La Pagina dicembre 2015

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La so l a g u e rra a u sp ica b ile I ragazzi indossano quasi sempre le felpe con il cappuccio. Iniziano a farlo presto, quando frequentano le medie o anche prima; e smettono tardi, se mai smettono: una felpa con il cappuccio può diventare anche una divisa, una casacca che mostra appartenenza, e la si indossa con eleganza e senso di squadra anche dopo i trenta o quarant’anni di età. Al momento, Edoardo la indossa soprattutto perché probabilmente è il suo capo d’abbigliamento preferito: alcuni suoi coetanei adorano il cappuccio, dentro il quale possono ritagliarsi un angolo privato anche nelle stanze affollate, come questa; ma a lui piace soprattutto per i laccetti che dal cappuccio pendono sul collo. Se ne può sempre prendere uno e giocarci, metterselo in bocca, girarselo fra le dita: un laccetto riesce ad essere di compagnia, quando si è comandati a resistere in un ambiente che è al tempo stesso silenzioso e affollato, popolato di tavoli e di spettatori, e comunque con una colonna sonora dell’evento che è formata solo dalla somma di tanti sommessi bisbigli, piccole violazioni tollerate della consegna del silenzio. Così Edoardo, che è ancora un bambino, si affida al laccetto per farsi compagnia e lasciare che il tempo passi. Ogni tanto un rapido sguardo a Desiree, sua sorella, distante pochi metri ma altrettanto silenziosa e apparentemente più concentrata; ogni tanto un messaggio veicolato solo dagli occhi alla mamma, signora sottile nerovestita che, relegata nella sezione degli spettatori, mostra negli occhi scuri un’apprensione molto maggiore di quella dei suoi figli; ma più spesso Edoardo resta in piedi, col laccetto della felpa tra le labbra, a guardare incuriosito i tavoli vicini al suo. Edoardo ha tredici anni appena compiuti, la pubertà non ha ancora rivoluzionato il suo fisico e le sue movenze: di fronte a lui, concentrato e assorto, il maestro filippino è assai più concentrato, occhi fissi sul tavolo e qualche accenno di rughe che solcano la fronte. Quello che per molti ternani è ancora “il palazzo delle Poste” di piazza del Popolo, e che adesso invece si chiama PalaSi!, ha ospitato tra il 27 e il 29 novembre il Primo Torneo Open “Città di Terni” di scacchi. Un torneo davvero di tutto rispetto, probabilmente il più prestigioso nella storia scacchistica della città, organizzato dalla società Scacchi Terni “Orlandi Furiosi”; società che nel nome ricorda Orlando Orlandella, un autentico personaggio del panorama scacchistico cittadino, prematuramente scomparso. Il torneo ha accolto 78 scacchisti (più altri 16 nel parallelo torneo U1500) provenienti anche dall’estero: scorrendo l’elenco degli iscritti si incontrano le bandiere

Locale climatizzato - Chiuso la domenica Terni Via Cavour 9 - tel. 0744 58188

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nazionali di Svezia, Francia, Grecia, Olanda, Filippine, anche se, naturalmente, i tricolori italiani sono in grande maggioranza. Il livello tecnico è stato altrettanto lusinghiero: la sigla IM, che negli scacchi significa “Maestro Internazionale” e che è seconda solo al massimo titolo di Grade Maestro, campeggiava a fianco di due iscritti al torneo. Quel che più sorprende lo spettatore non abituato ai tornei scacchistici, di solito, non è la tensione agonistica (che pure è presente, pressantissima, perfettamente leggibile nei volti dei giocatori), quanto la varietà dei contendenti. Quasi tutti gli sport suddividono gli incontri in categorie di merito, di sesso, e naturalmente di età: e certo gli scacchi non sono da meno, perché esistono classifiche e tornei dedicati alle varie tipologie. Ma solo nei tornei open di scacchi, probabilmente, si riescono a vedere professori in pensione settantenni lottare all’ultimo sangue con agguerrite quindicenni, o ragazzini ancora molto interessati ai regali di Natale rendere la vita difficile a professionisti d’un altro continente. Tutti uguali, tutti sugli stessi tavoli, e senza neanche il minimo accenno di pregiudizio e men che meno di sufficienza. Non può esserci pregiudizio razziale: indiani e sudamericani sono notoriamente avversari pericolosissimi: non può esserci pregiudizio d’età, perché l’undicenne che ti finisce davanti può aver imparato le regole dell’arrocco solo pochi mesi prima, forse, ma può anche essere già un Maestro nazionale di tutto rispetto, anche se si gingilla con il laccetto del cappuccio. E le fanciulle che muovono legname sulle scacchiere non sono presenti solo per dimostrare la ridicola falsità del luogo comune che vuole che le scacchiste siano brutte -cosa in cui riescono benissimo- ma soprattutto per pugnalarti con un sorriso crudele quanto intravedono un matto in quattro mosse. E al PalaSì! erano ben rappresentati tutti gli archetipi, in quei tre giorni di fine novembre: scacchisti ternani che da sempre portano avanti l’onore e l’onere della difesa del gioco di re nella citta dell’acciaio; maestri del gioco arrivati da lontano, che forse hanno visto Terni per la prima volta; appassionati di tutte le età, ma soprattutto giovani e giovanissimi, come i ragazzi addestrati dall’associazione sportiva dilettantistica Tatanzak, che manovravano torri e alfieri con perizia e passione. Era davvero piacevole osservare questo campione di umanità governare piccoli eserciti di plastica e legno in centinaia di scontri incruenti, nel rito che rinnova la sola immagine di guerra davvero auspicabile per l’umanità. Alla fine del quinto e ultimo turno, Edoardo si è tolto il laccetto dalla bocca, ha sportivamente stretto la mano al Maestro Internazionale filippino che aveva appena battuto, e ha constatato che, visti i risultati degli altri tavoli, era vincitore del Primo Torneo Open “Città di Terni”. È facile predizione affermare che sentiremo ancora parlare di lui: ci auguriamo piuttosto che a questa prima edizione del torneo possano seguirne molte altre, per molti anni a venire. Piero Fabbri


