Diplomazia?
Non siamo uguali...
Raffaela Trequattrini
Giampiero Raspetti
Quando in politica si usa il termine diplomazia nella sua accezione più generica, si intende, o meglio, si dovrebbe intendere l’abilità nel saper trattare questioni delicate con tatto e finezza, senza urtare la suscettibilità degli interlocutori. Ma, se nell’analisi di un determinato comportamento, il relativo giudizio, positivo o negativo, è strettamente legato agli obiettivi con i quali tale comportamento viene assunto, la storia dell’umanità è piena di esempi che mostrano con quanta facilità l’utilizzo sempre più sapiente e sofisticato dei mezzi, abbia confuso e snaturato proprio quelle ragioni in vista delle quali un mezzo era stato concepito. Cosicché si verifica una sorta
C’è gente serena… immersa nella bellezza del creato e nell’unione con il suo Dio, fiera di servirlo con passione e umiltà. Persone ricche nel cuore, semplici nel comportamento: ringraziano la Provvidenza per il dono della fede. Donne e uomini agli antipodi rispetto ai fondamentalisti, quelli che riversano diktat tentando con protervia di influire sulle imminenti elezioni politiche. Uno Stato laico come il nostro non deve subire ingerenze, né da occulti poteri, né da altri Stati. Lo straniero Jean-Marie Le Menè, membro della Pontificia accademia per la vita, nel corso di una tavola rotonda svoltasi Oltretevere ai primi di marzo 2006, così straripa:
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Olocausto, galera e democrazia Vincenzo Policreti Ho visto deportare una famiglia di Ebrei: padre, madre, figli e anche il nonno, paralitico, portato via dalle SS assieme alla poltrona sulla quale era immobilizzato. Nel 1943 avevo 6 anni; ma ne campassi mille, mai e poi mai potrò dimenticare gli occhi sbarrati di quel vecchio terrorizzato nella sua vestaglia, portato via dagli sgherri di cui ricordo ancora distintamente il rumore indelebile - degli stivali sugli scalini di marmo. Perciò le tesi di Irving sull’inesistenza dell’Olocausto mi lasciano comprensibilmente freddo. Ma freddo non mi lascia affatto la sua condanna: tre anni di carcere senza condizionale per avere affermato una sua idea, sballata, cervellotica, destituita di qualsiasi fondamento, sì; ma comunque un’idea. Che nella nostra Europa qualcuno possa venire condannato - e tanto pesantemente - per quello che dice o pensa è qualcosa che atterrisce. Perché nel momento stesso in cui uno Stato punisce chi non crede all’Olocausto, si comporta esattamente come
N° 3 - Marzo 2006 (33)
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L’inglorioso viaggio della portaerei Clemenceau Francesco Patrizi Da nove anni vaga per i mari una vecchia gloria bellica in cerca di pace: la portaerei francese Clemencaeu. Nel 1997 viene dichiarata fuori uso, la Francia propone, un po’ frettolosamente, di affondarla, ma si scopre che è carica di componenti tossici, occorre quindi rottamarla; l’operazione è molto pericolosa, richiede attrezzature costose e operai segue a pag. 6
Divorzio Monica Tarani Tutti coloro che si sposano sono certi in cuor loro che sarà per sempre, finché morte non li separi. Ma poiché spesso la realtà smentisce i sogni, accade che dopo una partenza in quinta il matrimonio cominci a perder colpi. Inizia così un periodo di alti e bassi, al termine del quale illusori e talvolta goffi tentativi di ricominciare da capo segue a pag. 4
La Redazione de La Pagina rivolge un caloroso saluto alla città di Perugia
Non c’è uomo che non ami la libertà, il giusto però la esige per tutti, l’ingiusto solo per sé. Ludwig Börne
Il tasso di.... ST Come si misura il tasso di civiltà di un popolo? A mio avviso contando i globuli di libertà che circolano nelle sue arterie e il grado di ossigenazione dei suoi tessuti sociali. E allora vediamo quanto è civile questo nostro martoriato paese, valutando la velocità di circolazione nel suo sangue, segue a pag. 5
G a lle r ia d e l Co r s o - Te r ni
Socrate e l’origine del concetto laico di libertà Marcello Ricci
Libertà formale, libertà sostanziale Alessia Melasecche
Ci immaginiamo di vivere in una sorta di Paese delle Meraviglie dove ogni opportunità sembra a portata di mano. Affrontiamo ogni giorno beati dall’illusione mediatica che quasi ogni cosa sia alla nostra portata mentre invece le nostre libertà di scelta e di acquisto si sono ridotte, nell’era di Mister Euro, in misura considerevole e soprattutto a causa di feno-
Per ragioni professionali mi occupo di temi economici sotto i più molteplici aspetti e l’economia, che piaccia o meno, rappresenta nella storia dell’uomo, da sempre, il motore che, inizialmente, gli ha consentito di sopravvivere e sviluppare le sue prime conoscenze; oggi, per una parte molto ampia dell’umanità, costituisce anche la molla per produrre ricchezza, maggior benessere e, quando non diventa egoismo, aiutare a crescere anche chi ha più bisogno. Lo sviluppo è però connaturato indissolubilmente all’esistenza, nei vari contesti umani e sociali, di un tasso più o meno elevato di libertà. Libertà di parlare, di conoscere, di amare, di viaggiare, di sperimentare, di intraprendere, sempre nel rispetto di quella altrui. Nei contesti liberticidi, quando l’individuo non può esprimere se stesso, quando deve temere per la propria esistenza, i propri affetti, quando le sue capacità sono ingabbiate in schemi statuali ben oltre i limiti necessari ad una società aperta ma
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Il concetto di libertà si misura sul concetto di verità, in altre parole la libertà si può definire solo in relazione alla verità: se per verità s’intende la verità assoluta, allora sarà assoluta anche la libertà (per pochi), se per verità s’intende la verità relativa, allora sarà relativa anche la libertà (per tutti). Nel primo caso assistiamo alla sistematica negazione della segue a pag. 4
Il giusto profitto Federico Marconi
D i p l o m a z i a ? di strumentalizzazione dello strumento; nel caso specifico, della diplomazia. Non credo ci siano dubbi sul fatto che, in un contesto democratico, il senso della parola governare sia quello di amministrare lo Stato in base alle aspirazioni dei cittadini. Nelle democrazie la classe politica è eletta per rappresentare il popolo, non per dirigerlo a propria discrezione. E’ ovvio, pertanto, che affinché il popolo possa decidere liberamente da quali idee si sente maggiormente rappresentato, dovrà essere messo in condizione di formarsi un’opinione quanto più realistica ed esatta possibile, in merito alle proposte avanzate dalle varie forze o formazioni. E non vedo proprio come si possa addurre la minima obiezione riguardo a questo punto. Per contro, se scendiamo sul piano concreto, ci accorgiamo che con estrema disinvoltura il concetto di diplomazia, applicato alla propaganda politica, perde la sua funzione originaria e si trasforma nell’elaborazione di una serie di espedienti dialettici e verbali, mirati non a tradurre una linea di pensiero in un discorso aperto e rispettoso anche nei confronti di chi la pensa in modo differente, quanto piuttosto a sfumare i contorni di proposte che, restando vaghe, risultano digeribili a chiunque, sia a chi la vuole cotta sia a chi la vuole cruda. Questo comportamento però, basta leggere le definizioni riportate nel vocabolario della lingua italiana, non c’entra affatto con la diplomazia, ma è più attinente alla circonvenzione. Quando ad esempio si proclama l’intenzione di pianificare una politica a favore della famiglia, di quale genere di famiglia si parla? Perché una famiglia dove il marito lavora e la moglie è casalinga ha esigenze ben diverse rispetto ad un’altra in cui entrambi i coniugi svolgono un’attività fuori casa… Carissimo Cavaliere, tagliare i fondi destinati agli Enti Locali in un momento in cui già si avverte fortemente la carenza di asili nido, quale modello di famiglia può aiutare? Certo, se si permette alla Chiesa di mettere ancora oggi in discussione la legge 194 sull’interruzione di gravidanza, né si promuove, sempre per compiacere la Chiesa, una massiccia campagna a favore dei metodi anticoncezionali, personalmente le conclusioni le ho tirate… Ma perché, mio audace Napoleone, con l’orgoglio e la fierezza che ti contraddistinguono, non hai il coraggio di dirci apertamente qual è ai tuoi occhi la famigliola ideale, cosicché appaia chiaro a tutti che quando ti entusiasmi parlando di imprenditoria, di iniziativa privata, di mirabolanti risultati professionali, non è ad ognuno di noi che ti rivolgi, ma solamente all’elettorato maschile? Sostenere che una famiglia in cui lavorano sia l’uomo che la donna non ha problemi a prov-
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vedere in proprio all’assistenza di cui necessita per i figli, è una risposta che non sta né in cielo né in terra, in quanto tutte le persone comuni, ovvero quelle senza santi in paradiso, al giorno d’oggi impiegano anni prima di trovare una sistemazione soddisfacente; e chi decide di mettersi in proprio, visto che d’ora in poi il posto fisso sarà riservato solo a pochi intimi, per avviare un’attività è tenuto ad investimenti iniziali che, in mancanza di beni al sole, pesano per lungo tempo nell’ambito dell’economia familiare. Inoltre gli orari lavorativi dell’imprenditore o del libero professionista sono tali che, ad un costo minimo di otto euro l’ora, compenso medio di una baby sitter, moltiplicato per tutte le ore in cui la stessa è indispensabile, se i servizi sociali non funzionano, trasformano in un incubo l’allegra famigliola... La conseguenza però non è quella auspicata da Ruini per cui le donne tornano a fare le mammine, quanto piuttosto quella per cui le donne rinunciano alla famiglia per la carriera. I dati parlano chiaro, non c’è obiezione in merito. Quindi, sbandierare questa politica pro famiglia quando è evidente che con simili presupposti la famiglia sta andando in frantumi, indica un totale disinteresse per le sue sorti, oppure una gravissima malafede nell’analisi delle situazioni. Intanto, dall’altra parte, la Margherita, ha ufficialmente legittimato la degenerazione della parola diplomazia. Ha infatti accusato gli esponenti della Rosa nel Pugno di approfittare del deficit di laicità, relativo al programma dell’Unione, per carpire i voti della sinistra più laica. Ma stiamo scherzando? Siamo arrivati al punto che esporre chiaramente le proprie idee è diventata una colpa? Non è dall’altro ieri che Radicali e Laici Socialisti affrontano certe battaglie… e se per la maggior parte dei politici la diplomazia consiste ormai nel dire e non dire, nel convincere ad ogni costo con mezze verità, nell’alludere senza definire, è assurdo prendersela con chi, esponendosi coraggiosamente, attira dalla sua parte quanti non hanno dubbi su ciò che vogliono. Ognuno faccia liberamente le sue scelte, ideali o strategiche, ma se ne assuma i rischi e le responsabilità! R. Trequattrini
Il giusto profitto meni di subdola speculazione (leggi: poco corretti arrotondamenti Lira-Euro) mascherati con la scusa del libero mercato. Se il trend pubblicitario del momento è quello di offrire comodi pagamenti rateali per ogni tipo di merce o bene, si dimostra chiaramente come si sia ormai entrati nella tipica e perversa situazione del serpente che si morde la coda. Durante gli anni del boom economico di un’Italia operosa che cominciava a dimenticare la guerra, le rate vennero utilizzare con parsimonia per acquistare la 500 (o magari una Vespa) ed un frigorifero. Insomma, si guardò ai bisogni, decisamente primari, della qualità quotidiana della vita. Oggi, in una depressione economica mascherata da immagini ben patinate, l’Italia vanesia, che delle vere difficoltà economiche ha perso la memoria, acquista a rate persino viaggi, capi d’abbigliamento, lettori mp3 ed altri beni assolutamente voluttuari. Segno dei tempi? Segno di una cultura del risparmio che sembra scomparsa? Segno dell’ingerenza della TV sui nostri gusti e sulle nostre necessità presunte? Forse, solo il segno di una libertà culturale che molti amano lasciare in mano ad altri, in modo che siano essi a decidere per loro. Un lassismo pericolosissimo che fa sì che si preferisca, magari, parlare dell’ultima puntata del Grande Fratello piuttosto che di un libro che si è letto di recente e che ci ha emozionato. Ma non voglio dipingere la situazione con colori troppo cupi. L’altra faccia della medaglia è una vera libertà di comportamento e di scelta che alcuni (ed il numero sembra inesorabilmente crescere, grazie a Dio) esercitano con diligenza. Parlo di chi sceglie di acquistare merci solidali. Di chi si veste facendo caso a cosa acquista, a dove il capo è stato prodotto e da chi, per finire ai materiali con cui è fatto. Parlo di chi preferisce informarsi piuttosto (e prima) di lasciarsi intontire ed intorpidire il cervello dal tam tam della reclame. Di chi decide di assumere comportamenti ecologici e socialmente responsabili. Parlo anche di chi produce e vende prodotti senza vessare nessuno ed accontentandosi di un profitto giusto. Sembra un ossimoro ma tra il No Profit ed il Just Profit (solo profitto), ci sono innegabilmente molte, differenti e rispettabili strade per un Fair Profit. Ed è bello vedere che la sensibilità di molta gente non smette di muoversi in questa direzione. Questa è la nostra vera libertà! Di cui non si gode passivamente ma che si esercita e si affina, che si pratica e si testimonia in prima persona. Vivere in una società dove gli standard qualitativi della vita si sono alzati in modo così deciso ci carica della responsabilità imperitura di fare la nostra parte. F. Marconi
Luca Coscioni un veliero verso nuovi orizzonti Ci sono uomini incapaci persino di sognare e altri, invece, destinati ad orizzonti sempre più ampi. Luca Coscioni apparteneva a quest’ultima categoria. Non aveva timore di affrontare le acque tempestose della vita. Andava verso mete lontane, sospinto da un vento interiore. Studioso ed atleta, sapeva bene che per conseguire un risultato bisogna insistere, perseverare, dare il massimo di sé, nutrire passione. Amava la maratona. Si stava allenando per partecipare a quella, celeberrima, di New York, quando nel 1995 la sua esistenza, a soli ventotto anni, è stata improvvisamente stravolta dalla sclerosi laterale amiotrofica. Così, nel suo libro Il maratoneta, edito da Stampa Alternativa nel 2002, descrive il sopraggiungere dei primi sintomi e la conoscenza della sua nuova condizione: ero allora docente di Politica economica all’Università di Viterbo e stavo concludendo il corso di dottorato in Economia ambientale; mi accorsi che la gamba destra era molto rigida, si piegava con grande difficoltà. Un pomeriggio decisi comunque di riprendere gli allenamenti e di cominciare la preparazione della maratona a New York. Dopo pochi passi fui costretto a fermarmi, non riuscivo più a correre. Ancora non lo sapevo, ma quello sarebbe stato il mio ultimo allenamento. Due mesi dopo, mi venne diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica. Il neurologo non ebbe la forza di comunicarmi personalmente che era stata emessa, nei miei confronti, una sentenza di condanna a morte. Mi consegnò, quindi, in busta chiusa, una lettera, che avrei dovuto consegnare al mio medico di famiglia. Su quella lettera c’era scritto che entro 3, 5 anni sarei morto, paralizzato nel mio letto. Non aprii, subito, la busta che mi era stata data. Alcune settimane dopo, le mie condizioni si erano nel frattempo aggravate, nel corso di un temporale notturno feci un sogno. Mi trovavo sopra il patibolo, con il cappio al collo, al centro di una piazza deserta. Accanto a me, il boia rideva. Mi svegliai di soprassalto, fradicio di sudore, aprii la busta e lessi la lettera. Fu così che appresi di essere stato colpito dalla sclerosi laterale amiotrofica o malattia dei motoneuroni. Da quel momento, da quel preciso istante, ha inizio una straordinaria battaglia per sottrarre alle grinfie della morte se stesso e centinaia di migliaia di malati. Eletto nel duemila componente del Comitato di Coordinamento dei Radicali, è acclamato Presidente dei Radicali Italiani e, sostenuto da un appello sottoscritto da cinquanta premi Nobel e da cinquecento scienziati di tutto il mondo, nel 2001 è candidato di punta della Lista Emma Bonino. Nel giro di poco tempo diviene il simbolo della lotta per l’affermazione della libertà di ricerca scientifica e di cura contro ogni tipo di oscurantismo. Il referendum per l’abrogazione della legge 40/2004 e l’utilizzazione delle cellule staminali
embrionali a scopo terapeutico è condotto nel suo nome. Purtroppo, hanno avuto la meglio la crudeltà, l’indifferenza, lo spietato cinismo degli astensionisti. Nonostante tutto, Luca non si è mai perso d’animo, incoraggiando con la limpidezza del suo impegno la politica radicale e l’azione dell’Associazione da lui fondata. Umiliato, vilipeso, emarginato nel panorama politico nazionale, non ha mai smesso di essere un saldo punto di riferimento. Condannato all’immobilità delle labbra dalla paralisi estesasi a tutto il corpo, ha affidato al computer, con l’aiuto della moglie, Maria Antonietta, sempre vicina e premurosa, la sua parola pregna di contenuti. Splendide le parole che gli indirizzò lo scrittore José Saramago, Nobel per la letteratura nel 1998: Attendevamo da molto tempo che si facesse giorno, eravamo sfiancati dall’attesa, ma ad un tratto il coraggio di un uomo reso muto da una malattia terribile ci ha restituito una nuova forza. Grazie, per questo. La partitocrazia e il confessionalismo fortemente condizionante le scelte del nostro Paese gli impedirono di fare parte del Comitato nazionale di bioetica, come sarebbe stato invece auspicabile. Nelle scorse elezioni l’Unione non accettò che ci fosse una lista con il suo nome. Si è spento, a trentanove anni, alla vigilia dell’imminente consultazione e di una sicura elezione tra le file laiche, liberali, socialiste, radicali, della Rosa nel Pugno. Pochi giorni prima aveva partecipato ad un importantissimo convegno mondiale (censurato dagli organi della cosiddetta informazione) sulla libertà di ricerca scientifica svoltosi a Roma e da lui ispirato. Le sue ceneri adesso sono cullate dal mare, da quelle onde su cui continua a dispiegarsi la sua vela. Nella mia avventura radicale, ha avuto modo di scrivere, la cosa più importante, che penso di essere riuscito a realizzare, è quella di aver fatto di una malattia un’occasione di rinascita e di Francesco Pullia politica.
