Numero 11 5 maggio 2014
Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura Nuova Compagnia Teatro Città di Terni
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B AT T I S T E L L I
Fot o Al bert o M i ri mao
Cent’anni d’Europa Era davvero diversa l’Europa, giusto un secolo fa. E un secolo non è poi molto: il tempo di una vita umana, per qualche fortunato. Eppure in questo 2014 la campagna elettorale per l’elezione del Parlamento Europeo disegna un’Unione in gran parte svogliata, e in parte perfino scettica. Di certo, la vera unità continentale è molto lontana, perché ancora lontanissima è la consapevolezza stessa degli europei che si accingono ad andare alle urne. È immaginabile che, nella stragrande maggioranza, non sappiano dire non solo i nomi, ma neppure il numero dei paesi membri della UE. Sarebbe interessante fare un piccolo sondaggio composto di due sole domande: 1) Quanti sono gli stati della UE?; 2) Quanti sono gli stati degli USA? È forse eccessivo pessimismo pensare che persino all’interno dell’Unione la risposta esatta alla seconda domanda (50) sarebbe molto più frequente della risposta corretta alla prima (28)? Ventotto nazioni (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria), diciotto delle quali condividono un’unica moneta, l’euro. Ventotto stati che dovrebbero condividere anche molto altro, per dare ai loro abitanti il senso di unità sovranazionale: ma il processo di unificazione è ancora monco e zoppo, e quel che più preoccupa è che le sue condizioni di salute non sembrano volgere a miglioramento. Basta guardare la campagna elettorale in atto: quasi inesistente in molti stati, e anche in quelli dove la mobilitazione è un po’ più sentita, lo è in genere per ragioni di politica nazionale (cioè locale, quasi provinciale) più che realmente europea. E negli slogan e nei comizi, a parlare di Europa sono solo i partiti e i movimenti che non la vogliono, e la nominano solo per parlarne male.
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E così diventa ancora più strano, pensare all’Europa di un secolo fa. Perché giusto cent’anni fa correva il terribile 1914, anno spartiacque come pochi altri della storia. Cent’anni fa l’Europa era il centro assoluto del mondo, tant’è vero che gran parte di esso era letteralmente posseduto dagli europei. L’Europa si godeva i frutti di un lungo periodo di pace, ma era sempre divisa come in tutta la sua storia: l’ultima guerra seria che l’aveva insanguinata era stato il conflitto franco-tedesco del 1870. Le armi europee non erano certo rimaste disoccupate, da allora, ma erano state usate soprattutto per tacitare -appunto- quelle piccole parti del resto del mondo che ogni tanto si ribellavano alla supremazia europea. La più grande potenza del globo era la Gran Bretagna, e quasi tutte le altre grandi entità politiche risiedevano tra gli Urali e l’Atlantico: tre grandissimi imperi (quello russo degli zar, quello austro-ungarico di Francesco Giuseppe e, incredibilmente, ancora l’Impero Ottomano di medievale memoria) coprivano gran parte della cartina geografica del Vecchio Mondo e, con la sola possibile eccezione degli ottomani, sembravano saldi e solidi come la proverbiale roccia. Non c’erano grosse nubi all’orizzonte. Le diplomazie continentali facevano e disfacevano alleanze: si guardava un po’ male per un po’, salvo poi ritornare all’ordine prestabilito, un complicato equilibrio ottenuto da una sapiente miscela di rispetto e timore, ma che non sembrava correre davvero troppi rischi. Ma bastò una scintilla in Bosnia, e cambiò tutto. Lo scoppio della Grande Guerra non è certo stata causata solo dai colpi di pistola che Gavrilo Princip esplose contro l’arciduca Francesco Ferdinando il 28 Giugno di cent’anni fa, ma è ancora stupefacente come gli eventi siano allora precipitati di colpo, con effetti del tutto devastanti non solo sull’Europa, ma sul mondo intero. I tre grandi imperi sparirono per non risorgere mai più; l’Europa perse per sempre la sua centralità nel mondo, e tutti gli equilibri si ruppero e non si ricomposero, specialmente se si considera -come ormai tutti gli storici fanno- la Grande Guerra solo come il primo atto di una carneficina generale che è perdurata fin oltre la fine della Seconda Guerra Mondiale. Una causa davvero troppo piccola, per degli effetti così grandi e durevoli. Non è certo il caso di rimpiangere l’Europa di inizio Novecento: era un tempo e un luogo che, seppur probabilmente piacevole per alcuni abitanti di quest’angolo di globo, lasciava gran parte degli esseri umani in condizioni drammatiche, ancor più di adesso. Ma è necessario cercare di evitare di scatenare catastrofi arrestabili ed evitabili. Se unire i paesi europei aiuta anche solo un po’ ad evitare simili tragedie, allora vale la pena di coltivarla, l’idea dell’Europa Unita. E sperare che cresca. P i e ro F a b b r i
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LA PENSIONE INTEGRATIVA Quando andremo in pensione, manterremo la stessa retribuzione che percepiamo oggi? Con l’ultima riforma previdenziale, le anzianità contributive maturate dopo il 31 dicembre 2011 saranno calcolate, per tutti i lavoratori, con il sistema di calcolo contributivo. Il sistema contributivo è un sistema di calcolo della pensione che si basa su tutti i contributi versati durante l'intera vita assicurativa e si distingue dal sistema di calcolo retributivo, che si basa invece sulla media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni di vita lavorativa. Pertanto, tutti i lavoratori che avrebbero usufruito di una pensione calcolata esclusivamente con il calcolo retributivo, avranno una pensione in pro rata calcolata con entrambi i sistemi di calcolo. Questo implica che nella stragrande maggioranza dei casi le nuove pensioni saranno nettamente più basse dell’ultima retribuzione percepita. Quale soluzione ci consiglia per mantenere lo stesso tenore di vita? Aderire sin da subito a un Piano Individuale Pensionistico oppure ad un Fondo Pensione Aperto rappresenta una strada obbligata per compensare i GAP pensionistici derivanti dal sistema previdenziale obbligatorio. Aderendo ad una forma di previdenza complementare, oltre alla pensione integrativa, avrò altri benefici? I contributi versati sono deducibili dall’imponibile IRPEF fino ad un massimo annuo di € 5.164,57. La tabella seguente illustra quante minori tasse pagherà, anno per anno nella fase di accumulo, un aderente a un PIP o ad un Fondo Pensione aperto.
Intervista all’Agente Generale
Gianluca Gambini gravissime situazioni relative a sé, al coniuge e ai figli per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche; - decorsi otto anni di iscrizione, per un importo non superiore al 75 per cento del capitale maturato, per l'acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli; - decorsi otto anni di iscrizione, per un importo non superiore al 30 per cento del capitale maturato, per ulteriori esigenze degli aderenti. Inoltre, è possibile chiedere il riscatto nei seguenti casi: - nella misura del 50 per cento della posizione individuale maturata, nei casi di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo non inferiore a 12 mesi e non superiore a 48 mesi, ovvero in caso di ricorso da parte del datore di lavoro a procedure di mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria; - totalmente, in caso di invalidità permanente che comporti la riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo e a seguito di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi. Messaggio promozionale riguardante le forme pensionistiche complementari. Prima dell’adesione ai Fondi Pensione aperti gestiti da UnipolSai Assicurazioni leggere il Regolamento e la Nota Informativa che possono essere richiesti in Agenzia, e consultabili sul sito internet www.unipolasai.it, alla sezione previdenza complementare. Messaggio promozionale riguardante le forme pensionistiche complementari. Prima dell’adesione ai Piani Individuali Pensionistici (PIP) gestiti da UnipolSai Assicurazioni, leggere la Nota informativa, il Regolamento e le Condizioni Generali di contratto che possono essere richiesti in agenzia e sul sito internet www.unipolsai.it, alla sezione previdenza complementare.
Come posso finanziare la mia posizione di previdenza complementare? Il Piano Individuale Pensionistico o il Fondo Pensione aperto possono essere alimentati tramite: - contributo individuale; - destinazione della quota annua del TFR (se dipendente); - contributo del datore di lavoro. I miei soldi rimangono vincolati o in caso di necessità potrò riscattare il capitale accumulato oppure chiedere una anticipazione? Sia i Piani Individuali Pensionistici che i Fondi Pensione Aperti prevedono la possibilità di richiedere un’anticipazione: - in qualsiasi momento, per un importo non superiore al 75 per cento del capitale maturato, per spese sanitarie a seguito di
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Da Terni , con furore … al Global Entrepreneurship Congress 2015 Ci sono opportunità che si presentano nella vita che vanno semplicemente colte, occasioni in cui, gettare il cuore oltre l’ostacolo, è l’unica via percorribile, soprattutto quando sono frutto di un lavoro serio e tenace di anni. Ogni nuova impresa, intesa come “azione di ampia portata”, richiede, oltre alla lucidità, anche coraggio e determinazione. Quanto accade nel mondo è per definizione dinamico e interconnesso e, da Terni, c’è chi opera con passione e competenza per cogliere occasioni di portata mondiale. Ed è esattamente quanto sta accadendo. Anno 2008: META Group, società di Terni, firma l’accordo con Kauffman Foundation (la principale fondazione americana che opera sul tema dell’imprenditorialità) per essere l’host italiano della Global Entrepreneurship Week, la settimana mondiale sul tema, densa di eventi, di incontri di altissimo livello e attività connesse. Anno 2013: META Group presenta la candidatura dell’Italia per ospitare nel 2015 il GEC, Global Entrepreneurship Congress, il Congresso Mondiale dell’Imprenditorialità, e vince sugli altri finalisti: Qatar, Croazia e Colombia. È un po’ come aggiudicarsi la possibilità di ospitare le Olimpiadi dell’imprenditorialità. Il tutto è stato possibile anche grazie al supporto che, da subito, alcuni consulenti lungimiranti del Governo italiano hanno dato all’iniziativa, passata indenne anche al recente cambio al vertice da Letta a Renzi. Per META Group, l’Arch. Anna Amati è a capo dell’ambiziosissimo progetto che vedrà coinvolte nell’organizzazione decine di persone, nello sforzo congiunto di rappresentare l’Italia nei confronti di migliaia di convenuti che, da 153 Paesi nel mondo, si riuniranno a Milano dal 16 al 19 Marzo 2015. L’Italia creativa, l’Italia dinamica, l’Italia coraggiosa, l’Italia produttiva e concreta, l’Italia che crede in ciò che fa e lo fa bene, l’Italia in tutte le sue sfaccettature. Milano seguirà al GEC di Mosca appena concluso. Prima ancora ci furono Rio de Janeiro 2013, Liverpool 2012, Shanghai 2011, Dubai 2010 e Kansas City 2009.
