La pagina marzo 2010

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Costruiamo la matematica

Giampiero Raspetti

N° 3 - Marzo 2010 (73°)

L’assenza della matematica è la tua prigionia. Nel nostro Bel Paese, in molti disdegnano la matematica. Non pochi indietreggiano davanti a logica e scienza, categorie indispensabili per sconfiggere demagogia e cialtroneria. Si danno un gran daffare con superstizioni in tutte le salse, gossip al galoppo, esposizione martellante del modello vivi da velina e con sport narcotizzante. S’industriano per ridurre il vero apprendimento (mathesis) a mera tecnica di calcolo, funzionale al trionfo del dogma. Ne occultano così l’umanità, i caratteri cioè della natura umana, e condizionano brutalmente il sano fiorire delle risorse intellettive dei giovani. La matematica non è una materia che studia un insieme di oggetti, seppur ideali, come i numeri e le figure. Non è come la botanica, la zoologia, l’astronomia che studiano degli oggetti quali: i vegetali, gli animali, i corpi celesti. Non è una disciplina. E’ un metodo: il metodo che porta da situazioni fisiche a situazioni mentali, da strutture reali a strutture astratte che le rappresentano e che ne costituiscono perfezionamento. Occorre allora che il processo di apprendimento-ricerca si svolga non come assunzione di conoscenze in modo passivo, come sapere codificato, ma come acquisizione attraverso una scoperta personale a partire da situazioni problematiche. E’ motivazione la matematica, voglia cioè di essere protagonista del proprio sapere. E’ insieme di metodi da costruire in prima persona. Non è ripetizione di regole avulse dal contesto, sciocchezze con cui molti (in)segnanti catechizzano i loro sfortunati discepoli, costringendo gran parte di un popolo, tra i più intelligenti al mondo, ad essere dominato da corone più o meno sacre, ma sempre unite e da esiziali poteri occulti. La maestra unica, oggi piazzata là senza alcun riguardo per disastrose conseguenze, non ha, né può avere, la più pallida idea della raffinatezza occorrente per costruire, insieme ai discenti, tale metodo di pensiero e di lavoro, indispensabile se si vuole essere competitivi non solo con il paese dei balocchi. Apporto pertanto il mio granello di sabbia. Un corso (Costruiamo la matematica) gratuito, rivolto a ragazzi, di età compresa tra i nove e i dodici anni, interessati alla nascita e allo sviluppo del pensiero logico-matematico ed alla conoscenza delle ragioni scientifiche dei fenomeni naturali. Il corso è aperto anche ai familiari dei giovani partecipanti e a tutti gli adulti desiderosi di conoscenze matematiche. Gli incontri si svolgeranno presso i locali del Liceo Classico Tacito, secondo il calendario allegato (pag 12). L’iscrizione, da effettuare con il modello allegato (pag 12), deve essere trasmessa alla redazione de La Pagina o consegnata presso la Libreria Alterocca, entro il giorno 27 marzo 2010. Nella speranza che la generazione dei giovani amanti della scienza non sia già al lumicino, ci incontreremo, per iniziare, il giorno 16 aprile alle ore 16,30. Sappi che le tue scelte determinano il tuo futuro. Vieni, se provi gioia a far lavorare la tua mente. Percepirai che l’essenza della matematica è la sua libertà.

Disegno di Chiara Leonelli

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Le beate anime assunte in Veneto - F P a t ri zi La felicità in PIL - A Mel a secch e Una parentesi rimasta aperta - B R a t i n i Il voto irresponsabile - P F a b b ri Iconografia contemporanea - V P o l i cret i ... che delusione! - C C o l a sa n t i Il popolo sovrano - G R i t o PAZZAGLIA MAGICA OLIMPIA ( 2 ) LA BOTTEGA DELLE IDEE Liceo Classico - F B o rel l i , M Mi ch el i PROGETTO MANDELA INTERCRAL TERNI - F P a t ri zi , G G i o va n n i ni 8 MARZO - ML B i a n ch i n i , G Ta l a m o n t i Diritti umani - M R i cci San Valentino - A L i b era t i You tube - A L Costruiamo la matematica - G R a sp et t i Il giglio di mare - MC P ersi ch et t i La volontaria - MT D i C o sm o Astronomia - T S ca cci a f ra t t e, G C o zza ri Astronomia - P C a sa l i , F Va l en t i n i SUPERCONTI

Risolvere un problema è il compito specifico dell’intelligenza e l’intelligenza è il dono specifico dell’uomo. L’abilità di aggirare un ostacolo, di intraprendere una strada indiretta, là dove non si presenti una strada diretta, innalza l’animale intelligente sopra quello ottuso, innalza l’uomo di gran lunga sopra il più intelligente degli animali e gli uomini di talento sopra i loro compagni di umanità. Niente è più interessante della attività umana. L’attività umana più caratteristica è il risolvere problemi, il pensare secondo uno scopo, l’inventare metodi per raggiungere un fine desiderato. Polya


Le beate anime a s s u n t e i n Ve n e t o

Beate le anime malate del Veneto, i colitici del cicchetto, gli asmatici di Porto Marghera… non troveranno uno stuolo di medici a curare i danni del corpo, ma un pronto soccorso spirituale quello sì, per mondare l’anima dalle bestemmie e dal bianchetto. L’operazione medico-giubilare è sgorgata dalla bontà dell’ex Doge Giancarlo Galan, che ha deliberato l’assunzione di 96 preti presso 55 ospedali della Regione. Il tutto senza spendere un soldo per inutili laici concorsi, giacché gli assunti in cielo-Asl saranno a nomina vescovile. Alla Sanità veneta mancano 2.000 infermieri e 500 medici sono precari, ma per il pio Galan, il Governatore liberale, libertario e libertino (come si è autodefinì prima di imboccare la via di Damasco), la cura ospedaliera dell’anima ha la priorità. Come mai questa urgenza? Il Veneto si avvia sul Golgota elettorale portando la croce di un’invasione silente di lavoratori extracomunitari, un’epidemia a cui occorre porre un argine in tempo, prima che spuntino le guglie dei minareti tra i colli Euganei e i muezzin mormorino sul Piave all’ora dello spritz. Sì, ma dove intervenire? A ben vedere, deve aver pensato Branca-Galan da Forzapadova, c’è un valico strategico dove musulmani malaticci e zingari infettati devono passare, prima o poi: le corsie degli ospedali… ecco le nuove trincee del Cristianesimo! Nasce così la Santa Crociata Elettorale degli infermieri in clergyman, mandati da Sua Sanità il Vescovo, ma retribuiti dallo Stato con un contratto a tempo indeterminato senza pubblico concorso ed equiparazione agli infermieri laureati… laiche quisquiglie, che non intralciano certo la Reconquista del califfato di ortopedia e delle corsie d’Outremer ad opera dei novelli Cavalieri della Garza, venuti a spargere incenso sulle ferite di questa parte d’Italia che non vuole rassegnarsi alla piaga del multiculturalismo. Così infartuati, diabetici e mutuati dolenti, nella santa degenza della soul surgery, compenseranno la carenza di ausiliari per il cambio catetere con odi a Gesù e ripassi in corsia della parabola del Buon Governatore, il paladino che passerà agli annali per aver aperto nuove frontiere ospedaliere dello Spirito e, soprattutto, inattese prospettive ai giovani. E già, perché se le vie del lavoro sono finite, quelle lassù sono davvero imprevedibili: lasciate, oh parvulos, libretti universitari e pubblici concorsi, impugnate la croce e il breviario e un giorno, vedrete, si aprirà la sacra soglia delle 21 Asl della Regione Veneto. Al passaggio della cometa elettorale, un arcangelo capolista di coalizione farà l’Annunciazione. Francesco Patrizi p.s. ci dispiace segnalare che la gratitudine non è di questo mondo: povero Galan, alla fine la Lega ha deciso di non candidarlo per il terzo mandato, vediamo se lo faranno ministro...

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La felicità in PIL Una domanda non proprio peregrina: cosa accadrebbe se per calcolare il PIL di un Paese e misurare quanto cresce introducessimo voci come le ore dedicate a ciò che ci piace fare, i film visti e i libri letti, i viaggi fatti, gli sms inviati agli amici, oltre alla cura per il nostro terrazzo o per un amico fedele a quattro zampe? In Italia, di colpo, alcune regioni e città potrebbero diventare invidiate, mentre altre precipiterebbero all’improvviso fra quelle in cui la qualità della vita è ai minimi termini. Questa non è solo una provocazione, ma ha un nome ben preciso, si chiama FIL (Felicità Interna Lorda) ed è un indicatore di benessere diverso dal PIL (Prodotto Interno Lordo), che è basato su valori prettamente economici. Il termine FIL fu coniato a metà degli anni ottanta dal “Re Drago”, monarca assoluto del Bhutan, piccolo Stato montuoso dell’Asia, al quale necessitava uno strumento per misurare il successo della sua politica. Buona l’idea, decisamente pessima l’applicazione. Difficile pensare che, sotto un regime assolutista e con una popolazione per metà senz’acqua e analfabeta, con percentuali di sopravvivenza solo di un neonato su due, i butanesi potessero essere felici, ma il concetto di FIL è divenuto comunque in breve tempo uno dei capisaldi della ricerca accademica. Secondo il modello teorico i quattro pilastri per misurare il FIL sono: sviluppo equo e sostenibile, valori culturali e religiosi, ambiente e salute, buon governo e, di conseguenza, fiducia nelle istituzioni. Un convinto sostenitore del FIL, di un benessere non condizionato dai soli consumi, è il Dalai Lama. Oggi ne parlano premi Nobel e studiosi internazionali e la Felicità entra a buon diritto tra i misuratori più attendibili del benessere di un Paese. La tendenza è quindi quella di cercare di misurare la felicità oggettiva affiancandola ai parametri più tradizionali. Non basta il PIL dunque. Urge una politica, non solo economica, che faccia crescere, oltre alla produzione, anche il PIL della felicità. Quindi Governi nazionali e locali dovrebbero porre in essere azioni tese ad accrescere non tanto la ricchezza fine a se stessa, quanto quella della vita delle persone con misure tradizionali ma anche accrescendo il benessere psico-fisico dei cittadini. Il 18 Marzo del 1968 Robert Kennedy pronunciava, presso l’università del Kansas, un discorso nel quale evidenziava, tra l’altro, l’inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate. “…Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta…”. Quindi, considerato che essere felici è sicuramente una condizione dell’animo non trascurabile sia per il proprio benessere che per quello della collettività intera, molti si chiedono se esistono strategie che ci aiutino in tal senso. Psicologi e sociologi consigliano: non attribuirci interamente la responsabilità degli eventi spiacevoli che capitano, stare in compagnia di ottimisti, non invidiare l’altrui condizione (salute, bellezza, ricchezza, etc.), individuare ciò che ci piace nel nostro lavoro e valorizzarlo. Inoltre fare esercizio fisico, curarci salute ed aspetto esteriore: il cattivo umore spesso deriva dal malessere fisico, dimensionare le aspettative alle capacità e alle opportunità medie delle situazioni e non trarre conclusioni generali dagli insuccessi. Soprattutto aiutare le persone che hanno bisogno di noi. Certo vedere come alcuni problemi nel nostro Paese o nelle nostre città siano da anni irrisolti, primi fra tutti quello della legalità, della giustizia, della eguaglianza di fronte alla legge, della qualità ambientale, delle liste di attesa nella sanità e vedere che spesso per decenni siano le stesse persone, spesso non all’altezza, a calcare le scene dei governi e della pubblica amministrazione, non aiuta il nostro spirito ad affrontare la vita con la serenità che forse meriterebbe…. a.melasecche@meta-group.com

LA

PA G I N A

Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta s.a.s. di Martino Raspetti e C.

