elevatori su misura
Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
Numero 184 Aprile 2021
Associazione Culturale
Associazione San Valentino
La Pagina
Borgo Garibaldi
Fioriscono i nostri valentiniani impegni per Città e Santo. Sono ufficializzati e certificati i relativi progetti.
Fisioterapia e Riabilitazione
Zona Fiori, 1 - Terni - Tel. 0744 421523 - 0744 401882 www.galenoriabilitazione.it Dir. San. Dr. Michele A.Martella - Aut. Reg. Umbria DD 7348 del 12/10/2011
Aprile 2021
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni. Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 Tipolitografia: Federici - Terni DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafica e impaginazione Provision Grafica Editrice Projecta di Giampiero Raspetti 3482401774 - info@lapagina.info www.lapagina.info Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.
DOVE TROVARE La Pagina ACQUASPARTA SUPERCONTI V.le Marconi; AMELIA SUPERCONTI V. Nocicchia; ARRONE Marcello Frattesi, P.zza Garibaldi; ASSISI SUPERCONTI S. Maria degli Angeli; CASTELDILAGO; NARNI SUPERCONTI V. Flaminia Ternana; NARNI SCALO; ORTE SUPERCONTI V. De Dominicis; ORVIETO SUPERCONTI - Strada della Direttissima; RIETI SUPERCONTI La Galleria; SPELLO SUPERCONTI C. Comm. La Chiona; STRONCONE Municipio; TERNI Associazione La Pagina - Via De Filis; CDS Terni - AZIENDA OSPEDALIERA - ASL - V. Tristano di Joannuccio; BCT - Biblioteca Comunale Terni; COOP Fontana di Polo Via Gabelletta; CRDC Comune di Terni; IPERCOOP Via Gramsci; Libreria UBIK ALTEROCCA - C.so Tacito; Sportello del Cittadino - Via Roma; SUPERCONTI CENTRO; SUPERCONTI Centrocesure; SUPERCONTI C.so del Popolo; SUPERCONTI P.zza Dalmazia; SUPERCONTI Ferraris; SUPERCONTI Pronto - P.zza Buozzi; SUPERCONTI Pronto - V. XX Settembre; SUPERCONTI RIVO; SUPERCONTI Turati; RAMOZZI & Friends - Largo V. Frankl.
www.lapagina.info www.issuu.com/la-pagina Info: 348.2401774 - 333.7391222 info@lapagina.info
Le faccine sullo schermo
Vita vera di Valentino
L. Santini
pag.
G. Raspetti
4
pag.
È un modo di dire
Progetto TERNI
A. Melasecche
pag.
6
8
G-L. Petrucci, C. Santulli, M. Scarpellini, G. Porrazzini, R. Ruscica
pag.
25
3. San Valentino di Terni G. Raspetti 5. ARCI 9. CNA 10. Il romanzo del paese delle bombe F. Patrizi 11. Non solo social e DAD per i nostri ragazzi V. Iacobellis 14. La Scrittura, un ponte tra parole ed emozioni M. Mentasti 16. Un secondo grande passo per l'umanità E. Squazzini 17. PIERA Salute e Bellezza 17. Artornamo a ssogna' ...è 'rrìata primaèra P. Casali 18. Tempo di lockdown L. Fioriti 18. Ozono terapia ecoguidata V. Buompadre 19. Radiofrequenza dinamica vaginale G. Porcaro 20. Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni 22. La fiera delle vanità PL. Seri 23. AUDIBEL Apparecchi acustici 23. VILLA SABRINA - residenza protetta 24. RIELLO Vano Giuliano 24. SIPACE Group 32. Ordine Professioni Infermieristiche Terni 34. Una visita storica "all'ANIMA" di Terni G. Porrazzini 36. La funzione sociale dell'albero amico dell'uomo A. Marinensi 37. VIVO GREEN 37. LENERGIA 38. Si chiamava Dorothea V. Grechi 39. CMT 32. BMP elevatori su misura
Oggi La Pagina ha bisogno di collaboratori per la direzione editoriale (3482401774) e di sostegno da chi l’ha sempre letta con piacere e da chi si impegna, non solo a parole, per il futuro di Terni (IBAN IT66X0622014407000000000993). Grazie, Giampiero Raspetti.
2
SAN VALENTINO DI TERNI LA VERITÀ È FINALMENTE UFFICIALIZZATA
Giampiero RASPETTI
Finalmente! Dopo anni di studi rigorosi da parte di notissimi agiografi, latinisti, medievalisti mondiali, le notizie vere prendono il sopravvento rispetto al sentito dire. Quanto scoperto dal Prof. Edoardo D’angelo, quanto promosso dal Vescovo Mons. Vincenzo Paglia, quanto elaborato nel libretto Terni, città di San Valentino capitale dei Diritti Umani dal gruppo di lavoro da me coordinato (composto da Don Claudio Bosi, Gianfranco Costa, Edoardo D’Angelo, Paolo Leonelli, Rosella Mastodonti, Giampiero Raspetti, Loretta Santini, Miro Virili), quanto pubblicato nel mio libro I Diritti Umani nascono a Terni per opera di San Valentino, trova finalmente conferma in siti autorevolissimi.
Portale della DIOCESI di Terni
SAN VALENTINO, vescovo e martire di Terni … Studi assai recenti hanno portato a una completa rivalutazione storica della figura e dell’opera di san Valentino di Terni … si è finalmente accertata la vera cronologia del personaggio: vissuto non già nel sec. III, come finora acriticamente ripetuto, bensì nel IV: Valentino infatti muore con tutta probabilità nel 347, vittima (l’esecuzione capitale viene eseguita di nascosto!) degli ultimi colpi di coda dell’aristocrazia senatoria romana, ancora tutta pagana, pur ad oltre trent’anni dall’Editto di Tolleranza di Costantino … Il suo culto come protettore degli innamorati, è da considerarsi totalmente laico e per certi aspetti pagano, laddove il santo assume il ruolo di personaggio mitologico, fiabesco, allegorico, come icona del culto dell’amore preconiugale che non ha nulla a che fare con la sua vera dimensione sacrale di santo taumaturgo -invocato in talune zone europee contro l’epilessia ed altre malattie neurologiche- e martire cristiano.
VIVI TERNI, portale turistico del Comune di Terni
Terni città di San Valentino … Valentino fu vescovo di Terni nel IV secolo. Recenti studi hanno aggiunto elementi nuovi relativamente alla cronologia della sua vita, che non si inquadra, come a lungo sostenuto, nel III secolo, ma in quello successivo. Conseguentemente il martirio del Santo non avvenne nel 273, ma probabilmente nel 347.
Enciclopedia TRECCANI Vedi, presente magazine, pagina 6.
Il progetto per Terni e per San Valentino è stato esposto per anni sulle pagine di questo magazine. Anche nel presente numero (pagg. 6 e 7) si illustrano alcune linee progettuali. Il progetto politico culturale che vede la Terni di San Valentino come la capitale dei Diritti Umani è stato ufficializzato e pubblicato, fornendo anche dettagli e particolarità. Il progetto completo riguardante San Valentino è anch’esso esaustivamente ufficializzato. Si tratta, tra altro, di tutto il percorso che va dalla Stazione Ferroviaria al suo Museo in Palazzo Spada, fino alla Basilica del Santo (che si insedierà sopra un verde parco), per proseguire (cogliendo un primo abbraccio con il francescano Bernardino da Siena e la sua Chiesa Santa Maria delle Grazie) lungo lo stesso Parco fino al fiume Nera per visitare poi Montefranco (sempre sulle orme di Bernardino), Castel di Lago, fino a Scheggino. Gli autori di quest'ultimo progetto sono: Lavinia Ansidei, Don Claudio Bosi, Arve Konnestad, Paolo Leonelli, Lorenzo Manni, Rosella Mastodonti, Giampiero Raspetti, Roberto Ruscica, Remigio Venanzi. I due progetti sono disponili per tutte le persone serie e dignitose della nostra città, per tutte le associazioni, per tutti gli amministratori. Non lo sono per chi si accingesse a scopiazzarli senza restituire meriti.
3
LE FACCINE SULLO SCHERMO
T
anti quadratini sullo scherno del computer con belle faccine di bambine e bambini e in mezzo quella della maestra che spiega. Poi tante icone: microfono acceso, microfono spento, mano alzata, mano abbassata, connessione attiva. Ecco la DAD. La DAD è un acronimo che significa didattica a distanza. È praticamente il contrario della didattica in presenza in quanto la scuola viene fatta on line, cioè in videoconferenza. Attualmente essa è stata perfezionata con la DDI (Didattica Digitale Integrata), un concetto diverso di scuola diversamente strutturato che integra didattica in presenza e a distanza, pensata soprattutto per le scuole superiori. Ho avuto l’esperienza personale nella mia famiglia dove nipotini e nuora hanno operato in DAD. Ho guardato quello schermo pieno di minuscole faccine degli alunni e la maestra che spiegava. Una classe virtuale che si arrabattava per capire le parole, che combatteva con la connessione, che manovrava tasti spesso creando confusione. Ho visto una maestra alzare un foglio davanti allo schermo dove c’erano esempi di operazioni e frazioni: una fatica anche per trovare l’inquadratura giusta da far leggere agli alunni che poi gridavano all’unisono “ma è tutto sfocato, non vediamo niente!” Che tristezza! Che disagio! Che malessere! I bambini di oggi sono tutti supertecnologici, ma l’impressione prevalente è quella di una spersonalizzazione, di una grande
4
Loretta SANTINI
stanchezza e conseguente distrazione per non poter seguire adeguatamente. È un disorientamento profondo. L’impressione è quella di una fatica che si accumula con il passare dei minuti, fatica della maestra innanzi tutto che deve tener viva l’attenzione. Fatica dei bambini dei quali vedi alla fine gli occhi che si perdono in alto o a lato. Non una parola con i compagni, non un contatto fisico, non uno sguardo che si incrocia. Un brusco cambiamento non solo nei metodi di apprendimento, nell’ambiente dove si opera, ma soprattutto nella mancanza di quella interazione sociale che è fondamento della scuola per sviluppare le capacità cognitive e la personalità di un bambino. L’acronimo DAD si può sciogliere anche in disagio a distanza. Forse, in un futuro anche non troppo lontano la maggior parte dello studio verrà effettuato con questa modalità e già da tempo sono operanti università telematiche. Così pure per il lavoro di ufficio: oggi lo si definisce smart working, termini i quali nella realtà hanno il significato di lavoro intelligente e agile, ma hanno assunto quello di telelavoro. La pandemia del covid-19 ci ha costretti a interrompere la scuola, il lavoro, le conferenze in presenza e abbiamo avuto, come dire, un primo assaggio di DAD e di smart working. Tutto ciò è stato necessario per combattere e fermare questa pandemia, ma non eravamo pronti perché mancava un po’ di tutto: computer, una rete efficiente, l’esperienza, l’organizzazione degli spazi e dei tempi. Pensiamo a una famiglia dove sia i figli che i genitori siano in collegamento internet contemporaneamente tra le quattro pareti domestiche; pensiamo all’organizzazione del lavoro, al sovrapporsi delle voci, alla ricerca di spazi e tempi per ciascuno dei componenti. Pensiamo e riflettiamo: se all’inizio di questa esplosione della pandemia sono state fatte scelte drastiche come la chiusura della scuola, c’era stato poi tutto il tempo di organizzarsi prima dell’arrivo della seconda ondata: non parlo dei banchi con le rotelle ormai divenuti una barzelletta, ma sull’organizzazione delle lezioni, sui trasporti, sulle misure di sicurezza, sull’uso delle mascherine, sugli orari. I bambini e gli adolescenti, soprattutto loro, che hanno un’età che permette di assorbire tutto come una spugna e che sono nell’età formativa più intensa e importante, quelle faccine anonime sugli schermi, devono ritornare fisicamente insieme per poter ritrovare nella scuola un punto di riferimento fondamentale della loro crescita. Ho circoscritto queste considerazioni al mondo dei bambini e degli adolescenti, consapevole che imponente e grave è la situazione riguardante gli studenti più grandi e soprattutto la scuola in generale i cui problemi, di radici lontane, sono stati prepotentemente portati in primo piano dalla pandemia: problemi di istruzione, di formazione, di cultura, di ammodernamento della tecnologia, di organizzazione, di programmi. Sconsolata mi chiedo: quale futuro si profila per i nostri ragazzi?
CONSORZIO OFFICINE SOLIDALI
Si è costituito il 2 marzo, il “CONSORZIO OFFICINE SOLIDALI s.c.r.l.”, che opererà nel campo dell’accoglienza, delle politiche di promozione dei diritti delle persone di origine straniera e, più in generale, nel campo dei progetti e delle attività contro le diseguaglianze. Il Consorzio, che annovera fra i suoi soci fondatori Arci nazionale e 22 realtà territoriali Arci fra comitati, associazioni e cooperative affiliate, opererà secondo un innovativo sistema a “rete” attraverso l’azione fra soggetti diversi dei territori. ARCI SOLIDARIETÀ TERNI è tra i soci fondatori del consorzio. Si tratta di uno strumento importante, voluto fortemente dall’Associazione, che permetterà, tra le altre cose, di rafforzare le azioni di contrasto a diseguaglianze e discriminazioni, sviluppando nuove progettualità in favore del territorio. Ma non solo: il Consorzio proietta concretamente tutta l’Associazione nel nuovo scenario del Terzo Settore a seguito
dell’approvazione del Codice omonimo; si raccoglie così una sfida che implementa la capacità di tutta l’Arci di promuovere con azioni concrete il coinvolgimento di nuovi stakeholders nell’impegno a servizio alla comunità sociale. Pensiamo infatti che questo sia il terreno privilegiato dell’innovazione sociale, capace di sperimentare e costruire buone prassi di welfare, innovare la partecipazione attiva alla comunità e influenzare così positivamente le amministrazioni pubbliche. Ma anche e soprattutto rispondere ai bisogni delle persone e delle comunità locali: in questo senso la nascita di Officine Solidali rappresenta la differenza fra l’anelito di cambiamento di ciascun singolo e la condivisione di idee e obiettivi di una associazione che si dota di strumenti adatti e utili. Lavorare insieme per cambiare le cose, convinti che lo sforzo collettivo possa farci puntare al meglio.
L'ENCICLOPEDIA TRECCANI METTE IL SIGILLO SULLA VITA VERA DI VALENTINO
Giampiero RASPETTI
VALENTINO, santo. – Fu probabilmente il primo vescovo della città di Terni, e visse nella prima metà del IV secolo. La sua posizione all’interno della cronotassi dei vescovi di Terni è di recente variata, grazie a una serie di studi che ne hanno ridisegnato biografia e cronologia. Occorre sgombrare preliminarmente il campo dalle numerose leggende e deviazioni cultuali cui la figura del vescovo ternano è andata incontro nel corso dei secoli. Ciò concerne in particolare l’attribuzione del patronato sugli innamorati e/o fidanzati, derivata da eventi molto più tardi che niente hanno a che vedere con la realtà storica del personaggio. Papa Gelasio I (nell’Adversus Andromachum), intorno al 495, decise di abolire la lasciva festa pagana dei Lupercalia, legata ai riti pagani di fertilità e purificazione tipici della fine dell’inverno (andava dal 13 al 15 febbraio). In questo modo il santo la cui festa cadeva il 14 febbraio, Valentino di Terni appunto, venne assunto come il protettore degli amori casti e verecondi, delle unioni legali e ufficiali. Ancora più estraneo e posticcio il prolungamento di questa prima deviazione cultuale: la fortunata associazione tra amore e giorno di s. Valentino, che ha avuto e ha una diffusione eccezionale soprattutto nei Paesi di cultura anglosassone. Essa fu probabilmente introdotta (si discute se ex nichilo o appoggiandosi a qualche tradizione) dallo scrittore inglese Geoffrey Chaucer (1343-1400), nel poema Il parlamento degli uccelli. Dizionario Biografico Treccani, Istituto della Enciclopedia Italiana.
