Numero 1 3 6 giugno 2016
Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura
Foto Marco Ilari
Confini È sorprendente quanto sia corta la memoria degli uomini, soprattutto se comparata alla velocità con cui cambia il mondo; o forse, chissà, è corta proprio per questa ragione. In questo Giugno del 2016 le cronache nazionali sono cronache di un paese abituato a settant’anni di pace, e di relativo benessere. Cronache sempre piene di preoccupazioni e di tragedie, certo: le ingiustizie, il senso di insicurezza, le ragioni di insoddisfazione sono sempre molto presenti; ma bisogna ormai cercare tra le persone molto anziane se si vuol sentire raccontare della fame, la fame vera; o della paura della guerra, cioè della possibilità ragionevole, quasi ordinaria, di morire di morte violenta sotto un bombardamento o per una raffica di mitra. Eppure sono passati solo cent’anni. Il Giugno del 1916 è un mese denso di “normali” tragedie militari: sui mari, si celebra la più grande battaglia navale di tutta la Grande Guerra, quella dello Jutland, tra la marina britannica e la flotta tedesca: in pochissimi giorni di scontro, si conteranno diecimila morti. Sul confine italiano, gli austro-tedeschi hanno scatenato la Strafexpedition, ed è in corso la Battaglia degli Altipiani; a fine mese, resteranno sull’altipiano quasi quarantamila caduti. Ad est i russi scatenano l’offensiva Brusilov contro gli austroungarici, mentre sul fronte occidentale franco-tedesco continua imperterrito il massacro di Verdun, una delle carneficine più sanguinose della storia dell’uomo; e la Rivolta Araba, sostenuta dagli inglese di Lawrence d’Arabia, comincia proprio un secolo fa a minare il potere dell’Impero Ottomano nel medio Oriente. Un mondo del tutto diverso, solo cento anni fa. Pieno di imperi sovranazionali, che in un modo o nell’altro tutti si richiamano all’Impero Romano: l’Ottomano, che dalla presa di Costantinopoli nel 1453 ritiene di essere il continuatore legittimo dell’Impero Romano d’Oriente; quello austro-ungarico, che ha tenuto per anni la corona del Sacro Romano Impero; e poi quello russo e quello tedesco, che perfino nel titoli dei loro imperatori -Zar e Kaiser- richiamano il nome di Cesare. Tutti imperi che non riconoscono confini se non quelli dati dalla impossibilità militare di espanderli: imperi che raccolgono tutti, al loro interno, nazioni e popoli diversi, guidati da imperatori che proprio per questo vedono il nazionalismo come il fumo degli occhi; tutti imperi che spariranno
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proprio a causa di quella guerra. Il mondo che ne segue non è più fortunato, ma è segnato da confini che dividono molti più stati, in Europa: nascono nazioni nuove, e si tracciano nuove linee sulle mappe: l’impero ottomano frantuma il vicino e il medio oriente in una pletora di stati nuovi, l’Europa centrale e la penisola balcanica si popolano di molte nuove entità politiche. E per allargare i confini si combatterà ancora, appena un ventennio dopo. Una guerra ancora più terribile, che finirà solo dopo aver seppellito settanta milioni d’esseri umani; e terminerà anch’essa con nuove linee sulle mappe, con altri popoli che si sposteranno in massa per trovare il loro posto dietro le frontiere che dovranno proteggerli o contenerli. Adesso, dopo settant’anni di pace, sembra che i confini ci siano sempre stati, immutabili e sacri. Quasi nessuno si ricorda che cedemmo pezzetti alla Francia (Briga, Tenda), che Trieste tornò italiana solo nove anni dopo la fine della guerra; fra un po’, si dimenticherà anche la divisione che per quasi mezzo secolo ha tenuto spaccata in due la Germania. Adesso, si guarda la carta geografica come a un libro sacro, per seguire il disegno che dovrebbe guidare la costruzione dei muri. Come se perfino il concetto di nazione fosse un disegno divino, immutabile, dimenticando che anch’esso è alla fin fine, solo un’invenzione recente. Alla fine di questi settant’anni di pausa dalle guerre, i confini sono in crisi, sotto attacco di una strana e possente manovra a tenaglia: e non è difficile prevedere che faranno fatica a resistere così come li abbiamo conosciuti. Un dente della tenaglia è la demografia, che è la forza che secondo gli storici è la più potente di tutte: più della politica, più della guerra, più dell’economia. Quando è la demografia a muovere le persone, non è mai stato possibile arrestarle. L’altro dente è la tecnologia: gli esseri umani, da pochissimo tempo a questa parte, hanno la possibilità di entrare in contatto diretto uno con l’altro, ogni persona con ogni altra, grazie alla rivoluzione epocale delle comunicazioni via rete. Le linee di confine sono barriere disegnate nello spazio, lo spazio si è sempre percorso investendo del tempo per muoversi da un luogo all’altro: si è sempre fatto così, fino ad oggi. Ma adesso è diverso: spazio e tempo sono contratti, quasi cancellati, per gran parte delle esperienze che gli esseri umani possono condividere. La conoscenza, ad esempio. Così, se i tre quarti del pianeta che per secoli sono stati messi in condizione di inferiorità da parte del quarto più ricco decideranno di muoversi, sarà difficile impedirglielo. Così, se ogni persona potrà essere messa in contatto con ogni altra, perderà di significato ogni barriera costruita sul terreno. È solo l’inizio, e non è per niente facile capire come andrà a finire. Ma che stia per cambiare quasi tutto, è abbastanza probabile. E non è poi detto che sia un cambiamento in peggio. P ie ro F a bbr i
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Umbria, anelito di pace
