elevatori su misura Numero 163 Marzo 2019
Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura
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Zona Fiori, 1 - Terni - Tel. 0744 421523 - 0744 401882 www.galenoriabilitazione.it Dir. San. Dr. Michele A.Martella - Aut. Reg. Umbria DD 7348 del 12/10/2011
Marzo
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4 Quante Feste! Loretta Santini
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Mensile di attualità e cultura Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni. Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 Tipolitografia: Federici - Terni
10 San Valentino Giampiero Raspetti
DOVE TROVARE La Pagina ACQUASPARTA SUPERCONTI V.le Marconi; AMELIA SUPERCONTI V. Nocicchia; ARRONE Massimo Frattesi, P.zza Garibaldi; ASSISI SUPERCONTI S. Maria degli Angeli; CASTELDILAGO ; NARNI SUPERCONTI V. Flaminia Ternana; NARNI SCALO; ORTE SUPERCONTI V. De Dominicis; ORVIETO SUPERCONTI - Strada della Direttissima; RIETI SUPERCONTI La Galleria; SPELLO SUPERCONTI C. Comm. La Chiona; STRONCONE; TERNI Associazione La Pagina - Via De Filis; CDS Terni - AZIENDA OSPEDALIERA - ASL - V. Tristano di Joannuccio; BCT - Biblioteca Comunale Terni; COOP Fontana di Polo; CRDC Comune di Terni; INPS - V.le della Stazione; IPERCOOP; Libreria UBIK ALTEROCCA - C.so Tacito; Sportello del Cittadino - Via Roma; SUPERCONTI CENTRO; SUPERCONTI Centrocesure; SUPERCONTI C.so del Popolo; SUPERCONTI P.zza Dalmazia; SUPERCONTI Ferraris; SUPERCONTI Pronto - P.zza Buozzi; SUPERCONTI Pronto - V. XX Settembre; SUPERCONTI RIVO; SUPERCONTI Turati; RAMOZZI & Friends - Largo Volfango Frankl.
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DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafica e impaginazione Francesco Stufara Editrice Projecta di Giampiero Raspetti 3482401774 - info@lapagina.info www.lapagina.info Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.
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20 Le molteplici facce della tecnologia. Enrico Squazzini
21 Fuori dell'aula... il clan! PL Seri.................pag. 22 C Santulli. ...................................................................pag.
OPI: L’uso consapevole dei Social Network........................................pag. 23 La Màttora V Grechi. ..........................................pag. 24 ANCESCAO ..........................................................pag. 25 SIPACE GROUP..................................................pag. 25 Terni: Le sirene di lavoro e di guerra
26 LICEO CLASSICO...............................................pag. 28 Galleria BELLUCCI. .........................................pag. 30 ALL FOOD.................................................... pag. 31 OTTICA MARI.............................................. pag. 32 A Marinensi. ...............................................................pag.
27 Per la sostenibilità... chiudere il cerchio Giacomo Porrazzini
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Quante feste!!! Loretta SANTINI
Natale, Capodanno, la Befana, San Valentino, Carnevale, Pasqua e Pasquetta, la festa della Donna, del Papà, della Mamma e dei Nonni e … chi più ne ha più ne metta. La festività di San Valentino è appena trascorsa: a Terni è stata messa in atto una serie di manifestazioni e di eventi che hanno cercato di valorizzare il patrono di questa città e che si protrarranno fin oltre la metà di marzo. L’urna del Santo è stata portata in Duomo con una processione fiaccolata, si è ripetuta la festa della Promessa, la tradizionale maratona di San Valentino ha popolato la città di centinaia di persone, mostre d’arte, premi, concerti, musical, kermesse varie hanno vitalizzato le giornate, così come gli stand gastronomici e quelli di prodotti artigianali tesi alla valorizzazione del territorio, le luminarie si sono riempite di cuoricini, rose rosse e cioccolatini hanno deliziato gli occhi e il palato. Questa ricorrenza come tante altre induce a fare alcune riflessioni sulle festività e la loro commercializzazione. Non c’è festa che non sia una commistione di sacro e profano, di tradizione e innovazione, di antichi riti pagani e di commemorazioni religiose, di spiritualità e laicismo: il tutto condito da quell’insieme di consuetudini e riti che comprendono festeggiamenti, scambi di auguri, bigliettini e regali, oltre alle solite e immancabili mangiate con i prodotti legati alla tradizione. La festa degli Innamorati non fa eccezione: è una tradizione proveniente dai paesi anglosassoni e porta con sé cioccolatini e rose, cene a lume di candela e baci. Ma non dimentichiamo che essa si riallaccia ad antichi riti pagani e alle feste dei Lupercalia che cadevano nell’antica Roma nello stesso periodo e che si caratterizzavano per riti propiziatori con fecondazione simbolica. Siamo nel periodo di carnevale: maschere, coriandoli, trombettine, carri allegorici, danze e canti, sfilate e veglioni, godurie dolciarie, allegria, scherzi. La festa affonda le proprie radici nei Saturnali romani e nelle antiche feste dionisiache quando, per un breve periodo di tempo, ci si sentiva liberi dai vincoli sociali precostituiti. Tra poco sarà Pasqua, festa religiosa per
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eccellenza: vedremo colombe -la colomba nella religione rappresenta lo Spirito Santo che scende sugli uomini- e uova di cioccolato con sorpresa, leccornie di ogni tipo, e si preannunciano abbuffate di agnello, pizze dolci e pizze al formaggio. Anche Natale non è più solo una festa religiosa, bensì una ricorrenza piena di dolci, di regali, di abbuffate, di addobbi e luci e il Babbo Natale panciuto vestito di rosso non è altro che quello creato dalla Coca Cola, dunque di derivazione anglosassone. Anche questo simpatico personaggio trova le sue origini in quel San Nicola di Bari elargitore di doni trasformato nei paesi anglofoni in Santa Claus. La festa di Hallowen non fa eccezione: salita alla ribalta negli anni ’90 e tanto osteggiata da molti perché ritenuta di origine americana, trova lontane radici nelle tradizioni celtiche e non solo. Infatti anche in Italia, dall’Alto Adige alla Sicilia, le sue origini si possono rintracciare negli antichi riti legati ai morti quando si riteneva che proprio le anime dei trapassati, nella notte di Ognissanti, vagassero per le campagne. Per essi i vivi accendevano lumi e imbandivano le tavole, mentre i bambini andavano di casa in casa chiedendo dolcetti e generi alimentari. In molti paesi è diffusa da secoli la tradizione di intagliare le zucche che ricordano un teschio. Dunque anche per questa festa che sembra tutta americana, ci sono tradizioni antichissime e consolidate. Di fronte a queste feste tradizionali ce ne sono altre di più recente formazione: la festa della Donna, della Mamma, del Papà, dei Nonni e tante altre: sono certamente un omaggio a queste figure importanti della nostra vita e, nate come un’operazione politica, sono divenute essenzialmente un’operazione di marketing ben studiato
dalle case pubblicitarie e aziende commerciali. A questo punto non ci resta che constatare che tutte queste feste, religiose e non, hanno radici ben profonde, fanno parte addirittura della storia antica dei luoghi, dei loro atavici rituali, di una cultura che in qualche modo si è stratificata e che comunque rimane nel profondo della nostra storia. Nel tempo si sono trasformate e tutte hanno subìto un forte processo di commercializzazione diventando così un vero e proprio motore economico. Può piacere o non piacere, ma questa è la realtà: questa è la trasformazione anche culturale che il business porta con sé, questo è il consumismo di massa. La positività di queste feste è che sono comunque rituali collettivi che investono il mondo, che ci fanno sentire nel mondo. E lo scambio di regali dai ninnoli ai gioielli -quando non è vissuto come un obbligo- ha comunque il significato di un bisogno di relazione e di condivisione, è un’estensione del nostro io, è gratitudine e affetto. Il regalo diventa un dono perché si carica del significato simbolico dell’amore. Rendere più accettabile questo consumismo non è facile. Da sempre molte persone hanno sentito il bisogno di porre un freno a tutto ciò dando vita a un vero e proprio movimento anticonsumistico che rifiuta l’uso e getta e il fagocitare prodotti di ogni tipo. Molte aziende si stanno attrezzando per questo proponendo prodotti ecologici, riciclati, ricondizionati ecc. Ma anche questa, a ben guardare, è una strategia di marketing. E per le feste cosa facciamo? La festa è pur sempre una festa che ci regala un giorno di allegria, di vita vissuta insieme, di condivisione. Sta alla nostra intelligenza e al nostro buon senso non farne solo esteriorità, eccesso, spreco, mercificazione.