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Direttore Giampiero Raspetti

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Una parentesi rimasta aperta

laboratori

Sarebbe cambiato qualcosa se il protagonista di Avatar non fosse stato su una sedia a rotelle? Il fatto che ci stia suggerisce una riflessione sulla disabilità? Mi sembra piuttosto uno dei tanti ingredienti di un variopinto minestrone, che si confonde con gli altri fino a perdersi. Perché il regista abbia scelto la sedia a rotelle non lo so. Il tema della disabilità infatti non incide per niente nella storia. Anzi, se ci entra è solo per essere negato: l’avatar del protagonista ha due gambe che funzionano alla meraviglia. La disabilità viene rimossa; la differenza viene rimossa: tutti gli avatar hanno dei corpi perfetti, sono dei replicanti. Agili, veloci, senza età. Cosa avrebbe combinato Jake Sully nella terra dei Na’vi se non avesse potuto usare le gambe? Non era necessario inserire la disabilità in questo film, talmente inzeppato di temi che non ne serviva certo un altro per fare numero; ma se si apre una parentesi è buona norma chiuderla, altrimenti meglio non metterla. Il fatto della sedia a rotelle a un primo impatto emozionale nobilita il regista e fa scattare automaticamente la simpatia dello spettatore nei confronti di questo eroe sfortunato, ma con il procedere della storia la percezione è che sia stato usato solo come specchietto per le allodole. Una scorciatoia per catturare la benevolenza del pubblico. Un’occasione persa per suggerire una riflessione seria sulla disabilità: ma in effetti un film pensato per raccogliere il consenso di milioni di persone, concepito per far riflettere senza impegno, accarezzare le coscienze e stupire coi suoi effetti speciali non può avanzare pretese di approfondimento. Ma allora, per favore, non le avanzi! Maria Beatrice Ratini

Lab

I l v o t o i r re s p o n s a b i l e Alle urne! Alle urne! C’è una bella potenza, un bel brivido, nel ricordare il grido che sta alla base d’ogni democrazia. Le urne ci sono sempre, da qualche parte, ma compaiono solo durante la celebrazione di quel rito civile che sono le elezioni. Anche i seggi elettorali sembrano comparire all’improvviso, ma nel loro caso si tratta solo di un cambio d’abito, di una variazione prospettica: è l’aula scolastica che si trasforma, la palestra che si popola in maniera diversa dal solito: però la funzione primigenia dei luoghi è sempre riconoscibile. Il presidente di seggio siede dietro quella che è ancora palesemente una cattedra di maestra, i cartelloni con i candidati sono appesi sopra delle indiscutibili lavagne, gli scrutatori sono indubbiamente ex-studenti da poco tornati sui banchi di scuola. Il seggio è un’istituzione transitoria, che prende forma sopra un tessuto sociale ancora vivo e apparentemente diverso; ma solo apparentemente, appunto; perché se è nel seggio che si celebra la liturgia della democrazia, il catechismo di quella liturgia dove si può e si deve imparare, se non nelle aule scolastiche? Le urne, invece, sono oggetti assoluti, definitivi, quasi monouso. In alcuni casi lo sono davvero, ad uso unico: quando sono fatte di cartone, con l’etichetta nuova, quasi perfettamente cubiche: difficile che riescano a sopravvivere a più d’una tornata elettorale. Ma ci sono anche urne di plastica, e soprattutto di legno. Vecchio legno compensato, rinforzato sugli spigoli: è facile immaginare qualche addetto comunale che, qualche ora prima dell’apertura dei seggi, è chiamato a ricostruire i vecchi cubi di legno, riadattarli e riassestarli, in modo che possano nuovamente svolgere la loro funzione. E per quelle vecchie urne viene proprio da chiedersi dove saranno riposte, nei giorni normali: in qualche magazzino polveroso, dentro armadi più vecchi del loro già vecchio compensato, magari affiancate da qualche nuova urna in cartone appiattita, anch’essa in attesa di riacquistare volume e forma in un’aula scolastica, pronta a trasformarsi da cartone schiacciato a sacra teca custode della civiltà democratica; grazie solo a un po’ di sapiente nastro da pacchi marrone. Ma urna è termine che significa anche vaso cinerario, atto a raccogliere le ceneri che restano dopo un rogo funebre; pertanto assurge a simbolo di pura memoria, a ricordo di qualcosa che c’era e che ora non c’è più, ma che vale la pena d’essere ricordato. Bisognerà darsi da fare, per evitare che le urne dei seggi elettorali non si trasformino, più o meno velocemente, nelle urne cinerarie della democrazia: perché, per quanto melensa e retorica la cosa possa sembrare, è pur sempre da lì, dai foglietti di carta segnati con la matita e piegati dentro le urne, che tutto prende forma. Prende forma la responsabilità dei nomi scritti sui fogli, e poi trasferiti sulle nomine delle cariche pubbliche: ma - ed è ancora più importante - prende da lì origine e forma anche la responsabilità di chi quei nomi scrive e nomina. Se scrivo “Tizio” sulla mia scheda e poi Tizio viene eletto, posso certo essere contento, ma soprattutto posso e devo sentirmi responsabile. Così, è importante che in queste elezioni amministrative si possa scrivere il nome sulle schede, e seguire le sorti dei propri candidati. Si esercita il principio, sacro e banale al tempo stesso, della delega democratica. Così, invece, è scandaloso che lo stesso semplice processo non possa essere attuato nelle elezioni politiche, dove il voto di chi scrive sulle schede non va ad eleggere nessuna persona, ma solo a dichiarare una preferenza ad un partito che opera da solo e blinda le sue scelte. Per i partiti è più comodo: sanno già da prima, e con un’ottima approssimazione, chi mandare in Parlamento e chi far restare a casa. Per gli scrutatori è più comodo: contare le preferenze è la parte più noiosa dello scrutinio. Per gli elettori è più comodo: basta una croce, e nient’altro: ci si può risparmiare anche la fatica di leggere la lista dei candidati. Per tutti è più semplice, insomma: è sempre più semplice rinunciare alla responsabilità. Perché come ci si potrà poi scandalizzare del tal comportamento dell’eletto, se non si riesce a risalire alla responsabilità diretta degli elettori? Come potrò vergognarmi delle opere di Tizio, se Tizio è stato eletto grazie al mio voto, ma senza il mio consenso? Così, la distanza tra il popolo e i suoi rappresentanti aumenta: i rappresentanti possono curarsi meno del popolo, e il popolo può nutrire sempre più della innocente acrimonia verso i suoi rappresentanti. Tutto molto più semplice. Ma non tanto auspicabile, per una democrazia normale. Piero Fabbri

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Iconografia contemporanea

... che delusione!

Ma il Divino che faccia ha, ai giorni nostri? Lo si rappresenta tradizionalmente come un vegliardo dall’espressione calma, forte e saggia, con una lunga, folta barba bianca. Che la barba sia bianca è coerente con la veneranda canizie. Ma perché lunga e folta? Non potrebbe il Dio portare, che so, una barbetta alla Solgenitzin o un pizzo alla D’Artagnan? O i baffetti come D’Alema? O essere tutto ben rasato come Casini? No, non potrebbe: nella nostra tradizione, il saggio è un vecchio, come tale pieno d’esperienza e saggezza, che, esente dall’umano narcisismo, non è ricercato nel vestire (l’iconografia prevede una specie di lenzuolo senza alcuna particolarità se non quella di ondeggiare al vento) né, in alcun modo, agghindato; e tanto meno rasato. Ma proprio questo è il punto: la saggezza dell’anziano, origine di tutti i senati del mondo (da senex, vecchio) è una qualità estinta. La saggezza dell’anziano che fa appello a princìpi e valori morti e sepolti, oggi fa ridere: lui è capace di venirti a dire che rubare è male, che il successo non è importante e perfino - da non credersi! - che farsi le mogli degli altri non va bene. Beh, si potrebbe dire, un vecchio può anche essere un tantino sciroccato, però l’esperienza è un bene prezioso che non s’acquista in un giorno. Ma quale esperienza? Quale bene? Ma ci avete provato ad insegnare a un sessantenne ad usare il computer? E allora in che modo mai oggi un analfabeta informatico potrebbe incarnare attributi divini? E’ chiaro che l’immagine del vecchio canuto, barbuto, drappeggiato in un semplice lenzuolo, non suggerisce affatto quella di un saggio, ma semmai quella di un rimbambito, magari extracomunitario, emarginato, tagliato fuori da qualsiasi possibile funzione sociale, teorica o pratica. Ed è quindi evidente che un’immagine di tal genere non si presta più, ma proprio per niente, a raffigurare la sapienza e l’onnipotenza di Dio. Ma allora gl’iconografi, al Divino oggi che volto possono dare? Perché deve essere un volto che comunichi superiorità. Superiorità che consiste, in ogni epoca, dall’eccellere rispetto ai valori riconosciuti e condivisi nell’epoca stessa. Quindi adesso, tanto per cominciare, l’onniscienza non deve riguardare solo ogni angolo dell’universo, ogni anfratto della mente umana, ma anche ogni anfratto delle complessità del computer: se oggi tanto di ciò che è umano passa attraverso questo strumento, la divina onniscienza postula che tale strumento, per un Dio anche vagamente credibile, non abbia segreti. Però i maghi dei computer hanno raramente più di 25-30 anni, talvolta molti meno. Quindi l’immagine divina non può essere quella di un vecchio e nemmeno d’un anziano: non comunicherebbe onniscienza. In secondo luogo, nella nostra società è potente chi è abile nelle mene politiche, nello schivare il fisco, nell’eludere la legge. E’ chiaro perciò che nessun credito avrebbe - da noi una immagine divina che non comunicasse infinita onnipotenza anche in questo campo. Dio una volta era anche giustizia infinita; ma la giustizia, ribattezzata giustizialismo, è come tale passata da qualità a difetto; non può più quindi essere attributo di Dio. La faccia di Di Pietro?! Ma via! E la misericordia? L’espressione massima della misericordia è nel modo in cui lo Stato tratta i delinquenti illustri: amnistie, prescrizioni, decorrenza dei termini da un lato; gloria, onori, vie intitolate dall’altro. Un Dio infinitamente misericordioso deve accogliere in Paradiso non chi si pente, ma chi persiste. E allora, una volta esclusa quella obsoleta, del vecchio saggio, giusto e misericordioso, con quale nuova immagine, potremo oggi rappresentare la faccia di Dio? Anzitutto con una faccia giovane. Forse quella del Cristo, che, essendone il figlio, poteva assomigliargli? No: troppo serio, troppo ascetico; e poi: la Croce?! Ma oggi un Dio che si rispetti deve ridersene, di una condanna penale! Il Dio che dovremo raffigurare dovrà invece vestire strafico: via, quel lenzuolaccio! Il suo viso. adeguatamente profumato, dovrà esprimere furbizia, abilità, cinismo, arroganza del potere. E, ovviamente, sfoggiare una rasatura di quelle fintamente trascurate, da macho. Insomma, un misto tra Scamarcio, Corona e Berlusconi. E - naturalmente - gli occhi di Mastella. Vincenzo Policreti

