La pagina maggio 2005

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C’era una volta un re

Le parrocchiette Giampiero Raspetti

Raffaela Trequattrini

I l male è solo là, nel campo

avverso. I letamai del proprio campo non emanano, al più si tratta di benaugurante stallatico naturale. Nel gioco del calcio, un’entrata violenta compiuta dagli altri giocatori è malvagità, abiezione, non solo loro, ma di tutti, dirigenti compresi, della città, della nazione. Se invece la compie un giocatore della squadra amica è coraggio, gesto indomito, praticamente eroismo. Paroloni rubacchiati ai racconti epici magnificano, nelle cronache sportive, normali gesti atletici effettuati da giovanottini in mutande, superlautamente foraggiati, puntelli di un baraccone che si fa trogolo anche per similimprenditori in cerca di appalti, politici in cerca di visibilità, giornalisti che ciarlano del niente, sciacquette in cerca di tutto. E così uno sport da praticare diventa alloggio per investire, per chiacchierare, per trasformarsi in guardoni. Oggi sempre più stalla nella quale alcuni bianchi interpretano luridamente il loro odio razziale.

C’è una favola, non so se la conoscete... L’ho trovata, a seconda dei testi, con due titoli diversi: “Il re nudo” o “I vestiti nuovi dell’imperatore”. Per riassumerla in breve, la storia narra di un re che venne truffato da un mercante. Costui, infatti, si era presentato a corte dicendo di possedere un abito la cui vista era preclusa agli sciocchi. Il re, che non vedeva niente, perché ovviamente non c’era niente da vedere, atterrito dall’idea di apparire uno sciocco, lo acquistò e, dopo aver annunciato ai suoi sudditi la sorprendente caratteristica dell’abito, cominciò a girare per le strade, intenzionato a scorgere dalle espressioni dei visi chi era intelligente e chi invece no. All’inizio, siccome nessuno ci teneva a fare la figura del cretino, ognuno fingeva di ammirare questo vestito. Finché tra la folla un uomo più ingenuo, o forse meno ipocrita della massa, ad un tratto gridò “ma il re è nudo!”. segue a pag. 2

Italiani, stupida gente?

N° 5 - Maggio 2005 (25)

Francesco Borzini

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Comunicare necesse est amare non est necesse

Si avvicinano le date fatidiche del 12 e 13 giugno, in cui si apriranno le urne per votare il referendum sulla fecondazione assistita: un tema che attiene alla salute e ai diritti di libertà di ciascuno di noi. Ebbe modo di dire Carlo Azeglio Ciampi, qualche anno fa, che lui ai referendum e nelle altre tornate elettorali è andato a votare sempre e comunque, perché ha conosciuto in gioventù la mestizia di una dittatura che non consentiva il diritto di voto (buffoneschi plebisciti a parte) e il sacrificio dramma-

E’ proprio così importante “comunicare”? Chi s’era mai posto un problema del genere prima d’oggi? E perché nel giro di pochi decenni il comunicare è finito in primo piano fino a divenire, ai giorni nostri, quasi un’ossessione? Prima non si comunicava? Come no! Ci si incontrava al caffè, all’osteria, in piazza e si parlava, discuteva, litigava. Era più difficile capirsi? Ma figuriamoci! Chi voleva capire capiva e chi non voleva no, esattamente come oggi.

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Vincenzo Policreti

A PAGINA Donna Referendum Pala dei Francescani di Terni - Incoronazione della Vergine di Narni 8-9 Proprietà ecclesiastiche a Narni nell’alto medioevo: il caso di Farfa 12 Sulla strada per Piediluco 13 Vecchia Osteria 5 7

Un minimo di... contegno Sandro Tomassini

La frantumazione della scena ternana Francesco Patrizi

Che vogliono questi parenti delle vittime di Piazza Fontana? Di che si lamentano? Cosa pensano possa mai giustificare e legittimare le loro pretestuose e supponenti recriminazioni? O tempora, o mores! Ahinoi, il pudore non è più di casa in queste lande, se chi ha impudentemente sollecitato l’avvio della costosa e delicata macchina della Giustizia, per la sola curiosità di vedere in faccia gli esecutori e i mandanti della strage, può ora arditamente dolersi di una sentenza che lo grava delle spese sostenute!

Un venerdì di maggio la meglio gioventù ternana ha portato letteralmente in scena la propria divisione, la frantumazione in cui è lacerata da anni. Lo spaccato a cui ci riferiamo è quella gioventù che fa teatro, quella che crea, che fa l’arte, ma che non si parla, non si scambia idee, non si dà una mano. Non stiamo parlando di giovani apatici rintronati dalla Playstation, ma di ragazzi che per mesi passano le serate a provare una scena, a ripassare un testo in una stanza in affitto o in un garage.

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I t a l i a n i ,

tico di tanti concittadini che il diritto alla partecipazione politica l’hanno riconquistato con il loro sangue ed il loro supremo sacrificio. Sono in tanti, però, a non pensarla allo stesso modo e si ingrossa il fronte dell’astensionismo che ha l’obbiettivo furbetto di far saltare il referendum, invitando i cittadini ad andare al mare. Una frase questa che certo non ha portato fortuna a chi per primo ebbe modo di pronunciarla, ma che è stata benedetta da Monsignor Camillo Ruini, che in una moderna riedizione del non expedit, ha invitato i cittadini italiani a non pronunciarsi in una materia che attiene alle supreme libertà dell’individuo e al rapporto tra scienza ed etica. Non più di qualche sera fa, Gustavo Selva, cattolico di

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s t u p i d a

Alleanza Nazionale, durante una trasmissione radiofonica, sghignazzava felice di fronte ad un sondaggio, secondo cui la maggioranza degli italiani confonderebbe la procreazione assistita con l’assistenza ospedaliera durante il parto, mentre il conduttore della trasmissione affermava compunto che certi temi, così complicati, non sarebbero all’altezza degli italiani. C’è uno snobismo peloso dietro a chi invita gli italiani ad astenersi. Chi dovesse decidere di non andare a votare, infatti, finirà per rinunciare a partecipare alla deliberazione su un tema fondamentale che riguarda i propri diritti di libertà e il diritto alla salute di milioni di italiani, delegando ad altri la decisione ed autoconfinandosi in una posizione di minorità intellettuale ed etica.

g e n t e ? Ma davvero gli italiani sono quella massa di ignavi ignoranti, che tanti, sogghignando, descrivono? Davvero tu, caro lettore, ti consideri intellettualmente meno preparato di tanti esponenti della nostra classe politica? Davvero pensi che sia giusto lasciare che a decidere dei tuoi diritti di libertà, della possibilità di diventare genitori di tante donne e uomini, dell’opportunità di utilizzare le cellule staminali embrionali per la cura di malattie gravissime come la Sclerosi multipla o il Parkinson, siano un drappello di uomini politici che votano secondo (la loro) coscienza, senza che tu senta il dovere di esprimerti al riguardo? Aldilà delle opinioni nel merito del referendum, credo che il 12 e il 13 giugno sarebbe bello che gli italiani riaffermassero con forza il proprio diritto a partecipare direttamente e responsabilmente alla vita democratica e alle scelte che riguardano materie fondamentali e intime. Spero che ciascuno di noi, la mattina del 12, abbia un soprassalto di dignità e, andando a votare secondo la propria coscienza e il proprio intelletto, affermi responsabilmente il diritto di scegliere, facendo capire a chi considera gli italiani una massa di ignavi, che ciascuno di noi, anche il più umile e il meno istruito, sente dentro di sé il dovere di dire la propria su tematiche così importanti. Se viceversa dovessero vincere le astensioni, gli italiani avrebbero rinunciato ad uno spazio di libertà e di partecipazione democratica fondamentale, distrattamente sperperando quel patrimonio prezioso di democrazia partecipata per cui tanto i nostri nonni e i nostri padri hanno combattuto. Caro lettore, ti invito dunque a non farti affabulare dalle sirene di chi ti vuole convincere che l’oggetto del referendum non ti riguarda o che non sei in grado di deliberare in materie la cui complessità viene artatamente ingigantita. Ascolta i dibattiti, leggi le diverse opinioni, formati un tuo convincimento e recati alle urne, per riaffermare il tuo diritto e il tuo dovere di essere parte attiva di una società democratica e non un mero spettatore plaudente alla mercé di chi non ti vuole cittadino, ma suddito beota, i cui diritti di libertà possono essere usati come merce di scambio, nell’indifferenza generale. F. Borzini

C’era una volta un re Allora la gente prese coraggio e, uno dopo l’altro, tutti palesarono la loro comune impressione. Ed è così che anche al giorno d’oggi a molti fa comodo farci sentire diversi o comunque isolati, quando manifestiamo idee che cozzano con la tradizione o con i diritti acquisiti da parte di alcune istituzioni o centri di potere. E’ un gioco subdolo che ho avuto modo di analizzare con particolare attenzione da quando scrivo nel giornale. Spesso mi è stata contestata l’opportunità di pubblicare certe dichiarazioni negative e apparentemente sfacciate, in merito a determinati mostri sacri. Poi però, la stragrande maggioranza delle persone aggiunge anche che, in realtà, è d’accordo con ciò che affermo, ma che si tratta di opinioni troppo divergenti rispetto al sentire comune. Allora mi sono chiesta: ma se, presi singolarmente, in così tanti dissentono con le cosiddette opinioni comuni, chi ha l’ardire e la presunzione di spacciare per comune

quello che comune non è? La risposta generica è scontata: chi ha una convenienza a farlo. Chi è spaventato dalla potenziale caduta dei propri altarini, chi sarebbe penalizzato da eventuali cambiamenti. Non mi fate essere monotona, cari amici lettori… ma la storia non è andata sempre in questo modo? C’è un solo sistema per far sì che certi corsi cessino di diventare ricorsi, visto che ormai ne abbiamo appurato la caducità: impariamo a manifestare con coraggio e chiarezza ciò che davvero pensiamo. E quando ci troviamo a dover valutare situazioni nelle quali non ci siamo mai imbattuti, sforziamoci di immaginare come ci sentiremmo NOI, in prima persona, nel caso in cui un giorno, inaspettatamente, quel tipo di situazione dovesse riguardarci da vicino. Spesso scopriremmo che le nostre teorie hanno ben poco a che fare con la nostra vera natura, che è assai più uguale a quella degli altri di quanto siamo abituati a credere. R. Trequattrini

Comunicare necesse est? Del resto le donne, prima che le “pari opportunità” le privassero dei loro privilegi, hanno sempre avuto, per puro istinto (e magari con qualche dritta di madre in figlia) tutte le tecniche comunicative necessarie per far fare ciò che volevano ai loro mariti, padroni di nome sì, ma raramente di fatto. Invece in questo mondo, in cui siamo sempre più isolati e dove chi è solo rischia di incontrare non esseri umani, ma “strutture preposte” o “spazi organizzati” si parla, come non mai, di Comunicazione. E si studiano tecniche e si escogitano mezzi sempre più raffinati, con il paradossale risultato che gli esseri umani sono sempre più soli, anche se come venditori e impiegati divengono, questo sì, sempre più gelidamente efficienti. Peggio: è il concetto stesso di solitudine a svanire, perché è ormai assiomatico che chi è competente nelle tecniche comunicative e dispone di spazi organizzati in strutture preposte, (magari autogestite che fa tanto trend) deve considerarsi fortunato. Non ci si considera? Male: vuol dire che è un depresso, oppure un caratteriale, comunque un disadattato. Tutti nomi scientifici, mancherebbe altro, per dire a un poveraccio che se, non tro-

vando uno straccio di persona alla quale importi davvero qualcosa di lui, gli girano le scatole, è solo colpa sua. Perché - questo è il punto - la tecnica è necessaria ovunque manca una motivazione affettiva. Il galateo, tecnica raffinatissima di convivenza civile, nasce dal fatto che se ti dicessi davvero ciò che penso, finiremmo a botte. Ma se io sentissi quel rispetto che è una manifestazione di affetto, il galateo verrebbe spontaneo. Le tecniche sessuali sono importantissime quando del partner non importa un fico secco, però si vuol fare bella figura; ma due che si amano davvero la tecnica la trovano eccome! Le tecniche di comunicazione sono quindi necessarie proprio là dove, per una sostanziale indifferenza affettiva nei confronti dell’altro, la comunicazione non nasce, spontanea, dal rapporto umano. Minore è la carica umana del rapporto, più esse sono necessarie. In un mondo in cui a nessuno importasse niente di nessuno, esse sarebbero indispensabili. Sarebbero?…Il loro esponenziale incremento, la dice purtroppo assai lunga sulla quantità di umanità, di affetto o anche solo di rispetto che abbiamo oggi tra noi. V. Policreti


