Numero 1 2 4 aprile 2015
Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura
Noi e loro Ci sono parole pericolose, e questo lo sappiamo tutti da tempo. Ci sono anche parole la cui pericolosità non è implicita nella parola stessa, ma dal contesto in cui la si usa. Nella matematica, nella scienza, parole come semplificazione e generalizzazione sono parole buone e potenti, e spesso congiunte: una generalizzazione semplifica, una semplificazione mostra a volte la possibilità di una generalizzazione. Ma gli oggetti della matematica e della scienza sono relativamente semplici. Per quanto possa sembrare astrusa e complessa una teoria della fisica moderna, un teorema matematico o un’imponente struttura tecnologica, i professionisti che ci lavorano padroneggiano pienamente i princìpi del loro campo, e possono azzardare semplificazioni e generalizzazioni. Anzi, devono farlo: scoprire che tutti i corpi dotati di massa cadono con la stessa accelerazione è generalizzazione universale, ed è un trionfo esaltante dell’umanità; constatare che lo stesso modello matematico può essere applicato a campi apparentemente diversissimi semplifica il lavoro e porta più rapidamente a soluzioni che possono migliorare la vita di tutti. Quando però si passa dagli oggetti ai soggetti, dalle cose alle persone, la generalizzazione e la semplificazione sono pericolose. A volte addirittura devastanti. Gli esseri viventi sono architetture complesse, e gli esseri umani sono, probabilmente, le creazioni più complicate di cui abbiamo esperienza diretta. Gli esseri umani non sono mai conoscibili fino in fondo, e questa è una fortuna: significa che posseggono sempre il potere di meravigliarci. Proprio a causa di questa loro inconoscibilità, sfuggono perennemente ad ogni tentativo di classificazione: perché in qualunque classe li si collochi, qualunque etichetta gli si appiccichi, finisce sempre che le differenze all’interno del gruppo sono tante e tali da superare quelle che intercorrono tra due gruppi diversi. Sono cose che si sanno. Quando andiamo a comprare i carciofi da Rajid, sappiamo bene che Rajev è persona diversissima da Salil, che ripara gli ombrelli, anche se vengono tutti e due dall’India. Proprio come sono diversi Mario e Franco, e non solo perché uno studia e l’altro fa il barista. Sono cose che si sanno, ma che si dimenticano per paura. L’uomo è animale sociale, riceve sicurezza e felicità solo dai propri simili. Quando è in pericolo, cerca conforto, cerca un gruppo che possa chiamare
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“noi”, perché “Noi” è una parola estremamente più forte di “Io”. E, per rafforzare la sicurezza che dà quel “Noi”, diventa necessario identificare e puntualizzare chi sia l’esatto contrario, chi siano “Loro”. È un meccanismo vecchio quanto l’essere umano stesso. Ormai automatico, perfino: c’è un pericolo, c’è un nemico, allora deve esserci un “Noi”, allora dev’esserci un “Loro”. È talmente rassicurante, questa logica del noi-loro, che la usiamo per allenarci, per divertirci. Inventiamo gare e giochi, competizioni per lo più innocue, per misurarci; ancora più spesso, ci accontentiamo di eleggere dei campioni di “Noi” per vederli combatter contro i campioni di “Loro”. È emozionante, far parte di un gruppo. Ma è pericoloso, quando il gioco smette d’essere un gioco. La generalizzazione e la semplificazione sono in agguato. La generalizzazione e la semplificazione sono mostri che sono fecondati dal sangue, quando sono cavalcati da qualche fondamentalismo. Anche perché fondamentalismo null’altro significa che generalizzare: identifica il nemico, senza considerarlo altro che nemico. Si muore perché si è bianco o nero, cristiano o musulmano, eterosessuale o omosessuale: come se un essere umano fosse riepilogabile da un unico, stupido attributo. Terni ha pianto un suo figlio, David. Morto come non si dovrebbe mai morire, per quanto non esista un modo bello per farlo. Morto per errore, per cattiveria, per i fumi dell’alcol, per la debolezza della mente d’un altro. Non c’è nulla che possa giustificare una morte, figuriamoci una morte così. Non c’è parola che possa consolare una madre o un fratello, non c’è mai; figuriamoci in casi come questi. E David era una bella persona. Di lui si è ricordato soprattutto il sorriso, e saper sorridere è arte difficile e riservata a pochi grandi. Si è detto che si preoccupava degli altri, e donava loro tempo e passione. Altre caratteristiche belle, e rare. Sarebbe stato comprensibile, per la sua famiglia, urlare forte contro il cielo e la terra, chiedersi dove sia la logica, il senso, soprattutto la giustizia, in tutto questo. Sarebbe stato prevedibile lo sfogo, la rabbia. Anche perché David non c’è più, e la sua mancanza morde, ferisce, lacera le carni. Sarebbe umano -sbagliato, ma umano- chiamare a raccolta un gruppo qualsiasi di “noi”, per gridare il proprio eterno rancore verso un gruppo qualsiasi di “loro”. La famiglia di David non ha fatto niente di tutto questo, anzi. Forse proprio perché David sapeva sorridere, avrà ricordato che un sorriso è un abbraccio ad ampio raggio, destinato a tutti i compagni di viaggio di questa vita. Forse proprio perché David correva in tuta rossa a salvare la gente, tutta la gente, senza guardare il colore di chi aveva bisogno d’aiuto, avrà ricordato che siamo tutti dannatamente uguali nella nostra complessa diversità. E così, in memoria di David, la sua famiglia ha ricordato a tutti quanto sia pericoloso giudicare, semplificare, generalizzare. Nel loro momento di sofferenza più grande, hanno fatto a tutta la città il regalo più prezioso. Non ci sono mai parole per lenire un dolore così, e non ci sono neppure parole per rendere grazie, a un regalo così. Piero Fabbri
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Noi e loro
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CONFARTIGIANATO IMPRESE TERNI
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F i o r i
- P Fabbri
JACARONI CENTRO DIAGNOSTICO
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Fiori
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B . M . P.
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Quando la tecnologia diventa indossabile
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C I D AT
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Il viaggio sb agliato degli studenti messicani
- G Raspetti
I giovani e lo sport G I O L I C A RT
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F O N D A Z I O N E C A S S A D I R I S PA R M I O
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OTTICA MARI
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LANDI COSTRUZIONI
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L A B O R AT O R I S A L VAT I
- F Patrizi
A Z I E N D A O S P E D A L I E R A S A N TA M A R I A D I T E R N I
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La menzogna: pregi e difetti
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N U O VA G A L E N O
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- A Melasecche
- M Sciarrini
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Chirurgia estetica del seno
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La via dei cento cieli
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FA R M A C I A B E T T I
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Lascia stare mio figlio!!! Li Ddiasillaménti
- V Policreti
- R Uccellini
- S Lupi
- M Petrocchi
- P Casali
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CAF ANMIL
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Le bigonce scaricarelle
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C M T - C O O P E R AT I VA M O B I L I T À T R A S P O R T I
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Alle origini del fondamentalismo
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ASSOCIAZIONE UN VOLO PER ANNA
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FRANCESCO NERI
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G L O B A L S E RV I C E
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SUPERCONTI
LA
- V Grechi
- PL Seri
- R Bellucci
PA G I N A
Mensile di attualità e cultura
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 --- Tipolitografia: Federici - Terni
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti
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Direttore editoriale Giampiero Raspetti
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Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.