Onorevole Boselli, in questi ultimi anni la laicità dello Stato è stato un tema sempre più presente nell’agenda politica italiana. Dall’unione della tradizione socialista con quella del partito Radicale, è nata la Rosa nel Pugno che si presenta in prima linea su questo argomento. Per quali ragioni lo considerate prioritario? La laicità dello Stato è uno dei punti basilari del nostro programma, viste le tradizioni dei due partiti di formazione. Ma noi della Rosa nel Pugno non intendiamo rivolgerci soltanto ai radicali ed ai socialisti, che da sempre hanno condotto importanti battaglie su questo fronte, ma ai tanti italiani che sentono la laicità dello Stato come un problema attuale da dover affrontare e risolvere. E’ chiaro che alla base della nostra comunità devono esserci leggi che nascono da princìpi e valori condivisi da tutti i cittadini e non rispondenti soltanto ad un’unica fede o ideologia. A questo proposito ciò che contestiamo in particolare è la tendenza ad introdurre un concetto preoccupante nel modo di governare lo Stato: quello per cui scompare la divisione tra il concetto di peccato e quello di reato, cosicché chi non si riconosce nella religione cattolica o anche semplicemente in alcune delle sue regole che incidono nella vita pratica, viene considerato un cittadino di serie B. Noi proponiamo che ad ogni cittadino, cattolico o non, siano garantiti uguali diritti. Non è obbligatorio per nessuno ricorrere all’interruzione di gravidanza o convivere senza essere sposati, ma neppure deve essere vietato poter gestire le proprie scelte di vita senza tenere conto dei precetti della Chiesa. E’l’assenza di questa divisione fra precetti e leggi che in altri Paesi del mondo ha portato al fondamentalismo. Gli esempi dell’intromissione ecclesiastica nell’attività politica del nostro Paese sono numerosi: ultimo quello sul referendum per la fecondazione assistita. Il cardinale Ruini in quella occasione ha dato precise istruzioni sul voto, esattamente come avrebbe fatto un politico, non ha espresso un semplice parere. Il nostro Partito è nato proprio perché, fino ad oggi, nessuna forza politica ha avuto il coraggio di contrastare con decisione il comportamento assunto dalla Chiesa. Nessun partito, neppure del centrosinistra, si è mai opposto con toni netti ed inequivocabili a questa anacronistica ingerenza. Dietro tale mancanza, con molta probabilità, c’è una sorta di lassismo finalizzato a prendere qualche voto in più. Sul tema delle unioni di fatto, ad esempio, esiste indubbiamente un punto di distacco della Rosa nel Pugno rispetto al programma dell’Unione
Intervista con l’Onorevole
Enrico Boselli
che, pur fondandosi espressamente sul principio della laicità dello Stato, resta piuttosto vago sulle specifiche conseguenze che la laicità deve comportare sul piano giuridico. Qual è la condizione dell’Italia rispetto a quella degli altri Paesi europei in merito al principio della laicità? Oggi nel nostro Paese più di un milione di cittadini formano coppie di fatto; eppure l’Italia, insieme soltanto alla Grecia e all’Irlanda, non garantisce loro uguali diritti civili. E questo proprio perché i comportamenti che la Chiesa Cattolica considera peccaminosi vengono penalizzati, quasi fossero reati da punire. Di questo milione di coppie di fatto circa l’80% sono cattolici, e questo dovrebbe far pensare la C.E.I. (n.d.r. Conferenza Episcopale Italiana), la quale sarebbe opportuno si chiedesse perché questi cattolici, invece di sposarsi, scelgono una soluzione laica. Altro capitolo importante per il futuro dell’Italia è senza dubbio quello dell’istruzione, tema sul quale ogni governo dibatte tra una riforma e l’altra. Qual è l’attuale situazione della scuola pubblica italiana e come si pone la Rosa nel Pugno rispetto alle sue sorti e a quelle della scuola privata? Credo che il centrosinistra abbia il dovere di dare agli Italiani risposte molto precise su questo tema. Oltre l’importanza fondamentale che assume ovunque il tema dell’istruzione, per un paese come il nostro, carente di materie prime e dove svariati settori produttivi sono in forte crisi, è determinante che scuola, università e ricerca si trasformino in una grande risorsa. In più, nel contesto multietnico attuale, la scuola pubblica svolge anche un altro ruolo di assoluta neces-
sità: favorisce l’integrazione, base indispensabile su cui progettare il futuro della nostra società. Purtroppo però oggi in Italia la situazione della scuola pubblica è disastrosa: i professori percepiscono uno stipendio ridotto rispetto a quello dei colleghi europei; le scuole, anche strutturalmente, vertono in condizioni inadeguate e di arretratezza. Per rilanciare un’Istituzione così importante, lo Stato non può continuare a finanziare la scuola privata, così come invece avviene oggi in modo sempre crescente, anche contro la norma Costituzionale che ne fa esplicito divieto. Per chiarire le dimensioni del problema, basta dire che in Italia ogni anno gli istituti privati, quasi esclusivamente scuole cattoliche, assorbono un miliardo e 900 milioni di euro delle risorse destinate alla formazione e che il nostro Paese è l’unico al mondo dove, in seguito agli accordi previsti nel Concordato, lo Stato finanzia anche l’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica. Per non parlare della recente legge che permette alla Curia di inserire nella scuola professori di religione che, una volta entrati, possono automaticamente passare all’insegnamento di altre discipline, qualora perdano la cattedra per mancanza di iscrizioni ai loro corsi (come sta già avvenendo in gran parte d’Italia) o se il Vescovo ritiri loro il nulla-osta. Per quanto riguarda la riforma Moratti, noi crediamo che sia sbagliata soprattutto perché introduce la scelta della carriera scolastica all’età di 13 anni. Troppo presto. A questa età il ragazzo, quasi inevitabilmente, basa la propria decisione sulla condizione sociale della famiglia, mentre sarebbe opportuno ritardare il più possibile il momento della scelta defini-
tiva, per cercare di evitare le divisioni di classe ed offrire a tutti pari opportunità. Altro tema attuale molto sentito nel nostro Paese, soprattutto dai giovani, è quello della precarietà del lavoro. Nel contesto europeo attuale, la flessibilità nel mondo del lavoro è una condizione necessaria ed è utopistico pensare di evitarla. In Italia però è mal gestita, soprattutto per due motivi: il primo è che nel mercato del lavoro sono state rese flessibili soltanto le posizioni dei lavoratori dipendenti, mentre hanno mantenuto la stabilità il resto dei lavoratori, grazie all’esistenza di ordini professionali e di forti tutele corporative che nel corso degli anni si sono trasformate in vere e proprie oligarchie. Il secondo è che nel resto d’Europa vige la logica per cui un lavoro che offre minori garanzie viene retribuito molto meglio, perché si mette in conto l’incertezza della posizione. In Italia si verifica paradossalmente il contrario. Inoltre bisogna tener presente che da noi il sistema degli ammortizzatori sociali è totalmente inadatto a fronteggiare la situazione, in quanto può contare esclusivamente sul mezzo della cassa integrazione che innanzitutto riguarda solo una parte dei lavoratori, in più presenta seri limiti, visto che è una risorsa destinata in parte a sostenere il reddito del lavoratore ed in parte ad incentivare l’impresa. La proposta della Rosa nel Pugno è quella di abolire la cassa integrazione ed inserire il reddito di cittadinanza, un mezzo modulato sul concetto di flessibilità in base al quale, come previsto negli altri paesi europei, più il lavoro appare incerto più deve salire il reddito.
La Rosa nel Pugno si pone anche come partito transnazionale. Lei, da parlamentare europeo, come crede che gli altri Paesi vedano la nostra situazione economica? Nell’Unione Europea la situazione italiana è vista con grande preoccupazione. I dati che abbiamo di fronte parlano da soli. La crescita economica per il resto d’Europa è prevista intorno all’1,4% o 1,5%, mentre per l’Italia è lo 0,1%. Quindi il nostro vero problema non è la Cina, come si vorrebbe far credere, ma il resto d’Europa. Siamo in crisi rispetto a tutti gli altri Stati dell’Unione, basti pensare che siamo al 24° posto per capacità produttiva su 25 nazioni. In ambito europeo questo è ritenuto un fattore certamente molto grave, visto che l’Italia è stato uno dei Paesi fondatori, di quelli che per primi hanno aderito al patto di stabilità. E’ innegabile che l’opera di scarso impegno europeistico che il governo italiano ha protratto in questi ultimi 5 anni, ha ulteriormente pregiudicato la nostra posizione. L’esportazione della democrazia da parte dell’Occidente sta portando a risultati controversi nella già difficile situazione mediorientale. Crede che la democrazia debba essere esportata ad ogni costo? Credo che portare la democrazia sia un compito a cui l’Occidente non si può sottrarre, se vuole aiutare i paesi in difficoltà ad emergere. Ma non basta esportare soltanto libere elezioni. Guardiamo i risultati delle elezioni palestinesi: Hamas è andato al governo con i voti popolari, il che dimostra la necessità di creare un contesto democratico in cui poi svolgere libere elezioni. La nostra idea sull’esportazione della democrazia si fonda sul principio della responsabilità individuale, rappresentato dalle grandi lotte, rigorosamente non violente, che trovano il loro storico emblema nella figura di Gandhi. Servizio di
Raffaela Trequattrini con la collaborazione di
Francesco Bassanelli e Massimo Colonna
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cedono inesorabilmente il campo all’indifferenza prima, all’odio poi. Non ci sono più né amore, né amicizia, né rispetto, ma solo odio. La vita diventa un inferno, in cui l’unico grande piacere consiste nel riuscire a tormentare quanto più possibile l’altro. Stremati, si arriva finalmente al divorzio, per ricominciare una nuova vita. Vado dall’avvocato, poi dal giudice e chiudo con tutto e con tutti. E qui casca l’asino, perché vi accorgete che chiudere non è facile come pensavate, perché per ricominciare bisogna attendere almeno tre anni. Eppure il matrimonio non è altro che un contratto e non occorre un esperto di leggi per sapere che per gli altri contratti non c’è bisogno di tutto questo tempo. E allora, perché? Perché la Chiesa non vuole perdere la propria egemonia, perché la sua ingerenza deve arrivare ovunque, perché deve essere lei, non lo Stato, a decidere. Ripercorriamo velocemente alcune tappe fondamentali della nostra storia. Nel 1929 i Fascisti stipularono con la Chiesa cattolica il cosiddetto Concordato, che recita: Lo Stato, volendo ridonare all’istituto del matrimonio… dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal rito cattolico, gli effetti civili... Forte del potere conferitogli, il Vaticano impose l’indissolubilità di tale sacramento. Finalmente si arrivò al 1970, quando l’assurdità di costringere a vivere insieme chi non ha più nulla da dirsi fu dichiarata tale: grazie alla battaglia di
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Loris Fortuna (PSI) con il determinante contributo di Marco Pannella (LID, Lega per l’Istituzione del Divorzio), il divorzio fu introdotto nell’ordinamento giuridico italiano. Fu una grande vittoria per i sostenitori della libertà individuale e una grande sconfitta per la Chiesa, che vantava l’80% dei cattolici, i quali però le votarono contro. Tuttavia non si dette per vinta e riuscì a far introdurre il vincolo dei cinque anni, che oggi sono stati ridotti a tre ma che sono comunque un tempo di attesa lungo ed ingiustificato, che va assolutamente abbreviato affinché non sia una remora, un deterrente per chi si accinge ad un passo così importante. Anche perché, a ben pensarci, Santa Romana Chiesa non è veramente contraria al divorzio: su 46.060 sentenze emesse dal Tribunale della Rota Romana (ex Sacra Rota) 42.920 sono state favorevoli alla nullità del matrimonio. I motivi sono tra i più impensati e tra questi il matrimonio non consumato (a noi tutti piacerebbe sapere come faranno a provarlo!). Fatto sta che il Vaticano incassa da coppie facoltose fior di quattrini, cifre di certo consistenti, tanto che una parte dell’otto per mille viene destinata al mantenimento di questi tribunali. Saluto i lettori con un’ultima precisazione: la Chiesa parla di nullità e non di scioglimento, vale a dire che il contratto-matrimonio è non valido all’origine e quindi non esiste alcun obbligo. Nemmeno l’assegno di mantenimento al coniuge economicamente più debole. M. Tarani
LA PAGINA www.lapagina.info Mensile di attualità e cultura Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002 presso il Tribunale di Terni; Direzione e Redazione: Terni Via Carbonario 5, tel e fax 0744.59838; Tipografia: Umbriagraf - Terni A cura dell’Associazione Culturale Free Words
Direttore responsabile Direttori Vicedirettori Disegni Chiara Leonelli Marketing e Pubblicità Società Editrice info@lapagina.info
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Michele Rito Liposi Giampiero Raspetti, Raffaela Trequattrini F. Patrizi, M. Colonna, F. Bassanelli Grafica Ilaria Di Martino Vignette James Danieli
Comunicazione e Progresso s.a.s. - Tel. 0744.59838 Comunicazione e Progresso s.a.s. raspetti2002@virgilio.it raffaelatrequattrini@infinito.it
Socrate e l’origine del concetto laico di libertà
libertà, nel secondo alla sua affermazione in quanto patrimonio inalienabile di ogni individuo. Esaminiamo dunque la prima ipotesi. Esiste una verità assolutamente vera, che nessuno può o deve mettere in discussione e può essere una verità religiosa (Dio, la Bibbia, il Corano) o una verità ideologico-politica (nazismo, fascismo, stalinismo), in tutti e due i casi le conseguenze sul concetto di libertà sono le stesse: essa viene permessa soltanto a chi accetta questa verità, ma negata a chi tale verità rifiuta. Dunque la libertà subisce una limitazione e da valore universale viene ridotta a possesso di pochi. Questa posizione filosofica possiamo definirla dogmatismo o meglio clericalismo. Quest’ultimo termine si addice, contrariamente a quanto comunemente si crede, sia alla verità religiosa sia a quella ideologico-politica, perché in tutti e due i casi siamo di fronte a una verità creduta per fede (dogma) e al suo sfruttamento per motivi di potere. In tutti e due i casi assistiamo alla negazione del concetto laico di libertà, che comporta invece l’esistenza di una pluralità di verità, e dunque di verità diverse l’una dall’altra, la cui scelta dipende dalla libertà di ogni singolo individuo. Si capisce allora che cosa vuol dire anticlericalismo: il rifiuto di ogni forma di dogmatismo religioso o ideologico, perché entrambi hanno come scopo inevitabile l’imposizione, con la forza o con altri mezzi più subdoli, di un dogma, che rifiuta ogni forma di dubbio. Nel caso dell’Italia di oggi il termine clericalismo assume soprattutto significato religioso e sta ad indicare l’uso politico a fini di potere che il Vaticano e la Chiesa fanno della religione cattolica. Chiariamo ora la seconda ipotesi, chiedendoci quale sia l’origine storica del concetto laico di libertà. La risposta viene quasi immediata: la filosofia greca e precisamente Socrate. Se la laicità si misura sul rifiuto della verità assoluta, allora la filosofia socratica si presenta come il più formidabile e laico strumento che la cultura occidentale alle sue origini ha prodotto contro ogni forma di assolutismo. Il metodo con il quale Socrate
conduce la sua ricerca è il metodo razionale, perché la ragione è il solo strumento critico che l’uomo possieda e con il quale egli passa in rassegna, pregiudizi, errori, definizioni sofistiche, luoghi comuni della società ateniese tradizionale. La sua ricerca filosofica è volta a cercare quei valori universali, assoluti (la verità), che possono farci da guida nella nostra esistenza, e questo lo porta a scontrarsi inevitabilmente con le verità confezionate dalla cultura dominante e dal potere. Il primo strumento laico, di cui la ragione socratica si serve è il dubbio, presupposto essenziale della libertà di ricerca, che contrassegna l’essenza della filosofia. Il secondo è il dialogo con l’altro, perché la ricerca della verità si fa insieme. Mentre il dialogo di Gesù è in realtà un monologo che annuncia la verità (in verità, in verità vi dico), il dialogo socratico, non presupponendo nessuna verità, è scambio reale, ricerca comune. Al termine della quale la constatazione, sempre provvisoria perché la ricerca non ha mai fine (una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta, dice nella Apologia), è che non abbiamo trovato quei concetti universali ed assoluti che cercavamo come guida della nostra vita, siamo al nichilismo, cioè all’annullamento di tutti i valori assoluti, quel nichilismo che tanto preoccupa e inquieta gli spacciatori di verità di tutti i tempi. Non sappiamo ad esempio che cosa è la giustizia assoluta. Dobbiamo prendere atto della nostra ignoranza: so di non sapere. Dunque la laica ricerca razionale della verità ha fallito? Affatto. Proprio mentre la ragione prende atto dell’inesistenza di valori assoluti essa riesce a darci un’indicazione preziosa e decisiva: se non ci sono valori assoluti, allora c’è posto per una pluralità di valori tutti relativi (relativismo), che devono necessariamente convivere, non perché sono tutti veri, ma perché nessuno è vero in assoluto e sono tutti diversi. Da tutto ciò deriva il concetto laico di tolleranza, che non vuol dire sopportazione delle idee altrui giudicate dall’alto della propria verità assoluta, ma convinzione che anche queste idee hanno diritto di cittadinanza
nel mondo del relativo perchè non esiste un criterio assoluto per giudicarne la verità. Tutte queste indicazioni sono più che sufficienti a fondare una società aperta, tollerante e democratica, nella quale soltanto è possibile sviluppare la libertà laica, ovvero la libertà di ciascun individuo in quanto soggetto di diritti ma anche portatore di doveri verso la libertà dell’altro, perché libertà laica non vuol dire onnipotenza, ma limite, in quanto, come dice il filosofo Karl Popper, la libertà di movimento del mio pugno è limitata dalla presenza del naso del mio vicino, o ancora io non voglio non deve tradursi nel tu non devi. Pochi anni dopo l’assassinio di Socrate, il suo allievo Platone lo ammazzava una seconda volta, sostituendo il suo so di non sapere con il so di sapere tutto, conosco la verità assoluta, la giustizia assoluta, dunque sono in grado di dirvi come fare uno stato perfettamente giusto. Era la negazione di quel concetto laico di libertà per affermare il quale Socrate aveva pagato con la vita, era la giustificazione filosofica del totalitarismo politico, di quello stato etico, che Platone lascerà in eredità alla cultura occidentale e che sarà la madre di tutti i totalitarismi del Novecento. Ancora oggi la scelta è tra Socrate e Platone, tra la libertà e la sua negazione. Sono queste le radici greche della civiltà occidentale. M. Ricci
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t a s s o
di quei grandi temi sociali, filosofici, etici, morali, politici e religiosi, che rappresentano le sfide più importanti del nostro futuro prossimo, cominciando la nostra analisi dalla eutanasia (dal greco eu + tanatos, buona morte). Un primo contributo alla disamina, potrebbe darlo a mio avviso la visione di due film di grande spessore e sensibilità, Le invasioni barbariche (canadese) e Mare dentro (spagnolo), i quali trattando il tema con onestà intellettuale, consentono un approccio al tema assai equilibrato, seppure di indubbia suggestione empatica. In questa pagina, invece, mi pare utile riflettere su alcuni stimoli culturali che le cronache recenti hanno veicolato, come ad esempio quello che emerge con prepotenza dall’intervista rilasciata poco tempo fa da Emanuele Severino al Corriere della Sera, laddove il filosofo sostiene la patente disparità di trattamento che viene a crearsi tra colui che ha la possibilità materiale di togliersi la vita e chi invece non ce l’ha. Posto infatti che suicidarsi è consentito dalla legge, a tale soluzione finale può tuttavia approdare solo chi è autosufficiente, poiché chi non lo è, non può farsi aiutare, data appunto la illegittimità della eutanasia, da qualche anima pia disposta ad assecondarne, quand’anche con struggente dolore, la volontà, prestandogli i suoi arti. Una seconda riflessione trae linfa dal fatto che nella nostra società la rinuncia alla vita è spesso considerata un sintomo di pura follia, nonché dalla constatazione che per certe religioni, come la nostra, vivere è un dovere e il soffrire una prova necessaria, non un male gratuito e cieco, mentre per altre, rinunciare alla vita per motivi di credo è addirittura un atto di eroismo, un viatico privilegiato verso il paradiso. Personalmente, credo nella vita e la rispetto, ma sono altrettanto convinto che società o religione non possano arrogarsi scelte che sono riservate in via esclusiva all’individuo, la cui libertà di pensiero e di autodeterminazione non può essere denegata in ragione
