televisione così l’abbiamo cercata e continuiamo a vederla, perché, ad essere sinceri, nel 1954 era cominciata in altro modo. Certo, anche all’inizio, non ci fu piena consapevolezza delle sue potenzialità, nel bene e nel male, né alcuna premonizione di quello che sarebbe diventata: “una divinità perversa, un demiurgo che clona gli individui a propria immagine e somiglianza”. Un asservimento tanto radicale, o meglio, una dipendenza tanto forte, non ha riguardato altri potenti mezzi di comunicazione. Per quale motivo con la TV è accaduto questo? Com’è che l’insignificanza s’impone? La risposta sta nel fatto che la TV può mentire come qualsiasi altro strumento di comunicazione ma la forza dell’immagine rende la menzogna più efficace e quindi più pericolosa, capace di mascherarci ad arte poche insignificanti cose e proporcele come fondamentali. Le sue immagini ci atrofizzano e la sua retorica iconografica sbaraglia anche la più determinata resistenza. Studiare la televisione come fenomeno sociale, dunque, non è per niente una banalità o una stramberia, poiché ci permette, se non altro, di calarci in un’introspezione inedita, tanto del nostro comportamento che dei nostri processi mentali, chiarendo in quale maniera l’immagine e il linguaggio alogico, seppur vuoti di contenuti, possano penetrare il pensiero ed incidervi, senza tanto sforzo. Conoscere i meccanismi della televisione e i suoi programmi ci aiuta a vagliarla e a prenderne le distanze. Anzi, perché non considerare l’esperimento dell’interesse alla televisione-fenomeno sociale come vaccino primo da essa? È proprio questo il metodo più ragionevole con cui porsi nei suoi confronti: interrogarla e considerarne le proposte, per far sì che siamo noi ad inibire la sua filosofia della insignificanza, anziché lasciare che Beatrice Granaroli accada il contrario. Classe III IF
Il tutto in una scatola
Che sogno fantastico, che potere inarrivabile! Quando nello scenario collettivo irruppe la televisione, pur con la sua limitatezza di programmi e di copertura di fascia oraria, a un mondo che aveva visto lo sconquassamento di ogni certezza, a causa di un conflitto che aveva stravolto gli equilibri mondiali, non sembrò vero di poter finalmente controllare qualcosa, sia pure solo un piccolo marchingegno figlio del progresso. Era sconvolgente e allo stesso tempo eccitante. Oggi, invece, di programmi da scegliere e seguire ne abbiamo a migliaia, possiamo decidere di dedicare al piccolo schermo il momento della giornata che più ci aggrada ed è inquietante osservare quanto questo super-tecnologico mezzo di comunicazione sia diventato come una droga, come usi la nostra ingenuità e ci circuisca a nostra insaputa. Ci siamo mai fermati a riflettere su ciò che la televisione significa nella nostra vita quotidiana, sullo scarto immenso tra il posto che occupa realmente e la funzione che dovrebbe avere? La TV è isolamento: sessant’anni fa guardare un programma televisivo significava famiglie riunite, grandi comitive nei bar, condivisione. Oggi neanche il divano va più di moda, si preferiscono le poltrone allungabili, rigorosamente monoposto, e le case sono dotate di tanti televisori quanti sono i componenti della famiglia, per essere sicuri che ognuno segua il suo talk-show preferito senza essere disturbato. Vuoi uscire per andare in palestra? Ci sarà sicuramente un programma con un personal trainer che si assicurerà di farti perdere venti chili in dieci giorni. Vuoi goderti un film al cinema? Non ha senso, quando a casa puoi avere prima fila, sport, cartoni per bambini e intrattenimento per cani a soli diciannove euro. Non hai un cane? Niente paura, lo spediranno compreso nel prezzo. La TV è confusione: un vaso di pandora, un marasma di soggetti che tentano di soddisfare qualsiasi gusto, qualsiasi richiesta, sfornando prodotti seriali di bassa lega privi di consistenza intellettuale, programmi volti a stimolare la nostra parte sensibile, quella meno controllata, quella più rischiosa. Un esempio per tutti: Umberto Eco, in un articolo pubblicato sul quotidiano La Repubblica il 10 Novembre 2002, mette in luce come i mass media confondano il concetto di scienza con quello di tecnologia, facendo vivere al pubblico gli esiti del progresso della scienza come arti magiche: L’utente schiaccia un bottone e ribalta una prospettiva. La TV è l’indistinguibile: Aldo Grasso, nella prefazione al testo di Menico Caroli Proibitissimo! Censori e censurati della radiotelevisione italiana, scrive: La peggior censura che esista è quella che porta all’assuefazione e all’insignificanza. […] La censura, quella bacchettona, bastava un’ombra d’ironia per sconfiggerla. Quella d’oggi, al contrario, è irresponsabilità generalizzata. Quando le gemelle Kessler erano costrette a coprire le gambe e una splendida e giovane Raffaella Carrà faceva scandalo per le sue coreografie e i suoi costumi di scena era facile denunciare una mentalità troppo chiusa, che andava convertita. Ora cosa denunciamo, il trionfo del nulla? Nessuno ha tanto coraggio da autocriticarsi così ferocemente. Anche perché si crede, ennesima imperante illusione, che la TV ci rappresenti. Uomini per uomini, vite per vite. La TV non ci rispecchia, ci esaspera. Lì, o hai i super-poteri o sei fuori. La TV è ammaliatrice: scrive ancora Aldo Grasso: Nel momento stesso in cui appaiono come le più liberatorie, molte trasmissioni si tramutano nella forma più sofisticata di controllo. La verità è che il piccolo schermo è l’interlocutore più pericoloso, quello a cui dovremmo accostarci con più attenzione e senso critico. E questo perché non gli possiamo rispondere. La TV convince di quello che vuole, ipnotizza, dà l’illusione di controllarla quando è lei a possederci, lei a curare la nostra solitudine, lei a riempire il nostro tempo. In conclusione, la TV è anestetizzante dei nostri dolori e creatrice di ossessioni nuove. Come fare per disintossicarci? Spegnerla e lasciarla in un angolo a prendere polvere? No, semplicemente impariamo a tenere in mano il telecomando con cognizione di causa. Impariamo che la nostra vita non sarà mai inframezzata dalla pubblicità. Non si cambiano le cose cambiando canale. Si cambiano, per esempio, alzandoci dalla poltrona e modificando l’utilizzo di uno strumento preziosissimo, che potrebbe essere punto di forza e sintesi di una nuova società, traguardo e partenza di scambi di opinione, passato e futuro. E non sogno inarrivabile del Tutto in una scatola. Lucia Bonaccini Classe III IF
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Il tradimento della televisione Il motto della BBC è ed è sempre stato information, entertainment, education: informazione, intrattenimento, educazione. Questi sembrerebbero essere gli assi sui quali ruota lo strumento della televisione e, a prima vista, sono buoni propositi, anche se la TV può essere un mezzo di tutt’altra natura. A differenza del cinema, che è una forma d’arte, la televisione non è nata per esigenze artistiche. Essa fu però per l’Occidente e il mondo una rivoluzione culturale. Quando in Gran Bretagna si parlava di education, si intendeva che la nazione fosse istruita e che avesse un sistema statale funzionante. L’educazione in TV era un’integrazione dell’educazione dei libri e di quella delle scuole. Altra situazione fu quella italiana, in cui si volle imitare questo modello, senza però tener conto della specificità del contesto: la sovrapposizione della cultura in televisione, semplificata e spogliata delle sue sfumature originali, e di una popolazione poco alfabetizzata, ebbe un risultato distruttivo, spingendo il pubblico tra le braccia della TV stessa. Con il tempo si sono ribaltati i ruoli e la cultura televisiva non è stata più integrativa, bensì sostitutiva. Giovanni Sartori definisce homo videns questo nuovo tipo di essere umano, un uomo che, come egli dice, “si limita a vedere”. Lo studioso, però, non si limita a segnalare i monotoni problemi del contenuto e di ciò che si vede, ossia i temi, ma rintraccia anche un problema di forma, cioè come si arriva ad assimilare un contenuto. Definisce la TV “un demiurgo che clona gli individui a sua immagine e somiglianza”, indicando il ruolo pedagogico della televisione nella società di massa. L’uomo, che è caratterizzato dalle sue capacità di astrazione, come il ragionamento e il linguaggio, con la TV le perde a favore dell’immagine. Per Sartori la televisione è pericolosa proprio per il suo carattere iconografico, poiché l’immagine può dissimulare la verità e, come direbbe Marx, può veicolare un’ideologia, una falsa visione del mondo. Qualcosa di simile sostiene Aldo Grasso, secondo il quale: Non c’è più la censura (…) ma c’è qualcosa di peggio: l’indistinguibile. La neo-televisione ha scoperto un solvente universale, che rende ogni immagine simile alla precedente, pone sullo stesso piano vita e morte, disarticola ogni gerarchia... e rimette continuamente in circolazione, normalizzandolo, l’incongruo. Un altro problema che si pone è come l’arte sia rappresentata in TV, in particolare la letteratura: molte opere letterarie, basti pensare a I Malavoglia, hanno in sé un forte contenuto ideologico, che è tradito dalla TV in favore dell’intrattenimento. Il problema è che la massa può prendere ciò come il reale volto dell’opera d’arte. Umberto Eco, che da sempre si occupa di televisione, mette in luce i problemi relativi alla divulgazione scientifica: la scienza non può essere ridotta allo sola scoperta, poiché è un procedimento di tipo metodologico, che parte da ipotesi e arriva a dimostrarle e queste conclusioni, come afferma Popper, possono essere falsificate da un’altra teoria che le smentisca. La scienza in TV diventa scoperta scientifica e si carica di un significato mistico e feticistico, come qualcosa di indiscutibile e adorabile: la cosa ovviamente è falsa ed è sufficiente pensare a come sia stata smentita l’ipotesi sulla velocità dei neutrini. La scienza in TV rischia di diventare pseudoscienza, come è evidente in tristi programmi come Voyager, che spacciano per scientifico ciò che non lo è neanche minimamente. In sintesi, dietro alla televisione si nascondono interessi di tipo economico e di audience basati solo sul guadagno e, nella maggior parte dei casi, le logiche di mercato dominano questo mezzo, che, invece, dato il suo potere espressivo, potrebbe indirizzare la società verso un’altra direzione. Riccardo Grisanti Classe III AM
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2 01 2 , o la n u Il protagonista di Fahrenheit 451, capolavoro di Ray Bradbury pubblicato nel 1953, di mestiere fa il pompiere e brucia libri. In un futuro atemporale e distopico, Bradbury delinea un mondo digiuno di carta stampata per legge, ignoranza o ferma convinzione del singolo. Un mondo assuefatto completamente alla televisione. La moglie del protagonista trascorre le sue giornate in salotto con tre schermi televisivi, uno per parete, per farsi pervadere completamente dall’esperienza televisiva e non perdere neanche un minuto della sua telenovela preferita. Bradbury decide di non salvarla, infima e inetta com’è, ma salva il marito, combinandogli un intenso incontro con la carta stampata, che gli aprirà la via della redenzione, conducendolo presso piccole comunità di emarginati che tentano di perpetuare la parola dei libri. Non è un caso che il finale di Fahrenheit 451 sia costituito di una fitta serie di simboli: il fatto che i vagabondi, ad esempio, vivano fuori della città (leggi: dal mondo moderno), oppure il fatto che non sia importante possedere il libro in sé, materialmente, ma custodirlo nella memoria, o ancora che ci sia identificazione tra i membri del gruppo e il libro da ciascuno ricordato. Il mondo di oggi è assimilabile a quello di Bradbury. Non solo perché la televisione pervade quasi completamente ogni parte della nostra vita (vedi i televisori nei bar o nei ristoranti), ma anche perché è il ruolo del libro stesso che viene a mancare. Non c’è più posto per la parola scritta in un mondo come questo. O meglio, non c’è più posto per il libro di qualità: l’uomo sembra essersi assuefatto a quel retrogusto banale della letteratura di bassa qualità, che si presta bene ad adattamenti visivi, di tipo cinematografico o televisivo. Se una volta c’erano i teleromanzi, che seguivano l’opera originale in maniera fin troppo pedissequa, oggi anche i grandi classici, se trasposti, sono adattati al gusto del pubblico, che di Guerra e pace apprezzerà le vicissitudini amorose di Nataša e Andrej, non di certo quelle militari di Kutuzov e Napoleone ad Austerlitz.
