Homo politicus
Giampiero Raspetti
N° 3 - Marzo 2009 (63°)
Non c’è nulla di più privato della pubblica pubblicità. Onda anomala, si abbatte su di noi, inonda il nostro intimo, affonda la nostra privacy. Talk-show, ovvero spettacolo (sic!) di conversazione. Ma cosa ne è dell’intrattenimento in cui l’ospite rende, disinteressatamente, pubbliche le personali opinioni? In quelli più corretti fanno capolino, distrattamente ma non tanto, canzonette messe su disk, memorie messe su carta, spettacoli messi su, al fine del loro smercio. In quelli più sleali si vende l’indecenza, molto funzionale al mondo dei rotocalchi gossip, parola quest’ultima che gli addetti traducono con cronaca rosa, ma che in realtà significa monnezza o pettegolezzo becero. E quelli che dicono di interessarsi solo al puro spirito, al succo delle idee? Sono l’apoteosi del privato, della partitica, cioè. Di altro nettare si intendono. Il telegiornale è pubblico, si dice. Quando mai? E’ un fatto privato, diretto a e da privati, che fa servizi ai privati. Servizi agli editori, di un film, di una canzonetta, di un libro... alle modiste, perfino... Costoro pagano il doppio, o il triplo, per propinarci la pubblicità più forte, quella spacciata per notizia per tutti, da telegiornale, quindi pubblica, in teoria. E invece incide molto nel privato del dirigente. Diventa premio alla carriera, non solo per lui, ma per l’intera squadriglia che ha ingannato lo spettatore, il pubblico cioè. Facebook, ovvero Il grande Bazar della Pubblicità. Si pubblicizza di tutto: battaglie spaziali, cure dimagranti, pomate raddrizzanti, spettacoli, trapianti di capelli, tare mentali, vincite di soldi veri, cuori solitari, gite, pizze pasquali e... ‘gni sorta de vivanne rare. Pullulano i giovani in FB, la loro merce è il cazzeggio. Ma non sarà così ancora per molto. Gli adulti si stanno accorgendo del suo potenziale e se ne impossessano, per far politica, per vendere, per arraffare. I privati commercianti saranno tra poco tutti presenti; i politici non ne potranno fare a meno. Anche noi siamo su FB. Vendiamo prodotti particolari: essere vicini ai giovani e al mondo del lavoro senza ritorni d’immagine, men che meno partitici, con il solo desiderio di creare, rivoluzionare, esporre pubblicamente idee e progetti. Si rende oggi sfacciatamente pubblico anche il Segno che gelosamente custodivo nel mio privato. Quel segno che mia madre mi insegnò ad amare, perché rappresentava una persona buona, morta in croce per noi. Oggi quel segno viene violentato sistematicamente, stuprato con il segnarlo due, tre volte e sterminarlo con il bacio a terra... un, due, tre... tocco terra... Quell’uomo buono... preso a servizio dalla scaramanzia per un malleolo! E nessuno ha niente da dire! Non c’è nulla di più partitico della pubblicità, nel terzo pianeta del Sole.
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L’educazione sentimentale delle fanciulle, F P a t ri z i Università, classe dirigente..., A Mel a secch e L’illusionismo verbale di Bergonzoni, B R a t i n i Date a rovescio, P F a b b ri Vattimo e il pensiero debole, P S eri Il giusto messaggio ai giovani, G Ta l a m o n t i Tunnel, J D a n i el i DANESI Progetto Mandela A spasso nel tempo e nello spazio, S R a sp et t i Concorso L’amore in un clic Liceo Classico Tacito Liceo Scientifico Gandhi Una mobilità sostenibile, J D ’ A n d ri a Il piacere..., C C a rd i n a l i Diritti umani, M R i cci SUPERCONTI OSPEDALE DI TERNI, E R u ff i n el l i , D G h i o n e QUANDO MI CHIAMERAI DONNA, S Im p eri Arte e società a Terni, MT P a sq u i n i Ottavio Coletti e Rinaldo Giannelli, S B el l ezza Astronomia, T S ca cci a f ra t t e, G C o zza ri , F G u erri Astronomia, P C a sa l i , F Iso a rd i Va l en t i n i
Figli dell’epoca Siamo figli dell’epoca, l’epoca è politica. Tutte le tue, nostre, vostre faccende diurne, notturne sono faccende politiche... ...Ciò di cui parli ha una risonanza, ciò di cui taci ha una valenza in un modo o nell’altro politica. Perfino per campi, per boschi fai passi politici su uno sfondo politico. Anche le poesie apolitiche sono politiche, e in alto brilla la luna, cosa non più lunare.... Wisława Szymborska
L’educazione sentimentale delle fanciulle
Università,classe dirigente, sviluppo futuro
In un frammento dei papiri di Ossirinco recentemente ritrovato, c’è un asino sapiente che si prende cura dell’educazione sentimentale di una giovin fanciulla. Sullo sfondo del molle erotismo tardoellenistico, la ragazza impara che la seduzione della bellezza è un’arma a doppio taglio: o si usa come strumento di dominio, come insegnava Saffo alle allieve del Thiaso, o si finisce dominate dalla stessa, come si apprende dalla casistica delle fanciulle dei romanzi ellenistici gettate dalla beltà in balìa della sventura, vedi l’esemplare vicenda di Calliroe, eroina del romanzo di Caritone di Afrodisia che, oggetto dell’invidia delle comari, viene uccisa dal geloso marito; ma la bellezza non la lascia neanche riposare in pace, giacché la notte stessa la tomba viene profanata da un manipolo di pirati che intende rubare non solo i preziosi orpelli, ma anche l’incorruttibile charme della defunta, la quale, come in un film di Buñuel, al bacio necrofilo del corsaro, riapre gli occhi e torna in vita. Ridestata perché ancora bella, l’eroina decide di volgere le grazie a proprio vantaggio seducendo satrapi e pirati per ricongiungersi infine con l’amata dolce metà. L’importante è non lasciarsi sfruttare, ma imparare a mettersi a frutto. Una lezione che le post femministe della fascia televisiva preserale hanno ben appreso, facendo della propria fisicità una realtà economica, un’impresa a gestione epidermicoindividuale che la finanza creativa in voga nel nostro paese dovrebbe quanto meno inserire nel PIL. Perché una sesta misura di seno che riempie il 16/9 dello schermo al plasma o un ritocchino a sessanta anni dell’ex ragazza del Piper non sono solo limature di labor siliconis, ma rientrano in un piano di posizionamento del corpoazienda sul mercato. Le Belle Ragazze sono state elevate, nella Critica della Ragion Estiva della scuola governativa, a categoria trascendental imprenditoriale, icone neoplatoniche, figure contemplative, si va bene, ma anche rampanti manager del wonderbra capaci di smuovere le armoniose sfere per sedersi sugli alti scranni della Camera. Ricordate la denuncia di Veronica Lario nella famigerata notte hegeliana dei Telegatti (quando tutte le vacche sono belle)? Il celebre coniuge si illanguidì davanti ad una ex velina e Veronica affidò ai giornali il suo disappunto. D’accordo che l’oggetto di quei vezzeggiamenti è oggi ministro, ma non si trattava di una questione di gelosia, Veronica metteva in guardia la donna (moglie, velina, ministra) contro l’uso militaresco della bellezza e le sue scellerate conseguenze: attente a non lasciarsi travolgere dalle doti apparenti, sia in vita che post o in quel che c’è in mezzo, perché poi… Mi dicono che Eluana è ancora una bella ragazza e che ha ancora le mestruazioni (citazione testuale dal Capo del Governo). Attenzione donne, l’involucro muliebre vi inseguirà fino allo Stige, quando non sarete più una persona cosciente, ma un corpo apparente, presunta fucina vegetativa di vita e oggetto impassibile di quella beltà incorruttibile che secondo la Scuola Neoplatonica muove l’universo e che secondo la Scuola Billionaria fa sussultare il blazer blu. Prima di bere l’acqua del fiume Lete e dimenticare questi anni, ascoltate il richiamo di Veronica Lario, la (dolce?) metà di niente, come lei stessa si definì citando la Dunne: ragazze, dignità! L’educazione sentimentale delle fanciulle è tutta da rifare. Francesco Patrizi
Ormai è comprovato, le realtà internazionali che con più efficacia sono riuscite a produrre innovazione, sono originate dal basso, soprattutto dalla spinta imprenditoriale. I governi possono influire soprattutto su alcune condizioni di partenza attraverso incentivi istituzionali, capitale umano, infrastrutture e domanda tecnologica, ma non riescono da soli ad innescare quel processo se non è presente una peculiare componente imprenditoriale che funga da detonatore, prima, e catalizzatore dello sviluppo, poi. Maggiore è l’apertura mentale della classe dirigente, la differenza cognitiva e di valori anche civili, la consapevolezza del proprio ruolo, la sua indipendenza dalla classe politica, prima ancora della ricchezza di cultura tecnologica e gestionale, maggiore sarà la sua capacità di agire in modo interattivo e di stimolo anche nei confronti della politica. Per superare la tendenza delle imprese a seguire percorsi tradizionali, quando non anche a rinchiudesi in un limbo rinunciatario, è fondamentale la permeabilità delle stesse nel recepire gli stimoli dell’ambiente con cui interagire. Da questo punto di vista anche gli Enti Locali, superando il vecchio ruolo di dispensatori di servizi alle sole famiglie hanno il compito di introdurre incentivi che portino le aziende a comunicare con l’esterno, a contaminarsi. Altri elementi fondamentali sono sicuramente la cultura dell’innovazione con l’alfabetizzazione tecnologica, un atteggiamento favorevole nei confronti dell’innovazione e poi il pensiero creativo alla ricerca di nuove soluzioni ai problemi. Atteggiamenti questi che dovrebbero essere insegnati ai bambini fin dai primi anni di vita, incluso quello positivo nei confronti del rischio e del possibile insuccesso. Importante è anche il ruolo dell’Università, come luogo dove ricercatori e imprenditori possano scambiare riflessioni, confrontarsi ed integrare reciprocamente le attività di ricerca oltre a quello istituzionale, legato alla formazione, all’assistenza tecnica, al trasferimento di risorse umane, etc. Mentre gli stati dell’UE convogliano in media l’1,3% del Prodotto Interno Lordo nell’istruzione di livello superiore, gli Stati Uniti spendono il 3,3% del PIL, proveniente in gran parte dal bilancio statale. A questo si aggiungono le tasse universitarie, piuttosto alte, pagate dagli studenti, e il denaro delle sponsorizzazioni private. Non stupisce quindi che, con un tipo di input finanziario del genere, per di più in un clima fortemente meritocratico, l’output educativo sia di qualità superiore. Per quanto possa la valutazione essere di parte, è noto che, nella graduatoria mondiale delle Università, l’Academic Ranking of World Universities, ne pone soltanto tre non americane. I tempi tuttavia stanno cambiando: da un lato, eccetto poche università, le finanze di molte istituzioni americane non sono più solide come lo sono state negli ultimi vent’anni, mentre, dall’altro, alcuni governi europei consentono alle loro università di diventare imprenditori di se stesse, di raccogliere fondi dagli ex-studenti e dalle industrie. Tutto questo dovrebbe farci riflettere quando si criticano alcuni aspetti delle riforme tentate in Italia e si osteggiano in modo ideologico le aperture ai privati. A Terni, occorrerebbe maggiore lungimiranza nell’affrontare questo tema, onde evitare di ritrovarci fra qualche anno di fronte a scelte drastiche ed irreversibili imposte dal sistema nazionale. Vanno razionalizzati i corsi di laurea che attraggono solo pochissimi studenti ed occorre viceversa investire su quelli che si intendono potenziare. Occorre puntare ad un rapporto alto con le multinazionali a cominciare dall’AST ed alla chimica e con le Associazioni di categoria che dovrebbero esprimere una classe dirigente all’altezza di queste sfide, pronte a creare nuovi scenari piuttosto che badare soltanto ai piccoli o grandi problemi del quotidiano. In una società sempre più dinamica, in una situazione di crisi mondiale ormai così profonda, nulla è più scontato. La politica non brilla, ma occorrerebbe chiedersi se non sia lo specchio della società civile di riferimento e soprattutto della classe media e di quella imprenditoriale esistente. Se si crede veramente che il Polo Universitario di Terni possa vivere di luce propria, in grado di crescere e scambiare valore aggiunto con questo territorio, occorre che la nuova Giunta Comunale sia in grado di esprimere valori e sfide, qualità e progetti, impegnando la classe imprenditoriale ad investire quote di un certo significato nella ricerca e nella didattica. Potremo sperare di vedere mai a Terni qualche studente che, invece di andare negli USA, possa trattenersi qui da noi per un Dottorato di Ricerca utile per le sfide che la vita oggi alessia.melasecche@libero.it impone?