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A u re a m e d i o c r i t a s Ho scritto diversi articoli dedicati a Terni nei quali cercavo di far apprezzare alcune bellezze e unicità della nostra città, partendo dal concetto che pochi si accorgono di quante cose belle ci siano, spesso sconosciute ai più perché non osservate con attenzione. Questi articoli credo abbiano portato a qualche conoscenza in più e, soprattutto, alla capacità di guardarsi intorno con occhi e sentimenti diversi. Sono una persona che ama la propria città e che ha scritto qualche libro su di essa e, per scriverlo, l’ho girata in lungo e largo cercando di conoscerne ogni angolo: il mio desiderio è stato sempre quello di farla conoscerla agli altri e farla apprezzare. Non so se ci sono riuscita. La sostanza dei miei articoli era “Terni è bella”. Negli ultimi ho introdotto, in più, elementi di critica a questa città sottolineando i problemi grandi e piccoli che essa, purtroppo, coltiva in grembo. Non sono arrivata a dire “Terni è brutta” perché non lo penserò mai neanche sotto tortura, ma ho messo il dito nella piaga, anzi in molte piaghe. Ebbene: se prima tutti mi dicevano brava, sì… ma…, ora ricevo un coro di consensi, di plausi inimmaginabile. Le telefonate per congratularsi sono continue; mi fermano per strada per farmi i complimenti e inneggiano alle mie critiche. Non sono dottor Jekyll e mister Hyde: non ho cambiato opinione sulla mia città. Terni è bella, solo che la vorrei ancora più bella. È ancora una città vivibile, a misura d’uomo come si dice con un’espressione ormai abusata, ma che bene esprime il concetto di una condizione di vita che mantiene equilibrio tra i valori della società e quelli personali, che si integra con la natura e con il territorio così ricco ed emozionante in questa regione. La vorrei più attiva, più partecipata, meno inquinata ed anche colta, accogliente, responsabile, impegnata. La vorrei però anche vivace, frizzante, divertente. La ventata di approvazioni ai miei articoli e il desiderio di veder crescere questa città, mi ha portato ancora una volta, a fare delle considerazioni che spero siano di stimolo ai cittadini e agli amministratori per un proficuo lavoro e per assolvere a quel compito -certo difficilissimo- di governare la città facendo un definitivo salto di qualità nella risoluzione dei problemi e, quindi, riuscire a smentire quel senso di apatia che sembra ormai imbrigliare la gestione della cosa pubblica. Per fare questo prendo spunto dalla recente pubblicazione del resoconto della XXII edizione di Ecosistemaurbano di Legambiente. Gli ultimi dati ci restituiscono un’immagine di Terni -e siamo in compagnia con Perugia- come “ingessata, statica e pigra”. I parametri presi in esame sono molti e vanno dalla qualità dell’aria al verde pubblico, dallo smaltimento dei rifiuti ai consumi idrici e alla quantità di dispersione di acqua in rete, dal trasporto pubblico al tasso di motorizzazione, dalla presenza di piste ciclabili a quella delle isole pedonali, dai consumi elettrici all’utilizzo di energie rinnovabili. Ognuno può consultare su internet il resoconto particolareggiato e i dati presi in esame. Nella classifica totale delle città italiane monitorate (104) Terni si pone al 48° posto: ci collochiamo pertanto in un’aurea mediocritas. Per la qualità dell’aria occupa il 24° posto (Azoto-NO2 (g/mc)), ma è al 61° per PM10 (g/mc) e al 31° per Ozono.

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JACARONI CENTRO DIAGNOSTICO La sola guerra auspicabile - P F a b b r i CNA Aurea mediocritas - L S a n t i n i B . M . P. - Soluzioni tecnologiche per il trasporto verticale Il costo dei servizi gratuiti - A Melasecche E l o g i o d e l l a b e f a n a - V Policreti OTTICA MARI Tr a l ’ o p p i o e l e z u c c h i n e d e l l ’ I n d i a P o n t i n a - F P a t r i z i La mazzafionga gravitazzionale - P C a s a l i L A B O R AT O R I S A L VAT I A Z I E N D A O S P E D A L I E R A S A N TA M A R I A D I T E R N I I K U R D I , u n v o l g o d i s p e r s o parte II - PL Seri N U O VA G A L E N O Calamandrei, chi era costui? - M P e t r o c c h i FA R M A C I A B E T T I Castel Giorgio - capitale del football americano - S Lupi C M T - C O O P E R AT I VA M O B I L I T À T R A S P O R T I Il traversaro - V Grechi F O N D A Z I O N E C A S S A D I R I S PA R M I O AUNG SAN SUU KYI - F Calzavacca G L O B A L S E RV I C E SUPERCONTI

Occupa la 21° posizione per consumi idrici, mentre per la dispersione di acqua è al 61°. La raccolta differenziata la vede al 56°: il trasporto pubblico al 27° e l’offerta di trasporto al 13°. Buona la posizione della presenza di isole pedonali che la pone al 3° posto, mentre la presenza di piste ciclabili la vede al 54°. Terni poi è solo al 67° per quanto concerne le energie rinnovabili e, di conseguenza, è al 9° posto per il consumo elettrico domestico. Una nota positiva è il 5° posto per verde pubblico fruibile (ma questo indice non ci dice quanto è stato trascurato questo verde) e al 24° per la presenza di verde totale. Uno studio dell’Isprambiente relativo al 2012 poneva Terni al 4° posto in Italia per quantità di verde per abitante (mq.147). Siamo felici che Terni, insieme a Prato, sia stata dichiarata la città “isola felice per gli animali”, ma vorremmo salire nella graduatoria per tutti gli altri aspetti. Quello che emerge dall’analisi dei dati è dunque una posizione a volte buona, per altre non altrettanto. Quello che però la fa definire una città “ingessata” è il confronto con i dati del 2014 e del 2013: da questi dati emerge una quasi nulla variazione dei parametri. Allora mi chiedo: se i dati degli anni precedenti sono più o meno simili a quelli del 2015, vuol dire che nulla si è fatto per risolvere il problema là dove era evidente per i dati raccolti. Non voglio chiamarla indifferenza o noncuranza o apatia e tanto meno incapacità, perché penso un’amministrazione comunale si trovi spesso di fronte a difficoltà oggettive (spesso economiche), ma certo denuncia un certo immobilismo nelle scelte e non è un buon segnale per far crescere questa città che tutti noi -lo ripeto ancora- consideriamo bella e vogliamo bellissima e smetta di essere nella fascia mediocritas per divenire aurea. Loretta Santini

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PA G I N A

Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 --- Tipolitografia: Federici - Terni

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Vicedirettore Luisa Romano Editrice Projecta di Giampiero Raspetti

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Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafico Francesco Stufara

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Il valore economico costruito negli anni da giganti del web quali Google è basato principalmente su questo anche perché senza la profilazione non avremmo avuto, nel bene e nel male, la odierna web economy, tutto quel mondo costituito da chi sviluppa e da chi fa parte a vario titolo della creazione di applicazioni, dei milioni di persone che utilizzano l’e-commerce, etc. Qualche riflessione si impone però in merito alle conseguenze per l’utente finale, per la differenza che passa tra essere consapevoli e dare il proprio consenso o il subire inconsciamente questi processi. Gli utenti accettano fin troppo facilmente condizioni di privacy e termini d’uso, così come appunto l’utilizzo di cookies, senza molta attenzione nel comprendere cosa accadrà successivamente. L’alternativa sarebbe quella di non utilizzare un’applicazione o un sito, non accettandone i termini d’uso o rifiutando un cookie oppure navigare con diversi browser, ma sono veramente pochi coloro che adottano comportamenti in qualche modo precauzionali. È anche vero che navigare senza accettare i cookies è per molti talmente frustrante da non potere essere considerata nei fatti una vera opzione. Il controllo delle abitudini commerciali non è pratica recente. È da quando esistono i negozi che esiste la profilazione. Solo che una volta avveniva mediante una generale osservazione del comportamento dei clienti, di come passeggiavano tra gli scaffali, del tempo trascorso davanti a determinati prodotti. Oggi avviene mediante cookies ed altri strumenti automatizzati di controllo la cui differente pervasività imporrebbe maggiore attenzione da parte dei singoli. Proprio per questo in Italia è intervenuto il Garante della privacy che ha addirittura distinto tra cookie tecnici, cookie di profilazione e cookie di terze parti; quindi cookie diversi, per finalità diverse. Differenziazione che spesso i siti dimenticano di spiegare. alessia.melasecche@libero.it

