A proposito di referendum
Sporco Komunista
Raffaela Trequattrini
Il gioco delle parti nella vicenda dei licenziamenti sembra funzionare alla perfezione: volevo licenziare, ci rinuncio, ma voi in cambio mi date energia a basso costo. Ovviamente faremo una centrale ad hoc. L’avevate già in mente? Uh, che bello! E il Ministero? Aveva già pronta l’autorizzazione? Ma pensa tu le combinazioni! In questo gioco dei bussolotti tutto sembra tornare. E invece no: c’è fior di trucco. Chi ha un interesse privato a fare comunque la centrale, non ce lo svelerà di sicuro. Per cui vediamoli insieme, questi inghippi. I) Le riassunzioni alla TK sono, con ogni evidenza, uno specchietto per le allodole. Anche se i posti di lavoro salvati durassero, Dio volesse, davvero fino al 2009, per quell’epoca la centrale non sarà ancora operativa, tanto più che alla sua costruzione verranno opposti tutti gli ostacoli possi-
L’anticonformismo era merce rara tra i giovani, molti dei quali sbavavano, proprio come ora, per il potere, qualunque forma assumesse. Odio anticomunista si respirava ovunque: la strada, la chiesa, la scuola. E nella mia famiglia, senza dargli però troppa importanza. Io ero l’orgoglio dei miei. Bravissimo a scuola, studiavo molto; frequentavo di tanto in tanto l’oratorio, entravo in chiesa. Mi ispiravo però a valori laici, ad alti ideali e il codice morale che s’andava formando proveniva in gran parte dalle letture classiche. La codardia altrui mi procurava imbarazzo e vergogna, in particolare quella di chi, a corto di risorse intellettive, esaltava virtù guerriere, condendole con scemenze mistiche, e si ammassava in gruppi di servizio, non all’etica o alla cultura, ma a privilegi personali o a padroncini vari. Così, manifestandosi frequentemente tali esempi di viltà, diventavo spessissimo rosso, in volto. Al ginnasio alcuni insegnanti recisero, alla radice, la mia passione per lo studio, che rifiorirà solo dopo la laurea. Al liceo cominciai a capire un poco di politica, non certo per stimoli surrettizi provenienti da uomini eccellenti, come gli amatissimi zio Arcangelo Petrucci, Preside carismatico, Dante Sotgiu o Piero Adorno, veri educatori e uomini pubblici comunisti, Domenico Marrone, mitico, alto quanto basta per raggiungere eccelse vette di cultura e d’umanità, Don Paolone, religioso amante dell’arte e della musica classica. Mai da loro un cenno ai partiti: non si mettevano in competizione, come facevano altri pupazzi, con gli studenti. Io fui l’unico ad opporsi pubblicamente ai vulnus culturali ed educativi di una violenta istruttrice di scienze che riduceva la disciplina a studio mnemonico di quantità spropositate di regole, nomi,
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di
I ricordi più belli della mia vita sono legati al contatto con la natura, fattore, secondo me, rigenerante per eccellenza del corpo e dello spirito. Ciò nonostante...... La natura, non sempre gioca a favore dell’uomo. Lasciamo perdere i fenomeni naturali devastanti come terremoti, trombe d’aria, tsunami e via dicendo; lasciamo perdere anche la storia di quel mio zio che ha fumato per una vita 100 sigarette al giorno, poi è morto, a 92 anni, in piena campagna, di shock anafilattico in seguito ad una puntura d’ape. Soprassediamo sul fatto che statisticamente un parto naturale presenta maggiori rischi di un parto cesareo. segue a pag. 2
Padri ricostituenti
N° 3 - Marzo 2005 (23)
Francesco Borzini
Buchi nella sabbia Sandro Tomassini
Guardando il volto rubicondo del Ministro Calderoli, viene da chiedersi se l’Italia di oggi, con tutti i suoi innegabili difetti, meriti davvero di avere un padre costituente di tal fatta. Ciò non suoni offensivo nei confronti del pragmatico senatore padano, persona concreta e battagliero Vice-Presidente di Palazzo Madama, ma poco incline alla riflessione sui massimi princìpi dell’Ordinamento Costituzionale e assai lontano dalle raffinate elaborazioni di un Hamilton o anche solo di un Calamandrei. Il clima complessivo da cui è nata la grande riforma, però, lascia davvero sconcertati. Il dibattito nell’Aula del Senato della Repubblica è stato sbrigativo e contingentato manco si dovesse votare l’ennesimo decreto mille-proroghe e non il testo fondamentale del nostro vivere associato.
Un misconosciuto poeta contemporaneo, Ernesto Ragazzoni, il quale ha trovato solo in Gasman e Riondino attenta estimazione e la cui salace ironia avrebbe invece meritato maggiore fortuna, ha dedicato una gustosa poesia a quelli che esprimono il massimo del loro talento nel fare buchi nella sabbia. Guardando certi personaggi di oggi che altro in effetti non sanno esprimere, penso che l’evoluzione dell’uomo sia sostanzialmente un dogma, una verità assoluta e non dimostrabile. Ad onta, infatti, di una supposta crescita intellettuale e sociale, vedo sempre più spesso e in diversi campi, gente che si diletta, appunto, ad eseguire dei bei buchi nella sabbia. Ci sono ad esempio quelli che criticano per scelta di vita, perché si sento-
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A PAGINA 5
Monica per un sorriso
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Monaldo de’ Paradisi
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La Cappella Paradisi Chiesa di S. Francesco Terni
8-9 La perduta decorazione pittorica dell’Eremita di Cesi 10 La Pentecoste nel museo civico di Calvi dell’Umbria 11 Martina l’ochetta di Lorenz 14 lepagine.doc
L’acciaieria e la centrale Comitato Contro la Centrale
Giampiero Raspetti
dalla prima A proposito di referendum Facciamo finta di ignorare che il cancro è una malattia assolutamente naturale, ma finché non hanno inventato la chemioterapia il 100% dei soggetti colpiti moriva, mentre oggi l’80% si salva. Dimentichiamoci che quando per curarsi esistevano soltanto metodi naturali, si respirava aria pura perché lo smog non c’era, e non esistevano i panini del Mac Donald, la vita media era di gran lunga più corta. In Africa, dove progresso e tecnologie non sono ancora arrivati, la vita media è ancora molto più corta rispetto ai parametri dei Paesi industrializzati. Cosa voglio dire con tutto questo? Che trovo assolutamente sciocco ed arbitrario, e mi riferisco alle tante polemiche che intendono ostacolare alcune branche della ricerca scientifica, come quella sulle cellule staminali o sui cibi transgenici, addurre come
argomento di opposizione l’origine non naturale di certe pratiche. Che negli ultimi anni l’uomo abbia bistrattato la natura e per puri interessi economici di pochi, anzi di pochissimi, stia deturpando l’ambiente mettendo seriamente a repentaglio la nostra salute, è la sacrosanta verità. Cito la politica americana degli ultimi anni che combatte strenuamente le sigarette (al limite del rispetto della privacy), poi non si adegua al trattato di Tokio. Che gli umani artifici, dunque, possano essere altamente nocivi, non ci piove. Ma su cosa dovremmo basarci per decidere quello che nuoce o quello che giova? Su cosa, se non sui dati scientifici che rilevano i livelli di diossina presenti nell’atmosfera, aumenti sospetti di temperatura, ed in futuro, ci auguriamo, la componente
genetica delle malattie? I metodi della ricerca scientifica non sono naturali, ma è grazie ad essi che riusciamo a sapere con attendibilità quando la natura stessa o l’intervento umano possono risultare positivi, insignificanti o deleteri per il nostro benessere. Se nella storia si fosse rifiutata a priori qualunque forma di ricerca scientifica avesse richiesto forzature nei confronti della natura, la specie umana, alla stregua di tante altre specie che in milioni di anni hanno fatto una finaccia non a causa dell’uomo, ma per ragioni di carattere naturale o biologico, si sarebbe già estinta o vivrebbe come i popoli del terzo mondo, afflitta da fame, sete e malattie. Non sarà per caso che gli interessi economici abbiano pensato di sfruttare, in modo diretto o indiretto, anche i concetti di etica e di natura? R. Trequattrini
Voglia di fumare Io non sono fumatore. Non fumo, mi dà fastidio, quando mi ci hanno fatto provare, ho avuto il voltastomaco. Non amo i fumatori. Li trovo volgari e puzzolenti: posso capire l’eleganza di una bella pipa o di un imponente avana, ma la sigaretta è esteticamente brutta, piccola striminzita e maleodorante com’è. Se nei miei ormai rari episodi amorosi mi imbatto in una fumatrice, per l’odore di fumo freddo del suo fiato mi pare di andare a letto con un portacenere usato e la voglia mi passa. Non capisco cosa potrebbe apportare di meglio il fumare alla mia vita, a parte cancro, enfisema e simili. Insomma, per chiarire: il fumo mi fa schifo. Però… Che sia lo Stato a dirmi cosa non devo fare agli altri, passi. Ma che voglia mettere il suo naso disonesto nei miei fatti privati, mi dà un fastidio ancora più grande del fumo. Mi voglio avvelenare, voglio morire, voglio puzzare, fare schifo, essere repellente? Cavoli miei. E mi viene voglia di fumare: fumare, nascosto come un cospiratore, nel ristorante, nella toilette, nel bar. Fumare con arroganza sotto il naso di chi ormai si sente autorizzato a guardare chi fuma come se fosse uno stupratore pedofilo drogato. Fumare fitto fitto nell’ascensore, fino a non vedere più nemmeno la pulsantiera, farlo puzzare per mesi, renderlo più tossico d’una camera a gas. Ma mica il mio; e nemmeno il vostro. Quello di Sirchia. Quisque De Populo
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L’ a c c i a i e r i a e l a c e n t r a l e bili. Quindi che l’energia a basso costo la si prenda là è escluso: a questo la centrale non servirà affatto. II) E fino al 2009? I motivi che avevano spinto l’azienda a licenziare e chiudere, ci saranno ancora tutti. Abbiamo davvero l’anellino al naso, per credere che la TK, rinuncerà, per correttezza, a produrre in Cina, dove come si sa sta già costruendo un’altra acciaieria, e ci rimetterà, pur di mantenere le promesse fatte ai ternani? III) Il costo della centrale, di oltre 1000 miliardi (in lire) avendo un periodo di ammortamento di 20 anni, è antieconomica fino all’assurdo, se davvero dovesse servire all’acciaieria. Ma se invece serve ad arricchire qualche privato vendendo energia alle spalle degli operai licenziati e di chi morirà per i danni da inquinamento, allora va benone. IV) Vi sono in Italia 120 domande pendenti, per costruzione di centrali. Dato che il nostro sviluppo industriale è minimo, è evidente che esse servono a vendere energia, non a supportare sviluppo. V) Ma l’energia a basso costo che serve alla TK e ad altri, può essere tranquillamente importata dalla Francia, le cui centrali nucleari la notte devono restare accese fornendo un surplus di energia che la Francia è interessatissima a cedere a prezzi stracciati, piuttosto che sprecarla. A questi argomenti se ne devono aggiungere altri, di cui s’è già parlato in passato, ma non c’è peggior sordo… VI) L’impatto di una centrale come quella progettata sull’ambiente sarebbe rovinoso vuoi per l’immane inquinamento chimico e termico che essa causerebbe, vuoi per l’enorme elettrodotto che essa comporterebbe, con un inquinamento elettromagnetico che contaminerebbe in modo gravissimo zone a vocazione paesaggistica e turistica. VII) Nella zona infatti c’è un fiorire di realtà agrituristiche e di altre iniziative in grado di produrre, col numero e se incrementate, quella ricchezza
