Numero 11 0 dicembre 2013
Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura
IMMOBILIARE
B AT T I S T E L L I
Foto Alberto Mirimao
Da Stoccolma a Terni (via Carosello)
Bisogna avere un certo numero di anni -almeno una cinquantina, forse di più- per poter ricordare un vecchio spot di Gino Bramieri in cui si pubblicizzava il Moplen. Anzi, a ben vedere, il tempo passato è così tanto che la frase precedente utilizza dei termini inappropriati: quello del Moplen con Gino Bramieri non era uno spot, ma un “carosello”, che segue regole diverse, ben definite e fisse. A differenza dei flash commerciali attuali, di durata sempre molto limitata e totalmente concentrati nel tentativo di far superare la soglia del ricordo per l’oggetto reclamizzato, un carosello durava molto di più (due minuti e quindici secondi) e doveva seguire la regola cruciale che il prodotto poteva apparire ed essere nominato solo nell’ultimo mezzo minuto. I centocinque secondi iniziali dovevano essere destinati ad un mini-spettacolo, talvolta artistico, più spesso comico, che poi si risolveva con l’introduzione della pubblicità vera e propria; spettacolino che, tra le altre cose, doveva essere quasi sempre nuovo, non ripetuto all’infinito come gli spot-tormentone odierni. Naturalmente, pur sempre di pubblicità si trattava: il che implicava la sperticata esaltazione dell’oggetto, l’utilizzo di slogan pirotecnici (nel caso in questione, Gino Bramieri concludeva immancabilmente il carosello con un distico in eptametri di levatura leopardiana: Ma signora badi ben, che si tratti di Moplen), e soprattutto una serie infinita di sorrisi estasiati da parte di testimonial e comparse. Il mezzo secolo trascorso da quella réclame all’odierno advertising si fa sentire per diverse ragioni: non solo perché il destinatario dello slogan era in genere una casalinga, dignitosa professione ormai quasi del tutto scomparsa e mai pienamente riconosciuta, ma anche e soprattutto proprio per la natura del prodotto reclamizzato. Il Moplen rappresentava, dal punto di vista dell’uomo della strada degli Anni Sessanta, l’ingresso delle materie plastiche nella vita quotidiana; e tutti quei caroselli erano infatti incentrati sui vantaggi della sostituzione di oggetti tradizionali (secchi, tinozze, giocattoli, e mille altri) con i corrispondenti nella nuova, rivoluzionaria materia plastica: più leggeri, più resistenti, e senza dubbio più moderni. Era uno dei casi in cui più che alla marca (il “brand”, si direbbe oggi), si badava effettivamente all’innovazione generale di un materiale: e, in effetti, a
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giudicare dalla diffusione che hanno avuto negli anni successivi le materie plastiche, non si può negare che il loro impatto sia stato rivoluzionario. Al giorno d’oggi, in tempi di raccolte differenziate che eleggono l’onnipresente plastica ad una macrocategoria di rifiuti, suona strana anche solo l’idea di pubblicizzarla: ma è indubbio che, come in ogni processo di innovazione, a quei tempi ci fosse un certo grado di inerzia (nel migliore dei casi) o di diffidenza (nel peggiore) verso i materiali che tendevano a sostituire quelli tradizionali. “Moplen” è naturalmente un marchio commerciale: il suo nome più generico e corretto è polipropilene isotattico. Nonostante il compito storico di cui si è fatto carico, è verosimile che il carosello del Moplen permanga nella memoria dei non più giovanissimi che lo hanno goduto dagli schermi in bianco e nero della televisione non tanto per il prodotto in sé, quanto per il piccolo artificio comunicativo che utilizzava, promuovendolo da espressione dialettale a termine degno della TV nazionale, il monosillabo mo’. Il passaggio dalla scenetta del carosello alla vera e propria soletta pubblicitaria era infatti immancabilmente veicolato dalla domanda del comprimario “E mo’?”, in genere scaturita da una difficoltà apparentemente insormontabile dovuta all’utilizzo di oggetti di materiale tradizionale, alla quale Bramieri poteva, con fare liberatorio, rispondere entusiasta: “E mo’ e mo’: Moplen!”. Faceva un po’ ridere anche solo sentire un milanese usare l’espressione mo’, che è ben diffusa al centrosud, ma pochissimo usata a nord degli Appennini: ma ben serviva ai fini pubblicitari, per introdurre il marchio: mo’ richiamava il Moplen, la cui prima parte del nome a sua volta richiama la Montecatini/Montedison, azienda produttrice, mentre la seconda (“plen”) è una crasi di “polipropilene”. Del resto, anche il termine tecnico richiama il processo base della produzione, ovvero la polimerizzazione. È probabile che il Moplen sia l’unico prodotto, almeno nella storia della nostra amata patria, che si sia meritato sia un carosello sia un Premio Nobel: il polipropilene isotattico è stato infatti rivoluzionario nell’industria delle materie plastiche, ed è tuttora assai usato. Fu scoperto da Giulio Natta, che per la sua invenzione ottenne di potersene andare a Stoccolma a ritirare il Premio Nobel per la Chimica nel 1963. Si tratta dell’unico premio Nobel conquistato dall’Italia in questa disciplina. Non sono molti gli italiani che si ricordano del genio di Natta. Del resto, non sono neppure tanti i ternani a ricordare il ruolo giocato dalla loro città in questa storia di chimica e caroselli. Il Moplen veniva prodotto in due soli stabilimenti: dalla “Montesud” di Brindisi, che ribadiva nel nome solo la sua locazione geografica e la ditta proprietaria; e da una fabbrica ternana che, invece, nel suo nome ricordava esplicitamente il processo chimico alla base del prodotto: la Polymer. P i e ro F a b b r i
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PRESE PI D’ITAL IA - M ass a Ma rta n a
Torna il Presepe di Ghiaccio!
HABEMUS PAPAM! ci sarà anche la statua di Papa Francesco! Un presepe unico in Italia, con statue a grandezza naturale, scolpite su grandi blocchi di ghiaccio che brilleranno come fossero del più pregiato cristallo. La Sacra Famiglia sarà scolpita ispirandosi alla Adorazione dei Magi del Perugino. Di fronte a Gesù Bambino ci sarà la statua di Papa Francesco in adorazione, fatta di ghiaccio bianco come quello del Ghiacciaio Perito Moreno che sta laggiù “alla fine del mondo” nella Sua Patagonia Argentina! Un presepe “da brivido” che ha tutto per meritare l’Oscar del presepe più bello d’Italia nell’anno 2013. Presepi d’Italia, in programma a Massa Martana (PG) dal 24 dicembre al 6 gennaio 2014, proporrà anche una pregevole selezione di bellissimi presepi provenienti da tutte le regioni d’Italia, oltre a veri e propri capolavori realizzati da grandi scultori e ceramisti che, davanti alla Santità del Natale sanno liberare tutta la loro creatività, realizzando originali opere d’arte sulla Natività che rappresentano il valore aggiunto di Presepi d’Italia (www.presepiditalia.it). La Mostra si tiene in Umbria, in uno dei borghi più belli d’Italia, dove i visitatori sono accolti dai fuochi che i vecchi del paese accendono nelle piazze e dalla melodia delle nenie natalizie diffuse nelle vie dell’antico borgo medioevale. Una Mostra dove, per incanto, si riscoprono la magia e le emozioni del Natale di una volta.
Tante le NOVITÀ 2013 e tutte nel segno dell’arte: Il Presepe di Ghiaccio, un incantevole spettacolo di luci e ghiaccio. Un sogno per grandi e piccini. Tanti nuovi PRESEPI, uno più bello dell’altro, napoletani, palestinesi, popolari e diorami, realizzati con grande maestria da alcuni dei più bravi presepisti italiani, i quali con le loro opere rinnovano la magia del Natale e mantengono viva l’intuizione di San Francesco. Le meraviglie di 16 CITTÀ DELLA CERAMICA, ben 45 ceramisti molto quotati presentano il meglio della tradizione ceramista di alcune delle principali città della ceramica, quali Caltagirone, Santo Stefano di Camastra, Grottaglie, Cerreto Sannita, Vietri sul Mare, Castelli, Faenza, Deruta, Nove, Albisola, Gualdo Tadino, Castellamonte, Civitacastellana, Gubbio, Ascoli Piceno, Urbania, Cerreto Sannita, ognuna fiera della bellezza ed originalità delle sue opere. I GRANDI SCULTORI di “Presepi d’italia”, una selezione di oltre 50 artisti molto noti e di grande talento, affascinati dalla magia della Nascita di Cristo, hanno scelto Massa Martana per esporre opere geniali e creative che danno lustro e prestigio alla mostra, rendendola ogni anno tutta nuova. Sculture in bronzo, pietra, argilla, cera, cartapesta e nei materiali più vari, di fronte alle quali si provano grandi emozioni che fanno capire come l’artista con il suo talento, la sua mente ed il suo lampo di genio può arrivare veramente a Dio. In totale saranno presentati 150 NUOVI CAPOLAVORI, tra presepi ed opere d’arte sulla “Natività” e verranno esposti in 25 botteghe ubicate all’interno delle mura medioevali di Massa Martana, un paese che in occasione del Natale, complice la presenza dei presepi, diventa una “cartolina” d’altri tempi e regala al visitatore un senso di pace e benessere, facendo sorgere spontanea la domanda: a quale pagina della storia siamo arrivati? Tutto questo è “Presepi d’Italia”, un evento di portata nazionale, una delle due mostre più importanti del settore, ... lo spettacolo più bello da vedere a Natale!
Orario d’apertura: tutti i pomeriggi dalle 15,00 alle19,30 e, nei giorni festivi e prefestivi, anche il mattino dalle 10,00 alle 12,30. Per informazioni: Ennio Passero 348 3347146
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D a S t o c c o l m a a Te r n i - P F a b b r i MEDIOAREA P R E S E P I D ’ I TA L I A - M a s s a M a r t a n a AT E N E O 1 ° i n c o n t r o - G R a s p e t t i GRENZOR Hashtag? Cocopro? Rosicone? - A M e l a s e c c h e Serve un sostegno? C’è l’amministratore! - M P e t ro c c h i IMMOBILIARE BATTISTELLI La storia del pilota e del pastore - F Patrizi Poesie - F Calzavacca S A N FA U S T I N O DIREZIONE AMBIENTE A S S E S S O R AT O A I L AV O R I P U B B L I C I ASSESSORATO CULTURA SCUOLA E POLITICHE GIOVANILI ANTICA CARSULAE Medicina ed eresie - G G i o rg e t t i Oltre gli Ultras - F L e l l i C O O P E R AT I VA M O B I L I T À T R A S P O R T I CONSORZIO TEVERE NERA Un Profeta contro la crisi - PL Seri ALFIO Seconda stella a destra - C Colasanti LA CRISALIDE J o h n L o c k e (2° parte) - M R i c c i STUDIO MEDICO TRACCHEGIANI LANDI COSTRUZIONI L A B O R AT O R I S A L VAT I A Z I E N D A O S P E D A L I E R A S A N TA M A R I A D I T E R N I B E R L I N O - L Be l l u c c i HUMOR PRECARIO - C Brunetti N U O VA G A L E N O LICEO CLASSICO - M D’Ulizia, G F r a n c h i n i , F Ve n t u r i , R Te r r i b i l i A c a c c i a c o i c a p i - V Grechi Medicina predittiva - L Paoluzzi ATENEO - A s s o c i a z i o n e C u l t u r a l e L a P a g i n a L’alimentazione dell’anziano: gli integratori alimentari - L F B i a n c o n i Vinu ruscio fa bbon sangue - P C a s a l i Orientamento che vuol dire? - G Ta l a mo n t i CENTRO MEDICO DEMETRA - ERREMEDICA Alla scoperta di... in visita ai musei - L Santini L’ a n f i t e a t r o r o m a n o d i Te r n i - D F a g i o l i PA S T I C C E R I A C A R L E T T I I p r o t a g o n i s t i d e l l a p i t t u r a i n Va l n e r i n a - C F a v e t t i PHISIOLIFE FA B U L A E parte terza - M V P e t r i o l i FA R M A C I A B E T T I L a T e r n i i n p o s a - F Ca l z a v a c c a F O N D A Z I O N E C A S S A D I R I S PA R M I O C I D AT L’alluce rigido - V B u o m p a d r e NARNI - F Bussetti Punti fissi o impianti? - A No v e l l i MECARELLI L A S TA N Z A D E L S A L E Una soffitta sull’universo - M P a s q u a l e t t i Parliamo delLA LUNA - E Co s t a n t i n i ALLEANZA TORO LORETTA SANTINI - R B e l l u c c i G L O B A L S E RV I C E SUPERCONTI
PA G I N A
Mensile di attualità e cultura
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti
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Ateneo
1° incontro
Grazie a chi ama la cultura.
C’è speranza se questo avviene a Terni. Auguri Giampiero Raspetti
Direttore editoriale Giampiero Raspetti
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Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.
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Hashtag? Cocopro? Rosicone? Nessuna paura, è italiano! Mentre la nazione Italia si è formata in tempi relativamente recenti, la lingua italiana è molto antica e ha subito una progressiva evoluzione nel corso di più di mille anni di storia, registrando e assorbendo, di anno in anno, centinaia di nuovi termini ed espressioni che servono a indicare nuovi fenomeni sociali, invenzioni tecnologiche, espressioni dialettali o addirittura fare propri termini mutuati da altre lingue. Lo strumento principe che attesta ufficialmente tale evoluzione è rappresentato dal caro e vecchio dizionario e con le emissioni annuali sono tante le parole nuove che ufficialmente entrano a far parte della lingua italiana. Rottamatore, mille proroghe, biotestamento, eco auto, hashtag, shortino, inzitellito, rosicone, cocopro, web surfing, viralità, digital divide, cloud computing, glocalizzazione, etc. sono circa 1.500 questi nuovi termini figli dei modi di dire, delle innovazioni culturali, legislative e tecnologiche e derivanti persino dallo slang d’oltreoceano se non dal politichese italico. Un’abbuffata di nuove parole, che nella realtà ci dicono molto di più del loro precipuo significato, dando anche chiare indicazioni di come stia cambiando, da un anno all’altro, la società, oltre che la sua lingua. Le new entry sono solitamente rappresentate da modi di dire già da tempo di uso comune, sdoganate in televisione, dai talk show ai telegiornali, sul web o sulla carta stampata e solo ora ufficializzate con l’ingresso nel vocabolario della lingua italiana edizione 2014.
Per essere più precisi non si tratta esclusivamente di nuove parole, ma anche di nuovi significati attribuiti a termini già presenti nel dizionario. Ad esempio rottamatore che, dopo aver inflazionato la cronaca politica e le pagine dei giornali, entra con il significato figurato di “colui che si propone di allontanare e sostituire un gruppo dirigente considerato antiquato”, fino al 2013 ufficialmente si riferiva solamente a tutti coloro che fossero dediti alla demolizione delle auto! Ma non tutti i nuovi inserimenti risultano essere così familiari, come ad esempio adultescente, neologismo usato per indicare i trentenni le cui condizioni di vita (studio, lavoro, casa) e la cui mentalità sono da considerare simili a quelle di un adolescente, un’evoluzione della ben più nota sindrome di Peter Pan che sembra affliggere molti italiani. Al contrario, invece, colpisce che i cocopro siano entrati solo ora, ma più che un contratto da precario, il termine identifica un vero e proprio status sociale. Va considerato attentamente anche il rovescio della medaglia, per tante parole che arrivano ce ne sono anche molte che rischiano l’estinzione: qualche esempio? Secondo gli addetti ai lavori gli italiani non usano quasi più termini quali: recalcitrante, abominevole, intrepido, malfattore, sedizione, carismatico, visibilio, ineffabile, sfarzo, cipiglio, sfavillare, ghermire… il cui uso diviene meno frequente perché televisione e giornali troppo spesso privilegiano i loro sinonimi meno pregiati e più comuni, ma forse anche meno espressivi. Visto che la cronaca, politica ed economica, ma anche di costume, ci presenta ogni giorno esempi non proprio da libro Cuore, c’è da chiedersi se un uso meno frequente di alcuni termini come ad esempio malfattore, sia frutto dell’abbassamento del nostro livello di guardia e di un conseguente aumento di assuefazione agli stessi. Ci sarebbe nel caso di che essere preoccupati. Vi siete ma chiesti quali parole compongano il vostro italiano quotidiano? a l es s ia . m e l a s e c c h e @ l i b e ro . i t
Serve un sostegno? C’è l’amministratore! L’amministratore di sostegno è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla L. n° 6 del 2004 con l’obiettivo di aiutare colui che, anche in modo parziale e/o temporaneo, non sia nella condizione di provvedere ai propri interessi. Si pensi ad un soggetto colpito da ictus, da alcune malattie mentali oppure, semplicemente, non in grado di restare al passo con un mondo che cambia tanto velocemente. Dispone l’ art. 404, c.c. : La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio. Si tratta di uno strumento che ha il fine di sacrificare nel minor modo possibile la capacità di agire dell’assistito e si distingue profondamente dall’interdizione e dall’inabilitazione, che sono misure di protezione di carattere residuale, cui ricorrere solo una volta esclusa la possibilità di fare ricorso alla meno afflittiva misura dell’amministrazione di sostegno. Gli atti in cui il soggetto deve essere assistito sono, infatti, specificati puntualmente nel decreto di nomina rimanendo, per tutti gli altri che non prevedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore, la sua capacità di agire piena. Il ricorso al Giudice Tutelare per la nomina di un amministrazione di sostegno può essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato, in questo caso è presentato congiuntamente all’istanza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini (parenti del coniuge) entro il secondo grado,
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dal tutore o curatore, dal pubblico ministero, dai responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona. Nella scelta dell’amministratore, il giudice tutelare preferisce, ove possibile, il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio, il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado, ovvero il soggetto designato dal genitore superstite con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata. L’elencazione sopra riportata, ex art. 408 c.c., non costituisce una graduatoria in quanto il giudice ha la più ampia discrezionalità dovendo essere guidato nella scelta esclusivamente dal criterio dell’interesse del beneficiario. Ed infatti il giudice tutelare, quando ne ravvisa l’opportunità, e nel caso di designazione dell’interessato quando ricorrano gravi motivi, può chiamare all’incarico di amministratore anche un’altra persona idonea diversa da quelle sopra indicate. Non possono, invece, per specifica previsione di legge ricoprire le funzioni di amministratore di sostegno gli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico il beneficiario. Non è possibile, in previsione della propria eventuale futura incapacità, proporre il ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno in proprio favore, presupponendo l’attivazione della procedura la sussistenza della condizione attuale d’incapacità, in quanto l’intervento giudiziario non può essere che contestuale al manifestarsi dell’esigenza di protezione del soggetto. È possibile invece, ai sensi dell’art. 408 c.c., provvedere, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, alla nomina preventiva del proprio amministratore di sostegno. Buona lettura del codice civile! Avv. Marta Petrocchi legalepetrocchi@tiscali.it
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La storia del pilota e del pastore
Sapeva tutto di lui. Da dieci mesi spiava ogni sua mossa, lo aveva visto uscire di casa tutte le mattine, dare l’acqua al bestiame, preparare la colazione per i figli, poi andare con i compagni in un casolare a parlare, lontano da occhi indiscreti. Lo aveva visto dormire il primo pomeriggio sotto un albero, pregare, portare gli animali al pascolo e insegnare al figlio più grande a guidare il motorino. Il pastore non sapeva niente di lui, della carriera lampo nell’Intelligence, dell’addestramento con un simulatore di volo per guidare un drone nei cieli di un paese lontano, non sapeva delle serate dopo il lavoro passate con i colleghi davanti a una birra. Non sapeva neanche, il pastore pachistano, di essere spiato dall’alto da un occhio quasi invisibile e che ogni suo gesto e ogni parola venivano registrati dall’ufficio antiterrorismo americano. Poi una mattina il pilota, che pilota vero non è perché non si è mai alzato veramente da terra, ha dovuto schiacciare quel pulsante. Il pastore aveva preparato la colazione ai figli, aveva riparato il motorino e stava aspettando gli amici sotto l’albero davanti alla casa. Quando questi sono comparsi sul viale con una valigia in mano, nell’altro continente il pilota ha sentito in cuffia un voce ferma e pacata: fuoco! Sullo schermo è comparsa una nuvola di polvere, poi
resti umani sparpagliati e un bambino disteso accanto a un motorino fatto a pezzi. Il drone se n’è tornato alla base e il pilota ha staccato il turno. La notte sono cominciati gli attacchi di panico, le allucinazioni, l’insonnia. Il pilota aveva dovuto rinunciare al lavoro, non aveva più la lucidità, la fermezza, l’attenzione, non serviva starsene a riposo, si era spezzato in lui qualcosa, perciò aveva chiesto che gli venisse riconosciuto lo status di reduce di guerra. Il trauma era causato dalla modalità dell’esecuzione dell’ordine: non era stata una sparatoria o un conflitto a fuoco, ma un omicidio premeditato e studiato nei minimi dettagli. In un combattimento il soldato si ritrova davanti un altro soldato nelle sue stesse condizioni, invece nella guerra dei droni chi uccide dall’alto spia giorno dopo giorno l’ignaro nemico (o presunto tale) arriva a conoscerlo nell’intimità, prende confidenza con le sue abitudini, con i suoi figli, i suoi parenti, e lo colpisce dall’alto, davanti alla sua casa, in un giorno qualsiasi della sua vita; il tutto guardando un piccolo schermo in una sorta di reality dove sai che puoi eliminare i concorrenti premendo un pulsante. Poi, per scaricare l’adrenalina, si va a bere una birra con i colleghi, finché qualcosa nel meccanismo non si spezza e la birra non basta più. Il caso giuridico ha sollevato anche un’altra questione spinosa: il pilota non è propriamente un soldato, ma un tecnico informatico inviato a livello virtuale ad uccidere in un contesto bellico… ma ufficialmente gli USA non sono un paese in guerra e lui non può essere reduce di una guerra che non esiste. Francesco Patrizi
M AT E R N I T À Si apre nella notte il grembo di Maria senza pudori o remore consegnerà alla storia alla pietà comune il frutto di quel seme annunciato da dio G E S TA Z I O N E Nelle piazze vocianti e proteste indifese ti ho visto silenziosa la mano sul tuo ventre il velo dei millenni che protegge il tuo viso stempera i tuoi colori allontana il presente mentre il mistero preme si trasforma in dolore cerca di farsi uomo attendendo la croce. Saranno i tempi a darne l’esatta cognizione. 10
STILLE NACHT Silenzio. I suoni dispersi si raccolgono nello spartito si compongono con fantasia come gocce di una pioggia avvolgente ripetuta. Il percorso alla sua fine ti riserva una sorpresa. Meteoriti tracciano notti l’orizzonte se ne appropria grande ventre in gestazione. All’oscuro ne approfitta alimento per un figlio. Così dicono le Scritture.
e sarà un gran clamore saranno lumi e offerte da una terra di sale daran voce ai perdenti le galassie e gli oracoli le scritture e i profeti. Si apre nella notte la materna ferita versa liquori antichi e un urlo all’infinito a conciliare fedi a coniugare secoli.