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di filosofiche alchimie legate all’idealismo ottocentesco e al distorto concetto di Stato etico che ne è di fatto derivato. Il dolore, anche se ineliminabile, va sempre e comunque combattuto e diventa etico solo se si coniuga, in un binomio assolutamente inscindibile, con la speranza, per cui si partecipa al dolore perché si pensa e si vuole che sia sconfitto, non perché consente di raggiungere i piani sottili di un inutile auto-apologia esistenziale. Ebbene, eutanasia significa proprio assecondare la volontà liberamente e validamente espressa da un essere umano, il quale intenda scientemente porre termine ad una esistenza resa insopportabile da condizioni fisiche e psichiche corrosive, che sgretolano la sua dignità di persona. Basterà leggere con sincera partecipazione e con la mente sgombra da preconcetti e pregiudizi, le parole che Pauline Barret, malata terminale e voce suicida di una bella lirica dell’Antologia dello Spoon River, indirizza serenamente a suo marito dall’Aldilà, per capire il significato profondo di una scelta solo apparentemente di morte, perché è nei fatti scelta di vita: Mi guardai allo specchio e qualcosa mi disse: bisognerebbe essere tutto morto, quando uno è morto a metà. E se l’etica è veramente esperienza e dono, come sostiene Enzo Bianchi, Priore della Comunità di Bose, allora concordo con lui quando assume la necessità che “le religioni, soprattutto quelle monoteistiche, maggiormente tentate dall’esclusivismo e dall’aggressività, elaborino un’etica comune con chi è presente accanto a loro nella polis, nello spazio sociale condiviso”. Passando al tema caldo e sofferto dell’aborto, ritengo doveroso ribadire da subito il concetto, per me assiomatico, che nessuno in retti sensi può considerarlo un evento fausto…! Ma da qui a vietarlo, il passo è lungo! Consentire l’aborto, non significa imporlo a chiunque, ma concedere una dolorosa possibilità, nel rispetto delle esigenze di dignità e di tutela della salute fisica e psichica della persona, a chi si trova nella
devastante condizione di dover prendere una decisione così sofferta e travagliata. Sottrarre le donne alle mammane e alle loro aberranti pratiche abortive, può soltanto significare che non si vuole aggiungere al male il peggio, dal momento che porre divieti non equivale mai, come la storia ci insegna, ad eliminare i problemi, bensì a riporli nel sottoscala della società per far finta che non esistano! E se poi si volesse davvero ridurre il ricorso alla interruzione della gravidanza, allora si dovrebbe implementare l’informazione sulla contraccezione, perché non è lecito affermare la gioiosa ineluttabilità della maternità, solo per compiacere qualche immorale moralista (mi si perdoni l’ossimoro) che è talmente affezionato all’idea, da accettare anche l’orrore degli aborti clandestini, con la loro scia di tragici lutti. Così facendo, si finirebbe infatti per dar ragione al SaintBeuve, il quale affermava icasticamente che non ogni delinquente è necessariamente un moralista, ma ogni moralista è certamente un delinquente. Passando infine all’ultimo tema, va premesso che se è vero che la nostra Costituzione tutela la famiglia, è altrettanto indubbio come la stessa riservi pari difesa alle libertà individuali, per cui chi sceglie il vivere insieme al di fuori del matrimonio, merita assoluto rispetto e adeguata protezione. Ciò comporta che lo Stato si astenga dal disciplinare le unioni di fatto in quanto, se lo facesse, violerebbe la libertà di coloro che hanno inteso evitare vincoli e formalità. Questo non significa, però, che possa di contro discriminare tali dissenzienti, limitandone gravemente le libertà fondamentali; cosa che avviene, naturaliter, quando legifera in funzione della sola famiglia regolare e cerca di strutturare la vita sociale in funzione dei soli sposati. Ebbene, i Patti di civile convivenza servirebbero ad estendere, peraltro soltanto a coloro che intendessero sottoscriverli, alcune insopprimibili garanzie, come ad esempio quella di poter fare assistenza in ospedale al proprio convivente o di poterne ricevere la pensione di reversibilità alla sua morte. Garanzie primarie, manifestazioni minime di civiltà, princìpi basilari di eguaglianza, oggi vietati ai conviventi, proprio in ragione della visione monotematica e monoculturale di una comunità, che vede nella famiglia fondata sul matrimonio l’unica cellula sociale degna di considerazione. Ma se non vuol venire meno al suo ruolo, lo Stato deve rivendicare la propria autonomia e riappropriarsi delle prerogative che gli competono, tutelando la parità di tutti i cittadini e togliendo a qualsiasi altra istituzione, ogni potere di ricatto o di interdizione. ST
Libertà formale, libertà sostanziale
ordinata e consapevole, quando dirigismi centralizzati ed ideologizzati gli impediscono di sviluppare idee, creatività, voglia di rischiare e di scommettere su se stesso e per la propria famiglia, in questi e molti altri casi le sue potenzialità si comprimono. Ma anche quando schemi culturali e pratiche religiose comprimono ai margini della società la donna relegata a strumento ed il merito non rappresenta più un valore di riferimento. La persona allora limita la propria attività, è costretta a comprimere i propri sogni, la società langue, l’economia ristagna, tendono a prevalere involutivi meccanismi nichilistici. Di esempi nella storia più o meno recente ve ne sono fin troppi. Nella società odierna, complessa ed articolata, parlare di libertà può apparire superfluo, quasi banale. Infatti rispetto a periodi bui in cui l’ignoranza, l’oscurantismo, la violenza, il potere dell’uomo sull’uomo esercitato grazie a sistemi politici illiberali, di ogni tipo ed ideologia, la condizione umana è certamente migliorata. Purtuttavia se approfondiamo l’osservazione, non soffermandoci all’apparenza, notiamo paesi in cui per ragioni storiche, politiche e culturali, la libertà è fruita in forme e livelli sensibilmente diversi fra di loro. Non in tutti i regimi costituzionali ad esempio è la persona al centro del sistema sociale ma, con gradualità diverse, può essere lo Stato a prevalere ed i cittadini, pur se apparentemente liberi, diventano, loro malgrado, funzionali a tale impostazione. Non per nulla i vari movimenti e partiti, traendo origine da ideologie proprie di riferimento e da contesti storici particolari in cui si sono formati, propongono progetti diversi fra di loro che potremmo classificare in una ideale graduatoria prossimi all’una o all’altra delle ipotesi estreme. Per ragioni di formazione e di convinzione personale, mi sento più vicina ad un modello in cui la libertà sia non solo espressione ricorrente di ritualità forse un po’ obsoleta, quanto piuttosto pratica quotidiana, convinzione profonda, quasi aria da respirare. Se il tema libertà lo si esamina sotto questa accezione, allora è possibile apprezzare differenze che a prima vista appaiono impercettibili. Quante volte nella vita di tutti i giorni un giovane, anche se preparato, non ha la possibilità di
avere successo ad un concorso pubblico perché, se non è figlio di un assessore o di un dirigente, sa bene che la sua libertà di partecipazione è spesso solo formale? Quante volte una piccola impresa non riesce ad inserirsi negli elenchi dei fornitori di una pubblica amministrazione per ragioni imperscrutabili? E’ mai capitato a qualcuno di chiedere un appuntamento e di non essere mai ricevuto neanche dopo mesi di paziente attesa? Di avere un’idea da proporre per dare soluzione ad un problema e di non trovare un interlocutore che lo ascolti? Sono queste tutte piccole o grandi limitazioni alla libertà di conoscenza, di espressione, di tutela cui, tutti noi, a prescindere dalla proprie eventuali idee politiche, dobbiamo prestare attenzione. Altrimenti, pur in un contesto in cui la libertà viene celebrata ed in cui la Carta Costituzionale al I comma recita: l’iniziativa privata è libera, nei fatti, questo non è così pacifico. Vincoli stringenti vengono posti dall’esistenza di monopoli pubblici, pseudopubblici e privati che limitano sempre più il campo della libera concorrenza facendo gravare sulle famiglie e sulle imprese costi impropri e rendite di posizione che frenano il dispiegarsi di nuove iniziative. Come il sottoporre ad esempio la possibilità di intrapresa ad iter burocratici defatiganti, autorizzazioni reiterate, documentazioni spesso inutili e costose impedendo troppo spesso ai giovani di aprire una qualsiasi attività per fare e credere in se stessi. In senso lato anche la capacità di una pubblica amministrazione di fornire a quei giovani, con idee e voglia di misurarsi, gli strumenti necessari per ampliare la loro sfera di libertà, di crescita, di conoscenze. Il premio nobel indiano Amartya Sen, filosofo ed economista, ci ricorda che: La libertà di scambio o di commercio è in sé parte integrante delle libertà di base che le persone hanno motivo di apprezzare. E’ anche per tutto questo che collaboro con piacere a La Pagina con un mio piccolo contributo mensile perché, in una società sempre più conformista, in cui si riduce lo spazio per il dialogo e c’è timore nell’esprimersi, avere una palestra di idee e di libero confronto credo costituisca un piccolo miracolo, da vivere e cui dare forza. A. Melasecche alessia.melasecche@libero.it
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L’inglorioso viaggio della portaerei Clemenceau Violenza sulle donne, ritorno al Medio Evo
Olocausto, galera e democrazia
altamente specializzati. Esiste però un’alternativa più economica. Ogni anno un’intera armata di imbarcazioni cariche di amianto e di PCB di metalli pesanti, finisce nei cantieri di rottamazione in Bangladesh, India, Cina e Pakistan. Secondo la denuncia presentata da Greenpaeace, in questi paesi gli operai smontano le carcasse delle navi a mano e bruciano materiali di risulta sulla spiaggia, rimanendo esposti alla diossina privi di protezioni; senza contare che le esplosioni dei gas e degli oli combustibili contenuti nelle tubature sono all’ordine del giorno. Il settore industriale della rottamazione delle navi è in assoluto quello più pericoloso: secondo le statistiche un operaio su quattro è destinato ad ammalarsi di cancro a causa dei veleni presenti sui luoghi di lavoro. Lo scorso novembre l’India accetta di rottamare la portaerei, nonostante Greenpeace denunci che 500 tonnellate di amianto siano ancora presenti nell’imbarcazione. A gennaio la Clemenceau intraprende il suo ultimo viaggio, ma, arrivata al Canale di Suez, viene fermata dal Governo Egiziano; Greenpeace ha fatto appello alla Convenzione di Basilea, un trattato internazionale che proibisce l’esportazione di rifiuti pericolosi dalle nazioni più ricche a quelle più povere. Secondo la International Marittime Organisation però, fino a quando non arriva a destinazione, la nave non può essere considerata un rifiuto, così l’Egitto dà il via libera al transito. Intanto l’India, di fronte allo scandalo internazionale sollevato da Greenpeace, prende tempo e il 13 febbraio nega l’approdo alla Clemenceau. Dopo pochi giorni, la Corte Suprema Francese, per riprendersi dallo smacco, richiama in patria la portaerei sostenendo che l’India non possiede l’attrezzatura adatta per la pericolosa rottamazione. Che ne sarà adesso della Clemenceau? Scartata l’ipotesi di affondarla davanti casa (!) e la via indiana, Greenpeace teme che possa essere insabbiata in qualche altro continente... Intanto la Francia attende che i mass media dimentichino la notizia. F. Patrizi
quell’altro Stato in cui l’Olocausto avvenne davvero. Essenza della democrazia è infatti il dovere, imprescindibile e assoluto, di rispettare e fare rispettare sempre e comunque la persona e con essa il pensiero, le idee, le convinzioni di chi pensa, sente, è convinto di cose diverse o contrarie alle nostre, purché le esprima civilmente. Vale per la Storia, vale per le religioni, vale anche per le superstizioni, per chi ci crede. Le idee - è stato detto fino alla nausea - si combattono con le idee, non con la galera. E allora? Valeva solo quando la galera era per chi la pensava come noi e adesso non vale più? Perseguitare una persona per le convinzioni che esprime fa parte di un’altra forma di pensiero, quella totalitaria. Che poi la persecuzione avvenga su base ideologica, etnica o razziale e che avvenga tramite la perdita del posto di lavoro, la galera o la camera a gas è una non trascurabile differenza, d’accordo; ma quantitativa, non qualitativa: la differenza qualitativa sta nel rispetto: o lo si ritiene essenziale o no. Nel bel film Il processo di Norimberga, al personaggio di Emil Janning, un giurista che avallò con la sua cultura il regime nazista, ma che si discolpa col dire che non poteva immaginare dove esso sarebbe giunto, il giudice risponde: Herr Janning, dovevate capirlo la prima volta che condannaste un uomo sapendolo innocente. Che in democrazia i cretini, i pazzi e i delinquenti pesino politicamente quanto gl’intellettuali, le persone equilibrate e i galantuomini è, si sa, un grosso inconveniente. Ma evitarlo ricorrendo al totalitarismo significa rischiare che cretini, pazzi e delinquenti siano invece i soli ad avere un peso politico, data la loro storicamente accertata maggiore attitudine a impadronirsi del potere. Che è un inconveniente incomparabilmente maggiore. Sono concetti vecchi, che sanno di fritto, rifritto e stantio; sembra impossibile doverli, qui e oggi, ribadire. Del resto più di due secoli fa, un grande personaggio non coniò forse un aforisma che definisce icasticamente ancora oggi la differenza tra democrazia e totalitarismo? Odio e detesto le vostre idee; ma sono pronto a dare la vita perché voi abbiate il diritto di esprimerle. V. Policreti
Metti una sera a cena, una serena famiglia sta consumando tranquillamente il pasto serale riunita intorno al quel totem moderno che è diventata la televisione. TG delle 20. Il giornalista appare sullo schermo con un’espressione facciale contrita che sembra quasi chiedere scusa ai telespettatori per la notizia che sta per dare. E la notizia deflagra: la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha considerato un’attenuante allo stupro di una minorenne, da parte del patrigno, il fatto che la vittima avesse già avuto esperienze sessuali prima di quella consumata col suo carnefice. La famigliola è letteralmente saltata sulla sedia, non è possibile - si diceva - che possa essere successa una cosa del genere, che chi è legalmente preposto alla difesa delle vittime si schieri così palesemente dalla parte del carnefice! Lo stesso giornalista, facendo trapelare per una volta i suoi sentimenti, si dichiara sconvolto e attonito. Continua il telegiornale ma le notizie che vengono dopo, pur essendo foriere di morti, catastrofi e guerre, passano in secondo piano mentre la famiglia si interroga su come uno Stato democratico permetta che un suo organo si comporti in maniera così sfacciatamente maschilista e oscurantista. Ore 20.30, il Tg volge al termine e il giornalista annuncia una notizia appena battuta dalle agenzie di stampa: i vertici della Corte di Cassazione prendono le distanze dalla sentenza annunciando che - probabilmente - essa non costituirà precedente. Come a dire ci siamo sbagliati, ma non ne rimarrà traccia nel Massimario (ovvero quella rivista specializzata in cui vengono raccolte le sentenze della Suprema Corte che andranno a costituire dei riferimenti giuridici futuri). Sconvolgente. Sconvolgente come, nel 2006, ancora si consideri la donna alla stregua di un oggetto, di un’auto che - se usata - ha un valore molto inferiore a quando era nuova. Sconvolgente come la verginità di una ragazza sia ancora considerata un valore che la pone su
un gradino più alto del podio, rispetto a chi non la possiede più. Ma siamo ancora nel 1800? Siamo ancora in un epoca così oscurantista che non vede con idiosincrasia la violenza tout court sulle donne, senza appelli, senza attenuanti, senza scivolare verso l’odiosa, atavica giustificazione dello ma non se lo sarà andato a cercare? Certo che se l’è andato a cercare - asserisce la Corte - d’altronde è stata proprio la vittima a preferire un rapporto orale ad uno completo, quindi era consenziente (una domanda per chi legge: se vi si chiedesse di scegliere - senza possibilità di fuga - tra l’essere gettati nella lava rovente o il farvi fratturare una gamba, potreste essere considerati consenzienti alla rottura della vostra gamba?). La Corte di Cassazione non è nuova a verdetti così neo-con e misogini nei confronti delle violenze sessuali; nel 1999 aveva già ben espresso il Suo punto di vista sentenziando che, se una donna indossa i jeans, non si può parlare di stupro perché è impossibile sfilare suddetto indumento senza la collaborazione fattiva della vittima! Però bisogna ammettere che l’Alta Corte un merito ce l’ha: quello di scatenare contestazioni bipartisan, quello di scandalizzare e rendere solidali tutte le componenti donne del Parlamento che - il giorno dopo la sentenza - si presentarono nelle aule parlamentari con indosso i blue-jeans per manifestare il loro sdegno. La sentenza 6329/06 potrebbe rendere ancora più ardua la denuncia di una violenza subita in ambito familiare. Le statistiche rivelano che l’80% dei casi di violenza sulle donne si svolgono tra le mura domestiche, ma che la gran parte di questi non viene denunciata per paura di ritorsioni o perché considerati normali. Ora, mi chiedo, come potrà una donna abusata trovare il coraggio di accusare lo stupratore se già sa che - in seguito alla denuncia - verrà scandagliata tutta la sua precedente vita sessuale, sarà imputata di essere una facile perché non più vergine e rischierà di essere considerata
consenziente se le sarà stato possibile scegliere il male minore? Ma questi giuristi si rendono minimamente conto dello struggimento che si può provare in seguito ad una violenza carnale? Delle ferite indelebili che una vittima di stupro si porterà nell’anima per tutto il resto della sua vita? Dell’angoscia, dell’umiliazione, dello schifo, della pena e del tormento che non se ne andranno mai? Che renderanno problematica, quando non impossibile, una serena vita sessuale, anche diversi anni dopo l’abuso? Una violenza sessuale è una violenza sessuale. Punto! Non ci sono né scuse né attenuanti. Ci possono invece essere delle aggravanti. Un abuso può essere aggravato dal fatto che sia compiuto proprio da chi era preposto alla cura e alla salvaguardia della minore, proprio da chi - in assenza di un padre carcerato - doveva elargire amore e affetto e diventare una figura paterna di riferimento per una ragazza fuori che cercava solo tenerezza, calore e protezione. Protezione anche dagli altri uomini del paese in cui viveva che già avevano abusato, se non del suo corpo, della sua innocenza e del suo bisogno di sentirsi amata, di vivere la vita normale di tutte le ragazze di 14 anni, fatta di amori leggeri e passeggeri che lasciano un dolce ed imperituro ricordo nel cuore di una donna. Vorrei poter parlare con i giudici in ermellino che hanno emesso la sentenza per dir loro che è aberrante quello che hanno fatto e sottolineare che una donna, se cerca di essere seducente e provocante, se indossa minigonne succinte e magliette scollate, è solo per piacere, per affascinare, per ricevere sguardi di approvazione e non per invitare ad una violenza o per dimostrarsi disponibile a qualsiasi tipo di approccio. Perché (dovrebbe essere superfluo dirlo, ma tant’è) la violenza carnale è un abominio e una vergogna, sia se commessa su una minorenne vergine sia se commessa su una prostituta. Claudia Mantilacci
Tern i - Fa c o l t à di Sc i e nz e de l l a Fo r m a zi o n e Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie della Produzione artistica Anno di immatricolazione 2002/2003 Laurea: anno accademico 2004/2005 Voto 110 e lode Congratulazioni dalla Direzione de La Pagina alle sue redattrici ELENA MARRONE e MARIA BEATRICE RATINI
Il business delle banche S c u o l a ?
