La pagina giugno 2011

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Mensile gratuito

N째 06 - Giugno 2011 (86째)


L a Te r n i c h e v o r r e i

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Il ministro destro alle grandi manovre nella battaglia di San Siro - F Patrizi Democrazia e Matematica - P Fabbri Benvenuti al Creativity Camp! - A Melasecche Rudi Mathematici - PF ALFIO Questo mondo è di tutti (?) - C Colasanti MARCELLO GHIONE Bagno per disabili o anziani - C Mansueti Come inquinare il cielo notturno - F Capitoli LICEO CLASSICO - M D’Ulizia, M Barnabei, T Sensidoni, F Sordini Restauri a Orte e Ferentillo - Fondazione Carit Cottanello e ... Giulio Cesare - V Grechi Da Skype una lista di ex terroristi, alcuni latitanti - A Liberati Il mundus dei bambini - ME Valloscuro Luigi Albertini: quattro chiacchiere su Luigi Pirandello - L Bellucci Orrore e Splendore - a cura di P Leonelli Culture Sotterranee di Terni Diritti degli animali - M Ricci Uomo e Natura, un rapporto sempre più difficile - E Lucci La belle Epoque: l’illusione occidentale - F Neri ORVIETO - La bottega delle idee Astronomia - T Scacciafratte, G Cozzari, P Casali, F Valentini SUPERCONTI

PA G I N A

Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti

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Direttore editoriale Giampiero Raspetti

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Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. E’ vietata la riproduzione anche parziale dei testi.

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La città che vorrei sarà raccontata nel libro Fiore di Pesco, composto a più mani da chi, liberatosi della dicotomia destra-sinistra, si accorda sul da farsi e sui comportamenti da tenere. Nessuno, tra noi, è interessato all’attuale mercato politico o amministrativo. Ci limitiamo ad indicare proposte, progetti, azioni per la città. Ci rivolgeremo a chi è nauseato dai vergognosi esempi messi in mostra, vuoi dall’omuncolo smanioso di potere, vuoi da quello che tenta di sbarcare il lunario con la politica. Penseremo ai giovani, per cercare di offrire loro un futuro migliore. Non indicheremo chi, a nostro parere, dovrebbe essere eletto; segnaleremo invece la tipologia del candidato che, per il bene delle istituzioni, dovremmo evitare di eleggere. Ci impegneremo perché gente senza arte né parte non seguiti a fare del male al decoro pubblico. Ci siamo autoeletti Senatori della città. L’investitura è legittima perché riteniamo di avere carte culturali e morali in regola e perché siamo pronti a dare senza chiedere, men che meno denaro pubblico. Pensiamo anche che dopo uno o due mandati i politici, se si sentono così importanti e sempre che lo siano davvero, invece di brigare per continuare la loro opera, spesso devastante, dovrebbero mettere il loro sapere a disposizione dei giovani della città, giovani intelligenti, colti, attivi, quelli che intendono vivere esclusivamente con il proprio lavoro. La precisazione si impone poiché la politica va sempre più infoltendosi di personaggi che mai hanno lavorato, privi delle capacità di controllo necessarie alla gestione anche solo di una bancarella di mosciarelle, che però vogliono farci credere di poter amministrare i nostri beni! Non rinunciamo, nel libro Fiore di Pesco, a presentare progetti per il territorio. Nel recentissimo libro, Germogli, sono indicati già molti progetti, miei e di alcuni amici. E’ tempo di elaborarne di più e di realizzarne alcuni. Presento allora I Modelli dei Monelli, un progetto di matematica, la nemica giurata di idioti e demagoghi. Oggi abbiamo bisogno di cultura, necesse matematica e questo assunto vale per tutti i paesi del mondo, tranne, ovviamente, per quelli di stampo becero-dittatoriale. In Italia, purtroppo, sotto la mannaia di tagli irresponsabili, sono stati tolti, nelle scuole elementari, quei moduli -fondamentali oggi, vista l’abnorme dirompenza della simbologia e dell’astrazione- in cui due o tre maestre, specializzate in aree disciplinari diverse, concordavano la didattica per meglio rispondere alle esigenze dei bambini. Approfondivano, particolarmente, l’area logico-matematica. Oggi una semplice maestrina deve far finta di conoscere tutte le aree disciplinari e non può far altro che imporre la ripetizione mnemonica di formule e tabelle, come cento e più anni fa, come se, intanto, nulla fosse cambiato! Così, assorbendo solo calcolo e regolette, il mondo ci sfuggirà e le strutture societarie ed i mass media riusciranno a massificare, a formare uomini standard, esseri impersonali, oggi incapaci di pensare con la propria testa, domani esecutori di ordini. Non è questo il Paese che vorremmo! La matematica è creativa, aiuta a cogliere la problematicità delle situazioni, a formare un pensiero divergente, a rendere capaci di giudizi autonomi e indipendenti. E’, soprattutto, morale. Per essa non ha alcun valore il principio di autorità: si accetta solo quello che è dimostrato. Con buona pace dei cialtroni. Anche in Italia, prima o poi, ci si accorgerà di quanto bisogno ci sia di matematica. Noi di FdP ci stiamo impegnando perché la nostra città sia la prima in cui giovanissimi e giovani monelli oltre a studiare intensamente la disciplina, ne presentino, in una mostra mercato, i libri fondamentali ed elaborino modelli matematici, cioè exhibit con i quali divertirsi e capire. Due anni fa ho dato, solo soletto, inizio a questo progetto, dopo una cerimonia intimissima da cui sono uscito come Senatore della Città. Quest’anno, raddoppiata la presenza, ci siamo trovati in due, io e Paolo Casali, ed abbiamo raccolto consensi e soddisfazioni ragguardevoli. Da settembre ancora raddoppio (potenza della matematica!), con Ivano Argentini e Giuseppe Giacinti. Collaboreranno anche la Scuola elementare G. Mazzini, la Scuola Media L. da Vinci, il Liceo Classico Tacito, il Circolo Lavoratori Terni, la Biblioteca Comunale, la Mathesis sezione di Terni, i Rudi Mathematici (leggere a pagina 4). Martedì 21 giugno, alle ore 16, presso la sala conferenze della Biblioteca Comunale, sarà pianificato il progetto in presenza di alcuni giovanissimi matematici, della scuola elementare e media, e di altri collaboratori. Sarà benvenuto chi, pensando di poter apportare il suo granello di sabbia, sente di potersi eleggere Senatore della Città. Giampiero Raspetti


Il Ministro destro alle grandi manovre nella battaglia di San Siro

I protagonisti della commedia erotico-militare degli anni ’70 erano soldati, ufficiali e infermiere di campo impegnati in imprese non proprio eroiche, come il colonnello Punzone, ovvero Lino Banfi, che in La dottoressa ci sta col colonnello parte all’attacco delle terga di una procace Nadia Cassini, o il colonnello Fiaschetta, alias Renzo Montagnani che in La dottoressa alle grandi manovre deve destreggiarsi tra l’infermierina Fenech e un esuberante Alvaro Vitali che, in crisi di virilità, impreca tutti Santi di Trastevere. Tra chiappe, mortai e marce militari, si intuiva che il vero campo di battaglia, per il maschio italico perdente, era il talamo e il fortino da espugnare era il gentil sesso (in quegli anni, non più tanto gentil). Questo filone militar-pecoreccio che mette in burla la divisa ci è tornato in mente quando abbiamo saputo della calda notte da tifoso del nostro Ministro dell’Attacco, Ignazio La Russa, il quale è riuscito a riunire in un’eroica impresa la blusa ministeriale, la divisa militare e la sciarpa dell’Inter. Come? Nella medesima serata ha fatto un uso improprio di due voli militari: un aereo P180 dell’Arma dei Carabinieri preso per l‘andata Roma-Milano e un aereo dell’Aeronautica Militare per il ritorno. Obiettivo: stadio di San Siro. Missione: Inter vs. Schalke, partita di Champions League. La scappatella sui cieli italici non è andata giù a un impavido pilota che, tifando nell’intimo per lo Schalke e non volendo ridurre l’Arma a un club-supporter neroazzurro, ha denunciato il dirottamento dei due voli in missione speciale carichi di semi e bruscolini. L’esuberante Ministro, con tracotante sicumera, dopo un mese dall’accaduto, ha fatto sapere al popolino degli spalti che egli non può viaggiare sui voli di linea per motivi di sicurezza. Quindi, desumiamo che non potrebbe neanche recarsi in uno stadio affollato... ma, viste le recenti sortite pubbliche del vituperato La Russa, comprendiamo che non volesse turbare la tranquillità dei passeggeri di linea: non è piacevole infatti fare un viaggio, seppur breve, con assordanti bordate di fischi, risposte colorite, insulti reiterati e gli ormai celebri calci che il Ministro sferra a chi gli rivolge osservazioni poco gradite. Insomma, onde evitare una rissa in alta quota, bene ha fatto La Russa a muoversi sui cieli blindati, anzi gli consigliamo di ripetere la tattica: può uscire a Piazza Navona con la mimetica e le fraschette sul casco onde schivare le ormai quotidiane contestazioni, o può strisciare verso Palazzo Chigi distogliendo lo stuolo nemico dei giornalisti lanciando verso Via del Corso finti colpi di mortaio. Speriamo che questa impunita sortita interista non inauguri un revival pecoreccio stile Il Ministro va a fischiare l’arbitro, La tribuna più gagliarda del mondo, Il Ministro maschio e il guardialinee cornuto... Non abbiamo notizie dettagliate su questi voli blindati, ma ci piace immaginare come avrebbe organizzato la trasferta Renzo Montagnani nelle vesti del Colonnello Fiaschetta: maglia neroazzurra sotto il doppiopetto blu, binocolo da campo per seguire la partita, fiaschetta di brunello paracadutata in tribuna e una mano sulle chiappe della hostess Edwige Fenech al grido di me la sfrego è il nostro motto! Francesco Patrizi

D e mo c ra z ia e M at e m a t i c a Dare uno sguardo indietro, alle origini delle cose, è talvolta salutare, utile, e persino sorprendente. Corregge alcuni giudizi scontati e automatici che si è soliti dare solo perché ormai tutti sono concordi nel giudicare nella tal maniera la tal questione: e anche se spesso questi giudizi universalmente condivisi sono effettivamente giusti e corretti (un po’ a ribadire il caro vecchio detto latino Vox Populi Vox Dei), cercare di scoprire quale sia l’origine di determinate istituzioni è comunque illuminante. Ci sono alcuni esempi facili, e particolarmente evidenti. C’è davvero qualcuno, sparuti deputati e senatori a parte, che sia a favore dell’immunità parlamentare? O, dio ce ne scampi, che non desideri con tutto il cuore una moratoria sugli stipendi e i privilegi degli inquilini di Montecitorio e Palazzo Madama? Certo no: e, sia ben chiaro, neppure chi scrive. Ciò nonostante, non fa male ricordare che la ragione iniziale per la quale l’immunità parlamentare è stata istituita discende da un principio del tutto sano, e profondamente democratico: la protezione dei rappresentanti delle minoranze. Un deputato eletto da una parte del popolo deve essere protetto dalle possibili manovre e dai complotti del potere costituito: immaginate una situazione in cui pochi parlamentari, esigua minoranza contro una schiacciante maggioranza proprietà dei detentori del potere, lottino facendo una dura opposizione, denunciando malversazioni e comportamenti illeciti dei governanti. Cosa ci vorrebbe, in uno stato del genere, a manovrare quel tanto che basta per accusarli di qualche infamia e metterli fuori gioco per mezzo di giudici compiacenti? Nulla, o quasi. Così, i vecchi legislatori liberali istituirono il concetto di immunità parlamentare, che in fondo era già stato messo in atto nell’antica Roma, perché i Tribuni della Plebe, piccola voce rispetto al potere del Senato patrizio, erano comunque considerati sacri e intoccabili. Per ragioni analoghe, è giusto che i legislatori abbiano uno stipendio più che dignitoso: perché in questo modo saranno protetti da loro stessi, ovvero dalla tentazione di lasciarsi corrompere. I principî sono spesso motivati e sani: certo, se poi l’immunità parlamentare viene usata quale fosse una licenza per compiere impuniti dei reati, se i privilegi e i benefici della carica pubblica diventano così esagerati da diventare lo scopo, e non la protezione, del candidato, allora c’è qualcosa da rivedere, cambiare, e se necessario abolire. I padri costituenti inserirono un quorum per i referendum abrogativi seguendo la logica che una legge scritta da coloro che in fin dei conti sono i rappresentanti del popolo tutto non potesse essere abrogata da una quota inferiore alla metà degli aventi diritto al voto; mere questioni di equità, insomma. Ma certo non immaginavano che ci sarebbero state campagne volte ad auspicare l’astensionismo per disinnescare l’istituto del referendum, e meno che mai che i rappresentanti del popolo riuscissero ad essere sì eletti, ma non scelti dal popolo. La democrazia è fragile. E’ facile stravolgerla, aggirarla, travestirla. Ma resta un’invenzione eccezionale dell’antica Grecia: allo stesso modo della matematica, almeno della matematica come noi la conosciamo. Può sembrare una mera coincidenza il fatto che due grandi costruzioni del pensiero come la democrazia e la matematica siano di fatto nate nello stesso luogo e più o meno nello stesso tempo: ma, anche in questo caso, guardare un po’ più a fondo sulle origini, sulle cause primarie, può riservare delle sorprese. Quello che caratterizzò la matematica greca dalle altre, ciò che la rese indubbiamente più potente, è il concetto di dimostrazione: altrove, le regole matematiche erano empiriche e trasmesse per autorità dai docenti ai discenti. Ma non presso i greci: essi esigevano che un’asserzione fosse indubitabilmente provata, dimostrata con evidenza inoppugnabile: da qui nascono i metodi dimostrativi e, in ultima analisi, il concetto stesso di dimostrazione. Questo perché il principio d’autorità non era riconosciuto, ad Atene e dintorni: io, uomo, cerco di convincere te, uomo mio pari, con la forza degli argomenti e della logica, non per forza o per autorità. Non è una cosa immaginabile, in una società che non sia basata sul concetto di uguaglianza tra gli individui: per quanto strano possa sembrare ai professionisti della politica, la matematica poteva svilupparsi pienamente solo in un ambiente democratico. E questo dovrebbe far pensare -e rallegrare- sia i matematici, sia i politici. I politici veri, s’intende. Piero Fabbri