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Il passaggio del testimone e l’avvio dell’anno italiano è avvenuto appunto a Mosca, il 20 Marzo scorso, alla presenza di una nutrita e variegata delegazione italiana composta da imprenditori seriali, start-upper, docenti universitari, funzionari pubblici, crowdfunder, manager, giornalisti, blogger, etc. a rappresentare l’altrettanto variegato mondo dell’imprenditorialità italiana. In platea migliaia di appassionati dell’imprenditorialità, cultori, addetti ai lavori e semplici curiosi, rappresentanti degli altri 152 Paesi. Emblematico quanto dichiarato dal capo delegazione, Amati, intervistata prima della partenza, per l’inserto Nova, de Il Sole 24: Ho sempre creduto nella capacità delle idee di saper contagiare gli animi, di accendere dibattiti, di generare valore, di connettere persone nel mondo. Ho sempre avuto la curiosità ed il piacere di esplorare luoghi lontani e conoscere culture diverse. Tradizioni, luoghi e persone hanno sempre per me rappresentato la vera dote di un territorio. Ne sono, oggi, ancora più convinta. Grandi nomi hanno solcato il palco dei GEC nelle edizioni precedenti da Richard Branson di Virgin, Mark Zuckerberg di Facebook, Karim Rashid, uno dei più famosi industrial designers and interior architects al mondo, Peter Vesterbacka, co-fondatore di Rovio, creatore di Angry Birds, e così via. L’obiettivo comune di tutti i partecipanti, famosi e non, è quello di confrontarsi fra loro, attraverso dibattiti, testimonianze, esperienze su come costruire l’eco-sistema, su come creare valore e benessere per il proprio Paese e saper generare nuove imprese capaci di confrontarsi a loro volta e di “competere ad un livello internazionale per portare sul mercato conoscenza, talento, innovazione, tradizione”. Il tema del GEC di Milano, in sintonia con i temi dell’EXPO 2015, che avrà la sua opening un paio di mesi dopo, vedrà l’ecosistema italiano ed internazionale cimentarsi nella risoluzione di sfide globali. La sfida è ambiziosa, il momento è quello giusto, il successo dipende solo da noi! Il motto è “facciamo squadra!” #GEC2015. Alea iacta est, avrebbe detto Giulio Cesare, ma la vera domanda ora è: sarà in grado l’ecosistema ternano e soprattutto il nuovo Governo della città, che verrà a breve eletto, di cogliere l’opportunità? a l es s ia . m e l a s e c c h e @ l i b e ro . i t
Craniosacrale Abbiamo deciso di parlare del metodo di trattamento craniosacrale come strumento di riequilibrio della salute della persona, poiché è una tecnica manuale dolce e non invasiva, che permette di trattare tutti i tessuti, ed è applicabile nell’adulto, l’anziano e il bambino. Branca dell’osteopatia, prende il nome dal movimento involontario sincrono del cranio e dell’osso sacro, che uniti dalla dura madre (meninge) coinvolgono tutto il sistema che va dal cervello alla cauda equina passando per la colonna vertebrale. Questo movimento involontario è stato scoperto agli inizi del ‘900 dall’osteopata americano Sutherland, che lo chiamò movimento respiratorio primario, concetto tutt’ora poco capito nonostante ci siano numerosi lavori scientifici che ne confermano il valore. Alla base di questo movimento ci sono degli elementi fondamentali, quali la motilità ritmica del sistema nervoso centrale, nonché di tutte le articolazioni dell’organismo, che si muovono in un’armonia data in primis dalla respirazione e poi dalla corretta sincronia tra i vari organi ed arti uniti in un unicum che porta all’equilibrio della persona. Di fatto è la proprietà di esprimere un movimento che contraddistingue i tessuti vivi da quelli che
sono sofferenti o bloccati: tutte le cellule del corpo hanno bisogno di respirare ritmicamente affinché il loro funzionamento sia ottimale, ciò visto che all’interno del nostro corpo c’è un’infrastruttura di fluidi e tessuti che si muove ritmicamente e delicatamente. Questo sistema involontario di respirazione presente nei tessuti può essere percepito da mani sensibili e allenate ad hoc ed offrire una vasta quantità di informazioni circa lo status di equilibrio della persona. La frequenza del movimento respiratorio primario varia in funzione dei cambiamenti e degli stimoli ricevuti e tende a rallentare in molti stati di stanchezza, congestione, cefalea o catarro e così via... Queste variazioni servono ad indicare mutamenti che avvengono ad un livello più profondo nella funzione fisiologica. Proprio per questo si può parlare anche di riequilibrio funzionale sotteso al lavoro manuale craniosacrale. Tale trattamento ha molteplici indicazioni: cervicalgie, dorsalgie, lombalgie; mal di testa, problematiche di arti inferiori e superiori, disturbi viscerali come stipsi, difficoltà digestive, disturbi della respirazione da causa funzionale, dismorfismi craniofacciali, disordini del pavimento pelvico e questo solo per fornire alcuni esempi. Una cosa è certa: un’ottima base di anatomia e fisiologia è indispensabile per applicare la terapia craniosacrale, nonché tempo e addestramento professionale per sviluppare le competenze e sensibilizzare la mano all’ascolto dei movimenti sottili del corpo! Quindi la capacità di effettuare il trattamento craniosacrale può essere trasmessa a persone fortemente motivate, dotate di competenza (acquisibile con lo studio) e volontà di praticare. Annalisa Grasso
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Cent’anni d’Europa - P F a b b r i UNIPOLSAI ASSICURAZIONI D a Te r n i , c o n f u r o r e . . . - A M e l a s e c c h e Craniosacrale - A G r a s s o Dodici Sindaci sulla cassa di Terni - G R a s p e t t i Caro pianoforte... - A P e p i c e l l i C I D AT Trattamento chirurgico percutaneo dell’ernia discale - V B u o m p a d r e A S S O C I A Z I O N E C U L T U R A L E L A PA G I N A Lettera aperta - S L u p i Carcinoma della mammella - L Fiorit Tu t t i s a n n o c o s a s i a u n a d o n a z i o n e ? - M P e t r o c c h i L A B O R AT O R I S A L VAT I A Z I E N D A O S P E D A L I E R A S A N TA M A R I A D I T E R N I Epatopatie croniche - L Falci Bianconi Medici o burocrati? - G Giorgetti N U O VA G A L E N O B a s u r a 2/2 - F L e l l i BRAGONI Silverio e l’Europa... - V G re c h i Quinoa e stevia - L P a o l u z z i L a b a t t a g l i a d i Vo l t u r n o - F N e r i CENTRO MEDICO DEMETRA - ERREMEDICA Il ponte di Augusto a Narni - D Fagioli F R A N C A C A L Z AVA C C A - L S a n t i n i NORD KAPP 17° 10’ 22’‘ - P M a t t e u c c i , M Q u i n t i l i F O N D A Z I O N E C A S S A D I R I S PA R M I O PAOLO CICCHINI - R B e l l u c c i G L O B A L S E RV I C E SUPERCONTI
Fondatori della Scuola Estiva gratuita per Studenti S uper
LA
PA G I N A
Mensile di attualità e cultura
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti
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Direttore editoriale Giampiero Raspetti
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Dodici Sindaci sulla cassa di Terni Dodici candidati a Sindaco. Dodici decatleti della cultura, immagino, o dodici virtuosi della filantropia già noti a tutti per i benefici elargiti alla collettività? Forse dodici splendidi artisti che, con un solo loro segno, hanno impresso una svolta sia all’arte in sé sia alla città di Terni. Dodici imprenditori, dodici uomini di ingegno che hanno generato ricchezza per le nostre contrade, ça va sans dire! Dodici straordinarie persone intente a convincerci delle proprie strabilianti capacità amministrative! Giganti! Nessun minus quam infatti ardirebbe presentare, considerando nel novero anche gli aspiranti consiglieri comunali, la sua candidatura al fine di amministrare i tanti professionisti della cultura, della solidarietà umana e sociale, dell’arte, dell’imprenditoria che hanno dato e danno lustro alla nostra città. Se così non fosse, ma non voglio crederci, sapremmo già cosa starebbero pensando molti degli eventuali omuncoli mascherati da candidati: che noi ternani siamo scemetti senza conoscenza, arte né parte, proprio come loro! Io credo che prima o poi occorrerà istituire una apposita patente per essere candidati: innanzitutto dovranno essere candidi, cioè immacolati! Non devi convincerci adesso, signor candidato. È il tuo passato che deve convincerci. Sei da sempre nient’altro che una nullità? Ti sei sempre distinto solo per il tuo opacissimo lavoro da impiegato? Per la tua professione che mai ha avuto a che fare con le problematiche della città? E allora chi pensi possa ritenere veritiera la tua presunta e strombazzata capacità di amministrare i beni comuni? Solo i tuoi amichetti! Vi prego, ternani, smettiamola con la politica mafiosa di votare per il compare o per gli amici del compare! Sarebbe bene, cari concittadini, smettere di credere alle favole, smettere di credere che l’erba del vicino sia sempre la più verde, smettere di credere che chi non ha mai saputo dare alcunché alla città o che ha, al massimo, svolto solo il suo incaricuccio personale, sarà in grado di fare qualcosa per il bene comune. Potrà solo cercare di rendere miseri e opachi Giampiero Raspetti tutti gli altri!
Caro pianoforte ... Caro pianoforte, ho pensato di scriverti una lettera di ringraziamento perché quest'anno festeggiamo mezzo secolo di vita insieme! Ma me ne sono ricordato solo ora, preso invece come sono dal presente, e forse dal futuro. Oggi il nostro rapporto è molto più bello di allora, anche se il primo incontro è stato bellissimo e il primo anno rimane nei miei ricordi come un anno speciale. Ma vorrei parlare di te e di quello che hai dato a me e a tantissime persone che in tutto il mondo ti hanno frequentato. Chi ti ha suonato ha ricevuto grandi regali, fra cui vorrei mettere per primo la incredibile realizzazione delle idee, dei pensieri musicali. Abbiamo il privilegio di sentir uscire dal nostro corpo, dalle nostre mani e dai nostri piedi suoni che hanno un senso, racconti in musica, quadri sonori, sensazioni irripetibili. Le nostre conoscenze si materializzano, diventano forse meno perfette, ma forse anche per questo più vive. Ci fai altri regali importanti anche quando ci impegniamo negli aspetti maggiormente legati alla tecnica, quando ci insegni quali sono i movimenti e i gesti migliori per ottenere il risultato che desideriamo.
E ce lo insegni con il suono che produci: è proprio il suono che ci dice se abbiamo fatto bene o no. Sembra incredibile, ma dalla tua eleganza in bianco e nero sortiscono un'infinità di colori e sfumature. Un altro dono è la materializzazione di capolavori musicali che altrimenti rimarrebbero solo nelle nostre menti; così possono passare da un essere umano a molti altri, che quindi ne possono gioire. Ci riempie di gioia anche sentire quanto sei diverso quando incontri giovani e meno giovani che ti trasmettono qualcosa. Il loro modo di trattarti stimola risultati differenti fra loro, spesso lontani, raramente insignificanti o addirittura fastidiosi. Un bellissimo esempio lo avremo presto a Terni con la nuova edizione del Concorso Internazionale intitolato ad Alessandro Casagrande, che vedrà suonare in pochi giorni al Teatro Sergio Secci decine e decine di giovani pianisti: una grande occasione per chi è già appassionato di musica, ma anche per chi non si sente troppo attratto. La vitalità dei giovani rende questi momenti veramente speciali. Ritroviamoci a parlarne insieme: sarà un arricchimento per tutti. Angelo Pepicelli
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TRATTAMENTO CHIRURGICO PERCUTANEO DELL’ERNIA DISCALE Il trattamento delle ernie del disco e delle protrusioni discali contenute (non espulseFig. 1) è stato completamente rivoluzionato dall’introduzione di varie metodiche miniinvasive ormai in uso da oltre venti anni, che permettono di ridurre il volume del disco patologico per via percutanea (senza incisioni, solo tramite un forellino di 1,5 mm) riducendo così il tempo chirurgico, la durata del ricovero, ma soprattutto il dolore, le complicazioni e permettendo una più rapida ripresa. Le varie metodiche di trattamento percutaneo dell’ernia discale si differenziano in base alle tecniche usate per la distruzione parziale del disco:
Fig. 1
energia elettrotermica (IDET), radiofrequenza, energia laser (PLLD) e azione meccanica (DEKOMPRESSOR). Fig. 2 Attualmente la tecnica che trova maggior impiego è la discectomia percutanea meccanica che non necessita di energia termica, la quale aumenta alcune complicanze quali disciti settiche ed asettiche. L’intervento si effettua in sala operatoria in decubito prono, in anestesia locale, sterilmente, sotto controllo fluoroscopico (radiografico-Fig. 2), si entra nel disco con una sonda di 1,5 mm di diametro e con un particolare strumento meccanico (Fig. 3) si rimuove una parte del nucleo polposo in modo da ridurne il volume, riducendo dimensione-pressione dell’ernia discale. Fig. 3
Quali sono i pazienti candidati all’intervento percutaneo: - pazienti affetti da lombalgia con o senza irradiazione agli arti inferiori (sciatalgia, cruralgia); - alla TC o RMN presenza di protrusione o ernia discale contenuta (Fig. 4), con concordanza con i sintomi; - persistenza della sintomatologia dolorosa da più di due mesi con insuccesso del trattamento farmacologico e fisioterapico; - altezza del disco intervertebrale inferiore al 50%.