Recentemente abbiamo visto colossi bancari al centro di indagini giudiziarie; abbiamo sentito centinaia di spiegazioni, quando a favore, quando contro, però non usiamo mai il nostro cervello. Se ci soffermiamo a riflettere scopriremo che la spiegazione è tanto semplice quanto banale. Le banche operano in un ambiente che è cambiato velocemente: il quadro istituzionale europeo, la nuova legge bancaria, le privatizzazioni, le trasformazioni societarie, la tecnologia e internet. Tutto ciò ha portato competizione, crisi e ristrutturazioni. Le banche sono semplicemente delle attività economiche come lo è il panificio o la parrucchiera. Come tali le banche si servono degli stessi identici sistemi che userebbe il nostro carrozziere in un momento di calo della clientela, con la differenza che le banche offrono un servizio che ha radice etica, morale e sociale. Chi ha come oggetto del proprio lavoro l’economia, ha il dovere morale di fare quanto in suo potere per migliorarne la qualità, l’efficienza e la distribuzione. Pensare solo a incrementare il Return on Equity, cioè, volgarmente, il guadagno, le porterà sempre più in basso, trascinandoci anche il risparmiatore, cioè noi. Le banche non hanno un vero e sano progetto di sviluppo, si fanno trasportare dalla corrente, dimostrando di non avere capacità imprenditoriale. Nella nostra società chi non sa inventare e costruire è destinato a morire. Basta con programmi rivol-
ti al contenimento della base dei costi, vogliamo investimenti sui clienti nel medio e lungo termine. Basta con l’Accordo di Basilea, basta con l’adeguatezza patrimoniale, basta con la raccolta del risparmio destinato all’investimento in borsa. Per chi non lo conoscesse il Comitato di Basilea è un organismo creato nel 1974 dai Governatori delle banche Centrali appartenenti al gruppo dei 10, operante in seno alla Banca dei Regolamenti Internazionali con sede in Basilea. Il Comitato non ha poteri legislativi, ma di indirizzo, le sue proposte sono seguite in oltre 100 paesi. Nel 1988 il Comitato decise di consigliare un sistema di misurazione dell’adeguatezza patrimoniale, detto Accordo di Basilea, il quale con delle modifiche è tuttora operante. Il sistema impone il vincolo che il rischio deve essere quantificato e supportato dal capitale, cioè per i meno avvezzi ai termini bancari, non prestare soldi se non sei sicuro che ti verranno restituiti, cioè niente soldi ai giovani di grandi idee, ma poche garanzie. Oggi i processi d’aggiustamento organizzativo di tipo incrementale sono sorpassati e pericolosi, il mercato vuole decisione, modernizzazione e soprattutto coraggio. Le aziende che non vogliono rischiare sono destinate a crollare, la paura di innovare, la paura di sbagliare, la paura di perdere il posto sicuro, affossa la professionalità, logora le idee, annulla la meritocrazia e ci fa continuare a sopravvivere con 900 € al mese. Serena Battisti
La scuola dovrebbe fornire degli strumenti, non somministrare nozioni; stimolare a porsi sempre nuove domande più che snocciolare facili risposte; mostrare una strada principale da cui poi si diramano le diverse vie, tutte valide, che ognuno può scegliere di percorrere fino a un tratto o spingendosi sempre più oltre, secondo la propria inclinazione e i propri interessi. Sembra uno scenario fantastico, ma di ragazzi che hanno voglia di mettersi in gioco, di migliorarsi e conoscere ce ne sono molti, hanno solo bisogno di potersi confrontare con insegnanti appassionati della loro materia, innamorati del loro mestiere perché consapevoli dell’importanza dell’istruzione in termini individuali, economici e sociali. In pagella le insufficienze sono sempre più rare, ma quando si valuta il livello di istruzione dei ragazzi italiani rispetto a quello di altri compagni europei, si scopre che essi non arrivano al sei: ad essere alto, invece, è il livello di dispersione scolastica, ossia la scarsa preparazione. Nel 2000 l’Unione Europea, per quanto riguarda l’istruzione e la formazione nei paesi membri, ha fissato alcuni obiettivi da raggiungere entro il 2010, obiettivi dai quali il nostro Paese è ancora molto lontano, dato che ancora in troppi abbandonano gli studi senza aver conseguito il diploma superiore, e spesso non si prende neanche in considerazione l’apprendimento permanente, concetto ormai diffuso in Danimarca o Svezia. Il fatto è che l’istruzione costa, e di soldi ce ne sono pochi. Sempre meno. O meglio, il discorso vale solo nel caso della scuola pubblica; con gli interventi del governo Berlusconi, le private sono rinate a nuova vita e rifioriscono a discapito degli istituti statali: i Pof ( Piani Offerta Formativa) delle scuole non statali, che nel 2001 non avevano neppure un euro di contributo dallo Stato, ora ricevono 4,5 milioni di euro e le scuole elementari e materne private hanno ottenuto un incremento del 12 per cento. Nella scuola pubblica le classi sono troppo numerose, gli insegnanti spesso precari e frustrati da un inadeguato stipendio e da un trattamento poco gratificante da parte dei superiori, senza contare che il precariato interessa in particolar modo i docenti di sostegno, e quindi a farne le spese sono in primo luogo i più svantaggiati. Il problema di fondo è che la scuola pubblica rappresenta un investimento a lungo termine, e come tale sembra essere poco conveniente, soprattutto per una classe politica che spesso si preoccupa troppo di afferrare un guadagno immediatamente tangibile. Se non verranno dedicati molti più sforzi a temi quali la dispersione scolastica, il completamento dell’insegnamento secondario superiore e le competenze chiave, una quota maggioritaria della prossima generazione dovrà affrontare l’emarginazione sociale, e il conto verrà pagato dagli interessati stessi, dall’economia europea e da tutta la società: tutto questo non è frutto di generiche previsioni, ma è contenuto nella relazione sullo stato di attuazione del programma Istruzione e formazione 2010 avviato in occasione del Consiglio Europeo di Lisbona del 2000. Sarà ora di fare qualcosa? Maria Beatrice Ratini Alberto Ratini
Non siamo uguali... Votare a favore di un candidato le cui convinzioni non sono rispettose dell'embrione costituisce una complicità con l'omicidio di quest'embrione. Le “istituzioni” italiane, rincattucciate, tacciono, senza sbiancare né provar vergogna! Io mi riferisco invece a persone vere e giuste che interpretano in modo autentico valori e sentimenti religiosi. Ne conosco tante, di queste bellissime persone! Amano il prossimo loro, anche le pecorelle smarrite; s’adoprano per la libertà di pensiero, di espressione, di culto degli altri, di tutti gli altri. Sentono di non dover sbandierare ai quattro venti, in modo arrogante e di comodo, le radici cristiane... aspirano esclusivamente a testimoniare con azioni l’intero albero della fede, senza orpelli, impalcature, stendardi. Aiutano poveri, diseredati, disgraziati… perfino fuori legge… per carità cristiana ed umana. Resuscitano esseri devitalizzati dalle sventure, dalla violenza, dalla droga. Non posso che rispettarli, amarli… invidiarli. I o mi rispetto e mi amo, ma non mi invidio. Quando è venuto il mio turno la divina provvidenza si è distratta… e così credo solo a quel che vedo e vedo solo quello che appare ai miei limitatissimi sensi. Qualsiasi gruppo mi sa di gruppettaro. E il gruppettaro mi puzza di dieci, cento contro uno. I nomi collettivi mi confondono. Un bel giorno ti accorgi che siamo noi e, invece, credevi che fossero gli altri. Sono spesso solo e penso da solitario però la notte, chiuso nella mia stanza a lume spento, non mi sento solo. Idealmente ho per compagne persone che amano il prossimo loro non sempre come se stessi. I razzisti ad esempio, gli stupratori, i servi della partitica; coloro che esigono libertà solo per sé; gli stessi che ci martorizzano con bollettini di guerra in cui dominano improperi, illazioni, diffamazioni, minacce; coloro che non accettano parità di condizioni di base e quindi disprezzano uguaglianza, democrazia, meritocrazia, concependo la vita come disfida mille contro uno, corrompendo in tal modo l’intero tessuto sociale. Costoro... ebbene, non riusciamo ad amarli così tanto..., ma neanche ad odiarli! Li disprezziamo semplicemente. Altri invece, di cui si dovrebbe parlare incessantemente, direi quasi esclusivamente, quei milioni che muoiono di fame e di sete, i bambini invisibili, i bambini che all’età di 4 anni sono già schiavi, che lavorano quasi tutte le 24 ore giornaliere per una manciata di sale o di riso, quelle bambine di 4/8 anni che scendono dai treni con un misero fagottuccio in cui hanno tutto quello che gli resta al mondo ed aspettano chi le afferra e, insieme agli sventurati coetanei di sesso maschile, le sbatte sul mercato della prostituzione e della pedofilia… queste creature, ispirandoci alla sola pietà umana,
DIFENDIAMO LE RADICI E LA DIGNITA’ DI TUTTI
noi amiamo più di noi stessi. Gli ipocriti invece non le considerano nemmeno persone... forse per loro non sono mai state nemmeno embrione... perché terribilmente povere ma, soprattutto, invisibili e lontane! C’è poco da fare: Sua Sommità Ipocrisia non ce li ha proprio nel codice genetico i semi della cristianità! L e persone che prediligo non sanno cosa sia la compagnia di un potente, non amano protezioni né aspirano a vantaggi personali clientelari. Accettano solo i frutti del loro albero, dalle radici alla chioma. L’erba del vicino non è né più né meno verde. E’del vicino, e basta. Il loro comportamento è guidato dalla humana pietas: agiscono degnamente perché sono umani e questa è la loro essenza... comportarsi bene perché non si vuole fare agli altri ciò che non piace gli altri facciano a noi... ma non si ritiene però giusto che gli altri facciano a noi quello che noi mai faremmo loro. Incupisce quindi tutti noi, laici e confessionali, che degli omuncoli fomentino odio e offrano dinamite a coloro che altro non aspettano, foss’anche per cercare di risolvere problemi interni al loro sventurato paese. Intristisce constatare come altri fantocci facciano finta di ignorare l’assoluta non comparabilità tra il comportamento, non certo scusabile, di un eventuale passante per caso con quello di un ministro (di quale repubblica e con quali radici lui solo sa!). C’è sdegno e disgusto verso chi predica violenza speculando sui morti o dileggiandoli. Si rimane attoniti nel vedere come tanti uomini siano allevati e considerati come arsenali di guerra, usati come strumenti materiali al servizio dei fondamentalismi e dell’odio tra le genti! Cristo e Francesco hanno nutrito e mostrato, facendoceli amare, ben diversi sentimenti nei confronti degli altri, di tutti gli altri. Hanno avversato farisei e ipocriti; hanno suggerito di non ciarlatanare né sbandierare, ma di testimoniare. I grandi uomini hanno parlato lo stesso linguaggio, con lingue diverse e da latitudini diverse. Non siamo tutti uguali, ma tantissimi, tra i cattolici, gli eretici, gli agnostici, gli atei.... sanno innalzare unitamente e con orgoglio i vessilli della dignità umana per mostrare che sono gli stessi di quella cristiana e di quella musulmana. G. Raspetti
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L'Umbria è una terra ricca Consumiamo i suoi prodotti per essere ricchi anche noi
C A N T I N A
S C A C C I A D I A V O L I d i
P a mbu ffe tti
La cantina dei Colli Amerini è nata nel 1975. I suoi 700 ettari di vigneto sono una testimonianza delle immense potenzialità del territorio. Il numero delle etichette si è progressivamente ampliato, rispondendo alle nuove esigenze del mercato, di una qualità varia e diversificata nel gusto, ma sorretta in questo dal grande numero di vitigni presenti nelle nostre vigne, con tutti loro profumi e Fornole di Amelia sapori. Proponiamo vini di grande piacevolezza gustativa, Tel. 0744 989721 di fragranza aromatica ed Fax: 0744 989695 anche di corpo sostanzioso. www.colliamerini.it Etichette che si differenziano per i loro diversi tempi e livelli di godibilità. Dall’immediatezza del Novello Torre di Stibbiano e del Ciliegiolo, al fragrante spessore dei Colli Amerini Doc, Ameroe e Grecolevante, all’importante pienezza dell’Orvieto Classico e delle etichette da monovitigno come il Grechetto e l’Olmeto, fino a vini di grande struttura e longevità come il Carbio e Ciliegiolo 30 anni riserva.