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Benvenuti al Creativity Camp!

gioco e di lavoro di gruppo, insieme ad altri giovani e di verificarne la fattibilità e l’efficacia tramite l’incontro con imprese del territorio. In questo caso i beneficiari principali dell’iniziativa sono appunto i ragazzi e le ragazze di età compresa tra i 17 ed i 22 anni residenti nelle Province di Catania, Torino, Treviso e Terni, protagonisti dell’intero percorso previsto e, indirettamente, anche le imprese dei rispettivi territori coinvolti che saranno chiamate ad intervenire per proporre ai giovani problematiche reali a cui quest’ultimi dovranno trovare una soluzione creativa sì, ma anche fattibile! Il progetto offre quindi la possibilità ai giovani di allacciare i primi contatti con il mondo imprenditoriale proponendo loro problematiche reali che li aiutino a crescere sotto il profilo delle esperienze

R M nasce nel 1999 da un’idea di Rodolfo Clerico (Rudy D’Alembert), come semplice foglio a distribuzione aziendale di quesiti di matematica ricreativa. Con l’ingresso, già nel secondo numero, di Piero Fabbri (Piotr R.Silverbrahms) e di Francesca Ortenzio (Alice Riddle) assume rapidamente le forme di una rivista, per quanto autoprodotta e gratuita, distribuita via e-mail a chiunque fosse interessato a riceverla. L’idea è quella di giocare e far giocare con la matematica, niente di più. In breve viene strutturato un sito (www.rudimathematici.com) e la rivista, ormai sotto forma di vera e-zine, raccoglie un numero insperato di consensi e diventa presto famosa nell’ambito della matematica ricreativa italiana: gli iscritti alla newsletter che ne veicola la distribuzione sono circa tremila, ma RM è disponibile alla lettura diretta in rete, e il numero dei lettori è verosimilmente molto maggiore. Nel 2007 una raccolta di articoli di RM dedicati alla Teoria dei Gruppi assume la forma di un libro, Rudi Simmetrie, edizioni CS Libri: libro che vince il Premio Peano (Premio Speciale della Giuria) indetto dalla Associazione Subalpina Mathesis. L’anno successivo viene pubblicato Rudi Ludi, libro dedicato alla Teoria dei Giochi. Nel frattempo, i Rudi Mathematici iniziano collaborazioni con la rivista di astronomia Coelum, per la quale tengono una rubrica di giochi matematici che prosegue per circa tre anni, fino al 2007, e con la trasmissione scientifica Caccia al Fotone di Radio Città Fujiko di Bologna. Nel 2008 vengono contattati dalla maggiore rivista italiana di divulgazione scientifica, Le Scienze, che offre loro due pagine del periodico per una rubrica che tutt’ora è presente e viva nel giornale: oltre a ciò, curano uno dei “blog d’autore” nel sito ufficiale di Le Scienze (http://rudimatematici-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/). In collaborazione con la Associazione Subalpina Mathesis di Torino e di Ivrea, e più saltuariamente con la Mathesis bresciana, tengono delle conferenze su vari aspetti, ricreativi o meno, della matematica: in parallelo, scrivono articoli che risultano nelle pubblicazioni ufficiali degli atti delle associazioni. Sono tra i promotori delle iniziative di divulgazione in rete Carnevale della Matematica e Carnevale della Fisica. Il tutto, solo per la voglia di giocare, da adulti, con la matematica: a dimostrazione che la matematica, nonostante quel che si sente dire, ha un indubbio fascino e un folto numero di appassionati. Tutte le iniziative che si propongono di far giocare allo stesso modo anche i ragazzi e i bambini, oltre al divertimento, favoriscono anche un indiscutibile Piero Fabbri investimento per il futuro della nazione.

laboratori

Da Catania a Treviso, passando per Terni e Torino … benvenuti al Creativity Camp! Si tratta di un’iniziativa innovativa nell’ambito delle “Azioni ProvencEgiovani Anno 2010” del Ministero della Gioventù in collaborazione con l’Unione Province d’Italia. L’obiettivo è ambizioso: sostenere la crescita economica ed occupazionale dei territori provinciali coinvolti e promuovere l’integrazione dei giovani all’interno del tessuto imprenditoriale. Si parte dall’esperienza, già validata in altri Paesi, in particolare in Gran Bretagna e Spagna, che mira ad incoraggiare modelli di stimolo della creatività, ovvero percorsi dove i giovani, sollecitati da un gruppo di esperti, hanno possibilità di tirar fuori le loro idee per la risoluzione di problemi reali, condividendole, in un contesto di

acquisite e dell’approccio al mondo del lavoro. Quindi… Come si partecipa? E’ facilissimo! Basta presentare una domanda di adesione secondo le modalità contenute nell’avviso pubblico reperibile sul sito internet www.metagroup.com/creativitycamp e sui siti delle province partner. Scadenza il 16 giugno 2011 alle ore 12:00. Cosa succede poi? Tutte le idee innovative presentate verranno valutate e classificate. Le prime 8 idee di ciascun territorio provinciale parteciperanno ad un Creativity Camp locale e successivamente ad un Creativity Camp interprovinciale che si terrà a Catania. Le idee sviluppate saranno pubblicizzate durante gli eventi programmati e portate poi a conoscenza di imprese potenzialmente interessate. Molti sostengono che i giovani oggi non hanno più idee, altri che preferiscono rassegnarsi ad una situazione di assuefazione rispetto alla obiettiva difficoltà nella ricerca di una occupazione. Esistono viceversa meccanismi testati che creano interesse, cultura d’impresa e che stimolano capacità potenziali presenti in molti studenti che, grazie alla partecipazione a questi confronti concorrenziali, trovano poi una propria strada originale e di soddisfazione per affermarsi nella vita. Perché lasciarsi sfuggire questa opportunità? a.melasecche@meta-group.com

Rudi Mathematici

Lab

P.zza del Mercato Nuovo, 61 - 05100 TERNI www.salvatidiagnostica.it - Dir. Dr. Luciana Salvati

Unità Operative

Settore Medicina di laboratorio Tel. 0744.409341 Patologia Clinica (Ematologia, Chimico-Clinica, Immunochimica, Coagulazione) Microbiologia e Parassitologia Clinica Riproduzione (dosaggi ormonali, valutazione fertilità maschile) Infettivologia - Allergologia - Biologia Molecolare Tossicologica umana e ambientale - Citologia Intolleranze alimentari - Malattie Autoimmuni

Settore AcquAriAlimenti Tel. 0744.406722 Locale climatizzato - Chiuso la domenica Terni Via Cavour 9 - tel. 0744 58188

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w w w. l a p i a z z e t t a r i s t o r a n t e . i t l a p i a z z e t t a . t e r n i @ l i b e ro . i t

Microbiologica e chimica degli alimenti e delle acque Consulenza ed assistenza tecnico-legislativa in aziende alimentari Valutazione, progettazione, implementazione piani HACCP Corsi di formazione ed aggiornamento


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Q uesto m ondo è di tutti ( ?) Ultimamente i fatti di cronaca non aiutano davvero a sentirsi parte integrante del mondo, anzi. Al momento ci si sente sempre più frammentati, sempre più divisi, sempre più... a parte. Che ognuno di noi sia un universo a parte è ormai chiaro e limpido come acqua di fonte, ma che ognuno di noi possa e debba inserirsi in un contesto mondiale e non solo locale è davvero alla base di una convivenza sostenibile. Convivenza sostenibile che sta davvero creando dei problemi: la sostenibilità dell’energia non dovrebbe essere presa in considerazione solo per l’ambiente, l’ecologia e il pianeta. Andrebbe presa in considerazione soprattutto per l’ambiente umano e per il pianeta in quanto agglomerato di esseri umani. Stati in rivolta (azzarderei un “finalmente”, ma ci sono parecchie incognite, variabili e dati incerti da dover sistemare, prima di lasciarsi prendere dal trasporto che la voglia di eguaglianza e libertà ha sempre portato con sé), immigrati che sbarcano dappertutto, vite spezzate e famiglie interrotte. Un quadro decisamente non tranquillizzante, aggiungiamoci poi l’incapacità di gestire l’emergenza da parte di chi invece avrebbe dovuto saper prendere in mano la situazione e ci ritroviamo nel bel mezzo del momento attuale. Nell’ottica di una persona qualsiasi, contraria al razzismo e alla fobia del diverso, dello straniero, del clandestino (da non confondere con termini quali delinquente, avanzo di galera, poco di buono, farabutto o anche peggio: non stiamo parlando di equazioni, anche se la disperazione e la povertà spingono ad azioni deprecabili, c’è davvero una linea sottile tra la comprensione e la convinzione) il fatto di poter accogliere nel proprio Paese persone che stanno attraversando un periodo difficile non creerebbe troppi problemi, non fosse per il fatto che la situazione mondiale sta attraversando un periodo difficile generale, che rende tutti molto, ma molto meno sensibili alle disgrazie altrui. Bella novità: se non capita a me non è che mi tocchi più di tanto! è il modo di pensare generale, questo lo so. Poi arriva a toccare anche la nostra quotidianità e allora lì ci sentiamo feriti, violati nella nostra sicurezza, messi in pericolo e allora reagiamo. Reagiamo dimenticandoci di tutte quelle belle parole di cui ci si riempiva la bocca in momenti di tranquillità e si chiudono le barriere, si chiudono le frontiere, si chiudono le porte, si chiudono le finestre, si chiudono i cuori, gli occhi, le bocche e le orecchie. Non dico che si stia sbagliando tutto (chi sarei io per dirlo? Le situazioni contingenti di sicuro non aiutano e non sono facili da gestire, anche se un po’ più di collaborazione e coesione non guasterebbe assolutamente, ma dicono che si chiederebbe troppo) o che non andrebbe affrontata la situazione in modo così drastico: dico che si sta andando nella direzione sbagliata. Facendo così si alimenta la popolazione a diventare terrorizzata dal diverso, dallo straniero, dall’immigrato e la si porta al razzismo di qualche decennio fa che... tòh, guarda un po’ dove aveva condotto! Basta sfogliare un libro di storia per rendersene conto e, purtroppo, senza dover sfogliare nemmeno troppe pagine indietro. Purtroppo al momento il rischio di ripercussioni più gravi aumenta sempre di più e, forse proprio per sottolineare ancora di più il paradosso, nel 150° anno dell’unità d’Italia ci si ritrova più divisi che mai, a distanza di sicurezza l’Uno dall’Altro, ma non solo tra Nord, Sud, Centro e Isole... purtroppo anche a un livello più intimo, interiore e sicuramente pericoloso. Non sappiamo più come reagire davanti all’ondata di clandestini. Non sappiamo più come reagire davanti all’ondata di violenza generale. Non sappiamo più come reagire davanti all’ondata di vergogna che ci dovrebbe scatenare la visione dell’ennesimo servizio sul processo più seguito del momento. Non sappiamo più come reagire? Reagiamo come non si aspetterebbero. Forse è l’unico modo per destabilizzare il sistema di cui vorrebbero renderci fautori e complici (quasi) inconsapevoli: facciamoci sentire, all’inizio non servirà a niente, ma poi a qualcosa servirà. Questo mondo DEVE essere di tutti. Chiara Colasanti Altrimenti non potrà essere di nessuno.

Analisi della postura Ipertermia Onde d’urto focalizzate Rieducazione ortopedica Rieducazione posturale globale Tecarterapia Test di valutazione e rieducazione isocinetica

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Ghione

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B agno per disabili o anziani Nell’immaginario collettivo un bagno è un bagno, piccolo o grande che sia, sempre un bagno è! Invece vorrei far notare che è un luogo della casa importantissimo dove ci rifugiamo e dove necessariamente siamo soli con noi stessi. Per alcuni è l’unico momento in cui si può staccare la spina dalle fatiche della giornata, in cui inevitabilmente si riflette e, per quanto può sembrare strano, si prendono delle decisioni importanti. Il bagno è l’unica stanza della casa dove ci possiamo chiudere a chiave senza che nessuno replichi, è un luogo di relax e riflessione, dove ci si guarda allo specchio e non si scappa! Per questo motivo negli ultimi anni nelle ristrutturazioni e progettazioni si pone molta attenzione alla sala da bagno, ai colori, agli accessori, agli arredi e soprattutto a chi è l’utilizzatore finale. Fondamentale è sapere chi sarà il fruitore di questo spazio in quanto c’è differenza se è un bambino, un adulto, un anziano oppure un disabile, perché misure e sanitari cambiano. Supponiamo sia un disabile o un anziano. In questo caso dobbiamo stare molto attenti alle misure degli spazi, in quanto deve garantire semplicità di utilizzo e uno spazio di manovra adeguato in quanto il disabile o anziano può stare su di una sedia a rotelle oppure deve essere accompagnato da qualcuno. I sanitari hanno delle particolarità e quasi tutte le case produttrici ne contemplano una serie; questi sono fatti in modo tale da aiutare il disabile nelle manovre e devono scostare dalla parete laterale di almeno cm 40. Anche le docce hanno delle accortezze, hanno un ingresso più ampio così come la doccia stessa è più ampia, il piatto può essere a sfioro con il pavimento in modo da poter agevolare l’ingresso con la sedia a rotelle oppure hanno un seggiolino pieghevole all’interno o una sbarra dove potersi appoggiare. A tutto questo è possibile anche unire il piacere di una doccia idromassaggio. I lavabi consigliati sono quelli a mensola e l’altezza è di minimo cm 80 dal pavimento, ma dipende anche dall’altezza dei bracciali di una sedia a rotelle in modo da permettere l’inserimento della stessa sottostante. Per la rubinetteria è consigliato inserire quella a leva in quanto risulta più pratica anche per chi ha ridotta mobilità degli arti. I bidet ora sono incorporati con il vaso in modo da far evitare spostamenti inutili. Il tasto dello scarico è posto lateralmente al WC e una barra per tenersi corre lungo tutto il perimetro del bagno ad una altezza di cm 80 dal pavimento e cm 5 dal muro. Le misure standard minime consentite dalla legge per un bagno per disabili a norma è di cm 180 x 180 e la porta d’ingresso deve avere una luce minima di cm 85, avere un maniglione posto all’altezza di cm 80 e deve essere apribile verso l’esterno per agevolarne l’uscita in caso di malore; inoltre deve poter essere apribile dall’esterno anche se chiusa a chiave. Tenere presente tutto questo non è difficile, ma aiuta notevolmente chi è affetto da una disabilità che lo costringe su di una sedia a rotelle. info@claudiamansueti.it