Sapete cosa mi piace della delusione? Niente, vi verrebbe da rispondere, magari… e invece no! Qualcosa che mi piace c’è. Va un po’ cercato, ma c’è senso in questa affermazione. Quando riusciamo ad avere successo in quello che ci siamo prefissi ne gioiamo e godiamo dei frutti dei nostri sforzi, oppure ce la godiamo e basta, se per caso siamo stati baciati dalla dea bendata. Quando invece falliamo? Come reagiamo? Ci possono essere diversi tipi di reazione, a seconda delle delusioni che dobbiamo affrontare. C’è però un carattere in comune a tutte le delusioni, che non mancherà mai. Una volta interiorizzata la notizia cominciamo a guardarci dentro. Magari nemmeno lo desideriamo più di tanto, magari cerchiamo di distrarci in tutti i modi per non riflettere troppo sopra quel tasto dolente che non vorremmo toccare più … ma in un modo o nell’altro ci analizziamo. Cosa ho sbagliato? Dove ho commesso l’errore che mi ha portato a questo risultato? Come posso rimediare? Cosa posso fare adesso per tentare una risoluzione del conflitto interiore e non solo? Penso che questo sia il dono e la benedizione che le delusioni ci portano. In questo momento in cui la riflessione viene un po’ troppo spesso accantonata per far spazio a divertimenti effimeri e impegni improrogabili che poi non lo sono così tanto, ogni tanto una delusione, se ben affrontata, serve proprio. Ora non sto certo facendo un elogio delle delusioni e delle sconfitte personali, ci mancherebbe solo questa! Dico solo che magari quello che ci accade e che non siamo pronti ad affrontare non sempre ci accade perché sono proprio sfortunato, perché non me ne va bene una, oh!” o ma sempre tutte a me, eh! Magari quella delusione momentanea può portare ad una più profonda conoscenza di noi stessi, dei nostri limiti, delle nostre capacità e, perché no, dei nostri desideri! Quante volte è capitato che dopo una delusione che non ci si aspettava si è riusciti ad arrivare al proprio obiettivo anche più forti di prima? Sarebbe troppo bello e troppo facile arrivare sempre primi e senza nemmeno una goccia di sudore, pronti per le foto di rito e per le prime pagine… nessuno ha mai detto che sarebbe stato così e ne siamo grati. Molto meglio magari essere un po’ tristi, sentirsi un po’ giù per qualche tempo, ma poi reagire come dei leoni che abituarsi ad avere tutto al primo tentativo e poi magari ritrovarsi superficialmente sulla cresta dell’onda non per bravura, ma più che altro per leggerezza interiore. Non c’è da pensarci troppo… bisogna ammetterlo: le delusioni bruciano, lasciano brutte cicatrici, ma l’idea che ogni cicatrice sia un autografo di Dio penso sia la più calzante mai cantata. Le delusioni fanno crescere, le delusioni aiutano a rafforzarsi, ma soprattutto le delusioni aiutano a stimolare quella dote un po’ trascurata, chiamata umiltà… che dovremmo sviluppare tutti un po’ di più, altrimenti … che delusione! Chiara Colasanti

Il popolo sovrano

frustrazioni assistendo con grande entusiasmo ai combattimenti fra i gladiatori come fosse una lotta fra belve. Fu la volontà popolare a condannare Socrate all’ostracismo, la cicuta fu la conclusione finale concordata con la gente. Non sempre il popolo ha ragione. Qualcuno fa finta di non sapere o mente quando dà sentenze che la storia smentisce. Più di duemila anni sono passati da quando il popolo condannò a morte un innocente. La Croce è testimone di quanto l’uomo sia perverso nella sua ignoranza. Fa tremare la libertà la democrazia che serve agli interessi di pochi. Ma il popolo è sovrano, anche se a volte si rigenera nell’inganno. Ha bisogno di una guida come fosse gregge, un deciso latrato perché cambi strada. Giuseppe Rito

Non sempre il popolo ha ragione. Freddamente la storia riporta gli avvenimenti, ma senza accurate analisi. Non pone domande, né approfondisce le motivazioni dei fatti. Nessuno si è mai chiesto cosa potrebbe diventare la democrazia nelle mani di un popolo incerto ed angosciato. È un riflesso deformante la gestione della democrazia nelle mani di qualche illusionista. L’imbonitore sa bene come operare per manovrare una massa di gente delusa e scoraggiata. Ingenuamente ho pensato che l’uso della politica come spettacolo facesse parte delle scene del passato. Lo scenario del Colosseo dove il popolo, liberamente inquadrato, tifava per le fiere o sfogava le proprie

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Magica OLIMPIA La Provincia di Terni per la cultura

L’ANTICO TEMPIO DORICO GRECO

Diversi anni dopo che il tempio era stato completato fu affidata al grande scultore Fidia la realizzazione di una statua in onore di Zeus. La statua criselefantina, opera leggendaria, divenne celebre come una delle sette meraviglie del mondo.

Pausania ELLADOS PERIHGESIS V, 10, 2 Che l’autore della statua sia Fidia lo testimonia anche un’epigrafe inscritta sotto i piedi della statua di Zeus. Essa dice: Feidiaj Xarmidou uioj Aqhnaioj m’epoihse Fidia di Carmide figlio Ateniese mi fece

Pausania ELLADOS PERIHGESIS V, 11 1. Il dio, d’oro e d’avorio, è seduto in trono. Ha sulla testa una corona lavorata in forma di ramoscelli d’ulivo. Nella mano destra regge una Nike, anch’essa criselefantina, con una benda e, sulla testa, una corona. Nella mano sinistra del dio è uno scettro ornato di ogni tipo di metallo e l’uccello che sta posato sullo scettro è l’aquila. D’oro sono anche i calzari del dio e così pure il manto. Nel manto sono ricamate figurine di animali e fiori di giglio. 2, Il trono è variamente ornato con oro e con pietre preziose, con ebano e con avorio. Esso presenta inoltre figure dipinte e statue in rilievo. Quattro Nikai in atteggiamento di danza ornano ciascuno dei quattro piedi del trono e altre due stanno al collo di ciascun piede. Su ognuno dei due piedi anteriori stanno dei fanciulli tebani rapiti da sfingi e sotto le sfingi Apollo e Artemide uccidono a colpi di freccia i figli di Niobe. Il dio, raffigurato seduto, raggiungeva un’altezza di oltre dodici metri, per cui si diceva che se si fosse alzato in piedi avrebbe sfondato il tetto del tempio. Il nucleo su cui sarebbero stati fissati tutti questi preziosi materiali doveva essere di legno. Il piedistallo era di marmo eleusino scuro ed era largo quanto la navata centrale del tempio. Della statua non è rimasto nulla.

IL TEMP IO DI Z E U S I lavori di costruzione del Tempio di Zeus, il più grande del Peloponneso, iniziarono nel 470 aC e furono ultimati poco dopo il 457. L’architetto fu Libone, eleo. Il materiale di costruzione fu una pietra dura locale, la pietra conchiglifera che si estraeva sulle rive dell’Alfeo. Per la decorazione scultorea e la copertura del tetto venne usato del marmo bianco a grana grossa. L’intero edificio sembrava fatto di marmo perché la pietra conchiglifera era ricoperta di intonaco a base di polvere di marmo. Il tempio era dorico periptero (la cui cella cioè è interamente circondata da una fila di colonne), con sei colonne sul lati corti e tredici su quelli lunghi. Il basamento (crepidine, da krhpij, krepis, base, fondamento, zoccolo) ha tre gradini, di cui i due inferiori sono alti 48 cm e quello superiore 56 cm. Il primo blocco di pietra (stilobate) posto alla base delle colonne è lungo 64,12 m e largo 27,68 m. Le colonne, alte 10,35 m e con diametro di base di 2,25 m, sostenevano la trabeazione (l’insieme cioè formato da architrave; fregio, composto da metopa1 e triglifo2; frontone, composto da cornice frontonale, cornice orizzontale, timpano; acroterio (elemento ornamentale posto sull’apice e sulle estremità laterali del frontone e consiste in figure sfingi, leoni, cavalli, divinità - o dischi decorati con motivi vegetali). L’epistilio (epi, sopra e stylos, colonna - trave principale o architrave) ) è composto da pietre enormi, lunghe 5 m e alte 1,77 m. 1- La metopa, nei templi dorici, è la parte del fregio compresa tra le due aperture per l’inserimento delle travi (triglifi); costituita da un blocco calcareo o marmoreo di forma rettangolare o quadrata, era spesso scolpita in rilievo con scene mitologiche e verosimilmente colorata. 2 - Il triglifo è l’elemento decorativo del fregio, a forma di lastra quadrata con tre scanalature verticali che si alterna alle metope.

2° parte

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La Bottega delle Idee, Idee così chiamiamo la nostra giovanissima associazione: un laboratorio culturale ideato e creato da noi giovani donne umbre, che scopriamo ogni giorno di più un aspetto antico ed autentico, ma allo stesso tempo nuovo di questo cuore d’Italia, denso e pacato che è vita quotidiana e storia tra monti, verdissime colline, piccoli specchi d’acqua e suggestive vallate. Siamo Annalisa Cirri, Carla Mosciatti, Cristina Venturini, Lia Grasso e Silvia Venturi. Vogliamo tracciare un ritratto insolito di questa regione, proponendo la realizzazione di un ambìto progetto che si chiama Buon Viaggio in Umbria!: un servizio integrato che si propone di trasmettere al visitatore l’incanto di luoghi ricchi di energie, dove il viaggio diventa, inevitabilmente, ricerca di sé. E’ prevista infatti la realizzazione di sito web che consenta di fare interagire, su richiesta, contemporaneamente: località, proposte fruibili, stagionalità di manifestazioni culturali ed eventi enogastronomici, proprio per favorire ospitalità, natura, arte, cultura, sport ed attività ricreative attraverso la proposta di itinerari integrati a 360°. Saranno inseriti, nel sito web, raccolte di fotografie e filmati tematici di approfondimento (arte - storia - ambiente - tradizione) che, a disposizione del navigatore, potranno essere visualizzati e scaricati a richiesta. Per renderlo ancora di più una vetrina internazionale di diffusione delle ricchezze culturali, delle tradizioni e delle risorse ambientali e paesaggistiche di cui la nostra regione è ricca, sarà tradotto in quattro lingue. Crediamo tuttavia che costruire un sito internet sia uno strumento utilissimo per esporre il proprio operato e per favorire i contatti, ma allo stesso tempo abbiamo la certezza che ogni risorsa vada animata con la creazione di un evento. Per questo abbiamo deciso di realizzare un interessante programma sul nostro territorio e differenziarne i generi ed i luoghi, nell’intento di diversificare l’offerta per temi e finalità. Abbiamo iniziato lo scorso dicembre 2009 con due serate natalizie nell’Auditorium di San Michele Arcangelo in Cesi e, grazie alla ottima partecipazione di pubblico, si è potuto rendere un aiuto solidale alla residenza protetta Casa del Bambino di Terni, devolvendo gran parte dell’incasso conseguito, svolgendo anche un’azione divulgativa di contribuzione al suo mantenimento. Vi invitiamo a visitare il nostro sito internet www.bottegadelleidee.it dove sono disponibili programma, approfondimenti e brochures, moduli associativi e newsletter quinidicinale che spediamo ai nostri contatti per informarli su notizie, curiosità ed appuntamenti importanti nella nostra città Questo è soltanto il nostro primo anno…. Perché come si dice: Chi ben comincia è già a metà dell’opera! Vi aspettiamo per condividere momenti, colori, suoni e tante belle emozioni. Le bottegaie Il programma degli eventi del 2010 è ricco di iniziative, e come si dice, c’e n’è per tutti i gusti. A marzo, giorno 25 ore 17, una conferenza all’Archivio di Stato di Terni, su “l’Abbazia di S. Pietro in Valle” e “Il Cammino di San Francesco”, per arrivare preparati al successivo appuntamento del 5 aprile, giorno di Pasquetta, dove chiameremo tanta gente per partecipare ad una vera e propria passeggiata su una tappa del Cammino, nell’intento di divulgare questo importante progetto di percorso pedonale tra storia e spiritualità in Umbria, ideato dagli architetti Paolo Leonelli e Mario Struzzi per le Famiglie Francescane e la Regione Umbria. L’iniziativa è stata programmata in questo modo: - partenza da Terni in pullman diretto verso l’Abbazia di San Pietro in Valle con visita guidata; - arrivo in pullman sino a località Le Cese di Ferentillo con consegna individuale ai partecipanti di un sacchetto pranzo con prodotti tipici umbri della tradizione pasquale; - inizio del cammino a piedi: Le Cese - Sensati - Monteluco - San Giuliano; - discesa da Monteluco a Spoleto attraverso il Ponte delle Torri; - partenza da Spoleto e rientro a Terni in pullman. Per prenotazioni: Annalisa 3346366679 - Lia 3200655560 - Cristina 3333755194