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Date a rovescio
Non conoscevo il teatro di Alessandro Bergonzoni, ma di certo non mi aspettavo che il suo Nel potesse somigliare tanto a uno spettacolo di magia; di illusionismo verbale, per la precisione. Cosa fa l’illusionista? Per definizione crea l’illusione di un accadimento magico nella mente degli spettatori. E può farlo sfruttando alcune falle della psicologia umana come fessure attraverso le quali infiltrarsi. Ad esempio la mente attua inconsciamente il procedimento del completamento logico: date due azioni non consequenziali, il cervello conclude che debba esistere almeno una terza azione, intermedia, che porti dalla prima alla seconda. Come terza azione sarà scelta la più semplice disponibile. Un esempio banale, ma efficace: la pallina si trova nella mano destra che si avvicina all’altra mano, e compare successivamente nella sinistra; la mente suggerisce che la pallina sia stata passata da una mano all’altra. Come ci è arrivata? ci si chiede. La stessa domanda si pone assistendo a Nel: come avvengono certi passaggi? Essi procedono proprio attraverso le falle mentali, cavalcano le parole e sfruttano i giochi potenzialmente infiniti del linguaggio. Nello spettacolo per cui Bergonzoni ottiene il premio Ubu 2009 come miglior attore, c‘è chi ha sempre qualcosa in serbo per un croato, e c’è il figlio incestuoso che prima di accoppiarsi con la madre si chiede cosa accadrà in seguito, perché è affetto dal complesso di E dopo. C’è chi fa il presepe in cucina per mettere a bagno Maria, e chi sostiene che una frazione di Lodi sia una parte di complimenti vicino a Milano. C’è la donna superficiale che giura amore esterno e c’è la donna che si accontenta e si chiama appunto Eva be’. Ci sono i body guard rail e il salone della natica. E al cliente che ha ordinato un millesimo di secondo, il ristoratore non vuol portare neppure le posate. Ma se c’è una corsa di capelli, come si fa a capire chi è in testa? In platea aleggia un inespresso ma come fa? tra lo stupore di chi assiste a un evento straordinario e il fastidio di chi tenta di scoprire il trucco ma non ci riesce. L‘illusionista verbale è in grado di produrre autentici prodigi con le parole, che ad ascoltarli le orecchie, se potessero strabuzzare, strabuzzerebbero. Il prestigiatore, attraverso la tecnica chiamata misdirection, distrae il pubblico attirandone l’attenzione su elementi secondari, mentre compie indisturbato gesti essenziali che non devono essere visti: gliela fa sotto il naso. La misdirection verbale di Bergonzoni è permanente: egli lancia la bomba che esplode, insieme alle risate, mentre ne ha già tirata un’altra da un’altra parte. Beatrice Ratini
Qualche settimana fa, in un telefilm della serie NCIS si è notato un veniale errore da parte dei traduttori del copione. Uno dei personaggi ha detto infatti qualcosa del tipo il passaporto del sospetto ha il visto datato 7 Novembre, due giorni prima dell’attentato alle torri gemelle, che è affermazione che un telefilm americano non può davvero permettersi di fare, visto che la data dell’11 Settembre è probabilmente marchiata a fuoco nelle meningi di ogni statunitense. E’ piuttosto assai probabile che l’errore risieda nella traduzione: la data dell’attacco al WTC di New York noi la segniamo come 11/9, ma gli americani invertono le posizioni di giorno e mese, scrivendo 9/11; e se la data su copione originario fosse stata scritta così, in cifre, è possibile che chi ha adattato il testo originale abbia frettolosamente sottratto alla maniera europea i due giorni prima alla data fatidica, ottenendo 7/11, appunto il sette Novembre. Per quale ragione gli americani leggano nelle date prima il mese e poi il giorno lo ignoriamo: certo è che l’usanza dà adito a strane coincidenze, e rende perfino possibile qualche facile indovinello. La coincidenza più clamorosa è probabilmente quella che chiama in ballo proprio il nine-eleven: è certo curioso che il disastro maggiore del dopoguerra sul territorio USA sia avvenuto proprio nella data che ha lo stesso numero delle chiamate telefoniche d’emergenza: appunto 911, che ha la stessa funzione del nostro 118. Per quanto riguarda l’indovinello, occorre notare che non tutte le date possono dare adito ad equivoci tra le due sponde dell’Atlantico: ad esempio, che si scriva il giorno di Natale come 25/12 o come 12/25 cambia poco, nel senso che non è comunque possibile confonderlo con un altro giorno del calendario. Quindi la domanda che si può fare è: quante sono le date che possono dare adito a fraintendimenti, in tutto il calendario? Una occasione più allegra dell’attentato alle Torri per ricordare l’americana abitudine di invertire mese e anno si ha con la rituale celebrazione, più o meno in tutto il mondo, del Pi Day ogni 14 di Marzo. Il Pi in causa è ovviamente pi greco, ovvero il rapporto tra circonferenza e diametro del cerchio, e il 14 Marzo come data celebrativa non è stata scelta perché è il giorno di nascita di Einstein (questa è piuttosto un’altra curiosa coincidenza), ma perché leggendo la data all’americana si ha 3/14, con ovvio richiamo al 3,14 ovvero all’arrotondamento più classico di pi greco. Quel che è certo, coincidenze e curiosità a parte, è che Marzo sembra ormai davvero candidarsi a mese universalmente dedicato alla matematica: oltre al Pi Day di respiro internazionale, anche in Italia sembrano accumularsi gran parte delle manifestazioni matematiche proprio in questo mese. Tra il 19 e il 22 Marzo si terrà all’Auditorium di Roma la terza edizione del Festival della Matematica, che quest’anno ha per tema Creazioni e Ricreazioni Matematiche, e che vedrà fior di ospiti, matematici e non, italiani e non. A Venezia, invece, tra il 27 e il 29 Marzo si terrà la tredicesima edizione del convegno Matematica e Cultura (www.mat.uniroma1.it/venezia2009) che ogni anno getta un ponte importante tra la matematica, l’arte e le altre discipline. Il 20 Marzo, invece, a Torino si svolgerà la Festa della Matematica (www.festadellamatematica.bussola.it), giornata dedicata a gare per studenti delle superiori e per il pubblico e a conferenze più o meno serie. Tutto questo sommovimento marzolino è davvero merito della cifra 3 contenuta nel 3,14 di pi greco? Probabilmente sì; anche perché non è solo il terzo mese dell’anno ad essere molto matematico, ma anche il quattordicesimo giorno di ogni mese. In quelle date, alcuni tra i blog matematici d’Italia si danno appuntamento per raccogliere e diffondere a turno la matematica apparsa in rete. Una specie di passaparola tra blog, che prende il nome di Carnevale della Matematica (riferimenti e notizie dei blog ospitanti su http://matematti.iobloggo.com). Insomma: date diritte o rovesciate, mesi o giorni speciali, tutte le scuse sono buone per parlare di numeri. Piero Fabbri
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L’illusionismo verbale di Alessandro Bergonzoni
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Uno dei più noti e più discussi filosofi contemporanei è senz’altro Gianni Vattimo il quale da sempre ha unito l’impegno filosofico con quello politico, iniziando negli anni ’50 come dirigente degli studenti cattolici per poi confluire nei radicali e nella sinistra italiana. Egli si batte per il rinnovamento della società in senso pluralista e postmoderno in contrapposizione al rigido dogmatismo e alla intransigenza della modernità. Tra le moltissime opere pubblicate e tradotte in varie lingue, ricordiamo: Il pensiero debole (1983) e La fine della modernità (1985) che illustrano meglio la sua concezione filosofica. Vattimo è uno dei massimi esponenti del pensiero debole alla cui base sta l’idea che non esiste alcuna possibilità da parte del pensiero di affermare una verità stabile o definitiva. In passato ogni sistema filosofico aveva come obiettivo quello di racchiudere in un complesso di regole rigide il senso dell’esistenza, ma questo tentativo si è storicamente risolto in un fallimento, dimostrando che non esiste alcuna verità stabile. La filosofia deve quindi percorrere una nuova strada: non ricercare più la verità assoluta, ma adeguarsi all’idea che esiste una pluralità di verità relative. Il pensiero debole si adegua al mutamento incessante della realtà, mostrandosi in grado di accettare la molteplicità dei punti di vista senza imporne qualcuno come assoluto e incontrovertibile. A questo punto sorge spontanea una domanda: come si pone il pensiero debole nei confronti della ragione? Da sempre la ragione è stata lo strumento, a volte l’arma con la quale il filosofo fonda le sue teorie, ora, invece, nell’ottica dell’indebolimento delle strutture filosofiche, etiche e sociali, anche essa viene ridimensionata, subendo un depotenziamento. La ragione non è più in grado di fondare alcuna certezza, alcun senso forte, ma si pone come depotenziata, flessibile. In altri termini: la ragione, tramite la quale i filosofi del passato volevano stabilire verità forti, ha storicamente fallito, per cui oggi, di fronte all’incessante mutamento della realtà, anche essa tende ad aprirsi alla molteplicità del mondo, abbandonando il secolare ruolo di conoscenza immutabile ed incontrovertibile. Sotto questo aspetto sono evidentissimi i legami delle teorie di Vattimo con la cultura postmoderna ed in particolare con pensatori come Lyotard, Derrida, Gadamer, Heidegger, alcuni dei quali sono stati oggetto di precedenti articoli. Il pensiero debole si contrappone a quello che il filosofo chiama pensiero forte. Quest’ultimo è quella forma di pensiero che intende imporsi escludendo ogni differenza e proponendo un unico principio monolitico a cui ogni cosa si deve uniformare. Si attua così un vero e proprio monopolio che impedisce alle differenze di avere pari dignità, in palese contraddizione con la molteplicità del reale. Nel pensiero forte è insita una forma di violenza che non permette il riconoscimento della realtà imprevedibile e caotica. Di conseguenza i suoi fautori strumentalizzano le ideologie per imporre un sistema di dominio sugli altri che risulta prevaricante ed arbitrario. Il pensiero forte, nel tentativo di ingabbiare la realtà, opera di fatto una limitazione alla energia vitale e alla libertà di ciascun uomo. L’Idealismo, il Positivismo, il Marxismo che hanno dominato l’età moderna ne sono la manifestazione più tipica. Vattimo sostiene che nella realtà non esistono gerarchie o scale di valori assoluti, ma solo delle differenze ognuna delle quali ha pari dignità e legittimità rispetto alle altre: non esiste una verità assoluta, ma più verità che godono degli stessi diritti su un piano di uguaglianza e di parità. Sotto l’aspetto etico e politico, il pensiero debole di Vattimo auspica il riconoscimento delle diversità come aspetto proprio del progresso civile. Ogni minoranza possiede l’espressione della sua identità come fatto legittimo, ogni differenza ha diritto al rispetto ed è meritevole della stessa attenzione, di qui il riconoscimento delle istanze di gruppi minoritari culturali, razziali, femminili, omosessuali. Le ideologie forti con il loro dogmatismo producono solo scontri e violenze, mentre il pensiero debole, riconoscendo a tutti pari dignità, auspica il dialogo inteso non solo come scambio di esperienza e di cultura, ma anche come rispetto della personalità dell’altro nella sua diversità. Pierluigi Seri
Vattimo e il pensiero debole