Come: Illuminare male - Sprecare energia - Inquinare il cielo notturno

TERNI - Piazza B. Buozzi La comunità scientifica internazionale non ritiene fondata l’esistenza degli UFO; tuttavia i cittadini ternani possono testimoniare la loro presenza nel cielo di Terni. Spesso gli avvistamenti anomali sono riconducibili agli effetti speciali provocati dalla luce artificiale sparata nel cielo notturno dagli impianti dell’illuminazione pubblica e privata. Nella foto si vedono corpi illuminanti di tipo a sfera e altri a coppa con vetro curvo di protezione sporgente. Questi apparecchi sono molto diffusi a Terni, ma anche assai inquinanti per i seguenti motivi: - disperdono la luce verso l’alto; - illuminano anche dove non serve; - provocano l’effetto abbagliamento; - determinano zone di luce e ombra, rendendo meno sicura la città; - non consentono la visione nitida del cielo notturno; - sprecano energia. Per i motivi sopra elencati la Regione Umbria ha emanato la legge N. 20/2005 che mette al bando questo tipo di corpi illuminanti. La legge regionale, infatti, ha per obiettivo la riduzione dell’inquinamento luminoso e il risparmio energetico. I controlli sulla corretta applicazione della legge sono demandati ai Comuni, che tuttavia stentano ad applicarla e in molti casi la disattendono. Intanto, i cittadini che vivono sotto questo cielo luminescente possono continuare a scambiare qualsiasi fenomeno naturale luminoso per Unknown Flying Object (UFO). franco.capitoli@teletu.it

ilconvivio.terni@libero.it

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Chiusura Domenica Sera


I TA L I A 1 8 6 1 - 2 0 11 Splendori e miserie di una nazione E’ più che mai urgente oggi tornare a riflettere sulla nascita del nostro Stato nazionale. E certo non solo perché se ne celebrano i centocinquant’anni ma perché tanti, troppi Italiani sembrano dubitare del suo valore, della sua consistenza, della sua vitalità, auspicandone a vario titolo lo smembramento o la ridefinizione in senso federale, tra rivendicazioni localistiche e nostalgie filoborboniche. Il Liceo Classico ha voluto celebrare l’Unità evitando, in primo luogo, l’agiografia imbalsamata, che fissa il passato risorgimentale in una galleria polverosa di personaggi che sembrano nati vecchi mentre il Risorgimento, come tutte le rivoluzioni, fu avventura di giovani. Nell’ultimo film di Mario Martone, Noi credevamo (che i ragazzi hanno visto e discusso vivacemente), il Mazzini dei primi anni Trenta è interpretato da un attore cinquantenne, quasi che non lo si possa concepire se non nei panni del maturo intellettuale, rigorosamente vestito di nero e un po’ ascetico di tante immagini scolastiche. Di qui la decisione di organizzare un corso di approfondimento in sei incontri intorno a questioni che, pur essenziali nel processo di formazione dello Stato nazionale, risultano meno frequentate dalla storiografia, almeno da quella che si mobilita in occasione delle celebrazioni: la questione della lingua, il contributo di figure femminili quali maestre e infermiere, il ruolo delle minoranze religiose di ebrei e protestanti, l’iconografia patriottica e il folclore musicale. Solo l’ultimo incontro è stato dedicato a un personaggio di spicco del canone risorgimentale: Giuseppe Mazzini, con un taglio comunque non convenzionale, trattandosi di una lezione in lingua inglese sugli anni dell’esilio londinese. L’altro pericolo che abbiamo voluto evitare è il revisionismo iconoclasta, che guarda al Risorgimento solo per diffamarlo, svilirlo e umiliarlo. E’ vero, il processo non fu immune da vizi e storture. Ciò non toglie che sia stato, per noi Italiani, il rito di iniziazione alla modernità politica, costituzionale e liberale, e che sia pieno di figure splendidamente rappresentative come Mazzini e Garibaldi, in primo luogo, i quali, al di là delle ideologie, incarnano comunque valori da recuperare con urgenza: il disinteresse e la sobrietà. Prof. Marisa D’Ulizia Come ormai di consueto, diamo voce agli studenti presentando tre lavori significativi.

I m magini d e l R i so rg i m e n to Il Risorgimento, oltre a costituire un fenomeno politico, determinò un vero e proprio movimento culturale, che influenzò tutte le arti, dalla letteratura alla musica. Per ciò che concerne le arti figurative, dopo Canova, emblema del neoclassicismo, non mancarono esperienze romantiche, che trassero la loro ispirazione da temi patriottici. A tal proposito è impossibile non fare riferimento a Francesco Hayez, il quale nella Meditazione sulla storia d’Italia, dipinta all’indomani del fallimento dei moti del 1848 a Milano, si sforza di celare gli ideali nazionali sotto il velo dell’allegoria e della metafora, al fine di sottrarli al severo controllo austriaco. La giovane donna con la faccia parzialmente in ombra, atteggiata a profonda tristezza, con il seno scoperto e la croce del martirio in pugno è l’Italia prostituita da secoli, non donna di province ma bordello, che ora cerca il suo riscatto. Un’altra allusione agli ideali risorgimentali da parte dell’artista si riscontra ne Il bacio, che costituisce uno dei dipinti più noti della pittura italiana dell’Ottocento. In esso il giovane munito di pugnale, avvolto nel mantello, con il cappello calato sugli occhi e il volto in ombra, fa pensare ad un rivoluzionario che, in procinto di fuggire per sottrarsi alla cattura, come suggerisce il piede sullo scalino, rivolge alla giovane amata l’ultimo saluto. A queste prime sperimentazioni romantiche che, pur presentando delle novità nei contenuti, rimanevano ancorate, dal punto di vista formale, ad una tradizione classica ed accademica, seguirono quelle del realismo. Verso la metà dell’Ottocento, infatti, gli ideali realistici, già manifestati in Europa, ebbero un deciso impulso in ambito toscano e soprattutto fiorentino, grazie anche al clima tollerante del governo granducale. Qui giunsero artisti provenienti da varie regioni italiane, tra i quali Telemaco Signorini, Vito d’Ancona, Giovanni Fattori e Silvestro Lega. Sono i cosiddetti Macchiaioli, pittori che si riunivano al Caffè Michelangelo, sede di interminabili discussioni, in cui le diverse sensibilità, culture ed intenzioni avevano modo di esprimersi con efficacia in un’atmosfera insieme patriottica e antiaccademica. Non è un caso, pertanto, che nelle loro opere, accanto a tematiche agresti (riproduzioni di anonimi angoli di natura e del duro lavoro dei contadini), si riscontrino quelle risorgimentali, frutto di esperienze personali, poiché quasi tutti parteciparono alla campagna di Lombardia del 1848 e alla difesa di Venezia e Roma del 1849, concorrendo con passione alla nascita della Nazione. A questo riguardo vale la pena di citare Il campo italiano durante la battaglia di Magenta, opera dell’artista forse più rappresentativo del movimento macchiaiolo, Giovanni Fattori. In essa viene rappresentato non l’attimo saliente della battaglia, bensì un momento confuso delle retrovie: il carro che trasporta i feriti e gli spostamenti delle truppe, quando ormai non ci sono più eroismi da celebrare. I soldati dipinti da Fattori, in effetti, non sono degli eroi, in mezzo a loro non campeggia alcun protagonista e il valore individuale non ottiene alcun riconoscimento; piuttosto risaltano la fatica estrema, la dedizione al compito e la solitudine, elementi con i quali l’artista vuole rappresentare la guerra per ciò che effettivamente essa è. Ma l’importanza e la fama di Fattori sono dovute anche allo stile che elaborò, prendendo le distanze dagli schemi classici e accademici: uno stile estremamente realistico, fondato sulla modalità della visione ottica, la quale coglie le cose attraverso i colori accostati come vere e proprie macchie cromatiche elementari. Da qui il termine Macchiaioli, che allude ad una pittura basata sui valori tonali, resi a macchie di colore chiaro su scuro. Le ultime opere del noto macchiaiolo, attraversate da un tono drammatico, costituiscono amare riflessioni sulla morte e sulla vita. Emblematico di tale pessimismo, dovuto probabilmente anche alla delusione per il modo conservatore con cui si era conclusa la vicenda risorgimentale, è Lo staffato. In quest’opera il soldato, rimasto incastrato con il piede nella staffa e trascinato dal cavallo in fuga, non rappresenta solo un episodio accidentale ma simboleggia la tragica condizione universale che accomuna tutti gli uomini. Opera straziante, che risente della complessa situazione politica e della crisi che investì il movimento macchiaiolo, ormai prossimo al suo definitivo declino. Maria Barnabei - III AMS

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Giuseppe Mazzini ovvero

l’amor di Patria c o m e re l i g i o n e c i v i l e Pochi uomini nella storia degli ultimi secoli sono stati prima tanto universalmente apprezzati e poi tanto miseramente dimenticati quanto Giuseppe Mazzini. Le sue idee furono così grandi tra i suoi contemporanei che non ci si può che stupire di fronte alla scarsa risonanza delle stesse oggi. Ma chi era Mazzini, quest’uomo esile, vestito di nero fin dall’adolescenza in segno di lutto per la patria, capace di suscitare ammirazione anche in un nemico tenace come Metternich? Con la chiaroveggenza dell’ostilità, il primo ministro austriaco scriveva di lui: Ebbi a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a metter d’accordo tra loro imperatori, re e papi. Nessuno però mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano magro, pallido, cencioso ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome Giuseppe Mazzini. Come spesso accade, alcuni tra i suoi migliori ritratti non ci vengono da connazionali ma da stranieri, in particolare quegli inglesi presso i quali trovò asilo per quasi trent’anni. Lo scrittore Joseph Hutchinson dà una delle più efficaci descrizioni definendolo come a Symposium of Paradoxes: a constructive critic, a conservative radical, a utilitarian idealist, an uncompromising opportunist, a conspirator who was the prophet of publicity, a lover of peace who passionately preached armed intervention. Insomma in lui la critica aspra, l’idealismo, l’amore per la pace si mescolavano senza problemi all’opportunismo, all’utilitarismo o alla convinzione della necessità della lotta armata. Una personalità, quindi, in apparenza contraddittoria. Questa dicotomia si traduceva però in qualcosa di stabile, unico ed incrollabile: l’amor di patria. Questo sentimento raggiungeva in Mazzini una tale intensità da diventare una sorta di religione civile; anni e anni di esilio e di povertà risultavano allora giustificati e sopportabili perché avevano come principio e scopo la libertà dell’Italia... e non solo. Il suo progetto, infatti, andava oltre l’ambito strettamente nazionalistico per auspicare il banchetto delle nazioni sorelle, l’associazione di tutti i popoli nel vincolo della solidarietà e nel segno del progresso, secondo la legge del Dio che si attua nella storia, com’è già chiaro al momento della fondazione della Giovine Europa a Berna nel 1834.

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La portata delle sue tesi è direttamente proporzionale all’ammirazione che esse, insieme alla sua persona, suscitavano negli altri: se molte furono le donne vittime del suo fascino, come Jessie Jane Meriton White, ancor più numerosi furono quelli disposti a far propri gli ideali dell’esule italiano. Ma la sua dottrina forse più interessante riguarda non tanto la questione politica e sociale in senso stretto quanto quella pedagogica, che alle prime due è strettamente legata. La Democrazia, scrive Mazzini, è soprattutto un problema educativo, e poiché il valore dell’educazione dipende dalla verità del principio su cui si basa, l’intero futuro della Democrazia è condizionato da tale questione. Infatti, essendo entrato a contatto con educatori progressisti come Mayer, Lambruschini e Thouar, vedeva nell’educazione l’elemento imprescindibile per l’emancipazione mentale e sociale dell’individuo. La libertà, i diritti, la condizione sociale dipendevano dal livello di educazione personale, così come la partecipazione alla vita politica. Non stupisce quindi il progetto della scuola per bambini italiani avviato a Londra con Filippo Pistrucci e Luigi Bucalossi, nel quale Mazzini proponeva un approccio concreto alle materie e il collegamento dell’apprendimento alla vita di tutti i giorni. Uno splendido esempio di educazione civile, che culminava nella cena per l’anniversario dell’apertura della scuola in cui, in una democratica inversione di ruoli, gli insegnanti servivano gli studenti e le loro famiglie. Molti però sospettavano che la scuola non fosse che un pretesto per insegnare le quattro R (reading, ‘riting, ‘rithmetic, e revolution)! I suoi ideali progressisti, patriottici e rivoluzionari non potevano che modificare profondamente la geografia politica ed ideologica dell’Europa, consacrandolo come il profeta delle libere nazionalità. Eppure... un uomo tanto grande da entrare di diritto tra i più influenti della nostra storia sembra a molti solamente una vecchia figura polverosa, mero dato da mandare a memoria tra tanti altri delle pagine di un manuale scolastico. Tommaso Sensidoni - III AMS