che l’acciaieria non è purtroppo più in grado di assicurare: la costruzione del mostro progettato ne decreterebbe la morte immediata. I piccoli imprenditori privati non si contano facilmente come i metalmeccanici, né hanno altrettanta coesione; ma sono una realtà sempre più importante in periodo di crisi economica e della quale, se si vuole almeno far finta di essere in buona fede, occorre tener conto. VIII) Tutti i modelli a idrocarburi sono in avanzata via di superamento, dalle autovetture alle fonti di energia. Nonostante gli sforzi (anche bellici) di chi ha diverso interesse, è ormai chiaro che se non vogliamo far morire l’intero pianeta, oggi che la Cina assorbe un’energia fino a ieri inimmaginabile, non c’è alternativa alle fonti rispettose dell’ambiente. Gli studi sull’idrogeno, benché strenuamente avversati dai petrolieri, si stanno facendo spazio; in una località del nostro nord, i cittadini mandano le auto diesel a olio di colza, con spesa e inquinamento ridottissimi: questa e non altra è la strada del futuro. IX) In questo contesto pensare che nel 2009 una centrale ad idrocarburi potrà essere ancora attuale è una follia degna dei governanti dei defunti regimi dell’Est: non occorre chissà che cultura per rendersene conto. Bene farà dunque il sindaco Raffaelli a usare prudenza. E meglio ancora farà se, sottraendosi ai falsi ricatti dei 1000 licenziamenti che non sarà in alcun modo la centrale ad evitare, sosterrà per Terni un modello di sviluppo decentemente moderno, in cui dei vitali problemi dell’ambiente si tenga il necessario conto. CCC
Opinioni Buchi nella sabbia no depositari della verità; quelli che criticano per partito preso, perché ciò che fa l’altro è pregiudizialmente sbagliato; ovvero quelli che criticano per invidia, perché non sono in grado di fare ciò che gli altri fanno o tentano di fare ed allora è meglio che non si faccia alcunché, così non emerge la loro inconsistenza; oppure ancora quelli che criticano ciò che viene fatto senza il loro determinante apporto, perché viene loro inibita la possibilità di apparire (che è ormai più importante dell’essere). Guru nostrani che sentenziano senza appello che ciò che fanno gli altri è errato, scomodo, subdolo, surrettizio, preordinato ad altri fini, da guardare con sospetto, da boicottare e comunque da eliminare, tanto che c’azzecca, come amava dire con rara ricercatezza stilistica il poco compianto Tonino! L’importante è non entrare nel loro campo d’azione, sia
esso la Bioetica, la Politica, la Culinaria, il Bricolage o il Manuale delle Giovani Marmotte. Tante prime donne, tanti santoni, tanti saccio fa che finiscono per fare soltanto i citati buchi nella sabbia e magari cercano anche di schermare questo importante lavoro, nel timore che gli altri possano rubare loro l’arte. Personalmente mi macero fino al midollo nel tentativo di acquisire siffatta gratificante tecnica, ma mia nonna diceva che scienziati si nasce ed io purtroppo non ci nacqui, cosicché avverto la deprimente impossibilità di avere in dote la chance di sublimarmi. Per cui, in un impeto di generosa complicità, consiglio vivamente ai fortunati mortali che sono invece così geneticamente dotati, di affinare il loro mestiere e tentare il grande salto di qualità: fare buchi nell’acqua. S. Tomassini
Padri ricostituenti
Di tale dibatto passeranno alla storia le sole richieste di verifica del numero legale, ci ha fatto sapere la pungente ironia del Senatore Andreotti, su cui non si può non concordare. La Costituzione, il cui testo dovrebbe essere cesellato e intarsiato come una delicata opera d’arte, fatta di pesi e contrappesi, di raffinate limature linguistiche e concettuali, in cui ogni virgola e ogni sospiro intellettuale dovrebbe avere una sua pregnanza, è stata ridotta ad un patchwork confusionario dal sapore futurista. Dall’asfittico dibattito di questi mesi è uscito un testo linguisticamente zoppicante e giuridicamente confusionario, in cui concetti fondamentali vengono frullati insieme con la stessa approssimazione con cui si elaborano gli slogan elettorali. La procedura legislativa che sostanzia il bicameralismo imperfetto, appare un capolavoro di acrobazia linguistica, in un verboso articolato che farà impazzire il legislatore, generando conflitti a iosa, con il rischio concreto di grippare pericolosamente il lavoro delle nostre Camere. Quanto ai nuovi poteri del Primo Ministro, non più
nominato dal Presidente della Repubblica, che non abbisogna più del voto di fiducia delle Camere e a cui è attribuito il potere di scioglimento delle stesse (dotandolo così di un’arma di ricatto tale da consentirgli di approvare senza ostacoli qualsiasi provvedimento legislativo), c’é ben poco da commentare. Il Capo dello Stato è stato ridotto a figura poco più che simbolica, la Corte Costituzionale vedrà aumentare la sua politicizzazione con l’incremento dei giudici eletti dalle due Camere, il bizzarro Senato Federale sembra fatto apposta per smentire il motto latino per cui nomina sunt consequentia rerum, mentre la devolution aumenterà inevitabilmente i conflitti e le sperequazioni regionali che già il nuovo Titolo V ha prodotto in abbondanza. Ci sarebbe di che perdere il sonno, se non ci fosse la speranza del referendum popolare, che non potrà non fare giustizia di questa pasticciata attività deformatrice del nostro testo Costituzionale. E chissà che, una volta archiviato il voto referendario, non venga in mente di ricominciare da zero il necessario percorso riformatore delle nostre Istituzioni, magari chiamando i cittadini a votare una nuova Assemblea Costituente, per aprire finalmente nel Paese un dibattito serio ed approfondito su un tema cruciale, che non può essere delegato ai pur simpatici sghignazzi di un rubicondo Ministro Padano. F. Borzini
S p o r c o calcoli. Poiché volevo capire e rifiutavo la riduzione a scimmietta o a pappagallo, protestavo apertamente, mentre i compagni di classe avevano paura, loro, per quello che io dicevo a solo nome mio. Cominciai così ad essere etichettato ribelle, anche se non c’era, né c’è, un legalista più legalista di me. Mi dichiaravo, forse lo ero, repubblicano: una giusta dose di antifascismo, di anticlericalismo, di anticomunismo. Università: allievo di Lucio Lombardo Radice, grandissimo matematico, acutissimo pedagogo, prolificissimo scrittore. Collaborai con la sua rivista Riforma della scuola. Lucio era membro del Comitato Centrale del Partito Comunista. Rimasi impressionato, in occasione della mia tesi di laurea e nel corso degli incontri che tenevamo alla cittadella di Assisi, dalla sua umanità. Anche in lui, come in tutti gli altri grandi uomini conosciuti, non riuscivo proprio a trovar traccia di quel virus pestilenziale che, stando a spudorate insinuazioni, avrebbe corroso uomini intelligenti, colti, umanissimi per poi trasformarli in comunisti. Favola propagandistica che da bambino mi incupiva (un tarlo, comunista, che corrode dentro!) ma che poi mi rallegrava perché chiaramente inseribile nell’apologo di Fedro La volpe e l’uva. Il nondum matura est indicava ormai palesemente l’invidia bavosa per gli uomini liberi. Foligno: allievo ufficiale. Divenni, per il coraggio di oppormi a sgarbi quotidiani, una sorta di idolo per tanti allievi amanti della divisa e dei fuciletti. Quando però il mio j’accuse, duro, veritiero e motivato, fu rivolto, in seduta plenaria ed in presenza del Colonnello Comandante, contro lo stesso Colonnello, gli allievi di prima, coraggiosissimi nelle esaltazioni cameratesche, ebbero così tanta paura di poter essere considerati amici dell’allievo lebbroso Raspetti da bollarmi, con stizza, come comunista. Fu naturale convincersi che comunista dovesse anche significare avere il coraggio di
K o m u n i s t a
esprimere il proprio pensiero andandoci di mezzo di persona, senza complicità con dei vigliacchi. Un contegno da rivoluzionario, da chi cioè annuncia il futuro, graffiandolo, restando unico responsabile delle proprie azioni. Sentivo di amare questa rivoluzione, almeno da quando mi ero appassionato all’azione educante di Socrate ed alle storie di Cristo e di Francesco. Seguì un mese di torture psicologiche da parte degli ufficiali superiori ma fui salvato dalla mia integrità morale e dal cordone di salvaguardia effettuato su di me da molti giovani ufficiali d’Accademia, protettori del mio ardire e sorpresi dalla mia capacità di capire quel che avveniva. Coraggio, tensione morale e perspicacia mi procurarono però la segnalazione, nelle carte ufficiali, di ribelle e pericoloso sovversivo. La taccia di ribelle, esatto contrario di rivoluzionario, mi offende e mi indigna. Terni: torno al Liceo come insegnante. Incapace di accettare arbitrarie imposizioni che la ex istruttrice di scienze, divenuta Preside, dispensava con cocciuta e rituale determinazione, lottavo solitario, nei Collegi e nei Consigli, per il rispetto di elementari forme di democrazia, di civiltà, di buon gusto. Lo facevo apertamente, risultando sempre dalla parte della ragione ma mi rimaneva solo la ragione oltre ai mugugni ed alle paure dei colleghi, per molti dei quali diventavo, radicatamente, lo sporco comunista. Ebbi allora la certezza che
quando qualche Gargamella dai tacchi alti e dai capelli bassi odia visceralmente il coraggio di chi lotta senza brigare con i potenti, o di chi è, socraticamente, un autentico legalista, il rimedio c’è ed è nella taccia: sei uno sporco Komunista! Son sicuro che quasi tutte le contrade politiche siano popolate anche da persone in buona fede, intelligenti, colte, generose. Storie parallele alla mia, ispirate a coerenza e dignità, esistono certamente anche in territori politicamente opposti: vorrei tanto poterle conoscere e pubblicare. Son anche certo che al desco dei comunisti non tutti mangino pane e dignità o pane e cultura, ma, più d’uno, pane e surrogato di volpe, oltre ad opportunismo. Ovunque incontro però uomini che non si apparentano in confraternite di mutuo soccorso o in camarille partitiche e che non saranno mai dei leccones-scodinzolantes. Ovunque saluto uomini che hanno in sommo disdegno i ribelli, coloro cioè che reagiscono violentemente al progresso ed alla civiltà, vigliacchi che pretendono le istituzioni a loro immagine e somiglianza, quindi demagogiche e criminose, e che per ottenere la loro verità brigano, plagiano, corrompono, stuprano. Per costoro si nutre disprezzo, non odio. Conosco, stimo ed amo, moltissime persone che antepongono a tutto dignità, meritocrazia, giustizia, servizio per il prossimo. Saranno comunisti, ma non sono loro quelli sporchi. G. Raspetti
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Diritto Locazioni abitative la riconsegna dell’immobile
Può verificarsi che al momento della riconsegna dell’immobile da parte del conduttore, il locatore, adducendo che l’immobile non si trova in buono stato locativo, si rifiuti di prenderlo in consegna fintanto che il conduttore non provveda alle necessarie riparazioni. La mancata disponibilità della cosa locata al termine della locazione, ricorre non solo qualora, scaduto il termine per la riconsegna, il conduttore non vi provveda (con conseguente obbligo al pagamento del canone e al risarcimento del maggior danno), ma anche nel caso in cui, per fatto imputabile al conduttore, il locatore non possa trarre dalla cosa alcun vantaggio come nell’ipotesi in cui l’immobile presenti alla riconsegna danni eccedenti il degrado dovuto al normale uso. Tuttavia è necessario precisare che non sempre tale rifiuto è legittimo come nel caso in cui il deterioramento sia dovuto all’uso normale della cosa locata o alla mancanza di quelle operazioni di piccola manutenzione che pur essendo a carico del conduttore deve escludersi possano
alterare lo stato dell’immobile al punto da legittimare il rifiuto alla riconsegna. Al contrario, se la consistenza della cosa locata venga alterata da interventi del conduttore, non autorizzati, il rifiuto è da considerarsi legittimo. Occorre quindi distinguere se la cosa locata risulti deteriorata per non avere il conduttore adempiuto all’obbligo di eseguire opere di piccola manutenzione durante il corso della locazione, ovvero per aver il conduttore stesso effettuato trasformazioni e/o innovazioni. Nel primo caso, trattandosi di rimuovere deficienze che non alterano la consistenza e la struttura della cosa locata, rientrano nel dovere di ordinaria diligenza cui il locatore è tenuto per non aggravare il danno, ed il suo rifiuto è illegittimo, salvo il diritto al risarcimento dei danni, mentre nel secondo caso, poiché l’esecuzione delle opere di ripristino implica il compimento di una attività straordinaria e gravosa, il locatore può legittimamente rifiutare la restituzione della cosa locata.
