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Numero 183 Marzo 2021
Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
I fiori del bene. La bellezza per la futura Terni.
Fisioterapia e Riabilitazione
Zona Fiori, 1 - Terni - Tel. 0744 421523 - 0744 401882 www.galenoriabilitazione.it Dir. San. Dr. Michele A.Martella - Aut. Reg. Umbria DD 7348 del 12/10/2011
Marzo 2021
Andavamo a fare una vascata
L'Anima e la Mente L. Santini
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni. Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 Tipolitografia: Federici - Terni DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafica e impaginazione Provision Grafica Editrice Projecta di Giampiero Raspetti 3482401774 - info@lapagina.info www.lapagina.info Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.
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G. Raspetti
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Contando gli elefanti sul Mar d'Azov
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Cambiare si può!
F. Patrizi
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V. Iacobellis
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3. VIVO GREEN 5. CNA 7. ARCI 8. La human library A. Melasecche 9. CMT 11. LENERGIA 11. LIBEROVO 12. Strategia del sapere E. Squazzini 13. PIERA Salute e Bellezza 13. La reggìna tirànna P. Casali 14. Marzo: il mese delle DONNE L. Fioriti 15. Terapia rigenerativa nell'artrosi V. Buompadre 15. Diagnosi prenatale G. Porcaro 16. Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni 18. 2021 prospettive per una nuova ricostruzione PL. Seri 19. AUDIBEL Apparecchi acustici 19. VILLA SABRINA - residenza protetta 20. Il Lavoro è la priorità d'ogni progetto politico A. Marinensi 21. La "TRANSIZIONE" urbana di Terni G. Porrazzini 22. E se fosse un viaggio...? M. Neri 26. Hermannus Contractus M. D’Ulizia 28. Luna calante e luna crescente V. Grechi 29. RIELLO Vano Giuliano 29. SIPACE Group 30. PER UN VIAGGIO CHIAMATO AMBIENTE 32. BMP elevatori su misura
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ANDAVAMO A FARE UNA VASCATA "
Loretta SANTINI
Andiamo a fare una vascata”: questo era il modo di dire tutto ternano dei giovani - non so se l’espressione sopravvive ancora oggi che si incontravano il pomeriggio e percorrevano corso Tacito in su e giù paragonandolo alle vasche della piscina. La strada era il luogo di aggregazione dei ragazzi che ridendo, chiacchierando e spesso sproloquiando, scherzando, litigando, a coppie o in gruppo, animavano con il loro vociare il centro cittadino. Gli anziani e i vecchi in genere si incontravano in piazza tutti fermi a la “sperella” (altro termine tipicamente ternano per dire “al sole”) o seduti sulle panchine di marmo. Loro non avevano le stesse energie per percorrere corso Tacito e lì, come nelle antiche agorà o nel foro, discutevano di politica, di sport, ricordavano la guerra, la fame, il lavoro e intanto osservano i giovani con un misto di ammirazione e di invidia, molto spesso criticando il loro abbigliamento, i capelli, i loro discorsi ritenuti “vuoti”. Nei tempi passati non c’erano i telefonini e quindi c’era un tacito appuntamento di incontrarsi al Corso, senza un’ora certa, tanto prima o poi, a forza di fare su e giù ci si vedeva.
La vascata avveniva di pomeriggio, mai dopo cena se non il sabato e generalmente era riservata al sesso maschile perché le ragazze non potevano uscire. Era un ritrovarsi in piazza o per strada e, per meglio dire, un andare in piazza per ritrovarsi, per scambiare parole, sentimenti, esperienze, opinioni, disagi, paure, risate, confessioni, progetti. Sì perché la strada e la piazza sono da sempre luogo di incontri, sono un momento di collettività urbana e fin dall’antichità hanno svolto un ruolo sociale e culturale notevole in quanto luogo di aggregazione e di confronto. E oggi? Oggi c’è lo stesso innato e insostituibile desiderio di aggregazione. Certamente sopravvive l’abitudine di incontrarsi non solo in corso Tacito, ma in altre strade, in altri luoghi (discoteche, pub, bar, centri sportivi). È la cosiddetta movida, un termine mutuato dall’esperienza spagnola degli anni Settanta riferibile a un movimento socioculturale- artistico e oggi usato per definire la vita notturna delle nostre città all’insegna del divertimento e dell’animazione: gruppi di ragazzi, anzi moltitudini di ragazzi, sciamano da un bar a un pub a una discoteca. In questo periodo così inatteso e così stressante di pandemia da covid, la strada e la piazza sono luoghi deserti. Se a questo si aggiunge anche la sospensione degli incontri a scuola, i giovani soprattutto sono caduti in una specie di crisi di astinenza. A consolarli c’è oggi un’altra grande grandissima piazza, un’altra lunghissima strada o un altro immenso luogo di incontro: sono gli ambienti digitali dove i giovani si incontrano, parlano, discutono, socializzano, si innamorano e si lasciano, si scambiano opinioni, si difendono dalla solitudine e dalla timidezza o si rendono protagonisti di iniziative confrontandosi senza riserve o remore. I social network sono divenuti spesso una specie di surrogato delle piazze assumendone i caratteri e le funzioni. Ma non basta: c’è sempre bisogno di un contatto fisico, di guardarsi negli occhi e captare ciò che uno schermo non può dare, di camminare insieme, di sedersi sulle sedie di un bar o sulle panchine o sulle scalinate o sui bordi dei marciapiedi. Quando tutto sarà finito, torneremo a fare una vascata a corso Tacito, a ripopolare le piazze oggi ridotte a meri spazi vuoti o a fare gli assembramenti per le vie del centro davanti ai pub. L’uomo è un animale sociale e ha bisogno di restituire fisicità alle relazioni.
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L'ANIMA e LA MENTE La pandemia accelera il futuro, un futuro dettato, in gran parte, dalla digitalizzazione, fenomeno abbastanza recente che, volenti o nolenti, rimodella usi e costumi, azioni e pensieri, mondo del lavoro e mondo sociale. Le nuove città che edificheremo dovranno tener conto soprattutto della digitalizzazione e delle sue conseguenze: quasi a nulla valgono oggi strade aggiustate, 4 lucette e un po' di crustula pueris, magari con aggiunta di qualche cattedrale del deserto. Siamo sommersi da cellulari di ogni tipo, da personal computer, da tablet… ed è lì che i giovani trovano un mondo, inusuale ai tempi della nostra gioventù, che li ricovera. Lì insolite e pericolose amicizie, inedite esperienze, nuovi legami e desideri inconsueti. Tutti noi trascorriamo moltissimo tempo on line, 24 ore su 24, per scelta, per diporto, per necessità, per obbligo. Lavoro, acquisti, prenotazioni, comunicazioni, giochi: tutto ormai avviene prevalentemente davanti a uno schermo, sedendo o camminando, soli o in compagnia, ma sempre all’interno di una dimensione immateriale nella quale rimaniamo ormai, completamente ed irresistibilmente, avvolti. Molti possono essere i pericoli rispetto alla tradizionale maniera di vivere e di concepire fenomeni e noumeni. Essendo infatti avviluppati nell’infosfera subiamo delle influenze nascoste e, se non si è molto vigili nell’adottare necessarie cautele, saremo soggetti a controlli e pressioni da parte di chi ci consegna tecnologia e poi ci appioppa a chi gestisce nostri dati personali, in particolare orientamenti culturali, politici, religiosi, sessuali, simpatie ed idiosincrasie. Tutto questo, trasformato in Grandi Elenchi di Dati, è raccolto da aziende, istituzioni pubbliche e partitiche che, con immediatezza, ci sommergono di proposte, di fake news e di massicce dosi di oggetti da acquistare o da idolatrare. La nuova tecnologia digitale modificherà le nostre strutture cerebrali, proprio per l’isolamento davanti a uno schermo, dove aumentiamo le esperienze virtuali, ma diminuiamo a dismisura quelle reali. Ci si intrattiene anche in variazioni sulle modalità d’amore comunemente esercitate, sostituendole con nuove alchimie virtuali! Il rischio è anche quello di perdere o fiaccare sentimenti come la solidarietà, la socialità, la comprensione reciproca, perché immersi in una rappresentazione dei fatti sempre più convenzionale e standardizzata. Il mondo sembra così essere tutto davanti a noi, ma le esperienze dirette si restringono, fino, a volte, a scomparire del tutto. Domando: ma davvero riusciamo a capire quello che sta avvenendo? Abbiamo tutti intelligenza e cultura tali da poter comprendere, fare inferenze, stabilire una gerarchia di significati, formulare concetti astratti, elaborare una
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Giampiero RASPETTI
visione del mondo articolata, complessa, critica? Questo è un interrogativo! E ancora, con riferimento particolare alla nostra città: cosa sarà del commercio? Come cambieranno mobilità e configurazione stessa di Terni? Sapremo misurarci con l’impresa verde, l’economia circolare, la transizione energetica? Sapremo sciogliere il grandissimo nodo della sanità pubblica, senza assoggettarla alla sanità privata, se non, eventualmente, a quella illuminata, agente cioè esclusivamente con risorse private? Per non parlare poi di tutti gli altri Grandi Interrogativi che attengono alla nostra vita sociale, concreta, ma anche sentimentale ed intima. Credo dovremo abituarci, in molti, a lavorare a distanza, con uno scadimento del rapporto diretto amicale e conviviale. Anche per gli spettacoli e per alcuni sport dubito fortemente potrà esserci ancora l’ammassarsi uno a contatto dell’altro che avevamo nei teatri e negli stadi. Avremo invece bisogno di un ambiente sano e di città con meno rumori e più suoni, zero fetori e innumerevoli profumi. Una città che si estenda nella campagna e una campagna che penetri in città. Pensare ad altre faccenduole senza cercare di avviare a buoni esiti tutte queste problematiche significa soltanto prendere per i fondelli, se stessi e gli altri, od anche menare il can per l’aia nel fare altro, proprio per nascondere l’incapacità di risolvere i veri problemi che la pandemia, la digitalizzazione, il futuro stesso stanno imponendo! Prima allora di disegnare muretti, stradine e magazzini occorrerà interessarsi dell’anima e della mente della città futura. Poi verranno gli arti. Terni è, in questo, davvero unica e privilegiata: l’anima è rappresentabile con il gigantesco Valentino, la mente con il grandissimo Virgilio, i nostri veri Numi Tutelari. Senza questi formidabili apporti si gira disperatamente a vuoto, anche con eventuale e sperabile padronanza della tecnologia digitale e dei suoi macroscopici effetti!
Covid, Arci: “le nostre sedi e i nostri volontari a disposizione delle istituzioni per la somministrazione di tamponi e vaccini”
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rci è pronta ad aiutare le istituzioni, nei limiti delle proprie disponibilità di sedi e di volontari distribuiti su tutto il territorio nazionale, per quanto attiene a una azione di supporto alla Protezione Civile, alle Ats e al Ministero della Salute per la somministrazione di tamponi e vaccini. Una scelta nata dalla consapevolezza dell’importanza del piano vaccinale, che sta procedendo a rilento tra tagli e ritardi nella consegna delle dosi, e dalla volontà di continuare a svolgere la propria funzione sociale di prossimità e solidarietà. Circoli e sedi Arci spesso molto ampi, che non si trovano in condomini e che in molti casi possiedono cortili o giardini, dove poter allestire tende per il triage, per supportare il personale medico e i medici di famiglia nell’azione di somministrazione dei vaccini Moderna e AstraZeneca, che non prevedono basse temperature di conservazione, e di tamponi rapidi. Senza creare assembramenti e nel pieno rispetto del distanziamento e delle misure per la tutela della salute individuale e collettiva.
per tantissimi cittadini. Un presidio della solidarietà, del mutualismo e della coesione sociale in una fase in cui le comunità fanno sempre più fatica a mantenere legami. Già durante il primo lockdown, da marzo a giugno dello scorso anno, Arci ha mobilitato migliaia di volontari auto-organizzati che hanno dato vita a centinaia di progetti in tutta Italia per sostenere il contrasto alla solitudine e alla povertà, aggravate dall’emergenza sanitaria, e collaborando con la Protezione Civile e con le istituzioni locali per la distribuzione di pacchi alimentari, pasti, medicine e dispositivi di protezione individuale. Attività che stanno continuando anche in questi mesi in varie forme, nonostante le enormi difficoltà.