In Italia, sul finire della seconda guerra mondiale, le milizie alleate, memori di storie leggendarie diffusissime nei loro Paesi, celebravano la festa dei fidanzati, in nome di un Valentino di origine unicamente anglosassone. Gli italiani, allora, cominciarono a dare impulso a tali festeggiamenti. È adesso ovunque risaputo, anche in ragione della ufficializzazione sulle pagine della Enciclopedia Treccani, che le leggende su San Valentino di Terni, belle e suadenti, non riguardano però la sua vita vera. Troviamo, tra gli autori più famosi della generazione di queste leggende, George Chaucer (1343-1400) e il suo Parliament of Fowls. Poi molti poeti suoi contemporanei, fino ad arrivare a William Shakespeare (15641616) che, in Hamlet (IV, vv 48-55), allude alla festa. Quale Valentino abbiano trattato nei loro poemi è ancora incerto. L’unica certezza è che in nessun caso si tratti del Valentino di Terni. La confusione che adesso noi scontiamo con il nostro Valentino è, come afferma il Prof. Jack Oruch dell’Università del Kansas - St. Valentine, Chancer, and Spring in February, con un prete di Roma, Valentino, il cui martirio si consumò nella stessa data del nostro, il 14 febbraio cioè, e, come afferma il Prof. Henry Kelly, dell’Università della CaliforniaLos Angeles - Chaucer and the Cult of Saint Valentino con Valentino, Vescovo di Genova, proprio per i rapporti amichevoli e commerciali che Chaucer aveva con la città di Genova. Le leggende, per quanto belle, sono solo leggende. Sarebbe allora auspicabile che a Terni si cominciasse a conoscere, ad approfondire ricerche, ad edificare proprio nel piano interrato di Palazzo Spada il Museo di Valentino, ad elaborare tutto quello che riguarda la vita vera del nostro grandissimo patrono, senza aver paura della cultura, degli studi rigorosi e della verità storica perché solo la ragione ci porterà buona, anzi eccellente sorte. Ignorandolo e, quindi, non amandolo, ma copiando fanciullescamente quello che altri popoli hanno generato, continueremo a fare del male a lui e alla nostra città! Impegniamoci invece per far conoscere quanto di veramente grande, dal punto di vista liturgico, Valentino abbia
6
saputo elaborare ed illustrare (come descritto nella Passio s. Valentini, finalmente bene interpretata e perfettamente capita); le sue azioni, la sua misericordia, la sua forte tensione verso la libertà culturale e quella cultuale. Le date che si pensa lo riguardino, poi, non si possono scrivere, così, a caso, senza saperne niente, sol perché si leggono vecchissime informazioni riportate su internet, perché sul web generico c’è tutto e il contrario di tutto! Occorrerà allora che, chiunque profferisca anche una sola parola nei confronti del nostro patrono, per non rovinarne l’immagine vera, sua e della città di cui è protettore, riferisca, a sostegno del suo dire, anche tutte le documentazioni storiche e le ricerche che lo riguardano, senza continuare a propalare leggerezze e amenità. Se smettessimo di pensare solo ai cioccolatini e alle rose (non si abbia timore e non venga cattivo sangue: se riuscissimo a portare al centro delle considerazioni mondiali il nostro Valentino di Terni, assicuro che io sarei il primo ad organizzare, ogni anno, la tavolata dell’amore universale, dalla Grande Pressa alla Basilica e promuovere, lungo il Cammino di Valentino (da Terni a Scheggino), momenti leggendari per coppie, felici di piantar alberelli dell’amore o di deporre maioliche ricordo o di essere comunque presenti alle tante, grandi manifestazioni, tipo la mia Passi d’Amore, che si potranno coordinare lungo le rive del Nera. Ed è solo così che riusciremo anche a far acquistare ai turisti tutti i libri scritti qui, a Terni, di storia o di leggenda! Ma occorre che i turisti vengano, mentre, dall'ultima guerra in poi, abbiamo già sperimentato che, lavorando solo sulle leggende, di turismo non c'è stata nemmeno l'ombra! Il Comune di Terni, ad opera dell’assessorato al turismo, ha prodotto e sta distribuendo 3 accattivanti pieghevoli che illustrano il meglio della nostra città: Itinerari Turistici, Il Percorso di San Valentino, Terni in 3 giorni. Sono rivolti, con evidenza solare, ai tanti turisti che dovrebbero visitare la nostra città. Non abbiamo, dunque, altra possibilità che quella di poterli utilizzare a seconda dello scopo per il quale sono stati stampati, quindi sarà lecito conoscere, da parte dello stesso assessorato,
tutti i lineamenti, colti e pervasivi, di una politica in grado di far approdare turisti in Terni. Attualmente, purtroppo, di questa politica non ci è data alcuna comunicazione. Siamo così tutti in fremente, ma diligente attesa del progetto globale della città futura, progetto che si ottiene avendo assoluto riguardo per la verità storica relativa alla vita vera del santo patrono, una conoscenza non minimale del fenomeno della digitalizzazione, ed elaborando una indispensabile visione d’insieme, presentata, concertata e discussa con tutta la cittadinanza. Per i primi mille anni della storia della Chiesa, il matrimonio non fu un sacramento, ma, piuttosto, un patto privato, un contratto stipulato tra gli interessati e le rispettive famiglie. Si ha documentazione certa attestante che, fino al secolo nono, il matrimonio era ancora molto simile a quello contratto nell’antica Roma. Nel 1215, nel corso del Concilio Lateranense IV, la Chiesa cattolica regolamentò la liturgia per il matrimonio e gli aspetti giuridici relativi ad esso, ma solo nel 1439, nel Concilio di Firenze, esplicitò chiaramente che il matrimonio doveva essere considerato un sacramento. Questa personale approssimazione alla conoscenza del diritto canonico mi fa intanto temere che i cosiddetti matrimoni di Valentino abbiano goduto possibilità quasi nulle di essersi celebrati! Spesso infatti si confonde un semplice augurio o una tranquilla benedizione con il sacramento e si altera, con arguzie varie, la verità storica. Poi la leggenda si occupa del resto. Io non sono, comunque, interessato a riferirmi appositamente a quanto, in special modo nei tempi moderni, attiene alla Diocesi. Quello che fa le appartiene, quindi, per me, che non ho al merito alcuna competenza, è tutto ben fatto! Ci furono tempi in cui la Festa di San Valentino coincideva, per molti di noi, con la festa delle mosciarelle. Quelle bancarelle costituivano veri e festosi appuntamenti per tantissimi cittadini, fedeli e non. Erano altri tempi, forse eroici. Vennero poi i tempi delle celebrazioni canore e seguirono manifestazioni varie, sempre in onore di un amore ridottissimo, quello per soli fidanzati. Dal 1969, una luce di intelligenza: il Premio Internazionale San Valentino d’Oro di Agostino Pensa che, con la sua Fondazione, cominciò a rivolgersi all’amore valentiniano per amori non comuni, non soltanto cioè all’amore di coppia. Ma poi sparisce anche il San Valentino d’Oro. Oggi si è così tanto temerari da ammonire: non rovinate queste feste! Quali? Quelle che da più di settanta anni producono meno di niente? A chi e a cosa dobbiamo se, oggi, poche persone al mondo pensano a San Valentino come vescovo e patrono di Terni, poche sanno che Terni esiste davvero. Pochissime intuiscono che la nostra città potrebbe diventare, grazie a chi saprà rivalutare, anche e soprattutto, il vero Valentino, la perla non solo dell’Umbria. Tentare allora di imitare i grandiosi festeggiamenti che si celebrano nell’orbe terracqueo, derivanti da altre tradizioni e da altri capitali, fatti per lo più di regali, dolci, luci, sfarzose cadillac bianche … è umano, ma inutile e dannoso. Abbiamo tentato di emulare, con scadenti filari di luminarie a cuoricino, con bancarelle di dolcetti da luna park; abbiamo provato a festeggiare con canzoni d’amore rimanti con cuore, abbiamo
addirittura fatto snaticare delle procaci ballerine brasiliane. Abbiamo ridotto, con questi festeggiamenti, la nostra Terni ad un paesetto da fiera di scadente ordine. Nella mondanità ternana abbiamo eletto Valentino come santo di tutto, delle poesie e delle canzonette, delle gare di bocce e del ruzzolone, delle maratone e delle passeggiate. Cosa abbiamo ottenuto? Niente! Riproporre ancora, cocciutamente, quella linea sarebbe, adesso, diabolico. La percezione di questo vulnus (banalizzazione -non ad opera del nostro Paese- della figura del Santo) ha indotto il gruppo da me coordinato, in piena coerenza con le scoperte sul santo effettuate dal Prof. Edoardo D’Angelo, ad auspicare scelte nuove e coraggiose ed a maturare la convinzione che Valentino debba essere iscritto in un universo di significati che afferisce davvero al concetto di amore, inteso come amore universale verso tutti gli esseri umani, collocabile quindi in un repertorio di campione dei diritti umani ante litteram. Forse la intersezione più significativa, profonda e proficua è quella rappresentata dalla evidente contiguità valoriale del nostro vescovo con l’altro grandissimo campione della teologia dell’amore universale, della accoglienza del diverso, della difesa dei diritti umani, del dialogo fra le religioni, della difesa della natura e dell'azione concreta per la pace, cioè Francesco d’Assisi, il santo dei santi, non dileggiato da commercializzazioni banali ed irriverenti. Già nel 1995, seguendo una mia idea su San Valentino, diversa da quella corrente, nel mio libro “Germogli. Progetti per Terni”, ponevo la questione dell’unione dei due santi: I Santi dell’amore, Valentino e Francesco, rappresentano uno straordinario esempio di amore totale ed incondizionato e l’unione tra i due, enorme patrimonio spirituale ed esclusiva caratteristica del nostro territorio, costituisce un naturale primum movens per il progetto di cui ci occupiamo. La nostra amata Terni dovrà allora essere prima al mondo nell’onorare il proprio santo patrono, diffondendone ovunque la sua vera vita, onorando così la verità storica, più preziosa di tutte le leggende. Saremo allora finalmente conosciuti come Città di San Valentino, Umbria, Italia. Una altissima e preziosissima sacralità mondiale è vissuta in Terni. Ed è di tutti noi, allora, il dovere di progettare, offrire e realizzare un futuro luminosissimo, anche per la nostra città, proprio in relazione ai valori di cui il mondo ha, oggi, così tanto bisogno. Che Valentino, la storia e la cultura siano con noi!
7
È UN MODO DI DIRE… I
Alessia MELASECCHE alessia.melasecche@libero.it
n ogni lingua esistono delle frasi ricorrenti e peculiari, i cosiddetti “modi di dire”, che racchiudono il senso di un’intera situazione che ci troviamo a vivere, di cui conosciamo perfettamente il significato, ma che dal punto di vista delle espressioni in sé, se ci si sofferma a riflettere, non c’entrano nulla con ciò che vogliono esprimere. In effetti, queste traggono le loro origini da abitudini popolari, tradizioni, episodi storici, etc. Le persone hanno cominciato ad utilizzarle e poi, con il tempo, sono diventate parte integrante del linguaggio comune. Come “essere al verde”, che deriva dalla Firenze del XVI secolo, quando si tenevano le aste di beni preziosi, come il sale. I banditori utilizzavano delle candele con una base verde come segnatempo: quando si bruciavano completamente e si arrivava alla parte verde, l’asta era finita e bisognava pagare quanto ci si era aggiudicati. Oppure, “piantare in asso”, secondo la mitologia greca Teseo abbandonò Arianna dopo la celebre impresa del filo nel labirinto del Minotauro, lasciandola da sola nell’isola greca di Nasso. La deformazione popolare ha trasformato lasciare “in Nasso” in “in asso”. O, “avere la coda di paglia”, che deriva da una favola in cui si racconta che una volpe lasciò parte della coda in una tagliola dalla quale si era liberata. Star senza coda per una volpe è cosa umiliante. Gli animali suoi amici crearono per la malcapitata una coda di paglia, ma il segreto fu svelato da un gallo e i contadini accesero un fuoco davanti ai pollai. La paura di bruciare la coda e di mostrarsi senza, tenne lontana la volpe. Morale: aver la coda di paglia è il timore di esporsi per nascondere una colpa o un difetto. C’è chi poi “se la lega al dito”, modo di dire che si riferisce, invece, a un’antichissima tradizione, secondo cui venivano legate alla mano delle piccole strisce di pergamena, contenenti alcuni precetti religiosi, per assicurarsi di non dimenticarli. Anticamente, inoltre, in Turchia, i cavalieri legavano un filo d’oro al dito dell’amata, come promessa d’amore da non scordare. Col tempo, l’espressione ha perso ogni aspetto romantico e viene usata per indicare la volontà di non dimenticare un torto subìto, attendendo il momento della rivalsa. Quante volte abbiamo sentito indicare un’idea o una trovata particolarmente brillante come fosse “l’uovo di Colombo”? Sembra derivare dal fatto che in seguito alla scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, molti sui detrattori si attivarono per sminuire l’importanza della scoperta. Si racconta che Colombo sfidò un gruppo di contestatori a cimentarsi nel
Quante volte abbiamo sentito indicare un’idea o una trovata particolarmente brillante come fosse “l’uovo di Colombo”?
8
gesto di poggiare un uovo a terra facendolo restare in posizione verticale. Non riuscendovi alcuno, lo fece lui schiacciando leggermente un uovo da un lato. C’è poi la “questione di lana caprina”. Perché mentre è chiaro a tutti che le pecore sono ricoperte di lana, ciò che ricopre le capre, è pelo o lana? Si tratta chiaramente di un interrogativo fine a se stesso, senza alcuna importanza. Per questo, quando qualcuno sottilizza, cavilla su argomenti futili, si dice che perda tempo intorno a questioni di lana caprina. Non parliamo poi della “pietra dello scandalo”. Durante l’Impero Romano un commerciante fallito doveva prostrarsi nei confronti dei suoi creditori gridando su una pietra “cedo bona”, ovvero, in italiano, “svendo tutti i miei averi”. Ciò impediva ai creditori ulteriori rivendicazioni. La pietra del gesto di umiliazione prendeva, appunto, il nome di “pietra dello scandalo”. Infine, mi raccomando, seguite sempre le indicazioni “per filo e per segno”. Un tempo, gli imbianchini usavano far battere sul muro un filo precedentemente intinto in una polvere colorata, in modo che vi ci rimanesse l’impronta. Tale segno indicava la linea da seguire nell’imbiancare. Espressione che continua a essere utilizzata ogniqualvolta si intenda qualcosa che debba essere svolta con ordine, in modo esatto e preciso. Ad ogni circostanza il suo modo di dire!
Umbria
WEBINAR
DIGITAL INNOVATION HUB SMART SOLUTIONS
DIGITAL INNOVATION HUB Trasformazione Digitale Il senso di una rivoluzione di senso 24 marzo alle 17.30 con Stefano Epifani Da zero a Blockchain Che cos’è e a cosa serve davvero 7 aprile alle 17.00 con Massimiliano Ferraris di Agorasoft La scienza dei Big Data Dalle informazioni al Business 14 aprile alle 17.00 con il team di Jupitech
Legge di Bilancio 2021 I crediti d'imposta 20 aprile alle 17.00 con Marco Boschetto
L’e-commerce che funziona Cose da fare e cose da non fare 21 aprile alle 17.00 con Gianluca Diegoli di [mini]marketing
I servizi CNA 4.0 26 aprile alle 17.00 con Benedetta Tribolati, Elisa Cinfrignini e Silvia Vignaroli CNA Umbria
Spazio 4.0 Remote assistance, applicazioni pratiche in realtà aumentata e virtuale 28 aprile alle 17.00 con Andrea Temperini e Francesco Tordo di Essentialark e Eagleprojects Cosa c’è dentro la Nuvola Come il Cloud ci semplifica la vita e gli affari 5 maggio alle 17.00 con Carlo Battistelli di AWS
Moda tra sostenibilità e digitale Cogliere le nuove opportunità 12 maggio alle 17.00 con Gaia Segattini Digital Food Marketing Il Brand passa da Instagram 19 maggio alle 17.00 con Alessandro Zaccaro di FancyLab IOT: Smart World Quando gli oggetti ascoltano e rispondono 26 maggio alle 17.00
ISCRIVITI SUBITO - www.cnaumbria.it
Il romanzo del paese delle bombe R
Francesco PATRIZI
ifarsi una vita in America, nel paese che ha distrutto la loro terra, è l’unica possibilità che resta ai protagonisti del romanzo In un piccolo cielo di Paul Yoon (Bollati Boringhieri 2020). La storia è ambientata nel Laos, il paese incastonato tra Vietnam, Cina, Myanmar, Thailandia e Cambogia. Negli anni Sessanta, durante la guerra del Vietnam, il Laos era impegnato in un conflitto tra il movimento comunista Pathet Lao e il Governo Reale del Laos. Nel tentativo di reprimere la diffusione del comunismo in tutto il sud-est asiatico, gli USA fornirono ampio supporto al Governo Reale. L’operazione paramilitare della CIA si occupò di addestrare vari gruppi etnici, in particolare i Hmong, a combattere a fianco del governo e successivamente di condurre missioni di bombardamento aereo sul paese. I bombardamenti sono durati nove anni, dal 1964 al 1973, raggiungendo un numero totale di oltre 580.000, l’equivalente di uno ogni otto minuti, ventiquattro ore al giorno, per nove anni. Questo è ciò che accadeva ufficialmente. Si scoprirà poi che gli aerei che decollavano dalla Thailandia per bombardare il Vietnam avevano l’ordine di liberarsi in volo degli ordigni non esplosi
e il territorio su cui dovevano lasciar cadere a caso e bombe era il Laos. Il pericolo non pioveva solo dal cielo: per stanare i vietcong asserragliati nelle foreste vietnamite, le truppe americane avvelenarono il fiume Mekong con il potentissimo agente Orange, che provocò la morte di migliaia di persone nei paesi attraversati dal lungo corso del fiume, tra cui il Laos. Molti laotiani, ancora oggi, sono deformi e soffrono di gravissime patologie. Nonostante l’impiego indiscriminato di bombe e armi chimiche, gli USA non vinsero la guerra contro la diffusione del comunismo asiatico. Paul Yoon, nipote di un nord coreano fuggito dal regime comunista della dinastia Kim, è nato a New York nel 1980; la storia che racconta è quella di tre ragazzini che lavorano in un ospedale improvvisato, corrono in moto evitando gli ordigni nascosti sottoterra dai combattenti laotiani filo americani, devono ripararsi dalla pioggia quotidiana di bombe, evitare gli agguati dei laotiani comunisti e trasportare i feriti fino al confine con la Thailandia, paese dove gli americani hanno le loro basi. Quando la guerra finisce e viene instaurato il regime comunista, per loro non c’è futuro, hanno collaborato con il nemico e l’unica possibilità è fuggire dal paese. C’è chi riesce ad andare in Thailandia, chi raggiunge gli USA, dove viene inserito in un programma di accoglienza. I cittadini americani conoscevano bene la guerra del Vietnam (ci faranno film e ci scriveranno romanzi per i successivi quarant’anni), ma del Laos non sapevano dire neanche dove si trovasse. Gli stessi piloti che lasciavano cadere le bombe per liberare la stiva dell’aereo, dichiararono che sulle mappe quel luogo non aveva nome, era una semplice X. Paul Yoon racconta cosa c’era sotto questa X.