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Chi ha letto il mio libro Germogli, aspetta la realizzazione di alcuni dei tanti fiori posti lì a lievitare, sorta di Fiori del bene! Stiamo lavorando alacremente e confidiamo che crescano, si gonfino e trabocchino (com’è nel significato della parola) e possano raggiungere piena fioritura, senza frapposti ostacoli (com’è nei doveri di chi di dovere2). Anche chi ha letto il libro Senatori della Città potrà constatare che le tesi lì avanzate stanno fiorendo proprio nella costituita Associazione Culturale Fiore di Pesco (di cui trovate prime suggestioni ne La Pagina Umbria di aprile). Senatori della Città racconta di un popolo i cui abitanti, svolto con dignità il personale lavoro, convinti di poter ancora essere utili alla città, mettono il loro sapere e la loro esperienza a disposizione gratuita dei giovani, cercando di vivere e diffondere cultura e aiutando a elaborare progetti. Non sono certo Senatori della città, ma predatori della stessa, quei tanti dessi che, avendo già avuto, tramite incarichi partitici, occasione di imporre alla città proprie incapacità (basta guardare come siamo ridotti!), vive solo per accaparrare (altrimenti non saprebbe come campare) altri incarichi, mai domo e mai stanco, ma convinto, soprattutto, che la sua profonda incultura, ferma alla prima rivoluzione industriale, sia ancora in grado di gestire una attualità per lui ferocemente aliena. Siamo così costretti a lavorare moltissimo, in totale solitudine, noi Senatori di Fiore di Pesco, per tentare di proporre ai cittadini una maniera moderna, reale e non parassitaria di vita socio-politica. Florio3 sta bene, anche se, come dice sempre lui: sto messo male! Sta bene rispetto a quanto si è temuto nei mesi scorsi. La malattia di Imola, il suo dolce francobollo, che li ha tenuti separati; i suoi acciacchi fisici; l’impossibilità di tornare a vivere nella loro casa. Ora sono ricoverati in una dimora per anziani a Collerolletta. Stanno di nuovo insieme! Dicono di sentirsi in albergo e al ristorante. Sono trattati, come meritano, con tanto affetto da parte di tutto il personale. I tanti amici di Imola e di Florio si tranquillizzino, dunque. Noi invece aspettiamo che Imola guarisca completamente per rivederli entrambi tutti i giorni nei locali della nostra associazione che, oggi, risente moltissimo della loro mancanza. Di tali fiori del bene si sentirà in eterno solo la mancanza fisica: questa è la loro immortalità. Del venir meno di quelli che brigano per puro interesse personale non si accorgerà neanche il Giampiero Raspetti loro fido cane. 1
1 - Pochi in verità perché, è bene prenderne atto, l’insieme delle persone dedite alla lettura è, in genere, desolantemente ristretto. Potete scommetterci: il 99% dei vostri conoscenti laureati, diplomati, professionisti, politici, funzionari, NON LEGGE LIBRI, non legge niente o, appena ci prova, è assalito da fortissimi mal di testa! L’ultimo libro letto (e quasi capito) da molte persone che, a vario titolo, hanno l’alto onore di amministrare il territorio è il sussidiario! Tra i milioni di acquirenti dei libri sul mercato, un dieci per cento legge tutto, il resto legge solo i titoli dei tanti libri che non può non acquistare, ma solo per esporli sulle teche del salotto buono. 2 - Il giro è sempre lo stesso ed è un giro di amichetti: di partito, di merenda, di club più o meno aperti, più o meno riservati, più o meno segreti. Si tratta in genere di gregari evanescenti e inconsistenti che si girano, a Terni e nel Paese, incarichi e mandati, avendo come forte collante la cultura del privilegio, con la quale saccheggiano il territorio. 3 - Una della persone più nobili, dignitose e colte (che ha sempre, gratuitamente, dato agli altri, senza pretendere nulla in cambio) che io abbia mai conosciuto è Florio, al secolo Zenobio Piastrella. Di certo, in questo immondezzaio social-mafio-partitico in cui siamo immersi, nessuno, se non qualche esiliato come noi, potrebbe mai pensare di offrire una nomina di prestigio ad un probo viro come lui! Ma noi non nasciamo dai diamanti,
siamo semplicemente dei fiori. Fiori di Pesco.
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Quando la tecnologia diventa indossabile Si tratta di uno degli ultimi trend del momento, tanto che tutti i Big, nei campi hi-tech e affini, sono al lavoro per presentare periodicamente nuovi modelli di orologi, braccialetti e occhiali intelligenti: se sono indossabili, allora sono wearable. Non solo quindi un telefono cellulare da tenere tra le mani o un telecomando con cui dare input, ma oggetti che si adattano a chi li indossa, che la forma sia quella di un braccialetto, di un orologio o di una borsetta non importa, sono questi i prodotti su cui i dipartimenti Ricerca&Sviluppo delle diverse aziende stanno investendo. Ma quali sono le ultime novità in materia di gadget indossabili? Sensori, micro-computer, smart watch, braccialetti fitness e occhiali a realtà aumentata. Si è appena chiusa a Barcellona l’edizione 2015 del World Mobile Congress, la fiera più importante del mondo mobile dove ogni anno i big player scoprono le proprie carte mostrando al mondo intero le novità e nessuno vuole rimanere indietro. Tanto per citarne uno, l’azienda cinese Huawei a Barcellona ha portato il suo TalkBand B2: un braccialetto intelligente con sei sensori per controllare tutto ciò che fa chi lo indossa. Ti informa dei dati corporei quando corri o cammini, quante volte lavi i denti. Tolto poi dal polso diventa un auricolare bluetooth con microfono doppio. É anche esteticamente bello e gradevole da indossare. Ma gli smartwatch sono solo attività fisica e salute? No di certo! Dal serio al faceto, tutto l’ampio spettro delle richieste
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può essere soddisfatto, anche la parte ludica. Con Audigame c’è chi sta cercando di portare i video giochi sul mini schermo dell’orologio. La novità è che il protagonista è proprio chi indossa lo smartwatch e deve correre davvero se gli zombie lo inseguono e l’orologio, super tecnologico ovviamente, sa perfettamente se sta andando troppo lento e se rischia di finire in trappola. Ci sono anche i librigame, quelli con i finali alternativi. La scelta da compiere è via audio e se supportati su smartwatch, invece che smartphone, con i sensori di cui sono dotati, il gioco è più realistico. Pensare di uscire di casa senza smartphone o tablet conferisce a molti la sensazione di essere privati di una parte di se stessi. L’essere digitali è ormai per molti un vero e proprio stile di vita. La domanda sorge spontanea: ma si tratta di strumenti veramente utili? Per alcuni di questi la risposta è certamente positiva, inoltre le tecnologie indossabili possono essere anche la soluzione migliore per coniugare salute, medicina e tecnologia. La popolazione mondiale sta invecchiando e le persone hanno sempre più bisogno di accedere all’assistenza sanitaria. Su questo fronte le tecnologie indossabili possono aiutare con l’avanzare dell’età perché permettono di agire sui parametri specifici da controllare, sul monitoraggio delle informazioni in tempo reale, ad esempio tramite smartphone, anche da remoto e sul dialogo con il proprio medico specialista e, ultimo ma non meno importante, sullo stimolo psicologico a migliorare. Quindi, che wearable sia! alessia.melasecche@libero.it
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Il viaggio sbagliato degli studenti messicani E se fosse stata tutta colpa di una festa rovinata? Lo scorso 27 settembre nella città di Iguala in Messico 46 ragazzi sono scomparsi nel nulla. Erano partiti da un villaggio dello stato federale di Guerrero per andare ad una manifestazione e, come sempre, avevano sequestrato un pullman… niente di illegale, da quelle parti i trasporti pubblici sono carenti ed è prassi costringere un autista a trasportare un gruppo di persone da una località all’altra; a volte gli autisti restano sotto sequestro anche un mese in attesa che il tragitto venga definito e tutti siano pronti per partire. Quel giorno però l’autista è irritato e all’altezza della città di Iguala fa una deviazione, imbocca la strada che porta in piazza dicendo che deve fare una sosta, in realtà sa che è in corso la manifestazione per festeggiare la candidatura ancora non ufficiale della moglie del sindaco alle prossime elezioni. Il sindaco è anche il capo di una banda di narcos e la piazza è sorvegliata dalle forze dell’ordine, ovvero da poliziotti-guerriglieri al soldo dei narcotrafficanti. L’autista scende gridando che lo hanno sequestrato, e fin qui la notizia rientrerebbe nella norma dei trasporti messicani, se non fosse che qualcuno fraintende, crede che una banda rivale voglia boicottare l’evento e comincia a sparare. L’autista risale sul pullman e fugge, i poliziotti inseguono e bloccano il mezzo, fanno scendere undici ragazzi, li fanno inginocchiare e li minacciano; all’improvviso un agente sotto effetto di stupefacenti
estrae la pistola e spara alla testa di uno studente. Presi dal panico, i ragazzi fuggono nel bosco mentre altri vengono portati via. A questo punto nessuno sa con certezza cosa sia accaduto. Il sindaco e la moglie hanno dichiarato di non sapere nulla dell’accaduto e probabilmente è vero, ma sono stati arrestati con l’accusa di essere i mandanti della sparizione di 46 studenti. La notizia ha fatto scendere in piazza migliaia di persone in tutto il paese e ha sollevato un movimento d’opinione internazionale. Si pensava ad un sequestro, a una guerra tra bande, poi tre mesi dopo è stata rinvenuta una fossa comune con dei resti umani carbonizzati e un poliziotto ha confessato che appartengono ai ragazzi. Il racconto qui riportato è stato fatto il mese scorso da uno studente scampato all’agguato che, dopo mille ripensamenti, ha deciso di parlare con un giornalista messicano. Dietro all’eccidio c’è dunque un semplice fraintendimento. Guerrero è un narcostato gestito da organizzazioni criminali, gli studenti non volevano protestare contro il sindaco, ma partecipare ad una manifestazione in un’altra città per chiedere un sussidio. Se l’autista non avesse deviato e non avesse gridato, se la piazza non fosse stata gremita di criminali armati fino ai denti, se quel poliziotto-narcos non avesse sparato alla testa di quel ragazzo… ma in quel paese folle e sanguinario che è il Messico può capitare di trovarsi nel posto Francesco Patrizi sbagliato al momento sbagliato.