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Un minimo di... contegno

C’è un vizio genetico in questo abito mentale, un peccato originale di cui si scontano giustamente gli effetti; non si può formulare e coltivare l’assurda pretesa di conoscere l’inconoscibile!In altri termini non ci si può arrogare il diritto di vedere identificati, perseguiti e condannati gli autori di una strage!Per cui appare consequenziale, nonché lampante, scontato ed inevitabile, il risultato di siffatta blasfemia! E speriamo che ciò costituisca almeno un fulgido esempio per gli altri parenti delle altre stragi nazionali, i quali si spera la smetteranno di chiedere giustizia e di alimentare la perniciosa albagia di voler conoscere a tutti i costi la verità. Come si fa ad essere così provocatoriamente saccenti e, soprattutto, come si può esserlo in questo momento storico che vede gli organi più o meno istituzionali impegnati a risolvere problemi epocali, a rivoluzionare i massimi sistemi, superando addirittura l’irrisolto dilemma circa il sesso degli angeli? Il Governo, assorbito dal grave problema di ipotizzare, prospettare ed elaborare l’idea del partito unico e mettere finalmente d’accordo tutte le anime, anche dannate, della coalizione. Uno sforzo sovrumano, un busillis, come diceva quel curato poco forte in latino, che drena ogni rivolo della sperimentazione: non va disturbato. Il Parlamento, alle prese con alambicchi ed atanor per modificare, attraverso un processo alchemico di difficile gestazione, l’ipotesi delittuosa del falso in bilancio, rielaborata pochi giorni fa e già bisognosa di vigoroso restauro. Una resipiscenza operosa che merita rispetto: non va disturbato. La Magistratura, occupata oltre misura nell’ufficio di dover esaminare con la dovuta diligenza, sollecitudine e premura, le tante carte che corredano le richieste per la semi-libertà dei carcerati. Una messe inimmaginabile

di documenti complicati, ad altissimo contenuto scientifico, elaborati con patente scrupolo ed indiscussa professionalità dalle strutture carcerarie; documenti che postulano una disamina assai attenta, altrimenti si corre il rischio (e ci mancherebbe pure questo!) di rimettere in circolazione qualche pericoloso assassino, con grave nocumento per la collettività. Un compito che richiede tempo, tanto tempo: non va disturbata. Il Centro-sinistra totalmente catturato dalla vexata quaestio riguardante la compatibilità delle diverse ideologie che lo compongono, le quali invece di essere fuse sembrano piuttosto fondere i cervelli dei fonditori, i quali cercano di amalgamare con faticose mestoiate nel ristretto paiolo unitario, i riformisti con i massimalisti, i centristi con i fondamentalisti. Non è cosa da poco: non va disturbato. La Chiesa, troppo concentrata nella diffusione capillare del messaggio democratico della partecipazione al voto, in modo da garantire la mancanza del quorum al prossimo referendum, attraverso una sana scelta astensionistica. Questione assai delicata (mi si nota di più se vado a votare o se non vado?): non va disturbata. I Sindacati, letteralmente obnubilati dalla bisogna di partorire un eskamotage che consenta, attraverso un sofisticato gioco di prestidigitazione (tanto la cosa importante è che il trucco non si noti), di finanziare il nuovo contratto degli statali con risorse inesistenti. Un “affaire” milionario che non permette divagazioni: non vanno disturbati. Ebbene, le vogliamo considerare tutte queste impellenti, ineludibili, improcrastinabili, assorbenti necessità, signori parenti delle vittime delle stragi o volete ancora anteporre i vostri personali egoismi al bene superiore del Paese?

Scoprire e perseguire gli autori dei misfatti, è una puerile assurdità, una imperdonabile ingenuità che non merita attenzione. Qui c’è ben altro da fare, signori miei, che sprecar tempo in inutili quisquilie. Che dite? Che le indagini non sono state fatte? Falso. Tutto è stato gestito al massimo dell’efficienza ed infatti le indagini sono state talmente corpose, da fornire materiale di analisi per quasi quarant’anni di processi. Indubbiamente non si può non essere d’accordo sul punto, che le indagini sono attività sofisticata e complessa che necessita di adeguata preparazione tecnica, di sperimentato equilibrio, di comprovata maturità e di riconosciuta competenza giuridica, ma che c’entra tutto questo con le vostre doglianze? Ah, dite che da noi un sostituto procuratore può anche avere venticinque anni, perché gli basta aver superato il concorso e aver fatto un breve tirocinio da Uditore Giudiziario? Ebbene sì, l’affermazione è corretta, ma svela la subdola intenzione di disconoscere la capacità italica dell’apprendimento veloce sul campo, l’italica idoneità alla captazione delle verità anche recondite, l’italica attitudine alla elaborazione di teoremi vincenti e l’imprescindibile circostanza che il diritto i magistrati lo hanno nel DNA, lo sentono fluire nelle loro arterie e, quindi, un giovanotto alle prime armi è assolutamente in grado di dirigere indagini anche complesse. E poi lo sapete benissimo che la colpa è stata di Andreotti che ha fatto le sue confidenze a quel giornalista che gliele aveva chieste e non anche alla Magistratura…, lo ha confermato giorni fa un ex-magistrato entrato a suo tempo nella vicenda giudiziaria. Che state chiedendo ancora? Perché gli inquirenti non lo hanno a suo tempo interrogato? E che c’era bisogno dell’invito? Uno prende l’appuntamento, va e depone, è talmente semplice! Mica bisogna chiederle certe collaborazioni! Le procure non sono tenute a seguire il precetto evangelico del “chiedete e vi sarà dato”, bensì i rigorosi precetti dei codici penali! Per cui, cari parenti delle vittime, le vostre argomentazioni sono spurie e prive di qualunque pregio artistico, stilistico, umanistico, storicistico, politico, filosofico, sociale e giuridico. E allora, per favore… un minimo di contegno. S. Tomassini

La frantumazione della scena ternana Ragazzi che, tra mille sacrifici, hanno scelto di fare teatro perché vogliono comunicare le loro idee, le loro emozioni, la loro voglia. Cosa è successo in questo fatidico venerdì 20 maggio? Una compagnia di ragazze porta in scena uno spettacolo al Lux; contemporaneamente va in scena una scuola di teatro rionale al Verdi, mentre al Videocentro viene allestito lo spettacolo d’avanguardia di una delle artiste più interessanti della nostra scena. Spettacolo replicato il giorno dopo, proprio quando va in scena un altro promettente ragazzo ternano a Montecastello di Vibio. Insomma, in due giorni si accavallano quattro spettacoli di compagnie locali. Quattro occasioni preziose per conoscere cosa fanno, dicono, creano, offrono i giovani ternani, quelli in gamba, quelli che si rimboccano le maniche per portare a termine un progetto creativo. E’mai possibile che vadano a farsi concorrenza in questo modo? Non potevano mettersi d’accordo? In teoria sì. Terni non è Broadw ay, conta una decina di compagnie

teatrali. Per consentire un dialogo tra loro, il Comune ha attivato da tempo una struttura apposita, ma a quanto pare non è servita a niente. Un’altra struttura si è poi attivata quest’anno come alternativa alla prima, ma non è servita neanche questa… non vogliamo attribuire ingiuste responsabilità, ma un sospetto (che è quasi una certezza) per lo meno lo abbiamo: che i ragazzi che fanno teatro a Terni non socializzano, non si scambiano idee e non vanno neanche a vedersi reciprocamente. Ognuno zappa il proprio orticello in solitudine. Sono abituati a chiedere, ma non a dare. Invocano una struttura che li aiuti, ma poi non contribuiscono a farla stare in piedi. Chiedono uno spazio dove riunirsi tutti insieme, poi non ci vanno. Chiedono visibilità e poi finiscono per soffocarsi da soli in una stessa serata. Attenzione, il teatro ternano ci offre in piccolo uno spaccato dell’Italia di oggi, dove non dico coalizzarsi, ma anche solo mettersi d’accordo e collaborare è un’impresa ardua. F. Patrizi

Le parrocchiette Cari fratelli di colore, ho sempre creduto alla uguaglianza tra le genti e di ciò mi scuso con voi: una parte della razza cosiddetta bianca è invece palesemente inferiore! I l male sono loro, quelle nate dalla nostra costola. Allora, se una donna pensa come un uomo è tollerata, forse anche stimata; se però agisce come l’uomo, pretende cioè diritti, doveri, comportamenti uguali, allora è una poco di buono! Ma se per l’uomo è lecito farlo, allora è lecito anche per le donne! Basta con la nostra viscida, millenaria ipocrisia! L’uomo della parrocchietta si oppone, certo. Egli non sa niente, lo sa solo ben recitare! Afferma, con sicumera, di sapere quale sia il bene; cerca di imporre, come da logoro copione, norme violente dettate dalla sua mistica, nemica della libertà dell’uomo, ma, soprattutto, della donna. Care donne, la vita siete soprattutto voi e voi siate con gli uomini adulti e morali, non con i penosi ipocriti. L’umanità ne ha pressante bisogno. I l male è nel campo avverso. I rei del proprio campo sono al di sopra di ogni sospetto. Solo per i tuoi vale l’innocenza fino al giudizio definitivo!

Se un delinquente accumula anni di galera, ma è del tuo partito, allora è un perseguitato politico! Per gli avversari invece c’è sempre qualche distinguo da sbandierare perché... la loro colpevolezza è patente e... non c’è nemmeno bisogno di tribunale, proprio come nelle migliori dittature! E così la politica diventa il campo privilegiato per fare affari o per salvarsi dalla galera per loschi affari già compiuti. I giornali titolano: “La missione Antica Babilonia e il petrolio di Nassiriya. In un dossier del governo scritto sei mesi prima della guerra si indicava la provincia irache-

na come località strategica per l’Italia… se non si vuol perdere un affare di 300 miliardi di dollari!”. Cari fratelli iracheni… G. Raspetti

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Diritto A r

Finalmente è arrivata la bella stagione e con essa l’idea fissa delle vacanze. Dove andremo questa estate al mare o in montagna? Il dove è relativo, basta stare bene. Il fatto è che la maggior parte delle nostre brutte vacanze dipende dall’organizzazione, ma possiamo ovviare il problema seguendo delle semplici indicazioni. Innanzitutto non prenotare telefonicamente, ma spedire sempre una raccomandata o un fax specificando date e servizi richiesti, così si avrà un documento in mano per

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qualsiasi contestazione. Inoltre non credete al dictat degli albergatori secondo il quale la direzione non risponde dei furti, qualunque oggetto viene lasciato in stanza è coperto dagli art. 178 3e 178 6Codice Civile, chiedete di essere risarciti, oppure inviate subito dopo una raccomandata dove spiegate l’accaduto; servirà al vostro avvocato per difendervi. Se preferiamo rivolgerci alle agenzie di viaggio e acquistare i pacchetti all inclusive dobbiamo prepararci ad eventuali modifiche sugli

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orari di viaggio o sulle caratteristiche dell’hotel; non subite in silenzio ma spedite immediatamente una raccomandata al tour operator e pretendete il risarcimento. Comunque la migliore regola è quella di leggere le condizioni e le informazioni riportate sui depliant delle agenzie di viaggio poiché sono dei contratti a tutti gli effetti. Il prezzo è l’elemento che si deve controllare meglio; verificate cosa è compreso e cosa è a vostro carico, inoltre non pagate aumenti imposti tra i 20 giorni prima della partenza perché sono illegali. Sempre il prezzo è l’arma dei last minute, il loro costo può essere la metà di quello previsto nel catalogo, ma può contenere la metà dei servizi o essere condizionato alla disponibilità degli albergatori, ciò significa che se non avete fatto le prenotazioni per scritto potreste non avere la vacanza. Per fortuna oggi siamo sufficientemente tutelati, infatti, in conseguenza della pronuncia della Corte di Giustizia Europea del 12/03/02, la giurisprudenza italiana ha riconosciuto la risarcibilità del danno da vacanza rovinata.

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In più c’è sempre il diritto di recesso, detto facoltà di ripensamento. Tale diritto è irrinunciabile ed è regolato dal Decreto Legislativo n. 111/95 , secondo il quale si può chiedere il recesso quando: - la revisione del prezzo di vendita del pacchetto è superiore al 10% del suo originario ammontare; - il tour operator o l’agenzia viaggi apportano modifiche alle condizioni del contratto. Per avvalersi del recesso si deve inviare entro due giorni dalla comunicazione della variazione una raccomandata e si avrà diritto al rimborso della somma già versata entro sette giorni lavorativi. Oppure si può cambiare destinazione usufruendo di un viaggio più costoso o equivalente, ed anche accettarne uno di qualità inferiore facendosi restituire la differenza. Ricordate: la nostra tranquillità e il nostro riposo valgono sicuramente qualche accortezza in più; spendere dei minuto per leggere le infinitesime clausole dei contratti non è mai tempo perso. Buon viaggio e buon divertiSerena Battisti mento.

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LETTERADI RECLAMO Raccomandata AR Spett.le .... (nome dell’agenzia turistica) Ai sensi dell’articolo 19 del Decreto Legislativo n. 111/95 , il sottoscritto… nato a… e residente in..., relativamente al pacchetto turistico acquistato con contratto n… del..., fa rilevare i seguenti disservizi e inadempienze riscontrate nel corso del viaggio in… (descrivere i disservizi o le inadempienze supportate da foto o altre documentazioni allegate). Pertanto, ritenendo che tali disservizi e inadempienze potevano essere tempestivamente eliminati, chiede il risarcimento previsto dal contratto pari a euro… (oppure) chiede un equo risarcimento ai sensi del già citato Decreto Legislativo n. 111/95 , quantificabile nel …%del prezzo pagato (quantificare la percentuale secondo la gravità dei disservizi). Distinti saluti Firma…………………. Indirizzo………………..

Il dibattito sulla procreazione assistita e i princìpi dell’ordinamento giuridico vigente: spunti di riflessione per una cultura giuridica sociale Si parla spesso di diritto e di morale mettendone in evidenza differenze, costruendo criteri di separazione, come se queste categorie non rappresentassero entrambe la realtà sociale. Allo stesso modo si discorre di religione: nascono dibattiti sulla separazione tra Stato e Chiesa e sulla anacronistica e invadente presenza cattolica nel nostro Paese, come se i valori e i princìpi dell’ordinamento giuridico fossero vincolati da una pesante tradizione di matrice cattolica che contrasterebbe con la laicità dello Stato. In realtà il diritto inteso come giurisprudenza è una scienza sociale avente come punto di riferimento l’uomo e le sue esigenze.