Pane e tv? No, grazie
u o v a distop i a Tutto ciò deriva dalla forma mentis inculcata dalla televisione stessa. Giovanni Sartori dice che “il bambino la cui prima scuola è la televisione è un animale simbolico che riceve il suo imprinting […] da immagini di un mondo tutto centrato sul vedere”. Ciò vuol dire che l’educazione è circoscritta solo all’ambito visivo, o, al massimo, uditivo. Nessuno degli altri sensi (gusto, olfatto, tatto) viene messo in gioco per la conoscenza della realtà. Il bombardamento televisivo si indirizza dunque solo a questi due sensi, mistificando al contempo la percezione stessa dell’individuo: sembra che la TV ci doni un’esperienza a trecentosessanta gradi, completa. Eppure, dice Sartori, l’homo videns (la nuova evoluzione dell’uomo generata dalla TV) “si limita a vedere” e, aggiungerei, a captare passivamente una serie di informazioni e di immagini presentate come verità, senza rendersi conto che la televisione in sé costituisce un filtro fortissimo. In tal modo, viene da pensare alla TV come ad una forza incontrollabile sfuggita di mano all’apprendista stregone. Una sorta di pactum sceleris tra chi fa TV e chi ne fruisce. Peccato però che lo spettatore si dimentichi di tale accordo e tenda ad identificare sempre più la televisione con qualcosa di magico. Una magia, però, che nasconde un’anima intrinsecamente diabolica. Come una divinità perversa, un demiurgo, dice Sartori, però diabolico, essa ammalia gli spettatori e compra la loro anima in cambio del posto d’onore in salotto o in cucina. L’ultimo stadio della perversione della TV è quello infatti dell’installazione in camera da letto, luogo tradizionalmente legato alla sfera più intima e privata dell’individuo. Una situazione di questo tipo non può non ricordare 1984 di George Orwell, in cui è proprio grazie alla TV che il Grande Fratello s’infiltra nelle menti degli individui e, al tempo stesso, li controlla. E’ questo, dunque, il mondo di oggi: distopico, innaturale e violentato da una televisione che ha assunto i connotati del diavolo. Francesca Sordini Classe III IF
Non posso negare di far parte di quella generazione che ogni pomeriggio veniva piazzata davanti alla televisione, che sembrava un’ottima babysitter in sostituzione dei nonni. Non sono però cresciuta, per così dire, a solo pane e televisione, fortunatamente. Se la qualità era scadente già dagli anni Novanta, la situazione è andata peggiorando con il tempo. Quando, negli anni Cinquanta, Mamma Rai mandava in onda la sua prima trasmissione, non ci si aspettava un futuro come questo per uno strumento che all’inizio aveva anche, e soprattutto, una funzione pedagogica: basti pensare al teleromanzo o al teleteatro. Oggi la televisione è fondamentalmente diseducazione: tanto per citare un recente insegnamento (ragazze prendete appunti!), se ci si deve presentare ad un festival della canzone, lo si deve fare senza mutande. Primo tra tutti gli esempi di diseducazione c’è, infatti, il ruolo della donna, che, come emerge da una ricerca del CNEL, appare in televisione soprattutto come corpo: grandi scollature, miniabiti neanche pienamente degni di questo nome e trucco pesante. Per non parlare del silicone, usato in abbondanza. Come pretendere allora che i bambini crescano avendo rispetto e senza pensare chissà cosa dell’altro sesso? Come pretendere che le bambine non abbiano come modello, nell’aspetto fisico almeno, veline, letterine, meteorine o comunque ragazze troppo poco vestite e tanto, troppo magre? Cresciamo in un ambiente tale che ci sembra totalmente normale vedere le previsioni del tempo presentate da ragazzine in minigonna, e se ci siamo inizialmente stupiti della farfallina di Belen Rodriguez a Sanremo, alla fine la faccenda è stata liquidata con un “vabbè”. Cresciamo in un ambiente tale che, se non ce lo facessero notare, diremmo che è normale che in ogni programma ci siano almeno tre donne nude: siamo cresciuti con questa televisione, con questo modello. È anche per questo che Giovanni Sartori definisce la televisione “una divinità perversa, un demiurgo che clona gli individui a propria immagine e somiglianza”. La televisione è una cattiva maestra: insegna ciò che è sbagliato e sminuisce ciò che è giusto. È una maestra che vuole alienarci da ogni cosa, che ci porta “all’assuefazione e all’insignificanza”, come afferma Aldo Grasso, e che prende possesso di ogni aspetto della nostra vita: basti pensare al fatto che durante i pasti è sempre accesa. A questo proposito, come non ricordare Fahrenheit 451, il romanzo dello statunitense Ray Bradbury, nel quale viene delineato un futuro privo di libri e dove ogni cosa è dominata dalla televisione? Forse ci stiamo avvicinando a questo scenario apocalittico? Ultimamente neanche le letture più banali sopravvivono alla ferocia delle emittenti televisive: vi serve una nuova ricetta per stupire la suocera? Niente paura! Avete dai tre ai cinque canali disposti a spiegarvi come cucinare l’anatra in brodo. Insomma, si è passati da Carosello a Striscia la Notizia, da“un televisore per quartiere” a “un televisore per ogni stanza”, e tutto ciò a danno nostro. La situazione non sembra molto positiva, ma la speranza è che non si raggiunga mai la fantasia di Bradbury. Giulia Tessicini Classe III IF
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UNA STORIA SBAGLIATA
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Interpretare Una Storia Sbagliata
Comunicare Una Storia Sbagliata
Anche quest’anno i ragazzi del gruppo di recitazione del progetto Mandela si sono dati molto da fare: dopo alcuni mesi di intenso lavoro sulla dizione e sul movimento del corpo con Donatella Calamita e Luisa Contessa, da Febbraio i giovani attori hanno iniziato a provare le parti loro assegnate, sotto la guida del regista Simone Mazzilli. La commedia, divisa in due atti e un epilogo, intitolata Una storia sbagliata, è ambientata nell’era strapositiva dell’anno 2345. Nel primo atto si parla della società del futuro digitale, che vive senza malattie, con codici genetici programmati e in continuo contatto attraverso il social network. In questo ambiente si distingue la figura di Faber, chiamato così in ricordo di Fabrizio de André dal quale il gruppo di drammaturgia si è lasciato ispirare per il copione. Faber, con i suoi amici Ubuntu e Tiffany, andrà a scoprire la musica e cercherà di indagare su de André. Alla ricerca del professor Kenwood, il vecchio docente che accompagnava le ricerche di Faber, gli amici si imbatteranno in una tribù nomade di zingari analogici con un’organizzazione sociale un po’ diversa dalla loro. Con i copioni sotto mano i ragazzi si sono subito dati da fare per imparare al più presto e nel miglior modo le loro parti e sono ora pronti per presentare il loro lavoro al teatro Secci nei giorni 16 e 17 Aprile alle ore 21.00 e i giorni 16, 17 e 18 Aprile in mattinata per le scuole. Una storia sbagliata è una commedia con una trama profonda, che, anche se ambientata nel futuro, cerca di farci pensare agli emarginati della nostra società, ai loro problemi ma anche alla loro unicità. Teresa Heidland
Ormai è giunto il momento di andare in scena e noi del gruppo di comunicazione non stiamo di certo a guardare. Infatti continuano le nostre attività che ormai ci accompagnano da 7 mesi e che seguiamo con grande entusiasmo. La trasmissione radio settimanale Allarmi siam razzisti, in onda ogni venerdì su Radio Galileo, è giunta all’undicesima puntata e il tema sui diritti degli ultimi è stato affrontato (e continueremo ad affrontarlo) in maniera approfondita e dettagliata. In vista dello spettacolo stiamo ascoltando le voci di chi andrà in scena e di chi, dietro le quinte, ha lavorato per mesi per la realizzazione della rappresentazione finale. Regista, drammaturgo, costumisti ed a t t o r i sono entusiasti e soddisfatti del lavoro svolto che sicuramente sarà una piacevole sorpresa per chi assisterà allo spettacolo del 16-17 e 18 Aprile al teatro Secci di Terni. Il gruppo di drammaturgia ha lavorato sulla storia, il gruppo di costumi ha realizzato i costumi e la scenografia dello spettacolo, mentre il gruppo di recitazione andrà in scena... ed il gruppo di comunicazione cosa farà nei giorni dello spettacolo? Noi saremo presenti attivamente al Secci con interviste, riprese e servizio d’ordine per renderci protagonisti anche al di fuori del palcoscenico. Nel Foyer del teatro vi faremo trovare nuovi gadget del Progetto assieme al libro di Marcello Ricci ‘’Avventura dei diritti umani’‘, già in vendita nelle librerie di Terni, e raccoglieremo anche iscrizioni all’Associazione. Vi invitiamo ancora tutti a seguirci dalle 17.20 alle 18.20 su Radio Galileo ogni venerdì e a venire a vedere il nostro spettacolo che sicuramente vi piacerà! Alessandro Labianca
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Costruire Una Storia Sbagliata Taglia, cuci, vernicia di qua, vernicia di là, aggiungi questo, aggiungi quell’altro! Ecco arrivato il periodo di attività più frenetica per i ragazzi del gruppo di scenografia che, se l’anno scorso si sono dovuti cimentare con l’arduo compito di realizzare un’ambientazione che racchiudesse in sé 150 anni di storia italiana, quest’anno si trovano a dover affrontare una nuova sfida, l’anno 2345! Come sarà il mondo nel 2345?! Via con la fantasia! Portali scannerizzatori, lettini multimediali, continui cambi di scena richiesti dal nostro caro drammaturgo: da ambienti minimali a case futuribili, luoghi di festa, e ambienti esterni. Insomma, i ragazzi hanno dovuto rimboccarsi le maniche e armarsi di entusiasmo, che non manca mai, e tanta, tanta creatività! Vagando per le stanze del Progetto si può ammirare un sospetto ammucchiamento di attrezzi tecnologici, ribattezzato “il carretto”, a quanto pare appartenente ad un gruppo altrettanto sospetto di zingari analogici! Un ruolo fondamentale nella riuscita dello spettacolo sarà giocato senza dubbio dai costumi, non per niente il laboratorio è disseminato di parrucche più disparate. Inutile dire che il Progetto pullula di costumisti e scenografi, impegnati a sfornare, giorno dopo giorno, un nuovo tassello del puzzle dell’allestimento dello spettacolo di quest’anno! Bene, se non riuscite a pensare ad un futuro tanto lontano, venite a vedere cosa è uscito dalle menti dei mandeliani! Letteralmente, una fantasia che supera il tempo! Camilla Calcatelli