Un anno di squalifica per i giocatori di calcio Mannini e Possanzini, rei di essersi presentati al test antidroga con trenta minuti di ritardo. Era ora. Anche per questi privilegiati del pallone speriamo che finisca la pacchia. Basta con quei poveri ciclisti che debbono portare la croce dell’infamia e passare per quelli che s’alimentano solo a pasticche. Finalmente, hanno beccato due furbetti che, con la scusa di dover assistere alla lavata di capo dell’allenatore nello spogliatoio, dopo una sconfitta, si sono attardati e sottratti agli inviti dell’ispettore di farsi prelevare sangue ed urine. Gode chi ha sempre supposto che ci fosse del marcio nel calcio; s’erge a censore chi del pallone non crede esistano linee formative; si stropiccia le mani chi ha subìto per anni l’accusa di bombarolo anche quando era sufficiente ingoiare un Pocket Coffee per registrare livelli di caffeina tali da far gridare allo scandalo. La punizione ai due calciatori l’ha inflitta la Wada, un tribunale internazionale, dopo che la Federazione italiana aveva chiuso la faccenda con 15 giorni di sospensione, visto che al test nessuno dei due risultava positivo. Ma quante cose si possono fare nella mezz’ora che precede la prova per falsificare i risultati? Tante. Si possono assumere sostanze che annullano la presenza degli elementi di cui il test va alla ricerca, si possono scambiare provette, si possono scambiare persone, ecc. Tutto questo non è successo, perché l’incaricato al prelievo non solo è stato informato del ritardo per le ragioni già dette, ma è stato invitato ad intervenire alla reprimenda nello spogliatoio per non perdere di vista i due interessati. Invito rifiutato per questioni di privacy, oggi tanto di moda. E allora? Che cosa è successo? Sembra che alla voglia di apparire efficienti, intransigenti, inflessibili, specie con gli italiani, notoriamente astuti e machiavellici, la Wada non abbia resistito. Se una punizione serve ad educare, a scoraggiare ogni forma di trasgressione, nel caso specifico non si capisce dove sia la commisurazione della pena alla colpa. Trenta, (diconsi trenta) minuti di ritardo a presentarsi ad un test, dal quale non è risultata alcuna positività, puniti con un anno di squalifica dall’attività sportiva, è come condannare alla ghigliottina chi s’è fregato una mela passeggiando a piedi nella Val di Non. Ancora una volta s’è persa un’ottima occasione per mandare il giusto messaggio ai giovani. Si è corso dietro all’annuncio mediatico e alla severità della pena per dimostrare una superiorità decisionale. Ma l’effetto è esattamente l’opposto. La stessa Wada non si è espressa sulla stessa linea con il caso Fuentes, non si è impicciata nel caso Armstrong, ha chiuso gli occhi su Contador e tanti, tanti altri. Che monito potranno trarre i giovani da tutto questo? E’ il caso di spiegare loro che il doping nello sport non è solo l’assunzione di sostanze proibite, ma può riguardare, condizionare, indirizzare, mascherare, evidenziare scelte di bottega, ancor prima che politiche, per poi spacciarle come verità assoluta? La speranza, ma anche la certezza, è che i ragazzi di oggi sanno leggere molto meglio di quanto qualcuno pensi, sono in grado di distinguere situazione da situazione, comprendere i motivi che dettano una scelta, dare il giusto peso alle colpe e condannare ogni tentativo di sminuire il valore dello sport imbroccando vie traverse, utili solo a distruggere il corpo, avvelenare la coscienza, calpestare i princìpi che sottostanno ad una sana competizione, ignorando il rispetto per l’avversario e la propria dignità di sportivo e di uomo. Comunque, le indicazioni per i giovani devono venire dalla famiglia e dalla scuola, chiamata ad un compito difficile, ma indispensabile, per creare i presupposti di una società più giusta ed equilibrata. Ing. Giocondo Talamonti
Il giusto messaggio ai giovani
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Le rose della memoria
Ancora una volta, per non dimenticare, il 27 Gennaio si sono ricordati i drammi della Shoah: le atrocità compiute dai nazisti e le urla soffocate degli innocenti. Anche quest’anno il Centro per i Diritti Umani di Terni ha voluto celebrare questa giornata con la messa in scena, presso il Teatro Verdi, dello spettacolo Rose sbocciate dal fango della regista Irene Loesch prodotto in collaborazione con i laboratori di Progetto Mandela e con il sostegno degli Assessorati alla Cultura e alla Scuola del Comune di Terni. La rappresentazione è ambientata nel campo di concentramento femminile di Ravensbrück, costruito inizialmente per la detenzione preventiva e la rieducazione delle oppositrici del regime. Ospiterà infine circa 132.000 detenute, provenienti da quarantasette nazioni, tra cui pacifiste, donne ebree, rom e sinti con i rispettivi bambini, delinquenti comuni ed asociali. La storia racconta episodi di vita nel lager, ispirati alle coraggiose testimonianze scritte dalle detenute che avevano dato vita clandestinamente ad uno straordinario patrimonio culturale e artistico. Nonostante le torture e i tentativi di annientamento della personalità e della dignità umana, le donne erano riuscite ad organizzare di nascosto spettacoli, scrivere poesie e cantare, trovando in questo la forza per andare avanti e non morire, nella speranza che prima o poi sarebbero uscite da lì. Lo spettacolo va fuori dagli schemi: non è solo un vedere e compatire le donne nel lager, ma porta ad una partecipazione composta alla loro sorte e suscita grande stupore e ammirazione per la forza d’animo che testimoniano. L’olocausto è visto da più angolazioni e su due piani narrativi: da una parte una giovane ragazza, che accudisce un’anziana ex sorvegliante nazista, legge dal diario di una sua parente rinchiusa a Ravensbrück; l’ex sorvegliante, nell’impossibilità di parlare, per contro riafferma con il suo pensiero imperterrita le buone ragioni del Führer, le buone condizioni delle detenute e giustifica l’uccisione di tante delinquenti con una pazzia morbosa; dall’altra parte si svolge la vita delle detenute nel lager. Il punto cruciale dello spettacolo sta nell’opposizione tra il buio, il fango, la morte e la vita, l’arte, le donne e le rose. Forse difficile è la comprensione del titolo che riprende proprio una delle poesie di una detenuta. Nonostante ciò la valenza delle rose è stata chiara: le rose raccolte e ripulite dal fango sono il simbolo delle donne che dal nulla si sono rialzate e hanno fatto nascere qualcosa di veramente vitale. Facciamo si che anche nella nostra mente e nei cuori queste vittime non rimangano nel fango, ma siano il monito per ciò che non si deve più ripetere.
Gli internati del Galilei
Le classi prime del Liceo Scientifico Galileo Galilei, nell’ambito delle celebrazioni per la giornata della memoria, hanno riprodotto dei simboli degli internati nei lager e hanno visto un documentario sull’apertura del campo di concentramento di Bergen-Belsen da parte degli inglesi. Queste iniziative, promosse dal Centro per i diritti umani ed in particolare dal professor Marcello Ricci, hanno come obiettivo la sensibilizzazione dei ragazzi rendendoli partecipi in prima persona. Gli alunni delle prime hanno realizzato i simboli dei vari detenuti e poi li hanno indossati immedesimandosi nei prigionieri schedati e nell’atrocità di tale gesto. Nello studio dei vari simboli ci si è resi conto di quanto la mente umana possa essere spietata e diabolica. Si poteva distinguere in base al colore del simbolo se il detenuto era un politico (rosso), un criminale comune (verde), un emigrante clandestino (celeste), un testimone di Geova, un omosessuale o un nomade. La forma stabiliva invece se era un recidivo, un ebreo o un internato dei battaglioni penali. Tra i simboli speciali c’erano invece quelli per contaminatori razziali, sospetti di evasione o membri delle forze armate. Questa catalogazione è la manifestazione della follia nazista che, ispirandosi alla superiorità di una razza su un’altra, ha ridotto milioni di individui a semplici numeri e simboli. Maria Laura e Chiara Bianchini
Genova e i giovani no global
Quest’anno il progetto Mandela si occupa dell’impegno dei giovani nella seconda metà del ‘900 e nello spettacolo finale dei laboratori uno dei temi trattati riguarderà i fatti del G8 di Genova. Tra il 19 e il 22 luglio 2001, in occasione dell’incontro dei rappresentanti delle più grandi potenze mondiali, migliaia di giovani appartenenti ai movimenti no-global e a varie associazioni pacifiste hanno manifestato contro le politiche neoliberiste e neoimperialiste dei capi di Stato partecipanti al meeting. Inizialmente i cortei avevano manifestato in modo pacifico, ma alle prime violenze dei black-block, l’ala estrema del movimento, è iniziata una vera e propria guerriglia urbana con le forze dell’ordine. La giornata del 20 luglio è stata la più drammatica a causa dell’uccisione del giovane Carlo Giuliani in piazza Alimonda dovuta ad un colpo di pistola sparato da un Defender dei carabinieri. Nei due giorni successivi le violenze sono continuate raggiungendo il culmine con il pestaggio da parte di alcuni poliziotti dei giovani all’interno della scuola Diaz e con le violenze presso la caserma di Bolzaneto. Questa manifestazione in occasione del G8 di Genova rappresenta uno degli ultimi eventi che hanno visto protagonisti i giovani impegnati per un mondo migliore. Marco Mengoni, Edoardo Santoni
Giovani sbocciati dal fango
Per un altro anno i ragazzi sono i protagonisti del teatro grazie al Progetto Mandela. Il 26 e 27 marzo si terrà lo spettacolo conclusivo dei laboratori del Progetto, che avrà come tema centrale l’impegno dei giovani in vari episodi della seconda metà del Novecento. Lo spettacolo è stato creato da ragazzi coordinati da esperti, che hanno unito la loro professionalità all’entusiasmo dei partecipanti. Proprio questo è l’ingrediente fondamentale che ha reso il Progetto Mandela così unico: i ragazzi collaborano durante l’anno alla realizzazione dello spettacolo finale, dimostrando che i giovani non sono tutti fannulloni. Il Progetto rappresenta un momento di svago e di distrazione, in cui però si affrontano temi attuali attraverso i lavori dei vari laboratori: Drammaturgia, Recitazione, Scenografia e Comunicazione; l’apporto di ogni gruppo è fondamentale per l’ottima riuscita dello spettacolo. Il laboratorio di Drammaturgia scrive la sceneggiatura, tratta da immagini significative, documenti e spunti nati dall’improvvisazione degli attori che partecipano al laboratorio di Recitazione. I ragazzi di Scenografia propongono idee e realizzano gli scenari e le ambientazioni, mentre il gruppo di Comunicazione ha il compito di raccontare all’esterno i lavori del Progetto, tramite articoli, trasmissioni radio, immagini e video. Lo spettacolo di quest’anno è stato realizzato per dimostrare quanto i giovani delle varie generazioni abbiano contribuito a scrivere una pagina di storia: la Resistenza, il Sessantotto, l’alluvione di Firenze, la protesta di Piazza Tiananmen, la caduta del muro di Berlino, il G8 di Genova. La creazione della sceneggiatura ha avuto come punto di partenza immagini significative che tutti ricordano: Tank Man che fronteggia immobile i carri armati cinesi, gli angeli del fango che salvano documenti e opere d’arte di valore inestimabile; testimonianze scritte dei protagonisti di quelle stesse vicende: le lettere dei ragazzi della Resistenza condannati a morte. La ricerca dei testi è stata molto minuziosa; le scene sono accompagnate da musiche contemporanee ai periodi rappresentati. Giulia Aguzzi, Diletta Lanini