Nonostante la drammatica crisi che da mesi sta attraversando l’Arci, e più in generale il mondo dell’associazionismo di promozione culturale e sociale del Terzo Settore, con i circoli chiusi da ottobre scorso, con tutte le attività sospese e ancora in attesa dei fondi, non vogliamo rinunciare al nostro ruolo, ad essere un punto di riferimento fondamentale
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LA HUMAN LIBRARY S
Alessia MELASECCHE alessia.melasecche@libero.it
i chiama The Human Library (traduzione in inglese del nome originale Menneskebiblioteket, mentre in italiano è la Biblioteca umana), è un’organizzazione nata una ventina di anni fa in Danimarca, a seguito di un evento a sfondo razzista avvenuto a Copenaghen negli anni Novanta. In questa particolare “libreria” i libri sono le persone narranti, l’ascolto si traduce nel prestito, l’ascoltatore è il lettore e il mediatore tra catalogo e lettori è il bibliotecario. Quando il progetto è nato, voleva essere un movimento provocatorio con l’obiettivo di portare le persone fuori dalla propria comfort zone, invitandole a parlare con qualcuno con cui il confronto potesse costituire una sfida. L’iniziativa è oggi presente in 80 Paesi nel mondo. Nella pratica, The Human Library crea uno spazio sicuro per conversazioni personali che coinvolgono almeno due persone che non si conoscono, sedute una di fronte all’altra con 30 minuti a disposizione per condividere la loro storia. Il limite alla durata ha lo scopo di far sì che ciascun lettore possa cominciare a piccoli passi e quindi in modo leggero, anche se poi la maggior parte dei fruitori alla fine di ogni ascolto suggerisce di allungare i tempi della conversazione. Lo stesso libro vivente può essere consultato più volte nell’arco di un numero definito di giorni. Così, ad esempio, nella Biblioteca umana il tema trattato può essere quello dell’autismo, con protagonista chi deve ogni giorno avere a che fare attivamente o passivamente con ciò che questo disturbo comporta, o il tema della disoccupazione, in cui il narratore è una persona disoccupata che si confronta con i lettori, etc. Negli anni il numero di libri viventi è aumentato, così come i titoli, “Non giudicate un libro dalla sua copertina” è il motto della Human Library ed in effetti i titoli dei libri umani sono tutti accattivanti, ma allo stesso
tempo sfidano apertamente stereotipi e pregiudizi di sorta e spesso ci si ritrova di fronte ad esperienze forti e inaspettate. Come nella biblioteca tradizionale chiunque può accedere ai vari titoli disponibili. Allestire una Human Library richiede un grande impegno, una pianificazione attenta e una preparazione accurata. All’inizio di ogni lettura i volontari, ovvero i libri umani, pronunciano a voce alta i dieci Diritti del lettore (stilati da Daniel Pennac all’interno del suo libro Come un romanzo), tra cui ad esempio la libertà di non rispondere a determinate domande e di poter interrompere la conversazione/lettura in qualunque momento, etc. Chiunque può candidarsi a diventare un volontario, ovvero un libro umano se si ha un’esperienza che si ritiene possa essere coerente con gli obiettivi della Human Library e si è chiaramente motivati a condividerla rispondendo alla sfida “Do you defy a stereotype?” ovvero “Ti batti contro uno stereotipo?” che campeggia nella pagina on line in cui si può manifestare la propria disponibilità https://humanlibrary.org/meet-ourhuman-books/get-published/. Chiunque fosse interessato può anche rivolgersi direttamente ai fondatori della Human Library Organization per poter entrare nella rete delle Biblioteche umane, ospitare eventi, creare scaffali e promuovere iniziative. Tutte le informazioni, in inglese, si trovano al link https://humanlibrary.org/humanlibrary-organizers/organizer/.
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Contando gli elefanti sul Mar d’AZOV I
Francesco PATRIZI
n un pomeriggio di marzo del 2019, Tatyana Ganzha vede in tv un’intervista a Vasily Prozorov, ex colonnello dei Servizi di sicurezza ucraini (SBU), il quale ammette l’esistenza di una prigione nascosta dentro l’aeroporto di Mariupol, detta “la biblioteca”, Tatyana rivede la sua cella, era lei uno dei “libri”. L’11 maggio del 2014 stava partecipando, insieme ad altri membri del Partito comunista ucraino, alle manifestazioni che avrebbero portato al referendum di ottobre sulla proclamazione dell’indipendenza dall’Ucraina della Regione di Doneck. Pochi mesi dopo le truppe russe varcarono il confine ucraino per dare man forte ai separatisti. La risposta dell’esercito ucraino fu molto violenta ed iniziò la guerra del Donbass. Mariupol si bagna sul Mar d’Azov, una distesa immobile di acqua color acciaio che dona alla città un clima temperato e l’impressione che il tempo sia sospeso, eppure in quei mesi del 2014 la storia prese a marciare a passo veloce. Questa zona dell’Ucraina orientale è strategica, la terra è ricca di gas e gli scarichi in questo mare interno collegato al Mar Nero, un tempo pescoso, hanno reso le acque velenose. Tatyana trascorre dieci giorni in prigione, le spezzano il
setto nasale, le sfondano il timpano sinistro, le mostrano una stanza di tortura con la motosega, corpi fatti a pezzi e ammassati in fosse comuni, alcuni prigionieri vengono gettati sui cadaveri e lasciati lì per giorni, finché non confessano. Per non perdere il filo dei giorni e per non impazzire, un prigioniero aveva disegnato sui muri della cella degli elefanti, Tatyana li conta e li riconta. Viene rimessa in libertà grazie ad uno scambio di prigionieri, Mariupol è in mano alle scorribande del battaglione Azov, che saccheggia le case dei separatisti, si porta via come trofeo persino i forni elettrici; lei rivede i suoi compagni e racconta quello che ha passato, una ragazza, Natalya Myakota, le dice che è stata lei a disegnare gli elefanti, per passare il tempo, per non pensare. La giornalista Elena Blokha ha raccontato in un libro la sua esperienza: “l’ex colonnello Porozov mi ha rinchiuso in una cella frigo. La mia compagna mi disse che era stata portata due volte alla fucilazione per farle ammettere di voler sabotare la Repubblica popolare di Doneck. Mio figlio mi ha raccontato che, nel reparto maschile, c’era gente con le costole rotte che sporgevano, le gambe spezzate. Mariupol ha pagato per essere stata una delle prime città a riconoscere la Repubblica popolare di Doneck”. Sono state compiute delle atrocità da entrambe le parti, una commissione dell’ONU sta indagando, ma è difficile trovare riscontri che diano veridicità a racconti come questi. Dopo la tregua, hanno continuato a circolare combattenti volontari a viso coperto, altre persone sono scomparse, ancora oggi separatisti e nazionalisti portano avanti un conflitto a bassa intensità. Porozov ha deciso di svelare l’esistenza della “biblioteca”, ma forse l’Ucraina non è ancora pronta a fare i conti con quello che è realmente accaduto davanti al Mar d’Azov.
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Oggi il concetto di biologico non è più una moda, ma un vero e proprio stile di vita. In questo momento come non mai, con il pianeta sconvolto dalla pandemia da Covid-19, l’atteggiamento di sensibilità e rispetto verso l’ecosistema è necessità ormai non procrastinabile. Queste sono le basi sulle quali si fonda e guarda al futuro la Liberovo di Pier Francesco Pennazzi, l’azienda di produzione di uova biologiche situata nelle campagne tra Amelia e Montecastrilli, in provincia di Terni. Da anni la Liberovo abbraccia con tenacia e profonda convinzione tale filosofia aziendale, vivendo in simbiosi con la natura e generando con essa un continuo rapporto alla costante ricerca della sua comprensione, impegno che permea tutte le fasi della produzione, della commercializzazione e del consumo del prodotto, dall’eccellenza della qualità fino all’impiego di packaging eco compatibile che agevoli un corretto e più semplice smaltimento della confezione da parte del cliente finale.
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Viviamo in un mondo che cambia
Strategia del SAPERE N
Enrico SQUAZZINI
on c’è alcun dubbio, la pandemia ci sta veramente sottoponendo a dura prova. Molte certezze che davamo ormai per acquisite sono svanite all’istante, prontamente sostituite da una serie di incertezze con le quali, quasi quasi, stiamo imparando gradualmente a convivere. Ciò nonostante, sono sempre più convinto che questo tragico fenomeno piombatoci fra capo e collo ci stia indicando qualcosa di molto importante: l’opportunità di cogliere un insegnamento. Qualcosa che richiede molto più che un momento di riflessione. Sto parlando dell’importanza che assume il sapere, la conoscenza. Di cosa? Naturalmente del mondo in cui viviamo. Il fenomeno pandemico non è altro che un’espressione, fra le tante, della dinamica del pianeta su cui viviamo. Riflettendoci bene, al di là degli aspetti tragici che ne conseguono, una pandemia da virus costituisce una dimostrazione tangibile dei complessi rapporti di interazione e interdipendenza esistenti fra gli organismi viventi e le dinamiche ambientali in cui sono immersi. Fra quegli organismi ci siamo, ovviamente, anche noi. Ne deriva che farne solo una questione personale, considerando un virus solo un diretto nemico da sconfiggere, non solo è pericolosamente riduttivo, ma potrebbe derivarne una delle tante battaglie che noi umani avremmo perso in partenza. Ciò rende evidente quanto sia opportuno sforzarsi nell’ampliamento della nostra visione del mondo per avere chiaro che la questione non si può ridurre solo alla battaglia del momento, del chi vince su chi altro, ma si gioca sul comprendere di quali strumenti ci dovremmo dotare per rendere meno problematica e traumatica possibile la nostra convivenza con questo mondo. Un mondo che oggi è fatto di virus e domani di qualche altra cosa. Ecco dunque l’insegnamento: puntare tutto sulla conoscenza dei meccanismi naturali che regolano il funzionamento del mondo circostante. In questa conoscenza è racchiusa, contemporaneamente, la possibilità di non subire “ritorsioni” troppo severe dalle dinamiche ambientali e la capacità di sintetizzare vaccini efficaci. Pensiamo alla quantità di virus esistenti in natura e alle cosiddette varianti, e avremo un’idea della portata del problema. I diversi rami della scienza spaziano per tutto il mondo che ci circonda ove, però, le implicazioni sono così tante da risultare inafferrabili in modo completo e con la probabilità che le discipline scientifiche attuali non saranno sufficienti a coprire tutte le esigenze di conoscenza ed approfondimento. È necessario un nuovo forte impulso per la ricerca scientifica da parte di un’umanità che pretende di proiettarsi nel futuro. In un mondo dove ogni meccanismo è legato all’altro, tutte le discipline scientifiche diventano fondamentali assumendo pari dignità, dalle più applicative a quelle finalizzate alla ricerca pura. C’è il rischio che tale distinzione sia soltanto lo specchio dell’ignoranza dell’uomo poiché è nel loro complesso che le discipline scientifiche determinano un “guadagno” in termini di visione generale del meccanismo evolutivo che permea un pianeta e ciò che gli sta intorno. Ritengo che quando saremo entrati in questo ordine di idee, pensando in funzione di una visione che va ben oltre la punta del naso, allora potremo ritenerci parte di un’umanità proiettata verso un futuro di saggezza e speranza. E quando capiremo che il tutto non si riduce alla battaglia fra i sempre più ricchi e i sempre più poveri forse gli umani saranno più umani e potranno sperare anche in un futuro.