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L’Umbria è la regione più bella e più ricca del mondo. In essa vi è tutto quello che di fastoso la natura ha saputo dispiegare (uniche mancanze: ghiacciai, mare, deserti), autentica aristocrazia culturale e molto del meglio che l’uomo abbia mai saputo generare. Anche in virtù di tali caratteristiche diventa la massima emittente al mondo che irradia messaggi di pace: il Centro Internazionale per la Pace dei Popoli di Assisi, la Marcia della pace Perugia-Assisi e il suo Tavolo per la pace; l’Università della Pace di Bastia; la Fiaccolata della Pace in onore di santa Rita a Cascia. Terni, città di san Valentino, si propone al mondo come Capitale dei Diritti Umani; sempre a Terni, il Festival dei Popoli e delle Religioni. A Orvieto il Premio Internazionale dei Diritti Umani. A Miranda il premio Stella d’oro a chi si è distinto nella solidarietà, nel sociale, nella cultura. Poi i presepi viventi che quasi ogni paese dell’Umbria organizza, sulle orme di quello di Greccio istituito da san Francesco. A Terni poi, un futuro, pacifico evento, il Natale di Stelle, con i suoi artistici modelli dei presepi. Inviare messaggi per i diritti umani e per la pace significa anche serenità nel vivere, solidarietà, cultura, arte, rispetto per l’ambiente, candore estremo nello sport, quasi un ritorno al καλὸς καὶ ἀγαθός (kalos kai agathos) di gloriosa e olimpiaca memoria, esaltazione di valori aggregativi, non esasperatamente competitivi. L’Umbria presenta poi altre straordinarie caratteristiche, in molte delle quali è prima inter pares, in altre, importantissime, è prima assoluta al mondo. In questo giardino di dovizie, a volte seminascoste, a volte poco valutate, nessuno potrà mai opporci concorrenza: su queste dobbiamo confidare e puntare. E, aggiungerei, solo su queste, vista la loro stupenda unicità. L’Associazione Culturale La Pagina sta curando, per far meglio conoscere la nostra amata terra, l’elaborazione del libro: Umbria, misura umana, oasi di pace. Illustrato dalle preziosissime foto di Marco Barcarotti, Marco Ilari, Alberto Mirimao e Giampaolo Napoletti, sarà redatto da moltissime, prestigiose firme, locali e nazionali, mostrerà come l’Umbria rappresenti realmente una eccelsa misura umana, tanto da poter costituire, a ragione, un modello per l’intero Paese. In appendice al libro saranno presentati alcuni progetti per Terni e per l’Umbria, già iniziati (Terni, città di San Valentino, capitale dei diritti umani), e altri (Terni Pasticciona e Giochi della Valnerina) che inizieranno il 30 settembre 2016. Tali progetti sono tutti ispirati alla sacralità della Regione e ad essa fortemente corrispondenti. Condividono e collaborano attualmente alla realizzazione di tale progettualità circa 200 professionisti della cultura, italiani e stranieri, tra cui Università, Licei, amministratori di varie città del mondo; associazioni sportive e dei diversamente abili; Comuni della Valnerina. Ed ancora: assessorati del Comune di Terni, Camera di Commercio di Terni, Ufficio Scolastico Provinciale, Liceo Classico, Liceo Artistico, Istituto Industriale e Istituto Professionale di Terni, moltissime associazioni di categoria. E Gianfranco Costa, una vita dedicata, con straordinari meriti e successi, alla pace, e il Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo di Spoleto, istituzione questa tra le più prestigiose al mondo. Passato e presente. Futuro. Giampiero Raspetti
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Confini - P F a b b r i C N A - C O N F E D E R A Z I O N E N A Z I O N A L E A RT I G I A N AT O Umbria, anelito di pace - G R a s p e t t i VILLA ROSALBA Quante nuove idee! - A Melasecche B . M . P. - Soluzioni tecnologiche per il trasporto verticale La vicina di casa - F Patrizi I Cristiani d’Oriente - p a r t e I I I - PL Seri C M T - C O O P E R AT I VA M O B I L I T Á T R A S P O RT I F O N D A Z I O N E C A S S A D I R I S PA R M I O I T S - I N N O VA Z I O N E T E C N O L O G I C A E S V I L U P P O A Z I E N D A O S P E D A L I E R A S A N TA M A R I A D I T E R N I Lo sport come valore - S Lupi N U O VA G A L E N O Unioni civili - M P e t r o c c h i La marcreànza è ssembre de ‘ll’andru - P Casali OTTICA MARI La fabbrica della calce - V Grechi STUDIO MEDICO TRACCHEGIANI Lo Sport e... l’Educazione sono un’altra cosa - G T a l a m o n t i VILLA AURORA Il coraggio del cambiamento - L Paoluzzi ACCADEMIA ACOS Emanuela Ruffinelli - R Bellucci G L O B A L S E RV I C E MEDICENTER GROUP
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PA G I N A
Marco Ilari
Mensile di attualità e cultura
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 --- Tipolitografia: Federici - Terni
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti
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Quante nuove idee! Ma attenzione ai chindōgu … È ancora viva la memoria delle lezioni di Educazione Tecnica frequentate alle scuole medie, di cui ricordo in particolare la progettazione e costruzione di un circuito con cavi, pile, morsetti e lampadine per cui, se avevi fatto tutto correttamente, in serie o in parallelo, alla fine queste si accendevano. Tutto superato, dimenticate pinze, cavi e mammouth, ora con Circuit Scribe si possono scrivere circuiti elettrici funzionanti su qualsiasi tipo di carta. Il progetto arriva dagli USA ad opera di Electronics Incorporated, si tratta di una normalissima penna che rilascia un inchiostro conduttivo d’argento che si asciuga velocemente e che permette quindi di creare veri e propri circuiti elettrici pronti all’uso. Il circuito per funzionare deve essere alimentato da una batteria e può attivare qualsiasi cosa si desideri, da luci a suoni. Un’idea semplice, ma geniale e di grande aiuto per gli esperti e non. Il progetto è stato completamente finanziato su KickStarter, arrivando a raccogliere ben 675.000 $. Le penne sono in vendita on line a modico prezzo. Un italico cruccio, la banda larga, per cui secondo una recente indagine in Italia navighiamo a un quarto della velocitàà della Corea del Sud, che detiene il primato. Uno studente di un liceo scientifico di un piccolo paese dell’Astigiano, Valerio Pagliarino, ha brevettato la soluzione per eliminare il digital divide che affligge quasi metà del territorio italiano. Anche qui si tratta di un’idea tanto semplice quanto geniale: una fibra ottica virtuale, grazie alla tecnologia laser, utilizzando i tralicci dell’alta tensione. Laserwan, è questo il nome del progetto, potrebbe diventare realtà. Il prototipo, è stato costruito usando “i pezzi di un vecchio aspirapolvere, due telecomandi rotti e un paio di schede elettroniche comprate on line”. Il test ha avuto successo con la trasmissione di un film in streaming. Secondo i calcoli del giovanissimo ideatore, la velocità di navigazione con questa tecnologia potrebbe arrivare a 500 mega al secondo sia in download che in upload. Il nemico del progetto è la nebbia, ma Valerio ha già in mente la soluzione.