Elogio della befana Credo alla Befana. Ci credo fermamente, con tutta la mai possibile convinzione. Ci credo perché sento che se non credessi alla Befana ogni mia certezza crollerebbe, mi troverei sperduto, naufrago nel mare dell’opinabile e dell’incerto, un Lawrence disperso nel Nefud senza nemmeno la guida di un Auda. Credo alla Befana perché se non ci credessi mi troverei come i naufraghi del Titanic a fare la stessa, orrida fine. È la Befana che dirige i miei passi, che dà un senso alle mie azioni, che m’impedisce di errare ignorando i suoi dettami. La Befana è insomma mio conforto, guida e luce. Non ho dubbi che a questo punto più d’uno tra i lettori penserà che l’età stia cominciando a giocarmi brutti scherzi. Tuttavia facciamo un esperimento: proviamo a rileggere le frasi precedenti togliendo le parole “alla Befana”. Si vedrà che i periodi appaiono meno strani e più sensati. Naturalmente potranno non essere condivisi; vediamo allora di approfondire. La fede in qualcosa è assolutamente necessaria per la vita e per la civiltà. Senza una fede non si costruisce niente e non si va da nessuna parte. Ovviamente qualcuno dirà: Un momento: fede in cosa? Anche il Nazismo era una fede e non è che con esso la civiltà abbia fatto chissà che passi in avanti. Vero. La fede infatti non è la guida, ma il presupposto; non l’edificio, ma le fondamenta, non la macchina, ma la benzina. Senza fondamenta non si fanno edifici, né la macchina cammina

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senza benzina. Qualora vi siano fondamenta, vi si potrà costruire un ospedale, una casa o la sede della Gestapo o della Ghepeu. E, la macchina una volta messa in moto, potrà servire come mezzo di lavoro o per rapinare una banca (cosa comunque assai meno riprovevole che rapinare pensionati o massaie, oltre che più redditizia). Fuor di metafora: non tutte le fedi hanno fini uguali, alcune portano al sublime, altre all’abisso. Però senza fede si resta immobili dove si è e non si va né al sublime né all’abisso. Quest’epoca, almeno da noi, è caratterizzata da una profonda assenza di fede; correlativamente, nonostante gli sforzi di molte persone di buona volontà che continuano a credere in qualcosa, al di là di tante cocenti delusioni, è epoca stagnante da fare invidia alle paludi Pontine prima della bonifica. Ricette se ne sentono a iosa. Ma non odo, attorno a me, molte voci a dirci che le ricette sono vane qualora poi non si inseriscano in un qualche edificio di cui una fede faccia da fondamenta. Perciò, dato che nessuno più crede né nella politica (a meno che non ne tragga un utile), né nella religione (a meno che non gli convenga), né in alcun’altra cosa che non renda denaro o altri beni materiali o no, io credo, a titolo gratuito e totalmente disinteressato, nella Befana. Che se poi in nome della mia fede io dovessi pensare anche solo di torcere un capello a chi alla Befana si rifiutasse, con imperdonabile errore, di credere, allora sbagliata non sarebbe la mia fede, ma solo la mia Befana. Vincenzo Policreti


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Tra l’oppio e le zucchine nell’India Pontina È l’oppio che ci aiuta a restare piegati a raccogliere le zucchine per quattordici ore al giorno. A volte il padrone, quando il caldo è sfiancante e l’afa nelle serre rende l’aria irrespirabile, ci dà anche delle metanfetamine per non sentire la stanchezza. A raccontare la tipica giornata lavorativa di un bracciante nell’agro pontino è Sarbjit detto Sonny, uno dei tanti indiani presenti nella campagna tra Terracina e Sabaudia che, con il suo turbante e la barba nera tradizionale dei sikh, sostiene l’industria ortofrutticola laziale. La situazione non è paragonabile a Rosarno, il comune in provincia di Reggio Calabria dove la ndrangheta impiega come schiavi i migranti africani e non esita a falcidiarli a colpi di mitra se tentano di liberarsi. Anche se sfruttati e sfiancati, i sikh hanno un contratto regolare. Di recente però un’inchiesta dell’associazione In Migrazione ha rivelato che le buste paga sono gonfiate e che a volte sono gli stessi indiani a chiedere di far figurare uno stipendio superiore per poter fare domanda di ricongiungimento familiare. Sonny non aveva motivo di migrare, la sua è una famiglia agiata, è figlio di un militare, ha studiato alla Panjab University della capitale del Punjab Chandigarh; dopo aver trovato impiego alla Honda, si era trasferito in Austria perché aveva visto al cinema un’Europa ricca dove si poteva tentare la fortuna, ma le cose non sono andate bene e un giorno si è accodato a dei conoscenti che lo hanno portato da clandestino a Sabaudia. I sikh sono gente istruita, abituata ad una vita decorosa dedita

al lavoro, oggi si ritrovano a dormire a Bella Farnia Mare in dieci in una stanza. Marco Omizzolo dell’associazione In Migrazione ha seguito da vicino i braccianti indiani, racconta che la giornata lavorativa inizia alle 5,30 del mattino e termina alle 19,30, le paghe vere, non quelle indicate sulle buste, oscillano tra 2,50 e 3,50 euro l’ora. I braccianti ufficialmente censiti sono circa 4.500, ma quando un sindacato si è offerto di fornire delle divise da lavoro adeguate, si sono presentati più di 8.000. Ci occorrono urgentemente gilet catarifrangenti, spiega Sonny, molti di noi tornano dai campi in bicicletta quando è già buio e si sono verificati numerosi incidenti con le automobili in corsa. La situazione più pericolosa si registra d’estate quando devono andare a spruzzare i pesticidi nelle serre senza mascherina e senza protezioni ad una temperatura che arriva oltre i quaranta gradi. A volte, racconta un anonimo, a fine giornata mettiamo nel the un ovetto di oppio comperato al mercato nero che aiuta ad alleviare lo stress e a stemperare il bruciore alla gola. Ma va bene così, i sikh non protestano mai, non si integrano con la città e non cercano neanche di ottenere giustizia quando sono vittime di caporalato. Una domenica mattina un giovane sikh è entrato in un bar, ha ordinato un cappuccino e si è messo a sfogliare la cronaca sportiva. Dei connazionali che passavano in piazza lo hanno guardato male: stava prendendo una brutta piega, stava oziando Francesco Patrizi come gli italiani.

L a ma La mazz z a fio n g a g r a v id a z zzii onal e L’andru ggiornu, co’ Zzichicchiu e ‘n andru amicu, ce semo missi a ggioca’ co’ ‘n bo’ de pezzi de spagu... legavamo ‘n sassu su ‘n capu e ppo’ tenènno quill’andru lu ggiravamo forte forte e cco’ sta specie de mazzafionga scommettevamo a cchi arrivava più llontanu. Li sassi annavono dappertuttu... erono ‘mprividibbili... quarcunu, sciojennose, partiva anche senza spagu e cchi sse trovàa ‘ntorno a nnoi rischiava bbruttu... cumpresi noi stessi. A ‘n certu puntu m’è vvinutu ‘n lambu de ggeniu... Volemo lancialli currenno... ccucì li scajamo più lontani?... Zzichicchiu, l’amicu ‘stronommicu, che ss’era ‘nniscostu pe’ ppricauzzione dietro ‘na pianta me fa... Bbravu Lunardinu, m’hai fattu arpenza’ a la mazzafionga gravidazzionale! ???... Viaggianno pe’ lu spazziu potemo arriva’ lontano e risparambia’ ‘n saccu de carburante sfruttanno le spinte che cce pòzzono da’ li pianeti...