Puntare tutto sulla conoscenza dei meccanismi naturali che regolano il funzionamento del mondo circostante
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LA RIGGÌNA TIRÀNNA Sentènno ‘n bo’ quill’aria sopraffìna ch’a pprimaèra tuttu fa sboccia’… ‘n’ape… la più ggrossa la riggìna s’è mmissa ‘n testa a ttutti da sveja’. Vedenno llà ppe’ ‘ttornu tanti fiùri e llì vvicinu ‘n arberu mozzàtu pe’ ffasse ‘n tronu pienu de culùri co’ ttutte ‘ll’andre api cià sciàmàtu. Quill’operaje e gguardie co’ ddecoru su qquilli rami se so’ ‘rganizzate e pp’aguràsse a ttutte bbon laoru se so’ ‘n bo’ messe a ffa’ ddu’ strimpellàte. Vedènno la riggìna quillu sbragu ha ‘ncuminciatu tostu a bbaccaja’... “Mo’ bbasta... ‘n c’émo tembu pe’ lu svagu lu nèttare mijore è dd’artroa’. Sémo a Mmarzu… l’aria s’è scallàta e ppo’ quist’anno vojo ‘nticipa’… mo’ democe ‘na mossa… ‘n’animata… che qquistu munnu è ttuttu da ‘rmela’!” E ‘llora quillu sciàme soggiogàtu doppo sintitu quella ramanzìna s’è mmissu a ffa’ lo mèle e ppo’ ha speràtu …che ss’addorgìsse pure la riggina.
Paolo CASALI
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MARZO: IL MESE delle Donne I l mese di marzo è atteso da molti perché segna l’inizio della primavera, di giornate più calde e soleggiate, ma non solo. Tutte le donne, o almeno la maggior parte di esse, hanno particolarmente a cuore questo periodo per una motivazione fondamentale: l’8 marzo vengono riconosciute tutte le loro conquiste raggiunte in qualsiasi ambito della società.
La condizione della donna è stata caratterizzata più volte, nel corso della storia, da una situazione di evidente inferiorità sul piano sociale, giuridico e politico. In Italia, tra la prima e la seconda guerra mondiale viene riconosciuto il diritto di voto. È stato un avvenimento fondamentale che ha garantito il susseguirsi di eventi attraverso i quali svariate donne di tutto il mondo sono riuscite ad acquisire altri diritti raggiungendo una pari dignità con l’uomo. Un passaggio indispensabile che segna una chiave di svolta essenziale nel mondo della medicina, scienza e ricerca. Ma anche perché, nello stesso tempo, si sta sviluppando una forte consapevolezza, riconoscenza e sensibilità nei confronti della tutela del genere femminile, sia da un punto di vista sociale che sanitario. Ogni anno vengono diagnosticati in Italia circa 373.300 nuovi casi di cancro, di cui il 52 per cento fra gli uomini e il 48 per cento tra le donne. La prevenzione fa bene in ogni periodo dell'anno. Ma il mese di marzo, dedicato alla festa della donna, è senza dubbio il periodo più adatto a rivolgere attenzione alla tutela della propria salute. Allo Studio Anteo la prevenzione al femminile si avvale delle più moderne tecnologie, come la mammografia a tomosintesi di ultima generazione, senza dubbio la migliore apparecchiatura esistente sul mercato.
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Direttore Sanitario
Dott.ssa Lorella
Fioriti
Specialista in Radiodiagnostica, Ecografia, Mammografia e Tomosintesi Mammaria
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TERAPIA RIGENERATIVA NELL’ ARTROSI CELLULE MESENCHIMALI DA TESSUTO ADIPOSO
L
’artrosi è la patologia più diffusa a carico dell’apparato muscolo scheletrico. Si caratterizza inizialmente per la progressiva degenerazione della cartilagine e poi degli altri tessuti articolari. L'artrosi è una delle cause di disabilità più frequenti perché i tessuti colpiti hanno scarse capacità di auto-guarigione. La ricerca biomedica ha messo a disposizione ormai da vari anni soluzioni biologiche preparate a partire dal sangue o dal tessuto adiposo del paziente (TERAPIA RIGENERATIVA). Si tratta di procedure sicure che si
basano sull’infiltrazione intra-articolare di cellule autologhe (prelevate dallo stesso paziente) che vengono trattate e utilizzate in alte concentrazioni. Dal tessuto adiposo vengono prelevate con una piccola liposuzione mirata le cellule staminali mesenchimali (cellule adulte in grado di stimolare il tessuto differenziato e non oncogenetiche) che, purificate dalle componenti infiammatorie, possono essere impiantate in articolazione. La loro azione consiste nel -controllare l’infiammazione; -stimolare la guarigione dei tessuti cartilaginei danneggiati, la quale, però, dipende in gran parte dall'effettivo potenziale di rigenerazione dei tessuti stessi, che è ovviamente più ampio nei pazienti più giovani. Questa terapia limitatamente invasiva, si può effettuare anche in convenzione con il sistema sanitario nazionale, permette di
Dott. Vincenzo Buompadre Spec. Ortopedia e Traumatologia Spec. Medicina dello Sport
- Terni 0744.427262 int.2 Murri Diagnostica, v. Ciaurro 6 - Rieti 0746.480691 Nuova Pas, v. Magliano Sabina 25 - Viterbo 345.3763073 S. Barbara via dei Buccheri
www.drvincenzobuompadre.it controllare i sintomi dolorosi dell’artrosi, è ripetibile nel tempo e non esclude l’utilizzo di altre terapie rigenerative. La terapia rigenerativa permette di ritardare l’impianto di una protesi articolare.
DIAGNOSI PRENATALE INVASIVA E NON INVASIVA Parlando di diagnosi prenatale dobbiamo innanzitutto informare la coppia che ci sono due opzioni: una diagnosi invasiva (amniocentesi e villocentesi) che ci può dare la certezza del cariotipo fetale, ma è gravata da un rischio d’aborto, e una diagnosi non invasiva (Test Combinato e NIPT) priva di rischi per il feto e per la mamma, che stima un rischio di anomalia cromosomica, che però non è diagnostica come l’amniocentesi. Il Test Combinato viene eseguito attraverso un prelievo di sangue e un’ecografia. Il prelievo può essere effettuato già a partire dalla 11a settimana di gravidanza. Consiste nella misurazione della concentrazione nel sangue materno di due ormoni, la frazione beta della gonadotropina corionica umana e la PAPP-A, o proteina A plasmatica associata alla gravidanza. L’ecografia o misurazione della TRANSLUCENZA NUCALE, un esame ecografico non invasivo e del tutto innocuo per il nascituro, consiste nella misurazione dello spessore del tessuto sottocutaneo che si trova sulla nuca del feto, ovvero lo spazio compreso tra la cute e la colonna vertebrale. Questo esame
permette di stimare con buona approssimazione il rischio genetico per una determinata gravidanza e quindi la probabilità che il piccolo sia affetto da una delle più diffuse alterazioni cromosomiche: la sindrome di Down, la trisomia 13 e la trisomia 18. Non è ovviamente un esame diagnostico. Sempre tra le indagini non invasive abbiamo il NIPT (test di screening prenatale non invasivi). Questo test, attraverso un prelievo di sangue materno, analizza i frammenti di DNA libero fetale (cell-free DNA o cfDNA) presenti nel sangue materno durante la gravidanza al fine di fornire un'accurata panoramica dello stato cromosomico del feto che può avere un grande impatto sulla sua salute. Questo test non è ovviamente equiparabile all’amniocentesi, ma rientra nelle metodiche non invasive che quindi non espongono la donna al rischio di aborto. Tra le tecniche invasive abbiamo la VILLOCENTESI e l’AMNIOCENTESI. La prima prevede il prelievo di villi coriali, a partire dalla 11a settimana, e su tale materiale viene eseguito lo studio del cariotipo fetale. Si esegue su precisa indicazione medica quando magari ci sia stata già una precedente
DR.SSA GIUSI PORCARO Specialista in Ginecologia ed Ostetricia
anomalia cromosomica in anamnesi o se ci sono particolari fattori di rischio nella coppia di malattie cromosomiche. La seconda, cioè L’AMNIOCENTESI, infine, che consente di effettuare un prelievo di liquido amniotico direttamente dalla cavità uterina. Questo liquido contiene in sospensione alcune cellule fetali, che, poste in un appropriato terreno di coltura, vengono fatte crescere in vitro e poi studiate nel loro assetto cromosomico o nel loro DNA. Il periodo ideale per eseguire l’amniocentesi è tra la 16a e la 18a settimana. Il rischio di aborto connesso all’amniocentesi si aggira intorno allo 0.2-0.5 %. La scelta del metodo di indagine deve essere, ovviamente, accuratamente discusso con il proprio ginecologo.