Il principio che legittima il locatore a rifiutare la riconsegna dell’immobile ed a pretendere il pagamento del canone fino alla sua rimessione in pristino, va coordinato con il principio per cui il creditore ha il dovere di non aggravare con il fatto proprio il pregiudizio subìto, pur senza essere tenuto all’esplicazione di una attività straordinaria e gravosa. Per cui il locatore non può rifiutare la riconsegna ma può soltanto pretendere il risarcimento del danno cagionato all’immobile, costituito dalle spese necessarie per la rimessione in pristino e dalla mancata percezione del reddito nel periodo di tempo occorrente, nel caso in cui il deterioramento dipenda da inadempimento dell’obbligo di provvedere alle riparazioni di piccola manutenzione. E’ necessario altresì chiarire che l’omessa verifica delle condizioni dell’immobile al momento della riconsegna, non è da interpretarsi come una tacita rinuncia al diritto del locatore al risarcimento dei danni. Infatti, l’accertamento dello stato dell’immobile e la relativa contestazione dei danni arrecati può avvenire anche in un momento successivo. All’obbligo del rilascio dell’immobile da parte del conduttore al termine della locazione corrisponde l’obbligo del locatore alla restituzione del deposito cauzionale versato dal conduttore a garanzia degli obblighi contrattuali. Occorre premettere che il deposito cauzionale non può superare le tre mensilità del canone di locazione oltre ad essere produttivo di interessi, cosicché una pattuizione che prevedesse un deposito cauzionale di un ammontare superiore o ad un tasso inferiore a quello legale sarebbe nulla. Infine, se il locatore trattenesse la somma anche dopo il rilascio dell’immobile, senza proporre domanda giudiziale per l’attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a titolo di risarcimento di specifici danni subiti, la sua obbligazione di restituzione avrebbe ad oggetto un credito tale da legittimare il conduttore ad ottenere un decreto ingiuntivo. Arianna Alpini Avvocato specialista in diritto civile
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Il rebus del canone libero Alzi la mano chi di voi non ha mai stipulato un contratto di locazione; quanti dubbi vi siete posti nel farlo? Il regime delle locazioni è forse uno dei più complicati previsti dal Legislatore, che però, sfortunatamente, si rivolge ai comuni mortali. Propongo quindi un breve vademecum sul contratto di locazione a canone libero, con l’unico scopo di accendere una piccolissima luce nel buio della materia. Questo tipo di contratto prevede che inquilino e proprietario si accordino sul canone, ma non hanno nessun potere decisionale sulla durata che è fissata in quattro anni rinnovabili tacitamente di altri quattro. Nella realtà dopo i primi quattro anni il proprietario può chiedere di liberare l’alloggio, ma solo se ricorrono questi casi ( art. 3 L. 431/98): - il locatore o un suo familiare entro il secondo grado hanno bisogno dell’immobile per viverci o per svolgervi un’attività lavorativa; - il locatore svolge un’attività di utilità pubblica e offre in cambio all’inquilino un altro immobile idoneo; - l’inquilino ha la piena disponibilità di un alloggio libero ed idoneo nello stesso comune; - l’immobile è compreso in un edificio gravemente danneggiato che debba essere ricostruito; - l’inquilino non occupa continuativamente l’immobile senza giustificato motivo; - il locatore intende vendere l’immobile a terzi e non ha la proprietà di altri immobili ad uso abitativo oltre a quello adibito a propria abitazione. La disdetta deve essere data con lettera raccomandata r.r. almeno sei mesi prima della scadenza del contratto ed è necessaria anche se si vogliono rinegoziare gli accordi con lo stesso inquilino. Anche se il Codice Civile (art. 1576; 1609) dice che all’inquilino spettano le spese di manutenzione ordinaria e al proprietario quelle straordinarie, è sempre bene allegare al contratto una tabella di ripartizione delle spese di gestione, preventivamente
concordata fra le parti. Anche il canone libero può essere aumentato annualmente, tenendo conto dei famosi indici ISTAT, oppure con altri parametri indicati nel contratto. Tutti i contratti di locazione devono essere registrati; l’imposta dovuta è pari al 2% del canone annuo e comunque non inferiore a euro 51,65; si può farlo negli uffici dell’Agenzia delle Entrate o online. Nel caso si decida di presentarsi agli Uffici locali si deve prima versare l’imposta con il mod. F23 recandosi alle Poste o in Banca. Il codice tributo è: 115T per la prima annualità; 107T per l’intero periodo. Nel caso si opti per la registrazione telematica, il contribuente deve richiedere il codice personale che gli consentirà di accedere al servizio FISCONLINE e essere titolare di un conto corrente presso una delle banche convenzionate con l’Agenzia. Serena Battisti ALCUNE BUONE REGOLE Per il proprietario Consegnare le chiavi di casa solo dopo la stipula del contratto; non accettare di non registrare il contratto o di indicare un canone inferiore; vietare la sublocazione; pretendere una fideiussione bancaria o assicurativa per il pagamento del canone; non accettare di intestare al proprietario le utenze ( gas, luce, acqua, telefono); farsi dare le referenze relative ai pregressi rapporti di locazione; verificare la solvibilità dell’inquilino. Per l’inquilino Pretendere la stipula del contratto; non anticipare canoni, versare solo il deposito cauzionale; non accettare di non registrare il contratto o di indicare un canone inferiore; non accettare proposte di contratti diverse dalle proprie esigenze (uso transitorio, per studenti etc.); pretendere che gli impianti idraulici, elettrici siano a norma e/o revisionati; redigere il verbale di consegna con l’indicazione precisa dello stato di ogni oggetto all’interno dell’immobile; farsi assistere dalla rappresentanza locale delle associazioni pro inquilini come il SB SUNIA.
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Mi presento di mattina, nel momento in cui poche persone sono per la strada, nella chiesetta di San Giovannino, in pieno centro, per incontrare Don Fernando, persona cordiale e pacata, con la quale ho trascorso del tempo prezioso. Sono andato con l’intento di focalizzare l’attenzione su una delle maggiori tragedie umane avvenute negli ultimi anni, quella dello Tsunami nel sud-est asiatico. Un evento così lontano dalle nostre terre, ma che ha portato a noi tutto il suo devastante fragore. Don Fernando mi accoglie presentandosi in abiti semplici e mi invita in una piccola stanza dove discutendo ho potuto apprezzare la sua umanità. Mi parla della sua vita dicendo che già dall’età di 18 anni, quando era in seminario, disse a se stesso di voler fare il prete, non solo a Terni, ma di dedicarsi per 10 anni anche al terzo mondo. Diventato prete a metà degli anni ‘60, dopo un breve tempo di studi accademici a Roma, a cui rinuncia, è inviato nella periferia operaia di Terni dei Villaggi Matteotti e Le Grazie. A metà degli anni ‘70 lo ritroviamo al centro, presso il tempio del Sole-San Salvatore da dove frequenta il mondo del lavoro delle Acciaierie e apre Rifugio Sole per interessarsi della prima esperienza di tossicodipendenza a Terni. A fine anni ‘80 può finalmente realizzare l’antico sogno, partendo per il terzo mondo della Repubblica Democratica del Congo, dove resta per 6 anni. Costretto a ritirarsi a causa della guerra civile scoppiata nel paese e per malanni di salute, si rassegna a fare il prete qui da noi. Ultimamente, ad un mese dallo Tsunami si reca, in compagnia di altri tre ternani dell’Associazione Per un sorriso - Monica De Carlo, in India. Alla domanda Quale è stata la prima cosa a colpirla? risponde: “La forza di reagire di queste persone, la cooperazione, la voglia di ricominciare”. Quali sono state le prime testimonianze? “Gli adulti raccontano che il mare si ritirava per almeno 2 km e così i più giovani incuriositi si portavano sulla sabbia emersa quasi a voler raggiungere quell’acqua apparentemente perduta finché i più esperti, fiutando il pericolo e suonando campane, esclamarono: No! ritiratevi, succederà il peggio! Poi la catastrofe, la speranza irrimediabilmente perduta per centinaia di vite e lo sconforto del mondo intero o almeno per gran parte di esso”. Don Fernando da allora si impegna garantendo il suo sostegno, raccogliendo soldi per provvedere ed inviare reti da pesca, attività di massimo sostentamento per queste persone. Alla fine dell’incontro ci tiene a sottolineare l’importanza dell’informazione che troppo spesso esalta, per poi inabissare, vicende più o meno delicate, per tornarci, eventualmente, solo se gli stessi fenomeni si ripresentano, come purtroppo sta oggi avvenendo, speriamo con minore drammaticità. Lo saluto lasciandolo alle sue attività con la promessa di rincontrarci e la speranza di un’India al più presto recuperata, insieme a tutte le altre terre flagellate. Martino Raspetti
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Monaldo de’ Paradisi
La fortezza del Cassaro, edificata per tenere a freno le rivolte contro la supremazia papale, non era mai stata accettata dai cittadini ternani, che l’avevano sempre vista come uno schiaffo alla libertà. Nel 1442 il popolo ternano chiede a gran voce al papa la concessione dell’autorizzazione alla sua demolizione e, finalmente, Eugenio IV (succeduto nel 1431 a Martino V) dà il suo assenso. Con una lettera datata 18 febbraio 1442, il Patriarca d’Aquileia, Legato Pontificio, scrive che il pontefice accorda la grazia di radere al suolo la fortezza, stimando più di essa la fedeltà, e la
devozione degli animi e dei cuori dei sudditi; essendo pur vero che non le fortezze, né gli eserciti, né i tesori, sono presidi di uno Stato; ma sebbene gli amici acquistati col benefizio e conquistati con dimostrazioni di buona volontà. Una delegazione formata da quattro ambasciatori: Monaldo de’ Paradisi, Eleuterio de’ Mazzancolli, Brunotto di Castello e Giovanni di Palmiero, si reca poi a Firenze, dove il papa risiede in questo periodo, per portare al pontefice la gratitudine di tutta la cittadinanza. Un membro di tale ambasceria, Monaldo de’ Paradisi,
lo ritroviamo nello stesso anno podestà di Norcia. Proprio durante la sua permanenza nella deliziosa città di S. Benedetto si suppone che egli faccia la conoscenza del pittore Bartolomeo di Tommaso, lì impegnato nella decorazione del coro della chiesa di Sant’Agostino, al quale successivamente commissionerà la decorazione della Cappella Paradisi (dove è raffigurato vestito di rosso orante tra i beati) nella chiesa di San Francesco a Terni, realizzata nel 1449. L’8 dicembre del 1442 viene nominato dal papa alla carica di Vice Senatore dell’Urbe, incarico che esercita fino al 17 febbraio del 1443. Nel 1444, con un breve pontificio datato 23 ottobre, Monaldo è inviato dal papa in Corsica quale Commissario Straordinario, nel tentativo di riaffermare la supremazia del potere della Chiesa nell’isola. Dopo la morte di un signorotto locale, un certo Vincentello d’Istria, che vi aveva dominato con l’appoggio degli aragonesi, la Corsica era precipitata nell’anarchia, travolta dalle lotte interne tra i vari signorotti feudatari locali, i cosiddetti “caporali”. Il vescovo di Aleria, con l’appoggio di alcuni di essi, decide allora di inviare alcuni ambasciatori a Roma, chiedendo al papa di intervenire per ristabilire l’ordine nell’isola, che sarebbe così tornata sotto il dominio della Santa
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DIB
Sede. Eugenio IV manda allora Monaldo de’ Paradisi con un nutrito seguito armato; ecco come il papa scrive agli isolani il 20 ottobre 1444: Noi, perché l’isola e le terre e i castelli in essa esistenti e i loro abitanti non vengano più oppressi e gravati dai tiranni, ma possano riposare sotto la dolcezza della nostra grazia, protezione e difesa, inviammo il diletto figlio Monaldo de’Paradisi di Terni, dottore in legge, quale nostro Commissario con pienissimo mandato, perché accogliesse benignamente la detta Isola e i suoi abitanti che a Noi ritornano, li difendesse e proteggesse e facesse ogni altra cosa che fosse utile ad onore della Chiesa e per il prospero e tranquillo stato della stessa Isola e delle sue terre e castelli. Dopo alterne vicende,
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Monaldo riesce ad ottenere il controllo di una buona parte dell’isola, anche se a quanto pare il suo incarico dura solamente un anno. Per avere di nuovo notizie di Monaldo de’Paradisi dobbiamo arrivare al 1467 quando, il giorno 23 ottobre, viene eletto accanto ad Angelo Zaffini, Bartolomeo de’ Mazzancolli e Leopoldo de’ Camporeali dai Priori della città di Terni quale Commissario per il nascente Monte di Pietà. Lorella Vignoli
Bibliografia M. R. Silvestrelli, Dal Maestro di Cesi a Piermatteo d’Amellia..., in La pittura nell’Umbria meridionale dal Trecento al Novecento, Provincia di Terni, 1994, pp. 25-47. Pozzi Augusto, Ternani del passato, Terni, 1942. Rossi Passavanti Elia, Interamna dei Naarti, storia di Terni nel Medio Evo, v. II, Terni, 2002.
La Società editrice del mensile La Pagina seleziona giovani diplomati o pensionati per vendita spazi pubblicitari. Appuntamenti fissati dal nostro personale. Contattare 074459838 - ore ufficio
Si ringrazia il direttore dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Terni - Narni - Amelia, Don Fabio Leonardis, per aver gentilmente concesso la riproduzione di foto presenti in questo numero.
L a c appella P aradisi Terni - San Francesco
La Provincia di Terni per la cultura
Al termine della navata destra, nella chiesa di San Francesco d’Assisi a Terni, si apre la cappella Paradisi, che prende il nome dal suo committente, Monaldo Paradisi, il quale desiderava che le sue pareti fossero affrescate con scene tratte dalle omelie di San Giacomo della Marca1 uno dei principali esponenti dell’ordine dei Frati Minori. In accordo con le prediche del Santo, Monaldo voleva che i dipinti della cappella costituissero un monìto per quanti sino ad allora avevano condotto una vita dissoluta e lontana dai veri valori. Ancora incerto è l’anno della costruzione della cappella; sappiamo soltanto che la sua decorazione è stata attribuita, per la prima volta nel 1926, da Roberto Longhi, a Bartolomeo di Tommaso2 . Il pittore, chiamato fra gli anni 53 e 55 del ‘400, pensò di raffigurare sulle tre pareti principali un Giudizio Universale; qui la zona centrale, risulta animata da una cornice orizzontale a mezza altezza, mentre le due laterali presentano una monofora che divide l’ambiente in due parti. Spicca al di sopra, l’immagine del Cristo, inserito in una mandorla e circondato da S. Giovanni Battista e da un’insolita figura della Vergine: la donna infatti, è caratterizzata da tratti somatici ed abbigliamenti tipicamente orientali3, risulta inoltre visibilmente incinta; questo porta a concludere, secondo una considerazione personale, come il pittore si sia voluto soffermare sull’aspetto di Maria come madre di Cristo e dell’umanità intera ed
La Provincia di Terni per la cultura
Tr a c c i a d e l l ’ a f f re s c o o r i g i n a l e d e l l a p a re t e f ro n t a l e abbia voluto sottolineare, non solo il suo lato regale, ma anche e soprattutto quello terreno. Attorno Dominazioni, Potestà, Virtù e Patriarchi; sotto, coloro reputati degni del Paradiso, sono accolti da San Pietro, che apre loro la grandiosa porta d’oro e che appare circondato da 14 Apostoli; più in basso l’arcangelo Michele intento a sedare la foga dei Santi, accalcatisi per contemplare il Cristo-Giudice. Fra di essi, è stata riconosciuta dalla critica4, la figura di Giovanni Paradisi, capostipite della famiglia committente ed individuato grazie allo stemma che compare in una parte dell’affresco. Al di sotto della scena che ricopre tuttora la parete frontale, è possibile scorgere la traccia di un affresco
più antico, volutamente lasciato in evidenza: esso rappresenta il Cristo crocifisso con accanto S. Francesco, a testimonianza, sempre secondo un parere personale, della sua umanità e misericordia. Infine, sul lato sinistro, appaiono numerosi personaggi, sistemati su nuvole guizzanti e protesi verso il Salvatore; a fare da contraltare alla spensieratezza di questa parete, è rappresentata sulla destra, la cacciata delle anime negli inferi, dove Satana è intento ad infliggere loro feroci castighi. CL
San Giacomo della Marca, personalità di spicco all’interno dell’Ordine Francescano, fu uno dei più importanti denunciatari dei vizi della società contemporanea ed uno tra i maggiori promotori della riforma morale, Giuseppe Cassio, Chiesa di San Francesco d’Assisi. 2 Paola Mostarda, Gli affreschi della Cappella Paradisi in San Francesco in Storia illustrata delle città dell’Umbria, a. cura di Raffaele Rossi, Terni, a cura di Michele Giorgini, Milano 1993, p.105. 3 Ivi, p. 114. 4 Ivi, p. 106. 5 Ivi, p. 105. 6 Ibidem. 7 Ivi, pp. 105-106. 8 Ivi, p. 114.