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Scrivere Una Storia Sbagliata Per tre mesi i ragazzi del Gruppo di Drammaturgia hanno indagato sul tema degli Ultimi, ascoltato le canzoni di Fabrizio De André, conosciuto Don Milani e Don Gallo, visto film e letto storie per ispirarsi e costruire la trama dello spettacolo. Andrea Virili, sceneggiatore e coordinatore del laboratorio ha poi scritto il copione seguendo il lavoro e le indicazioni elaborate dai ragazzi. Ne è scaturita una commedia molto divertente ambientata nel futuro che in modo inusuale affronta un tema serio come quello degli ultimi e gioca in maniera anche un po’ irriverente con la figura di Faber. Il laboratorio di Drammaturgia continua a seguire la messa in scena (alcuni drammaturghi sono anche attori) verificando come dalla parola scritta nascono i personaggi e lavora al programma di sala che farà da piccola guida agli spettatori che verranno a vedere lo spettacolo al Teatro Secci dal 16 al 18 aprile. Trepidanti come tutti i ragazzi degli altri laboratori sperano di vedere premiati i loro sforzi con gli applausi di un pubblico attento e numeroso. Diletta Mancini
NEOPLASIA CERVICALE E INFEZIONE DA HPV I Papillomavirus umani (HPV) sono un gruppo di virus a DNA che infettano gli epiteli basali della cute e delle mucose, producendo un’ampia gamma di lesioni del tratto genitale femminile. Numerosi studi clinici e di Biologia Molecolare hanno evidenziato una stretta associazione tra la neoplasia cervicale e l’infezione da HPV. Il Papillomavirus è infatti responsabile del 99,7% dei casi di carcinoma della cervice uterina. Ciò è dovuto al fatto che si tratta di un virus oncogeno, che si può integrare nel DNA delle cellule umane provocando trasformazione tumorale. Per questo è importante una diagnosi rapida. Oggi si ritiene che l’infezione da HPV sia una delle più comuni malattie sessualmente trasmesse, con un’incubazione che va da poche settimane a qualche anno e che colpisce soprattutto soggetti debilitati o precedentemente affetti da infezioni genitali. Il cancro del collo dell’utero colpisce ancora un numero molto elevato di donne, ma se diagnosticato nelle primissime fasi del suo sviluppo, è l’unico tumore curabile al 99%. Attualmente, grazie all’avvento della Biologia Molecolare, si riconoscono più di 100 diversi Papillomavirus umani. I genotipi che possono infettare il tratto ano-genitale sono poco più di una ventina, suddivisi a loro volta in: genotipi a basso rischio (6,11,42,43, ecc.), i quali possono portare alla formazione di verruche e condilomi: escrescenze della pelle che si localizzano a livello dell’apparato genitale femminile (perineo, ano, vulva, vagina e collo dell’utero) e maschile (perineo, ano, pene, scroto); genotipi ad alto rischio (16,18,31,45,56, ecc.), che in particolari condizioni (deficit immunitario, infezioni continue, lunga persistenza dell’infezione), possono alterare seriamente le cellule della cervice uterina che li ospitano, con danni che vanno dalla displasia fino al cancro. Questa scoperta ha portato alla realizzazione di un test che rileva non solo la presenza del DNA del Papillomavirus ma anche la sua tipizzazione permettendo così di sapere anche la sua appartenenza ai vari genotipi e di conseguenza è in grado di individuare le donne con un alto rischio di sviluppare questo tipo di tumore. Associando al tradizionale Pap-test (che identifica anomalie cellulari associate alla presenza del virus) la ricerca dell’HPV in PCR, si garantisce alla donna maggiore sicurezza ed efficacia nella prevenzione dei tumori del collo dell’utero. E’ stato dimostrato che la combinazione dei due test consente di rilevare circa il 97% delle lesioni di grado elevato del collo dell’utero. Con un unico prelievo di cellule del collo dell’utero, che può essere effettuato presso l’ambulatorio del proprio ginecologo o direttamente presso l’ambulatorio di Salvati Diagnostica da personale specializzato, è possibile effettuare questi importanti test di screening per la prevenzione delle neoplasie cervicali. Salvati Diagnostica, utilizzando tecniche di biologia molecolare altamente sensibili e specifiche, in breve tempo è in grado non solo di rilevare la presenza o meno del virus, ma in caso positivo anche di genotipizzarlo suggerendo così di sottoporsi a controlli regolari. Inoltre la maggior parte delle infezioni da HPV è transitoria e solo l’HPV che esprime attivamente le proteine oncogeniche può causare il cancro della cervice. Salvati Diagnostica è in grado di ricercare tali proteine oncogeniche dell’HPV individuate con le sigle E6 ed E7.
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AZIENDA OSPEDALIERA
Prof. Marcello Dominici Responsabile della Struttura Semplice di Emodinamica Azienda Ospedaliera “S.Maria” di Terni
Presso l’Emodinamica dell’Azienda Ospedaliera di Terni l’equipe del prof. Marcello Dominici durante una procedura di Angioplastica Coronarica ha impiantato, caso per ora unico in Italia, uno Stent Riassorbibile dello studio internazionale denominato ABOSORB 2. La procedura è stata eseguita su un paziente affetto da angina pectoris. Il paziente ha risolto il proprio problema ed è stato dimesso il giorno successivo. Lo studio ABSORB 2 coinvolge 40 emodinamiche nel mondo e studierà uno stent che, impiantato nelle coronarie dei pazienti affetti da ischemia cardiaca, nei 2 anni successivi sarà completamente riassorbito, lasciando la coronaria senza alcun metallo o corpo estraneo nel proprio interno. Qualcosa di veramente straordinario e rivoluzionario in tema di angioplastica coronarica e nella prevenzione dell’infarto cardiaco. Lo Stent Riassorbibile, pur essendo ancora nella fase sperimentale, ha già avuto il marchio CE, ed effettivamente rappresenta un grosso progresso nel campo dell’angioplastica coronarica, che potrebbe risolvere molte questioni ancora aperte nella tecnica interventistica. Siamo agli albori di una nuova rivoluzione che caratterizzerà la terapia delle malattie cardiovascolari nei prossimi anni. La strada è aperta e l’accelerazione avuta negli ultimi anni è stata impressionante e lascia ben sperare. Gli stent a struttura bioriassorbibile promettono di risolvere molti problemi della Cardiologia Interventistica, a cominciare dalla “trombosi tardiva dello stent”. Questa nuova tecnologia, annunciata come quarta rivoluzione della cardiologia interventistica, offre una transitoria impalcatura al vaso che previene la chiusura acuta ed il restringimento della coronaria. Questa funzione di impalcatura deve rimanere in sede almeno per 3 mesi, sostenendo la coronaria ed erogando il farmaco antiproliferativo che ostacola il rimodellamento costrittivo e l’iperplasia della neo-intima, impedendo quindi la ristenosi del vaso. Tuttavia, quando questa funzione di impalcatura non è più necessaria, lo stent ABSORB viene completamento riassorbito nel giro di due anni. Lo stent ABSORB ha una struttura bioassorbibile composta da acido polilattico, la cui degradazione avviene per idrolisi con produzione di acqua e CO2. In tre anni c’è un restitutio ad integrum della parete del vaso con la infiltrazione di cellule muscolari lisce perfettamente funzionali. In aggiunta può esserci un rimodellamento positivo ed un allargamento del vaso. Il test di vasomotilità ha dimostrato una restaurata normale vasodilatazione della zona precedentemente sede dello stent ed indica un recupero pieno della normale struttura e funzione della parete del vaso.
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L’ Emodinamica di Terni è una della cinque Emodinamiche I potenziali benefici degli “stent coronarici bioriassorbibili” sono - eliminazione del metallo e delle fonti di irritazione cronica cau - riduzione potenziale della necessità della Doppia Antiaggregaz - ripristino della naturale funzione vasomotoria fisiologica della - nessun impianto permanente che complica le eventuale angio pazienti più giovani; - poter eseguire senza artefatti esami non invasivi come Risona Avere la possibilità di sperimentare questo stent tra i primi e noi siamo molto orgogliosi per questo risultato. Essere tr riconoscimento del lavoro svolto in questi anni non solo per l’E l’Azienda Ospedaliera, per l’Università di Terni e, credo, per la S
Attualmente l’Emodinamica di Terni tratta anche l’infarto acu L’infarto acuto del miocardio rappresenta una delle prime caus un’accoglienza 24 ore su 24 per eseguire la disostruzione del Questa tecnica, di alta specialità, ha comportato uno sforzo n e c’è molta soddisfazione per il lavoro svolto.
Una delle caratteristiche per cui l’Emodinamica di Terni è ap altre parole esegue le procedure introducendo i cateteri dal p Questa tecnica incontra prima di tutto il favore dei pazienti, ore con la compressione sull’inguine. L’accesso radiale ha mostrato dei benefici ormai in numerosi vascolari con riduzione di morbilità e mortalità, riduzione del precoce del paziente. La particolarità dell’Emodinamica di Terni, unica in Italia, è che maggiori vantaggi rispetto alla radiale destra.