Pazienti per cui non è indicato il trattamento percutaneo:
Fig. 4
- ernie discali epulse; - deficit neurologici progressivi; - non concordanza tra sintomi e TAC-RMN; - instabilità vertebrale; - frattura, neoplasia; - infezione. La durata dell’intervento è di circa 30 minuti; viene asportato circa 1,5 cc. di nucleo polposo. L’intervento permette di ottenere un miglioramento della sintomatologia nell’80-90% dei casi. La scomparsa del dolore si ottiene, immediatamente, nel 60-70%, a sei mesi, nel 75-80% dei casi. Dr. Vince n z o B u ompa dre Specialista Ortopedia e Medicina dello Sport
D r. V i n c e n z o B u o m p a d r e
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2 Maggio 2014
Tradizioni
Non prendere scorciatoie.
MaggioIncontriMaggio Venerdì 9 Venerdì 16
ore 18:30 ore 21:00
Lunedì 19 Martedì 20 Venerdì 23 Mercoledì 28 Venerdì 30
ore 19:00 ore 17:30 ore 21:00 ore 21:00 ore 21:00
Venerdì 6 Giugno
ore 21:00
Agopuntura perché? Leonardo Paoluzzi Cultural Cabaret 8 F Neri, MV Petrioli M Salvati, A Pepicelli, F Pepicelli Mostra di Pittura Laila Toni La gomma sintetica Flavio Frontini Proporzione Aurea 1 G Raspetti Ulisse e le sue donne Renzo Segoloni Proporzione aurea 2 G Raspetti Cultural Cabaret 9 F Neri, MV Petrioli, M Salvati Amorir da ridere C Farroni, S de Maio
Ateneo per tutte le età mese di Maggio Lunedì 5 Maggio Pietro Rinaldi Risorse del territorio Paolo Casali Lo parla’ ternanu da lu Bbigghe Bbanghe all'orbite 'llittiche Grechi L'antimateria Lunedì 12 Maggio Santini Rocche e castelli - le terre Anolfe Marcello Ricci Socrate padre della laicità occidentale, parte terza Carla Pagliari La bonifica del territorio Lunedì 19 Maggio Giovanna Giorgetti L'affascinante storia dei farmaci Giampiero Raspetti Numeri e numerologia Vincenzo Policreti Adolf Hitler un pazzo solo in Germania?
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Cantori della Valnerina
Se vuoi emozioni, assumi cultura.
Fotoservizio di Alberto Mirimao
O G NI Lunedì ore 17 Ateneo per tutte le età Mercoledì ore 18,30 Corso di lingua Portoghese Mercoledì ore 21 Corso di bridge Giovedì ore 17 Corso di lingua Cinese Giovedì ore 21 Corso di scacchi Sabato ore 10 Corso di lingua Araba
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L E T T E RA APE RTA
Ovunque c’è sempre un bimbo che vuole giocare… e non vincere Caro Genitore, mi permetto di darti del tu perché penso di conoscerti bene. Ti ho incontrato tanti anni fa quando giocavo, poi da dirigente sportivo, ora ti ritrovo, sempre uguale a te stesso, da Delegato Coni. In tutti questi anni non mi sembra tu sia cambiato di molto. Hai difficoltà a riconoscermi? Lo capisco. Non sei abituato a guardarti intorno. Ossessionato dalla prestazione agonistica di tuo figlio, non assapori la gioia di condividere con altri la passione sportiva. Null’altro conta, indipendentemente dall’età del ragazzo, dalla categoria in cui milita e dalla disciplina praticata. Ti sono probabilmente sconosciuti i visi degli altri genitori, allenatori e ragazzi che hai incontrato, talmente impegnato a gesticolare od a formulare sentenze ad alta voce. Sei bravo a dispensare, fuori dal campo, suggerimenti tecnici a tuo figlio ed apprezzamenti a tutti gli altri. Ti ricordo aggrappato alla rete di un campo, vociare scomposto dai gradoni di un palazzetto, urlare in una piscina e in tante altre azioni, per le quali tuo figlio non va certamente fiero. Petto in fuori quando si vince, sciocca lamentela quando si perde. Non dirmelo, ad ogni sconfitta corrisponde sempre un colpevole: l’arbitro incapace, l’allenatore modesto, l’avversario scorretto.
Non ti accorgi che, sotto la tua scarsa sensibilità sportiva, crollano i valori etici di tuo figlio. Non ti curi di insegnare ad accettare la sconfitta, ti preoccupi invece di come esaltare una vittoria. Ma sei davvero in grado di riconoscerla? Non mi riferisco certamente al risultato. La vera vittoria è la gioia di praticare lo sport con la serenità e la convinzione di dare il massimo, nel rispetto dei valori di correttezza, lealtà ed amicizia. I campionati da vincere od i record da raggiungere riguardano atleti maturi e preparati, non già bambini che si affacciano alla vita ed allo sport. La tua, la nostra responsabilità, quella dei tecnici e dei dirigenti è grande! Il nostro compito non è vincere, ma crescere ed educare dei bambini al rispetto di loro stessi, dei compagni, degli avversari, delle regole, del pubblico, degli arbitri. Questa è la vera vittoria da cercare e perseguire. Se poi arrivano anche le coppe e le medaglie, tanto meglio. Nel frattempo però, abbiamo consapevolmente formato degli uomini e delle donne, capaci di essere campioni nell’affrontare la vita. Siamo onesti con il futuro dei nostri figli: ovunque c’è sempre un bimbo che vuole giocare… e non vincere. Con sincera attenzione Stefano Lupi Delegato Coni di Terni
Perché curare i denti da latte? Nel campo dell’odontoiatria esistono dei dentisti esperti per le cure dentali dei bambini; questa specifica disciplina viene definita odontoiatria pediatrica o pedodonzia. Noi siamo lieti di ampliare nel nostro studio le competenze nella pedodonzia grazie alla collaborazione di una collega esperta in questo settore: la dottoressa Michela Santi, autrice anche del seguente articolo. Normalmente si pensa che i denti decidui o “denti da latte” non debbano essere curati perché destinati ad essere sostituiti dai denti permanenti. In realtà è molto importante intercettare e prevenire eventuali processi cariosi a carico dei denti dei piccoli pazienti. I denti da latte, che hanno una struttura più fragile e facilmente aggredibile, se colpiti da patologie cariose o altro possono essere causa di infezione e dolore e trascurare la loro integrità può recare notevoli sofferenze ai nostri bambini. Inoltre se i denti decidui vengono tolti o si rovinano prematuramente, lo spazio da loro occupato viene perso e non sarà poi disponibile per far crescere i denti definitivi nella corretta posizione, quindi la presenza del dente deciduo serve da “stimolo” e da “guida” per far nascere al momento giusto il dente permanente. Dove i decidui vengono tolti prematuramente capita spesso di avere ritardo nella crescita dei denti definitivi. Visitare i bambini sin da piccoli consente di scoprire precocemente eventuali problemi di masticazione e di poterli risolvere in tempi più rapidi, con minori disagi per i piccoli pazienti e costi inferiori da sostenere per le cure. I bambini con i denti da latte sani avranno buone possibilità di avere sani anche i denti permanenti e di poterseli godere per tutta la vita. Dott.ssa Michela Santi
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Tutti sanno cosa sia una donazione?