www.farmaciamarcelli.it Viale Curio Dentato, 94 - Terni | Tel. 0744 408121 | info@farmaciamarcelli.it
10
SEGUICI SU:
NON SOLO SOCIAL E DAD PER I NOSTRI RAGAZZI Valeria IACOBELLIS
Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri. (Antonio Gramsci)
N
ell’epoca della pandemia si parla ancora troppo poco dei giovani e del disagio psicologico che stanno vivendo in questo periodo. Tra emergenza sanitaria, piani di vaccinazione, crisi economica e crisi politica, i ragazzi e la cultura in genere sono passati in secondo piano, sono i grandi dimenticati del momento, senza rappresentanza di alcun tipo. L’Italia è tra i paesi europei con il maggior numero di settimane di chiusura della scuola ed in cui i giovani ed i programmi per il futuro non sono al centro del dibattito politico. Eppure il piano europeo Next Generation Eu è intitolato al futuro delle prossime generazioni. A livello locale l’argomento giovani assume rilevanza solo in concomitanza con fatti di cronaca preoccupanti, quali morti per droga, episodi di violenza, atti di vandalismo, assembramenti serali con uso di alcolici. In pochi, però, si stanno davvero rendendo conto della gravità del problema, acutizzato dalla didattica a distanza e dalla chiusura dei centri sportivi, ricreativi, culturali, dei cinema e dei teatri, a causa dell’emergenza covid. Mi sembra sempre più evidente la correlazione tra disagio psicologico e deserto culturale. Ho sentito quindi il desiderio di confrontarmi su questi temi cruciali con Riccardo Leonelli. In molti in città e anche fuori lo conoscono come attore, regista e autore teatrale ternano, diplomato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”. In pochi forse sanno della sua attività pluriennale di docente, presso varie associazioni culturali, per cui conduce laboratori e workshop teatrali e cinematografici. V. In che modo la riscoperta dell’arte della recitazione rivolta soprattutto ai giovani può influire positivamente sulla formazione culturale degli individui a prescindere dalle scelte professionali? R: Sicuramente può incidere positivamente per più fattori, perché la recitazione, sia essa teatrale o cinematografica, aiuta molto a liberarsi. Mi spiego meglio. In Italia in particolar modo abbiamo una
tradizione teatrale legata ancora all’idea di maschera: recitare significa mettersi nei panni di qualcun altro per nascondere sé stessi e non avere più vergogna di uscire allo scoperto. Poter dire quello che vogliamo dietro una maschera. Quando ho cominciato a recitare, a 15 anni, essendo un ragazzo piuttosto timido ed introverso, trovavo nel teatro una via di fuga da me stesso. Attraverso la maschera potevo esprimere dei sentimenti che nella vita reale non riuscivo ad esternare. Molti ragazzi a quell’età possono avere lo stesso problema per timidezza caratteriale o magari per traumi psicologici che faticano ad affrontare etc. Questo principio non è pienamente corretto, in quanto inoltrandoti in questa arte, sotto la guida della persona giusta, l’obiettivo finale, aldilà di chi lo sceglie come professione, è invece quello di smascherare sé stessi, cioè mettersi a nudo. Non mettersi la maschera, ma invece togliersela. Questo fare i conti con sé stessi è tanto terapeutico. Infatti da sempre il teatro si utilizza con i detenuti, con i disabili, con le persone che hanno problemi mentali, perché il teatro aiuta a liberarsi, ma non mettendosi un ulteriore maschera sopra a quella che tutti già portiamo. Viceversa, proprio per mezzo dei vari personaggi che si interpretano e che
11
si studiano, si riesce a capire chi siamo veramente. Nel momento in cui si va a recitare lo spettacolo o a girare una scena per il film, si cerca di tirare fuori quello che siamo veramente senza filtri, senza maschere e senza nascondimenti. La recitazione insegna a guardarti in faccia per quello che sei, a non avere più paura di dire quello che pensi, a non avere più tante inibizioni e complessi. Questo vale in maggior misura per i giovani di oggi che sono estremamente complessati a causa della società stessa, che li vuole tutti sempre più omologati intorno a modelli di bellezza e successo standardizzati, in un mondo più virtuale che reale, accentuato anche a causa dell’emergenza sanitaria, che ha sottratto ai ragazzi l’ultimo residuo di realtà offerto dalla scuola, pur con tutti i suoi limiti, sostituendolo con la DAD. Viene impedito ai ragazzi di guardarsi negli occhi. Nella recitazione è fondamentale la relazione con il partner di scena ed interpretare dei personaggi, con tutto il loro bagaglio emotivo da studiare, può essere di enorme aiuto per leggersi dentro, migliorando la relazione con gli altri, imparando ad esprimere liberamente il proprio punto di vista, senza paura delle reazioni o del giudizio altrui. V. Ritengo che questa funzione della recitazione abbia un potenziale fantastico per i più giovani che, in un periodo complesso come quello che stiamo vivendo, hanno bisogno di affrontare le proprie paure, in un modo costruttivo e dinamico nella relazione con gli altri per un obiettivo comune. Gli stati ansiosi ed il disagio sociale sono sempre più presenti e non riguardano più soltanto gli individui e le famiglie ai margini della
12
società. E’ un problema dilagante che investe tutti, anche se in varie misure e con diversi impatti. Oggi al di là degli episodi di violenza, di abuso di sostanze stupefacenti, dei disagi psicologici più o meno gravi, con connessi disturbi dell’alimentazione, si assiste tra i più giovani a forme di dipendenza da internet, come unica valvola di sfogo al totale vuoto sociale, educativo e culturale in cui sono stati lasciati. Credo che se non si comincerà ad occuparsi seriamente del problema le ricadute saranno pesantissime. Sono infatti convinta che l’emergenza non sia solo quella sanitaria ed economica, ma anche quella psicologica, collegata al declino culturale della nostra società e all’impoverimento della vita di relazione. Tu che ne pensi? R. Sono convinto che l’arte della recitazione sia non solo una professione, ma anche una disciplina terapeutica, uno sfogo per l’anima. Al pari di molte altre attività ad alto valore culturale come la musica, la danza, le discipline sportive. Lavorare insieme per un obiettivo, avere un appuntamento fisso, mantiene il legame e rafforza la vita di relazione. La recitazione crea un gruppo, tutti collaborano insieme per un obiettivo comune, un po’ come nello sport di squadra, in cui ci si deve aiutare a vicenda per vincere la partita. Mentre nel professionismo tante volte c’è l’uno contro l’altro per primeggiare, quello che si dovrebbe insegnare nei corsi di recitazione è di non mettersi in competizione per vedere chi è più bravo, ma aiutarsi. Infatti la recitazione funziona unicamente se tutti gli attori sono connessi, si aiutano, si sostengono. Se uno si chiude in sé stesso o recita male, anche l’altro non riesce,
proprio perché manca lo scambio. L’errore più comune è quello di recitare pensando solo a sé stessi, finendo quindi per non relazionarsi con gli altri attori in scena. E’ sempre un dialogo attivo tra due o più persone. Questo ritengo sia l’immenso potenziale educativo della recitazione. V. Che tipo di esperienze hai avuto con i ragazzi? Che feedback hai ricevuto da loro? In che modo ti approcci con i più giovani? R. Il mio primo corso l’ho tenuto 16 anni fa, nel 2005 con dei ragazzi delle scuole elementari e medie. Poi sono passato ai liceali ed ai corsi per adulti di tutte le età. Tuttora ai miei corsi di cinema partecipano ragazzi giovanissimi che frequentano il liceo o l’università. Dopo la prima esperienza come docente per ragazzi ho capito che questa attività mi piaceva e mi arricchiva. All’epoca mi ero appena diplomato all’Accademia di Arte Drammatica e oltre ad iniziare la mia carriera di attore professionista tra teatro, cinema e televisione, ho anche portato avanti parallelamente il percorso da docente. Il mio lavoro di docente è incentrato prevalentemente sull’ascolto: ascolto del proprio partner in scena, ascolto delle proprie sensazioni fisiche, ascolto dell’ambiente circostante. Attraverso un ascolto attivo, l’attore può arrivare a pronunciare battute reali, non convenzionali e produrre azioni concrete, mettendo in gioco sé stesso senza filtri o schemi preconfezionati. Trovo che i giovani apprendano con grande entusiasmo e partecipazione le tecniche che insegno e lavorino molto bene in gruppo. V: Con lo scoppio della pandemia i circoli ricreativi, le associazioni culturali, i cinema ed ai teatri sono stati i primi a chiudere, insieme alle palestre e alle piscine, in sintesi tutto ciò che oltre ad essere una sana valvola di sfogo per i ragazzi, costituisce anche importante tassello per la formazione e la vita sociale e di relazione dei più giovani. Credi ci sia correlazione tra la pandemia, la chiusura dei centri culturali ed il disagio giovanile? R: Assolutamente si, ritengo infatti che la cultura in tutte le sue forme (arte, letteratura, teatro, musica, cinema, fotografia, danza etc.) possa costituire, in un momento buio come questo, proprio l’ancora di salvezza per i giovani, introducendo valori aggregativi in sostituzione della competizione e dell’individualismo sfrenato della nostra società. Il disagio giovanile che constatiamo è anche e soprattutto
frutto del vuoto di contenuti e di obiettivi, a cui si sommano gli effetti dell’isolamento sociale e della vita di relazione indotti dalla pandemia. So che, a causa delle restrizioni introdotte per il contenimento del contagio a livello nazionale e regionale, alcune associazioni culturali che svolgevano corsi indirizzati ai ragazzi (danza, musica, recitazione etc.) hanno sospeso le proprie attività. Altre invece hanno proseguito con corsi telematici. Per esempio il mio corso di cinema sta tuttora proseguendo in via telematica. Solo recentemente è ripresa per tutti la possibilità di lezioni individuali in presenza. V: Come ho già scritto in altri precedenti articoli per La Pagina sono convinta della necessità di fondare la nuova superiore civiltà, partendo dalla ricostruzione della base culturale, mi chiedo se sia possibile far convergere tutte le associazioni culturali presenti sul territorio per il raggiungimento di un obiettivo comune, che metta finalmente al centro i giovani, introducendo un nuovo tipo di educazione meno standardizzata, per la promozione di una comunità creativa, autonoma e solidale. Tu che ne pensi? R: In un periodo di scambi e relazioni così difficili, si può cercare di colmare le distanze, presentando il ventaglio completo di quanto questa città ancora offre a livello culturale e formwativo. Si potrebbe istituire un’apposita pagina facebook dedicata alle iniziative per i più
giovani (corsi, attività on line, progetti etc.) Magari oltre a quello che c’è già potrebbe fiorire qualche altra iniziativa mirata per i giovani, coinvolgendoli direttamente e attivamente in iniziative e proposte. V: Io credo fermamente che i giovani, se adeguatamente stimolati ed indirizzati, abbiano in loro stessi enorme capacità creativa, per inventare a loro volta qualcosa e farsi essi stessi portatori di cultura e di nuovi valori. Ci salutiamo con l’intesa di collaborare insieme per sviluppare un progetto di
Rinascita Culturale della città, coinvolgendo tutte le associazioni presenti ed attive ed anche i singoli cittadini che avranno voglia di dare il proprio contributo con proposte concrete indirizzate ai più giovani. Mi rendo conto, mentre sto armoniosamente parlando con Riccardo, che intanto in testa mi risuonano le parole di una famosa canzone di Lucio Dalla: Aspettiamo che ritorni la luce, di sentire una voce, aspettiamo senza avere paura domani…
13
LA SCRITTURA
un ponte tra parole ed emozioni Marta MENTASTI
Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto interiore, la cui continuità, il cui senso è la nostra vita. Si potrebbe dire che ognuno di noi costruisce e vive un “racconto” , e che questo racconto è noi stessi, la nostra identità. ... L’uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto interiore continuo, per conservare la sua dignità, il suo sé. Oliver Sacks
Scrivere. Scrivere. E ancora scrivere. In molti hanno trovato un piccolo sfogo e una fonte di conforto nel cominciare a scrivere in questo periodo così delicato per le nostre esistenze. Io, che amo scrivere da sempre, da quando piccola come una coccinella, presi un ago di pino e su una foglia di alloro iniziai a raccontare i dubbi, che mi tenevano compagnia, come se fosse la cosa più naturale del mondo, ho scelto di non smettere. Sì, perché se scrivere è un’ispirazione, uno slancio, un’illuminazione, è al contempo una scelta consapevole, è convinzione, impegno, apertura, più di parlare, più di ascoltare; la scrittura in fondo racchiude sia la parola che l’ascolto e ci tiene in contatto con il mondo interiore ed esteriore, ricongiungendoci alla bellezza. Ho letto l’articolo della Pagina di Febbraio di Valeria Iacobellis e mi ha colpito il progetto proposto del nuovo tipo di educazione, meno standardizzata ed omologante, che preveda il coinvolgimento attivo e partecipativo di bambini e ragazzi nel processo di apprendimento. Tutti possiamo scrivere, sicuramente ci sono persone a cui riesce più facile, ma si può imparare, non passivamente, bensì con una metodologia ispirata alla creatività e alle emozioni. E allora vi racconto una storia, poi mi direte se è bella. Un giorno, uno dei tanti, in cui vagavo per i vicoli assolati della mia Terni, così spenta, buia e impaurita ora, mi imbattei in una donna piccola piccola con gli occhi grandi grandi, come castagne e i capelli color neve pettinati con delle onde fermate da un cerchietto. Ci fummo subito piuttosto simpatiche, tanto che decisi di chiamarla Mia Miss, perché mi ricordava tanto Miss Marple, storico personaggio di Agatha Christie, mia grossa confidente negli anni del liceo. Insomma, questa Miss mi chiese se scrivessi. Io risposi, certo che scrivo, non ho per caso la faccia da scrittrice? E lei rispose, con quel tipico sorrisetto di chi ha già capito tutto: Ma scrivi di te? Io, perplessa, replicai: No, scrivo solo di ciò che vedo intorno. Lei allora mi prese per un braccio e mi disse: Vieni con me, è importante che tu sappia anche scrivere di te. E da quel giorno iniziammo delle lezioni di quella forma di scrittura, che si chiama autobiografica. Mi accorsi ben presto, infatti, che io fino a quel momento avevo sempre amato scrivere degli altri, ma non di me e che invece poteva risultare molto utile conoscersi a fondo e sapersi raccontare, prima di parlare di ciò che abbiamo intorno. Approfondendo, ho compreso come questa tecnica sicuramente possa risultare molto efficace anche nel mondo dei piccoli, che si
14
approcciano alla scrittura, consentendo loro di tirare fuori la libera ispirazione e la creatività tramite il gioco con le parole, andando a scavare la loro interiorità. Ecco perché anche io ho deciso di dare il mio contributo al progetto educativo promosso da La Pagina, spinta da passione e ottimismo. Come primo passo ho pertanto deciso di intervistare la mia Miss, alias Anna Giorgini, sulla scrittura autobiografica. Anna è insegnante di Scuola Primaria in pensione. Esperta in Metodologie Autobiografiche, diplomata alla Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (Ar) nei corsi del Prof. Duccio Demetrio, dal 2009, con il progetto LibriAmanO, promuove a Terni e dintorni i Laboratori di Scrittura Autobiografica. M: Qual è la tua esperienza con i laboratori di scrittura autobiografica? A: Ho incontrato gruppi di persone interessate a questa attività nei Centri Sociali per Anziani, nei Centri diurni per malati psichiatrici e SERT, nella Parrocchia di S. Maria del Rivo, nelle Associazioni e Cooperative. Ho collaborato con la Biblioteca Comunale di Terni nel Progetto: Il mondo delle donne. Le donne del mondo. Una guida per Terni al femminile con un gruppo di Scrittura Autobiografica sulla città di Terni. L’esperienza ormai consolidata e i riscontri più che positivi finora ricevuti mi sollecitano a dare maggiore diffusione a questa attività, come proposta di aggregazione, condivisione, riflessione, tesa al benessere e alla cura di sé. La Scrittura Autobiografica, partendo dalla narrazione dei propri vissuti, può coprire i temi più disparati dell’esperienza esistenziale, consente quindi a chiunque di partecipare con il proprio contributo originale. Nei laboratori la scrittura è il mezzo espressivo privilegiato, che si condivide con il gruppo, ma si dà anche spazio all’oralità e ad altri linguaggi espressivi come stimolo per i ricordi e le memorie, che scritti diventano racconto autobiografico, il racconto di sé che libera e apre a prospettive future. M: Cos’è la scrittura autobiografica? A: La scrittura autobiografica, che si definisce da sé come scrittura della propria vita, ha radici antiche. Ritengo che possa risalire alle pitture rupestri, quando ancora in assenza, per l’appunto, della scrittura, attraverso forme stilizzate, gli uomini delle caverne cercavano di lasciare tracce di sé, narrando iconicamente gli accadimenti, le esperienze di cui erano diretti testimoni. L’autobiografia non è il semplice narrare una storia d’invenzione, ma è guardare alla propria vita per trarre da essa un insegnamento che avvii un processo di trasformazione e cambiamento, è uno sguardo al passato per comprendere meglio il presente e progettare il proprio futuro, rimettendo in gioco risorse non
ancora completamente espresse. Perché un testo possa ritenersi autobiografico deve rispondere a parametri ben definiti: il protagonista della storia coincide con il narratore stesso che risponde ai propri lettori con un patto di verità, il patto autobiografico, codificato nel 1975 dallo studioso Philippe Lejeune. L’autobiografia non è un elenco neutro di vicende personali, non è una cronaca fedele dei fatti. Il racconto di sé fa riferimento alla memoria e si avvale di una verità finzionale. Il ricordo, infatti, non è mai la fotografia di ciò che la memoria fa riemergere. È per questo che l’autobiografia ha bisogno di attivare il pensiero creativo, in un processo che coinvolge l’autore-protagonista, con la sua interiorità, la sua capacità immaginativa e quella d’astrazione, insieme all’autoanalisi che consenta l’emergere di sensazioni ed emozioni, che la scrittura sappia tradurre con parole scelte, in modo che il loro ritmo e lo stile del narratore rendano il testo prodotto unico e originale: un testo letterario. M: Cosa vuol dire sapere scrivere? A: Non so rispondere a questa domanda. Credo che il saper scrivere possa essere legato in minima parte alla tecnica, ma questa non è sufficiente per poter dire
Marta Mentasti, di origine umbro-veneta, vive a Terni. Laureata in Filosofia presso l’Università degli Studi di Perugia, specializzata in comunicazione e biblioteconomia, opera nel settore delle pubbliche relazioni-ufficio stampa. Autrice di un libro di poesie: Scendo alla prossima e di un libro di favole per bambini Le Piantafavole, acquistabile online al seguente link: https://www.intermediaedizioni.it/libri/845le-piantafavole-di-marta-mentasti.html
di un testo prodotto che è interessante, coinvolgente, suscitando emozione nel lettore. Credo che non si possa scrivere a comando, se non c’è dentro un bisogno impellente di esprimersi e comunicare qualcosa che cresce e vuole liberarsi e uscire fuori. È una forza, un bisogno a cui si risponde come ad una necessità che “crea”. M: Come si impara? A: Credo che quello dello scrittore sia uno stato mentale, che si forma attraverso l’ascolto, l’osservazione, la curiosità, la ricerca, la riflessione e un lavorio interiore che possiamo chiamare creazione. Ascolto, osservazione, riflessione, creazione non possono sottrarsi alla pratica tenace, continua. Quindi scrivere, scrivere, scrivere e leggere e rileggere. Anche la lettura di altri autori è valido supporto al proprio impegno di scrittore. M: Anche i piccoli possono raccontare di se stessi con la scrittura? A: Certo, anche i piccoli hanno la loro storia la loro autobiografia, breve nel tempo, ma sicuramente ricca di vicende, esperienze, scoperte... che possono essere sollecitate, guidate ed espresse con linguaggi e mezzi adeguati alla loro età.