Non siete portati per lo studio delle lingue? C’è Pilot, si tratta di una coppia di auricolari che permette a persone di nazionalità diversa di conversare tra loro utilizzando lingue differenti, ovvero ognuno la propria, traducendo al volo parole e frasi. Si tratta di un progetto in fase di sperimentazione, ma si sa già che l’applicativo funzionerà su smartphone anche offline e che il sistema permetterà di tradurre frasi in tempo reale. Pilot nasce dall’idea del fondatore di Waverly Labs, Andrew Ochoa, a cui l’idea è venuta dopo aver incontrato una ragazza francese... ah l’amour! I preordini di Pilot sono iniziati a maggio, quando la Waverly Labs ha lanciato su Indiegogo la campagna di crowdfunding per la raccolta fondi. Il prezzo di un kit, comprendente app e due auricolari, sarà di 129-179 $, mentre successivamente il prezzo di listino si aggirerà sui 250-300 $. Ovviamente, produzione e spedizione avverranno solo nel momento in cui la campagna di crowdfunding raggiungerà l’obiettivo economico. A volte le innovazioni sono a loro modo geniali, senza però essere di alcuna utilità. È proprio questo il presupposto fondante del chindōgu, l’arte di inventare soluzioni bislacche a problemi reali, fondata nel 1980 da Kenji Kawakami, un ingegnere giapponese. Fra i prototipi la forchetta con il motore per avvolgere gli spaghetti, o per i computer la barra cctrl+alt+canc per premere i tre tasti con un unico movimento, o il porta rotolo di carta igienica da montare sulla testa per potersi comodamente soffiare il naso, etc. I chindōgu sono basati sulla vita quotidiana, ma da un punto di vista pratico sono di fatto inutilizzabili, rappresentano in qualche modo la concretizzazione di una sorta di libertà di pensiero e di realizzazione, il gusto di sbizzarrirsi nel produrre cose inutili. alessia.melasecche@libero.it
Comunicazioni
Ama la cultura e si impegna gratuitamente per la città: un vero pericolo pubblico. Po litic an ti e m an a ne g g i o n i f ug u g g on onoo da lui c o m e dal l a p e s t e . 6
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La vicina di casa Nelle fredde notti della Bielorussia sovietica era abitudine riunirsi in cucina accanto alla fiammella del gas, che non si spegneva mai neanche durante il giorno, perché faceva compagnia, riscaldava e soprattutto non si pagava. Stare in cucina a bisbigliare mentre la radio accesa a tutto volume copriva le voci era il metodo migliore per poter conversare in tranquillità. Nei palazzi casermoni sovietici vivevano molte famiglie, i muri erano molto sottili, si poteva sentire ogni cosa nell’appartamento accanto e la polizia ricompensava chi denunciava il vicino di casa come sovversivo o semplicemente per aver espresso un giudizio critico sul Partito. La delazione era uno strumento capillare di controllo e di terrore. Quando Anja tornava dal lavoro, bussava alla vicina di casa, una donna minuta, senza marito e senza figli, e non finiva mai di ringraziarla perché se non fosse stato per lei non avrebbe saputo a chi lasciare la sua piccola Sofia di appena tre anni. Il padre, chi lo sa che fine aveva fatto, erano gli anni di Breznev, la gente spariva da un giorno all’altro ed era meglio non fare troppe domande. Qualche amico del marito passava per un saluto, Anja preparava il thé, ci si metteva intorno alla fiammella del gas e si alzava il volume della musica per coprire le parole. Non che Anja fosse un sovversiva, tutt’altro, ma non si sa mai. Una sera, mentre stava rientrando dal lavoro, aveva trovato ad aspettarla due agenti della polizia; la sua vicina, che l’aveva sentita arrivare, aveva aperto la porta con la piccola Sofia in braccio, Anja le aveva lanciato uno sguardo eloquente, l’aveva
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respinta indietro con la mano, mentre gli agenti la invitavano a seguirla per una semplice formalità. È sua figlia quella? Avevano chiesto, ma lei aveva detto di no. A quei tempi i figli dei nemici del partito venivano tolti alla famiglia e rieducati in un istituto per orfani. La vicina aveva richiuso la porta abbassando lo sguardo mentre stringeva Sofia forte al petto. Anja uscì dal campo di rieducazione in Siberia venticinque anni dopo, non aveva più avuto notizie di Sofia, non sapeva neanche se fosse ancora viva. Dopo un lungo viaggio, era ritornata nella vecchia casa e aveva stentato a riconoscere per la strada una ragazza alta, bionda, che le veniva incontro piangendo. In tutti quegli anni, le raccontò Sofia, quella vicina di casa l’aveva cresciuta come fosse sua figlia, non le aveva mai fatto mancare nulla e non le aveva detto che la vera madre era stata deportata come nemica del popolo, le aveva risparmiato questa infamia. Era stato un amico del padre, un giorno, a raccontarle tutto. Poi aveva preso per mano la vera madre ed erano andate a deporre un fiore sulla tomba di quella donna che, non avendo avuto figli suoi, l’aveva allevata come un dono venuto dal cielo. Quando il regime sovietico finì, vennero resi pubblici gli archivi della polizia e l’amico del marito di Anja andò a trovarla. Non c’era più bisogno di accendere la radio a tutto volume per parlare e neanche di sprecare la fiammella del gas, che ora si pagava. Le mostrò un fascicolo della polizia. Quel giorno, a denunciarla come nemica del popolo, era stata la sua vicina. Francesco Patrizi
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I Cristiani d’Oriente Chiese antiche e fragili Con questo articolo siamo giunti al termine del nostro ipotetico viaggio nel martoriato Oriente che ha avuto come oggetto le comunità cristiane di diverse confessioni che si trovano a vivere in quei paesi circondate, a volte assediate, dalla complessa galassia del mondo musulmano. Come avevamo annunciato nella conclusione dell’articolo precedente ci occuperemo di altre comunità ivi presenti, tra le quali spicca per numero quella Greco-ortodossa. Essa è l’erede del patriarcato di Gerusalemme che ha sempre orbitato nell’orbita di Costantinopoli, ma è anche uno dei diversi filoni nati dalla cattedra di Antiochia, il patriarcato dalla storia più travagliata. Attualmente i greco-ortodossi di Oriente si trovano sotto la giurisdizione di due patriarcati distinti: quello di Gerusalemme sotto la guida di Teofilo III che è la comunità cristiana più numerosa in Israele, Palestina, Giordania e quello di Antiochia che ha sede a Damasco guidato da Youanna X, fratello di uno dei vescovi rapiti ad Aleppo. Secondo alcune stime il loro numero ammonterebbe a circa 2 milioni, anche se i dati non sono molto attendibili, in quanto moltissimi hanno abbandonato i paesi di origine per trasferirsi in Europa, Stati Uniti, Sud America, Australia. Questa diaspora era cominciata prima della tragedia che la Siria sta vivendo e che certamente la guerra sta accentuando. Il fondamentalismo islamico e le violenze del Daesh-IS hanno inferto un colpo di grazia, per cui il loro numero è decisamente calato. In Iraq, altra terra martoriata come, se non peggio della Siria, troviamo un’altra comunità cristiana: i Caldei. Quella caldea è una chiesa cattolica di rito orientale con propri ordinamenti giuridici, in comunione con Roma fin dal 1553. Fondata dall’apostolo Tommaso prima di trasferirsi in India. Il rito è siriano orientale ed usa come lingua liturgica l’aramaico o l’arabo; il patriarca risiede a Baghdad. È una comunità che ha sofferto sulla propria pelle il dramma del dopo Saddam Hussein. Secondo stime, non sempre attendibili, prima delle due guerre del Golfo il loro numero si aggirava intorno al milione, oggi esso si è ridotto a 400mila unità, concentrati nel Kurdistan irakeno. Situazione drammatica di una comunità che rischia di sparire dai luoghi di origine. Un esodo spaventoso che rischia di riprendere a causa degli scontri settari a Baghdad e la guerra in Siria, al punto che il loro patriarca Rafael Sako ha duramente denunciato a livello internazionale. Gran parte dei Caldei vivono negli Stati Uniti e in Europa o in altri stati del Medio Oriente. Sempre in Iraq si trova la Chiesa Assira o Nestoriana, autocefala, non è in comunione con le altre chiese ortodosse di Oriente in quanto non riconosce le decisioni del concilio di Calcedonia. Diffusa in Iraq, Iran, Turchia e India. I nestoriani furono per la cronaca i primi cristiani ad evangelizzare la Cina. Anche questa comunità ha subìto lo stesso destino dei Caldei, subendo discriminazioni, persecuzioni da parte del fondamentalismo islamico che hanno costretto un numero considerevole ad emigrare. Il loro patriarca risiede ufficialmente a Baghdad, ma di fatto la sede si trova a Chicago negli USA. Spostandoci verso il Caucaso troviamo un folta comunità cristiana dalla storia millenaria e molto drammatica, caratterizzata da persecuzioni feroci fino allo sterminio: si tratta degli Armeni. Di essi ci siamo già occupati in questo magazine nel 2014-15 in una serie di articoli intitolata Il secolo dei genocidi. L’Armenia fu il primo stato a dichiarare il Cristianesimo come