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A spasso nel tempo e nello spazio In un momento qualunque... passi di persone, lenti, decisi, scattanti, incerti, si diressero verso lo stesso punto, l’aeroporto... per affrontare insieme un tempo ed uno spazio lontani. L’incontro ci fu, superficiale e appena accennato, con una sorta di sorriso semichiuso e tirato, trattenuto dal pudore atavico di proporsi, di mostrarsi. In molte etnie, del resto, sono bandite le foto perchè nell’ immagine impressa la persona potrebbe rivelare l’anima attraverso un lampo di occhi, un accenno di sorriso compiacente, una ruga sollevata dalla sorpresa dell’incontro e l’anima, messa a nudo, non è più soltanto sua. Tra molte etnie, lo spirito aleggia tutt’intorno ed è la ricchezza vera ed unica che impregna l’ambiente nel quale sono immersi gli indigeni. Gli indios maya hanno il fiato della foresta che sospinge i loro passi e sono accompagnati da miliardi di creature, invisibili e corpose che invadono l’intreccio delle piante, altalenano con le liane, passeggiano sulle radici maestose che dal terreno prorompono. Dentro la foresta, finalmente ciascuno con se stesso, poteva lasciarsi indietro le scorie di una società d’oltre oceano che pullula tra gli intrigati labirinti di cemento, che inciampa sugli ostacoli di una vita affannosa e affaticante e i cui habitat odorano, in alcune oasi periferiche, di terra bagnata solo dopo un acquazzone. Poi, dirompente, il sipario si apre tra gli intrecci di fogliame e... costruzioni maestose appaiono svettanti verso il cielo per esaltare il potere, per creare l’illusione del divino, per dominare la massa urlante dei piccoli uomini del passato. E lì, dove tutto è vibrante di vita, la morte compare come atto di salvifica offerta: al dio che chiedeva di essere saziato, si donava la purezza di una vergine, la forza di un giovane uomo. Creature decapitate, il cuore estirpato dal petto e innalzato verso quel dio che si intuisce aleggi in alto perchè dentro ed intorno a noi non si vede, non si sente. Il cuore, simbolo della vita e sede dei sentimenti, veniva oltraggiato allora come ora: con l’indifferenza, l’intolleranza, la prevaricazione, l’ingiustizia sociale, la sporcizia morale. Anche da vivi si può essere morti. Nei villaggi maya, il contrasto di epoca è sorprendente. La scuola, lineare e moderna, frequentata da ragazzi in jeans e zainetto a tracolla, pulmini per il trasporto; grandi capannoni con tetto spiovente di foglie di mais, all’interno della foresta, e indigeni, provenienti da villaggi lontani che arrivano ogni mattina per frequentare il livello basico, elementare ( scuola media), alberghiero/turistico. E in chiesa, appena lì accanto, si assiste sgomenti a rituali tribali, a sacrifici di animali; tra statue di santi della religione cattolica, transitano sciamani attorniati da fedeli cultori di una magia antica e suggestiva. Dovunque una miriade di candele di ogni colore, per chiedere di debellare malefici, di estirpare mali oscuri. Accovacciate per terra, su un tappeto di aghi di pino, le santone, versione femminile dello sciamano, stuccano, con un colpo, il collo di una gallina... poi la purificazione per le energie negative assorbite: la santona, la persona oggetto del rito e i parenti, sorseggiano e si bagnano il viso e le braccia con sostanze alcoliche. E’ un’atmosfera irreale e affascinante che dà l’ampiezza dell’assoluta fragilità dell’uomo; è il retaggio di primordiali riti in cui l’uomo sublima le sue energie per inoltrarsi nell’immortalità. Le foto sono bandite perchè niente è più intimo di un’anima che vuole essere purificata. Da questo spettacolo o si rimane avviluppati o si esce subito: dipende dal grado di civiltà, spavalda e dissacrante, che ci trasciniamo dentro o da quanto bisogno abbiamo di soddisfare l’io bambino che alberga in noi, raccontandoci la favola bella della fata e dell’orco, del male e del bene e del mezzo magico che ci rende eterni. Al di sopra di tutto, finalmente come momento catartico, la voce malinconica dell’ultimo indios che, al suono della chitarra, modula le nenie della sua madre terra... Sandra Raspetti sanras@tele2.it
L’Amore in un clic Concorso fotografico -
Febbraio 2009
A l c u n e d e l l e splendide foto giunte in redazione Soc. Coop. Cultura e Lavoro Asilo Nido "Papaveri e Papere" Fuggiamo...
Marco Cimorosi La strana coppia
Emanuela Ruffinelli Laboriosità del ragno
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LICEO CLASSICO
E se Manzoni fosse l’uomo del rischio? Libertà, fede e felicità nei Promessi Sposi (e non solo)
Non vi spaventate, per favore. Lo so che solo al nominare Manzoni vi viene in mente quell’adorabile mattone del suo romanzo, ma provate a mettere da parte i vostri pregiudizi scolastici per il tempo della lettura di questo articolo. Grazie. Cosa vi viene in mente se vi figurate Manzoni ai nostri tempi? Di sicuro un uomo che non ha mai vissuto un concerto rock o una partita della Nazionale in piazza, visti i suoi problemi di agorafobia, noti a tutti i diligenti studenti di italiano. Ma ve lo immaginate che magari si iscrive a Facebook per studiare quale sia la lingua più parlata tra i giovani? Io sì, e sono convinta anche di un’altra cosa. La sua fede riuscirebbe a sopravvivere anche a questo XXI secolo. Correrebbe tutti i rischi del periodo, ma sono certa che, pure messo a dura prova, ce la farebbe. Forse anche grazie G . C . TA C I T O a quel Giansenismo che tanto spaventa i maturandi da film (e non solo). Ci avete mai pensato a quanto deve esser stata problematica la stesura dei Promessi Sposi per un uomo come Manzoni? Dimentichiamo per un attimo il falso stereotipo dell’uomo di Chiesa, abbandonato ad un senso bigotto della religiosità che, non si sa come, abbiamo un po’ tutti in mente. Pensiamo solo per un attimo a quei risvolti delle vicende di Renzo e Lucia che lasciano l’amaro in bocca: le ingiustizie, i soprusi dei potenti, l’apparente assenza di una Provvidenza (che fa capolino con il suo disegno durante tutto il romanzo, ma che entrerà in scena a raccogliere gli applausi solo quando verrà narrato il sugo della vicenda). Eppure Manzoni era un uomo di fede, che si era convertito dopo un lungo travaglio interiore e che era giunto ad una situazione di vita apparentemente serena. Apparentemente. In verità, forse, la realtà del mondo è ancora più difficilmente sopportabile per coloro che credono fermamente. Già: come possono giustificare le disgrazie, le ingiustizie, le prepotenze, ma rimanere saldi nella loro costante fiducia in Qualcuno che tutto sa e tutto governa? Forse è questo il rischio della fede: sapere che il mondo non è assolutamente un concatenarsi di fatti positivi, ma continuare a credere fermamente nella giustizia di questo disegno, ideato da un Essere Superiore, per uscire vivi da questo mondo che gira troppo in fretta. Sarebbe facile per un non credente affermare che allora questo Dio non serve poi a tanto: s’è visto cosa succede a chi segue i suoi comandamenti, una volta finito di leggere il romanzo che (letto senza l’angoscia della interrogazioni) lascia un po’ di amaro in bocca. Il male non risparmia gli innocenti. Ma, come dice Eugenio Scalfari circa il Cardinal Martini: il rischio della sua fede sta proprio in quella testimonianza che lo avvicina, in nome del suo Gesù, ad ogni altro testimone che sia altrettanto votato alla giustizia e alla libertà, quale sia la religione che professa e la cultura che lo ispira. Forse basterebbe osservare la realtà senza restrizioni mentali di pregiudizi e idee irremovibili. Il periodo di crisi che si attraversava ai tempi di Manzoni, non solo in Italia ma in tutta Europa, è simile a quello contemporaneo; il bisogno di libertà che l’autore esprime al massimo scegliendo proprio la forma del romanzo che gliene ha lasciato un ampio margine, è quella stessa libertà di cui, se non sbaglio, siamo alla continua ricerca (insoddisfatta, purtroppo… oppure portatrice solo di vane gioie) un po’ tutti: ci sono più affinità di quante credessimo! Ora, non voglio proporre l’immagine di un Manzoni che vada aldilà di qualsiasi fede (che non si fraintenda la citazione di Scalfari, insomma). Manzoni non sarebbe mai arrivato a dire che la Chiesa avrebbe dovuto essere aperta, pur riconoscendo anche all’interno di essa quel male che pervade la matura umana, ma contro il quale la lotta deve continuare, nonostante le sconfitte ricevute. In fondo anche i Promessi Sposi sono un romanzo alla ricerca della felicità: alla fine c’è quell’idillio mancato che ci porta a riflettere su quanto sia amara la condizione umana, ma anche su quanto l’uomo debba sapersi accontentare e vivere la propria vita secondo i propri mezzi, cercando di tendere a quella felicità che tanto sogniamo. Film (Alla ricerca della felicità, con Will Smith: chi non si è commosso almeno un po’?), canzoni (una per tutte Che rumore fa la felicità?, dei Negrita: più chiaro di così!), libri (La felicità consapevole di Confucio o La felicità di Hesse, solo per citarne due!) ci parlano di come arrivare alla felicità, di come vivere senza, di come non poter vivere senza… Ma il Cardinal Martini ha profondamente colpito nel segno dicendo che: L’infelicità è poca cosa in confronto alla felicità. La felicità va condivisa. E soprattutto, la felicità non è qualcosa che dobbiamo aspettare. Dobbiamo cercarla. Siamo essere umani, abbiamo anche la fortuna-sfortuna di essere giovani: siamo delle vere e proprie bombe ad orologeria, pronte a scoppiare o a restare ordigni inesplosi nell’apparente calma della routine dei nostri giorni. Non c’è in noi la voglia di trovare delle risposte alle nostre domande? Non c’è in noi il desiderio di vivere e creare un mondo migliore? Non c’è in noi la necessità di sapere che c’è Qualcuno di superiore che guida tutto? Lottiamo contro l’ingiustizia e vogliamo imparare l’amore. Diamo speranza ad un mondo difficile, come dice il Cardinal Martini. Forse allora Manzoni non è poi così difficile da comprendere. Provate a mettervi in discussione, come ha fatto lui, vedere cosa riuscite a capire di voi stessi: è pur sempre un bel rischio, no? (E forse, dopo, i Promessi Sposi sembreranno anche meno distanti… Forse!) Chiara Colasanti III IF
Mare d’inv e r n o , Ma r e d ’ I n fern o Mare, mare. Ha affascinato generazioni di scrittori, poeti, musicisti. Emblema del viaggio che parte e, chissà dove e quando, finirà. Molti di coloro che lo hanno affrontato, si sono trovati a dormire tra le sue fredde braccia, a diventar nutrimento per pesci. Il fascino del mare travalica tutte le condizioni sociali, le ideologie, le culture. Pensiamo a scrittori moderni, come Hemingway, Marquez, Hikmet. Così lontani, nel tempo e nello spazio. Eppure, a loro bastava aprire la finestra e fare impregnare la stanza dell’odore della salsedine, per andare lontano. Pensiamo ai viaggi fantastici, che ci vengono raccontati sin da piccoli: ai libri di Verne, a Gulliver, a Ulisse… Già, Ulisse. L’insaziabile Ulisse. Quell’Ulisse folle di razionalità. Che non è un ossimoro. Poi ci sono quelli che se ne stanno nel loro studiolo poco illuminato, sulla loro bella poltrona, atlante polveroso alla mano, e sono così bravi ad inventare che sembra ci siano stati davvero, in quei luoghi che descrivono così minuziosamente. Il più famigerato è senza dubbio Salgari, per non dimenticare poi Ariosto, che nelle Satire sottolinea come sia stupido andare in giro a rischiare la pelle, quando si può stare comodamente a casa propria, riposati, e volare con l’immaginazione. Ariosto si accontenta di leggerlo scritto, il mare. Ulisse deve sentire il vento tagliente sul viso. Poi c’è Dante. Che di Ulisse parla, che rende il suo viaggio folle. Dante che, da bravo uomo del Medioevo, Silvia M as sarel l i - 1° Prem i o vede solo una direzione giusta, nel viaggio: quella verso l’Alto. Anche se prima scende, sempre più in basso, C onc or s o L’ am ore i n un cl i c fino al centro della Terra, fino al Cattivo per eccellenza, nel