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AZIENDA OSPEDALIERA S
I TRAUMI SOTTO LA LENTE DEL SANTA MARIA:
in azione un'equipe multidisciplinare di professionisti
Dott. Sandro LATINI Responsabile S.C. Ortopedia e Traumatologia Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni
Per trauma si intende una lesione prodotta nell’organismo da qualsiasi agente capace di un’azione improvvisa e rapidissima che può produrre fenomeni locali o modificazioni generali dell’organismo. Sin dai suoi albori l’uomo ha avuto a che fare con i traumi e con i danni che questi determinano alla sua integrità fisica con ricadute immediate, permanenti o temporanee, sulla sua capacità di interagire e sopravvivere nell’ambiente. Il rinvenimento di reperti ossei con fratture degli arti inferiori consolidate, provenienti dalla preistoria, dimostra la nascita di un tessuto sociale stabile che permetteva la sopravvivenza anche di quegli individui temporaneamente inabili i quali senza l’aiuto degli altri componenti del gruppo non avrebbero potuto sopravvivere a una lesione che li rendesse, anche se temporaneamente, incapaci a deambulare e quindi impossibilitati a provvedere al proprio sostentamento o a sfuggire eventuali minacce. Provenienti dagli albori della storia ci sono testimonianze scritte che descrivono trattamenti chirurgici di lesioni post traumatiche sia dei tessuti molli che dello scheletro assile e appendicolare, basti pensare al trattato di chirurgia di Imhotep visir del faraone Djoser datato intorno al
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2700 aC, ma ancora più antica è la tecnica della trapanazione cranica la cui presenza è dimostrata già nel mesolitico. Ovviamente c’erano due enormi limiti per l’antica attività chirurgica: l’impossibilità a effettuare qualsivoglia anestesia e la enorme percentuale di infezioni che gravavano sia sulle lesioni con ferita che sulle ferite degli accessi chirurgici. La comparsa e il diffondersi delle procedure di anestesia a partire dal 1846, anno della pubblicazione negli USA del report “Insensibility during Surgical Operations Produced by Inhalation”, la nascita della radiografia nel 1895 con la scoperta dei raggi x da parte del fisico Wilhelm Conrad Röntgen, l’avvento degli antibiotici a partire dalla scoperta della penicillina nel 1928 a opera di Alexander Fleming hanno comportato una impressionante accelerazione tecnologica in ambito diagnostico e terapeutico sino alle attuali tecnologie inimmaginabili solo un secolo addietro. Sino agli anni quaranta il politraumatizzato era considerato “un paziente troppo malato per essere operato”, ma successivamente si notò che la stabilizzazione delle fratture anche con metodi semplici faceva registrare significativi aumenti della sopravvivenza. Intorno agli anni 50’ grazie alla AO (Association Osteosynthesis) si ha uno sviluppo delle tecniche di osteosintesi con la possibilità di precoce mobilizzazione, recupero più rapido, minor numero di sequele. Intorno agli anni settanta vari studi nel mondo anglosassone dimostrano l’effetto favorevole della chirurgia precoce tanto più favorevole quanto più grave era la lesione. Successi importanti della chirurgia resi possibili ovviamente dal progresso delle tecniche nel campo della rianimazione e terapia intensiva. Sulla base di questi dati si iniziò a orientare la chirurgia verso trattamenti precoci anche multipli procedura definita come ETC (Early Total Care), il paziente era diventato “troppo malato per non essere operato”. Eppure
permaneva una significativa mortalità legata a casi di insufficienza sequenziale e progressiva di più organi definita come MOF (multiple organ failure). Dopo il 1995 numerosi studi dimostrano che non sempre una stabilizzazione precoce e definitiva delle fratture comportava riduzione dei rischi di complicanze e si sono via via individuati i fattori prognostici che controindicavano la ETC. Compare a questo punto il concetto di “Damage Control” (DCO) procedura mutuata dall’ambito militare laddove viene applicata per contrastare i danni riportati da mezzi navali e truppe corazzate sui luoghi di scontri bellici. Si tratta di limitare i danni del mezzo per consentire nel minimo tempo possibile il rientro alla base e lì riparare in maniera completa il danno. Traslato in ambito traumatologico significa stabilizzare tutte le lesioni con sistemi a scarsa invasività e rimandare il trattamento definitivo a paziente stabile al fine di minimizzare il rischio di complicanze gravi. Negli anni 2000 il confronto tra ETC e DCO rimane aperto e la scelta tra l’una e l’altra filosofia deve dipendere da attenta riflessione
Dr. Paolo Ottavi Dirigente medico chirurgia vascolare
Dr. Sandro Latini Responsabile S.C. Ortopedia e Traumatologia
SANTA MARIA DI TERNI multidisciplinare e onesta valutazione delle risorse umane e strutturali. Il miglioramento del design di strumentari e impianti, la grande varietà di mezzi di sintesi interni, la possibilità di accedere a montaggi sempre più sofisticati di fissazione esterna, la possibilità di trattare fratture irreparabili con sostituzione protesica hanno consentito di diminuire sequele invalidanti e mortalità. Il trauma rappresenta in Italia la prima causa di morte nella popolazione di età inferiore ai 45 anni, comporta 7000 decessi anno e 20.000 lesioni invalidanti con un elevato costo sociale. Il paziente politraumatizzato, ossia quello che presenta interessamento di più organi e apparati, può presentare anche lesioni di interesse neurochirurgico; queste lesioni possono coinvolgere principalmente il cranio e/o la colonna vertebrale. Per dare una idea di quanto siano anche socialmente rilevanti questi eventi si calcola che nel mondo si verifichi un trauma cranico ogni 15 secondi e che una persona ogni 12 minuti muore per la stessa causa. A questi numeri, già di per sé impressionanti, si aggiungono i traumi della colonna vertebrale che nel 60% dei casi coinvolgono giovani tra i 16 ed i 30 anni. È ormai noto che la tempestività e la correttezza del soccorso al paziente con trauma cranio-vertebrale e la sua corretta gestione, sia extra che intraospedaliera, siano elementi essenziali per gli esiti a breve, medio e lungo termine. Se nel 1985 in Italia la mortalità dopo trauma grave era di
Dr. Carlo Conti Responsabile S.C. di Neurochirurgia
circa il 78%, con l’istituzione nel 1990 delle centrali operative di soccorso e l’utilizzo dei medici nelle ambulanze (118) è scesa al 59% per poi scendere ancora al 41% negli anni successivi quando è diventato operativo il servizio di elisoccorso e sono comparsi specifici “trauma center” e “trauma service” all’interno dei grandi ospedali. All’arrivo di un paziente politraumatizzato in ospedale il team multidisciplinare di specialisti che lo prende in cura decide sulla base di criteri clinici e radiologici quale sia la problematica più grave e che pertanto deve essere trattata per prima. I traumi cranici possono essere distinti in lievi, moderati e severi sulla base di dati radiologi e clinici. Il trattamento neurochirurgico si rende più spesso necessario per quelli moderati e severi ed ha sempre la finalità di ripristinare la normale pressione all’interno della scatola cranica. Il riscontro di ematomi intracranici, siano essi all’interno o all’esterno del cervello, prevede la rimozione dell’ematoma con l’obiettivo di ripristinare lo spazio fisiologico occupato dal cervello stesso. I traumi vertebrali, invece, sono caratterizzati da lesioni che possono coinvolgere le diverse componenti anatomiche ossee e legamentose delle vertebre e possono associarsi a compressioni del midollo spinale e delle radici nervose che passano all’interno della colonna vertebrale. Nel paziente politraumatizzato l’obiettivo della chirurgia vertebrale è quello di ripristinare la corretta curvatura e stabilità del rachide e di decomprimere il midollo spinale permettendo una progressiva ripresa delle sue funzioni e cioè di trasmettere l’impulso motorio e sensitivo tra il cervello e gli arti. Altre lesioni che spesso si riscontrano nel politrauma con interessamento dello scheletro appendicolare sono le lesioni vascolari. Tutti i traumi complessi con coinvolgimento vascolare sono condizioni di estrema gravità ed è molto importante eseguire una diagnosi immediata e definire un trattamento il più rapidamente possibile. Dal trattamento rapido ed efficace dipenderà la prognosi della patologia e, di conseguenza, la vita del paziente. Le lesioni vascolari possono provocare diversi tipi di manifestazioni cliniche: emorragia esterna o interna, ischemia di un arto o di un organo. Nella nostra Azienda un upgrade fondamentale nella gestione del politrauma
è fornito dalla disponibilità di una sala ibrida, una sala operatoria ipertecnologica dotata di uno strumentario che consente l’ottimizzazione di trattamenti effettuati da équipe diverse. Trattamenti endovascolari come impianti di endoprotesi nelle rotture aortiche, embolizzazione di sanguinamenti, stent nella correzione di occlusioni arteriose o di vasi sanguinanti si possono associare alla chirurgia classica nell’ottica di una gestione multidisciplinare della patologia. Affrontare gravi lesioni traumatiche significa disponibilità di affiatate équipe multidisciplinari che coinvolgono, oltre all’ortopedico-traumatologo, neurochirurghi e chirurghi vascolari per poter affrontare al meglio quelle lesioni multidistrettuali causate da traumi ad alta energia provenienti spesso dalla strada o dal mondo del lavoro. La possibilità di stabilizzare lesioni vertebrali, di rivascolarizzare arti con fratture esposte, di stabilizzare le fratture dello scheletro appendicolare seguendo, a seconda delle condizioni clinico-strumentali, i princìpi della ETC o della DCO, consente di affrontare le sfida del politrauma migliorando continuamente la prognosi quoad vitam e quoad valetudinem.
Servizio fotografico A. Mirimao
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ANNO 2021
PROSPETTIVE PER UNA NUOVA RICOSTRUZIONE
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Pierluigi SERI
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a fiducia al governo Draghi consolida speranze ed aspettative di varia natura. Una situazione delicata e inedita: da una parte una maggioranza parlamentare ampia comprendente quasi tutto l’arco costituzionale, dall’altra l’identificazione di una sintesi nel vertice dell’esecutivo. Ogni questione passa per Mario Draghi, ogni soluzione possibile, ogni percorso possibile di rinnovamento. Momento delicato e complesso, un appello ultimativo di fronte al fallimento di una classe dirigente e alle difficoltà di una legislatura incerta dagli esiti imprevedibili. In questi giorni si apre una pagina nuova, del tutto impensabile fino a poche settimane fa. Questo la dice lunga su come il quadro politico si evolva e muti rapidamente e sostanzialmente. Fatto da noi evidenziato più volte in precedenti articoli. Sarebbe meglio distinguere compiti e funzioni, cercando gli spazi per un rilancio convincente nelle maglie di una democrazia pur fragile e incerta. I raffronti con la storia passata più o meno recente del nostro Paese tornano inevitabilmente con insistenza. Gli anni della Ricostruzione post-bellica vengono spesso rievocati anche con paragoni azzardati: lo sforzo comune per rinascere, gli aiuti del Piano Marshall, la sinergia tra il quadro interno della neonata repubblica e il contesto internazionale della guerra fredda. Una doppia costituente tra la Carta costituzionale del 1948 e il nuovo sistema internazionale del dopoguerra. Uno sguardo al passato può mettere in risalto analogie e differenze. Il nesso tra nazionale e internazionale condiziona la storia dell'Italia repubblicana del dopoguerra. Allora, negli anni della Ricostruzione il comune terreno di una cittadinanza in divenire resta un punto di equilibrio condiviso. Perfino negli anni dello scontro più duro, della contrapposizione ideologica, tale ambito non viene né superato né messo in discussione. Un patrimonio comune basato sulla partecipazione diffusa, capace di resistere al tempo e ai continui cambiamenti. La doppia costituente tra democrazia e conflitto bipolare si fonda sulla capacità di tenere insieme svolte politiche, processi sociali, ruolo dei partiti. Questa strada si interrompe quando le forze politiche limitano la propria capacità inclusiva chiudendosi in casta e quando la società civile perde di vista l’interesse generale, come si è verificato con la prima e la seconda repubblica. Un segnale importante potrebbe essere il ritorno alle competenze. Chiudere la pagina dell’improvvisazione fatta sistema, della cultura come disvalore. Dare risalto a chi lavora per il bene comune, rompendo il recinto delle appartenenze di parte. Il recupero di una spinta collegiale, il trovare
una prospettiva capace di superare il confine angusto dell’emergenza di questi mesi, sarebbe un positivo segnale di svolta, negli anni spessissimo annunciata, ma mai effettuata. La pandemia ha fatto vedere i contorni e le debolezze di culture egoistiche ed autosufficienti, come abbiamo rilevato nell’articolo di febbraio 2021. L’accorato appello del Presidente Mattarella per un’impresa collettiva ai fini di una salvezza nazionale arriva nel cuore della società italiana. In tale contesto l’Europa, fino a poco tempo fa oggetto di pesanti critiche da parte dei sovranisti, acquista un ruolo di primaria importanza per la possibile ripresa: come sostegno e aiuto (Next Generation EU), come attore principale nella trattativa diretta con i colossi delle industrie farmaceutiche riguardo alla questione spinosa dei vaccini, come costruttrice di un nuovo scenario geopolitico. In questo contesto Mario Draghi rappresenta una figura autorevole con una competenza preziosa a livello globale. Strenuo difensore dell’Europa, dal profilo segnato dal solco della partnership atlantica. Il rilancio dell’atlantismo è un ulteriore punto di forza e di sostegno per la possibile ricostruzione in un momento in cui il quadro europeo, e non solo, muta velocemente. Infatti molti protagonisti assoluti della politica usciranno di scena: in Germania la lunga stagione di Angela Merkel volge al tramonto, il prossimo anno in Francia si terranno le elezioni presidenziali, l’assetto dell’Europa è scosso dalla crisi innescata dal Covid 19. Lo scenario cambia repentinamente, la concorrenza della Cina e di altri paesi emergenti, richiede nuove strategie. In questa situazione il rilancio del Patto Atlantico è senz’altro una garanzia nello scacchiere geopolitico globale. Un mondo che cambia velocemente, sia a livello nazionale che internazionale, richiede scelte coraggiose che siano capaci di superare vecchie barriere ideologiche. Mario Draghi può essere un ponte dialogante per l’Italia e per il mondo. Nel nuovo governo sono entrati esponenti della destra che parlavano di uscita dall’euro, facevano l’occhiolino al Cremlino o al gruppo di Visegrad, ora si allineno alla scelta del Recovery per sostenere la Ricostruzione. A questo punto sorge spontanea una domanda: riusciranno i politici italiani o gli Italiani in genere a superare il loro tradizionale individualismo che li vuole sempre pronti a scontrarsi per i loro specifici interessi e a collaborare per il bene comune dello Stato? Ai posteri l’ardua sentenza! Verità e giustizia per Giulio Regeni, Patrick Zaki libero!