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religione ufficiale nel 301 dC, precedendo addirittura l’Impero Romano (editto di Tessalonica 380 dC). La dicitura ufficiale è Chiesa apostolica armena, comunemente assimilata alla chiesa ortodossa, ma in pratica non è in comunione né con la Chiesa Cattolica né con la Chiesa Greca, non avendo partecipato al già citato Concilio di Calcedonia. Fondata dall’apostolo Taddeo, è una chiesa autocefala con propri ordinamenti, con un proprio rito e con l’armeno come lingua liturgica. Il suo centro spirituale è a Echmiadezim vicino a Yerevan, capitale dell’attuale repubblica armena dove risiede il patriarca Karekin II. Una storia lunga e travagliata, l’Armenia piccolo stato schiacciato tra tre imperi: quello Ottomano, quello Russo e quello Persiano, è stata spesso al centro dei contenziosi politico-territoriali di questi tre colossi e naturalmente ne ha fatte le spese. Una tragica alternanza di periodi di feroci guerre e persecuzioni con periodi di calma piatta, fatto questo che ha spinto gli Armeni all’emigrazione in massa verso l’Europa, le Americhe e l’Australia. Una diaspora iniziata fin dall’Ottocento e dal Novecento per cui il numero dei Cristiano-Armeni viventi all’estero supera di gran lunga di quelli residenti nel Caucaso. Ferocemente avversati dagli Ottomani furono barbaramente massacrati nel 1915-16, durante la Prima guerra Mondiale, dall’esercito turco perché considerati complici dell’Impero Russo. Un autentico genocidio, si parla di un milone di morti. Un orrendo massacro che anche la Turchia moderna si rifiuta di riconoscere. Basti pensare alla reazione stizzosa del premier Erdogan quando papa Francesco il 12.04.2015 nell’anniversario del massacro lo definì: “primo genocidio del XX sec.”. Esiste anche una Chiesa armeno-cattolica, chiesa sui iuris, in comunione con Roma dal 1742, il cui patriarca risiede a Bzoummar in Libano. Il numero dei fedeli si è drasticamente ridotto dopo i fatti del 1915 e la maggior parte risiede in Italia e in America. Ora l’Armenia dal 1991, quando si distaccò dall’URSS, non senza un breve e sanguinoso conflitto con il vicino Azerbagian musulmano per la questione territoriale del Nagorno-Karabak, gode di una certa stabilità, sebbene accerchiato da stati islamici. In un quadro così complesso si situano anche i Latini ovvero cristiani di rito latino che ruotano intorno al patriarca di Gerusalemme Fuad Twal. Si tratta di una comunità piccola, appena il 7% dei Cristiani in comunione con Roma, ma che sta aumentando a causa dell’immigrazione di Filippini, Indiani cattolici in Israele, Arabia Saudita, Emirati, causando problemi interni specie in stati come l’Arabia dove è vietato ogni culto pubblico non musulmano. Conclusione: Quando mezzo secolo fa Paolo VI si recò a Gerusalemme, primo papa nella storia, incontrando dopo secoli il patriarca di Costantinopoli Atenagora nonché alti esponenti delle comunità ebraiche e musulmane, brillava l’utopia di una pace messianica che avrebbe affratellato Ebrei, Cristiani e Musulmani. L’evento ebbe risonanza mondiale soprattutto per l’entusiasmo che accolse il papa anche da parte della popolazione non cristiana di Gerusalemme. Oggi quel clima non c’è più. La geopolitica del Medio Oriente è completamente mutata. Non c’è pace tra Israele e Palestina, il Libano è stato dilaniato da una guerra civile, la Siria è al collasso, il Daesh-IS sull’orlo del tracollo esporta il terrorismo in Occidente, l’Iraq è devastato, l’Egitto è una polveriera potenziale, la Libia nel caos. Un quadro instabile e preoccupante, Pierluigi Seri imprevedibile e … pericoloso. P.S. A tutti i miei lettori Buona Estate e Arrivederci a Settembre!
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I Baz z a ni a Pompei Giovedì 9 giugno 2016, presso la sala conferenze “Gisa Giani” dell’Archivio di Stato di Terni, è stato presentato il volume I Bazzani a Pompei. Disegni e acquerelli nell’Archivio di Stato di Terni, curato da Geraldine Leardi, stampato da Arti Grafiche Celori, progetto grafico di Emiliano Bertoldo. La pubblicazione è stata resa possibile grazie al finanziamento della Fondazione CARIT, sempre sensibile e attenta alla valorizzazione del patrimonio culturale della città e del territorio. Dopo i saluti della direttrice dell’Archivio, Marilena Rossi Caponeri e del presidente della Fondazione, Luigi Carlini, il volume è stato presentato da Luigi Parisi, soprintendente Belle Arti e Paesaggio per le province di Lucca e Massa Carrara. L’opera, nella prima parte dà conto degli atti della giornata di studi sull’argomento, svoltasi l’11 dicembre 2014 presso l’Archivio di Stato, nella seconda illustra per la prima volta l’intero corpus dei disegni di argomento pompeiano, riuniti in Collezione. Corredano il volume due appendici di fonti che presentano in prevalenza documenti inediti. Il censimento puntuale e attento di questi ‘materiali’ presenti nel fondo dell’architetto Cesare Bazzani conservato dall’Istituto ternano e il conseguente approfondimento di ricerca costituiscono un interessante esempio di quei possibili “percorsi d’archivio” che, dal tangibile singolo pezzo che rappresenta quella che, in termini archivistici, si definisce “unità documentaria”, giunge all’opera d’arte e al suo autore attraverso un itinerario storico e culturale che ci introduce nell’Italia post-unitaria, fra gli anni Ottanta dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento e nell’epoca degli scavi in
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corso a Pompei in quel tempo. È stato così possibile individuare in questa raccolta le opere di Luigi Bazzani (Bologna 1836-Roma 1927) pittore e scenografo molto famoso nel suo tempo, ma lasciato in ombra dalla critica, capostipite della famiglia e dei figli Cesare (Roma 1873-1939), il noto architetto, e Mario, morto giovane nel 1907, figura quasi sconosciuta. L’operazione di approfondimento è stata resa possibile dalla collaborazione e interazione tra archivisti, storici dell’arte e archeologi, ognuno dei quali ha contribuito ad illustrare questo corpus pompeiano sotto diversi punti di vista. Il volume presenta, infatti, i contributi dei relatori della giornata di studio: Luigi Di Sano tratta in generale del fondo archivistico pervenuto in Archivio di Stato; Geraldine Leardi approfondisce il legame dei Bazzani con Pompei, definendolo una sorta di ‘passione di famiglia’ e si sofferma, poi, sulla figura di Luigi offrendo nuove informazioni sulla sua vita e sulla sua attività; Michele Benucci propone l’attento studio della tecnica esecutiva utilizzata dai Bazzani per i loro schizzi e disegni, riuscendo così ad evidenziare il metodo seguito da Luigi per la produzione delle sue numerose opere relative a Pompei; Riccardo Helg, che per primo aveva scoperto alcuni dei disegni pompeiani di Luigi presenti nel fondo Bazzani, sottolinea la passione per l’antico e il ruolo dell’archeologia nell’attività professionale di Luigi; Francesco Parisi illustra il rapporto fra incisione e archeologia. La seconda parte del volume contiene il corpus delle opere suddivise in sezioni tematiche: scene e ambienti pompeiani; vedute di Pompei; un’altra Pompei o l’Arco di Settimio Severo a Roma; acquerelli o Mario Bazzani; casa dei Vetii; casa delle nozze d’argento, una ipotesi ricostruttiva. Ricco e importante il corredo fotografico, in particolare quello che illustra il corpus completo dei disegni e degli acquerelli conservati nell’Archivio di Stato di Terni, riprodotti ed elaborati da Gloria Vatteroni.