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Aho... e mmo’ che cc’entra... e cche cce mettemo a ffa’ a spintoni co’ ll’astri?... Sta ‘n bo’ zzittu Lunardi’!?... Potemo sfrutta’ la velocità de li pianeti!... Se volemo arrià presempio su Ssaturnu passamo vicino a Ggiove, ch’è tantu grossu e cche sse sposta su lu spazziu a ‘na quindicina de chilometri a lu secondu, ccucì sfruttamo la gravità e la velocità che ccià... è ccome se cce catturasse e cce rilanciasse più fforte... quella è la mazzafionga gravidazzionale!... L’amicu nostru ‘nticipànnome... Ce vòjo prova’ io... mo’ ve lu manno ‘n orbita ‘ttornu a la Terra!... S’è mmissu a ccurre come ‘n sardazzìpperu ‘ncumincianno a rroteà ‘llu sassu... a ‘n certu puntu s’è ddatu ‘na mellasécca dietro la capoccia che l’ha mezzu ‘nzenzatu... m’è vvinutu spontaneu da di’... Ammappete se cche llanciu... lu sassu nn’ha fattu ‘n tembu a pparti’ che ggià ha fattu lu ggiru! Paolo Casali


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AZIENDA OSPEDALIERA Dipartimento M

Dott. Giampaolo Passalacqua D ir e tto r e del Dipartimento Materno Infantile d e lla A z ien d a O s p e d a lie r a “S. Mar ia” di Te r ni

Il Dipartimento Materno Infantile si dedica alle diverse attività specialistiche inerenti alla salute della donna nelle varie fasce di età e del neonato/bambino, e si articola nelle unità operative di Ostetricia, Rooming-in Nido, Ginecologia, Neonatologia, Terapia Intensiva Neonatale, Pediatria. Tutte le attività di reparto sono rivolte ad una periodica revisione delle modalità organizzative, operative ed assistenziali cercando di armonizzare quanto più possibile le linee guida dettate dal Ministero della Salute, dalla Regione e integrando l’utilizzo delle moderne tecnologie. Mai come in questi ultimi anni ogni singolo operatore è chiamato a rivedere e modulare il proprio agire alla luce di nuovi modelli culturali dettati dalle aspettative e dalle esigenze espresse dalla donna e dai bambini nelle varie fasce di età, in base alle più recenti evidenze scientifiche. Tutto ciò nel pieno rispetto della multiculturalità nei confronti dell’accoglienza alla persona e alla vita, con la convinzione che tale atteggiamento promuova la maternità e la nascita come esperienza femminile di forza e di potenza. Dai dati dell'Azienda ospedaliera Santa Maria di Terni si desume che afferiscono ai nostri reparti di ostetricia e ginecologia circa il 30% delle donne straniere ricoverate a vario titolo nell'ospedale. Questo trend testimonia come la Struttura Complessa di ostetricia e ginecologia di Terni risulti un punto di riferimento per le donne che devono partorire, essere operate o semplicemente curate, provenienti da altri Paesi europei e non (in termini di prevalenza numerica rispettivamente da Romania, Albania, Marocco, Macedonia, Nigeria, India/Pakistan, Ucraina, Cina, Paesi del Nord Africa, America Latina), evidenziando ancora una volta la particolare attenzione dedicata a tutte le problematiche e necessità tipiche di una Medicina di Genere. Lo sforzo di questi anni è stato rivolto al miglioramento della qualità della assistenza, all’organizzazione e alla ristrutturazione degli ambienti per migliorare la qualità del servizio e l’indice di soddisfazione di tutte le utenti. S.C. OSTETRICIA Pronto Soccorso 24/H: Accesso diretto al Terzo Piano. Triage. Degenza: Il reparto Ostetricia, ristrutturato da pochi anni, è dotato di rooming-in h24, con stanze a due posti letto, bagno in camera, fasciatoio, bagnetto per il neonato, climatizzazione, assistenza garantita dal personale infermieristico ed ostetrico h24. Sala parto e sala operatoria: Tre sale travaglio-parto personalizzate con colori diversi e munite ciascuna di servizi igienici, nelle quali la donna può avere accanto a sé il partner o altra persona di fiducia, può assumere posizioni libere/alternative, travaglia e partorisce e può partecipare attivamente a tutte le prime cure del neonato (bagnetto, ecc..) con particolare attenzione al contatto “skin to skin” e all’attaccamento precoce al seno materno nelle condizioni di fisiologia del neonato. Per una maggior sicurezza della gestante e del suo piccolo, la Sala Operatoria Ostetrica è ubicata in prossimità dell’area Parto, dedicata ad uso esclusivo per il taglio cesareo e agibile h24, 7 giorni su 7. Il punto nascita di Terni, di secondo livello (secondo le nuove normative), si attesta su una media di 1100 parti l’anno, con una previsione di incremento a seguito della recente chiusura del punto nascita del presidio ospedaliero di Narni e del costante crescente flusso di donne dall’alto Lazio. Notevole punto di merito è la riduzione della percentuale dei cesarei di circa il 4% dal 2010 ad oggi (dal 34 al 29,8%), a fronte di un costante incremento di patologia ostetrica (placenta previa, gravidanze multiple, prematurità grave, ecc..), trasferimenti in utero provenienti da altri Centri regionali ed extra regionali. Questa appropriatezza nell’utilizzo del taglio cesareo è stata riconosciuta negli indicatori di qualità che hanno collocato l’Azienda Ospedaliera di Terni

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tra i più virtuosi ospedali italiani. Tra gli altri punti di merito: riduzione del ricorso all’episiotomia, implementazione del parto naturale dopo taglio cesareo. Inoltre vengono garantiti: il rapporto “one to one” ostetricagestante durante il travaglio, un modello organizzativo particolarmente efficace consistente nella costante presenza di un ginecologo/a di guardia dedicato esclusivamente alle attività di routine e di urgenza/emergenza della sala parto; la presenza del neonatologo ad ogni parto spontaneo e/o operativo; la presenza di anestesisti dedicati h24, 7 giorni su 7, preziosa risorsa per le situazioni di urgenza/emergenza. È possibile eseguire il prelievo per la donazione e la conservazione del sangue cordonale h24, 7 giorni su 7. Dal 2014 la struttura di ostetricia di Terni ha raggiunto l’obiettivo di garantire gratuitamente la Partoanalgesia, h24 e 7 giorni su 7, a tutte le donne che ne fanno richiesta, per facilitare, dopo adeguata informazione, una scelta consapevole e responsabile della delicata esperienza del parto. A tal fine tutto il personale coinvolto (medico e non) si è formato attraverso corsi specifici e un training presso l’ospedale Fatebenefratelli di Roma, per garantire appropriatezza nell’assistenza e nel controllo del dolore sia durante il travaglio-parto, sia nella fase post operatoria. La struttura, infine, garantisce a tutte le gestanti che ne facciano richiesta anche la possibilità di gestire il dolore del travaglio di parto con metodiche alternative: tecniche di rilassamento, libere posizioni durante il travaglio, possibilità di fare la doccia ad iniziale travaglio di parto nel reparto di degenza. Viene naturalmente garantito l'anonimato del parto. Attività ambulatoriale: Ambulatorio di chirurgia estetica. Oltre ad ecografie ostetriche di routine si eseguono: ecografie morfologiche fetali di II livello, flussimetria materno fetale, valutazione del benessere fetale. Operatori accreditati con la Fetal Medicine Foundation per la misurazione della Traslucenza Nucale.