I giovani e lo sport Ragazzi venite, è pronta la cena. La mamma, con queste poche parole, sanciva la fine delle interminabili partite nel cortile sotto casa, dove gruppi di bambini festanti trascorrevano felici e spensierati interi pomeriggi di gioco e di sport. Credo di aver praticato da piccolo più di dieci sport, con il solo gusto di giocare; ero un bambino introverso e lo sport ha segnato profondamente il mio percorso di crescita. I miei genitori hanno assecondato il mio gusto di cimentarmi nelle discipline più disparate, seguendo dietro le quinte e mai da protagonisti, come spesso accade ai giorni d’oggi, le mie performance non certo brillanti. Il mio ricordo più caro è legato a mio nonno e ad una partita dell’Ortana a Terni dove lui abitava. Io ricoprivo il ruolo di portiere e, in quella gelida domenica invernale, nel campo di Viale Piemonte, mi portò nell’intervallo un thermos di thè caldo per rifocillarmi dal freddo e dai gol subiti. Il suo abbraccio consolatorio a fine partita oggi rimane il mio trofeo più importante. In trent’anni il mondo sportivo giovanile ha subìto una profonda trasformazione causata, da un lato dall’avvento di strumenti tecnologici (videogames, tablet, smart-phone, social network), dall’altra da un depauperamento culturale nei quadri tecnici-dirigenziali dello associazionismo sportivo e scolastico. Si sono così generati fenomeni di sedentarietà e patologie ad essa connesse quali obesità, problemi di personalità, socializzazione, stress e depressione etc… Sembra in effetti paradossale che ad un sostanziale miglioramento dell’offerta sportiva sia per quantità (impianti nuovi ed efficienti grazie ad amministrazioni pubbliche più sensibili e ad investimenti privati nel settore sportivo) che per qualità (associazionismo sportivo più strutturato ed affermazione di nuovi ed accattivanti sport) non abbia corrisposto un aumento del numero di praticanti.
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Si registra infatti come l’interruzione della pratica sportiva avvenga soprattutto durante l’adolescenza. Gli elementi che provocano questa cessazione sono molteplici: innanzitutto lo sport non è più visto oggi come gioco ed elemento di socializzazione. I bambini sono spesso vittime di stress causati da tecnici esigenti oltre misura e genitori che seguono allenamenti e gare con aspettative fuori da ogni logica. A quattordici anni si inizia già a capire se un ragazzo può emergere nello sport prescelto o rimanere un anonimo signor nessuno. Le Federazioni sportive sono le prime a coltivare i talenti, abbandonando spesso e volentieri la gran totalità dei ragazzi al loro destino, così come i genitori che hanno nutrito per anni i sogni di vedere i loro figli in stadi di serie A o alle Olimpiadi non capendo che lo sport è benessere e ha una sua dignità a qualsiasi livello esso si pratichi. Cosa fare per invertire questo trend? Occorre a mio avviso tornare ai modelli che si sono dimostrati vincenti negli anni passati, inserendo elementi di innovazione. Si potrebbe ridare centralità ai giochi della gioventù, come vero serbatoio di talenti, sviluppare la cultura polisportiva e non monosportiva, autentica iattura per la crescita del ragazzo, creare società sportive etiche, dove accanto alla pratica dello sport nei ragazzi, si sviluppino corsi di educazione civica per i genitori (in Inghilterra ai genitori è vietato l’accesso nell’impianto di gioco durante gli allenamenti), ricreare ambienti come erano gli oratori ed i cortili di 30 anni fa, dove lo sport era visto come un gioco. Lo sport è amore, libertà, gioia di vita e si dovrebbe creare nei tecnici non la cultura della vittoria al di sopra di ogni cosa, ma l’accettazione spesso della sconfitta e del rispetto dell’avversario in ogni circostanza. Solo quando lo sport sarà concepito come esperienza totalizzante per la persona, allora potremmo dire di avere le basi per un mondo migliore. Maurizio Sciarrini
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Alcuni significativi interventi realizzati dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni
Restauri Verranno inaugurati nel prossimo mese di aprile i restauri della chiesa di San Giovanni a Rocca San Zenone, fraz. di Terni. La data di fondazione della chiesa non è conosciuta con precisione, ma gli storici fanno risalire la
sua edificazione tra il XIII e il XIV secolo. Al suo interno è conservato un pregevole apparato decorativo che copre un arco temporale che va dal XV al XX secolo. La Fondazione Carit ha finanziato e curato, a partire dal 2004, un’ampia campagna di restauro che si è conclusa nel 2015. Ad una prima fase di messa in luce e consolidamento, è seguita la fase del vero e proprio restauro, che ha interessato tutti i dipinti murali e i manufatti lapidei presenti nel vestibolo e sulle pareti laterali dell’edificio, compreso l’altare maggiore con il dipinto raffigurante La Madonna col Bambino tra san Giovanni e san Rocco. I restauri sono stati condotti dalle ditte Artium di Donatella Bonelli e Conserva di Gianni Castelletta sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici dell’Umbria, nelle persone dei suoi funzionari dr.ssa Margherita Romano, dr. Gianluca Delogu e dr.ssa Federica Zalabra. Università La Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni ha il piacere di portare a conoscenza della comunità gli interventi più significativi deliberati nel 2014 e nei primi mesi del 2015 in favore dell’Università degli Studi di Perugia, Polo Scientifico e Didattico di Terni. Come ormai noto la Fondazione pubblica avvisi per la presentazione di domande di contributo. Nel 2014 sono stati emanati i seguenti due avvisi: I AVVISO 2014. Le richieste di contributo sono state presentate alla Fondazione dal 1°/06/2014 al 31/08/2014 e sono state tutte esaminate dal Consiglio di Amministrazione entro il 31/12/2014. II AVVISO STRAORDINARIO 2014-2015. Le richieste di contributo sono state presentate dal 15/11/2014 al 15/12/2014 e sono state tutte esaminate dal Consiglio di Amministrazione entro il 31 gennaio 2015. Le relative delibere hanno riguardato sia i fondi del 2014, che le somme a disposizione per l’esercizio 2015. Nell’ambito di questi avvisi, in base alle domande presentate, sono stati approvati dal Consiglio di Amministrazione della Fondazione progetti di ricerca altamente qualificati e con valenza non solo nazionale per complessivi Euro 808.286.000, deliberati nei due settori di intervento della Fondazione, “Ricerca scientifica” ed “Istruzione”. I progetti universitari più significativi riguardano: - ricerca per l’incremento della sicurezza dei voli aerei attraverso la riduzione della suscettibilità alle scariche atmosferiche da parte delle apparecchiature presenti a bordo di aeromobili; - progetto di studio del potenziale contributo di nanoparticelle di sintesi allo sviluppo di patologie neurodegenerative; - ricerca dal titolo «Applicazione delle tecniche di compressione dell’impulso a sistemi “Phased Array” ultrasuoni per Diagnostica Non Distruttiva in ambito industriale»; - progetto di ricerca “3D PRINTING: studio di un prototipo bio idrido per applicazioni di medicina rigenerativa”; - progetto “Studio del benessere organizzativo e impatto economico sociale: la percezione della sicurezza nei luoghi di lavoro”.