Franca Calzavacca
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F O N T E Nasce un nuovo polo turistico e industriale L’ampia struttura recettiva e il rinnovamento dello stabilimento per l’imbottigliamento dell’acqua Sanfaustino, presentata dal Sig Benedetto Mancini, direttore Generale della Idrologica San Faustino.
Fotoservizio di Alberto Mirimao
Un nuovo polo turistico e industriale è stato presentato il 23 novembre scorso, all’Hotel delle Terme Sanfaustino, per iniziativa della Idrologica San Faustino diretta dal Sig. Benedetto Mancini. Un investimento privato per una struttura che si estende per 54 mila metri quadrati, pensata per rilanciare una azienda che nel territorio ha rappresentato nel tempo la capacità del territorio di fare impresa. All’evento informativo erano presenti la governatrice della Regione Catiuscia Marini, l’assessore all’ambiente Silvano Rometti e il sindaco di Massa Martana Maria Pia Bruscolotti.
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Il piano di Sviluppo Turistico e di Marketing Territoriale Il piano di sviluppo Turistico e di Marketing territoriale dell’Idrologica San Faustino, nasce dalla consapevolezza di dover definire delle linee strategiche di sviluppo del territorio, tracciando le linee di sviluppo economico secondo un’ottica di aggregazione, metodologia e valorizzazione delle risorse locali. Il turismo rappresenta una leva strategica di sviluppo per un territorio con scarsa presenza di investimenti produttivi, lo strumento giusto per valorizzare economicamente e culturalmente le straordinarie potenzialità del suo contesto ambientale e dei suoi eccellenti, tipici prodotti enogastronomici. In altre parole, oggi i territori vivono una fase di profonda trasformazione e necessitano, di una politica di gestione appropriata, in grado di valorizzarne le specificità. Su questa chiave di lettura si colloca l’iniziativa di rilancio delle Terme Sanfaustino che prevede, fino al maggio 2017, investimenti di notevole entità che esprimerà un insieme di azioni di valorizzazione, sviluppo e promozione territoriale quali: Gennaio 2013 Riapertura dello stabilimento d’imbottigliamento dell’acqua Sanfaustino; Maggio 2013 Inaugurazione del nuovo Hotel tre stelle Terme Sanfaustino. Nuovo nella struttura (70 camere), nuovo nell’immagine; Novembre 2014 Inaugurazione del Nuovo Centro Benessere Termale d’indirizzo terapeutico convenzionato; Aprile 2015 Apertura del nuovo Parco Termale, con piscine di acqua calda indoor e outdoor; Gennaio 2016 Inaugurazione del nuovo impianto d’imbottigliamento. Nuovo stabilimento, nuova capacità produttiva, nuove opportunità di sviluppo; Gennaio 2017 Inaugurazione del Nuovo Albergo di Lusso che si svilupperà nello storico fabbricato dello stabilimento d’imbottigliamento, rispettandone i canoni architettonici, in chiave moderna; Aprile 2017 Inaugurazione del Campus Sportivo: area dedicata allo sport con la presenza di campi da gioco, tiri con l’arco, arrampicata in pareti attrezzata, maneggio, etc. Nell'economia di gestione di un progetto è strategico indicare la proiezione di un futuro che rispecchi i valori, gli ideali, le aspirazioni
della propria “Impresa”, il suo scopo ultimo, la giustificazione stessa della sua esistenza, e al tempo stesso ciò che la contraddistingue dalla concorrenza; La “Vision”: sostenere lo sviluppo economico, sociale e ambientale, conciliando le stringenti esigenze attuali, senza incidere sfavorevolmente sul futuro dei nostri figli. Anche per raggiungere gli obiettivi strategici è necessario stabilire gli obiettivi tattici: La “Mission”, ovvero la nostra strategia di medio/lungo respiro: favorire la creazione di un’offerta turistica integrata con tutti i prodotti/servizi che agiscono a vario titolo nella nostra area di riferimento. Da quanto si è detto appare evidente che il marketing territoriale è qualcosa di ben più complesso di quanto possa a prima vista sembrare, e che certamente non si esaurisce e limita alla comunicazione e sviluppo del territorio, bensì ha bisogno dell’impegno di tutte le realtà presenti nel territorio per raggiungere gli obiettivi. Francesco Colangelo
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Direzione Ambiente, Programma azioni per Lui gi Ben civen ga Assessore Mobilità Urbana
Migliorare la sicurezza, la fluidità del traffico veicolare e la qualità ambientale 1. Prospettiva di cambiamento verso la quale si muove il programma Incentivare la mobilità sostenibile ai fini di realizzare una migliore qualità urbana. Incentivare la mobilità sostenibile coerentemente con i Piani Nazionali, Regionali, Provinciali e Comunali e con le linee programmatiche del Sindaco come risposta all’esigenza di adeguare il piano del traffico in continuo itinere, in base alle diverse urgenze. Alla base delle modifiche al piano c’è una triangolazione partecipativa tra organi politici, organi tecnici e cittadini. 2. Soggetti verso i quali si rivolge il programma La città nel suo insieme. 3. Risorse finanziarie, tecniche e umane disponibili per l’attuazione del programma Investimenti come da Bilancio 2012 e 2013 e Piano Triennale delle OO.PP. 2012/2014. Le risorse umane sono quelle della direzione. 4. Azioni per l’attuazione del programma Attuazione ed aggiornamento del Piano Generale del Traffico Urbano. Sviluppo del progetto Bike Sharing. Implementazione dei Progetti Ministeriali finalizzati al miglioramento della sicurezza stradale. Sviluppo della mobilità elettrica. 5. Principali prodotti generati dalle attività relative al programma Attuazione e aggiornamento del Piano Generale del Traffico Urbano: - Pedonalizzazione delle tre piazze Europa/Repubblica/Solferino; - modifica dell’asse via Cavour via Garibaldi, trasformato da area pedonale a zona ZTL con senso unico di circolazione; - istallazione di tre nuovi varchi elettronici, in via Roma, via Garibaldi e Corso Vecchio.
Rilancio d e l p r o g e t t o d i Bik e s h a rin g Il progetto nato nel 2009 ha avuto un boom iniziale per poi avere una battuta di arresto. Ha avuto un secondo slancio dal Febbraio 2013 grazie ad una campagna di incentivazione all’utilizzo, alla registrazione gratuita per il mese di febbraio, ma soprattutto all’ampliamento del parco biciclette e delle postazioni. Si era partiti con 5 postazioni per arrivare alle 14 attuali. Quasi 800 le iscrizioni (iscrizione di 10 euro) che si possono fare in tre punti di accesso allo scopo di coprire diversi orari e diverse zone. Per un totale di 50 bici in circolazione, disponibili fino a 79, per 140 parcheggi disIocati in 14 ciclostazioni. I punti di accesso per l’iscrizione sono, al momento: Comune Ufficio Biciclette Agenzia del Turismo Atc biglietteria via I Maggio USI
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M o b i l i t à e Tr a s p o r t i la mobilità sostenibile I progetti ministeriali finalizzati alla sicurezza stradale hanno permesso la realizzazione di due progetti Psico 1 e 2 che hanno realizzato interventi strutturali per il miglioramento della sicurezz della circolazione pedonale e ciclabile, mediante apparecchiature a comando elettrico in Via Gramsci, Via Turati, Via Rossini, Via del Cassero e Viale Alfonsine con un abbattimento elevato della incidentalità. Si è registrato, ad esempio, un abbattimento dell’85% in via del Cassero. I dati sono elaborati tramite un software che gestisce le info sulla incidentalità (attraverso il rilievo, l’analisi e la gestione). I dati sull’incidentalità sono riportati nel rapporto sull’incidentalità 2009-2012 presente sul sito istituzionale. Recentemente la Regione Umbria, per conto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha approvato ed inserito il Comune di Terni nel 3°, 4° e 5° Programma Nazionale sulla Sicurezza Stradale per un finanziamento accordato al Progetto PSICO 3 dell’importo totale di 300.000 Euro. È stato recentemente firmato un accordo tra i principali comuni umbri e la Regione Umbria con ENEL (per Terni è stata anche siglata una convenzione aggiuntiva con ASM) per l’installazione di postazioni di ricarica elettrica per auto moto e cicli elettrici. 6 . E ff et t i La promozione dell’espansione del Trasporto Pubblico Urbano per disincentivare l’uso dei mezzi privati, migliorando la sicurezza, la fluidità del traffico veicolare e la qualità ambientale ha avuto esiti positivi grazie alle microazioni svolte. Erogazione di incentivi concessi ai dipendenti comunali per l’acquisto degli abbonamenti autobus finalizzati agli spostamenti casa-lavoro. 7 . S v iluppi Occorre proseguire le attività già avviate. Estendere l’agevolazione ai dipendenti che utilizzano anche il trasporto ferroviario per gli spostamenti casa-lavoro, seguendo così gli indirizzi forniti dalla Regione Umbria che ha previsto una più stretta integrazione tra trasporto su gomma e trasporto su ferro.
È in fase di attuazione il 2° stralcio della pedonalizzazione delle aree centrali in attuazione della Riorganizzazione della ZTL e delle Aree Pedonali. È in fase di sviluppo il progetto di mobilità elettrica con l’individuazione di postazioni di ricarica elettrica per auto, motocicli e biciclette a pedalata assistita.
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Assessorato ai Le piscine d Si l van o Ricci Assessore ai Lavori pubblici
La necessità di intervenire sull’impianto sportivo di Viale Dello Stadio rientrava da diversi anni tra le priorità programmatiche dell’Amministrazione Comunale. L’ambito d’intervento, di circa 21.500 mq, era occupato dall’edificio contenente i servizi collaterali alle piscine, quali ingresso e spogliatoi, e dalla cupola che copriva la vasca coperta 10×25 mt. L’esterno era per gran parte occupato da un’area verde, dalla vasca scoperta 25×50 mt e dalla piscina per bambini. Tutta l’area, nata per assicurare un servizio alla comunità e per garantire alla città di Terni uno strumento nell’ambito delle pratiche sportive, versava in condizioni di evidente degrado, abbandono ed impraticabilità, tali da non consentirne più la fruizione da diversi anni. È altrettanto evidente come una struttura centrale, posta all’ingresso ovest della città e funzionalmente collegata con il territorio attraverso un’adeguata viabilità d’accesso, idonea allo svolgimento di discipline sportive, soprattutto a carattere natatorio, fosse fondamentale per l’intero territorio e quindi si è reso necessario prevedere l’intervento di ristrutturazione dell’intera area al fine di restituire alla città un’offerta qualificata di spazi ed attività. Sulla base di un progetto preliminare elaborato dagli uffici tecnici del Comune di Terni è stata indetta la gara d’appalto per la concessione di progettazione, costruzione e gestione pluriennale dell’impianto, nell’ambito del partenariato pubblico-privato. La stessa si è conclusa il 18 Settembre 2009 con la definitiva aggiudicazione all’Associazione Temporanea d’Imprese Todini-Tombesi. In data 1 Marzo 2012 è stato siglato il contratto di concessione con la Società “Le Piscine dello Stadio s.r.l.”, nel frattempo costituitasi tra la Todini Costruzioni Generali e la Tombesi Costruzioni, con Presidente Simon Pietro Salini. In data 26 Luglio 2012 sono iniziati i lavori per la costruzione di tutto l’intervento, tutt’ora in corso, arrivando ad oggi ad una percentuale di realizzazione pari al 65%. Il complesso, oltre a svolgere la funzione primaria di polo natatorio, potrà essere utilizzato per il tempo libero, la cura ed il benessere fisico, servizi ricettivi e per il ristoro, servizi alla persona, conservando buona parte dell’area a verde. La nuova struttura sarà destinata principalmente ad attività sportive, sia agonistiche che non, privilegiando gli aspetti a valenza didattica, sociale, educativa e ludica, secondo un dettagliato programma di gestione allegato al contratto stipulato. Il nuovo fabbricato si sviluppa su due livelli, oltre ad un piano interrato che ospita la gran parte delle attrezzature tecnologiche, tranne la parte dedicata alla piscina coperta di 25 mt ed alla hall d’ingresso che hanno un’altezza doppia. Grande importanza riveste la riqualificazione dello spazio verde esistente, attualmente inutilizzabile, ma impreziosito dalla presenza di alberature di grande pregio, da conservare e valorizzare; come attrezzature all’aperto la proposta conferma la presenza della piscina scoperta 50×25 mt, nell’attuale posizione. Nel progetto esecutivo approvato era anche prevista la realizzazione di un campo da calcetto per il gioco all’aperto. Successivamente l’Amministrazione Comunale, in accordo con la società concessionaria, ha deciso di non realizzare più il campo esterno compensando i relativi costi con il
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Lavori Pubblici dello Stadio
Fotoservizio di Alberto Mirimao
completo rifacimento strutturale della vasca scoperta; tutto ciò si è determinato a seguito di approfondimenti diagnostici sulla struttura della vasca esterna che hanno purtroppo evidenziato gravi lacune tali da non garantirne l’utilizzo in sicurezza. Con l’occasione sono state apportate modifiche che renderanno la vasca più performante. La pavimentazione, in corrispondenza del piano vasca, verrà completamente rifatta ed ampliata, e l’eliminazione del campo consentirà di non abbattere alberature di alto fusto di grande pregio e di realizzare nuovi percorsi nel verde. La proposta inoltre prevede il completo rifacimento e l’ampliamento del parcheggio esistente, completato da ulteriori posti auto a ridosso dell’area data in concessione che, per una maggiore fruibilità, verranno collegati pedonalmente con l’area del parco. A tal proposito, l’intervista all’Assessore ai Lavori Pubblici, Silvano Ricci, è stata fondamentale per avere un aggiornamento di come procedono i lavori e quali sono i prossimi passi per la conclusione dell’intervento. “Come procedono i lavori per la costruzione delle piscine in viale dello Stadio?”. L’assessore risponde: I lavori procedono molto velocemente, l’obiettivo è dare la possibilità ai cittadini ternani, per la prossima stagione, di sfruttare l’intera struttura. In questo momento i lavori sono concentrati sulle piscine. Con l’occasione è stata aumentata la profondità della vasca che permetterà di effettuare anche partite di pallanuoto, maschile e femminile, di serie A; sono state apportate ulteriori modifiche che renderanno la vasca da 50 mt più performante rispetto a quanto previsto originariamente. “Per quanto concerne il ricorso al TAR presentato per presunte irregolarità, cosa risponde?”. L’Assessore spiega: Nessuno stop ai lavori. I lavori proseguono, anzi non si sono mai fermati nonostante il ricorso presentato dalla proprietaria di un immobile adiacente il cantiere. Siamo certi di aver utilizzato e rispettato tutte le procedure a norma di legge per cui andiamo avanti determinati nel raggiungere l’obiettivo; vogliamo completare le piscine dello stadio certi di dar vita ad una struttura che i Ternani aspettano da qualche decennio. “Quali Tecnologie sono state utilizzate per la realizzazione dell’impianto?”. L’assessore dichiara: Il progetto nasce con grande rispetto per l’ambiente. L’intero complesso è stato impostato nell’ottica di ridurre al massimo il relativo fabbisogno energetico, perseguendo contestualmente un utilizzo razionale e mirato delle fonti energetiche rinnovabili. Sono stati adottati sistemi di cogenerazione ad alta efficienza, per la produzione di energia elettrica e calore, impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica da fonte solare, e un impianto solare termico per la produzione di acqua calda da fonte solare, per uso sanitario e per integrazione al riscaldamento delle piscine. “A chi verrà affidata la gestione dell’impianto?”. Ancora l’Assessore: La struttura sarà gestita, così come previsto dal contratto, direttamente dal Concessionario, che potrà comunque avvalersi di soggetti terzi in possesso dei necessari requisiti dandone preventiva comunicazione all’Amministrazione Comunale. Per come procedono i lavori la piscina tra il mese di Maggio e Giugno 2014 diventerà operativa.
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Assessorato Cultura Scuola e Politiche Giovanili Si m on e Gu erra Assessore alla Cultura
CONTEMPORANEA 4
Contemporanea 4 è un insolito progetto espositivo che mette a confronto il linguaggio di tre differenti artisti, con la partecipazione di una nuova realtà ternana che si muove tra arte e tecnologia. Ogni ambiente di Palazzo Primavera è letteralmente occupato e sollecitato dalle istallazioni di questi artisti provenienti da diverse regioni italiane. Inserire Floppino, 108, Kindergarten e il gruppo Hacklab: questi i nomi dei protagonisti di Contemporanea 4. Ciascuno si muove privilegiando un materiale o tecnica rispetto ad altre, ciascuno occupa un piano del palazzo tracciando un percorso tutto da salire e interagire lasciando ampia libertà all’immaginazione dello spettatore. Contemporanea 4 riflette l’importanza del segno concettuale, un segno che pur mimetizzandosi nel caos quotidiano viene scovato e agganciato dall’occhio che si muove dentro l’istinto contemporaneo. L’avventura del possibile, il gioco di un’arte a trecentosessanta gradi, attraverso la scelta di elementi essenziali e apparentemente basici: wall, paper, object and robots. Mostra a cura di Chiara Ronchini e Valentina Gregori. Con il patrocinio del Comune di Terni e l’Assessorato alla Cultura di Terni.
Inaugurazione mostra sabato 21 dicembre ore 18.00
AMBROGIO SPARAGNA E L’ O R C H E S T R A P O P O L A R E I TA L I A N A Martedì 31 dicembre, dalle ore 22.00, P.zza Mario Ridolfi, Terni Tra i maggiori esperti di musica popolare italiana, Ambrogio Sparagna sarà uno dei protagonisti della lunga notte ternana dedicata ai festeggiamenti del Capodanno. Accompagnato dall’Orchestra Popolare Italiana, proporrà, come nel suo stile, uno spettacolo unico, segnato dalle sonorità dei canti popolari appartenenti alla tradizione orale delle regioni del centro e del sud italiano, con musiche che s’ispirano ai ritmi e alle forme della tarantella, della pizzica e della taranta. Folclore, strumenti popolari, come il ciaramello, i mandolini, l’organetto, la zampogna, i violini, i tamburelli, le lire e le ocarine saranno gli ingredienti unici di questo “show”, in cui gli stessi musicisti animeranno il palco con le loro danze, interagendo con il pubblico e dando vita a una vera e propria festa dal gusto popolare. A seguire…
EXPLOSIVE COUNTDOWN A cura di Alessandro De Florio, Alessandro Persi, Valentina Taddei e Manfredo Fraccola, ore 00.30 Musica elettronica e visual mapping animeranno e trasformeranno P.zza Ridolfi in un ambiente fortemente emozionale, denso di luci e immagini. L’intervento consisterà nella proiezione di contributi visivi durante l’esibizione live di musica elettronica, che farà da colonna sonora alla lunga notte che segna la fine dell’anno in corso. Lo spettacolo si nutrirà delle emozioni del pubblico, rendendolo non solo spettatore, ma soprattutto protagonista… Direzione artistica Fabrizio Zampetti fabriziozampetti@alice.it Ufficio stampa Chiara Silvestri press.silvestri@gmail.com 347 7695275
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M e d i c i n a I medici servono a curare sempre e a guarire quando è possibile o perlomeno quando le cose vanno per il verso giusto. Questa ovvia definizione, esauriente ancorché un po’ semplicistica, è valida per tutte le medicine del mondo, siano esse quelle tradizionali o quelle complementari o perfino quelle sciamaniche o magiche. Quella che si allarga o si restringe da un tipo di medicina all’altra è, semmai, la forbice tra i tentativi e i successi. Tuttavia, al contrario di quanto una mentalità scientifica porterebbe a pensare, non esiste medicina al mondo che sia totalmente inefficace, comprese quelle basate su presupposti che la scienza considera di pura fantasia. Vero è che la scienza occidentale troppe volte ha tacciato di fantastiche, o addirittura inesistenti, teorie e pratiche solo perché non aveva saputo comprenderne o conoscerne il meccanismo: ancora oggi gli oculisti ritengono cosa puramente fantastica il metodo Bates per combattere la miopia, anche a costo di dover considerare miracolati coloro che in tal modo hanno migliorato o addirittura sconfitto questo disagio; e non pare la spiegazione migliore. Eppure tutte le medicine del mondo, per quanto diverse tra loro, una cosa in comune hanno: in tutte c’è da un lato una persona che soffre e desidera essere aiutata e dall’altro un’altra persona che -a torto o a ragione, e questo ovunque- è ritenuta competente e in grado di guarire o almeno alleviare il male. Una constatazione di questo genere, inoppugnabile se non addirittura lapalissiana com’è, dovrebbe essere sufficiente a far calare le penne a coloro, e sono tanti, i quali pontificano che solo la loro medicina sia quella giusta e che tutte le altre siano ciarlatanerie o acqua fresca.