S A N TA M A R I A D I T E R N I aterno Infantile

Équipe Direttore: Dott. Giampaolo Passalacqua Personale medico: Leonardo Borrello, Massimiliano Casavecchia, Manila Ferretti Nadia Di Giulio, Laura Donati, Marialida Graziano, Niccolo’ Lerro, Dario Morbidoni, Chiara Maria Grazia Nenz, Alessandro Perillo, Adriano Petrelli, Angelo Provaroni, Flavio Taticchi. Capo Ostetrica: Dott.ssa Maria Antonietta Bianco Coordinatrice Ostetrica Sala Parto - Sala Operatoria Ostetricia e Ginecologia: Denise De Vincenzi Coordinatrice Ostetrica Ostetricia, Rooming-In e Nido: Nicoletta Bruschini Coordinatrice Ginecologia: Tiziana Bellucci

Fotoservizio di Alberto Mirimao

Diagnosi prenatale invasiva: Amniocentesi per la ricerca del cariotipo fetale e della alfa-feto proteina (difetti del tubo neurale); tra gli obiettivi del nuovo anno c'è quello di attivare il servizio di villocentesi. Ambulatorio della Gravidanza Fisiologica; Ambulatorio della Gravidanza a Rischio; Ambulatorio Cardiotocografico. S.C. GINECOLOGIA Pronto soccorso h24: accesso diretto al Terzo Piano. Triage. Particolare attenzione e sensibilità viene riservata a tutti casi di violenza di genere che purtroppo hanno necessità di usufruire di assistenza: la struttura dispone di un ambiente dedicato anche per mettere in atto accuratamente tutte le procedure previste dal protocollo AOGOI e dai protocolli regionali previsti dal Servizio Codice Rosa. La struttura è in stretto contatto con i centri antiviolenza e con il Telefono Donna. Degenza: Il reparto, in attesa di ristrutturazione, accoglie utenti per osservazione, trattamento medico e/o chirurgico per la patologia ginecologica benigna e oncologica con possibilità di ricoveri ordinari ed in regime DH. È di questi giorni l’ampliamento degli ambienti di degenza (5 posti letto) in prospettiva di un incremento delle richieste di prestazioni, previsto a seguito della chiusura del punto nascita di Narni. Sala Operatoria: La Sala Operatoria dedicata all’attività ginecologica si trova al terzo piano all’interno del blocco operatorio parto, è attiva h24, 7 giorni su 7. L’approccio chirurgico alla patologia ginecologica è versatile, viene personalizzato e reso funzionale in base alle caratteristiche della paziente e alle sue esigenze personali, sempre più frequentemente anche estetiche, compatibilmente, s'intende, con la tipologia della patologia. Chirurgia Minore: Divenuta corposa e di routine è la chirurgia resettoscopica praticata in regime Day Surgery, così come la restante chirurgia minore di ordine specialistico (per esempio: esami/revisione cavità uterina, trattamento delle displasie cervicali anche con ansa LEEP, marsupializzazioni o asportazioni della ghiandola del Bartolino).

Chirurgia maggiore: La tecnica laparoscopica viene sempre più richiesta e messa in atto da anni anche nel Dipartimento materno infantile di Terni per tutta la patologia d’urgenza ginecologica, annessiale, per le miomectomie ed in casi selezionati anche per interventi di isterectomia. Vasta è la casistica interventistica di chirurgia “classica” laparotomica e minilaparotomica. La struttura di ginecologia ternana è Centro di riferimento regionale del gruppo oncologico per la chirurgia radicale dell’endometrio, della cervice, delle ovaie, e vanta un'eccellenza nella chirurgia vaginale, con una tradizione di oltre 30 anni di esperienza. Attualmente circa l’80% delle isterectomie effettuate nel reparto di ginecologia di Terni si svolgono per via vaginale, con indicazioni sempre più vaste e meno restrittive quali: prolassi uterini, pregressi tagli cesarei, adenomiosi, fibromatosi uterina, con asportazione perfino di uteri del peso di un chilo! Una tecnica che, in mano ad operatori esperti, risulta superiore a quella addominale. Tra i vantaggi: minor numero di complicanze a medio e lungo termine, e totale assenza di cicatrici e tagli addominali, da cui deriva una riduzione della morbilità della paziente, del dolore postoperatorio, oltre che una migliore accettabilità “estetica “ da parte della stessa. I tempi medi di esecuzione sono generalmente più rapidi rispetto agli altri approcci, di riduce la probabilità di danneggiare organi limitrofi all’utero, la degenza ospedaliera dura in media due giorni, con previsione di recupero e convalescenza veramente rapidi. Inoltre, tale chirurgia dà la possibilità di correggere i difetti del pavimento pelvico ed è applicabile su pazienti problematiche, per esempio obese o diabetiche o nei casi in cui sia controindicata l’anestesia generale, dal momento che si può eseguire anche in analgesia spinale. Il recente acquisto e utilizzo di pinze elettrificate (Biclamp-Legasure) consente una ulteriore contrazione dei tempi chirurgici, una maggior precisione dell’incisione, una maggior sicurezza nell’emostasi, l’utilizzo di un solo filo di sutura interna, la possibilità di operare in anestesia loco-regionale (blocco paracervicale). Attività ambulatoriale: Visite ginecologiche di routine (Centro Salute Donna); Ambulatorio ginecologico per le pazienti oncologiche; Ambulatorio della menopausa; Ambulatorio dell’adolescenza; Esecuzione di pap test e tamponi vaginali; Colposcopia; Isteroscopia; Ecografie pelviche e TV; Isterosalpingografie. Attività scientifiche: Organizzazione e partecipazione a congressi ed eventi scientifici. Nell’ottobre 2014 la struttura ha organizzato presso l'Azienda Ospedaliera di Terni il primo Congresso Nazionale di Chirurgia Dolce con video dimostrazione chirurgica diretta dalla Sala Operatoria. Pubblicazioni scientifiche. Audit interni. Partecipazione costante agli eventi “Open day” di ONDA, a sostegno della Medicina di genere, della sensibilizzazione alla cultura del sollievo dalla sofferenza e dal dolore, con attenzione anche ai temi della sclerosi multipla, del nato prematuro, dell’alimentazione e della salute femminile. Anche per l’anno 2015-2016 l’Osservatorio Nazionale sulla Salute delle Donne (ONDA) ha riconfermato all'ospedale S. Maria di Terni due bollini rosa per l'attenzione posta alla salute femminile.

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I KURDI - un volgo disperso parte II