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AZIENDA OSPEDALIERA
Servizio di Psicol
Dr. David Lazzari D i r e t t o r e d el S e r v iz io di Ps ic ologia O s pe dalie r a d e lla A z ien d a O s p e dalie r a “S. Mar ia” di Te r ni
Il Servizio di Psicologia ospedaliera nasce all’interno dell’Azienda Ospedaliera ”Santa Maria” di Terni come realtà autonoma nel 1998, dopo l’avvio di un ambulatorio psicologico nel 1992. Ciò che caratterizza un Servizio di Psicologia è la presenza di una vera e propria équipe di psicologi formati e dedicati alla psicologia ospedaliera secondo un preciso modello bio-psicosociale. Il modello bio-psico-sociale pone la persona al centro di un sistema di cura integrato e multidisciplinare che garantisce interventi medici e psicologici misurati su bisogni sempre più individualizzati cosi come previsto dagli standard nazionali di appropriatezza ed efficacia. Due gli ambiti di intervento, quello clinico, rivolto ai pazienti, e quello aziendale rivolto al personale sanitario. Il nostro lavoro -spiega David Lazzari Responsabile del Servizio- è rivolto per la maggior parte a pazienti con patologia acuta o cronica che si rivolgono a questo ospedale, ma cerchiamo di mantenere la possibilità, seppure ridotta, per un’accoglienza di tipo ambulatoriale per coloro cosiddetti “esterni” che hanno bisogno di un percorso di counseling o psicoterapia. Nell’ultimo anno il Servizio di Psicologia ha visto un generale incremento della propria attività con un aumento del 22% di colloqui psicologico-clinici, il 19% di aumento delle visite psicologiche ed un aumento del 23% di psicoterapie individuali. Sono aumentati anche gli esami psicodiagnostici di circa il 15% e sono stati attivati gruppi di psicoterapia. I protocolli Nove i protocolli clinici attualmente in essere tra il Servizio di Psicologia e altrettanti reparti ospedalieri. Il nostro intervento -spiega il dottor Lazzarisi struttura su protocolli clinici e di ricerca che ci permettono di intervenire strategicamente in quegli ambiti clinici che sono più a rischio per un disagio psicologico e dove in letteratura sappiamo essere più efficace un intervento preventivo che faciliti l’alleanza con il paziente e la qualità del percorso di vita all’interno della malattia. Oncologia, Diabetologia, Ambulatorio neurologico per le malattie neurodegenerative (Sclerosi Multipla, Sclerosi Laterale Amiotrofica, Epilessia), Nefrologia e Dialisi, Cardiologia e Cardiochirurgia, sono alcuni ambiti in cui l’intervento psicologico non viene effettuato solo su richiesta del paziente o su segnalazione del Medico, ma in maniera sistematica attraverso strumenti di rilevazione del disagio psicologico che permettono anche un lavoro importante di prevenzione. L’utilizzo di tecniche psicofisiologiche per la gestione dello stress -continua Lazzari- rappresenta uno strumento prioritario nel nostro lavoro in ospedale perché risulta facilmente utilizzabile anche dal paziente autonomamente e altamente efficace nella gestione di tutti quei disturbi psicofisici che si associano non solo alla malattia ma anche allo stress causato dalla permanenza in ospedale. La psicologia aziendale Lo stress lavoro correlato è un campo di studio e intervento da parte del Servizio di Psicologia che negli anni ha effettuato interventi finalizzati alla sua gestione in ambito aziendale.
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Il Servizio di Psicologia svolge pertanto un importante ruolo nella gestione e prevenzione della sindrome del burnout nel personale sanitario. In particolare nei settori a più elevato rischio si svolgono periodicamente gruppi di discussione su casi clinici finalizzati proprio alla gestione delle emozioni nel personale che facilitano l’elaborazione del dolore emotivo e del lutto. Dal 2015 sono attivi inoltre gruppi di rilassamento proprio dedicati al personale. L’utilizzo delle tecniche di rilassamento -spiega Stefano Bartoli psicologo dirigente che conduce i gruppi- è una buona abitudine che tutti noi dovremmo seguire; l’esperienza diretta che facciamo con il personale è caratterizzata da una maggiore presa di contatto con il proprio corpo, una concentrazione sulle proprie percezioni, nonché sulla sperimentazione di un rilassamento guidato che diventa comunque una acquisizione personale. L’esperienza come spiegava il dottor Bartoli è effettuata più spesso in gruppo puntando così anche sulla condivisione tra colleghi, spesso di reparti anche diversi, e creando così un valore aggiunto dal punto di vista relazionale. Per partecipare ai gruppi gratuiti per tutto il personale basta prenotarsi presso il Centro d’Ascolto Psicologico; i gruppi vengono svolti tutti i giovedi dalle 14,30 alle 15,30 nella palestra del servizio di Psicologia e Riabilitazione. I corsi di gestione dello stress e i gruppi con gli operatori hanno avuto in questo ultimo anno un incremento del 15%.
S A N TA M A R I A D I T E R N I
logia Ospedaliera Il centro d’Ascolto Psicologico Inaugurato soltanto da un anno (Maggio 2015), il Centro d’Ascolto Psicologico rappresenta una esperienza pilota in campo nazionale, ha accolto alcune centinaia di persone di cui 176 hanno ricevuto un intervento psicologico più complesso e sistematico per la gestione del loro problema. Lo scopo di creare un Centro d’Ascolto è quello di permettere a tutti coloro che ne hanno bisogno di accedere immediatamente ad una consulenza psicologica senza passare attraverso il medico e senza attendere. L’apertura del centro d’Ascolto rappresenta un contatto immediato e diretto con lo psicologo esattamente nel momento in cui se ne sente il bisogno. Presso il centro si ha subito la consulenza e l’orientamento rispetto a quale percorso può essere più utile ed opportuno, presso il servizio di Psicologia Ospedaliera o presso altre strutture del territorio. Il Centro d’Ascolto funge pertanto da orientamento e da rete. Gli utenti che usufruiscono del Centro d’Ascolto sono in prevalenza donne, tre su quattro, hanno un’età media di 52 anni e sono in prevalenza lavoratori dipendenti e pensionati. Due su tre hanno chiesto aiuto per problemi psicologici legati ad una malattia organica, utenti dell’ospedale accompagnati dai familiari. Il 56% ha chiesto aiuto per sé mentre due persone su tre hanno proseguito il percorso con psicoterapie individuali o di gruppo. Al Centro d’Ascolto Psicologico si può accedere senza appuntamento e senza impegnativa, il colloquio è immediato e gratuito. Il Centro d’Ascolto è ubicato in una zona di facile accesso, al piano primo seminterrato nel corridoio che porta al bar. Ricerca e valutazione Molte delle attività assistenziali sono progettate con l’approccio della “ricerca-intervento” che consente di produrre i dati di efficacia delle attività svolte, inoltre già da alcuni anni il servizio ha adottato un sistema di valutazione degli esiti degli interventi clinici e psicoterapici effettuati, prima con il programma VEIP ed ora aderendo al sistema CORE-OM.