senso etimologico del termine, poi si ritrova sottosopra, poi ricomincia a salire, perdendosi, ritrovandosi, alla fine il suo obiettivo è sempre lì, sopra di lui, sempre più vicino, ogni volta che si rende più consapevole di se stesso. Dante che Ariosto conosce, che emula, in alcuni passi dell’Orlando Furioso, quando descrive il bosco, ora oscuro, ora sicuro. Dante dal quale si distacca, nettamente. I personaggi dell’Orlando Furioso passano il loro tempo a cercare, nell’inchiesta. Dell’amata, dell’elmo, del nemico. Ma non hanno una meta precisa. Il loro movimento è simile a quello delle onde del mare, che avanzano, poi si ritirano, ci concentrano tutte in un punto per un istante, per poi dissolversi con l’onda successiva. Non esiste un obiettivo finale, che concluda il loro viaggio. Non si va né su né giù, soltanto, come dice lo stesso Ariosto, di qua e di là, in un continuo vagare sul piano orizzontale, terreno, immanente, che non porta alla salvezza, ma alla follia. Follia di Orlando, follia di Ulisse. Orlando rinsavisce, Ulisse precipita nel basso Inferno, dove continua a bruciare in eterno. Nessuno dei due ottiene nulla. Né Orlando la sua Angelica, né Ulisse il suo divenir del mondo esperto. Il loro viaggio non li ha portati da nessuna parte, alla fine. C’è da chiedersi perché. Dante dà una sua risposta, sempre da bravo uomo del Medioevo, in un’opera monumentale in tre cantiche, che ripercorre le tappe di un cammino lungo e tortuoso verso il Giusto Fine. Forse qualcuno ne ha sentito parlare. Forse, però, la sua risposta non è più valida, ai giorni nostri. Ma non sono certo io a poterlo stabilire. Tornando al nostro Fratello Mare, con le sue grigie inquietudini. A volte basta semplicemente pensarci, al mare, per sentire il rumore dei flutti, e quell’odore inconfondibile. Ad alcuni basta semplicemente pensarci, per farli sentire a noi, quei rumori e quegli odori. Caterina Frezza II IF
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Tecnologie della vita - Le cellule staminali
L I C E O
S C I E N T I F I C O
Le cellule staminali sono considerate un grande passo della scienza verso nuove prospettive di vita grazie alla loro proprietà di creare, o ricostruire, i tessuti che compongono ogni parte del nostro organismo. Le staminali sono infatti cellule primitive non specializzate, in grado di trasformarsi in qualunque cellula del corpo, tramite un processo chiamato differenziamento e vengono classificate in quattro tipi: totipotenti, dalle quali può svilupparsi un organismo completo, pluripotenti, che danno vita a tutti NARNI i tipi di cellule dei tessuti embrionali; multipotenti, che possono specializzarsi in diversi tipi di tessuto, ma non in tutti, unipotenti, che possono specializzarsi in un solo tipo di cellula. Nelle diverse fasi dello sviluppo di un organismo esistono almeno tre tipi di cellule staminali: embrionali, fetali ed adulte. In tutti i casi si tratta di cellule indifferenziate, cioè senza caratteristiche definite anche se le loro potenzialità di sviluppo sono diverse. Le staminali embrionali sono presenti nell’embrione che, per essere utilizzato, non deve avere più di 5 giorni. Queste sono le uniche in grado di trasformarsi in qualsiasi altra cellula dell’organismo. Man mano che l’embrione cresce, tali cellule si suddividono in tre gruppi, diventando così staminali fetali. Quelle adulte, rispetto alle due precedenti, hanno possibilità limitate di trasformarsi in ogni tipo di cellula. L’embrione è dunque il bacino per eccellenza di staminali, ma per problemi etici il loro studio ed utilizzo sono molto limitati. In alcuni paesi come la Germania l’estrazione di queste cellule dall’embrione è considerata illegale, in altri, come ad esempio la Gran Bretagna è invece perfettamente legale. Essendo quindi l’uso di embrioni una questione di grande controversia in termini etici, gli scienziati di tutto il mondo stanno indirizzando la ricerca verso altre fonti di staminali come ad esempio i tessuti del feto, il limbus della cornea, il sangue del cordone ombelicale e il midollo osseo degli adulti. La ricerca e l’utilizzo di queste cellule dallo spettacolare potere potrà in un prossimo futuro rivoluzionare il modo di curare malattie oggi incurabili come ad esempio il morbo di Parkinson, la distrofia muscolare, la sclerosi laterale amiotrofica, l’icutus, alcune forme di cecità irreversibile. In una prospettiva più avveniristica le staminali non solo possono costituire qualunque tipo di tessuto, ma in linea di principio potrebbero consentire di fabbricare un intero organo di ricambio che non provocherebbe alcuna forma di rigetto, essendo composto da cellule del nostro stesso organismo. Teoricamente quasi tutte le malattie un giorno potranno essere curate in questo modo poichè le staminali costituiscono una riserva virtualmente illimitata di Alessia Bussetti, Rachele Piacenti IIIA tutte le cellule del nostro organismo.
E’ finito il tempo di pillole e bisturi? Alla scoperta di come le staminali potranno rivoluzionare la medicina. Risultati positivi arrivano da Chicago, dove un test condotto su ventuno persone affette da sclerosi multipla ha mostrato risultati positivi dopo un autotrapianto di cellule staminali. Questi pazienti sono stati sottoposti ad una chemioterapia per eliminare il sistema immunitario che, a causa della sclerosi, stava attaccando l’organismo. Tale sistema è stato poi ripristinato con l’introduzione di cellule staminali precedentemente prelevate agli stessi pazienti. Come risultato i sintomi si sono stabilizzati e in diciassette casi sono addirittura migliorati. Simili sperimentazioni sono in corso anche in Italia, ad opera dell’ Associazione Italiana Sclerosi Multipla, tra l’ospedale San Raffaele di Milano e l’Università di Genova. La via dell’autotrapianto infatti evita tutti i problemi etici riguardo alla raccolta delle cellule, ma non permette di ottenere le staminali totipotenti. Si svolgerà proprio a Terni entro il 2009 la prima sperimentazione in chiave terapeutica su dieci persone affette da sclerosi laterale amiotrofica (Sla) con cellule staminali neurali, prelevate da feti abortiti spontaneamente che verranno iniettate nel midollo spinale dei pazienti Nelle ultime settimane in America è stato autorizzato anche un altro studio, infatti prima dell’estate partirà, a opera della Geron, un’azienda di biotecnologie californiana, un progetto per tentare di riparare lesioni del midollo spinale in dieci pazienti utilizzando staminali derivate da embrioni umani congelati per la fecondazione in vitro. Questo esperimento, che tenta di curare situazioni tremende come la tetraplegia, utilizza però staminali embrionali ottenute da embrioni che vengono inevitabilmente distrutti e ciò come sappiamo genera divergenze dal punto di vista etico che pongono seri ostacoli alla ricerca indirizzata in tal senso. Se però tale studio dovesse avere successo (nonostante saranno necessari molti altri test) la cura per tutte quelle malattie che causano degenerazioni irreversibili dei tessuti sarebbe un po’ più vicina. Non si devono tuttavia creare false speranze in quanto fino ad ora i test su persone affette da sclerosi multipla hanno coinvolto pazienti mediamente giovani e che avevano mostrato solamente da poco i primi sintomi. Allo stesso modo le iniezioni di staminali portate avanti dalla Geron interessano persone con lesioni del midollo spinale acute, ovvero risalenti a non più di due settimane prima dell’intervento. Per raggiungere i traguardi prospettati dall’utilizzo delle staminali, superando i limiti legislativi presenti in molti paesi, la ricerca sta operando per trovare fonti alternative a quelle embrionali. Una delle ultime pubblicazioni parla di una proteina, detta WNT, nota per essere già presente nello sviluppo di molti organismi, che, combinata in dosi e tempi precisi con cellule adulte, potrebbe riprogrammarne una gran parte fino a far raggiungere loro uno stadio simil-staminale. Questa scoperta apre nuove strade alla ricerca e fornisce ampie prospettive per la cura di gravissime malattie.Tale via sarebbe molto più pratica in quanto basterebbe aggiungere la proteina nel liquido in cui si fanno crescere le cellule in laboratorio, evitando l’introduzione di agenti estranei, come suggerito da altri studi che tendono ad inserire in cellule prelevate dalla pelle umana dei geni tipici della fase di sviluppo embrionale. Inoltre questa fonte di staminali farebbe superare i limiti posti dall’etica nell’utilizzo delle cellule embrionali. Se la ricerca riuscirà a progredire, in libertà e senza eccessive limitazioni, in un futuro neanche troppo lontano si potrebbe intervenire per curare malattie come l’Alzheimer, il Parkinson e potrebbe anche essere possibile recuperare completamente il muscolo cardiaco dopo un infarto, o lembi di pelle dopo una grave ustione. Numerose saranno le applicazioni derivate dall’utilizzo di queste cellule se tutte le aspettative verranno confermate, anche se bisognerà risolvere alcuni problemi, come la possibilità che le cellule impiantate causino tumori. La ricerca è quindi in evoluzione, e continuamente la scienza giunge a nuove scoperte. Per saperne di più avremo la fortuna di poter incontrare, il 20 Marzo, in occasione della Giornata della Scienza, organizzata dall’Istituto Gandhi di Narni, il prof. Angelo Vescovi, direttore della Banca delle cellule staminali cerebrali di Terni e docente di Biologia cellulare all’Università Milano-Bicocca, uno dei massimi esperti italiani in materia, che ci informerà sui progressi della ricerca allo stato attuale, sulle problematiche e su quelle che sono le prospettive future relative all’utilizzo di queste potenti cellule. Loris Mulassano IIIA
L a G i o r n a t a d e l l a S cienza giunge alla sua quar ta edizione L’Istituto di Istruzione Superiore GANDHI di Narni Scalo (TR), con il patrocinio della Direzione Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Umbria, della Regione Umbria, della Provincia di Terni e dei Comuni di Narni e di Amelia, organizza per il giorno 20 marzo 2009 la quarta edizione della Giornata della Scienza, dedicata quest’anno al tema delle cellule staminali e del loro utilizzo in ambito medico scientifico. La conferenza si svolgerà nel corso della mattinata presso il Teatro Comunale di Narni e sarà tenuta dal professor Angelo Vescovi, scienziato e docente di Biologia cellulare all’Università Milano-Bicocca nonché direttore della Banca delle Cellule staminali cerebrali di Terni . Nel corso della conferenza verranno presentati alcuni lavori realizzati dagli studenti di diverse scuole della regione. Nel pomeriggio del giorno stesso, presso l’Istituto Gandhi di Narni scalo si terrà la gara di matematica a squadre I Matematti, promossa dalla Commissione Nazionale per le Olimpiadi di Matematica, che selezionerà le squadre partecipanti alla fase nazionale. Parteciperanno alla gara scuole di tutta la regione: I.I.S. Gandhi di Narni, Istituto Tecnico per attività sociali G. Bruno di Perugia, Liceo Classico Annibale Mariotti di Perugia, Liceo Classico Properzio di Assisi, Liceo Classico-Scientifico Iacopone da Todi di Todi, Liceo Classico Tacito di Terni, Liceo Linguistico Europeo Don Bosco di Perugia, Liceo Scientifico G. Alessi di Perugia, Liceo Scientifico G. Galilei di Perugia, Liceo Scientifico G. Galilei di Terni, Liceo Scientifico Principe di Napoli di Assisi, Liceo Scientifico Renato Donatelli di Terni, Liceo Scientifico Marconi di Foligno, Liceo Scientifico Volta di Spoleto, ITIG Leonardo da Vinci di Foligno, IIS Leonardo da Vinci di Umbertide. Al termine della gara la giornata si concluderà con la cerimonia di premiazione.