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AZIENDA OSPEDALIERA
S. C. Universitaria C
Prof.ssa
Manue la Pa pini
Responsabile S. C. Universitaria Clinica Dermatologica
La Clinica Dermatologica è presente nell’ospedale di Terni come struttura complessa a direzione universitaria fin dal 1975, anno in cui arrivò il primo drappello di docenti della Facoltà di Medicina e Chirurgia di Perugia per l’apertura dei corsi del 2° triennio. Il prof. Paolo Calandra curò la realizzazione e lo sviluppo di questa nuova struttura, a partire dal vecchio presidio dermo-venereologico ospedaliero. Dal novembre 1991, è subentrata alla direzione della Clinica la prof.ssa Manuela Papini. Il compito principale della Clinica Dermatologica è quello di diagnosticare e curare tutte le malattie che interessano la pelle e i suoi annessi in ogni età della vita. Nei quarant’anni di attività della clinica, l’assistenza al paziente dermatologico è profondamente cambiata, in conseguenza dei grandi progressi che sono stati realizzati in questi anni nella diagnosi e nel trattamento di molte malattie della pelle, ma anche per un nuovo approccio al paziente. Molte delle patologie che un tempo non conoscevano cure efficaci possono oggi essere trattate con successo, così che i lunghi ricoveri ospedalieri sono divenuti un ricordo del passato. Gran parte delle malattie dermatologiche vengono attualmente gestite in regime ambulatoriale o al massimo in Day Hospital e il ricovero ordinario si rende necessario solo in presenza di patologie gravi ed estese. I ricoveri ordinari e il Day Hospital Nel 2014 i ricoveri ordinari e quelli in Day-Hospital terapeutico sono stati poco meno di 200; il 20% circa per pazienti extra-regionali provenienti dal Lazio. La metà circa dei ricoveri è motivata dalla presenza di tumori cutanei, melanoma e non-melanoma, per i quali è necessario un intervento chirurgico complesso o ad alto rischio di complicanze. Le altre patologie trattate in regime di ricovero o di day-hospital sono in prevalenza reazioni avverse a farmaci, psoriasi grave, malattie autoimmuni (pemfigo, pemfigoide, lupus eritematoso, sclerodermia, dermatomiosite), spesso con complicazioni. Gli Ambulatori La dermatologia è una disciplina che spazia dalle infezioni e parassitosi cutanee alle malattie sessualmente trasmesse, dalle malattie infiammatorie prevalentemente limitate alla pelle (per esempio la psoriasi) a quelle che si inquadrano in importanti patologie sistemiche (per esempio il lupus eritematoso o la sarcoidosi). Il dermatologo è inoltre lo specialista di riferimento per tutte le malattie su base allergica o reattiva che hanno sulla pelle le manifestazioni più rilevanti (per esempio la dermatite atopica, l’orticaria, le reazioni da farmaci) e per i tumori della pelle. Per questo l’attività ambulatoriale è molto articolata. L’ambulatorio di Dermatologia Generale (il cosiddetto “ambulatorio divisionale”) riceve, su prenotazione CUP, tutti i pazienti con problemi dermatologici che non siano stati inviati ad altri ambulatori di secondo livello (per es. quello dermochirurgico o quello allergologico). Le patologie che si osservano più frequentemente sono le verruche, le micosi, l’acne, le piccole neoformazioni cutanee. Dal momento che le malattie della pelle sono tra le patologie di più comune osservazione nella popolazione generale, la lista d’attesa per le visite generali non urgenti è al momento piuttosto lunga e molti utenti ricorrono, spesso in maniera impropria, al Pronto Soccorso, che quotidianamente richiede consulenze dermatologiche per le patologie più disparate. L’ ambulatorio divisionale esegue anche visite per le malattie sessualmente trasmesse, che possono avvalersi, al momento della prenotazione, dei codici RAO di urgenza. L’inserimento di questi codici nell’impegnativa del medico curante permette di essere inseriti con codice U (urgenza da eseguire entro 3 giorni) oppure B (attesa massima 10 giorni). L’ambulatorio di Dermatologia Allergologica e Professionale esegue quotidianamente visite allergologiche, patch test per le dermatiti da contatto e prick test per le allergie IgE-mediate. Le patologie di più comune osservazione in questo ambulatorio sono l’orticaria cronica, la dermatite atopica, le dermatiti
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da contatto e le reazioni da farmaci. La Clinica Dermatologica è inoltre centro di riferimento regionale per la psoriasi e l’ambulatorio dedicato a tale patologia segue pazienti che provengono non solo dal territorio ternano, ma anche dalle aree limitrofe della provincia di Perugia e dal Lazio. La psoriasi colpisce il 3% circa della popolazione umbra e può causare problemi cutanei e articolari molto invalidanti, oltre ad un rilevante deterioramento della qualità di vita. La nostra clinica dispone di tutte le professionalità e le attrezzature per il trattamento della psoriasi e dell’artrite psoriasica nelle sue varie forme. In particolare, nel 2014 sono stati seguiti circa 200 pazienti con malattia severa, molti dei quali trattati con farmaci biotecnologici, ed effettuate circa 9.000 prestazioni di fototerapia UVB-NB o di PUVA-terapia. Una quota certamente molto rilevante dell’attività della Clinica Dermatologica è quella della struttura semplice di Dermatologia Chirurgica e Oncologica. I tumori della pelle, melanoma e non-melanoma, ma anche linfomi e altri tipi di neoplasie sono in notevole aumento. Causa principale di questo incremento è l’invecchiamento della popolazione, ma anche stili di vita pericolosi, quali l’eccessiva esposizione al sole, e l’uso sempre più diffuso di farmaci immunosoppressori. L’ambulatorio dermo-chirurgico esegue visite di screening e controllo per i tumori della pelle, mappatura dei nevi in epiluminescenza e in video-dermatoscopia, interventi chirurgici ambulatoriali per l’asportazione di tali lesioni, trattamenti di crioterapia e di terapia fotodinamica. Quest’ultima metodica è una tecnica innovativa che permette il trattamento di alcune neoplasie superficiali senza ricorrere alla chirurgia, ma anche di trattare alcune patologie infiammatorie che sono di solito scarsamente responsive ad altri tipi di terapia medica. L’attività di piccola chirurgia dermatologica include anche l’esecuzione di biopsie cutanee a scopo diagnostico, non solo per i tumori, ma anche per le malattie infiammatorie di difficile diagnosi o per le quali sono necessari accertamenti diagnostici
S A N TA M A R I A D I T E R N I
linica Dermatologica diagnostiche per le malattie bollose autoimmuni, che sono ricomprese nel gruppo delle malattie rare, per il lupus eritematoso cutaneo, le vasculiti cutanee e altre malattie immuno-mediate. Anche in questi casi, il supporto del laboratorio è indispensabile, dal momento che il gold standard per la diagnostica di molte di queste malattie è proprio la tecnica dell’immunofluorescenza diretta su sezioni cutanee. Atti v i tà d i p rev en zi o n e e s o rv eg l i a n z a La Clinica Dermatologica è impegnata, anche in collaborazione con altre strutture aziendali, in attività di prevenzione e sorveglianza di alcune patologie ad alto impatto per la salute. La principale attività di prevenzione si esplica nei confronti del melanoma maligno e degli altri tumori cutanei. In particolare, negli ultimi mesi è stato avviato il monitoraggio delle lesioni neviche nei soggetti con artriti e altre malattie infiammatorie sottoposti a terapia con farmaci anti-TNFalfa e altri immunosoppressori, per valutare il rischio di sviluppare melanoma maligno. Altre patologie che rientrano nell’attività di prevenzione e sorveglianza sono le reazioni avverse a farmaci e le infezioni e parassitosi cutanee. Nei confronti di queste ultime è attiva anche la collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico di Umbria e Marche per il monitoraggio e la prevenzione delle infezioni cutanee trasmesse da animali. Attività didattica La Clinica è sede degli insegnamenti di Malattie Cutanee e Veneree per gli studenti del corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia e di Dermatologia per il corso di laurea in Scienze Infermieristiche e accoglie studenti, tirocinanti e laureandi, garantendone la formazione professionale e la preparazione delle tesi di laurea. Inoltre, accoglie medici in formazione specialistica della scuola di specializzazione in Dermatologia e Venereologia aggregata con Siena, che qui a Terni svolgono la loro attività pratica professionalizzante e preparano la tesi di specializzazione.