L’Équipe è costituita dal Responsabile (Dr. David Lazzari), due psicologi dirigenti (Dott.ri Roberta Deciantis e Stefano Bartoli), due ricercatori (Dott.sse Elisabetta Gasperinie e Silvia Petrini) e tre borsisti (Dott.sse Sara Meloni, Barbara Broccucci e Silvia Leonardelli) grazie al contributo dell’Associazione Umbra per la lotta contro il cancro, della fondazione Carit e di case farmaceutiche, da un assistente tecnico (Roberto Casani).
Fotoservizio di Alberto Mirimao
Il CMO e il Codice Rosa Il lavoro dello psicologo all’interno del Centro Multidisciplinare per l’Obesità rappresenta un altro ambito prioritario anche perché il Centro costituisce un punto di eccellenza dell’Azienda Ospedaliera “Santa Maria” che dal 2011 accoglie centinaia di persone con gravi problemi di obesità con l’obiettivo spesso di ricorrere alla chirurgia bariatrica. Le linee guida Sicob (Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità) -spiega Roberta Deciantis psicologo dirigente che si occupa dell’ambito psicologico all’interno del centroprevedono una valutazione psicologica caratterizzata da un colloquio e dalla compilazione di test adeguati per la rilevazione di eventuali disturbi psicologici che potrebbero inficiale e diminuire la compliance di questi pazienti all’intervento stesso. In questo caso lo psicologo, completando la valutazione medica e chirurgica si occupa anche di facilitare l’accesso ad un eventuale percorso di psicoterapia individuale e alla costruzione di gruppi psicoeducazionali periodici. Altro ambito che vede impegnato il servizio di Psicologia in un intervento multidisciplinare e intersistemico è il protocollo Codice Rosa che come spiega la dottoressa Deciantis rappresenta un percorso facilitato, così come previsto dalla normativa Nazionale e regionale per le donne che hanno subito o subiscono violenza fisica e/o psicologica a cui viene garantita un’assistenza psicologica immediata al momento dell’accesso in pronto soccorso.
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L O S P O RT C O M E VA L O R E
Lo sport è lo sport. Difficile darne una definizione esatta: ciascuno lo vive e lo interpreta a modo suo. Le capacità degli atleti, siano essi professionisti, dilettanti o semplici amatori, si misurano da sempre con la competizione, tutti uniti da una comune passione. Multiformi aggregazioni di sportivi animano positivamente la nostra comunità, fornendo la migliore risposta a devianti modelli comportamentali, tendenti ad esaltare l’estrema individualità del singolo. Un europeo su tre pratica regolarmente un’attività fisica. Esistono più di 600.000 club sportivi nel territorio comunitario ed il 62% degli europei è favorevole ad un riferimento nella Costituzione Europea riguardo la funzione sociale, educativa e culturale dello sport. Istituzioni come l’Unione Europea e l’UNESCO hanno prodotto negli anni documenti importanti: il Trattato di Amsterdam del 1997, la Relazione di Helsinki del 1999 e la risoluzione del Consiglio europeo di Nizza del 2000. Al centro, l’utilizzo dell’attività sportiva come strumento di educazione e di integrazione fra i popoli. A questa si vuol conferire una valenza pedagogica importante, ritenendola “componente essenziale della nostra società”, capace di trasmettere le regole fondamentali della vita sociale e portatrice di valori fondamentali quali: la tolleranza, lo spirito di squadra, la lealtà. Lo sport sano è per noi veicolo basilare per la costruzione dei futuri cittadini. La disciplina, il sacrificio, l’amicizia, il rispetto, sono princìpi fondamentali per la crescita di ciascuno. La disciplina intesa come una serie di comportamenti volti al raggiungimento dell’equilibrio fisico e mentale dell’individuo. Un atleta serio affronta la gara con sacrificio, pronto a sopportare la fatica, evitando qualsiasi eccesso o banali e pericolose scorciatoie. Buoni risultati in ambito sportivo (e non solo) si raggiungono gestendo le difficoltà con tenacia e determinazione. Saper soffrire fa assaporare in modo diverso le conquiste. Questo è utile alle giovani generazioni, abituate ad ottenere il massimo con poco impegno. In tal modo però si perdono tappe importanti della crescita personale e non si assapora appieno il gusto del successo. Un tema importante per bambini ed adolescenti è quello dell’amicizia. Gli sport di squadra facilitano lo sviluppo di punti in comune tra i diversi componenti. Ciò crea delle forti relazioni non solo tra gli atleti, ma anche tra chi vede lo sport
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“dall’esterno”. Nelle diverse discipline sportive all’inizio ed alla fine di ogni gara si promuove il compimento di gesti di amicizia tra avversari: il famoso terzo tempo. Ciò è importante per smorzare la tensione della competizione, abituandoci a considerare l’avversario con più umanità e non solo come un “nemico da abbattere”. La vittoria o la sconfitta si dovrebbero vivere in tal modo con maggiore serenità. Molto spesso assistiamo invece ad atteggiamenti vittimistici o, viceversa, talmente eccessivi da sfiorare l’offesa. Si deve comprendere che non è il risultato in sé che conta, ma come ci si è arrivati. Dobbiamo puntare sulla preparazione ed il perfezionamento delle nostre capacità. In quest’ottica anche la sconfitta può risultare più utile, poiché ci sprona a rivedere ed analizzare la nostra prestazione. Lo sport però presenta anche degli aspetti negativi nel caso in cui l’atleta non ne capisca gli intimi e profondi valori. Se l’unico scopo è la vittoria, le partite diventano il solo momento di reale verifica delle capacità, accelerando una indebita pressione. I ragazzi si sentono costantemente sotto verifica. La paura di un possibile fallimento ed il timore di restare nell’anonimato a volte provocano degli errori. Se va bene, lo stress porta nella maggior parte dei casi ad un precoce abbandono dell’attività sportiva, preceduto da un periodo di demotivazione. In casi estremi si ricorre all’uso di sostanze dopanti per raggiungere il risultato. Gli allenatori hanno il compito di privilegiare la crescita dell’atleta con una preparazione che punti soprattutto alla gioia di muoversi e di stare con gli altri, non già alla sola massimizzazione della prestazione. Gli atleti, invece, dal canto loro, devono evitare di sentire i successi dell’avversario come una minaccia o, viceversa, le proprie affermazioni come un pretesto per dar vita a processi di emarginazione. Eppure anche se lo sport sembra risolvere dei problemi, esso stesso non ne è privo. Pensiamo a tutti quei fenomeni che ne inquinano il valore: l’eccessiva spettacolarizzazione, la violenza, il doping. Nel nostro quotidiano abbiamo l’obbligo di combattere tali degenerazioni, salvaguardando essenzialmente il futuro dei nostri figli, atleti di oggi e cittadini del domani. Stefano Lupi Delegato Coni Terni
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UNIONI CIVILI Dal 11/05/2016 le unioni civili sono legge in Italia. Il nostro Paese diventa così il 27° Paese europeo che riconosce legalmente le coppie omosessuali e disciplina le convivenze nate al di fuori del matrimonio. Ma vediamo, al di là delle strumentali prese di posizione e del chiasso che inevitabilmente scatenano certi temi, cosa dice effettivamente la legge. Lo scopo, per meglio dire la ratio, è quella di conferire uno status ad una «specifica formazione sociale», introducendo, nel nostro ordinamento, un nuovo istituto di diritto pubblico, con una chiara analogia al matrimonio. L’unione civile si costituisce mediante una «dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni». L’ufficiale «provvede a registrare gli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso». Per quanto concerne il cognome, le parti possono stabilire di assumere un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome. Fra gli obblighi reciproci troviamo quello all’assistenza morale e materiale, nonché quello della coabitazione mentre è stato eliminato del tutto, in sede di approvazione definitiva, quello dell’ l’obbligo di fedeltà reciproca che lo assimilava decisamente al matrimonio. Le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna parte spetta, poi, il potere di attuare l’indirizzo concordato. Quanto ai diritti di natura patrimoniale le novità sono di rilievo attribuendo al partner dell’unione la pensione di reversibilità, il Tfr