Bartolomeo d i To m m a s o Autore dell’imponente ciclo pittorico realizzato sulle pareti della cappella Paradisi, è Bartolomeo di Tommaso, pittore folignate, attivo fra il 1425 e il 1455. Egli svolge i suoi primi incarichi a Fano, dove affresca le pareti della chiesa di San Giuliano, a Cascia (Chiesa di San Francesco) e a Cesena (due documenti, rispettivamente del 1439 e del 1441 lo rammentano). Più tardi opera anche a Foligno (Trittico della chiesa di San Salvatore, e Storie di San Barnaba per Santa Caterina5), mentre negli anni successivi, si reca a Roma e in Vaticano, chiamato da papa Nicolò V. La decorazione della cappella ternana, va datata certamente alla seconda metà del Quattrocento, nel periodo antecedente l’ultima notizia
sulla vita del pittore (1455) ed il pagamento del 14536. Egli, profondamente influenzato dalle visioni dell’Antico e del Nuovo Testamento e dalle rappresentazioni che sino ad allora avevano circondato questo tema, offre una lettura del Giudizio Universale dove demoni mostruosi spingono i dannati verso gli inferi, mentre gli eletti vengono accolti da San Pietro nella Gerusalemme Celeste. Benchè il suo linguaggio pittorico mantenga costantemente quella matrice popolare, in grado di comunicare con qualunque strato e livello sociale, egli sa anche raggiungere gradi altissimi di lirismo: accanto a figure stilizzate infatti, compaiono personaggi di estrema eleganza e dall’espressione ben definita; la sua capacità di accostare scene piene di serenità e dolcezza (come quella ad esempio in cui la Vergine affianca il Cristo con atteggiamento materno) ad altre in cui dominano tensione e drammaticità, ne fa uno degli autori più abili del suo tempo. Pertanto, quell’eleganza formale che gli aveva consentito di essere a fianco del Beato Angelico in Vaticano7, viene sacrificata a favore dell’immediatezza espressiva; e questo è quanto accade negli affreschi ternani: le figure infatti, sono deformate, i corpi scarnificati ed irriconoscibili nella loro struttura; tutto è semplificato al massimo e la geometrizzazione prende il sopravvento sulla narrazione. Va detto inoltre che in un periodo in cui dilagavano i trattati e le regole geometriche, questo suo elevarsi al di sopra dello spazio e del tempo, rinnegando ogni legge di definizione prospettica8, lo rende un personaggio degno di nota, capace di impetuosità e irruenza, ma anche di riflessione e ponderazione. Chiara Leonelli
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R i t r a t t o d e l l a Ve r g i n e
I dannati precipitati negli Inferi
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L a perduta d e c o r del l ’ Er e m
La Provincia di Terni per la cultura
Fig. 1
Il convento francescano dell'Eremita di Cesi, dopo decenni di colpevole abbandono ed oblio che ne hanno messo a rischio persino la sopravvivenza fisica, ci appare oggi mirabilmente e miracolosamente recuperato (fig.1) grazie all'opera meritoria ed indefessa di fra' Bernardino Greco OFM1 . Il complesso cenobitico si sviluppò a partire da una piccola chiesuola montana, forse benedettina, la quale sarebbe stata donata a Francesco d'Assisi nel 1213. Successivamente presso tale edificio venne realizzata una chiesa a volta ovoidale dedicata all'Annunziata, che la tradizione vuole edificata personalmente dal Santo assisiate, abbastanza simile per forma e dimensioni alla Porziuncola (fig.2) Il convento fu ampliato una prima volta nella seconda metà del '300, ad opera di fra' Paoluccio Trinci da Foligno, autore della riforma degli Osservanti, cui venne affidato nel 1373, e quindi nuovamente nel corso del XV sec. dopo l'avvento di S. Bernardino da Siena. Nonostante si trattasse di uno dei capisaldi della storia e della spiritualità francescana, da sempre baluardo dell'Osservanza, in seguito all'Unità d'Italia i frati vennero cacciati, il convento fu demaniato ed alienato, poi trasformato in casa colonica: di qui cominciò il suo lento declino, fino al completo abbandono avvenuto nel 1956. Se le strutture murarie sono state egregiamente recuperate, purtroppo nulla si è potuto fare per la decorazione pittorica che un tempo ornava il complesso conventuale, completamente perduta, e che solo parzialmente possiamo ricostruire in base a diverse testimonianze di varie epoche. Grazie alla descrizione effettuata nel 1717 da Antonio da Orvieto, possiamo avere un'idea della decorazione della chiesa dell'Annunziata: a quell'epoca essa aveva "sopra il suo unico altare un crocifisso assai pietoso di rilievo d'intaglio tutto
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imbrunito, cred'io, dallo pennello dello scultore, con un Quadro per parte rappresentanti la Santissima Annonziata" (un Crocifisso fiancheggiato da due pannelli con l'arcangelo Gabriele e la Vergine) e inoltre possedeva "la miracolosissima Immagine di Maria sempre Vergine depinta in tavola di cinque palmi d'altezza, e quattro di larghezza, col suo santissimo figliolo in braccio, e con molti misteri d'intorno, opera molto antica posta con decente ornamento, e suo altare in coro nella facciata dietro l'altar maggiore"2. Questo dato testimonia che la chiesa era stata divisa in due da un muro il quale delimitava il coro nella parte absidale: quest'ultima era stata precedentemente demolita ed ingrandita rispetto alla primitiva costruzione medievale. Francesco Gonzaga riferisce che nel XVI sec. all'interno della chiesa era anche una veneratissima immagine della Vergine, raffigurata nell'atto di rispondere al saluto di un novizio3. La cappella a fianco della chiesa, a sinistra, era decorata "con il suo Cielo dipinto a turchino, e con un Quadro sopra l'altare, in cui di pennello ordinario si possono vedere le figure della Beatissima Vergine, del P. S. Francesco, e del B. Salvator d'Orta4 in atto di guarire molti storpiati colla sua Santa Benedizione; essendo anche tut-
Fig. 3
to il rimanente questa facciata dipinta, e coll'immagini al corno del Vangelo di S. Antonio da Padova ed in quello dell'Epistola di S. Bernardino da Siena"5. Una singolare tradizione vuole che Francesco abbia fatto dipingere sull'antependium dell'altare della chiesa dell'Annunziata varie creature, angeli, bambini, uccelli, alberi e altre cose simili, sotto ai quali scrisse alcuni versi invitando tutte le creature alla lode del Creatore6. Tale composizione poetica è la cosiddetta "Exortatio ad laudem Dei", sorta di anticipazione in latino del più noto "Cantico delle Creature", il cui testo, tramandatoci da Luke Wadding, per molto tempo è stato escluso dalle raccolte ufficiali degli scritti francescani in quanto considerato spurio o quantomeno dubbio. Wadding riprese tale tradizione dalla Cronica di Fra' Mariano da Firenze (m. 1523), il cui manoscritto, realizzato entro l'inizio del Cinquecento, è andato perduto. Mariano ci informa che questo antependium, il quale era stato conservato diligentemente per il rispetto del santo uomo, sino al suo tempo era custodito nella devota cappella di quel romitorio, la quale era stata la stanza da letto del servo di Dio quando era in vita7. Oggi noi però conosciamo una seconda attestazione della tavola e del testo in essa contenuto che conferma quanto asserito da Mariano da Firenze. In un codice proveniente dal convento francescano abruzzese di Popoli, oggi alla Biblioteca Nazionale di Napoli, un anonimo testimone, probabilmente un minorita, in un periodo databile fra la fine del '400 e gli inizi del '500, asserisce di aver visto egli stesso la tavola, già usata come rivestimento d'altare, "nella cappella di S. Francesco nel luogo dell'Eremita, nella cappella piccola posta nella parete di sinistra presso l'altare"8. Nel codice è riportato anche il testo appostovi dal Santo, in stretta relazione con le raffigurazioni di cui si ha memoria,
sostanzialmente analogo a quello tramandato da Mariano e riportato da Wadding: lo studio che ne fatto Kajetan Esser ci consente di inserirlo ormai fra gli autografi di S. Francesco9 Con il nome di cappella di S. Francesco veniva indicata la primitiva chiesuola (fig. 3) che fu all'origine dell'insediamento, poi incorporata nel complesso conventuale: dai dati in nostro possesso possiamo affermare che già a fine '400 era stata trasformata in cappella dedicata al Santo ospitante la sua preziosa reliquia. Antonio da Orvieto ci testimonia che essa aveva "sopra l'altare d'antica pittura in muro una pietosa immagine del Crocifisso"10 . Tale immagine era ancora conservata nel 1907, quando Luigi Lanzi, riuscito con fatica ad identificare la cappella all'interno del complesso ormai trasformato in casa colonica, penetratovi dalla porta laterale che la metteva in comunicazione con un corridoio interno, ce ne fornì la descrizione ed una preziosa riproduzione fotografica (fig. 4)11. Da quanto è possibile vedere, si tratta di un affresco di fine '300 - inizi '400 realizzato da un artista di ambito locale. Lanzi descrive anche la decorazione della Cappella di S. Caterina (fig. 5), una piccola costruzione a pianta quadrata e a volta ovoidale originariamente isolata posta di fronte alla chiesa dell'Annunziata in maniera ortogonale ad essa: "le pareti laterali sono scompartite in otto riquadri recanti la storia della martire bionda; la parete di fondo, assai danneggiata dalle infiltrazioni derivanti dal livello superiore del chiostro, fu restaurata, ma gli affreschi che la fiancheggiano sono la genuina espressione della più squisita arte toscana. Quelle figurine leggiadre, quello sguardo soave della santa, quei guerrieri disegnati con tocco elegante e sicuro, quelle prospettive ingenue, quelle visioni delicatamente evanescenti, oh come ridicono tutta la poesia di frate Angelico e Benozzo! Sui risvolti della frontesi riconoscono ancora le figure di S. Francesco e di S. Bernardino, il che prova che un giorno questa cappellina era aperta e sorrideva ai devoti visitatori"12. L'attribuzione di tali affreschi alla scuola di Benozzo Gozzoli verrà ripresa anche dal noto storico dell'arte Raymond Van Marle13. Il pregevole ciclo pittorico è andato completamente perduto per incuria e vandalismo negli anni successivi. Già nel 1961 le pitture erano talmente logore da non essere più riconoscibili se in quell'anno Mino Valeri interpretava come scene del martirio di S. Sebastiano e dei SS. Cosma e Damiano14 quelli che in realtà erano episodi del supplizio e della decollazione di S. Caterina secondo i canoni derivanti dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze. Una descrizione più completa
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ce la fornisce Mariano Guardabassi, commissario governativo incaricato del censimento dei beni culturali in Umbria subito dopo l'Unità nazionale, in una scheda delle pitture da lui redatta entro il 1867: "Nei pilastri esterni a Sinistra S. Antonio ed a Destra S. Francesco (figure al vero) Nell'arco esterno veggonsi i resti di vari stemmi. Interno. Parete S(inistra). (parte superiore) Ia Istoria. La Santa innanzi a Massenzio. No. 18 figure. IIa Istoria. La Santa disputa con i Dottori. No. 10 fig. (parte inferiore) IIIa Istoria. I Dottori condannati al rogo. N. 20 fig. tra grandi e piccole. IV Istoria. S. Catterina dal carcere battezza Faustina Imperatrice e Porfirio Generale insieme a vari del suo seguito. No. 15 [e] più figure. V Quadro di centro. Sposalizio della Santa (quasi completamente guasto). Parete Destra (Parte Superiore) VI Istoria. Martirio di Faustina di Porfirio e del suo seguito. No. 15 e più figure. VII Istoria. Io Martirio di S. Catterina (quasi perduto) (parte inferiore) VIII. Istoria. Decollazione della Santa. N. 10 figure. IX Istoria. Tumulazione fatta dagli Angioli nel monte Sinai". Segue il commento dello studioso: "Opera di scuola senese del XV secolo; forse l'istesso che dipinse la tavola con le istorie di Cristo; ma in questi dipinti di maggior grandezza riuscì meno felice. Tali pitture non valgono la spesa di un distacco"15. I II III La ultima cena di Cristo lava i pie- L'istituzione della Cristo. di agli Apostoli. Eucarestia. No. 13 figure. No. 12 figure. No. 12 figure. Conservata. Conservata Conservata.