15
Viviamo in un mondo che cambia
Un secondo grande passo PER L’UMANITÀ L
Enrico SQUAZZINI
a perseveranza ripaga. Non c’è nome più appropriato di “Perseverance” per un mezzo di esplorazione inviato sulla superficie di un altro pianeta del Sistema Solare, Marte, con la missione specifica di verificare la presenza di tracce di vita. Straordinario ed emozionante! Ma ci pensate!? Siamo al punto di cercare evidenze del più inafferrabile enigma, il fenomeno vita, al di fuori della Terra! La cosa più sensazionale è che potremmo trovarci ad un passo dallo scoprire di non essere l’unico luogo del Cosmo dove è emersa tale stupefacente espressione dello stato di interazione delle forze chimico-fisiche dell’Universo. Di questo fenomeno non sappiamo quasi nulla tranne che noi stessi, oltre a farne parte, fino a prova contraria ne siamo anche l’espressione più complessa. Questa operazione ha implicazioni immense e, senza dubbio, costituisce un secondo “salto da gigante per l’umanità” dopo quello che compì Neil Armstrong il 20 Luglio 1969 poco dopo aver annunciato al mondo dal Mare della Tranquillità che l’”Aquila” era allunata. Per la prima volta l’uomo toccava il suolo di un altro corpo celeste. Il progresso dell’astronautica, la più grande espressione dello spirito di avventura umana iniziata di fatto con il volo della navicella russa Vostok I attraverso la coraggiosa impresa di Yuri Gagarin del 12 Aprile 1961, ha permesso all’uomo di aprire una finestra sul Cosmo senza sentirsi più confinato dal laccio gravitazionale della Terra. Oggi, il 18 Febbraio 2021, consente di rispondere per la prima volta alle grandi domande che l’umanità si pone da tempo. Questa vicenda mi ha coinvolto da vicino, colpendomi profondamente e facendomi riflettere a fondo sul fatto che, in fin dei conti, Marte non è poi “così lontano” dalla Terra. Alcune immagini della superficie del pianeta rosso, inviate dal Rover Curiosity fra il 2012 ed il 2020, mostrano alcuni depositi sedimentari che, secondo la geologia terrestre, risultano tipici del trasporto fluviale. Questi sedimenti, dei conglomerati, appaiono strutturalmente del tutto simili a quelli che ho osservato e studiato di recente in alcune zone della nostra Valle del Nera (Valnerina) associati a strutture erosive e canalizzazioni e che mi hanno consentito di ricostruire gli antichi tracciati del Fiume Nera. Anche sulla superficie di Marte i sedimenti sono associati a canali e strutture erosive da scorrimento superficiale di materiale liquido, molto probabilmente acqua. Questo non solo fa sentire le “farfalle nello stomaco” ma consente di presumere che le leggi dell’evoluzione ambientale siano molto simili almeno nei “dintorni di casa nostra”. Per un periodo Marte è somigliato molto alla Terra di oggi e ciò alimenta la speranza di trovare tracce di microrganismi almeno allo stato fossile. Ma cosa comporterebbe sapere che esiste la vita oltre il nostro pianeta? Credo che, al di là dello stordimento iniziale, possa costituire una gigantesca opportunità per l’uomo di entrare immantinente in una nuova era di consapevolezza. Molte cose che non vanno sulla Terra potrebbero assumere un senso del tutto diverso e risultare, finalmente, semplicemente stupide ed inutili. Potrebbero cambiare in meglio i rapporti fra individui e popoli. Inoltre disporremmo di materiale su cui riflettere in merito all’evoluzione degli ambienti che contempla anche la scomparsa della vita se le condizioni non la sostengono più. Ne potrebbe venire una grande lezione di “vita” nei confronti della quale, spero tanto, l’uomo moderno sappia mostrarsi non indifferente, come è solito fare ultimamente.
Marte è somigliato molto alla Terra di oggi e ciò alimenta la speranza di trovare tracce di microrganismi almeno allo stato fossile.
16
CRIOTERAPIA ESTETICA
ARTORNAMO A SSOGNA’ …È ‘RRÌATA PRIMAÈRA “Ma ‘n senti se cch’arietta dilicàta che tt’embe li pormoni e ffa sogna’... je l’emo fatta a ddaje ‘na svernàta e ddrento casa più non ze po’ sta’... è ccome qquanno te cce fa lo fume che ttuttu lagrimosu déi scappa’... te senti sciòje tuttu come ‘n lume perché è lu còre che sta a ggorgoja’. Te vidi tanta ggènte a la sperélla e ttante andre persone a ppasseggia’... te pare ‘n bo’ più vviva e ‘n bo’ più bbella ‘sta Terni pare ‘n’andra de città. Primaèra sì ‘rrìata… te staàmo qui a ‘spetta’ meno male sì ‘rtornàta… se cche ffesta qqui ‘n città... mo’ l’invernu cià grazziàtu… stémo tutti qqua dde fòra... tuttu s’è rripopolatu… e lu celu s’arcolora. Ma ‘n senti se cch’ arietta e cche ttepore… te senti da sgranchitte ‘n bicicretta… te senti da pote’ da’ tantu amore e anche da sdrajatte tra l’erbétta... ccucì ch’avvenne ‘n tembu quill’incontru tra ggente campagnòla e dde città... quarcunu éa privistu ‘n bo’ de scontru… ma ‘nvece sbòccia sulidarietà. Li campagnoli e ‘n arberu fiurìtu cantàono sturnelli tra dde loro e ppo’ lu cittadinu ce s’è unitu e ffecero canzoni tutti ‘n còro. Prima a ppiedi e lu somàru… sòni canti e li bballìtti... co’ lu dorge e cco’ l’amàru e li bbòi co’ li carrìtti. So’ ‘umentati i sonatori e ‘nfioramo tuttu quantu... mo’ noi c’émo li trattori che cce portono ‘stu vantu. Primaèra sì ‘rtornàta mesà stemo quasi a mmaggiu da parecchiu sì ‘rriàta ecco qui lu cantamaggiu”. P.S. ‘Stu munnu de ‘n tembu vissutu… che ppare ‘ssurdu sortantu ‘rsogna’… speràmo più ’zzurru e avvedùtu… artorni de novu reardà.
Paolo CASALI
17
PASQUA 2021... ancora tempo di lockdown
P
urtroppo a causa della crescita dei contagi, gli italiani sono chiamati ad altri sacrifici dopo un anno di forti limitazioni non facile per le famiglie e le imprese", ha affermato il ministro, sottolineando “un effettivo rispetto delle regole, che in questo contesto è finalizzato alla tutela della salute di tutti i cittadini, dipende soprattutto dai comportamenti individuali e dal senso civico che ci deve legare come comunità nazionale".
Con questo invito alla pazienza e al rispetto delle regole lo studio ANTEO augura una buona Pasqua a tutti Direttore Sanitario
Dott.ssa Lorella
Fioriti
Specialista in Radiodiagnostica, Ecografia, Mammografia e Tomosintesi Mammaria
OZONO TERAPIA ECOGUIDATA
I
n medicina l’ozono viene utilizzato, sotto forma di miscela con l’ossigeno (O2-O3), a diverse concentrazioni prodotto da specifiche apparecchiature medicali (Fig. 1); vari sono gli effetti documentati in ambito medico, quali: -miglioramento del microcircolo; -azione antiinfiammatoria; -azione antiedemigena; -azione battericida e fungicida. In ortopedia l’O2-O3 terapia viene da molti anni utilizzata nel trattamento del dolore, soprattutto di origine vertebrale, sia esso dovuto ad un conflitto disco-radicolare acuto/subacuto da patologia discale (protrusione o ernia del disco), sia dovuto ad una patologia degenerativa della colonna da artrosi del rachide cervico-dorso-lombare. La letteratura scientifica riporta un’efficacia terapeutica significativa e una bassa incidenza di effetti collaterali. Metodiche di utilizzo. Il trattamento è ambulatoriale. L’ozono viene iniettato tramite una siringa con aghi sottili nei tessuti muscolari paravertebrali (Fig. 1) oppure è iniettato all’interno del disco intervertebrale o nel forame intervertebrale sotto controllo radiografico/TAC con un ago da spinale. Più recentemente con la
18
TECNICA D’INFILTRAZIONE PARAVERTEBRALE IUXTA-FORAMINALE ecoguidata/assistita (Fig. 2), con un ago da spinale sottile si inocula la miscela O2-O3 in prossimità del forame intervertebrale (l’ausilio del color-power-doppler permette di evitare i vasi durante la procedura - Fig. 3) . Grazie all’ azione anti-infiammatoria eutrofica, analgesica e decongestionante le radici nervose, il dolore e le parestesie si riducono con pochi trattamenti nel 70-80% dei casi. La seduta di ozono-terapia è di breve durata e va ripetuta più volte in base al tipo e alla gravità della patologia. La procedura può essere effettuata solo da un Medico, preferibilmente specialista. Le controindicazioni al trattamento sono: la gravidanza, l’ipertiroidismo, il favismo, le gravi malattie cardiovascolari-ematologicherespiratorie in fase clinica di scompenso. La somministrazione di ozono è in genere ben tollerata, talora si può avere una sensazione di pesantezza locale e/o dolore di breve durata, in rari casi lo stimolo doloroso indotto dall'iniezione può produrre una crisi vagale (bradicardia, calo pressorio, sudorazione) che, per il carattere transitorio, il più delle volte non necessita di alcun intervento farmacologico.
Dott. Vincenzo Buompadre Spec. Ortopedia e Traumatologia Spec. Medicina dello Sport
- Terni 0744.427262 int.2 Murri Diagnostica, v. Ciaurro 6 - Rieti 0746.480691 Nuova Pas, v. Magliano Sabina 25 - Viterbo 345.3763073 S. Barbara via dei Buccheri
www.drvincenzobuompadre.it Fig. 1
Fig. 2
Fig.3
RADIOFREQUENZA DINAMICA VAGINALE VANTAGGI E RISCHI
La rigenerazione del tessuto vaginale è possibile con un trattamento senza anestesia generalmente indolore e non invasivo: la radiofrequenza dinamica vaginale, una tecnologia che mira a migliorare l’elasticità e la compattezza del canale vaginale stimolando la produzione di collagene e di acido ialuronico. Questo tipo di trattamento è indicato anche contro dispareunia (dolore durante o dopo l’atto sessuale) e forme lievi di incontinenza urinaria da stress. Nelle donne che conducono una vita sessualmente attiva questo trattamento può correggere la lassità vaginale e dell’introito che possono subentrare dopo uno o più parti per via naturale. Può correggere, inoltre, l’incontinenza urinaria da stress, prevenire l’insorgenza dei prolassi e trattare il lichen scleroso (infiammazione cronica-sclerotica di cute e mucose). Durante la menopausa la radiofrequenza vaginale può alleviare la sindrome genitourinaria (assottigliamento dei tessuti a livello della vescica e dell’uretra), l’incontinenza da urgenza, i prolassi fino al 2° grado, il deficit di lubrificazione vaginale da ipoestrogenismo (estradiolo plasmatico ridotto), la vestibolite (infiammazione della mucosa del vestibolo della vagina, ossia dei tessuti posti all’entrata della vagina), la dispareunia. In post–menopausa, infine, questo trattamento può curare l’atrofia vulvo-vaginale con tutti i sintomi correlati (irritazione, bruciore, prurito, infiammazione e dolore durante i rapporti sessuali). Il trattamento viene effettuato introducendo un manipolo in vagina (lubrificato) che emette radiofrequenza monopolare e bipolare a 360° e che determina una temperatura sulle pareti vaginali attorno ai 41°C. Ogni seduta dura all’incirca 20’ ed è indolore, anche se è importante ricordare che l’organo femminile è diverso da donna a donna e ciascun problema dovrebbe essere affrontato singolarmente dopo attenta valutazione ginecologica e con un Pap Test negativo. Il calore produce formazione di collagene reticolare con miglioramento della tenuta dei legamenti del pavimento pelvico. Nella stessa seduta, oltre la radiofrequenza si può eseguire l’elettroporazione, la somministrazione cioè di piccolissime quantità di farmaci e non (estradiolo, acido ialuronico, polinucleotidi) attraverso l’utilizzo di un campo elettrico. La radiofrequenza migliora inoltre la lubrificazione vaginale e induce la formazione di elastina con miglioramento dell’elasticità vaginale.
www.latuaginecologa.it DR.SSA GIUSI PORCARO Specialista in Ginecologia ed Ostetricia
STUDIO CAPALDI - Via I Maggio 40 - Terni (0744 405187) COMEDICA - Via Gabelletta, 147 - Terni (0744 241390)
19
AZIENDA OSPEDALIERA S AIUTO E SOSTEGNO ALLE PERSONE MALATE ED AI LORO FAMILIARI
GLI ANGELI DEL SANTA MARIA OLTRE AGLI OPERATORI SANITARI, NELL’AZIENDA OSPEDALIERA OPERANO I VOLONTARI DI DIVERSE ASSOCIAZIONI Aiuti materiali e sostegno psicologico: i pazienti dell’ospedale Santa Maria di Terni possono contare non solo su professionalità e vicinanza del personale sanitario, ma anche sull’aiuto concreto dei tanti volontari che operano all’interno dell’Azienda Ospedaliera. Numerose le associazioni che nel corso degli anni hanno offerto, e offrono tuttora, il proprio contributo nei diversi reparti ospedalieri.