CIRCUITO TEATRALE Il 22 maggio in Narni. Un’incantevole favola contemporanea lieve, profonda e divertente, nello splendido scenario del Teatro Comunale, dove si esibirà la Compagnia Teatrale Ternana Teatro Danza Central De Movimiento con il recital Odette Toulemonde, lezione di felicità di E. E. Shmitt. Il 19 giugno, nella cornice del complesso di San Nicolò di Sangemini, Riccardo Leonelli e il duo Eldar daranno vita ad un racconto-spettacolo che fa gustare con estro e buon gusto un S. Francesco concreto ed attuale, trattodai testi de Il Giullare di Assisi di Arnaldo Casali. Successivamente alla rappresentazione tutti gli ospiti saranno invitati ad una degustazione di cibi, con brindisi sotto il quadrato di cielo del suggestivo Chiostro. Durante le festività natalizie, torna il programma delle serate presso l’Auditorium di San Michele Arcangelo in Cesi, per gli spettacoli di beneficienza con la recitazione di testi e poesie sul Natale e le degustazioni dei prodotti tipici della tradizione natalizia umbra. ITINERARIO ARTISTICO Una giornata di pittura all’aperto nei pressi del lago di Piediluco, in una domenica di maggio, il tutto allietato da accompagnamento musicale. Una giornata dedicata al dialogo fra la musica blues e la pittura in un contesto in cui l’improvvisazione diventa l’ispirazione comune con Fred Duna & the full optional, una band di musicisti ternani di grande successo. E durante un week end di luglio, in uno dei tanti borghi sconosciuti della nostra bella Umbria, forse proprio a Lizori, ci perderemo nei colori e nelle forme della mostra della pittrice umbra Simonetta Scacciapiche che si concluderà con una suggestiva serata. Uno spettacolo-concerto pensato per intrattenere, divertire e raccontare una storia d’amore, attraverso musica, immagini e corpi in movimento. Gli attori di questa storia coinvolgeranno il pubblico in un performance multimediale dove non c’è palco né un unico punto di osservazione: lo spettacolo è tutt’uno con l’ambiente! A settembre un doveroso omaggio ad un artista di fama internazionale delle nostre terre: Aurelio De Felice. Presso l’omonimo Parco a Torreorsina andrà in scena una serata musicale a cura del gruppo Banda Central con proiezioni real-time su maxi schermo della vita dell’artista e delle sue opere. Nel contempo significativa l’interprestazione de La terza notte di Central de movimiento, racconto del tempo in cui un’emozione nasce, cresce, prende coscienza e vive nell’animo e nel corpo di una donna, un viaggio sentimentale attraverso tre dimensioni: musica, danza e poesia. Poi in novembre, a Cascia, coinvolgeremo scuole e giornalisti, con un’educational volta alla sensibilizzazione dei media sulla produzione dello Zafferano purissimo, attraverso un concorso fotografico e culinario promosso all’interno delle scuole del settore, che culmina con una giornata di esposizione e di assaggio di portate a base di questo prezioso ingrediente.

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LICEO CLASSICO

G . C . TA C I T O Un robot non può danneggiare l’umanità, nè può permettere che, a causa del suo mancato intervento, l’umanità venga danneggiata. Così Isaac Asimov regolamenta il comportamento dei robot nelle sue opere e in particolare nel Manuale di robotica, che s’immagina datato 2058 dC. Sebbene le previsioni letterarie e cinematografiche, come le opere di Asimov e il film capolavoro Blade Runner di Ridley Scott, possano sembrare essenzialmente fantasie, la tecnologia robotica fa passi sempre più grandi: macchine intelligenti, costruite per l’uomo, programmate per agire in suo favore in ogni campo e in ogni situazione...

Le domande attorno alle quali è centrata la polemica riguardo la robotica sono molteplici, ma le questioni essenziali sono in realtà due: ciò che riguarda la capacità decisionale di un robot, ovvero la sua sfera di libero arbitrio, e il rischio di dipendenza psicologica che potrebbe stabilirsi se, veramente, i robot si facessero largo nella vita umana, sin dalla quotidianità. Non si parla solo di una dipendenza strettamente meccanica e pratica, come potrebbe essere nel caso di un robot che aiuti nelle pulizie di casa, ma anche di una vera e propria dipendenza psicologica, come afferma Gianmarco Verruggio, ricercatore robotico sperimentale, in un suo articolo sulla robotica: il rischio più grande per l’uomo è proprio quello di dare a una macchina un valore umano, provare sentimenti nei suoi confronti, confondere ciò che si vuole che sia con quello che realmente è. Nello scorrere del tempo l’uomo continua a procedere, forse perché davvero la sua mente non ha limiti, forse perché è davvero la creatura perfetta.

Nuove intelligenze: perché i robot? Ma a volte si spinge molto lontano, perdendo la capacità di discernimento tra ciò che è giusto e ciò che eccede. E arrivare a voler creare una macchina intelligente e autonoma, come è il robot, e darle infine sembianze umane, è come voler girare il mondo con il solo ausilio dei piedi. Sorge spontanea dunque una domanda, già posta dall’antropologa svizzera Daniela Cerqui durante un Simposio Internazionale sulla Roboetica: Perché si progettano robot? L’aspetto utilitario pare piuttosto evidente. Ciò che non è abbastanza chiaro è invece la ragione per la quale l’uomo vuole a tutti i costi creare un essere, fatto a sua immagine e somiglianza, che possa parlare, pensare, ragionare, apprendere ed agire. Molte risposte potrebbero avvicinarsi alla realtà, ma nessuna di esse è quella giusta. Infatti, una vera risposta non c’è: è l’uomo, nulla gli basta, e solo il desiderio di arrivare più lontano lo spinge a vivere.

A ragione perciò si è espresso Josè Maria Galvàn, professore di Teologia all’Università di Santa Croce a Roma, proponendo la creazione di una tecnoetica, ovvero un codice etico applicato alla dimensione tecnologica. Se la tecnologia può potenziare la libertà dell’uomo, può però anche minacciarla. Inoltre, perchè dare forma a una creatura, con braccia, piedi, occhi, una mente collegata con software eccezionali, insomma renderla del tutto simile all’uomo, per negarle poi il nocciolo di quest’ultimo, la sua anima? La crudeltà spinge l’uomo a dare tutto a questa creatura, negandole la parte più bella. Il rischio è che, se queste macchine così intelligenti possono agire e comprendere il significato delle proprie azioni (ciò che si chiama coscienza robotica), arriveranno a prendere sempre più autonomamente le proprie decisioni. Così “l’antinomia tra determinismo e casualità” sarà di fatto applicabile ai robot. E’ il punto focale del film

Blade Runner, in cui i replicanti si ribellano all’uomo nella rivendicazione della loro capacità di sentire, di odiare, di amare. Se è vera dunque la Prima Legge della Robotica, formulata da Asimov insieme alle altre nel 1942, e se la tecnologia può essere strumento di liberazione, l’unico atteggiamento giusto per l’uomo è forse quello di riconoscere i propri limiti. Solo così la tecnologia non lo chiuderà in un circolo vizioso, dal quale non potrebbe uscire. Flaminia Borelli II IT

Per un’etica dell’autonomia della scienza

E’ strano che ancora oggi, nel ventunesimo secolo, si debba discutere per difendere l’autonomia della scienza, che porta continuamente innovazioni in ogni ambito della nostra vita. Proprio noi - noi che possiamo curare la tubercolosi, vedere un bambino prima che nasca e fare il giro del mondo in molto meno di ottanta giorni - proprio noi, insomma, ci interroghiamo ancora sull’importanza della ricerca scientifica e spesso tendiamo a limitarla e a frenarla. E pensare che Galileo, più di quattrocento anni fa, aveva

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già capito tutto. La vita di Galileo è stata una continua lotta, in difesa del nuovo sapere, dagli Aristotelici e dall’autorità religiosa, incarnata dalla Chiesa della Controriforma. Ai primi egli contestava in particolare il principio di autorità, l’ipse dixit, che i discepoli di Aristotele difendevano strenuamente, anche a costo di non credere ai loro occhi: si fidavano ciecamente della dottrina del loro maestro e non si arrendevano nemmeno di fronte all’evidenza, che confutava ciò che avevano studiato e accettato come vero. Galileo, invece, rivendicava la libertà d’indagine e rifiutava di accettare ciò che l’esperimento gli indicava come errato. Ma il problema maggiore, per Galileo, era rappresentato dalla Chiesa post-tridentina, con la quale lo scienziato pisano si scontrò in seguito alla sua adesione al copernicanesimo: l’autorità religiosa non poteva

permettere che si mettesse in dubbio la Bibbia, la quale dice chiaramente che la Terra sta ferma e che il Sole le gira intorno. Galileo ribatteva con la dottrina della ripartizione degli ambiti, cioè del diverso compito del teologo e dello scienziato: egli affermava che la Chiesa deve spiegare ciò che l’uomo deve fare per ottenere la salvezza dell’anima dopo la morte (come si vada al cielo) e non fornire una descrizione del cosmo (come vada il cielo). La situazione, al giorno d’oggi, è cambiata, ma ciò non significa che sia stata risolta del tutto, che i problemi incontrati da Galileo non siano più attuali o che la sua posizione non sia più valida. La scienza deve ancora affermare la sua piena autonomia, difendendola da alcune auctoritates, che però non sono più quelle contro le quali si scontrò lo scienziato del Seicento. Per quanto riguarda le autorità culturali, credo che il

problema sia stato risolto: tutti chiedono ad una sola voce il progresso e nessuno si arrocca più su posizioni arcaiche, rifiutando l’evidenza come il povero Simplicio. La Chiesa, inoltre, non avversa più le scoperte scientifiche perché adotta, in qualche modo, la dottrina della ripartizione degli ambiti galileiana, come, ad esempio, per la questione della creazione dell’universo: le diverse interpretazioni (il Big Bang e il Dio creatore) pur differenti, possono comunque trovare punti di convergenza. Il problema che oggi scatena la maggior parte dei dibattiti è, invece, il rapporto tra etica e scienza, in particolare su temi come l’aborto, l’eutanasia o il testamento biologico. Io ritengo che queste siano questioni talmente delicate, intime e personali che è impossibile trovare una verità generale o un metodo di comportamento che valga per tutti. Ognuno di noi, in base alla

sua coscienza, ha un’opinione diversa e un differente approccio al problema. Non mi permetterei mai di giudicare un padre che decide di staccare la spina che tiene in vita una figlia da quasi venti anni; nessuno può comprendere la disperazione, la sofferenza e l’agonia di chi sta vicino ad una persona che non vive. Non posso nemmeno dire di no all’aborto o al testamento biologico: chi sa quello che può succedere in futuro? Non si possono dare giudizi in generale, se non si conosce il caso particolare e l’esperienza quotidiana di chi soffre. La scienza ci aiuta. Ci dice quando un feto è malato o quando per una persona non c’è più alcuna speranza. Forse sarebbe utile comportarsi come Galileo e ripartire gli ambiti dell’etica e della scienza. Il fatto è che sta a noi decidere, liberi da ogni tipo di pregiudizio. Maria Micheli II IF


“Ho Inventato l’Acqua Calda” (HILAC), progetto di diffusione dal basso di buone pratiche di sostenibilità, presentato dal Centro per i Diritti umani alla Campagna SEE (Sustainable Energy Europe Campaign) dell’Unione Europea, è stato accolto ufficialmente tra i progetti partner di tutta Europa. Un grande riconoscimento che conferma la capacità progettuale del Centro e incoraggia il suo l’impegno sulle urgenti tematiche della sostenibilità. La partnership con la campagna SEE è diventata stimolo per organizzare anche a Terni, nei giorni della settimana europea della sostenibilità (la EU Sustainable Energy Week EUSEW che si svolgerà a Bruxelles e nelle maggiori città d’Europa dal 22 al 26 marzo), una manifestazione su queste tematiche. Con il titolo SOSTENGO IL SOSTENIBILE dal 25 al 27 marzo presso il CAOS verranno organizzati convegni, workshop, mostre, incontri, rivolti tutti i cittadini, ma principalmente agli studenti delle scuole superiori e dell’università. I giovani in questa fascia di età passano da consumatori passivi a consumatori attivi diventando i gestori del proprio budget economico e, affacciandosi sul mondo del lavoro, saranno presto chiamati a confrontarsi sempre di più con scelte legate alle problematiche della sostenibilità. Sensibilizzarli sui temi dell’efficienza e del risparmio energetico, sui concetti di costo globale delle azioni e sulla qualità della vita, favorisce la nascita di idee, soluzioni e consapevolezze. L’iniziativa che vede anche attività correlate in BCT e in altri luoghi della città, è un punto partenza di un progetto quinquennale di diffusione culturale, monitoraggio, organizzazione di corsi di formazione, bandi, concorsi e promozione di iniziative a sostegno di una cultura della sostenibilità. Le attività si concentrano in questa prima fase principalmente su tre settori quali il design, la grafica di comunicazione e l’architettura quali importanti ambiti di applicazione della “sostenibilità” e di fruizione diretta del cittadino. Alle scuole medie e superiori sono dedicati incontri con l’autore del libro e brevi workshop sul tema del costo globale. Durante la settimana verrà inoltre data possibilità a un gruppo di studenti di assistere a Bruxelles ad alcuni dei numerosi convegni che si svolgeranno nelle sede dell’Unione Europea per poi riportare ai loro coetanei riuniti a Terni informazioni ed impressioni.