Équipe
Dr
Fabrizio Arcangeli
Fotoservizio di Alberto Mirimao
che possono essere eseguiti solo sul tessuto cutaneo, per esempio l’immunofluorescenza per le malattie bollose autoimmuni. L’ultimo nato degli ambulatori dermatologici è l’ambulatorio per le Malattie Rare della pelle, per molte delle quali la clinica è centro di riferimento regionale. Questo servizio accetta prenotazioni su richiesta diretta dei pazienti interessati o dei medici che inviano per sospetto di malattia rara e, una volta accertata la patologia, fornisce la certificazione opportuna per l’esenzione dal ticket. Questo ambulatorio è coordinato in prima persona dalla prof.ssa Papini e lavora in collaborazione con team multidisciplinari che possono garantire tutte le consulenze specialistiche e gli accertamenti necessari per la diagnosi e il monitoraggio dei pazienti. Le patologie di più frequente osservazione sono la neurofibromatosi e il lichen sclerosus, ma la struttura è accreditata per molte altre malattie rare, tra le quali la sclerosi tuberosa, le ittiosi, le malattie bollose autoimmuni, la dermatite erpetiforme di Duhring, le collagenopatie. Per la diagnostica di queste ultime si esegue anche la capillaroscopia videoregistrata. In questo ambulatorio si fanno confluire anche le patologie rare dei capelli (alopecie cicatriziali) e delle unghie. I laboratori interni di Micologia dermatologica e d i Im munoderm atologia Questi laboratori forniscono un supporto indispensabile alla diagnostica specialistica dermatologica. Il laboratorio di Micologia nel 2014 ha eseguito circa 200 esami microscopici e colturali per la ricerca di funghi patogeni in squame, capelli e unghie. Questo tipo di indagine è indispensabile per la corretta identificazione dell’agente patogeno di micosi cutanea, soprattutto delle onicomicosi, che sempre più frequentemente sono sostenute da funghi di importazione o da funghi opportunisti e possono richiedere trattamenti specifici in relazione al micete in causa. Il laboratorio di immunodermatologia esegue indagini
Personale medico strutturato Prof.ssa Manuela Papini – Responsabile S. C. Clinica Dermatologica Dr Fabrizio Arcangeli – Responsabile S. S. Dermatologia Oncologica e Chirurgica Dr Paolo Morelli, Dr Pier Luigi Bruni, Dr.ssa Michela Cicoletti Medici in Formazione Specialistica Cristina Cuciti, Valentina Fabrizi, Ylenia Natalini, Ada Russo, Lucas Troiani Personale infermieristico Patrizia Bartoli, Vania Ottaviani, Doriana Pagliari, Caterina Tomassoni Tecnico Laboratorio Moreno Diamanti
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La menzogna: pregi e difetti Tutti esaltiamo la verità, l’autenticità, la rigorosa onestà. A parole. Che poi pratichiamo davvero queste specchiate virtù, è tutt’altro discorso. Peraltro, com’è stato osservato, il dire sempre e comunque la verità -intendendosi con tale termine ciò che noi pensiamo in buona fede sia vero- porterebbe in molti casi a conseguenze aberranti o catastrofiche. In quali casi dunque è meglio dire la verità e in quali non dirla? Qui sì che le opinioni divergono: la si deve dire o no a un malato terminale? All’amico che noi sappiamo cornuto, ma lui no? Alla cara amica reduce da un catastrofico intervento di chirurgia pseudoestetica? Governanti e banchieri devono dire il vero su grossi buchi di bilancio? I politici devono dire o no verità che porteranno ad una secca perdita elettorale? In questi ultimi casi nessuno ammetterà mai di aver mentito o sottaciuto, anzi; simili in questo a quegli animalisti che aborrono a parole l’uccisione di ogni essere vivente, ma fanno vistose (quanto condivisibili) eccezioni per scarafaggi, zanzare e topi. A queste domande dare risposta è davvero difficile. Ognuno risolverà di volta in volta il singolo problema secondo la propria coscienza (o il proprio interesse). Ma c’è una considerazione generale da fare sulla bugia, su qualsiasi tipo di bugia, di finzione o perfino di silenzio sulla realtà. Ogniqualvolta un soggetto mente, si scinde fatalmente in due; né c’è alcun modo di evitarlo. Infatti una delle sue due parti è quella che conosce la verità nascosta o taciuta; l’altra è quella che sostiene la menzogna. Ma il fatto stesso di sostenere questa menzogna costringe il soggetto ad incarnarla o se si preferisce, interpretarla, giacché se così non fosse, non gli sarebbe possibile farla credere agli altri. Allo stesso modo, chi dice una falsità, ma per scherzo, col fatto di riderne squalifica egli stesso la propria affermazione che quindi, non essendo menzogna, non scinde affatto in due il soggetto.