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Le regole e i princìpi che costituiscono l’insieme unitario definito ordinamento giuridico, costituiscono proprio la struttura sociale, ogni trasformazione della realtà sociale incide sulla realtà normativa, infatti il diritto è modificabile, storico e sensibile a qualsiasi ideologia. Il diritto come struttura della società fa parte del tessuto culturale, è cultura, e la distinzione delle sue regole dalle altre non deve essere interpretata come separazione da ogni altro aspetto della realtà. La funzione fondamentale del diritto, che è quella di prevenire e comporre conflitti sociali, ha un contenuto morale perché l’osservanza delle sue regole implica un

consenso morale di fondo e in questo senso diritto e morale sono complementari. I cinquanta anni di attività della Corte costituzionale sono illuminanti per capire che al di là di ogni rigido formalismo, vi sono dei princìpi, ossia dei valori, che fanno della società in cui viviamo il nostro Paese, a prescindere da ogni fondato e legittimo dibattito sulla religione e sulla morale. Con l’entrata in vigore della Costituzione si è realizzata una vera e propria rivoluzione copernicana, si è passati dalla categoria dell’avere a quella dell’essere; il solidarismo e il personalismo sono i valori filosofici entrati a far parte dell’ordinamento giuridico vigente.

Si è passati dall’interesse superiore dello Stato e della proprietà, al riconoscimento del primato della persona e della solidarietà umana. Questi valori sono così primari che anche le ragioni del mercato devono cedere di fronte alle ragioni della persona, ecco quindi l’esigenza di governare le leggi economiche per indirizzarle verso gli effettivi bisogni dell’uomo. Il mercato diventa uno strumento per realizzare la dignità umana. Anche il mercato comunitario è passato da una impostazione mercantilistica ad una impostazione di sviluppo sostenibile; abbiamo assistito al passaggio dal mercato comune all’unione politica,

sino ad arrivare alla consacrazione della centralità della persona mediante il riconoscimento dei diritti umani imprescindibili. I valori della persona che la Carta costituzionale riconosce e garantisce come diritti fondamentali, pur avendo una matrice cattolica, hanno trionfato anche nella Carta europea. Ciò perché tali valori non sono orpello di una vecchia cultura ma princìpi dell’ordinamento giuridico vigente, riconosciuti e tutelati come imprescindibile conquista culturale di tutta l’Europa unita e come tali devono essere interpretati e vissuti: con orgoglio e rinnovato senso di responsabilità sociale. Arianna Alpini


Donna Re f e re n d u m

Sce l t a d i l i b e r t à

In questo nostro paese ogni qualvolta il Parlamento affronta temi come la vita, la famiglia o la sessualità, si presenta sempre una frattura profonda che ci racconta la non pratica dell’ormai urgentissimo esercizio tra princìpi etici e norme giuridiche che, nel terzo millennio, dovrebbero far parte delle prassi consolidate di ogni stato democratico. Per questo ritengo che il 12 giugno si debba sentire profondamente l’impegno a partecipare con la propria dimensione etica, che sarà pluralista, e con quella giuridica, che deve essere laica. D’altro canto, la scelta dell’astensione, pur legittima, trovo rappresenti non solo lo svilimento di uno strumento democratico, quanto un messaggio di deresponsabilizzazione per le giovani generazioni in particolare. Giovani generazioni che tutti vorremmo sempre più presenti, impegnate e affezionate alla vita e nella vita della polis. Il non recarsi a votare è una rinuncia che pesa non solo in quanto tale, ma che, in questo caso in modo particolare, non favorisce il confronto ed il dialogo e soprattutto non contribuisce ad assicurare un eventuale sereno riesame della legge. Essa d’altro canto tocca questioni così pregnanti come la vita, la sua riproduzione, la salute della donna, gli scenari che la scienza ci offre. Questioni tutte, sulle quali non si potevano e non si possono dare regole a colpi di

maggioranza. Io sono convinta che se ogni cittadina e ogni cittadino maturerà una scelta personale, informata e libera, questo referendum potrà essere una occasione per aprire un dibattito vero e serio nel paese e tra le persone in grado di produrre un autentico desiderio di confronto, come base di ricerca di una sintesi alta tra i diversi orientamenti etici e culturali che la legge n°40 ha eluso. Crioconservazione, embrione-persona, terza via in campo etico e bioetica; si apprendono nozioni sulle quali a molti forse è data la fortuna di non doversi soffermare a riflettere. In ogni caso, partecipe appunto, sapendo che non è solo o tanto questione di fare bingo (4 sì, 4 no, 2 sì e 2 no, ecc,). L’importante è considerare fin d’ora che in futuro si potrebbero presentare altre occasioni in cui il legislatore dovrà misurarsi con questioni legate alla bioetica. Ritenendo non auspicabile un bipolarismo ed è forse tempo per cercare un punto di incontro, evitando di tradurre in legge norme morali non condivise. Partire da ciò che è condiviso, per salire pian piano fino a fermarsi provvisoriamente dinanzi ai dissensi, che è bene lasciare al dibattito culturale, filosofico e religioso. Arcangela Contessa Consigliera del Centro Pari Opportunità della Regione dell’Umbria

Quando raccolsero le firme per il referendum firmai, certa che nessuno dovesse scegliere per me. Oggi, a pochi giorni dal voto, non nascondo un po’ di confusione e di timore davanti a una scelta che richiama, soprattutto, i miei personali valori. Ma certamente non posso restare inerte davanti ad una possibilità che può cambiarmi la vita. Sì, perché questo referendum parla di me al primo quesito: Per consentire nuove cure per malattie come l’Alzheimer, il Parkinson, le sclerosi, il diabete, le cardiopatie, i tumori. Io sono diabetica e vi assicuro che pur avendo una vita serena e appagante, la spada di Damocle pende sempre sulla mia testa, ogni giorno penso alle complicazioni che più o meno dovrò affrontare o che già ho affrontato. I sogni di guarigione definitiva sembravano ormai svaniti fino al momento in cui si è iniziato a parlare di clonazione terapeutica e cellule staminali embrionali (che sono totipotenti ovvero possono trasformarsi in qualunque tessuto dell’organismo adulto, divenendo quindi cellule del fegato, del cervello, delle ossa, ecc.). Vorrei poter scrivere un messale per spiegare di che si tratta, ma vi basti sapere che per tante persone gravemente malate rappresentano la vita. Vi invito allora ad informarvi, prima del 12 Giugno. Informazione è un’altra parola cardine: purtroppo pochi ragguagli sono stati trasmessi al cittadino e questo influenza notevolmente la personale e libera espressione del proprio pensiero. Sicuramente il presente referendum, a differenza di altri, si pone su un gradino più alto dei giochi politici a cui siamo abituati, implica la nostra morale, l’etica e non ultima la sensibilità. E’ giusto utilizzare gli embrioni soprannumerari (cioè gli embrioni inutilizzati congelati nelle banche dei centri per la fecondazione artificiale altrimenti destinati alla morte)? O no? Il giudizio sta alle singole coscienze. L’appello che sento di fare in questo momento è quello di non lasciare che qualcuno decida per voi, disertando le urne. Io voterò per il sì perché ritengo che la scelta etica debba spettare solo a noi, cittadini e cittadine italiani. Francesca Capitani

P rincìpi Non ho partecipato alla raccolta di firme per chiedere i referendum perché ritenevo che la materia, eticamente sensibile, non potesse essere sottoposta ad una campagna elettorale che inevitabilmente semplifica, radicalizza e contrappone. Anche se quello che sta avvenendo in questi giorni in parte verifica i miei timori, devo riconoscere che su un tema che era rimasto latente nell’opinione pubblica (non nel parlamento) si sta sviluppando una presa di consapevolezza che troverà la sua espressione il 12 e 13 giugno. Due ordini di riflessione si agitano nel mio animo in questi giorni. Mi sembra di individuare il male che affligge gli uomini e le donne del nostro tempo nella perdita del senso del limite, di quella saggezza materna che opera per provvedere e curare, che sagacemente contrasta il dolore e la perdita, ma sa, appunto, riconoscere e accettare il confine dell’umano agire, sia esso individuato dalla ragione o dalla fede. La tecnologia, strumento potente dell’uomo sulla natura si è talmente accresciuta da avere sviluppato propri fini rispetto ai quali le nostre scelte diventano talvolta strumenti: le sue vie sono sicuramente veloci ed economicamente efficienti, ma possono mancare di efficacia, perché ci allontanano dalla ricerca di percorsi più articolati e sensibili. La tecnologia si è coniugata con l’economia inducendo in noi la convinzione che tutto ciò che è possibile è anche legittimo e si trasforma quindi in un diritto non solo esigibile, ma che può essere comprato facilmente. Qual è il confine della vita?

etici

Io non credo che la scienza possa e quindi debba dare la risposta definitiva, tanto meno gli scienziati. Infatti li troviamo collocati su entrambi i versanti: la scienza è neutrale, non gli scienziati in quanto uomini e donne, sempre fallibili. Essi devono grazie alle loro conoscenze fornirci gli strumenti, ma scegliere e decidere sono un esercizio del desiderio e della volontà, illuminati dalla conoscenza e dalla coscienza di ognuno. Qui allora inizia il percorso dell’etica ed io non posso non sperare che ciascuno e ciascuna si interroghi seriamente sul proprio progetto di vita e risponda così agli interrogativi che essa sempre ci pone. Ma come si traduce tutto questo in norma riconosciuta di una collettività? E’ lecito trasferire la nostra scelta in legge universalmente valida per la società intera? E’ lecito che una maggioranza numerica - per sua natura mutevole - decida per sé e per gli altri su questioni di tale rilievo come sono quelle di bioetica? O non è piuttosto auspicabile, anche se più difficile e faticoso, confrontarsi per giungere ad un compromesso (cum promissio), ed impegnarsi insieme per risolvere la questione sapendo che questa mediazione è valida oggi, ma potrà mutare in futuro perché la conoscenza e la coscienza crescono nel tempo? Per questo io penso che il risultato abrogativo del referendum - con la vittoria dei sì - sia utile per giungere ad una nuova legge, più rispettosa delle sensibilità e delle aspettative di tutti. Carla Arconte Consigliera comunale

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P siche Intrappolati nella rete Minori, internet e pedofilia Secondo recenti ricerche, tendenti a valutare l’impatto di internet sui minori, risulta che gli stessi minori “online” in Europa, tra il 2002 e il 2003, sono stati circa 13 milioni (di cui 4 milioni con meno di 12 anni), mentre in Italia nel 3° trimestre 2003 sarebbero stati più di 1,7 milioni, un terzo dei quali con meno di 12 anni. A queste significative cifre va affiancato il fatto che il minore in rete non è un utente qualsiasi poiché, nato e cresciuto dentro la tecnologia di internet, dimostra spesso profili di abilità e padronanza tecnica maggiori di un gran numero di adulti; tuttavia, in quanto minore, non ancora cognitivamente ed emotivamente formato, è potenzialmente fragile e manipolabile, è un essere umano in evoluzione che necessita di confronto, consigli e spiegazioni. Ci sono pertanto in internet degli ambiti di rischio ai quali il minore va incontro, ed emblematico è il caso delle cosiddette chat-line, luoghi virtuali ove due soggetti, attraverso la mediazione di un computer, comunicano neutralizzando tutte le informazioni (visive, linguistiche, ecc.) presenti in un rapporto faccia a faccia, ed arrivano ad instaurare rapporti comunicativi profondi, ma magari del tutto falsati sul piano dell’identità personale e persino del principio di realtà. Si tratta di una divaricazione tra virtuale e reale che, lungi dal creare sicurezza, risulta invece secondo l’esperienza investigativa di Polizia ed alcune ricerche scientifiche, particolarmente insidiosa, soprattutto sul versante dell’adescamento sessuale da parte di pedofili. Ciò in quanto la chat offre la possibilità di un approccio graduale ed esplorativo con possibilità di manipolazione e di conduzione del minore su argomenti di tipo sessuale, ed infine a tentativi di incon-

tro fuori dalla rete. Questa tecnica di coercizione on-line, denominata grooming (lett.: prendersi cura di), raggiunge il suo culmine quando riesce a far sì che il minore mantenga segreti questi contatti. L’analisi casistica suggerisce da un lato che le condizioni che facilitano l’approccio da parte del pedofilo implicano soprattutto che il minore non percepisca il pericolo e soprattutto che non sia opportunamente seguito nelle attività in rete da parte degli adulti/genitori/educatori. Dall’altro, che il profilo preminente del pedofilo on-line è quello di un soggetto maschio celibe, tra i 20 ed i 40 anni, con cultura media e nel 90% dei casi senza alcun precedente penale, né specifico né generico. Al di fuori dello specifico ambito delle chat, appare comunque rimarchevole che in un periodo che va dal 1998 al settembre 2003 la polizia postale italiana abbia monitorato .58969 siti, individuando all’interno di essi 6.247 siti (dei quali 100 residenti in Italia) contenenti materiale pedopornografico. Materiale pedopornografico che rappresenta non solo il frutto di un’attività turpe ed illecita, ma anche un business: secondo i dati recentemente forniti nei quaderni del Centro di documentazione sull’infanzia e sull’adolescenza, si possono stimare annualmente circa 250 milioni di copie di video pedopornografici venduti nel mondo, per un giro d’affari che varia dai 2 ai 3 miliardi di dollari all’anno. Se è vero che la tecnologia della comunicazione non può e non deve essere limitata, nulla vieta di prestare la giusta attenzione ad alcuni suoi effetti perversi, in particolare quando essi coinvolgono i minori. Gian Paolo Di Loreto criminologo