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e r e s i e
Quello terapeutico è un processo di natura molto complessa, che continua a sfuggire alle spiegazioni che nei secoli si sono andate via via sostituendo l’una all’altra, sempre tacciando di “superstizione popolare”, termini fortemente spregiativi, la teoria che veniva via via superata. Eppure, a guardar bene, dietro molte superstizioni si cela una saggezza antica acquisita su tutt’altro che spregevoli basi empiriche, che di superstizioso hanno semmai solo il tentativo di giustificarle sul piano teorico (ma perché abbiamo tutti questa smania di dovere per forza giustificare ciò che funziona? La storia della gallina dalle uova d’oro non ci ha insegnato nulla?). Quanto al “popolare”, si potrebbe, parafrasando un celebre detto di Pascal, affermare che Il (cuore) popolo ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Un’esperienza personale: il metodo di mia nonna per curare il giradito (o patereccio: termini ambedue popolari) era di mettere il dito più volte in una soluzione di acqua e sale il più bollente possibile: più caldo si sopportava, prima sarebbe guarito. Ebbene, questo metodo, ovviamente sconosciuto alla medicina accademica, è assai più rapido ed efficace di quello basato su qualunque farmaco; e in più non ha effetti collaterali. Superstizione popolare, ovviamente: giacché, come è stranoto, che funzioni qualcosa di non insegnato nelle nostre università, è del tutto im-pos-si-bi-le. Cosa voglio dire con tutto questo? Che noi medici non faremo un soldo di danno se guarderemo al nostro campo di lavoro con maggiore umiltà e con atteggiamento più laico; vale a dire, un atteggiamento diverso da quello che, nelle idee alternative vede non un contributo alla conoscenza, ma orride eresie, come tali non da studiare ma da combattere, pensando che qualcosa che ancora non conosciamo noi non possa essere altro che falsa, bugiarda, Giovanna Giorgetti ggiovanna@tiscalinet.it inammissibile.
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A furia di nascondere sotto il tappeto l’immondizia, il calcio italiano è riuscito a farne un bel mucchietto. E su quello continua a inciampare. L’ultimo passo falso, a rischio di rompersi l’osso del collo, è avvenuto nell’incontro Salernitana-Nocerina del 10 novembre scorso. Il Questore di Salerno, visti i pessimi rapporti fra le due tifoserie, aveva vietato alle frange ultras nocerine di accedere allo stadio. La risposta degli esclusi è stata: la partita non si giocherà. Le minacce di morte rivolte ai propri beniamini, perché mettessero in atto un tragicomico sceneggiato, hanno prodotto il risultato atteso: tre sostituzioni nel primo minuto di gioco e cinque infortuni nei successivi 20 minuti. In sette, la partita è sospesa, questo prevede il regolamento e questo ha fatto l’arbitro. Lungi dal condannare la prudenza dei giocatori nel dar credito agli avvertimenti (si tratta di ragazzotti di vent’anni con una speranza di vita che non può essere limitata a un incontro di calcio), sconcerta l’arroganza di stampo camorristico con cui è stata contestata la misura prefettizia e la dimostrazione eclatante di prepotenza. Gli ultras, e questo in tutto il territorio nazionale, si sono connotati come gruppi di delinquenti con patente di legalità. Facinorosi organizzati, con tanto di capi e sottocapi, ideologi e organizzatori che, apparentemente, dettano le linee e le modalità del tifo, ma che, invece, puntano al controllo delle scelte societarie in merito ad acquisti, cessioni, allenatori e perfino presidenti. Nella marea di sbandati ci casca pure qualche ingenuotto, che non ha voce in capitolo, almeno fino a quando non si deciderà di allinearsi al verbo del gruppo.
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Le società, sempre pronte a condannarne i soprusi, sono quelle che regalano biglietti gratis agli scalmanati, perché possano venderli e tenersi il ricavato; sono quelle che pagano le trasferte al fior fiore di mascalzoni, opportunamente selezionati secondo regole in vigore fra fuoriusciti da patri ripari. Se non è stata fatta alcuna indagine sul calo degli spettatori paganti negli stadi è perché le ragioni si conoscono bene. Uno spettatore onesto rischia. Rischia di ritrovarsi coinvolto in risse fra opposte tifoserie, di beccarsi una pungicata, di passare una notte in questura a spiegare che non c’entra niente con le opposte rivalità e, nella migliore delle ipotesi, a fare la figuraccia di Biancaneve che entra per sbaglio in un casino. Nel festival dell’ipocrisia trova posto anche la FIGC che grida allo scandalo, all’attentato allo sport, all’avvilimento dei valori, fingendo di non sapere che il sistema gli fa comodo e che non ci saranno mai misure da prendere, finché i vertici federali resteranno saldamente in mano ai presidenti dei club. Fanno da eco alla vicenda di Salerno, i fatti di Genova, dove gli ultras hanno preteso che i giocatori si togliessero la maglia di dosso, accusati di indegnità, o quelli di Ascoli, o quelli del derby romano, dove un capetto ha fatto sospendere un derby, inventandosi la morte accidentale di un bambino nello stadio. Un velo pietoso è sempre pronto a coprire le vergogne che la cronaca non può nascondere, ma sulle quali, per prudenza, non insiste. Almeno fino a quando, come accaduto in Brasile, qualcuno recapiterà alla moglie di un calciatore non allineato, la testa del marito in una Franco Lelli scatola di cartone.
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Cons or zio di B on Piazza E. Fermi 5 - 05100 Terni Tel. 0744. 545711 Fax 0744.545790 consorzioteverenera@pec.it teverenera@teverenera.it - www.teverenera.it
PROGETTO
Il Consorzio di Bonifica Tevere Nera, insieme al Provveditorato agli Studi di Terni e l’Università, propone, anche per l’anno scolastico in corso, il Progetto Didattico denominato Sorella Acqua, che tanti apprezzamenti ha riscosso la passata stagione tra i docenti e gli studenti. Si vuol offrire in tal modo, alla comunità scolastica, un valido strumento formativo, per ampliare ed approfondire la conoscenza dell’ambiente e delle risorse idriche del territorio. Questo impegno troverà la sua sintesi durante la Settimana della Bonifica, nella quale verranno presentati e premiati i lavori e gli elaborati prodotti dalle varie scuole. Nel corso dell’anno, il Consorzio invierà i suoi tecnici nelle scuole per affiancare i docenti, rendendo disponibile del materiale didattico, affinché gli studenti possano comprendere e valorizzare il ciclo delle acque e lo sviluppo delle risorse naturali. Sono coinvolte nel Progetto Sorella Acqua le scuole di ogni ordine e grado della Provincia di Terni. Per ciascuna di esse il Consorzio Tevere Nera ha definito un mirato percorso formativo. Scuole Materne Progetto Goccia su Goccia Sono previsti laboratori didattici sulla vita delle piante e sul ciclo dell’acqua. Il Consorzio fornirà alle scuole delle piante che dovranno essere curate ed innaffiate dai bambini. Alle scuole che sono al secondo anno di questa esperienza, il Consorzio fornirà dei semi e delle vaschette per la
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realizzazione di un orto. Gli insegnanti verranno affiancati dai tecnici del Consorzio per coordinare le attività didattiche. Nel mese di maggio verrà organizzata un’uscita presso il Parco “Le Grazie” di Terni. I volontari della associazione ambientalista “Myricae” condurranno una visita guidata, illustrando e mostrando le diverse varietà vegetali. Saranno svolti anche dei giochi volti a far apprezzare la natura nelle sue forme più significative. Coloro che si sono occupati dell’orto, con
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if i c a Te v e re N er a
Sorella Acqua Orario di apertura al Pubblico Lunedì – Venerdì dalle ore 9,00 alle 13,00 Mercoledì dalle ore 15,30 alle 17,00
affiancheranno gli insegnanti per coordinare le attività didattiche. Verrà organizzata una passeggiata lungo il Fiume Nera ed una uscita presso un’aula ambientale all’aperto. Agli scolari verrà consegnato il diploma di merito di Sentinella dell’Ambiente ed un distintivo. Scuole Superiori Progetto Acqu a come risorsa Gli studenti degli Istituti Superiori, ciascuno secondo i propri profili formativi, si occuperanno di sviluppare lavori e progetti legati alla produzione di energia elettrica. Verrà organizzata una visita presso le cabine di pompaggio del Consorzio ed una escursione lungo il Fiume Nera nel tratto da Cervara a Santa Maria Maddalena. Per coloro che vorranno iscriversi è prevista una discesa in gommone del fiume nel tratto tra Pineta Centurini e Ponte Allende, il tutto con il supporto dell’Associazione Pangea. Università Il Consorzio premierà con un assegno le migliori tesi riguardanti la produzione di energia elettrica impiegando le risorse idriche. le stesse modalità, visiteranno una serra. Ai bambini verrà consegnato il diploma di merito di Sentinella dell’Ambiente ed un distintivo.
Con orgoglio vi abbiamo presentato un serio progetto didattico fondato sui giovani, affinché siano consapevolmente formati sull’ambiente, sull’impiego delle risorse idriche e sulla difesa idraulica del territorio.
Scuole Elementari Progetto S p l a s h Per comprendere e valorizzare la natura e le sue risorse idriche le scolaresche predisporranno dei lavori sul ciclo dell’acqua con particolare riferimento al Fiume Nera. Le scuole che sono al secondo anno di questa esperienza si occuperanno della coltivazione di un orto. I tecnici del Consorzio 23
U n P ro f e t a c o n t r o l a c r i s i Crisi, parola di origine greca, è diventata da alcuni anni di uso così comune che ormai non si bada più al significato drammatico che contiene. Complici i media, i giornali e soprattutto la politica sempre più schiava dell’economia che ce la propongono tutti i giorni a tutte le ore quasi fosse un normale programma di intrattenimento. Sotto questo bombardamento cosa resta da fare al cittadino medio se non rassegnarsi tristemente come un cane bastonato? Stavolta non vi proporremo il solito articolo di denuncia sulla casta, sulla corruzione, sugli scandali pubblici e privati. Basta! Non se ne può più! La solita minestra riscaldata! Ma per favore, piantiamola una volta per tutte! In momenti difficili come questi dove il dilagare della corruzione fanno emergere l’urgenza della questione morale, si rende assolutamente necessaria la riscoperta della dimensione individuale ed esistenziale. Premettiamo che quest’ultima non è affatto in contraddizione con il tanto sbandierato ed abusato impegno, anzi gli conferisce ulteriore forza, nuova linfa vitale. Non bisogna curare solo il corpo, bisogna pensare anche a curare l’anima. Molti sono stati i maestri che hanno rivolto la loro attenzione alla dimensione spirituale. Maestri di varia estrazione, laici, cattolici, di altre fedi religiose, di ogni tempo e di ogni nazione. Tra i molti abbiamo scelto il libanese Kahlil Gibran autore de Il Profeta pubblicato in inglese a New York nel 1923 che, nonostante sia trascorso quasi un secolo, continua ad essere di un’attualità sorprendente che lo ha fatto apprezzare dalle generazioni di ogni tempo e di ogni luogo. Gibran nel libro mescola saggezza orientale e viva spiritualità con un linguaggio lirico e visionario. Egli ci porta nell’ambito del grande Oriente, quello vero, quello ricco di spiritualità, di saggezza, non quello di Al Queida, degli attentati, dell’integralismo fanatico a noi fin troppo noti. La vicenda si svolge nella città di Orphalese, un mondo al di fuori del tempo e dello spazio, ed ha come protagonista il saggio Al Mustafà (l’eletto di Dio) the prophet il quale, dopo avervi vissuto molti anni, sente che è arrivato il momento di far ritorno alla sua terra natale, chiaro riferimento alla morte nella quale si consuma l’esistenza dell’individuo. Una nave è giunta nel porto per portalo via. Mentre è sul molo in procinto di salpare, egli lascia agli abitanti della città il proprio testamento spirituale, rispondendo alle domande che gli rivolgono i cittadini giunti lì per salutarlo. Non è certo nostra intenzione fare un riassunto del libro, non solo perché è impossibile nello spazio di un articolo, ma poi non vogliamo privare chi non lo conoscesse di una lettura coinvolgente e stimolante. Tuttavia riporteremo a seguire alcuni brevi passi che non solo offrono spunti interessanti per la realtà attuale, ma anche danno al lettore un’idea sia pure limitata della validità del contenuto. Un ricco rivolge al saggio questa domanda: parlaci del dare. La risposta di Almustafà è lunga, ma sono interessanti alcuni passi:
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Voi date qualcosa di poco conto quando date qualcosa dei vostri beni. È quando date qualcosa di voi stessi che date veramente. (…) Ci sono quelli che danno poco del molto che hanno e lo danno per avere un riconoscimento e questo loro desiderio nascosto rende insalubri i loro doni. E ci sono quelli che hanno poco e danno tutto. (…) È bene dare quando vi viene chiesto, ma è ancor meglio capire e dare spontaneamente quando nulla vi viene richiesto. Parole drammaticamente attuali in una società come quella odierna in cui la corsa al denaro, al successo, alla affermazione di sé ha raggiunto livelli impossibili al punto da farci dimenticare degli altri e di conseguenza anche di noi stessi. Quante donazioni sono state fatte con i soldi sporchi di sangue di organizzazioni criminali tipo mafia, camorra, banda della Magliana? Molte, al punto che anche papa Francesco se ne è ricordato nell’Angelus. Un tessitore chiede al saggio: Parlaci dei vestiti. La risposta non si fa attendere: I vostri vestiti celano gran parte della vostra bellezza, ma non nascondono ciò che non è bello. E sebbene cerchiate negli indumenti la libertà del riserbo, in essi potrete scoprire un’armatura e una catena. Vorrei che poteste andare incontro al sole e al vento più con la pelle che con l’abito. Affermazioni che si adattano perfettamente ad un mondo come il nostro in cui l’apparire ha scalzato l’essere. Il culto dell’immagine, il presenzialismo, il primeggiare in ogni campo con la nefasta conseguenza di vedere negli altri o dei concorrenti da battere o peggio degli strumenti da usare come mezzo per raggiungere il proprio scopo hanno finito col prevalere sulla sincerità, sulla semplicità. Il mondo dorato della moda, il gossip, il glamour ne sono la manifestazione più lampante. Basta accendere la tv su qualsiasi canale e su qualsiasi trasmissione per rendersene conto. E ancora. -Un avvocato chiese: Cosa pensi delle nostre leggi, maestro? Ed egli risponde: voi vi dilettate a formulare le leggi, ma vi dilettate ancor più a violarle. Come i bambini (…) costruiscono torri di sabbia per distruggerle ridendo. Ma mentre voi costruite queste torri, il mare porta altra sabbia sulla spiaggia. Già, le leggi che dovrebbero essere garanzia e tutela dello stato e dei cittadini; invece la storia recente ci ha sottoposto lo spettacolo miserevole di leggi fatte ad hoc per tutelare questo o quel gruppo! Gli argomenti trattati da Gibran sono tanti, spaziano dalla famiglia all’amore, dal matrimonio alla libertà, dalla conoscenza di sé al bere e al mangiare. Un libro ricco di spunti, una lettura da fare o da rifare in un’ottica diversa, specie in un momento storico-politico come questo in cui mancano precisi punti di riferimento che i vari partiti e partitini non sono in grado di offrire. Un libro la cui lettura farà bene, a prescindere se uno condivida o meno le proposte dello scrittore. Nel concludere, ribadiamo il concetto che bisogna tutelare oltre la dimensione fisica anche quella spirituale. Nel ringraziare i lettori e i colleghi de La Pagina per la pazienza mostrata, colgo l’occasione di augurare loro un sincero BUON NATALE e FELICE ANNO NUOVO ! Pierluigi Seri
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Seconda stella a destra Siamo di nuovo arrivati al momento più luminoso e più tenero dell’anno e per una volta ho deciso di chiudere gli occhi, almeno per un attimo, su tutto quello che non va bene in questo Paese, concentrandomi su quello che di positivo si può trovare, cercando bene. Prendetelo come il mio regalo di Natale, la mia strenna natalizia per questo 2013 che non è stato un anno facile, come molti degli anni che lo hanno preceduto. Un po’ come se vi stessi offrendo una cioccolata calda buona e appetitosa anche solo da guardare, come quella della pubblicità (che però poi, facendola a casa non viene mai uguale!); un momento di positività, che almeno a Natale direi sia davvero necessario. Non sono una persona particolarmente avvinta a questo periodo dell’anno: da qualche tempo il periodo natalizio mi mette addosso solo una grande tristezza, forse perché mi soffermo sempre maggiormente su quello che non c’è, sull’ipocrisia che regna in questo momento che dovrebbe essere invece così speciale, su quello che questo periodo può significare per le persone in difficoltà e, pur sforzandomi, non riesco a concentrarmi su quello che di positivo si può trovare. Le luci di Natale illuminano con un po’ più di allegria e colore il mondo che ci circonda e che, in questi giorni, assume un’altra tonalità e un altro significato, o perlomeno, ci sforziamo di fargliene assumere uno un po’ meno duro e crudo. Il problema è che le luci di Natale sono accese dai primi giorni di novembre, così ci dimentichiamo di quanto sia invece speciale e particolare questo periodo, che andrebbe assaporato fino in fondo, non perdendo l’occasione di sentirsi un po’ tutti Babbo Natale, un po’ tutti più buoni e, soprattutto, fare di tutto per rendere un po’ più felice il prossimo, amico o nemico che sia. Ho capito che quest’anno sarebbe potuto essere un Natale diverso quando ho visto la pubblicità dell’Ikea del piccolo bambino paffuto e tenerissimo, che prepara quello che sembra essere il letto per far riposare Babbo Natale, con tanto di biscotti e latte caldo, e che invece si rivela essere il letto per il fratellone che torna dalla città dove passa
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il resto dell’anno per festeggiare il Natale in famiglia. Ecco, a parte il rimpianto di essere figlia unica, questa pubblicità mi ha fatto riflettere su quanto basti poco per trasformare un piccolo gesto, una piccola fantasia, in qualcosa di molto più affettuoso, valido e foriero di amore e positività. Quello che può fare un’idea, attuata e resa realtà, rimane sempre un vero e proprio miracolo; una spirale di energia positiva che riesce a catturare, nei suoi giri un numero sempre maggiore di persone, di altre idee, di altre positività. Ricordate il progetto di cui vi ho parlato qualche tempo fa, Linking Cultures? Bene, dopo la tappa danese, ad ottobre è stata la volta della tappa lettone e, per l’agosto 2014, si attende il momento della tappa italiana. Giovani europei che si scambiano idee, spunti e riflessioni; che cercano di rendere questo mondo un posto migliore mettendosi in gioco e sfruttando tutte le possibilità che vengono loro offerte: questo sì che è un buon modo per mettere sul tavolo le proprie carte e cercare di vincere tutti insieme, così proprio come si dovrebbe essere uniti e compatti nei momenti di difficoltà. La parte del progetto che si svolgerà in Italia si concentra sulla rivalutazione degli spazi, volendo affrontare l’urgenza di recuperare aree sotto utilizzate o abbandonate. Non lo dico perché faccio parte della categoria, ma bisognerebbe riuscire a far sì che questi progetti che coinvolgono i giovani riescano a prendere piede e avere maggiore spazio, per cercare di rendere possibile l’avvento (visto che siamo in tema!) di una nuova corrente, un po’ più fresca, un po’ meno stantia e soprattutto, un po’ più vicina a quelli che sono i bisogni reali di un Paese che si sta rivelando sempre più come “un Paese per vecchi”. Ma torniamo al mood natalizio, chiudiamo nuovamente gli occhi e lasciamoci trasportare dal calore delle luci colorate che ci circondano, lasciamoci cullare dalle melodie natalizie e avviciniamoci un po’ di più a quello che dovrebbe essere il modello a cui dovremmo attenerci durante tutto l’anno e non solamente in questa ventina di giorni, se va bene. … questo è il cammino, e poi dritto, fino al mattino. Auguri a tutti! Chiara Colasanti
ONLUS
È questa la mission della Fondazione “Dopo di Noi” La Crisalide Onlus, un ente misto pubblico-privato, nato sull’esempio di esperienze nazionali già consolidate nel Centro-Nord. Gli enti locali, le associazioni dei familiari, le cooperative sociali che vi aderiscono e le singole famiglie che possono entrare a farne parte uniscono competenze e risorse al fine di realizzare servizi residenziali e/o semi-residenziali, interventi personalizzati di cura e assistenza rivolti ai giovani adulti con disabilità che perdono il sostegno della famiglia o nei casi in cui quest’ultima risulti impossibilitata a sostenere il carico di cura del figlio o della figlia con disabilità. Il bisogno di Dopo di noi è un’esigenza nata all’interno delle famiglie dei disabili e delle loro associazioni che evidenzia la problematica di come garantire ad una persona con disabilità adeguate soluzioni abitative, di cura, di assistenza, di svago quando la famiglia non sarà più in grado di occuparsene. Un progetto per il “durante e dopo di Noi” per la persona non autosufficiente necessita di un interlocutore competente e stabile nel tempo; la Fondazione di Partecipazione rappresenta nell’ordinamento italiano l’istituto giuridico più adeguato. Si tratta infatti di un ente, senza fini di lucro, che può essere definito come la stabile organizzazione predisposta per la destinazione di patrimoni, sia pubblici che privati, ad un determinato scopo di pubblica utilità. Pertanto, le persone chiamate ad amministrare una Fondazione, sono tenute a gestirne il patrimonio (composto anche dai beni mobiliari e immobiliari delle famiglie) e ad indirizzarne le attività esclusivamente per il raggiungimento dei fini sopra descritti. Al termine del progetto di vita autonomo, pianificato con la partecipazione sostanziale della famiglia nella definizione dei bisogni del proprio figlio e della realizzazione delle risposte necessarie, lo stesso patrimonio può tornare nelle mani del legittimo erede, escludendo l’obbligo a donare il patrimonio familiare alla Fondazione. La Fondazione “Dopo di Noi” La Crisalide Onlus ha scelto un modello gestionale che prevede un costante dialogo con le realtà sociali del territorio, conferendo il primato della conoscenza del bisogno e delle soluzioni alle famiglie e alle associazioni che le rappresentano. Il primo obiettivo raggiunto è stato un monitoraggio del bisogno di servizi per il “durante e dopo di noi”, realizzato nelle Zone Sociali n.11 e n.12 che comprendono 24 comuni e una popolazione totale di 95.523 abitanti; progetto realizzato con il sostegno economico della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto. I risultati dell’indagine saranno presentati in un Convegno in programma per febbraio prossimo, un evento che consentirà ad istituzioni e cittadini di dialogare a tale riguardo e di porre al centro dell’attenzione pubblica il diritto delle persone non autosufficienti ad immaginare il futuro. La struttura organizzativa ha già disponibili professionalità adeguate, che si avvalgono della consulenza scientifica della Scuola Superiore S. Anna di Pisa, uno dei massimi riferimenti in Italia per lo studio delle Politiche di Welfare e, in particolare, della tematica del “Durante e Dopo di Noi”. È attivo presso la sede della Fondazione un servizio di consulenza pedagogica e giuridico-amministrativa per poter affrontare concretamente, passo dopo passo, il “Dopo di Noi”. La Crisalide è costantemente impegnata nell’attività di pianificazione e progettazione di soluzioni abitative al fine di ampliare l’offerta di servizi residenziali rivolti a giovani adulti con disabilità grave. È già definita una iniziativa con il Comune di Orvieto per la realizzazione di un servizio residenziale di emergenza-sollievo destinato alle famiglie del comprensorio orvietano, nonché
la ristrutturazione di un immobile di proprietà del Comune di Allerona per un centro residenziale/diurno che accolga persone affette dai disturbi dello spettro autistico. Inoltre è proprio di questi giorni l’avvio di analoghe iniziative nel comprensorio narnese-amerino in collaborazione con l’Azienda Pubblica di Servizi alla Persona “Beata Lucia” di Narni. Tutto questo, si ribadisce, risponde alla finalità di creare soluzioni abitative per piccoli nuclei composti da 3 o 4 persone e tutelarne il diritto a mantenere il legame degli affetti e della vita quotidiana nel proprio territorio. Enti Fondatori - Ass.ne di Volontariato “AFHCO” - Ass.ne di Volontariato “Orviet’A.M.A.” - Azienda Pubblica di Servizi alla Persona “Beata Lucia” di Narni - Soc. Coop. Sociale “C.I.P.S.S” - Soc. Coop. Sociale “Il Quadrifoglio” - Soc. Coop. Sociale “Luigi Carli” - Comune di Allerona - Comune di Amelia - Comune di Castel Giorgio - Comune di Castel Viscardo - Comune di Fabro - Comune di Ficulle - Comune di Orvieto - Comune di Parrano - Comune di Penna in Teverina - Comune di Porano
Consiglio di gestione Presidente Sandro Banella (Presidente Ass.ne A.F.H.C.O) Vice Presidente Cesare Valeriani (Sindaco del Comune di Penna in Teverina) Consiglieri Roberta Tardani (Vice Sindaco del Comune di Orvieto) Maura Gilibini (Vice Sindaco Comune di Allerona) Marilena Manieri (Consigliera Associazione Orviet’A.M.A.).
