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FARE RETE ritorno alla qualità e meno burocrazia
I tre pilastri del commercio del domani
Massimo COLONNA Sviluppare network (lavoro in rete) con altre aziende del proprio settore, tornare a investire su professionalità specifiche, tutelare le piccole imprese, in particolare per il sistema delle licenze. E sfruttare totalmente le infinite potenzialità dell’e-commerce (commercio con mezzi elettronici). Sono le linee guida che tre imprenditori di Terni, impegnati in settori differenti del tessuto economico locale, si pongono a metà del 2021 per affrontare al meglio le prossime sfide. Uno degli aspetti della vita di tutti i giorni che verrà maggiormente stravolto nel prossimo futuro, non solo a Terni, è proprio quello del commercio. Sia dal punto di vista del produttore, sia dal punto di vista del consumatore. La pandemia, la turbo-digitalizzazione dettata dai tempi, gli effetti delle crisi economiche succedutesi dal 2008: tre elementi che rappresenteranno un mix potenzialmente esplosivo per aziende e consumatori. Sandro Picciolini, titolare della Divania Srl, azienda leader nel settore dell’arredamento in Italia e all’estero; Cristian Spina, responsabile della Sm Inox, che studia, progetta e produce macchinari e serbatoi in acciaio inox; Giorgio Belli, della Sartoria Saia, che firma abiti e camiceria di qualità: tre imprenditori che in questi mesi hanno dovuto riprogrammare il futuro.
SANDRO PICCIOLINI - “Una delle chiavi per poter affrontare al meglio le prossime sfide -spiega il titolare dell’azienda fondata nel 1969 dal padre, poi divenuta Divania nel 1995 anche con l’apporto dei fratelli Maurizio e Alberto- è sicuramente il fare rete con le aziende del proprio settore e della propria filiera. Questo è quello che abbiamo sempre fatto come azienda e che crediamo possa rappresentare un valore aggiunto anche nei nuovi scenari che tutti saremo costretti ad affrontare. La nostra azienda si avvale del lavoro di terzisti del territorio locale. Questa impostazione ci permette di tenere un controllo-qualità di livello alto su tutti i componenti. Produciamo tutto internamente e quello che non possiamo produrre lo affidiamo ad aziende umbre. Poi, lavoriamo con un cluster (raggruppamento) nautico di livello nazionale e operiamo con cantieri in tutto il mondo. Dal locale, quindi, riusciamo ad arrivare al mercato estero, anche grazie alla partecipazione a importanti fiere internazionali, come Montecarlo e Amsterdam. In più, durante il lockdown, abbiamo deciso di investire: quando tutti gli altri erano fermi, abbiamo rischiato. Per questo abbiamo stretto nuove alleanze e collaborazioni, lanciando una nuova collezione di divani e complementi, la linea Horo, con la direzione artistica dello studio Castiglia e associati.
L’Italia, e penso anche a Terni, deve tornare a produrre qualità. E per farlo bisogna confrontarsi,
non pensare solo al proprio orticello”.
CRISTIAN SPINA - “Terni deve tornare a guardare alle proprie origini” - spiega Cristian Spina che ha fondato, 18 anni fa insieme a suo padre, l’azienda che oggi conta 35 dipendenti. “Terni è nata nel mondo dell’acciaio perché c’erano energia, acqua e soprattutto maestranze. Oggi le imprese sono assetate di tecnici: servono professionalità che sappiano trasformare prodotti. Adesso trovare un saldatore o un tornitore è quasi impossibile. Si sappia che se si avessero 100 saldatori da inserire sul mercato nel territorio ternano, lavorerebbero tutti; se si avessero 50 tornitori, tutti avrebbero occupazione. Sicuramente abbiamo bisogno di tecnici, ingegneri, ma anche di artigiani che possano
produrre un oggetto unico, anche un pezzo di ricambio di un
macchinario. Una delle sfide più importanti è colmare il vuoto attuale sulla parte formativa. Occorre riconvertire la formazione dei giovani, lavorare di più sull’orientamento nella fase finale del percorso di studi. Anche perché i ragazzi quando scelgono sono molto giovani. E si consideri che per formare un ragazzo occorrono almeno quattro anni. Questo significa che se non si torna subito a tale impostazione, a fare di più da questo punto di vista, le aziende si ritroveranno in difficoltà e non riusciranno a programmare il futuro con efficacia. Il rischio è quello che le aziende si vedano costrette ad acquistare macchinari all’avanguardia, senza avere però qualcuno che li sappia