La domanda è chiaramente provocatoria. Tuttavia, l’esame dell’istituto giuridico può riservare qualche sorpresa. In primo luogo la donazione è un contratto e precisamente “il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione» (art. 769) e nell’immaginario collettivo, pensare ad un contratto è quasi l’opposto che pensare ad una donazione. Il primo infatti è caratterizzato dallo scambio, dal classico dare-avere, la seconda dal dare senza ricevere nulla in cambio. Come tutti i contratti, dunque, anche la donazione si perfeziona solo “dal momento in cui l’atto di accettazione è notificato al donante” e, fino a quel momento, “tanto il donante quanto il donatario possono revocare la loro dichiarazione”. È il principio dell’intangibilità della sfera giuridica dei soggetti, contro le disposizioni anche solo potenzialmente pregiudizievoli, si pensi alla donazione di un immobile ed alle spese che ne conseguono in termini di mantenimento e tassazione. La donazione, poi, contrariamente a quanto si pensi, non necessariamente è un atto gratuito e può realizzarsi tanto con la disposizione di un diritto del donante in favore del donatario, es. ti lascio la casa, il conto in banca, un brevetto, quanto con l’assunzione di un’obbligazione, es. ti pago il mutuo. La donazione è un contratto formale che richiede la forma dell’atto pubblico con l’assistenza di due testimoni e ciò, questa volta, al fine di tutelare il donante da decisioni non sufficientemente meditate, che possano avere importanti conseguenze sul suo patrimonio. Esistono diversi tipi di donazione: la donazione modale è quella in cui è imposta al donatario qualche prestazione, solitamente collegata col bene donato; ad es. una percentuale dei canoni annualmente ricavati dalla locazione del bene devono andare a …; la donazione remuneratoria fatta per riconoscenza o in considerazione di particolari meriti del donatario. La particolarità della donazione remuneratoria è che non può essere revocata per ingratitudine o per sopravvenienza di figli; la donazione
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obnuziale: è quella fatta in vista di un futuro matrimonio, dall’uno all’altro sposo, o da un terzo agli sposi o ai loro figli nascituri. Si perfeziona senza bisogno di accettazione ma è condizionata alla celebrazione del futuro matrimonio ed il suo eventuale annullamento ne determina la nullità. La donazione manuale si caratterizza per l’oggetto ossia beni mobili di modico valore, valore da determinarsi in riferimento alle condizioni economiche del donante. La sua caratteristica principale è che non richiede l’atto pubblico, ma semplicemente la consegna della cosa. La donazione indiretta può realizzarsi con una molteplice serie di atti: con la remissione del debito che il beneficiario ha verso il disponente; con l’accollo o il diretto adempimento del debito che il beneficiario ha nei confronti di un terzo; con un’assicurazione sulla propria vita a favore di un beneficiario; con il comodato di un bene di notevole valore d’uso; con la fissazione, a favore del beneficiario, di un corrispettivo ampiamente superiore rispetto ai beni o servizi dati, oppure con la fissazione, a carico del beneficiario, di un corrispettivo di gran lunga inferiore al valore reale dei beni o servizi forniti. Le donazioni indirette non essendo vere e proprie donazioni, non sono soggette a tutte le regole stabilite per queste: in particolare, non richiedono la forma dell’atto pubblico. Ma poiché danno luogo al medesimo risultato sono sottoposte ad alcune regole ad essa proprie ossia la possibilità di revoca per ingratitudine o sopravvenienza di figli; la riduzione, per integrare la quota dei legittimari lesi. Come accennato la donazione può essere revocata per ingratitudine (quando il donatario ha commesso contro il donante o i suoi stretti familiari qualcuno degli stessi fatti che determinano indegnità a succedere), se reca ingiuria grave al donante o grave pregiudizio al suo patrimonio o quando gli rifiuta gli alimenti, oppure per sopravvenienza di figli, se, per esempio dopo la donazione nasce un figlio legittimo al donante, o questi scopre di avere un figlio prima ignorato, o riconosce un figlio naturale. Esulano da tale regola la donazione remuneratoria e quella obnuziale. Con la revoca il donatario deve restituire il bene donato, o l’equivalente monetario, se nel frattempo l’ha venduto. I terzi acquirenti sono salvi, purché abbiano trascritto l’acquisto presso i Registri Immobiliari prima della trascrizione della domanda di revoca. Buona lettura del codice civile a tutti! Avv. Marta Petrocchi legalepetrocchi@tiscali.it
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A Z I EN DA O S P EDA LI ERA S . C . d i C h i r u rg i a d e l l a
Prof. Maurizio Altissimi Direttore Struttura Complessa di Chirurgia della mano e Microchirurgia A z ie n d a O s p e d a lie r a “S. Mar ia” di Te r ni
La Chirurgia della Mano è una disciplina che negli ultimi 15 anni si è sempre di più affermata come disciplina autonoma dall’Ortopedia e dalla Chirurgia Plastica. Ha sviluppato delle competenze specifiche in molti settori che spaziano dalla traumatologia alle malformazioni congenite, dall’artrosi alle compressioni dei nervi periferici, dalle lesioni tendinee all’artrite reumatoide ed è ormai un punto di riferimento per molti pazienti che richiedono competenze super-specialistiche per tutto ciò che riguarda la mano. La Struttura Complessa di Chirurgia della Mano e Microchirurgia di Terni ha iniziato la sua attività nel 2006, per iniziativa dell’Università di Perugia e del Prof. Maurizio Altissimi, che da allora la dirige. La sua attività è cresciuta negli anni e attualmente si avvale di un gruppo di cinque chirurghi (A. Azzarà, I. Talamelli, L. Braghiroli. D. Paravani, L. D’Abbondanza) che, oltre a svolgere quotidianamente attività di sala operatoria, ambulatorio e pronto soccorso, garantiscono anche una pronta disponibilità notturna e festiva, per un bacino di utenza che va oltre i confini regionali e che si estende al Lazio, l’Abruzzo e le Marche. Attualmente la struttura esegue ogni anno circa 1300 interventi chirurgici, sia di traumatologia che di patologie non traumatiche, con una buona capacità di attrazione, dato che circa il 25% dei pazienti trattati proviene da fuori regione. Le competenze raggiunte nella Microchirurgia ne fanno uno dei pochi centri italiani dove si effettuano reimpianti dopo amputazioni dell’arto superiore. Si tratta di interventi di notevole complessità perché richiedono la riparazione di tutte le strutture anatomiche (ossa, tendini, nervi, arterie e vene) indispensabili per la sopravvivenza e il funzionamento della parte amputata. Particolarmente difficile e delicato è il ripristino della circolazione sanguigna che richiede la riparazione al microscopio di arterie e vene che possono avere un calibro anche inferiore a 1 mm. Tutto ciò richiede molte ore di lavoro e di concentrazione da parte di chirurghi, anestesisti e infermieri. Quanto oggi è possibile fare a Terni in questo campo è il frutto di un addestramento professionale specifico che i chirurghi hanno acquisito con corsi di perfezionamento in Microchirurgia in laboratorio, in Italia e all’estero, e sui pazienti, sotto la guida dei colleghi più esperti. La capacità di utilizzare il microscopio per riparare o ricostruire strutture anatomiche di piccole dimensioni ha portato il chirurgo della mano a trattare le lesioni traumatiche dei nervi periferici anche oltre il ristretto ambito anatomico della mano. Si eseguono pertanto interventi per lesioni dei nervi del braccio e dell’arto inferiore per lo più in casi di lesioni verificatesi per gravi traumatismi degli arti. I chirurghi della S.C. di Chirurgia della Mano di Terni sono molto spesso chiamati a trattare pazienti coinvolti in traumi da infortunio sul lavoro sia nell’immediatezza della lesione traumatica sia nel realizzare a distanza dal trauma interventi di chirurgia ricostruttiva che hanno lo scopo di ridare funzionalità a mani con limitazioni funzionali, come rigidità articolari, aderenze cicatriziali, lesioni tendinee, paralisi e deformità. La chirurgia della mano contribuisce così in maniera significativa al reinserimento del lavoratore infortunato alle proprie attività lavorative, riducendo i tempi di inabilità al lavoro e il grado di invalidità permanente. Il recupero funzionale in caso di fratture è in genere molto favorito dall’uso di tecniche chirurgiche di fissazione interna con mezzi di osteosintesi come placche, viti e chiodi. La chirurgia della Mano di Terni è all’avanguardia in questo settore, utilizzando e portando avanti lo sviluppo dei più moderni sistemi di fissazione delle fratture. Due esempi in questo settore che evidenziano i progressi fatti in questi anni sono le fratture del polso e quelle dello scafoide che, fino ad alcuni anni fa, erano quasi sempre trattate con apparecchi gessati. Oggi molto
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spesso il trattamento è chirurgico: le fratture vengono fissate con placche o viti e il paziente può iniziare subito un rapido percorso riabilitativo, accorciando i tempi di reinserimento alle proprie occupazioni. Ma la Chirurgia della Mano come disciplina non è solo legata alle lesioni traumatiche. Anche patologie non traumatiche come l’artrosi, le artriti, le tendiniti, le compressioni nervose, le malformazioni congenite sono oggetto di un trattamento chirurgico che si è molto perfezionato negli anni grazie alla super-specializzazione di questa disciplina. Nel caso delle malattie articolari come l’artrosi o l’artrite reumatoide si esegue un’ampia gamma di interventi, dai più semplici ai più complessi, fino alla sostituzione articolare con l’uso di piccole protesi per le articolazioni del polso e delle dita. Da questi interventi i pazienti ottengono generalmente un grande beneficio per la scomparsa o la riduzione della sintomatologia dolorosa e per un marcato miglioramento della funzione complessiva della mano tornando ad attività e gestualità della loro vita quotidiana prima gravemente ostacolate dalla malattia. Le compressioni nervose affliggono un numero rilevantissimo di pazienti. Oltre 200 pazienti a Terni vengono ogni anno sottoposti a trattamento per quella che è la forma di compressione nervosa più diffusa: la Sindrome del Tunnel Carpale. Per questa e altre patologie che possono essere trattate con interventi poco invasivi, di breve durata e in anestesia locale, la
S A N TA M A R I A D I T E R N I m an o e M icrochirurg ia
Équipe S.C. di Chirurgia della mano e Microchirurgia Direttore Maurizio Altissimi Medici Antonio Azzarà, Ivano Talamelli, Luca Braghiroli, Daniele Paravani, Luca D’Abbondanza (Specializzando) Infermieri di reparto Loredana Palenga (Caposala), Mauro Brunelli, Stefano Carletti, Daniela Carocci, Roberto Coata, Gianluca Conti, Allegra De Felice, Davide Lisi, Laura Marchigiani, Monica Marzuoli, Emanuele Orlandi, Fabio Paoni, Tiziana Palmerini, Eufrasia Viali Infermieri di Sala Operatoria Carla Falsetti (Coordinatrice), Stefania Benedetti, Daniela Cherubini, Massimiliano Conti, Paolo Dindalini, Giuliana Di Pasquale, Fabrizio Finistauri, Guido Mignacca, Gino Mostarda, Liana Pantalloni, Tommaso Petacchiola, Emiliano Pias, Francesca Proietti, Carla Sanpaolesi, Rino Secondi Infermieri Chirurgia Ambulatoriale Cresta Brunella (Caposala), Emanuele Aloisi, Sandra Antonelli, Stefania Liti, Alessandro Panfili
Fotoservizio di Alberto Mirimao
Chirurgia della mano di Terni si è data un modello organizzativo ambulatoriale, creando un percorso per il paziente completamente separato da quello seguito dai pazienti che, per interventi maggiori, vengono ricoverati all’interno della struttura ospedaliera. Gli interventi vengono eseguiti in una sala operatoria dedicata alla chirurgia ambulatoriale, diversa dal blocco operatorio dove si concentrano gli interventi di chirurgia maggiore per pazienti degenti. Il giorno fissato per l’intervento il paziente si reca all’orario concordato presso la sala operatoria dei poliambulatori dell’Ospedale S. Maria dove, presentando l’impegnativa del medico di famiglia e il tesserino sanitario, viene registrato, preparato per l’ingresso in sala operatoria e sottoposto all’intervento che di regola non dura più di 10-15 minuti. Dopo un periodo di osservazione postoperatoria di 15-30 minuti viene dimesso con l’appuntamento per i controlli clinici successivi. Questo modello organizzativo, solitamente molto gradito dai pazienti, consente un’elevata economia di gestione in quanto non viene effettuato un ricovero ordinario, non vengono occupati posti letto e l’intervento non subisce mai ritardi o rinvii dovuti alla interferenza di interventi più urgenti o più complessi nel blocco operatorio principale. Malattie come la sindrome del tunnel carpale, varie forme di tenosinovite delle dita e del polso, formazioni cistiche delle dita e altro, vengono oggi trattate secondo questa modalità organizzativa ambulatoriale che consente di eseguire
oltre 600 interventi l’anno. La chirurgia delle malformazioni congenite richiede invece un approccio organizzativo più complesso. Si tratta di bambini molto piccoli, di 1-2 anni, che necessitano di un’accurata valutazione e tecniche anestesiologiche complesse e delicate, rese possibili dall’esperienza e dalla professionalità dell’equipe di anestesisti del S. Maria di Terni e dall’assistenza dei medici e degli infermieri del reparto di Pediatria dove i piccoli pazienti vengono ricoverati. Vengono trattate numerose malformazioni non solo della mano ma anche del piede, grazie ad attrezzature e strumentari adatti alle dimensioni e alle caratteristiche delle strutture anatomiche interessate. È una chirurgia che richiede tecniche precise e delicate e l’uso di mezzi ottici di ingrandimento per poter manipolare strutture dalle dimensioni minuscole. Un altro settore in cui la Chirurgia della Mano di Terni si distingue in campo nazionale è quello della chirurgia funzionale in pazienti colpiti da ictus e traumi cerebrali, che presentano paralisi spastiche sia dell’arto superiore che dell’arto inferiore. In questi casi la chirurgia può ridurre o eliminare la contrattura spastica dei muscoli paralizzati mediante sezione o allungamenti di tendini e muscoli o recuperare funzioni e movimenti mediante trasferimenti tendinei. Il beneficio che ne traggono i pazienti è quello di migliorare la deambulazione o la capacità di mantenere la stazione eretta nelle paralisi dell’arto inferiore e di migliorare la postura ed eliminare atteggiamenti viziati nelle paralisi dell’arto superiore. I pazienti migliorano grandemente la loro autonomia e la qualità della loro vita di relazione. Si tratta di un chirurgia ancora poco diffusa, che a Terni viene praticata da anni con ottimi risultati in una casistica ormai numerosa. L’eccellenza raggiunta dalla Chirurgia della Mano di Terni è sicuramente frutto della super-specializzazione in un settore che richiede sempre maggiore professionalità e specificità. La professionalità dei medici, che ogni anno frequentano corsi di aggiornamento e congressi nazionali e internazionali, va di pari passo con quella degli infermieri di sala operatoria, di ambulatorio e del reparto di degenza che con lo stesso impegno curano l’aggiornamento professionale. Da questo punto di vista l’Ospedale di Terni è sicuramente all’avanguardia nel panorama italiano dal momento che accanto a un qualificato servizio di Ortopedia e Traumatologia generale ha voluto creare e sviluppare un servizio autonomo di Chirurgia della Mano che rappresenta un punto di riferimento non solo per tutta la regione Umbria ma anche per le regioni vicine.