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Lettera sulla tolleranza John Locke (1632-1704) II parte Anche le chiese devono applicare la tolleranza reciproca e nessuna deve pretendere di dominare sulle altre o addirittura di essere esclusiva. Infatti il magistrato civile non deve privilegiare alcuna chiesa tanto più quella a cui appartiene; la sfera civile deve essere separata da quella religiosa. La posizione di Locke ribalta totalmente il principio del “cuius regio eius religio” stabilito nella pace di Augusta del 1555, secondo il quale chi aveva il potere politico in un certo territorio poteva imporre a tutti gli abitanti la sua religione, non rispettando in tal modo la libertà di coscienza di ogni individuo. Poiché ogni religione è ortodossa per se stessa o erronea o eretica per le altre, non ci può essere alcun giudice che possa giudicare i dogmi di una religione più veri di quelli di un’altra. Pertanto la controversia sulla verità dei dogmi e la validità del culto non può avere vincitore, e non c’è giudice, a Costantinopoli o nel mondo intero, che possa risolverla con una sentenza. Questa posizione ha la sua giustificazione nella distinzione che l’empirismo di Locke fa tra fede e ragione, cioè tra credere e conoscere, secondo la quale la conoscenza si basa su dimostrazioni a partire dai dati dell’esperienza, mentre: la fede... è l’assenso a una proposizione non formulata in base a deduzione razionale ma sul credito di chi la propone come proveniente da Dio... In sostanza i dogmi si credono e il credere è diverso dalla conoscenza razionale. Se le cose stanno così, come devono comportarsi gli uomini di chiesa (vescovi, sacerdoti, presbiteri ecc.)? La risposta di Locke è netta: Quale che sia l’origine della loro autorità, essa è ecclesiastica e deve dunque restare confinata nell’ambito della chiesa, né può estendersi in alcun modo agli affari civili, dal momento che la chiesa è completamente separata e scissa dallo stato e dagli affari civili... le chiese non hanno alcuna giurisdizione sulle cose di questo mondo... Chi vuol confondere chiesa e affari civili mescola il cielo e la terra e dunque, tiene a ribadire Locke: nessuno, quale che sia il compito di cui è investito nella chiesa, può privare un uomo qualsiasi, estraneo alla sua chiesa o alla sua fede, della vita, della libertà o di una parte qualsiasi di beni terreni, per fini religiosi. Chiarita la posizione delle chiese, Locke passa a definire i compiti del magistrato civile (stato). Innanzitutto deve essere chiaro che il magistrato non deve interessarsi della cura delle anime, perché: la cura della propria anima spetta al singolo e a lui deve essere lasciata. Alla obiezione: ma se un individuo trascura la salvezza della sua anima, nemmeno allora il magistrato deve intervenire? Locke risponde che non è compito del magistrato intervenire, la responsabilità resta sempre individuale, anche se trascura la sua salute e i suoi beni il magistrato non c’entra, il suo compito è solo quello di difendere la salute e i beni dalla violenza altrui: nessuno può essere costretto contro la sua volontà a stare bene di salute o ad arricchirsi. La concezione di Locke è quella liberale di uno stato le cui leggi devono garantire a tutti di poter esercitare i diritti naturali, quali vita, libertà, proprietà, senza mai intromettersi nelle sue scelte di coscienza e di religione: Io affermo che quell’unico, angusto sentiero che conduce al cielo non è più noto al magistrato che ai privati cittadini. Il magistrato perciò non può appoggiare una singola chiesa: Questo è definitivamente certo che nessuna religione alla cui verità io non credo può essere vera o utile per me. È vano dunque che il magistrato costringa i sudditi a far parte della sua chiesa col pretesto di salvare la loro anima... per quanto dunque si possa pretendere di volere il bene di un altro, per quanto ci si affatichi per la sua salvezza, alla salvezza l’uomo non può essere costretto: dopo che tutto è stato tentato, deve essere lasciato a se stesso e alla sua coscienza. Come si vede Locke e così gli altri sostenitori della tolleranza agiscono sempre dentro la struttura mentale dei credenti cristiani per i quali gli individui, assicurata loro la libertà di scelta: tutti sanno e riconoscono
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Nella storia dei diritti umani ci sono due opere che hanno segnato in maniera indelebile il progresso dell’umanità: la Lettera sulla tolleranza di John Locke e il Trattato sulla tolleranza di Voltaire. Consapevole che, purtroppo, le nuove generazioni non hanno molta dimestichezza con questi due testi, ho approfittato dello spazio che La Pagina mi mette a disposizione per esporre in modo chiaro e semplice i contenuti di queste due opere che ci accompagneranno per varie puntate. Spero che la loro conoscenza sia un efficace antidoto rispetto ad un’attualità nella quale sono tornati tutti i fantasmi del secolo passato sotto forma di fanatismi, fondamentalismi, integralismi, soprattutto religiosi e politici, con il corollario di violenza che si trascinano dietro. che Dio deve essere adorato pubblicamente... e devono entrare a far parte di una società ecclesiale, per partecipare alle riunioni, non solo al fine della reciproca edificazione, ma anche per testimoniare di fronte a tutti di essere adoratori di Dio. Come si vede Locke dà per scontato il fatto che Dio c’è e va comunque adorato attraverso le varie chiese che sono società religiose e il magistrato deve tollerarle perché il popolo, riunito in quelle assemblee, non si occupa che di cose perfettamente lecite ai singoli uomini separatamente e cioè della salvezza delle anime. E a questo riguardo non c’è differenza tra la chiesa regia e le altre chiese diverse da essa. Locke viene così a delineare uno stato aconfessionale e laico, che non ha alcun titolo per intervenire in materia di religione: Il magistrato non può, né nella sua chiesa, né nella chiesa degli altri, stabilire con legge civile determinati riti ecclesiastici o cerimonie da allestire nel culto divino e Non può proibire l’uso nelle assemblee religiose dei riti sacri di una chiesa e del culto che vi è accettato, perché a quel modo abolirebbe la chiesa stessa il cui fine è adorare liberamente Dio secondo le sue usanze. A questo punto Locke solleva un problema: ma se il rito comporta ad es. immolare un neonato o abbandonarsi alla promiscuità carnale, il magistrato dovrà tollerarlo? La risposta è netta: Ciò che è proibito nella vita di ogni giorno da leggi promulgate in vista del bene comune, perché dannoso alla comunità, non può essere lecito nella chiesa, anche se vi assume una funzione sacra e non può meritare l’impunità. In altre parole le chiese e i loro riti hanno un limite nella comune legislazione dello stato, alla quale devono sottostare, e compito dello stato è anche impedire che la religione interferisca con i diritti civili, tanto meno con quello di proprietà, che, come abbiamo visto, al borghese Locke sta particolarmente a cuore: nessuno degli uomini deve essere strappato ai suoi beni terreni per motivi di religione, né i sudditi americani di un sovrano cristiano devono essere spogliati della vita o dei beni perché non abbracciano la religione cristiana. Con la risposta a una successiva domanda: se una chiesa è idolatrica, il magistrato dovrà tutelare anche quella?, Locke sposta più avanti il baricentro della tolleranza: se qualcuno pensa che l’idolatria deve essere estirpata con le pene, col ferro e col fuoco non ha capito che i diritti civili non devono essere violati né mutati... per motivi di religione e dunque anche gli idolatri pagani devono godere della loro libertà di scelta. Locke si sofferma in modo particolare sul problema dell’idolatria e ne fa un po’ di storia perché lo ritiene un esempio particolarmente calzante di intolleranza religiosa. Già la Bibbia mosaica condannava l’idolatria e l’apostasia e questo si spiega con le caratteristiche dello stato giudaico: Lo stato dei Giudei infatti si differenziava profondamente dagli altri, in quanto fondato su una teocrazia e non ci fu né avrebbe potuto esserci distinzione alcuna tra chiesa e stato, come dopo la nascita di Cristo: presso quel popolo leggi riguardanti il culto della divinità unica e invisibile erano leggi civili e costituivano parte integrante di un regime politico di cui Dio stesso era il legislatore. Marcello Ricci
Dr. Aldo Tracchegiani Nato a Narni e laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Perugia. Specializzato con lode in Angiologia medica presso l’Università degli Studi di Catania. Ha frequentato come interno i reparti di Dermatologia, Chirurgia Vascolare, Angiologia, Medicina Interna, negli ospedali di Terni, Spoleto e Perugia. Svolge attività libero professionale dal 1986 nel settore della Flebologia, Dietologia e della Medicina Estetica. Coautore del libro Il Flebolinfedema e autore di numerose pubblicazioni. Ha partecipato in qualità di relatore a numerosi congressi Nazionali e Internazionali. È stato docente in Flebologia e Scleroterapia presso la scuola della Nuova Medicina di Bologna, e in numerosi master post universitari. È Direttore Sanitario di numerosi Poliambulatori e Centri Specializzati nei Trattamenti di Medicina Estetica, Flebologia e Dietologia.
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Questo non è solo il periodo ideale per il trattamento delle varici e dei capillari, ma anche per eliminare i segni del tempo che pian piano modificano il nostro volto. Ebbene sì, con piccoli interventi ambulatoriali possiamo risolvere in maniera soft tanti piccoli inestetismi: rughe di espressione, cicatrici post acne e cedimenti del tessuto che modificano la forma del viso. Qui l’arma più efficace è il botox che fino a pochi anni fa era criminalizzato come qualcosa di pericoloso e tabù. Nella nostra esperienza si è dimostrato invece fantastico nella sua efficacia e ben sopportato dai pazienti. La combinazione delle tre tecniche botox, acido jaluronico e fili da biostimolazione e sostegno, sono la miglior combinazione per un risultato vincente.
GAMBE L’inverno è arrivato all’improvviso e nel giro di due settimane abbiamo assistito ad un repentino calo delle temperature. Questa è la stagione ideale per il trattamento delle varici e dei capillari nelle gambe. Per valutare se intervenire chirurgicamente o con la scleroterapia è necessario effettuare un esame ecocolordoppler. Il mappaggio preciso dei punti di fuga agli arti inferiori è necessario per ottenere un risultato definitivo senza recidive. È la stagione ideale per il trattamento di questi inestetismi che a volte deturpano le gambe e questo avviene senza interrompere il lavoro o stare a riposo; è possibile infatti continuare tranquillamente le normali attività. La cosa importante è affidarsi a chi ha esperienza pluriennale e sa consigliare il paziente al meglio; per prevenire le recidive, è importante ricordare di evitare il sovrappeso ed anche il prolungamento della posizione eretta senza indossare calze. I risultati possono essere straordinari come vediamo nei casi clinici a lato prima e dopo la terapia.
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Dotato di un'ampia struttura munita delle attrezzature più moderne, il Laboratorio di Emodinamica dell’Azienda Ospedaliera di Terni esegue procedure diagnostiche e interventistiche. Tra i suoi punti di forza la reperibilità 24ore su 24 per l’esecuzione dell’Angioplastica Coronarica Primaria come trattamento dell’infarto acuto e alcuni approcci innovativi come l’accesso radiale sinistro e gli Stent riassorbibili. La parte diagnostica consiste nell'esecuzione di coronarografie, ventricolografie, aortografie, cateterismi destri e sinistri, per lo studio delle cardiopatie acquisite, congenite e della patologia dell'aorta. La parte terapeutica comprende invece l'angioplastica coronarica, eseguita con le varie tecniche e, se necessario, con il posizionamento di stent tradizionali e stent medicati. È prevista l'esecuzione di una rivascolarizzazione precoce in pazienti affetti da sindrome coronarica acuta. La sala di Emodinamica è fornita di un angiografo all'avanguardia, dotato della nuova tecnologia digitale "Flat Panel Detector", la più avanzata presente sul mercato, che garantisce, rispetto agli angiografi tradizionali, una qualità di immagine superiore e una minor esposizione ai raggi X per il paziente. L'esame Coronarografico È una metodica diagnostica che consente di visualizzare direttamente le arterie coronariche che distribuiscono il sangue ai tessuti che costituiscono il cuore. Presupposto indispensabile alla sua esecuzione è l'introduzione nel corpo di cateteri attraverso i quali si inietta a livello delle coronarie una sostanza (mezzo di contrasto) che consente di visualizzare le camere cardiache e le arterie coronarie stesse, mediante l'utilizzo di raggi X. Attualmente a Terni, invece che l’accesso arterioso femorale, cioè dall’inguine, si utilizza l'accesso arterioso radiale sinistro (cioè dal polso sinistro) che, seppure più complicato, rende la procedura meno invasiva e traumatica per il paziente. L'indicazione alla coronarografia deve tenere conto sia della modesta invasività della metodica, sia delle grandi possibilità di curare la malattia coronarica con tecniche di cardiochirurgia (by-pass aortocoronarico) e con tecniche cardiologiche (Angioplastica Coronarica). Oggi, l'indicazione all'esame coronarografico si pone sempre più spesso nei pazienti con sospetta malattia delle coronarie, angina di petto a riposo o sotto sforzo e l’infarto del miocardio, oltre alcune malattie del muscolo cardiaco e delle valvole cardiache. L'angioplastica Coronarica Transluminale Percutanea È una metodica che consente, senza un vero e proprio intervento chirurgico, di dilatare le arterie che diffondono il sangue alle strutture cardiache (arterie coronariche), nel caso che queste arterie siano totalmente o parzialmente occluse dalle placche aterosclerotiche. Dal punto di vista tecnico, l'angioplastica ricalca gli schemi e le modalità d'esecuzione della coronarografia, utilizzando cateteri dedicati e altri dispositivi. La procedura si esegue in anestesia locale con il paziente sveglio, posto sul tavolo operatorio, attentamente seguito e valutato attimo per attimo in tutte le sue funzioni vitali e prevede l’introduzione dei cosiddetti "cateteri a palloncino" che vengono fatti procedere all'interno delle coronarie fino a raggiungere il restringimento che occlude il vaso. A questo punto il palloncino viene gonfiato, "modellando" la placca aterosclerotica e restituendo un adeguato diametro al vaso. In base a criteri clinici e/o anatomici
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viene deciso se posizionare uno o più stent. Lo stent, ha la funzione di riparare le irregolarità del vaso e di mantenere il vaso aperto, riducendo la probabilità che il vaso si restringa nuovamente (restenosi), è un piccolo tubicino di metallo traforato, con parete sottile, fissato su un palloncino che, gonfiandosi, lo apre e lo rilascia nell'arteria. Lo stent si ricoprirà nell'arco di pochi mesi di un nuovo strato di cellule del vaso e rimarrà per sempre in quella posizione. Angioplastica coronarica primaria nell’infarto acuto del miocardio 24h su 24 L’Emodinamica di Terni ha attivato una reperibilità 24 ore su 24 per l’esecuzione dell’Angioplastica Coronarica Primaria come trattamento dell’infarto acuto del miocardio, una delle prime cause di morte, e la rivascolarizzazione precoce in pazienti affetti da sindrome coronarica acuta. Questa tecnica di alta specialità può migliorare la prognosi di molti pazienti affetti da emergenze cardiologiche e in molti casi può salvarne la vita. La gestione del paziente con l’infarto acuto coinvolge il personale sanitario di tutta la provincia dai primi sintomi, dalle prime cure, al trasporto ed infine l’accoglienza in ospedale e l’arrivo in Emodinamica nel più breve tempo possibile. Le principali peculiarità che rendono l’Emodinamica di Terni apprezzata in tutto il territorio regionale e anche extra regionale sono: Stent riassorbibili L’Emodinamica di Terni ha la più vasta esperienza in Italia su questo nuovo stent nello studio internazionale denominato
S A N TA M A R I A D I T E R N I sa di Cardiologia
modinamica Équipe Emodinamica Responsabile Prof. Marcello Dominici
Medici Dr. Carlo Bock, Dr.ssa Caterina Milici, Dr. Attilio Placanica, Dr. Alessio Arrivi
Coordinatrice inf.ca Sala di Emodinamica Laila Sapora
Infermieri Sala di Emodinamica Anna Lisa Battistini, Lorella Ceppi, Susanna Cicoletti, Umbro Lattarini, Simonetta Menichelli, Monica Picchioni, Simonetta Raffanelli, Monica Servili, Enrica Tracchegiani
Tecnici di Radiologia Federico Caripoti, Sergio Chiocchia, Amedeo Desideri, Danilo Mattioli, Andrea Virili, Federico Vittori
Coordinatrice inf.ca Degenza Anna Cupidi
Infermiere Degenza Giuseppina Giustinelli, Alessandra Gubbiotti, Diomira Iacarelli, Raffaella Mallamaci, Annunziata Mattina, Antonio Occhibove, Sandra Romualdini, Brunella Tazza Patrizia Mei (OSS), Paolo Minelli (OSS), Edelweis Flamini (OSS), Roberto Pace (OSS).