CROCE ROSSA COMITATO DI TERNI La collaborazione tra la Croce Rossa Italiana Comitato di Terni e l’Azienda Ospedaliera si perde ormai nel tempo. Sono molteplici le attività svolte insieme, accentuate poi in questo lungo e triste anno passato ad affrontare la pandemia. L’impegno della CRI di Terni, infatti, non si è limitato solo ai trasporti sanitari effettuati, sia dal Pronto Soccorso sia dai reparti, o alle visite programmate, ma c'è l'impegno anche nel pre triage al pronto soccorso, coadiuvando il personale sanitario. La CRI di Terni ha inoltre allestito, nel mese di novembre, l’ospedale da campo che è stato in funzione sino al mese di febbraio. Non meno importanti sono stati i viaggi commissionati dall’ospedale per reperire plasma in altri ospedali e per i trasporti di pazienti Covid.
AISTOM L’Associazione Italiana Stomizzati – Aistom O.d.V. è un Ente del Terzo Settore, costituitosi nel 1973; il Consiglio direttivo è composto da stomizzati, medici, stomaterapisti. L’Associazione è decentrata in varie Regioni con oltre 50 Centri di Riabilitazione. Fornisce assistenza sanitaria, riabilitazione psichica, assistenza protesica, apprendimento pratiche riabilitative, rilascio certificazioni mediche e consulenza legislativa. Ha attivato la Scuola Nazionale in Stomaterapia e la Scuola Nazionale di Vulnologia, con rilascio di Certificazione di Competenza, ed il Progetto Seme (corsi base sulla gestione delle stomie).
ANDOSITALIA - LILT TerniLa Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori Sez. Provinciale di Terni (LILT-ODV) è un’associazione di volontariato, senza fini di lucro, che ha come compito istituzionale principale la Prevenzione Oncologica. La Lilt non opera all’interno dell’Azienda Ospedaliera, ma svolge la maggior parte delle sue attività gratuite all’interno della sua sede in viale Trento n.50. I legami con l’Azienda Ospedaliera sono molto stretti in quanto è il nostro punto di riferimento a cui inviare tutti i pazienti presso
20
di noi visitati per i quali esiste il dubbio fondato di malattia oncologica e, in secondo luogo, perché le visite oncologiche nella nostra sede sono effettuate da specialisti ospedalieri che hanno svolto e continuano a svolgere, presso di noi, il loro lavoro come volontari, anche in un periodo così complicato dal punto di vista sanitario e socio-economico come quello che stiamo vivendo.
ANED L’associazione difende e tutela i diritti civili e sociali dei nefropatici cronici, dei dializzati e dei trapianti di tutti gli organi e tessuti. Stimola la ricerca scientifica e i progetti di prevenzione. Informa i cittadini dei rischi della malattia renale attraverso campagne nazionali e eventi territoriali. Incentiva l’attivazione dei centri dialisi, sia ospedalieri sia territoriali, e vigila sul loro funzionamento. Promuove la dialisi domiciliare, interviene presso Ministero, Regioni e Asl per garantire ai pazienti il miglior trattamento e la continuità delle cure. Coordina le Giornate Nazionali “Donazione e Trapianto”. Organizza incontri, convegni, dibattiti; pubblica e distribuisce materiale informativo per promuovere il trapianto come cultura di vita. Interviene per il sostegno psicologico dei pazienti e delle loro famiglie. Si attiva per garantire i diritti, in campo fiscale, sanitario e sociale. Promuove il reinserimento lavorativo e sociale.
APICI L’APICI Associazione Provinciale di volontariato operante sull’intero territorio nazionale, durante lo stato emergenziale dovuto al Covid 19 in accordo con la direzione, è stata ed è presente presso il Santa Maria di Terni per supportare i familiari dei ricoverati nella consegna e ritiro degli effetti personali. La cittadinanza ternana ha risposto con commoventi ringraziamenti in quanto il servizio, attivo 7 giorni su 7, ha aiutato e aiuta le famiglie a sentirsi vicine e presenti malgrado il distanziamento. L’ APICI con il patrocinio del Comune di Terni si trova su TERNIMIA con tutti i suoi servizi e sulla pagina Facebook come APICI Terni.
SANTA MARIA DI TERNI
AUCC L’Associazione Umbra per la lotta Contro il Cancro Onlus – ODV nasce nel 1985. È formata da medici, psicologi, infermieri, fisioterapisti e volontari capaci di assistere con amore e professionalità le persone colpite da patologia oncologica e le loro famiglie. L’Aucc garantisce servizi gratuiti di assistenza oncologica domiciliare, psiconcologia, fisioterapia su tutto il territorio Umbro. L’Aucc è presente all’interno del Santa Maria di Terni con un servizio di accoglienza di 38 volontarie opportunamente formate, suddivise tra Reparto di Oncologia e Reparto di Radioterapia, e una psicologa che opera all’interno del Reparto di Oncologia.
AUMAT L’associazione nasce a Terni nel gennaio 2010 da un’idea del signor Elio Proietti e del responsabile del reparto di Endocrinologia, il dottor Camillo Giammartino, che teneva in cura lo stesso Proietti. L’esigenza nasce dalla constatazione che le malattie tiroidee colpiscono un gran numero di persone e che una associazione di volontariato potesse aiutare la cittadinanza a prendere coscienza della situazione del territorio, in considerazione del fatto che anche se non ci sono stime precise, non è azzardato ritenere che il 30%, 40% della popolazione sia colpita da malattie della ghiandola tiroidea. L’Aumat si propone anche di realizzare uno stretto rapporto di collaborazione con tutti gli specialisti interessati e i medici di medicina generale, con lo scopo di fornire agli utenti un supporto tecnicamente appropriato e corretto. In questi anni di attività abbiamo effettuato Screening ecografici gratuiti in varie realtà territoriali, nell’ambito delle Settimane Mondiali della Tiroide. Organizziamo e partecipiamo ad Eventi e Convegni sul tema, e tramite le nostre cene sociali siamo riusciti a donare alla Nostra Struttura Complessa alcune attrezzature sanitarie e la climatizzazione del reparto.
ASSOCIAZIONE I PAGLIACCI Nel 2007 sono iniziate le attività dei volontari, ma la nascita dell’associazione di volontariato i Pagliacci avviene nel maggio 2009, con l’intento di applicare la Terapia del Sorriso all’interno dell’Azienda Ospedaliera di Terni. Svolge la propria attività in Pediatria, Otorino e Day Surgery. Collabora con il Centro di Neuropsichiatria Infantile e dell’Età Evolutiva e, in particolare, con il Baobab, struttura semiresidenziale specializzata sull’Autismo e ADHD, disturbo evolutivo dell’autocontrollo. In questi lunghi anni ha donato strumenti diagnostici in molti reparti dell’Azienda Ospedaliera. Solo nel 2020 ha effettuato donazioni per un valore economico di 59 mila euro, in particolare in DPI.
TERNI X TERNI TernixTernianch’io dal 1994 si adopera per raccogliere fondi da destinare all’acquisto di strumentazione diagnostica, e la TernixTernidonna che dal 2011 si occupa di supportare, informare donne operate al seno, e coltivare la cultura della prevenzione. È l’associazione di riferimento della Breast Unit del Santa Maria di Terni. Con Progetto Venere si occupa, all’interno dell’oncologia, di truccare e pettinare le donne in cura oncologica, una vera e propria “coccola” per ritrovare la propria femminilità. Con Non sei sola, sportello di orientamento psicologico e nutrizionale, rivolto alle donne, in attesa della diagnosi o di un esame di controllo, si trova nel cuore della Breast Unit. Con Io voglio vivere non sopravvivere, eventi in cui i medici spiegano alle donne, pazienti e non, la prevenzione e percorso di cura del cancro al seno. È capofila della delegazione Europa Donna-Umbria, che tutela i diritti della donna con cancro al seno, per il miglioramento del percorso di cura e qualità della vita.
21
LA FIERA delle VANITÀ Q
Pierluigi SERI
22
uesta volta non parleremo degli argomenti più gettonati ovvero del covid, di contagi, dei vaccini, di zone che cambiano colore come l’arcobaleno. Con questo non vogliamo sottovalutare problemi che sono di importanza vitale, ma fisseremo la nostra attenzione su un aspetto che è ad essi direttamente connesso. Non a caso abbiamo scelto il titolo di un celebre romanzo inglese dell’Ottocento. Infatti megalomania e vanità in tempi di lockdown, di didattica a distanza, di distanziamento sociale ecc. hanno letteralmente invaso la scrittura, la politica, la musica, la scienza. In questo periodo in cui il consenso si misura in base ai follower senza che sia necessario possedere un talento apprezzato per poter ottenere gli agognati like. In breve più impacciato ed inetto sei e più è probabile che sul web il meccanismo virale si metta in movimento. In tale contesto i megalomani trovano terreno fertile, a prescindere dal loro valore intrinseco e da quello del messaggio che vogliono lanciare, dal momento che tutto è basato sull’apparire, sulla scena, sulle frasi ad effetto. Autorevoli psicologi hanno messo bene in luce le caratteristiche del megalomane: presunzione, onnipotenza, narcisismo, manipolazione della realtà, autocelebrazione. Oggi che i cenacoli e le discussioni fino all’alba sono stati sostituiti a causa della pandemia dai post su facebook il cui unico fine è ottenere i like, bucare lo schermo, a prescindere dalla qualità e dal contenuto del messaggio veicolato, la megalomania dilaga e la sensazione di autoriferimenti è sempre viva. Proprio in un momento come questo in cui la pandemia ci ha confinati in casa e la nostra vita sociale si è ridotta ai minimi termini, i social hanno da un lato rappresentato una valvola di sfogo ad una situazione psicologicamente frustrante, ma dall’altro ci hanno esposto ad un vero e proprio bombardamento di sms, di post, vario e disparato, una continua aggressione che ci stordisce, impedendoci di riflettere adeguatamente sulla natura e la qualità dei messaggi proposti. In tale situazione mitomania, esagerazione, vanità hanno vita facile. Per avere la controprova di quanto detto basta accendere un qualsiasi computer o uno smatphone per essere trascinati nel vortice colorato e variegato del web dove tutti hanno da dire o da mostrare qualcosa che essi ritengono sia il non plus ultra e che soprattutto vogliono convincere quante più persone possibile che sia tale, cercando di coinvalgerle e strappare il loro consenso.
I social rappresentano un’ottima cassa di risonanza per tali comportamenti. Naturalmente tra la moltitudine degli aspiranti a diventare numero uno la concorrenza è fortissima e, siccome tutto si misura in base ai follower, la legge di mercato è semplice e spietata: vincono solo le novità o, meglio, ciò che appare nuovo, ma non sempre ciò che è nuovo corrisponde a verità. E’ il trionfo dell’apparenza, di ciò che soddisfa la curiosità di migliaia di follower che si immedesimano in una serie di personaggi dai gusti, età, orientamenti sessuali, politici, religiosi diversi subentrando automaticamente al posto di relazioni autentiche di preferenza. Quanti video, sketch, conferenze sono apparsi su Youtube, sui vari social durante questo periodo di distanziamento per proporre questo o quel modello di vita, questo o quel prodotto presentati come miracolosamente salvifici? E, tanto per toccare un argomento attuale e molto delicato, quanti video sui vaccini, sulla loro efficacia, sull’opportunità o meno di farseli somministrare sono comparsi nel web? Migliaia se non milioni! Il bello è che, senza entrare nel merito della “vexata quaestio”, ognuno di essi vuole presentarsi come portatore di una verità assoluta. È chiaro che di fronte ad una aggressione informatica così massiccia risulta difficile, se non impossibile, a chiunque, di orientarsi in un tale ginepraio di notizie e soprattutto saper distiguere quelle rispondenti a verità dalle famigerate fake news, la scienza dalla pseudo-scienza, la verità scientificamente provata da quella parziale, spesso più dannosa della menzogna. Ovvio che in questi messaggi c’è il solito comunicatore, donna o uomo che sia, il quale, presentandosi come esperto o supposto tale, attraverso argomentazioni varie, sciorinando dati e classifiche a raffica, vuole a tutti i costi imporre la sua tesi presentata come verità assoluta e insindacabile. Tale sistema purtroppo dal web ha finito per coinvolgere altri campi come la politica, la scrittura ecc. Quanto è avvenuto durante la recente crisi di governo ne è un esempio eclatante. Perfino nei canali televisivi, pubblici e privati, si assiste alla continua passerella di esperti, luminari ecc. per non parlare dei talk show dove il telepredicatore di turno svela scena e retroscena, tuonando contro il “vizio e l’ozio”. In questo tempo segnato dal virus con la cultura bloccata, i cinema chiusi e i social e i servizi streaming esplosi, l’autoreferenzialità diventa norma e megalomani e mitomani si mettono a proprio agio. Libertà e giustizia per G. Regeni. Patrick Zaki libero!
La qualità dell’assistenza alla persona residenza protetta specializzata nell'assistenza di persone affette da malattia di Alzheimer e altre forme di demenza
OTRICOLI (Terni) Str. Pareti 34/36 Tel. 0744.709073 - 0744.719757 - t.sabrina@libero.it
www.villasabrina.eu
23
SIPACE GROUP SI PRENDE CURA DELLA TUA AUTO Con un’esperienza che si rafforza anno dopo anno dal 1974
QUALITÀ AL PRIMO POSTO LA QUALITÀ È IL PUNTO FORTE DI QUESTO GRUPPO DI APPASSIONATI DELLE MACCHINE CHE, NELL’ARCO DEGLI ANNI, SI È SEMPRE PIÙ STRUTTURATO, IN MODO DA CORRERE CON LO STESSO TEMPO DELL’INNOVAZIONE E PRESENTARE AI PROPRI CLIENTI, VOLTA PER VOLTA, UN SERVIZIO AGGIORNATO E COMPETITIVO, GRAZIE AD UNO STAFF ALTAMENTE FORMATO.
Sipace Group s.r.l. tanti servizi, un’unica carrozzeria OFFRE ANCHE SERVIZIO DI NOLEGGIO AUTO E PROPONE SVARIATE CONVENZIONI CON ASSICURAZIONI.
CHIAMA OGGI OPPURE SCRIVI PER RICEVERE INFORMAZIONI
24
VIA ENRICO FERMI, 20 San Gemini - TR Tel. 0744.241761 Cell. 392.9469745 Fax 0744.244517 info@sipacegroup.com www.sipacegroup.com
i! o N a d V ie n i
• PROGETTO TERNI •
TEATRO e SCUOLA MUSICALE L
Gian-Luca Petrucci
Professore emerito del Conservatorio Santa Cecilia di Roma
’ormai annosa questione legata al ripristino o ristrutturazione del Teatro Verdi di Terni ha evidenziato degli schieramenti opposti sul divenire della storica struttura. In ogni caso Terni ha necessità di avere nuovamente un vero Teatro che sia luogo di cultura, di aggregazione e di costruttive e fattive proposte legate tra l’altro all’importante riconoscimento ottenuto dall’Istituto Briccialdi, divenuto Istituto Superiore di Studi Musicali dove ora è possibile conseguire Diplomi Accademici di primo e secondo livello. La nuova organizzazione della Scuola Musicale della città è dunque potenzialmente capace di raccogliere studenti non solo residenti in città, ma anche dall’Italia e dall’estero. Ovviamente la presenza di un vero Teatro in città rappresenterebbe una possibilità aggiuntiva per svolgere attività specifica di sinergia e realizzare un’orchestra e spettacoli lirici e concertistici nel segno della tradizione che collocava i Conservatori (ora denominati Istituti Superiori di Studi Musicali) sempre in città che disponessero di un Teatro dove espletare qualificanti attività professionali e formative. Si deve considerare come il numero dei Conservatori musicali italiani fu per decenni appena superiore ai centri di produzione musicale collocati nelle maggiori città italiane e identificabili logisticamente con gli organismi orchestrali Sinfonici e degli Enti Lirici dei Teatri di tradizione. L’ambiente era molto diverso da quello attuale e gli allievi apparivano determinati fin dai primi anni di studio proprio per l’offerta professionale che
veniva proposta. Dalla fine degli anni Sessanta e fino a tutti gli anni Settanta i Conservatori di Musica italiani ricevettero una particolare attenzione da parte del mondo politico sia locale sia nazionale ed ebbero una crescita esponenziale avvenuta sia per gemmazione (sedi staccate), sia per statalizzazione (scuole comunali), sia per fondazione ex novo di Conservatori. Venendo ai nostri giorni, l’ultima riforma ha elevato “ope legis” a livello universitario il comparto relativo ai Conservatori che ora rilasciano “Diplomi Accademici di primo e secondo livello”. A Terni, attraverso un capillare, faticoso e articolato lavoro durato molti mesi da parte del Presidente e del Direttore dell’Istituto Briccialdi, si è raggiunto un successo straordinario che ha visto riconoscere all’Istituto musicale della città un alto livello di produzione consentendo la statalizzazione e la prestigiosa denominazione di “Istituto Superiore di Studi Musicali”. La cosa che appare evidente è che ora a Terni esiste a livello ufficiale una riconosciuta e importante “Scuola musicale di livello Universitario” e l’ auspicata, anche se combattuta, ricostruzione dell’originale Teatro Poletti renderebbe possibile il ripristino di una realtà articolata di successo. Ovvero disporre di un vero Teatro di tradizione presente in una città dove esiste una Scuola di musica capace di portare ai più alti livelli strumentisti e cantanti e in grado di attuare l’osmosi fra l’Ente teatrale di produzione e la scuola preparatoria alla professione. Questa potenziale realtà, oggi presente in poche città italiane, dovrebbe rappresentare un obiettivo primario per l’amministrazione, specialmente considerando nel tempo tutte le positive implicazioni lavorative che essa potrà comportare. Altro elemento importante è la possibilità concreta di stabilire una sinergia con il Conservatorio Santa Cecilia di Roma e disporre degli allievi in esubero a Roma utilizzando il Conservatorio di Terni, creando in tal modo un flusso virtuoso di studenti, molti del quali orientali, che potrebbero trasferirsi a Terni. Altro elemento da considerare al fine della sinergia da attuare sarà l’anniversario nel 2022 dei cento anni dalla scomparsa di Stanislao Falchi, grande musicista ternano, e storico Direttore del Conservatorio Santa Cecilia di Roma Il Briccialdi denominato ormai Istituto Superiore di Studi Musicali, può divenire il fulcro culturale della città.