L’azienda Scacciadiavoli è una delle più antiche del territorio di Montefalco. Il nome Scacciadiavoli deriva dal nome di un antico borgo, che sorge in prossimità dell’azienda, in cui viveva un esorcista (scacciadiavoli). La cantina, costruita nella seconda metà dell’Ottocento e di recente restaurata, è razionale e dotata di moderni impianti. La dimensione aziendale è di 130 ettari, di cui 28 a vigneto. Vini prodotti:
Montefalco Sagrantino DOCG Montefalco Sagrantino passito DOCG Montefalco Rosso DOC Cantina Scacciadiavoli-Pambuffetti Loc. Cantinone 06036 Montefalco (PG) tel. 0742-371210 fax 0742-378272 e-mail: scacciadiavoli@tin.it
F.LLI PAMBUFFETTI di AMILCARE s.n.c. VIALE OTTAVIANI, 7 FOLIGNO (PG)
TEL. 0742.340638 FAX 0742.357415
p a m b u f f e t t i @ v i r g i l i o . i t
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Strada di Castelluccio Amerino Loc. Le Regine - Amelia tel/fax 0744702005/6 w w w. c a s t e l l o d e l l e re g i n e . c o m castellodelleregine@virgilio.it
Chi è realmente Marcello Pera, attuale presidente del Senato? Un filosofo che ama contraddirsi, un ambizioso che utilizza la politica per proprio tornaconto, un uomo che, da ragioniere, riesce a diventare autorevole interprete del pensiero di Karl R. Popper, un voltagabbana della politica? Il riuscito ritratto dedicatogli, con efficace stile narrativo, quasi in punta di penna, da Michele De Lucia in Siamo alla frutta ci aiuta a saperne di più e a svelare le ambiguità. Nato a Lucca nel 1943, Pera si diploma ragioniere nel 1962. Impiegato alla Banca Toscana e poco dopo alla Camera di Commercio si dedica contemporaneamente, nonostante gli impegni familiari, allo studio. In soli tre anni consegue, da privatista, la maturità classica, requisito necessario per accedere all’università. Si iscrive, dunque, alla Facoltà di Filosofia di Pisa dove frequenta in particolare i corsi del prof. Francesco Barone. Laureatosi nel 1972 con una tesi su La logica della scoperta scientifica nel pensiero di K. Popper, in breve tempo diviene dapprima assistente ordinario di filosofia teoretica, poi docente incaricato di filosofia della scienza e infine associato. Nel 1978 pubblica In-
duzione e metodo scientifico e tre anni dopo Popper e la scienza su palafitte. Non si accontenta però del mondo accademico e volge il proprio interesse alla politica. Socialista con Craxi, collabora al settimanale L’Espresso e alla rivista Mondo Operaio dove, tra l’altro, in un numero del 1982, contrappone al socialismo liberale una sorta di pragmatismo socialista. Sei anni dopo, nel 1988, è al quotidiano torinese La Stampa. Scrive editoriali di forte ispirazione laica. Difende il relativismo, si scaglia contro le pretese dell’assolutismo ratzingeriano (quando l’odierno Benedetto XVI era ancora prefetto dell’ex Sant’Uffizio), attacca il cattocomunismo, definisce l’aborto un male necessario per evitarne uno peggiore, critica le posizioni di Amato e monsignor Sgreccia: non si risolve - afferma - decretando d’autorità che un embrione è una persona umana. Nel 1992 si candida, come referendario, con la Lista Giannini. Si scopre giustizialista, punta l’indice contro gli ex compagni del Psi e chiede dapprima una impietosa epurazione. Di lì a poco, lo attende però una completa inversione di rotta. Diviene garantista e rinnega quanto aveva precedentemente scritto sostenendo di aborrire la parola epurazione. E’ il periodo dell’avvicinamento al Movimento dei Club Pannella, cui però, come nota De Lucia, non versa contributi e non si iscrive. In un’intervista a Radio Radicale arriva a definire la Lista Pannella come la componente genuinamente laica e radicale e democratica del costituendo partito democratico. Nel 1994 è caustico nei confronti dell’apparizione nella scena politica di Forza Italia e del suo leader Silvio Berlusconi. Subito dopo la vittoria del-
Renzo Foa
Francesco Pullia Vittorio Piacenti D’Ubaldi
la coalizione del Cavaliere è pronto a cambiare parere. Pretende che i radicali entrino in area governativa e quando si accorge che Pannella è interessato, come sempre nel corso della sua vita e della sua lotta, al conseguimento di obiettivi politici e non all’occupazione di poltrone, comincia a prenderne le distanze. Decide di entrare nelle grazie di Berlusconi e partecipa ad una serie di iniziative vicine al Polo finché nel 1996 non ottiene la candidatura nel collegio senatoriale della sua città, Lucca. Antiproibizionista sulle droghe, approda ad un atteggiamento radicalmente contrario. Nel frattempo si è trasformato, da denigratore accanito e sprezzante di Berlusconi, nel suo consigliere prediletto e se non molto tempo prima si era apertamente dichiarato referendario, il 22 maggio 2000 festeggia invece il fallimento, per mancanza del quorum, dei referendum voluti dai radicali. De Lucia così descrive questa metamorfosi: “Quando il professor Pera è entrato nel Polo berlusconiano, era presidente della Convenzione per la Riforma liberale, aveva una forte caratterizzazione laica e referendaria, voleva il maggioritario a turno unico, denunciava i mali della partitocrazia. At-
taccava a testa bassa Lega e An, e si rivolgeva a Berlusconi senza peli sulla lingua. Ma subito dopo avere ottenuto la poltrona senatoriale, questi connotati scompaiono: il professore si accoda alla linea del Cavaliere, divenendone l’interprete più scrupoloso e zelante. E’così, in materia di giustizia, che rappresenta il cuore degli interessi di Berlusconi, dentro e fuori la Bicamerale; è così su tutti gli altri fronti del dibattito politico”. Dopo avere fustigato per anni il consociativismo, giunge a giustificare la necessità di un governissimo, e dopo essere stato assertore del maggioritario secco diventa proporzionalista. Non basta. Se, solo nei primi mesi del 1999, Pera aveva scritto su Il Messaggero che non esiste una sola etica e si era espresso, tra l’altro, a favore della fecondazione artificiale anche fuori dal matrimonio, una volta eletto nel 2001 presidente del Senato, seconda carica istituzionale della Repubblica, cambia nuovamente opinione. Sembra mantenere un minimo di posizione laica, manda un’ideale adesione al Gay Pride e ironizza sulla pretesa di un richiamo alle radici cristiane nel preambolo della Costituzione europea. L’ennesimo mutamento è però
Michele De Lucia
dietro l’angolo. Il 18 agosto 2002 apre i lavori riminesi del meeting di Comunione e Liberazione evidenziando, nel suo discorso, punti di contatto tra liberalismo e cristianesimo e bocciando senza mezzi termini Platone. Diventa intanto interlocutore privilegiato di Joseph Ratzinger e, con un’altra grande piroetta, accoglie la tesi antirelativista e sostenitrice delle radici cristiane europee del futuro Benedetto XVI. Come ateo devoto, adesso attribuisce all’embrione lo status di persona sin dal concepimento, si pronuncia apertamente per l’astensionismo al referendum sulla legge 40/2004, se la prende con Zapatero per avere introdotto il divorzio breve e il matrimonio per gli omosessuali, si tramuta in crociato, contesta l’immigrazione incontrollata, si preoccupa del rischio del meticciato, condanna il multiculturalismo, parla della necessità di convertire i cannibali, vale a dire coloro che rifiutano i nostri valori. Michele De Lucia si domanda nel suo libro, presentato a Terni il 10 febbraio scorso, se non ci si trovi dinanzi ad un nuovo Fregoli. E’ un interrogativo che lasciamo volentieri ai lettori. Francesco Pullia
Chi ha paura di Darwin?
N. Bernardi M. Ricci
M. Magnani
Sabato 11 febbraio 2006 a Terni si è svolto il II Darwin Day. Quest’anno l’associazione culturale Civiltà Laica lo ha organizzato coinvolgendo un biologo dell’Università di Perugia, il dott. Luigi Russi, e quattro propri soci: il medico Maurizio Magnani, il prof. di filosofia Marcello Ricci, la scrivente ed Alessandro Chiometti, presidente della nostra Asso-
L. Russi
A. Chiometti
ciazione. Come potete vedere dalle foto, era presente anche La Pagina: cogliamo con piacere l’occasione per ringraziare gli ideatori di questo periodico, che da alcuni numeri offre ospitalità ai contributi di Civiltà Laica. Le prime due relazioni dell’incontro su/pro Darwin riguardavano l’evoluzionismo in Biologia, in particolare nella botanica, e
la dinamicità delle teorie (che, quindi, anch’esse, si evolvono) nei campi della Medicina, della Psicologia e della Cosmologia. Quest’ultimo è stato un excursus con molte belle fotografie, che a detta di molti partecipanti meritava un incontro a sé: non è detto che non lo organizzeremo! Per quanto concerne il mio contributo, ho potuto presentare i risultati di un
questionario darwiniano preparato dal prof. Ricci e da lui distribuito a più di 600 studenti del liceo scientifico Galilei di Terni. Le risposte raccolte hanno evidenziato che la quasi totalità dei ragazzi conosce Darwin, grazie agli insegnanti ed ai mezzi di informazione; lo situano nella sua epoca (il 1800) e gli viene attribuita la sua corretta qualifica (scienziato) da circa il 90%; l’evoluzionismo viene visto come una teoria scientifica, ma rifiutata dalla Chiesa, da circa il 90%; infine, secondo l’89% dei ragazzi l’uomo si è evoluto, mentre per l’11% è stato creato da Dio (qualcuno ha scelto la doppia risposta). Ho inoltre presentato l’affare Darwin / Moratti, basandomi sui dossier pubblicati in successivi numeri della rivista MicroMega: come il Ministero della Pubblica Istruzione Italiana
sia riuscito, con silente (e quindi, se possibile, ancor più vergognosa) mossa, a far quasi sparire l’insegnamento della teoria evoluzionistica di Darwin dai programmi della scuola dell’obbligo. Se siete interessati a saperne di più, contattatemi all’indirizzo email e vi fornirò maggiori informazioni a riguardo. Nicoletta Bernardi www.civiltalaica.it
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C O M U N E Gli ultimi restauri della
ROCCA PA O L I N A I lavori di consolidamento che attualmente interessano la Rocca Paolina, riguardano la parte esterna e principalmente le mura. Gli interventi di recupero, eseguiti dalla Sovrintendenza e finanziati con i fondi del Lotto (2.500.000 euro), sono volti al restauro delle antiche vestigia, inglobate quasi totalmente nei rifacimenti di fine 800. La Rocca, infatti, fu abbattuta in gran parte nel 1860, quando tutte le parti fuori terra vennero rase al suolo. Quello che oggi è possibile vedere percorrendo Viale Indipendenza, risale dunque alla fine del secolo ed è posteriore alla parte originale. Le mura, scandite da una serie di arcate cieche e da una porta, detta del Soccorso, che conduce direttamente all’interno della costruzione, cingono la fortezza e la incastrano con la nuova strada. Esistono pertanto due strutture di sostegno: la prima cinquecentesca e l’altra ottocentesca, all’interno delle quali si apre un ampio spazio che sarà destinato ad ospitare 400 mq di locali per l’allestimento di eventi culturali. La parte superiore è occupata dai Giardini Carducci,
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oggetto anch’essi di numerosi interventi di restauro: sistemazione di una nuova pavimentazione (utilizzando del ghiaino, materiale ritenuto più consono ad un ambiente esterno); collocazione di nuove panchine e di un nuovo impianto di illuminazione; ripulitura dei monumenti e sistemazione delle aiuole. Inoltre, al di sotto del piano di calpestio, vi sono diversi vani dei quali si sta tentando di impermeabilizzare le coperture. Non di meno, anche la parte interna ha visto il prolungarsi di interventi che a tutt’oggi possono definirsi conclusi. Realizzati su progetto del Comune ed appaltati dalla Sovrintendenza, sono stati realizzati in occasione del Giubileo del 2000. Fra di essi: la creazione di uno spazio gestito dall’Università; il restauro di un’antica volta a botte, agganciata ed incamiciata; la ristrutturazione di una parete con lesioni e spanciamenti e numerosi altri lavori di consolidamento, riguardanti anche un muro etrusco che anticamente cingeva la città. Esiste inoltre un ambiente, allestito dal Comune, adibito esclusivamente all’illustrazione delle vicende storiche dell’edificio, la cui ricostruzione è certamente frutto di studi approfonditi su documenti preesistenti. Chiara Leonelli
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Settore Ambiente e Territorio Unità Operativa Ambiente e Protezione Civile N el 2001, con l’adesione al-
la Carta di Aalborg ed alla Carta di Ferrara, il Comune di Perugia si è impegnato ad avviare un processo di Agenda 21 locale, strumento utile per consentire una concreta partecipazione dei cittadini alle politiche ambientali, favorendo la condivisione delle scelte per uno sviluppo sostenibile. Molti dei problemi ambientali, sociali ed economici, hanno infatti le proprie radici a livello locale: in questo senso le Amministrazioni Pubbliche svolgono un ruolo fondamentale nel promuovere politiche territoriali ed iniziative finalizzate alla sensibilizzazione della cittadinanza a stili di vita, consumi e produzioni in sintonia con i princìpi dello sviluppo sostenibile. L e motivazioni che hanno portato il Comune di Perugia ad avviare un processo di sviluppo di programmi ed azioni di sostenibilità ambientale sono state la tutela dell’ambiente, l’ampia disponibilità di informazioni riguardanti l’ambiente locale già in possesso e il forte impegno dimostrato dal Comune di Perugia negli ultimi dieci anni verso iniziative a favore dell’informazione e della partecipazione pubblica su aspetti ambientali. Il 31 marzo 2001 è stato costituito ufficialmente il Forum Civico di Agenda 21 locale inteso come sistema integrato a rete articolato per vari livelli. Questa fase ha visto l’adesione convinta al Forum, caratterizzato da una natura partecipativa e consensuale, dei rappresentanti di istituzioni ed Enti Pubblici, di ordini professionali, Associazioni di Categoria, Società di servizi, Associazioni Ambientaliste, Scuole ed Università, Sindacati. Ciò ha determinato la condivisione delle metodologie e dei princìpi fondamentali per l’orientamento dello sviluppo del territorio comunale e l’individuazione di opportuni indicatori per il monitoraggio dello stato dell’ambiente, del cambiamento e dell’efficacia delle nuove politiche ambientali. In questi anni il Forum Civico ha operato per individuare gli obiettivi di miglioramento per l’azione ambientale, mediante l’esame analitico dello stato dell’ambiente locale che ha portato alla realizzazione della Relazio-
ne sullo Stato dell’Ambiente della città di Perugia, strumento generale di valutazione della qualità ambientale e documento che raccoglie dati tecnici di base sull’an-
damento di parametri utili per elaborare analisi di maggior dettaglio da parte di esperti, amministratori e soggetti interessati e, sulla base delle risultanze della
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P E R U G I A
Relazione, per definire le priorità di intervento attraverso il Piano d’Azione Ambientale, strumento operativo necessario per fissare obiettivi di miglioramento e
di tutela della qualità dell’ambiente e delle sue componenti. N el 2005, nell’ambito dei progetti presentati dall’Amministrazione Comunale al-
COMUNE DI PERUGIA / AGENDA 21 LOCALE
l’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile, sono state selezionate alcune volontarie, attualmente impiegate nell’implementazione del processo di Agenda 21 locale. Il progetto si prefigge il conseguimento di vari obiettivi, quali l’aggiornamento della Relazione sullo Stato dell’Ambiente, l’attivazione ed il monitoraggio del Piano d’Azione Ambientale e la valorizzazione delle conoscenze e delle informazioni della popolazione sulle tematiche ambientali, con attività di comunicazione rivolta in particolare alle scuole. La realizzazione del progetto prevede la collaborazione di ARPA Umbria, per quanto riguarda gli aspetti operativi collegati al monitoraggio delle varie componenti ambientali, alla raccolta dei dati ed alla loro elaborazione, e dell’Università di Perugia per quanto riguarda gli aspetti della comunicazione e della divulgazione e avrà poi il compito di provvedere alla trasformazione dei dati
acquisiti in schemi conoscitivi di più facile divulgazione e recepimento anche da parte dei non addetti ai lavori, attraverso l’utilizzazione delle tecniche e dei metodi di più efficace comunicazione. D ata la notevole rilevanza che assumono l’informazione e l’educazione ambientale rivolte alle generazioni più giovani, l’Amministrazione, d’intesa con l’Ufficio Scolastico Regionale ed in collaborazione con il Forum di Agenda 21, ha promosso un progetto, elaborato dalle volontarie del Servizio Civile Nazionale ed avviato in questi mesi, denominato ViviECOnosciPerugia diretto a tutte le scuole medie e superiori. ViviECOnosciPerugia prevede il coinvolgimento e la partecipazione continua dei ragazzi, sia attraverso il dialogo ed il confronto, sia tramite strumenti ad hoc quali il CD contenente la Relazione sullo Stato dell’Ambiente, il Piano di Azione locale e la proposta di progetti di
comunicazione ambientale ideati dagli studenti. I nfine, è stato proposto di integrare all’interno del processo di Agenda 21 locale un progetto di Bilancio ambientale. La sperimentazione di un bilancio ambientale, quale bilancio satellite di quello tradizionale, consente di valorizzare ulteriormente i risultati conseguenti all’attivazione di un processo di Agenda 21 locale; infatti, unitamente al Piano d’azione ambientale, il Bilancio consente di descrivere lo stato dell’ambiente e le interazioni che intercorrono tra attività umane e natura, quantificando gli impatti ambientali delle attività umane. Tale integrazione perseguirà l’obiettivo di migliorare la qualità dell’informazione ambientale e della sua integrazione con i processi decisionali, oltre a consentire un’attività di monitoraggio più puntuale dei progressi e dei risultati delle politiche e delle strategie adottate. Nilo Arcudi Vice Sindaco
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Non si può vivere felici senza saggezza, onore e giustizia, né vivere saggiamente, onestamente e con giustizia senza vivere felici. Epicuro Massime, V
da pagg 419/420 ... In questa notte di ossessioni e di paure una voce cerca di portare un po’ di luce agli uomini, ed è quella di Epicuro, che vuole liberarli dal terrore delle divinità irose e vendicatrici e dalle immagini tenebrose dell’Aldilà. Epicuro era nato a Samo, da famiglia ateniese, nel 341 aC, e nel 306 si stabilì nella città dell’Attica, ove aprì la scuola del giardino. Da Democrito egli recepisce un punto essenziale: il cosmo deriva dall’unione di un’infinità di atomi, così come ciascuno di noi è fatto di piccolissime particelle, la cui disaggregazione coincide con la morte. Quando un essere muore, di lui non rimane nulla. Per tutti i secoli prima di noi c’è stato lo stesso silenzio che ci sarà dopo la nostra scomparsa. Per l’ateo Epicuro non c’è dunque alcun intervento divino nella vita umana... La sorte che l’uomo ha davanti è una sola, la morte, e sin dal primo momento essa ha costituito il suo principale assillo e la prima motivazione del suo bisogno di trascendenza: Il male che più fa rabbrividire ed è la morte, non è dunque nulla per noi, perché quando noi siamo, non c’è la morte, e quando c’è la morte, noi allora non siamo. Per modo che essa non riguarda né i vivi né i morti: per gli uni non c’è, e gli altri non sono più. Tutto ciò non spingerà Epicuro, contrariamente al giudizio diffuso, alla perenne ricerca del piacere fisico e al rifiuto di ogni principio morale, sul presupposto di una sola vita da godere e da consumare senza rimpianti. Agli amici della sua scuola egli non propone feste e simposi con fanciulli e donne,
né tavole imbandite, ma la piacevole vita che deriva dal sobrio raziocinio. I pochi desideri che ci provengono dalla nostra natura possono essere soddisfatti con facilità; più difficile è invece contenere quelli che sono indotti in noi dalle convenzioni e dalle relazioni sociali, fattori scatenanti delle peggiori ambizioni, per cui gli uomini finiscono col bruciare la loro esistenza nella ricerca di un’illusoria felicità che pensano di procurarsi con una concorrenza sfrenata e brutale. Al contrario, l’uomo dovrebbe tendere all’atarassia, che è poi la felicità degli dèi, caratterizzata più che dal possesso di un bene, dall’assenza di un male. Chi la raggiunge non ha più paura né della morte né delle vicende della vita: la temperanza, l’amore e il rispetto degli altri saranno i suoi princìpi ispiratori, la strada per giungere con l’ascesi e la purezza d’animo, al sommo bene: l’assenza di dolore è non solo piacere, ma piacere massimo, e questa è la natura del bene. La morte, intesa come ineluttabile corollario della condizione umana, come male sopravvenuto per la nostra ambizione di voler competere con gli dèi o per il gesto sconsiderato di Pandora, altro non è, dunque, che la privazione del senso, perché quando un corpo si dissolve non c’è parte che non ne segua la sorte, e tanto meno un’anima che, secondo la teoria platonica, sia suscettibile di trasmutare, successivamente, da un essere all’altro. Luciano di Samosata parlerà di Epicuro, per questa sua caratterizzazione razionalistica, come del nemico di ogni superstizione. Franco Giustinelli
PREGIUDIZIO La parola latina iudicium deriva da iudex, giudice e, come tutta la famiglia di ius, diritto, solo in parte conserva il senso tecnico, già presso i latini allargato al significato di opinione, pensiero. Praeiudicium, composto di prae, pre e iudicium, giudizio, significa giudizio anticipato, sentenza anticipata, ma anche danno. Pregiudizio è dunque opinione anteriore alla diretta conoscenza di fatti o persone, fondata su convincimenti tradizionali e comuni ai più, atti a impedire un giudizio spassionato.