Coppie, pettegoli e magistrati

Il divorzio non funziona. Intendiamoci: è giusto e sacrosanto che in un Paese laico e sovrano, sia pure parzialmente come il nostro, questa istituzione esista. No, il punto è un altro: il divorzio è un istituto giuridico che riguarda la sfera più intima dell’uomo: quella amoroso - sessuale - familiare. E questi termini, giuridico da un lato e amoroso, sessuale e familiare dall’altro, anche se inevitabilmente connessi sotto il profilo sociale, fanno a botte tra loro. Tra moglie e marito non mettere il dito ammonisce un saggio proverbio, regolarmente disatteso dai pettegoli che “per il tuo bene” mettono dito, naso e bocca negli affari (altrui) più intimi. Ma la gentuccia è sempre esistita; il guaio è quando quel dito, a dovercelo mettere è il legislatore. Né il legislatore né il suo braccio secolare, il magistrato, possono essere in grado di sapere cosa veramente accade in una coppia, o peggio, in una famiglia. Essi possono al massimo prevedere o valutare fatti concreti. Ma in questa materia i fatti non danno informazione: essi valgono per ciò che significano e possono significare cose diversissime in circostanze diverse; ciò che conta è la loro interpretazione. Tuttavia la giusta interpretazione, che sfugge assai spesso agli stessi interessati che li vivono, è assolutamente preclusa a chi si occupi non degli

ambigui, infidi e sfuggenti meandri dalla psiche umana, bensì della tetragona pragmaticità della legge, che (né potrebbe essere altrimenti) là dove l’incertezza, la mutevolezza, l’ambiguità sono non l’eccezione, ma la regola, vuole invece certezze definitive: res judicata facit de albo nigrum…falsum in verum mutat. Davanti alle mille sfumature che caratterizzano l’anima della coppia - solo all’interno della quale è possibile una qualche comprensione delle dinamiche reali che la caratterizzano - il magistrato si trova quindi paradossalmente a dover condividere, Dio sa quanto malvolentieri, la propria posizione con quella dei pettegoli che tra moglie e marito mettono il dito; vale a dire, a dover giudicare e decidere dall’esterno cose comprensibili solo dall’interno, da un interno nel quale, con tutta la scienza, la saggezza e la buona volontà possibili, egli non potrà mai entrare perché di quella coppia, di quella famiglia non fa parte e perché le informazioni che ha provengono o dal punto di vista soggettivo e parziale degli interessati, o da altri estranei i quali, pur se in buona fede, di ciò che conta non sanno nulla e non possono, per legge, riferire che fatti concreti. Fatti concreti che in questa delicatissima materia, tanto più ricca di emozioni che di concretezze, contano poco più di zero. Vincenzo Policreti

Eh...queste donne! Visto che ho sempre difeso le donne, nessuna me ne vorrà, spero, se per una volta prendo le parti degli uomini, di alcuni uomini…, naturalmente! Ciò che contesto a molte mie simili è lo spirito con il quale si affacciano al matrimonio, o alla vita di coppia in genere. Gli atteggiamenti sbagliati più comuni sono due: a) confondere l’attrazione epidermica con la stima; b) prendere un uomo con la pretesa di farlo cambiare. L’attrazione epidermica non si traduce semplicemente nell’attrazione sessuale, ma consiste nell’incapacità di valutare i risvolti oggettivi e soggettivi della personalità altrui. Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Poi però, quando l’entusiasmo iniziale lascia spazio alle classiche pedanterie della vita quotidiana, lui diventa uno stronzo, un egoista, un imbecille, ecc… E non per demeriti che erano rimasti occulti, ma per quelle stesse caratteristiche, emerse sin dall’inizio della relazione, che al calore della passione passavano per requisiti interessanti. Gli uomini, invece, secondo me, spesso non è che si rifiutino di vedere i difetti delle loro donne, ma li capiscono proprio in ritardo. Infatti, non confondono mai l’amore con l’attrazione fisica, che chiamano con i giusti appellativi. Ognuno, quindi, resta fregato a modo suo… Quelle che poi pretendono di fare del proprio partner l’uomo ideale, configuratosi ai tempi di Cenerentola e della Bella Addormentata, non sono donne infantili e sognatrici. Sono violente! Sarà anche un luogo comune, ma amore significa accettare l’altro per quello che è, nel bene e nel male, altrimenti diventa una scelta di comodo. E poi anche questi principi azzurri, in fondo in fondo… che palle!! Raffaela Trequattrini

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La pala dei Francescani di Terni e l’Incoronazione della Vergine di Narni La Provincia di Terni per la cultura

La Provincia di Terni per la cultura

Alcune riflessioni sulle nuove iconografie francescane della fine del Quattrocento

La p" ala dei Francescani"di Piermatteo d'Amelia e l' Incoronazione della Vergine di Domenico Ghirlandaio, dipinte a pochi anni di distanza l'una dall'altra, rappresentano capolavori indiscussi della pittura del primo Rinascimento nell'Italia centrale. Le due opere, eseguite da artisti di altissimo livello per due chiese francescane del territorio, la chiesa di S. Francesco a Terni e quella di S. Girolamo a Narni, nascono nell'ambito di un contesto storico che vede un rinnovamento ed un arricchimento dell'iconografia dell'ordine francescano. Il polittico realizzato tra il 148 3 e il 148 5da Piermatteo d'Amelia per l'altare maggiore della chiesa di S. Francesco a Terni (ora nella Pinacoteca comunale), autentico capolavoro della pittura quattrocentesca in Italia, rappresenta una Madonna con il Bambino in trono tra S. Bonaventura da Bagnoregio e S. Giovanni Battista (fig. 1) a sinistra e S. Francesco e S. Ludovico da Tolosa (fig. 2) a destra. Nella predella Storie della vita di Cristo, mentre nei pilastrini compaiono alcune

figure di Santi e nella cimasa il Padre Eterno tra angeli. La pala dipinta da Domenico Ghirlandaio (fig. 3) nel 148 6 per l'altare maggiore della chiesa di S. Girolamo a Narni (ora conservata nella Sala del Consiglio del Palazzo comunale) raffigura l'Incoronazione della Vergine tra angeli, profeti, sibille e, nella zona inferiore, una schiera di Santi. Ai lati della figura di S. Francesco che, titolare dell'ordine, è raffigurato al centro della scena, subito al di sotto del Cristo che incorona la Vergine, compaiono alcuni tra i più noti Santi appartenenti all'ordine dei frati minori (S. Antonio da Padova, S. Bernardino da Siena, ecc.…). In primo piano, oltre alla figura di S. Girolamo (riconoscibile per l'abito rosso da cardinale), titolare della chiesa cui era destinata l'opera, compare, a sinistra di S. Francesco, inginocchiato, S. Bonaventura da Bagnoregio, riconoscibile per il piviale indossato al di sopra del saio frances c a n o , affiancato dal giovane S. Ludovico da Tolosa, il cui mantello è ricamato con i gigli, simbolo della sua casata. Sia nel polittico ternano che nella pala narnese compaiono le figure di S. Bonaventura e di S. Ludovico da Tolosa. La presenza di S. Bonaventura da Bagnoregio è di particolare importanza, poiché nel 148 2 papa Sisto IV (al secolo Francesco della Rovere), appartenente all'ordine dei frati minori, diede il via alla canonizzazione del Santo, morto nel 1270. Nello stesso anno l"a curia generalizia dell'Ordine impose ai Francescani di adeguare l'apparato iconografico per glorificare il Serafico": infatti, d" urante il capitolo del 148 2 il Generale dell'Ordine, Francesco Nanni detto Sansone, ordinò a tutti i conventi l'adeguamento dell'apparato decora-

tivo alla nuova esigenza del culto bonaventuriano. Nel successivo capitolo, tenuto a Casale nel 1485, venne emesso un decreto per sollecitare gli inadempienti"1 . La realizzazione delle opere di Narni e di Terni avvenne proprio in questi anni, cruciali per il rinnovamento dell'iconografia francescana. In entrambe le opere, infatti, compare in primo piano la figura di S. Bonaventura, accompagnata da quella di S. Ludovico (nella pala di Terni le due figure sono contrapposte ai lati della Vergine, mentre a Narni sono poste una a fianco all'altra).

La presenza del Santo francese potrebbe costituire un'allusione al fatto che le spoglie di S. Bonaventura sono conservate nella città di Lione, e al fatto stesso che i reali di Francia erano intervenuti presso la curia generalizia ed il papato per richiedere il processo di canonizzazione, anche in seguito ai grandi fenomeni di devozione che avevano interessato la nazione in seguito ai miracoli compiuti dal Santo intorno al 145 0 2. La tavola del Ghirlandaio, tuttavia, rispetto al dipinto di Piermatteo, presenta degli ulteriori riferimenti alla rinnovata iconografia francescana. Nel dipinto di Narni, infatti, all'interno della schiera dei Santi rappresentati, appaio-

no cinque frati francescani che mostrano delle ferite alla testa, identificati nei cinque protomartiri inviati da Francesco in Marocco e ivi martirizzati nel 12203: S. Berardo da Calvi (raffigurato al centro della scena, subito accanto a S. Francesco e con il cappuccio alzato in testa), S. Pietro da Sangemini, S. Ottone, S. Adiuto e S. Accursio (questi ultimi raffigurati in secondo piano). Nel 148 1, infatti, lo stesso papa Sisto IV, con la bolla Cum alias animo, aveva canonizzato i cinque francescani e li aveva fatti inserire nel Martirologio e nel Calendario Romano sotto il 16 gennaio, giorno in cui avvenne il loro martirio. È chiaro che il dipinto narnese, eseguito a pochi anni di distanza dalle canonizzazioni dei cinque protomartiri francescani (148 1) e di S. Bonaventura (148 2), sia stato commissionato con l'intenzione di esaltare il nuovo apparato iconografico francescano. Il riferimento ai cinque protomartiri doveva essere particolarmente caro ai committenti d e l l 'o p e r a , dal momento che il superiore del gruppo era proprio S. Berardo da Calvi, Santo omonimo di colui che era stato il responsabile della completa ristrutturazione e riutilizzo del convento e della chiesa di S. Girolamo, a favore degli Osservanti, il cardinale Berardo Eroli. Fu il porporato narnese ad assumere, con tutta probabilità, il ruolo di intermediario tra i frati minori ed un artista della levatura di Domenico Ghirlandaio. Personaggio fondamentale per la committenza delle maggiori opere d'arte che approdarono, in particolare, a Narni a partire dalla metà del V X secolo 4, il cardinale Eroli, come è stato ipotizzato di recente5, è con tutta probabilità raffigurato all'interno dello stesso dipinto destinato alla chiesa di S. Girolamo, nelle vesti del suo

Santo omonimo, S. Berardo. L'opera narnese che, così emblematicamente, rappresentava in un'unica composizione le nuove esigenze di celebrazione dell'ordine francescano, divenne in brevissimo tempo un vero e proprio m " anifesto"dell'iconografia francescana, al punto tale da essere c"opiata", su specifica richiesta della committenza, da numerosi artisti attivi ancora nel V XI secolo: tra di essi, il Pinturicchio e Bartolomeo Caporali che intorno al 15 03 realizzano la pala per la chiesa di S. Maria di Fratta ad Umbertide; Giovanni di Pietro detto lo Spagna (fig. 4) che nel 15 11 realizza l'Incoronazione della Vergine di Todi e nel 15 22 quella per la chiesa francescana di Trevi; Jacopo Siculo che, ancora nel 15 41, dipinge la grande tavola per la chiesa dell'Annunziata di Norcia; lo stesso Raffaello, al quale le monache di Monteluce di Perugia, nel 15 0,5 avevano chiesto una pala (poi realizzata da Giulio Romano e Francesco Penni) che si attenesse al modello della pala di Narni. Alessandro Novelli Lucilla Vignoli 1 F. Marcelli, Piermatteo d’Amelia e la Liberalitas principis, in Piermatteo d’Amelia. Pittura in Umbria meridionale fra ‘300 e ‘500, Todi 1996, pp. 50, 78nota 131. 2 Ivi, pp. 50-51. 3 A. Novelli –L. Vignoli, L’arte a Narni tra Medioevo e Illuminismo. Nuove acquisizioni, letture, proposte su maestri, opere e committenti, Perugia 2004, p. 84. 4 Ivi, pp. 61 e segg. 5 Ivi, pp. 85 -8 .

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Le proprie tà e cclesiastiche a Narni La Provincia di Terni per la cultura

prosegue dal numero di Gennaio 2005

Nel 1012 Giovanni prete cede al monastero di S. Simeone, farfense, la sua parte dell’oratorio di S. Angelo a Stroncone. Egli dona anche la parte di sua spettanza degli oratori di S. Pietro e di S. Lorenzo. Attorno a quest’ultimo si realizzerà uno stanziamento rurale. Valentino prete e monaco, custode delle chiese di S. Antimo, S. Silvestro - attuale Speco francescano di Itieli - e S. Simeone, unitamente a “cuncta congregatio sua”, dona le chiese stesse a Farfa. S. Antimo, che ha dato successivamente il nome ad una borgata, diventerà, come vedemmo, cella farfense. Nel 1019 Romano di Adenulfo e la moglie, Formosa, donano la chiesa di S. Maria di Corvaiano, alla quale era annesso un oratorio dedicato a S. Benedetto, S. Croce e S.