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Una mobilità sostenibile I moderni sistemi economici dipendono, come è noto, dalla disponibilità di energia, sia per il loro funzionamento sia per il loro sviluppo. Tuttavia, le diverse forme di energia non si equivalgono, ma si differenziano per economicità, fruibilità ed efficienza rispetto all’uso finale. Tra le fonti energetiche disponibili (fonti fossili, come il petrolio, il gas naturale, il carbone, e fonti rinnovabili, come l’energia solare, eolica, idrica), nessuna è in grado di soddisfare per intero le necessità energetiche della società, strettamente correlate ai principali mercati corrispondenti: il mercato della fornitura di calore (o di freddo), quello della mobilità e dei trasporti e quello dei servizi accessori (meccanici, elettronici ecc.). Bisogna dunque introdurre forme di energia che assicurino un miglior collegamento tra la disponibilità di fonti energetiche e la particolare utilizzazione richiesta: è in questo ambito che i vettori energetici giocano il loro ruolo cruciale. Il vettore energetico è una forma di energia secondaria, che si presta ad essere trasportata (spesso tramite apposite reti) fino al luogo di utilizzazione: è costituito da una sostanza trasportabile in grado di rilasciare con facilità l’energia in essa contenuta (come nel caso dei combustibili solidi, liquidi o gassosi, il vapore, l’acqua calda ecc.) o dall’elettricità (energia elettrica), il vettore che attualmente meglio permette di sfruttare il proprio contenuto energetico. L’elettricità può essere prodotta da svariate fonti primarie, in relazione alle necessità dell’utente finale. In alcuni casi non è necessario introdurre un vettore energetico, in quanto la fonte primaria è sufficientemente versatile: ad esempio, il gas naturale è capace di riscaldare le case, alimentare gli autoveicoli ecc., ma non è sempre la forma di energia più adatta per ogni impiego (non viene utilizzato nella aviotrazione e nei trasporti marittimi, mentre è impiegato nella autotrazione, ma solo in percentuale limitata). In questi ultimi anni, l’idrogeno è stato posto al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica come possibile stella polare di un nuovo futuro energetico. Tanta attesa è sicuramente dovuta al fatto che il ricorso alle fonti fossili viene individuato come una della principali cause di inquinamento, sia su scala globale che locale. L’idrogeno (che se bruciato produce solo acqua) viene percepito come la soluzione definitiva per affrancarsi dalle fonti fossili e dalla economia al carbonio. Inoltre, l’idrogeno ha uno stoccaggio almeno in linea di principio più semplice rispetto a quello dell’energia elettrica e potrebbe rappresentare una soluzione per il problema dell’intermittenza con cui l’energia elettrica viene generata dalle fonti rinnovabili. L’idrogeno non è presente in natura allo stato libero, bensì in forma combinata e per di più in molecole molto stabili come acqua, metano, idrocarburi superiori ecc.; per produrre tale vettore energetico, ovvero per estrarlo da queste molecole, è quindi necessario spendere energia proveniente da fonti primarie. Tra i vantaggi principali dell’idrogeno sono da ricordare la combustione assai pulita (al massimo solo qualche emissione di ossidi di azoto) e la possibilità di impiego diretto nelle celle a combustibile (fuel cell), insieme a metanolo ed etanolo. Le celle a combustibile sono dei dispositivi energetici estremamente efficienti, dal rendimento energetico così elevato dal compensare, almeno parzialmente, l’energia spesa nello stadio di generazione dell’idrogeno. Nel prossimo articolo proseguirà la descrizione del vettore energetico idrogeno: produzione, trasporto e distribuzione, stoccaggio, uso finale, prospettive. Ing. Jacopo D’Andria
Il piacere... Sembra spesso che le cose siano sempre le stesse, oppure, si cerca qualcosa senza trovarla. A volte può bastare cambiare la prospettiva, l’angolazione da cui guardare la realtà: una sfumatura, un particolare, nuovo, restituisce positività, una (fugace) sensazione di benessere. C’era un signore che, di notte, sotto un lampione guardava per terra dove era la luce dello stesso. Gli si avvicina un altro uomo e gli domanda: ha perso qualcosa? ed il signore: sì, le mie chiavi! E l’altro: è sicuro di averle perse qui? Ed il signore risponde: no, ma è l’unico posto in cui c’è luce. La storiella è una splendida metafora di come, pur senza accorgersene, non si trovi ciò che serve perché si guarda dove si pensa sia più logico o più comodo. Per trovare dobbiamo aprire occhi e cuore ed essere pronti ad accogliere. Quindi, spesso distrarsi dal cercare in maniera ossessiva. L’universo viene messo in moto dai nostri pensieri. P. Franckh ne dà un’idea molto utile: figurarsi l’Universo come una gigantesca ditta di spedizioni dove i nostri ordini (desideri) trovino ascolto. Ciò che è dentro di noi dirige, condiziona ed è influenzato da quel che è fuori. In psicofisiologia si sostiene che si immagina con gli occhi, cioè gli occhi vedono ciò che noi vogliamo che essi vedano, a partire dalla nostra immagine allo specchio, che riflette quella che noi abbiamo di noi stessi e la proietta sullo specchio. L’innamoramento è un altro esempio di come il fenomeno si manifesta. Anche nel campo della scienza, A. Einstein affermò: E’ la teoria a decidere che cosa possiamo osservare, conseguendone che la parte di mondo su cui non abbiamo teoria appare indecifrabile o irrilevante e che i nostri giudizi e le azioni che si producono sono influenzati abbondantemente dalle idee che già possediamo. C’è un piccolo esperimento che avvalora la (suddetta) tesi sull’immaginazione, in modo molto semplice. Si chiama Running horses (cavalli che corrono, Prof. V. Ruggeri), e dimostra che se si vuole riuscire ad immaginare qualcosa in movimento, occorre produrre un movimento oculare. Non è possibile impedire che qualcosa non avvenga; possiamo creare qualcosa, non non crearla. Il pensiero formulato con il non porta a realizzarsi ciò che non desideriamo. In natura nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma (Democrito, filosofo 470-371 aC). Dice che per l’Universo non è plausibile che qualcosa non diventi. Non si è onnipotenti, ma si può ottenere ciò che si vuole. Sulla nostra strada incontriamo ostacoli (delusioni, dubbi…); il segreto per superarli e continuare a desiderare è contenuto in una preghiera che evoca la calma per accettare ciò che non posso cambiare; il coraggio per cambiare ciò che posso cambiare e la saggezza per distinguere fra le due cose. Energia è la parola chiave: anche in fisica la materia è energia (trasformata in massa). Lo dimostrarono nel 1933 i fisici Marie e Pierre Curie. Un mio paziente ha rappresentato in una brillante metafora la relazione fra paura e piacere, indicandola nell’andare sulle montagne russe al luna park. Nel mio lavoro devi avere il piacere all’incontro intimo con l’altro, amarlo per poterlo capire ed aiutare, mettendo le tue sensazioni, i tuoi pensieri ed intuizioni al servizio della persona che è in difficoltà. Se/quando questa sente che il terapeuta si dà nella relazione è portata a dare/rsi, di più, sviluppando meglio la propria resilienza (capacità di affrontare le difficoltà della vita e superarle uscendone rafforzato). Non c’è da stupirsi che nel percorso fatto insieme anche il terapeuta abbia ricevuto dal paziente e si sia arricchito nell’anima. Dott.ssa Claudia Cardinali Psicologa Psicoterapeuta - Esperta in Sessuologia Clinica
Diritti Umani Durante tutto il ‘600 in Inghilterra si produce uno scontro duro e cruento tra Sovrano assoluto e Parlamento, che si conclude con la nascita del primo stato costituzionale della storia (1689). In questo periodo vengono approvati alcuni documenti di grande importanza non solo per le conquiste delle libertà politiche e civili degli inglesi ma anche per la storia della cultura politica europea e americana. Nel 1628 il Parlamento presenta al sovrano Carlo I una Petizione dei diritti che ribadiva, contro la politica fortemente assolutistica del re, alcuni diritti e alcune libertà tradizionali che risalivano alla Magna Charta: nessuna tassa senza il consenso del Parlamento, nessun arresto dei cittadini senza l’autorizzazione del magistrato (diritto di Habeas Corpus), nessun processo ai cittadini nei tribunali speciali. Carlo I firmò la petizione ma non la rispettò e ciò gli costò la testa. Fu infatti ucciso alla fine della prima rivoluzione inglese (1649), ma la presentazione stessa della petizione stava a confermare che ormai il diritto alla libertà personale era una conquista della coscienza civile dei cittadini. Infatti, quando il sovrano Carlo II, nel tentativo di restaurare l’assolutismo, aveva proceduto a molti arresti arbitrari, nel 1679 il Parlamento approvava l’Habeas Corpus, una tappa essenziale 8° per la costruzione del moderno stato di diritto, cioè di uno stato in cui i diritti e le libertà personali dei cittadini sono riconosciuti come inviolabili. Fin da prima della Magna Charta l’Habeas Corpus era un ordine scritto con il quale il giudice ordinava alle guardie del re di condurre, entro tre giorni al massimo, una persona da questi detenuta di fronte al giudice stesso (il giudice abbia il corpo o, letteralmente, possiedi il tuo corpo). Esso non è una semplice dichiarazione o impegno del re, ma un ordine specifico indirizzato agli agenti di polizia e ai magistrati: i primi presentino immediatamente al giudice l’arrestato e il giudice giudichi entro pochissimi giorni la legalità dell’arresto. In caso di inadempienza erano previste multe fortissime. Il potere del re veniva fortemente ridotto ed egli era responsabile non più soltanto davanti a Dio, ma davanti alla legge, cui era, come tutti, sottoposto. Il documento che però riassume in sé le conquiste in fatto di diritti è il Bill of Rights (legge dei diritti), nel 1689, cioè al termine della seconda rivoluzione inglese, quando, cacciato Giacomo II, il nuovo sovrano Guglielmo III d’Orange sottoscrive il Bill, trasformando la monarchia inglese da assoluta in costituzionale: per la prima volta un monarca accettava di vedere il proprio potere limitato da precise leggi del Parlamento e i cittadini inglesi potevano contare sul riconoscimento di alcuni fondamentali diritti. Ecco alcuni degli articoli, che sono preceduti dalla dichiarazione che il Bill è emanato dalla Camera dei Lords (aristocratici e clero) e dalla Camera dei Comuni (borghesia) in rappresentanza piena e libera della Nazione: 1) il preteso potere dell’autorità regia di sospendere le leggi o la esecuzione delle leggi senza il consenso del Parlamento è illegale. 4) un’esazione di denaro per la corona... senza il consenso del Parlamento... è illegale. 5) la leva o il mantenimento di un’armata nel regno, in tempo di pace, senza il consenso del Parlamento, è illegale. 8) le elezioni dei membri del Parlamento devono essere libere. 9) la libertà di parola, di discussione o di procedura in seno al Parlamento non può essere intralciata o messa in discussione. Dell’importanza si è detto, ma quali sono i limiti di questo documento? Esso è più volto a ribadire e definire i diritti tradizionali degli inglesi piuttosto che dichiarare i diritti naturali di tutti gli uomini, anche se sotto la monarchia costituzionale ci sono le idee liberali del filosofo John Locke, che hanno come fondamento il giusnaturalismo. Dobbiamo aspettare il secolo successivo perchè si giunga a una dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. La borghesia inglese ha fatto dei grandi passi in avanti, ma è ferma ai limiti dei suoi interessi di classe: niente suffragio universale maschile e niente repubblica, niente stato laico, come invece nel 1647, durante i dibattiti di Putney, i Levellers Prof. Marcello Ricci (livellatori) inglesi avevano sostenuto e tanto meno niente terra a chi lavora, come sostenevano gli Zappatori.