Cristina Trivulzio di Belgiojoso è una bella donna. Occhi grandi, espressivi, sempre attenti, unica nota di luminosità su un volto altrimenti pallido, quasi malaticcio. La magrezza alquanto accentuata, forse eccessiva per i suoi contemporanei, e il pallore dovuto a diverse malattie, oltre che a un tentativo di omicidio, di cui è stata vittima, non intaccano l’alone di energia che riesce comunque a emanare. Donna di virili pensieri, secondo Cattaneo, foemina sexu, ingenio vir secondo Cousin. Esponente di spicco del Risorgimento italiano, troppo spesso la sua vicenda è passata sotto silenzio, così come quella di tante altre sue compagne, protagoniste di un evento che è anche femminile ma che è abitualmente delineato al maschile. Avrei voluto intervistarla. Ne è uscito fuori in realtà un dialogo, un racconto fatto di piccole perle, veri e propri gioielli, che hanno costellato la travagliata vita della donna che, a sedici anni, era la principessa più ricca d’Italia. Nata nel 1808 a Milano, sposa giovanissima e presto tradita dal marito, vive da sola prima a Carquerainne, in Francia, dove frequenta un giovane storico, Augustin Thierry, e poi a Parigi, dove conosce importanti personalità del tempo. Dopo la nascita della figlia Maria, partecipa ai principali eventi della prima guerra d’indipendenza: le Cinque Giornate di Milano e la Repubblica Romana, durante la quale si occupa del soccorso infermieristico ai feriti. Dopo il fallimento dei moti del ’48 -’49 va a Malta, poi in Grecia e infine in Anatolia, in esilio. Nel ’55 torna in Italia grazie ad un’amnistia, e, dopo la proclamazione di quell’Unità per la quale ha combattuto così a lungo, si ritira a Belvio, vicino Como, dove muore nel 1871. Si presenti, principessa. Mi chiamo Cristina Trivulzio di Belgiojoso. Belgiojoso è il cognome di mio marito, Emilio Barbiano di Belgiojoso, da cui sono a tutti gli effetti separata. Le risparmio l’interminabile sequela di nomi che i miei mi appiopparono. Su, non sia reticente. Maria Cristina Beatrice Teresa Barbara Leopolda Clotilde Melchiora Camilla Giulia Margherita Laura Trivulzio. Sarà stato difficile da bambina sopportare il peso di un nome così altisonante. Ovvio. In più ci metta che ero una bambina melanconica, seria, introversa, tranquilla, talmente timida che mi accadeva spesso di scoppiare in singhiozzi nel salotto di mia madre perché credevo di accorgermi che mi stavano guardando o che volevano farmi parlare. Giulia Beccaria aveva una certa predilezione per me. Difficile credere che un tipo così si sarebbe poi buttato in politica. Le mie idee mi sono così care che m’infiammo spesso per esse. D’altronde, a Parigi, soprattutto nel salotto di Juliette Récamier, ho conosciuto tante importanti personalità: Chateaubriand, George Sand, Guizot, Musset… ma anche Balzac e Liszt. Che idee sono? Premetto che sono repubblicana convinta. Le mie idee, d’ispirazione fourierista e anche sansimoniana, si basano sull’alfabetizzazione delle masse e sul miglioramento delle condizioni di vita dei contadini, nonché sull’istituzione di casse rurali e banche popolari per stroncare il fenomeno dell’usura e dell’accumulazione capitalistica. Non c’è da stupirsi, dunque, se hanno provato ad assassinarmi. Come dissi all’indomani dell’attentato, j’ai été assassinée (... ride). Una vita alquanto travagliata... Mi sono curata da sola le ferite delle pugnalate con aconitum e sanguisughe. Di certo non un’esperienza facile, se sommata poi a tutti gli altri grandi dispiaceri che ho sopportato. Per esempio? L’esilio, che comunque a conti fatti ha costituito una grande opportunità. Sono andata in Turchia, in Anatolia. Lì ho fondato una fattoria chiamata Ciaq Maq Ogla. Della mia esperienza ho scritto in molti articoli: al mito dell’Oriente esotico, fastoso e opulento ho contrapposto la realtà di una società in cui mancano gli affetti familiari e le donne sono abbandonate all’ignoranza, alla pigrizia e alla stupidità. Ha scritto molto, non è vero? Oh, sì. Sono stata giornalista in varie occasioni. All’inizio, ad esempio, ho scritto per la Gazzetta italiana. Terenzio Mamiani ne rifiutò la condirezione quando scoprì che avrebbe collaborato con una donna. In seguito ho anche ricoperto il ruolo di cronista durante e dopo il 1861, descrivendo e commentando i fatti quasi in tempo reale per Il Crociato e per la Revue des deux Mondes. Ne ha fatte molte per essere una donna. Quando sbarcai a Genova da Napoli, nel ’48, i volontari che erano venuti con me per dirigersi alla volta di Milano si dissero guidati dall’italianissima Cristina Trivulzio di Belgiojoso, primiera fra le cittadine animate di questa patria comune. Ho anche tenuto vari comizi, nel ’47 al Caffè Ferruccio di Firenze, poi a Roma al Caffè delle Belle Arti. Mai nessuna donna ha vissuto simili esperienze. Organizzò anche una sorta di Croce Rossa per la Repubblica Romana, se è per questo. Divenni Direttrice Generale delle Ambulanze Militari a Roma nel 1849, all’indomani della proclamazione della Repubblica Romana, lavorando assieme a Giulia Paolucci ed Enrichetta di Lorenzo. Chiesi ai triunviri un

L a d o n n a d e l tric olore I ntervista immaginaria a Cristina Trivulzio di Belgiojoso La Provincia di Terni per la cultura

cambiamento sostanziale, una riforma, perché cacciassero il personale sanitario che lavorava lì. Erano uomini rozzi e spesso ubriachi, oltre che maleducati. Quando entrai io, chiesi alle donne romane di collaborare per curare chi ne avesse bisogno. Risposero in tante, ne scelsi trecento. In poco tempo costruii un sistema sanitario organizzatissimo ed efficiente. Vogliamo parlare della lettera a Pio IX? Il pontefice affermò che con questo nuovo sistema le vittime di guerra erano costrette a rendere l’anima fra gli allettamenti di qualche sfacciata meretrice. E io gli risposi che tutte le mie volontarie si erano sempre comportate in modo irreprensibile, e che, se avessi saputo di qualche cattiva condotta o mestiere esecrabile, non le avrei certo assunte. Inoltre lo invitai a riflettere sul fatto che Gesù non si ritrasse da Maria Maddalena, donna di perversi costumi, che ebbe l’arditezza di bagnargli i piedi con le lacrime e asciugarglieli con le lunghe trecce. Solo le donne sanno raddolcire i patimenti degli infermi e dei morenti. Fu una risposta alquanto ardita. Son fatta così. Non è un caso se mi presentai al ballo di casa Marrast in abito tricolore dopo il ’48. Un’ultima domanda. Chi sono i suoi modelli, le personalità a cui si ispira? Fourier e Saint-Simon, senza dubbio, e le loro idee socialiste: l’attenzione alle masse, dunque, e il progetto sociale. Ma anche i fratelli Verri e Cesare Beccaria. Devo tanto sicuramente a Mazzini: senza le sue idee l’Italia unita non esisterebbe. I nostri rapporti non sono sempre stati, per così dire, idilliaci. Ci siamo studiati a lungo prima di lavorare insieme nei salotti e nei giornali, all’indomani della proclamazione della Repubblica Romana. Trasmettevo i suoi messaggi. Ma uno dei miei grandi modelli, non a caso, è donna: Margaret Fuller, corrispondente per il New York Tribune e autrice del primo manifesto Francesca Sordini - II IF femminista americano.

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F o n d a z i o n e C as s

L a Fla g e lla z io n e O r t e - M use o d i A rte s a c r a , o lio s u tela

C ri st o e la S a ma r ita n a a l p o z z o O r t e - M use o d i A rte s a c r a , o lio s u tela

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I l restauro delle tele del Museo di Arte Sacra di Orte, effettuato da Cristiana Maria Noci nel 2010 sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici del Lazio, si inserisce nel tradizionale impegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni volto al recupero e alla valorizzazione del patrimonio storico e artistico del territorio di intervento. Le opere conservate nel palazzo Vescovile raffigurano La Flagellazione, David con la testa di Golia, San Rocco e San Michele Arcangelo, Cristo e la Samaritana al pozzo. Lo stato di conservazione delle tele come si presentava prima dell’intervento di restauro andava dalle condizioni di estremo deperimento di quella con San Rocco e San Michele Arcangelo a quella del David con la testa di Golia che, nonostante le cadute di colore in punti circoscritti e la sporcizia sedimentata conservava la superficie pittorica in buone condizioni. Le tele sono stilisticamente molto diverse tra loro. La flagellazione, siglata sul retro della tela “F P”, è non tanto un bozzetto quanto un modello per un’opera di maggiore dimensione, in cui viene progettato soprattutto l’ambiente architettonico e l’impianto delle figure, delle quali solo le due in primo piano sono un poco più definite. La tela sembra riferibile ad un ambiente artistico che si ispira alla cultura artistica romana attorno alla prima metà del XVII secolo. Da quest’ambito l’artista riprende nelle figure dei carnefici tipologie diffuse. Peraltro l’esilità dei protagonisti, la tipologia del Cristo, la luminescenza del suo incarnato, che si appoggia ad una base verdognola, ribadita dal riflesso marmoreo della colonna, inducono a pensare che possa trattarsi di un pittore di formazione fiamminga tra i non pochi che già dalla seconda metà del Cinquecento trovano nell’Umbria meridionale, soprattutto a Terni, un ambiente favorevole. Solamente nella figura dell’armato sul fondo traspare una tipologia che indica nel dipinto avvenute esperienze cortonesche. Cristo e la Samaritana al pozzo. Si tratta di una buona copia ottocentesca, con piccole varianti nell’acconciatura della samaritana, di un dipinto di Lavinia Fontana, firmato e datato 1607, non citato dalle fonti relative alla pittrice Bolognese (Bologna 1552-1614), dal 1802 registrato nella Galleria Nazionale di Napoli, dopo il suo ritorno dalla Francia dove era stato trasportato durante il primo Impero. Il restauro ha messo in luce un’estesa ridipintura nella veste della donna e ha evidenziato la fattura neoclassica di entrambe le figure che irrigidisce i volti, privi di quelle finezze parmigianinesche che l’originale manifesta particolarmente in quello di Cristo. La sigla del copista “A.R.FECIT”, apposta sul retro del dipinto in caratteri bodoniani, lascia supporre che la copia sia stata eseguita a Napoli nella prima metà dell’ottocento. David con la testa di Golia. L’opera si colloca nella prima metà del XVII secolo ed è opera che manifesta apertamente la sua pertinenza all’ambito bolognese nella sua più scoperta eccezione domenichiniana, tanto da poter citare come modello, seppure in termini generici, lo stesso soggetto del Museo malatestiano di Fano; qui interpretato quasi come un’accademia, uno studio a tema in cui l’artista si propone di rendere la dolD av id c on l a t est a di Gol i a cezza quasi femmiOr te - M us e o di Art e sacra, ol i o su t el a


a di Risparmi o d i T e r n i e N ar n i nea dell’eroe adolescente. La componente più personale dell’ignoto artista si manifesta però nel panneggio del manto, reso in maniera da prescindere rispetto al corpo sottostante, tanto da divenire coprotagonista del dipinto per le sue pieghe scheggiate e circonvolute, tanto da far pensare alla riconversione in termini pittorici delle durezze di una stampa al bulino, ma che probabilmente rivela, anch’esso, una interpretazione dei panneggi del Domenichino più “statuino” (La caccia di Diana della Borghese o L’Angelo Custode di Capodimonte). Questo dipinto, come il precedente, ha evidenziato l’esistenza di una sottostante superficie dipinta, la tela sembra quindi essere stata riutilizzata. La tela con San Rocco e San Michele Arcangelo di cui a tutt’ora non si conosce la collocazione originaria, probabilmente di committenza confraternale, raffigurava i due santi che si volgono verso l’alto dove nel cavo, ora vuoto, in origine, era incastonata un’ immagine, probabilmente una antica e venerata immagine sacra, od una copia, secondo modalità diffuse dalla fine del Cinquecento sull’onda della venerazione per le reliquie e per le immagini antiche promossa dalla Controriforma. La tela tra quelle restaurate è quella che ha sofferto maggiormente. Oltre alle diffuse cadute del colore a causa della difettosa adesione del colore alla mestica sembra abbia subìto anche ripetuti interventi di pulitura che hanno causato la perdita di estese parti della superficie pittorica ed un generalizzato impoverimento materico della stessa. L’opera, di valenza soprattutto devozionale, appare riferibile ad un artista, probabilmente locale, del XVIII secolo. Dr. Giannino Tiziani Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici del Lazio

San R oc c o e San Mi chel e Arcangel o Or te - M us e o di Art e sacra, ol i o su t el a