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Il LAVORO è la priorità d'ogni progetto politico I
l Vescovo Giuseppe Piemontese, nell’Omelia di S. Valentino, ha lanciato un forte richiamo di responsabilità a tutte le componenti politiche e sociali di Terni, perché pongano la massima attenzione ai problemi Adriano MARINENSI derivanti dalla carenza di posti di lavoro che sta spingendo un gran numero di famiglie verso la soglia della povertà. E molti giovani verso l'emigrazione. Ormai è chiaro che, in cima ai programmi del Governo centrale e delle Amministrazioni regionali e locali, vanno posti la produzione della ricchezza e il lavoro. Occorre ridurre gli interventi assistenziali per convergere su investimenti che sostengano economia e occupazione. C'è una questione centrale che si lega alla trasformazione strutturale degli strumenti di lavoro: l’uso della tecnologia, da tempo in atto; sugli effetti di tale nuova struttura produttiva è calato il terremoto devastante dell’emergenza sanitaria. Insieme hanno dissestato la situazione, mettendo in seria difficoltà soprattutto la componente che trae unico sostentamento dal lavoro. S'è creato uno stato di fatto al limite della contestazione sociale. Il divieto di licenziamento ha soltanto narcotizzato il malato. La soluzione, almeno nei termini possibili, sta altrove. E, se non verranno messe in campo capacità e competenze, neppure i cospicui finanziamenti europei potranno portarci fuori dalla precarietà. Lo sviluppo tecnologico non si può arrestare: occorre però saperne governare le conseguenze, cercando di adeguare gli assetti produttivi nei modelli di crescita industriale, in modo da evitare drastiche cadute occupazionali, pure in conseguenza della cancellazione di molti mestieri e professioni. Tecnologia equivale a progresso e il contrasto risulta impossibile. I vantaggi che offre sono di varia natura, comprese le utilità di un modo più sostenibile di fare impresa, dal punto di vista ambientale. Ed ancora, la capacità che le tecnologie hanno di consentire il trasferimento spaziale e temporale delle informazioni (in parte, dei prodotti) ha quasi eliminato gli spazi e le procedure intermedie. Ormai, palesemente, basta un clic e molto accade in tempo reale. Il cambiamento però -giova la ulteriore sottolineatura- ha generato contraddizioni tra sistema economico e valori sociali. È all’interno di questo processo di modernizzazione che vanno inseriti interventi di riequilibrio dei rapporti, in modo da far ritornare al centro degli atti politici ed amministrativi la componente umana. Che il diritto al lavoro sia sinonimo di dignità sociale, lo abbiamo sentito ripetere in una miriade di occasioni: è una verità inopponibile. L'esame storico ci dice che l'era moderna è quantomeno alla terza fase progressista, intendendo per la prima quella intervenuta con l’introduzione della forza motrice idraulica e del vapore; la seconda incentrata sull'elettricità, la chimica e la fisica. Siamo alla fase più vicina a noi che sta generando anche negatività. La mutazione dei sistemi meccanici ed elettrici in elettronici, ha aperto orizzonti teorici e applicazioni pratiche dal futuro imprevedibile. È un complesso di mutazioni genetiche che si presume possano orientare verso un assetto economico-industriale sempre più fondato su basi di autonomia gestionale. Le macchine di passata concezione, per
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funzionare, richiedevano la non marginale collaborazione umana, nelle officine e negli uffici; i sistemi elettronici stanno marginalizzando sempre più la partecipazione della componente lavoro e rischiano di affliggere le prossime generazioni. Altra caratteristica di rilievo è stata la miniaturizzazione, cioè la capacità di produrre una oggettistica elettronica meno ingombrante (basti pensare ai calcolatori in funzione qualche decennio fa). Abbiamo denominato la nostra società postindustriale proprio per lo scompaginante passaggio subìto dal contesto civile, sociologico e culturale. Il sisma -chiamiamolo così- ha generato numerosi stati di crisi nel normale ed equo assetto delle moderne democrazie che stavano tentando una attenuazione della conseguenze. Quando sulla situazione è precipitata la furia mortifera della pandemia, tale situazione, da preoccupante che era, si è trasformata in gravissima. Mentre i precedenti assalti evolutivi si sono sviluppati nel medio e lungo periodo, la pandemia ci ha aggredito a tradimento e sta lasciando macerie di difficile ricostruzione, ponendoci di fronte alla urgenza di restituire concretezza al dettato costituzionale che pone il lavoro alla base dei diritti garantiti dalla Repubblica. Sia in fatto di quantità, sia di qualità. Ci sarà, in Italia, nel tempo brevissimo, una fame di lavoro alla quale occorrerà dare una risposta adeguata. La pressione popolare è forte e impone interventi rapidi ed efficaci. Va considerato che la pandemia (sta nel significato letterale del termine) presenta dimensioni mondiali; il problema lavoro invece deve trovare soluzioni a livello nazionale. In passato s’usava dire che le buone intenzioni camminano con le gambe degli uomini. Al presente si impone che quelle gambe siano capaci di correre (camminare non basta). Si appalesa quindi un ruolo fondamentale per la politica intelligente. È giunto il tempo di bandire ogni mediocrità per fare spazio alla competenza: non servono eroi, ma uomini e donne di valore sì. Il nuovo Governo nazionale mostra di offrire le garanzie; in Umbria, non si può dire altrettanto per le Istituzioni regionali e di molti dei principali Comuni. A Terni, il tessuto produttivo di tantissime aziende mostra segni di aggiornamento tecnologico ed organizzativo, mentre permane la carenza dei supporti collettivi e delle infrastrutture pubbliche. Forse sarebbe utile attivare una intesa più efficace e permanente, tra i rappresentanti delle categorie produttive, del sindacato, delle forze politiche, delle amministrazioni, per concordare interventi adeguati alla involuzione palese, divenuta insostenibile. Non soltanto nel campo occupazionale, ma in altri fondamentali della vita comunitaria (per esempio -uno solo ne cito- l’inquinamento atmosferico). A scuotere l’ambiente si sono levate contemporaneamente la voce del Vescovo e di qualche personaggio di rilievo dell’area politica di maggioranza, per evidenziare i deficit dell’azione di governo locale. Nell’opinione pubblica c'è forte insoddisfazione che ha determinato scadimento dell’impegno civile in una comunità che stenta a svincolarsi dalla depressione economica, sociale, culturale nella quale si trova. Terni ha un patrimonio di capacità intellettive, di conoscenze, di managerialità in grado di affrontare con successo la crisi. Purché sia possibile bandire, dalle stanze di manovra, ogni insufficienza e improvvisazione, per ritrovare i giusti princìpi di riferimento.
LA “TRANSIZIONE” URBANA DI TERNI I
Giacomo PORRAZZINI
l futuro della nostra città passa sicuramente per una sua ritrovata capacità di essere attrattiva: di persone, di competenze, di contaminazioni culturali, d’investimenti innovativi e di mantenimento. Un anno fa circa una rete Tv nazionale privata trasmise un servizio su Terni che ne dava una immagine catastrofica dal punto di vista delle condizioni ambientali e di sicurezza per la salute. Vi erano, in quel servizio, molte inesattezze su fonti e livelli d’inquinamento e luoghi comuni sulla salute pubblica, non dimostrati da evidenze scientifiche. Tuttavia la sua forza simbolica, per una città di antica industrializzazione pesante, era notevole ed abbinava il nome di Terni al marchio inquinamento + malattie, da cui stare alla larga. Per attrarre, perciò, Terni deve riconquistare nella realtà e nell’immaginario regionale e nazionale, la certezza di un ambiente urbano salubre e privo di livelli d’inquinamento superiori ai valori soglia; sappiamo che anche nell’anno del COVID, il 2020, vi sono stati diversi superamenti nei valori limite delle PM10, con la presenza anche di metalli pesanti, come cromo e nichel, contenuti nel particolato emesso dalle acciaierie; non è stata ancora data una risposta certa, anche per la carenza di un Registro tumori regionale, ai dubbi relativi ad una morbilità e mortalità più elevate, a causa di patologie gravi, associabili all’inquinamento atmosferico. Su questi punti e sui dati relativi è necessario un salto di qualità e trasparenza definitivo, per scrollarsi di dosso l’immagine della conca inquinata. Tuttavia, in tema di ambiente, Terni deve riuscire ad andare oltre il problema, pur centrale della lotta e del controllo avanzato dell’inquinamento, ma deve
essere capace di misurarsi con la sfida più alta e complessa della sostenibilità del suo modello di specializzazione produttiva e del funzionamento della sua organizzazione urbana. Dunque, per essere attrattiva la nostra città deve mostrarsi, non solo vittoriosa sul suo antico inquinamento, ma sostenibile, in termini ecologici, economici, sociali e di governance democratica dei processi decisionali. I riferimenti internazionali ed europei, per portare avanti una strategia per una transizione verso l’attuazione degli obiettivi della sostenibilità, sono ben noti; dall’Agenda ONU 2030, agli accordi di Parigi sul clima, al recente green new deal europeo, al next generation Eu che mette a disposizione del nostro paese circa 70 miliardi, in cinque anni, per interventi coerenti con gli obiettivi della sostenibilità. È positivo che otto grandi imprese ternane, Confindustria e Fondazione Carit si stiamo impegnando per un progetto di rigenerazione urbana. Anche se la sua impostazione appare limitata e parziale, rispetto alla visione ed ai contenuti complessivi della città sostenibile, il suo avviamento dice che va aumentando l’attenzione, la consapevolezza e la responsabilità di soggetti importanti della città sul tema dello sviluppo sostenibile, come unica strada per migliorare la qualità della vita dei cittadini e per concorrere allo sforzo globale per contrastare la crisi climatica e quella sociale, entrambe incombenti. Anche AST si sta muovendo su questa linea, come risulta dai contenuti del Bilancio di sostenibilità presentato in questi giorni. Ciò che manca è una iniziativa istituzionale capace di incanalare in un progetto di comunità e di futuro tante risorse ed idee in fermento nella città.
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E SE FOSSE UN VIAGGIO…?