A SANTA MARIA DI TERNI
DATI DI ATTIVITÀ DELLA S.S.D. di EMODINAMICA
Italiane coinvolte in questo straordinario studio. o: sa di infiammazione cronica; zione piastrinica prolungata; coronaria; oplastiche o interventi cardiochirurgici futuri, in particolare nei
anza Magnetica e AngioTac. nel mondo è un gran riconoscimento per l’Emodinamica di Terni a le 5 Emodinamiche italiane scelte per questo studio è un Emodinamica di Terni, ma per tutta la Cardiologia Ternana, per Prof. Marcello Dominici anità Umbra.
to del miocardio con l’Angioplastica Coronarica Primaria. se di morte e la nostra Azienda Ospedaliera è in grado di offrire la coronaria occlusa causa dell’infarto acuto. notevole per l’Azienda, ma i risultati ottenuti sono confortanti
prezzata è l’accesso radiale invece che quello femorale: in polso invece che dall’inguine. che non sono più costretti a rimanere immobili a letto per 24 studi e sono riassunti in una ridotta incidenza di complicanze la durata del ricovero e dei costi ospedalieri e mobilizzazione
e utilizza la radiale del polso sinistro, in quanto la ritiene offrire
La nostra attività -dichiara il Prof. Marcello Dominici- è iniziata nel gennaio 2001 e si è rapidamente incrementata. Attualmente eseguiamo oltre 1500 procedure all’anno, di cui circa 700 angioplastiche coronariche. Rispondiamo alle esigenze della nostra cardiologia e a quelle degli ospedali circostanti, sia regionali che extraregionali, con i quali abbiamo un collegamento diretto. Rappresentiamo un’importante attrazione extraregionale avendo circa il 20% di pazienti che ci raggiungono dalle regioni circostanti, con un incremento del 31% nell’ultimo anno. Nel 2011 l’Emodinamica ha svolto un volume di attività totale di 7 milioni e mezzo di euro, con un incremento globale del 10,2% rispetto all’anno precedente ed un incremento del 54,8% dell’Alta Specialità. Aver posto fine ai viaggi della speranza dei pazienti ternani verso altre regioni, ha segnato un grosso cambiamento, atteso da molti anni e accolto con grande soddisfazione. L’arresto della mobilità regionale passiva e l’incremento invece di quella attiva, in virtù dell’ampio consenso che la cardiologia invasiva riscuote anche fuori regione, sta rappresentando un vantaggio anche economico sia per l’Azienda Ospedaliera Ternana che per la Sanità Umbra. Sulla base di tali risultati l’Emodinamica dell’Azienda Ospedaliera di Terni si pone all’avanguardia confrontandosi con i più famosi centri nazionali. È auspicabile -conclude il professor Dominici- che risorse più adeguate possano essere messe a disposizione di questa attività al fine di poterla consolidare ed espandere. Investire sull’Emodinamica a Terni significa investire sulla salute dei cittadini e sull’Azienda ospedaliera di Terni.
Il Prof. Dominici ha avuto anche il riconoscimento dell’Università che lo ha coinvolto nella didattica presso il Corso di Laurea di Medicina e Chirurgia di Terni con il modulo di “Cardiologia Invasiva” nello insegnamento di “Malattie dell’Apparato Cardiovascolare” coordinato dal prof. Enrico Boschetti, con il quale, oltre che per la didattica, collabora in vari progetti di ricerca. Questa può essere segnalata come una sana integrazione tra Università ed Ospedale in cui vengono valorizzate tutte le figure professionali. Peraltro in questi anni l’Emodinamica di Terni ha anche collaborato con il corso di Specializzazione in Cardiologia fornendo ai futuri cardiologi le basi dell’emodinamica, partecipando alle Tesi di Specializzazione ed in alcuni casi formando emodinamisti completi.
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Fisioterapia e Riabilitazione
NUOVA SEDE Zona Fiori, 1 05100 Terni – Tel. 0744 421523 0744 401882 D i r. S a n . D r. M i c h e l e A . M a r t e l l a - A u t . R e g . U m b r i a D D 7 3 4 8 d e l 1 2 / 1 0 / 2 0 11
La riabilitazione in acqua è una metodica sicuramente molto utile per garantire un moderno e valido recupero funzionale sia in campo neurologico che ortopedico
Uniche infatti sono le possibilità offerte dallo “strumento acqua”, che agisce contro la forza di gravità (principio di
Archimede), e consente al corpo di muoversi in assenza di peso: questo determina una maggiore facilità a muoversi quando per esiti traumatici, per deficit neurologici o dopo chirurgia ortopedica sarebbe impossibile o dannoso caricare il peso reale sui propri arti. Il risultato è una diminuzione dello stress e del carico sull’apparato muscolo scheletrico che facilita l’esecuzione di movimenti in assenza di dolore. La resistenza offerta dall’acqua è graduale, non traumatica, distribuita su tutta la superficie sottoposta a movimento, proporzionale alla velocità di spinta e quindi rapportata alle capacità individuali di ogni persona. L’effetto pressorio dell’acqua, che aumenta con la profondità, esercita un benefico effetto compressivo centripeto sul sistema vascolare, normalizzando la funzione circolatoria e riducendo eventuali edemi distali. Tale effetto è ampliato nel Percorso Vascolare Kneipp dove si alterna ciclicamente il cammino in acqua calda e fredda.
Con la riabilitazione in acqua è possibile non solo ristabilire le migliori funzionalità articolari e muscolari dopo un incidente, ma anche eseguire delle forme di esercizio specifiche per prevenire la malattia o per curare sintomatologie croniche come la lombalgia. Tali esercitazioni sono particolarmente indicate per quei soggetti in forte sovrappeso con difficoltà di movimento legate ad obesità, ad artriti, a recenti fratture o distorsioni. Nella maggior parte di questi casi si registra un netto miglioramento del tono muscolare e dei movimenti articolari dopo un adeguato programma terapeutico. Il paziente, se anziano, acquisisce in tal modo un maggiore controllo motorio che, migliorando l’equilibrio, allontana il rischio di cadute e rallenta il declino funzionale legato all’invecchiamento. La riabilitazione in acqua è particolarmente indicata in: - esiti di fratture - distorsioni, lussazioni - patologie alla cuffia dei rotatori della spalla - artrosi dell’anca e delle ginocchia - tonificazione muscolare in preparazione all’intervento chirurgico - mal di schiena (lombalgia, sciatalgia, ernia ecc.) - para paresi spastiche - esiti di interventi neurochirurgici - esiti di ictus - esiti di lesione midollare - disturbi della circolazione venosa
Inoltre la temperatura dell’acqua, più elevata (32° - 33°) rispetto alle vasche non terapeutiche, permette la riduzione dello spasmo muscolare e induce al rilassamento. Per questo il paziente si muove meglio e la muscolatura appare più elastica. La riabilitazione in acqua è utile e proponibile a tutti, dai bambini agli anziani; per potervi accedere non occorre essere esperti nuotatori è sufficiente un minimo di acquaticità.
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- Riabilitazione in acqua - Rieducazione ortopedica - Riabilitazione neurologica - Rieducazione Posturale Globale - Onde d’urto focalizzate ecoguidate - Pompa diamagnetica - Tecarterapia
- Visite specialistiche - Analisi del passo e della postura - Elettromiografia - EEG - Ecografia apparato locomotore - Idoneità sportiva ... e molto altro
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Il Sei Nazioni, uno sport che andrebbe valorizzato e un Olimpico che non ti immagini! Dopo anni di passione per la palla ovale sono finalmente riuscita ad assistere a una partita della Nazionale di rugby... e che partita! La sfida Italia - Scozia non era propriamente elettrizzante, ma non si può mai sapere e in ballo c’era quel “cucchiaio di legno” che, finalmente, dall’anno scorso abbiamo cominciato a non vincere e a cui non tenevamo assolutamente. La mia passione nei confronti del rugby nasce non solo dagli insegnamenti di un professore delle medie che ci portò a gareggiare nella capitale, ma anche dalla convinzione che questo sia uno sport da bestie giocato da gentiluomini... specie di cui pensavo non fosse rimasto che qualche sparuto esponente sparso qui e là per il globo. Invece no: gli amanti del rugby (e non solo i rugbysti!) sono persone che sanno come comportarsi in uno stadio, così come in campo, così come durante il cosiddetto “terzo tempo” e non solo durante gli 80 minuti di batticuori e spaventi in cui le due squadre si fronteggiano. Vedere all’Olimpico intere famiglie con bambini piccoli; orde di ragazzi che rispettavano anche il momento in cui si tiravano i “calci di punizione” (qualcuno ci ha provato a fischiare l’avversario, ma non è durato molto: tutti si sono rivoltati contro i maleducati che stavano rovinando l’atmosfera rispettosa e i fischi sono durati poco più di cinque minuti); omaccioni che, pur essendo di due “fedi sportive” differenti non si prendevano a schiaffi, ma anzi si abbracciavano e cantavano insieme come grandi amici; persone con la bandiera dell’Italia e i colori della Scozia sul volto... è stata davvero un’esperienza assolutamente elettrizzante. Chiunque dica che il rugby è uno sport poco seguito in Italia dovrebbe ricredersi, e anche in fretta: la Nazionale è riuscita a richiamare 72.357 persone allo stadio, senza contare tutti i tifosi che si sono piazzati davanti la televisione a tifare i nostri azzurri gladiatori in campo. Non per voler continuare a girare il coltello nella piaga ma perché uno sport come questo non viene promosso come si dovrebbe (anche se si stanno facendo grandi passi avanti, lo si deve riconoscere: le Regioni promuovono il rugby nelle scuole con concorsi, lezioni e corsi, fortunatamente, ma si può sempre migliorare!) anche in televisione? Ho seguito tutti i telegiornali che riuscivo a guardare e non c’è stato nemmeno un servizio fatto “come si deve”: solo un annuncio striminzito della vittoria (13 a 6! Grazie ragazzi!) e nemmeno un cenno a proposito durante il Sabato Sprint! Dire che mi sono indignata è davvero un eufemismo: non sono certo l’unica a pensare che i calciatori hanno davvero fatto il loro tempo, con i loro stipendi esorbitanti e i loro comportamenti non proprio lodevoli. Non voglio certo proporre i rugbysti come “modelli di vita”: sono uomini come tutti gli altri; ma perché uno sport come il calcio, in cui la corruzione è a livelli incredibili e di sport non si riesce più a riconoscere nulla, deve essere spalmato così tanto ovunque, mentre uno sport in cui la parola d’ordine è rispetto e comportamento corretto nei confronti dell’avversario non riesce proprio a fare notizia? Non credo ci siamo mai incontrati prima, ma io sono l’arbitro su questo campo, non tu. Continua a fare il tuo lavoro ed io farò il mio. Se ti sento ancora gridare per qualcosa ti punirò. Questo non è calcio - Nigel Owens. Perché le masse si lasciano manipolare così facilmente, dando spazio alla violenza inaudita e gratuita che ogni fine settimana caratterizza il campionato non solo di serie A, ma di tutte le altre categorie? Perché seguire un pallone che rotola invece di un pallone che rimbalza o di un pallone che vola o di un pallone che si passa all’indietro? Perché non lasciarsi conquistare dalla filosofia di uno sport come il rugby, nel quale le due tifoserie tifano fianco a fianco senza creare problemi d’ordine pubblico se non un po’ di stato di ebbrezza (da tenere a bada e da affrontare con le dovute precauzioni, ovviamente!) durante il terzo tempo? Il rugby è un gioco primario: portare una palla nel cuore del territorio nemico. Ma è fondato su un principio assurdo, e meravigliosamente perverso: la palla la puoi passare solo all’indietro. Ne viene fuori un movimento paradossale, un continuo fare e disfare, con quella palla che vola continuamente all’indietro ma come una mosca chiusa in un treno in corsa: a furia di volare all’indietro arriva comunque alla stazione finale: un assurdo spettacolare - Alessandro Baricco. Un consiglio? Lasciatevi conquistare: qui in città c’è chi porta alto l’onore della palla ovale! Chiara Colasanti
Montaggio porte da interni e blindate Opere in cartongesso Tinteggiature ALFREDO PALOMBI 3386989723 28
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Stadio “Draghicchio” - Trieste
La società CO.RE.IN s.r.l. nasce nel 1989 e si assesta nei settori della carpenteria metallica e dei grigliati in genere. Può contare su una struttura operativa coperta di 5.000 mq per la carpenteria e 1.000 mq per i grigliati oltre che di una superficie scoperta per i piazzali di stoccaggio pari a 10.000 mq. È inoltre dotata di macchinari adeguati e di maestranze qualificate per sviluppare qualsiasi tipo di struttura, anche di notevole dimensioni. Può vantare uno staff di tecnici specializzati, i quali garantiscono il controllo e l’esecuzione delle opere dalla fase di esecuzione fino a quella della consegna. Il gruppo occupa circa 100 dipendenti nelle varie ramificazioni lavorative ed è dotato di numerose certificazioni e di un’omologazione presso le più importanti imprese italiane sia pubbliche che private, operanti nel settore petrolchimico, stradale, industriale e ferroviario. I procedimenti impiegati durante la produzione sono all’avanguardia e sono soggetti a specifici controlli di qualità e collaudi che vengono effettuati su ogni step di produzione a partire dal livello di progettazione, eseguito da computer CAD. I controlli proseguono poi nella fase della lavorazione e seguono parallelamente la vita del prodotto fino ad arrivare alla fase del montaggio e del definitivo collaudo. L’azienda vanta le seguenti certificazioni: ATTESTATO CENTRO TRASFORMAZIONE N.1447/11; CERTIFICAZIONE ISO 9001; CERTIFICAZIONE OHSAS; CERTIFICAZIONE DI SALDATURA ISO 3834.