L ’antica pieve di Santa Maria risale al XIII secolo, ma il campanile a torre, i tre portali d’ingresso e l’interno a tre navate, scompartite da pilastri, si devono ad un rifacimento della prima metà del XV secolo. Nel 1532 invece si colloca l’unitario intervento con cui le due pareti laterali sono state rivestite in pietra con un elegante motivo architettonico rinascimentale a paraste sormontate da archi e coronate da una trabeazione liscia. Nei clipei che ornano le paraste sono stati sin dall’inizio scolpiti gli stemmi delle famiglie e delle corporazioni che avevano il patronato delle cappelle e sulla trabeazione è stato inciso il nome dei santi titolari delle stesse, ciò confermando la concezione progettuale unitaria. All’interno degli archi sono state aperte le nicchie centinate la cui decorazione ad affresco è stata commissionata dai patronati in diversi momenti ad artisti di levatura discontinua. Tra queste senza dubbio quelle di maggior pregio artistico sono la quarta e la quinta della parete destra eseguite entrambe da Jacopo Siculo e dallo stesso datate con la sua consueta precisione a die l’11 settembre e il 1 ottobre del 1543. La prima, dedicata a Sant’Antonio Abate, affidatagli dalla corporazione dei mulari o vetturiali, che in zona erano molto numerosi, l’altra, quella delle Sante Vergini, dalla famiglia Cybo. Il pittore, palermitano di nascita, morì a Rieti fra 1543 - 1544, quindi queste sono le sue ultime opere. Stabilendosi a Spoleto probabilmente già dagli anni Trenta del XVI secolo, si era fatto il principale interprete, tra Umbria meridionale e alto Lazio, del linguaggio raffaellesco, acquisito durante un apprendistato romano, forse presso la bottega dello stesso Raffaello, di certo, poco dopo tra il 1510 e il 1520, presso Baldassarre Peruzzi. Nelle opere più tarde, come questi affreschi di Ferentillo, oltre che nella vicina tavola in San Biagio di San Mamiliano, mostra ormai la piena padronanza dei grandi modelli di riferimento, addolciti dal contatto prolungato con il contesto artistico umbro, in particolare dal misurato classicismo di Giovanni Spagna, imperante nello spoletino e in tutta la valnerina. L’affresco raffigurante la Madonna col Bambino, Sant’Antonio e le storie delle sue tentazioni non è firmato ma può essere assegnato con certezza a Jacopo Siculo, ritrovandovisi alcune delle caratteristiche peculiari del pittore, trattate con magistrale accuratezza, come, in particolare, il gusto per certi elementi di vivo naturalismo nella rappresentazione degli animali sia nella scena istoriata che negli elementi decorativi a candelabra, abitati, con amorevole richiamo al familiare ambiente della valle del Nera, da trote, gamberi, uccelli con vermi o lumache nel becco. Anche il paesaggio è rappresentato con la consueta suggestione romantica, in cui dati realistici della Valnerina sono mescolati in simbiosi con scorci fantastici e irreali, entro cui si collocano vivaci dettagli aneddotici, come le gustose scene di caccia o di pesca. Questo affresco è stato nel passato raramente trattato dagli studi forse anche perché in gran parte nascosto nel XVIII secolo, da uno scialbo grigio e da incorniciatura in stucco dipinto e dorato, che lasciava scoperte solo le figure principali e da cui è stato parzialmente liberato in occasione di un intervento degli anni Settanta del secolo scorso. Inoltre al momento della nuova partitura a stucco della cappella anche ciò che rimaneva visibile degli affreschi fu pesantemente compromesso nella lettura a causa di una verniciatura successivamente offuscata e di vaste e grossolane ridipinture a cui si è potuto porre rimedio con l’ultimo intervento di restauro eseguito da Luisa Grottanelli, la quale, a seguito di opportune indagini diagnostiche condotte su un campione di materia, ha potuto procedere nella rimozione di quanto sovramesso all’originale pellicola pittorica poi reintegrata laddove lacunosa. Restituendo così all’opera piena fruibilità e legittimandone la paternità. Il restauro, avviato dalla Fondazione Carispo con un intervento conservativo eseguito dalla ditta Artium di Donatella Bonelli, è stato portato a termine dalla Fondazione Carit con le operazioni di pulitura e reintegrazione degli affreschi realizzate dalla ditta Restauro di Luisa Grottanelli. Dr. Giovanni Luca Delogu N ic c hia de dic at a a Sant ’ Ant oni o Abat e Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici dell’Umbria

Fe re ntillo - Chi esa di Sant a Mari a

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C otta ne llo e ... Giulio Cesa r e Cottanello, piccolo comune in provincia di Rieti, si trova a quattro passi da Terni ed è facilmente raggiungibile dalla zona di S. Valentino, percorrendo la strada della Macchia di Bussone (via Salara) verso Vascigliano di Stroncone e continuando sulla 313 verso Configni. Dopo Configni si gira a sinistra verso Rieti e all’improvviso appare Cottanello, inerpicato su un monte. Innanzitutto il nome: perché mai si chiama così? Deriva forse da Cotto? Stai a vedere che nel passato qualche esercito invasore, un po’ freddoloso, ha messo a fuoco il paese e i suoi abitanti e quindi i vicini maligni gli hanno affibbiato quel nome per dispetto... In effetti Cottanello fu incendiato per rappresaglia dalle truppe francesi di Napoleone il 2 marzo 1799 e in questo incendio andò perduta tutta la sua documentazione storica, ma il nome se lo era già guadagnato diversi secoli prima. Sembra che una nobile famiglia romana, i Cotta, possedesse nella zona una villa rurale, villa che si animava della presenza dei proprietari specialmente d’estate diventando un comodo, fresco e profumato rifugio dalla calura e dal puzzo delle vie di Roma. Col tempo il nome dei Cotta diventò il nome del paesino arroccato sul monte. Infatti nel 1968 fu ritrovata parte della villa sepolta e nel corso degli ultimi scavi -ultimi perché il denaro stanziato stava per finirefu rinvenuto un frammento di dolio sul quale era inciso il nome “Cotta”. Così, da allora, non vi furono più dubbi. Quella dei Cotta era una nobile, importante e ricchissima famiglia romana che apparteneva alla gens Aurelia e che si era insediata in questa zona della Sabina intorno al 241 aC. Il capostipite di questa famiglia, Caio Aurelio Cotta, console e generale, aveva completato in quel periodo la conquista della regione bagnata dal Nera e dal Velino e aveva costruito anche la via Aurelia. Intorno agli anni 60 aC la villa era di proprietà di un fratellastro di Aurelia Cotta, la madre di Giulio Cesare. A noi piace pensare, con molta fantasia, che Giulio Cesare adolescente possa essere stato un giorno da queste parti in vacanza e, insieme a un gruppo di coetanei a cavallo, essere stato a caccia sui prati che saranno poi chiamati di Stroncone mentre nel pomeriggio, per ritemprarsi dalla fatica, potrebbe aver fatto sosta alle terme di Perciliano -oggi Vascigliano di Stroncone- dove le acque erano salubri e l’aria pura, poco più di 2000 anni fa… Vittorio Grechi

Da S k y p e u n a l i st a di ex terroristi, alcuni la tita nti Tra virtuale e surreale Lo scorso mese abbiamo ricordato le vittime del terrorismo. Possiamo onorarne la memoria tutti i giorni, tenendo alta l’attenzione sui protagonisti di quegli anni terribili. Nel 2009 denunciammo pubblicamente il fatto che Alessio Casimirri, latitante del caso Moro, da almeno due decenni in Nicaragua dove è ben conosciuto quale istruttore subacqueo e ristoratore, scorazzasse liberamente on line. Se le autorità politiche del nostro Paese hanno talora incontrato ostacoli quasi insormontabili nel gioco dell’estradizione, la società civile può fare ancora la propria parte affinché sia diradata la nebbia che avvolge i misteri di allora: cosa buona e giusta sarebbe ad esempio iniziare a disturbare il sub di Managua, telefonando al numero telefonico che egli stesso ha l’impudenza di lasciare in rete sulla pagina Facebook del ristorante di sua proprietà, La cueva del buzo. Altri ex terroristi, alcuni latitanti, hanno registrato i propri recapiti su Skype, piattaforma Internet che consente di chiamare a basso costo chiunque nel mondo, eventualmente avviando una chat in caso di assenza dell’utente. Ecco di seguito una lista parziale di nomi e indirizzi Skype: almachiara.d.angelo, intestato all’omonima donna fuggita da tempo a Managua dopo esser stata condannata ad anni 15 di reclusione per il coinvolgimento nell’uccisione del giornalista Walter Tobagi. E’ anche contattabile su Facebook; achille.lollo, nome skype corrispondente all’omonimo leader del terzetto che appiccò il fuoco alla casa dei fratelli Mattei, quartiere Primavalle, Roma. Da pochi mesi è un uomo libero perché la condanna -18 anni- è prescritta, pur non essendo stata scontata. Tornato in Italia nel gennaio scorso, fu interrogato come persona informata sui fatti dalla Procura di Roma, ma fonti qualificate sostengono che non abbia risposto alle domande; oggi è di nuovo in Sud America. Forse, a suon di telefonate, ci ripensa e dona il suo contributo di verità; corrado.balocco, da sempre in Francia, ex Brigate Rosse, condannato e prescritto; anna.mutini, cioè Anna Mutini Calvitti, vedova di uno dei sequestratori del generale Dozier, accompagnata in seguito ad Enzo Calvitti. Entrambi a Parigi da quasi trent’anni, entrambi ex br, la prima non ha più pendenze con la giustizia italiana, ma è utile per contattare il suddetto Enzo Calvitti, condannato a 21 anni a seguito del processo Moro ter, e regolarmente scappato dall’Italia; Finoromanico è il nick Skype di Giovanni Alimonti, insegnante di italiano in Francia dove è fuggito dopo la condanna a 22 anni nel processo Moro ter; infine c’è Petrella.Marina, storica ex brigatista cui è stato inflitto l’ergastolo. La località del suo profilo Skype è Saint Denis, dove tuttora risiede. Il presidente Sarkozy ha rifiutato di estradarla per lo stato di grave depressione che l’avrebbe colpita. Al telefono potremo convincerla ad Alessio Casimirri apprezzare la qualità delle nostre cliniche. Anche giudiziarie. Andrea Liberati

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Il mundus dei bambini Tutto ha origine da una frase di mia figlia di nove anni. Quasi sempre i bambini con i loro discorsi e le loro riflessioni sanno essere molto più maturi di alcuni adulti. Le considerazioni (che definirei ovvie col senno di poi) che escono dalle loro piccole grandi testoline arrivano come schiaffi sulle nostre facce e cominciano a farci riflettere su ciò che è il mondo che ci circonda. Questo è il fatto. Qualche giorno fa, sedute a tavola per il pranzo, guardavamo insieme un telegiornale SAT dove si parlava di eventi sportivi. Alla notizia che, durante una gara di basket, una giocatrice nera era stata presa a male parole dal pubblico, mia figlia, con l’ingenuità propria dei bambini, mi ha chiesto: mamma, ma perché l’hanno offesa? Alla mia risposta che la causa era il colore della sua pelle mi ha guardato basita continuando a non capire nonostante i miei successivi chiarimenti. Questo mi sembra un ottimo punto di partenza per iniziare (provare) a cambiare le cose. Prima considerazione: Giulia con i suoi 9 anni e la sua poca vita ha appreso molto di più di ciò che possono aver fatto molti di noi in età adulta. Abbiamo una cara amica di famiglia (mamma svedese e papà italiano) sposata con un ragazzo senegalese dal quale ha avuto due bellissime bambine color cioccolato con le quali lei gioca senza inibizioni di alcun tipo. Le poche volte che riesco a portarla in qualsiasi parco, la vedo far amicizia con facilità con bimbi di altre nazioni, comunitari e non. Ma non è solo un suo merito: anche gli altri bambini si comportano allo stesso modo! Giocano incuranti dei colori e delle idee politiche/religiose. Mi chiedo, allora, cosa succede ad un certo punto che cambia questa condizione? Come riusciamo ad impaurire i nostri figli? Trasmettiamo loro, forse, le nostre ansie, sospetti, timori nei confronti di chi è diverso? La diversità non dovrebbe essere un limite, ma un modo per arricchirci, per capire e conoscere il mondo in cui viviamo, partecipando ad usi e costumi diversi dai nostri. Questo non significa certo ripudiare le proprie origini, ma, semplicemente, condividerle con gli altri per crescere e costruire insieme. Seconda considerazione/progetto: a questo punto, mi sono detta, perché non provare ad organizzare qualcosa che vada in questa direzione. Magari coinvolgendo i bambini (che tanto hanno da insegnarci) e di conseguenza i loro genitori! Partendo, come sempre faccio, da ciò che funziona e che può essere replicato, ho provato a gironzolare nel web alla ricerca di idee di successo che potessero essere messe in pratica nella nostra città. Tanti ottimi “progetti di integrazione” (come li definiscono) tra i quali ha attirato la mia attenzione quello promosso dalla città di La Spezia. In questo comune, infatti, è stato istituito un assessorato che va proprio in questa direzione nominato La città dei bambini. Scopo è la costruzione di una città in cui i piccoli abitanti sono gli elementi catalizzatori della realtà urbana e delle attività che i vari soggetti operanti in essa svolgono. In quest’ambito promuovono iniziative per il superamento delle barriere etniche e culturali e l’educazione alla multiculturalità. Sarà possibile realizzarlo nella nostra città? Non credo possano esserci dei limiti alla buona volontà: proviamoci! Invito tutti a buttare un occhio sul sito internet del comune di La Spezia per curiosare sul progetto e, se volete, leggere le proposte di cambiamento/miglioramento degli spazi urbani e dei luoghi di socializzazione fornite dai bambini attraverso questionari ludico-educativi. Un piccolo passo tenteremo di farlo con una semplice iniziativa che già, lo scorso anno, ha riscosso un discreto successo. Si tratta dell’Apurimathlon, un favoloso torneo di Ping Pong e Calcio Balilla aperto a tutti e di ogni fascia di età. Organizzato dall’associazione Apurimac Onlus di Terni presso i locali della Parrocchia di San Pietro e con il patrocinio della Provincia di Terni, ha consentito ai partecipanti di trascorrere un piacevole pomeriggio di gioco, di divertimento e, perché no, di sana competizione, destinando la quota di partecipazione in beneficenza. L’idea è di ripetere l’iniziativa organizzando, entro l’anno, il MultiApurimathlon per bambini fino a 90 anni di tutte le provenienze geografiche. Saremo felici di coadiuvarci con tutti coloro che vorranno dare il proprio contributo alla riuscita dell’evento. A volte bastano poche piccole cose per dare un segnale di positività. m.elisabetta.valloscuro@gmail.com

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L’ i n t e r v i s t a d e l m e s e