SUPERSTIZIONE
La parola latina superstitio proviene da superstare, stare sopra, quindi propriamente sovrastruttura. Superstizione è attribuzione a cause soprannaturali di fenomeni spiegabili razionalmente. Cicerone ritiene superstizioso colui che di continuo stancava con doni e sacrifizi gli dèi affinché serbassero superstiti, cioè sani e salvi e lungamente in vita i propri figli. Oggi la TV propone incessantemente atti e gesti di superstizione. Si intende per superstizione anche il residuo di precedenti religioni ed anche il fanatismo.
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Dall’epistola (dedicata alla fisica) Epicuro saluta Erodoto: ... il tutto consiste di corpi e di vuoto... il tutto è infinito anche per il grande numero dei corpi e per la grandezza del vuoto... e gli atomi si muovono incessantemente, in eterno... ... Bisogna ancora aggiungere che i mondi sono infiniti, in parte simili al nostro, in parte dissimili... ... E per quel che riguarda i fenomeni celesti, non bisogna credere che i movimenti, le rivoluzioni, le eclissi, il sorgere e il tramontare degli astri e simili avvengano per opera e per disposizione presente o futura di qualche essere che nel contempo possiede la perfetta beatitudine e l’immortalità, perché attività pratiche e cure e scoppi d’ira e attestazioni di favore non s’accordano con la beatitudine, ma sono segno della debolezza e della paura e del bisogno d’assistenza da parte dei vicini. Bisogna perciò ammettere che la necessità e la periodicità dei moti celesti si compiano secondo l’intercezione originaria di questi agglomeramenti di atomi nella nascita del mondo.... Dall’epistola (sui fenomeni celesti) Epicuro saluta Pitocle: ... i lampi si formano in diversi modi: sia quando le nubi si sfregano l’una con l’altra e si urtano e danno origine a quel complesso di atomi che producendo fuoco genera il lampo... [ma] anche in parecchi altri modi sarà facile comprendere la formazione dei lampi purché ci si attenga sempre ai fenomeni e si sappia considerare nel suo insieme tutto ciò che è analogo ai fenomeni. ... i fulmini possono essere anche dovuti al precipitare stesso del fuoco roteante nella nube - e così si può verificare anche il tuono - quando il fuoco è diventato più grosso ed è più violentemente attizzato e spinto dal vento e spezza la nube, perché sempre le nubi s'addensano l'una sull'altra per lo più contro un alto monte, su cui specialmente cadono i fulmini. Ma anche in parecchi altri modi si possono produrre i fulmini. Solo il mito deve rimanere lontano. E rimarrà lontano, se ci atteniamo correttamente ai fenomeni e da essi procediamo per induzione all'interpretazione delle cose che non cadono nell'ambito dei sensi. H o appositamente scelto e riportato, sotto l’immagine della copertina del libro di Franco Giustinelli, Letteratura e pregiudizio, edito da Rubbet-
tino, due delle quasi cinquecento pagine, quelle riguardanti Epicuro. Unite ai brani delle epistole, servono per meglio evidenziare uno dei nodi concettuali che traggo dalla lettura del libro stesso, libro che ho subito posto nello scaffale degli scritti da me preferiti, tra Gabriele Giannantoni e Maria Timpanaro Cardini, tra Giorgio Colli e Vittorio Enzo Alfieri. Avrei invero potuto commentare tantissimi altri autori greci, visto quanti ne attraversa l’autore. Ma veniamo al nodo: come si studia, in genere, nelle scuole italiane la letteratura e la filosofia greca? Le mirabili interpretazioni e le visioni di un grandissimo come Epicuro, che rilievo hanno nell’insegnamento? I suoi detrattori dissero di lui: ultimo dei fisici, il più porco e il più cane, ...il più ignorante dei viventi (Timone); prostituiva uno dei suoi fratelli e conviveva con l’etera Leonzio (Dionisio di Alicarnasso); cinedologo, ovvero predicatore di sconcezze (Epitteto)..... Era molto scomodo, come tutti i non superstiziosi. E’ scomodo anche oggi, sui banchi di scuola? Perché a scuola, in genere, si affabula disinvoltamente, spacciandolo come quasi Reale, un mondo che antropomorfizza ansie, speranze, l’inconscio tutto intero, sotto forma di dèi, dèi che l’uomo ascolta quotidianamente, con i quali discute in palese dissociazione mentale, si unisce nei modi più fantasiosi ma più insani.
La divinazione non ha un fondamento reale, se lo avesse gli eventi non sarebbero in nostro potere. Epicuro Frammenti, VI
Nessuna critica normalmente a scuola, a personaggi che oggi interneremmo nei manicomi o al modello di uomo proposto dai Dialoghi di Platone, quello della man(t)ia o possessione divina che penetra in noi... nessuna critica al mito, solo benedizioni. Maledizioni invece per le intuizioni empiriche, per chi vuole che il mito resti solo mito, per le coscienze non mistiche né dogmatiche dei grandi filosofi, degli scienziati, degli spettinati, degli scomodi, dei rivoluzionari, finanche dei ribelli. Sono trattati al massimo in un rigo, in un alveo narcotizzante, così tutto procede beotamente.
Inerzia, incapacità per le analisi scientifiche o perversa volontà ordinatrice, resta il fatto che educando all’irrazionalità si concima il terreno sul quale attecchiscono e prosperano le redditizie imprese di squallidi settori delle religioni e della supersizione che è invece squallida tout court.
Non fare filosofia per scherzo, ma sul serio; perché non abbiamo bisogno di apparire sani ma piuttosto di esserlo veramente Epicuro Frammenti, II
La letteratura greca in realtà può presentare diversi livelli d’interpretazione. Si può anche leggere sul paradigma della diversità, come fa con forte capacità intellettiva Franco Giustinelli che, viaggiando attraverso mille anni di letteratura, storia, filosofia, religione ed arte del mondo greco, ha posto l’accento sui processi di formazione dell’io collettivo e di quello individuale. Oltre a ciò tratta la dicotomia giudizio-pregiudizio, mettendo bene in rilievo, nelle loro tomicità opposte, le due facce della stessa medaglia. In questa sua curata indagine Giustinelli compie una validissima operazione culturale, quella di rendere meno melensa e non mistificatoria la conoscenza dello scrigno culturale che racchiude la civiltà greca. Vi troviamo una lettura dalla morale non precostituita, molto attuale, quella cultura che descrive la realtà degli altri, dai barbari alle donne, dagli schiavi ai pazzi. Franco Giustinelli, cercando, con successo, di destabilizzare i pregiudizi dettati in ogni epoca dall’ignoranza e dalla superstizione, aiuta, in un periodo in cui non si distingue più la fede dalla superstizione, un Ministro da un carrettiere, alla conoscenza di un mondo meraviglioso e lo fa, nonostante il grande rigore culturale, che lo contraddistingue come uomo e come professionista, con piacevole scorrevolezza e con stile narrativo molto efficace tanto che, nonostante la mole, il libro si legge tutto d’un fiato. Giampiero Raspetti
Fare l’amore non fa bene, è molto se non danneggia. Epicuro Frammenti, XIV
Giovanni Paolo II ha proclamato, in un quarto di secolo, circa 1350 beati e 500 santi, a fronte dei 1319 beati e 296 santi dei suoi 33 predecessori dal 1558, quando furono fissate le procedure: le quali richiedono un miracolo per ogni beatificazione, e un altro miracolo per ogni canonizzazione. Ma cosa sono, dunque, questi miracoli, che secondo la Chiesa avvengono a ogni piè sospinto? E’ proprio in risposta a questa domanda, che è scritto Spiegare i miracoli di Maurizio Magnani: un libro che dovrebbero leggere non tanto gli scettici, i quali non hanno maggior bisogno di motivazioni per non credere ai miracoli, di quanto ne abbiano per non credere agli elfi o ai maghi, ma soprattutto coloro che da un lato ai miracoli ancora ci credono, e dall’altro già vivono in un mondo scientifico e tecnologico. Perché, diciamoci la verità: di fronte ai miracoli veri che la scienza e la tecnologia quotidianamente ci forniscono, dalle medicine ai viaggi intercontinentali, quelli supposti che provocano la meraviglia, la sorpresa, lo stupore che costituiscono il significato etimologico sia del greco thauma che del latino miraculum, sono soltanto veri e propri scherzi da prete. E, come diceva Totò, se le cose vere le mettiamo di qua, quelle supposte dove dovremmo mettercele? Che qualcosa di poco convincente nei miracoli ci sia, lo sanno tutti. Non solo i provocatori come Émile Zola, il quale faceva notare che fra gli exvoto di Lourdes ci sono molte stampelle, ma nessuna gamba di legno. Ma anche gli idiot savant come Vittorio Missori, che infatti ha dedicato un intero libro a sostenere che, udite udite, una volta nel 1640 in Spagna una gamba sembra veramente essere ricresciuta a un
contadino al quale qualcuno l’aveva amputata dopo un incidente: con quanta attendibilità ce lo dimostra Magnani, fin dall’inizio del suo libro. Così come ci dà, in seguito, le cifre del fenomeno Lourdes: un business che, in centocinquant’anni, ha portato nella cittadina dei Pirenei un numero imprecisato, ma vicino ai trecento milioni, di fedeli. Di questi, almeno una ventina di milioni erano malati di varia gravità, ma soltanto 66 hanno ufficialmente ricevuto il miracolo della guarigione: dunque, una percentuale di uno su 300.000, nettamente inferiore a quella delle remissioni spontanee delle malattie croniche, cancro compreso, che è di circa uno su 10.000. Detto altrimenti, i malati guariscono miracolosamente, cioè inspiegabilmente, trenta volte di più se stanno a casa che se vanno a Lourdes! Guarigioni a parte, i miracoli che maggiormente sembrano attirare l’attenzione dei devoti sono fenomeni quali il sangue di San Gennaro, nonostante il CICAP (il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale fondato da Piero Angela) venda ormai da anni boccette di soluzioni tissotropiche (analoghe alla salsa ketchup) che lo riproducono perfettamente, secondo un procedimento che è stato pubblicato nel 1991 nientemeno che sulla rivista Nature (quella, per intenderci, sulla quale Watson e Crick pubblicarono la scoperta della doppia elica). La cosa non deve comunque stupire: quando Paolo VI prese posizione contro la natura miracolosa del fenomeno, sembra che sui muri di Napoli sia apparsa la scritta: San Gennà, futtitenne. E se se ne fotte il santo, non possono farlo anche i fedeli? A proposito di miracoli di sangue, uno famoso è quello della
messa di Bolsena, raffigurato da Raffaello nella stanza di Eliodoro in Vaticano: nel 1263, mentre un prete che non credeva nella transustanziazione diceva messa a Bolsena, l’ostia avrebbe preso a sanguinare, con un prodigio ancor oggi ricordato nella festa del Corpus Domini, istituita l’anno dopo da Urbano IV per l’occasione. La spiegazione del fenomeno si conosce, questa volta, fin dai 1823, quando Bartolomeo Brizio identificò il batterio Serratia marcescens che, in periodi di caldo e in luoghi umidi, produce su pane, focacce e dolci un pigmento rosso e gelatinoso, appropriatamente chiamato prodigiosina, che gli ingenui possono scambiare per sangue. Naturalmente, il popolino ama soprattutto prodigi casalinghi, secondo una tradizione che risale all’antichità: già Plutarco, infatti, riporta nella Vita di Coriolano che spesso, ai tempi dei greci e dei romani, le statue sussurravano, gemevano, sudavano, piangevano o sanguinavano e che questi erano fenomeni naturali, fraintesi come segni divini. Uno degli ultimi casi mediatici di questo genere è stato il pianto, nel 1995 a Civitavecchia, di una statua della Madonna, che lacrimava sangue (poi risultato… maschile). In quell’occasione il professor Raffaele Cortesini, presidente della commissione medica vaticana per l’accertamento dei miracoli, dichiarò che l’evento era inspiegabile scientificamente: forse avrebbe dovuto leggere meno i Vangeli e più Plutarco! Che ci siano degli ingenui disposti a credere in queste cose, passi: d’altronde, 1’1% della popolazione mondiale soffre di serie turbe mentali, e non ci si può comunque aspettare che tutti abbiano la cultura e la capacità di andare oltre le apparenze. Ma le credenze irrazionali non sono necessariamente prova di stupidità: esse possono anche essere effetti postipnotici, indotti da un’educazione ipnotica come quella delle scuole pubbliche e, soprattutto, private del nostro paese dei miracoli. Non a caso Joseph de Maistre, teorico della restaurazione, diceva: Dateceli dai cinque ai dieci anni e saranno nostri per tutta la vita. Forse aveva ragione, ma a volte vale la pena tentare una deipnotizzazione: per chi voglia provare, questo libro può essere un ottimo inizio. Leggete e imparatene tutti, e chi ha cervello per risvegliarsi, si risvegli! Piergiorgio Odifreddi
RIFERIMENTI ...Non è da escludere, infatti, che si sian viste statue sudare o versare lacrime o colare umori sanguigni: spesso infatti il legno e la pietra contraggono una muffa che produce umidità, si ricoprono di molti colori, e ricevono tinte dall'ambiente circostante, e nulla impedisce di considerare questi segni come divini. 2 È anche possibile che le statue, a causa di una frattura o di una crepa, emettano rumori simili a gemiti e lamenti, tanto più forti se la frattura è interna. Ma non è assolutamente possibile che da un oggetto inanimato possano provenire un discorso articolato e un linguaggio così chiaro, abbondante e distinto, dato che nemmeno l'anima dell'uomo o il dio, senza un corpo attrezzato e munito di parti vocali, ha mai parlato e conversato. 3 Perciò quando la storia ci impone numerosi e credibili testimoni, bisogna supporre che una sensazione diversa dalla percezione ma altrettanto convincente, si sviluppi nella parte immaginativa della mente, come nei sogni ci sembra di udire mentre non udiamo e di vedere mentre non vediamo. Tuttavia coloro che nutrono un forte sentimento di devozione e amore per il dio, e non possono pertanto né rifiutare né negare nulla di questo tipo, ripongono fede nella natura meravigliosa e sovrumana della potenza celeste. 4 Perché il dio non è in alcun modo simile all'uomo, né nella natura, né nel movimento, né nell'arte, né nella forza; e non è contrario alla ragione se fa qualcosa che noi non possiamo fare o fabbrica qualcosa che noi non possiamo fabbricare; ma visto che si distingue da noi in tutto, specialmente nel suo operato è molto diverso e lontano da noi. Ma la maggior parte delle cose divine, come dice Eraclito, sfugge alla nostra conoscenza attraverso l'incredulità. Plutarco, Vita di Coriolano, XXXVIII 1 Fu riferito al senato che era piovuto sangue, che anche le acque del fiume Atrato si erano tinte di sangue, che le statue degli dèi avevano sudato. Ritieni che Talete o Anassagora o qualsiasi altro filosofo della natura avrebbe prestato fede a simili notizie? Non c'è né sangue né sudore che non fuoriesca da un corpo vivente. Ma un mutamento di colore, provocato da qualche commistione con terra, può render l'acqua estremamente simile a sangue; e l'umidità proveniente dall'esterno, come vediamo sugli intonaci dei muri quando soffia lo scirocco, può rassomigliare al sudore. Questi fatti, del resto, appaiono più numerosi e più gravi in tempo di guerra, quando c'è uno stato di paura; in tempo di pace non ci si bada altrettanto. Si aggiunga anche un'altra cosa: in momenti di terrore e di pericolo non solo ci si crede con più facilità, ma si inventano più impunemente. Cicerone, Della divinatione, Libro secondo, XXVII 58
SPIEGARE LE PAROLE Miracolo Dal latino mirari, essere sorpreso, meravigliarsi. Fatto contrario alle leggi (conosciute) della natura e prodotto per potenza soprannaturale. E’ al di sopra del prodigio, il quale, comunemente, non oltrepassa i limiti della natura. Mistero Dal greco musthrion (mysterion), cosa segreta, dal verbo muein (mýein), chiudere, serrare gli occhi o le labbra per non parlare e mantenere il segreto (da cui miope e muto). Il mistero è perciò il culto all’iniziazione, ma talvolta anche segreto in generale e, nella letteratura cristiana, mistero della fede. Mostro Dal latino monstrum, portento, fatto straordinario probabilmente legato al verbo monere, ammonire, quasi un avvertimento, secondo un’idea superstiziosa, della volontà degli déi (quod moneat voluntatem deorum). Prodigio L’etimologia della parola è incerta: si suppone composta da pro-prod, avanti e igium dalla radice indeuropea agh che ha il senso di dire (come nel sostantivo adagio). Taumaturgo Dal greco qauma (thâuma), ciò che si guarda con ammirazione, ossia degno di essere veduto e ergon, (érgon), lavoro, opera. Dalla stessa radice di thèama, spettacolo (a Terni il ben noto Politeama, spettacoli vari), da cui Teatro. Quindi, letteralmente, chi fa miracoli. Un mistero non fa un miracolo. Lo scienziato, che sa di non sapere, analizza il mistero, ricerca, chiarisce e sottopone a qualsiasi controllo. L’ignorante, che è tale perché crede di sapere tutto, si lascia abbindolare da roboanti suggestioni create da chi ha interesse ad asservire creduloni. GR
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Berlusconi