Lucia. Anche S. Maria di Corvaiano diventerà cella. Bonizone, Benedetto, un altro Bonizone, Leone e Franco, nel 1020 donano S. Giovanni in Torello all’abbazia palatina. Anche questa chiesa, in progresso di tempo, diventerà cella e amministrerà la parte montana dei domini farfensi nella zona. Nel 1027 Susanna “mulier longobarda” dona Configni e la sua chiesa. Il paese è già definito “castrum” . Nel 1036Dodo vescovo e Nonvolia acquisiscono beni ingenti per il gruppo di chiese ed oratori che facevano capo a S. Nicola di Sangemini e che in seguito Carbone infeuderà ai Farfensi. Ma sotto il profilo che stiamo trattando è certamente il documento num. 719 del 1036 , sul quale più volte

abbiamo soffermato l’attenzione, quello più importante. Sulla natura del rapporto di protezione stabilitosi tra Farfa e S. Benedetto e S. Angelo in Massa (nei pressi di Taizzano) ci siamo sufficientemente diffusi. Per cui è adesso opportuno descrivere le chiese in possesso di Pietro ed Adriano (abati dell’abbazia di S. Benedetto e S. Angelo), che verrano poste in soggezione all’abbazia palatina. La lista è piuttosto lunga ed apre, com’è ovvio, con la stessa chiesa abbaziale. Altra chiesa, ugualmente dedicata a S. Benedetto, era posta in Taizzano il quale è “fundus” e non ancora “castrum”. S. Benedetto “in quarta” era un monastero posto non lungi dalla torre di Bufone e abbastanza vicino a S. Pudenziana. Èl’attuale monastero del Passatore. La chiesa di S. Gregorio era invece posta non lontano dalle rovine di Carsulae. Ma Adriano e Pietro erano anche proprietari di una chiesa dedicata a S. Martino posta nella “regio S. Severini” all’interno di Narni. Ne rimangono dei resti, appena dietro il Palazzo dei Priori, di sicuro rifacimento trecentesco. S. Maria d’Ortiscano dovreb-

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be essere la chiesa attualmente annessa al cimitero di Narni, mentre S. Felicita a Fabbrucciano è sparita, ma sappiamo, più o meno, dov’era. S. Martino “in Flaianillo” presenta invece grossi problemi di identificazione, perché troppe chiese sono in diversi “Flaianillo”. Si rammenta che non è improbabile l’esistenza di un fundus così titolato ove insiste la chiesa di S. Martino a Taizzano. Un S. Martino con pari caratteristiche è a Montecastrilli, un altro ancora a Stroncone. Per una serie di ragioni propendiamo tuttavia per la prima ipotesi, soccorsi un poco dalla chiesa di S. Sabino, a Castelluccio di Montoro, subito dopo citata nel documento e quindi a quella spazialmente contigua. Successivamente, siamo nel 1100, Berardo di Rolando, “vir nobilis”, dona ai Farfensi la sua parte dell’oratorio di S. Valentino, di S. Simeone e di S. Maria in Monte. Dona anche, e la cosa è enormemente importante, il monastero di S. Maria Impensole nel cuore della città di Narni. Ivi i Farfensi costruiranno la chiesa attuale firmandola, per così dire, con due aquile imperiali ai lati della porta di sinistra. Ma le maestranze che hanno lavorato a S. Maria Impensole sono in stretta connessione con quelle che hanno costruito il Duomo di Narni. Si apre così un fecondo campo di indagine circa l’artista definito il “Maestro del duomo”. Campo che, ormai, non può prescindere dalla funzione della badia palatina nella città. Ruolo che deve meglio essere ricondotto non solo a esperienze politiche ma va invece interpretato più estesamente al campo dell’arte, dell’economia, delle istituzioni. Si ricorda che la primi-

tiva sede delle adunanze comunali era la chiesa, appunto, di S. Maria Impensole, a quel momento ancora farfense. Ma, conclusivamente, le chiese possedute o controllate da Farfa in Narni e nel comitato erano 28 . Il Bartoli Langeli afferma che le chiese della diocesi narnese erano 46. Ma la diocesi, lo ricordiamo, era più estesa del comitato. E lo studioso trae quella notizia dalle “Rationes decimarum” e cioè da una situazione riferita a 15 0-200 anni dopo il periodo da noi esaminato. Certo, è impossibile fare una stima precisa, ma la metà delle chiese narnesi sembra, in qualche modo, controllata da Farfa. Un fatto, questo, molto significativo, anche per una migliore lettura dei rapporti tra abbazia e vescovado. Altrettanto significativo è che di tutte le chiese sulle quali i Farfensi esercitavano dei diritti solo due erano entro la cinta urbana di Narni. Due su dodici. Evidentemente il vescovo non era molto disposto a sopportare intrusioni entro la città: e, d’altra parte, si sbarazzò ben presto di quella presenza. Fra i donativi effettuati a Farfa rientrano anche alcuni castra. Ne dona la già ricordata Susanna, ne donano Pietro e Adriano. Berardo, soprannominato Maco, dona “castrum Sigizonis”, detto anche “castrum Lagiae”. Talvolta Farfa stessa fortificava siti. Èil caso di Ponzano, Lorito, Lepoczica, S. Eugenia, Cerreta, Taizzano. L’ultimo gruppo di beni immobili ai quali dedichiamo la nostra attenzione sono le case, siano esse urbane o rurali, e i mulini. Una cosa colpisce leggendo i documenti farfensi. La diffusione nel narnese dei mulini fin dai primi decenni dell’an-


n el l ’alto me dioe v o: il c aso di Farfa La Provincia di Terni per la cultura

no 1000. Senza doversi produrre in una ricognizione della bibliografia sull’importanza dell’affermarsi delle nuove tecniche nel Medioevo, giova però qui sottolineare il loro significato per quanto riguarda l’organizzazione della società, il suo livello di miglior concezione della libertà individuale, la sua specializzazione. Nel 1019 è Adenulfo a donare “terra modiorum quinque … [ ] cum aquimolo molente”. Qualche anno dopo Lupo e Rosa regalano “omnem tertiam parte de uno aquimolo molendino”. Susanna, ancora, dona molti mulini senza dirci né quanti né dove. Anche Carbone conferisce il suo bravo mulino mentre i più volte citati Pietro e Adriano donano “duo aquimola molendina … [ ] in fundo stiphoni … [ ] et alterum molinum … [ ] in fundo corentiano”. Èragguardevole il fatto che quando Farfa torna ai due abati i beni da essi conferiti, dall’elenco piuttosto nutrito siano esclusi tre mulini che, evidentemente, si tenne. La badia imperiale esercitava così anche un vasto controllo sui mulini che erano, certamente, fonte di reddito ma anche di un reale potere politico. Se facciamo riferimento al solo frumento prodotto dai beni abbadiali a Narni, abbiamo che Farfa lavorava nel contado un quinto dell’intera produzione comitale. Verosimilmente però ne controllava di più. Ma, oltre ai beni immobili, altre cose erano conferite a Narni e nel contado a quella badia. Valentino dona campane, libri e parati. Romano di Adenulfo dà una campana specificandone il valore: 20 solidi, quasi 7 ettari di discreta terra sementarizia. Pietro prete, invece, figlio di

Giovanni, offre “de argento monetato libras IIII”. Carbone, oltre al monastero di S. Nicola, apporta “sepulturis, libris, cartis, paratis”. I libri, dunque, figurano spesso fra i beni donati a Farfa. Ed è significativo come vengano sempre dai monasteri. Esistevano scriptoria ove si producessero qui tali libri? Non possiamo dirlo con la stessa certezza con la quale possiamo invece asserire una sorprendente attività culturale nella zona. Peraltro un libro costava allora caro: Farfa lo scambiò con un contratto enfiteutico, riguardante circa 5ettari di terreno. Sappiamo di altri libri che sono costati 05 soldi: 2 libbre e mezza di buon argento, a Narni 14 ettari circa di buon terreno. Anche Offreduccio, rissoso conte che abbiamo già visto, fu costretto a lasciare a Farfa una quantità di beni “idest captionem meam et defraudationem rerum, scilicet aurum argentum, vestimenta … [ ] quanta obstuilisti michi cum tua potentia”. Si tratta di un valore di ben 05 libbre d’oro che viene lasciato all’imperiale badia. Come già altrove accennato Farfa non gestiva direttamente tutti i beni donati ad essa. A parte quelle che erano vere e proprie richieste di protezione, a parte le proprietà affidate alle quattro celle delle quali abbiamo già parlato, la badia, per svariate ragioni, preferiva talora allocare con diversi strumenti giuridici i suoi beni. Il Largitorio ci attesta almeno cinque atti di affidamento in terza generazione, effettuati per differenti motivazioni. Il primo è quello, sul quale ci siamo lungamente diffusi, riguardante i beni di Pietro ed Adriano. Il secondo è il caso dei figli di Berardo e Clera, aventi beni a Finoc-

chieto, Torricella e Balduino. Lì una lunga vicenda di contestazione immobilare venne risolta nel senso che Farfa conservò la proprietà di diritto e quei signori longobardi quella di fatto. Abbastanza più normali sono gli altri contratti. Pietro, Massarello e Pagano prendono per un affitto annuo di 8denari qualcosa come un’azienda di circa 080 ettari, pagando come cifra l’entratura quasi 3.000 solidi. Poco più di 2 solidi l’ettaro. Poco meno di 1 solido il moggio. Un giusto prezzo dunque. Ma è il fitto che risulta assolutamente irrisorio. Piccola operazione fu invece quella di Pietro figlio di Giovanni. Un giro d’affari che vide la transazione di cose per un valore di 20 solidi per un affitto di 2 denari, -56ettari di terreno e un casalino. Infine anche Gesfredo, figlio di Raniero, prende in affitto 6 moggi di terreno e un casale. Il tutto per 20 solidi e 2 denari di affitto. Il quadro, sommario, che si è offerto della presenza farfense a Narni nell’Alto Medioevo sembra denunciare chiaramente un fatto: la potenza della badia palatina nella zona è soprattutto politica e religiosa solo secondariamente economica. Il suo radicamento a Narni pare unicamente funzionale al ruolo filo-imperiale da essa giocato. Quando le motivazioni che avevano provocato la sua presenza nella città vennero meno, svanì anche l’ingente quantità di beni che essa aveva ivi accumulati. Ècon una sorta di maliconica nostalgia che 200 anni dopo un anonimo cronista ci dice tutto ciò che resta di quella presenza: tanto poco da non potersi permettere neanche il pagamento dei censi dai quali era gravato.

Le foto dell’Abazia di Farfa sono di Lorella Vignoli

Bruno Marone

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Solidarietà Tre figli come i nostri A volte, e parlo da mamma, ci sembra di non realizzare in modo completo ed esaustivo i desideri dei nostri figli. Per loro vorremmo il cielo servito su un piatto d’argento. Siamo dispiaciuti quando le ristrettezze economiche non ci consentono la vacanza da sogno, la bambola stra-pubblicizzata, la scuola (dei nostri) sogni. Ci sentiamo in colpa quando gli impegni lavorativi, ci sottraggono alle necessarie e costanti coccole che tanto tempo richiedono. Ci preoccupiamo del loro futuro e tremiamo per un raffreddore fuori stagione. Sport, musica, attività artistiche e contatti sociali sono alla base per la buona riuscita dell’azione educativa e al centro dei nostri pensieri quotidiani. Tutto nella norma per la nostra società che del benessere e del superfluo hanno fatto la ragione cardine di vita. Ma tutto è relativo. Una mamma e un papà che vivono nelle società in via di sviluppo hanno ben altre preoccupazioni. In Italia le associazioni che si occupano di diritti sulla salute mai permetterebbero che un bambino non possa essere curato, ormai è un fondamentale acquisito. Ma non è un diritto inalienabile in ogni parte del mondo, anzi. Ma qualcosa in comune c’è: il dolore di ogni genitore in qualsiasi angolo dell’universo nel vedere i propri figli soffrire.

Ed essere paralizzati dall’impotenza, dall’incapacità di trovare una qualsivoglia soluzione. Questo è il sentimento più forte di Jonuz e di sua moglie. Hanno tre bellissimi bambini Besmir, Arjeta e Jetmir tutti affetti da una grave e rarissima forma di diabete. Vivono in Kosovo dove non possono essere curati, in primis perché è difficile trovare insulina, poi perché l’insulina che si trova è costosa e di origine animale che è molto meno efficace rispetto alle innovazioni e ai progressi scientifici fatti in Italia. I bambini frequentano tutti la scuola elementare che in Kosovo dura 9 anni: Besmir frequenta la settima classe, Arjeta la quinta e Jetmir la prima. Sono molto studiosi, con ottimi profitti scolastici e un naturale amore verso la conoscenza. Besmir ed Arjeta praticano pallavolo,

Besmir suona il pianoforte, Arjeta il violino, Jetmir è ancora troppo piccolo per altre attività considerando anche lo stato di salute che li accompagna. I bambini hanno un sogno ricorrente: poter guarire per poter giocare con i loro amici e come i loro amici. I loro genitori sognano l’Italia come unica speranza di vita per i loro figli. Quando il caso è arrivato a noi, rappresentanti dell’Associazione Diabetici della Provincia di Terni, non potevamo che mobilitarci per aiutarli. Il diabete non guarisce, ma può stabilizzarsi e permettere una speranza di vita lunga e completa, bastano un regime alimentare equilibrato e una terapia insulinica appropriata. Il diabete non nega una vita serena ad adulti e bambini, ma se trascurato le sue complicanze sono devastanti. Non si muore di dia-

bete ma il diabete porta ad invalidità permanenti deturpanti: la retinopatia diabetica, la nefropatia, la neuropatia, il “piede del diabetico” sono le dimostrazioni nauseabonde di una infedele attenzione al problema. Non si muore di diabete in Italia… in Kosovo non lo so. So solo che Besmir, Arjeta e Jetmir devono avere cure immediate perché la loro condizione peggiora ora dopo ora e che i loro genitori non possono essere lasciati al destino anche perché il padre lavora in un negozio di generi alimentari un solo giorno a settimana guadagnando 120 € al mese e le cure per i tre figli ne richiedono circa 34.000 € in un anno. Medici umbri si sono messi a disposizione non solo per offrire loro le necessarie cure specialistiche di cui hanno bisogno (Arjeta ha già gravi complicanze alla vista), ma anche per studiare questo particolarissimo caso di diabete insulinodipendente resistente alle terapie. Fondamentale anche l’aiuto della Caritas e della comunità cattolica. L’Associazione Diabetici è attualmente impegnata a tempo pieno per i nostri bimbi kosovari attraverso alcune iniziative. La più importante è una serata teatrale di raccolta fondi per poter almeno pagare loro il viaggio in Italia e i primi sostentamenti.