VII Corte. Nella loggia superiore 5 spettatori. In basso a S(inistra) Cristo legato in mezzo a 9 armati preceduti da 3 sacerdoti. A D(estra) sotto la loggia Giuda che presenta ad essi il danaro. Conservata.
VIII Flagellazione. No. 8 figure. Conservata
IX Cristo innanzi a Pilato. A S(inistra) Cristo tra 6 soldati ed innanzi 2 sacerdoti. A D(estra) Pilato in trono fra due armati ed indietro un carceriere. Conservata.
r a z i one p i t t o r i c a ita di Ce s i
A fra’ Bernardino Greco OFM - Pasqua 2005
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Guardabassi in questo suo giudizio critico si riferisce ad un'opera che egli rinvenne nella cappella di S. Francesco e che descrive in un'altra scheda16: una tavola a tempera rappresentante "varie istorie di Cristo", alta 1,07 m e larga 2,43 m, in condizione "buona ma rotta nel centro", opera "assai accurata del XV secolo di Scuola Senese". Nella parte posteriore della scheda è presente uno schema rettangolare ripartito in 12 riquadri uguali, 6 superiori e 6 inferiori, al cui interno sono riportate dettagliate descrizioni delle varie scene e dello stato di conservazione dei relativi comparti (vedi tabella sotto). Interessante il particolare dell'uomo raccolto in preghiera davanti a Gesù nel VI riquadro, forse il committente della tavola. L'opera, giudicata nelle schede di mano migliore degli affreschi attribuiti alla scuola di Gozzoli, potrebbe essere stata realizzata nell'ambito del rinnovamento della decorazione pittorica del convento avvenuta in seguito all'ampliamento occorso a partire dalla metà del '400, in un periodo in cui Benozzo ha lasciato testimonianze del suo operato nei conventi francescani di Montefalco e di Terni ed in quello domenicano di Narni, imitato da pittori locali quali il folignate Pierantonio Mezzastris. Non va dimenticato che l'Eremita di Cesi era posto sotto la giurisdizione del vescovo di IV Cristo all'orto. No. 4 figure. Conservata.
X Gita al Calvario. No. 17 figure. Questa istoria è molto guasta
V VI Cristo catturato è Ecce homo. condotto in casa Cristo seduto con di Caifas. canna in mano e No. 9 figure. circondato di Conservata popolo. Innanzi al Nazzareno un uomo in atto di preghiera. N. 10 figure. Conservata.
XI Ressurrezione. No. 5 figure. Conservata.
XII Ascenzione. No. 14 figure. Conservata
Spoleto, quel Bernardo Eroli che ebbe tanta parte nella commissione ad artisti di grido della realizzazione di cicli pittorici nelle chiese dell'Umbria meridionale17. Purtroppo le schede non sono datate18, ma l'indicazione in esse fornita che al momento della loro realizzazione i Francescani erano ancora "conviventi", cioè che il convento non era stato soppresso, induce a ritenere che siano state realizzate ante il 1867, anno della definitiva cacciata dei frati e comunque entro il 1872, anno dell'edizione a stampa dell'Indice-guida di Guardabassi, dove viene succintamente citata soltanto la tavola e non anche gli affreschi della cappella di S. Caterina19. Sorge tuttavia una forte perplessità: dove fosse esattamente custodita la tavola. Certamente non sull'altare, e non solo perché avrebbe coperto l’affresco della Crocefissione, ma in quanto il lato di quella parete misura appena 2,34 m. Escludendo l'altra parete omologa per lunghezza e considerando le due maggiori, quella di destra va scartata per la presenza di una monofora (in origine di due), mentre quella di sinistra, complessivamente lunga 3,17 m, presenta un'apertura addossata presso la parete di facciata che ne riduce di un metro lo spazio utile. Apparentemente dunque sembra non esserci posto per la tavola, tanto da far sorgere il sospetto che Guardabassi intendesse proprio riferirsi alla cappella in questione. Ogni dubbio in tal senso viene però fugato consultando i taccuini di appunti che egli compilava prima di realizzare le schede. In uno di essi si rintraccia il medesimo schema d'impianto della tavola e l'indicazione che essa si trovava nella parete di sinistra della cappella, chiaramente identificata dalla sommaria descrizione dell'affresco della Crocifissione, per il quale Guardabassi non realizzò schede e che non segnalò nell'Indiceguida20. Evidentemente allora l'apertura laterale non doveva sussistere, mentre era ancora in uso quella originaria sulla facciata, non più utilizzabile all'epoca di Lanzi. Per le sue notevoli dimensioni (1,07 x 2,43 m) dunque la tavola non sembra poter essere originaria della minuscola cappella di S. Francesco: si tratta probabilmente di un antependium inizialmente destinato ad un altare di maggiori dimensioni. Ma dalle testimonianze di fine XV inizio XVI sec. sappiamo che all'epoca proprio in quella cappella, e proprio nella parete di sinistra, era devotamente conservata la tavola fatta realizzare dal Santo per l'altare della chiesa dell'Annunziata. Non potendo asserire, per i dati a nostra disposizione, l'identità tra le due tavole, dovremmo quindi supporre che il dipinto del '400 abbia sostituito nelle funzioni l'altro.
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Ma non è logico ritenere che la tavola "autografa" di Francesco sia stata spostata dal luogo a lui consacrato per essere sostituita da un'altra qualsiasi. È inoltre strano che nessuno, dopo Wadding, ricordi più la presenza di una tale reliquia al Convento della Romita. O, altrimenti, la sua assenza. Antonio da Orvieto enumera una serie di reliquie francescane ma non la tavola, di cui era certo a conoscenza attraverso la testimonianza di Wadding. Un'ipotesi suggestiva potrebbe essere che la tavola autografa del Santo fu sottratta alla vista per meglio tutelare la preziosa reliquia da possibili furti. Oggetti così venerati in genere non erano visibili sempre. Si potrebbe ipotizzare che nel corso del XV sec., forse in occasione del suo trasferimento nella Cappella intitolata al Santo, il paliotto tolto dalla Chiesa dell'Annunziata fosse stato nuovamente decorato, magari sul lato posteriore, da un'artista rinascimentale toscano che vi raffigurò scene della Vita di Cristo: soggetto ideale per una cappella dedicata a S. Francesco, l'alter Christus. Da allora in poi il lato istoriato dal Santo sarebbe rimasto nascosto alla vista, se non in particolari occasioni: in una di queste sarebbe stato veduto dal testimone abruzzese. È noto il caso della tavola - reliquia sulla quale sarebbe stato deposto S. Francesco al momento della morte, ridipinta nella seconda metà del '200 con un'immagine del Santo, gelosamente conservata nel convento di S. Maria degli Angeli, forse in origine nella Cappella del Transito21. In tale ottica, la famosa tavola risalente a S. Francesco non sarebbe scomparsa, né fu sostituita. Né poteva essere definita mancante: semplicemente chi era al corrente della reale situazione sceglie di non parlarne affatto. La preziosa reliquia sarebbe dunque la stessa tavola descritta da Guardabassi: la accurata esposizione dell'opera da lui fornitaci, completa della presentazione dei soggetti e del numero dei personaggi dei vari riquadri, nonché delle dimensioni complessive dell'opera, è tale da potercene consentire l'identificazione nella speranza che il paliotto sia sopravvissuto, intero o frazionato. Sarebbe interessante sapere la destinazione finale di questa pregevole opera, censita al momento della prevista demaniazione e di cui si indicava la necessità di asportazione. Forse per la sua importanza è stata sottratta da qualcuno (laico o religioso) prima che fosse requisita, oppure è confluita in qualche raccolta pubblica senza che ne sia rimasta memoria della provenienza, od ancora è stata alienata dallo Stato a qualche privato e se ne sono perse le tracce. Bisogna anche ammettere che probabilmente da allora nessuno l'ha mai piu cercata. Paolo Renzi
Fig. 2
N o t e 1) P. RENZI, La resurrezione dell'Eremita di Cesi, in La Pagina, n. 4 (aprile 2003), pp. 1-2. 2) ANTONIO DA ORVIETO, Cronologia della Provincia serafica riformata dell'Umbria, o d'Assisi. In Perugia: pel Costantini, 1717, p. 211. 3) F. GONZAGA, De origine seraphicae religionis Franciscanae. Romae: 1587, p. 170. Tale interpretazione appare poco verosimile: è probabile che il reale significato di tale iconografia sia stato frainteso. 4) La raffigurazione di Salvatore d'Orta (1520-1565), beatificato nel 1606, costituisce un termine cronologico post quem per la datazione dell'opera. 5) ANTONIO DA ORVIETO,Cronologia, cit., p. 211. 6) "In antependio altaris fecit pingi varias creaturas, angelos, pueros aves, arbores & similia; quibus ipse subscripsit varios hos & solutos versiculos creaturas omnes ad creatoris laudem invitans": L. WADDING, Annales minorum, Lugduni: sumptibus Claudij Landry, 1625, vol. 1, pp. 115-116; L. JACOBILLI, Vite de' Santi e beati dell'Umbria... In Foligno: appresso Agostino Alterij, 1656, vol. II, p. 157. 7) L.WADDING,Annales minorum, cit., vol. I, p. 116. 8) "Infrascripte sunt laudes, que erant in quadam tabula que erat pro pavimento altaris in
Fig. 5
cappella S. Francisci in loco Heremitae in parva cappella; quas laudes egomet vidi scriptas in dicta tabula in pariete ad manum sinistram prope altare; quas laudes dicitur S. Franciscus manu propria in dicta tabula": C. CENCI, Manoscritti francescani della Biblioteca Nazionale di Napoli (Spicilegium Bonaventuriarum, VII), Firenze : Quaracchi, 1971, vol. I, pp. 369-370. 9) K. ESSER, Gli scritti di S. Francesco di Assisi. Padova: Edizioni Messaggero, 1982, pp. 332-332. 10) ANTONIODAORVIETO,Cronologia, cit., p. 208. 11) L. LANZI, Escursioni francescane nei dintorni di Terni, Perugia: 1907, p. 33. 12) Ibidem, p. 38. Probabilmente all'epoca non vi erano altre decorazioni superstiti: Lanzi (pp. 34-35) non fa altro che ricordare elementi narrativi desunti da Antonio di Orvieto. 13) E. LUNGHI, L'arte nella "Provincia Sancti Francisci" al tempo dell'Osservanza, in I Frati Minori tra '400 e '500. Atti del XII Convegno Internazionale di Studi Francescani. Assisi: Centro studi Francescani, 1986, pp. 81-124: 120. 14) P. ROSSI, L'Eremita degli Arnolfi comunemente detto eremo di Cesi o di Portaria (Terni), (Galassie, 8), Catanzaro: Vincenzo Ursini, 1996, p. 87. 15) BibliotecaAugusta Perugia, ms. 2241, c. 86r-v. 16) BibliotecaAugusta Perugia, ms. 2241, c. 87r-v. 17) A. NOVELLI-L. VIGNOLI, Benozzo Gozzoli e il cardinale Bernardo Eroli. Un percorso artistico tra Narni e Montefalco, in La Pagina, n. 22 (febbraio 2005), pp. 8-9. 18) In entrambe è l'indicazione prestampata e non compilata 186… 19) M. GUARDABASSI, Indice guida dei monumenti pagani e cristiani esistenti nell'Umbria. Perugia: 1872, p. 47. Nel testo la pertinenza dell'opera a "scuola senese" è espressa in modo dubitativo. 20) Biblioteca Augusta Perugia, ms. 2296, cc. 6r -7r (a c. 7v la descrizione della cappella di S. Caterina). 21) E. LUNGHI, Il Crocefisso di Giunta Pisano e l'Icona del "Maestro di S. Francesco" alla Porziuncola. S. Maria degli Angeli-Assisi: Porziuncola, 1995, pp. 65-91.