Si avvicina lo spettacolo conclusivo dei laboratori La Provincia di Terni

per la cultura Dopo vent’anni dalla sua prima indagine sulla problematica dell’immigrazione e la diffidenza verso l’altro, il Progetto Mandela torna a parlare di razzismo. In una società che tenta di negare il suo essere già multietnica e percepisce il fenomeno delle migrazioni come pericoloso e destabilizzante, è nuovamente urgente affrontare il problema del pregiudizio, che crea paura e alimenta il razzismo. Su questo tema stanno lavorando da novembre i gruppi di drammaturgia, recitazione, scenografia e di comunicazione e a metà Aprile verrà messo in scena lo spettacolo che quest’anno è basato sul travolgente romanzo di Fabio Geda “Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani”. La storia narra di Emil, un ragazzino rumeno di tredici anni, immigrato clandestinamente in Italia. Orfano di madre e con il padre carcerato in Romania vive a Torino a casa di un ambiguo architetto assieme a un’amica, affidato a se stesso e alla sua voglia di resistere e affrancarsi da un destino avverso. A rendere più colorate le sue giornate ci sono il suo migliore amico Marek e l’eroe prediletto Tex Willer. Quando un giorno l’architetto tenta di abusare di lui, il ragazzino lo colpisce con un pugno e scappa. Decide allora di mettersi sulle tracce del nonno, che gira l’Europa con una compagnia di artisti di strada e che gli scrive con regolarità, ogni ultima domenica del mese, lettere in una lingua molto particolare. Il ragazzo inizia così un viaggio che, in compagnia di una schiera sempre più grande di nuovi amici tra speranze e illusioni, lo porterà prima a Berlino, poi in Francia e infine a Madrid, alla vigilia della strage alla stazione ferroviaria del marzo 2004. Romanzo d’avventura e formazione al tempo stesso, a nostro parere divertente e profondo. Wanda Broccucci e Giulia Angelosanti

Per informazioni: il.hilac@gmail.com

Gli appuntamenti di marzo Lungo Cammino verso la libertà Riprende il corso sui Diritti Umani, tenuto dal Prof. Marcello Ricci presso il Centro Socio Culturale in via Aminale, ogni martedì alle ore 15.30 9 -16 - 23 - 30 marzo IL RAZZISMO, LE TEORIE, LA STORIA, LA PRATICA POLITICA

Diritti in scena Reading di teatro contemporaneo per i Diritti Umani Rassegna a cura di Irene Loesch - Centro per i Diritti Umani Terni giovedì 18 marzo ore 17.00 caffè letterario Ruanda Revisited, di Hans Werner Kroesinger 800.000 uomini e donne furono assassinati in Ruanda nel 1994. Come si riesce a far capire un genocidio? Il regista e autore Hans Werner Kroesinger, uno dei più importanti esponenti tedeschi di teatro documentario, non utilizza solo dati, descrizione degli eventi e retroscena. Con un racconto che sovverte tutti i piani e sposta i punti di vista sulle tematiche della violenza, fa uscire lo spettatore dalla sua passività. Ma attenzione, non viene garantita una visone moralmente corretta.

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w w w. i n t e rc r a l t e r n i . i t 3356511243 - 3482864978 - 3394330715

Venerdì 26 marzo

Circolo IL DRAGO - ORE 20

Conferenza del Dott. Francesco Patrizi

I ternani al cinema al tempo di Acciaio Siamo negli anni ’30, il Fascismo vorrebbe un cinema italico di rilievo internazionale, viene fondata Cinecittà e nasce il festival del cinema di Venezia; sono gli anni dei kolossal in costume, che davano lavoro a migliaia di comparse, dei film di guerra e delle commedie leggere, dove si intravede già il futuro cinema neorealista, ma l’invasione via schermo degli americani pare inarrestabile: Clark Gable, John Wayne e Greta Garbo attaccano su tutti i fronti… Vittorio Mussolini pensa che sarebbe meglio averli come alleati, così vola a Hollywood, in qualità di promoter di Cinecittà, ma scoppia la guerra e non se ne fa niente. Intanto a Terni si sperimenta una collaborazione (una delle tante fallite!) tra letterati e cineasti, con la speranza che apra la breccia ad un cinema di alta qualità; si tratta del film di Acciaio, tratto da Pirandello, girato tra le Acciaierie e Papigno. Grandi investimenti per un’operazione che si rivela un flop al botteghino, compreso quello locale; i ternani hanno altre abitudini e altri gusti: la classe colta si riversa all’opera e al varietà, perché il cinema è un po’ troppo popolare, si sa… la classe operaria va a vedere i film della domenica del Dopolavoro, per lo più commedie d’evasione e film americani, mentre i ragazzini, che sono gli spettatori più assidui e numerosi, si infilano (spesso di straforo) tra le sgangherate panche di legno del cinema Corridoni per unirsi al grido di Tarzan, re della giungla e degli incassi. Saranno loro l’anima più viva e possente del Dr. Francesco Patrizi nascituro grande cinema italiano. Quante erano le sale cittadine in quegli anni ce lo rivela la Rassegna del Comune di Terni, che nel gennaio del 1934 elenca il Politeama Ternano, il Cinema Modernissimo, il Cinema Lux, il Cinema Radium, il Cinema Venezia, e il cinema del Circolo O.N.D. (Opera Nazionale Dopolavoro) Filippo Corridoni. Sono attivi anche tre teatri dell’O.N.D.: il Littorio, situato in via Saffi e gestito dal Gruppo Acciaierie, il teatro di Collestatte Strada, che dal 22 maggio del 1937 prende il nome di Principe di Napoli, gestito dal gruppo Papigno, e il Goldoni gestito dal gruppo Nera Montoro. In un editoriale della rivista Acciaio - foglio di ordini della Federazione dei Fasci di Combattimento di Terni leggiamo: “La radiofonia e la cinematografia sono diventati mezzi d’efficacia di primissimo ordine per affrontare e risolvere l’arduo compito dell’educazione sociale; e il Dopolavoro convinto dell’importanza della delicata funzione di queste meravigliose invenzioni del genio umano, affida ad esse gran parte del programma di educazione e di ricreazione delle masse” (Acciaio, 17 novembre 1934). Questa funzione educativa viene però tradita dalla programmazione in cartellone: “ogni domenica un ragazzo va per premio con i genitori in un pubblico locale a godersi la vista di un uomo e di una donna stretti in amplessi, di mogli che tradiscono i mariti, di individui che uccidono tanto per provare la rivoltella e di tante altre belle cose altrettanto educative” e la colpa non è certo dei genitori che “conducono i loro figli, sicuri della moralità del film, lasciandosi ingannare dal fatto che la sala è gestita dall’O.N.D.” (Acciaio, 16 dicembre 1939). A quanto pare, l’accusa di un mezzo di diseducazione Vico Catina 15/A - Terni 0744471180 essere di massa, il cinema si porta ilconvivioterni@virgilio.it Chiuso di Domenica dietro da quasi un secolo. FP

Anche a casa vostra

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A.S.D. BURRACO IL DRAGO A.S.D. RUGBY TERNI CRAL INPS CRAL PROVINCIA DI TERNI A.S.D. CIRCOLO POLYMER CDS TERNI - AZ. OSP. - ASL CRDC COMUNE TERNI

Venerdì 7 maggio

Conferenza del Dott. Gianni Giovannini Direttore generale Azienda Ospedaliera S. Maria - Terni

Prospettive per l'Azienda Ospedaliera S. Maria di Terni I valori che ispirano l'azione dell'Azienda sono la tutela della salute quale bene collettivo e individuale, l'equità di accesso dei cittadini alle prestazioni sanitarie, la sicurezza degli utenti e degli operatori, l'appropriatezza degli interventi erogati nel corso del processo diagnosticoterapeutico e lo sviluppo del coinvolgimento dei cittadini per valutare il servizio reso. L’Azienda ospedaliera di Terni è l’ospedale di riferimento per tutti i cittadini residenti nel comprensorio ternano e per alcune branche specialistiche anche in quello narneseamerino; mentre per le prestazioni di alta specialità il bacino di utenza si amplia notevolmente soprattutto nei confronti delle popolazioni residenti nella parte più settentrionale del vicino Lazio. Sempre sul fronte dell'alta specialità, la programmazione regionale ha previsto lo sviluppo di una relazione d’integrazione con l'azienda ospedaliera di Perugia e con l'Università degli studi di Perugia. L'assistenza sanitaria è erogata con le sue articolazioni classiche: degenza ordinaria, diurna e attività ambulatoriale (eventualmente organizzata in Day Service), avendo cura di garantire nel miglior modo possibile percorsi d’integrazione organizzativa e multidisciplinare. I princìpi distintivi che ispirano l’erogazione di prestazioni assistenziali sono: - alto contenuto tecnologico e professionale con possibilità di attività multidisciplinari e polispecialistiche integrate; - diversificazione delle cure, ovvero potenziale ricorso a diverse tipologie assistenziali; - personalizzazione delle cure, ovvero adeguamento del processo di diagnosi e cura alla particolare condizione dell’assistito attraverso una successione mirata delle prestazioni (percorsi diagnostico-terapeutici); - standardizzazione dei diversi percorsi diagnostico-terapeutici sulla base dell’efficacia, dell’efficienza e della appropriatezza; - lotta al dolore in tutte le sue forme per tendere ad un Ospedale senza dolore. Il modello di Ospedale ipotizzato è quindi componente di un sistema di assistenza complesso e integrato che dovrebbe sempre più funzionare in modo armonizzato e sinergico, per configurare un’organizzazione a rete dei servizi. L’Ospedale è il nodo primario di questa rete sanitaria, senza la quale non è in grado di funzionare correttamente, poiché sarebbe subissato di richieste improprie e soffocato dall’erogazione di prestazioni a bassa complessità erogabili meglio, con minor disagio dei cittadini. Dr. Gianni Giovannini

Cenacolo Culturale ore 20 - Conferenza ore 21 - Cena Conviviale, presso lo stesso Salone Conferenze del Circolo Il Drago. Al termine di quest’ultima, interventi e discussione. PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA

Per prenotare: F. De Nardis 3482864978 A. Giocondi 3394330715 S. Pascarelli 3356511243


8 marzo L a ricorrenza della “festa della donna”, che tutto il mondo celebra l’8 marzo, ha radici antiche ed ha assunto, nel tempo, una valenza elogiativa che nasconde, però, le debolezze di una società ancora alla ricerca di un'effettiva uguaglianza e parità di diritti fra i sessi. In ogni cultura, la donna è un riferimento ricchissimo e le sue doti di creatività e sensibilità non meritano che gli apprezzamenti e le attenzioni si concentrino nel solo giorno dell'anno in cui, tanti, con ritualità, si sentono in dovere di sentenziare sui princìpi di parità, di uguaglianza, di reciproco rispetto. Dovrebbe essere ovvio il significato universale di tali valori, ma, purtroppo, le cronache quotidiane di violenza alle donne ci ricordano che la strada da