Absorb; ha impiantato il primo stent in Italia ed è tra i primi centri nel mondo ad averli sperimentati. Il cosiddetto studio “ABSORB 2”, infatti, coinvolge 40 emodinamiche nel mondo e sta studiando uno stent che, impiantato nelle coronarie dei pazienti affetti da ischemia cardiaca, nei 2 anni successivi sarà completamente riassorbito, lasciando la coronaria senza alcun metallo o corpo estraneo nel proprio interno. L’Emodinamica di Terni è una della cinque Emodinamiche Italiane coinvolte in questo studio veramente straordinario e rivoluzionario in tema di angioplastica coronarica e nella prevenzione dell'infarto cardiaco. Siamo agli albori di una nuova rivoluzione che caratterizzerà la terapia delle malattie cardiovascolari nei prossimi anni. Questa nuova tecnologia è annunciata come quarta rivoluzione della cardiologia interventistica. I potenziali benefici degli “stent coronarici bioriassorbibili” sono: eliminazione del metallo e delle fonti di irritazione cronica causa di infiammazione cronica; riduzione potenziale della necessità della Doppia Antiaggregazione piastrinica prolungata; ripristino della naturale funzione vasomotoria fisiologica della coronaria; nessun impianto permanente che complica le eventuali angioplastiche o interventi cardiochirurgici futuri, in particolare nei pazienti più giovani; poter eseguire senza artefatti esami non invasivi come Risonanza Magnetica e AngioTac.
esegue le procedure introducendo i cateteri dal polso invece che dall’inguine. Questa tecnica incontra prima di tutto il favore dei pazienti, che non sono più costretti dopo la procedura a rimanere immobili a letto per 24 ore con la compressione sull’inguine. L’accesso radiale ha mostrato dei benefici: una ridotta incidenza di complicanze vascolari con riduzione di morbilità e mortalità; riduzione della durata del ricovero e dei costi ospedalieri e mobilizzazione precoce del paziente. In particolare l’Emodinamica di Terni ha creato una scuola, unica in Italia, che utilizza preferenzialmente l’Arteria Radiale Sinistra ed ha fornito alla letteratura molti studi, dove si dimostra che quest’approccio sia migliore per efficacia, sicurezza e per minore esposizione alle radiazioni ionizzanti sia per il paziente che per l’operatore. Studio internazionale GLOBAL LEADERS L’Emodinamica di Terni è una delle sei Emodinamiche Italiane che partecipano allo studio clinico internazionale GLOBAL LEADERS, che confronterà due forme di terapia anti-piastrinica dopo impianto di stent. È uno studio grandissimo che arruolerà 16.000 pazienti "all-comer" in circa 80 centri di 15 nazioni del mondo, di cui 12 europee, e terminerà nel 2016. Dati di attività della S.S.D. di Emodinamica
Approccio radiale sinistro
Attualmente l’Emodinamica di Terni esegue oltre 1.500 procedure all'anno, di cui circa 700 angioplastiche coronariche. La struttura risponde alle esigenze del territorio ternano ma rappresenta un'importante attrazione extraregionale: infatti, circa il 20% di pazienti proviene dalle regioni limitrofe, con un incremento del 35% negli ultimi due anni della mobilità attiva. In uno studio pubblicato dal "Sole 24 ore" l'Azienda Ospedaliera di Terni è risultata ottava (unica Umbra fra le prime 40 nazionali) sugli indicatori di attività delle 114 Aziende Ospedaliero-Universitarie Italiane, di cui l'attività dell'Emodinamiche era il primo parametro.
Una delle caratteristiche di cui l’Emodinamica di Terni è apprezzata, specialmente dai pazienti, è l’accesso radiale invece che quello femorale nella quasi totalità dei casi: in altre parole
Aver posto fine ai viaggi della speranza dei pazienti ternani verso altre regioni, ha segnato un grosso cambiamento per l'Azienda Ospedaliera di Terni e in generale per la sanità umbra. Fotoservizio di Alberto Mirimao
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Diario di viaggio
BERLINO Poche capitali europee hanno avuto un simile andamento altalenante in così poco tempo. Da metropoli imperiale, a ostaggio bombardato e cinto da mura durante la Guerra Fredda e poi a nuova capitale, Berlino narra una storia la cui elevata drammaticità trova pari in poche altre città. Un tempo qui c’erano le cittadine di Cölln, Friedrichswerder, Dorotheenstadt, Friedrichstadt e Berlino, che Federico I di Prussia nel 1709 unificò sotto un’unica municipalità: la capitale del regno di Brandeburgo e Prussia. Nel Novecento la sua storia l’ha resa unica nel mondo, ma se le tracce del Reich e della divisione in Est ed Ovest oggi non sono quasi visibili, questa metropoli cosmopolita di 3,5 milioni di abitanti non smette di subire il fascino degli opposti. Se Mitte è il cuore monumentale della capitale, il cuore di Mitte è la Porta di Brandeburgo, con accanto il Reichstag, il palazzo del Parlamento ristrutturato da Norman Foster e il grande viale di Unter den Linden completato per le Olimpiadi del 1936. La Porta di Brandeburgo è il simbolo e il monumento principale della Berlino riunificata ed è la più imponente fra le 18 porte originarie della città. Venne realizzata tra il 1788 e il 1791, ed è sormontata da una scultura che simboleggia la Vittoria alata. Il Parlamento con il suo cupolone è diventato una specie di belvedere, che attira ogni anno milioni di visitatori. Si sale in cima al palazzo dove c’è la terrazza panoramica per ammirare la città e la stessa cupola attraversata da un cono di luce simile ad una scultura. Lì vicino, in Ebertstrasse, è stato eretto il Monumento alla memoria dell’Olocausto, un labirinto di 2711 blocchi di cemento, all’aperto e senza alcuna copertura. Non si può che provare un senso di disorientamento. Un tentativo lodevole per non dimenticare gli orrori della storia. Quartiere pulsante della città è Potsdamer Platz, progettato da un pool di architetti tra i quali Renzo Piano, Arata Isozaki, Richard Rogers, Helmut Jahn. Da un simile sforzo non poteva che nascere un grande quartiere raccolto raccolto attorno a una piazza scintillante di cristalli e diviso in tre aree: Daimler City, Sony Center e Beshein Centre. Le attrazioni principali di questo quartiere, sono la torre Debis di
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Renzo Piano, il DaimlerChrysler Atrium (con spazi per mostre d’arte e un bacino artificiale d’acqua), il Sony Center comprende sale cinematografiche e il museo tedesco, il centro commerciale Arkaden, il cinema iMax con proiezioni 3D, il teatro il casinò e il Weinhaus Huth, l’unico palazzo storico del complesso. Gli altri due capolavori del quartiere sono l’Isola dei Musei, cinque straordinari edifici su un fazzoletto di terra abbracciato dal fiume Sprea, e il Kunsthaus Tacheles, meglio noto come Tacheles: il più importante centro sociale d’Europa, icona assoluta della Berlino giovane e trasgressiva. L’Isola dei Musei è uno dei più grandi poli museali del mondo, dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Imperdibili sono il Neues Museum, il Museo Egizio, della Preistoria e dell’Antichità, che conserva un capolavoro assoluto, il busto di Nefertiti. Il Pergamon, dedicato all’antichità e all’arte islamica, vanta opere straordinarie come l’Altare di Pergamo, la Porta di Ishtar e la porta di Mileto. Il luogo di culto protestante più importante della città è il Duomo, considerato il mausoleo della famiglia reale prussiana. Conserva infatti circa 90 fra tombe e sarcofagi. Alexanderplatz, la piazza più famosa, deve il suo nome alla visita dello zar Alessandro di Russia nel 1805. Molti degli eventi della capitale sono legati a questa piazza, forse un po’ desolante, che oggi ospita il Palazzo dell’Editoria con la redazione del Berliner Zeitung e la Torre della Televisione, alta 368 metri, con il caffè rotante che regala una vista straordinaria. Da vedere inoltre, il quartiere di Charlottenburg, dove un’eleganza regale e sfarzosi negozi attirano i turisti. Berlino è una città meravigliosa nel cuore dell’Europa, veramente imperdibile. lorenzobellucci.lb@gmail.com
Fisioterapia e Riabilitazione
NUOVA SEDE Zona Fiori, 1 05100 Terni – Tel. 0744 421523 0744 401882 D i r. S a n . D r. M i c h e l e A . M a r t e l l a - A u t . R e g . U m b r i a D D 7 3 4 8 d e l 1 2 / 1 0 / 2 0 11
La riabilitazione in acqua è una metodica sicuramente molto utile per garantire un moderno e valido recupero funzionale sia in campo neurologico che ortopedico
Uniche infatti sono le possibilità offerte dallo “strumento acqua”, che agisce contro la forza di gravità (principio di
Archimede), e consente al corpo di muoversi in assenza di peso: questo determina una maggiore facilità a muoversi quando per esiti traumatici, per deficit neurologici o dopo chirurgia ortopedica sarebbe impossibile o dannoso caricare il peso reale sui propri arti. Il risultato è una diminuzione dello stress e del carico sull’apparato muscolo scheletrico che facilita l’esecuzione di movimenti in assenza di dolore. La resistenza offerta dall’acqua è graduale, non traumatica, distribuita su tutta la superficie sottoposta a movimento, proporzionale alla velocità di spinta e quindi rapportata alle capacità individuali di ogni persona. L’effetto pressorio dell’acqua, che aumenta con la profondità, esercita un benefico effetto compressivo centripeto sul sistema vascolare, normalizzando la funzione circolatoria e riducendo eventuali edemi distali. Tale effetto è ampliato nel Percorso Vascolare Kneipp dove si alterna ciclicamente il cammino in acqua calda e fredda.
Con la riabilitazione in acqua è possibile non solo ristabilire le migliori funzionalità articolari e muscolari dopo un incidente, ma anche eseguire delle forme di esercizio specifiche per prevenire la malattia o per curare sintomatologie croniche come la lombalgia. Tali esercitazioni sono particolarmente indicate per quei soggetti in forte sovrappeso con difficoltà di movimento legate ad obesità, ad artriti, a recenti fratture o distorsioni. Nella maggior parte di questi casi si registra un netto miglioramento del tono muscolare e dei movimenti articolari dopo un adeguato programma terapeutico. Il paziente, se anziano, acquisisce in tal modo un maggiore controllo motorio che, migliorando l’equilibrio, allontana il rischio di cadute e rallenta il declino funzionale legato all’invecchiamento. La riabilitazione in acqua è particolarmente indicata in: - esiti di fratture - distorsioni, lussazioni - patologie alla cuffia dei rotatori della spalla - artrosi dell’anca e delle ginocchia - tonificazione muscolare in preparazione all’intervento chirurgico - mal di schiena (lombalgia, sciatalgia, ernia ecc.) - para paresi spastiche - esiti di interventi neurochirurgici - esiti di ictus - esiti di lesione midollare - disturbi della circolazione venosa
Inoltre la temperatura dell’acqua, più elevata (32° - 33°) rispetto alle vasche non terapeutiche, permette la riduzione dello spasmo muscolare e induce al rilassamento. Per questo il paziente si muove meglio e la muscolatura appare più elastica. La riabilitazione in acqua è utile e proponibile a tutti, dai bambini agli anziani; per potervi accedere non occorre essere esperti nuotatori è sufficiente un minimo di acquaticità.
Terni Zona Fiori, 1 Tel. 0744 421523 401882
- Riabilitazione in acqua - Rieducazione ortopedica - Riabilitazione neurologica - Rieducazione Posturale Globale - Onde d’urto focalizzate ecoguidate - Pompa diamagnetica - Tecarterapia
- Visite specialistiche - Analisi del passo e della postura - Elettromiografia - EEG - Ecografia apparato locomotore - Idoneità sportiva ... e molto altro
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Parlamento Eu Tra le esperienze più qualificanti che i nostri studenti hanno affrontato negli ultimi anni è da segnalare la partecipazione alla XVII edizione del PEG o Parlamento Europeo Giovani, nell’ambito della quale, superando le tappe della selezione intermedia, sono giunti fino a rappresentare l’Italia nel Forum Internazionale a L’Aia. Esperienza qualificante perché coniuga con efficacia -com’è testimoniato dagli articoli che seguono- l’esigenza di un approfondimento non convenzionale di temi sociali, politici, economici ma anche storici e filosofici di urgente attualità e l’esperienza, intellettuale ed emotiva al tempo stesso, del confronto, variamente articolato nella forma della polemica, del consenso, del compromesso, che è lievito indispensabile di ogni ordinamento democratico. Sullo sfondo, il lavoro del gruppo di insegnanti che hanno orientato, coordinato, fornito consulenze, suggerito integrazioni e modifiche, in tempi ritagliati a fatica nel ritmo già serrato del lavoro scolastico quotidiano e, in gran parte, senza alcun riconoscimento formale. Prof. Marisa D’Ulizia
P E G, q uest o sc o no sc i ut o PEG è un sostantivo, un aggettivo e, nel più flessibile inglese, anche un verbo. Si può aderire al PEG, si può prendere parte alle sessioni PEG, si può fare PEG. Riflettendoci, è effettivamente strano come una parola entri nel tuo vocabolario quotidiano e tu rimanga pressoché incapace di illustrare ad altri cosa significhi. Come si spiega a uno straniero un termine complesso? Questa è una sfida simile a quella che ci siamo trovati ad affrontare nel redigere gli articoli che avete tra le mani in questo momento. Troverete prima un’introduzione al PEG/EYP e alla sua organizzazione, quindi l’esposizione di come funzioni un evento PEG/EYP in generale e, infine, l’esperienza di uno di noi, sebbene annotazioni di tipo personale, relative alle emozioni vissute, siano presenti un po’ dappertutto, a dimostrazione del fatto che il PEG non mobilita soltanto risorse intellettuali. Il risultato lo giudicherete voi, ma speriamo davvero che, una volta completata la lettura, abbiate le idee più chiare su questo acronimo, che forse avevate già sentito, o forse giunge per la prima volta alle vostre orecchie. Il PEG (Parlamento Europeo Giovani) è un organismo indipendente, apartitico e senza fini di lucro. Per capire, però, come effettivamente agisca e avere una visione d’insieme, lo si deve inquadrare in un’ottica europea: è infatti il comitato nazionale italiano dello European Youth Parliament/Schwarzkopf Foundation (EYP/SF). Narra la leggenda, non accertabile attraverso le fonti di cui dispongo attualmente, che l’EYP nacque quando due professoresse francesi si misero in testa la balzana idea di simulare una seduta del Parlamento Europeo con i loro alunni. Proprio questa simulazione costituisce, oggi, il cuore pulsante delle esperienze EYP, che coinvolgono oltre 20.000 giovani e sono replicate in 36 diverse nazioni (per la maggior parte appartenenti all’Unione Europea, sebbene siano coinvolti anche altri Stati, quali la Russia, la Turchia e la Svizzera). I ragazzi, in genere tra i 16 e i 19 anni, assumendo la veste di delegati, per qualche giorno si incontrano e dibattono di tematiche sociali, politiche, economiche, scientifiche, che spaziano -ma questi sono solo alcuni esempi- dai diritti dell’individuo alla crisi economica, passando per le energie rinnovabili e il nucleare. Negli stessi giorni, i delegati vengono divisi in commissioni (o committees, per utilizzare l’espressione inglese), imparano a conoscersi tramite il Teambuilding (lett. Costruzine del team) e redigono, durante un lavoro di confronto e compromesso democratico chiamato Committee Work (lett. Lavoro di Commissione), una risoluzione, che verrà poi
discussa, criticata, difesa e messa ai voti nella General Assembly (lett. Assemblea Generale). È proprio quest’ultima che riprende la seduta parlamentare: i ragazzi hanno la possibilità di tenere discorsi di attacco (attack speeches), di difesa (defence speeches), di fare domande e dare suggerimenti alle altre commissioni. Al termine del lasso di tempo dedicato a ciascuna risoluzione, si passa alla votazione, che è giudizio e suggello ultimo degli sforzi compiuti dai delegati non solo nei giorni, ma anche nelle settimane precedenti l’evento. Il PEG, che, come accennato in precedenza, opera sul territorio nazionale italiano, è diretto da un Consiglio Direttivo, eletto da tutti i Soci. Il Consiglio, con l’aiuto dei Soci stessi, organizza solitamente due Selezioni Nazionali l’anno, che per consolidata tradizione si svolgono a Volterra e a Lignano, tra marzo e aprile. Qui, i ragazzi delle 28 scuole che hanno superato la Preselezione si incontrano, si mettono alla prova, gareggiano -è veroma stringono anche amicizia, avvicinandosi per la prima volta al mondo EYP. I vincitori delle Selezioni Nazionali sono scelti tra circa 300 studenti da una Giuria composta da associati del PEG, docenti universitari ed esperti di tematiche europee; il passo successivo è la Sessione Internazionale o il Forum Internazionale, a seconda che si arrivi primi o secondi. Tuttavia, se posso dire la mia, in EYP non ci sono vincitori e vinti. Anche la semplice possibilità di accedere ad un mondo culturalmente così ricco, stimolante, e -perché no- divertente, è un grosso premio di per sé. Tutti coloro che partecipano ad una Selezione Nazionale diventano infatti automaticamente Soci, e, se lo desiderano, possono continuare il loro cammino all’interno dell’associazione, ricoprendo ruoli da giornalista (journo), facilitatore (chair), organizzatore, presidente. Quello di EYP è un mondo che non smette mai di muoversi, pieno di energie, di idee, di risate e di amici. Di persone strane, disposte a ridicolizzarsi in balletti rompighiaccio per poi sedersi composti a discutere di una risoluzione. Di piatti tipici che si incontrano nella serata dedicata alle varie cucine (Eurovillage), di voci e piedi che si intrecciano in un arabesco gioioso nell’Euroconcert. È un’Europa che smette di essere un nome sulla carta, troppo lontana per essere vera; un’Europa che si fa viva, e ride, balla, scherza con te, invitandoti a considerare l’idea che la diversità non è debolezza, ma forza; che discutere ascoltandosi è appassionante, e importante, e forse vitale, al giorno d’oggi. Welcome to EYP, welcome to Europe! Benvenuti in EYP, benvenuti in Europa! Gianmarco Franchini
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Tr a i m p e g n o c i v i l e e d e s p r e s s i o n e l u d i c a . I l p a r a d o s s o Quello che il lettore si sta forse ora chiedendo -e spero che sia veramente così interessato da porsi delle domande!- è: Che cosa succede durante una sessione del Parlamento Europeo Giovani? La risposta è di quelle che stupiscono: Ci si diverte! E non creda il lettore che il mio intento sia quello di promuovere, oltretutto in maniera così banale. No, io voglio semplicemente raccontare. Raccontare un progetto giovane, innovativo, vivace, la cui forza, la cui energia vitale è il divertimento. Un divertimento intelligente ed edificante. Un divertimento che è mezzo e tramite di quei valori che dovrebbero costituire le fondamenta della società europea -e globaledel domani: partecipazione attiva, dialogo, confronto, scambio di
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idee, cosmopolitismo, diplomazia politica e sociale. Un paradosso. Di questo si tratta, se accostiamo questi termini, gravidi di significato civile, con una parola, divertimento, spesso associata alla vanità dell’effimero. Ed allora il PEG è questa realtà paradossale, in cui si consuma una straordinaria possibilità di maturazione umana. Cosa sia il PEG e quali siano le fasi del progetto è stato già chiarito, almeno da un punto di vista tecnico. Tuttavia -per la gioia, o forse per la disperazione, del lettore- conviene indagare il suo svolgimento in maniera un po’ meno formale. Passando in rassegna i giorni, pochi ma spaventevolmente intensi, che costituiscono la vita di una sessione del PEG, mi si conceda di
uropeo Giovani paragonare la lettura dei prossimi brevi paragrafi allo sfogliare un album fotografico, in cui ciascuna foto cattura un attimo, un gioco, una parola, uno sguardo, un sorriso, un’emozione e li imprime nell’eternità della memoria, affinché, quanto sto per dire, assuma forza emotiva e non solo significato intellettuale. Una camera, cinque o sei letti, jeans, scarpe e cravatte sparsi qua e là. In mezzo a questo caos, due ragazzi, chini sulle loro valigie, intenti a tirare fuori chissà cosa. Sui loro volti, un sorriso. È il momento dell’arrivo, eccitante e traumatico. È il momento del primo confronto con degli sconosciuti. Sconosciuti che in pochi giorni sapranno offrirti la loro personale esperienza umana, il loro originale modo di leggere la realtà, la loro amicizia. Tredici o quattordici persone in cerchio, ragazzi e ragazze. Due di loro sembrano imitare un pollo, o forse un altro animale. Una scimmia forse. Gli altri ridono, senza scrupoli, divertiti dalla stravaganza di quella scena. È il momento in cui nasce un gruppo, in cui crolla qualsiasi barriera sociale, in cui la timidezza viene travolta, in cui si stringe un legame forte oltre qualsiasi aspettativa. È il momento in cui si ride fino a piangere. Lo stesso gruppo di persone, disposte di nuovo a cerchio. Questa volta sono sedute, vestite in abiti semiformali o -se si preferisce un approccio anglofilo- smart casual. I loro volti sono attenti, seri, coinvolti. È il momento del confronto. È il momento in cui si verifica la validità delle proprie le opinioni. In cui si accendono le menti. In cui brucia il fuoco della creatività, dell’innovazione, della passione, del dialogo. Una sala, grande, luminosa. Un centinaio di persone sedute. I loro occhi fissano, concentrati, un ragazzo che, sul podio, sta pronunciando un discorso. Le gote rosse di eccitazione, le labbra vibranti di passione. La sua inquieta umanità traspare, straripante nonostante la formalità dell’abbigliamento. Ma, accanto a questa foto,
nella stessa pagina, un’altra le si affianca, contendendole vanitosa chissà quale primato. Una stanza buia. Una discoteca. L’oscurità è rotta da una serie di luci colorate, instancabili. In mezzo, una massa di ragazzi vestiti con magliette bianche, sporche di vernice, di scritte, di disegni, di notti insonni. Qualcuno porta gli occhiali da sole. I loro volti sono stravolti e trasudano eccitazione, vita. I loro corpi, come posseduti, ballano ininterrottamente, senza conoscere stanchezza. La musica fa muovere i loro cuori. È il paradosso. È la formalità e lo sfogo. È il momento dello slancio civile e dell’espressione ludica. È il momento della comunicazione che diviene formale, che obbliga al coraggio, al confronto, che conduce a concepire un mondo diverso, un mondo migliore. È il momento in cui i rapporti si consolidano. Il momento in cui si ride più forte, in cui si balla più forte, in cui si sente più forte, in cui si vive più forte. Sono due momenti, diversi, forse addirittura opposti, che convivono, coesistono, si completano nel PEG. Di nuovo la camera dalla quale eravamo partiti. Di nuovo i due ragazzi che avevamo incontrato sorridenti. Questa volta lo spazio è ordinato ma vuoto. I volti dei due ragazzi sono corrucciati, cupi. Uno dei due ha gli occhi lucidi. L’altro, orgoglioso, tenta di controllare le sue emozioni. Le valigie chiuse, sono pronte. Sono pronti. È il momento della partenza, il momento in cui ci si saluta. In cui quello straordinario, incredibile, rapporto di amicizia nato in così breve tempo è bruscamente interrotto. O forse no. Forse si rinnoverà in un’altra occasione. Una sessione del PEG è finita, lasciando dietro di sé ricordi indelebili. Sorrisi, lacrime, amicizie, amori. Ma soprattutto una consapevolezza. La consapevolezza che una società migliore è possibile, attraverso la partecipazione attiva ed il dialogo civile. Una sessione del PEG è finita. Un’altra inizierà, chissà dove in Europa, perpetuando il sogno di quei pochi, ma spaventevolmente intensi, giorni di magia. Filippo Venturi 3 PN