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Consigli nutrizionali nelle epatopatie EPATOPATIE CRONICHE Le modificazioni del volume e dell’attività del fegato sono correlate e secondarie a fenomeni e sindromi cliniche e in questi casi la dietoterapia dovrà integrare le norme dietetiche e le cure della malattia che ha indotto l’alterazione del fegato. La dieta nelle epatopatie croniche consiste specialmente nella dieta della cirrosi epatica: le direttive generali prevedono che il tali casi si forniscano le quantità di calorie di cui il soggetto ha bisogno in relazione alle sua condizioni fisiche. La dieta dovrà essere iperglucidica, iperproteica, ipervitaminica e ipolipidica. Le proteine verranno scelte tra quelle ad elevato valore biologico ed elevato contenuto in aminoacidi essenziali specialmente la metionina. La dieta dovrebbe essere completata da fattori lipotropi. Bisogna inoltre distinguere tre livelli di sviluppo della condizione morbosa: - la fase preascitica - la fase ascitica - la fase ittirigena.
La razione dietetica nella fase preascitica deve essere adeguata allo stato fisico, all’efficienza funzionale dell’individuo e alle condizioni nutritive e biochimiche. Nel caso di epatopatie con eccedenza di peso i lipidi saranno fortemente ridotti fino a 0,40-0,50 g per Kg di peso teorico, le proteine saranno consigliate secondo le quantità di riferimento, i glucidi completeranno le calorie totali della razione alimentare. Sotto l’aspetto qualitativo la razione proteica sarà rappresentata da latte e carne; i lipidi prevalentemente sotto forma di grassi ad elevato contenuto di acidi mono e poli-insaturi; i glucidi prevalentemente sotto forma di disaccaridi e polisaccaridi (60%). La razione dietetica nella fase ascitica della cirrosi ha come scopo essenziale la correzione della deficienza proteica e dell’ipopretidemia e la correzione dell’equilibrio idrico-salino. Sarà adatta al peso teorico, dovrà essere supplementata con proteine fino alla normalizzazione della protidemia e dovrà contenere poco cloruro di sodio (iposodica) onde facilitare il riequilibrio idrico del malato. La dieta durante le fasi ittirigene della cirrosi epatica non differisce nelle linee generali dai regimi finora discussi. Quando prevalgono l’anoressia o quando l’alimentazione naturale è difficoltosa si potrà ricorrere al completamento con somministrazione di aminoacidi in soluzione glucosata, di soluzioni glucosate plurisaline e di vitamine (flebo ed ipodermoclisi) allo scopo di adeguarla allo stato ed all’efficienza nutritiva dell’organismo. Lorena Falci Bianconi
Medici o burocrati? Ma che fine abbiamo fatto noi medici? Dov’è andata a finire la nostra professione, consacrata nel giuramento d’Ippocrate, nostra guida per due millenni? Gli studenti vengono inseriti in lunghi programmi di ricerca, sicuramente utili almeno ai professori che li commissionano, molto meno a loro. Una laureanda, giorni fa, mi diceva: Io non sono più sicura di voler fare il medico: avevo scelto questa facoltà perché pensavo al rapporto col paziente che soffre, al poterne alleviare il dolore e mi trovo invece a fare lunghe, estenuanti ricerche statistiche di ogni genere. Quando sarò laureata saprò dire ad un sano quante probabilità esatte ha d’ammalarsi e di cosa, e una volta ammalato quante di guarire. Ma quando dovrò aiutarlo, entrare in contatto con lui, instaurare un rapporto umano, cosa farò? La ricerca nel campo medico è certamente importantissima, ma non si deve confondere con l’esercizio della pratica medica. Noi medici, quando siamo al capezzale di una persona che soffre, dobbiamo sicuramente fare riferimento agli studi -farmacologici, statistici, epidemiologici- di chi queste cose ha indagato, ma il possesso del necessario bagaglio tecnico e culturale, base del nostro lavoro è non la pratica, ma solo il suo presupposto. Perché -non dimentichiamolo mai- il lavoro del medico va svolto sì, secondo le regole dell’arte, ma resta, sempre e comunque, umanistico. Vale a dire: nella grande maggioranza dei casi, il rapporto umano è elemento stesso della terapia, molto spesso quello principale. Ma lo studente non viene indirizzato a questo. Dopo che s’è fatto le ossa a cercare e catalogare, contare, descrivere, si laurea e a questo punto gli viene consegnato un pacco di scartafacci nei quali annotare tutto, a costo di non avere più il tempo necessario a visite accurate.
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Ma stia attento: se le cose non andranno secondo le speranze, potrà essere denunciato, gli potranno essere chiesti i danni e potrà venire letteralmente crocifisso. Per evitar ciò, l’ormai burocrate della sanità, non ha che dare tutte le possibili medicine, in molti casi niente affatto necessarie, in casi specifici addirittura dannose, previste da protocolli i cui interessi economici di parte non sono affatto sempre estranei. Giacché egli si trova di fronte ad un paradosso: se il paziente s’aggraverà perché, per qualsiasi motivo, la terapia non avrà avuto effetto, il magistrato, se gli diranno che la terapia poteva essere più intensa (gli eventuali effetti collaterali non interessano), lo condannerà. Ma se invece la cosa avverrà proprio per quegli stessi effetti patogeni collaterali insiti in ogni (ogni, ricordiamolo bene) prodotto chimico, ciò verrà considerato volontà di Dio e il medico non avrà grane: ha fatto tutto il possibile. Che razza di trappola sia tutto ciò per il medico, ognuno può capir bene. È assai triste il fatto che le uniche scuole mediche che, non soggiacendo a questa iattura, privilegiano ancora tanto il rapporto umano medico–paziente, quanto la sacrosantamente libera scelta del medico circa la strada che ritiene opportuno seguire, siano quelle della maggior parte delle medicine definite complementari: Medicina tradizionale cinese, Medicina ayurvedica, Omeopatia, ecc. Non se ne vogliono qui discutere gli aspetti tecnici, talvolta anche criticati. Ma è fuori discussione che queste Medicine dedicano al paziente, al suo vissuto, al suo dolore, uno spazio che la nostra scuola medica occidentale non si può più permettere, strangolata com’è dalle mille incombenze di segreteria, burocrazia, obblighi vari e dalla minaccia delle conseguenze giudiziarie della propria anche onesta Giovanna Giorgetti ggiovanna@tiscalinet.it attività.
Fisioterapia e Riabilitazione
NUOVA SEDE Zona Fiori, 1 05100 Terni – Tel. 0744 421523 0744 401882 D i r. S a n . D r. M i c h e l e A . M a r t e l l a - A u t . R e g . U m b r i a D D 7 3 4 8 d e l 1 2 / 1 0 / 2 0 11
La riabilitazione in acqua è una metodica sicuramente molto utile per garantire un moderno e valido recupero funzionale sia in campo neurologico che ortopedico
Uniche infatti sono le possibilità offerte dallo “strumento acqua”, che agisce contro la forza di gravità (principio di
Archimede), e consente al corpo di muoversi in assenza di peso: questo determina una maggiore facilità a muoversi quando per esiti traumatici, per deficit neurologici o dopo chirurgia ortopedica sarebbe impossibile o dannoso caricare il peso reale sui propri arti. Il risultato è una diminuzione dello stress e del carico sull’apparato muscolo scheletrico che facilita l’esecuzione di movimenti in assenza di dolore. La resistenza offerta dall’acqua è graduale, non traumatica, distribuita su tutta la superficie sottoposta a movimento, proporzionale alla velocità di spinta e quindi rapportata alle capacità individuali di ogni persona. L’effetto pressorio dell’acqua, che aumenta con la profondità, esercita un benefico effetto compressivo centripeto sul sistema vascolare, normalizzando la funzione circolatoria e riducendo eventuali edemi distali. Tale effetto è ampliato nel Percorso Vascolare Kneipp dove si alterna ciclicamente il cammino in acqua calda e fredda.
Con la riabilitazione in acqua è possibile non solo ristabilire le migliori funzionalità articolari e muscolari dopo un incidente, ma anche eseguire delle forme di esercizio specifiche per prevenire la malattia o per curare sintomatologie croniche come la lombalgia. Tali esercitazioni sono particolarmente indicate per quei soggetti in forte sovrappeso con difficoltà di movimento legate ad obesità, ad artriti, a recenti fratture o distorsioni. Nella maggior parte di questi casi si registra un netto miglioramento del tono muscolare e dei movimenti articolari dopo un adeguato programma terapeutico. Il paziente, se anziano, acquisisce in tal modo un maggiore controllo motorio che, migliorando l’equilibrio, allontana il rischio di cadute e rallenta il declino funzionale legato all’invecchiamento. La riabilitazione in acqua è particolarmente indicata in: - esiti di fratture - distorsioni, lussazioni - patologie alla cuffia dei rotatori della spalla - artrosi dell’anca e delle ginocchia - tonificazione muscolare in preparazione all’intervento chirurgico - mal di schiena (lombalgia, sciatalgia, ernia ecc.) - para paresi spastiche - esiti di interventi neurochirurgici - esiti di ictus - esiti di lesione midollare - disturbi della circolazione venosa
Inoltre la temperatura dell’acqua, più elevata (32° - 33°) rispetto alle vasche non terapeutiche, permette la riduzione dello spasmo muscolare e induce al rilassamento. Per questo il paziente si muove meglio e la muscolatura appare più elastica. La riabilitazione in acqua è utile e proponibile a tutti, dai bambini agli anziani; per potervi accedere non occorre essere esperti nuotatori è sufficiente un minimo di acquaticità.
Terni Zona Fiori, 1 Tel. 0744 421523 401882
- Riabilitazione in acqua - Rieducazione ortopedica - Riabilitazione neurologica - Rieducazione Posturale Globale - Onde d’urto focalizzate ecoguidate - Pompa diamagnetica - Tecarterapia
- Visite specialistiche - Analisi del passo e della postura - Elettromiografia - EEG - Ecografia apparato locomotore - Idoneità sportiva ... e molto altro
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L’Africa, prima che un Continente, è uno stato d’animo, dove convivono colori, profumi, emozioni. Persone e luoghi mai scontati, situazioni inattese, misteri e magie. Riuscire a trasmettere queste sensazioni è l’aspirazione di chiunque ne scriva, ma anche esercizio egoistico di non perderne la memoria. L’Autore ha vissuto dieci anni in Guinea Equatoriale. Ha avuto il tempo di condividere con i locali una fase delicata della crescita della piccola repubblica, della quale è diventato Console Onorario nel 1992. Da questa esperienza è nato il romanzo Okiri, pubblicato nel 2007 e prende spunto la raccolta di racconti Magica Africa, storie brevi ambientate in luoghi preclusi al turismo di massa e impenetrabili agli occhi di visitatori occasionali.