Giampiero RASPETTI
... Già da tempo ci si persuade dell’interesse e della risonanza che potrebbe apportare al nostro territorio la valorizzazione dell’immagine di San Valentino, santo conosciuto e celebrato in tutto il mondo. Finora, facendo salve le celebrazioni ad opera della Curia, che devono solo essere accettate e rispettate così come S. E. il Vescovo promuove, la parte per così dire laica, quella che attiene agli impegni organizzativi dell’amministrazione comunale, è stata sempre prerogativa unica di chi si è in realtà distinto per carenza progettuale. Assemblare una paccottaglia di elementi (dai Baci Perugina ai fidanzatini di Peynet, dalle scritte ai messaggini d’amore, dallo sport alle canzonette, dalle rappresentazioni teatrali alla degustazione del cioccolato) senza altro filo conduttore che il far rima con la parola amore o con il suffisso “ntino” o, peggio, erigersi ad impresari teatrali con i soldi pubblici (pagando cantanti e autori di presunta caratura nazionale) si configura come cattivo servizio fatto all’immagine della nostra città e del suo Santo Patrono. Le iniziative sono sempre state molto limitate rispetto alle immense potenzialità racchiuse nello scenario complessivo che sarebbe pensabile costruire intorno ad un
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San Valentino personaggio tanto apprezzato. Lo dimostra il fatto che, da parte dei media nazionali e internazionali, non è mai stato dedicato uno spazio considerevole alle manifestazioni esistenti a Terni su San Valentino. … ... Vestigia autentiche di San Valentino, il Santo Patrono della nostra città, sono state trovate presso Belvedere Marittimo (Cosenza), cittadina che venera e festeggia il Santo dell’Amore. La Prof. Loretta Maccagnan, insegnante presso il Liceo Pedagogico ed assessore alla Pubblica Istruzione nel Comune di Belvedere Marittimo, sta già collaborando con il Prof. Raspetti per la realizzazione della manifestazione culturale: Gemellaggi per San Valentino. Deliberato dal Collegio dei docenti del Liceo Classico in data 13 ottobre 1998. Referente del progetto: Prof. Giampiero Raspetti. …
… Noi vorremmo che molti giovani, di diversa nazionalità e di religioni diverse, in febbraio e a Terni, si scambiassero messaggi culturali, sociali, di solidarietà, d’amore cioè. Per questo, e al fine dell’interscambio culturale ed educativo, abbiamo già intessuto contatti intensi e proficui con uomini di cultura, insegnanti, associazioni, scolaresche delle seguenti nazioni: Austria, Repubblica Ceca, Cipro, Germania, Francia, Inghilterra, Malta, Norvegia, Spagna, Turchia. …
… MIE tematiche valentiniane proposte nel 1998: • ASSISTENZA AGLI ANZIANI • ASSISTENZA AI MALATI TERMINALI • LA CARCERAZIONE • LA LIBERTÀ DI STAMPA • LA SCUOLA • LA LIBERTÀ DI RELIGIONE. Da Germogli, Giampiero Raspetti, 2010.
Eminenti studiosi, tra i massimi esperti di letteratura latina e di agiografia medievale, negli ultimi quindici anni ci hanno mostrato, con le loro dotte ed intelligenti ricerche, ancor oggi prive di rigorose e serie contestazioni, la vera vita del nostro Santo Patrono. Se avessimo la volontà e la possibilità di leggere e studiare, attingendo al grande patrimonio culturale insito nelle pubblicazioni del Centro italiano di studi sull’alto medioevo di Spoleto, in particolare il libro “San Valentino e il suo culto tra medioevo ed età contemporanea: uno status quaestionis” a cura di Massimiliano Bassetti ed Enrico Menestò ed il libro “Terni medievale” di Edoardo D’Angelo, germoglierebbe all'istante in noi l'orgoglio di essere cittadini di una città il cui Patrono è stato un gigante, come uomo, come filosofo, come teologo, come cristiano, come taumaturgo e ci sentiremmo, repentinamente, tutti cavalieri serventi di tanto patrono e di una città così degna d'onore! Saremmo immediatamente presi da fierezza per il suo insegnamento e per l’essersi immolato per quelli che noi modernamente chiamiamo Diritti Umani e ci assumeremmo naturalmente l’obbligo di riconoscere in lui anche il fondatore di tali diritti. E faremmo di tutto per farci conoscere non proprio e solo come la Terni dei cioccolatini (la prestigiosa e amata Fucat ha chiuso i battenti già da molto tempo!), ma come la Capitale dei Diritti Umani, il titolo più alto che una città possa mai avere e che a Terni, io credo, spetti di diritto, anche se molta gente oggi si oppone scientemente all'affermazione
ed alla divulgazione di tali diritti! Si pensi allora a quante e quali cene romantiche si potrebbero svolgere, e con quanta risonanza, anche in onore della tradizione anglosassone, ma in una città che torna ad essere, nel mondo intero, la città di san Valentino di TERNI che, come tale, potrà rivolgersi a tutti con messaggi d’amore universale, dei quali quelli di coppia, pur belli e commercialmente esplosivi, rappresenterebbero solo una piccola parte! All’interno del gruppo di ricerca formato dal soprascritto e da Don Claudio Bosi e comprendente anche esimi studiosi come Edoardo D’Angelo e Miro Virili, dai suddetti studi abbiamo tratto i “valori” di san Valentino, che appare così una figura potentemente diversa da quella della tradizione. La sua vicenda biografica si collega infatti con la struttura valoriale definibile complessivamente dei diritti umani e può essere così illustrata: ACCOGLIENZA: in Terni, cristiani e pagani vivono in maniera perfettamente integrata, tanto che il magistrato romano Fonteio chiede tranquillamente e senza conseguenze l’intervento del vescovo Valentino per la guarigione di suo figlio; SOLIDARIETÀ: Valentino si reca volentieri e gratuitamente ad applicare le sue straordinarie capacità taumaturgiche; SALUTE: Valentino opera guarigioni da malattie neurologiche (sclerosi, etc.) molto gravi; LIBERTÀ D’ISTRUZIONE E DI CULTURA: Valentino converte il filosofo Cratone e tutta la sua casa e i suoi allievi. È solo a questo punto che il Senato
di Roma interviene, decretandone l’arresto!; LIBERTÀ RELIGIOSA: Valentino lotta contro la repressione del cristianesimo operata dallo Stato romano; GIUSTIZIA: Valentino viene arrestato e condannato a morte in maniera del tutto illegale. Si è infatti nell’anno 347, dopo l’Editto di Tolleranza di Costantino e Galerio del 313 che rende il cristianesimo tollerato. Ed i magistrati romani, dopo l’esecuzione, scappano dal loro ufficio (sanno di aver compiuto un atto illegale)! Il paragone tra i valori da me identificati e scritti, nella pagina sinistra, a partire dal 1985, e codesti appena descritti è veramente impressionante! Ecco perché da almeno 30 anni mi impegno per far conoscere, anche a moltissimi colleghi stranieri, la mia città come Capitale dei Diritti Umani. Le foto qui impaginate sono relative all’incontro.zero che, insieme alla Fondazione Aiutiamoli a Vivere, abbiamo organizzato, il 16 febbraio, per presentare ad un gruppo di amici e conoscenti la nostra Terni Capitale dei Diritti Umani. Avete già letto come il soprascritto da almeno 30 anni si fa paladino di questa immagine, quella stessa che presentò, a S.E. Giuseppe Piemontese, poco dopo essere stato nominato Vescovo di Terni, ricevendone in cambio l’invito a proseguire e a poter dire che al Vescovo di Terni piaceva molto quella mia suggestione di Amore Universale riferita al Vescovo Valentino.
Vi aspetto dunque il 13 aprile, alle ore 17, all’incontro.UNO.
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Creatività, innovazione e sviluppo sostenibili, VIVA L’ECONOMIA CIRCOLARE Alessia MELASECCHE
alessia.melasecche@libero.it
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ell’Unione europea si producono ogni anno più di 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti. Ma una volta che un determinato prodotto ha terminato la sua funzione, i materiali di cui è composto possono essere reintrodotti nel ciclo economico in modo da generare ulteriore valore? Certamente, occorre adottare procedure di tipo “circolare”. Si parla infatti di economia circolare, termine che definisce “un’economia che tende a rigenerarsi da sola in cui i flussi di materiali sono di due tipi: biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera», secondo la definizione della Ellen MacArthur Foundation, una delle realtà più attive nella promozione di questo modello di sviluppo, finanziata dalla velista Ellen MacArthur e sostenuta da colossi del mondo industriale. L’obiettivo di estendere il ciclo di vita dei prodotti e ridurre i rifiuti al minimo non è immediato come potrebbe sembrare. Adottare un approccio circolare significa rivedere tutte le fasi della produzione
e prestare attenzione all’intero ciclo produttivo rispettando alcuni princìpi base, che sempre dalla Ellen Mc Arthur Foundation sono stati individuati in: eco-progettazione, progettare i prodotti pensando fin da subito al loro impiego a fine vita, quindi con caratteristiche che ne consentano lo smontaggio o la ristrutturazione; modularità e versatilità del prodotto affinché il suo uso si possa adattare al cambiamento delle condizioni esterne; energie rinnovabili, favorendo il rapido abbandono del modello energetico fondato sulle fonti fossili; approccio ecosistemico, prestare la dovuta attenzione all’intero sistema e considerando le relazioni causa-effetto tra le diverse componenti; recupero dei materiali, favorire la sostituzione delle materie prime con materie provenienti da filiere di recupero che ne conservino le qualità. Tra i numerosi vantaggi di un approccio circolare, oltre a quelli più evidenti della riduzione della pressione sull’ambiente, più sicurezza circa la disponibilità di materie prime, aumento della competitività, impulso all’innovazione
e alla crescita economica, si stima che nell’Unione europea, grazie all’economia circolare, ci saranno 580.000 nuovi posti di lavoro. Non solo, ma grazie a misure come prevenzione nella produzione dei rifiuti, ecodesign e riutilizzo dei materiali, le imprese europee otterrebbero un risparmio netto di €600 miliardi, pari all’8% del fatturato annuo, e ridurrebbero nel contempo le emissioni totali annue di gas serra del 2-4%. Con l’economia circolare i consumatori potranno avere anche prodotti più durevoli e innovativi in grado di far risparmiare e migliorare la qualità della vita. La transizione verso l’economia circolare è sostenuta da un numero sempre maggiore di politiche e iniziative tuttavia persistono ancora barriere politiche, sociali, economiche e tecnologiche a una realizzazione pratica e a un’accettazione più ampie: manca spesso la consapevolezza, le conoscenze o la capacità di mettere in pratica le soluzioni soprattutto quando i segnali politici per la transizione verso un’economia circolare non sono abbastanza forti e coerenti.