Dopo aver tracciato nella parte I per sommi capi il travagliato iter storico del popolo curdo, ora nel presente articolo cercheremo di vedere più da vicino la sua situazione nei principali stati orientali in cui si trova ad essere diviso: Turchia, Iraq, Iran, Siria. Cominciamo con la Turchia che contiene il gruppo numericamente più consistente (18% della popolazione) e in cui il conflitto con lo stato centrale è stato particolarmente violento da entrambe le parti. Per meglio capire la problematica dobbiamo andare molto indietro con gli anni, precisamente dal 1923 quando con la vittoria di Kemal Ataturk si affermò il principio dell’unitarietà di uno stato turco laicizzato, un’ideologia statale del genere non ha fatto altro che rendere inconciliabile l’esistenza di una etnia curda autonoma nello stato turco alimentando un rapporto tutt’altro che pacifico con il governo di Ankara. Iniziò così una lunga e sanguinosa guerriglia che con fasi alterne continua anche ai nostri giorni. Nel 1946 quando la Turchia decise di percorrere il cammino democratico, si verificò un allentamento della repressione militare. Sorsero per la prima volta nel Kurdistan scuole, ospedali, vennero perfino restituiti i beni confiscati agli esiliati. Nel 1960 un colpo di stato militare abolì le concessioni fatte, riprendendo la repressione con deportazioni, arresti, esecuzioni sommarie fino a proibire l’uso della lingua curda in pubblico e turchizzare i nomi di città e villaggi. La nuova costituzione del 1961 ribadiva il principio assoluto della unitarietà e integrità dello stato, norma che sarà sempre interpretata in modo restrittivo dai governi successivi, sottraendo al popolo curdo ogni possibilità di autodeterminazione. Proprio alla metà degli anni sessanta sorsero due partiti poltici clandestini: il Partito socialista del Kurdistan e il Partito democratico del Kurdistan che si battevano per la democrazia in Turchia e l’autodeterminazione del popolo curdo. Nel 1971 dopo un secondo intervento militare nel Kurdistan venne proclamata la legge marziale con violente repressioni, torture, deportazioni. L’assunto di base della politica turca continuava ad essere il principio kemalista della integrità dello stato dove non esistono minoranze: ai Kurdi viene tolto anche il nome, vengono chiamati Turchi di Montagna. Le forze di sicurezza godono di totale impunità e dipendono dal Consiglio di Sicurezza nazionale non controllato dal Parlamento. Negli anni settanta il movimento di ribellione si sviluppa su due fronti: l’ala nazionalista del Partito democratico che mirava all’autonomia e l’ala più estremista di ispirazione socialista che chiedeva l’indipendenza. Nel 1978 nasce il PKK, Partito dei Lavoratori Curdi il cui fondatore e leader indiscusso è stato Abdullah Ocalan detto Apo(zio). Nel 1982 dopo un ennesimo giro di vite di Ankara, il PKK prendeva la strada della lotta armata creando un Esercito di liberazione del Kurdistan con attentati terroristici, azioni di guerriglia, sabotaggi creando malessere anche all’interno della stessa popolazione curda, a cui il governo centrale rispondeva con azioni militari su vasta scala e durissime repressioni. Il governo di Ankara si è sempre rifiutato di considerare il PKK un movimento popolare, ma un’organizzazione terroristica e la questione curda ridotta a problema interno. Nel 1998 Ocalan che guidava le azioni di guerriglia dalla Siria fu costretto a fuggire prima a Mosca poi a Roma, per poi essere catturato in Kenya da forze speciali turche e imprigionato. Condannato a morte, sospesa la pena, è tuttora detenuto in un carcere di massima sicurezza in Turchia.

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Attualmente, sebbene il marasma siriano, la rapida ascesa dell’IS e la recrudescenza del fondamentalismo abbiano molto distolto l’attenzione dei media, la questione curda è tutt’altro che risolta. Nel giugno di quest’anno il partito moderato curdo Hdp ha avuto un grande successo, entrando in parlamento e suscitando le speranze di molti non solo curdi, ma gli attentati di Herbija in Siria e poi di Ankara, infine a novembre il successo inaspettato di Erdogan grazie al timore diffuso tra i cittadini di una sirianizzazione della Turchia e il ridimensionamento dell’Hdp dimostrano che la strada da percorrere è ancora tutta in salita. I Kurdi che vivono in Siria hanno vissuto a lungo ai margini degli sviluppi politici generali e sono stati a rischio di estinzione. Quando si parlava di Kurdi siriani non era che al margine degli avvenimenti verificatisi nel Kurdistan turco o iracheno, eppure anche essi hanno sperimentato non meno degli altri i problemi derivanti da emarginazione, sottosviluppo e da assurde politiche negazioniste. Essi costituiscono il 5% della popolazione siriana e occupano una regione chiamata Kurdistana Rojava. Con gli accordi di Losanna del 1923 il Kurdistan fu diviso in quattro parti e il confine tra Siria e Turchia seguì il tracciato della ferrovia Berlino-Bagdad, molti villaggi e città furono divisi in due, decine di migliaia di famiglie, di tribù che vivevano sulla stessa terra si trovarono divise. I Kurdi furono vittime di politiche repressive durante la prima guerra mondiale da parte delle grandi potenze che non ne conobbero l’esistenza, né i diritti. Le loro condizioni in Siria peggiorarono nel 1963 con l’ascesa del partito Baath, guidato da Hafiz al Assad, padre dell’attuale presidente che attuò una politica repressiva su modello turco. La lingua curda fu proibita nella stampa e nella società, i nomi delle città furono arabizzati e un decreto di 12 articoli sanciva tale politica, stanziando arabi nella regione curda costringendo quest’ultimi all’esilio. Il fatto che A. Ocalan, fondatore del PKK, abbia vissuto venti anni in Siria nella semiclandestinità e diretto da lì la guerriglia nel Kurdistan turco, non ha certo migliorato i rapporti con Damasco che perseguiva una politica ambigua antiturca ma anche anticurda. Il punto di rottura si ebbe nel marzo del 2011 in seguito alla Primavera araba iniziata in Tunisia, proseguita in Egitto e Libia, quando iniziò la lotta armata contro il regime del presidente Bashar al Assad. I ribelli curdi riuscirono al prezzo di gravi perdite ad assumere il controllo della loro regione, ma hanno dovuto fronteggiare oltre all’esercito di Assad anche le feroci milizie di Al Queida e dell’IS. Ne è nata una lotta triangolare di tutti contro tutti, ma ciò nonostante le milizie curde hanno mantenuto la posizione, grazie anche all’appoggio delle donne i cui diritti sono stati riconosciuti, fatto senza precedenti nel mondo islamico. Come a tal proposito non ricordare il massacro di Herbija o l’assedio di Kobane ad opera dei miliziani dell’IS sotto lo sguardo indifferente della Turchia di Erdogan ufficialmente schierata contro il sedicente califfato, ma indirettamente sua alleata nella lotta al comune nemico: i Kurdi. Ora la situazione sembra migliorata, grazie all’appoggio per ora aereo della coalizione internazionale, ma gli attentati di Beiruth e quello sanguinosissimo di Parigi del 13.11.15 ad opera del’IS, fanno capire che la situazione è piena di sviluppi imprevedibili. Nel prossimo articolo parleremo dei Kurdi in Iraq e in Iran. Pierluigi Seri Je suis Paris


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Calamandrei, chi era costui? Mi auguro che chi ha la bontà di leggere i miei scritti non rimanga deluso da ciò che segue. Questo mese non mi confronterò con nessun argomento più o meno interessante, più o meno attuale, più o meno utile. Voglio riportare alcuni pensieri di un grande giurista, insigne avvocato, scrittore e uomo politico italiano: Pietro Calamandrei, che assieme a Francesco Carnelutti e a Enrico Redenti fu uno dei principali ispiratori dei Codice di procedura civile del 1940 (Firenze 1889 - ivi 1956). La sua vita di uomo di legge, la sua arguzia e la statura morale gli hanno consentito di elaborare alcuni pensieri di sconvolgente attualità sui quali ritengo sia bene riflettere. Si interrogava Calamandrei cosa significasse essere un “grande avvocato”? “Vuol dire avvocato utile ai giudici per aiutarli a decidere secondo giustizia, utile al cliente per aiutarlo a far valere le proprie ragioni. Utile è quell’avvocato che parla lo stretto necessario, che scrive chiaro e conciso, che non ingombra l’udienza con la sua invadente personalità, che non annoia i giudici con la sua prolissità e non li mette in sospetto con la sua sottigliezza: proprio il contrario, dunque, di quello che certo pubblico intende per “grande avvocato”. Quanto al crocefisso nella aule giudiziarie diceva: “Niente di male col crocifisso in aula. Ma non dovrebbe stare dietro le spalle dei giudici. Lì lo vede solo il giudicabile ed è portato a credere che lo ammonisca a lasciar perdere ogni speranza (simbolo non di fede ma di disperazione). Va messo in faccia ai giudici, ben visibile nella parete di fronte, perché lo considerino con umiltà mentre giudicano e non dimentichino mai che incombe su di loro il terribile pericolo di condannare un innocente”. Quanto alla differenza dei punti di vista e della diversa percezione della realtà tra i diversi soggetti che si avvicendano nella scena processuale osservava: “Disse il cliente nello scegliersi il difensore: Eloquente e furbo: ottimo avvocato! Disse il giudice nel dargli torto: Chiacchierone e imbroglione: avvocato pessimo!”. E quanto al rapporto, non sempre piano, tra giudice ed avvocati consigliava quale rimedio: “Bisognerebbe che ogni avvocato, per due mesi all’anno, facesse il giudice; e che ogni giudice, per due mesi all’anno, facesse l’avvocato. Imparerebbero così a comprendersi e a compatirsi e reciprocamente si stimerebbero di più”. La giustizia soffre di innumerevoli mali molti dei quali antichi, altri figli del nostro tempo. In un momento così duro conforta leggere queste parole: “Non credete agli avvocati quando, nei momenti di sconforto, vi dicono che al mondo non c’è giustizia. In fondo al loro cuore essi sono convinti che è vero il contrario, che deve per forza esser vero il contrario: perché sanno dalla loro quotidiana esperienza delle miserie umane, che tutti gli afflitti sperano nella giustizia, che tutti ne sono assetati: e che tutti vedono nella toga il vigile simbolo di questa speranza... Per questo amiamo la nostra toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero, al quale siamo affezionati perchè sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso, e, soprattutto, a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia. Beati coloro che soffrono per causa di giustizia... ma guai a coloro che fanno soffrire con atto di ingiustizia!”. Avv. Marta Petrocchi legalepetrocchi@tiscali.it