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In psichiatria questa scissione, in stadi, s’intende, più avanzati, viene chiamata schizofrenia, nome difficile per dire appunto scissione. La differenza tra lo stato di chi mente e quello dello schizofrenico psichiatrico quindi non sta nella qualità del procedimento mentale, che è esattamente la stessa, ma nella sua quantità che, nel caso del mentitore, è enormemente inferiore. Il soggetto purtroppo non se ne rende conto quasi mai, anzi si crede particolarmente furbo proprio perché riesce a imbrogliare gli altri, senza rendersi conto di quanto nuoccia a se stesso. Tuttavia, se ne renda conto o no, le due tesi opposte, che confliggono entro di lui contraddicendosi, tendono a risolvere in qualche modo la contraddizione. La soluzione sta talvolta nel confessare, cosa che notoriamente, anche quando crea problemi, dà un ben percettibile senso di sollievo. In altri casi invece il soggetto finisce col credere davvero alla propria finzione. Anche in questo caso la mente ritrova la propria unità, solo che tale unità è, sia pure in modo non grave, psicotica, come lo sarebbe quella del pazzo che, affermando di essere Napoleone, credesse di esserlo davvero. Orbene, questa schizofrenia è quanto di più frequente, nella nostra società: chi tradisce il partner, chi imbroglia sui conti, chi turlupina gli elettori non va, in genere, a raccontarlo in giro e preferisce la schizofrenia all’imbarazzo della verità. (La soluzione sarebbe di non far nulla che debba essere nascosto, ma è soluzione che appartiene a pochissime, elette persone che in genere non hanno posti direttivi). Nel campo politico poi, la schizofrenia tra il reale e il raccontato è l’assoluta regola. Ebbene, quanto può funzionare secondo voi, una società in cui una classe dirigente di psicotici governa cittadini altrettanto psicotici? Fosse mai che uno dei motivi in cui stiamo nel fango tutti quanti fosse, al di là di tante spiegazioni raffinate, nella nostra comune, dilagante schizofrenia? Vincenzo Policreti
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La via dei 100 cieli La bellezza in punta di piedi Diario di un Pellegrino da Nocera Umbra ad Assisi, Canterbury, Roma, Santiago de Compostela, Gerusalemme. Mi piace raccontarvi l’impresa sportiva o meglio il viaggio attraverso i tanti cieli, del mio amico Enrico Carrara, un pellegrino, un sognatore forse, un navigatore nel mare del sentimento e della Bellezza, un ciclista solitario, chissà! Certamente un uomo libero. Leggiamo allora il suo racconto … Il 4 settembre 2013 feci una fotografia al cielo -scrive Enrico- così il giorno successivo e l’altro ancora. Dopo qualche settimana nasceva in me il desiderio di fissare, con una immagine, il cielo di ogni giorno per un anno. Pensai a Marcella, una pellegrina incontrata a Santiago de Compostela. Mi aveva raccontato di un olandese in pensione, che stava percorrendo, a piedi, le tre peregrinationes majores. Mi sono detto: quel viaggio lo farò in bicicletta, in cento giorni, sotto cento cieli! Così è nato il progetto La Via dei 100 cieli, con la voglia di riscoprire la bellezza, attraverso il viaggiare da solo, in bicicletta, lungo le strade di 8 nazioni e di due continenti, regalandomi l’incontro con la gente. Il percorso si è sviluppato lungo i tre pellegrinaggi maggiori della cristianità: la Via Francigena, il Cammino di Santiago de Compostela, la Via per la Terrasanta. Un tempo si andava in pellegrinaggio per devozione o penitenza. Il mio è stato un percorso esperienziale: ho voluto verificare se il mondo è così cattivo come viene descritto e se la bellezza lo possa salvare. Un viaggio lungo 6.400 km, com’era nell’anno 1000, immaginato e compiuto con la bicicletta. La stessa utilizzata nel 2013 quando io e la “Pellegrina” siamo arrivati a Santiago de Compostela, lungo la Via Francese, partendo da Nocera Umbra. … Ho chiuso la porta di casa ed è iniziato il viaggio … avventurandomi in un mondo nuovo. Viaggiando motorizzati ciò che ci circonda è in gran parte invisibile. La lentezza restituisce, già dai primi chilometri, la sensazione di un tempo e di uno spazio dei quali non percepivo più la straordinaria sensazione. Osservare ogni metro di paesaggio, guardare negli occhi le persone è un tale arricchimento, da compensare l’immensa fatica. Da subito, colpito dalla intensità di cose apparentemente semplici, ho compreso che per “vedere la Bellezza” è necessario
essere educati. Non sarà certamente la bellezza a salvare il mondo, ma coloro che sono educati a vederla. La bellezza c’è, ma non la vediamo! Anche raccogliere un pezzo di carta genera bellezza, conferisce armonia ad un pezzo di mondo. Avendo l’obiettivo di raggiungere Gerusalemme, ogni azione, pensiero od oggetto superfluo avessi portato con me, mi avrebbe distratto od appesantito. Il mio bagaglio è stato ridottissimo, concentrandomi sui miei reali bisogni e su quali fossero realmente indispensabili per il mio viaggio. Ho così maturato la consapevolezza che una vita senza obiettivi mi imprigionava, in una mole di pensieri e cose che occupavano la mia mente e la mia casa, senza un reale bisogno. Proprio come un vagabondo senza meta, quindi bisognoso di tutto. La leggerezza derivata da questa nuova visione è stata il primo dono colto. Altro meraviglioso regalo è stata la conferma della bontà e dell’accoglienza della gente. Incontrare centinaia di persone in 8 diverse nazioni, senza mai percepire la minima sensazione di pericolo è stata la mia migliore conferma. L’incontro senza pregiudizi e retro pensieri ha reso le relazioni pulite e trasparenti, umanamente costruttive. Ciò non vuol dire essere imprudenti, ma disponibili, non ingenui ma accoglienti, non distratti ma attenti. Viaggiare da soli è una costante sollecitazione all’attenzione: la strada, l’organizzazione quotidiana delle giornate,il cibo, l’alloggio. Governare le decine di variabili incontrate lungo ogni km percorso mi ha reso un’ altra persona, con una diversa percezione del mondo circostante. Certamente la passione è stata il motore di tutto. Mi ha dato la forza per alzarmi cento mattine con l’entusiasmo per affrontare il nuovo giorno e con la determinazione per conseguire il mio personale obiettivo. Ho raccontato brevemente la mia esperienza. A coloro che intendessero affrontare un pellegrinaggio, a piedi o in bicicletta dò solo un consiglio: fatelo da soli! É l’unica condizione che permette di assaporare pienamente questa straordinaria esperienza. Oggi guardo la carta geografica con coordinate diverse, ciò che mi appariva grande e distante è diventato raggiungibile. Quella carta geografica, adesso, assomiglia molto alla mia vita. Questo è Enrico, uno sportivo a suo modo, un uomo con degli obiettivi etici precisi, libero dalle frenesie del possesso dei beni materiali e da stili di vita vuoti ed inconcludenti. Povero del superfluo ma ricco di sentimenti e di bellezza interiore. Caro Enrico tanta strada ancora a te ed alla tua fida ed inseparabile bici, la “Pellegrina”. Dott. Stefano Lupi Delegato Coni di Terni