25
• PROGETTO TERNI •
AUTO ELETTRICHE ed IDEA DI CITTÀ D
Carlo SANTULLI
26
i recente, si discute parecchio se alle auto elettriche debba essere permesso l’ingresso in modo indiscriminato nella zona a traffico limitato, abbreviata ZTL. Il primo sentimento sarebbe di rispondere: Perché no? Un’auto elettrica non produce direttamente gas nocivi, quindi certamente non peggiora il nostro inquinamento. Anche questo è vero fino ad un certo punto, perché il fine vita delle batterie dell’auto elettrica, che non è mica un tram, è sostenibile e conosciuto fino ad un certo punto. Ma ammettiamo pure che le batterie durino tanto: ugualmente non dobbiamo cedere a questa tentazione perché le auto, siano pure elettriche, occupano spazio. E se sono tante, se lo prendono tutto, come in quella città dove non c’era più spazio per i pedoni, tanto meno per i bambini, nella favola “Il pifferaio e le automobili” di Gianni Rodari, che ha cinquant’anni, ma non li dimostra. Nella città di Rodari “C’erano automobili dappertutto: piccoline come scatolette, lunghe come bastimenti, con il rimorchio, con la roulotte. C’erano automobili, autotreni, furgoni, furgoncini. Ce n’erano tante che si muovevano a fatica, urtandosi, fracassandosi i parafanghi, schiacciandosi i paraurti, strappandosi le marmitte. E finalmente ce ne furono talmente tante che non ebbero più lo spazio per muoversi e rimasero ferme”. Ecco, ferme, elettriche, ma immobili. A rubare la
nostra città. Io quella città lì, l’ho conosciuta. Era fatta a misura di automobile, e non c’era spazio per null’altro. Quand’ero bambino, più meno all’epoca della favola di Rodari, per percorrere a piedi, supponiamo, via del Corso a Roma, ci si accalcava sui due strettissimi marciapiedi, mentre le auto, e gli autobus, e i furgoni e tantissime motorette passavano in fila su entrambi i lati della strada. Si era tentata, a quell’epoca, una pedonalizzazione di piazza Navona, ma i tempi non erano maturi, si dovette attendere qualche anno, perché in tanti protestarono: l’auto era considerata libertà. Spesso era la libertà di guardare gli altri da un finestrino in un parabrezza, ma non ci si badava. All’epoca Corso Tacito non era molto diverso, le auto magari erano meno, ma erano comunque padrone della città. E certi interventi urbanistici del primo dopoguerra, benché forzati dai vuoti lasciati dai bombardamenti, come l’apertura di via Mancini e quella del “cannocchiale” di largo Villa Glori, rispondevano in fondo anche a questo scopo: permettere alle auto di penetrare fino al centro della città e magari di sostarci tutto il giorno, cosa che ben presto si rivelò impossibile, perché un’auto ferma è egoista e vanitosa. Così, oggi a piazza Solferino giocano i bambini a pallone, come un tempo, e c’è una bella “campana” fatta col gessetto: negli anni ’60 c’era un parcheggio. Ogni tanto lego
la bicicletta ad uno dei pali della piazza, che il Comune mi perdoni, perché a chinarmi alle rastrelliere rasoterra non ce la faccio, sto invecchiando anch’io. A proposito: chi progetta le rastrelliere, ha mai visto una bicicletta? Oggi non s’immagina che uno voglia arrivare in auto proprio al centro che più centro non si può, perché tra i negozi del centro è molto meglio camminare, e non siamo più come Ernesto Calindri che sorseggiava il Cynar seduto al tavolino in mezzo al traffico del “logorio della vita moderna”. Ma poi, allontanandosi dalla guerra ed anche con meno ingenuità e meno necessità, non sono dedicate alle auto anche le aperture dei centri commerciali, dove si arriva con difficoltà a piedi e coi mezzi, perché non ci sono marciapiedi, o magari il percorso è costellato di rotonde e di svincoli con guard-rail? E non sembra strano che sia difficile andare a piedi dallo stadio a Cardeto o da Cardeto a Borgo Rivo? Poche centinaia di metri, magari, ma che richiedono l’uso della macchina. Ancora più vicino a noi, le piste ciclabili, che spesso s’interrompono. Magari, come a vocabolo Staino, soltanto per cento metri, ma cruciali, se uno spera di riprendere sano e salvo la pista su viale Centurini. Anche questa è un’idea di città, e la distanza dalla fiaba di Rodari è a volte soltanto apparente, solo che gli anni sono passati. Non abbiamo però un pifferaio che porti le auto fuori città, dove devono stare. O forse sì? Il problema è più profondo. Dietro qualunque misura si prenda
in città, c’è un’idea, anche se non si dichiara apertamente, non sempre per calcolo politico, magari, ma a volte per riserbo e delicatezza. Quando Cesare Bazzani, cui anche Terni deve tanto, progettava in queste forme liberty lo chalet della passeggiata, che vedete in foto, voleva dire che per lui Terni era una città turistica, e di un turismo di gran classe, perché soluzioni del genere, eleganti e fiorite, le potevate trovare nei luoghi, dove i nobili amavano villeggiare, a Baden Baden, a Cortina, od a Sanremo. Bazzani le aveva inserite nel parco di una città operaia e, come vedete, ci stavano bene ed a loro agio.
Così è per tutto, hai un teatro se pensi di meritartelo (per dire, l’anno prossimo è il centenario della morte di Stanislao Falchi, il “Puccini ternano”, come ha detto un mio amico musicista suonando al piano certi pezzi del “Trillo del diavolo”, suo capolavoro), hai un’Università se pensi di essere bravo abbastanza (e Terni in certi ambiti, come i materiali sostenibili, è assolutamente leader). Hai un Santo che tutto il mondo pensa di conoscere e non racconti la verità su di lui, che è molto più grande della sua leggenda? Tutte occasioni perse finora, per le quali c’è da lottare, come sempre.
Chalet della passeggiata (1915)
27
• PROGETTO TERNI •
LA SOLIDARIETÀ NON È SOLO UMANITARIA, MA CIVILE, ECONOMICA E DUNQUE SOCIALE. N Mauro SCARPELLINI
28
el parlare correntemente la parola solidarietà è intesa prevalentemente come assistenza verso chi soffre e ha bisogno di aiuto. Questa parola non ha limitazione di riferimento e di effetto. Infatti la solidarietà è un concetto collettivo, comunitario, cioè è una parola che esprime ancor prima dell’assistenza a chi ha bisogno il valore della buona convivenza in una società civile. La Costituzione accoglie il concetto all’articolo 42, secondo comma, ove afferma un principio generale del cui portato non ci si occupa compiutamente. Il comma dice “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. La funzione sociale comporta che la lettura e la gestione di questa norma non sia fatta solo partendo dal punto di interesse del singolo proprietario privato, ma anche dal punto di partenza dell’interesse collettivo, generale, che comporta responsabilità d’iniziativa e di seria promozione per chi amministra gli interessi pubblici e generali, significativamente e soprattutto per gli Amministratori locali. Infatti la finalità che la Costituzione chiama “funzione” vuole concretizzare solidarietà e rispetto tra le persone, tra i soggetti privati e tra i soggetti giuridici che vivono nel territorio comune. Non ha la caratteristica della solidarietà umanitaria che è altro, ma quella della solidarietà nell’impegno al mantenimento del buon consorzio civile composto di singoli e di enti, di pluralità che tutte hanno il diritto di vivere ed operare e nessuna deve soccombere per l’assenza di solidarietà. La “funzione sociale” vuol dire che gli atti compiuti o promossi dall’Amministrazione pubblica devono essere finalizzati comunque ad un interesse ampio, generale, al benessere degli amministrati. Vi rientrano gli atti deliberati o di promozione e di protezione tesi a consolidare il tessuto economico di un territorio, siano essi diretti o indiretti.
Questa è la lettura politica della norma costituzionale. L’interesse di un territorio è che la vita privata, economica e sociale si sviluppino e si articolino con vivacità e innovazione con il limite di non creare squilibri e pericoli al permanere in vita di parti della comunità. L’identità culturale, economica e sociale di un territorio cambia nel tempo e il tessuto di convivenza solidale si trasforma, ma è interesse che permanga e si rinnovi, solidaristicamente. Non si tratta di sposare dottrine sul solidarismo, ma più semplicemente di tener conto che se non vi è un’attenzione forte e mirata dell’Amministratore pubblico al come si svolge la vita economica del territorio da lui amministrato e se non mantiene la barra programmatica verso finalità di sviluppo economico e progresso sociale può ritrovarsi il proprio territorio –cioè il tessuto sociale cittadino– sgretolato. Se agiscono indisturbate e quindi prevalgono forze autonome d’interesse individuale -per esempio una società multinazionale, più propriamente straniera- la “funzione sociale” della proprietà privata di quelle forze è solo l’interesse individuale. L’Amministratore pubblico deve prospettare, suggerire, programmare modi, norme, iniziative, promuovere l’intesa tra i corpi intermedi e saper vedere e cogliere le opportunità che aiutino il territorio amministrato ad esprimere vita che è il contrario di subire l’esistente che, se non curato né rinnovato, inevitabilmente degrada. L’assenza di coordinamento disarticola, non rinnova né riqualifica identità, la fa perdere e fa svanire l’essenza di comunità e di solidarietà. L’Amministratore pubblico deve avere una visione di evoluzione per il territorio amministrato; deve promuovere la concertazione, lo sviluppo e il progresso. La solidarietà della politica cittadina, cioè dell’amministrare la polis che è la città/comunità, richiede una visione.
• PROGETTO TERNI •
UNA PIATTAFORMA CONDIVISA N Giacomo PORRAZZINI
on c’è commentatore politico o personalità culturale di valore che non dica che, dopo la pandemia e dentro la transizione ecologica dell’economia, nulla sarà come prima. Ciò vuol dire che, più o meno consapevolmente, siamo dentro una profonda fase di cambiamento nella vita delle nostre comunità e di ciascuno di noi. Quella ternana di comunità, in particolare, dovrebbe usare l’attesa ed inevitabile trasformazione, come occasione unica per uscire dalla situazione di declino complessivo in cui si dibatte da tempo. Se il cambiamento non deve investirla come un soggetto passivo, ma vederla protagonista consapevole e responsabile, ogni attività di progettazione proiettata sul futuro, come ad esempio le misure di partecipazione al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), avrebbe dovuto costituire una opportunità di apprendimento collettivo sulla situazione attuale e sulla visione di futuro per la città. Sarebbe stata, insomma, necessaria una partecipazione di progetto delle componenti vitali di Terni alla definizione di una piattaforma condivisa per il nuovo sviluppo sostenibile della nostra città e del territorio di cui è riferimento. Così non è stato, come sappiamo. Il Comune di Terni ha inviato 23 progetti di recovery alla Regione, senza attivare una reale forma di partecipazione sociale. In quella proposta, inoltre, brilla per la sua assenza un riferimento ai temi della tutela costituzionale della salute dei cittadini, tramite il rafforzamento e l’innovazione del sistema sanitario locale. Proprio per evitare che anche sul tema cruciale della sicurezza sanitaria si facciano, da parte delle Istituzioni, proposte prive di qualsiasi contributo e confronto partecipativo, alcune associazioni
d’iniziativa socio-culturale, hanno avviato, con un apposito Webinar, un lavoro comune per pervenire alla stesura, dal basso, di una piattaforma programmatica sul tema della ristrutturazione e potenziamento del sistema salute locale, con riferimento all’area del sistema urbano intermedio ternano, nel quadro dell’organizzazione dei servizi dell’Asl 2. Le Associazioni coinvolte sono ben otto: Pensare il domani; Cittadini liberi; Gruppo dei 51; Terni città universitaria; Terni Valley; La Pagina; Interamnopolis; Cittadini per, in collaborazione con il Cesvol. Nel primo incontro in rete, ciascuna organizzazione ha illustrato le proprie proposte, sui temi fondamentali della medicina territoriale e di prossimità, sull’Azienda Ospedaliera ed il nuovo Ospedale di alta specializzazione; sulle strutture di ricovero per l’emergenza e la riabilitazione, sull’integrazione dei servizi sanitari di qualità con Università e strutture di ricerca; sul rapporto fra medicina pubblica e privata; sugli Organici e la formazione del personale sanitario; sulle strutture locali di prevenzione; sul tema cruciale degli strumenti di finanziamento pubblico e misto. Su ciascuno di questi punti, costitutivi di una proposta complessiva, le otto Associazioni si impegnano a portare avanti, in tempo utile, il lavoro di definizione di una proposta convergente, per interloquire con la Regione Umbria e gli EE.LL, ed anche con altri soggetti come Ordini delle professioni sanitarie, Sindacati e soggetti sociali organizzati del “terzo settore”. Il tutto, nel quadro della necessaria partecipazione alla definizione del nuovo Piano Sanitario Regionale. Grande attenzione verrà inoltre prestata al coinvolgimento informativo della più ampia opinione pubblica delle città, su un tema che riguarda da vicino la sicurezza, la salute e la vita delle persone e dei nuclei familiari, già investiti da inediti problemi di tenuta del sistema sanitario nazionale nell’anno horribilis del COVID-19. Un anno terribile che è stato anche occasione di più stretto confronto fra opinione pubblica e scienza, fra i cittadini ed i propri rappresentanti politici ed i poteri Istituzionali. I media hanno fatto dell’emergenza COVID l’asse portante della loro informazione. Vi sono, dunque, malgrado le oggettive difficoltà costituite dalle misure di distanziamento e prevenzione, le migliori condizioni culturali e di responsabilità civica, per dar vita ad un movimento della società che chieda alle Istituzioni di adottare scelte filtrate e verificate da un robusto processo di partecipazione. In gioco c’è parte grande del futuro di tutti. È un tempo, questo, di partecipazione non di deleghe in bianco e al buio.
29
• PROGETTO TERNI •
IL NUOVO OSPEDALE:
DOVE E COME L’ARIA CHE TIRA
Roberto RUSCICA
30
Si è finalmente compreso che l’attuale struttura edilizia dell’ospedale di Terni è obsoleta ed inadeguata sotto tutti gli aspetti; la gestione dell’emergenza Covid, durante la quale è stato stressato oltre ogni limite e capacità, l’ha ulteriormente dimostrato e pertanto ne va realizzata una nuova. Benissimo. L’orientamento dichiarato sembra quello di realizzarla nell’area di Colle Obito. Siamo sicuri che sia la soluzione giusta? Proviamo ad esaminare il tema, non prima però di registrare alcune osservazioni sugli orientamenti regionali in tema di sanità. La giunta regionale ha recentemente varato un atto deliberativo con il quale sono stati fissati gli orientamenti per il prossimo PSR, ripartendo dagli elaborati sviluppati nel corso del 2019. Sono poi circolate sulla stampa, e poi smentite, dichiarazioni relative alla realizzazione di un’unica azienda ospedaliero-universitaria, che sembrano riportare alla luce l’idea di assorbire l’Azienda di Terni in quella di Perugia. Non viene poi definito con chiarezza l’intendimento di realizzare un IRCCS (dove, come, su quale tematica di ricerca). Va, anzitutto, sottolineato che l’Azienda ospedaliera di Terni è sempre stata sostanzialmente in pareggio ed è costantemente inserita nel ristretto benchmark nazionale degli ospedali più virtuosi nel rapporto tra costi e prodotto prestazionale; attraverso il cospicuo afflusso di utenza extraregionale -che fornisce prova di una buona qualità dei servizi- si autofinanzia in congrua misura ed ha sempre contribuito a riequilibrare la mobilità passiva umbra. Va poi osservato che In Italia coesistono attualmente sistemi sanitari regionali che presentano fra loro ampie difformità, che in alcuni casi sfiorano l’eterogeneità e la singolarità; l’applicazione delle norme nazionali è diffusamente disattesa ed è abitualmente rispettata la discrezionalità regionale. Del pari, si può notare come i rapporti tra i sistemi sanitari regionali e l’Università siano i più vari, anche all’interno della stessa regione, e non sempre configurati istituendo aziende ospedaliero-universitarie integrate. In alcuni casi le facoltà di Medicina sono infatti legate ad aziende sanitarie miste ospedaliero-territoriali; in altri casi, i corsi raddoppiati sono legati ad Aziende ospedaliere o territoriali come a Terni; in un caso addirittura ad una struttura privata. In Italia non esiste alcun caso di fusione tra aziende ospedaliere distanti quanto Perugia e Terni, e non appare casuale.