Proponetevi, proponetevi, proponetevi... In queste poche righe vorrei rivolgermi non tanto ai ragazzi che già accolgono in modo entusiastico la proposta di partecipare a progetti simili a quelli concepiti all’interno del PEG o del’EYP: a loro non possono che andare i miei migliori auguri, per il resto non hanno bisogno di nulla. Mi piacerebbe, invece, parlare a chi si mostra solitamente un po’ riluttante, scettico quasi, e soprattutto timido rispetto a certe proposte. A dire la verità, io appartengo tendenzialmente a questa seconda categoria e non nascondo che, all’inizio, maledicevo continuamente, dentro di me, il momento in cui avevo accordato la mia disponibilità al progetto: al consueto impegno scolastico si aggiungeva il peso di un’ulteriore preparazione della quale non riuscivo a vedere l’orizzonte e i fini. Non solo, mi chiedevo continuamente se sarei stato all’altezza, se sarei riuscito a reggere il confronto con gli altri, se il mio inglese sarebbe stato abbastanza buono. Più volte mi sono trovato sul punto di lasciar perdere tutto, di mollare e ricominciare la mia tranquilla, comoda vita di sempre. Oggi sono profondamente fiero di non averlo fatto. Perché, che si tratti o meno di sessioni in cui è prevista la vittoria e la premiazione di una commissione, ciascun evento PEG o EYP vi porrà sempre di fronte, “ragazzi come me”, alla sfida fondamentale: quella alle vostre paure, alle vostre insicurezze, alle vostre debolezze. Non perché alla fine verrà individuato il migliore nell’affrontarle, il
che sarebbe inutile, ma perché ciascuno sarà sollecitato ad andare oltre i propri personali limiti, non -e sottolineo non- per rendere di più o essere più efficiente ma per scoprire le proprie potenzialità e lasciarle fluire liberamente e in maniera disinvolta, senza troppe remore ed esitazioni. Nel mio caso, mi sono reso conto di quanto fossero sciocche e prive di senso le mie preoccupazioni, di quanto poco lungimirante fosse il mio sguardo, che non riusciva a cogliere il valore anche soltanto dell’approfondimento, per esempio, di tematiche europee di carattere socio-politicoeconomico di innegabile difficoltà. E chi si sarebbe mai aspettato che trovassi naturale mettermi ad urlare parole incomprensibili e compiere movenze a dir poco ridicole o recitare storie improvvisate nelle occasioni di teambuilding? Chi avrebbe immaginato che sarei potuto rimanere sveglio quasi tutta la notte, assieme ai miei nuovi compagni, a scandagliare ancora e ancora la nostra risoluzione per difenderla nella GA con le unghie e con i denti, non tanto perché venisse approvata, ma perché avevamo investito in essa passione, impegno, perché era nostra? Di certo non io, che senza cimentarmi in tutto questo sarei ancora rimasto nel mio consueto angolino, esitante e diffidente, ma soprattutto sconosciuto a me stesso. E dunque proponetevi, proponetevi, proponetevi e sarete ripagati, ed imparerete anche a proporvi, poi, nel mondo. Riccardo Terribili II C
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A caccia coi Capi O gni riferim ento a pe rsone e a fatti re alme nte ac c aduti è p u r a m e n te c a s u a le Il menù era un classico: antipasti misti (salame, carciofini, bruschetta e salsiccia secca), pasta fatta in casa al ragù, arrosto misto di maiale (costine, bistecche, salsicce) con insalata e patate al forno, crostata alle prugne. Ogni tanto si dava qualcosa ai cani ai piedi del tavolo, mentre il Dott. Netti, per tutta la durata della cena, non faceva altro che lodare la bravura del suo Kriss. Vedrai Zippa -si ostinava a chiamarla così ed essa si girava a guardarlo con una certa sufficienza, poi si rivoltava dalla parte del padrone con fare interrogativo- vedrai domani che coppia farai col mio Kriss … faremo vedere agli altri come si caccia. E giù a sghignazzare mentre la accarezzava per farci amicizia e per ingraziarsela. Guardi Dott. Rompietti che cane ubbidiente è il mio Kriss -diceva il Grande Capo mentre tagliava un triangolino di crostata- Guardi… E buttò a terra il pezzetto di crostata proprio davanti alle zampe anteriori del cane, che se ne stava seduto sul posteriore. Sippa, che nel frattempo aveva tentato di prendere al volo il dolce, aveva ricevuto una strattonata dal guinzaglio teso e aveva mancato il bersaglio per un soffio, schioccando la lingua e i denti. Kriss imperturbabile non si era mosso di un’acca! Kriss prendilo! -intimò con voce perentoria il Direttore di Propaganda- e il cane, come un automa, abbassò il muso verso terra. Fermo! -gridò il suo padrone- e il
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cane si fermò con il naso a mezz’aria a un palmo dal pezzo di crostata. Prendilo! ordinò di nuovo il Dott. Netti -e il cane si avvicinò di altre quattro dita al pasto. Fermo! - e il cane si fermò nuovamente dove era arrivato e lì rimase in attesa di ordini. Che addestramento eh, dott. Rompietti! … Guardi … Prendilo Kriss! -e il cane si abbassò ulteriormente fino a toccare col muso il forse agognato premio. Fermo Kriss! -e, come al circo equestre, il cane si fermò ancora e rimase così a contatto di naso con il pezzo di crostata. Alla fine arrivò l’ordine di mangiarlo e il bravo cane fu strapazzato di baci, di carezze e di lodi da tutti i presenti, compreso il cameriere e il padrone del locale. Rompietti era rimasto stupito dallo spettacolo e preoccupato per quello che avrebbe fatto Sippa il giorno dopo, indipendente e disubbidiente com’era. Incominciò allora a mettere le mani avanti, ingigantendo tutte le scorrettezze che Sippa aveva combinato nelle varie battute di caccia, fregandosene degli ordini che tentava di darle e facendo sempre di testa propria. La colpa -diceva- è mia che non ho investito del tempo nell’addestramento, ma dentro di sé pensava che tempo per farlo non lo aveva mai avuto e se lo avesse avuto non è detto che sarebbe stato capace di addestrarla in quel modo. Mentre cercava di pensare a quello che sarebbe successo il giorno dopo, il Dott. Netti gli affidò l’incarico di fiducia: Dott. Rompietti lei che è sempre così preciso, efficiente ed efficace… - quando si parte così con le lodi sperticate non puoi che aspettarti qualche fregatura- insomma lo incaricò di svegliare tutti quanti alle cinque del mattino (!), onde avere tempo per fare appostamento alle beccacce, caccia assolutamente vietata. Il padrone dell’albergo lo rifornì di una sveglia Borletti (metà di metallo cromato, metà di plastica) a carica manuale, che Rompietti preparò per bene e pose sopra il comodino. Andò a dormire rimuginando la strategia per l’indomani. All’improvviso suonò la sveglia con un rumore assordante di ferraglia tanto che, accesa la fioca luce a lato del letto, fu costretto a metterla sotto il cuscino non riuscendo a trovare la leva per farla smettere. Aveva ancora sonno e si sentiva stanco, forse perché la sera a cena aveva esagerato sia nel mangiare sia nel bere. Andò quindi a bussare a tutte le porte e insistette fino a quando non sentiva la voce cavernosa del titolare della camera, che rispondeva incavolato di essere stato svegliato. In mezz’ora fu pronto per scendere, bardato da caccia di tutto punto con fucile, cartucciera al ventre e cane al guinzaglio. Al piano terra non c’era nessuno, forse era presto! Dette una sbirciata all’orologio: tre e trenta … Come? le tre e trenta? L’orologio era in funzione … non era fermo … ma allora come mai segnava quell’ora antelucana? Scese un collega: Ma a che ora del c…o ci hai svegliato? chiese con lo sguardo assonnato strattonando il cane a guinzaglio. Ma, alle cinque -rispose con un filo di voce il Rompietti e andò di corsa in camera a prendere quella maledetta sveglia. Non ci crederete ma la Veglia Borletti, così c’era scritto sul quadrante, segnava le cinque e cinquanta, mentre il suo orologio, le tre e trentacinque ! Quell’ammasso di ferraglia andava talmente di fretta che dalle ventidue e trenta della sera, quando l’aveva preparata, si era avvantaggiata di oltre due ore rispetto al suo orologio che era preciso! Mentre scendeva le scale con il corpo del reato, vide che tutti erano già in basso e stavano guardando minacciosamente verso di lui. Hai voglia a dire, a dimostrare e a cercare scuse: il fatto grave era che aveva portato a termine l’incarico di prestigio nel peggiore e vergognoso dei modi e tutti erano assonnati e incavolati neri. L’unica nota positiva fu che, con il trambusto che avevano fatto, il padrone dell’albergo e … della sveglia (lo vogliamo dire!), si era alzato e stava preparando una gigantesca Moka di caffè. Dopo le rituali sigarette partirono per la zona di caccia. Giunti sul posto li fecero parcheggiare dietro le voliere dei fagiani. Il collega, genero del padrone della riserva, spiegò che dovevano cacciare i fagiani non catturati nelle ultime battute effettuate sette giorni prima. Ciò rendeva la cosa più interessante, perché un conto è prendere il fagiano appena rilasciato dalla voliera, un conto prendere quello che è stato libero per una settimana o più e che ha già sentito fischiare il piombo sopra la testa! La notte serena e l’aria frizzante faceva presagire la brina nelle radure e questo li svegliò per benino facendo sparire il malumore, aiutati in ciò anche dal breton zoppo del collega che voleva accoppiarsi a tutti i costi con le loro cagne. Furono assegnati i posti per la posta alla beccaccia e Rompietti si venne a trovare vittorio.grechi@gmail.com 100 metri alla destra del dott. Netti.
M e di c i n a pr e di ttiva
Fotoservizio di Alberto Mirimao
Ebbene si, alla fine anche nella nostra città, come in molte altre della penisola, si è tenuto il 1° congresso umbro sulle possibilità e sui limiti nell’uso delle piante medicinali come supporto e approccio integrato nei malati di cancro. Oltre cento i partecipanti che hanno assistito alla giornata di lavoro che dalle 9 del mattino di sabato 30, si è protratta fino oltre le ore 18. A questa prima iniziativa, alla quale seguiranno delle altre, hanno partecipato non solo medici ed operatori sanitari, ma anche alcuni rappresentanti istituzionali, fra i quali l’Ordine dei Medici e le associazioni provinciali di volontariato. I diversi relatori intervenuti da varie parti d’Italia, dalla Lombardia alla Sicilia, hanno soddisfatto pienamente le aspettative dei presenti in quanto molteplici sono state le domande rivolte loro a fine congresso. Sento di dover di ringraziare chi ha reso possibile tutto ciò e, in particolare, i Colleghi rappresentanti dell’Istituto Superiore di Sanità, dell’Università degli Studi di Napoli, dell’Università degli Studi di Siena e dell’Università degli Studi di Firenze che, con la loro presenza e le loro relazioni, hanno dato lustro e spessore all’intera manifestazione; non di meno la Società Italiana di Fitoterapia SIFIT, la Società Italiana per la Ricerca sugli Oli Essenziali SIROE, l’Associazione per la Ricerca sulle Terapie Integrate in Oncologia ARTOI, che con la presenza dei loro Presidenti hanno voluto sottolineare l’importanza del congresso. Tutti i relatori intervenuti hanno affermato che l’approccio integrato al problema cancro deve essere di grande prudenza, ma hanno anche detto che i pazienti oncologici devono in ogni caso affidarsi a medici competenti che, oltre al rispetto delle terapie e dei protocolli, siano in grado di sostenere l’individuo attraverso trattamenti meno aggressivi e comunque scientificamente provati quali l’agopuntura, la fitoterapia, l’aromaterapia, la psicoterapia, il massaggio, la meditazione, lo yoga, il mindfulness, ecc. D’altra parte la letteratura internazionale è ormai piena di studi in tal senso e quindi la classe medica deve tenere in seria considerazione l’integrazione terapeutica, parola chiave per la medicina del futuro, perché così facendo si rimette al centro della problematica il paziente nella sua unità fisica e psicologica oltre che socioantropologica. Un ruolo importante spetta quindi allo stile di vita e soprattutto all’alimentazione perché come diceva Ippocrate: Fa che iI cibo sia la tua medicina e che la tua medicina sia il cibo. A tale proposito segnalo che abbiamo istituito un “laboratorio di cucina naturale” allo scopo di insegnare ai pazienti quali cibi si devono assumere e quali eliminare in funzione della propria malattia e, soprattutto, come preparali. In definitiva una partecipazione attiva e responsabile alla gestione della salute attraverso quella che si chiama Dr. Leonardo Paoluzzi Medico Chirurgo Medicina predittiva.
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Foto di: Enzo Chiocchia, Gerardo Gambini, Alberto Mirimao
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L’alimentazione dell’anziano: gli integratori alimentari Può accadere in talune circostanze che l’anziano abbia difficoltà a procurarsi e/o a prepararsi il cibo di cui ha bisogno; inoltre problemi di digestione, di masticazione e l’uso di medicinali possono avere effetto negativo sull’utilizzazione di alcuni nutrienti contenuti negli alimenti. In questi casi è giustificata e può essere utile la prescrizione di integratori alimentari da parte del medico. La pubblicità diffonde immagini suggestive sugli effetti degli integratori contenenti vitamine e sali minerali nel migliorare l’aspetto fisico e l’efficenza sessuale, nella prevenzione e cura delle malattie e persino in certi casi nel combattere l’invecchiamento e quindi prolungare l’esistenza. Non si hanno ancora sufficienti evidenze scientifiche a conferma dell’attendibilità di queste promesse. Un’alimentazione basata sul consumo variato di alimenti sia vegetali che animali, frazionata in più pasti nell’arco della giornata al fine di assicurare una continua disponibilità dei nutrienti, è sicuramente adeguata per mantenere una persona anziana nella piena efficienza fisica. In talune circostanze il medico nutrizionista può prescrivere l’uso degli integratori alimentari per compensare stati di carenza di nutrienti diagnosticate nel paziente, ma troppo spesso si verifica che preparati a base di vitamine e sali minerali sono consumati nella speranza di prevenire o curare un disturbo che si è diagnosticato da soli.
Un tale comportamento è disdicevole perchè è causa di uno spreco di denaro e può mettere a rischio la salute in quanto l’uso di integratori protratto nel tempo o un loro errato dosaggio producono stati di tossicità e quindi esercitano un effetto opposto a quello desiderato. In altre parole il consumo di grandi quantità di integratori alimentari può alterare l’equilibrio naturale di taluni nutrienti all’interno del nostro organismo, ad esempio un eccesso di sale minerale (ferro, rame, zinco ecc...) oltre ad essere tossico per se stesso può alterare il meccanismo d’azione di altri minerali. È sempre meglio consultare lo specialista in nutrizione o il medico di famiglia prima di prendere integratori o medicine in genere, specialmente se si è affetti da disturbi quali il diabete, la pressione alta o altre malattie. Lasciamo quindi che sia lo specialista a decidere se è necessaria un’integrazione ed in quale misura dopo aver controllato lo stato di salute. In alcuni casi può essere sufficiente un semplice cambiamento delle abitudini alimentari e, qualora si è soliti prendere integratori senza prescrizione, è invece opportuno parlarne con il proprio medico. L o re na F a l c i B i a nc o ni
Vinu ruscio fa bbon sangue Orientamento che vuol dire? ‘Stu settembre so’ ‘nnatu a vvendembià da zzi’ Righettu che ccià ‘n poderucciu su ppe’ Ssanta Lucia. Me so’ ‘rzatu prestu prestu e sso’ ‘nnatu su lu campu suu. ‘Evo ‘ncuminciatu a ‘rcoje li rambazzi dell’ùa quanno me tte sento strilla’... Férmete férmete, non vidi che cce sta la guazza, tocca ‘spetta’ che sse ‘sciuga sinnò lu vinu vène acitillu!... A zzi’... pe’ ppocu no’ mme fai casca’ da lu scalittu... e io che vvoléo fatte ‘n’impruvvisata! Doppo ‘spettatu più dde ‘n’oretta, ‘n modu che lo sole avéa ‘sciuttatu tuttu quantu, ‘nzieme a ‘ll’andri ‘emo ‘ncuminciatu a ‘rcoje. Chi dde qquà e cchi dde llà… ‘emo ‘mbìtu e svotatu ‘n cintinaru de canéstri e ppo’ l’emo smacchinettata subbitu embènno ‘na dicina de bbigunzi. L’emo fatta ‘rpusa’ ‘n bo’ e ‘gni tantu je leéamo che ggraspu... ma non tutti perché zzi’ Righettu dicéa che qquarcunu toccàa lasciallu perché je déa più fforza. Doppo ddu’ tre ggiorni ‘emo svinatu e ttutti ‘lli coppi dell’ùa l’emo missi dentro lu torchiu e ppo’ ‘gni tantu ‘na ‘rgirata e qquillu nettare daje ggiù a scola’. Aho... mo’ famo ‘n bo’ de raspatu... pijamo li graspi e le vinacce e mettemo tuttu dentro ‘na tina co’ ’n bo’ d’acqua pe’ ttre quattro ggiorni e ppo’ l’assaggiamo... sinti tu che ffrizzantinu!... Però stete ‘ttentu... ‘n guccittu sulu sinnò hai da sinti’ che rriscallu! A zzi’ co’ ttutte ‘lle puzzajole... li ragni... vespe... e ppo’ èsse pure che llucertola che cc’emo missu dentro... a mme me fa schifu!... Co’ la bbullitura se purifica e sgargagnifica tuttu quantu!... E qquillu mica ha fattu ‘n tempu a bbulli’ se cce lu ‘ngozzamo subbitu?… Senti compà... quillu che no’ strozza ‘ngrassa! Co’ lu mustu e tutta ‘lla strignitura c’emo ‘mbìtu la bbotte e qquillu ha ‘ncuminciatu a bbulli’... e ‘gni tantu se rimboccàa. Doppo otto nòve ggiorni s’è lleàta da lo vinu tutta ‘lla mmarda che ss’era pusata e lo vino s’è mmissu dentro le dammiggiane co’ ‘n bo’ d’òju de vasillina... che ddice ch’è mmèjo de lu zzurfinu. Quillu mo’ tòcca lasciallu ‘nvecchia’ pe’ ttre quattro misi e qquarche bbuttijone anche pe’ qquarche annu. Se ttira ‘n bo’ de strina hai da vede’ tu come s’arpulisce! Quillu bbiancu è ppiù zzuccarinu e ppiù ddilicatu ma quillu rusciu... quillu arza 13... 14 gradi!... A zzi’... ch’è mmèjo lu bbiancu o lu rusciu?... Che tte dico... a sseconda de lu gustu tuu... a mme me sa mèjo lu rusciu perché se dice che ffa ‘umenta’ li globbuli rusci... ‘nfatti quanno vai a fa’ la pi... pi... Ammappi zzi’ se ccome jiacchieri bbene... che tte sì mmagnatu lu vucabbulariu?… Ma che stai a ddi’... è cche oggi j’emo datu ggiù e cco’ ‘sta stracchezza che cciò me se ‘mbastica pure lu scilinguagnulu... che tte stéo a ddi’... ambè... la pi... pi... ardaje... ‘nzomma la fai jiara e lu rusciu ‘n do’ va a ffini’?... Quillu è ttuttu sangue! paolo.casali48@alice.it
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Il ruolo precipuo della scuola è quello di formare individui che dovranno dare, con il proprio lavoro, il loro contributo allo sviluppo di una società. Formazione e orientamento seguitano ad essere termini e situazioni confuse. Vediamo di far chiarezza: orientare significa indirizzare la formazione professionale o l’istruzione verso settori lavorativi che, da analisi di mercato, studi sociologici, valutazioni economiche, programmazioni industriali e scelte politiche, fanno presumere potenzialità occupazionali, a breve o medio termine, fatta salva la libertà di ciascuno di intraprendere il corso di studi che ritiene più consono alle capacità e agli interessi personali. Negare che questa previsione possa estendersi ad obiettivi di cinque anni, significa non aver capito niente dell’orientamento, non sapere che cosa vuol dire programmare, negare l’efficienza della progettazione, disconoscere i parametri da utilizzare nell’individuazione, tirare a campare o contare sulla raccomandazione, come ratio, neppure tanto estrema. Probabilmente, qualcuno riterrà l’orientamento una limitazione alla libertà individuale di scegliere cosa fare nella vita, senza contare che un orientamento esteso a tutti i settori occupazionali offre garanzie di scelta e di realizzazione di aspirazioni personali. È un aiuto incommensurabile, un risparmio di risorse economiche e finanziarie semplicemente irrinunciabili per l’intera comunità. Quando le scelte dei giovani seguono la moda del momento o si avvalgono dei mezzi di diffusione di massa (vedi l’affollamento ai corsi di cucina), equivale a costatare che non c’è orientamento. Sì, perché orientare è un compito difficile, necessita di coordinamento fra le istituzioni del territorio, impegna imprese, associazioni e agenzie in studi di settore, in previsioni e programmazioni politiche ed economiche, in risorse umane e professionalità specifiche. Cose che non si inventano e che necessitano di competenze, qualificazioni. Certo, anche dei costi. Ma non si prenda questa ultima voce come la ragione dell’impedimento. La verità è che i costi zero, con cui oggi l’insegnante di lettere esprime un giudizio di orientamento (consiglio) circa il corso di studi che il ragazzo dalla media inferiore deve affrontare, sono enormemente superiori, per i danni che crea, a quelli di un orientamento serio. Se è altamente probabile che fra tre o cinque anni si avrà necessità di mediatori linguistici o di programmatori informatici è perfettamente inutile intraprendere le professioni di moda. Aumenterà la disoccupazione in tal modo, aumenteranno le spese per la riconversione delle competenze, aumenteranno i ritardi nelle risposte al mercato, aumenteranno gli stress individuali e famigliari. In questa inconcepibile e inguaribile organizzazione del mondo del lavoro, c’è chi ci sguazza e fa fortuna sulle disgrazie altrui: agenzie formative private e istituzionali, che potrebbero servire a rispondere a situazioni di emergenze e che invece proliferano nel mare nostrum dell’ignoranza. Giocondo Talamonti
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L’anfiteatro romano di Terni L’anfiteatro di Terni è l’edificio romano meglio conservato della città e la principale testimonianza archeologica di quella che gli antichi chiamavano Interamna Nahars. Situato nel settore sud-occidentale, a ridosso delle mura urbiche, ha conservato il suo assetto originario grazie alle diverse vicende storiche che lo hanno caratterizzato. Esaurita la sua funzione ludica, dopo la caduta dell’impero romano d’occidente del 476 dC, fu riutilizzato in un primo momento come rifugio; tracce di focolari e frammenti di ceramiche databili al V-VI dC sono stati scoperti in alcuni settori della galleria perimetrale esterna. Nei secoli successivi verrà occupato con continuità e alcuni settori saranno destinati a uso residenziale. Tracce di abitazioni del periodo altomedioevale sono ancora visibili lungo il perimetro esterno dell’anfiteatro. La prima vera testimonianza scritta sull’edificio è del XIII secolo, precisamente del febbraio del 1218 e riguarda l’atto di dotazione della mensa vescovile: il Podestà e il Comune di Terni cedono l’anfiteatro, chiamato palatium e un iardinum che aveva preso il posto dell’arena, alla Curia. Nell’atto sono citate anche le case che si addossavano all’edifico al momento della cessione. Nel XIV secolo la Curia inizia la costruzione della residenza vescovile che andrà a occupare il settore nordoccidentale e si protrarrà per più di tre secoli. L’episcopio sarà terminato dal vescovo Rapaccioli tra il 1653 e il 1657. Un altro edificio che occupa parte della struttura è la Chiesa del Carmine che fu costruita intorno ad una immagine della Madonna dipinta alla fine del XIV secolo. Anche in questo caso i lavori durarono secoli, la facciata sarà terminata solo nel 1783.