Benvenuta Primavera Una giornata all’insegna del giardinaggio con dimostrazioni pratiche
21 Marzo
Giovedì dalle ore 15.00 Via Sesto Pompeo, 8 - Terni - Tel. 370.3455060
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La sostenibilità dello sviluppo è ormai l’unico domani possibile per l’umanità
- insieme, per lo sviluppo sostenibile Nasce a Terni l’Associazione culturale “Pensare il domani”, per: - un nuovo modello di sviluppo per la città ed il territorio - una migliore qualità della vita e del benessere - una comunità protagonista dello sviluppo sostenibile
una società più responsabile sicura solidale
un’economia innovativa e giusta un lavoro dignitoso per tutti
un ambiente sano bello protetto
una città accogliente e colta inclusiva per i giovani
L’attuale modello di sviluppo è ormai insostenibile non solo per l’ambiente ma anche per la società e l’economia; rende fragile la democrazia. L’ONU, con la sua Agenda 2030, chiede alle nazioni ed a tutte le componenti della società uno sforzo inedito per uno sviluppo sostenibile.
L’attuazione degli obiettivi dell’ONU richiede un impegno culturalmente nuovo da parte delle comunità locali e delle città: la capacità di pensare ad una visione dello sviluppo quale sistema integrato fra ambiente, economia, società, cultura, Istituzioni. Pensare il domani per far crescere nella comunità consapevolezza e cultura della sostenibilità. Pensare il domani per stimolare un dialogo ed un impegno comune sullo sviluppo sostenibile fra i soggetti economici e sociali e le istituzioni. Pensare il domani per un’informazione ed educazione permanente sui temi della sostenibilità. Pensare il domani per concorrere ad attuare nel territorio le iniziative nazionali di ASviS (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile). www.pensareildomani.org
contatti: info@pensareildomani.org
IL SACRIFICO DEL MISSIONARIO Francesco PATRIZI
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n uomo è stato selvaggiamente ucciso da un gruppo di persone, gli assassini sono stati individuati, ma nessuno di loro sarà incriminato. Il fatto è accaduto in una sperduta isola dell’arcipelago delle Andamane, nell’Oceano indiano, dove è vietato sbarcare perché vi abita la tribù indigena dei Sentinelesi, che non è mai venuta a contatto con il mondo civilizzato. L’India, che ha la sovranità sul territorio, ha deciso di preservare dal mondo esterno questa comunità sia per motivi culturali, sia per tutelare la salute degli indigeni da virus e batteri a loro sconosciuti. Secondo John Allen Cau, ventisettenne di Vancouver, questi isolani avevano vissuto per troppo tempo in uno stato di privazione; non che avessero bisogno di elettricità o di medicine, quello che gli mancava era Dio. Come scrivono i suoi familiari su facebook: “John era un missionario, amava i Sentinelesi e voleva portare loro la parola del Signore”. La missione evangelizzatrice ha richiesto alcune pratiche scorrette: John
è giunto in India con un visto turistico, ha corrotto una guida locale e si è fatto portare con una canoa sull’isola, quando era prossimo allo sbarco, si è alzato in piedi ed ha sollevato verso il cielo la Bibbia. Il gesto ha spaventato gli indigeni, che hanno iniziato a scagliare le lance che lo hanno trafitto. Il missionario non stava minacciando gli indigeni, ma loro hanno percepito un pericolo e si sono difesi. O forse sì, stava minacciando la loro cultura e la loro stessa esistenza. I familiari della vittima si sono rivolti al tribunale delle Andamane, ma come spiegare ai Sentinelesi che hanno violato un diritto che non conoscono e devono essere giudicati da un paese di cui non sanno di fare parte e che si considera padrone della loro isola? Dato che non si può portare in tribunale chi non è in grado di capire la legge, il giudice ha deciso di non procedere e i familiari hanno invocato il perdono per quelle povere creature senza Dio. Lasciando da parte l’azione irresponsabile del missionario, la
vicenda solleva questioni complicate. Ci si può chiedere se proteggere questa tribù sia un atto civile e doveroso oppure un atto di sopraffazione; forse, inevitabilmente, è tutte e due le cose. Un paese evoluto ha deciso che questa ignara comunità deve restare isolata, impedendole di fatto di conoscere il mondo, di evolversi. Per questa garanzia di sopravvivenza, gli indigeni pagano il fio di essere fuori dalla storia, non sanno neanche di vivere in una riserva incontaminata come un raro esemplare di una specie in via d’estinzione. Quello andato in scena in tribunale poteva essere lo scontro tra il diritto che tutela la vita (del missionario) e la cultura che tutela l’esistenza (dei Sentinelesi); il compromesso raggiunto tra i familiari di John Allen Cau, il giudice indiano e gli indigeni (in contumacia) è che nessun Sentinelese sarà processato e nessuno dovrà mai dire ai Sentinelesi che, al di là del mare, esiste un mondo pericoloso, che li distruggerebbe all'istante, perché è un mondo che cancella ogni diversità.
LA PRIMA VOLTA IN CUI SONO MORTA È un romanzo permeato di suspense. Avvince man mano che si procede. Si intravede il mistero da subito, ma esso viene svelato gradualmente attraverso un’abile alternanza di eventi presenti ed episodi del passato e con la quale l’autrice traccia una continuità narrativa in perfetta sincronia. Con il fluire degli eventi e nella ricerca di far luce in se stessa, emergono emozioni sopite, sofferenze represse, delusioni trascinate nel tempo. Troveranno il loro catarsi nella verità finalmente svelata, una verità inimmaginabile e crudele, ma salvifica. Sandra Raspetti 10
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Il progetto “Mischiamondo” nasce da un’idea di progettazione condivisa tra l’Arci e la comunità di Ferentillo. Lo scopo è quello di creare cultura ed integrazione all’interno di una comunità piccola, ma molto attiva come quella del paese dove abbiamo deciso di intraprendere la nostra avventura. All’interno dello spazio polivalente di Arci, oltre a poter usufruire di quattro postazioni internet, vengono organizzati eventi, seminari, laboratori e corsi dedicati a tutti; dalla sartoria alla lettura per bambini, dall’aiuto compiti ai corsi di yoga e così via. Gli eventi in programma sono svariati e spesso in collaborazione con la Pro Loco di Ferentillo che si è rivelata un prezioso alleato nel progetto in questione e con il pieno sostegno dell’attuale amministrazione comunale. Nell’immediato ci sarà il workshop di domenica 3 marzo intitolato “Crea la tua maschera“ presso lo spazio di Via della vittoria 107 che sarà seguito da una sfilata in maschera per le vie del paese. Ad oggi i corsi attivi sono: sartoria e costumistica storica, aiuto compiti per le scuole elementari, medie e superiori, il leggibimbi (letture per bambini), yoga. In partenza per il mese di marzo: conversazione in lingua inglese, cucina etnica, cineforum e attività all’aria aperta. Per informazioni seguite la nostra Pagina FaceBook Mischiamondo: spazio ricreativo per grandi e piccini
C’è Crisi !