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Oltre il quadro La Pentecoste nel museo civico di Calvi dell’Umbria La Provincia di Terni per la cultura
Ancora un impulso da parte del Servizio beni e attività culturali della Provincia di Terni alla valorizzazione e alla comprensione di opere d’arte, presenti nel territorio, lontane dai circuiti turistici e non attentamente considerate, come invece meriterebbero, dalla critica e dalla editoria specializzata. Da qualche mese, entrando nelle pagine della Cultura del sito internet www.provincia.terni.it è possibile visitare la rubrica Oltre il quadro, incontri ragguardevoli ed eloquenti, realizzata con lo scopo di promuovere e facilitare la comprensione del patrimonio artistico locale. Una vera e propria galleria, con immagini inedite, da visitare per entrare in contatto con tesori spesso ingiustamente trascurati. Dopo l’Incoronazione del Ghirlandaio e il ciclo francescano della Cappella Eroli a Narni, in questi giorni viene presentata la Pentecoste di Camillo Angelucci ospitata nel museo civico di Calvi dell’Umbria e attualmente sottoposta a restauro. Erroneamente ritenuta per lungo tempo di Rinaldo
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Jacovetti, meglio noto come Rinaldo da Calvi, artista nato intorno alla metà degli anni Settanta e attivo fino al 1528, anno della scomparsa, la tavola è stata attribuita dallo studioso Sandro Santolini alla mano del pittore Camillo Angelucci da Mevale, paesino nei pressi di Visso, che lavorò tra il 1540 e il 1584 raggiungendo una sintesi tra schemi iconografici umbri e raffaelleschi e orientandosi, soprattutto in giovinezza, verso modelli derivati direttamente da Giulio Romano. La rappresentazione, con al centro la Vergine circondata dagli Apostoli, è ambientata in una stanza di gusto tipicamente rinascimentale. Il viso della Madonna è dato da un ovale morbidamente arrotondato con labbra piccole e carnose. I personaggi sono colti mentre su di loro scendono le fiammelle dello Spirito Santo. Si osservi la figura con la barba a destra con la mano alzata e spalancata in segno di stupore. Ha capelli e barba riccioluti, con ciocche ben definite da rapidi tocchi. La fronte aggrottata e lo
sguardo accigliato di altri due Apostoli rivelano un atteggiamento compassionevole. Inoltre, la posizione delle due figure in primo piano, sedute di tre quarti, sembra derivare dall’iconografia diffusasi sul finire del XVI secolo, con i discepoli non più allineati ma raccolti a piccoli gruppi dialoganti tra loro. Si notino, tra l’altro, i particolari della figura con il piede destro alzato e la mano sinistra posata su un lembo di stoffa che si trova davanti alla Vergine, nella traiettoria delle mani giunte. La chiave per comprendere l’opera è tutta racchiusa nella colomba e nelle lingue di fuoco. Pentecoste è parola d’origine greca: pentecosté (sottinteso eméra, giorno), cinquantesimo giorno. Pentecoste rimanda alla festività ebraica delle Sette Settimane, con cui, cinquanta giorni dopo la Pasqua, si esprimeva riconoscenza al Signore per il raccolto (Levitico 23, 10-20; Esodo 23, 14-17; Numeri 28, 26). Con il passare del tempo, a questa ricorrenza si aggiun-
sero anche i significati di un annuale rinnovo del patto tra Dio e Israele nonché della commemorazione della consegna delle leggi a Mosé sul monte Sinai. Con il cristianesimo assunse un nuovo contenuto ricordando la discesa dello Spirito Santo, rappresentato, come si sa, da una colomba, sotto forma di lingue di fuoco sopra gli Apostoli riuniti cinquanta giorni dopo la Resurrezione. Alla vigilia della morte, Gesù aveva infatti annunciato ai discepoli che, dopo il Suo ritorno al Padre, sarebbe disceso su di loro lo Spirito Santo. L’evangelista Luca, nel secondo capitolo degli Atti degli Apostoli, versetti 1-4, descrive cosa accadde: “Improvvisamente dal cielo emanò un suono come di vento impetuoso che soffia e riempì tutta la casa dov’erano seduti. Apparvero come lingue di fuoco che si dividevano per posarsi su ognuno di loro. Tutti furono riempiti di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito consentiva loro di esprimersi”. Non è difficile riscontrare
La Provincia di Terni per la cultura
nel dipinto l’accentuazione plastica delle immagini, le linee segnate dei volti, le pieghe marcate delle vesti, lo sforzo nella caratterizzazione psicologica facciale e gestuale che perviene ad una ostentazione formale declamatoria, cui concorrono anche vivaci accostamenti cromatici. Lo schema semplificato della rappresentazione, con la riduzione del numero dei partecipanti alla Madonna e agli Apostoli, deve infine essere messo in relazione ai gusti attardati di una committenza provinciale. Un motivo in più per supporre che la tavola sia stata eseguita non oltre la metà del Cinquecento e, comunque, prima della riforma di papa Gregorio XIII Boncompagni (il cui pontificato va dal 1572 al 1585) che contribuirà ad affollare la scena con un numero sempre maggiore di personaggi tra cui anche alcuni contemporanei, ritratti dal vero, ammessi a partecipare al sacro evento. Francesco Pullia Foto di Marco Santarelli
Ricordate Konrad Lorenz, uno dei padri fondatori dell’etologia, e l’ochetta Martina che, trovandoselo davanti al momento della schiusa dell’uovo, al posto di mamma oca, cominciò a seguirlo ovunque come fanno appunto i pulcini con la chioccia? Ebbene, sono stato vittima di questo meccanismo dell’imprinting per cui sono le prime esperienze quelle che si imprimono profondamente nei cervelli in via di sviluppo, condizionando i comportamenti successivi. Il fenomeno si è verificato nella prima classe di una scuola media inferiore della nostra città dove, come al solito, i ragazzi si mostravano interessati e divertiti dal nostro modo di esporre i problemi legati al fumo di sigaretta. Come tutti sanno, noi della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori (LILT) siamo molto impegnati contro il fumo di tabacco che, responsabile del 35% dei tumori, ne costituisce la causa evitabile più importante, seguita da vicino dagli errori alimentari e, solo a distanza, dall’inquinamento ambientale, domestico e dei luoghi di lavoro. E’ per questo che da oltre venti anni la LILT organizza, presso le sue 103 sedi provinciali, i corsi per la disassuefazione al fumo con risultati che, entusiasmanti alla fine del corso con circa l’80% di successi, si sono però rivelati deludenti a distanza perché solo il 30% dei partecipanti non riprende a fumare. Cosa fare allora, visti questi risultati e sapendo che ogni anno in Italia 90.000 persone muoiono per cause correlate al fumo di sigaretta? Se è così difficile smettere, è stata la nostra considerazione, diventa molto importante adoperarsi perché non si cominci a fumare e quindi occorre andare nelle scuole per convincere i ragazzi a non cadere nella dipendenza da nicotina (droga che dà una dipendenza talmente tenace da richiedere la somministrazione di una dose ogni ora, come ben sanno i fumatori che appunto con tale frequenza sono costretti ad accendersi una sigaretta). Abbiamo cominciato con le scuole medie superiori dove però molti ragazzi e ragazze già fumano e quindi è impensabile che smettano (ma se non ci riescono gli adulti!) per quanto si cerchi di essere convincenti ed appassionati nel presentare i danni e l’evidente sciocchezza della sensazione di emancipazione e presunta autonomia legate alle abitudini fumatorie. E’ nella scuola media inferiore quindi, abbiamo pensato, che potremo avere buoni risultati, quando i ragazzi ancora non fumano (anche se, ahimè, alcuni bambini iniziano già alle elementari!) ed appunto durante uno di tali incontri, generalmente molto graditi dai ragazzi, è scattata, inesorabile, la legge di Lorenz: due ragazzine negli ultimi banchi, arrotolato un foglietto di carta e dipinta di rosso una delle estremità, hanno cominciato (orrore!) a far finta di fumare… insomma mi stavano prendendo in giro! Non si trattava di mancanza di rispetto o di cattiva educazione, come si sarebbe pensato ai miei tempi, ma l’ochetta Martina ci ha fatto capire che i ragazzi di questa età hanno già un atteggiamento positivo verso il fumo, derivato dal condizionamento sociale in cui gli adulti di riferimento e da imitare, siano essi genitori, fratelli maggiori o cantanti od attori preferiti, fumano; e quindi questo “dottore” che è venuto a scuola a parlare del fumo è contro una cosa che mi piace e lo devo punire... sbeffeggiandolo. Abbiamo allora capito che la lotta contro il fumo deve iniziare già nella scuola materna e nelle prime classi delle elementari nella speranza di imprimere nella giovane mente dei nostri bambini che fumare non è bello; perché il messaggio sia forte e rimanga registrato a livello simbolico ed inconscio nell’immaginario e nella psiche del bambino il più a lungo possibile che cosa c’è di meglio di un gioco e di una fiaba? Ma della fiaba di Sciari, Niki e la Strega del Fumo, del gioco e dei pupazzi che la animano, vi parleranno in un altro articolo le insegnanti della scuola materna ed elementare Giuseppe Mazzini che hanno accolto il nostro invito e sperimentato, d’accordo con i genitori, questo tipo di intervento ideato dalla dottoressa Marina Zaoli della nostra sede di Rimini. Dott. Giulio Chiappa, Volontario della Lega contro i Tumori
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Psiche Maschio, che fine hai fatto? La rivoluzione che ha portato la donna a rivendicare parità di diritti con l’uomo ha eliminato molti aspetti della vita sociale che, ritenuti giusti in passato, non lo sono più oggi. Ma la biologia e la parte più profonda della psicologia, che vi è legata, sono ovviamente rimaste intatte: l’essere umano continua a nascere dall’incontro di uno spermatozoo con un ovulo e conseguentemente la perpetuazione della specie continua ad essere legata all’attrazione sessuale tra il maschio e la femmina delle specie: tutte. L’enorme costruzione che la cultura ha operato sul dato biologico (rituali, mode, poesia…) ha rivestito l’attrazione tra i sessi di complessità crescenti, la famiglia e le sue regole essendone uno degli aspetti principali. Ma se il perpetuarsi della vita è legato biologicamente alla sintesi tra complementari (il maschio e la femmina appunto) questa complementarità non solo non può non estendersi anche ai campi psicologico e sociale, ma è anche assolutamente necessario che vi si estenda e si perpetui al di là delle forme che ogni singola epoca le impone. In altre parole: occorre che le donne siano donne e gli uomini, uomini. Sarà la cultura a dire di epoca in epoca quali debbano essere le caratteristiche contingenti di questi due generi, ma è assolutamente necessario che essi restino distinti e separati.
E dato che il patrimonio culturale umano da tempo immemorabile è trasmesso culturalmente, è necessario che esso continui ad essere trasmesso. Ed è evidente che la femminilità non può essere trasmessa che da una femmina e la maschilità da un maschio. Ma in questo momento storico non è così. Una delle conseguenze dell’estendersi delle funzioni femminili è stata infatti la sparizione del padre. Sparizione dovuta al fatto che la casa era, da sempre, incontestato dominio della donna; dominio tuttavia che doveva fare i conti col potere, anche protettivo, maschile che, se non si curava della polvere e del bucato, solida voce in capitolo pretendeva tuttavia nella formazione dei figli, soprattutto dei maschi puberi. Era logico che il maggior potere rivendicato e ottenuto dalla donna la facesse quindi egemone anzitutto in casa, dove già godeva di vaste prerogative. Ma l’allontanamento del maschio dall’egemonia domestica non è avvenuto in modo indolore; esso è stato traumatizzato dalle invettive colpevolizzanti della donna, dimodoché il maschio ex padrone, non ha rinegoziato, come sarebbe stato opportuno, i suoi nuovi ambiti con la femmina, ma è stato semplicemente spodestato, non senza ignominia.
Una conseguenza, di cui si cominciano a vedere gli effetti, è stata che, in assenza del padre, alla madre è toccato l’onere di educare da sola i figli: tutti, maschi e femmine. E questo è un guaio serio tanto per i maschi, quanto per le femmine. Per i maschi, perché non c’è più nessuno ad insegnar loro ad essere maschio: una donna può insegnare infatti, in piena buona fede, ciò che lei crede (o desidera) sia un uomo, non ciò che un uomo è, tanto più in quanto l’educazione nasce in massima parte dall’apprendimento per imitazione e in parte minima dalle belle parole. Per le femmine, perché comunque l’essere donna è esserlo in relazione (anche contrappositiva) all’uomo e se un uomo in casa non c’è (materialmente o perché non conta) la femmina manca del referente relazionale su cui costruire la propria femminilità. Occorrerà quindi che, passato il periodo storicamente necessario al riassestamento del rapporto tra i sessi, l’uomo ritrovi un proprio ruolo formativo nell’interesse tanto suo quanto della donna, che altrimenti rischia di ritrovarsi poi come compagno un manichino senza spina dorsale. E di lamentarsene giustamente, non sospettando nemmeno di avere senza volerlo, nello spezzare quella spina dorsale, una parte di primo piano. Vincenzo Policreti
Cos’è una donna
Non credo che spetti a nessuno definire quello che gli altri sono. Ognuno si preoccupi di definire se stesso al fine di compiere quelle scelte che renderanno la propria, una vita realizzata. Per il resto esistono solo disperati tentativi, secondo me discutibili anche sotto il profilo etico, di classificare quello che non è classificabile: l’essere umano, uomo o donna che sia. E’ inutile sbandierare teorie su ciò che una persona sente, perché tanto, quello che sente sente e niente e nessuno lo può e lo deve cambiare. In molti casi, non lo può neanche capire. Quindi, su qualunque canone la società tenti di porre le proprie basi, ogni singola donna
prenda la strada più confacente alla sua sensibilità personale, ignorando eventuali critiche o giudizi che altro non rappresentano se non il desiderio egoistico, da parte di alcuni, di modellare intorno a se stessi il contesto più gradito a loro, o l’unico contesto col quale sanno rapportarsi. E se anche su mille donne tutte uguali ce ne fosse una, soltanto una, diversa, per quel rispetto del singolo individuo che la società civile ci insegna, ogni immagine o marchio attribuito all’interiorità femminile, e anche maschile, assume connotati di superbia e viene percepito come uno stupro da parte di chi in quel marchio non si può riconoscere. Raffaela Trequattrini
A proposito di medicine Ho letto molti libri, alcuni belli, alcuni brutti, alcuni sublimi. Tra tutti ce n’è uno che mi è particolarmente caro. E’ La nausea di Jean Paul Sartre. La nausea non è il fastidio legato alla gravidanza o la conseguenza di una grande abbuffata. Pubblicato nel 1938-39, La nausea è il romanzo del disgusto di tutto, di tutte le cose ingiustificabili, delle delusioni e della distruzione dei valori, dell’assurdità degli uomini e della loro falsità. Provo nausea ogni volta che incontro certi colleghi, ogni volta che sento parlare di solidarietà e tornei di beneficenza, ogni volta che guardo certa televisione o leggo certi giornali. Questa volta voglio parlarvi di medicinali, o meglio di propaganda sull’uso corretto dei medicinali.