Tutti i materiali prodotti dalla CO.RE.IN s.r.l. vengono finiti superficialmente con il trattamento protettivo della zincatura a caldo e su richiesta viene eseguita anche la verniciatura. Questo grazie a diverse partnership consolidate negli anni con società quali su tutte la SIDER ZINCO s.r.l.. Quest’ultima fu la prima azienda del gruppo e nacque nel 1971, facente capo alla famiglia Tommasi. Fu tra la prime ad essere certificata secondo la norme UNI EN ISO 9001. Le sue aree coperte sono di 6.000 mq, mentre quelle di piazzale sono circa 20.000 mq e permettono la buona organizzazione logistica per gli imballaggi e le spedizioni nazionali e internazionali.
Nel 2000 c’è stata l’acquisizione della ditta SOLE ENGINEERING s.r.l., che è divenuta una società controllata dalla CO.RE.IN s.r.l.. L’acquisizione della SOLE ENGINEERING ha creato una forte
sinergia per l’esperienza e le capacità produttive consolidate precedentemente dalla stessa nella produzione delle carpenterie per le strutture reticolari spaziali. Questo ha portato ad un notevole ampliamento della rete commerciale in tutto il territorio nazionale ed estero. La SOLE ENGINEERING s.r.l. ha ottenuto nel tempo i seguenti certificati SOA: CATEGORIA OG1; CATEGORIA OG11; CATEGORIA OS18; CATEGORIA OS33. PalaMangano Scafati
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Aeroporto Milano Malpensa
La CO.RE.IN s.r.l. ha poi acquisito nell'anno 2004 l'intero pacchetto azionario della società BARTOLI GIACOMO s.r.l., che ha sede operativa nella località perugina di Gualdo Cattaneo. Questa società ha profuso negli anni impegno e know-how nelle manutenzioni e forniture delle centrali Enel, specializzandosi inoltre nel settore in continuo sviluppo delle carpenterie per le torri di raffreddamento evaporative e per i gruppi di ventilazione. Può contare su una struttura operativa coperta di 1.500 mq, che rappresenta un vero e proprio capannone industriale, oltre a una superficie scoperta per i piazzali di stoccaggio pari a 5.000 mq. Successivamente il ramo della BARTOLI GIACOMO si è trasformato nella BTF, ampliando il suo raggio d'azione con il trattamento e la valorizzazione dei rifiuti.
Proprio la volontà di espandere il proprio lavoro al di là dei confini nazionali ha fatto sì che il gruppo CO.RE.IN s.r.l. sviluppasse una collaborazione con la V.C.S. s.r.l., una società prevalentemente dedicata ai mercati esteri. Questa infatti vanta un’esperienza decennale nei paesi arabi, sudamericani e nordafricani. Proprio in questo periodo la V.C.S. ha costituito una società mista con un importante gruppo algerino operante nel settore dell’edilizia civile ed industriale (LALAOUI), con residenza nella città di Bejaia. La costituenda società si chiamerà CMAI (Construction Metallique Algero Italienne) e sarà mista, essendo sia italiana che algerina. Avrà come oggetto la produzione e la commercializzazione di prodotti vari che riprenderanno il know.how italiano. La CMAI ha iniziato la creazione di una officina per la costruzione di carpenteria metallica, molto richiesta in questo momento dal mercato algerino, nel quale i soci algerini apportano il mercato e la V.C.S. aggiunge la tecnologia, i macchinari e il personale specializzato. A conferma dell’ottimo avviamento che sta avendo l’iniziativa sono già in acquisizione degli ordini per il triennio 2012/2014. Questi riguardano la costruzione di un complesso e la ristrutturazione con ammodernamento del porto della città di Bejaia. Contemporaneamente la V.C.S. ha aperto un ufficio di rappresentanza ad Algeri e avvierà nel breve tempo la produzione di serbatoi in polietilene con il sistema rotazionale. La V.C.S. è collegata ed è parte integrante dell’intero gruppo aziendale sopra descritto facente capo alla famiglia Tommasi e come si può intuire le sinergie tra le varie aziende, nonché la grande esperienza maturata e i vari know out acquisiti nel tempo, sono un patrimonio appetibile nei mercati in via di sviluppo. Riccardo Tommasi
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L Lee nos no s t re b uo n e n o v e l l e Sarebbe peggio se tutti pensassimo allo stesso modo; sono le differenze di opinione che ci fanno progredire. Mark Twain Vedi le cose e dici: perchè? Ma io sogno cose mai esistite e dico: perchè no? Bernard Shaw Fare bene e gratuitamente quello che altri, a pagamento, fanno male o non fanno proprio. Francis Butterfly Se puoi sognarlo, puoi farlo. Walt Disney Abbiamo bisogno di persone che riescano a sognare cose mai esistite. John Kennedy
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a l C I N E M A
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c r i t i c o
Erano mesi che non usciva al cinema un film così bello, tremendamente emozionante e allo stesso tempo divertente. Una storia vera, autentica, dove Philippe (François Cluzet) è un ricco aristocratico paraplegico, a causa di un incidente avuto anni prima mentre volava con il parapendio, amante della poesia e dell’arte; Driss (Omar Sy) un ragazzone delle banlieue uscito da poco di prigione, incolto e venale. Quando il primo assumerà l’altro come badante personale, la vita di entrambi cambierà radicalmente, in meglio. Un film che ha sbancato il botteghino francese (20 milioni di spettatori, 170 milioni di euro incassati), portata sullo schermo da Eric Toledano e Olivier Nakache, entrambi bravi nel saper dosare l’umorismo, spogliato da ogni forma di pietismo, quando si parla di handicap. Una commedia che punta dritta al cuore, ai veri valori della vita, dove si riscopre il senso del tempo, in un momento sociale dove tutti siamo terrorizzati dai mercati cattivi e dalla mancanza di lavoro, dove l’insoddisfazione si fa sentire sempre più forte, insieme all’ incomprensione. Questo film riscopre il valore della vita, la gioia di non essere soli e pur avendo problemi di affrontarli insieme. Perché la parola chiave di questa grande perla cinematografica è la parola insieme, la voglia di condividere nel bene e nel male un’amicizia. La solidarietà che unisce il destino di due uomini, di età ed estrazione sociale diverse, incontratisi, un po’ per fortuna un po’ per provvidenza, genera una commedia straordinaria ed equilibrata in tutte le sue parti. Gli opposti che si attraggono: Driss ha un corpo perfetto, da calciatore, pensa solo a rimorchiare, risolve i problemi, tipo inquadrare l’insopportabile figlia teen-ager del capo a suon di sberle o quasi; Philippe è un eterno romantico, innamorato di una donna che non ha mai incontrato, ma conosciuta attraverso dei carteggi. Sarà proprio Driss e il suo buon pragmatismo, a convincere Philippe a uscire dal suo guscio per incontrare la giovane donna. Il rompere gli schemi e il conformismo borghese, con simpatia e ironia, è la caratteristica di Driss: ride davanti all’opera lirica, quando osserva un quadro astratto di arte contemporanea, sottolineando che saprebbe farlo anche lui e con meno soldi. Philippe non può che rimanere sbalordito e affascinato da quest’ uomo, il solo a farlo ridere ridonandogli l’entusiasmo di un tempo, tanto da spingerlo a rivolare con il parapendio, esperienza condivisa sempre con Driss. Belle e aderenti alla storia le musiche composte dall’italiano Ludovico Einaudi, e d’italiano per dirla tutta, anche l’ispirazione del film che, come più volte ribadito dai registi: La nostra vera fonte d’ispirazione è stato Profumo di donna di Dino Risi. Per tutto il tempo che abbiamo scritto il film e, in realtà è ancora lì, abbiamo tenuto un poster di Vittorio Gassman nel nostro ufficio. Questo tipo di commedie, come anche C’eravamo tanto amati, insomma il vostro cinema degli anni ’60 e ’70, sono stati il nostro punto di riferimento. Un’opera dal sapore tragicomico, dove i rapporti umani sono ben analizzati, perfetta la definizione dei caratteri, il valore delle recitazioni e la variopinta, paradossale, irresistibile suite di situazioni, colpi di scena, figuracce, mascalzonate e sberleffi. Un irresistibile inno alla vita e al suo prezioso valore, da vivere sempre all’insegna dell’allegria, l’unico modo per stare bene, anche quando le cose non vanno come vorremmo che andassero. Voto: **** OTTIMO LB
L ’ o c c h i o
Quasi amici: la bellezza della vita tra risate e commozione