Ci auguriamo che non si voglia davvero intraprendere questa strada.
DOVE REALIZZARLO? Ma torniamo al nostro tema, che svilupperemo auspicando che l’ospedale di Terni venga mantenuto nell’attuale assetto funzionale ed avendo in mente gli aspetti fondamentali in base ai quali dovrebbe essere assunta una razionale decisione. Per il nuovo ospedale di Narni-Amelia appare riduttivo prefigurare un ruolo da “ospedalicchio” di comunità di quart’ordine, ormai antistorico. Attraverso, invece, una forte integrazione tra gli ospedali di Terni, Narni-Amelia ed Orvieto si può sviluppare una rete di offerta di servizi, a scala provinciale, resa complementare, più ricca, distintiva ed attrattiva, sfruttando anche il prezioso affaccio sull’Autosole e sulla Tuscia. Riguardo al dove, la prima, elementare domanda da porsi è: chi utilizza l’ospedale di Terni e per quali esigenze sanitarie? Forse sorprenderà, ma i residenti nel Comune di Terni non raggiungono la metà dell’intera utenza; i residenti in altri comuni umbri -provenienti in prevalenza dall’Umbria meridionale- rappresentano circa un terzo del totale; quelli provenienti da fuori regione -in prevalenza dall’Alto Lazio- non sono mai meno del venti per cento. Questa dinamica dei flussi corrisponde perfettamente all’importante ruolo d’area vasta che esso assicura: dipartimento d’emergenza di secondo livello per l’Umbria meridionale e ospedale per acuti, con attività estese alla media ed alta specialità, su cui si innesta la presenza universitaria. Quanto ad afflusso extraregionale, Terni è primo in Umbria e secondo in campo nazionale tra le strutture pubbliche. Non si tratta dunque di un puro e semplice servizio per la città. Si pone allora una seconda domanda: Ha un senso confermare questa allocazione? Il sito è costretto nell’abitato, servito da scomode strade di accesso, lontano dalla grande viabilità extraurbana, povero di aree di parcheggio: è scomodo per gli stessi ternani e costringe l’utenza esterna ad attraversare tutta la città. Tutti i nuovi ospedali dell’Umbria sono stati realizzati fuori dai centri urbani, in siti ben collegati alla viabilità principale: Perugia, Foligno, Città di Castello, Branca, Pantalla, Orvieto;
così sarà anche per Narni-Amelia. Presìdi peraltro, esclusa Perugia, di rango comunitario o poco più, che servono ambiti territoriali ben più modesti e meno popolosi del nostro. Perché qui a Terni si dovrebbe fare il contrario? Negli ultimi decenni buona parte delle strutture italiane paragonabili al nostro ospedale è stata sostituita con strutture collocate in siti ampi e facilmente accessibili e molte altre sono in più o meno avanzato corso di progettazione e realizzazione secondo tali criteri. Hanno fatto eccezione soltanto alcuni ambiti metropolitani o città in cui si è preferito procedere ad ampliamenti o mantenere in vita vetuste strutture a padiglioni sostituendone qualche parte, raramente con successo. Sarebbe dunque una soluzione del tutto inidonea per il ruolo che il presidio è chiamato a svolgere ed in netta controtendenza rispetto a quelle oggi prevalenti.
Terza domanda: Il sito di Colle Obito, di per sé, sarebbe idoneo allo scopo? L’area libera all’interno del perimetro viario ha una superficie assai esigua ed un taglio piuttosto irregolare, “di risulta”, perché costretta tra l’attuale ospedale, alcune strutture sanitarie territoriali (SIM Infanzia e Dipartimento di Salute mentale), la Facoltà di Medicina, vari insediamenti residenziali, l’area dove dovrebbe essere realizzata la ‘Città della Salute’; suscita qualche timore anche la stabilità geologica, visti i recenti movimenti franosi verificatisi sulle pendici e la storia del sito. Va peraltro tenuto conto che si verrebbe ad interrompere o ridurre anche quel prezioso minimo e simbolico continuum di verde collinare ancora esistente tra il Parco di San Valentino ed il Parco delle Grazie e l’asse Valnerina-Cascata, che andrebbe preservato. L’inarrestabile evoluzione specialistica, tecnologica ed organizzativa della medicina negli ultimi quarant’anni ha progressivamente spiazzato i modelli realizzati fino a tempi recenti per gli ospedali di medio-alta consistenza e specializzazione in quanto
non più rispondenti a criteri di funzionalità. Una buona impostazione progettuale, oltre, ovviamente, a garantire sostenibilità, accoglienza, umanizzazione, luminosità e comfort, è oggi legata a tre imprescindibili condizioni funzionali da garantire: 1) la flessibilità in essere ed in divenire, cioè l’adattabilità alle mutevoli, inevitabili e future esigenze di adeguamento e trasformazione, che possono richiedere anche espansibilità e “sezionabilità” (caso Covid) e la loro realizzazione senza condizionare la continuità di funzionamento 2) la massima integrazione operativa, perché l’ospedale di oggi non è una somma, bensì un complesso “insieme” di innumerevoli specificità, dotazioni e risorse tra loro fortemente interdipendenti 3) la massima funzionalità sia del sistema dei percorsi, sia di quelli interni -atta per un verso ad assicurare la distinzione e per l’altro a garantire l’integrazione e la flessibilità- che di quelli di connessione esterno-interno collegati ad un’adeguata disponibilità di parcheggi. Come può un sito così infelice e striminzito consentire di realizzare una struttura di congruo dimensionamento e adeguatamente rispondente a tutte queste complesse esigenze, attuali e future, da soddisfare? La scelta di Colle Obito appare quindi priva di qualsivoglia motivazione valida, se non qualche miope risparmio. Questo orientamento va peraltro alimentando in città l’insinuazione secondo cui questa scelta nasconderebbe una visione riduttiva per il futuro del nostro ospedale, che vorremmo evitare di prendere in considerazione visto che si è deciso di farlo nuovo.
UNA CONCLUSIONE Dunque, non sussiste alcuna razionale alternativa alla realizzazione della nuova sede, baricentrica, nella piana, che garantirebbe un’agevole accessibilità per tutta l’utenza, favorirebbe una buona progettazione, faciliterebbe una impostazione del nuovo presidio integrata con quello di Narni-Amelia onde assicurare complementarità e guadagni di sistema e si gioverebbe infine della prossimità dell’aviosuperficie. Se si vuole evitare il rischio di improbabili esondazioni, esistono spazi liberi anche in zone della piana non situate nel fondo.
31
ORDINE PROFESSIONI COMPLETARE AL PIÙ PRESTO LA CAMPAGNA VACCINALE PER FAR RIPARTIRE IL PAESE
S
ono passati circa due mesi da quel quindici febbraio, data in cui è ufficialmente iniziata, presso la sede centrale dell’Azienda USL UMBRIA 2 di Viale Bramante, la campagna di vaccinazione anticovid rivolta ai cittadini over 80. Il punto vaccinale è organizzato con un percorso dedicato per raggiungere la sala d’attesa, sportello di accettazione e tre ambulatori per le somministrazioni. Per garantire le misure di distanziamento oltre alle caratteristiche strutturali, i cittadini vengono invitati a rispettare la programmazione degli orari previsti per il proprio appuntamento. Attualmente per effettuare la prenotazione della vaccinazione è disponibile una modalità online con portale dedicato, oppure
32
tramite le farmacie del territorio. Nonostante le note problematiche relative alla disponibilità e sicurezza dei diversi vaccini a disposizione, la campagna vaccinale sul territorio procede speditamente: tra i principali punti territoriali di somministrazione (oltre Azienda Ospedaliera Terni), vi sono anche i punti vaccinali di Narni ed Amelia per offrire un servizio di prossimità a migliaia di residenti evitando loro inutili spostamenti e permettendo, al tempo stesso, un miglioramento logistico ed organizzativo. Il personale medico e infermieristico dei team vaccinali è quotidianamente impegnato a favore dei cittadini per chiarimenti e rassicurazioni sulla vaccinazione, che al momento risulta essere il mezzo più efficace a contrastare la pandemia in atto. Si è provveduto a vaccinare il personale docente e non docente delle scuole statali e non, dell’Università, di età compresa tra 18 e 54 anni senza patologie. È stata avviata anche la campagna per il personale delle Forze dell’Ordine, Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza e gli altri Corpi. Il Piano Vaccinale Umbro, elaborato in base al Piano del Commissario Straordinario in armonia con il Piano Strategico Nazionale del Ministero della Salute, fissa le linee operative per la somministrazione capillare, integrata e multicanale
INFERMIERISTICHE TERNI del vaccino al fine di completare al più presto la campagna vaccinale. “L’iter vaccinale è un percorso complesso, prossimamente si procederà con la somministrazione della prima dose a tutte le categorie che il COR ritiene prioritarie” -afferma Paolo Sgrigna coordinatore infermieristico del Poliambulatorio e Punto vaccinale della Asl di Viale Bramante. "L’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Terni ribadisce l’importanza della vaccinazione, con la consapevolezza che essa porterà benefici diretti ai soggetti vaccinati e alla società. Oggi è urgente che la somministrazione delle vaccinazioni prosegua velocemente al fine di raggiungere entro giugno l’immunità di gregge" -queste le parole della presidente Emanuela Ruffinelli. Un anno fa in questo stesso periodo avveniva l’identificazione della sequenza del genoma virale del Sars-Cov2, condizione che dette inizio alla sperimentazione del vaccino per contrastare il Covid-19. Siamo attualmente in una fase cruciale che può segnare la svolta decisiva dopo un anno di emergenza ed in questo momento la vaccinazione è sicuramente la strada più giusta da percorrere per ritornare ad una routine di vita paragonabile a quella
antecedente la pandemia. Un anno … è passato solo un anno da quando i telegiornali ci mostravano le immagini delle bare delle vittime che affollavano le palestre e ogni altro spazio disponibile. Il ricordo di quei giorni non può e non deve essere solo di chi ha perduto un familiare, un amico, un collega, ma deve costituire una memoria collettiva in quanto ormai è storia del nostro Paese. La memoria di quei giorni da adesso in poi sarà per noi il 18 marzo.
GIORNATA DEL 18 MARZO Il 18 marzo è la data che da quest’anno verrà commemorata come “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia da Covid-19”. Una data simbolo di tutta l’emergenza sanitaria, ed è il giorno in cui le immagini della colonna di camion dell’Esercito Italiano con a bordo le salme delle vittime di Bergamo facevano il giro del mondo. La giornata sarà celebrata ogni anno e sugli edifici pubblici saranno esposte le bandiere a mezz’asta. Tale commemorazione vuole essere un degno saluto alle moltissime vittime civili e allo stesso tempo un messaggio per sensibilizzare tutta la popolazione sull’emergenza sanitaria ancora in corso.
Con l’augurio che la Santa Pasqua sia una festa di rinnovamento delle nostre esistenze personali e professionali… Una vittoria della vita contro l’ombra di sofferenza che ancora, tristemente, ci avvolge… Una luce oltre il tunnel di buio che sia segno di speranza e di resurrezione per l’umanità nella sua interezza. Consiglio Direttivo Commissione Albo Infermieri Collegio Revisori dei Conti Personale Amministrativo Ordine delle Professioni Infermieristiche di Terni
33
UNA VISITA STORICA “all’ANIMA” DI TERNI
ricordi di 40 anni fa
Giacomo PORRAZZINI
34
19 marzo 1981; quaranta anni dalla visita di un Papa nella nostra città. Non un Papa qualunque, ma un leader mondiale, una guida forte del cattolicesimo, un percorso di testimonianza di fede e di servizio alla Chiesa che l’avrebbe portato agli altari della Santità. Era venuto in visita a Terni, su iniziativa del Vescovo ternano del tempo, Mons. Santo Quadri, per festeggiare, con i lavoratori ternani, presso la nostra storica Acciaieria, la festa del lavoro, nel nome del carpentiere Giuseppe di Nazareth. Terni per un giorno diventava la capitale mondiale del lavoro. Ebbi, da Sindaco di Terni, il privilegio di riceverlo a nome della intera comunità cittadina; una emozione ed una responsabilità assai forti. Dovevo rappresentare, al Papa Giovanni Paolo II, Terni storia e identità, Terni difficile presente di incertezza e di lotta per il lavoro, Terni proiezione verso il futuro; tutto all’insegna della grande tradizione ternana del lavoro manifatturiero, dell’acciaio e della chimica, per cui era nota nel mondo. Era un giorno di vento fresco e di luce accecante; le folate scuotevano il palco dell’accoglienza che brillava come sotto ai riflettori, davanti ai cancelli della grande fabbrica di Viale Brin. Non avevo un’idea sicura di come ci si rivolge ad un Papa. Gli porsi il benvenuto della città, con un abbraccio ideale e saluto filiale e fraterno dei ternani, tutti, provando a comprendere, in quei due aggettivi, le sensibilità di credenti e di laici. Esposi i tratti salienti della identità di un città del lavoro industriale, della solidarietà operaia e della pace, richiamando il tributo di vite e di devastazioni belliche che Terni aveva pagato per essere una delle capitali industriali dell’Italia; ma anche il valore identitario della lotta per riconquistare la libertà dalla dittatura e l’orgoglio per lo sforzo immane di ricostruzione; sottolineai i problemi aspri di quella fase di grandi ristrutturazioni nella siderurgia europea ed italiana che metteva a rischio migliaia di posti di lavoro ed il futuro stesso della città e provai ad indicare il percorso della comunità verso un futuro basato ancora sul significato fondante del lavoro. Ma, mi rivolsi a Lui anche nella sua veste di “cittadino del mondo” che poteva aiutarci a collocare e comprendere meglio i nostri problemi, nel quadro dei grandi eventi internazionali di quel tempo che aveva già in grembo la gestazione di rivolgimenti epocali, che riguardavano anche il modo di considerare e tutelare il lavoro. La situazione era ben diversa da quella di 124 anni prima, quando l’ultimo Papa, Pio IX,
prima dell’Unità d’Italia, era venuto a Terni per visitare le “sue grandi ferriere” che sorgevano davanti alla Stazione ferroviaria. Nel 1857 era giunto a Terni, non solo un Papa, ma, un Monarca dello Stato Pontificio che, raccontano le cronache di quella giornata, era il 16 maggio: “… si compiacque di ammettere al bacio del piede…” i massimi rappresentanti della comunità locale. Tra Papa Wojtyla e me, Sindaco, bastò una vigorosa stretta di mano. Tanta acqua, in poco più di un secolo, era passata sotto i ponti. La Chiesa bimillenaria si era dovuta confrontare con le sfide aspre del “secolo breve”; aveva dovuto rimettere in discussione tante certezze ossificate e riscoprire la forza del messaggio evangelico per tornare a capire e dialogare con il mondo della difficile modernità. La rivoluzione industriale, l’avvento, sulla scena, della borghesia capitalistica, d’imprese moderne e di masse operaie sfruttate ed in lotta, la scienza e la tecnica con il loro potere trasformativo, il pensiero socialista internazionale, la cultura mondiale che circola più liberamente, il lavoro e la nuova dignità sociale e familiare delle donne, la secolarizzazione della società, che si è fatta avanti in modo prepotente, accompagnata spesso da tragedie epocali, come guerre mondiali, dittature e genocidi inenarrabili.