Basura Trascorsero due ore nella monotonia della vista dell’oceano, quando i passeggeri individuarono in lontananza l’isola di Corizco: un anello di sabbia accecante, smorzata al centro dal verde intenso della foresta. La natura vulcanica dell’isola contrastava con il candore del litorale, reso ancor più vivo dal blu profondo delle acque. “Ecco, vede quel rilievo a sud? -disse Don Alberto quasi gridandoquello è il nostro posto. Nasconde una caverna enorme -aggiunse abbassando la voce- perfettamente asciutta che s’inoltra fino a duecento metri sotto il livello dell’acqua”. “Ok. Vedremo”, commentò lo svizzero senza entusiasmo. Individuata con qualche difficoltà la pista, il pilota l’imboccò fra sobbalzi paurosi, rischiando il ribaltamento. Intanto, una piccola folla s’era radunata nei pressi dell’aereo, sfidando il polverone sollevato dall’elica. Una volta spento il motore, s’avvicinò un uomo scalzo, sui cinquant’anni, capelli e baffi spolverati di bianco, vestito solo di un paio di calzoncini. Si qualificò come ufficiale di dogana ed ordinò ai passeggeri di mostrare i documenti, senza lasciare i loro posti. Quando si rese conto chi fossero i viaggiatori, si fece da parte e ripeté più volte le sue scuse. Saputo dove erano diretti, si premurò di reperire tre asini, indicò il percorso più breve ed agevole, dopo aver ricevuto il rifiuto ad accompagnarli. Sotto un sole già alto, la piccola spedizione s’inoltrò all’interno dell’isola, imboccò un sentiero stretto, quasi totalmente invaso da felci e giunchi, con gran sollievo per tutti, grazie all’ombra degli alberi di okumé a protezione dal calore infernale. Apriva la fila Don Agustin, che in fang si rivolgeva al collega che lo seguiva, fantasticando sui guadagni dell’operazione, riscuotendo ogni tanto le fragorose risate dell’interlocutore. Lo svizzero avrebbe pagato volentieri per capire quello che si stavano dicendo, ma restò in silenzio facendo i suoi calcoli, preoccupato solo di concludere prima possibile l’accordo. In fondo, i più saggi sembravano essere i tre asini, a giudicare dalla compostezza con cui stavano svolgendo il compito affidato loro: evitavano le pietre più scivolose e persino le frustate degli arbusti sul volto dei loro cavalieri. Un raggio di sole s’infilò come uno spiedo rovente fra il fogliame fitto degli okumé e si posò sul volto imperlato di Shwartz, quasi accecandolo. Gridò, ed un macaco da un ramo basso fece altrettanto, quasi a schernirlo. Herr Shwartz, in totale imbarazzo con l’inusuale mezzo di locomozione, trascorse il tempo a cercare invano una posizione comoda, sudando abbondantemente per la fatica, come fosse lui a trasportare l’asino. Dopo un’ora di sofferenze, i tre arrivarono nei pressi della caverna. Il bianco lasciò con enorme sollievo la cavalcatura, ma gli indolenzimenti patiti non lo abbandonarono per tutto il percorso a piedi fino all’ingresso della cueva. Più a loro agio si trovavano i Ministri, per quanto in apprensione per il loro ospite.
Proprio davanti l’enorme bocca della caverna un pitone acciambellato e immobile digeriva una recente preda, fra l’indifferenza reciproca. L’apertura offriva sufficiente luce per coprire le prime decine di metri dell’interno. Lo svizzero non tardò molto a rendersi conto che quel luogo era semplicemente perfetto. L’ampio passaggio, leggermente in declivio, terminava in uno slargo immenso, in grado di contenere un palazzo di dieci piani. Un rifugio sicuro e facilmente accessibile, compatibile con il progetto anzi, ideale. Improvvisamente, un nugolo di pipistrelli giganti abbandonò la volta della grotta e svolazzò minacciosa verso gli intrusi, obbligandoli ad affrettare l’operazione di verifica. Herr Shwartz aveva viso abbastanza. Se avesse potuto costruirsene una l’avrebbe fatta proprio così. Non fu possibile parlare nel viaggio di ritorno, almeno nei termini che avrebbero voluto e solo nell’intimità dell’ufficio di Malabo l’affare si concretizzò. “Quattro dollari al chilo, pagamento in contanti a scarico effettuato da personale e mezzi a nostre spese. Al Consiglio degli Anziani di Corizco andrà un centesimo al chilo per l’affitto del deposito”, sintetizzò Shwartz. “E l’anticipo? -chiese preoccupato il Ministro dei Trasporti- s’era parlato di una somma pari al saldo dei lavori effettuati sulla “Ela Nguema”. La nave ci serve”. “Che beneficio ne trarreste voi? Andrebbe solo a beneficio dello Stato, che avevamo detto di tener fuori”, ribatté il bianco. “No, non andrà così. Siamo d’accordo nel far figurare il dissequestro come frutto di una trattativa diplomatica da noi condotta, dietro impegno del governo a pagare la somma in un anno. Noi la verseremo, ma poi ci rientrerà nel periodo della dilazione”, spiegò convincente Don Augustin. “D’accordo -concluse Shwartz- io trasferirò il saldo direttamente al cantiere olandese, purché si utilizzi il viaggio di rientro per il primo carico. Tutto dovrà farsi entro la fine di questo mese. Mi occorrono i dati della nave, la capacità di carico e tutti i documenti per organizzare il trasporto”. Utilizzando i dati forniti dal Ministro, Herr Shwartz calcolò a mente, fra l’ammirazione stupita dei soci, che la prima consegna sarebbe stata di venti tonnellate, pari a 1000 bidoni da 200 chili ciascuno, per un importo, appunto, di 80.000 dollari, più 200 dollari da pagare agli abitanti dell’isola. Orchestrato l’accordo con svizzera precisione, le consegne non ebbero mai intoppi. Alla prima ne seguirono altre tredici, una all’anno, con piena soddisfazione delle parti, persino degli abitanti dell’isola che non seppero mai cosa contenessero i bidoni. Anche se lo avessero saputo, non si sarebbero allarmati, ignorandone gli effetti. Oggi vivono a Corizco poco meno di settanta persone, felici di aver quasi triplicato la quota pro-capite di 200 dollari annui, spesi in parte per fare riti propiziatori agli spiriti del male. Franco Lelli
Sposàti solo nei martedì o, al limite, nei lunedì e venerdì... ok ? 20
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Silverio... e l’Europa Silverio era un tipo strano, parlava pochissimo e spesso annuiva o diceva no, semplicemente con un gesto del capo. Spesso sedeva sul muricciolo accanto alla sua bottega guardando l’acqua scorrere veloce nel torrentello sottostante o, al massimo, dava una sbirciata alle persone e agli animali che passavano sulla strada bianca e polverosa, di là dall’argine. Tutti lo salutavano o gli parlavano e lui al massimo alzava le palpebre in segno di risposta. A ora di pranzo sua moglie Dosolina si affacciava alla finestra e lo chiamava. Allora lui si sciacquava le mani in un secchio d’acqua, saliva le quattro scale nel retro, apriva la porta dell’ampia cucina e si ritrovava assordato da una sequela di rumori, grida, strilli e risate della sua numerosa figliolanza. Appena la sua presenza era notata tornava immediatamente il silenzio, escluso il pianto dei più piccoli che ancora non riconoscevano l’autorità paterna. Silverio era un abile artigiano: fabbricava selle, basti e finimenti per cavalcature e animali da soma. Conoscere però la data del ritiro del basto nuovo o rinnovato era un problema: bisognava passarci e ripassarci almeno una decina di volte, vista la scarsa propensione del soggetto a profferire verbo. Un mattino presto, mentre Silverio si godeva il primo mozzicone di sigaro seduto davanti alla bottega, passò Nestore, parente della moglie, che andava a zappare le viti per ripulirle dall’abbondante erba primaverile. Il proverbio era chiaro: gli ulivi a un vecchio e le viti a un matto, intendendosi dire che gli ulivi andavano zappati in superficie e quindi bastava un vecchio, mentre per le viti era molto meglio andare in profondità e quindi erano appannaggio di chi zappava come un matto. Nestore era consapevole che lo aspettava una giornata molto faticosa -aveva già pedalato per oltre dieci chilometri di sali e scendi- e si era premunito di mezzo filone di pane, una bottiglia di vino, una salsiccia sott’olio per colazione e una gavetta piena di pasta fatta in casa,fatta avanzare all’uopo la sera prima. Accidenti, si era dimenticato il sigaro! Chiese allora al parente se poteva prestargli l’occorrente per una fumata. Silverio continuò a guardare nel vuoto davanti a sé e non rispose. Passò qualche minuto, poi Nestore lasciò perdere e s’incamminò verso la vigna senza niente da fumare. Al tramonto ripassò davanti alla bottega, maledicendone mentalmente il suo proprietario e notò che stava seduto allo stesso
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posto del mattino con l’inseparabile mozzicone in bocca. Nestore non profferì parola ma Silverio, alzato il cappello sulla fronte col dito pollice, lo apostrofò, a quasi dodici ore di distanza, dicendo: “Che mi avevi chiesto? Se avevo da darti da fumare?”. Nestore non rispose. Spinse più forte che poté sui pedali per arrivare il prima possibile a casa sua e fumarsi in pace il suo sigaro, senza dover dire grazie a nessuno. Silverio non era particolarmente maligno, eppure tale prassi era praticata in modi quasi analoghi in tutta la frazione e in tutto il paese. Come mai? Forse generazioni e generazioni di Marchesi Del Grillo avevano inculcato nella gente che se hai un briciolo di potere lo devi gestire alla grande, facendo strisciare tutti gli altri davanti a te? Oppure si trattava semplicemente di fare un ragionamento “ponderoso” che richiedeva tempo, per vedere se conveniva fare quella certa azione? Non lo sappiamo. A distanza di una sessantina di anni sembra che per alcuni non sia cambiato niente. Infatti, una parte degli artigiani di oggi e non solo loro, si comportano in modo analogo: non sono esaustivi quando rispondono alle domande, quando prendono un lavoro, lo mandano per le lunghe, non rispettano gli appuntamenti e nemmeno avvisano. E sì che oggi ci sono i telefoni, i cellulari e volendo anche la rete. A proposito di rete, c’è anche chi risponde a e-mail dopo quasi due anni! E se uno ha la malaugurata idea di dire che il lavoro non è urgente può accadere, dopo alcuni mesi, di sentirsi dire che, poiché non ci siamo fatti più sentire, l’artigiano aveva dedotto che avevamo cambiato idea. E così accade per le Pubbliche Amministrazioni: ci vogliono almeno due legislature, se si è fortunati, per far piantare a terra un segnale di pubblica utilità o per rimettere un contenitore per pile usate, scassato da qualcuno. Se invece vuoi sapere se puoi bruciare i residui delle potature del campo o del giardino, non basta collegarsi con i siti della Regione o del Comune, bensì è necessario ascoltare i frequentatori dei bar che sanno tutto! Noi non lo abbiamo mai visto, ma sicuramente passa ancora il banditore con tanto di tamburo e voce stentorea che grida: -Udite. Udite!- come da medioevale memoria. Per carità di Patria non parliamo poi dei politici, dalla circoscrizione fino alle Camere: in genere ci cercano solo quando si vota, per il resto ci ignorano. Credo che in Europa non si vada avanti così. Noi invece siamo ancora, in parte, all’epoca di Silverio. Se il Silverio del 2014 non si rende conto che alle domande va data tempestiva e non evasiva risposta, positiva o negativa non importa, non riuscirà ad ottenere le risposte che lui cerca dagli altri. Una parte di noi, a ogni livello, deve apprendere ancora il significato della parola data, dell’efficienza e dell’efficacia. Vittorio Grechi Cara Europa, aiutaci tu!