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percorrere per una completa parità fra i sessi è ancora lunga e irta di difficoltà. Un segnale di speranza arriverà quando questa festa non sarà più in calendario e nessuno sentirà più il bisogno di ricordare agli altri il ruolo che la donna ricopre nella famiglia e nella società. La mimosa di oggi sia un simbolo di impegno per ogni uomo che imposti i rapporti interpersonali su un piano di convinta dignità. Giocondo Talamonti

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diventata un’altra occasione per speculare. Un tripudio di mimose, ristoranti e pub pieni, uscite con le amiche, divertimento e sballo. È così che si consuma quel giorno che comunemente chiamiamo Festa della Donna. L’8 marzo è la Giornata Internazionale della Donna in cui si ricordano le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne. All’inizio esclusivamente americana, dall’8 febbraio 1909, e poi anche internazionale, la giornata è diventata simbolo del riscatto femminile. In Europa si tenne per la prima volta il 19 marzo 1911, per volontà della Conferenza internazionale di Copenaghen delle donne socialiste. La celebrazione fu ospesa durante la Prima Guerra Mondiale finché a San Pietroburgo, l’8 marzo 1917 le donne della capitale guidarono una grande ma-

è evidente che la condizione della donna è ancora inferiore e che spesso vengono calpestati quelli che sono i diritti universali dell’essere umano. Libertà, dignità e diritto alla vita vengono ancora negati minando pertanto non solo i diritti della donna, ma le basi della convivenza civile e della nostra costituzione. L’8 marzo, per la poca importanza che gli diamo oggi, non rivendica più le conquiste della donna. Non è altro che l’ennesimo sintomo di un sistema basato solo sull’ottica del guadagno che calpesta ogni valore ed ogni identità storica. La festa della donna per me non è un giorno da festeggiare con fiori o cose particolari, è assolutamente un giorno qualsiasi. Credo nel suo significato autentico e credo che la funzione di una tale giornata sia ricordare i progressi delle donne e riaffermare la loro libertà, dignità e uguaglianza con l’uomo. Non ha significato festeggiare la donna una volta l’anno con fiori o regali, anzi non è sufficiente. Va rispettata tutto l’anno come individuo pari all’uomo. Maria Laura Bianchini

Pr

È

nifestazione che rivendicava la fine della guerra. Nella Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, che si tenne a Mosca nel 1921, si fissò l’8 marzo come Giornata internazionale dell’operaia. In Italia fu celebrata a partire dal 12 marzo 1922. Oggi però la festa della donna ha perso la sua valenza originaria, svuotata di ogni significato storico e sociale, è diventata una giornata solo a scopo di lucro, occasione di guadagno per commercianti, fiorai e ristoratori. Nonostante le numerose iniziative che cercano di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza e il significato di tale festa, quotidianamente avvengono violenze a scapito di donne, ancora vittime di disparità. Siamo portati a credere che nella nostra bella società abbiamo raggiunto il massimo della civiltà, conquistato tutti i diritti, quando invece ci dimentichiamo di ogni valore e di ciò che soltanto con secoli di lotte si è riusciti ad ottenere. È assurdo che nel ventunesimo secolo non ci sia uguaglianza tra tutti gli individui, non si sia raggiunta l’emancipazione femminile:

semp

La sacralizzazione e l’intoccabilità della proprietà rappresenta, seppur in un contesto completamente diverso, l’unico elemento di continuità col vecchio mondo. Anche la moderna borghesia, come l’aristocrazia feudale, fa reggere tutta l’impalcatura della società sul diritto di proprietà. Per quanto riguarda la sicurezza, in altre parole il diritto alla vita, non c’è alcun articolo specifico che lo illustri, se non indirettamente l’art.12 nel quale si afferma che “la garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino ha bisogno di una forza pubblica...”, che li protegga, probabilmente perché era considerato il diritto più importante e nello stesso tempo il più evidente e scontato. Lo stesso ragionamento non si può invece fare per la resistenza alla oppressione, che non è più affrontata in nessun articolo, perché rappresenta un punto molto delicato del pensiero liberale. Locke la prevedeva come diritto fondamentale legato alla sovranità popolare e alla tutela dei diritti; qualora infatti il governo non rispetti i diritti naturali dell’individuo il popolo ha il diritto di ribellarsi per imporre questo rispetto. E’ quello che è accaduto nella rivoluzione inglese quando viene ammazzato Carlo I e cacciato Giacomo II ed è quello che è accaduto nella rivoluzione francese con Luigi XVI. Ma in questi casi si aveva a che fare con sovrani assoluti che non riconoscevano la sovranità popolare, qualora però il governo fosse stato in mano della borghesia rivoluzionaria ed essa stessa a sua volta avesse negato alcuni diritti fondamentali al popolo, avrebbe la borghesia al potere ammesso la possibilità della ribellione? Facciamo un esempio: la Dichiarazione affermava non solo l’uguaglianza giuridica di tutti gli individui, ma, nell’art. 6, si specificava che rispetto alla legge “tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti alla sua formazione”. In altre parole il diritto di voto per tutti. La Costituzione invece prevedeva il diritto di voto solo per chi aveva un certo reddito cioè per i ricchi. Al popolo a rigore di logica andava allora concesso il diritto alla ribellione come conseguenza del disconoscimento di un diritto fondamentale quale quello di voto. Ma questo non è accaduto nella prima fase monarchico-costituzionale della rivoluzione francese dove al popolo non fu riconosciuto alcun diritto di voto né di resistenza alla oppressione. E’ la contraddizione di classe della borghesia rivoluzionaria, rivendicatrice di diritti nei confronti del sovrano assoluto, ma negatrice, una volta al potere, dei diritti della classe popolare. Andava bene la rivolta popolare che porta alla presa della Bastiglia contro l’assolutismo, ma andava repressa la manifestazione del campo di Marte nella quale Danton e le forze filopopolari esprimevano posizioni antimonarchiche e repubblicane. Andavano bene alcune libertà politiche, ma non il diritto di sciopero che con la legge Le Chapellier del giugno del ‘91 veniva vietato. Con l’art. 3, stabilendo che “il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione”, si cancella definitivamente la vecchia concezione secondo cui la Francia era proprietà del re per grazia divina e Dio viene eliminato dalla politica e relegato alla scelta individuale delle coscienze: laica è l’origine della sovranità e laico deve essere lo stato. E infine con l’art. 16 si suggella in modo inequivocabile la separazione dei poteri teorizzata da Montesquieu,quale garanzia fondamentale per il funzionamento di uno stato liberale: “Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione”, vale a dire che, se il potere del governo di dare esecuzione alle leggi, quello dei magistrati di farle rispettare e quello del parlamento di produrle non sono divisi, si ha uno stato assoluto senza Costituzione e non uno stato liberale. Dall’analisi pur per sommi capi della Dichiarazione del 1789 possiamo dunque concludere che tutto il suo impianto ideologico è liberale in quanto insiste nel rivendicare, anche se a volte in modo solo parziale, i cosiddetti diritti civili e politici, quelli che verranno definiti in seguito di prima generazione. Ma la Rivoluzione francese è un evento complesso che attraversa varie fasi storiche caratterizzate da sensibilità ideologiche e politiche diverse. Quando nel 1793 i Giacobini sono al potere producono una nuova Costituzione preceduta da una nuova Dichiarazione dei diritti, che, conformemente alle posizioni giacobine, presenta, sotto l’influenza di Rousseau, un più accentuato carattere democratico e sociale. Prof. Marcello Ricci

Diritti umani

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SAN VALENTINO: restituire solennità a un quartiere simbolo

Il mese valentiniano della città di Terni è passato. Il Santo rappresenta però una risorsa spirituale, morale e, infine, materiale di tipo permanente. Cosa offriamo dunque agli innamorati quando, nei vari periodi dell’anno, vengono a cercare conforto dinanzi

alle spoglie del nostro Patrono? Anziché disperdere in mille rivoli le scarse somme a disposizione, gli Enti Locali molto potrebbero fare per esaltare anzitutto la solennità del luogo, con una scenografia finalmente all’altezza. Come è noto, per giungere ad omaggiare San Valentino si arriva in auto, precipitando nell’imbuto stradale e nel caos urbanistico dell’omonima Via. Pochi anni prima che la politica dei c.d. rami secchi sopprimesse quel capolavoro ingegneristico della Ferrovia Spoleto-Norcia, per Santa Rita da Cascia si

allestì un progetto per un binario che, da Serravalle di Norcia, avrebbe reso più agevole ai turisti recarsi a venerare la Santa dell’Impossibile. A Terni, a poco più di 200 metri dalla Chiesa di San Valentino sferraglia la Ferrovia Terni-L’Aquila, da tempo in crisi. Non sarebbe difficile predisporre una locale fermata per il turismo religioso, moltiplicando le occasioni di visita della Basilica e realizzando altresì uno speciale -quanto breve ed economicoitinerario di preghiera sul modello assisiate. Contestualmente si dovrebbe pensare ad abbattere i

blocchi di proprietà ATER di Via Sant’Apollonio, murati da anni per le condizioni di fatiscenza cui sin dall’inizio essi versavano, alloggi che hanno trasformato la zona ai piedi di San Valentino in un ghetto urbano, sentina del disagio sociale cittadino. Quando si costruisce un quartiere in un modo oggettivamente incongruo, poco attento all’estetica e alla qualità della vita -basti pensare alla Scuola Materna di Via Zaccaria, la cui facciata è stata ridipinta in modo grottesco- si alimenta il disamore e il disinteresse anche nei suoi abitanti, sentimento negativo che

rischia di contaminare pian piano un’intera comunità. Chi ha visto San Giovanni Rotondo, Cascia, Assisi, nota che altrove simili brutture sarebbero inammissibili. Dunque occorre ripensare questa parte essenziale del territorio tramite interventi incisivi, restituendo scenari urbani nuovi e improntati al gusto del bello a favore dei cittadini che vivono attorno alla Basilica, di tutti noi ternani, nonché dei tanti turisti in visita, restituendo magniloquenza a un quartiere sacro, il quartiere di San Valentino, patrimonio del mondo. andrealiberatius@gmail.com

YOUTUBE e quei libri sacri lasciati distrattamente bruciare Si dice che Youtube rappresenti uno dei fenomeni mediatici rivelatori del grado di libertà di un Paese: non a caso questo sito è oscurato in diversi Stati anche vicini al nostro, come Marocco, Tunisia, Libia, Turchia e molti altri. La libertà in seno a esso è, infatti, quasi assoluta. Navigando, può così accadere di incappare persino in decine e decine di filmati di Bibbie cui viene dato fuoco, immagini di straordinaria violenza morale, che, dai roghi di libri nell’antica Tebe o nella più moderna Berlino o nella contemporanea

Teheran, rievocano epoche di tenebra. I primi clips del genere sarebbero apparsi sin dal 2006, ma nessuno tuttavia li avrebbe eliminati. Nel’ultimo anno ci sarebbe stata perfino un’accelerazione rispetto al passato, con una media di immissione filmati pari a tre al mese, contro i tre -in un intero anno- del 2006. A copie del Corano viene riservato analogo trattamento dissacratorio. Nonostante Youtube abbia formalmente rifiutato contenuti diffamatori e molesti, qui si è attivata una catena

di turpitudini che danneggia fortemente lo stesso contenitore on line. E si va anche oltre; si raccontano infatti impieghi altrettanto ignobili nei confronti dei Libri Sacri, distrutti e vilipesi tramite vari sistemi in aggiunta al citato fuoco: il tutto filmato e reso riproducibile ad libitum. Si tratta peraltro di clips visti talvolta da decine di migliaia di persone, con commenti ed espressioni volgari e irridenti. Dove stiamo andando? Youtube è sovranazionale e proprio questo aspetto rappresenta le ragioni del

Il mensile La Pagina, con la collaborazione della Mathesis sezione di Terni, del Liceo Classico Tacito, dell’InterCral di Terni, promuove il corso:

C o s t r u i a m o l a m a tematica

Il corso, interamente gratuito, è tenuto dal Prof. Giampiero Raspetti, già docente di Matematica e Fisica presso lo stesso Liceo. Gran parte di ciò che chiamiamo matematica è lo sviluppo dei pensieri sollecitati da aspetti naturali quali: la presenza, la mancanza, la grandezza, la forma... La matematica nasce e si sviluppa durante la vita quotidiana dell’uomo: riflessioni in itinere. Non è empiria in sé, ma nasce dall’empiria. Gli enti razionali come i punti, le rette, i piani sono figli della ragione, sono astrazioni che aderiscono alla struttura delle realtà empiriche dalle quali provengono. La matematica, allora, è un metodo. Non un cassetto del sapere, quello che contiene formule, costruzioni mentali, astrazioni... è un metodo: il metodo che porta da situazioni fisiche a situazioni mentali, da strutture reali a strutture astratte, che hanno però a che fare con le strutture reali di partenza, risultandone un loro estremo perfezionamento. Occorre allora ripercorrere, nel cervello di ciascun allievo, la storia della matematica e delle sue motivazioni. Il primum movens sarà nel come, cioè nel metodo: lo studente formula congetture intorno ad una qualsiasi problematica; l’insegnante interviene al momento in cui sia necessario modificare una tesi del tutto errata, purché non inibisca il gusto del congetturare. Il modo migliore per capire e quindi imparare è quello di ipotizzare, di fare, di agire, di concretizzare, di sentirsi piacevolmente protagonista. Occorre sviluppare nei giovani il senso della critica, della ricerca, della scoperta di elementi particolari, di regolarità, di irregolarità, di fenomeni dei quali lo studente stesso formalizzerà regole guida. Il programma di matematica diventa programma di storia della matematica con il corredo di tutto quello che serve per capire (storia, lingue, filosofia, italiano... ecc). La storia avvicina l’umanità, ne mostra ansie e tormenti, difficoltà ed errori; inserisce il matematico nella cultura del suo tempo e quindi ne giustifica limiti ed orientamenti e contribuisce ad una visione completa ed unitaria del sapere. L’educatore deve essere un organizzatore “integrale” di cultura, in grado di sapere o di rivelare di non sapere, ma GR disponibile a ricercare ed a studiare insieme agli studenti.

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blocco di Youtube in Turchia che vorrebbe il sito sotto il dominio della legge turca. Ad esempio, su questo tema il Codice Penale italiano, all’art. 404, punirebbe con la reclusione fino a due anni “chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibili cose che formino oggetto di culto”. Ma la legge diventa della stessa sostanza del contenitore: la legge è virtuale. La sfida risiede certo nella verifica dell’applicabilità della sanzione nei contesti sovranazionali, ma è pure chiaro come simili

GIORNO venerdì venerdì venerdì venerdì venerdì venerdì venerdì venerdì venerdì venerdì

processi disvelino un tratto eminentemente socio-culturale. Youtube, dunque, non più soltanto come indice del grado di libertà dell’Occidente -fino all’annullamento degli stessi princìpi base su cui esso si fonda- quanto affidabile termometro del mondo. andrealiberatius@gmail.com

DATA 16/04/2010 23/04/2010 30/04/2010 07/05/2010 14/05/2010 21/05/2010 28/05/2010 04/06/2010 11/06/2010 18/06/2010

DALLE ALLE 16:30 18:30 16:30 18:30 16:30 18:30 16:30 18:30 16:30 18:30 16:30 18:30 16:30 18:30 16:30 18:30 16:30 18:30 16:30 18:30

Il/La sottoscritto/a __________________________________, nato/a a ________________________, il ____/____/____, TEL: ___________ - CELL: ___________), chiede l’iscrizione al Corso gratuito di Matematica,

Costruiamo la matematica tenuto dal Prof. Giampiero Raspetti. Terni, ____/____/____. Firma


Dedicata a tutti i bambini che amano i gigli di mare, in particolare a Giuseppe

Il giglio di m are

Nel giardino dell’universo erano raccolti tutti i semi del creato. Tali semi sarebbero diventati dei fiori che avrebbero adornato le dimore di tutti i paesi. Un giorno si alzò un gran vento che rovesciò i contenitori dei semi. La maggior parte di questi, poiché erano grossi e pesanti, rimasero a terra, ma quelli più leggeri e piccoli furono trascinati dal vento. I semini furono dispersi in posti lontani e non si trovarono più insieme. Alcuni finirono sopra le montagne e si chiamarono stelle alpine poiché erano arrivati così in alto da toccare quasi il cielo. Altri finirono vicino al mare lungo coste selvagge e solitarie. I semini crebbero e divennero dei fiori bianchi simili alla neve con petali sottili e pistilli come di vetro. Si chiamarono gigli perché erano gentili e delicati. I gigli non vivevano insieme perché il vento li aveva dispersi a tal punto che ogni fiore era distante l’uno dall’altro e si sentivano molto soli. Capitava spesso che il giglio piangesse perché avrebbe voluto abitare in un bel giardino custodito e curato, amato dal suo giardiniere e ammirato da tutti i visitatori. Avrebbe voluto essere una camelia, una rosa, un’orchidea e invece era solo un piccolo giglio che viveva da solo in balìa del vento, dei temporali e delle alte maree. A volte i gabbiani si posavano vicino al fiore e in quei momenti era felice perché sentiva il calore del sole e gioiva dell’azzurro del mare; la notte riusciva a dormire sereno in compagnia delle stelle e di quei gabbiani che si fermavano prima di riprendere il loro viaggio. In quella radura desolata, il giglio si sentiva spesso inutile perché sapeva che nessuno l’avrebbe ammirato dato che non era presente in alcun giardino e non poteva abbellire nessuna casa, era solo nella spiaggia e davanti a sé aveva l’infinito del mare. Si sentiva in colpa perché come ogni fiore sarebbe dovuto stare ad abbellire aiuole, parchi e giardini, e invece era lì da solo con la sua solitudine. Sapeva che nessun giardiniere l’avrebbe mai raccolto e portato nella sua serra e questo gli causava una grande sofferenza. Il giglio a volte era così triste e debole che non riusciva a proteggersi dal vento troppo forte, dal sole accecante ed arrivava a sera con i petali tutti rovinati. Passò del tempo e la costa selvaggia cominciò ad essere popolata da turisti. Il giglio si sentiva osservato e deriso perché i villeggianti non capivano come un fiore potesse sbocciare nella sabbia e molti di loro sostenevano che i fiori per essere tali dovevano stare nei giardini. Quindi quel fragile fiore bianco appariva loro buffo e solo nella spiaggia assolata. Il giglio comprendeva tutto ciò e si vergognava che la sabbia e non l’erba circondasse le sue radici, ma non sapeva come poter cambiare la sua situazione. I giorni trascorrevano, le albe e i tramonti si susseguivano e la tristezza abbandonava il fiore solo quando arrivavano i gabbiani a fargli compagnia e a raccontargli le avventure vissute viaggiando sopra i pescherecci. Il giglio dimenticava la sua solitudine, si sentiva accettato per quello che era, la sera si addormentava parlando con le stelle e sognando di avere tanti fiori intorno a sé. Era arrivato il tempo della migrazione e i gabbiani comunicarono al fiore che dovevano partire e che sarebbero tornati solo dopo aver compiuto il loro viaggio. Il fiore li salutò all’alba sapendo che non avrebbe più gioito delle loro storie e gustato la loro compagnia. Pianse tutta la notte, ma sapeva che dovevano andare e li salutò regalando un petalo a ciascuno di essi. Ora il fiore era più debole perché i suoi pistilli non potevano proteggersi dal vento e così spelacchiato e rinsecchito poteva essere strappato come erbaccia. Fortunatamente il fiore si addormentò cullato dalle onde del mare che avevano compreso il suo dolore. Ad un tratto si svegliò. Si sentiva osservato, qualcuno si stava interessando a lui. Un bambino, dai capelli neri e dagli occhi blu come il cielo, lo stava toccando. Il suo tocco era gentile e rispettoso. Il fiore non riusciva a crederci: per la prima volta qualcuno lo stava ammirando e accarezzava il suo stelo. Il bambino venne raggiunto da un adulto. Gabriele dove ti sei cacciato? - Papà sono qui, vieni a vedere. - Eccomi! disse il padre. Bravo hai trovato un “giglio di mare”, è un fiore molto raro e in pochi lo sanno riconoscere. - Papà ti prego non lasciamolo, … è così solo! - Non possiamo portarlo via , ma possiamo fare una cosa: verremo tutti i giorni a trovarlo e cercheremo altri gigli di mare per piantarli vicino. Ti prometto che non sarà più solo e insieme agli altri fiori renderà più bello questo pezzo di spiaggia, noi avremo cura di loro e non permetteremo che vengano raccolti. Gabriele sorrise e diede la mano al padre. Il giglio di mare non riusciva a crederci: aveva passato la sua esistenza vergognandosi della sua fragilità, della sua solitudine, della sua tristezza e ora scopriva che comunque lui era un fiore che poteva essere apprezzato come gli altri fiori e che avrebbe abbellito un tratto di spiaggia!!!! Una lacrima bagnò il suo stelo e il fiore si girò per non farsi vedere. In quel momento vide una cosa straordinaria. Un piccolo giglio di mare era cresciuto dietro di lui e sarebbe sbocciato da lì a pochi giorni. Il giglio di mare pianse, non era più solo. Il vento lo ridestò dalla sua commozione e il sole asciugò le sue lacrime. Il suo cuore si era finalmente riscaldato e ora sapeva che avrebbe insegnato ai piccoli gigli ad amarsi e rispettarsi aspettando che bambini dagli occhi blu e dal cuore puro possano amarli e ricordarli come Maria Cristina Persichetti fiocchi di neve su una spiaggia assolata.

La

Volontaria

E’ freddo. Mancano venti giorni alla primavera, ma è freddo. E’ freddo e non so dove andare. La via ce l’ho, il numero ce l’ho, il nome pure… allora so dove devo andare. Arrivata. Via? Giusta. Numero? Giusto. Suono. Chi è? Oddio... chi sono? Ma io questo non lo so. Cioè, sì. Lo so. Ma non lo so ora. Non lo so dire. Sono Teresa. Di solito. Sono la volontaria Teresa… noo. Sono Teresa la volontaria… già meglio. Chi è? Di nuovo… sono sempre io, no? Teresa. La volontaria. Del Servizio Civile. Perfetto. Sali Teresa. Hanno dimenticato “la Volontaria”. Si dice Teresa la volontaria. Salgo. Intanto respiro. Forse. Penso. Forse. Sicuramente salgo. Nel corridoio cerco la porta aperta. Avranno aperto la porta? Leggo i campanelli. Eccolo. La porta è aperta. Lo sapevo. Busso comunque. Permesso? Certo che mi è permesso, sono la volontaria del Servizio Civile. Ancora freddo. Mancano diciannove giorni alla primavera. Riparto. Devo farlo di nuovo. Almeno oggi so chi sono, so dirlo. Al citofono rispondo subito. Salgo. Entro. La porta era aperta… lo sapevo. E’ caldo. Troppo caldo. Mancano venti giorni all’autunno, ma è caldo. E’ caldo, so dove devo andare, cosa fare, so chi sono. Ho respirato in tante case e ho respirato tante case… immagazzinato odori che circondavano ricordi. Ho respirato storie e lacrime. Ho visto visi, ho letto rughe. Ho pianto per questo. Ho cercato parole da dire per poi scoprire che ce ne erano di più da ascoltare. Ho visto i loro morti e loro, sopravvissuti alla vita. Ancora suono. Ancora salgo. Non sempre busso… la porta è sempre aperta... lo sapevo. Maria Teresa Di Cosmo

Analisi della postura Ipertermia Onde d’urto focalizzate Rieducazione ortopedica Rieducazione posturale globale Tecarterapia Test di valutazione e rieducazione isocinetica

Fisioterapia e Riabilitazione Dir. San. Dr. Michele A. Martella - Aut. Reg. n. 8385 del 19/09/01

Terni - Via Botticelli, 17 - Tel 0744.421523 - 401882 13


Empedocle agrigentino pone 4 elementi: il fuoco, l’acqua, l’aria, la terra e, come loro causa, l’Amicizia e la Contesa. Plutarco, Stromata apophthegmatica