e il senso della vita
Emilio Fede è una persona trasparente e leale con un alto senso dell’amicizia. Si, è vero, fa un telegiornale di parte, ma non va oltre il 7-8% di share. Parole di Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio, espresse nel corso della trasmissione Il senso della vita condotta da Paolo Bonolis. Applausi, saluti, sigla finale. Quel che più vi sorprenderà, se mai vi troverete a sostenere una discussione sulle reti Mediaset, è la diffusa convinzione popolare che arroga alle 3 reti un diritto supremo, acquisito grazie al loro status di emittente privata: la libertà assoluta. Come dire: sono di Berlusconi, può farci ciò che vuole. Eppure vale la pena ricordare, anche in questo caso, che la libertà di ciascuno inizia quando finisce quella di un altro, ragion per cui la libertà assoluta di un singolo non può esistere, quando si vive in una comunità. Per questo il Diritto che regola la disciplina dell’informazione non si cura del fatto che Italia 1, Canale 5 e Rete 4 rispondano ad un unico soggetto privato, e consideri l’obiettività, la completezza, la lealtà e l’imparzialità dell’informazione princìpi fondamentali di tutto il sistema radiotelevisivo. Silvio Berlusconi pare non ricordarselo mai, gridando al complotto ogni qualvolta l’Authority per le Comunicazioni punisce i suoi abusi. Noi cittadini e qualche deputato distratto, invece, ne rivendichia-
mo l’esistenza solo durante la campagna elettorale, in nome della famosa par condicio. Ecco perché, vedere durante l’anno Emilio Fede che parla della sinistra scuotendo la testa, ci fa sorridere, e vederlo esibirsi nella sua imparzialità durante la campagna elettorale fa notizia. Al punto che il Presidente della Repubblica Ciampi, in una lettera a Corrado Calabrò (presidente dell’Authority), ha tenuto a precisare recentemente un concetto basilare: Il pluralismo e l’imparzialità in tv non conoscono interruzioni, in quanto princìpi costituzionali. Vale a dire: la par condicio vige sempre. Arender legge tale concetto piuttosto logico, ci pensa il decreto legislativo del 31 Luglio 2005 n.177, che all’articolo 3, elenca come princìpi fondamentali dell’intero sistema radiotelevisivo la garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, l’obiettività, la completezza, la lealtà e l’imparzialità dell’informazione. Se la par condicio vige sempre, ecco pronta la ricetta del Presidente del Consiglio: via la par condicio. Spiega il Cavaliere: vi pare giusto che io mi debba trovare al Costanzo Show o da Vespa come un qualsiasi altro leaderino di serie c? Non sta né in cielo né in terra questo obbligo di dare spazi uguali a tutti i partiti, a prescindere dai voti che prendono. Non starà né in cielo né in terra, ma di sicuro sta in una Democrazia, caro presidente. Il senso della vita per Berlusconi è dunque lo stesso che anima cinicamente il mondo di oggi: tanto per chi ha già tanto, poco per chi ha già poco, così che gli ultimi saranno gli ultimi visto che i primi sono irraggiungibili. Francesco Bassanelli
La democrazia consiste nel mettere sotto controllo i1 potere politico. E’ questa la sua caratteristica essenziale. Non ci dovrebbe essere alcun potere politico incontrollato in una democrazia. Ora, è accaduto che questa televisione sia diventata un potere politico colossale, potenzialmente si potrebbe dire anche il più importante di tutti, come se fosse Dio stesso che parla. E così sarà se continueremo a consentirne l’abuso. Essa è diventata un potere troppo grande per la democrazia. Nessuna democrazia può sopravvivere se all’abuso di questo potere non si mette fine. In questo momento se ne abusa sicuramente, per esempio, in Jugoslavia, ma l’abuso può avvenire dovunque. Se ne fece ovviamente abuso in Russia. In Germania non c’era la televisione sotto Hitler, anche se la sua propaganda fu costruita sistematicamente quasi con la potenza di una televisione. Credo che un nuovo Hitler avrebbe, con la televisione, un potere infinito. Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà stato pienamente scoperto. Dico così perché anche i nemici della democrazia non sono ancora del tutto consapevoli del potere della televisione. Ma quando si saranno resi conto fino in fondo di quello che possono fare la useranno in tutti i modi, anche nelle situazioni più pericolose. Ma allora sarà troppo tardi. Noi dobbiamo saper vedere ora questa possibilità. Karl Popper (1902-1994) da Una patente per fare tv in Cattiva maestra televisione Marsilio Editore
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Campagna elettorale e libertà di scelta Da sempre il voto elettorale, caposaldo delle libertà civili, è il mezzo con cui il cittadino sceglie i propri rappresentanti politici. A rigor di logica l’espressione è lapalissiana, ma se andiamo ad analizzare la galassia di significati, sfumature e accezioni che circondano la parola scelta, la questione sembra incupirsi. Poiché un monopolio per definizione non offre concorrenza, la condizione minima per cui si possa parlare di scelta è la libertà. Tuttavia, la libertà è condizionata da fattori che agiscono proprio su di essa. In questi giorni di campagna elettorale, tutti i messaggi politici che arrivano al cittadino hanno lo scopo manifesto di condizionare le scelte elettorali, quindi, in modo indiretto, la nostra libertà. Tali condizionamenti risultano però in parte necessari ed equi, in parte subdoli e partitici. Quanto influiscono sulla nostra scelta gli uni e gli altri? Analizzando le accese fasi della attuale campagna elettorale, sembra che questa sia contraddistinta da una mancanza di chiarezza, legata a due fattori. In primis il ritorno sulla scena del politichese: nato nella prima politica parlamentare italiana, sembrava spazzato via dal ciclone Tangentopoli, salvo poi ripresentarsi dal 1994 in poi ad ogni appuntamento elettorale. Il linguaggio di molti politici è notoriamente lontano da quello popolare, sia nella forma che nei contenuti. Dalla Lega a Rifondazione, tutti i partiti parlamentari sembrano più occupati a parlare di banche, cooperative, legge elettorale, grandi opere e contesto internazionale, quando il classico uomo della strada si pone questioni molto più a lui vicine. L’impressione è che, anche in questa campagna elettorale, l’obiettivo del politichese sia ancora quello originale: non sbilanciarsi troppo, dire e non dire, quasi confondere. Parlando in modo confuso ed incerto infatti, i politici danno
l’impressione di rivolgersi al maggior numero di elettori possibile, non fanno solenni promesse che imbarazzerebbero troppo se non mantenute e, non sbilanciandosi mai, possono abilmente ritrattare col senno di poi. Ecco perché le campagne elettorali si reggono più sulla retorica che sull’analisi di fatti concreti. Il secondo fattore è la soggettività delle fonti. Nei dibattiti politici, il centrodestra, dati alla mano, afferma che l’occupazione è in crescita, il centrosinistra (altri dati alla mano) che è in calo; il Pil da una parte è aumentato, dall’altra è diminuito, i crimini sono quasi zero per la maggioranza e in salita per l’opposizione, e così via. Fonti ovviamente diverse e di parte. Possibile, si chiede l’irritato uomo della strada, che ci sia una discordanza di valori così abissale su dati concreti e oggettivi? Possibile che non ci sia una fonte oggettiva che affermi con certezza l’esito di una politica? Sì, possibile. Anche in questo caso infatti, un dato certo e oggettivo sarebbe troppo netto e deciso e, se negativo, sarebbe inconfutabile per il partito, che perderebbe un argomento di campagna elettorale. Così, tutto deve essere messo in discussione, nessun dato certo, in modo che tutto diventi arma da usare per condizionare il cittadino. Ciò rende la nostra scelta quantomeno condizionata. Ma tali meccanismi sono semplicemente inevitabili, oppure sufficienti per poter dire che il nostro voto non sia totalmente libero? Massimo Colonna www.lozoodisimona.com
TERNI - V. della Stazione, 32/38 - Tel. 0744. 420298
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IL MOSAICO COME DESIGN
Frammenti Art La Provincia di Terni per la cultura
q u a n d o una tecnica antica incontra la mod ernità
Nessuna macchina potrà mai sostituire la sapienza delle mani di un artigiano; questo pensiero ha spinto le ragazze di Frammenti Art ad aprire dieci anni fa a Ravenna, e da tre anni a Narni, una bottega artigianale dove si producono manufatti con la tecnica del mosaico della tradizione medioevale-bizantina. Lavoriamo manualmente con tagliolo e martellina seguendo la tecnica antica - spiega Tiziana Mondini, che insieme a Corinna Notaro gestisce il laboratorio Frammenti Art - ma il materiale che usiamo, lo stile, il design sono innovativi, il nostro obiettivo è proporre il mosaico come elemento d’arredo moderno. Nell’immaginario collettivo, il mosaico è espressione di eleganza e raffinatezza, lo si immagina in contesti quali ville, parchi e giardini; Frammenti Art punta a smitizzare questa immagine.
oggi a Narni portano avanti un discorso nuovo per la nostra regione - l’Umbria è molto sensibile all’arte e molto aperta verso l’artigianato, ma stiamo cercando di far accettare il concetto di mosaico per il privato, una novità per queste parti; ci interessa soprattutto far passare l’immagine del design moderno. I materiali impiegati sono variegati: foglia d’oro, ciottoli, legno, perle, spesso usati insieme, mentre le pizze di smalto vengono preparate appositamente a Murano dai maestri vetrai veneziani. Frammenti Art gestisce un corso di formazione ed ha all’attivo diverse collaborazioni con artisti della levatura di Aldo Mondino e Tonino Guerra. Recentemente ha partecipato alla mostra collettiva Cuoriadarte promossa dagli eventi valentiniani di Terni dove ha esposto tappeti e specchiere realizzati su disegno della creativa ternana Simona Angeletti. Senza dubbio il mosaico di Frammenti Art è una tecnica antica che sa vivere ed esprimere a pieno la nostra modernità. Francesco Patrizi
Il nostro mosaico può arredare qualsiasi ambiente prosegue Tiziana - realizziamo decorazioni, ma anche specchiere, vassoi, veri e propri tappeti; per noi è importante svecchiare l’immagine seriosa del mosaico grecoromano. Le ragazze di Frammenti Art si sono formate a Ravenna, dove hanno lavorato a lungo;
Cari amici arabi, prima di tutto mi presento: il mio nome è Eufemio Ampolloso e sono di fede cristiana. Naturalmente, essendo diventato cristiano per grande ammirazione nei confronti della figura di Cristo, capirete che non posso essere cattolico. Eh sì…, perché è davvero impensabile trovare una qualche attinenza tra un
uomo che ha predicato la povertà e la tolleranza, vestito di una tunica straccia, ed alcuni suoi presunti “seguaci”, dalla condanna facile, che si fanno baciare la mano, vestiti con lussuosi paramenti. Ma lasciamo perdere questo discorso… Il punto è un altro: se un giorno un imbecille qualsiasi prendesse a calci il crocifisso in mezzo alla
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Frammenti Art Via XX Settembre, 24 Narni (TR) www.frammentiart.it
strada, secondo voi a Cristo gliene importerebbe qualcosa? E credete forse che un grande Profeta come Maometto si senta minimamente offeso soltanto perché un buffo cicciottello del nord Italia si mette una maglietta che lo deride? No cari amici, un Profeta di qualunque religione non lo prende neanche in considerazione quel misero, insignificante e sciocco
omino! Quando ci arrabbiamo tanto perché qualcuno ci insulta, diamo l’impressione di sentirci deboli, di essere succubi del giudizio altrui. Mentre chi delle proprie idee è fermamente convinto, va avanti per la sua strada allegro e sereno, e se qualcuno non è d’accordo con lui, dal più profondo del cuore…, se ne frega!!! Eufemio Ampolloso
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Quando gli animali perdono la libertà
Ogni organismo animale è la risultante di peculiarità anatomiche, fisiologiche ed etologiche che nel corso di un lungo processo evolutivo gli hanno consentito di adattarsi all’ambiente in cui vive. La premessa si rende necessaria per comprendere il trauma che gli animali subiscono quando vengono sottratti dal loro habitat per essere posti repentinamente in una condizione di segregazione. L’impatto negativo è spesso di una tale portata che l’animale soccombe dopo poco tempo. Comunque non sono rari i casi in cui i reclusi manifestano una longevità apprezzabile (si pensi, ad esempio, alle tartarughe e ad alcuni pappagalli), ma non c’è da rallegrarsene, poiché tali performances il più delle volte sono l’espressione di un sopravvivere e non di un vivere: in altre parole, diversi animali hanno una grande resistenza e, conseguentemente, impiegano molto tempo a morire.
Naturalmente, non tutte le specie reagiscono, in maniera uguale, alla cattività. E’ infatti agevole intuire che la sofferenza di un animale evoluto come la scimmia sia di gran lunga superiore a quella di un qualsiasi rettile. La vita fra le sbarre soffoca spesso le più elementari esigenze: si pensi ad un lupo rinchiuso in un recinto di pochi metri quadri, mentre in libertà percorre varie decine di chilometri al giorno. Non trascurabile è inoltre lo stravolgimento che viene operato a specifici dettami istintivi secondo i quali ogni specie non permette ai nemici di avvicinarsi oltre una determinata distanza, superata la quale si mette in salvo fuggendo (gli etologi definiscono tale fenomeno distanza di fuga). Negli zoo non sono rari, poi, i casi in cui predatori e prede, pur essendo collocati in diversi recinti, sono molto vicini e possono percepire reciprocamente
Ve n e r d ì 1 7 m a r z o D e g u s t a z i o n e d i v i n i a u s t r a l i a n i
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i loro odori. Da quanto espresso, seppur in rapidissima sintesi, consegue un continuo stato di tensione (stress) che, protratto nel tempo, è in grado di produrre squilibri endocrini e conseguenti alterazioni organiche (ulcere gastriche, danni cardiaci, ecc.) che minano fortemente lo stato di salute. Non trascurabili sono altresì le patologie comportamentali che s’innescano negli animali privati della libertà. Le due manifestazioni macroscopiche del fenomeno sono costituite dall’ostinato rifiuto del cibo (nei cardellini ho constatato anche il comportamento inverso: alcuni esemplari mangiavano in continuazione, quasi senza sosta, fino a perire) e dall’irrefrenabile impulso a muoversi in continuazione che inevitabilmente è causa di collisioni con
la struttura della gabbia e di conseguenti ferite. Altre espressioni di un malessere psichico sono l’automutilazione, l’autodeplumazione (conosciuta anche con il termine pica), il cannibalismo ai danni dei figli, le reiterate pratiche masturbatorie, l’omosessualità, la coprofagia, ecc. In genere tali patologie del comportamento regrediscono rapidamente se si restituisce la libertà ai poveri sventurati. Ma in alcuni casi, in cui le condizioni della cattività sono state particolarmente prolungate e gravose, gli animali sembrano colpiti da grave psicosi che spinge loro ad adottare movimenti stereotipati anche fuori dalla gabbia. Casi eclatanti sono l’elefante che continua a camminare
come se avesse ancora la catena al piede o l’orso polare che percorre su e giù la medesima distanza della sua precedente gabbia nonostante abbia a disposizione uno spazio decisamente superiore. Sono questi episodi di follia animale indotta che suscitano profonda inquietudine nelle persone sensibili e civilmente avanzate. Inoltre, non si può non essere colti da un malcontenuto guizzo di rabbia nel constatare che, anche se limitatamente, gode di una certa condivisione il concetto cartesiano di animale-macchina, proposto circa tre secoli e mezzo fa nel Discorso sul metodo. Invero, il filosofo francese sosteneva che gli animali non hanno lo spirito e, al pari delle macchine, si muovono per mezzo di congegni interni. Fortunatamente in questi ultimi decenni le coscienze si sono evolute, grazie anche all’intelligente opera dei massmedia (in
particolare la televisione) ed alle ricerche effettuate da eterogenei gruppi di studiosi (zoologi, etologi, psicologi, ecc). La cattività può essere proposta all’animale, ma è d’obbligo offrirgli un ambiente che salvaguardi le sue esigenze e lo preservi da disturbi comportamentali. E’stato chiaramente dimostrato che questi nostri compagni di viaggio sanno ripagarci ampiamente, donando sensazioni di benessere e di ottimismo anche a categorie di persone sofferenti e fortemente demotivate come i malati, i reclusi, ecc. Gli studiosi della cosiddetta pet-therapy ci hanno fornito numerosi riscontri. Concludo proponendo una brevissima affermazione di Carl Gutav Jung: L’accettazione dell’anima animale è la condizione dell’unificazione dell’individuo e della pienezza del suo sviluppo. Ivano Mortaruolo Pres. Centro Studi Ornitologici
Il dio danaro... come sempre!