Avv. Marta PETROCCHI
Il 14 febbraio 2019 è’ stato pubblicato sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 38 il D.L.vo 12 gennaio 2019, n. 14, che, in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 15, introduce il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza del debitore. Si tratta di un poderoso corpus di 391 articoli che incide in modo significativo sulla legislazione vigente con la sostituzione, anche, di numerosi articoli del codice civile e del codice penale. La normativa si rivolge al consumatore, al professionista, all’imprenditore che eserciti, anche non a fini di lucro, un’attività commerciale, artigiana o agricola, operando come persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, ai gruppi di imprese o società pubbliche. Rimangono esclusi dalla nuova disciplina lo Stato e degli enti pubblici. Sono fatte salve le disposizioni delle leggi speciali in materia di: a) amministrazione straordinaria delle grandi imprese; b) liquidazione coatta amministrativa. Le norme si distinguono immediatamente per un differente e molto dettagliato approccio terminologico ove, l’aspetto più rilevante sta nel considerare l’insolvenza come un “evenienza fisiologica nel ciclo vitale di un’impresa”, da anticipare e gestire, e non più come qualcosa di infamante. Tra gli obiettivi della riforma c’è quello di dare organicità alla materia, chiarendo le regole processuali da applicare di volta in volta; di restringere l’area delle incertezze interpretative; di proteggere il creditore e soddisfarlo maggiormente, di tutelare la permanenza e la ricchezza espressa dalle aziende anche per salvaguardare i livelli dell’occupazione e ciò al chiaro fine di fornire una maggiore di certezza del diritto, e, più in generale, di rendere maggiormente competitivo a livello internazionale il nostro
sistema economico. Si sostituisce il termine “fallimento” con l’espressione “liquidazione giudiziale”; si vuole ridurre la durata ed i costi delle procedure concorsuali, si armonizzano le procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza del datore di lavoro. L’entrata in vigore del Codice della crisi e dell’insolvenza, nel suo complesso, è prevista tra 18 mesi decorrenti dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ossia alla data del 15 agosto 2020. Lo scopo della dilazione è quello di consentire ai soggetti destinatari della disciplina di adottare le necessarie misure organizzative, oltre a disporre di un adeguato periodo di tempo per l’analisi del testo. Entreranno, invece, in vigore trascorsi 30 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, ossia il 16 marzo 2019, quelle norme che non necessitando per la loro attuazione di alcuna attività preparatoria. Si tratta delle disposizioni che possono immediatamente agevolare una migliore gestione delle procedure in atto ed aventi ad oggetto: la competenza per materia e per territorio (art. 27, comma 1); le modifiche alla disciplina dell’amministrazione straordinaria (art. 350); la certificazione dei debiti contributivi e per premi assicurativi (art. 363); la certificazione dei debiti tributari (art. 364); le modifiche sugli assetti organizzativi dell’impresa (art. 374); le modifiche sulla responsabilità degli amministratori (art. 377); le modifiche sulla nomina degli organi di controllo (art. 378). In questo caso, più che mai, sarà il tempo a dirci se l’intervento avrà una sua efficacia risolutiva o, come spesso accade, la previsione di norme non perfettamente coordinate tra di loro avrà creato più problemi di quelli intendeva risolvere. Buona Lettura del codice civile!
‘NA RONDINE NON FA PRIMAÈRA Paolo Casali
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Nonnu nonnu guarda si cche stranu... ‘n cillittu niru co’ la panza bbianca cinguetta... s’arza... s’abbassa come ‘n dèrtapranu... batte l’ali... se ferma... pare che sse stanca. E’ ‘na rondine… nipotuccia cara... ‘n tembu ce ne stéono qua ‘ttornu mo’ a vvedenne una è ccosa rara... chissà se sse n’arvà senza ritornu!? Perché nunnittu miu ‘n do’ pòle anna’... ma qqui sussopra a nnoi ‘n ze tròa bbène? Mica je l’emo dittu da scappa’... dée capillu che non je convène! Ma ‘n vidi che qqui tuttu è ‘n bo’ ‘nquinatu? Lu prezzu che ppagamo a lu progressu...
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le staggioni... l’aria... li fiuri... tuttu s’è ammarvatu potènno scappa’ via gniciunu è ffessu. Caru nunnittu che mme voli di’... tra tanta ggente de ‘stu firmamentu sulu da noi stemo a pprogredi’ facenno ‘stu po’ po’ de ‘nquinamentu? Ma nno mia cara niputina bbella... dappertuttu ce sta qquillu vordéggiu che tte fa mòe come rrundinella che spera d’anna’ a mmèjo... mica a ppeggiu. Ehi tu llassù cillittu bbiancu e nniru... fermete qui armeno quarche ggiornu... ccucì poli capi’ co’cch’andru ggiru che qquillu ch’è ppiù mmèjo... ce l’hai ‘ttornu.
VILLA SABRINA
l’assistenza personalizzata alla persona
e di prestazioni sanitarie, nonché di incentivi a svolgere le attività utili al mantenimento ed al recupero delle proprie abilità motorie e/o delle facoltà mentali. Gli obiettivi alla base del lavoro che si svolge all’interno della struttura muovono dalla volontà di aiutare l’Ospite non autosufficiente a combattere la solitudine e l’isolamento dovuto all’età avanzata e a vincere il disagio che alcune limitazioni psicofisiche possono creare nella gestione della vita quotidiana. La nascita di Villa Sabrina, RESIDENZA PROTETTA ad Otricoli, Terni, è profondamente legata alla grande sensibilità e all’interesse verso i soggetti più deboli, in particolare agli anziani affetti da demenze senili e dal Morbo di Alzheimer. La struttura è stata studiata, progettata e migliorata nel tempo per venire incontro alle esigenze dei propri Ospiti. L’edificio è provvisto di un ampio spazio urbanizzato, esterno alla struttura, con parcheggi illuminati per i visitatori e spazi appositi per portatori di handicap. Gli Ospiti sono in genere persone non autosufficienti che hanno bisogno di assistenza nella cura di sé, di riabilitazione
La struttura si propone di raggiungere questi obiettivi attraverso la programmazione di una serie di attività di estrema rilevanza sociosanitaria con il preciso scopo di fornire agli utenti strumenti utili alla loro riabilitazione ed un supporto al benessere psicofisico. Ogni utente ha un suo progetto riabilitativo individuale costruito su misura da un’équipe di specialisti. Per questo la struttura si avvale di professionisti qualificati: medici specializzati, educatori professionali, fisioterapisti, logopedisti e numerose altre figure che concorrono al benessere psicofisico della persona.
OTRICOLI (Terni) - Str. Pareti 34/36 Tel. 0744.709073 - 0744.719757 t.sabrina@libero.it
www.villasabrina.eu
SEMPRE PIÙ PERSONE SCELGONO DI INVECCHIARE TRA AMICI
Medicina & Salute
SECREZIONI CAPEZZOLO Le secrezioni dal capezzolo consistono nella fuoriuscita di materiale liquido dal capezzolo. Prima di tutto la paziente deve notare se c’è secrezione da una mammella o da entrambe e se la fuoriuscita del materiale avviene spontaneamente o dopo una lieve spremitura. Inoltre bisogna descrivere al senologo l’aspetto della sostanza secreta, vale a dire il colore (sieroso, verdastro, ematico o simile al latte) e se ha un odore maleodorante. Infine bisogna vedere se la secrezione avviene da un singolo poro del capezzolo o da diversi pori. Eseguita la visita il medico può prescrivere degli accertamenti, come il dosaggio dell’ormone prolattina, l’esame citologico del materiale che fuoriesce dal capezzolo o una galattografia, cioè una speciale mammografia in cui viene iniettato del mezzo di contrasto all’interno dei dotti mammari. Le cause delle secrezioni dal capezzolo sono molteplici. Le secrezioni dall’aspetto sieroso o verdastre sono per lo più causate da una condizione denominata ectasia duttale, che consiste in una dilatazione dei dotti maggiori, associata ad infiammazione. Se invece dal capezzolo fuoriesce un liquido simile al latte, la causa può essere rappresentata da un aumento dell’ormone prolattina, prodotto dalla ghiandola ipofisi; in questi casi si può rendere necessario eseguire una Risonanza Magnetica dell’encefalo per studiare l’ipofisi e una consulenza da un endocrinologo. Anche alcuni farmaci, come gli antidepressivi, possono comportare, come effetto indesiderato, una secrezione dal capezzolo. Maggiore attenzione va posta, invece, nei riguardi delle secrezione di sangue, perché la causa può essere un papilloma intraduttale o più raramente un tumore. La terapia delle secrezioni mammarie è varia. Infatti in alcuni casi si possono risolvere spontaneamente, in altri può essere utile una cura con antibiotici e antiinfiammatori. Quando invece a provocare la secrezione è un papilloma è bene ricorrere ad un intervento, che prevede la resezione del dotto che contiene la neoformazione.