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Cas tel G i o rg i o Capitale del football americano

Il football americano è passato per l’Umbria tanti anni fa, eleggendo il piccolo paese di Castel Giorgio in provincia di Terni sua capitale. La storia me la racconta un vecchio giocatore di football ora dirigente della Federazione Nazionale, in una piovosa mattina di Novembre. Lo incontro insieme all’amico Andrea De Piccoli degli Steelers Terni, squadra di terza divisione. In Italia per noi del Football -mi dice con inconfondibile accento romano- lo stadio di Castel Giorgio, intitolato al grande allenatore americano di origini italiane Vince Lombardi, al quale è dedicato il massimo trofeo della NFL del campionato Usa: il Superbowl, ha lo stesso valore affettivo che gli amanti del calcio attribuiscono a Wembley. Mi racconta di questo tempio umbro del football americano, con entusiasmo ed un pizzico di commozione, di come sarebbe bello tornarci a giocare dopo tanti anni. Il racconto parte dalla fine degli anni ’70. L’idea dell’impianto venne a Bruno Beneck, fondatore assieme ad altri appassionati, tra cui Marcello Loprencipe, Gianfranco Calistri e Niccolò Franchetti Pardo della Lega Italiana Football (LIF). La realizzazione del sogno in tempi record si deve all’allora sindaco di Castel Giorgio Giuseppe Calistri. Dal 19 luglio al 21 settembre 1980 vi si svolse il primo campionato italiano di football americano organizzato dalla Lega Italiana Football (LIF). Tra le squadre: i Gladiatori Roma, i Lupi Roma, i Diavoli di Milano e i Tori di Torino (tutte squadre di Roma che si diedero nomi di altre città per dare all’evento un “aspetto più ampio”). Il successo di pubblico a Castel Giorgio fu dirompente. La qualità della struttura, la prima in Italia ideata e costruita per il football, portò l’anno successivo nel piccolo centro umbro, il 14 giugno 1981, la prima partita della nazionale Italiana contro l’allora fortissima Germania (le squadre alloggiarono in una scuola). Risultato finale 12 a 0 per gli ospiti. Nel 1983, sempre a Castel Giorgio, la nazionale azzurra vinse il primo campionato europeo (Italia–Finlandia 18 a 6). Il “Vince Lombardi”, centro tecnico nazionale, fu il primo stadio italiano ad essere fornito di porte originali a “Y” usate anche nella NFL in America (donate dalla squadra americana dei Green Bay Packers). Disponeva inoltre di una palestra con tutte le attrezzature specifiche per allenarsi a football americano, unico a quei tempi in Italia. Sull’intitolazione dello stadio a Vince Lombardi e del suo legame con Castel Giorgio vi sono diverse interpretazioni. Vince Lombardi nacque a Brooklyn l’11 giugno 1913, da Enrico “Harry” Lombardi e Matilda “Mattie” Izzo. Le sue origini non sono a Castel Giorgio, i suoi nonni erano immigrati italiani provenienti da Salerno e da Vietri di Potenza. In realtà suo nonno Vincenzo, venditore ambulante di tessuti, alla fine dell’800 nel suo girovagare per l’Italia trovò fortuna ed ospitalità a Castel Giorgio, prima di emigrare in America. Nel 1981 Giovanni Colombo organizzò l’Associazione Italiana Football Americano (AIFA). Quando i dirigenti di LIF ed AIFA inizialmente rivali si accordarono, a farne le spese fu proprio il Vince Lombardi Stadium che venne abbandonato e lasciato al Comune ormai spoglio di tutto, dimenticato dalle successive associazioni e federazioni di football americano. Attualmente lo stadio di Castel Giorgio, dove hanno giocato i mitici Mowers, non è più usato per il football americano. Visto l’interesse suscitato da questo bellissimo sport ed i successi degli Steelers Terni, riteniamo vi siano le condizioni per far rivivere lo stadio di Castel Giorgio, organizzandovi degli incontri ed appuntamenti di livello nazionale. Le Istituzioni debbono impegnarsi per garantire la rinascita di questo impianto, rimasto nel cuore di tanti appassionati ed atleti. Stefano Lupi Delegato Coni Terni Sono convinto che ci riusciremo!

Vincent Thomas “Vince” Lombardi (New York, 11 giugno 1913 – Washington, 3 settembre 1970), noto per essere stato negli anni sessanta l’allenatore dei Green Bay Packers della National Football League, con i quali vinse cinque campionati e due Super Bowl consecutivi nel 1966 e nel 1967. Il trofeo del Super Bowl fu rinominato in suo onore Vince Lombardi Trophy. È dal 1971 nella Pro Football Hall of Fame. Giocò a Football alla St.Francis Preparatory School e, più tardi, nella Fordham University. Iniziò la carriera da assistente alla Fordham University e nei New York Giants prima di diventare l’allenatore dei Green Bay Packers dal 1959 al 1967 e dei Washington Redskins nel 1969. Nella sua carriera non ebbe mai una stagione perdente: in 202 partite ottenne 147 vittorie, 47 sconfitte e 6 pareggi. La perfezione non è raggiungibile, ma se inseguiamo la perfezione possiamo arrivare all’eccellenza. Vince Lombardi