Luigi Albertini: quattro chiacchiere su Luigi Pirandello E’ tranquillo, avvolto in un alone di Belle Époque e sfavillante lucentezza degli occhi, così all’età di 140 anni, Luigi Albertini mi accoglie seduto sulla bellissima poltrona di pelle rossa del suo amatissimo studio qui a Milano. Gli anni sono tanti ma il carisma di un grande professionista è ancora quello dei primi anni del Novecento quando l’illustre direttore affermava: L’industria giornalistica si basa sulla fabbricazione di un prodotto rinnovato quotidianamente. Il primato del giornale bisogna dunque riguadagnarselo ad ogni nascere del sole: tutti i giorni e meglio di tutti gli altri. Ebbene il suo giornale non solo è stato uno dei migliori mezzi di informazioni del nostro paese, ma ha avuto anche l’onore di ospitare numerosi scrittori e intellettuali che per anni hanno pubblicato le loro opere, proprio nella terza pagina del Corriere della Sera, facendosi così conoscere al grande pubblico e aumentando il prestigio culturale della rivista. Timido ed emozionato, incomincio la mia prima vera intervista a un personaggio importante esordendo: Direttore buon giorno -buon giorno a lei, risponde con tono serio ma felice-, vorrei sapere il suo rapporto con Luigi Pirandello, come è nato? “Diciamo che il caso ha fatto sì che venissi a conoscenza di Pirandello, al tempo non c’erano i mezzi che ci sono oggi quali facebook, msn... quando si voleva conoscere qualcuno bisognava prendere e andare di persona a cercarlo e così feci con Pirandello, o meglio così volevo fare prima che un mio amico me lo presentasse”. In che senso? “Avevo un carissimo amico e collega di lavoro, si chiamava Ugo Ojetti, anche lui scrittore e giornalista, nonché collaboratore del Corriere della Sera; un pomeriggio mi invitò a casa sua a bere un caffè e fu lì che mi presentò Luigi Pirandello, mi ricordo ogni particolare come se fosse ora”. Come le è sembrato a primo impatto lo scrittore siciliano? “La prima volta che lo vidi a casa di Ojetti mi colpì per il suo modo di vestire: una giacca marrone chiaro, un paio di scarpe bucate ai lati con la suola consumata, un pantalone di lana grigio come la cenere ed una barba dello stesso colore della giacca, con i capelli spettinati, era poco più che trentacinquenne, ma già si percepiva la sua indole artistica e che sarebbe diventato un grande della letteratura”. Cosa vi siete detti la prima volta? “Piacere Luigi, e lui: piacere Luigi” -sorride Albertini burlandosi della mia scarsa professionalità nel fare interviste- “Abbiamo parlato della Sicilia, terra che amo tantissimo e che è stata sempre nel mio cuore. Se mi sono a primo impatto affezionato a lui è stato proprio grazie al fatto che era siciliano. Mi parlò tantissimo di Agrigento e del suo paese Caos, le sue parole mi facevano rivivere delle emozioni bellissime, sembrava che l’intera isola si fosse spostata nello studio di Ugo Ojetti; è li che scoprii il suo talento narrativo”. Aveva mai letto prima di incontrarlo alcune delle sue opere? “No, mai letto nulla. Io amavo la letteratura francese, e mi vergogno a dirlo ma gli scrittori italiani solo in un secondo tempo sono entrati nei miei interessi”. In che anno Pirandello incominciò a lavorare per il Corriere della Sera? “Se non ricordo male a partire dall’agosto del 1909, anche perché dopo che lo conobbi a casa di Ojetti a febbraio dello stesso anno, non lo vidi per sei mesi. Ebbi sue notizie proprio ad agosto, era estate faceva molto caldo e una mattina mi arrivò la prima novella di Luigi, con una lettera di accompagnamento, dove mi chiedeva di porre particolare attenzione al suo scritto. Mi ricordo che il titolo dell’opera era Mondo di carta e nel leggerla rimasi molto colpito, così accettai la pubblicazione dell’opera, chiedendo a Pirandello di scriverne delle altre”. Cosa pensa degli scritti di Pirandello dal punto di vista artistico? “Posso serenamente dire che la sua arte e il modo di vedere il mondo hanno segnato un punto di svolta nel mondo della letteratura mondiale, la sua visione della realtà, della vita e di ogni soggetto è senza dubbio geniale; amo tantissimo l’idea che aveva nel contrapporre la forma alla vita, l’uomo alla maschera. Nelle sue parole si rispecchia un’intera epoca, inoltre, quando nel 1934 ricevette il premio Nobel per la letteratura, l’idea che mi ero fatto la prima volta che lo vidi a casa di Ojetti aveva trovato riscontro”. Me lo definirebbe in tre parole? “Non amo molto sintetizzare la personalità di uno scrittore con poche parole, comunque posso dire di lui tre cose: geniale conoscitore dell’animo umano, umoristico per natura e poliedrico nello sperimentare le forme letterarie”. Qual è l’opera di Luigi Pirandello che più ama? “Senza dubbio il romanzo Quaderni di Serafino Gubbio operatore, c’è tutta la sua poetica, inoltre parla di cinema che io adoro. Mi piace inoltre la storia come è costruita, secondo me è un romanzo della vita, uno di quelli che vanno assolutamente letti”. Si è mai scontrato con Pirandello? “Altro che! -risponde il direttore sbarrando gli occhi- e molte volte. Discutevamo sempre, per ogni cosa ma soprattutto per motivi stilistici ed editoriali. Lui non voleva sentire ragione io ancora meno di lui, ma alla fine trovavamo sempre un accordo”. La disputa più ricorrente? “Proprio quella del mio romanzo preferito, i Quaderni di Serafino Gubbio, gli cambiò titolo per ben quattro volte, alla fine trovammo un accordo e la storia dopo tre anni trovò la sua ultima stesura. Pirandello nel suo lavoro di scrittore spesso non seguiva la scaletta che si era prefissato prima di buttare giù la storia, delle volte improvvisava nuovi itinerari per i suoi personaggi, cambiando i loro destini e le loro scelte, così anche i titoli dei romanzi cambiavano di continuo”. Quali opere ha pubblicato Pirandello per il Corriere della Sera? “Diciamo quasi tutti i suoi romanzi come: Suo marito, L’Esclusa, Si gira, divenuto poi Quaderni di Serafino Gubbio operatore e tantissime novelle, ma anche saggi sulla letteratura e il cinema”. Qual è la cosa che più ha apprezzato in Pirandello? “La sua devozione alla scrittura, la sua originale bravura nell’esprimere i contrasti della psiche umana. Pirandello è stato un grande umanista oltre che scrittore e drammaturgo, un vero conoscitore dell’animo umano”. Sorpreso e affascinato da questa fantasmagorica intervista ringrazio Luigi Albertini e dopo un ennesimo caffè lo saluto, lasciandolo ai suoi impegni, che nonostante l’età avanzata non smette di portare avanti. Lorenzo Bellucci lorenzobellucci.lb@gmail.com

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Splendori A meno di qualche rara, se non unica, eccezione si deve contrastare chi lorda, con segnacci e scritte, i muri della città... ne discende l’ORRORE. Nel caso della presente immagine, una prima, leggera benevolenza, deriva dal contenuto di protesta in difesa di un bene comune e di una verità: invero l’acqua è e dovrebbe essere di tutti. E’ però nel secondo interrogativo, a cura di un altro poeta vernacolare, che, per sagacia e simpatia, ne discende lo SPLENDORE. Orrori e splendori, a cura di Paolo Leonelli

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L'Associazione C u l t u r e S o t t e r r a n e e d i Te r n i , con il Gruppo Speleologico Terre Arnolfe di Cesi e la collaborazione della Proloco di Cesi e della Seconda Circoscrizione Nord di Terni, organizza per il 9 luglio le seconda edizione di Speleonotte, la manifestazione dedicata al mondo della speleologia. Si tratta di un evento nato per coinvolgere non solo gli speleologi, ma tutta la cittadinanza, portando all'esterno emozioni ed immagini che di solito si vivono nei luoghi tra i più inaccessibili della terra: le grotte. Un'occasione per vivere l'avventura e il fascino delle esplorazioni raccontati dagli stessi protagonisti. Il luogo dove si svolgerà la manifestazione è la montagna di S. Erasmo, località di grande suggestione e molto amata da tutti i cittadini di Terni. Già l'edizione dello scorso anno ha avuto un notevole successo tenendo avvinti, nel corso dell'intera notte, centinaia di persone. Quest'anno il tema principale dell’appuntamento montano saranno proprio le grandi esplorazioni geografiche nei luoghi inesplorati più remoti della terra, ancora una volta raccontate da una razza pregiata di esploratori: gli speleologi. Spedizioni, grotte, popoli, avventure saranno gli ingredienti che ci lasceranno sognare sotto un incredibile manto di stelle per tutta la notte. Quest’anno avremo anche tante novità: ci sarà uno spazio dedicato alla speleo subacquea a cura degli Urban Divers di Todi. Oltre ad avere la presenza dei migliori speleosub, verrà premiato il miglior video di esplorazione spelosub pubblicato nei canali internet e verranno consegnati dei riconoscimenti alle ditte che più hanno contribuito con prodotti innovativi alla sicurezza. Per l'edizione 2011 Speleonotte inizierà nella tarda mattinata del 9 Luglio (e non la sera come l’anno scorso) con due convegni di attualità speleologica: Manutenzione di armi e corde: a chi spetta l’onere o l’onore? - Incidenti in grotta: raccontarli per prevenirli. Un'altra importante novità saranno le proiezioni che finiranno alle due del mattino invece che all’alba. Ma per chi resterà la nottata proseguirà con musica live fino al mattino. Avremo un servizio ristorazione organizzato dalla ProLoco di Cesi, che predisporrà un'edizione montana del famoso "Serpentone" con arrosti e paste varie, così chi viene da fuori può mangiare sul posto. Avremo a disposizione tutta un’area allestita con spazi espositivi e dimostrativi sui materiali da progressione e disostruzione e sulle ultime novità delle attrezzature speleosubacque. Quest’anno ci verranno a trovare quegli speleologi che hanno superati i confini nazionali alla ricerca di nuove grandi e profonde cavità che si celano nei sottosuoli del nostro pianeta. Avremo il Vietnam con le esplorazioni di due importanti cavità, poi le Filippine dove ben due associazioni Italiane hanno esplorato km di grotte in questo incredibile luogo, poi il Messico con la sfida verso l'ombelico. Il luogo sarà, come l'anno scorso, la montagna di S. Erasmo a Cesi di Terni, e sarà dislocato in due aree diverse: i convegni e gli stand espositivi saranno collocati nell'area dell'ex tiro a volo, mentre le proiezioni serali si terranno anche quest'anno nel suggestivo pianoro di S'Erasmo. Per informazioni: www.speleonotte.blogspot.com, www.culturesotterranee.it, www.speleoterrearnolfe.it contatti: redazione@culturesotterranee.it simona menegon www.culturesotterranee.it

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La dichiarazione universale dei diritti degli animali (Parigi - 1978) La crescita di sensibilità che negli ultimi decenni si è andata sviluppando verso i diritti umani ha fatto sorgere nelle coscienze più sensibili anche il problema dei diritti degli animali, che in una società come la nostra vedono il loro sfruttamento nei mattatoi al fine di nutrimento per gli umani e nei laboratori scientifici con la vivisezione.

Redatta dalla Lega internazionale dei diritti dell'animale (L.I.D.A.), presentata a Bruxelles nel Gennaio del 1978 e sottoscritta da personalità del mondo filosofico, giuridico e scientifico, viene proclamata a Parigi presso la sede dell'UNESCO nell'Ottobre dello stesso anno. Nella Premessa si stabilisce che ogni animale ha dei diritti e che il loro disconoscimento ha portato l'uomo a commettere crimini contro natura e animali e che il riconoscimento del diritto all'esistenza delle altre specie animali costituisce il fondamento della coesistenza delle specie nel mondo. Si fa notare inoltre che il rispetto degli animali da parte dell'uomo è legato al rispetto degli uomini tra di loro e che fin dall'infanzia si deve educare al rispetto per gli animali. L'art.1 riecheggia quello della Dichiarazione universale: Tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all'esistenza ... Ogni animale ha diritto al rispetto e l'uomo, in quanto specie animale, non può attribuirsi il diritto a sterminare altri animali o di sfruttarli violando questo diritto; al contrario ha il dovere di mettere le sue conoscenze al servizio degli animali, perché ogni animale ha diritto alla considerazione, alle cure e alla protezione dell'uomo (art.2). L'articolo successivo comincia ad evidenziare la contraddizione di fondo nell'atteggiamento verso gli animali, perché, dopo aver proclamato che nessun animale dovrà essere sottoposto a maltrattamenti o ad atti crudeli, si aggiunge che, se la soppressione di un animale è necessaria, deve essere istantanea, senza dolore, né angoscia (art.3). Entriamo dunque in contraddizione col diritto all'esistenza stabilito nell'art.1, perché qui si ritiene possibile la soppressione dell'animale da parte dell'uomo. Ci salviamo la coscienza cercando di non farli soffrire. Per gli animali selvaggi si stabilisce che: Ogni animale che appartiene a una specie selvaggia ha il diritto di vivere libero nel suo ambiente naturale, terrestre, aereo o acquatico e ha il diritto di riprodursi; ogni privazione di libertà, anche se a fini educativi, è contraria a questo diritto (art.4). È evidente qui il riferimento allo sfruttamento degli animali nei circhi e non solo. Per gli animali non selvaggi, che vivono abitualmente nell'ambiente dell'uomo, si riconosce il diritto di vivere e di crescere secondo il ritmo e le condizioni di vita e di libertà che sono proprie della sua specie, condannando ogni modifica di questo ritmo per ragioni di speculazione finanziaria (art.5). Gli animali che l'uomo sceglie come propri compagni hanno diritto ad una durata della vita conforme alla loro naturale longevità e l'abbandono di un animale è un atto crudele e degradante (art.6). Lo sfruttamento degli animali per il lavoro deve avere dei limiti: Ogni animale che lavora ha diritto a ragionevoli limitazioni di durata e di intensità di lavoro, ad un'alimentazione adeguata e al riposo (art.7). Anche lo sfruttamento di altra natura come la sperimentazione che implica una sofferenza fisica o psichica è incompatibile con i diritti dell'animale sia che si tratti di sperimentazione medica, scientifica, commerciale, sia di ogni altra forma di sperimentazione (art.8), devono perciò essere utilizzate e sviluppate tecniche sostitutive. Un altro articolo evidenzia quella contraddizione che abbiamo appena rilevato e che ci illustra bene il punto massimo, che non siamo ancora riusciti a sorpassare, a cui è arrivata la nostra civiltà nel rispetto per gli animali: nel caso che l'animale sia allevato per l'alimentazione deve essere nutrito, alloggiato, trasportato e ucciso senza che per lui risulti ansietà e dolore (art.8). Tuttavia passi avanti possono essere fatti come non usare animali per il divertimento dell'uomo, perché sono incompatibili con la dignità dell'animale (art.10); non uccidere un animale senza necessità, perché sarebbe un biocidio, cioè un delitto contro la vita (art.11); non uccidere un gran numero di animali selvaggi, perché sarebbe un genocidio, cioè un delitto contro la specie (art.12). L'art.13 vieta espressamente non solo la violenza sugli animali, ma anche la sua rappresentazione: le scene di violenza, di cui gli animali sono vittime, devono essere proibite al cinema e alla televisione a meno che non abbiano come fine di mostrare un attentato ai diritti dell'animale. Il documento si conclude con l'affermazione che Le associazioni di protezione e salvaguardia degli animali devono essere rappresentate a livello governativo e i diritti degli animali devono essere protetti dalla legge come i diritti dell'uomo (art.14).