Il 10 giugno p.v. presso il Tetro Comunale di Narni si terrà un musical “Al cabaret di Vivy” portato in scena dal Musical Art Center di Terni. Questa scuola di canto, recitazione, dizione e danza si è messa a disposizione per intrattenere il nostro pubblico sposando a pieno l’iniziativa e facendo rivivere il “Cabaret” ambientato nei primi anni del Novecento tra i fasti della Belle epoque e della vita mondana parigina. Il clima all’interno del locale di Vivy, proprietaria bizzarra ed originale, è brillante, sensuale, molto effervescente, la comicità è il filo conduttore dell’intero musical. Il costo del biglietto è di 10 €. I biglietti saranno venduti solo in prevendita presso l’Associazione Diabetici della Provincia di Terni telefonando al numero 0744/204917. Noi dell’Associazione, speriamo che la nostra amata Umbria sia, oltre al cuore verde d’Italia, un cuore d’oro capace di innescare una rete di solidarietà senza precedenti per salvare la vita a tre bambini, tre figli come i nostri. Francesca Capitani

Per chi volesse contribuire alla causa di Besmir, Arjeta e Jetmir può farlo utilizzando il conto: c/c postale n° 18155618 indicando la causale

Italia-Croazia, andata e ritorno Conosco Rosita Galvani da anni, da quando, rispondendo ad una iniziativa della Caritas di Terni, ho adottato a distanza un bambino della Croazia in occasione della sciagurata guerra nella ex Jugoslavia, territorio fin ad allora diviso, ma concorde. Una granata serba aveva distrutto la casa di Daniel Brnardic e della sua famiglia, che si era rifugiata in un garage, facendo di quel luogo senza finestre la propria casa, sia pure provvisoria. Era l’inizio degli anni ‘90. Io allora insegnavo, e i miei ragazzini di scuola media hanno scritto molte lettere a Daniel ed ad Andreja, la sua sorellina più piccola e gli hanno fatto compagnia con i loro racconti, i loro

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disegni, la descrizione della loro terra (Temi, la Cascata delle Marmore, il lago di Piediluco...), chiedendo in cambio notizie della Croazia, di Duga Resa, dove Daniel abita, della scuola che frequentava, della sua famiglia. Rosita traduceva le nostre lettere. E’ stato un periodo bello e intenso, nonostante la tragedia della guerra; i miei alunni hanno conosciuto da vicino una realtà che, attraverso giornali e TV, in genere, arriva distorta. La corrispondenza epistolare tra ragazzi riportava tutto a verità. Pacchi con abiti, scarpe, tute, palloni, sciarpe della Ternana, quaderni, matite, penne sono partiti alla volta della Croazia, e noi sapevamo che arrivava-

no a destinazione e ne avevamo testimonianza quando Rosita, che guidava con il marito il pullman che faceva la spola tra Terni e Duga Resa (vicino a Zagabria), ci riportava il video che riprendeva il momento della distribuzione dei pacchi. Abbiamo visto Daniel,

che già conoscevamo in fotografia, ricevere emozionato il suo pacco e tornare a casa accompagnato dalla mamma o dal papà; e insieme a Daniel tanti bambini che ci sembravano così poveri e infreddoliti, così spaventati e soli. Ormai Daniel ha più di venti anni, è un bel giovanotto biondo di riconoscibile etnia slava, studia all’università, è bravo e non ha più bisogno di me. La casa è stata ricostruita con tanta buona volontà dai suoi genitori e con qualche aiuto mio e di altri. La corrispondenza dei miei ragazzi con Daniel è inevitabilmente finita, ma continua tra me e Biserka, la mamma di Daniel. Quindi io ho ancora bisogno di Rosita. Come potrei fare

senza di lei? Adesso è qui di fronte a me, consegna la traduzione dell’ultima lettera di Biserka, tradurrà la mia risposta e, nonostante negli ultimi anni le siano nati due nipotini, questa bella e vitalissima signora croata, moglie di un dirigente ternano, trova ancora il tempo di dedicarsi alle traduzioni, per permettere a tante famiglie di Terni il colloquio a distanza con la Croazia. Il volontariato di Rosita è silenzioso, ma prezioso e indispensabile. Lo conosce solo chi ne riceve i benefici; ma di queste azioni di generosità bisogna parlare, gridarlo a tutti, per coprire le voci del male, della disperazione e dell’indiffeElettra Bertini renza.


Solidarietà Sciari, Niki e la strega del fumo

Il contesto è quello scolastico, così caro al mio cuore di ex insegnante, ma l’ambiente è diverso e diversi sono gli alunni, non più quelli di scuola media che io conosco, ma bambini di scuola materna ed elementare. Quando, invitata dal dott Giulio Chiappa, entro come spettatrice nella scuola ”Giuseppe Mazzini” in compagnia di una mia amica, ci accoglie una grande aula vociante, in fondo alla quale è montato un palco che, all’apertura di due tendoni rossi, rivela scenografie da teatro vero. Di fronte al palco più file di sedie occupate da giovani genitori emozionati e da nonni di buona volontà. L’atmosfera risuona delle voci gioiose dei bimbi. La scuola “Giuseppe Mazzini”, di cui è responsabile la direttrice didattica dott. Gabriella Bobbi, è la prima a Terni ad aver accettato di inserire nella programmazione annuale un progetto della LILT (Lega Italiana per Lotta conto i Tumori) contro il

fumo di tabacco, da realizzarsi con la rappresentazione di una fiaba dal titolo “Sciari, Niki e la Strega del Fumo”. La fiaba, proposta alle maestre, ai bambini e ai loro genitori dal dott. Giulio Chiappa e dal prof. Enzo Podelvento volontari della LILT di Terni, è entrata nei laboratori della scuola e ne è uscita animata da pupazzi di stoffa e ambientazioni suggestive, opera dei bambini guidati dalle maestre e del contributo di qualche genitore. Ma cosa possono capire bambini tanto piccoli di un progetto così ambizioso? Eppure, nonostante qualche vuoto di memoria superato allegramente, tutti hanno recitato con convinzione la propria parte. Nella fiaba, una bambina di nome Sciari e il fratellino Niki, nonostante le raccomandazioni della mamma di non dare retta a nessuno e di tornare a casa subito dopo la scuola, si fanno tentare da una strega cattiva e si ritrovano suoi ostaggi, chiusi in un antro buio e pieno di ragnatele dove il fumo li avvolge e li soffoca. La strega, messa in crisi dal pianto e dalla tosse dei bambini, attenua la sua malvagità e si lascia andare ai ricordi di un tempo in cui era una ragazza bella e corteggiata. Alla fine si farà convincere a rinunciare al fumo che la imbruttisce, le rovina le

pelle e i polmoni e mette a repentaglio la sua salute. “ Il fumo puzza e fa male!!!!” gridano i bambini, e lei tornerà ad essere la giovane attraente e felice di una volta. Chissà se il loro messaggio, oltre che alla strega, riuscirà ad arrivare anche agli adulti? Di sicuro questi bambini, dopo aver recitato la loro parte nella fiaba, avranno qualche perplessità, da adulti, ad accendersi una sigaretta, e sapranno difendersi con più fermezza dagli atteggiamenti derisori, ma sostanzialmente convenzionali, di chi ritiene giusto fumare. A conclusione della recita il palco si è riempito di bambini di ogni nazionalità (la società multirazziale è ormai una realtà) che hanno pronunciato, ognuno nella propria lingua la frase: Il fumo fa male! Una festa di voci, di suoni, di visi diversi, belli e sorridenti nelle loro caratteristiche somatiche e nell’affermazione della propria identità. La proposta coraggiosa della LILT potrebbe arrivare anche ad altre scuole della città. Il lavoro di preparazione di bambini così piccoli è sicuramente difficile, ma forse ci saranno altre maestre tentate da questa impresa, che potrebbe portare a risultati sorprendenti tra qualche anno. Scommettiamo?!!! Elettra Bertini

www.abitareinumbria.it

Una fiaba per adulti raccontata dai bambini

Nell’anno scolastico 20032004 il dott. Chiappa e il prof. Podelvento, volontari della Lega Italiana per la lotta contro i tumori, sezione di Terni, presentarono alle insegnanti delle scuole dell’infanzia e delle scuole primarie del Circolo didattico “G. Mazzini” di Terni un sussidio didattico utilizzabile come strumento per la prevenzione del tabagismo: un gioco incentrato su una fiaba da drammatizzare con dei burattini. Noi docenti della scuola dell’infanzia statale “G. Mazzini” (sezione I, II, III), “C. Guglielmi” (sezioni I, II, III, VI, VII) e “Vittorio Veneto”, abbiamo aderito a questa iniziativa riconoscendo il materiale fornito utile ed efficace ad avvicinare i bambini ad un problema, da noi tutte sentito, ma difficile da affrontare operativamente.

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La favola di Sciari, Niki e la strega del fumo, racconta di due bambini che, trasgredendo agli avvertimenti della mamma, si allontanano da casa e vengono rapiti da una strega bruttissima e crudele che ha bisogno di loro per far respirare il fumo delle tante sigarette da lei fumate. Sciari e Niki si ritrovano in una casa puzzolente e piena di bambini che tossiscono. Disperati, in un primo momento piangono, ma poi si fanno coraggio e decidono di affrontare la strega per dissuaderla dal fumare, dimostrandole affetto ed interessamento per la sua salute. La lettura della favola e la sua drammatizzazione con la mediazione dei burattini di pezza (forniti nella scatola gioco), ha affascinato i bambini, i quali hanno mostrato coinvolgimento e partecipazione costante: se in un primo momento l’identificazione con Sciari e Niki ha generato ansia e preoccupazione, il cambiamento della strega in simpatica e arzilla vecchietta che va per i monti a respirare aria buona ha accresciuto, nei bambini che ascoltano, la fiducia in se stessi e la consapevolezza che con l’aiuto degli altri è possibile affrontare e superare ostacoli e problemi. I bambini hanno comunicato, a casa, attraverso il racconto e gli elaborati grafici, la storia di Sciari e Niki, riconoscendoli come due eroi; hanno, poi, sollecitato i genitori a non fumare, per non diventare brutti come la strega e per non riempire i polmoni di fumo che fa venire la tosse. I genitori, da parte loro, hanno accolto l’esperienza positivamente, riconoscendo il fumo come problema e la sensibilizzazione precoce dei bambini come indispensabile per l’assunzione di stili di vita corretti. Scuole dell’infanzia G. Mazzini C. Guglielmi V. Veneto

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Piediluco Sulla strada per Piediluco Per andare a Piediluco da Terni, bisogna scalare una montagna, piccola. Si passa dai 130 metri di altezza sul livello del mare di Terni ai 374 di Piediluco. La strada statale 79, superato Campomicciolo, è tortuosa, trafficata, almeno in alcune ore del giorno, d’inverno insidiosa per le curve dette “a pacino” perché stanno a nord, e il sole non ci batte mai: né al mattino, né a mezzogiorno, né al tramonto di qualunque stagione. In automobile, salire richiede pazienza: spesso si formano lunghe file dietro ai camion. Ma vale la pena andare piano. Si possono riconoscere, nella varietà dei verdi a primavera, piante che non si sentono più nominare: cornioli, rose selvatiche, corbezzoli; si intravedono sentieri di montagna insospettati perdersi nel fitto intrico della macchia mediterranea. Si può gettare un’occhiata a Papigno, paese arroccato giù nella valle e chiaro, ma che io ricordo nero sui tetti, sui muri, sui cornicioni, sulla strada, sugli alberi e sull’erba per i depositi scaricati dalla fabbrica di calciociannamide che, come un ponte, congiunge ancora le due parti della valle Nerina scavalcando la strada. Forse, se si guarda meglio, si possono scoprire anche i fiori dei peschi, famosi per l’eccellenza del loro prodotti, scomparsi dopo alcuni anni di attività della fabbrica. Ma la strada sale, qualche

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curva a gomito richiede la nostra attenzione. Ecco le curve della Madonnuccia: si chiamano così la serie di curve a ridosso della montagna al termine della salita. La strada si appoggia alla roccia viva, che incombe, forse per una piccola Madonna, di gesso probabilmente, che si trova accostata alla roccia. Percorrendo la strada in bicicletta, mi accorgo che una discutibile costruzione in cemento con tettoia sporge dalla roccia e ora protegge un gigantesco quadro di una Madonna. Dove è finita la Madonnuccia? Da questa terrazza il panorama è mozzafiato: a destra la gola verso la cascata, davanti l’orizzonte aperto verso Cesi e Narni. Che tramonti di lassù! Ma se lo sguardo si avvicina

al precipizio, scopre le condotte forzate: giganteschi tubi che convogliano l’acqua verso la turbina che fornisce energia alla centrale di Galleto. Forse qualcuno come me, ricorda ancora coloro che morirono lavorando dentro quei tubi. Poco più avanti sbuca il sentiero ormai impraticabile, che percorrevano le giovani piedilucane, come mia madre, quando andavano a Papigno durante la guerra a prendere il pane con la tessera. Se siamo nell’ora fortunata ci viene incontro il bianco spumeggiante della cascata, imponente anche se se ne scorge solo un pezzetto. Spesso c’è l’arcobaleno. Marmore si attraversa con prudenza. Se il passaggio a livello è chiuso poco importa. Si dà un’occhiata alle case, tutte lungo la strada, ma coi giardinetti pieni di fiori.