Dott.ssa Lorella Fioriti
Specialista in Radiodiagnostica, Ecografia, Mammografia e Tomosintesi Mammaria
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MASTOPLASTICA ADDITIVA: RISCHI E BENEFICI DELLE PROTESI AL SENO Il seno è stato sinonimo di femminilità in molte culture, fin dagli albori della storia dell’uomo. Il desiderio di un seno bello e proporzionato alla propria figura è comune a molte donne. Per questa ragione la mastoplastica additiva, cioè l’intervento di aumento volumetrico del seno tramite l’inserimento di protesi mammarie, è uno degli interventi richiesti con maggiore frequenza al Chirurgo Plastico. La mastoplastica additiva è senz’altro il metodo più sperimentato e sicuro per aumentare le dimensioni del seno in modo permanente. Si calcola che un numero minimo di almeno 35 milioni di donne siano state impiantate con protesi mammarie nel mondo dagli anni 60 ad oggi. Sappiamo dunque molto su questa tecnica chirurgica, sui suoi vantaggi, i limiti, le possibili complicanze. Le industrie, nel corso di questi decenni, hanno prodotto una vasta gamma di protesi mammarie
diverse per involucro, contenuto, consistenza, forma e dimensioni. Non sono mancate però le polemiche circa la qualità e la sicurezza relative ad alcuni tipi di protesi mammarie. Di recente è stata definita una patologia, denominata ALCL (linfoma anaplastico a grandi cellule), che può presentarsi in rari casi di pazienti portatrici di un certo tipo di protesi mammarie. Attualmente, a fronte di milioni di protesi impiantate, il numero di casi di questa patologia appare molto limitato e la maggior parte di queste pazienti guarisce attraverso l’asportazione delle protesi e delle capsule periprotesiche* Per questa e per molte altre ragioni, una donna che sia intenzionata a sottoporsi a un intervento di mastoplastica additiva, deve considerare che la scelta della protesi più adatta al proprio caso è molto delicata ed è bene affidarsi a un Chirurgo Plastico esperto della materia con il quale dovrà
instaurare un rapporto di fiducia per avere informazioni corrette e aggiornate. Dopo l’intervento, inoltre, è importante che la paziente si sottoponga a regolari controlli di follow-up. *Informazioni della associazione italiana di chirurgia plastica estetica AICPE
QUI POTETE TROVARE VIDEO ESPLICATIVI DELL'INTERVENTO Inquadrare con la fotocamera il codice QR
TERNI - Viale della Stazione, 63 ROMA - Via Frattina, 48 LONDRA “The private Clinic” - 98 Harley Street PER APPUNTAMENTI: Office Manager Raffaella Pierbattisti PRIMA
L
DOPO
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IST: LE INFEZIONI SESSUALMENTE TRASMESSE
e IST sono infezioni trasmesse prevalentemente attraverso rapporti sessuali. In alcuni casi sono causate da una crescita esagerata o anomala di germi che vivono nelle parti intime come nel caso della candida oppure essere causate da germi portati all’interno degli organi genitali. I microrganismi prevalentemente responsabili delle ITS possono essere: virus (come nel caso di HIV, epatiti, condilomi, herpes genitale), batteri (clamidia, gonorrea, sifilide), protozoi (tricomonas), parassiti (piattole). Non sempre essere infetto significa essere malato: c’è chi ha l’infezione, può trasmetterla, ma non ha ancora sviluppato la malattia e, quindi, sembra perfettamente in salute. Il contagio per via sessuale avviene quando i microrganismi vengono portati all’interno del corpo attraverso lo sperma, le secrezioni vaginali o il sangue, oppure avviene attraverso il contatto diretto pelle contro pelle o con il contatto tra le mucose che rivestono le parti intime, la bocca o l’ano. Alcune donne, in seguito a infezioni non riconosciute e non trattate, possono sviluppare la “malattia infiammatoria
pelvica”, cioè la localizzazione ai genitali interni femminili (utero, tube, ovaie) dell’infezione causata da vari microrganismi. A volte i sintomi sono assenti, mentre in altri casi l’infezione si manifesta con dolore al basso ventre, febbre, irregolarità mestruali, perdite vaginali e rapporti sessuali dolorosi. Le IST possono interessare chiunque abbia rapporti o attività sessuali non protetti dal preservativo, indipendentemente dall’età, dal sesso o dal fatto che i rapporti avvengano con persone dello stesso sesso o di sesso diverso. Dopo il contagio, in un tempo variabile chiamato “periodo d’incubazione”, si possono sviluppare sintomi o segni visibili sul corpo. Tra i sintomi principali abbiamo: secrezioni vaginali diverse dal solito per colore, odore e quantità, prurito, comparsa
di verruche, gonfiori alla vulva o nella vagina e nella regione anale, dolori nell’urinare, dolori o bruciore durante i rapporti sessuali, perdite ematiche intermestruali, dolori diffusi nel basso addome, ingrandimento dei linfonodi inguinali. Se c’è il dubbio di avere contratto un’infezione è importante rivolgersi subito al medico di fiducia o al proprio ginecologo. La diagnosi viene fatta mediante una visita ginecologica associata ad ecografia e attraverso l’esecuzione di tampone vaginale e cervicale e test sul sangue. Se trattate subito ed in modo corretto le IST sono nella maggior parte dei casi guaribili. Se trascurate possono provocare gravi danni. Alcune di esse, come l’infezione da HIV non sono curabili definitivamente.
www.latuaginecologa.it DR.SSA GIUSI PORCARO
Specialista in Ginecologia ed Ostetricia USL UMBRIA 2 – Consultorio Familiare di Orvieto STUDIO MEDICO ANTEO – Via Radice 19 – Terni (0744- 300789) COMEDICA - Via Gabelletta, 147 - Terni (0744 241 390)
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AZIENDA OSPEDALIERA STRUTTURA SEMPLICE DIPARTIMENTALE di
Medicina d'Urgenza
Direttore dr.ssa Alessandra Ascani SSD Medicina d'Urgenza
Azienda Ospedaliera "S. Maria" di Terni
Il progetto di riorganizzazione avviato dall’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni nel triennio 2016-2018 è partito da una analisi dell’accesso dei pazienti in Pronto Soccorso, uno dei punti a maggiore criticità di tutti gli ospedali. Negli ultimi anni il costante aumento dei pazienti anziani, affetti da patologie multiple prevalentemente cronicizzate o in fase di riacutizzazione, ha indotto un progressivo aumento del numero dei ricoveri, un prolungamento delle degenze e, inevitabilmente, un sovraffollamento dei reparti con la necessità di ricorrere spesso a posti letto sovrannumerari (in corridoio o in appoggio in altri reparti). Dalla necessità di comprendere le cause del fenomeno del sovraffollamento è stato quindi pensato un nuovo modello organizzativo capace di aumentare l’appropriatezza dei ricoveri. Il nuovo modello organizzativo adottato ha superato la modalità di collocazione del paziente esclusivamente con il criterio del letto libero, indirizzando i pazienti verso le competenze specialistiche delle cliniche in base alle problematiche presentate al momento del ricovero. Inoltre, ha creato una maggiore capacità di presa in carico del malato da parte del Pronto Soccorso (PS), con la possibilità di gestire alcuni pazienti in Osservazione Breve Intensiva (OBI). Nel caso
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in cui la patologia di accesso, dopo la prima gestione, abbia caratteristiche definite per cui non esistono dubbi interpretativi, il paziente viene collocato direttamente nell’unità operativa specialistica di secondo livello più appropriata (es. un paziente con infarto acuto del miocardio viene ricoverato in ambito cardiologico). Mentre i pazienti non dimissibili, in quanto presentano una condizione ancora non chiara o particolarmente instabile, vengono ricoverati in Medicina di Urgenza, che li gestisce con procedure specifiche e rapide, fungendo da vero filtro selettivo per l’accesso ad altri reparti specialistici. La struttura semplice dipartimentale di Medicina di Urgenza fa parte del Dipartimento di Emergenza Accettazione (DEA) diretto dal dott. Amilcare Parisi, insieme alle strutture di Pronto Soccorso/ OBI, con cui è in integrazione operativa costante, Anestesia e Rianimazione e Chirurgia digestiva e d’Urgenza. La nuova Medicina di Urgenza La Medicina d’Urgenza (definita specialistica di primo livello) gestisce pazienti che necessitano di una diagnostica e di un trattamento intensivo con tempi di degenza non superiori di norma alle 72 ore. Si caratterizza per la sua multidisciplinarietà e per l’alta criticità dei pazienti ricoverati e svolge una importante azione di filtro verso i reparti specialistici (le cosiddette specialistiche di secondo livello). Il reparto di degenza comprende 39 posti letto, di cui quattro forniti di monitoraggio dei parametri vitali. Ad essa accedono dal Pronto Soccorso, in base a percorsi ben definiti, varie tipologie di pazienti: - pazienti acuti che hanno necessità di monitoraggio e terapia a breve termine di intensità superiore a quella normalmente disponibile presso una normale OBI - pazienti non acuti, ma con indicazione ad un veloce screening per l’identificazione di possibili patologie a rischio di complicazioni nel breve termine - pazienti che non si possono dimettere immediatamente dal Pronto Soccorso per la necessità di una terapia sintomatica
o di un’osservazione prolungata, ma che potenzialmente possono risolvere la fase di acuzie con una degenza breve, non superiore alle 72 ore. Le condizioni che determinano comunemente il ricovero in Medicina d’Urgenza sono: tutti i tipi di dolore da cause non definite (compreso dolore toracico e addominale), febbre di natura da definire, cefalea, alterazioni dello stato di coscienza, sanguinamenti acuti, patologie dell’apparato digerente e respiratorio non meglio definite, aritmie, sepsi, shock, coma, sincope, disturbi dell’apparato urinario, disturbi dell’equilibrio, alterazioni degli esami di laboratorio, traumi.