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La carta dei diritti degli animali (2000) Presentata dalla rivista L'animalista, è una rielaborazione più chiara e coerente del documento del 1978. I firmatari condannano non solo ogni tipo di tortura, ma anche ogni tipo di uccisione di animali sia per fini alimentari che di ricerca, affermando anche per i non umani il diritto alla vita, alla libertà e alla dignità. Questa Carta vuol essere una provocazione nei confronti dei persistenti pregiudizi culturali, che, in nome della supremazia della specie umana, consentono ogni tipo di crudeltà e sfruttamento sui più deboli. Dopo aver premesso che tutti gli esseri viventi sono soggetti interdipendenti e coesistenti nell'equilibrio naturale, che la nostra specie non è al centro dell'universo, né tanto meno proprietaria del mondo, in nome della giustizia interspecifica si afferma che tutti gli animali hanno eguali diritti all'esistenza nell'ambito dell'equilibrio ecologico, nella diversità di specie e individui (art.1). E’ chiara qui l'affermazione del diritto alla vita cioè a non essere uccisi con la sola eccezione, che vale anche tra gli esseri umani, della legittima difesa: Ogni animale ha il diritto ... a non essere ucciso se non per legittima urgente difesa (art.3) ... l'uccisione di un animale è un biocidio, cioè un crimine contro la vita (art5). Si aggiunge poi in modo dettagliato che ha diritto ... a non essere posseduto, né commerciato, né usato, né detenuto, né reso schiavo per nessun fine, a non essere allevato, trasportato, commerciato, ucciso per l'utilità dell'uomo, a non essere oggetto di sperimentazione scientifica, medica, didattica, commerciale, industriale, bellica, a non essere usato e/o ucciso per divertimento, sport, spettacoli, feste, manifestazioni e riti religiosi o popolari di alcun genere (art.3). Anche l'uccisione di un gran numero di animali è un genocidio, cioè un crimine contro la specie (art.6). Per gli animali selvatici o semiselvatici vale il diritto a vivere in libertà e a riprodursi nel proprio habitat (art.4). La Carta si conclude con l'affermazione perentoria che i diritti degli animali e la loro tutela devono essere riconosciuti legalmente dalla comunità degli umani (art.7).

Il manifesto per una’etica interspecifica

(2002)

È stato prodotto dal gruppo di lavoro per l'etica antispecista (G.L.E.A.), sostituisce la Dichiarazione del '78 e si ispira alla Carta 2000 con l'intento di stabilire con ancor maggiore chiarezza e coerenza i diritti fondamentali degli animali. Gli animali umani e non umani, in quanto esseri senzienti e sensibili, hanno uguali diritti alla vita, alla libertà, al rispetto, al benessere e alla non discriminazione nell'ambito delle esigenze della specie di appartenenza (art.1). Dunque esseri umani ed esseri animali godono di diritti di natura che non possono essere violati e i valori morali che valgono per gli umani devono valere anche per tutti gli esseri senzienti e gli umani sono tenuti a rispettare i suddetti diritti, rinunciando ad ogni ideologia antropocentrica e specista (art.2). Eventuali alimenti o prodotti, che debbano derivare da altre specie vanno ottenuti senza causare morte, sofferenze o alterazioni biologiche e, ove possibile, vanno sostituiti da sostanze di origine vegetale o organica (art.3). Anche la ricerca scientifica va sottoposta al rispetto dei diritti (art.5). Uccidere e far soffrire individui delle altre specie ... è una violazione dei suddetti diritti e va considerata un crimine e si specifica che non si può sottoporli a lavori coatti usandoli per attività, spettacoli o manifestazioni violente, allevarli e custodirli in modo innaturale, sperimentare su individui sani nell'interesse di un'altra specie, danneggiare il loro habitat naturale o eccedere in legittima difesa (art.4). Anche secondo questo documento è ribadita dunque l'uccisione solo per legittima difesa, perciò l'equiparazione con gli umani a livello di diritti ha raggiunto il massimo grado. Marcello Ricci

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Uomo e Natura, un rapporto sempre più difficile ed inconciliabile. Siamo davvero al punto di non ritorno?

Viviamo in un mondo in cui lo sviluppo tecnologico è ormai inevitabile e l’uomo ha innescato un processo di industrializzazione la cui potenzialità distruttiva supera di gran lunga quella disponibile per fermarlo. L’umanità ha raggiunto nel giro di pochi decenni un livello tale che ha sconvolto gran parte dei fattori biologico-naturali che prima agivano da protagonisti riguardo i mutamenti della Terra. Oggi, quel ruolo, il ruolo di determinare la sopravvivenza o meno del nostro pianeta, è passato in mano all’uomo. Ma l’uomo è veramente in grado di gestire i suoi stessi progressi oppure ha messo in moto una macchina che non sa governare? I cambiamenti climatici non hanno influito soltanto sulla vita di animali e piante, ma

sulla biosfera in generale. Le acque sono inquinate, i venti contaminati e distruttivi, le piogge acide a causa delle emissioni di gas serra, il surriscaldamento globale, il buco nell’ozono, i mari privati di vita dall’inquinamento; si stanno verificando sempre più spesso uragani e cicloni, anche in mari tranquilli come il Mediterraneo in cui mai prima d’ora era stata avvistata una tromba d’aria. Molte situazioni patologiche da cui l’uomo è oggi afflitto e che soltanto qualche anno fa la medicina ignorava, è probabile che derivino da un mancato adattamento alle modifiche ambientali che maturano ad una velocità eccezionale, proprio dall’alterazione ambientale da lui stesso indotta. L’uomo oggi possiede notevoli capacità, ma non conosce i veri valori etici e i sentimenti buoni come l’amore, la solidarietà e la morale, bensì le porta avanti sostenendole con argomentazioni non adeguate alla situazione attuale. E’ per questo che l’intera umanità deve imporsi dei doveri per la salvaguardia non solo di se stessa, ma del

mondo intero. Laddove c’è più miseria ignoranza e l’aumento demografico è maggiore, c’è il problema di come procurarsi il minimo indispensabile; al contrario, nelle metropoli industrializzate e in generale nei Paesi ricchi, si fa a gara per accaparrarsi il superfluo. E’ necessario che le popolazioni ricche che costituiscono solo un decimo dell’umanità si ricordino di quelle povere e cooperino insieme per aiutarle a vivere e svilupparsi. E’ fondamentale, inoltre, che i giovani conoscano e comprendano, per poi trasmetterlo alle generazioni future, il senso dei valori. Essi, infatti, conoscono il prezzo delle cose, ma ne disprezzano il valore reale. Come si può pretendere sensibilità dai giovani se i padri non ne hanno? Infatti ogni figlio riflette, come uno specchio, la natura dei genitori. Educarlo adeguatamente al rispetto verso gli altri e verso l’ambiente è la carta vincente per costruire un futuro migliore. C’è inoltre un altro problema di suprema importanza: l’inquinamento della Terra, dovuto anch’esso al progresso.

L’uomo sta danneggiando se stesso e la natura a causa degli elementi nocivi che diffonde, per lo sterminio di animali e di piante che eliminano il suo benessere. Ogni specie non solo ha il diritto di vivere, ma la sua vita è essenziale per il benessere dell’umanità. Ciò che noi chiamiamo sviluppo non è vita. Ci siamo abituati in pochissimo tempo al malessere, alla vita frenetica e a tutto ciò che affligge il nostro mondo tanto da pensare che semplici pezzi di carta possano comprare tutto, anche il mondo intero. Uccidiamo i vermi con le sostanze chimiche e pensiamo di averci guadagnato, di aver ottenuto più cibo, ma è realmente così? Abbiamo messo in pericolo la vita del pianeta allevando a forza bestiame e facendo crescere colture in serra e OGM, ma noi no, crediamo di aver ottenuto una salute più vigorosa. Fatto sta che adesso ci si ammala

per un nonnulla e ci si raffredda solo per essere usciti di casa senza sciarpa. L’unico modo per salvaguardare noi e la nostra Terra è smetterla di pensare sempre a noi stessi, smetterla di affidare l’economia al metano e alle centrali atomiche! Non si può perseverare ad ingoiare il mondo con l’aiuto di bicchieri di petrolio, occorre ripiegare verso le fonti rinnovabili e ricrearci come esseri umani rispettosi e compassionevoli. Dobbiamo insegnare il valore della vita, poiché la vita stessa è il nostro futuro. Come disse il Mahatma Gandhi: Come esseri umani la nostra grandezza non sta nel ricreare il mondo, ma nell’essere in grado di ricreare noi stessi. Elena Lucci Classe IIIG, ScM O. Nucula

La belle Epoque: l’illusione occidentale

Utopia: l’unica parola che veramente si adatta all’epoca in cui esisteva un solo sogno, condiviso da ogni classe sociale non aristocratica, ovvero quello di conquistare un futuro degno di essere definito tale, grazie ad una sorta di riscatto dell’umanità. La semplice speranza nell’avvenire donava la forza ad ogni singola persona di poter intraprendere un’avventura, l’avventura della propria vita! Non è mai stato individuato l’inizio preciso di questo periodo e, nonostante qualcuno lo faccia coincidere con la fine del 1800 e ne identifichi il termine nel 1914 con lo scoppio della Grande Guerra, credo che la prima data non verrà decisa da nessuno, poiché l’alba di quei decenni è sorta quando la scienza è entrata nella propria fase più turbolenta:

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ogni giorno venivano registrati centinaia e centinaia di brevetti, invenzioni quali l’automobile ed il telefono strabiliavano la gente, l’enorme diffusione di ferrovie e treni consentiva di percorrere distanze fino a poco tempo prima considerate enormi e l’elaborazione della teoria della relatività di Einstein inaugurò il periodo della fisica moderna. Erano in fermento anche l’arte e la letteratura: si diffondeva l’art nouveau, lo stile architettonico Liberty offriva la visione di bellissimi edifici, nasceva ufficialmente la fantasy ed inoltre i poeti romantici facevano dono ai posteri dei loro ultimi capolavori. Tutto ciò può sembrare molto semplicemente l’espressione culturale di un’epoca particolare, sì, ma non più importante delle altre. Io penso invece che, durante quei pochi decenni, nonostante il persistere di alcuni antichi simboli dell’antico regime come la nobiltà ed i suoi sperperi di denaro in feste e ritrovi mondani, esistesse per qualsiasi persona

la possibilità di rivoluzionare il mondo indipendentemente dalle ricchezze della propria famiglia, un fenomeno che non si può considerare solamente una mobilità sociale, bensì un fenomeno poche volte accaduto in così larga scala e che tanto occorrerebbe anche ai nostri tempi. Ad esempio nuove ideologie considerate estreme, spingevano i lavoratori a scioperare ed a lottare per ottenere la dignità di essere umano, non di schiavo con vita media di 25 anni. Un’altra rivendicazione epica era quella delle donne, relegate nel gineceo dai greci, con un ruolo quasi insignificante durante il periodo romano, vittime dell’organizzazione patriarcale per tutto il medioevo ed il rinascimento, ora combattevano per poter occupare il posto che spettava loro nella storia. E’ vero: il fatto che ci si battesse ancora per libertà che a noi sembrano scontate, il fatto che la gente non fosse ancora sovrana di se stessa e la presenza di altre eresie dell’occidente come l’impe-

rialismo testimoniano la certezza che quell’epoca non fu perfetta, ma la perfezione non è umana ed io non ambirò mai a raggiungerla, ma è questo il concetto principale: si lottava! Si lottava per il sacrosanto diritto dell’autodeterminazione dei popoli e per molti altri motivi, ma non si blaterava soltanto come purtroppo accade oggi. “Pace mondiale”, “Governo dell’umanità unita”, “Progresso dell’Africa”: tutti obiettivi nobili ma che vengono ignorati da una consistente parte di noi, esclusi alcuni casi ammirevoli. Tanto, prima o poi, la situazione cambierà: è questo il commento del più della gente. I nostri avi non aspettarono il corso degli eventi, ma si rimboccarono le maniche e, appellandosi al libero arbitrio, fecero mutare il fato. Nonostante ciò, se possedessi una

macchina del tempo, io non ritornerei in quel periodo perché ciò significherebbe tradire l’ideologia da me citata, preferisco invece rimanere nel mio presente e combattere per migliorarlo. Ricordiamocelo tutti: i più grandi protagonisti della storia, da soli, la maggior parte delle volte, privi dell’appoggio popolare non avrebbero potuto far nulla: è questa la nostra forza, quella di far sì che queste parole si trasformino in realtà, prerogativa che appartiene a noi, la contraddittoria ma affascinante umanità! Francesco Neri Classe IA, ScM L. Da Vinci


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Orvieto

18 Settembre 2011 Visita guidata a Orvieto

Info e prenotazioni Cristina 333 3755194 Lia 320 0655560 Annalisa 338 1931899

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Anassagora dice che in principio i corpi stavano immobili e l’intelletto di dio li pose in ordine e produsse la generazione di tutte le cose. Aëtius, I 7, 5 [Doxographi graeci 299]