F O e z r p z e a t n e k Sono entrato nella vita di Ferzan Ozpetek in punta di piedi, in silenzio, proprio mentre si trovava nel teatro 15 di Cinecittà per le riprese del suo nuovo film, Magnifica presenza, uscito nelle sale lo scorso 16 marzo. Avvolto nel suo stato creativo, era seduto sulla sedia da regista, concentrato davanti al monitor, con le cuffie nelle orecchie e la segretaria di edizione vicina, pronta ad annotare ogni particolare. Con intorno la magia che si respira quando si lavora alla realizzazione di un film, senza disturbare, durante la pausa pranzo sono andato da lui, stringendogli la mano mi sono presentato, fiducioso e felice, ho espresso tutta la mia ammirazione per i suoi film. Ho chiesto di poter assistere alle riprese e che non avrei dato nessun disturbo, ma anzi che mi avrebbe fatto piacere poter lavorare come assistente regista. I contratti della produzione erano stati già chiusi da qualche tempo e non avendo un’assicurazione in caso d’infortuni sul set, non potevo lavorare. Così per sua gentilezza sono stato preso, in veste di spettatore speciale del film. Ferzan è una persona straordinaria, un artista che ti apre la mente, soprattutto quando ti trovi ad assistere alla realizzazione delle riprese e scopri tutti gli aspetti che caratterizzano il suo essere. Il particolare modo di porsi nei confronti del film, dove tutti sono chiamati a intervenire con giudizi critici, anche l’operatore e l’elettricista, in un clima di serena fratellanza, è una delle caratteristiche del suo modo di fare cinema. Ferzan fa la differenza, perché il suo set è come una grande famiglia: amici, parenti, bambini e spuntini ogni tre ore, rendono l’atmosfera festosa e piena di persone. C’è calore umano oltre a quello sprigionato dalle lampade ed è forse questo l’aspetto più coinvolgente del genio italo-turco, la sua capacità di rendere partecipi tutti, senza gerarchie o distanze tra i vari componenti della troupe. Magnifica presenza è un film dall’atmosfera rètro, dove teatro e cinema si mescolano in una simbiosi perfetta, dove l’eco pirandelliano dell’opera, Sei personaggi in cerca d’autore, si manifesta come i fantasmi protagonisti della storia. Pietro (Elio Germano), pasticciere in cerca di fortuna - vuole sfondare nel mondo del cinema - prende in affitto un vecchio appartamento nel centro di Roma, che scoprirà essere occupato. Gli ospiti sono degli spettri: un’intera compagnia teatrale alla ribalta negli anni del fascismo. Proprio in quell’appartamento si era nascosta per sfuggire alla polizia del regime (gli attori collaboravano con la resistenza) e lì aveva trovato la morte. Il bello è che nessuno dei fantasmi è consapevole di essere tale, crede anzi di vivere ancora nel ‘43 (data della loro scomparsa) e di aver trovato in Pietro la persona che gli permetterà di fuggire. L’aspirante attore, vinto l’iniziale sgomento, accetta la loro presenza perché questi spettri sono innocui e perché lui in fondo non ha nessun altro. Poco importa: realtà e immaginazione sono due facce della stessa medaglia per il regista italo-turco, tanto da far dire al suo protagonista che “non c’é niente di più naturale di una finzione reale”. Ma il tema della recitazione più vera del vero (gli interpreti, da Germano alla Buy, da Giuseppe Fiorello a Cem Yilmaz, da Vittoria Puccini ad Andrea Bosca, sono tutti ottimamente diretti) non è l’unico di Magnifica presenza che, da una parte non rinuncia ai motivi cari al regista - la custodia dell’altro che sfocia nell’elogio della diversità (preminentemente sessuale, ma non solo), l’apologia della tavola che diventa la via enogastronomica alla convivialità e all’amicizia - e dall’altra ne introduce di nuovi, come i riferimenti ai padri della patria e alla resistenza contrapposti a un paese che invece oggi si è involgarito soffocando l’arte (come è accaduto agli attori morti asfissiati nel loro nascondiglio) o spingendo le sue forze creative nel sottosuolo (la scena dei trans che fabbricano parrucche e altri oggetti di scena lavorando in sotterranei simili a gironi danteschi). Ozpetek elabora insieme alla sceneggiatrice Federica Pontremoli, una drammaturgia tutta all’insegna della scoperta, non solamente quando Pietro, la vera magnifica presenza del film, scopre che la casa è abitata da particolari presenze, ma la scoperta più grande è il valore che questi assumono nella sua vita, un’amicizia unica e forte. La memoria, il passato, l’amicizia, e l’amore perduto poi ritrovato di un parente, sono i temi cari al regista, che anche in questa storia si presentano esaltati con una particolare carica emotiva. La fotografia e la scenografia, rendono l’atmosfera eccezionale. In questo cortocircuito tra reale e immaginario, si mescolano divertimento, lacrime e dramma. Una rinascita emotiva in cui la forza del sentimento e dell’istinto supera i timori più profondi, razionali e irrazionali. Un film sull’orgoglio della debolezza, della diversità, in un mondo che ci spinge a nascondere fragilità e inadeguatezze. Ed è anche un film su un paese, l’Italia, “che per il patrimonio artistico, teatrale, cinematografico, lirico potrebbe vivere senza fare nulla”, riflette Ozpetek. Voto: *** BUONO L o ren zo B el l u cci lorenzobellucci.lb@gmail.com
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I N AT I V I D I G I TA L I Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri: è questo il titolo di uno dei più noti e maggiormente riusciti tentativi di racchiudere in un’opera letteraria la sapienza tutta della civiltà umana, la quale, nel corso dei secoli, sempre si dimostrò attiva nell’accrescere il proprio sapere. L’encyclopédie si pone […] due obiettivi: esporre quanto più è possibile l’ordine e la connessione delle cognizioni umane […] contenere di ogni arte, sia liberale che meccanica, i princìpi generali che ne sono alla base, e i particolari più essenziali che ne formano il corpo e la sostanza. Codeste parole furono utilizzate da Jean-Baptiste le Rond d’Alembert nel Discorso Preliminare del primo dei ventidue volumi elaborati sotto il suo coordinamento, i quali, figli della cultura illuminista, nel tentativo di liberare dalle catene dell’ignoranza anche le classi popolari, sfidarono non solo la censura delle autorità monarchiche, ma soprattutto la rigida mentalità dell’elite colta di quel tempo, tendente a considerare perfino il diritto all’istruzione un privilegio di pochi eletti. Oltre due secoli e mezzo sono trascorsi dall’epoca ove l’astro della ratio brillava alto nel firmamento della cultura europea, ma è ora giunta, all’alba del terzo millennio, la prima aurora di una nuova epoca, la quale sarà caratterizzata dalla centralità della tecnologia. Quest’ultimo è un termine già da molti decenni oggetto di dibattito, poiché, se spesso considerato negativamente distruttore delle tradizioni, è invece per le giovani generazioni simbolo del futuro, dell’innovazione, del progresso. Al di là di molti errati pregiudizi la tecnologia è tuttavia essenzialmente un mezzo, ideato dall’intelletto umano per elevare se stesso alla propria massima potenza, infrangendo molte barriere che, sino ad oggi, hanno tentato di arginare la diffusione della sapienza. Ideato durante la Guerra Fredda su richiesta del Pentagono con la collaborazione delle maggiori Università statunitensi, Internet ci ha ad esempio consentito di accedere ad un nuovo mondo, quello virtuale: poter condividere con l’intera rete qualsiasi tipo di informazione in tempo reale, aver la possibilità di dialogare anche a distanza di migliaia di chilometri con altre persone grazie ai famosi social network, poter capire ciò che accade negli altri Paesi della Terra, sono divenute delle realtà che, soprattutto negli ultimi anni, non hanno esitato ad influenzare la dimensione reale... ne è un esempio la Rivolta Araba del 2011. Questa fondamentale rivoluzione è di conseguenza destinata a coinvolgere anche la scuola, poiché, nonostante la rete non possa fornire della cultura nel vero senso della parola, è tuttavia capace di offrire erudizione, come nel caso di Wikipedia, una straordinaria enciclopedia digitale che, indipendente da qualsiasi potere politico, a differenza di quella ideata da d’Alembert e Diderot, è costituita da voci scritte da persone aventi il desiderio di mettere a disposizione di tutti la propria conoscenza, contribuendo dunque alla realizzazione di un’opera che molto si avvicina all’obiettivo di divenire realmente completa in ogni campo del sapere umano. Il processo di informatizzazione della didattica non deve di conseguenza interessare solamente l’introduzione di registri computerizzati, del resto non strettamente necessari, ma soprattutto la possibilità di accedere alla rete ad esempio per un corso di geografia, per consultare cataloghi di biblioteche, banche dati e siti specializzati, ma anche per reperire immagini, testi e quant’altro, complementari alla lezione del docente. Si potrebbe inoltre utilizzare la posta elettronica per comunicare con altri istituti, anche di nazioni straniere, favorendo la discussione e la partecipazione collettiva ad alcune lezioni. E’ proprio per questo motivo che, se la nostra classe dirigente avesse la capacità di volgere verso lontani orizzonti il proprio sguardo e di abbinare all’austerità economica maggiori investimenti nella scuola pubblica, potremmo dotare ogni singola sezione della tecnologia che, già in altri stati europei, consente di rendere l’apprendimento non esclusivamente nozionistico, ma soprattutto interattivo e dinamico. Al di là di ogni singolo strumento che potrebbe favorire il raggiungimento del nostro obiettivo scolastico, noi studenti dovremmo invece sempre ricordare che non esiste più grande incentivo allo studio se non la consapevolezza di poter costantemente ampliare i nostri orizzonti culturali, constatando tuttavia che non potremmo mai ottenere la sapienza assoluta poiché, non dimentichiamolo, la nostra più grande conoscenza è quella che Socrate racchiuse in una sola, semplice frase: So di non sapere. Fr a nc e s c o Ne r i Classe IIA ScM L. Da Vinci Intervento effettuato all’interno del convegno “Internet consapevole”, svoltosi Venerdì 16 Marzo 2012 presso l’auditorium “M.C. Donzelli” della Scuola Media Statale “L. da Vinci” di Terni.