Marta NERI
Ogni mattina, durante l’appello, guardo i miei studenti, uno per uno. Loro si spazientiscono: "Dai prof., è una tortura: perché lo fa?”. E io rispondo: “Perché voi siete più importanti della lezione”. Curare le relazioni è la forma dell’amore nel nostro tempo veloce, fatto tutto di prestazioni anziché di presenze. Alessandro D’Avenia
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uando il prof. Raspetti mi ha chiesto di scrivere un articolo sull’educazione per il magazine La Pagina la mia prima reazione è stata di entusiasmo: quel naturale senso di intimo orgoglio che ci invade quando per la prima volta qualcuno ci dà l’opportunità di esprimere, su più vasta scala, qualcosa che ci sta particolarmente a cuore. Avevo già letto l’articolo di Valeria Iacobellis “Un nuovo tipo di educazione”, uscito a febbraio e mi aveva colpito la sua originale proposta di introdurre un nuovo tipo di educazione, al di fuori della scuola, nella realtà ternana. In un secondo momento, forse responsabile quella tipica attitudine cartesiana dell’insegnante al cogito ergo sum, la mia mente ha cominciato ad affollarsi di interrogativi: che cosa è l’educazione, o almeno, cosa è per me? In che modo vivo il mio ruolo di insegnante? Cosa significa per me essere una insegnante e che valore ha nella mia vita? E che ruolo ho io nella vita dei miei studenti? I miei studenti … Non che tutta questa fitta selva oscura di pensieri fosse nuova per me, ma, in un certo senso, è stato come porsi quelle domande per la prima volta e trovarmi a riflettere sul fatto che in fondo ciò che amiamo veramente è per noi sempre antico e sempre nuovo. Dante trovò Virgilio nella foresta intricata e scura
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dell’ignoranza, o comunque lo trovò nel buio di una situazione apparentemente senza speranza, inesorabile, senza via di uscita. Virgilio era per lui un maestro, una guida, un esempio, il grande autore dell’Eneide, era un’autorità, un punto di riferimento. E Virgilio conduce Dante fuori dalle tenebre. Lo e–duce, lo guida attraverso la sua condizione presente in un altrove fatto di potenzialità che diventano atto, di sogni che si trasformano in progetti realizzabili e realizzati, di indecisione che diventa scelta consapevole, frutto di una volontà ben indirizzata, pronta a recepire criticamente ogni stimolo esterno come occasione di crescita totale della persona. Questo fa chi educa. Tira fuori il meglio. Cerca il talento ed apre una breccia perché esso esca alla luce. Questo fa un vero insegnante. Crede nelle persone, crede nel Bello e nel Buono, crede che ogni ancor più scuro cielo notturno non oblierà mai le stelle. Che cosa è allora l’insegnamento per me? Respirare. Insegnare per me è respirare. Non faccio l’insegnante. Io sono un'insegnante. Forse è questo il vero nucleo problematico che colpisce ancora, purtroppo, la nostra società: siamo concentrati sul fare e ci dimentichiamo dell’essere, siamo troppo legati al produrre, ma non ci interroghiamo sul processo che ci ha condotto alle cose. Così ci perdiamo. E così perdiamo anche i nostri studenti. Perché, ecco, è tutto qui: loro sono nostri, ci vengono affidati. Ogni mattina, entro in classe e guardo i miei studenti negli occhi uno ad uno, poiché una mente apprende solo quando si sente amata, solo quando si sente compresa, solo quando si sente protagonista di un viaggio. Ed è in quel momento, quando la mattina guardo i miei studenti uno ad uno negli occhi, che capisco che loro, in realtà, stanno conducendo me; che loro sono i più grandi insegnanti che io abbia mai avuto; che loro mi insegnano nel momento stesso in cui io trasmetto loro qualcosa di me; capisco che l’insegnamento è educazione e l’educazione vera, autentica, profonda è condursi insieme nel meraviglioso viaggio della conoscenza e dell’esperienza, di noi stessi, dell’altro e del mondo intorno a noi, come Ulisse che guidava i suoi uomini attraverso l’immensità del mare, ma era marinaio lui stesso con loro, curioso e insaziabile ri-cercatore di orizzonti sempre nuovi.
CAMBIARE SI PUÒ!
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ando un’occhiata alle pagine Facebook che riguardano la nostra città, oltre a quelle che denunciano la profonda crisi della nostra realtà urbana, definita, purtroppo a ragione, malandata, si possono trovare anche quelle che riguardano gruppi civici attivi e operosi, apartitici e spontanei, nati su base volontaria, composti da cittadini che promuovono il decoro urbano, l’orgoglio civico, l’educazione e l’arte legittima. Questo si legge nella pagina Facebook del gruppo di volontari RETAKE TERNI. Obiettivo comune è quello portato avanti dal Gruppo civico MI RIFIUTO!. Più che un nome un motto: “MI RIFIUTO! di pensare di dover vivere in una città sporca e degradata a causa dell’incuria! MI RIFIUTO! di continuare a vedere i parchi e le aree verdi della città ridotte a discariche! MI RIFIUTO! di pensare che non ci sia una coscienza civica in grado di iniziare a cambiare le cose!”. Stessa missione quella perseguita dal Gruppo CONTAGIO TERNI: “Questo gruppo nasce per contagiare sempre più persone alla cura della città!”. Trovo che queste parole esprimano compiutamente il profondo senso di cambiamento di cultura che vado cercando all’interno della nostra comunità, come segnale di un rinnovamento di civiltà, i cui elementi fondanti e aggreganti sono la creatività, l’autonomia e la solidarietà. Nell’adesione spontanea e personale di cittadini attivi che dedicano il proprio tempo e le proprie risorse alla realizzazione di un obiettivo comune di cura e amore per la propria città e il proprio territorio, colgo infatti l’autentica capacità di uscire dalla passività e dall’inerzia, verso forme di organizzazione autonome e creative, tese al raggiungimento di un obiettivo comune, all’interno di una coscienza collettiva in grado di superare e sostituire l’individualismo, la competizione e l’egoismo della società moderna. Il cambiamento autentico non è quindi solo una chimera. Il cambiamento diventa possibile quando il singolo, che lo avverte profondamente dentro di sé, trova all’interno della comunità altri suoi simili che mirano a perseguire lo stesso scopo e sono disposti a mettersi in gioco attivamente per realizzarlo, non limitandosi a protestare o a lamentarsi dei politici o della pubblica amministrazione, ma rimboccandosi le maniche, nel senso letterale del termine. Questi sono i membri attivi delle organizzazioni volontarie che operano nella nostra cara Terni. L’Associazione Culturale La Pagina è impegnata da anni, con il Prof. Raspetti in prima linea, nell’elaborazione di un ampio progetto di Terni città del futuro, da costruire con la collaborazione di tutti, partendo proprio da un profondo rinnovamento culturale, che ritengo perfettamente incarnato dall’attività di questi gruppi civici.
Abbiamo conosciuto Marco D’Amore, Elisabetta Vannuzzi e Irene Angelucci, promotori e coordinatori rispettivamente dei gruppi Mi Rifiuto!, Retake Terni e Contagio Terni. A causa delle restrizioni dettate dal covid-19, abbiamo dovuto sostituire l’incontro in presenza in redazione con una call conference sulla piattaforma google meet, ma questo non ci ha impedito di sentire dal primo istante la profonda empatia con queste persone, dal sorriso aperto e dallo sguardo luminoso, mentre parlavano con grande entusiasmo delle attività dei gruppi di volontariato. V.: In che anno è partita l’attività di Retake Terni? E.: Retake Terni è attiva dall’agosto del 2015, sulla scia dell’omonima organizzazione nata a Roma, per la promozione del decoro urbano. Nel termine stesso è racchiusa la mission del gruppo che significa letteralmente riprendere, quindi riprendersi lo spazio, ritornare parte attiva nella cura della propria città, che è la propria casa. Da allora abbiamo promosso diverse iniziative per recuperare aiuole, spazi verdi, ma anche monumenti cittadini e arredi urbani, come per esempio la piramide di Piazza Solferino, ripulita per ben tre volte dai graffiti, anche attraverso i contributi economici di alcune associazioni locali, che hanno acquistato prodotti chimici necessari all’operazione di recupero e restauro. V.: Invece il Gruppo Mi Rifiuto! da quanto tempo è operativo? M.: Il Gruppo civico Mi Rifiuto! è nato esattamente il 27 Agosto 2017, su iniziativa di alcuni cittadini, che autonomamente hanno deciso di organizzarsi, dapprima in piccoli gruppi spontanei, per dedicarsi alla pulizia dei parchi cittadini, molto spesso trasformati in discariche dall’incuria e dallo scarso senso civico. Da allora contiamo più di 300 interventi anche con la collaborazione di altri gruppi operanti sul territorio come Retake Terni e Contagio Terni. I volontari del gruppo civico Mi Rifiuto!, ma anche quelli delle altre organizzazioni, aderiscono al bando comunale per la formazione di un elenco di “volontari per il decoro urbano”. Attualmente il gruppo conta ben 86 volontari iscritti.