A ndi a m o i n o r b i t a - L’ e s p l o r azion e di S atu rn o

Una

costellazione

al mese

Il Delfino e il Cavallino

La sonda Pioneer 11 è la prima a fotografare da vicino il pianeta Saturno nel 1979 a cui seguono le due sonde Voyager rispettivamente nel 1980 e nel 1981. Queste navicelle, lanciate per esplorare i confini del sistema solare, si sono limitate a fare alcune osservazione durante la fase di avvicinamento ed a loro dobbiamo le prime foto dettagliate, la scoperta di numerosi altri piccoli satelliti naturali di Saturno che orbitano vicino o dentro il sistema di anelli e la presenza di un’atmosfera significativa su Titano. La svolta importante sulle nuove conoscenze del pianeta, degli anelli e di molti dei suoi satelliti, si deve però alla sonda Cassini-Huygens, che, partita dal Kennedy Space Center in Florida nel 1997, dopo un viaggio di 7 anni, ha raggiunto il pianeta nel 2004, ed è tuttora operativa. Nata su progetto congiunto NASA-ESO-ASI, la più grande in assoluto tra tutte le sonde costruite dall’uomo, consta di due parti: la Cassini che è rimasta in orbita e il modulo Huygens che è stato fatto scendere sul suolo di Titano. La mole di dati e di fotografie che dal 2004 ci stanno arrivando da Saturno e dai suoi satelliti, ci hanno aperto nuovi orizzonti di conoscenze ed in particolare per Saturno sono stati osservati venti che all’equatore possono raggiungere i 1800 Km orari, cicloni ad alte latitudini, un ulteriore anello planetario e numerose altre lune di piccole dimensioni. Fra gli oltre sessanta satelliti, le esplorazioni più significative sono state fatte per Titano e Encelado. Da quest’ultimo una bella sorpresa: quando la sonda ha effettuato un flyby a soli 48 Km di distanza, ha attraversato spruzzi di acqua liquida e composti organici eruttati dai numerosi geyser (Vedi Foto 1) e che hanno temperature di circa 90° Centigradi superiori rispetto alle zone circostanti (-200 gradi). Dulcis in fundo: Titano. Oltre ad essere il più grande (il secondo di tutto il Sistema Solare), è stato studiato a fondo dalla sonda Huygens che ha trasmesso segnali nelle 2 ore e 30 minuti di discesa e, una volta toccato il suolo, ha continuato a trasmettere per altre 3 ore. E’ confermata la presenza di fiumi e affluenti su cui scorrono idrocarburi e che vanno a sfociare su laghi e mari, il più grande dei quali si può paragonare al nostro Mar Caspio (Vedi Fig. 2). E’ stata registrata anche la presenza di molecole complesse a base di carbonio nella parte alta della sua atmosfera. Dicevo dulcis in fundo, perché la sonda Huygens contiene a bordo un dischetto con un milione di firme di tanti appassionati che hanno seguito la missione fin dai primi momenti e, lasciatemi passare un personalismo, ma lì, adesso, sulla superficie di Titano, ci sono anche la mia firma e quelle delle mie figlie! Tonino Scacciafratte

Le costellazioni di questo mese sono il Delfino e il Cavallino (Fig.1), due piccole ma antiche costellazioni, già citate da Tolomeo nell’Almagesto e poste tra l’Aquila e l’Acquario. La prima è facile da trovare: basta allungare di un paio di volte il segmento che congiunge Deneb e epsilon (ε) Cygni, “l’ala destra” del grande Cigno, per arrivare al grazioso Delfino, dall’inconfondibile forma a rombo, un piccolo aquilone, con una quinta stellina che costituisce la coda del mammifero marino. Le cinque stelle principali hanno magnitudine compresa tra 3,9 e 4,4 e questa uniformità favorisce molto l’identificazione della costellazione. Secondo la leggenda, i delfini erano usati come messaggeri da Poseidone, dio del mare: non si sa a quale dei tanti citati nella mitologia la costellazione faccia riferimento. Forse quello che aiutò Poseidone nel corteggiamento della moglie, la sirena Anfitrite o forse quello, come riportato da Ovidio, che salvò la vita al poeta e musicista Airone. Questo abilissimo suonatore di lira, di ritorno da una serie di concerti in Grecia, fu assalito dai marinai e salvato da un delfino che lo prese sul dorso e lo portò a riva. Apollo, dio della musica e della poesia, mise il delfino tra le costellazioni insieme alla lira di Airone che è rappresentata dalla costellazione della Lira. Una simpatica storiella accompagna le stelle alfa (α) e beta (β) della costellazione, alle quali, nel 1814, Giuseppe Piazzi, direttore dell’osservatorio di Palermo, e il suo assistente Niccolò Cacciatore assegnarono i criptici nomi di Sualocin e Rotanev, senza commentare la strana scelta. Circa cinquant’anni dopo si scoprì che i due nomi letti al rovescio formavano le parole latine Nicolaus Venator, latinizzazione del nome di Niccolò Cacciatore. I due nomi non sono ufficialmente riconosciuti dall’Unione Astronomica Internazionale ma si perpetuano tra gli appassionati di astronomia per la loro origine curiosa. Il Cavallino è una costellazione molto piccola che si trova tra il Delfino e Pegaso; le quattro stelle principali formano un trapezio. Kitalfa, il vecchio nome proprio della stella alfa (α), viene dall’arabo Kitalphard, che significa “i quarti anteriori del cavallo”. Non è ben conosciuta l’origine del Cavallino anche se elencato da Tolomeo; forse rappresenta il puledro dato in dono da Mercurio a Castore, uno dei “gemelli celesti”. La costellazione detiene il primato di essere la più piccola dell’emisfero Boreale. Giovanna Cozzari

Presidente A.T.A.M.B. - tonisca@gmail.com

Osservatorio Astronomico di S. Erasmo Programma di apertura al pubblico Il prossimo numero de La Pagina uscirà a metà di Settembre, pertanto qui di seguito è riportato il programma dettagliato delle aperture dell’osservatorio di S. Erasmo per i mesi di Giugno, Luglio e Agosto. GIUGNO tutti i martedì - mercoledì 15 (eclisse totale di Luna) - venerdì 24; LUGLIO sabato 9 (Speleonotte) - venerdì 29; AGOSTO 10 e 13 (pioggia meteoritica delle Perseidi) - venerdì 26. TS

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Fig.1


Lu c e l u che r r òta L’andra sera a mme e a Zzichicchiu cià ‘nvitatu a ccena ‘n amicu nostru che ccià ‘na terrazza su l’urdimu pianu de ‘n palazzu e... cià ‘pparecchiatu propiu llì. Non c’eva ‘ccesu la luce perché sapeva che a nnoi ce piaceva ammira’ la vorda celeste e... era ccucì bbuju che pe’ mettece a ssede’ semo duvuti anna’ a ttastoni. Cumunque lu spettaculu era ‘ssicuratu! Intantu che stavamo a ‘spetta’ te vedemo luccica’ ‘n buttijone e cce semo sintiti da di’... Mentre ve stete a ‘ggusta’ lu celu... fintantu che nn’arriva la cena... v’ho portatu ‘sta lanterna de vinittu rosciu ch’ho fattu co’ le mani mie... ‘ggustatevelu pure che vve se schiarisce tuttu quantu!... Ccucì mentre stavamo aspettanno lo magna’ che nn’era prontu... bevenno bbevenno ce semo ‘ncantati a gguarda’ le stelle... doppo quarche momentu ho dittu... A Zzichi’... a mme me pare che le stelle da quanno ce semo missi a ssede’ se so’ spostate!?... Bravu Lunardi’... è pperché la Terra ròta... tutte le stelle parono rota’ su lu celu tranne che una, la Polare... quella llì...la vidi?... Non se mòve perché sta propiu sopra lu Polu Norde... immaggina ‘na stanza tutta scarabocchiata de stelle e tu che tte metti a ggira’ su tte stessu sotto ‘sta lanterna che ccià portatu l’amicu nostru. Te vidi certe stelle llà lu muru che ‘na vorda te stanno a ddestra, ‘na vorda a ssinistra, ‘n’andra vorda de dietro, ‘n’andra vorda davanti... mentre ’sta lanterna te sta sempre sussopra la capoccia... Mo’ ce vojo fa’ casu... vojo vede’ se è ccome me stai a ddi’... ‘Ntantu l’amicu nostru... A rega’ è pprontu... mettemoce a mmagna’... T’avemo ‘ncuminciatu a ccena’ senza vede’ quellu che ‘ngozzavamo ggiù... annavamo a nnasu... da l’odore pareva tuttu bbonu e ppo’ co’ ‘llu vinittu frizzantinu ‘ngnottivamo ggiù tuttu quantu. Avemo arzatu ‘n bo’ troppu lu gomitu... se fa pe’ ddi’... ma era pe’ bbeve mejo e ne lu stessu tembu arza’ l’occhi. Le stelle non so perché... se multiplicavono... se sdoppiavono e ssoprattuttu parevono ggira’ più sverde de lu solitu... A Zzichi’... j’ho fattu... non ‘evi dettu che la Polare non rotava... a mme me pare che ha ‘ncuminciatu a ggira’ come quell’andre!?... Lunardi’... e mmica ciài tortu... non pare ma ggira pure essa perché no’ sta propiu pricisamente sopra lu polu!... L’amicu nostru che cce steva a ssinti’... A mme mesà che ssu la capoccia invece de la lanterna ve cc’è ‘rmastu solu lo vino! paolo.casali48@alice.it

ASTROrime... Betelgeuse E’ la spalla del gigante (Orione) di color rosso brillante... è una stella ben distante (circa 600 a.l.) anche lei supergigante. (diametro = 1000 soli) Dopo vita breve assai che per noi è un’eternità (milioni di anni) suo destino certo ormai… PC supernova esploderà.

Roba da Medioevo! Meno male che abbiamo passato anche questa. Non se ne poteva più. Anche stavolta siamo sopravvissuti all’allineamento dei pianeti! Chi ha detto che la nostra società è avanzata, ricca di informazioni che piovono da ogni dove e che rendono l’uomo più edotto e consapevole? Era da poco iniziata la primavera, che la notizia di un fatto astrale non ha fatto dormire sonni tranquilli ad alcune persone: tv, giornali, ma soprattutto Internet ci hanno letteralmente massacrati con la notizia che l’11 maggio, in concomitanza di un particolare allineamento dei pianeti, ci sarebbe stato un catastrofico terremoto a Roma. In effetti uno spettacolo eccezionale ha deliziato gli appassionati di astronomia per tutto il mese scorso: bastava guardare, poco prima del sorgere del sole, il cielo verso est e si potevano vedere i quattro pianeti più luminosi (Mercurio, Venere, Marte e Giove) in un’area di cielo di circa 10 gradi. La mattina del giorno 11 si potevano vedere Venere e Giove distanti solo 30” (più o meno il diametro della Luna piena), il 13 Mercurio, Venere e Giove formavano un triangolo equilatero, mentre il giorno 20 erano Marte, Venere e Mercurio a formare il triangolo. Per il gran finale si è dovuto aspettare il giorno 30, quando tutti e quattro i pianeti si sono allineati quasi perfettamente. Gioia e delizia degli appassionati di astronomia ma sofferenza e tormento per coloro che temevano il fatidico terremoto distruttivo della capitale! C’è stata gente che si è presa le ferie a maggio per non essere in città in quel periodo, gente che ha organizzato qualche gita fuori porta o è andata a trovare parenti che non vedeva da tempo (rigorosamente residenti molto fuori Roma). Non si sa quali forze gravitazionali generate dall’allineamento avrebbero dovuto dar luogo ad eventi catastrofici! In realtà la distanza dei pianeti dalla Terra è talmente grande e le loro masse talmente piccole in proporzione a quella del Sole, che il loro campo gravitazionale non può influire in modo sensibile. Tra l’altro non è mai stata riscontrata una corrispondenza tra i numerosi allineamenti che si sono succeduti nell’arco dei secoli, o meglio dei millenni, e qualche grande terremoto. Nel 1982, ad esempio, si verificò un allineamento, di cui parlarono molto i giornali ed i media in genere. Bene, allora era il turno dell’America ed il panico si diffuse perché, i sempre bene informati dicevano che un violento terremoto avrebbe colpito la California, che addirittura si sarebbe inabissata. L’allineamento avvenne e la California a tutt’oggi è ancora lì. Per il 5 maggio 2000 la preoccupazione era ancora più grande perché si trattava di un raro allineamento della Terra ai 5 pianeti visibili (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno), alla Luna e al Sole. Le catastrofiche previsioni si riferivano, oltre a disastri naturali, anche ad un Anticristo! L’allineamento avvenne e nessun evento apocalittico ci colpì, tantomeno si palesò l’Anticristo. Nell’aprile 2002 una grande congiunzione coinvolgeva i 5 pianeti, visibili nel cielo poco dopo il tramonto (congiunzione che si ripeterà solo nel 2060), mentre nel 2007, tra il 23 ed il 24 dicembre, la configurazione dell’allineamento vedeva Marte, Terra, Sole, Mercurio, Giove, con nello sfondo il centro della Via Lattea. Morale: siamo qui a raccontarlo! Congiunzioni che coinvolgono i cinque pianeti visibili in un allineamento superiore ai 10 gradi si verificano circa tre volte in un secolo, mentre più rari sono gli allineamenti più stretti, uno ogni tre secoli, per non parlare degli allineamenti che coinvolgono tutti i pianeti del sistema solare: l’ultimo di questi si verificò il 10 marzo 1982 ed il prossimo è previsto per il 2161! Per un allineamento simile, o, peggio ancora, nel caso in cui i pianeti formassero nel cielo una croce anziché una retta, le apocalittiche profezie minacciano addirittura l’inversione del senso di rotazione terrestre o l’ira di Dio che si abbatte sulla Terra! Tornando a tempi più vicini, alla luce di tutto ciò che NON è successo l’11 maggio, sarà davvero il caso di preoccuparci molto per il 2012, altra data fatidica? Spero che tutti quanti noi abbiamo qualcosa di meglio a cui pensare! Buone vacanze! Fiorella Isoardi Valentini

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