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Prima parte
La testimonianza iconografica più antica è un disegno della fine del XV secolo di Francesco di Giorgio Martini, conservato oggi a Firenze. In questa immagine oltre al primo ordine si intravede anche un tratto del secondo, oggi non più visibile, composto da finestre quadrate architravate. Un cenno doveroso merita una iscrizione legata alle vicende dell’edificio, conservata oggi al Museo Archeologico, di cui una copia in gesso è affissa invece sulla parete esterna dell’anfiteatro. Tale iscrizione per secoli ha tratto in inganno diversi studiosi, primo tra i quali Francesco Angeloni, uno storico locale vissuto tra la fine del ‘500 e il ‘600. L’epigrafe -CIL XI, 4710, datata al 32 dC- fu interpretata come una iscrizione celebrativa connessa alla costruzione dell’anfiteatro e dedicata all’imperatore dal seviro augustale Faustus Titius Liberalis, da qui il nome “Anfiteatro Fausto”. Negli anni ’80 questa teoria venne definitivamente smentita da uno studioso di epigrafia latina, Gian Luca Gregori. Egli afferma che il formulario utilizzato non è pertinente a una iscrizione pubblica, piuttosto a una dedica sacra incisa per ricordare la Providentia dell’imperatore Tiberio che sventò una congiura ordita dal prefetto del pretorio Seiano; inoltre la carica ricoperta da Faustus, cioè quella di seviro augustale, sacerdote preposto alla cura e alla propaganda del culto imperiale, accredita questa ipotesi. L’iscrizione quindi può essere posta in relazione a un altare o comunque a un piccolo edificio di culto, ma non a una grande costruzione pubblica. L’anfiteatro si può far risalire ai primi decenni del I sec dC: la tecnica edilizia utilizzata, le caratteristiche architettoniche, il preciso inserimento nel contesto urbano, conseguenza dell’opera di ristrutturazione voluta da Augusto, confermano l’ipotesi di tale datazione. Un ritrovamento molto importante, che ne dà una ulteriore conferma, è una moneta rinvenuta nella pavimentazione del secondo ordine durante gli ultimi scavi (1999-2001): trattasi di un asse commemorativa della morte di Augusto emessa tra il 14 e il 15 dC. Nella seconda parte dell’articolo, che uscirà il prossimo mese, mi soffermerò sulle caratteristiche strutturali dell’edificio e sulla tipologia degli spettacoli. Den i s F a g i o l i
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I protagonisti della pittura in Valnerina I protagonisti della pittura in Valnerina da Norcia a Terni sono al centro di interessantissimi incontri culturali alla sala capitolare dell’Abbazia di Ferentillo dove studiosi ed esperti di storia dell’arte si confrontano con il pubblico con tanto di supporto video sulle opere d’arte, affreschi, tele, ecc all’interno di edifici sia di culto che privati del territorio della Valnerina. La prima conferenza, che ha visto il patrocinio del Comune di Terni, di Spoleto, della Provincia di Terni, della Regione Umbria e la collaborazione dell’Associazione InterValli, svoltasi nel mese di ottobre, è stata aperta dal Vice sindaco di Terni Libero Paci che ha sottolineato l’importanza di tale patrimonio artistico e la cura con cui è stato riportato per la quasi totalità al suo originario splendore dopo la catastrofe del terremoto. Interventi che accrescono la conoscenza non solo di opere d’arte ma anche di piccoli centri dove sono situati partendo dal ternano fino al nursino, lungo un tragitto che costeggia il fiume Nera. Romano Cordella ha parlato delle opere dei fratelli Sparapane, attivissimi nell’alta Valnerina, ma anche nel territorio delle Marche. Con il supporto del video sono state commentate e descritte opere d’arte dei fratelli Sparapane, inserite nella ormai famosa Fondazione Federico Zeri e gli affreschi che adornano la cappella di Sant’Antonio abate presso la chiesa di San Francesco a Monteleone di Spoleto, opere del XV secolo attribuite a Jacopo da Leonessa raffiguranti la Madonna della Misericordia e altri Santi. L’argomento è stato approfondito da Stefano Vannozzi. Agnese Benedetti ha approfondito l’argomento sulla “processione dei bianchi” presso la chiesa di Santa Maria a Vallo di Nera e le opere di Cola di Pietro da Camerino del XV secolo. Del maestro di Eggi e di tutte le sue opere, invece, ha approfondito il professore Roberto Quirino soffermandosi sugli affreschi che adornano l’abside della stessa Abbazia di Ferentillo. Le commissioni degli Ancaiani di Spoleto a Giovanni di Pietro detto Lo Spagna sono state oggetto di verifica da parte di Alessandro Ciamarra il quale si è soffermato sulla storia dell’illustre famiglia spoletina e la commenda sulla stessa Abbazia. Insomma argomenti interessanti che hanno coinvolto il numeroso pubblico presente. Ma gli incontri culturali nella storica abbazia proseguono anche per questo mese di dicembre. Infatti, in occasione della festività della Immacolata, si svolgerà una conferenza . Vendita auto dal titolo: Iconografia di Maria sulla strada di Francesco attraverso le opere di nuove e usate Jacopo Siculo e allievi. Interverranno ognuno per il proprio territorio dove l’artista ha realizzato le sue opere: Romano Cordella, Agnese Benedetti, Alessandro . Autonoleggio Ciamarra, Roberto Quirino, Luigi Nicoli. del pittore siciliano Giacomo Santoro, detto Jacopo Siculo nato a Giuliana . Soccorso stradale Opere: in provincia di Palermo nel 1490 e morto a Rieti nel 1544; I volti di Maria 24h su 24 realizzati nei dipinti su tavola e in affresco come la Pala di Bettona; La Pala di Norcia e di San Brizio; un affresco di Vallo di Nera; La Pala di San Mamiliano di Ferentillo; gli affreschi nella cappella Eroli alla cattedrale e quello della . Voc. Isola 24 - Arrone (TR) Madonna di Loreto a Spoleto; La pala di Leonessa e Casperia nel reatino. Il Siculo sarà inquadrato nella sua epoca tra i tanti artisti che hanno lavorato in . 0744388692 Umbria e nella Sabina. La Conferenza, inoltre, tratterà anche degli allievi che 3 2 8 5 3 6 7 11 3 hanno lavorato a seguito del Santoro come Piermatteo Piergili e Perino Cesarei che, dalla prima metà del XVI secolo, hanno prodotto in Valnerina e nello spoletano. 3384971865 Ogni conferenza è accompagnata da una cena a tema offerta gratuitamente dai ristoranti di Ferentillo. Quindi anche questa volta, soprattutto in vista delle festività natalizie, l’Associazione Cybo di Ferentillo vuole contribuire alla conoscenza, www.autocarrozzeriavalnerina.it valorizzazione e promozione del patrimonio storico-artistico del territorio tutto della info@autocarrozzeriavalnerina.it Valnerina, con la speranza che tali iniziative possano essere di auspicio alla Carlo Favetti crescita culturale delle giovani generazioni.
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FABULAE
Ben altra cosa è la favola. Spesso confusa con la fiaba, è un breve racconto avente come protagonisti animali, piante, oggetti o, a volte, uomini, ma solo stereotipi di caratteri o di mestieri. Ha sempre una morale esplicita. Nasce come racconto scritto: le più antiche sono mesopotamiche e indiane, ma le più note, almeno in occidente, sono quelle greche di Esopo e quelle latine di Fedro. Con una sostanziale differenza tra i due autori: nelle fiabe di Esopo vediamo sempre trionfare il cosmos, l’ordine, che punisce tutti coloro che si ribellano e che non comprendono la vera funzione delle cose, mentre in Fedro vediamo spesso una certa amarezza e disillusione davanti all’inganno ed all’astuzia che vincono ingenuità e buone intenzioni. Abbiamo poi qualche raccolta minore di favole in volgare, le famose Favole in versi di La Fontaine e diversi scritti più recenti, fra i quali spiccano quelli del romanesco Trilussa. La favola è, come la fiaba, nata come racconto per tutti ed oggi è ritenuta un testo per bambini. Questo sicuramente per il suo ottimo valore pedagogico, per la brevità del testo, che consente di non annoiare essendo il racconto del tutto privo di descrizioni o dettagli inutili ai fini narrativi, per la facilità della comprensione di un testo avente come protagonisti animali e per la simpatia che essi ispirano ad un bambino. Tuttavia, oltre che per educare, le favole sono scritte per far riflettere il lettore, anche maturo, sui comportamenti umani. Gli animali e le piante, infatti, rappresentano i vizi e le virtù degli umani: la volpe è l’uomo furbo, il cervo quello vanitoso, l’agnello quello ingenuo e così via. Proprio perché educativa, la favola, studiata in passato quasi esclusivamente come esercizio di greco o di latino, si era molto diffusa nel periodo Illuminista, salvo poi perdere importanza con l’avvento del Romanticismo, che favorì invece la più popolare fiaba. Tutti i racconti sono privi di riferimenti temporali per rendere universale il valore morale che devono trasmettere. Tutt’altra cosa è invece la novella. Tra i vari tipi di racconto breve, essa è quella che non ha altra funzione se non quella di intrattenere. Simile ad un romanzo, ma naturalmente più breve, più semplice nella trama e con meno personaggi, è interessante proprio perché nuova, come suggerisce il nome stesso di novella (dal latino novellus, derivante da novus); tutto il contrario dell’epica o di quelle fiabe che vengono tramandate da secoli. Gli studiosi attribuiscono all’India anche le novelle più antiche. Troviamo poi “Le mille e una notte”, famosissime in Europa dopo la traduzione (e censura) settecentesca di Galland; si ritiene che la prima raccolta scritta (ne esiste più d’una, spesso discordanti fra loro) in lingua araba di tali novelle risalga al IX secolo, ma tali racconti erano tramandati oralmente da molto tempo. A dispetto del novellus! Abbiamo poi le Fabulae Milesiae di Aristide, il Satyricon (che altri preferiscono definire romanzo) di Petronio, L’asino d’oro, che in realtà, come abbiamo già visto, è difficile classificare. Nel Medioevo sono state redatte raccolte quali il Novellino, scritto in fiorentino alla fine del XIII secolo, il più che noto Decameron, di Boccaccio, ed I racconti di Canterbury, opera in versi del ‘300 dell’inglese Chaucer, incompiuta. Nei secoli successivi infiniti autori si sono cimentati nella stesura di novelle: tra i più recenti citiamo ad esempio Pirandello con Novelle per un anno, Moravia con I racconti romani e Ada Negri, ne Le solitarie, opera decisamente più impegnata rispetto alla classica novella del’300. Le raccolte di novelle, soprattutto quelle meno recenti, sono disposte in una struttura che è detta a incastro. Ovvero: vi è una storia, detta
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Parte terza
cornice, i cui i personaggi raccontano a loro volta altre storie, che magari possono contenere una terza o addirittura un quarta narrazione ad opera di uno dei personaggi del secondo racconto. Ad esempio, nel Decameron la cornice è la vicenda dei ragazzi che fuggono dall’epidemia, ed i racconti che essa contiene sono le novelle narrate dai giovani. Ne consegue che l’autore è detto narratore di primo grado, Pampinea, Panfilo e gli altri ragazzi sono narratori di secondo grado e così via. Le novelle hanno in genere riferimenti temporali e spaziali piuttosto precisi. A volte troviamo addirittura date, o personaggi realmente esistiti. Questo perché, se senza contesto, una novella non avrebbe senso. Per quando riguarda quelle più moderne, che hanno in molti casi perso la pura finalità di intrattenere o di invitare alla spensieratezza per inviare un massaggio più profondo, sarebbe impossibile capire anche il valore morale. Prendiamo ad esempio il già citato Le solitarie: diverse vicende narrate non avrebbero senso se immaginate nell’Europa di oggi o nella Roma antica. Ma sarebbero assurdi anche i racconti più disimpegnati: oggi non ci sarebbero le quattordicenni ingenue come Alibech (decima novella della terza giornata del Decameron), sedotta senza nulla comprendere, o (purtroppo solo in Occidente) leggi come quella della settima novella della sesta giornata, che condannano a morte le adultere. I temi narrati nella novella sono i più vari: ognuna tratta le questioni più importanti per la società che rappresenta. Sarebbe impossibile tracciare uno schema che la novella segue, come si può invece fare per la fiaba, assai ripetitiva. L’unica cosa che accomuna tutte le novelle, da Le mille e una notte alle Novelle rusticane: l’essere interessanti. Infine, una novella deve essere realistica, ma realistica solo per il popolo che l’ha creata, dal momento che è ad esso destinata. Se si crede che esistano i geni, vi siano novelle con un genio. Naturalmente, raccontare con le parole non è l’unico modo di narrare una storia: ad esempio, si è considerato l’epos, ma non il teatro. Fra un Omero che racconta l’assassinio di Agamennone ed Eschilo che tratta lo stesso soggetto non c’è poi un’immensa differenza. Entrambi hanno semplicemente interpretato miti già esistenti, scrivendo in versi, entrambi con grande arte, la versione della vicenda che ritenevano migliore. È davanti al pubblico che le due opere si distinguono: per la prima l’ascoltatore (visto che l’Odissea non è nata, come si è detto, per essere letta) dovrà immaginare molto, e l’autore gli verrà in aiuto con le descrizioni, mentre ciò non sarà necessario per la tragedia, che sarà invece supportata dalla scenografia e dai gesti stessi degli attori. Il teatro, dunque, era in un certo senso il cinema di ieri. Deve esservi un autore che scriva un copione, che, anche se non è in versi come quello classico, ma più realistico come il teatro dei secoli successivi, come magari quello di Goldoni, deve consentire allo spettatore di comprendere le emozioni dei personaggi. Spesso i copioni sono curati da scrittori, visto che anche creare dialoghi è un’arte, e non di rado si crea un film basandosi su un racconto preesistente. Allo stesso modo, un fumetto può essere considerato un derivato della novella, che arricchisce il racconto, ridotto praticamente al solo dialogo, con immagini. Addirittura, ci sono alcuni che ipotizzano che in futuro, grazie alla diffusione di strumenti tecnologici, sarà possibile leggere libri integrati da video, musiche e foto scelte dall’autore stesso. Tutti questi modi di narrare una storia, sempre più sofisticati, si sono formati non appena l’uomo scopriva qualcosa di nuovo: creati gli strumenti, egli ha inserito la musica nei racconti, inventato l’alfabeto li ha messi per iscritto, ed ora sembra volersi appoggiare alle capacità dei tablet. Pare che voglia donare alle sue creazioni quanto ha di meglio, come se fossero sue figlie. Io credo che ci si renda conto, o che si sappia inconsciamente, che se l’uomo non comunica diventa un essere vuoto, si priva della sua vera anima, essendo l’uomo un “animale sociale”. Dunque, vale certamente la pena di curare questo strumento, il racconto, la fabula, che consente di relazionarsi con gli altri tanto meravigliosamente. Maria Vittoria Petrioli
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Negli anni Ottanta del secolo scorso le biblioteche pubbliche e private dell’Umbria, ma anche oltre i confini regionali, si erano arricchite dei preziosi manuali per il territorio realizzati a cura delle Relazioni Pubbliche della Società Terni che aveva promosso l’iniziativa di approfondire la conoscenza dei luoghi in cui operava l’azienda siderurgica sia come postazione logistica sia come attrazione di mano d’opera. Affidati a specialisti dei vari settori presi in esame, i siti umbri hanno offerto le loro prospettive ambientali ed artistiche, la loro situazione tipologica e toponomastica, insomma una felice esplorazione di ciò che ci circonda imponendosi al nostro interesse e facilitando la nostra conoscenza per una consapevolezza maggiore dell’habitat in cui la sorte ci ha posto. Oggi un’altra iniziativa adottata dalla “Terni” per offrire alla città le immagini più indicative sia dal punto di vista storiografico sia da quello etnografico ed iconografico e, perché no?, anche sentimentale ha permesso un contatto molto intenso con la vita della popolazione ternana raccolta intorno alle “sue” acciaierie dalla lunga tradizione industriale, dapprima polisettoriale ed in seguito indirizzata ad una specializzazione del settore metallurgico, raggiungendo traguardi internazionali. Come già anticipato da La Pagina, a Palazzo Montani Leoni, sede della Fondazione CARIT che ha compartecipato alla realizzazione della mostra, l’interessante proposta raccoglie una vasta e selezionata mostra di fotografie tratte dall’Archivio storico della Società comprese in un arco di tempo che va dal 1907 al 1965. Il motivo di questa scelta temporale ha ragioni pratiche, come spiegano i curatori Paolo Pellegrini e Valeria Sabbatucci. Soltanto nel 1906 l’azienda si era dotata di un gabinetto fotografico che ha poi permesso di realizzare un archivio a partire da una foto datata 24 gennaio 1907. Il 1965, data conclusiva delle immagini esposte, è l’anno della dismissione di tutte le lavorazioni “non siderurgiche” intraprese nel 1922 e proseguite per circa quarant’anni. Raggruppate in sette sezioni le fotografie illustrano altrettante tematiche che ci offrono la possibilità di conoscere il percorso effettuato dalla “Terni” nel ‘900, in momenti storici certamente non facili, con due conflitti bellici altamente drammatici, in particolare l’ultimo con innumerevoli bombardamenti a tappeto sulla nostra città, infine con radicali mutazioni politiche. I curatori si augurano di poter in futuro realizzare ulteriori esposizioni illustranti i periodi più recenti della Società. Tutto questo con il logo che ha contrassegnato le acciaierie per lungo tempo e che ora “per uno strano incrocio del destino” come ha fatto rilevare con puntualità il testo apparso sul “Messaggero” relativamente alla mostra, si è potuto riutilizzare, in attesa di una definitiva soluzione ai problemi dell’acquisizione dell’impianto siderurgico. Quella che venne definita la più bella officina siderurgica del mondo suscitando l’ammirazione di Henri Schneider, proprietario delle Acciaierie di Le Creusot, nel corso del tempo ha subìto trasformazioni d’immagine e di assetto attraverso ristrutturazioni ed ampliamenti susseguitisi alla sua fondazione, avvenuta tra il 1884 ed il 1887, tanto che il suo aspetto
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originario è ormai da considerarsi come archeologia industriale ed il “grande maglio” è diventato un simbolo ed un monumento nel senso letterale del termine. Ma la sua influenza non è mai venuta meno nella vita intera della città dal fondamentale supporto economico allo sviluppo sociale. Una ricerca sul campo ci porta ad identificare una realtà popolare di originaria estrazione agraria che si matura e si radicalizza nel sistema operaio, caratterizzando così anche le trasformazioni politiche verso un proletariato intensamente partecipato. La mostra di Palazzo Montani ci indica il momento cruciale di questo passaggio con informazioni iconografiche e testimonianze visive. Di un altro aspetto della rassegna vogliamo occuparci prima di concludere, un aspetto non marginale. Le immagini sono nate con lo scopo di documentare l’attività, le strutture, gli impianti dell’azienda ed i suoi prodotti, ed anche i servizi realizzati nel corso degli anni, attraverso i passaggi della storia italiana, a favore della comunità, la vita dentro e fuori dalla fabbrica. Queste fotografie nate come informazione e come testimonianza superano l’aspetto strumentale per cui sono state commissionate e diventano elemento strutturale privilegiando così la lettura antropologica delle medesime. Basti osservare come si proponeva la retorica della propaganda fascista ed, accanto a questi documenti, la ricerca estetica che ne è derivata (l’epica degli altiforni, fra ombre e luci). Il sapore del passato si è già depositato sulle immagini ma non le ha relegate definitivamente in una collocazione d’antan. Una rinnovata interpretazione ne fa un modello “classico” oltre l’usura del tempo, un modello di cui tener conto per non dimenticare il senso della nostra formazione civile. Franca Calzavacca
“Arte in corso” è il titolo dell’evento ideato dalla Fondazione Carit a palazzo Montani Leoni in occasione delle festività natalizie, nell’ambito del quale è ospitata la personale Fotogrammi d’arte di Sergio Coppi. Un’idea nata in occasione della progettazione di nuovi spazi espositivi a piano terra di palazzo Montani Leoni, di recente acquisizione da parte della Fondazione. Si tratta di una superficie molto ampia per la cui organizzazione e ristrutturazione è stato promosso un concorso internazionale di architettura che si sta concludendo proprio in questo periodo. L’intento della Fondazione è quello di creare un grande luogo dedicato alla cultura e all’arte; uno spazio polifunzionale atto ad ospitare, anche contemporaneamente, mostre d’arte, convegni, congressi, riunioni, concerti. In attesa che sia dichiarato il vincitore del concorso e che sia pronto il progetto esecutivo, la Fondazione ha voluto comunque aprire le porte del piano terra del palazzo per far conoscere alla cittadinanza questo luogo in “divenire”, prima e dopo il restauro. Al contempo si è voluto dare prova di come, con poche risorse e con spazi non ancora compiuti e abbelliti dei necessari orpelli, si possa dare spazio a manifestazioni culturali. Spinti forse anche dalle discrete dimensioni del salone principale e dalla bellezza del suo soffitto, decorato agli inizi del ’900 e riscoperto proprio in questa occasione, si è creato un evento più ampio, rappresentato dalla personale di Sergio Coppi e dalla presentazione di due video: uno con le immagini della Natività nella storia dell’arte in omaggio alle festività e l’altro con le immagini della Raccolta d’arte della Fondazione, ospitata al piano nobile del palazzo. Il titolo della manifestazione “Arte in corso” raccoglie in sé tutto questo: la realizzazione di una mostra e di filmati sull’arte in un luogo deputato alla cultura, in “corso” di ristrutturazione. La volontà della Fondazione è quella di restituire alla città un luogo per così dire “della collettività”, un tempo sede dell’istituto di credito di Terni e Narni, e in futuro “palazzo del sapere e delle espressioni artistiche”. “Arte in corso” ospita quindi la personale di Sergio Coppi: 101 immagini in bianco e nero e a colori scattate in giro per l’Europa tra il 1973 e il 2013, alle Biennali di Venezia, all’Art First di Bologna, al Maxxi e al Macro di Roma, allo storico museo Madre di Napoli, al Museo Pergamon di Berlino, al Centro Nazionale d’Arte e di Cultura Georges Pompidou di Parigi, e ancora al Leopold Museum e al Mumok di Vienna. Fotografie eseguite in occasione di mostre, di eventi, di rassegne d’arte contemporanea, verso la quale Coppi mostra grande sensibilità e interesse. Il fotografo, con la sua immancabile Nikon, è presente anche alle anteprime e alle presentazioni di importanti manifestazioni culturali europee. Alcune delle foto in mostra sono state scattate a Roma alla mostra dedicata a Edward Hopper, il più popolare e noto artista americano del XX secolo, in cui tra l’altro è ritratto, in un atteggiamento particolarmente insolito, il curatore Carter Foster; a Vienna alla mostra di Dan Flavin, artista minimalista autore di installazioni realizzate con lampade al neon; a Vienna alla collezione del Museo ed in particolare alle opere di Robert Mangold, altro artista minimalista contemporaneo; a Perugia alla retrospettiva dedicata al grande artista tedesco Joseph Albers. In mostra anche alcuni scatti realizzati da Coppi in Umbria, terra di grande vivacità culturale e fertile di eventi artistici: momenti della mostra dedicata nel 2010 a Pier Matteo d’Amelia al CAOS a Terni; le rassegne realizzate a palazzo Collicola a Spoleto; l’inaugurazione del Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno; la collettiva “Arte Fluida” organizzata al castello Corsini di Sismano. Altre fotografie ritraggono infine personaggi noti, come Giovanna Melandri nella sua veste di Presidente della Fondazione che gestisce il Maxxi e John Elkann in visita all’Art First di Bologna, monumenti storici, come l’Ara Pacis di Roma, sculture come la statua di Fernando Pessoa di Lisbona, giardini artistici come La Serpara di Viterbo con l’opera di Daniel Spoerri. La mostra verrà inaugurata il prossimo 19 dicembre e rimarrà aperta al pubblico fino al 6 gennaio 2014 tutti i venerdì, sabato e domenica, dalle ore 11,00 alle ore 13,00 e dalle ore 17,00 alle ore 19,00.