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Ospedale Civile “Santa Maria” di Terni
Sorelle della Misericordia In data 7 ottobre 1940 XVIII con nota protocollo n° 6386 il Direttore Sanitario dell’Ospedale Civile di Terni rispose alla lettera del Comune di Terni, Ufficio Annonario, del 3 ottobre 1940, comunicando il numero dei conviventi, che risultava essere: Castori Annunziata Valentini Giovanna Biancini Giuseppina Barberi Andreina Barberini Teresa Bini Evelina D’Abramo Maria Lavagnino Enrica Pernazza Maddalena Romboli Anna Tombolino Ancilla Montagnoli Europa Moraccini Annita Colonnelli Agnese
Suor Vincenza (Madre Superiora) Suor Valentina Suor Pia Suor Giuseppina Suor Margherita Suor Antonietta Suor Maria Suor Anna Suor Cecilia Suor Angelica Suor Caterina Suor Luisa Suor Agnese Suor Eugenia
Le 14 suore, Figlie della Carità di S. Vincenzo de’ Paoli, dette Sorelle della Misericordia, si sono molto adoperate negli anni, alla cura dei malati, degli anziani e dei poveri emarginati, sono state una vera fortezza per l’Ospedale civile di Terni, ivi rimaste fino al 31 agosto 1986, dopo 90 anni di lodevole ed ammirevole servizio. In tale occasione fu organizzata una cerimonia di saluto, con la presenza di medici, infermieri, inservienti e tanti degenti, presieduta dal Vescovo Mons. Franco Gualdrini, che, rivolgendo un commosso saluto, così si espresse: Nei secoli la premura evangelica delle Suore di S. Vincenzo si aprì ai poveri e ai malati nelle case, ai malati negli ospedali, poi ai trovatelli e agli orfani, poi ai vecchi abbandonati, perfino ai forzati nelle carceri, poi agli stessi feriti sui campi di battaglia: ogni sorta di bisogno, di miseria, fu accolta da quel primo nucleo che man mano si sparse in ogni parte del mondo e divenne la famiglia religiosa più numerosa della Chiesa, raggiungendo, 15 anni fa, quasi 50000 membri. Novanta anni fa le figlie della carità giunsero nella nostra Terni, nel nostro Ospedale di Santa Maria. Anche qui, come altrove, trovarono uomini e donne malati, che le attendevano. Per novant’anni, prima in un ospedale più modesto per una città meno sviluppata, poi in un grande attrezzato ospedale della Terni moderna, la presenza delle suore della carità è stata sempre attenta e continua. Non so raccontare o fare memoria della vostra presenza, forse chi è sempre vissuto qui potrebbe raccontare questa lunga epopea. La Vostra è stata un’impresa grande, fatta di quotidianità, di parole pronunciate sottovoce, di gesti lievi e semplici, a volte soltanto di sorrisi o di lacrime di condivisione, sempre di testimonianza vissuta e rispettosa dell’Evangelo del Signore. A c u r a di E manue la R uffine lli e D anie la G hione
1 marzo 2009 - ore 18.00 Centro Multimediale Teatro C Piazzale Bosco - Terni Quando mi chiamerai donna Paola Lilli, Ambra Battistelli, Lara Giordano, Costanza Farroni, Daniela Neri, Mariangela Berazzi, Daniela Amato, Anna Maria Civico, Silvia Imperi. 4 marzo 2009 - ore 17.00 Palazzo Primavera Inaugurazione rassegna di pittura con le opere di Moira Pucci - Quando il corpo riflette l’anima e Sarai Llamas - The princess of pop art. Presentazione del libro Le Umbriache, ricette e racconti. Incontro con le autrici Mara Quadraccia e Alida Serviziati. Interviene Monica Petronio fiduciaria Slowfood Terre dell’Umbria meridionale. Intervento musicale di Simone Maccaglia. 5 marzo 2009 - ore 17.30 Palazzo Primavera Presentazione del libro Storie di donne selvagge di Clarissa Pinkola Estés. Incontro dibattito con il Forum delle donne di Amelia. Letture di MarieSygne Ledoux. Intervento musicale di Lisa Maroni. 6 marzo 2009 - ore 17.00 Palazzo Primavera Voci di gola - incontro con l’autrice Francesca Capitoli. Presenta Chiara Diomedi. Letture di Daniela Amato. Estemporanea di danza contemporanea a cura di Arianna Cianchi. Regia video di Matteo Svolacchia. Seguirà un corteo con consegna di libri presso il Centro Documentazione Teatrale - La Siviera, Via Carrara. 7 marzo 2009 - ore 17.00 Palazzo Primavera In bilico sul mare - incontro con l’autrice Anna Pavigliano. Interviene il regista Alessandro D’Alatri - intervista Arnaldo Casali. Letture dal vivo a cura di Riccardo Leonelli. Spettacolo di danza, teatro, musica I tre volti di Nora liberamente tratto da Casa di Bambola di Ibsen. Con Silvia Imperi, Rosanna Francese, Elisa Carli. 8 marzo 2009 - ore 18.00 Palazzo Primavera Quando mi chiamerai donna Paola Lilli, Ambra Battistelli, Lara Giordano, Costanza Farroni, Daniela Neri, Mariangela Berazzi, DanielaAmato,Anna Maria Civico, Silvia Imperi.
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Il libro di Paolo Maggiolini viene pubblicato nel dicembre del 2008, un periodo in cui la città va elaborando faticosamente, ormai da qualche anno, un cammino di identità che la differenzi da come finora era conosciuta. Non più solo città operaia, ma anche aperta alle nuove suggestioni culturali, che la globalizzazione impone, in cui si inserisce pur con qualche difficoltà. Risulta così interessante ripercorrere il cammino, tracciato da Paolo Maggiolini con ricerche approfondite, riguardante le varie forme delle manifestazioni artistiche e la storia sociale negli anni che vanno dalla metà dell’ottocento ai giorni nostri. In questi anni Terni da borgo agricolo è stata sospinta dall’industrializLa Provincia di Terni zazione verso la dimensione di città di rango nazionale ed europeo ed ha visto per la cultura il suo processo di sviluppo e di crescita accompagnato da significative testimonianze della capacità dell’uomo di incidere sulla natura. Nel libro queste testimonianze vengono passate in rassegna e formano il mosaico dei cambiamenti epocali, che fanno da sfondo al nuovo profilo della città. E’ merito dell’autore quello di aver raccolto con grande attenzione e serietà di indagine gli sviluppi più significativi delle arti negli anni presi in esame. E’ poi di grande interesse l’aver riunito in un unico volume, ricco di immagini fotografiche e di testimonianze di vario genere, le espressioni più significative di pittura, scultura e architettura, trattate in rapporto alle correnti culturali del tempo, ma anche viste, quando è possibile, come espressione di una ternanità che dà un marchio di originalità alle opere. La capacità di trattare insieme queste tre differenti manifestazioni dell’arte forse dipende dal fatto che Maggiolini non è uno specialista della materia, ma solo un appassionato cultore di essa; proprio questo però diventa un pregio del libro, perché in una forma piana e di notevole fruibilità viene offerto un panorama di ampio respiro in cui all’arte si intreccia la storia sociale e politica della città esposta in forma sintetica, chiara e di grande imparzialità. In tal modo viene dato il dovuto risalto, accanto al cammino artistico, allo sviluppo sociale e culturale che non è mai esente da contrasti e da lotte, che segnano il trascorrere degli anni e legano strettamente le vicende della città alla storia dell’Italia. Il libro dunque comprende storia artistica sociale e politica, documentata da una consistente mole di informazioni e di immagini che giungono fino ai nostri giorni; un capitolo a parte viene dedicato all’arte naïf con gli esponenti più significativi; infine c’e una consistente rassegna, corredata da schede molto approfondite, dei principali artisti che vengono nominati. Questo libro risulterà prezioso per molti e rimarrà nel tempo come un termine di riferimento: non è solo un augurio, ma una certezza. Maria Teresa Pasquini
Ottavio Coletti e Rinaldo Giannelli deputati ternani alla costituente Romana
Cessata la Repubblica, pesante s’abbatteva la restaurazione pontificia: sciolti Guardia Civica e corpo dei volontari, soppressa la libertà di stampa e chiuse le Università, si ripristinava un regime fiscale, che colpiva le classi meno abbienti e reintroduceva l’odiosa tassa sul macinato. L’amnistia papale per i rei delle turbolenze politiche, escludeva quanti avevano avuto parte attiva nella conduzione della Repubblica. Rinaldo Giannelli e Ottavio Coletti, membri della Costituente, presero la via dell’esilio, per sfuggire alla condanna a morte. Riteniamo doveroso ricordarli in questo 160° anniversario della Repubblica Romana. Il primo, caduta Roma, accorreva alla difesa di Venezia, per poi riparare a Marsiglia. Nel 1854 si stabiliva a Meina sul Lago Maggiore dove riprese la sua professione di medico. Tornava ormai anziano nella città natale, apprezzato per la sua generosità con i malati e lo spirito di abnegazione durante le epidemie. Ligio agli ideali mazziniani, partecipò alla vita politica e sociale della città, ricoprendo cariche pubbliche nella Provincia dell’Umbria e nel Comune di Terni, dove fu più volte assessore e, nell’estate dell’88, Sindaco facente funzioni. Un bassorilievo, nell’atrio del comune vecchio, ne tramanda il ricordo ai posteri. Ottavio Coletti nasceva a Terni il 14 novembre 1823 da famiglia agiata, che l’avviava agli studi nel seminario di Rieti, per concluderli nel locale Liceo. All’Università di Roma divenne caldissimo patriota e sostenne l’iniziativa progressista di Pio IX, scintilla fecondatrice dell’italico risorgimento. Si arruolò nel battaglione universitario e partì per il Veneto, dove rimase fino alla capitolazione di Vicenza. Tornato a Roma partecipò ai moti contro il Papa traditore e alla difesa della città col grado di capitano del Battaglione Zappatori del Genio. Alla caduta della Repubblica emigrò in Sardegna, per stabilirsi a Genova, ad Aosta ed infine a Torino, dove sposò Luigia Ritter e completò gli studi d’ingegneria. Visse in grosse ristrettezze economiche, ma povero e disgraziato, per non tradire le mia coscienza di patriota - si legge nel suo diario - resistetti ai richiami della famiglia, le cui fortune andavano declinando, per non scendere a compromessi coll’aborrita dominazione papale. Rivide Terni nel ’60, libera ormai dal gioco pontificio, e dopo aver combattuto l’anno prima contro l’Austria sotto le insegne di Casa Savoia, perché credetti fondamentale l’indipendenza della Patria e mio dovere accorrere al richiamo di Vittorio Emanuele. Negli ambienti democratici piemontesi maturò l’adesione alla Massoneria ed entrò nella Dante Alighieri, condotta dal perugino Ariodante Faretti, direttore del Museo egizio di Torino. Convinse Paolo Garofoli, amico e compagno d’armi nella Repubblica Romana, ad assumere la maestranza della Tacito e con essa aderire alla Gran Loggia Umbra, guidata dall’eugubino Angelico Fabbri. Nel ’66 partecipò alla III guerra d’Indipendenza nel Corpo dei Volontari delle Alpi, che gli valse la croce militare di Savoia al valore. L’anno successivo tornava definitivaVia dell’Ospedale 33 - Terni mente nella nostra città, dove riprendeva i suoi progetti di ingegneria idraulica e ferroviaria. 0744.428833 Studiò la trasmissione a distanza della forza idraulica della Cascata e progettò la Terni-Sulmona. S’interessò, come rivela una LA SICUREZZA DEI TUOI INVESTIMENTI lettera di Federico Fratini, ai reclusi nelle carceri pontificie e rappresentò Terni nel Consigliere Provinciale. Fu assessore al Comune e preside dell’Istituto Tecnico. La Lega Anticlericale ternana lo salutò al momento del trapasso valoroso campione che aveva sempre combattuto le audaci battaglie della spada, della penna e del pensiero. C h i u so la dom enica Sergio Bellezza