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Che ipocrisia! Che nausea! Le medicine vanno prese nella giusta quantità e con attenzione. Sante parole, ma soffermiamoci su queste affermazioni giusta quantità e con attenzione; quindi apriamo la confezione di un qualsiasi medicinale e, per conoscere la giusta quantità, proviamo a leggere quel maledetto foglio di carta, scritto in caratteri lillipuziani, che nel linguaggio corrente è detto foglietto illustrativo. Se saremo riusciti nell’impresa, allora potremo affrontare la prova finale e leggere con attenzione la data di scadenza, oltre la quale il medicinale non può essere assunto. Con nostro disappunto scopriremo che è illeggibile, scritta in bianco su fondo bianco. Ma se è così importante, perché non metterla bene in evidenza? Le case farmaceutiche sono a corto di
fantasia? Posso suggerire alcuni abbinamenti: 1) scatola bianca-scritta rossa; 2) scatola gialla-scritta nera; 3) scatola verde-scritta gialla; 4) scatola nera-scritta bianca. O forse la questione è un’altra e va ben oltre il gusto o non gusto cromatico, perché, ad esser cinici, se prendo una pillola scaduta e ci lascio le penne, l’umanità non subisce un grande danno. Se invece campo cent’anni, ad una media ragionevole di quattro pillole al mese, quanto sarò costata al SSN prima di passare a miglior vita? Fate voi il conto. Allora, anziché celarsi dietro ipocriti spot pubblicitari, sarebbe stato più onesto dire: Popolo d’Italia! Non ci sono soldi per le medicine, quindi usatene meno che potete. Sarebbe stato molto meglio. E a me non sarebbe venuta la nausea. Monica Tarani
Donna E s s e r e Scrivere di donne, per una donna è relativamente facile, sicuramente più facile che per un uomo. Scrivere di donne violentate, per una donna è tremendamente complicato, forse a causa di una paura derivante dal transfert sulle vittime o dal pensiero invasivo che continua a ripetere: E se capita a me? Se capita a mia figlia? Ho iniziato questo strano viaggio tra una curiosità morbosa di conoscenza in materia, continuando spinta dalla paura di sapere. Per le donne tra i 15 e i 44 anni la violenza è la prima causa di morte e di invalidità, ancor più del cancro, della malaria, degli incidenti stradali e persino della guerra. Questo dato sconvolgente proviene da una ricerca della Harvard University. Il rapporto, preparato per l’apertura di una sessione delle Nazioni Unite sulla condizione femminile, raccoglie studi e ricerche sul problema della violenza sulle donne effettuati in ogni parte del pianeta da organismi e istituti nazionali e internazionali. Dalle sue pagine emerge la drammatica fotografia di una realtà che non risparmia nessuna nazione e nessun continente. Le violenze domestiche, i problemi nel terzo mondo, povertà e prostituzione, le mutilazioni genitali e lo stupro sono i campi di azione dove le donne restano vittime di una vera e propria violazione di genere che non è solo un fenomeno a largo spettro, ma anche sottovalutato nelle sue reali dimensioni spesso dal sistema giuridico stesso o dal pregiudizio culturale che non considera la violenza domestica come crimine, ma piuttosto come problema di coppia del tutto normale nel contesto familiare. Solo un numero esiguo di donne denuncia le aggressioni, per timore di ritorsioni o
d o n n a
vergogna, con questi presupposti è difficile fare una stima esaustiva del fenomeno. I dati emersi danno comunque un’idea della gravità della situazione. Intorno alle violenze sulle donne aleggiano molti stereotipi, quasi a giustificare o a minimizzare la gravità del fatto: la violenza domestica è attribuita a contesti familiari culturalmente ed economicamente poveri dove l’uomo ha problemi di alcool o droga, o situazioni psicopatologiche a causa di violenze subite lui stesso; oppure si pensa che una donna non possa essere sessualmente violentata contro la sua volontà o che è stata lei a provocare con abiti succinti o atteggiamenti troppo ammiccanti e poco decenti. La morale collettiva è portata a trovare scuse razionali dove non ce ne sono e a nascondere il disturbo che provoca parlare di certe cose. E intanto il numero delle vittime cresce e le povere malcapitate tendono a nascondersi dietro un’apparenza normale per evitare l’ennesimo giudizio, l’espressione di pietà sul viso del suo presunto confessore dubbioso, per la paura di non uscirne viva o di vedere far del male ai suoi figli, o ancora perché è economicamente ricattata e non ha altra via d’uscita. A volte teme persino di abbandonare il suo uomo violento perché paventa per la sua incolumità, fatto questo che determina anche un ricatto psicologico difficile da scardinare. Gli uomini usano per lo più la violenza per mantenere o rafforzare il loro potere nei riguardi delle donne o per bloccare un regresso di questo potere. La violenza di genere é rimasta a lungo invisibile: avveniva nell’ombra, in quanto coincideva con i valori dominanti, le tradizioni e le leggi a
TERNI - V. della Stazione, 32/38 - Tel. 0744.420298
tal punto da rendere il fenomeno un fatto naturale. L’uomo, forte del suo patriarcato, ha sempre piegato la donna al suo volere e oggi che a fronte della rivoluzione sessuale degli anni ’70, le donne non accettano più di essere incastrate in un ruolo subalterno che non hanno scelto, l’uomo esprime il ruolo che lo ha voluto padrone per secoli, attraverso l’esplosione del dominio, attraverso l’imposizione del suo essere. Ma lasciando ad altra sede le spiegazioni di tali comportamenti e concentrando l’attenzione sull’universo femminile dimenticato e deprivato, cado in una facile considerazione: c’è un posto sicuro per le donne, dove violenze, menomazioni, stupri e ricatti non siano perpetrati? Come anticipato inizialmente no, perché il male è rinchiuso nella mente del suo despota. Prendiamo ad esempio la nostra realtà, la città di Terni: una città tranquilla dove ancora è possibile fare una passeggiata la sera dopo cena, o girare quasi tranquillamente in autobus senza ritrovarsi privi del portafogli. Secondo voi quale incidenza ha la violenza sulle donne a Terni? Nella mia ricerca ho scoperto dati incredibili. Nell’anno 2003 le donne che hanno chiesto aiuto al Telefono Donna sono 85; 83 hanno richiesto consulenze legali, 81 consulenze psichiatriche e psicologiche. I dati del 2004 comprendono solo sei mesi, per difficoltà dell’assistenza sociale che si occupa dell’accoglienza,
eppure sono molto significativi: 57 nuovi utenti, 47 consulenze legali e 53 consulenze psichiatriche e psicologiche. Pensate cosa poteva accadere se si fossero raccolte le richieste dell’intero anno! I dati vanno letti come la punta di un iceberg con un indotto che si moltiplica a macchia d’olio se consideriamo tutte le varianti che piegano la donna a non esporsi. Paola Babocci, psicologa e consulente del Telefono Donna, mi rivela: In Italia ci sono le leggi ma le donne hanno ancora paura e a… ragione. Spesso se denunciano i coniugi perdono il diritto a rimanere nella casa coniugale, al mantenimento, qualche volta anche ai figli… e pur di non essere più perseguitate se ne vanno. Il Telefono Donna è organizzato dal Centro Pari Opportunità della Regione Umbria, la sede ternana è presso Palazzo Gazzoli. Presta consulenza legale, di assistenza sociale sul territorio, psichiatrica e psicologica. Non solo.
Il Comune di Terni ai primi di dicembre ha approvato in giunta la stipula di un contratto per l’affitto di un immobile destinato ad un centro di accoglienza per le donne vittime di violenza, dove potranno accedere (e questa è la novità) con i loro figli minori. L’intento dell’iniziativa è quella di offrire un casa protetta per permettere alle donne di allontanarsi dalla propria abitazione, luogo di violenza. Il problema della donna maltrattata tra le pareti domestiche è principalmente dove andare soprattutto se si hanno figli minori e questo progetto può permettere una spinta in più per liberarsi dalla paura e non sentirsi abbandonata dalle istituzioni. Il nostro territorio ne ha bisogno prendendo ad esempio anche l’esperienza maturata nel contesto perugino. Il Telefono Donna ha un numero verde, 800861126, a cui rispondono professioniste veramente preparate e disponibili a dare la loro consulenza. Francesca Capitani
CERETTE Parlando di ceretta si pensa subito ad un trattamento al quale il più delle volte si ricorre solo per esigenze particolari, perché causa dolore e ultimamente è aumentato di prezzo. Le comuni domande che vengono poste a noi estetiste sono: Quanto costa una ceretta? Che differenza c’è tra cerette a caldo, a temperatura ambiente o a freddo? E tra le cerette al miele e quelle al titanio? Come mai alcune cerette sono di un colore e altre di un altro? E perché il prezzo delle prestazioni varia da estetista a estetista? Prima di tutto, per quanto riguarda i prezzi, io ho un listino di base che può variare a seconda del tempo richiesto e delle difficoltà incontrate durante la seduta (es. peli incarniti). Al termine applico creme EUBIOTICHE decongestionanti, idratanti e ritardanti della ricrescita. In più utilizzo due tipi di cera: una al miele, che si spalma con la spatola a temperatura ambiente, esclusivamente a base di resine naturali che non aggrediscono la pelle e rendono lo strappo più dolce, essendo anche meno appiccicose; e una a caldo, per i punti più delicati, perché il calore dilata il poro e facilita l’estrazione, causando meno dolore e ritardando anche la crescita del bulbo pilifero. La cera a caldo, inoltre, viene periodicamente cambiata e sterilizzata. I colori della cera possono variare in base alla sua componente principale (ad esempio la cera verde è a base di menta), ed è la sostanza a fare la differenza di qualità, non il colore. Le cere al titanio, invece, vengono comunemente usate d’estate, in quanto contengono sostanze decongestionanti ed essendo più dense evitano scottature e semplificano la stesura. Il prezzo, dunque, è determinato dalla qualità dei materiali utilizzati e dalla professionalità con cui la depilazione viene eseguita. Una ceretta fatta male può anche rompere i capillari in maniera irreparabile. Non è il calore della cera a far scoppiare i capillari, ma uno strappo troppo aggressivo, eseguito con tecniche sbagliate o con cere di composizione chimica a basso costo. Anche perché una cera, per quanto possa essere calda, non potrà mai arrivare a una temperatura così alta da vasodilatare e rompere un capillare. Katia Di Rocco
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Presso l’EUDI SHOWdi Genova si è tenuta, il 12 marzo 2005, a cura dell’Associazione Cultura e Risorse, la cerimonia di premiazione del premio letterario, immagini e musiche Il m i o m a r e 2 0 0 5.
RAFFAELLA CLEMENTI 1° Classificata per l’originalità del racconto Il mare sottosopra
Storie di ordinaria solitudine Racconto inedito della nostra collaboratrice Raffaella Clementi
Nell’ambito delle iniziative promosse dalla Biblioteca Comunale di Terni, della serie Incontro con l’autore, si terrà la presentazione del libro L’arte a Narni tra Medioevo e Illuminismo, edito dalla casa editrice Edizioni Eranuova.
Il libro, grazie allo scrupoloso lavoro di ricerca svolto dagli autori sulle opere d’arte della città ed al nutrito repertorio fotografico che accompagna il testo, si pone come essenziale strumento di divulgazione e di valorizzazione del patrimonio artistico
Terni - giovedì 7 aprile - ore 17.00
Sala Caffè Letterario della Biblioteca Comunale presentazione del libro
L’arte a Narni tra Medioevo e Illuminismo. Nuove acquisizioni, letture, proposte su maestri, opere e committenti
di Alessandro Novelli e Lucilla Vignoli Presentazione di Paolo Renzi I giovani autori, Alessandro Novelli e Lucilla Vignoli, redattori e responsabili, per il nostro giornale, delle pagine di Storia dell’Arte, si stanno imponendo ormai come intelligenti ricercatori e capacissimi interpreti delle opere d’arte del nostro territorio. Il volume prende in esame ed analizza con puntuali indagini scientifiche, e per la prima volta dopo decenni di oblio, la storia dell’arte di una città dell’Umbria meridionale che, nonostante la ricchezza delle sue testimonianze artistiche, storiche ed architettoniche, non è mai riuscita ad entrare nel circuito delle città umbre medievali meta di turismo culturale.