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L’alluce rigido L’alluce rigido è l’esito di un processo degenerativo progressivo dell’articolazione metatarsofalangea dell’alluce (Fig. 1, Fig. 2), per cui questa articolazione perde mobilità, aumenta di dimensioni per la formazione di osteofiti soprattutto dorsali (neoformazione di osso patologico ai limiti delle superfici articolari (Fig. 3) e l’appiattimento delle superfici articolari e riduzione dello spazio articolare. La gravità della degenerazione articolare viene documentata dallo studio radiografico; sulla base di questo classifichiamo l’alluce rigido in quattro gradi ingravescenti (Fig. 2). La sintomatologia è rappresentata dal dolore, inizialmente al mattino quando si inizia a camminare, poi con la deambulazione prolungata, con il ridursi della mobilità si altera la deambulazione, per l’alterarsi della fase propulsiva del passo. Le cause dell’alluce rigido sono: un primo metatarso troppo lungo o elevato che determina una contrattura in flessione dell’articolazione, una predisposizione alla degenerazione artrosica precoce, esiti di artriti, microtraumi o macrotraumi articolari o esiti di pregressi atti chirurgici (Fig. 4). L’incidenza di questa patologia è del 35-60% nella popolazione adulta (60-65 anni). Il trattamento è vario a seconda della gravità della patologia e dei sintomi. Nelle fasi iniziali trova indicazione il trattamento conservativo: terapia farmacologica, terapia fisica, uso di plantari e calzature apposite. Se l’articolazione è più compromessa (stadio 2-3 iniziale) si rende necessario il trattamento chirurgico, se i capi articolari sono sufficientemente conservati può essere effettuato un intervento di cheiloplastica (pulizia dei capi articolari dagli osteofiti) o di osteotomia decompressiva (Fig. 5). Quando l’articolazione è completamente distrutta trova indicazione all’intervento di artrodesi (Fig. 6) - blocco dell’ articolazione) o alla sostituzione protesica parziale o totale dell’articolazione (Fig. 7). Dr. Vince n z o B u ompa dre Specialista Ortopedia e Medicina dello Sport
Fig. 2
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Fig. 3
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D r. V i n c e n z o B u o m p a d r e
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Specialista Ortopedia e Medicina dello Sport
Te r n i - V i a C i a u r r o , 6 0744.427262 int. 2 - 345.3763073 vbuompadre@alice.it 55
N a r n i Na r ni , c i t t à d e l l ’ Um bria tra resistenze e mode rnità
Fotoarchivio Provincia di Terni
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Fotoarchivio Provincia di Terni
Narni, antica città dell’Umbria; Narni città medioevale; Narni città delle cento torri; Narni città di cresta; Narni città della Corsa all’Anello; Narni centro geografico d’Italia e si potrebbe continuare con altre qualificazioni. Converrà ora fermarsi a considerare “Narni città” senza ulteriori attributi, limitandoci ad elencare, davvero per grandi tratti, quasi un indice di titoli, le modificazioni degli elementi strutturali che nel tempo lungo della storia urbana hanno contribuito a definire questo luogo una città intesa come insediamento umano stabile e dotato di una sua ragione e convenienza. In principio i gruppi umani che vivevano, esercitando agricoltura e pastorizia, nella pianura (oggi detta conca ternana) trovavano riparo nel pianoro sopra l’altura che definiva la gola del Nera, ogni volta che alluvioni ed esondazioni rendevano pericoloso restare accampati in basso. Poi venne Roma e la romanizzazione (a fatica e dopo un lungo assedio nel 229 aC) fece di Narni prima una colonia (dove furono anche tradotti lavoratori extraterritoriali) e poi un municipio. Adesso la città fa un salto nella sua configurazione e cresce di senso. La consolare Flaminia attraverserà il centro urbano e più tardi il gigantesco Ponte d’Augusto (l’imperatore) consentirà a carovane militari, commerciali e di pellegrini di traversare agilmente il fiume. Altre lingue, altre culture, altri costumi passeranno per Narni e contamineranno i narnesi. La crescita di ruolo avrà un balzo notevole. Le mura, la piazza (Platea major), gli edifici pubblici disegnano una nuova civiltà urbana. Ma ci sarà ancora del nuovo. Con Giovenale, il vescovo venuto dall’Africa, inizia quel lento ma poderoso sovvertimento che chiamiamo cristianizzazione. Nel tempo questa conversione determinerà una ulteriore modificazione del volto urbano. Pensiamo solo ai grandi volumi della Cattedrale e delle chiese degli ordini minori (francescani, agostiniani, domenicani). Pensiamo ancora ai grandi monasteri femminili (Santa Margherita, Santa Restituta, San Bernardo). Intanto i maggiorenti decidono di mettere “in comune” la difesa dei loro interessi. Nasce il libero Comune (più tardi aggregato talvolta all’impero ed altre volte al papato). Ecco il palazzo pubblico, la Loggia dei Priori,
l’imponente torre civica. Inizia il lungo medioevo. La Rocca fatta costruire dal cardinale Egidio Albornoz segna la fine inesorabile del sogno a lungo covato: l’autonomia. Qui non ci sono le forze economiche, imprenditoriali, le dinastie familiari, i leader per generare una pur modesta Signoria. Il grande volume che sovrasta la città con le sue perfette geometrie non segna, come altrove, la potenza locale ma la fine dell’autonomia, lo spegnersi dei sogni, il controllo militare di un potere altro. Non è la residenza del principe ma una caserma per controllare dall’alto ed incutere, anche alla sola vista, soggezione. Più tardi sarà l’alloggiamento di un carcere pontificio a servizio di un vasto territorio, da Roma alle romagne. Comincia il “lungo inverno” dello Stato pontificio, la vita politica e civile assume un passo lento e non di rado stanco. Sarà così fino alla fine del potere temporale dei papi. Sulla scia degli entusiasmi unitari e risorgimentali, con il fermento di un pungente anticlericalismo, mettendosi alle spalle l’antico regime (su quando finirà effettivamente la discissione storiografica è ancora aperta, ma per avere qualche segnale organico di fratturazione toccherà arrivare ai primi scioperi agrari del 1902). Adesso la modernità è al sicuro e i “nuovi grandiosi stabilimenti” saranno i profeti dell’avvenire. Naturamente: fabbriche, gioie e dolori ma questo è altro affare. Nasce e si sviluppa Narni Scalo ed il centro antico sembra segnare qualche rallentamento. Faccende dei giorni nostri. Francesco Bussetti
Foto Marco Barcarotti
Ponti fissi o impianti? Una delle situazioni che più frequentemente si presenta nello studio odontoiatrico è la necessità di ripristinare uno o più denti mancanti. Ma … perché è importante rimpiazzare i denti mancanti? I motivi sono diversi. Sia di ordine funzionale, ristabilire cioè una corretta e congrua occlusione e masticazione, sia di tipo preventivo poiché la mancanza di denti favorisce nel tempo gli spostamenti dei denti vicini e di conseguenza il rischio di danni sia dentali che gengivali nonché alle articolazioni della mandibola, sia di natura estetica ed è chiaro a tutti quale sia l’impatto visivo di una arcata dentaria con elementi mancanti. Esistono due soluzioni principali per rimpiazzare con protesi fisse i denti mancanti. La prima consiste nella realizzazione di un ponte fisso, la seconda contempla l’inserimento di impianti dentali. Il ponte fisso (fig 1) è un prodotto costruito di solito in lega metallica preziosa e rivestito per lo più in materiale ceramico; è un manufatto realizzato attraverso le professionalità dell’odontoiatra e dell’odontotecnico per quei specifici denti di quello specifico paziente e per questo è un pezzo unico; viene realizzato per sostituire uno o più denti mancanti e deve essere sostenuto dai denti naturali adiacenti che fungono da pilastri del ponte stesso. Tali denti pilastro devono essere preparati cioè limati e conformati secondo precisi e specifici requisiti che peraltro vanno rispettati in tutte le fasi di preparazione e fabbricazione onde evitare imprecisioni finali non rilevabili probabilmente dal paziente ma che nel tempo possono provocare danni irreversibili ai denti stessi. Gli impianti dentali sono sinteticamente perni o viti in titanio che vengono inseriti nell’osso come sostituti delle radici dei denti mancanti e possono poi essere protesizzati a seconda dei casi e delle necessità con capsule singole (fig 2) o con ponti fissi (fig 3) o con altri tipi di manufatti protesici. L’inserimento degli impianti richiede un adeguato volume di osso in altezza e in spessore. Secondo le regole classiche occorrono alcuni mesi prima di poter avere i denti sopra agli impianti, intervallo questo necessario per l’osteointegrazione cioè per la guarigione dell’osso e l’attecchimento degli impianti, anche se oggi si parla molto di carico immediato
cioè della possibilità di connettere le protesi agli impianti in tempi molto brevi anche di 24 – 48 ore. Questo però dipende da vari fattori relativi sia al paziente sia al tipo di protesi che verrà realizzata e va valutato dalla competenza dello specialista caso per caso. Il grande vantaggio degli impianti è di poter fig 1 realizzare capsule singole o ponti di più elementi senza dover limare i denti adiacenti di supporto che rimangono quindi integri. Ancor più gli impianti risultano di grande utilità quando non vi sia la disponibilità di denti di supporto come può essere il caso della mancanza dei molari posteriori (fig 4); ciò rende impossibile la realizzazione fig 2 di un ponte fisso sostenuto da denti naturali e l’unica possibilità di avere denti fissi non rimovibili è data appunto dagli impianti che, inseriti nell’area edentula costituiscono i pilastri in grado di supportare poi una struttura protesica fissa. Naturalmente l’inserimento degli impianti implica una fase chirurgica che deve essere attuata nel massimo rispetto dell’anatomia del paziente e delle linee guida proprie di una corretta procedura; a questa seguirà la fase protesica che richiede, come già accennato a proposito dei ponti su denti naturali, un’attenta e precisa realizzazione di tutte le fasi realizzative e, di più, una scrupolosa e competente valutafig 3 zione della diagnosi del paziente e del piano di trattamento corretto e idoneo, nonché l’utilizzo di materiali di comprovata qualità. Parametri questi che sembrano essere dimenticati nella pletora di annunci e pubblicità che propongono, magari anche all’estero, terapie mediche con trattamenti da hard discount da realizzare anche in uno o due giorni, addirittura su pazienti mai visti dall’operatore in assenza totale appunto di un progettato piano di trattamento, requisito essenziale per il successo di un lavoro clinico. Tutto ciò ignorando le linee guida e i criteri clinici definiti negli anni da insigni studiosi, ricercatori e clinici che peraltro l’Italia può vantare in buon numero in campo odontoiatrico.
fig 4
Buon Natale a tutto lo staff e ai lettori de La Pagina. Alberto Novelli
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Una soffitta sull’Universo Le belle serate con Overlook erano diventate, naturalmente, il momento più atteso della giornata da parte di tutta la famiglia (e anche da Overlook che, ormai, era diventato parte di essa). Ogni notte le stelle, a migliaia nel firmamento, brillavano come diamanti poggiati su un velluto nero e le più luminose creavano disegni nel cielo che presto i nostri amici avrebbero imparato a riconoscere. Questi disegni sono le costellazioni –spiegò Overlook– e ci aiutano a trovare una strada nel cielo notturno: esso cambia continuamente, notte dopo notte e anche le costellazioni con lui; si vedono sempre nuove costellazioni mentre ne spariscono altre. Questo si ripete regolarmente nello stesso periodo anno dopo anno. Ma, allora come facciamo a regolarci se cambiano sempre? Andando indietro nel tempo, si pensava che le stelle fossero come delle lampadine bloccate in una grande cupola sopra le nostre teste che chiamarono sfera celeste. Sappiamo però che le stelle non sono tutte alla stessa distanza, ma ciò nonostante ancora oggi questa idea viene ritenuta più utile come mezzo per localizzare le stelle utilizzando, come già vi avevo spiegato, ascensione retta e declinazione. Come dividiamo la Terra in due emisferi, così anche la sfera celeste viene divisa in due emisferi celesti, quello settentrionale e quello meridionale. Quello che ora andrò ad illustrarvi è naturalmente
riferito all’emisfero settentrionale, poiché ci interessa da vicino, ma se farete un viaggio al di sotto dell’equatore troverete un cielo completamente diverso se non per qualche costellazione in comune tra i due. Per rispondere alla tua domanda Leonardo, ognuno dei due emisferi ha dei punti di riferimento che rimangono invariati durante tutto l’anno. Ah! Ecco! Mi sembrava strano! Sarebbe stato davvero difficile orientarsi!! Vivendo in una zona settentrionale, possiamo definire un “indicatore” nel nostro cielo, il Grande Carro, che riusciamo a vedere, tempo permettendo, ogni notte dell’anno. È una delle costellazioni circumpolari, quelle cioè che non vanno mai sotto l’orizzonte e che ruotano intorno alla Stella Polare; e questa è la stella che, come detto in precedenza, indica il Nord. Essa è un indicatore anche perché ci facilita l’individuazione di altre stelle o costellazioni. Se si prende, ad esempio, la distanza tra le ultime due “ruote del carro” e la si moltiplica per circa cinque volte, arriveremo dritti dritti alla Stella Polare, timone del Piccolo Carro. Questo è di forma uguale a quello Grande ma,appunto, più piccolo e “rovesciato”. Inoltre, anche la costellazione di Orione può essere un valido indicatore nel cielo invernale. Michela Pasqualetti mikypas78@virgilio.it
Parliamo delLA LUNA L’osservazione della Luna attraverso il telescopio è il modo migliore per godere di un’immagine esaustiva, ricca di particolari e di panorami altrimenti non distinguibili. Sulla faccia del nostro satellite sono scolpiti i segni lasciati da oltre quattro miliardi di anni di storia. L’evoluzione geologica, gli impatti con oggetti spaziali vacanti hanno segnato la superficie lunare e, osservandola, possiamo ripercorrere il susseguirsi di tali eventi così come si legge un libro di storia. Crateri di diverse forme e dimensioni contornati da bastioni montuosi imponenti, i grandi tavolati effusivi basaltici che caratterizzano i cosiddetti mari, le estese fratture e faglie che qua e là solcano per centinaia di chilometri la superficie della Luna, possono essere apprezzate soltanto se viste attraverso il telescopio. In commercio sono disponibili strumenti di diversa tipologia ed è consigliabile, prima dell’eventuale acquisto, informarsi sulle proprietà del telescopio desiderato, in funzione delle proprie esigenze. Nel campo degli strumenti ottici per osservazione astronomica la gamma disponibile è enorme e lo schema ottico, la qualità dei materiali, il tipo di montatura insieme ad eventuali supporti elettronici in dotazione determinano il prezzo degli apparecchi. In linea di massima, a parità di diametro dell’obiettivo possiamo dire che un telescopio a lenti rende
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un’immagine più contrastata e calma rispetto ad un telescopio riflettore, il che lo rende preferibile ma più costoso. Già uno strumento di circa 80 mm di diametro consente la visione di molte delle strutture della superficie lunare e con adeguati ingrandimenti è possibile compiere spettacolari voli alla scoperta dei panorami più suggestivi che la Luna ci presenta. Ricordo ancora con emozione la sensazione che provai un pomeriggio prima di sera, il cielo era ancora illuminato e terso e con il mio telescopio, un rifrattore di 300 mm di diametro, con i giusti ingrandimenti, ebbi la sensazione di essere letteralmente in volo al di sopra del cielo lunare. Fu indimenticabile. Un consiglio che dò a chi volesse esercitarsi ad osservare la Luna usando la propria attrezzatura è di concentrare maggiormente l’attenzione su quella linea di confine tra la parte illuminata e quella ancora oscura del disco lunare, il terminatore; è lì che il gioco ombre tagliate dalla luce solare radente, sa dare il meglio delle immagini. Le foto che corredano questo articolo son state realizzate da Tonino Vagnozzi, dall’osservatorio di S. Lucia di Stroncone e raffigurano il cratere Theophillus ed il Lacus Mortis con al centro il cratere Burg. Enrico Costantini
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Loretta Santini Raffinatissima nella cultura è valentissima scrittrice e artista
Prestigiosa Senatrice della CittĂ 62
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