David Beckhman, l’idolo degli stadi di calcio, ha detto no alla proposta oscena del suo sponsor Adidas. L’ha respinta schifato, scioccato, offeso. Ma l’Adidas ha insistito, ha alzato la posta e Beckhman ha ceduto: calzerà scarpette di pelle di canguro, anzi di canguretto, visto che a garantire la morbidezza necessaria sono solo i cuccioli strappati dal marsupio della madre e uccisi a colpi in testa, come si fa con le foche e tanti altri disgraziati animali colpevoli di essere stati individuati dagli uomini come utili alle loro
necessità. Il problema non sta tanto nella scelta dell’animale immolato per contenere le preziose estremità del calciatore; se non fosse il canguretto, sarebbe il vitellino o il capretto, il coccodrillo o il pitone, ma nel modo barbaro con cui le bestie vengono private della vita. Più barbara è la tecnica di abbattimento, più alto è il livello qualitativo della pelle recuperata. Insomma, il processo non può prescindere dalla sofferenza dell’animale per assicurare il massimo della resa. Facendolo tribolare si evitano costosi procedimenti di ammorbidimento della pelle e si ottiene il massimo della qualità. Beckhman, e con lui tanti di noi, non sanno che anche le pecore che forniscono la lana
C I N E F I L O S P O RT I VO L E TT ERA APERTA AI
Cari cinematografari, voi che per i vostri soggetti e per le vostre realizzazioni, attingete a piene mani da tutta la realtà e la fantasia del quotidiano creando mode, tendenze, detti e luoghi comuni, prendete in considerazione la PALLAVOLO. E’ uno sport a squadre, molto
riduce il disgusto e non lenisce il senso di vuoto che ogni essere umano dovrebbe provare, non solo alla vista della pratica, ma anche semplicemente alla sua notizia. Beckhman si consoli. La nobile opposizione allo sponsor e il fatto che un testimonial del suo peso abbia inizialmente alimentato le spe-
ed esaltanti. O ancora raccontare la storia di un tifoso che trae da questo sport una nuova dimensione più serena di competizione agonistica, magari trovando nella tifoseria opposta la sua metà. Oppure per esaltarne la disciplina e il rispetto delle regole si può raccontare la storia di un arbitro che per sua fortuna non deve sorbettarsi le accuse dei giornalisti e le sentenze delle moviole. Si può, altresì, raccontare l’epopea della Nazionale italiana di Pallavolo, una leggenda dello sport e un onore per lo sport italiano per l’inesauribile lista di premi che ha vinto, non ultimo il premio dalla FIVB quale Squadra del Secolo. Quello che comunque non deve mancare è l’aspetto psicologico e intimista degli atleti che, il più delle volte, arrivano
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a vincere dopo anni di estenuanti allenamenti e sacrifici in un mondo che a differenza del calcio non ha la stessa visibilità, non ha gli stessi stipendi, non ha le stesse strutture, non ha la stessa considerazione da parte delle Istituzioni... Quando parlate di Pallavolo, insieme ai vostri colleghi della TV, il più delle volte vi limitate a nominarla o a raccontare l’un gossip o l’altro, a mostrare l’atleta donna del momento che stupisce per le sue forme più che per i meriti agonistici... fortuna che c’è la diretta e quella, più di ogni altro progetto studiato a monte, è in grado con la sua imprevedibilità di emozionare ed esaltare. La pallavolo, cari cinematografari, è uno sport dove gli avversari non si toccano né dentro né fuori dal campo, i tifosi sono tranquilli, le dirigenze sono serie... quindi non
cercate l’espediente che faccia colpo, non v’aspettate violenza, non cercate lo scoop... è semplicemente uno sport e come tale tra movimento ed immagine, tra suono e colore, va preso e filmato. Sinceramente e affettuosamente. Claudio Talamonti
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ranze degli animalisti, hanno, alla fine, ceduto ad un altrettanto nobile fine: il denaro, grazie al quale riescono a trovare opportuna collocazione nella coscienza dei più i pensieri scomodi e l’abitudine alla loro presenza, fin quando diventeranno anche essi elementi estranei alle loro sensibilità. Giocondo Talamonti
S pirito, ideale e cultura dello sport nel cinema
CINEMATO GRAFARI
faticoso e tecnico, che non ha mai goduto di particolare considerazione da parte vostra nonostante non manchi il materiale su cui lavorare. Si possono raccontare, ad esempio, le storie individuali dei protagonisti e degli allenatori, oppure ricostruire le partite o i tornei più coinvolgenti
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per la sua e le nostre maglie subiscono violenze inaudite come il taglio della coda o il mulesing, cioè lo scuoiamento dell’area perianale che lascia la carne viva della bestia per evitare che il vello sottostante non si sporchi nella defecazione e per concentrare nella zona sanguinante le mosche che, altrimenti, sceglierebbero di depositare le uova sull’intero corpo dell’animale, obbligando gli allevatori a trattare la lana con dispendiosi processi di sterilizzazione. A proposito della strage dei canguri, il Ministro dell’Agricoltura Australiano Warreen Truss ha fatto sapere agli animalisti di tutto il mondo che il sistema adottato per uccidere le bestiole è umano e praticato da macellatori professionisti. Consolazione magra, che non
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Protagonisti del Vino Umbro
Patrizia Lamborghini L’Umbria del vino ha molte anime: tutte raccontano un’identità in divenire, depositaria sì di cultura e tradizione ma anche aperta alle trasformazioni, sensibile al rinnovamento. Di questo equilibrio dinamico, il comprensorio del Lago Trasimeno è un laboratorio privilegiato, una finestra da cui sembrano entrare luce e aria nuove con più energia che altrove. Forse perché qui la tradizione vitivinicola non ha radici così profonde come a Orvieto o a Montefalco; o forse perché il confine con la Toscana è lì a due passi, e le influenze dei successi ottenuti da quell’enologia si fanno perciò più dirette e tangibili. Resta il fatto che sulle colline di questo angolo nord-occidentale della nostra regione l’identità di frontiera del vino umbro trova interpreti particolarmente ispirati. È il caso del prof. Marco Fornaciari della cantina Fani-
ni, in contrada Cucchi a Petrignano; oppure, poco più a sud, del bravo enologo Fabrizio Ciufoli e della sua cantina di famiglia, la Poggio Bertaio, in quel di Frattavecchia di Casamaggiore; ma è anche il caso del notaio Biavati da Paciano, alfiere dell’apprezzabile selezione Duca della Corgna della locale Cantina Sociale, oltre che produttore in proprio di uno squisito Vin Santo, in tirature purtroppo assai limitate. Non lontano da Paciano, in località Soderi verso Panicarola, nel comune di Panicale, troviamo però l’azienda che con più energia delle altre ha saputo rilanciare l’immagine del vino del Trasimeno in un circuito decisamente più ampio di quello regionale, catalizzando per prima l’attenzione di consumatori e appassionati su rossi dal carattere deciso e moderno: è la cantina della tenuta La Fiorita di Patrizia Lamborghini, una protagonista del vino umbro di sicura personalità. Il cognome è di quelli che non passano inosservati, ma va detto che Patrizia lo porta con estrema disinvoltura: si tratta infatti della figlia di Ferruccio, l’indimenticato industriale emiliano ideatore dell’omonima casa automobilistica. Patrizia ne ha raccolto il testimone con determinazione e anche con grinta, continuando e anzi potenziando quell’ambi-
zione di produrre vini di qualità che il padre aveva già accarezzato al momento di acquisire la tenuta all’inizio degli anni ’70, in concomitanza con la cessione dell’azienda automobilistica. In parallelo all’attività vitivinicola, La Fiorita ha poi consolidato le sue risorse turistiche e può oggi offrire un appetibile agriturismo con dodici appartamenti di diversa grandezza, un’area attrezzata con giochi per bambini, due piscine e campi da tennis. Ma soprattutto un Golf Club con campo a nove buche, integrato da un ampio campo pratica, corredato da putting green e pitching green illuminati dove è operante una dinamica scuola di golf; nonché da un’accogliente Club House dove trascorrere piacevoli momenti di relax tra una gara e una lezione, in un ambiente familiare e confortevole, sotto la vigile e affettuosa regia della signora Annita, mamma di Patrizia. La vocazione sportiva è inoltre rafforzata dall’attività della scuola di paracadutismo Skydive Trasimeno, operante nell’aviosuperficie aziendale, con la quale sono stipulate convenzioni che consentono agli appassionati di effettuare voli panoramici e lanci entusiasmanti. E i vini? Quanto ad entusiasmo, i vini Lamborghini ne hanno suscitato molto, sia di critica che di pubblico: eccone qui accanto una veloce ricognizione. Giampaolo Gravina Vice Curatore della Guida Vini d'Italia de L'Espresso unoebino@tiscali.it
Trescone 2004 ***½ 100.000bt. 9€ Poche cantine nella nostra regione (e non solo) possono vantare un’etichetta prodotta in oltre centomila esemplari a questo livello di costanza qualitativa, con uno stile così definito e piacevole e un prezzo così abbordabile: il Trescone fa senz’altro scuola in questo senso, e possiamo collocarlo accanto al Rosso di Assisi dei fratelli Sportoletti di Spello, o al Rosso di Spicca della Tenuta Le Velette di Orvieto. Non a caso si tratta di vini che hanno in comune un analogo consulente enologico, assurto ormai al rango di star: Riccardo Cotarella. E se la sua fama varca oggi ampiamente i confini regionali e anche nazionali (Cotarella fa vino in Francia e perfino in Giappone!), è in aziende come questa che essa si è dapprima costruita e fatta apprezzare, trovando una particolare sintonia con vini di fascia medio-bassa nelle gerarchie aziendali, che sanno mettere le proprie doti di morbidezza e di polposità del frutto al servizio della piacevolezza della beva. Il nome Trescone esprime con tutta l’ambivalenza del caso le due anime dello stile enologico che Cotarella ha impresso ai vini Lamborghini: da un lato le doti di rustica immediatezza dei vitigni di base, sangiovese e ciliegiolo, rinviano il carattere comunicativo e solare del Trescone a quello dell’omonimo ballo tradizionale del tempo di vendemmia; dall’altro quella consapevolezza di piacere, e quasi di “trescare” coi gusti del pubblico, ne fa un rosso godibile e rassicurante, da cogliere in gioventù, con una piccola ma efficace integrazione di merlot. Con la vendemmia 2004 si torna ai livelli di solidità delle migliori annate. Campoleone 2003 **** 40.000 bt. 28 € Da un blend di sangiovese e merlot in quote pressochè analoghe, il Campoleone è tra le etichette di casa Lamborghini quella cui si deve la maggiore risonanza mediatica. E a ragione, dal momento che si tratta del vino che lascia cogliere con più evidenza il deciso salto di qualità propiziato dal tandem Patrizia Lamborghini/Riccardo Cotarella verso la metà degli anni ’90. Erede del mitico Sangue di Miura, il Campoleone fa però sua un’idea di rosso tutta diversa, fondata su impianti di densità superiore ai 5.000 ceppi per ettaro, con rese non più alte di 1 kg per pianta. Ottime dunque le basi estrattive, senso di piena maturità delle uve, bocca di bella convessità polposa, stile moderno ma senza eccessi dimostrativi, centralità della componente fruttata e apprezzabile tocco del rovere nuovo, che rilascia classiche sfumature di cuoio e di tabacco, benchè ci sia spazio anche per il risalto di un profilo sapido tutt’altro che banale. La lunga macerazione a contatto con le bucce, l’affinamento in barrique (dodici mesi) e poi in bottiglia (sei mesi) incrociano però in questo caso un’annata particolarmente siccitosa, e sarebbe perciò ingenuo non mettere in conto una certa tendenziale staticità di espressione. Per ritrovare la piena eccellenza, aspettiamo fiduciosi l’esito della vendemmia 2004. Torami 2003 **** 8.000 bt. 16 € Come è stato già scritto, la nuova creatura di Patrizia Lamborghini ha un suono vagamente giapponese, anche se in realtà ripropone un semplice episodio della toponomastica locale. E si lascia apprezzare per la buona integrazione di sangiovese e montepulciano, come di note vegetali e minerali, nonché per un bonus tannico che ne fa risaltare il profilo materico. L’annata secca ne limita ovviamente l’articolazione, ma nonostante questo versante un po’ monolitico, il vino ha ritmo e progressione al palato piuttosto rari per un esordiente, e va pertanto seguito con estrema attenzione alla prova di vendemmie meno ingenerose.
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eccellente ottimo buono discreto sufficiente difettoso
GG
L ’ a n g o l o
d e l
g r a n d a n g o l o
capo tribù si fronteggiano regalandoci uno dei dialoghi più pregni della storia del cinema: Comandante Essere qvesta terra di Cermania? Capo tribù Nain qvesta essere Virginia. Comandante Essere Virginia recione di Polonia? Capo tribù. Nain essere vicino Pittsburg. Comandante Chi cablavas los navos? Ciurma Joaquin Dalemas. Comandante matematigo! Capo tribù Ablante pure espanol che migo intendo. Comandante Voi ablate el nuestro idioma? Capo tribù. Anda hombre! Seguramente. Ciurma minchia palla spaDa quando si è sparsa la voce che è in uscita il nuovo film di Malik tutti gli appassionati di cinema aspettano trepidanti l’evento. Stiamo parlando di un (apro l’ifico) mitico regista che in quarant’anni ha girato tre film (chiudo l’ifico), giudicati da tutti autentici cult movie. Finalmente esce nelle sale e ringrazio Iddio di esser vissuto così a lungo. Sono così emozionato che neanche la
presenza di Colin Farrell, attore principale, attualmente posizionato in graduatoria tra Alberto Tomba e John Wayne Bobbit, fa scattare alcun campanello d’allarme. Forse riesce a farlo recitare, penso. Ma qualcosa di strano avviene prima dell’ingresso in sala. Veniamo assaliti da uno stuolo di maschere che ci offrono chi del caffè, chi sacchi di cocaina, chi intere confezioni di anfetamine. Accettiamo perplessi il caffè non comprendendo lo
strano comportamento del personale del cinema, e ci accomodiamo in sala pregustandoci, come dei vampiri, l’avvento del buio. E buio fu. L’immagine che ci investe è bellissima: un galeone spagnolo veleggia sull’acqua accompagnato dalle note dell’overture dell’oro del Reno di Wagner. La leggenda vuole che il musicista in preda ad un febbrone da cavallo fosse ossessionato da un mi bemolle che gli perforava il cervello. Bastò modularlo per ottenere l’effetto vorticoso ma composto del corso d’acqua. Per caso Malik ha utilizzato la partitura originale ancora infettata dal virus? Finalmente il galeone avvista terra, e mentre i marinai si preparano allo sbarco vengono accolti da una tribù di indigeni che oramai trasmettono il loro classico verso attraverso gli altoparlanti. Una volta sbarcati il comandante del vascello e il
invidia, di proprietà privata, di gelosia di questo popolo. In parole povere condannato all’estinzione. All’improvviso il marinaio più corto esordisce:
Attenzione siamo in un covo di comunisti!, ma viene messo subito a tacere. Durante i festeggiamenti gli indigeni riempiono delle lunghe canne con un materiale strano, che una volta aspirato rende le facce simili a lemuri a cui appare la Madonna. Questo provoca il risentimento del marinaio più lungo: Prendiamoli ed arrestiamoli, questo è reato! Io sono stato due giorni… Si ha ragione! lo interrompe il più corto. Per fortuna vengono stoppati dal pacioccone caporale Pieralonso: Voi due smettetela! A fare casini ci penso io. Fine della prima metà L’altra metà a lavoro compiuto. Orlando Orlandella
gnolo! Capo tribù Ciettamente o’ fratuzzu. Ciurma Santa Rrrosalia palla anche siculo! Comandante Zitti tutti! Parlate per caso anche italiano? Capo tribù Correntemente e financo correttamente. Ma veniamo al sodo. Avete per caso fischietti o anelli per il naso? Sapete noi ne andiamo matti. Comandante Hei amico! Potevamo non portarli con noi? Quanti ve ne pare e, mi voglio rovinare, ci carico su anche uno scatolone di accendini. In cambio però vorremmo quelle pietruzze gialle, non so se mi spiego… Capo tribù Ho capito, non ne abbiamo tante ma potete prenderle tanto non sappiamo che farne. Accompagnati al villaggio indiano i marinai vengono accolti cordialmente e constatano la genuina ospitalità, l’innocenza, l’allegria, la mancanza di
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