Valeria IACOBELLIS
Foto di Matilda Trabalza
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V. : Irene Angelucci, con la sorella gemella Giulia, è la fondatrice del gruppo facebook Contagio Terni; quando è nata l’dea e qual è lo scopo perseguito dal gruppo? I.: Contagio nasce ufficialmente nel 2016 come gruppo facebook. C’era in me e in mia sorella Giulia, la necessità di portare bellezza in città. Perché non partire quindi dal nostro quartiere? Abbiamo iniziato ripulendo il marciapiede del nostro negozio in via Battisti e abbiamo cominciato a piantare qualche pianta fiorita, abbellendo l’aiuola in strada. L’idea è piaciuta, tanto che anche altri commercianti hanno voluto proseguire il lavoro. Tutto è nato quindi come un vero e proprio “contagio benefico”, spontaneamente, senza alcuna pretesa. V.: Certo, nel mentre di una pandemia mondiale, il nome potrebbe essere fuorviante, ma devo dire che invece mi piace ancora di più. Un modo per associare alla positività un termine che nell’accezione comune ha un significato negativo. I.: È proprio per questo che, nonostante tutto, non ho voluto cambiare il nome del gruppo, guarda caso con il logo dell’arcobaleno… Su facebook tutti possono iscriversi, visitare il gruppo, vedere gli album e le foto dei nostri interventi e contribuire ad inserire le loro buone iniziative. Nella vita reale ogni persona che si attiva per portare bellezza, decoro ed ottimismo, è un contagiato, quindi è difficile sapere quanti siamo. Nel tempo ci siamo uniti a Mi Rifiuto e Retake ed ora gli interventi vengono fatti in sinergia. Ricordo con particolare piacere l’intervento a Cardeto per Natale e per Primavera (2018), erano gli esordi ed in quelle due occasioni oltre a piantare fiori nelle 13 aiuole di via Battisti, aggiungemmo anche aforismi e poesie appesi agli alberi lungo la via. Bellissimo intervento anche in piazza Fermi (dove ogni tanto torniamo) dove abbiamo piantato un albero in ricordo di nostra nonna che nel palazzo davanti a quella piazza ci ha vissuto tanti anni. V.: Oltre che tra di loro questi gruppi collaborano anche con Enti ed Istituzioni Pubbliche? M.: Tutte le iniziative vengono concordate ed organizzate sui gruppi WhatsApp. Ogni intervento è autorizzato dal Comune, con la collaborazione dell’ASM, che provvede al recupero dei rifiuti raccolti e differenziati. Ci sono stati interventi che hanno coinvolto la Regione, la Provincia o altre associazioni come il CAI, I Pagliacci etc. Abbiamo ripulito il Parco vicino alla Stazione con il contributo degli operai della Treofan. Chiunque sia interessato a partecipare alle iniziative dei gruppi può mandare una richiesta di adesione, specificando nome e cognome ed il motivo della richiesta, attraverso WhatsApp. Riceviamo molte segnalazioni di degrado cittadino o di incuria che possono riguardare aree verdi o altre zone pubbliche. In quel caso chiediamo sempre ai cittadini della zona, che segnalano la situazione, di collaborare con noi, proprio per far capire che non siamo semplici spazzini anche se
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su base volontaria. Il nostro è un compito più alto, crediamo nella forza dell’esempio per contagiare (proprio come sostiene Irene del gruppo Contagio) gli altri cittadini a darsi da fare per prendersi cura della propria città, a cominciare dal proprio quartiere. Siamo convinti che ciascuno di noi abbia la responsabilità di effettuare scelte che abbiano ripercussioni positive su tutta la collettività. Spesso ci sentiamo dire, da alcuni cittadini, che facciamo male ad intervenire, che il compito invece spetta a qualcun altro, in primis all’amministrazione pubblica, sempre più latitante anche a causa della crisi economica. Noi invece siamo convinti che è proprio questa mentalità passiva che va radicalmente cambiata, perché crediamo che sia più corretto agire, per riscoprire non solo l’attaccamento alla propria terra, ma anche per ritrovare quel senso di appartenenza alla collettività che, sembra, quasi del tutto perduto. V.: Condivido pienamente il vostro pensiero. L’Associazione Culturale La Pagina è da anni portavoce della necessità di un profondo rinnovamento culturale. Stiamo quindi collaborando per cercare di progettare un nuovo tipo di educazione che riesca ad introdurre nuove e più autentiche forme di apprendimento per bambini e ragazzi. Credo fermamente che qualsiasi attività, a cui sia attribuibile un elevato valore, rappresenti un momento educativo. Quindi anche l’attività dei vostri gruppi ritengo abbia un alto valore educativo, laddove si riesca a coinvolgere anche bambini e ragazzi delle scuole. Avete esperienze in questa direzione? E.: Certamente. Da oltre cinque anni coinvolgiamo i ragazzi delle scuole, almeno prima dello scoppio della pandemia, con non meno di due uscite a quadrimestre come attività programmate all’interno del Piano Triennale dell’Offerta Formativa (P.T.O.F.) per il recupero di aiuole o aree verdi nelle zone limitrofe alle scuole stesse, anche piantando fiori o erbe aromatiche etc. M.: Recentemente c’è stata anche una collaborazione con i Servizi Sociali collegati al Tribunale dei Minori di Perugia, che ci hanno segnalato due ragazzi da coinvolgere nelle nostre attività, con finalità rieducativa e di recupero. Segnaliamo un intervento
recentissimo dei volontari del Gruppo Mi Rifiuto! svolto su segnalazione e con la collaborazione di un gruppo di quattordicenni per la pulizia del Parco adiacente alla Scuola Carducci di Borgo Rivo. I ragazzi, infatti, non si sono limitati a segnalare la scarsa pulizia dei giardini che frequentano abitualmente, ma hanno partecipato attivamente alla loro pulizia. V.: Tutto ciò è molto bello e, in un periodo buio come quello che stiamo vivendo, trasmette molta speranza, rafforzando il sogno di costruire la Terni del futuro, una città creativa, autonoma e solidale. Voi cosa auspicate per il futuro dei vostri gruppi? M.: Ci auguriamo che il nostro esempio possa essere di stimolo, per tutti, per una città bella, pulita e a misura d’uomo! Cambiare si può! Dipende da ognuno di noi! È il motto che ripetiamo ad ogni post, nella convinzione che ognuno di noi ha la responsabilità di effettuare scelte, che abbiano ripercussioni positive su tutta la collettività! Trovare sempre più persone, soprattutto giovani cittadini, attenti e responsabili, consapevoli dell’importanza di prendersi cura del territorio, è sicuramente per noi un successo, ma al tempo stesso un ottimo auspicio affinché cresca sempre più la consapevolezza della necessità di porre
in essere un drastico, ma inevitabile cambiamento nei nostri comportamenti quotidiani. Il mondo cambia con l’esempio più che con le parole. Tanto meno con le sanzioni. V.: Condivido. Il sistema sanzionatorio è inversamente proporzionale al grado di civiltà di una comunità. La sanzione è l’extrema ratio, si attiva per punire, ma testimonia il fallimento della civiltà, in termini educativi, della propria comunità. M.: Pienamente d’accordo. Il ruolo di rispetto delle regole incarnato dagli organismi di vigilanza non dovrebbe neppure esistere in un paese civile, in cui l’adesione alle norme è spontaneamente adottata dai cittadini, che in quegli stessi princìpi si specchiano e si riconoscono ed in cui il bene comune è solo l’espansione degli obiettivi individuali, integrati all’interno di una coscienza collettiva, che li assume come propri del gruppo. V.: Dando un’occhiata alla vostra pagina Facebook mi sembrano proprio gli obiettivi perseguiti dal gruppo Contagio, no? I.: È proprio così, i nostri tre suggerimenti sono: allenati a vedere la bellezza, parlane e prenditi cura di qualcosa con costanza e piacere. Cambiare la mentalità disfattista non sarà facile e veloce, ma a piccoli passi vedremo il cambiamento. Tutti possono trovare un’ora libera per unirsi agli interventi e per organizzarne di nuovi. L’idea è quella che ognuno possa occuparsi di un piccolo spazio e renderlo meraviglioso. Lamentarsi e polemizzare resta, al momento, la cosa più facile e diffusa, soprattutto nei tossici social. Tuttavia, condivido il motto di Marco D’Amore, che ormai vale per tutti noi volontari: Cambiare si può, dipende da ognuno di noi. Il nostro breve ma significativo incontro viene interrotto dal risveglio di un bambino, il figlio di Marco, 3 anni, così piccolo eppure ha già partecipato con il padre e gli altri volontari a vari interventi del gruppo. L’esempio piantato come un seme nell’anima fertile di un bambino. Sicuramente fiorirà. Una bellissima immagine. Il nostro futuro. Un mondo più pulito. Noi ci crediamo.
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Maria Giulia Cotini,
Hermannus Contractus Lo smeraldo nella pietra, Dalia Edizioni, Terni, 2020
MARIA GIULIA COTINI è laureata in Storia delle Religioni con lode ed è appassionata di arti marziali e di filosofie orientali. Nel 2017 ha pubblicato per Mondadori “Shotaro. Il bambino che voleva diventare samurai”.
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Anno del Signore 1013. In un giorno d’estate, nel castello di Altshausen, Hiltrud, la moglie del conte Wolferad, è sfinita dai dolori del parto, che s’è appena concluso. Con un filo di voce chiede perché il bambino non pianga. La levatrice è sconvolta. Quando il padre ordina che gli sia mostrato il figlio, al suo sguardo appare un corpo minuscolo e contorto. Allora l’unica sollecitudine che i genitori mostrano è la raccomandazione che gli sia somministrato subito non solo il battesimo –il nome Ermanno è scelto “senza pensarci troppo”–, ma anche l’estrema unzione, perché nessuno crede che possa vivere a lungo. Invece il bambino sopravvive. Comincia così la straordinaria avventura di Ermanno, monaco disabile dell’XI secolo, che fu matematico, astronomo, musico, storico. L’approccio al personaggio è segnato da un’empatia penetrante da parte dell’autrice, che ne condivide alcuni limiti del corpo, essendo affetta dalla nascita da tetraparesi spastica e da un serio deficit visivo e uditivo. Non si tratta propriamente di una biografia, ma di un piccolo romanzo storico che proietta con efficacia l’esperienza di vita del monaco, fragile nel corpo, ma forte nello spirito, nell’orizzonte di un medioevo evocato con sobrietà, non tanto nella sua dimensione pubblica, istituzionale e politica, quanto in quella più intima dei rapporti personali nello spazio limitato del chiostro, che la malattia di Ermanno riduce ulteriormente. Ciò non toglie che, nel corso della narrazione, ci siano richiami puntuali agli eventi e ai personaggi più rilevanti di quegli anni: la lotta delle investiture, Corrado II detto il Salico, Enrico III detto il Nero, papa Leone IX... Il protagonista è così rappresentato
sia nella sua condizione storicamente definita sia nella sua particolarissima vicenda esistenziale. Figlio di nobili feudatari tedeschi, Ermanno nasce in una famiglia socialmente cospicua ma affettivamente indifferente, se non ostile, ad eccezione della madre, che riesce a vincere l’iniziale avversione per quel suo bambino così irregolare, accorgendosi per prima che Ermanno “è una persona e non una larva”. Accolto poi, a sette anni, nell’abbazia benedettina di Reichenau, nell’omonima isola del lago di Costanza, inizia un percorso di formazione faticosissimo eppure appassionante, che l’autrice delinea con la chiaroveggenza del dolore condiviso. Ermanno entra come oblato, con l’impegno a rispettare la regola di San Benedetto, non tanto per la donazione offerta dal padre quanto per l’intercessione dell’abate Bernone, che ne ha intuito, sia pur vagamente, le potenzialità. Subito si confronta con la diffidenza di chi non capisce, a partire da padre Georg, il monaco incaricato di dargli i primi rudimenti di lettura, scrittura, aritmetica e religione, convinto che le difficoltà di Ermanno a pronunciare le parole, copiare le aste e i cerchi con il carboncino o maneggiare i sassolini per contare siano l’indizio di un colpevole esibizionismo, come pure la sua propensione a cadere dalla sedia quando la stanchezza diventa insopportabile. Diverso è l’approccio con i coetanei perché, inserito nella classe dei novizi per studiare latino, musica e astronomia, incontra sguardi stupefatti e incuriositi, ma non spaventati né ostili e intreccia il primo legame di amicizia con Adso. Intanto sviluppa la sua mente e il suo cuore, innamorato del mondo e di qualsiasi cosa gli permetta di conoscerlo. Per orientarsi tra i corpi