Quinoa e stevia Quinoa, kamut, manuka, tofu, kuzu, miso, gomasio, stevia....... Non una di queste parole è nel nostro vocabolario e se le digitate su un iPad, verranno tutte sottolineate in rosso a dimostrazione che non sono inserite nel data base del pc. Eppure, se ne conoscessimo le virtù e le qualità alimentari, ogni giorno almeno uno dei nomi indicati dovrebbe comparire sulla nostra tavola. Qualcuno potrebbe dire, ma allora la nostra tradizione culinaria!?!? E la risposta potrebbe essere: i pomodori, le patate, le melanzane, il mais, le zucchine... pensate che siano originarie delle nostre latitudini? No! Nessuna è originaria del mediterraneo e quindi la famosa dieta mediterranea? È un falso storico! Su questo torneremo. Ma oggi noi parliamo di quinoa e stevia. La quinoa che in spagnolo viene chiamata quínoa o quinua, il cui nome scientifico è Chenopodium quinoa Willd, è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Chenopodiaceae, come gli spinaci e la barbabietola. È una delle poche piante che pur non appartenendo alla famiglia botanica delle graminacee (come il grano, riso, orzo) è classificabile merceologicamente tra i cereali. In base alla terminologia anglosassone, che attribuisce il significato di cereale alle sole piante ascrivibili tra le graminacee (o poacee) ed ai loro prodotti, la quinoa viene classificata come pseudocereale, anche se i suoi semi quando vengono macinati, forniscono una farina contenente prevalentemente amido. Si distingue però dagli altri cereali per l'alto contenuto proteico e per la totale assenza di glutine, il cui consumo è permesso pertanto anche ai celiaci. Per il suo buon apporto proteico sia quantitativo che qualitativo (contiene tutti gli amminoacidi essenziali) costituisce l'alimento base delle popolazioni andine, degli Inca in particolare, che chiamano la quinoa «chisiya mama» che in quechua, lingua
inca, vuol dire «madre di tutti i semi». La quinoa è pertanto un alimento da considerare nel nostro quotidiano e quindi sulle nostre tavole, perché dotata di particolari proprietà nutritive proteiche oltre a fibre vegetali, acidi grassi polinsaturi, minerali quali fosforo, magnesio, ferro e zinco. La stevia rebaudiana Bertoni, una pianta erbaceo-arbustiva perenne, di piccole dimensioni, della famiglia delle Asteraceae (Compositae), nativa delle montagne fra Paraguay e Brasile, è conosciuta da molti popoli dell'area geografica sudamericana da diversi millenni soprattutto per il potere dolcificante delle sue foglie secche, da 150 a 200 volte, rispetto allo zucchero comune. Usata da sempre dagli indigeni Guarani' per preparare il Mate, viene chiamata caache che vuol dire erba dolce. Contrariamente allo zucchero i princìpi attivi non hanno alcun potere nutrizionale (zero calorie), e sono relativamente stabili nel tempo ed alle alte temperature, per cui conservano perfettamente le loro caratteristiche anche in prodotti da forno o in bevande calde, diversamente da altri dolcificanti di sintesi come l'aspartame, che subisce degradazione. È una pianta che potremmo considerare quasi miracolosa in quanto non solo non apporta calorie quando dolcifica qualsiasi alimento o bevanda, ma addirittura si comporta come antidiabetica in quanto agisce direttamente sulle cellule beta del pancreas insulina secernenti, azione indipendente dall'adenosina monofosfato e trifosfato (AA. Jeppesen, Gregersen, Poulsen, Hermansen). Inoltre regola l'ipertensione, è diuretica, evita le carie dentarie, la stitichezza, tratta il sovrappeso e le malattie infiammatorie della Dr. Leonardo Paoluzzi pelle. Medico chirurgo - Esperto in agopuntura e fitoterapia
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La spedizione dei Mille: l a b a t t a g l i a d e l Vo l t u r n o
Ancora un’ultima freccia rimaneva all’arco borbonico, nella cui faretra v’erano i 40.000 soldati accampati dietro la sponda destra del Volturno ancora fedeli a Francesco II. Essi erano molti, troppi, considerando che l’Esercito Meridionale poteva contare sulla metà degli effettivi e che essi dovevano terminare di sbarcare a Napoli per poter ingaggiare battaglia, seppur facilitati nelle operazioni di approdo dalla non ostilità della flotta napoletana: per il momento si poteva solo indugiare. Caduto nel vuoto l’appello lanciato ai regi affinché entrassero nei ranghi rivoluzionari, il primo atto da dittatore di Garibaldi fu quello di aggregare tutti i bastimenti da guerra e mercantili dello Stato alla flotta sabauda dell’ammiraglio Persano, decisione chiaramente conciliante nei confronti del pur odiato governo piemontese, dovuta all’unica priorità del generale: l’unità del Paese. Alla medesima ragione si devono ascrivere anche la creazione di un ministero composto da uomini di ispirazione cavouriana, nel quale si lasciò il dicastero degli Interni a Liborio Romano, la promulgazione dello Statuto Albertino come legge fondamentale dell’ex regno delle Due Sicilie e l’accondiscendenza nei confronti di chi chiedeva che il plebiscito fosse immediato, così da evitare derive repubblicane. I reazionari nel frattempo lavoravano indefessi per una controreazione che riuscirono a concretizzare con i disordini di Isernia, Dentecane, Ariano ed Avellino, presto repressi con le armi dal generale Turr; giungevano nel frattempo nella capitale campana Cattaneo, Saffi, e lui, il diavolo in persona: Mazzini. La loro presenza fece divenir ancor più impaziente il così detto partito annessionista, che a Palermo giunse perfino a dei conflitti in piazza con i democratici: fu per riportare l’ordine che il duce delle Camicie Rosse dovette recarsi in Sicilia, dove sostituì il dimissionario prodittatore Depretis con il più fedele Antonio Mordini, cui affiancò validi ministri. L’assenza seppur momentanea del generale fu però pagata a gran prezzo: lo stesso giorno in cui fu costretto a partire per la Trinacria, il 16 settembre, aveva infatti deciso di iniziare un’operazione di arginamento delle truppe borboniche che il maresciallo Ritucci stava ammassando sul Volturno protetto alle spalle dalle fortezze di Capua e Gaeta, in modo da evitare che sferrassero un’offensiva per riprendere Napoli quando ancora i garibaldini non erano pronti ad una battaglia campale. Il piano prevedeva che il maggiore Csufady conducesse attraverso la regione di Caiazzo tre dei distaccamenti della divisione di Turr, per poi unirsi agli insorti liberali e tenere impegnate le forze nemiche, obiettivo che in effetti il generale garbaldino riuscì a conseguire. Il problema si presentò invece quando Turr, spingendosi oltre gli ordini ricevuti, volle strafare: se la brigata Rustow doveva limitarsi a fingere un attacco contro Capua, essa si portò fin sotto la linea di tiro dei napoletani e dopo un’iniziale successo fu obbligata a ritirasi; poco dopo il battaglione Cattabeni fu accerchiato nella piazzaforte di Caiazzo, quando invece non si sarebbe dovuto trovare dentro le mura della città, bensì nel suo contado. L’eroe dei due mondi, tornato la sera del 19, non potè far altro che mandare il reggimento del colonnello Vacchieri in aiuto di Cattabeni; il ventuno infine i volontari vennero attaccati da 7000 borbonici che li misero in rotta, la prima della Campagna Meridionale. Tale disfatta non solo causò la morte di molte Camice Rosse, ma
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anche l’acquisizione di nuova fiducia da parte dei regolari, che finalmente si decisero a tentare di riprendere Partenope prima dell’arrivo dei piemontesi, una mossa giusta, ma vanificata dal dubbio piano che venne imposto a Ritucci. Si volle infatti scagliare un’offensiva su due fronti, quello di Santa Maria e Sant’Angelo e quello di Ducenta, dove Von Mechel, già vinto a Palermo, dovette provvedere a schierare le proprie truppe, avendo inoltre l’ordine di domare l’insurrezione di Caiazzo e Piedimonte. La macchinosità delle manovre nemiche consentì a Garibaldi di avere nove giorni in più per predisporre le difese lungo una linea di battaglia a dir poco difficoltosa da difendere, e non solamente per la sua lunghezza: essa presentava numerosi punti critici in prossimità di luoghi che provvide sì a guarnire di truppe, ma che comunque avrebbero reso difficoltosa qualsiasi operazione, essendo proprio quelli scelti dallo stato maggiore borbonico per attaccare. Sette erano poi le vie che consentivano di marciare verso Napoli, e certo non poteva evitare di concentrare parte dei propri uomini a loro difesa; sua brillante intuizione fu quella di lasciare una riserva al comando di Turr a Caserta, quartier generale del Nizzardo. Era questa la stessa tattica di Napoleone, che aveva creato la Guardia Imperiale proprio per teatri di battaglia così vasti, in cui tale corpo veniva fatto intervenire solo quando era ormai evidente il punto del fronte decisivo per le sorti della battaglia, capovolgendone spesso l’esito per buona riuscita di un vero e proprio azzardo. Il generale amava però il rischio, e non ebbe timore di affrontare il Volturno come Austerlitz: era la sera del trenta settembre e i generali borbonici avevano intenzione di donare a Franceschiello la sua stessa capitale già per l’indomani, giorno in cui cadeva il compleanno del re. Ancora non era sorta l’alba, quando l’offensiva iniziò poderosa: fin da subito il comandante dei volontari dovette iniziare a far ciò per cui era famoso, essere presente in tutti i luoghi dove si combatteva, così da dirigere di persona le manovre e da infondere coraggio ai suoi. Né temeva per la propria vita, come dimostrò ancora una volta affrontando a sciabolate i nemici che avevano attaccato la sua carrozza mentre si stava recando da Santa Maria a Sant’Angelo, dove si temeva lo sfondamento nemico nonostante i rinforzi che aveva mandato, oppure esponendosi al fuoco ostile nel momento decisivo, quando condusse egli stesso all’attacco l’intera riserva di Gaeta ed i calabresi di Stocco e Pace, ottenendo la vittoria sul fronte principale grazie al coraggio dimostrato da quegli uomini e dai 250 soldati di Bronzetti, che morirono quasi tutti per bloccare un’offensiva borbonica avente il compito di bloccare le truppe ausiliarie da lui richiamate. Bixio nel frattempo era riuscito a difendere la posizione di Maddaloni fino alla definitiva ritirata dei regi, in modo da rendere universale il trionfo conseguito pur senza l’aiuto dei regolari, il cui apporto fu limitato quel giorno a dodici cannoni, e quattro compagnie quello successivo, quando fu stroncato sul nascere un attacco della colonna Perrone in direzione di Gaeta. Qui termina il racconto di grandiose battaglie, questo l’epilogo della pagina più gloriosa della primavera dei Popoli. Francesco Neri