ANDIAMO IN ORBITA Il 24 Aprile del 1990 lo Space Shuttle Discovery rilascia in orbita a 600 Km di altezza una specie di buffo tubo lungo 13 metri, dal diametro di 2,5 metri e dal cospicuo peso di 11 tonnellate (Fig. N° 1), che compie un’orbita intorno alla Terra in soli 92 minuti. E’ il telescopio spaziale che porta il nome dello scienziato americano Edwin Hubble che per primo, negli anni trenta del secolo scorso, con le sue scoperte pose le basi della moderna cosmologia. Tutta la comunità internazionale aspetta con impazienza le prime foto che l’Hubble Space Telescope (da ora in avanti sarà HST) spedirà sulla Terra, ma rimane sbigottita e delusa dai Fig. 1 risultati scadenti, dovuti ad un errore di costruzione dello specchio principale. I tecnici non si perdono d’animo e, con la prima missione di manutenzione, installano delle lenti correttive. Da quel momento ad oggi ci sono arrivate oltre 800.000 immagini una più bella dell’altra, di gran lunga superiori a quelle ottenute dai maggiori telescopi di tutto il mondo penalizzati dalla presenza dell’atmosfera. L’HST ha raccolto dati e foto spingendosi nelle profondità dell’universo fino a raggiungere galassie lontane 13 miliardi di anni luce, dati che hanno permesso la pubblicazione di oltre 7000 articoli scientifici e, tra i più significativi, sono da menzionare la determinazione dell’età dell’universo, l’identità dei quasars, la scoperta di pianeti extrasolari e dei buchi neri al centro delle galassie. E’ stato più volte oggetto di manutenzioni da parte degli equipaggi degli Shuttle che ne hanno migliorato le prestazioni ed allungata la sua vita operativa. Anche se fra qualche anno il nuovo telescopio spaziale James Webb di ben 6 metri di diametro verrà lanciato nello spazio, l’HST, che possiede sensori operanti nell’ultravioletto, nel visibile e nel vicino infrarosso, continuerà ad essere una pedina importante per la comunità scientifica. Nella Fig. 2 è schematizzato il sistema di trasmissione dei dati: l’HST ottiene le immagini che poi trasforma in segnali digitali e li invia alle antenne paraboliche in New Mexico tramite un satellite preposto. Questi segnali vengono successivamente inviati al Goddard Space in Maryland che li trasmette all’Istituto delle Scienze Spaziali a Baltimora che a sua volta li elabora e li mette a disposizione tramite internet a tutti gli astronomi del mondo. Un bel giretto non vi pare? Noi però, se vogliamo approfondire l’argomento e vedere queste spettacolari immagini, non dobbiamo far altro che accendere il computer e visitare i seguenti siti: http://hubblesite.org/gallery/ http://hubble.nasa.gov/ Tonino Scacciafratte Fig. 2 Presidente A.T.A.M.B. - tonisca@gmail.com

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Una

costellazione

al mese

Immaginate un lungo serpente nell’infinita catena di stelline che parte a sud del Cancro, si snoda sotto il Sestante, il Corvo, la Coppa, la Vergine e termina finalmente al confine ovest della Bilancia: è la costellazione dell’Idra, la più grande ed estesa costellazione del cielo. L’unico asterismo ben riconoscibile è un pentagono irregolare che disegna la testa del serpente subito sotto il Cancro; segue poi il cuore rappresentato dalla stella Alphard (la solitaria) e il resto (comunque visibile dall’Italia basso sull’orizzonte) si estende tutto, praticamente parallelo all’eclittica in una successione di deboli stelline. Il mito legato a questa costellazione richiama la seconda delle dodici fatiche di Ercole: l’uccisione dell’Idra dalle innumerevoli teste, che infestava la palude di Lerna. Giovanna Cozzari

Osservatorio Astronomico di S. Erasmo Osservazioni per il giorno Venerdì 26 marzo 2010 In prima serata, alta nel cielo, troviamo una Luna bella corposa (fase crescente di 11 giorni) in mezzo ai due pianeti Marte e Saturno. E’ logico quindi che li osserveremo tutti e tre ed inoltre, prendendo le distanze dalla fastidiosa luce lunare, punteremo ad est nella Costellazione dei Cani da Caccia l’ammasso globulare M3: una concentrazione di circa 500.000 stelle molto vecchie, distante da noi circa 34.000 anni luce... una bellissima visione che vi stupirà! La spiegazione dei principali movimenti della volta celeste e la simulazione al computer faranno da corollario alla serata osservativa. Non smetteremo mai di raccomandarvi di venire all’osservatorio ben coperti, compresi cappello e guanti; chi prende freddo è costretto dopo poco tempo a ritornare (amareggiato) in macchina! TS


La prima legge de Kepleru

16 marzo 1750: nasce ad Hannover l’astronoma tedesca Caroline Herschel Sentite... mo’ ve racconto quillu che mm’è successu l’andra sera co’ Zzichicchiu dopo ‘n party ‘stronommicu vicino a Piedilucu... no’ mme credevo d’avecce tantu sexeappialle! Artornavamo a ccasa pe’ ‘na scorciatoja e tt’emo vvistu ddu’ fochi e ‘n bo’ de femmine tutte mezze nude che sse stevono a scalla’. ‘Ncuriusiti ce semo ‘ccostati... una no’mme tte s’è mmessa a ggira’ ‘ntornu co’ n’aria tutta provocande!? Io subbitu ho capitu l’antifona e j’ho fattu ‘ntènne che ‘n c’era trippa pe’ ggatti dicennoje... Te la vòi smette de ggiramme ‘ntornu... cerca ‘n bo’ de rianna’ a scallatte su unu de li fòchi!... Essa co’ ‘nu sguardu de sufficienza... me tt’ha fattu ‘na boccaccia e ppo’ s’è ‘llontanata. So’ ‘rmastu come ‘n baccalà e Zzichicchiu come se gnente fosse m’ha fattu... A Lunardi’... me pare che cce l’ hai co’ la prima legge de Kepleru!?... L’ho guardatu ‘n bo’ titubbante e... Ch’è quella che ha fattu chiude li... ?... No... quella è la Merlinne! Devi sape’ che la Terra gira ‘ttorno a lo Sole co’n’orbita ch’è come ‘n cerchiu sbilencu... e lo Sole occupa unu de li fochi... Anche llì Zzichi’?... Spiritosu! Immaggina ‘n cerchiu co’ ‘n puntu ‘n mezzu, se lu schiaccio... tuttu s’allarga e lu centru è ccome se sse sdoppiasse e diventassero ddui, quilli so’ li fochi e lu cerchiu è ellitticu... è ovale. ‘Mbè Kepleru, lu ‘stronomu tedescu, ha scopertu che ‘stu modu de ggira’ vale pe’ ttutti li pianeti che conoscemo... solu che cce sta chi ffa lu ggiru più lungu e cchi più ccurtu, però stemo quasi tutti su lu stessu piano!... Giustu pe’ rribbatteje j’ho dittu... A Zzichi’... a nnoi consideracce su lu stessu pianu po’ anche anna’ bbene... ma a qquilli dell’andri pianeti? paolo.casali48@alice.it

ASTROrime... Il sistema solare Quasi al centro il nostro Sole che ci illumina ogni giorno... ringraziando la sua mole (diametro 1.392.000km) tanti corpi stanno intorno. (gravitazione universale) Satelliti e asteroidi comete e pianetini con tanti meteoroidi (frammenti rocciosi) e corpi più grandini... pianeti detti in genere... Nettuno è il più lontano... Mercurio Giove e Venere Saturno Marte e Urano. Un altro ci sta a cuore ed è la nostra Terra... con un prossimo migliore di pace e non più guerra. PC

Si può dire che Caroline Herschel fu la prima donna astronoma a diventare famosa. La Royal Astronomical Society le conferì la medaglia d’oro e la nominò membro onorario. Per quaranta lunghi anni fu un elemento fondamentale nell’attività del fratello, il celebre astronomo Frederick William Herschel. Lo si può evincere benissimo in una lettera che Caroline scrisse all’amica Mary Sommerville, matematica scozzese: William è via, e io contemplo i cieli. Ho scoperto otto comete nuove e tre nebulose mai viste prima dall’uomo, e sto preparando un Indice delle osservazioni di Flamsteed, con un catalogo di 560 stelle non incluse nel British Catalogue, oltre a un elenco di errata di quella pubblicazione. William dice che sono dotata per i numeri, cosí mi occupo di tutte le necessarie riduzioni e dei calcoli. Inoltre preparo il programma delle osservazioni di ogni notte, perché lui dice che il mio intuito mi aiuta a puntare il telescopio scoprendo ammassi e ammassi di stelle uno dopo l’altro. L’ho aiutato a levigare gli specchi e le lenti del nostro nuovo telescopio. E’ il più grande che esista. Ti immagini l’emozione di puntarlo verso qualche nuovo angolo del cielo per vedere qualcosa che non è mai stato visto prima da terra?.... Qualche volta quando sono sola al buio, e l’universo rivela ancora un altro segreto, recito i nomi delle mie sorelle, da tempo perdute, dimenticate nei libri che documentano/raccontano la nostra scienza - Aganice di Tessalia, Ipazia, Ildegarda, Catherina Hevelius, Maria Agnesi - come se proprio le stelle potessero ricordare. Lo sapevi che Ildegarda (Ildegarda di Bingen, 1098-1179) propose un universo eliocentrico 300 anni prima di Copernico? Che scrisse sulla gravitazione universale 500 anni prima di Newton? Ma chi vuoi che l’ascoltasse? Era una suora, una donna. Che cosa è la nostra epoca, se quella era oscura? Il mio nome, verrà anch’esso dimenticato, ma non sono accusata di essere una strega, come Aganice, e i Cristiani non mi minacciano di trascinarmi in chiesa, e uccidermi, come fecero a Ipazia di Alessandria (370-415 dC), eloquente, giovane donna che inventò gli strumenti usati per misurare accuratamente la posizione e il moto dei corpi celesti. Per quanto a lungo viviamo, la vita è corta, cosí io lavoro. E per quanto importante diventi un uomo, non è niente in confronto alle stelle. Ci sono segreti, cara sorella, e sta a noi svelarli. Come ricorda la Herschel, la scienza ebbe enormi apporti da tante donne, considerate sempre come semplici assistenti dei loro colleghi maschi, ai quali venivano attribuiti tutti i meriti. Fin dall’antichità vi furono donne dedite all’osservazione dei cieli: En Heduanna (2350 aC circa), principessa e sacerdotessa babilonese, creò una serie di osservatori per esaminare i movimenti stellari; Aganice (1900 aC circa), elaborò un sistema per predire il moto di rivoluzione dei pianeti; Aglaonice (200 aC circa), prevedeva correttamente il verificarsi di eclissi di Luna e di Sole; e poi Sophie Brahe (1556-1643), dotata di eccezionali conoscenze di matematica ed astronomia, dette grande sostegno all’attività di astronomo del fratello Tycho, ma ufficialmente il suo lavoro non venne riconosciuto; Maria Cunitz (1610-1664), definita la seconda Ipazia, determinò la posizione dei pianeti e corresse e semplificò le Tavole di Keplero; Elisabetha Hevelius (1647-1693) pubblicò il più grande catalogo stellare ottenuto senza l’utilizzo del telescopio, con la posizione esatta di circa 2000 stelle; Maria Winkelmann (1670-1720), pubblicò vari trattati sulle congiunzioni Giove-Saturno, Sole-Venere-Saturno e sull’osservazione dell’aurora boreale; Maria Mitchell (1818-1889), riconosciuta come la prima donna astronoma degli USA; Henrietta Leavitt (1868-1921) scoprì e studiò alcune migliaia di stelle variabili. Infine un’astronoma umbra, Caterina Scalpellini (1808-1873), studiò e lavorò all’Osservatorio del Campidoglio a Roma; si occupò di meteorologia e pubblicò un catalogo italiano di meteore e le osservazioni sulle eclissi di Sole e Luna e sulle comete. Fiorella Isoardi Valentini

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