Conferenze di Astronomia In collaborazione con la Biblioteca di Terni, dal mese di marzo la nostra associazione sarà presente con una serie di conferenze su temi astronomici, rivolte sia ai soci che a tutta la cittadinanza. Il 6 marzo scorso il Prof. Sergio Bacci Bacc ha trattato il tema: Supernovae e premi Nobel: la scoperta dell’accelerazione accelerata dell’Universo. Le prossime tre conferenze saranno tenute sempre dal Prof. Sergio Bacci Bacc e si articoleranno nel seguente modo: 10 aprile - La Via Lattea come un gigantesco gong: l’impronta della materia oscura nella nostra Galassia 8 maggio - L’universo osservabile: fino a dove si spingono le nostre osservazioni 5 giugno - La radiazione cosmica di fondo: resti fossili del Big Bang. Le conferenze si terranno presso la biblioteca comunale, al secondo piano, saletta adiacente il Caffè letterario, alle ore 17,00. 40
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Una soffitta sull’Universo Ogni sera Leonardo e Overlook si ritrovavano per osservare quello che la volta celeste offriva loro e, anche nei giorni in cui il tempo non era purtroppo favorevole, argomenti di discussione non mancavano di certo! Tra le prime raccomandazioni che l’amico telescopio fece al ragazzo ci fu quella di andare sempre ben coperto. L’astronomia è una passione da coltivare costantemente e proprio per questo bisogna porsi nelle miglior condizioni possibili: sia nelle serate invernali che in quelle estive può far freddo, quindi è bene vestirsi in maniera adeguata. Un altro piccolo aiuto nelle serate dedicate all’osservazione è avere a portata di mano anche una torcia, meglio se con la luce di colore rosso per non compromettere la visione notturna. Spiegò Overlook: Devi sapere, infatti, che l’occhio umano impiega quasi mezz’ora per abituarsi all’assenza di luce e un solo raggio luminoso può compromettere il processo che l’occhio sta facendo e deve ricominciare tutto da capo! -Poi cos’altro? Voglio attrezzarmi bene!- Una piccola bussola e delle carte stellari possono esserti utili quando avrai preso un po’ di confidenza con il cielo… questa sera voglio parlarti un po’ delle galassie, soprattutto della nostra…-Wow! La Via Lattea vero? Ma… cosa sono di preciso le galassie?- Per galassia si intende un insieme di stelle, sistemi, come può essere il nostro sistema solare che più avanti ti illustrerò, ammassi, associazioni di gas e polveri che sono legati insieme dalla forza di gravità, ovvero quella forza che permette a tutti noi sulla Terra di stare appunto con i piedi per terra e non vagare nell’aria. Leonardo aveva lo sguardo dubbioso, quindi riprese Overlook: Fai finta che la Terra, il pianeta su cui viviamo, sia una mela. -Ok- Poi prendi uno stecchino e lo infili sulla mela… se la capovolgi, lo stecchino cade? E facendo finta che tu lo abbia infilato con i piedi, la testa, ovvero l’altro capo, si ritrova forse in posizione differente rispetto alla Terra? -No!- Ecco, questa a grandi linee è la forza di gravità che tende a trattenere a sé cose e persone… per questo i pinguini al polo sud non sono tutti a testa in giù! Ho capito! Ah ah ah! Sei davvero forte Overlook! Sono contento di aver trovato un amico come te! E’ molto più divertente imparare le cose usando la pratica e non solo sui libri! Michela Pasqualetti mi kypas78@vi rgi l i o.i t
Parliamo delLA LUNA Le eclissi
Seconda Parte
Anticamente, alcune popolazioni ritenevano che la Luna morisse alla fine di ogni notte sprofondando all’orizzonte nel mondo delle ombre. Per altri, il suo perenne destino era di inseguire il Sole. Secondo la scuola pitagorica la Luna era ritenuta un pianeta, mentre in epoche più recenti si credeva che essa fosse una sfera completamente liscia, come sostenuto dalla teoria aristotelica. Secondo altri ancora, sulla superficie del satellite si estendevano vasti oceani. Tutte queste interpretazioni erano dettate solo dalla fantasia, dall’immaginazione e non poteva essere diversamente. Fu Galileo che puntando il suo telescopio per la prima volta verso la Luna, osservò direttamente che la sua superficie si presentava variamente corrugata, segnata da imponenti catene montuose, grandi vallate, estese pianure e una moltitudine di strutture tondeggianti, di svariate dimensioni, delimitate da scoscesi bastioni montuosi. L’osservazione del disco lunare senza l’aiuto di strumenti ottici, ci fa distinguere regioni chiare riflettenti e regioni scure, opache che anticamente vennero ritenute rispettivamente continenti e mari, analoghi a quelli terrestri. In realtà i mari della Luna sono vaste aree pianeggianti generate da effusioni di roccia magmatica, simile al basalto, poi solidificata. Tali colate laviche, si ritiene, vennero provocate dagli impatti di enormi meteoriti avvenuti in epoche primordiali, quando la consistenza del sottosuolo lunare era ancora fluida. A quei mari vennero attribuiti nomi latini di fantasia; il più grande è l’oceano delle Tempeste (Oceanus Procellarius) ed occupa una superficie due volte più grande del nostro Mediterraneo. La porzione maggiore del suolo lunare è segnata da catene montuose di forma tondeggiante che ne costituiscono la caratteristica più evidente; hanno pareti spesso molto ripide e raggiungono altezze rilevanti. Nel 2007 la sonda giapponese Kaguya ha fotografato un canyon profondo 9060 metri nel bacino Aitkem e una montagna alta 10.750 metri. Sulla Terra, le altezze e le profondità vengono riferite al livello del mare; sulla Luna, per stabilire tutte le quote geografiche, è stato assunto come livello zero il fondo del piccolo cratere Mösting A, situato quasi al centro del disco lunare. (continua)
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Enrico Costantini
Pasqua arda e Ppasqua bbassa Co’ Zzichicchiu… l’andru ggiornu... stevo su ppe’ l’osservatoriu de Santa Lucia e… ce steva ‘na Luna Piena che qquasi quasi penzanno a li lupi mannari me faceva vini’ ‘n bo’ de friccicurìu addossu. A ‘n certu puntu… mentre stavamo tutti e ddue coll’occhi per aria a ‘mmira’ la vorda celeste... t’emo sintitu ‘n prufuminu de pizze de Pasqua che… secondo me se sintiva anche co’ lu nasu ‘ttappatu. Complice pure ‘lla luna… me so’ ssintitu ‘na languidezza de stommicu che a ‘n certu puntu me tt’ha ‘ncuminciatu a llamentasse che ppareva ‘na sirena… Uuuh… uuuh… A Zzichicchiu j’è pparsu come s’avissi dittu chiccosa e… A Lunardi’… lo sai che cciài raggione!?... Luna Piena e Ppasqua se po’ di’ che vvanno a bbraccittu. L’ho guardatu ‘n bo’ co’ ll’occhi stralunati e… A pparte che io mancu ho apertu bbocca… ma che mme fai lu s d ro l i c u ! ? . . . Però mo’ m’hai ‘ncuriusitu!… Che ppe’ ccasu la forma de le pizze de Pasqua ch’arsumijono a la Luna Piena… c’entra chiccosa?... A Lunardi’… se anche stavorda facevi lu ventrilucu co’ lu stommicu… mesà che tt’eri risparmiatu de di’ n’andra fregnaccia!... Devi sape’ che Ppasqua non po’ èsse prima de lu 22 de Marzo e mmancu doppo lu 25 de Aprile… ??... A Zzichi’… e a la Luna Piena che je ‘mporta?... Statte carmu…famme parla’… lu 21 de Marzo… lu ggiornu de l’equinozziu che sse po’ di’ entra primavera… se va a gguarda’ quanno ce sta la Luna Piena… embè la domenica doppo è Ppasqua!... Aho… se lu dici tu ce credo!?... Vedennome ccucì ‘stasiatu a ‘rseguitatu… Se lu 21 è ssabbato e cce sta la Luna Piena… lu ggiornu doppo è Ppasqua… che dicemo ch’è bbassa bbassa. Se ppe’ ccasu la Luna Piena è stata lu 20… ch’è lu ggiornu prima de lu 21… p’artrova’ n’andra Luna Piena tòcca aspetta’ tuttu lu ciclu… ch’è ccirca de 29 ggiorni… ccucì arrivamo a lu 18 de Aprile… che sse n’andra vorda pe’ ccasu... se cumbina de domenica… artòcca aspetta’ la domenica doppo… lu 25 de Aprile… e ddicemo che cc’emo la Pasqua arda arda… hai capitu mo’?... ???... A tte te sa mejo quanno è arda o quanno è bbassa?.. Io ‘stasiatu… ma sempre pe’ ll’odorinu che ssintivo... j’ho rispostu… Più cche andru stò a ccapi’ da ddo’ vène ‘stu prufuminu e… ppo’ te devo di’ che a mme me piace de più quanno è arda perché… m’aricordo che qquanno a mmi’ madre la pizza, dentro a la mattera co’ la cazzaròla d’acqua calla, non je se livitava e j’arinnava ggiù… me se rimpasticava su li denti!...???
Antikitera: un computer del 65 avanti Cristo Accade spesso che le grandi scoperte vengano fatte per caso. Nel 1900 in Grecia alcuni pescatori di spugne sorpresi da una violenta tempesta, finirono alla deriva e ripararono nelle acque di Cerigotto, un’isoletta a nord di Creta che anticamente era chiamata Antikitera. Lì, a 40 metri da riva un pescatore si tuffò in cerca di spugne e trovò invece il relitto di una antica nave, nel cui carico c’era quella che si può definire la più singolare scoperta archeologica del XX sec. Il meccanismo di Antikitera Tra statue in bronzo, marmi e ceramiche, che permisero di datare il relitto al I sec. aC, fu ripescato anche un informe blocco di bronzo incrostato e corroso e di legno marcio. Solo nel 1902 l’archeologo Stais notò che il legno, asciugandosi si era spaccato e faceva intravedere degli ingranaggi al suo interno. Si trattava di un elaborato meccanismo ad orologeria composto da una serie di ruote dentate ricoperte di iscrizioni. Alla macchina venne dato il nome di meccanismo di Antikitera e alcuni archeologi sostennero da subito che quell’arnese era troppo complesso per appartenere all’epoca della nave. Nel 1951 lo scienziato inglese Price, cominciò a studiare l’oggetto e dopo 20 anni riuscì a capirne il funzionamento originario. Si trattava di un calcolatore per il calendario solare e lunare costituito da una serie di ruote dentate che riproducevano il rapporto di 254:19 e cioè il rapporto del moto della luna intorno al Sole (infatti la Luna compie 254 rivoluzioni siderali ogni 19 anni solari). Il sistema poteva essere mosso facilmente e velocemente e mostrava le posizioni passate, presenti e future del cielo e quindi non poteva essere considerato semplicemente un orologio, ma un vero e proprio calcolatore. Sebbene un meccanismo simile non trovi equivalenti fino alla realizzazione dei primi calendari meccanici successivi al 1050, non deve comunque essere considerato fuori dal tempo, in quanto riproduce conoscenze del periodo tardo ellenistico (i 5 pianeti visibili ad occhio nudo). In ogni caso ci conferma quanto riferiscono le opere letterarie del periodo: Cicerone narra che Posidonio nel I sec. aC aveva costruito un planetario che rappresentava i movimenti di Sole, stelle e pianeti e lo stesso faceva la macchina circolare creata da Archimede. Ma queste erano solo parole, mentre la macchina di Antikitera è arrivata sino a noi. Un evento eccezionale, tanto che Price disse che l’aver rinvenuto quel congegno equivaleva ad aver trovato un aereo a reazione nella tomba di Tutankamon. Alcuni affermano che il piccolo computer di Antikitera era un complicato ma perfetto meccanismo per calcolare la data di inizio delle Olimpiadi nell’antica Grecia, che iniziavano alla prima luna piena antecedente il solstizio d’estate. Forse chiamarlo computer è un po’ eccessivo, ma il fatto è che un aggeggio così complesso non è più ricomparso fino al 1600, anche se uno studioso greco afferma che nel museo di Iraklion è esposto un reperto simile, realizzato dalla civiltà Fiorella Isoardi Valentini minoica di Creta tra il 2700 e il 1500 aC!