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In principio vi era il Caos e la Notte e il nero Erebo e l’ampio Tartaro, e non vi era la Terra né l’Aere né l’Oceano…
Quattrocento anni fa, Galileo Galilei puntava il suo primo telescopio verso la Luna, Giove e Saturno, aprendo una nuova finestra sull’universo e svelando misteri fino ad allora sconosciuti. Finalmente si potevano dimostrare come valide le teorie eliocentriche di Copernico, a discapito del geocentrismo, sostenuto dalla Chiesa, che, sulla base delle teorie Tolemaiche, poneva la Terra al centro dell’universo. Quello che noi oggi definiamo Scienza, ovvero tutto ciò che è dimostrabile, è nata appunto con Galileo nel 1609. Per questa ricorrenza, l’ONU ha definito il 2009 “Anno Internazionale dell’Astronomia”, invitando astronomi ed astrofili ad impegnarsi con maggiore vigore ed energia per la divulgazione di questa meravigliosa disciplina. La nostra associazione ha accolto seriamente questo invito e sta lavorando alacremente per realizzare un nutrito programma di appuntamenti rivolto alla cittadinanza. A partire dal mese di Aprile porteremo i telescopi sulle piazze di Terni e paesi limitrofi, effettueremo lezioni e conferenze pubbliche, star party e osservazioni guidate presso gli osservatori astronomici. Il prossimo mese, su questo mensile, troverete il programma dettagliato con date e luoghi. Invece, per rimanere in tema, a partire da questo numero, sulla pagina adiacente, a firma di Fiorella Isoardi Valentini con l’articolo La prima osservazione telescopica della Luna, inizia una serie di cinque appuntamenti storici dedicati alle prime osservazioni al telescopio di Galileo... grazie Fiorella e benvenuta! Tonino Scacciafratte Presidente A.T.A.M.B. - tonisca@gmail.com
Osservatorio Astronomico di S. Erasmo Apertura per il giorno venerdì 27 marzo 2009 Un cielo completamente buio per la totale mancanza della Luna, favorirà la visione di Saturno situato a sud, sotto la costellazione del Leone. In prima serata si potranno vedere le costellazioni di Orione, dei Gemelli e del Cancro, con M35 e M44 (ammassi aperti). Successivamente tra le costellazioni della Vergine, del Bifolco e di Ercole, ammireremo due ammassi globulari (M3 e M13) e, in chiusura, la galassia Sombrero (M104). Verrà osservato il cielo con la spiegazione di tutte le costellazioni visibili ed i relativi modi per orientarsi nella volta celeste. Con computer e video proiettore, nella piccola (purtroppo!) stanza adiacente la cupola, andremo a spasso nell’universo tramite sofisticati software. Federico Guerri
Una
Aristofane, Aves 693 (coro degli uccelli)
costellazione
al mese
Questo mese vi insegnerò a rintracciare tre piccole costellazioni che si trovano a destra e a sinistra della costellazione del Bootes (siete capaci di ritrovarla? Ricordate… prolungando e incurvando leggermente le tre stelle del timone del Grande Carro si arriva alla luminosa Arturo del Bootes). Appena a sinistra (verso est) della costellazione troviamo un piccolo ma netto semicerchio di deboli stelle con la stella centrale, Gemma, più brillante: è la Corona Boreale. Secondo il mito greco la corona apparteneva ad Arianna, figlia di Minosse, re di Creta. Dopo essere stata abbandonata da Teseo, si mostrò riluttante ad accettare la proposta di matrimonio di Dioniso (che le si era presentato sotto spoglie umane) poiché non voleva sposare un mortale. Per dimostrare di essere un dio, Dioniso prese la corona e la scagliò in cielo. Convinta, Arianna lo sposò e guadagnò così l’immortalità. Ritornando al Grande Carro, è possibile servirsene per rintracciare i Cani da Caccia, la cui stella più brillante, Cor Caroli, forma un angolo retto con la due ultime stelle del timone. Esattamente sotto Cor Caroli, a metà strada tra Arturo e Denebola, la coda del Leone, si scorge una spruzzata di deboli stelle che costituisce la Chioma di Berenice. Il nome della costellazione deriva da Berenice, la bella moglie del faraone Tolomeo III, che aveva promesso di sacrificare ad Afrodite la sua lunga chioma bionda, se il marito fosse tornato sano e salvo dalla guerra; e mantenne la promessa. La chioma fu riposta nel tempio, ma sparì. Afrodite compiaciuta del dono, aveva posto la chioma nel cielo perché fosse ammirata da tutti. Giovanna Cozzari
Pillole di Astronomia Il movimento di rivoluzione della Terra attorno al Sole ha l’effetto apparente, per un osservatore sul nostro pianeta, di produrre lo spostamento del Sole tra le costellazioni, da ovest verso est. Il Sole si proietta in un determinato insieme di stelle e segue una traiettoria chiamata eclittica: mano a mano che la Terra si muove attorno al Sole, esso si sposta tra le costellazioni. L’eclittica attraversa 13 costellazioni, 12 delle quali formano il così detto Zodiaco (dal greco cerchio di animali poiché la maggior parte dei gruppi rappresenta animali). La tredicesima costellazione, quella dell’Ofiuco, è percorsa dall’eclittica per un buon tratto, superiore a quello del vicino Scorpione, ma non si sa per quale motivo, fu esclusa dalle dodici. GC
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La Gravidazzione ‘Niversale L’andru giornu, co’ la famija mia e quella de Zzichicchiu, semo annati a ffa’ ‘na scampagnata. A ’n certu puntu ce semo accampati sotto ‘n arberu de mele servatiche. Me la stevo a ‘ggusta’ quanno mett’arriva ‘na bbotta su la capoccia che, non m’ha fattu male, ma steo mejo prima! M’è vvinutu spontaneu da di’… Zzì guastatte..chi è statu!? Niutonne!... m’ha fattu prontu Zichicchiu. Guardo per aria e j’ho dittu… Perché devi ‘ncorpa’ sempre che andru? No’ lu vidi ch’è ttu fiju che sta su ppe’ ssopra la pianta... ammappelu se ccome macina! Ma ch’ai capitu?! Te volevo spiega’ Lunardi’, che lu primu ch’a ‘ntuitu lu perché de la mela che casca pe’ tterra, è statu l’inglese Isaccu Niutonne lu 1682.. Bella sverdezza Zzichi’... ce vole tantu a capillu! Se unu sussopra se mette a sgrulla’ li rami... è cchiaru! Scì Lunardi’… ma essu ha capitu che la Terra attraeva la mela e la mela attraeva la Terra!... Ma che stai a ddi’ Zichi’?... Scì… essu è riuscitu a ccapi’ che tutti li corpi s’attirono tra de loro e ppiù so’ grossi e ppìù stanno vicinu... e mmejo è! La Terra attira lo Sole e lo Sole attira la Terra, la Terra attira la Luna e la Luna attira la Terra, li pianeti s’attirono tra de loro... ‘gni cosa ‘ttira quell’andra! Quillu me po’ èsse anche chiaru... j’ho fattu… ma ‘sta melaccia che tte po’ attrae? Cerca de capimme... me fa… ma è loggicu che ccucì piccola neanche ji fa effettu... ma se fosse più grossa!?... Scusame ‘n attimu Lunardi’... che controllu mi fiju… scenni ‘n bo’ ggiù tu... che tutte ‘lle melacce te fanno vini’ lu mar de panza... e ppo’ potristi casca’ anche de sotto! ‘N te preoccupa’ de lo casca’ Zzichi’... che sse quillu che mm’hai dittu è vveru, se seguita a mmagna’ ccucì, co’ ’llu trippone, essu e la Terra se ‘ncontrono a metà strada! paolo.casali48@alice.it
La prima osservazione telescopica della Luna Nel 2009, proclamato Anno Internazionale dell’Astronomia dall’UNESCO, si celebra il quattrocentesimo anniversario delle prime osservazioni astronomiche con il cannocchiale di Galileo Galilei. Nel 1609 Galileo, che aveva una cattedra di Matematica all’Università di Padova, venne a conoscenza che un fiammingo aveva costruito un occhiale per mezzo del quale gli oggetti, benché assai distanti dall’occhio, si vedevano distintamente, come se fossero vicini (così scrive egli stesso nelle prime pagine del Sidereus Nuncius, una sua pubblicazione a carattere astronomico). Si attivò subito per avere maggiori informazioni sull’invenzione ed in pochissimo tempo giunse a costruire il suo primo cannocchiale, che chiamò perspicillum. Lo presentò immediatamente al Doge di Venezia ed alla sua Corte, ma non ottenne l’attenzione che si aspettava; tornò quindi al suo lavoro e, nonostante fosse un po’ arrabbiato, non replicò perché forse aveva in mente qualcos’altro ... Rivolse verso il cielo lo strumento e, tra il 30 novembre ed il Man os crit t o d i Galileo 18 dicembre di quell’anno, fece la sua prima osservazione conservato presso la della Luna con il cannocchiale. Si rese subito conto che la Biblioteca Nazionale di Firenze superficie del nostro satellite naturale non era levigata ed uniforme: la Luna non è ricoperta da una superficie liscia e levigata, ma scabra e ineguale, proprio come la faccia della Terra, piena di grandi sporgenze, profonde cavità e anfratti. In particolare, pochi giorni dopo il novilunio, osservò che la linea che divide la parte illuminata da quella in ombra appariva irregolare e frastagliata e che la zona più illuminata presentava piccole macchie nere e picchi luminosi, uno spettacolo molto simile a quello che si presenta sulla Terra quando al mattino il sole illumina le cime delle montagne, ma le valli sono ancora in ombra. Egli notò anche che le grandi distese più scure e prive di sporgenze, i cosiddetti mari, in effetti non cambiavano luminosità al variare dell’inclinazione dei raggi solari e ne dedusse quindi che non erano mari liquidi, ma semplici pianure. Occorre tuttavia precisare che già qualche mese prima, l’astronomo Thomas Harriot aveva osservato la Luna con un cannocchiale ed aveva tracciato sul suo diario uno schizzo della sua superficie, ma i suoi disegni non vennero mai pubblicati. Galileo, invece, proprio la sera in cui scrisse alla corte de’ Medici per esporre le sue scoperte, puntò nuovamente il cannocchiale al cielo e notò uno strano fenomeno ... ma di questo ne parleremo ne La Pagina di aprile! Fiorella Isoardi Valentini
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L’osservatorio astronomico di S. Erasmo è aperto g r a t u i t a m e n t e per i cittadini l’ultimo venerdì di ogni mese dalle ore 21,30.
ASTROrime… Urano Ha un aspetto levigato è il minore dei gassosi (d=51.118km) mentre ruota sta sdraiato (17h 14m, inclinaz.asse=98°) e con venti burrascosi. Ha satelliti orbitanti… (Oberon, Titania, Giulietta,…) e dal Sol è assai lontano (2.871 milioni di km) son presenti gas pesanti (vapore acqueo, ammoniaca) e un verdastro da metano. E’ recente la scoperta… (Herschel 1781) ha gli anelli a far da scudo… (polvere) è difficil… cosa certa osservarlo ad occhio nudo. PC
Asteroide scoperto dall’Osservatorio di S. Lucia di Stroncone Nominato dal Minor Planet Center, Cambridge, USA Renato Perona N° 8230 MPC 33388
Discovered 1997 Oct. 8 at Stroncone. Named in memory of Renato Perona (1927-1984), a track cycling champion who for more than a decade was the undisputed ruler in national and international competitions. He won the gold medal in the London Olympic Games in 1948.
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