La littorina va a Rieti e all’Aquila. E’ un treno piccolo, lento, spesso ha una sola carrozza. Tutti gli anni, a Natale, un gruppo di escursionisti ci sale per arrivare a Greccio. L’aria è già cambiata, è diventata più frizzante e sempre più profumata di erba, di acacie, di ginestre. Marmore passa, ormai è pianura, anzi discesa perché l’altimetria dice che Marmore si trova a 376 metri sul mare. La strada continua tortuosa e fiancheggia il fiume Velino il cui corso ora ha l’aspetto di un canale: imponenti lavori lo hanno raddrizzato, per favorire il flusso dell’acqua verso le turbine e la cascata; prima correva come la strada, tutto curve e sinuosità nascoste dai folti alberi della riva. Lungo le rive campi coltivati fino al ponte che porta alla stazione ferroviaria di Piedi-

luco, a sinistra i quartieri, quei pezzi di macchia con alberi da tagliare, che ogni anno vengono concessi a chi ne fa richiesta. Un’ennesima curva ed ecco il lago. In qualunque stagione, direi in qualunque giorno dell’anno, lo spettacolo è diverso e affascinante: ora le basse brume scoprono appena il pelo argentato dell’acqua, ora il sole a picco incombe sul solitario pescatore immobile, una vela solca le acque, il ritmico scendere dei remi in acqua dei canottieri increspa la superficie. Intanto il paese si specchia tranquillo, silenzioso in un’acqua che non è più limpida. Ricominciano le case: ecco “le ex colonie”. L’edificio da sempre bianco, ora celeste, imponente sulla cima del Colle Santo, edificato durante il fascismo per ospitare come colonia bambini malati di tisi, è stato l’albergo, durante la guerra, di inglesi, di tedeschi, poi ancora casa per bambini, per qualche tempo. Al posto dell’ultimo campo da tennis, vicino al lago, fino a qualche anno fa c’era una piscina a misura di bambino. Era quella delle colonie. Siamo ad un bivio. Si può attraversare il paese oppure proseguire per la variante. Vale la pena attraversare il paese, ma questo percorso richiede un’altra storia. Roberta Fanti


Un punto di ritrovo per gli amanti della buona cucina.... Se la pubblicità dello scorso mese Vi è stata gradita, avrete sicuramente la curiosità di sapere dove si trova precisamente questo locale… Vecchia Osteria sorge fra l’incantevole scenario del Lago Piediluco e del suggestivo paese di Labro. E’ nella meravigliosa terrazza panoramica che potrete gustare i migliori piatti cucinati con sapienza da “mamma Antonietta” che si diverte ad abbinare i sapori della nostra terra. Ottimi i ravioloni dalla sfoglia tirata a mano e farciti con mozzarella di bufala e melanzane, conditi con filetti di pomodoro rosso, basilico e olio extra vergine di oliva proveniente dalla sottostante azienda agricola La fattoria. Per non parlare dei gustosi antipasti e dei fantasiosi dessert! Ma forse è meglio lasciare spazio alla curiosità, anche perché chi scrive è di parte. Vi aspettiamo! Vecchia Osteria

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Ne l l e s p i r a l i d e l d est i n o

Massimo Rosati, neurochirurgo temano 42 enne residente a Lugnano, ha presentato a Terni, in anteprima assoluta sul territorio nazionale, la sua prima opera narrativa, il romanzo thriller Gilgul. Appassionato di storia della filosofia occulta e delle religioni, come dimostrato da un suo prossimo impegno a favore della associazione PRO-JERUSALEM a Milano, riguardo ad una tematica concernente i Templari e le principali religioni monoteistiche, l’autore svolge la sua professione di neurochirur-

go tra l’Italia, la Svizzera e la Germania. Per la ricchezza documentale la sua opera è degna di essere annoverata tra i migliori romanzi storici. Come nel più avvincente dei thriller intreccio e mistero si accavallano nello scenario di un giallo mozzafiato. La sfida dell’autore è quella di avere ambientato la sua storia, oltre che in Svizzera e nel nord Italia, nelle regioni e nelle città del centro della penisola. Il romanzo infatti trae la sua origine e la sua conclusione proprio a Terni. Non il LOUVRE di Parigi, non le sale Vaticane di Roma ma i suggestivi paesaggi delle regioni appenniniche, del lago di Como, del Verbano e del Ceresio. Un connubio imprescindibile tra vita, professione e la misticità dei suoi luoghi d’origine. Il lettore è accompagnato in un affascinante viaggio alla scoperta di alcuni segreti della tradizione esoterica,

D O V E

della storia e delle religioni ma senza suscitare negli animi un sentimento di spettacolare alienazione dalla propria o se si vuole personale professione di fede. Il sentimento commosso dell’autore è un invito alla comprensione ed alla reciproca conoscenza tra i popoli, senza divisioni etniche o di religione. L’iniziazione e la conoscenza, l’alchimia e la scienza medica. Sì, quella scienza medica sempre più invadente e perennemente in bilico tra le esigenze crescenti di nuove frontiere commerciali e princìpi etnico-religiosi. Ma comunque vadano le cose l’attore, il protagonista è sempre l’uomo, con la sua fisicità e la sua anima. Il destino è un mezzo, un fine od ambedue le cose? Esiste il libero arbitrio o siamo permeati da una cosmica ineluttabilità? L’autore non ci dà una risposta ma ci invita a riflettere su alcuni dei temi

T R O V A R E

e principali interrogativi della nostra esistenza. Nelle sue interviste Massimo Rosati cerca di nascondersi. Nega con sottile e perfida ironia ogni riferimento autobiografico. Chi lo conosce bene come me gli ha rivolto la stessa domanda “ma è veramente accaduto?”. Il romanzo in effetti è anche una satira molto ironica su un certo modo di fare la medicina e su un certo modo di trattare i dipendenti stimati ed affidabili in una qualsivoglia azienda. L’autore perdonerà la mia intraprendenza poiché, se la memoria non m’inganna egli è stato rappresentante degli studenti di medicina e chirurgia dell’Università di Perugia, presidente dell’ordine dei Medici Ospedalieri Ticinesi ed attualmente è deputato alla Camera dei Medici di Berna per il Canton Ticino. Ogni riferimento è puramente causale? Come un puzzle da perfetto

L A

e sincronizzato meccanismo tutti i tasselli del romanzo si assemblano perfettamente prima della conclusione finale, da cardiopalma, ma chiarificatrice. Il messaggio esoterico ed il thriller offrono al Lettore una duplice chiave di lettura e a buona ragione può essere definito accessibile ad un pubblico eterogeneo, ma molto attento. Quest’opera e un’importante risposta ternano-luganese a certi “codici scodificati” riesumati da presunte verità di stampo commerMario Grunwald ciale.

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oltre presso università, scuole, sale d’aspetto di studi professionali, ambulatori medici... Acconciature maschili, c. del popolo 93 - Aladin, v. di Vittorio 27 - Alfredo Visaggio, v.le Stazione 32/38, 0744420298 - Annamaria calzature, Centro Cesure - Antica merceria, c. Vecchio 52 Antonio Visaggio, c. del popolo 75/83 - Artemide argenti, v. Beccaria 5 - A volte 3, v. Mancini 10 - Bar Firenze, p.zza Solferino 15 - Bar Marilyn, v. Battisti 71 - Bar Milardi, c. del popolo 58 Bar Petriachi, v.le della stazione 8/10 - Bar Rosati, Centro Cesure e Viale Brin - Bar Rossi, c. Vecchio 46 - Bar Tacito, c. Tacito 83 - Bar Umbria, v. Battisti 64 - BCT, p.zza della Repubblica 1 Beautiful, Centro Cesure - Beauty Relax Center, v. Garibaldi 14, 0744402068 - Billy music, v. Battisti 16 - Blunauta, v. Goldoni 1 - Brico casa, C. Cesure - Briganti Corredi, v. Fratini 22 Brooks, l.go Villa Glori 26 - Caffè Caruso, v. Battisti 38c/d - Caffè Clapier, v.le della stazione 43 - Caffè Garibaldi, v. Garibaldi 72 - Caffè dei portici, c. del popolo 91 - Caffè del Corso, galleria del Corso 4, 0744431281 - Calzature Martellini, v.le della stazione 34 - Cartolandia, v. Battisti 3b - Cartolibreria Erika, v. Rossini 115/117, 0744282056 - Cartoplast, v. Battisti 50 Casa del canarino, v. Battisti 52a - Casagrande, c. Tacito 70 - Cascianelli, v. I Maggio 37/39 - Centro Commerciale Cospea, v. Montefiorino 12 - Centro Tim, c. Vecchio 26 - Cervellifoto, v. Goldoni 2, tel. 0744404946 - Cinzia, c. Tacito 101/a - Copisteria Listanti Anna, v.le della stazione 33 - Copisteria Signe, p.zza Solferino 19 - Copy center, v. Battisti 54 - Copy service, v. Battisti 14 Cristall bar, c. Vecchio 123 - Dolce forno, v. Battisti 48g - Dolcemania, v. Turati - Donatella parrucchiera, v. Battisti 3 - Donati sport, v. Beccaria 30/32 - Edicola Antonini, lg. dei banderari Edicola Bellaccini, c. Tacito - Edicola Ciarulli, v.le Stazione - Edicola di Marco, v. Petrucci - Edicola Piazza della Repubblica - Edicola Rossi, p.zza S. Francesco - Edicola di v. di Vittorio - Edicola di v. Tre Venezie - Edicola di v. Turati - Edicola n° 7, v. Battisti - Effetto donna, v. Garibaldi 50 - Elettromnia, c. Vecchio 71 - Farmacia Aita, v.le della stazione 26 - Farmacia Bianchi, Via Battisti - Farmacia nuova, v. Garibaldi 5 - Farmacia Morganti, c. Vecchio 9 - Foto Max, Centro Cesure - Fuel station, p.zza Ridolfi 14 - Forno Pasticceria Colasanti, p.zza del mercato 33 General Store, c. Vecchio 155 - Gruppo Central Motor, strada di Maratta Km 2.800, 074424631 - Hong Kong abbigliamento, c. Vecchio 56 - Idee per la testa, strada di S. Rocco 48 Il brutto anatroccolo, v. Merlino di Filippo 32 - Il fiore, Via Oberdan 8a - Il forno di Giulia, v. Battisti 25 - Il gambero d’oro, v. Rossini 214b - Il quadrifoglio, v. Garibaldi 101/103 - International jazz, v. Battisti 42 - Jalenti, v.le Nobili 4 - Krash, p.zza del mercato 1 - L’acagiù, l.go Villa Glori 20 - La coccinella, c. Vecchio 36 - Lady B, v. Turati 29R - La fonte del pane, Strada di Cesure 20 Laura, c. Vecchio 120 - Lavanderia di Sabantonio Angela, v. Battisti 40b - LCA Mirto, v. di Vittorio 15/17 - Le case di Habana, c. Vecchio 34 - Leo abbigliamento, c. Vecchio 40 - L’elefante, c. Tacito 74 - Libreria Alterocca, c. Tacito 29, 0744409201 - Libreria Goldoni, v. I Maggio 29 - Linea donna Dina, v. Garibaldi 7 - Loegi, v. Battisti 46 - Logica informatica, v. Colombo 10/12 Luxuria Moda, c. Vecchio 48/50 - Mail boxes, p.zza Ridolfi 18 Marco calzature, v. Colombo 5 - Maxi Giuli, v. Battisti 5 - Mdue copisteria, v. T. O. Nobili 12/14 - Meltin’ pot, v. Battisti 10 - Mode Manni, c. Tacito 9 - New Sinfony, galleria del Corso 12 - Nuova libreria Battisti, v. Battisti 76 - Nuovo Normalmente chiamata ristrutturazione, è il primo fondamentale Trattamento Eubiotico. caffè Clapier, c. Tacito 134 - K2 solarium, v. Garibaldi 55 - Ohio Spazio OmniSi può applicare sia al viso che al corpo ed è il contrario del peeling; ha lo scopo di tel, v.le Stazione 42 - Ottica Gili, v. Battisti 36 - Ottica Pielicè, v. I Maggio 64a restituire alla pelle la capacità di provvedere fisiologicamente al rinnovo dell’epidermide. Pallini, c. Vecchio 110 - Parrucchiera Les folies, v. Battisti 48e - Pasticceria La Una volta ristrutturata, l’epidermide sarà in grado di immagazzinare i princìpi attivi briciola, v. del Rivo 154 - Pasticceria Marchetti, v. I Maggio 68 - Pasticceria contenuti nel cosmetico eubiotico, rilasciandoli quando la pelle Modernissima, v. Battisti 41 - Pelletteria SHU, v. Garibaldi 112 - Pizza Italia, v. ne ha bisogno. Per far comprendere meglio la sua funzione, I Maggio 54 - Pizzeria della fontana, p.zza Tacito 15 - Pizzeria Paolo, p.zza delio faccio sempre alle mie clienti l’esempio del mosaico. la Repubblica 25 - Pizzeria dell’Orologio, v. Battisti 19/A - Pizzeria Elio, p.zza Una pelle paragonabile ad un mosaico integro, Solferino 25 - Pizzeria Epifani, v. Battisti 34 - Pizzeria Europa, c. del popolo 56 è una pelle ristrutturata, idratata, elastica, tonica, - Pizzeria Sandra e Pino, v. Turati 29F - Pizzeria Superman, c. Tacito 106 - Pixel che riesce ad assimilare il cosmetico adatto ad essa. games, v. Battisti 48b - Placebo, v. Cavour 45 - Prima infanzia, v. Battisti 78 Se pensiamo invece ad un mosaico con alcuni tasselli Primi passi, v. Garibaldi 85 - Priscilla, v. Garibaldi 91 - Profumeria Grassi, mancanti, questa è una pelle destrutturata, Centro Cesure - Profumeria Villaglori, lg. Villa Glori 6 - Punto cultura, p.zza della Repubblica 1g - Ristorante La Piazzetta, v. Cavour 9, disidratata, acneica perché ha subito squilibri sebacei 074458188 - Rosati bimbi, l.go Villa Glori 8 - Sabatini Ciro, p.zza Buozzi 24 (ATTENZIONE: una pelle grassa o acneica non è Sanitaria, Centro Cesure - Sanitaria Spanò, c. Vecchio 146 - Sergnese, p.zza deldetto che sia solo grassa, può avere anche parti la Repubblica 4 - San Valentino Sporting Club, v. Turati 81, disidratate, dovute a squilibri interni. 0744277908 - Stazione Ferroviaria, p.zza Dante - INPS, v.le Stazione La ristrutturazione riequilibra anche questo genere di Tabaccheria Calidori Donatella, v. Garibaldi 49 - Tabaccheria Macellari, p.zza problemi). La pelle, inoltre, può essere atona a causa della Repubblica 26 - Tabaccheria Milleunidea, V. Rossini 141 - Tabaccheria di agenti atmosferici quali vento, freddo, sole, radicali liberi. Napoletti, c. Vecchio 17 - Tabaccheria Parrabbi Carlo, v. Battisti 58/A - TabacIn tal caso, qualunque cosmetico si vada ad applicare cheria Raffaeli, v. di Vittorio 1 - Tabacchi Andreucci, v.le della stazione 41 entrerà in circolo attraverso questi tasselli mancanti e Tabacchi Vizi e Virtù, c. Vecchio 127 - Tedeschi, c. Vecchio 101 - Terniedicola, lascerà la pelle asciutta. La ristrutturazione è un trattamento Largo S. Gallo - Tessilmoda, c. Vecchio 92/94 - Tiziancaffè, v. Battisti 23 che, equilibrando tutti questi stati, ricompatta lo strato corneo. Tre prezzi, p.zza del mercato 17 - Ullana fiori, v. Battisti 21 - UK generation, Dona alla pelle turgore, compattezza luminosità, v.le della stazione 70 - Vagnozzi, v. Goldoni 29/31 - Vecchia Osteria, Ss 79 elasticità e attenua anche rughe e macchie cutanee. Km 28 Piediluco (TR), 0744369111 - Viavai, c. Vecchio 148 Katia Di Rocco Violazzurra, Centro Cesure - Vobis computer, v.le della stazione 35a.