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Lascia stare mio figlio!!! Lascia stare mio figlio! Ora sì che non lo vedrai più! I rancori e i dissapori tra marito e moglie hanno purtroppo un’unica vittima: la prole. Nelle cause di separazione e divorzio, ma anche nelle liti coniugali, il desiderio comune dei genitori di stare con il/i figlio/i, diviene di frequente oggetto di contesa. In altri casi, al contrario, la contesa nasce dal fatto che uno dei genitori, più di frequente il padre, non trascorre abbastanza tempo con i figli non utilizzando, neppure, i momenti messi a sua disposizione dai provvedimenti giudiziali. Purtroppo la strumentalizzazione dei figli è il modo più semplice ed efficace, ma anche il più subdolo, per esercitare rivendicazioni contro il partner, tanto da essere frequenti i ricorsi all’autorità giudiziaria per dirimere le controversie insorte sul punto. Spesso in tali circostanze le motivazioni che spingono il genitore a rivolgersi al Tribunale, non sono dettate da problemi concreti, ma solo ed esclusivamente da capricci personali, che non hanno altro scopo se non quello di screditare la figura genitoriale agli occhi del figlio. Nonostante oggi le questioni che impegnano le aule giudiziarie siano le più disparate, quelle connesse ai rapporti familiari continuano ad essere una fetta molto importante del contenzioso. In questa ottica rileva ad esempio, con grande frequenza, il problema concernente il diritto di visita da parte del genitore non collocatario, vale a dire del genitore con cui il figlio non vive stabilmente. Orbene, in tale caso, vi è una precisa responsabilità che fa capo al genitore non affidatario, qualora quest’ultimo ometta di esercitare con la dovuta puntualità il c.d. diritto di visita che comprende anche trascorrere insieme lunghi periodi quali le vacanze estive o invernali. L’esercizio di tale diritto, da parte del genitore non costituisce infatti una libera scelta, ma rappresenta un preciso dovere sanzionato dalla legge. Viceversa, al genitore che voglia mantenere un rapporto con i propri figli, va garantito indiscutibilmente il diritto di visita ed il suo mancato esercizio, a causa della condotta ostativa dell’altro, può dar luogo addirittura alla decadenza della potestà genitoriale di quest’ultimo, ed integrare il reato di cui all’art. 570 c.p. “Violazione degli obblighi di assistenza familiare”. Non a caso, diversi Tribunali hanno condannato la madre al risarcimento dei danni nei confronti dell’ex marito, per aver ostacolato il suo rapporto con il figlio. Gli stessi Tribunali infatti riconoscono sempre più spesso il risarcimento del danno ai padri che si vedono precluso il diritto di vedere i figli a causa della condotta della madre. (T. Trieste 23/08/2013) e ciò sulla base del presupposto di cui all’art. 155 c.c., che sancisce con estrema chiarezza il principio di bigenitorialità. Il figlio ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ognuno dei genitori e di conservare rapporti significativi con i nonni e con i parenti di ciascuno di essi. Il Tribunale di Roma, con una sentenza ormai risalente all’anno 2000, ha riconosciuto, addirittura, ad un padre che si è visto costantemente, continuativamente, e per lungo tempo, senza un vero motivo, negare il diritto di fare visita alla figlia e di rimanere con la stessa, il risarcimento di un danno morale e biologico di permanente e non trascurabile rilevanza ed ha utilizzato per la liquidazione le tabelle che vengono normalmente utilizzate per il risarcimento del danno conseguente ad incidenti stradali. Avv. Marta Petrocchi legalepetrocchi@tiscali.it
Li dieci Ddiasillaménti Se qquistu munnu tòcca mijora’ ... le maniche ce tòcca rimbocca’! Quann’è che ttu fai a ‘ll’andri quarchiccosa… penzace… la ‘ccetteristi tu la stessa cosa? Quann’è che stai a ccommatte co’ ‘n diversu… penzace… anch’essu sta a ccommatte co’‘n diversu. Quann’è che ddici tòcca sopportallu… penzace… po’ darsi pure quillu sta a ppenzallu. Quann’è che strilli e arzi ‘n bo’ le mano… penzace… la carma fa piu’ fforte ‘gni cristiano. Quann’è che ttu biastìmi quarchidunu… penzace… lo male non s’ agùra mai a gniciunu.
Quann’è che ‘n purittacciu cerca ajutu… penzace… a vvòrde tuttu fa… pure ‘n salutu. Quann’è che vvoli propiu ‘rraffatuttu… penzace… a ddannu de ‘quill’andri quantu e’bbruttu. Quann’è che cciài chiccosa ‘n bo’ de troppu… penzace… potristi ajuta’ ‘n bo’ co’ ‘llu malloppu. Quann’è che vvòi la pace e nno’ la guerra… penzace… facenno pure pocu… è ttantu su sta terra. Quann’è ch’a vvòrde dici che bbucìa… penzace… s’è ppe’ lu bbene… bbravu e ccuci’ sia.
Quann’è che bbene io stò a ppridica’… ce penzo… chissà se bbene io stò a rrazzola’? paolo.casali48@alice.it
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Le b ig o n c e s c a r ic are l l e Gli uliveti dell’Umbria e in particolare quelli della Valnerina e valli ad essa afferenti, si trovano su terreni molto scoscesi e poco praticabili, ma producono un olio eccellente. I nostri antenati contadini sapevano che l’ulivo non gradisce il clima del fondo valle, umido e soggetto a gelate invernali e primaverili. Preferisce la collina assolata e asciutta tanto che si tramanda, di generazione in generazione, che tale pianta abbisogna di quattro S per fruttificare bene: Sole, Sassi, Siccità e Silenzio. Le nostre splendide colline che fanno da corona alle nostre valli hanno tutte, chi più chi meno, queste peculiari caratteristiche. I boschi di una volta che ricoprivano queste località sono stati tagliati, i ceppi estirpati con tutte le radici in modo da impedirne la ricrescita e il terreno dissodato (scassato) a furia di piccone per renderlo idoneo alla piantagione di un uliveto. Questa pratica, iniziata qualche migliaio di anni fa, si è protratta nel tempo tanto che alcuni governi furono costretti a promulgare leggi per impedire la distruzione dei boschi. Fatta la legge trovato l’inganno: bastava lavorare nelle notti serene, con la luce della luna piena, per sottrarre metri quadri al bosco e trasformarli in metri quadri di uliveto. In questi casi, si dice, la legge non veniva applicata, così come una casa abusiva, completata prima che facesse giorno e col proprietario dentro, non veniva abbattuta. Impiantato così un uliveto al posto del bosco, bisognava coltivarlo e concimarlo per alcuni anni prima di poterne raccogliere i frutti. Coltivarlo voleva dire zapparlo, in modo da togliere le erbe infestanti intorno alle piccole piantine e contemporaneamente ricoprire con la terra il letame maturo, portato fin lassù per garantire una più rapida crescita. Poi bisognava potarle e dare loro una impostazione spaziale, in modo che il sole potesse raggiungere ogni ramo per avere uno sviluppo omogeneo. Per portare il letame necessario in cima alle colline era stato inventato, non si sa da chi, né da quanto tempo, un sistema veramente ingegnoso. Si usava un’asina al cui basto venivano fissate, una a destra e l’altra a sinistra, due bigonce scaricarelle o bigunzi scargarelli (li bbiunzi scarOliveto abbandonato (perché troppo scomodo?) garelli - dialetto stretto, per “risparmiare” una consonante in mezzo e raddoppiarla all’inizio!). Si trattava di bigonce di forma cilindrica -quelle per la raccolta delle uve erano di forma tronco conica rovesciata- fatte con legno leggero e col fondo apribile a comando. Abbiamo detto a comando, non a telecomando! Tale fondo circolare era fatto con legno più resistente inchiodato su di una tavola centrale leggermente più lunga del diametro del cerchio e sporgente verso l’esterno. Alla parte opposta della sporgenza si legava un pezzo di corda che facesse da cerniera tra il fondo e il corpo della bigoncia, mentre sulla sporgenza si legava una corda più lunga che serviva per tenere chiuso il fondo del recipiente. Caricato il letame dal letamaio, una forcata a destra e una a sinistra per non sbilanciare il carico, ci si incamminava su stretti sentieri che salivano a zig zag per rendere sopportabile la pendenza, con in mano la cavezza e l’asina a seguire, per raggiungere la parte più alta dell’oliveto. Arrivato sul posto il contadino sganciava contemporaneamente le due corde che trattenevano i fondi delle bigonce e tutto il letame cadeva a terra nei pressi delle piante da concimare. Ognuno di questi viaggi durava un’ora o più, a seconda della distanza dal letamaio e quindi dalla casa del padrone del terreno. Provate a immaginare quanto tempo c’era una volta per pensare e per ascoltare i suoni della natura e quanto ne abbiamo oggi! In genere la concimazione veniva terminata ad aprile e se il viaggio di ritorno avveniva verso sera, tra il lusco e il brusco, poteva capitare di sentire anche il verso del cuculo. Per centinaia di anni, o forse per qualche millennio, portare il letame su zone impervie ha comportato l’uso di metodiche uguali o similari. Altri tempi e altre fatiche, però è bene rammentare da dove veniamo se non altro per rivolgere un pensiero di ringraziamento agli antenati che ci hanno lasciato queste meravigliose colline ricoperte di ulivi d’argento. Vedere adesso alcune di queste vecchie piantagioni abbandonate e la boscaglia che riprende possesso del suo territorio, fa piangere il cuore. Vittorio Grechi