SANTA MARIA DI TERNI Dopo la stabilizzazione clinica il paziente a maggiore complessità viene trasferito in altro ambito specialistico per il completamento del percorso diagnostico ed il trattamento. Importante la stretta collaborazione con la struttura di Geriatria in considerazione della sempre più elevata percentuale di pazienti sopra gli 80 anni. Il paziente viene seguito dalla documentazione clinica prodotta fino al momento del trasferimento, attualmente operazione facilitata dalla completa informatizzazione della cartella cinica. Percorsi diagnostici. La necessità di accelerare l’inquadramento clinico del paziente e la sua stabilizzazione ha richiesto la definizione di percorsi diagnostici specifici anche con gli altri servizi aziendali, in particolare con la diagnostica per immagini e le attività ambulatoriali specialistiche. La Medicina d’Urgenza si avvale delle diagnostiche dedicate alle emergenze di pronto soccorso. La gestione del paziente. Dalla Medicina d’Urgenza il paziente può essere trasferito in un reparto specialistico o dimesso. Le dimissioni dalla Medicina
d’Urgenza possono essere: • Dimissioni a domicilio. • Dimissioni Protette con attivazione immediata del distretto sanitario di appartenenza (Assistenza Domiciliare Integrata, Assistenza Domiciliare Protetta) o prosecuzione dell’iter diagnostico ambulatoriale. • Dimissioni in residenza sanitaria assistita protetta (RSA, RP, Hospice…) oppure verso la Lungo Degenza Post Acuzie (LDPA) all’interno della stessa struttura ospedaliera. Attività ambulatoriali: • Ambulatorio delle dimissioni protette, il cui fine è rivalutare con attenzione e precisione i pazienti dimessi senza aver completato l’iter diagnostico e fornire una relazione clinica conclusiva. Questo ambulatorio è svolto da tutti i medici del reparto e gestito in maniera diretta dalla struttura. • Ambulatorio di Angiologia, Ecocolordoppler, svolto dalla dott.ssa Ascani, che eroga circa 2000 prestazioni/ anno per pazienti ricoverati presso altre strutture e per pazienti esterni che
giungono attraverso prenotazione CUP. • Ambulatorio di Endocrinologia, svolto dal mese di ottobre 2018 dal dott. Roberto Macaluso, che eroga visite specialistiche in post-ricovero e per pazienti esterni (accesso tramite CUP) Risultati. A distanza di circa un anno dall’applicazione di questo nuovo modello organizzativo si è potuto osservare un netto miglioramento della programmazione ospedaliera, una ridistribuzione dei ricoveri, una riduzione dei posti letto soprannumerari (letti in corridoio o in appoggio in altri reparti per l’area medica), una canalizzazione dei pazienti verso le specialistiche più appropriate e in generale, quindi, una migliore appropriatezza dei ricoveri. Sono aumentate la percentuale dei ricoveri ad alta specialità, di provenienza anche extraregionale, e l’attività specialistica ambulatoriale. Anche l’ambiente chirurgico ne ha beneficiato in quanto, non essendo più intasato dagli appoggi, è stato possibile programmare meglio l’attività operatoria. Le cliniche infine hanno potuto dedicarsi in maniera più accurata ai casi più complessi.
ÉQUIPE Direttrice: dr.ssa Alessandra Ascani Dirigenti medici: Mauro Barabani, Roberto Macaluso, Francesca Pinoca, Elisabetta Atteo Sono state avviate le procedure per il completamento dell’organico di altre 4 unità, al fine di garantire una guardia medica H 24. P.O. Dipartimento Emergenza Urgenza (DEA): Valerio Di Nardo Coordinatore infermieristico: Emanuele Orlandi Personale infermieristico: Maria Elena Azzizzi, Roberta Brozzi, Leonardo Carletti, Claudia Carozzi, Elisabetta Cenci, Fabio Costabile, Allegra De Felice, Carolina De Sanctis, Adriana Della Nebbia, Mariangela Garganese, Michel Giampietro, Sara Nannini, Arianna Pettorossi, Mirco Paoletti, Francesca Pecoraro, Patrizia Russo, Michela Sabbatucci, Maria Teresa Stamipiggioni, Nicola Stoppini, Nadia Tordoni, Martina Ricci, Wioletta Wilgoka Personale OSS: Patrizia Amati, Armando Bartiromo, Graziana Boria, Luca Cariani, Emilia Cosentino, Pamela Orlandi, Debora Testa. Servizio Fotografico Alberto Mirimao
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LA PROTESI DI SPALLA
L
Dott. Vincenzo Buompadre
Spec. Ortopedia e Traumatologia Spec. Medicina dello Sport - Terni Murri Diagnostica, v. Ciaurro 6, 0744.427262 int.2 - Rieti Nuova Pas, v. Magliano Sabina 25, 0746.480691 - Foligno Villa Aurora, v. Arno 2, 0742.351405
www.vincenzobuompadre.com
e sostituzioni articolari protesiche sono interventi di chirurgia ortopedica maggiore, ormai ben codificati e con buoni risultati in elevata percentuale. La complessità di questa articolazione, munita di numerose strutture muscolotendine e di ampia mobilità, ha reso necessaria la realizzazione di vari tipi di protesi per trattare le patologie da cui è affetta. L'indicazione più frequente a tale tipo di intervento è la patologia degenerativa articolare (artrosi primitiva e secondaria, osteonecrosi, artriti), le fratture ed i loro esiti. Distinguiamo le protesi in anatomiche, cioè che riproducono i capi articolari della spalla (testa omerale e glena scapolare), le quali a loro volta possono essere standard con stelo omerale (Fig.1) o di rivestimento (Fig.2), con maggior conservazione di osso omerale (trova indicazione in soggetti giovani o relativamente giovani con osso di buona qualità). Questo tipo di protesi necessita della integrità dei tendini della cuffia dei rotatori. Altro tipo di protesi è la inversa (Fig.3) in cui i capi articolari, come dice il termine, sono invertiti, cioè l'emisfera è applicata alla glena e la parte concava all'omero,
questo per dare maggior stabilità all'impianto protesico che può funzionare quando i tendini della cuffia dei rotatori son inefficienti o lesionati o quando è presente una frattura poliframmentaria della parte prossimale dell'omero non riparabile. I risultati di questa chirurgia sono particolarmente efficaci sul dolore, ma anche sulla motilità. È una chirurgia non scevra da complicazioni, come tutta la chirurgia protesica. Importante è la riabilitazione post-operatoria; per questo motivo nei casi più impegnativi faccio prolungare la riabilitazione in clinica nel post-operatorio. Poi prosegue ambulatorialmente sotto controllo di fisioterapisti esperti in tale campo ed in diretto contatto con il chirurgo.
Fig.3
Fig.1
Fig.2
Programma Associazione Culturale La Pagina 13 Marzo
Mercoledì ore 17.00 Lectura Dantis: Il Purgatorio Renzo Segoloni
15 Marzo
Venerdì ore 16.00 Teoria della relatività Vittorio Grechi
N.B.
L'Associazione Culturale La Pagina segnala che puoi contribuire con il 5xmille indicando sul tuo Mod. 730 questo cod. 01484960552
20 Marzo
29 Marzo
Mercoledì ore 17.00 Finalità e presentazione del corso Sistema di distribuzione elettrica a Terni
Venerdì ore 17.00 Lectura Dantis: Il Purgatorio
27 Marzo
Mercoledì ore 17.00 Esempi di contatti diretti ed indiretti
Alessandro Rocchetti
Mercoledì ore 17.00 Comportamento del corpo umano in caso di shock da elettrocuzione
Renzo Segoloni
3 Aprile
Alessandro Rocchetti
Alessandro Rocchetti
MIRIAM VITIELLO Tutti i Lunedì dalle ore 18.00 alle 19.30
Corso di lingua INGLESE
NADIA ZANGARELLI Tutti i Lunedì dalle ore 15.30 alle 17.45
Corso di PITTURA
Associazione Culturale La Pagina - Terni, Via De Filis 7 0744.1963037 - 393.6504183 - 348.2401774 18
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ESTETICA EVOLUTA "L'EVOLUZIONE DELL'ESTETICA"
ESTETICA ONCOLOGICA TIPOLOGIE ESEGUIBILI Il tatuaggio sopraccigliare viene effettuato prima dell’inizio della chemioterapia prima che il sistema immunitario possa risultare indebolito. Talvolta si può intervenire anche durante la chemioterapia quando l’oncologo dà il consenso al paziente in base alle sue analisi ematiche. Per quanto riguarda l’occhio invece, si può camuffare la caduta delle ciglia eseguendo una linea di Elyner infracigliare che oltre a definire lo sguardo, crea l’illusione ottica di infoltimento. Nel caso di intervento di asportazione seno e ricostruzione chirurgica a fine trattamento terapeutico e previa approvazione dell’oncologo, si potrà valutare ed eseguire attraverso il trucco semipermanente, la ricostruzione dell’ aureola mammaria. Altresì nel caso di comparsa di macchie labbiali il tatuaggio permette di camuffare in maniera permanete la problematica.
TATUAGGIO SEMIPERMANENTE La maggioranza dei pazienti oncologici sottoposti a chemio terapia viene esposta a diversi effetti collaterali. Tra i più conosciuti, si ha la perdita dei capelli, delle ciglia e delle sopracciglia. Questo comporta ovviamente nella donna soprattutto, un cambio di fisionomia molto radicale. Per i pazienti non si tratta di un vezzo, ma semplicemente di cercare di attutire l’impatto dei cambiamenti sul loro stato emotivo.