La Chiesa non si difende più dalla modernità, ma, prova a far avanzare nelle società e nella stessa vita pubblica, le sue risposte ai problemi di questo tempo di passaggio. La vicinanza del Magistero papale al mondo del lavoro, solennemente riaffermata a Terni, dal Papa Giovanni Paolo II, il 19 marzo 1981, sta dentro questo percorso di incontro, necessariamente dialettico, fra Chiesa, custode dei suoi valori evangelici e modernità che spesso ne prescinde o li sfida. Anche la città ospitante, Terni, in quei 124 anni, aveva avuto come dei secondi natali; da un piccolo borgo, pur con tradizioni metallurgiche antiche, da 10.000 abitanti era passato a 113.000. La sua economia si era inserita nel grande ciclo nazionale ed internazionale dello sviluppo industriale, trainato dagli spiriti del capitalismo industriale e dalle politiche di potenza e militari degli Stati nazione. Terni ne uscì radicalmente mutata, non solo nell’economia, ma nella struttura sociale e nelle culture di riferimento; fra queste, certo, la cultura del movimento operaio, socialista e comunista che si rende protagonista della ricostruzione e dello sviluppo post-bellico della città, per farla “più bella e più grande”. Accolsi a Terni il Papa, sentendomi anche portatore di quella esperienza e di quella funzione alta di rappresentanza. Tuttavia, quella visita storica cadeva in un momento di nuova e grande difficoltà per la vita della fabbrica ternana degli acciai speciali. La siderurgia europea stava dentro un grande processo di ristrutturazione e ridimensionamento, quale conseguenza dell’inserimento delle siderurgie nazionali nel nascente mercato unico europeo. C’era grande incertezza, proprio perché le leve delle decisioni sembravano essere passate in mani diverse da quelle dello Stato nazionale e delle sue forze politiche e sindacali, tanto più delle Istituzioni locali. Difendevano, gli operai e la città, la specificità e specialità della produzione siderurgica ternana: la loro storia ed il loro futuro. Gli operai, nei discorsi ufficiali e poi nello scambio informale di battute, alla mensa, con l’ex operaio Wojtyla, chiedevano al Papa rassicurazioni, giudizi sulla propria lotta (l’indomani sarebbero andati a Roma a manifestare); chiedevano l’alto conforto di una speranza e di una vicinanza. La forza della classe operarla delle Acciaierie sembrava incrinarsi davanti
al cambio di scenario e di interlocutori cui erano di fronte; era quasi struggente vederli rivolgersi al Papa, per avere un conforto contro le paure e le incertezze che li attraversavano. Si stava chiudendo un ciclo e ne sentivamo, a Terni, le prime avvisaglie, anche se confusamente. Il Papa parla la loro lingua, dice loro che sono portatori del bene comune della società, che giusto salario e sicurezza sono loro diritti. L’impegno dei cristiani e quello degli uomini, aggiunge, potevano convergere per il bene comune. La Chiesa aveva scelto Terni, il valore simbolico della sua storia e della sua cultura del lavoro ed i suoi operai, per rilanciare questo suo approccio ai temi più cruciali e controversi della modernità, nel rapporto fra Stato, mercato, capitale e lavoro. Il Papa era venuto a Terni, fra le tute blu di Viale Brin, Lui, già operaio polacco in miniere e stabilimenti industriali, per ribadire la vicinanza della Chiesa. Sono con Voi, disse, perché il lavoro ha un valore etico primario insostituibile, oltre ad una fondamentale funzione sociale ed economica; dà dignità e senso alla vita stessa. Certo, oggi, Terni guarda alla sua Acciaieria, il cui futuro sembra appeso a decisioni lontane che stentano a venire, ma guarda anche verso nuove tipologie ed opportunità dello intraprendere e del creare lavoro; la nuova rivoluzione industriale che deve accompagnare la transizione ecologica dell’economia, le innovazioni tecnologiche che distruggono e creano lavoro, i nuovi settori della quarta rivoluzione industriale. Tuttavia quel passato che è ancora con noi e che il Papa ha riconosciuto ed onorato, quel patrimonio sociale e culturale del lavoro di fabbrica non può e non deve essere marginalizzato o disperso. Il secolo della industrializzazione ha compiuto questo peccato di orgoglio verso la storia preindustriale di Terni. Occorre non ripeterlo, se e quando la città riuscirà ad incamminarsi verso nuovi sentieri dello sviluppo. Il lavoro, qualunque esso sia, resta un produttore di senso ed un grande tutore della dignità umana. Quel 19 Marzo 1981, sono certo che gli operai compresero che stavano vivendo una pagina di storia che partiva dal valore del loro lavoro quotidiano per portarlo in una dimensione simbolica universale. Poi, si sa, si spengono le luci e gli entusiasmi, la vita riprende le sue dimensioni più aspre e concrete; il giorno dopo devi sapere se vai in Cassa integrazione o perdi il lavoro; devi sapere quanto ci sarà nel tuo 27, per la tua famiglia. Rischi, da operaio di ricadere, con la tua opera silenziosa e diuturna, nell’oblio. Ne parlava da par suo, di questa “sorte avversa” dell’operaio un grande tecnico, manager, ingegnere, storico dell’industria, poeta, come Gino Papuli, che guardava al lavoro operaio con lo scandaglio inarrivabile della poesia. Suoi sono questi versi dedicati all’Operaio ignoto: I pensieri, i sudori, le voci sono persi per sempre Il vostro seme ha, forse, progenie ignara o sorda Siete una moltitudine, una folla d’ignoti: genii misconosciuti, modesti aggiustatori, Appassionati all’arte o ingegnosi ideatori D’utili alternative Le fortune del mondo non furono propizie al vostro andare Né, il cantore ebbe cura di Voi Per un giorno almeno, il 19 marzo 1981, gli operai ignoti delle Acciaierie, carne e sangue della nostra comunità, trovarono un cantore d’eccezione, il Papa; l’eco tuttora non si è spento.
35
La funzione sociale dell’albero amico dell’UOMO C
'è un imperativo urgente che la scienza pone alla pratica e quindi alla politica dei grandi decisori mondiali: salvare la terra dalle calamità derivanti dal riscaldamento globale che l'effetto serra produce, principalmente per causa del crescente livello delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera. È questo il riassunto del problema che dovrebbe rendere agitate le notti della matura generazione e delle altre iniziate da poco. Per esempio, se la fame di energia accresce le emissioni nocive, è utile orientarsi verso l'utilizzo delle fonti alternative. E allontanarsi così dall'uso delle materie prime fossili. Diventa dovere civico anche l’uso massiccio delle aree verdi nell’interesse dei cosiddetti urbanizzati, ridotti a respirare in un ambiente dove sono presenti ormai sempre più rare tracce di ossigeno. Così milioni di viventi sbarcano il lunario. Allora, non appare marginale la presenza del verde urbano negli “agglomerati cittadini” (molti sarebbe meglio definirli “ammucchiati cittadini”). Ed ecco il suggerimento: inserire l’amico albero nell’azione di lotta continua all’inquinamento, come arma tattica non marginale. Perché, l'albero assolve a diverse funzioni: assorbe la CO2, protegge dai dissesti idrogeologici, produce effetto estetico e tutela il valore immobiliare. Insomma, un insieme di positività da tenere in debita considerazione nel pianificare il territorio. Si conosce pure la graduatoria delle essenze arboree di maggiore efficacia nella crociata antismog. Sui tre gradini del podio sono stati posti il bagolaro, il platano e il frassino. Che pare garantiscano pure vantaggi economici annuali nella seguente misura: 124 euro il platano, 130 il bagolaro e 126 il frassino. Dietro queste indicazioni ci sono le ricerche di eminenti botanici e climatologi, i quali hanno aggiunto, in forma di avviso ai naviganti, che, in Italia, “circa 12 milioni di tonnellate di anidride carbonica vengono assorbiti dalle aree destinate a verde”. Addirittura sostengono che l’ombra degli alberi abbia effetto sull’equilibrio psichico e sui consumi energetici. Sembra fantasia, invece pare sia vero. In tale dimensione culturale avanzata che individua nell’albero un amico fedele dell’uomo, entrano alcuni “presidi naturali” come il controllo dello stato di salute vegetale delle piante, la loro corretta manutenzione, la complessiva gestione forestale, legata anche alla durata di vita delle singole essenze verdi. Ci sono infatti alberi che crescono lentamente, però assicurano la funzione per decenni. Un altro carattere particolare fa classifica: il tipo di foglie e fronde, unito all'adattabilità e alla robustezza da valutare a seconda delle esigenze ambientali. Il verde del bosco, per esempio, sa di quiete e favorisce il ristoro nel silenzio;
36
Adriano MARINENSI
in tempi remoti, anche la meditazione ascetica negli eremi di montagna, ebbe luogo privilegiato in mezzo alla natura boscosa. In quanto al calcolo dei costi-benefici, sostengono ancora gli esperti, è stato dimostrato che una attenta ed efficace politica di promozione del verde pubblico accresce la qualità del progetto amministrativo a livello locale. Per sviluppare l'interesse dei privati -mi permetto di aggiungere- chissà che sia utile prevedere contributi economici: se sono concessi incentivi a chi cambia la vecchia automobile con altra meno inquinante, la stessa partecipazione alla bonifica dell'aria svolge l'albero in più, messo a dimora nei giardini privati. In un recente articolo, Giacomo Porrazzini -il quale non per caso, ma per merito è stato Sindaco di Terni- ha parlato di un modello di sviluppo per una città rinaturalizzata da grandi progetti di forestazione urbana. Ho visto il contrario proprio a Terni, dove si abbattono pini a viali interi, soltanto per punire le radici che fanno sobbalzare il traffico. Siamo tra le città con il maggior numero di sforamenti annuali delle polveri sottili. A proposito, il dato che ci viene dall’Europa fa paura: Nei Paesi dell’Unione, muoiono, ogni anno, 700.000 persone per gli effetti nocivi delle PM 10 o 5. Quindi, qui da noi, occorrerebbero interventi correttori di maggiore efficacia oltre quelli (palliativi) già adottati. Credo perciò che tutto quanto indicato da scienza e conoscenza sul tema della coltivazione e tutela del verde, andrebbe fatto studiare a memoria a chi detiene (spesso indebitamente) la “delega politica di settore" ed ai tecnici aventi la responsabilità d'esecuzione. I ternani tutti, costretti a respirare a fatica, ne avrebbero molto da guadagnare. La mia chiusura è affidata ad un pensiero fugace intorno al titolo di giornale, pescato scartabellando il mio archivio di cose inutili. Si riferisce all’Italia di una dozzina di anni fa. Dice: “I dieci più ricchi valgono 500 mila famiglie operaie”. Significa che, nel nostro Paese, assai di recente, c'è stato un periodo di pesante ingiustizia sociale. Quel manipolo di straricchi tenevano in cassaforte il tesoro di Paperon de’ Paperoni. Uno dei valori fondamentali della democrazia, cioè l'equa distribuzione della ricchezza, non era praticato. Anzi disconosciuto. Osservazione: Si tratta però di un dato statistico ormai invecchiato. Osservazione respinta: Visti i danni provocati dall’emergenza sanitaria in termini di occupazione cancellata e di nuova povertà inflitta ad una infinità di famiglie rimaste senza reddito, la riflessione più probabile è che quell’enorme fossato economico e quindi civile, abbia subìto un allargamento. A tutto danno dei ceti più deboli.
S T U D I O
VivoGreen ZER O R IFIU TI . Z E R O S P R E C H I . Z E R O F I L A Ordina ON L INE su l no s tro si to w w w.vi vo g reen . i t TAKE AWAY - GREEN DRIVE - CONSEGNA A DOMICILIO Ordina al 0744 081949 al CENTRAL PARKING. 1H ogni €20 di spesa.
PARCHEGGIO GRATUITO www.vivogreen.it - VIA CASTELLO n.37 - Terni
www.lenergia.eu - info@lenergia.eu
37
SI CHIAMAVA DOROTHEA
Vittorio GRECHI
S
i chiamava Dorothea ed era una bella ragazza di Montefranco. Forse la sua famiglia non era ricca, ma benestante di sicuro. Negli anni ’60 del 1800 trascorreva la sua vita di paese tra le faccende domestiche, le chiacchiere con le amiche, la Messa domenicale e nelle feste comandate. Aveva l’età da marito e l’amore era l’argomento principe tra le ragazze quando si incontravano. Non c’erano tutti i mezzi di comunicazione di adesso, c’erano solo le regie poste, l’incontro a tu per tu o qualche ruffianata. Era primavera e a Pasqua mancavano ancora due settimane, ma tutti i possessori di olivi avevano assunto i braccianti agricoli per la potatura, specialmente quelli che avevano promesso al prete della propria parrocchia un congruo quantitativo di fronde da benedire per la domenica delle Palme. La domenica era festa per tutti e gli operai scapoli che venivano dagli altri paesi del circondario avevano riempito il paese e le osterie in attesa di recarsi a Messa. Tutti si erano vestiti con il meglio in loro possesso e aspettavano di vedere le ragazze montefrancane. Dorothea, appena uscita dalla sua abitazione con i suoi, si mescolò con alcune sue amiche e tutte a braccetto si incamminarono lentamente verso la chiesa. Con la coda dell’occhio sbirciavano se venivano guardate dai giovanotti che bighellonavano per la strada. Dorothea si era vestita con un nuovo abito molto elegante e lo specchio l’aveva rassicurata sulla figura che avrebbe fatto passeggiando per il paese. Un giovanotto sconosciuto, con qualche anno più di lei, si avvicinò seguendole e motteggiando sugli abbigliamenti di ciascuna, lodando prevalentemente quello di Dorothea, il suo modo di camminare e confidando a bassa voce, ma in modo che tutte sentissero, che era rimasto folgorato dalla sua bellezza. Con un colpo di gomito, l’amica di sinistra attirò la sua attenzione e le sussurrò all’orecchio in dialetto stretto: “A quistu me sa che je piaci parecchiu perdero.” [“A questo mi sa che le piaci parecchio per davvero”]. Dorothea si voltò impercettibilmente verso destra, sbirciò il giovanotto che continuava a fare moine e complimenti spiritosi che provocavano risatine tra le sue amiche, notò l’abbigliamento stazzonato e povero e rivolta alle compagne sussurrò:” Ma chi? Quigliu?- e fece una smorfia- Quigliu non me lu sposaria mancu ce n’issi fatti tredici!” [“Ma chi? Quello? Quello non me lo sposerei nemmeno se ce ne avessi fatti tredici (sottinteso: figli)”]. Il proverbio dice: chi disprezza compra. Si sposarono e ci fece tredici figli, otto dei quali morirono appena nati o giù di lì. Ma la storia è molto più complicata, come tutte le storie d’amore che si rispettino. La sera stessa si venne a sapere che quel bracciante era di Arrone, anzi di una piccola frazione di Arrone detta Vallelutra (dal latino valle della lontra?). Questa origine era una specie di impedimento al matrimonio, secondo il campanilismo dell’epoca tra i due paesi. Bisogna risalire molto indietro nel tempo per capirne il motivo. Secondo gli storici più accreditati, intorno all’880, il nobile Arrone, figlio di Lupone, proveniente da Roma, si impossessò del colle che da lui prese il nome e vi costruì un castello fortificato, dal quale egli e i suoi discendenti si mossero per estendere il dominio sulle terre circostanti. Andò loro bene per circa 400 anni finché Spoleto non decise di prendere il controllo della Valnerina. Nel 1228 un congruo
38
numero di famiglie di semi liberi arronesi, servi e artigiani, fuggirono dal Castello di Arrone e si rifugiarono nella parte opposta della valle, in alto sul colle Bufone. Spoleto, in cambio di un atto di sottomissione, autorizzò la costruzione di abitazioni e la cessione in perpetuo del Monte con ogni franchigia e libertà. Fu chiamato Montefranco, perché gli uomini che vi si erano stabiliti si erano affrancati dagli Arroni. Gli Arroni confiscarono loro i pochi beni che avevano lasciato e da quel momento iniziarono i colpi di mano, le razzie e i dispetti tra i due paesi vicini. Il popolo di Arrone li considerava astuti commercianti che avevano tradito in cambio di vantaggi economici. Col passare del tempo, il campanilismo si stratificò da entrambe le parti, assumendo anche un carattere ridanciano e pieno di sfottò. E ci andarono di mezzo proprio le campane! Il suono di una campana montefrancana sembrava voler dire, a detta di molti, che tutte le donne di Arrone fossero puttane. Irato per l’affronto, il grosso campanone arronese rispondeva per le rime con: Se so’ puttane vedemolo mbooooommmmm! E il culmine si raggiungeva con le barzellette tipo: Quanno l’americani so’ arriati su la Luna c’hanno trovato un montefrancano che vennéa le bbibbite (quando gli americani sono arrivati sulla Luna, hanno trovato un montefrancano che vendeva le bibite). Ecco rispuntare la caratteristica peculiare attribuita ai montefrancani: avere il pallino del commercio. Riprendiamo allora la storia di Dorothea. Dopo sposata andò ad abitare col marito a Vallelutra e tra un figlio e l’altro si occupava di un piccolo orto irriguo prospicente la casa. Il marito continuava a fare il bracciante agricolo e quando poteva la aiutava. La moglie raccoglieva i prodotti dell’orto in esubero rispetto alle necessità familiari e andava a venderli in piazza. Col ricavato comprava lana, rocchetti di filo e stoffe che poi rivendeva alle vicine, finché non aprì una vera e propria merceria ad Arrone. L’idea dimostrò di essere quella giusta, perché vendeva molto e con questa attività riuscì a mandare avanti la famiglia, a fare la dote alle tre figlie e alla fine anche a costruirsi una cappella al cimitero con posti per tutti, maschi, femmine e relativi coniugi. Molti discendenti di Dorothea hanno ereditato sicuramente almeno un friccico di DNA atto al commercio di cose e di idee, visto che tra loro ci sono gestori di negozi, ristoranti e frantoi, insieme a artigiani, imprenditori agricoli, insegnanti, militari e sindacalisti. Perfino uno che ha trascorso quasi tutta la vita lavorativa a vendere solamente idee con l’aulica definizione di Informatore Scientifico del Farmaco, chiamato però dalla multinazionale americana, molto più prosaicamente Salesman, cioè venditore!
STADIO