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Il Ponte di Augusto a Narni L’aspetto attuale di Narni rispecchia molto il suo passato medioevale, poco resta invece della città romana. Il piccolo centro fortificato in origine era un avamposto umbro, arroccato sul Monte Maggiore, a controllo del fiume Nera. Nel 299 aC i romani lo conquistano trasformandolo in una colonia. Il nome verrà cambiato da Nequinum a Narnia, mettendo così in risalto l’importanza strategica del fiume. Nel 90 aC diverrà municipium e gli abitanti saranno iscritti nella tribù Papiria. Del centro romano si conservano: tratti delle mura perimetrali, resti dell’area forense, alcuni blocchi in travertino conservati nel medievale Arco Romano. Appena fuori il centro abitato troviamo: la Fonte Feronia, realizzata nel 1600 su una precedente struttura idrica che si può far risalire al III sec. aC e l’acquedotto di età augustea. Il monumento romano più rappresentativo è senza ombra di dubbio il ponte, fatto costruire da Augusto nel corso dei lavori di ristrutturazione della via Flaminia, con molta probabilità nel 27 aC (Res Gestae, IV, 20). La strada fu voluta da Caio Flaminio Nepote; terminata un anno prima della sua morte, nel 219 aC, collegava Roma allo Adriatico. Nasce come via militare per il controllo della Gallia Cisalpina e nel corso dei secoli fu risistemata varie volte. Il tratto umbro si divideva in due rami, quello occidentale passante per Carsulae e Mevania, quello orientale che attraversava Interamna e Spoletium. I due tratti si riunivano a Forum Flaminii, identificata con l’attuale San Giovanni Profiamma, nei pressi di Foligno. Il ponte, costruito appena sotto Narnia e considerato uno dei più maestosi dell’Italia antica, permetteva alla Flaminia di oltrepassare il fiume Nera congiungendo il Monte Maggiore con il Monte Santa Croce. Nel corso dei secoli ha subìto diversi crolli, i più significativi sono avvenuti: intorno all’VIII secolo; nel 1053 o 1054, quando un’onda di piena ne fece crollare una parte cospicua; infine nel 1885, quando sempre un’onda di piena fece cadere il
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secondo pilone. Dopo il crollo del 1053-1054 il ponte fu chiamato “Ponte Rotto” e sostituito con un altro. In origine misurava circa 180 metri di lunghezza, era largo 8 metri con una altezza massima di 30. Era strutturato su quattro arcate poggianti su tre pile e due spalle. Il peso di queste ultime gravava direttamente sulle pareti dei due monti: per questo motivo possiamo considerarlo un ponte-viadotto. Le arcate erano di diverse dimensioni: la prima, partendo dal Monte Maggiore, ha una luce di circa 19 m, le altre misuravano rispettivamente 32, 17 e 16 metri. L’unica che si conserva oggi è la prima. Sono anche visibili le spalle: la seconda, quella che poggia sul Monte Santa Croce, è priva del paramento esterno ed è stata forata per permettere il passaggio della linea ferroviaria. Si possono inoltre osservare le tre pile: la prima e la terza ancora in opera, la seconda adagiata a terra e spezzata in più parti, conseguenza della piena del 1885. La sede stradale era in forte pendenza a causa del dislivello, di circa 12 metri, dei due punti di appoggio delle spalle. La tecnica edilizia utilizzata è quella dell’opera a sacco: nucleo in cementizio con paramento in opus quadratum. Da una attenta osservazione delle parti ancora in opera si possono riscontrare differenze tipologiche che fanno ipotizzare diverse fasi costruttive o forse, più probabilmente, rifacimenti e restauri vari. Questa imponente struttura architettonica ha da sempre suscitato profonda ammirazione, sia da parte dei locali che dei numerosi viaggiatori, per questo è stata raffigurata in molti quadri e ricordata da importanti scrittori. Durante l’epoca del Grand Tour era una tappa quasi obbligata. Nel 2005 la Soprintendenza Archeologica per l’Umbria ha portato a termine importanti lavori di ristrutturazione e consolidamento. Oggi, dopo l’ultimo accurato restauro, quel che resta del ponte desta ancora immutata meraviglia. Denis Fagioli
Franca Calzavacca L’Assemblea annuale dell’ordine dei giornalisti, convocata dal presidente Dante Ciliani lo scorso 23 marzo, ha voluto onorare con una targa-ricordo i colleghi che quest’anno hanno raggiunto il 50° anniversario dell’iscrizione all’albo. Il direttore e i redattori de La Pagina sono lieti di rendere omaggio alla nostra concittadina Franca Calzavacca che quest’anno ha ottenuto tale riconoscimento. Iscritta all’ordine nazionale dei giornalisti dal 1963, inizia la sua attività come redattore e critico d’arte a Brescia, corrispondente del quotidiano milanese L’Italia. Ha successivamente collaborato con le riviste culturali e di arte Notiziario d’arte di Roma, A Studio di Vicenza, Gazzettino delle arti di Venezia e con i settimanali La voce del popolo e Il cittadino di Brescia, L’illustrazione ticinese di Lugano, La casa di Milano, Madre di Brescia, Eco d’arte moderna di Firenze e La Fiera Letteraria sino alla
conclusione editoriale della rivista. Trasferitasi in Umbria ha proseguito la sua attività giornalistica sul quotidiano Il Messaggero sino al 1972 e successivamente presso Paese Sera. Ha svolto l’attività di corrispondente per l’Agenzia ANSA e per il quotidiano Il Giorno di Milano. Ha collaborato con articoli di carattere culturale alla Rassegna Sindacale della C.G.I.L. ed al periodico Artinumbria di cui è stata tra i fondatori. Nel 1966 è stata insignita del titolo di Cavaliere al merito della Repubblica per benemerenze culturali. Franca Calzavacca ha anche pubblicato alcune apprezzate opere letterarie di poesia tra cui ricordiamo Oggi, dopo una guerra del 1958, Alcuni momenti del 1967, Sette donne in poesia del 1983, L’ombra della sera del 1999. Alla nostra amica e collaboratrice Franca i nostri più vivi e Loretta Santini affettuosi auguri e felicitazioni.
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17° 10’ 22” Che bella storia da raccontare! Cosa ha spinto Pietro Matteucci e Marcello Qiuintili a tale esperienza? Ma forse è bene partire anche qui dall’inizio. Per gioco dicemmo di andare a fare un giro in moto ed io proposi perché non a capo nord? Dopo qualche giorno decidemmo di preparare il programma, che è stato davvero laborioso... la preparazione fisica, l’abbigliamento tecnologico, la preparazione e manutenzione dela moto, la modifica della stessa per accogliere le borse. E ancora la salute, la sicurezza e tanto altro fu la nostra progettazione per mesi. Ma la cosa che ci ha appassionato di più è stata la voglia di avventura, come possono fare due ventenni alle prime armi con un mezzo impegnativo come il nostro. L’avventura di andare nei posti tanto sognati da bambini, il desiderio di vedere posti che nell’immaginario collettivo rappresentano una sfida alle proprie capacità, la voglia di poter dire io ci sono stato, ed
altri mille motivi ci hanno spinto ad essere talvolta ignari anche del pericolo esistente per due centauri non più giovani. Viaggiare in queste lunghe strade, percorrerle in assoluta solitudine, il pensiero di non poter trovare un distributore di benzina e soprattutto di non poter pagare con carte di credito sono state le preoccupazioni giornaliere. Tutto ciò è stato sublimato dal progetto e dalla voglia di vedere, percorrere osservare e raggiungere giorno per giorno la nostra meta. Incuranti dell’acqua che cadeva sempre copiosamente dal cielo e scorreva sempre nelle montagne e nelle strade da noi percorse in moto, incuranti della neve trovata ancora ai bordi delle strade, incoscienti nel viaggiare lungo costoni di montagne dove scorreva una volta l’acqua ma che in quel periodo ancora era un fiume e/o lago ghiacciato... ebbene questo è il viaggio che siamo andati ad affrontare. Percorrere 220 ore soli sotto il casco non è stato sempre facile né piacevole. Sotto il nostro amico casco abbiamo gioito, abbiamo cantato abbiamo parlato ed abbiamo pianto. Ovviamente dalla gioia. Abbiamo cercato di dare un senso alla nostra prima lucida pazzia, ripercorrendo la nostra vita... La solitudine costretta ci ha portato a
meditare molto... a riflettere sul senso del nostro viaggio, sulla pochezza del nostro essere rispetto alla grandiosità di ciò che vedevamo di giorno in giorno. I fiordi, le montagne, l’acqua, la neve, il gelo, gli animali mai visti prima (renne, alci, balene, baccalà appesi...), ma soprattutto il fatto che per sei mesi all’anno in alcune parti geografiche del nord da noi visitate è sempre giorno. Non è stato, sempre facile l’adeguamento ai nuovi ritmi circadiani imposti dalla posizione geografica. Ma la cosa più affascinante in assoluto è stato viaggiare in moto tutta la notte con il sole a mezzanotte che ci faceva compagnia come per incanto per raggiungere e traguardare la nostra tanto sognata meta “capo nord”. Le città visitate sono state di due tipi: quelle rassomiglianti alle città europee come Oslo e quelle tipiche case in legno con tetti a volte ricoperti di terriccio caratteristiche del paesaggio del nord europa. Inoltre l’esperienza di avere avvicinato persone del popoìo nomade dei Sami (Lapponi) ed in polonia aver posato per una foto ad con l’ultimo superstite polacco del campo di concentramento... è stata un’esperienza affascinante ed irrepetibile. Pietro Matteucci Marcello Quintili
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Foto Alberto Mirimao
La Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni ha premiato lo scorso 11 aprile i vincitori del concorso d’idee internazionale volto all’acquisizione di proposte ideative utili all’elaborazione progettuale dell’intervento di restauro e risanamento conservativo di palazzo Montani Leoni, sede della stessa Fondazione, sito in corso Cornelio Tacito a Terni. Il palazzo venne edificato nel 1584 da Aurelio Fazioli, come è ricordato nella iscrizione presente sull’architrave del bel portale che si apre sull’originaria facciata prospiciente l’odierna via Silvestri. Nel corso dei secoli subì numerosi passaggi di proprietà: nel periodo 16541720 appartenne alla famiglia Guglielmetti; dopo il 1781 e fino al 1820 alla famiglia Genuini; nel periodo 1821-1834 per un breve lasso di tempo fu della famiglia Viviani. Nel 1834 il palazzo venne poi acquistato da Domenico Montani Leoni -ultimo proprietario “privato” da cui ha preso il nome l’edificio- per essere poi espropriato nel 1873 dal Comune di Terni, per la realizzazione della “strada nova” intitolata a Cornelio Tacito. Nel 1877 l’amministrazione municipale, che aveva già avviato i lavori di demolizione e rifacimento di parte del palazzo per far posto alla nuova strada, lo vendette alla Cassa di Risparmio di Terni, che a sua volta operò notevoli modifiche per adibire le sale ad uffici e a casse aperte al pubblico. Il salone principale del piano terra è stato sede di sportelli bancari fino al 2012 -prima dell’acquisizione dell’intero piano da parte della Fondazione Carit- ed era stato ristrutturato già negli anni ’60 con la rimozione di parte degli apparati decorativi dell’epoca Liberty. Con il concorso, intitolato a Tommaso Ernesto D’Annibale, già Vice Presidente del Comitato di Indirizzo, la Fondazione ha inteso individuare la migliore soluzione al tema del restauro e del risanamento conservativo degli ambienti siti al piano terra di palazzo Montani Leoni, con lo scopo di riportarli agli originari splendori e di creare nuovi spazi polifunzionali espositivi, sale riunioni per la realizzazione di mostre d’arte, convegni e congressi. Il concorso è stato bandito il 13 giugno 2013 e si è concluso il 31 ottobre 2013 con la presentazione degli elaborativi della seconda fase. L’assegnazione dei premi è stata stabilita da una qualificata giuria coadiuvata da un notaio. Al termine del concorso la Fondazione ha provveduto alla premiazione degli elaborati e ha organizzato l’esposizione dei progetti al piano del palazzo nel periodo 11-19 aprile 2014.
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Paolo Cicchini
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