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Il traversaro Forse questo nome è nato insieme al progresso, poco prima dell’unità d’Italia. Un nome nuovo di un mestiere vecchio di qualche migliaio di anni almeno, sia per la metodica sia per gli strumenti usati. Vi siete mai chiesti, vedendo una bella trave istoriata in un soffitto antico a cassettoni, come facevano a scolpire così il legno senza gli strumenti odierni? La risposta è che in ogni epoca, dalla notte dei tempi, c’è sempre stato un gruppo di specialisti nel lavorare il legno e nello squadrarlo, avvicinandolo a un parallelepipedo a base quadrata quasi perfetto. Venivano chiamati Maestri d’Ascia, Segantini, Squadratori, Carpentieri e quando si misero a fare le traverse per imbullonare le rotaie delle nuove vie ferrate, assunsero il nome di Traversari. In realtà erano artigiani capaci di tagliare con la loro ascia un filo di barba senza ferirne il proprietario. Essi si trasmettevano il mestiere di padre in figlio ed erano molto ricercati. A volte era un loro aiutante, dotato di spirito di osservazione e di intelligenza, che riusciva a carpire loro i segreti e divenire famoso. Il lavoro si svolgeva soprattutto d’inverno, stagione morta per altri lavori, quindi con freddo e gelo: certi legni, troppo filamentosi, non si potevano segare se non erano resi duri dal freddo, perché la sega non scorreva. La sega era lunga circa un metro e mezzo e aveva due manici, uno per lato. Abbattuto l’albero, il tronco veniva prima ripulito dai rami e dalla corteccia e squadrato piuttosto approssimativamente. Poi con una serie di pali, usati come leve, il tronco si metteva inclinato appoggiandolo a cavalletti di legno o ad altri tronchi. A questo punto il segantino più bravo si collocava nella parte superiore perché doveva guidare il taglio, mentre l’altro stava nella parte inferiore... e si prendeva anche la segatura in testa. Il lavoro non era solo molto faticoso, ma anche di grande precisione, perché il taglio doveva risultare perfettamente diritto. In questo modo si preparavano non solo le travi per sostenere i soffitti delle ville patrizie, ma anche le tavole per costruire navi da trasporto e da battaglia. In epoca romana la zona intorno a Terni e a Narni, ricchissima di boschi, era una fornitrice di legni pregiati e pre-lavorati atti alla costruzione di ogni tipo di naviglio. Infatti alcuni reperti trovati a Stifone possono far supporre che addirittura alcune navi furono varate proprio alla fine delle gole del Nera da dove scendevano fino al Tevere per raggiungere poi Roma. Ma torniamo al nostro più recente traversaro. Le nascenti ferrovie avevano un grande bisogno di traverse per i nuovi tratti e per sostituire quelle che, nonostante la durezza e la resistenza del legno usato, marcivano a causa delle intemperie e dell’attacco dei parassiti del legno. Dove c’era abbondanza di grandi querce e presenza di maestri d’ascia nascevano così piccole imprese artigiane. Intorno a loro e alla grande quantità di scarti di legname c’era un via vai continuo di bambini mandati dalle famiglie a raccogliere qualche scheggia di legno per alimentare il povero focolare domestico. Il grosso degli scarti invece veniva usato per fare un grosso cumulo, a forma di cono, ricoperto poi di terra: la classica carbonaia. Una volta accesa, una parte di essa ardeva lentamente mentre, per mancanza di aria, la parte rimante si trasformava in carbone che veniva poi venduto a parte. Con le attrezzature di oggi i traversari o maestri d’ascia sono scomparsi? No, qualcuno molto vecchio è rimasto e fabbrica barche con il legno che modella con mano sapiente. Ho conosciuto uno di questi artigiani: si chiamava Vincenzo, detto il Vescovo, che di professione faceva lo squadratore. Quando un contadino decideva di fare una casa, una stalla o un magazzino, c’era bisogno delle travi. Allora venivano scelte le querce adatte, si abbattevano e poi si chiamava lo squadratore. Faceva una certa impressione vederlo arrivare a cavallo circondato da asce di ogni tipo e grandezza che pendevano dal basto, ognuna infilata nel proprio anello di sostegno. Dopo i convenevoli sceglieva l’ascia da sgrosso, si metteva a gambe larghe sopra al tronco appena rialzato da terra e poggiato sopra a ceppi trasversali, brandiva l’ascia come fosse un aspersorio e prendeva la mira fermandosi una frazione di secondo. Sembrava con questa pausa voler benedire il tronco (da qui il soprannome Vescovo?) poi calava l’ascia e la abbatteva con precisione nel punto voluto. Dopo il lavoro di sgrosso, iniziava quello di rifinitura usando piccole accette di diversa forma ma tutte taglienti come rasoi. Alla fine era un vero spettacolo per tutti ammirare quel lungo parallelepipedo, profumato Vittorio Grechi di legno fresco appena tagliato, messo a stagionare al coperto, lontano dalla pioggia e dal sole.

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GABRIELLA MAINO Passo dopo passo Palazzo Montani Leoni è divenuto ormai da alcuni anni nel pensiero collettivo il luogo in cui “si fa arte e cultura” a Terni, dove è possibile incontrare stili ed espressioni artistiche nei differenti campi della musica, della letteratura, della pittura e della fotografia. L’edificio, risalente al XVI secolo, sede della Fondazione Carit da oltre venti anni, ha aperto le sue porte al pubblico per vari eventi, che si susseguono durante tutto l’arco dell’anno: dalla presentazione di saggi storici alle rappresentazioni musicali, come i “concerti del sabato” organizzati in collaborazione con l’Istituto musicale Briccialdi; alle numerose mostre di arte antica, moderna e contemporanea, in cui vengono esposte opere di artisti locali, italiani ed europei. Un’attenzione particolare è stata rivolta dalla Fondazione agli artisti contemporanei del territorio nella convinzione che la loro professionalità, riconosciuta e apprezzata, possa costituire un merito per la nostra terra da far conoscere, valorizzare e divulgare più ampiamente. È per tale motivo che la Fondazione Carit, nello svolgimento della propria attività istituzionale, ha inteso realizzare la personale di Gabriella Maino, artista di adozione ternana, dotata di un particolare garbo e di una grande sensibilità. “Passo dopo passo” Gabriella Maino ha perfezionato e raffinato la sua pittura, partecipando a master e a concorsi nazionali e internazionali, frequentando gli studi di importanti artisti con i quali ha saputo relazionarsi, maturando una costante e maggiore consapevolezza del suo dipingere. Con un approccio discreto e riservato, quasi in punta di piedi, la Maino ha oggi raggiunto una collezione di tutto riguardo. Il critico d’arte Paolo Cicchini e Maurella Eleonori, curatori della mostra, hanno selezionato per la rassegna a palazzo Montani Leoni quarantatré delle sue opere. Scrive dell’artista Paolo Cicchini: Gabriella Maino è pittrice di ampi spazi, case di periferia strette tra una cornice di cielo e specchi d’acqua sui quali si riflettono mura segnate nell’intonaco da vapori di secoli; gabbiani che volano liberi nell’aria verso difficili approdi, scorci di case antiche con le finestre ad arco e stradine che si inerpicano dentro a vicoli che rimandano echi di nostalgia per un lontanissimo passato. Gabriella Maino si avvale nelle sua opere di un sapiente impianto disegnativo, stemperato da una luce di evocazione impressionista calata dalla sensibilità dell’artista su un universo di immagini che paiono uscite dalla lampada magica di un nostalgico Aladino. Attraverso immagini di borghi e città, strade e vicoli, case e scene di quotidianità, volti e personaggi, tratteggiati con veridicità fotografica e con tecnica pittorica contemporanea, si comprende e si apprezza appieno il lungo e ricercato percorso artistico di Gabriella Maino.

Gabriella Maino Passo dopo passo Terni, palazzo Montani Leoni, corso C. Tacito 49 11 dicembre 2015-10 gennaio 2016

venerdì, sabato e domenica ore 11.00-13.00/17.00-19.00

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Aung San Suu Kyi

ATA

Compagna Onoraria dell'Ordine dell'Australia Medaglia d'oro del Congresso degli Stati Uniti Medaglia Presidenziale della LibertĂ (Stati Uniti) Premio Nobel per la Pace Cittadinanza Onoraria del Comune di Roma Laurea Honoris Causa in Filosofia UniversitĂ di Bologna Cittadinanza Onoraria del Comune di Bologna 22

1996 2008 2000 1991 1994 2000 2008


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