maturato, nonché i diritti successori, la cosiddetta quota di legittima, analogamente a quanto accade nel matrimonio. Stabilisce la legge che ovunque figuri la parola “coniuge” «in leggi, regolamenti, atti amministrativi e contratti collettivi», le stesse previsioni si applicheranno anche alle unioni civili. Quattro sono i fattori previsti dalla legge che potranno impedire la costituzione dell’unione civile: 1) la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un’unione civile tra persone dello stesso sesso; 2) l’interdizione di una delle parti per infermità di mente; 3) la sussistenza tra le parti dei rapporti di parentela; 4) la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l’altra parte. Quanto alle adozione è stata eliminata dal ddl Cirinnà la “stepchild adoption” ossia l’adozione del figlio biologico del partner. La nuova legge, quindi, non prevede la possibilità per uno dei due partner dell’unione civile di adottare il figlio dell’altro, tuttavia all’articolo 3 si specifica che “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozioni dalle norme vigenti” . E quest’ultima previsione consentirà ai giudici minorili nel procedimento di adozione di poter intervenire caso per caso, tenendo conto del nuovo istituto giuridico delle unioni civili, per cui spetta alla magistratura pronunciarsi caso per caso sul tema delle adozioni per le coppie gay. Per quanto concerne le coppie di fatto, ossia quelle che non sono legate da matrimonio o da unione civile, vengono sanciti alcuni limitati diritti e doveri, in materia di: assistenza reciproca, donazione organi, diritto alla casa, e obbligo agli alimenti che può essere disposto dal giudice in caso di scioglimento del rapporto. In caso si malattia, ad esempio, ai due partner sono riconosciuti gli stessi diritti dei coniugi. Vedremo poi in sede i applicazione pratica cosa accadrà. legalepetrocchi@tiscali.it
La marcreànza è ssembre de ‘ll’andru Pe’ ttutti li cristiani ciò rrispettu e lu dimostro ‘n ogni circostanza... ‘n confrontu a ttutti l’andri so’ pperfettu... so’ ‘llergicu peràndru a mmàrcreanza. Eppure pe’ non èsse sembre ‘n guerra... pe’ qquistu marcustùme fittu fittu... co’ cchi tte se comporta terra terra se qquanti rospi tòcca ‘gnotte e zzittu. Presempiu l’andru ggiornu llà la Posta che cc’era ‘na gran fila a non fini’... éo provatu a ‘ccorcialla... costa costa... perché ciàveo ‘n bo’ fretta... tuttu lì! S’è scatenatu propiu ‘n finimonnu... è ccome qquanno che... ppisti li calli... me so’ ssintìtu ‘n verme... quasi a ffonnu... ma che scrianzati... che vvoléo fregalli!? ‘N’andra vorda c’évo ‘n cagnulinu... che ssu lu marciapiede e no llà mmezzu... t’ha fattu... ‘n proporzione... ‘n bisogninu che ppo’ ve l’assicuro... era pe’ vvezzu! J’ha datu ‘na ‘cciaccata ‘n gran cojone
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ch’ha ‘ncuminciatu contro me a sparla’... se ‘ncorbi pe’ sse stessu... ‘llu cafone che a ttesta arda stéa a ttelefona’! ‘Na vorda stéo a strilla’ al telefoninu... ‘n bibbriotèca... ‘n sala de lettura... me n’hanno dette tante... anche cretìnu... villani che sso’ stati... io c’éo premura de ‘nn’èsse co’ la ggente marducatu e a vvoce arda ‘n barba a li divieti a qquill’ingrati ch’hanno reclamatu voléo fa’ capi’ che ‘n c’éo segreti. Ce stanno mardùcati e mmardùcati... ma è ccertu sembre corba de ‘gnoranza... ‘na prima goccia p’èsse mijorati è lo sape’ ‘n do’ sta la marcreànza. ‘Gni goccia ‘n quistu mare ce mijora s’ognunu scappa ‘n bo’ da ‘llu scafandru... e possa di’ che vvòrda a la bbon’ora... la marcreànza nn’è... ssembre de ‘ll’andru! Paolo Casali
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La fabbrica della calce Abbiamo già accennato che nel primo decennio del dopoguerra l’autarchia dominava, specialmente nelle campagne. I contadini cercavano di produrre tutto il necessario per soddisfare i bisogni alimentari della famiglia, vendendo le quantità eccedenti per racimolare il denaro necessario all’acquisto degli altri beni indispensabili. Teniamo presente che i mezzi di trasporto a disposizione degli agricoltori erano gli animali da soma, come muli e asini, le barrozze e le traglie trainate da una coppia di vacche e qualche bicicletta. Certo c’erano i camion, ma servirsi dei loro trasporti aveva un costo che pochi privati potevano permettersi. Da queste considerazioni si può ben capire la necessità di avere la possibilità di poter utilizzare servizi come un frantoio a grano o a olive, o acquistare oggetti da un artigiano che stesse a una distanza massima di una decina di chilometri dalla propria abitazione. Spostarsi per distanze più lunghe comportava un impiego di tempo esagerato e, se era possibile, tutti cercavano di evitarlo. Ecco perché era necessaria una fabbrica di calce nelle vicinanze: se c’era bisogno di fabbricare una stanza in più, ingrandire un magazzino, fare un muro o altro e per tutte le altre necessità legate al mondo agricolo, come la preparazione del verderame per irrorare le viti e gli olivi, la calce era indispensabile. Le prime evidenze storiche dell’uso sistematico della calce o di composti a base di calce e gesso da parte dell’uomo sono state trovate dagli archeologi a Cajenu (Turchia) dove la calce è stata utilizzata in forma d’impasto con sabbia per la copertura di alcuni terrazzi già nel 8.000 aC. Empedocle, poeta e scienziato della magna Grecia, vissuto tra il 482 e il 426 aC nella città Siciliana di Agrigento, nel suo libro “della natura” descrive numerosi fenomeni naturali e per primo descrive il “ciclo della calce”. Scrive: “c’è del magico nel raccogliere un sasso dalla terra, demolirlo con il fuoco, modellarlo con l’acqua e con l’ingegno dell’uomo per riottenere con l’aiuto dell’aria un solido duro come la pietra iniziale“. Da allora, di generazione in generazione, c’era sempre qualcuno in ogni zona capace di fabbricare la calce. Armato di spirito imprenditoriale, in una radura di proprietà, abbastanza lontana da boschi e pagliai, radunava i sassi bianchi dispersi nei campi e altri ne prelevava da una vicina cava. Nella parte molto scoscesa del terreno si scavava una profonda buca e la si riempiva con una specie di nuraghe conico a più strati concentrici di pietre. Il ricoprimento di tale costruzione che aveva la funzione di forno, era un lavoro delicato e perfino pericoloso per l’esecutore, in quanto consisteva nel posare le pietre calcaree da cuocere in equilibrio, senza legante, in modo da costruire una volta sopra la zona del focolare. Fatto ciò, nel vuoto al centro del nuraghe veniva stipata legna secca ad alto potere calorifico, introdotta dal basso attraverso una piccola apertura. A questo punto si accendeva il fuoco che doveva essere alimentato giorno e notte per permettere alla fiamma di penetrare tra gli interstizi fra sasso e sasso in modo omogeneo e tale da raggiungere e mantenere la temperatura di 900-1000 °C, atta a cuocere il carbonato di calcio e trasformarlo in ossido di calcio, detto anche calce viva. Qualcuno ricorderà che c’era l’usanza di portare il pranzo ai fuochisti da parte delle famiglie della zona che si alternavano nel compito. Era una grande festa quando una donna si incamminava per i campi con una canestra di vimini in testa, seguita da un’altra con bottiglioni di ottimo vino rosso e da uno stuolo di bambini eccitati e vocianti. La canestra, contenente pastasciutta calda, fatta in casa, condita con sugo di carne e un’anatra al forno con patate, era ricoperta di una immacolata tovaglia bianca e tutt’intorno era guarnita con svolazzanti strisce di carta multicolore. Appena in lontananza appariva la fornace rovente, i fuochisti accendevano la miccia a un piccolo mortaio e il violento, benché atteso, scoppio metteva a rischio la stabilità del pranzo in precario equilibrio sopra il cercine muliebre. Terminata la cottura dei sassi, spenta la fornace, tenuti a distanza con strilli e minacce i bambini, ogni contadino caricava sulla propria barrozza la quantità di calce viva pattuita che, nel più breve tempo possibile, veniva portata a casa dove veniva affogata in una vasca piena d’acqua che si riscaldava fino a bollire. Finché il tutto non tornava alla temperatura ambiente, i bambini più piccoli restavano confinati in casa. La televisione era di là da venire ma gli spettacoli che Vittorio Grechi offriva la natura e l’inventiva dell’uomo non erano da meno. Anzi. .