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Alle origini del fondamentalismo I raccapriccianti video messi sul web dall’IS con esecuzioni spietate che ci riportano indietro di un millennio, il sito archeologico di Nimrud spianato con i bulldozer, le lugubri bandiere nere ostentate come minaccia, per ora verbale, all’Occidente, immagini diverse che nella loro drammaticità ci portano ad una sola parola oggi diventata di uso comune e a volte perfino abusata: Fondamentalismo. Il fine che ci proponiamo con il presente articolo non è quello ampiamente sfruttato di commentare i fatti, cosa scontata e di per sé evidente, bensì quello di scendere più in profondità rispetto ai fatti stessi ed analizzare il fenomeno nella sua complessità. Certamente lo spazio limitato di un articolo male si adatta ad un argomento così vario e molteplice, tuttavia tenteremo di offrire al lettore alcune informazioni quale utile spunto per una più approfondita riflessione. A questo scopo bisogna fare due considerazioni preliminari: Universalità del fenomeno, esso, pur trovando nell’Islam la sua manifestazione più detonante, è proprio di tutte le religioni monoteiste, Cristianesimo compreso. I vari fondamentalismi sono comunque a tutti i livelli spia di un malessere diffuso, di bassa solidarietà, di sfiducia nei confronti del sistema politico giudicato corrotto e corruttore e come tale indegno di qualsiasi rispetto, fino alla aperta ribellione mirante al rovesciamento. Modernità del fenomeno: il fondamentalismo ricerca certezze in un mondo dove esse sono sfrangiate, labili e deboli. Rappresenta il bisogno di una verità forte in cui identificarsi, una verità che è una e totale e non scende a compromessi di nessun genere. Esso ha un atteggiamento ambiguo e contraddittorio nei confronti della modernità che da un lato viene rifiutata in quanto immorale e corrotta, dall’altro ne usa gli strumenti sofisticati che la contraddistinguono come il web, internet, apparati elettronici sia civili che militari. I vari movimenti che si ispirano al fondamentalismo hanno dimostrato che il legame tra modernità e secolarizzazione non è così solido e scontato come si credeva negli anni ’60-’70, evidenziando un pericoloso vincolo tra la certezza della verità e la necessità di imporla con la violenza. Essi danno vita a strutture contraddittorie, ricorrendo alla violenza sacra. La religione perde ogni valore spirituale, suo significato più profondo, riducendosi a pratica politica pura e semplice. A questo punto è lecito porsi una domanda: qual è l’origine di questa parola divenuta così tristemente nota? La risposta appare scontata, ma non lo è. Infatti esso, anche a causa degli ultimi eventi drammatici viene comunemente associato all’Islam, invece venne per la prima volta coniato e usato nell’ambito del Cristianesimo di confessione protestante negli U.S.A. altro che paesi arabi! Nel lontano 1909 due esponenti della chiesa battista americana A.C. Dixon e R.Torrey che, per sottolineare il pericolo di una progressiva secolarizzazione che le chiese protestanti stavano correndo nel ‘900, secolo della scienza e della tecnica per antonomasia, suggerivano un ritorno ai fondamenti della fede e a questo scopo scrissero un opuscolo intitolato: I principi fondamentali, una testimonianza della Verità che fu un vero best seller con 3 milioni di copie vendute. La questione riguardava la Bibbia e la sua interpretazione, questione molto delicata vista la precarietà del Protestantesimo che si regge su un instabile equilibrio tra libertà di coscienza
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individuale e il necessario confronto tra il credente e la comunità in cui vive Si aprì così nel mondo protestante una frattura fra teologi liberali aperti alle esigenze della modernità e teologi conservatori contrari a questo apporto. Il fondamentalismo prese forma negli anni ’20-’40. Nel 1919 venne fondata l’Associazione per i fondamenti cristiani nel mondo, ma il movimento venne alla ribalta nel 1925 in occasione dello Scopes trial processo intentato al prof. J. Scopes, reo di aver insegnato in una scuola di Dayton le teorie di Darwin, che in poco tempo divenne un caso nazionale, provocando dibattiti, polemiche, manifestazioni pro e contro. Il fondamentalismo divenne un soggetto capace di mobilitare masse, di dividere le coscienze entrando in pieno nella sfera pubblica, trasformandosi da movimento di “sagrestia”confinato nelle scuole teologiche in movimento collettivo con il supporto dei media allora in uso: giornali e radio. Secondo lo studioso J. Barr due sono i tratti che contraddistinguono il fondamentalismo in genere: tendenza all’esclusività; definirsi in opposizione a qualcuno. La fede incrollabile in qualcosa rafforza il legame tra i membri, dà loro un’identità, fungendo da cemento sociale del gruppo. La mobilitazione collettiva è più facile e più facile è l’ubbidienza ad un leader carismatico. Ci si sente veri credenti, certi di essere dalla parte della verità. Tale fatto non capita solo nei movimenti religiosi, ma anche in quelli politici. Il fondamentalismo religioso è il modo più elevato di vivere una militanza politica. Il senso dell’esclusività spiega il bisogno di opporsi a qualcuno percepito come minaccia all’integrità della propria fede, così l’avversario diventa l’incarnazione del male, il demonio da schiacciare ad ogni costo e con ogni mezzo. La demonizzazione dell’avversario lo rende uno strumento per mettere a tacere l’opposizione, la critica. Infatti spesso si è sposato con tendenze etno-nazionaliste in difesa di una identità nazionale percepita in chiave religiosa come il K.K.K. nel profondo sud degli U.S.A. Il fondamentalismo evangelico si basa sulla inerranza della Bibbia, simbolo assoluto di fede dove non c’è spazio per alcuna rielaborazione teologica considerata distorcente: è un movimento senza teologia. Esso è diffuso in varie chiese protestanti, ma soprattutto tra gli Avventisti, i Mormoni e i Testimoni di Geova. Anche la Chiesa Cattolica non ne è esente, sebbene l’autorità del Papa e la struttura fortemente gerarchica tendano molto a frenarne la diffusione e gli effetti. Tuttavia il Concilio Vaticano II ha restituito la centralità al testo sacro con un duplice effetto: riavvicinamento della Chiesa allo spirito moderno e rivendicazione di maggiore autonomia rispetto alla gerarchia. Questo ha determinato due tendenze: contrapposizione alla società moderna e ricerca di una fede pura contro una gerarchia troppo compromessa con il mondo. Nella Chiesa cattolica più che di fondamentalismo si può parlare di integrismo, di conservatorismo. Esiti fondamentalisti si trovano sparsi a macchia di leopardo in vari movimenti giovanili come C.L., in alcune frange del Movimento Neocatecumenale di Kiko Arguello. Nel prossimo articolo ci occuperemo dell’argomento clou: il Pierluigi Seri fondamentalismo islamico.
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Francesco Neri, il più giovane mazziniano d’Italia è stato relatore in conferenza con Auro Rocchi, Presidente dell’AMI (Associazione Mazziniana Italiana) di Terni e relatore in conferenza con il Presidente dell’AMI di Terni Andrea Giardi e con Mario Di Napoli, Presidente Nazionale dell’AMI. Dal 2010 scrive numerosi articoli di carattere storico sul mensile La Pagina e tiene diverse conferenze pubbliche nella sala G della Ass. Culturale La pagina, straordinarie per l’altissimo livello culturale e dialettico. Di questa Associazione è poi nominato membro del Direttivo. Frequenta oggi la V classe ginnasiale. É nato il 2 febbraio 1999. 30
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