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Osservatorio Astronomico di S. Erasmo Osse r vaz ioni pe r il gior no ve ne r dì 2 7 a pr ile 2 0 1 2 Lungo l’eclittica, possiamo osservare la Luna, in fase crescente di sei giorni a ponente, il pianeta Marte molto vicino a Regolo (la stella più luminosa del Leone), e verso est Saturno, che di mese in mese anticiperà la sua levata dal profilo dei Monti Martani. Faremo anche delle simulazioni al computer per spiegare concetti semplici di geografia astronomica e cercheremo insieme ad occhio nudo tutte le costellazioni primaverili, cercando di individuare la lunghissima Idra, la più estesa fra tutte le 88 costellazioni (nella mitologia rappresenta il mostro dalle nove teste ucciso da Ercole) partendo dalla testa proprio sotto il Cancro, fino alla coda, sotto la Vergine, sfiorando le altre costellazioni del Sestante, del Cratere e del Corvo. Tonino Scacciafratte
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La caduta del Velino nella Nera La stampa è tratta dal libro di Francesco Carrara La caduta del del console Appio Claudio Pulcro (Cic. L. e.; Varr. De R. R. L. 3, Velino nella Nera (1779). c. 2) e dell’imperatore Tiberio (Tacit. L.1, c.79), alle posteriori di Come riferisce l’Autore (p. XXII), la carta topografica fu messa a Braccio Fortebracci che nel 1417 decretò l’emissario Reatino; di disposizione da mons. Stefano Borgia, segretario della Congregazione Paolo III che nel 1546, coll’opera dell’architetto Antonio di di Propaganda Fide, che l’aveva fatta disegnare ed incidere. S. Gallo intraprese il Paolino; di Gregorio XIII, ristoratore del Il prospetto della Caduta fu disegnato dal celebre Jacob Philippe Reatino; e per fine di Clemente VIII che, sotto la direzione del Hackert ed inciso da Carlo Antonini. marchese Gio. Battista Castelli di Sant’Eustachio, con spesa di La pianta rappresenta la piana delle Marmore delimitata da un lato LXXV mila e più scudi ampliò e vieppiù profondò il Curiano, il dal lago Velino (odierno lago di Piediluco) e dall’altro lato dalla quale in oggi, cioè nel 1779, gettando velocemente dal monte il Cascata. Velino nella Nera, forma la celebre caduta delle Marmore, descritta A destra dell’osservatore sono rappresentati i tre emissari scavati nel libro De admirandis mundi cataractis dell’Urbinio, e bella per far defluire le acque stagnanti del lago e fiume Velino nel nello stesso orrore per le iridi, che all’apparire del sole vi si sottostante fiume Nera. osservano (Plin. L. 2, c. 62), presentata a i dilettanti delle cose Il primo emissario è detto Curiano perché l’effossione del canale idrografiche da Stefano Borgia Segretario di Propaganda”. fu opera del console Curio Dentato (290 aC); è detto anche In alto, a destra della pianta, in un riquadro è disegnato “lo stato Clementino perché l’alveo fu ingrandito e ripurgato al tempo del presente del ponte regolatore nell’emissario Paolino alla lett. B, pontificato di Clemente VIII; il secondo emissario è detto Reatino detto il Muro delle due finestre. perché scavato a Al di sotto del spese del comune disegno del ponte di Rieti (1417sono segnalati con 22); in seguito fu lettere alcuni pozzi detto Gregoriano o inghiottitoi: con perché restaurato la lettera F, i così al tempo del pondetti laghetti dei tificato di Gregosignori conti Cario XIII; il terzo stelli di Terni (coemissario fu detto munemente laghi Paolino (1545della Stella); con 47) perché realizla lettera C, il lago zato al tempo del più esteso detto pontificato di Paolo fossa Tiberiana o III Farnese. Cor delle Fosse. Inoltre nella pianta Gli altri laghetti sono disegnati i sono privi di lettelaghetti detti pozzi re e del nome. che fungevano da In basso, a destra inghiottitoi natudella carta, è diserali attraverso i gnato il rovescio quali, nei periodi della medaglia di piena, le acque commemorativa defluivano mediadi Paolo III FarTo p o g r a f i a d e g l i e m i s s a r i s c a v a t i p e r d e r i v a r e i l g i à s t a g n a n t e l a g o e f i u m e Ve l i n o nte un sistema di nese che presenta cavità e cunicoli sotterranei nella sottostante Nera. la cascata con l’iscrizione Unitae mentes uniunt per ricordare che atIn alto a sinistra è disegnato il ponte della Cava Curiana con la traverso la conciliazione delle volontà e degli interessi delle città di dicitura: “ponte regolatore situato dall’architetto Giovanni Fontana Terni e Rieti è stato possibile congiungere le acque del Velino e della nell’emissario Clementino alla lettera A, con arco che non è a tutto Nera. sesto; largo palmi LXX, chiuso con muro al di sopra nel 1640 per In basso, a sinistra, è disegnato il rovescio della medaglia impedirne il passo (ad eventuali banditi provenienti dal regno di commemorativa di Clemente VIII che presenta la Cascata, il ponte Napoli). regolatore e l’iscri- zione Vellino emisso A. MDC. Il ponte regolatore, edificato nel 1600, doveva servire a moderare In basso, al centro, è riprodotta una epigrafe sepolcrale latina il deflusso delle acque per impedire il rischio di inondazioni; ma desunta dal Corpus inscriptionum latinarum del Muratori che dagli per carenze progettuali non assolse allo scopo per il quale era stato studiosi è ritenuta non pertinente al territorio ternano perché edificato. Il manufatto fu distrutto dalle truppe tedesche in ritirata falsificata nelle ultime due righe dove si fa riferimento al porto il giorno 11 giugno 1944. fluviale di Interamna dei Naarti. Infine c’è da notare che l’unità di In alto al centro della carta topografica c’è un cartiglio con il misura adottata è la canna di dieci palmi romani. seguente scritto: “Topografia degli emissari scavati per derivare La pianta topografica, con esclusione di cinque inserti (le due il già stagnante lago e fiume Velino, chiamato nei bassi tempi medaglie, il ponte regolatore in alto a sinistra, il cartiglio e Mellino, dal monte detto fin dal secolo IX Marmora, forse perché l’epigrafe) è la copia (incompleta nei toponimi) della “Pianta in exitu paludis Reatine saxum crescit (Plin. H. N. L. 2, c. 103) dell’andamento del fiume Velino e Cava Clementina, dal lago di nella profonda valle del Nare, o sia Nera, fiume una volta navigabile Piediluco sino alla Caduta delle Marmore” redatta da Antonio Felice (Tacit. ANN. L. 3, c. 9), dalla più antica memoria del console Facci, ingegnere della Sagra Congregazione delle Acque, nel 1755. Manio Curio Dentato, trionfatore de’ Sanniti e Sabini, il quale col La pianta del Facci, che ho riprodotto nel volume “Il lago Velino, taglio del sasso aprì nel monte l’emissario curiano (Cic. Ad Att. L. la Cascata e le bonifiche rinascimentali”, rivela la mano di un 4, ep.15; Serv. Ad v. 712, VII Aen.) rinomato per i litigi tra le esperto; è molto accurata e rivela una diretta e meticolosa confinanti città di Terni nell’Umbria e di Rieti in Sabina ai tempi conoscenza dei luoghi. Walter Mazzilli
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Patrimonio storico artistico da salvaguardare:
il Maestro di EGGI alla Abbazia di San Pietro in Valle L’abbazia, è situata su un luogo che rappresenta un palinsesto storico dall’età romana ai giorni nostri. Ad un nucleo pagano si sostituì, tra il IV e VI secolo, uno stanziamento eremitico; in epoca longobarda fu costruito, nei pressi della tomba degli anacoreti Lazzaro e Giovanni, un primitivo cenobio per volere del duca di Spoleto Faroaldo II. La chiesa subì poi radicali restauri sullo scorcio del X secolo, negli anni di Ottone III ed Enrico II. Alla fine del XII secolo fu decorata da un vasto ciclo di affreschi tuttora largamente conservati nella navata, mentre nell’abside sono stati sostituiti, alla metà del XV secolo, da una nuova decorazione, forse eseguita secondo lo schema iconografico originario. Il muro absidale è interamente ricoperto da un grande affresco (muro e dipinti necessitano di un urgente restauro) raffigurante nel catino Cristo Benedicente attorniato da angeli. Nel registro inferiore, oggi in mediocre stato di conservazione, è rappresentata una teoria di santi. Da sinistra: Marziale, Eleuterio e Lazzaro; al centro Benedetto con ai lati Placido e Mauro; di seguito altri tre santi di cui solo il primo, Giovanni, è identificabile grazie all’iscrizione sottostante. Tarde compilazioni agiografiche, che ampliano la Passio XII fratrum desunta dai Dialoghi di Gregorio Magno, riconoscono in alcune di queste figure i compagni e successori di Isacco, l’anacoreta giunto a Spoleto ex Siriae partibus negli anni della dominazione gotica e fondatore della prima laura eremitica presso Monte Luco. L’esempio di Isacco fu nel tempo raccolto da molti discepoli e a questo primo insediamento ne seguirono altri, variamente dislocati nel vasto hinterland appenninico, destinati ben presto ad abbandonare la condizione anacoretica per abbracciare il modello monastico benedettino. Secondo la tradizione, Marziale fu, insieme ad Egidio e Lorenzo -preteso Vescovo spoletino- tra i diretti eredi di Isacco ed egli stesso abate del monastero di san Giuliano, che divenne il centro verso cui convergevano gli eremi di Monte Luco. Eleuterio, più volte ricordato da Gregorio Magno, che dichiara di aver appreso da lui le vicende relative ad Isacco, fu forse l’abate fondatore, nel VI secolo, del monastero benedettino di San Marco in Pomeriis a Spoleto. La vicenda dei monaci Giovanni e Lazzaro è invece desunta da una tarda vita del vescovo Lorenzo, di cui sarebbero stati compagni. Giunti anch’essi dalla Siria, avrebbero trovato rifugio nella montagna di Ferentillo e sul luogo dei loro romitori Faroaldo avrebbe fatto edificare il monastero. A loro è dedicato l’altare dell’abside sinistra, dove, secondo la tradizione, il sarcofago che compone la mensa custodì le spoglie dei due santi monaci. Alla leggenda della fondazione dell’abbazia allude anche il vicino affresco della fine del XVI secolo in cui San Pietro appare in sogno a Faroaldo ordinandogli di edificare l’edificio. Insieme a Lazzaro e Giovanni giunse in Valnerina anche Mauro, padre di San Felice di Narco, sulle cui vestigia sorse alla fine del XII secolo l’omonima chiesa. Le figure dei santi monaci si dispongono anche idealmente attorno a quella centrale di San Benedetto che raccolse l’eredità di queste esperienze eremitiche sottomettendole alla regola da lui stesso promulgata. L’anonimo frescante dell’abside è stato identificato con un artista dal nome convenzionale di Maestro di Eggi, pittore assai attivo in tutto il territorio spoletino e folignate, per le affinità che l’opera presenta con gli affreschi della chiesa di San Michele Arcangelo a Eggi (Spoleto). Il richiamo ad esperienze figurative dei primi decenni del Quattrocento ha inoltre indotto ad una datazione prossima al 1445. Va a questo proposito ricordato che lo stesso artista realizzò nel 1442 un vasto ciclo di affreschi nella chiesa di San Giuliano di Spoleto in cui sono presenti molti dei santi qui raffigurati. Carlo Favetti
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