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di un territorio che, gravitante intorno a Narni, giunge ad interessare anche i vicini centri di Terni, Amelia, Rieti, Sangemini, oltre che vere e proprie capitali artistiche quali Firenze e Roma. La presentazione avverrà a cura del Dott. Paolo Renzi, storico-archeologo, nostro stimatissimo collaboratore e profondo conoscitore del territorio. All’evento interverranno anche Giuseppe Chianella, Assessore alla Cultura della Provincia di Terni e Sonia Berrettini, Assessore alla Cultura del Comune di Terni. Introduce Elisabetta Almadori. Gli appassionati e affezionati lettori de La Pagina sono invitati a partecipare.
Esce in questi giorni Rivoluzionariamente, il primo libro del giovane scrittore ternano, vicedirettore del nostro giornale, Massimo Colonna. Il libro è edito da Gruppo Edicom. Quando ci guida l’istinto e quando la ragione? E’ questo il quesito che pone l’autore, attraverso un interessante viaggio nella mente umana, analizzando sia alcuni aspetti della società moderna, sia i comportamenti quotidiani tenuti da ognuno di noi. Con semplicità narrativa e con l’aiuto dalle teorie di importanti pensatori tra cui Svevo, Freud e Festinger, l’autore tratta diversi argomenti come la differenza tra le scelte umane e quelle animali, il ruolo dell’istinto nell’evoluzione, le leggi che regolano la vita dei gruppi sociali. Nella parte centrale viene poi presentata la questione in relazione a tematiche più vicine alla quotidianità della gente, tra cui il vizio del fumo, l’alta velocità in macchina o il sentimento di vendetta. L’opera si conclude lanciando la sfida al lettore, invitandolo a ragionare su quanto ci sia di istintivo o di razionale nelle sue scelte. Rivoluzionariamente non si pone l’arduo obiettivo di spiegare le assurdità della società contemporanea o le contraddizioni di alcuni nostri comportamenti, ma semplicemente vuole mettere in guardia il lettore sul fatto che alcune sue azioni possano essere motivate solo dall’istinto. Francesco Bassanelli
Abbarbicati sulle grate che dividono l’area dei lavori in corso dal resto della strada, alcuni uomini maturi dispensano consigli agli operai. Mi domando, guardandoli, cosa possa catturare la loro attenzione, cosa li spinge a suggerire raccomandazioni tecniche non richieste, con l’ovvia conseguenza di rispostacce da parte dei lavoratori che, esasperati dalla fatica di un lavoro manuale, infreddoliti dal vento gelido, sono costretti a colloquiare, ringraziando per le indicazioni e le prescrizioni del tutto arbitrarie, quando, forse,
do sono da tempo in pensione, anche quando non hanno impegni da rispettare, anche quando la comunità li ha messi ai margini perché la loro produttività è ormai stagionata. Ed allora escono presto; prima si esce, più possibilità si hanno di incontrare persone con cui parlare. E stanno lì, appesi alle grate come carcerati, tra i piedi, tra i piedi dei passanti, troppo indaffarati per porre attenzione ai loro sospiri. Diventano gli accessori della piazza in costruzione, soli come i pali della luce. Li guardo e penso che
R a f f a e l l a C l e m e n ti Resta dove sei Et voilà Edizioni Thyrus
avrebbero solo voglia di svolgere il proprio lavoro in santa pace. Me lo domando. Ma la risposta che trovo è sempre la stessa; la solitudine e, forse, per questa gente la pace ha il sapore troppo acre della nostalgia, di un tempo passato che ormai non torna, di figli che se ne sono andati; ha il sapore aspro del freddo dentro alle ossa. Ed allora è meglio uscire presto, meglio se di mattina, elargire esortazioni e pareri, spesso accompagnati da sputi e colpi di tosse. Poco importa se nessuno li ascolterà. E’ la solitudine che li spinge ad uscire presto di mattina, anche quan-
accanto a loro c’è anche un esercito invisibile di persone che non hanno più neanche la forza di uscire per cercare qualcuno con cui parlare, sono talmente soli che il vuoto ha negato loro il domani, quel vuoto che non ha contorni, né contenuti, quel vuoto che è mancanza degli altri, che è privazione, che è buio pesto. Ma la solitudine non ha colore, non ha odore né ceto. La solitudine è occhi in mezzo alla gente che scrutano, frugano, spesso invano, altri occhi per riconoscersi e credere di non esser soli e, se viene bene, magari, fare anche due chiacchiere.
homo ridens NOI RASPUS
NOI promettemmo di svelare un altro “mistero” Arnold de Wyon, pio benedettino, pubblicò a Venezia nel 1595 un libro intitolato Lignum vitae (L’Albero della vita) nel quale parlava di personaggi celebri dell’Ordine fondato da San Benedetto. Arnold ricorda anche Malachia: San Malachia, irlandese, Vescovo di Down, Monaco a Bevehor e Arcivescovo di Armagh, si ritirò, attorno all’anno del Signore 1137, a Down ove morì il 2 novembre 1148, stando alla biografia che ne scrisse San Bernardo. Ci rimangono tre lettere indirizzate a lui da San Bernardo. Malachia scrisse alcuni opuscoli dei quali io personalmente non ho potuto leggere nulla, all’infuori di una certa profezia che riguarda i sovrani pontefici. Questa profezia, dato che è breve, e poiché non è stata mai data alle stampe e molti desiderano conoscerla, io la riproduco qui. Arnold de Wyon pubblica allora le 111 brevi sentenze. Ne trascrivo alcune antecedenti il 1595, altre seguenti. ATTENZIONE il 2 novembre 1148 muore San Malachia 1° sentenza Ex castro Tiberis (Da un castello sul Tevere) 1° pontefice Celestino II (1143-1144) Celestino II è nato a Città di Castello, sul Tevere, dalla famiglia De Castello. Questa sentenza sembra davvero ispirata! Malachia era però ancora in vita. 2° sentenza Inimicus expulsus (Il nemico cacciato) 2° pontefice Lucio II (1144-1145) Gerardo Caccianemici è il nome di nascita di Lucio II.
Anche questa sentenza ha del miracoloso! Malachia era però ancora in vita. ---------67° sentenza De corona montana (Dalla corona del monte) 67° pontefice Giulio III (1550-1555) Si chiamava Giovanni Maria Ciocchi del Monte. Aveva due corone nel suo stemma. Ancora la perfezione. Eppure Malachia non era più in vita. Ma lo era il pio Arnold! ATTENZIONE 1595 anno della pubblicazione e anno a partire dal quale l’ispirazione, come la pancia, non c’è più, mai più! 78° sentenza Undosus vir (L’uomo fatto come un’onda) 78° pontefice Leone XI (1605) Che c’entra? ---------109° sentenza De medietate lunae (Dalla metà della luna) 109° pontefice Giovanni Paolo I (1978) Proprio non c’è ispirazione! 110° sentenza De labore solis (Dal travaglio del sole) 110° pontefice Giovanni Paolo II (1978, …) ??? Che c’azzecca? 111° sentenza De gloria olivae (Dalla gloria dell’ulivo) 111° pontefice ??!! Qualcosa inventeranno! Non poteva mancare infine la tiritera finale, appunto sulla fine del mondo, per avallare e suggellare, come s’usa, parentela stretta o amicizia ferrea col creatore. E’ la sentenza-profezia 112: In persecutione extrema Sacrae Romanae Ecclesiae sedebit Petrus Romanus qui pascet oves in multis tribulationibus: quibus transactis, civitas septicollis diruetur: et Judex tremendus judicabit populum. Durante l’ultima persecuzione che subirà la Santa Chiesa Romana, regnerà Pietro il Romano. Egli pascerà le pecore fra molte tribolazioni. Passate queste, la città dei sette colli (Roma) sarà distrutta, e il Giudice tremendo giudicherà il popolo.
Che noia! Ancora il giudizio universale! ... mentre di universale c’è il solito, continuo, deliberato, inganno! COPPA TETA NOI RASPUS
LA PAGINA
4stratagemmi
(per vincere le elezioni)
Ssst! Massimo riserbo!! Fate finta di non stare leggendo questo articolo!!! Abbiamo la possibilità di presentarvi, in esclusiva assoluta quanto abusiva (nel senso che lo pubblichiamo senza il consenso dell’interessato), un documento nel quale è racchiusa la strategia di Silvio Berlusconi per recuperare il feeling con gli elettori e conseguire la vittoria alle elezioni politiche del 2006!!!! Articolato in cinque punti, è in grado di far saltare sulla sedia per lo sgomento più d’un leader del Centrosinistra… e non solo del Centrosinistra!!!.. (Oops, ho finito gli esclamativi.)
Tra sesso e povertà Vale a dire: l’America insegna che i temi morali possono contare più di quelli economici. L’elettore, sulla strada per il seggio, si sta facendo i conti in tasca per capire se col taglio delle tasse ci ha guadagnato davvero? Niente paura! Ferrara e Buttiglione indicano il cielo e gridano: Guarda, c’è un matrimonio omosessuale che vola!, l’elettore si distrae, perde il conto e raggiunto il seggio vota per il Polo, anche se sotto sotto il sospetto di essere stato fregato ce l’ha. Propedeutica Vale a dire: la motivazione non è tutto, ma aiuta. Per galvanizzare i giovani volontari che Forza Italia sguinzaglierà a caccia degli elettori, prima dell’inizio della campagna elettorale essi verranno preparati psicologicamente tramite lettura di articoli e discorsi di Don Gianni Baget Bozzo. Quest’ultimo si è dichiarato entusiasta dell’iniziativa, anche perché nessuno lo ha informato che ai volumi che verranno distribuiti sarà dato il titolo Sono stati i comunisti a ridurmi così. 23 coppie di Commissioni Vale a dire: Guzzanti e Tarantino facciano scuola. Negli ultimi mesi di legislatura vanno senz’altro istituite, in entrambe le Camere, nuove Commissioni parlamenta-
DOVE
ri d’inchiesta, volte a ripulire dalle sozze calunnie di cui sono stati fatti oggetto gli uomini del Centrodestra e ad additare alla pubblica riprovazione le losche figure che abitano lo schieramento rivale. Qualche esempio: la Commissione Chi ha incastrato Cesare Previti?; la Commissione Piduisti per caso: Berlusconi e Gelli, storia di un equivoco; la Commissione Comunisti erano e comunisti sono rimasti, anche quel Castagnetti lì secondo me…; la Commissione Il mio nome è Bondi, Sandro Bondi, e io invece comunista non lo sono mai stato; la Commissione Certo che Dell’Utri è proprio una brava persona; la Commissione Rutelli e Veltroni, le sorelle Lecciso della politica italiana; la Commissione L’igiene personale del Senatore Biondi è impeccabile; la Commissione Quella volta
TROVARE
che Mussi tornò a casa in anticipo e trovò la moglie a letto con l’imbianchino; ed altre attualmente in lavorazione. L’urna dello spavento supremo Vale a dire: elezioni? Quali elezioni? Siamo in guerra, ragazzi, vi pare il caso di dare a Bin Laden l’occasione di mettersi in mostra? La Costituzione prevede che in tale circostanza le Camere possano prolungare la durata del proprio mandato e conferire poteri speciali al Governo: bene, lo si faccia. Di elezioni ne riparleremo dopo che l’Iraq sarà stato pacificato. O, in alternativa, quando il Cavaliere sarà così vecchio da non ricordarsi più perché gli conviene restare al potere (Media… set? No, no, in media la faccio non più di quattro volte al giorno): dipende da quale eventualità si avvererà per prima. Ferdinando Maria Bilotti
LA PAGINA
Alfredo Visaggio, v.le Stazione 32/38 - Briganti Corredi, v. Fratini 22 - Caffè del Corso, galleria del Corso - Centro Commerciale Cospea, v. Montefiorino 12 - Cervellifoto, v. Goldoni 2 - Edicola di Gian Luca Bellaccini, corso Tacito - Edicola di Antonini Marzio, lg. dei banderari - Edicola di Franco Ciarulli, v.le Stazione - Edicola di Iva Rossi, p.zza S Francesco - Forno Pasticceria di Colasanti Vittorio, p.zza del Mercato Nuovo 33 - Libreria Alterocca, corso Tacito 29 - Ohio Spazio Omnitel, v.le Stazione 42 - Pasticceria Modernissima, v. Battisti 41 - Pizzeria dell’Orologio, v. Battisti19/A - Placebo, v. Cavour 45 - Profumeria Villaglori, lg. Villa Glori 6 - Sabatini Ciro, p.zza Buozzi 24 - Stazione Ferroviaria, p.zza Dante - Sede Provinciale INPS, v.le Stazione Tabaccheria Parrabbi Carlo, v. Battisti 58/A - Tre prezzi, p.zza del Mercato Nuovo 17
Mensile di attualità e cultura
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002 presso il Tribunale di Terni Direzione e Redazione: Terni Via Carbonario 5, tel e fax 0744.59838 Tipografia: Umbriagraf - Terni
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