utilizzare. E la programmazione, per un’azienda che vuole stare sul mercato in maniera competitiva, diventa fondamentale. Questo ce lo ha insegnato, ancora una volta, la pandemia. Durante il lockdown (blocco, isolamento) la nostra azienda ha sofferto molto, anche perché noi lavoriamo con diverse aziende straniere. I calcoli ci indicano che abbiamo perso il 40% del fatturato. Ma abbiamo risposto bene: innanzitutto abbiamo intrapreso subito tutte le misure di sicurezza per i nostri dipendenti, che hanno accolto l’iniziativa nel migliore dei modi. Tutti si sono messi a disposizione e quando abbiamo pensato di tenere a casa gli over 55, nell’ottica della prevenzione, tutti gli altri hanno accettato di dare qualcosa in più per il bene dell’azienda. Dalla crisi abbiamo imparato molto: a rafforzare per esempio il nostro e-commerce per pezzi di ricambio. Oggi non si può fare a meno di essere presenti sul web, è questo un processo irreversibile che riguarda non solo la vendita finale, ma anche la stessa organizzazione interna del lavoro. Penso allo smart working (lavoro agile, da remoto) e alla possibilità di poter organizzare riunioni online (in linea). Altro tema rilanciato con forza dalla pandemia è il green. Sull’ecosostenibilità stiamo portando avanti diversi studi: collaboriamo con aziende che operano nel settore delle energie rinnovabili e possiamo contare su un nostro ingegnere che si occupa esclusivamente di questo settore di sviluppo. In più, le nostre politiche attuali puntano alla eliminazione degli scarti industriali, una cui parte viene anche utilizzata per la sotto lavorazione”. GIORGIO BELLI - “Serve un tavolo permanente per tutelare le piccole aziende. L’artigianato sta morendo, anche a Terni”. Giorgio Belli lavora da 32 anni nel settore dell’abbigliamento su misura, da venti come privato. Oggi è il titolare del marchio Sartoria Saia. “Anche il nostro settore è stato travolto sia dalla pandemia sia, ancora prima, dalla digitalizzazione del mercato. Oggi ci siamo spostati verso la personalizzazione del prodotto, la customizzazione, e per questo è necessario poter puntare sull’artigianato, sulle maestranze formate. L’Italia deve tornare a intraprendere questa politica: non puntare ai grandi numeri, su cui evidentemente non possiamo competere nei confronti, per esempio, della Cina, bensì puntare sulla qualità, sulle professionalità degli artigiani. Purtroppo, questa tendenza negli ultimi anni è stata invertita, tant’è vero che oggi ci ritroviamo catapultati in uno scenario per cui il grande magazzino si mangia la piccola bottega, magari già stritolata dalle vendite online. Oggi vediamo sempre più grandi magazzini e sempre meno imprese locali. E così l’artigianato sta morendo. Un processo irreversibile? Io dico che servirebbe poter sviluppare meglio le proprie idee,
magari anche con un aiuto più efficace agli imprenditori da
parte delle istituzioni. Da questo punto di vista, la creazione di un tavolo permanente che lavori in questo senso, a cui dovrebbero prendere parte anche gli imprenditori che realmente vivono questa realtà tutti i giorni, potrebbe essere molto utile. L’ideale in Italia sarebbe poter snellire la burocrazia per poter arrivare a una concretizzazione dei propri progetti in maniera più rapida. Altro grande problema, che accomuna il mio settore a tanti altri, è quello della qualità delle maestranze. All’inizio della mia attività potevamo contare su tre sarti, oggi fatichiamo a trovarne. Il problema è quello della dispersione del know how (sapere come, cioè insieme di saperi e abilità); le conoscenze tecniche non possono più essere insegnate da una generazione a quella successiva, proprio perché i giovani non vengono formati verso questo tipo di professionalità. Per troppi anni, anche nel settore della sartoria su misura, si è inseguito il lusso, salvo poi andare a farsi del male quando ci si è confrontati con sistemi differenti nel resto del mondo. E oggi, se ci pensiamo, i negozi si sono trasformati in camerini per grandi aziende. La piccola impresa invece deve tornare a essere tutelata. Penso anche al sistema delle licenze, dei negozi del centro storico: sarebbe utile riportare le licenze a numero chiuso. Anche perché il mercato territoriale permette la ripartenza delle filiere e dell’indotto. Solo così potremo invertire la tendenza e affrontare con qualche arma in più il prossimo futuro”.