celesti, cerca di capire il funzionamento dell’astrolabio, che più tardi tenterà di costruire, addomesticando laboriosamente le sue dita ribelli; esplora il cammino impervio dell’uomo nella storia; scopre, dopo l’impaccio iniziale, la traslucida chiarezza del linguaggio matematico; accoglie, con una sorta di trasognato stupore, l’iniziazione al canto liturgico; affronta pubblicamente un dibattito di teologia... Sperimenta anche il lutto, “lo sconquasso totale dell’anima”, per la morte di Adso, il caro compagno che un giorno s’era offerto di prenderlo in braccio, sostituendosi ad Albrecht, il servo incaricato, per portarlo a giocare con gli altri bambini. Il legame con gli altri ragazzi si rafforza e assume una qualità nuova quando Albrecht, che l’aveva accudito per anni, cade da cavallo e si rompe una gamba. Da quel momento viene stabilito che tutti i compagni si occupino di lui, a turno: Col tempo, dopo parecchi capitomboli, qualche involontario soffocamento al momento di farmi bere e non poco imbarazzo alla latrina, i ragazzi si abituarono a me. Settimana dopo settimana, quella che veniva percepita come la peggiore incombenza, venne considerata normalità. Tutti si abituarono ad aiutarmi e fui felice quando cominciarono, piano piano, a parlarmi mentre mi aiutavano o mi accompagnavano da qualche parte. Lentamente, la vergogna cessò e si creò sintonia: non ero più un peso, ero io e basta (p. 56). Il racconto, in prima persona, continua a snodarsi limpido lungo gli anni della giovinezza di Ermanno, tra il soggiorno di studio nell’abbazia di Fulda, la scrittura di una storia della Svevia, l’attività di insegnamento ai novizi, in cui tenta di applicare una pedagogia che coniughi serietà e dolcezza… All’età di 26 anni, Ermanno comincia lentamente a maturare la decisione di prendere i voti, che avrebbe pronunciato quattro anni più tardi, al termine di un’approfondita analisi di coscienza. Sebbene abbia vissuto da monaco fin dal suo ingresso in monastero, vestendo il saio e obbedendo alla Regola, non è stato infatti consacrato. È però convinto che l’inquietudine che gli segna l’anima sia, agostinianamente, un richiamo di Dio: “Ci hai creati per Te e inquieto è il cuore nostro finché non riposa in Te”. Ermanno si avvia così a una maturità operosa. Armato di stilo e tavolette e circondato da grossi tomi, trascorre molto tempo nello scriptorium a compulsare codici, a scrivere saggi di astronomia e di musica, a comporre messali e preghiere, a elaborare gesta e cronache oppure nell’officina a costruire astrolabi e strumenti musicali. Il corpo resiste ostinato, sempre
scomodo in qualsiasi postura, anche sulla seggiola che è stata costruita a sua misura: i muscoli si contraggono, il respiro si fa stentato, le labbra tremano per l’affanno… Eppure, come fa dire l’autrice a Bertold di Reichenau, il più fedele discepolo: Quel che mi colpiva di lui non era solo la testardaggine con cui lavorava, sempre a leggere o rileggere manoscritti o a scrivere e riscrivere, con le mani scoordinate che reggevano a malapena lo stilo, bensì l’allegria che sapeva trasmettere. Già dalle prime lezioni, a noi novizi si era dimostrato ironico, preparato, umano (p. 117). Quando la madre Hiltrud muore, Ermanno affronta ancora “lo sconquasso totale dell’anima” e distilla la sua esperienza di figlio nella dolcezza dell’antifona mariana del “Salve Regina”. Il suo corpo declina ulteriormente, fino a quando, a 41 anni, tormentato dalla febbre e dalla tosse, muore. Come lui stesso confessa a Bertold, l’orizzonte mondano si è ormai dissolto nell’irrilevanza, “simile all’impalpabile lanugine del cardo”. Il suo sguardo si volge altrove. Al termine del racconto il profilo del piccolo monaco disabile si delinea travagliato eppure sereno, in un gioco dialettico in cui dolore e talento si richiamano, si sfidano, si inseguono, nel segno di una volontà irresistibile. E dentro questo profilo si disegna, come in filigrana, quello stesso dell’autrice. Marisa D’Ulizia
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LUNA calante e LUNA crescente N Vittorio GRECHI
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ei primi anni del 1900, due fratelli, terminato il breve periodo della scuola dell’obbligo, erano entrati come piccoli operai in una conceria. Col loro magro salario davano comunque una mano a sbarcare il lunario a tutta la famiglia, composta da cinque persone. C’erano cinque anni di differenza tra i due fratelli e il più piccolo doveva ancora fare Comunione e Cresima. La madre era spesso malata, la sorella appena diciottenne stava per sposarsi e il padre stava lontano da casa per lunghi periodi, a pulire il grano con la vigliara presso i grandi latifondisti dell’agro romano. Avevano solo un paio di scarponi chiodati a testa, sia per l’estate che per l’inverno, e il più piccolo aveva bisogno di un paio di scarpe fine, cioè più eleganti, almeno per il giorno della prima comunione, ma non c’era denaro per andare dal calzolaio. Una sera d’inverno, tornando a casa, trovarono un cane morto lungo la strada. Lo scuoiarono e il mattino dopo ne conciarono la pelle nello stabilimento. A quel punto le scarpette nuove costarono solo la manodopera del calzolaio che, da parte sua, fece pure un grosso sconto ai due fanciulli. Quando arrivò il tempo di potare le viti -lavoro che non avevano mai fatto prima–, vista la perdurante assenza del genitore, chiesero aiuto a un contadino di una frazione vicina che faceva di mestiere il bracciante agricolo. Concordarono il prezzo, insieme alla data di inizio dei lavori, e non vedevano l’ora di poter imparare il mestiere rubandolo con gli occhi all’esperto, in modo da risparmiare negli anni a venire, facendo tutto da soli. Avevano preparato alcuni mazzi di vimini, detti in dialetto li liàmi, per legare i tralci delle viti, come aveva detto l’esperto e, al suo arrivo, iniziarono i lavori. Le viti erano tutte maritate con olmi, ornelli e testoni, come si usava in quel tempo, perché d’estate le loro foglie, in dialetto le fronne, in mancanza di altro foraggio, venivano date a pecore, asini e vacche. Mentre il bracciante si dava da fare a tagliare i tralci e a piegarli ad arco, i due giovinetti gli spostavano la scala e gli stendevano i legami, guardando con attenzione ogni suo movimento. Poco dopo, sulla vicina strada romana, passò un contadino, in groppa alla sua asina, che si fermò a fare due chiacchiere. Era uno dei dintorni, che conosceva bene sia i ragazzi sia il potatore. Gli scambi di opinioni sul tempo e altri argomenti contadini, però, durarono poco perché i giovincelli non sapevano cosa dire e il potatore stranamente non partecipò affatto alle ciarle, continuando a tagliare e a legare come se avesse fretta di andare avanti col lavoro. Ci volle una settimana per finire di potare gli alberi che sostenevano le viti e le viti stesse e alla fine, pagato il
pattuito, i fratelli salutarono il bracciante e si misero a raccogliere le frasche facendoci alcune fascine. Passò il tempo, tornò anche il genitore che approvò l’iniziativa dei figli, vennero anche l’estate e l’autunno e quindi il tempo di raccogliere i bellissimi grappoli di uva che occhieggiavano maturi tra il fogliame verde smeraldo delle viti. Mentre si apprestavano a vendemmiare, ripassò lo stesso contadino che aveva in parte assistito alla potatura. Questa volta se la prese più comoda, scese a terra, legò l’asina a corda corta su un arbusto della siepe, e si avvicinò ai due giovani. Dopo i convenevoli, a bassa voce spiegò perché era sceso dall’asina e stava guardando le viti rigogliose, piene di grappoli. “Quel furfante del potatore –disse sottovoce– era venuto a potare le vostre viti perché era luna crescente e nessun contadino esperto avrebbe potato o fatto potare le proprie piante in quella fase lunare, pena un raccolto striminzito e tralci che si sarebbero arrostiti al primo sole di agosto. Per lo meno è questo che ci hanno tramandato i nostri vecchi. Invece vedo che questa volta la luna si è comportata bene con voi e quindi vi saluto, ma la prossima volta stateci attenti e non fatevi fregare”. Ecco perché il potatore era stato zitto mentre potava! Stava facendo una brutta azione contro i ragazzi, che non sapevano o non avevano fatto caso alla fase lunare e il contadino che si era fermato lo aveva scoperto. Lì per lì, i fratelli fecero spallucce, ma il più giovane dei due ci ragionò sopra e si convinse che la luna non era capace di influenzare quello che sarebbe accaduto qualche tempo dopo, almeno per quanto riguardava la potatura. Continuò per tutta la vita a controllare gli eventi come la pioggia e le fasi lunari: a volte, poche, sembrava che la pioggia cadesse quando la luna cambiava fase, altre volte sembrava meno precisa. Non era proprio un modo di ragionare da metodo scientifico, ma ci si avvicinava parecchio e ne dedusse che per lo meno la potatura non era influenzata dalla luna. Quel giovane rampollo era mio nonno.
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Cara/o cittadina/o, prima di tutto GRAZIE per l’impegno messo nella raccolta differenziata, grazie al lavoro di tutti siamo riusciti a raggiungere alti standard di qualità e quantità nella raccolta differenziata.
Il tuo Comune ha deliberato il passaggio alla TARIC (Tariffa Rifiuti Corrispettiva) a partire dall 1 gennaio 2021. COSA CAMBIA? La TARI diventa un corrispettivo, precisamente il contributo dovuto alla erogazione del servizio essenziale di Igiene Urbana di cui fanno parte la raccolta differenziata e lo smaltimento dei rifiuti. La TARIC è il naturale completamento del percorso già avviato con il sistema porta a porta, nel rispetto delle normative vigenti, generando la tariffa rifiuti in base alla reale produzione di ogni utenza. Il calcolo della fattura non utilizzerà più il metodo presuntivo legato al numero dei componenti il nucleo familiare, e - per le utenze non domestiche - la potenziale capacità di produzione dei rifiuti, ma la rilevazione effettiva della quantità in volume dei rifiuti prodotti. L’utente pagherà in proporzione a quanto rifiuto indifferenziato produce: meno rifiuto indifferenziato produce, meno spende, secondo il principio “CHI INQUINA PAGA”. Il metodo di rilevamento è reso possibile dalla lettura del codice del contenitore esposto per lo svuotamento. La TARIC sarà fatturata dai Gestori RTI – ASM Terni S.p.A. & Cosp Tecnoservice s.coop.a r.l. così come avviene per qualsiasi altra utenza (luce, gas, acqua). Scopo della TARIC è incentivare la riduzione del rifiuto indifferenziato ed incrementare al massimo la percentuale di raccolta differenziata nel rispetto del principio di equità e trasparenza dei costi dell’Igiene Urbana. Nella pagina successiva trovate alcune risposte ad alcuni dubbi ricorrenti e i contatti per maggiori informazioni. Ti ringraziamo sin da ora per la collaborazione.
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QUALI DIFFERENZE CON LA TARI? La tassa sui rifiuti si trasforma in corrispettivo (quindi una fattura) emessa a fronte del servizio essenziale di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani. COME SI CALCOLA? La cifra non si basa più esclusivamente sul presunto consumo e sui metri quadrati dell’immobile, ma anche su quanti rifiuti sono effettivamente prodotti e differenziati. COSA SI PAGA? L’utente paga la quantità di rifiuto indifferenziato prodotto. Effettuando una corretta raccolta differenziata si avrà una tariffa coerente. Minor rifiuto indifferenziato si produce, meno si paga. QUALE È IL METODO DI RILEVAMENTO? La tariffa dei rifiuti è calcolata in maniera equa e trasparente. La misurazione dei conferimenti dei rifiuti indifferenziati avviene attraverso il sistema di lettura elettronico del volume del contenitore svuotato al momento della raccolta. SONO CALCOLATI IN BOLLETTA ANCHE I RIFIUTI DIFFERENZIATI PRODOTTI? Carta, plastica e lattine, organico, vetro non sono considerati nell’algoritmo di calcolo. Viene misurato e calcolato solo il rifiuto indifferenziato. COSA CAMBIA NELLE MODALITÀ DI CONFERIMENTO DEI RIFIUTI? Nulla. I contenitori (mastelli, bidoni, cassonetti) devono essere esposti nei giorni prestabiliti all’esterno delle proprie case come da calendario. SONO PREVISTE RIDUZIONI ED AGEVOLAZIONI NELLA TARIFFA RIFIUTI CORRISPETTIVA? Si. È possibile prenderne visione consultando il Regolamento della Tariffa Rifiuti Corrispettiva del proprio Comune. QUINDI CONVIENE ESPORRE IL MASTELLO SOLO QUANDO È PIENO? Certamente, e lo stesso vale per i bidoni ed i cassonetti. Per il conteggio della Tariffa si computa il volume del contenitore esposto anche se mezzo vuoto. Quindi 40 litri per i mastelli,120 litri o 240 litri per i bidoni e 1100 litri per i cassonetti. IL COSTO SARÀ QUELLO PAGATO GLI SCORSI ANNI PIÙ IL CALCOLO DELL’INDIFFERENZIATO? No. Il costo viene calcolato ex novo con i criteri già esposti della Tariffa Rifiuti Corrispettiva.
PER MAGGIORI INFORMAZIONI Sportello TARI presso ASM TERNI S.p.A. Via B. Capponi, 100 - 05100 Terni
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