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Viviamo in un mondo che cambia
Le molteplici facce della tecnologia. L
’avanzamento del livello tecnologico dell’uomo ha avuto un andamento progressivo ed inarrestabile ad iniziare da un momento nella preistoria che, in base alle testimonianze finora disponibili, può essere ragionevolmente collocato a poco prima di 2 milioni e mezzo di anni fa. Le tracce archeologiche unitamente alle evidenze paleoantropologiche suggeriscono l’instaurarsi, in questo periodo, di una situazione sinergica fra tutta una serie di condizioni legate agli assetti ambientali vigenti e i caratteri anatomo-funzionali acquisiti da alcuni nostri antenati non umani. Di fatto ciò che distingue nettamente questi particolari primati superiori rispetto agli altri è la possibilità di un utilizzo diverso degli arti anteriori e soprattutto delle mani, dispensati, ad un certo momento delcammino evolutivo, dall’attività locomotoria a seguito dell’acquisizione della stazione eretta e della deambulazione bipede. In pratica, spostarsi utilizzando soltanto le zampe posteriori aprì un vasto scenario nell’uso di quelle anteriori adibite ad altre attività completamente diverse che in precedenza. E così, alla fine, eccoci qua: oggi folto gruppo e unico rappresentante di primati superiori che sono rimasti a testimonianza vivente di questo ennesimo “esperimento” nel vasto e variegato panorama evolutivo. La mano con la sua particolare ed affascinante struttura anatomica, in grado di manipolare gli oggetti, di afferrare le cose con estrema precisione, diviene in breve tempo ciò che probabilmente può essere considerato l’organo di senso più importante per un animale terrestre. Un formidabile mezzo di esplorazione. In definitiva, una sorta di vero e proprio “allungamento del cervello”. In effetti questa parte protesa del corpo permette di acquisire una enorme quantità di informazioni sull’ambiente di vita, con il grande vantaggio consistente nel fatto che è adibita primariamente a questo specifico scopo. Da qui è ragionevole dedurre che la conoscenza sempre più dettagliata del mondo circostante abbia costantemente
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stimolato il sistema nervoso centrale, ossia il cervello, preposto al controllo di tutte le attività vitali nell’ecosistema, ad organizzarsi progressivamente in tutte le sue parti proprio in risposta ai crescenti stimoli provenienti dall’ambiente esterno. Questo meccanismo virtuoso produrrà come risultato la collocazione di questo animale predatore al vertice della catena alimentare dotandolo, inoltre, di raffinata coscienza di se stesso. E per la prima volta sulla Terra si instaura una nuova ed inedita condizione nel rapporto fra un organismo vivente ed il suo ambiente di vita. Questa immagine è determinante consentendo di porre un punto fermo sulla realtà del legame stretto ed indissolubile fra la natura umana e l’ambiente naturale. Più precisamente, l’evoluzione dell’ambiente ha in qualche modo stimolato l’acquisizione, l’affermazione e lo sviluppo di particolari caratteristiche anatomiche e tali da consentire, alla fine, ad un organismo vivente di incidere intenzionalmente ed in modo determinante sull’evoluzione di quello stesso ambiente. Di fatto, ciò che accade oggi. Pur non essendo in grado di afferrare il significato profondo di questa nostra condizione, certamente siamo in grado di intuirne in modo chiaro i risvolti. Nonostante tutto oggi si registra un divario netto fra la nostra capacità, e potenzialità, tecnologica, così elevata da consentire certamente di affrontare e risolvere i problemi ambientali che noi stessi abbiamo concorso a determinare, e le effettive opere messe in campo a tale scopo. Questo appare un fatto illogico e quanto mai incomprensibile, ma per certi versi suscita anche sconcerto. In effetti tale realtà tende a porre una serie di importanti interrogativi sulla natura umana in generale, ma anche sui risvolti psicologici di una presa di coscienza delle proprie condizioni su un pianeta brulicante di altre forme di vita più o meno complesse. Oggi l’intenzionalità nel far prevalere in modo ostinato il raggiungimento di un risultato legato ad un
Enrico SQUAZZINI Centro Ricerche Paleoambientali di Arrone
concetto di crescita economica continua, da cui derivare un secco ed ingiustificato incremento del profitto anche di fronte al degrado dell’ambiente, piuttosto che promuovere la salvaguardia del sistema a cui è legata la nostra stessa vita, fa riflettere. Non piacevolmente, ma fa riflettere! Mi viene in mente il fatto che gli scaffali dei musei di tutto il mondo, e mi riferisco ai musei naturalistici, sono pieni zeppi di testimonianze di “esperimenti evolutivi” che ci hanno preceduto. Ci siamo prodigati nel recuperarle, studiarle e conservarle. Non sono sicuro che finora abbiano fatto in tempo ad insegnarci qualcosa. Ma se soltanto avessimo la capacità di coglierne il corretto e profondo significato, piuttosto che limitarci ad accumularli finalizzando tali operazioni al mero incasso del costo di un biglietto d’ingresso… È un dato oggettivo che il nostro livello tecnologico abbia raggiunto valori elevatissimi e che il suo progresso continua ad essere veloce ed inarrestabile. Forse talmente veloce da non lasciare del tempo alla riflessione che sarebbe normale in un essere intelligente. Tutto questo mi fa venire in mente l’ormai storico e profetico film di Charlie Chaplin “Tempi moderni”; chi non lo ricorda! Se così non fosse sarebbe bene che se lo vada a vedere! Potrebbe far sorridere ma, a conti fatti, sembra rispecchiare la realtà attuale. Oggi sembriamo tutti degli Charlot, vittime imbambolate immerse in un surreale concetto di frenetico inutile consumo, legato a sviluppo e continua crescita economica, a scapito di qualsiasi cosa: rapporti interindividuali, solidarietà, collaborazione, condivisione, salvaguardia dell’ambiente di vita e dei delicati equilibri naturali, insomma tutto ciò che in una specie biologica sappiamo essere indispensabile per il mantenimento della specie stessa. Chissà domani, in questo autentico delirio collettivo, quale bizzarra invenzione pensiamo ci possa salvare dal futuro, ben poco roseo, che sicuramente ci attende.
Auto elettriche ed idea di città D i recente, si discute parecchio se alle auto elettriche debba essere permesso l’ingresso in modo indiscriminato nella zona a traffico limitato, abbreviata ZTL. Il primo sentimento sarebbe di rispondere: Perché no? Un’auto elettrica non produce direttamente gas nocivi, quindi certamente non peggiora il nostro inquinamento. Anche questo è vero fino ad un certo punto, perché il fine vita delle batterie dell’auto elettrica, che non è mica un tram, è sostenibile e conosciuto fino ad un certo punto. Ma ammettiamo pure che le batterie durino tanto: ugualmente non dobbiamo cedere a questa tentazione perché le auto, siano pure elettriche, occupano spazio. E se sono tante, se lo prendono tutto, come in quella città dove non c’era più spazio per i pedoni, tanto meno per i bambini, nella favola “Il pifferaio e le automobili” di Gianni Rodari, che ha cinquant’anni, ma non li dimostra. Io quella città lì, l’ho conosciuta. Era fatta a misura di automobile, e non c’era spazio per null’altro. Quand’ero bambino, più meno all’epoca della favola di Rodari, per percorrere a piedi, supponiamo, via del Corso a Roma, ci si accalcava sui due strettissimi marciapiedi, mentre le auto, e gli autobus, e i furgoni e tantissime motorette passavano in fila su entrambi i lati della strada. Si era tentata, a quell’epoca, una pedonalizzazione di piazza Navona, ma i tempi non erano maturi, si dovette attendere qualche anno, perché in tanti protestarono: l’auto era considerata libertà. Spesso era la libertà di guardare gli altri da un finestrino in un parabrezza, ma non ci si badava. All’epoca Corso Tacito non era molto diverso, le auto magari erano meno, ma erano comunque padrone della città. E certi interventi urbanistici del primo dopoguerra, benché forzati dai vuoti lasciati dai bombardamenti, come l’apertura di via Mancini e quella del “cannocchiale” di largo Villa Glori, rispondevano in fondo anche a questo scopo: permettere alle auto di penetrare fino al centro della città e magari di sostarci tutto il giorno, cosa che ben presto si rivelò impossibile, perché un’auto ferma è egoista e vanitosa. Così, oggi a piazza Solferino giocano i bambini a pallone, come un tempo, e c’è una bella “campana” fatta col gessetto: negli anni ’60 c’era un parcheggio. Ogni tanto lego la bicicletta ad uno dei pali della piazza, che il Comune mi perdoni, perché a chinarmi alle rastrelliere rasoterra non ce la faccio, sto invecchiando anch’io. Oggi non s’immagina che uno voglia arrivare in auto proprio al centro che più centro non si può, perché tra i negozi del centro è
Carlo SANTULLI
Chalet della passeggiata (1915) (dal gruppo Noi che a Terni) molto meglio camminare, e non siamo più come Ernesto Calindri che sorseggiava il Cynar seduto al tavolino in mezzo al traffico del “logorio della vita moderna”. Ma poi, allontanandosi dalla guerra ed anche con meno ingenuità e meno necessità, non sono dedicate alle auto anche le aperture dei centri commerciali, dove si arriva con difficoltà a piedi e coi mezzi, perché non ci sono marciapiedi, o magari il percorso è costellato di rotonde e di svincoli con guardrail? E non sembra strano che sia difficile andare a piedi dallo stadio a Cardeto o da Cardeto a Borgo Rivo? Poche centinaia di metri, magari, ma che richiedono l’uso della macchina. Ancora più vicino a noi, le piste ciclabili, che spesso s’interrompono. Magari, come a vocabolo Staino, soltanto per cento metri, ma cruciali, se uno spera di riprendere sano e salvo la pista su viale Centurini. Anche questa è un’idea di città, e la distanza dalla fiaba di Rodari è a volte soltanto apparente, solo che gli anni sono passati. Dietro qualunque misura si prenda in città, c’è un’idea, anche se non si dichiara apertamente, non sempre per calcolo politico, magari, ma a volte per riserbo e delicatezza. Quando Cesare Bazzani, cui anche Terni deve tanto, progettava in queste forme liberty lo chalet della passeggiata, che vedete in foto, voleva dire che per lui Terni era una città turistica, e di un turismo di gran classe, perché soluzioni del genere, eleganti e fiorite, le potevate trovare nei luoghi, dove i nobili amavano villeggiare, a Baden Baden, a Cortina, od a Sanremo. Bazzani le aveva inserite nel parco di una città operaia e, come vedete, ci stavano bene ed a loro agio.