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Lo Sport e...
l’Educazione sono un’altra cosa
Se passa l’equazione calcio = violenza, rischiamo di andare fuorigioco. Che il pallone abbia le sue colpe, è indubbio, ma addossargli tutte le colpe non aiuta l’analisi. È come dare l’aspirina al termometro che segna 40°, trascurando l’ammalato. Il problema è sociale, non sportivo. L’aumento della violenza non sono solo gli stadi a evidenziarlo. C’è un’insofferenza diffusa fra i giovani e un abbassamento dei livelli di leicità riscontrabile in vari contesti della vita quotidiana. Dalla famiglia e dalla scuola provengono segnali preoccupanti che si ripercuotono immancabilmente nella società. Non è più il momento di chiudere gli occhi, ma stabilire regole nuove, senza cedimenti se si vuole ricondurre l’irrequietezza giovanile nei confini del sopportabile. Il permissivismo domestico, come quello scolastico, ha fatto il suo tempo: non è lo strumento utile a formare, se mai lo fosse stato in precedenza. Lo stesso dicasi per l’atteggiamento colpevolmente comprensivo che sociologi, psicologi e strizzacervelli di turno sciorinano in privato e in TV.
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Imparare a vivere è difficile, comporta muoversi lungo percorsi dove i divieti sono più formativi dei liberi accessi e dove il raggiungimento di un obiettivo non può mai essere privo di sacrifici. Come in un’industria, la filiera famigliascuola-società sforna generazioni in catena continua, ma l’attenzione per la qualità del prodotto è quasi scomparsa, lo scarto ha superato le percentuali fisiologiche, nell’illusione che il mercato lo assorba e il cliente finale non protesti più di tanto. Purtroppo non è più così; il buonsenso si ribella, e quand’anche la società fosse in grado di porre fine oggi alle carenze dovrà consumare per altri vent’anni il prodotto difettoso delle generazioni “in lavorazione”. Il decadimento dei valori in tutti gli ambiti sociali, i messaggi ingannevoli diffusi da cinema e TV, il sesso e il denaro come unici obiettivi, perseguibili attraverso compromessi con la dignità individuale, stanno alla base della loro concezione di vita. Occorre restituire prestigio ed autorità alle figure di riferimento, cominciando ad educare i genitori. È inconcepibile ciò che succede, a volte, mentre i ragazzini in campo giocano una partita di calcio, in tribuna scoppia il pandemonio tra alcuni dei loro genitori. Lo sport e l’educazione sono un’altra cosa. Giocondo Talamonti
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Il coraggio del cambiamento Nel corso degli anni e delle uscite di questo seguitissimo magazine La Pagina vi ho parlato di argomenti vari: dalla agopuntura alla fitoterapia, dall’alimentazione allo stile di vita, seguendo sempre un pensiero di fondo e cioè quello che le nostre attività quotidiane devono essere orientate a mantenere lo stato di salute. Da medico non potevo fare altro e non avrei potuto fare altro. Oggi rimango della stessa idea, naturalmente, ma vorrei aggiungere qualcosa, qualcosa che non è strettamente legata alla medicina ma che attiene più all’uomo in quanto appartenente ad un genere (quello umano) che, seppure discenda da quello animale, gli è più tipico: l’amore. Il termine è molto generico e molto inflazionato e proprio per questo ha perso di significato e di valore. Ognuno di noi nello svolgere il proprio quotidiano dovrebbe amare quello che fa e non farlo solo perché è necessario o perché lo ha scelto (a suo tempo) o perché da esso ne derivi un sostentamento o per un motivo comunque materiale. Quello che facciamo, lo facciamo perché lo amiamo, perché è un nostro desiderio profondo di dare e fare con un cuore sereno e puro. Oggi il senso della sconfitta e della rassegnazione troppo spesso lo vedo nei miei pazienti e nelle persone in
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generale, la volontà di lottare e di non arrendersi è debole e il più delle volte ci si accontenta di tirare avanti. Alla domanda come va oggi, spesso mi sento rispondere abbastanza bene, tiriamo avanti, accontentiamoci e così via. Certo non c’è di che stare allegri ma un conto è l’allegria, altro è il senso della sconfitta. Perché accontentarsi, perché non andare oltre o almeno provarci, in fondo dipende da noi. In campo medico accade lo stesso; la medicina è sempre più difensiva e sempre meno combattiva; per vincere le malattie bisogna andare all’attacco e ciò vuol dire cambiamento, talora radicale, ma per fare questo bisogna avere coraggio sapendo che la parola coraggio deriva da cuore e quindi amore. Cambiare non è poi così difficile, certo va fatto con gradualità e con una pianificazione che richiede costanza e tempo, ma si può. In fondo la malattia altro non è che la somma di tanti piccoli momenti sbagliati, di tanti piccoli errori che non abbiamo corretto quando era il momento e alla fine arriva il conto da pagare. Prima ci accorgiamo degli errori, prima interveniamo, più efficacemente correggiamo e tanto meno spazio lasciamo al male. Il bene e il male, una lotta perenne che si ripete da sempre e che ci chiama in prima persona ad agire e non stare lì a guardare con indifferenza come se non ci riguardasse. Leonardo Paoluzzi
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Emanuela Ruffinelli
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