Ristrutturazione della barriera di permeabilità

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homo ridens Panorama parlamentare Sul nuovo governo di Silvio Berlusconi desolato il commento di Francesco Cossiga: Ci mancava solo il bis-unto del signore… Francesco Storace s’è già messo a dare consigli agli Italiani su come mantenersi in salute, alla maniera del suo predecessore. Magnate de ppiù, bevete de ppiù, fumate de ppiù! ha raccomandato l’erede di Sirchia. Galan è rimasto un po’ male vedendo Storace entrare nel governo. A saperlo, me fasevo trombare anca mi… ha borbottato. E subito Storace, per fare la figura del furbo, gli ha dato a intendere che lui ha fatto apposta a perdere, sennò col cavolo che quel Marrazzo lì… Per non essere da meno, a questo punto Formigoni ha spiegato che lui non s’è fatto trombare unicamente perché sarebbe stato contrario ai suoi principi di cattolico. La Malfa! (“E la battuta?” “È questa.”) Sul Ministero per le riforme v’è stato un braccio di ferro tra la Lega, che voleva mantenervi Calderoli, e AN e UDC, che avrebbero preferito al suo posto un meridionale, per attenuare l’impressione negativa che l’elettorato del Sud ha avuto della riforma costituzionale. Alla fine s’è trovata una soluzione di compromesso che ha accontentato tutti: Calderoli rimane ministro per le riforme, ma le

riforme non si faranno. Suscita perplessità il ritorno di Tremonti. Giovanardi, notoriamente in disaccordo con la linea di condotta di Fini e Follini, pare l’abbia così commentato: Avete fatto un gran casino per mandarlo via e adesso ne avete fatto un altro per farlo tornare. Furbi. Molto furbi. Il programma di Buttiglione, nuovo ministro per i beni culturali? Intanto, smettiamola di portare le scolaresche in gita per i musei a guardare tutte quelle statue romane con gli attributi di fuori… I ministri sostituiti sono ovviamente dispiaciuti di non essere più al governo. Unica eccezione quella di Marzano, che non s’era mai accorto di farne parte. In molti si stanno domandando che cavolo sia questo nuovo Ministero per lo sviluppo e la coesione territoriale. A mezza voce, Micciché ha spiegato: Sarebbe un dicastero per il Mezzogiorno, ma stiamo cercando di non farlo capire alla Lega… Varato il nuovo governo, la frattura tra Berlusconi e l’UDC può dirsi ricomposta? Il cavaliere sostiene di sì ed accredita agli occhi dell’opinione pubblica l’avvenuta pacificazione con dichiarazioni concilianti, del genere: In fondo, se Follini mi ha chiesto il bis vuol dire che il primo governo gli è piaciuto.

Derive e apProdi Alla schiacciante vittoria alle regionali i diessini hanno reagito con spirito diverso, conformemente alle rispettive personalità. Ad esempio Veltroni, letti i risultati definitivi, si è messo a correre come un pazzo per i corridoi della segreteria del partito, gridando “Abbiamo vinto noi!”, finché non si è trovato di fronte Fassino, il quale, compassato come al solito, lo ha zittito e stoppato con un sentenzioso: “No. Hanno perso loro.” Di fronte allo sfacelo della compagine berlusconiana, D’Alema timidamente ha suggerito ai suoi: “Che ne dite, forse adesso è il caso che cominciamo a darcelo,

un programma di governo?” Incredibilmente, l’esito delle regionali non ha soddisfatto tutti, a Sinistra. Rutelli, per esempio, lo si è udito brontolare, scuro in viso: “E adesso come ce ne liberiamo, di quello lì?”. È da credere che non si riferisse a Silvio Berlusconi. “La Sinistra sta attraversando un trend positivo da paura” ha rilevato Gad Lerner. “Ha vinto tutte le elezioni tenutesi dopo il 2001.” “Guarda che ci sono già i primi segni d’un’inversione di tendenza” ha ribattuto Giuliano Ferrara. “Che mi dici dell’elezione di Benedetto XVI?”.

LA PAGINA

Ferdinando Maria Bilotti Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002 presso il Tribunale di Terni Direzione e Redazione: Terni Via Carbonario 5, tel e fax 0744.59838 Tipografia: Umbriagraf - Terni M. Battistelli, A. Ratini, A. Scalise, G.. Talamonti, S. Tommasi, C. Visaggio, G.. Viscione

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L’ANGOLO

“Un popolare detto afferma che la storia è scritta dai vincitori. Appena letto mein Kampf compresi subito perché Hitler avesse perso la guerra: non sapeva scrivere.” Autore sconosciuto. Mi accingo alla visione del film munito di crocefisso, corona d’aglio e bottiglietta di acqua santa, in compagnia di un amico esorcista. Faccio appena in tempo ad accomodarmi sulla poltroncina, quando all’improvviso si spengono le luci ed una esplosione di trombe annuncia sullo schermo la scritta Tanto tempo fa, in una nazione lontana lontana… Il film è iniziato. Ma dopo neanche 15 minuti mi rendo conto, alquanto sbigottito, di quanto fosse errata e lontana dalla realtà l’opinione che mi ero fatto su Fuhrer Adolfo. Una vera pasta d’uomo! Parla con gli uccellini, coccola le segretarie. Anzi con loro gioca spesso al petino. Il gioco consiste in questo: Fuhrer Adolfo, con aria muffa, si avvicina al gruppetto delle segretarie e sgancia una puzzetta silenziosa. Poi, tossendo in segno di monito, guarda la prescelta del momento. La malcapitata china lo sguardo arrossendo, mentre lui, accarezzandole i capelli e con voce piuttosto altina (che infamone!), declama: Non ti preoccupare cara, capita a tutti!, e alquanto compiaciuto, con aria sardonica, si ritira fischiettando nelle sue stanze. Il film seguita con un elenco delle sue virtù. 1) Era vegetariano, ma dato che era ghiotto di maccheroni al ragù, dobbiamo desumere che lo fosse solamente da parte di padre. 2) Non fumava, ma ci teneva a sottolineare che, a debita distanza, non impediva a nessuno di fumare; (sigh!). 3) Non beveva alcolici. 4) Non trombava; non a caso Eva Braun era soprannominata la nervosetta. Insomma, era un uomo che, come bocca di rosa, anteponeva il calore umano ad ogni cosa. Il suo bunker di Berlino, continuamente bombardata (i russi erano ormai alle porte), era un esempio di dimora umi-

del

GRANDANGOLO

le ma onesta. Tutto sarebbe stato perfetto, ma ognuno ha la sua croce: la sua era diventata il popolo Tedesco! Ogni giorno che passava diventavano sempre più discoli e non eseguivano più i suoi ordini alla lettera. Ecco alcuni dialoghi illuminanti. Il Fuhrer molto arrabbiato: Come mai i russi sono così vicini? Un generale: Perché non abbiamo più uomini per difenderci Fuhrer. Fuhrer: Non oserete accampare una scusa così meschina!!! Dopo un po’ il Fuhrer, sempre più arrabbiato: Come mai i russi sono ancora più vicini? I generali in coro: Perché non abbiamo più uomini per difenderci Fuhrer. Il Fuhrer: Allora attaccate!!! Dopo un altro po’, il Fuhrer imbestialito: Come mai abbiamo i russi a cena stasera? I generali non rispondono più, tanto oramai… Il Fuhrer: Non penserete mica che abbiamo perso?! Ho già stretto alleanza con alcuni supereroi Marvel e sto prendendo accordi con la quarta Divisione di Amon! Una vera tristezza vedere un tale uomo circondato da un branco di generali da strapazzo e da un esercito di codardi incapaci. Persino i civili, cosa mai successa, avevano raccolto le firme per una petizione, disturbati dagli schiamazzi notturni provocati dai continui bombardamenti. Intanto la nervosetta tentava di tenere alto il morale organizzando nei saloni superiori feste da ballo a ritmo di swing, con tanto di caviale e champagne; ma quei cafoni dei russi bombardavano regolarmente, cosa inaudita, il salone delle feste. La fine del film è un crescendo rossiniano di sfighe. I russi sfondano su tutti i fronti. Goebbels va in giro piagnucolando:

Ho disubbidito per la prima volta al Fuhrer, mi ha ordinato di lasciare il bunker, ma io non lo voglio abbandonare, ecco...! Il Fuhrer va in giro piagnucolando: Spear (suo architetto personale) mi ha disobbedito per la prima volta, da lui non me lo aspettavo però! In effetti Spear non poteva rivelargli che i contratti d’acquisto dei monumenti e dei musei, tra i quali il Colosseo e la fontana di Trevi, firmati Totò e Peppino, erano falsi, e che lui si era fregato i soldi. Per cui non poteva eseguire l’ordine di farli saltare in aria. Eva Braun, immutabile, va in giro piagnucolando: I russi mi bombardano continuamente il salone delle feste! Uffa...!!! Malato e deluso Fuhrer Adolf dona a tutti una pasticchetta di veleno per un glorioso suicidio collettivo. Gran parte degli ufficiali, con aria palesemente delusa, lascia cadere a terra con fare indifferente la pasticchetta. Alla fine il cerchio si chiude. Eva sposa Adolf e finalmente possono isolarsi nel talamo nuziale e spararsi. I coniugi Goebbels, famiglia encomiabile, si sparano a vicenda. Insomma chi si avvelena di qua e chi si sforacchia di là. Una Cambogia. Anche le intuizioni di Fuhrer Adolf, riguardanti le sue sturmtruppen, alla fine si rivelano esatte. Quei vigliacchi dei suoi commilitoni, alla vista dell’esercito russo, ideano un geniale stratagemma. Portandosi la pistola alla tempia gridano: Compagni…, ho catturato un tedesco. Se si muove gli sparo! Ma essendo ormai completamente rincitrulliti, appena si muovono si sparano. Si riaccendono le luci, il film finalmente è terminato. Lo sconvolgimento mentale che mi ha procurato mi preoccupa. Pensoso esco dal cinema, faccio due passi respirando profondamente per riprendermi e, arrivato davanti a un bar, entro e mi siedo ad un tavolino. Non trascorre molto tempo dall’arrivo di un cameriere. Alla domanda di prammatica: Che cosa ordina signore? rispondo senza esitazione: Spostate tutte le truppe al confine polacco! Orlando Orlandella

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