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Fuori dell'aula... il clan! I
n questi giorni tutta l’opinione pubblica è polarizzata su importanti questioni di stato che vede il Paese, come da rito, dividersi in due fronti: no tav-sì tav, No al processo-sì al processo a Salvini, a completare il quadro ci si mette il calo della produzione industriale e perfino una breve scaramuccia diplomatica con la vicina Francia che, se reiterata, potrebbe avere conseguenze pesanti. Il tutto condito a colpi di click (nuovo strumento di democrazia diretta avviato dal Governo del cambiamento) e seguito da uno sciame di insulti, sberleffi, provocazioni sui social. Basta farci una capatina e se ne scoprono di tutti i colori. Ma,dico, la democrazia si basa o no su valori come il rispetto per le idee altrui, anche se non condivise? Non mi pare che l’insulto, la denigrazione dell’avversario politico trattato da nemico da eliminare, a parole, speriamo, sia la strada giusta per arrivarvi! Lo vorrei tanto dire a qualcuno del Cambiamento, ma essi hanno ben altro da fare, proiettati come missili verso le europee! Europee uber alles, tutto il resto passa in seconda linea tipo la situazione in cui versa la pubblica istruzione in tutta Italia, ma soprattutto al Sud, in certe regioni come Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna dove peggiora di anno in anno. Il ministro della Pubblica Istruzione Marco Bussetti ha detto testualmente: Vi dovete impegnare forte. Non fondi, ma impegno lavoro e sacrificio. Questo ci vuole! Di fronte ad un problema così complesso come la situazione scolastica italiana nel suo insieme, nel Sud in particolare, il ministro non trova altro modo di esprimersi che sciorinando il solito rosario leghista inaugurato dal senatur Umberto Bossi, secondo cui nel Meridione d’Italia si anniderebbero i fannulloni e altrove gli uomini e le donne di buona volontà. D’altra parte cosa ci si poteva aspettare da un leghista della prima ora cresciuto tra gli slogan contro il Sud: ”Roma ladrona” che si trova catapultato senza troppo preavviso proprio a Roma e precisamente a Trastevere, uno dei quartieri più popolari della città. Forse per questo il neoministro non appena può, fugge dalla Capitale per tornare a Somma Lombardo nella sua amata Lombardia. Infatti da quando il 1°giugno ha prestato giuramento come ministro è diventato un viaggiatore compulsivo, compiendo ben 70 viaggi istituzionali, ovvero a carico dello stato, di cui 49 nella sua città di residenza! Evidentemente gli mancano la sua città e i suoi amici, dai quali torna appena può. Cresciuto nella operosa Varese ha fatto dei valori della prima lega i suoi princìpi ispiratori, come il suo amico Giancarlo Giorgetti, l’eminenza grigia del vice premier Salvini. Così Bussetti in 18 anni è passato dalle palestre degli istituti del varesotto all’incarico più importante della scuola italiana. Una storia fatta di lavoro, di sacrificio,senza dubbio,
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Pierluigi SERI
ma anche di molto Carroccio. Ma torniamo, dopo la necessaria digressione, al Sud. L’uscita a dir poco felice del ministro dimostra che il governo del cambiamento è molto lontano dalla realtà del paese da non sapere che al Sud l’impegno che mettono maestri e professori è al limite del sacrificio. Nelle regioni sopracitate il problema della scuola inizia dall’asilo nido pubblico che manca ed è carente anche nel Centro e nel Nord. Stenta a passare un messaggio fondamentale che la scuola deve essere una necessità per la famiglia prima ancora che per l’individuo,ma l’alto tasso di disoccupazione femminile rende la scuola una scelta più che una necessità. L’attuale governo non sta agendo sulle cause, preso com’è da urgenze elettorali e litigi tra partiti. I minorenni che sparano in zone di alta criminalità diffusa sono ragazzi che non vanno a scuola e questo è un problema che un Paese civile dovrebbe porre in cima alla priorità e invece non se ne parla affatto. In breve si preferisce girare lo sguardo altrove, ignorare anche quando si supera il livello di guardia, far finta di non sapere che tra chi ha le opportunità e chi non le ha passano pochi chilometri. Es. A Napoli la frangia di età 15-52 di non diplomati è del 2% al Vomero, mentre a Scampia a poche fermate di metropolitana, sale al 20%. Sembra che il potere politico ignori quello che esperti sociologi e studiosi ripetono da anni riguardo alle zone di alta densità criminale: I vuoti lasciati dallo stato e dalle istituzioni, vengono colmati dalle organizzazioni criminali. Il fatto che spesso si sottace, nonostante i rapporti dei vari commissariati, è che in molte grandi città, non solo Napoli ma anche Genova, Roma, Milano, Palermo sono in preoccupante aumento le baby gang composte da giovanissimi che disertano la scuola, da loro giudicata inutile per le loro aspettative, divenendo preda facile di organizzazioni criminali che sfruttano il loro desiderio di realizzarsi, di raggiungere il benessere economico in modo rapido, bruciando le tappe. Una strada all’apparenza facile, ma che spesso finisce in modo drammatico. Costoro non sono criminali incalliti di lungo corso, ma adolescenti che mettono da parte i libri ed impugnano la pistola. Come è messo in evidenza dai due libri di R. Saviano, “La paranza dei bambini” e “Bacio feroce”, ed. Feltrinelli. Questi adolescenti hanno aspirazioni di per sé legittime: avere un posto nel mondo, guadagnare, non sentirsi falliti, non vivere senza speranza. Succede così che ci sono dei luoghi dove per raggiungere questi scopi devi lottare duramente e fallire, ce ne sono altri dove, per ottenere ciò che vuoi, basta prendere una pistola. Una bella scorciatoia… ma senza ritorno! Verità e giustizia per Giulio Regeni
OPI (Ordine Professioni Infermieristiche)
L’uso consapevole dei Social Network
I
l mondo del terzo millennio viaggia ormai costantemente nel profondo blu della rete. Proprio in questa ottica, grande successo ha ottenuto l’evento organizzato dall’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Terni dal titolo “L’uso consapevole dei Social Network”, che si è tenuto il 27 febbraio, presso la sala conferenze del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, in occasione dell’Assemblea Ordinaria Annuale degli iscritti. Il tema, estremamente attuale, al centro dell’evento, ha dato vita a un dibattito intenso e proiettato verso il futuro e ha visto la partecipazione di un gran numero di professionisti Infermieri e anche degli studenti dei tre anni del Corso di Laurea in Infermieristica. Insomma, un sold out a dimostrazione di quanto il tema fosse sentito. L’assessore ai Servizi Sociali e Solidarietà Marco Celestino Cecconi ha portato i saluti dell’amministrazione comunale, sottolineando l’importanza della figura Infermieristica nella nostra società. I lavori sono iniziati con l’assemblea ordinaria degli iscritti 2019: la moderatrice Valentina Nobile ha dato la parola alla presidente dell’OPI di Terni Emanuela Ruffinelli che ha relazionato sull’attività svolta dall’Ente e illustrato il programma annuale, relazione seguita da quelle del tesoriere Mirko Casciotta e dalla presidente del Collegio dei Revisori dei Conti, Moira Checconi. Un momento di particolare, intensa emozione, lo si è avvertito durante la cerimonia celebrativa dei neo laureati 2018, quando hanno dato lettura del Giuramento dell’Infermiere, pronunciando pubblicamente il loro impegno nel rispetto delle regole di condotta professionale, sia in ambito tecnico sia in ambito relazionale. Dopo una breve pausa la moderatrice
Serenella Bertini ha introdotto il tema della sessione convegnistica. A prendere la parola è stato il professor Stefano Brancorsini (presidente del Corso di Laurea in Infermieristica Unipg sede di Terni) che ha sottolineato l’importanza dei social network nella didattica. “Se usati bene –ha sottolineato Brancorsini– agevolano il lavoro e accelerano i tempi con un’ottimizzazione anche nella didattica”. È poi intervenuta la dottoressa Agnese Scappini (social media manager e dottoressa in psicologia del lavoro) che ha tenuto una relazione su “Uso e consumo dei Social Network nell’ambito delle Professioni Sanitarie”. Infine l’avvocato Elena Cardaio (dello studio legale Alunni-Cardaio di Terni) ha messo in evidenza i delicatissimi aspetti legali nell’uso dei social network. Un argomento, questo, complesso e pieno di sfaccettature, tanto che la Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche ha recentemente presentato (13 ottobre 2018) un pronunciamento che è stato sottoscritto tutti da tutti gli Ordini d’Italia (N. 102) circa la condotta dei loro iscritti sui social: “Se i mezzi di comunicazione oggi ci hanno dato libertà di parola su ogni argomento e in ogni contesto -sottolinea nel documento la FNOPI- questo non significa che tale libertà sia esente da conseguenze anche disciplinari. Ogni comportamento che leda la professione e l’immagine dei professionisti attraverso i social sarà punito: la rappresentanza professionale si impegna a essere guida ed esempio per un buon uso dei social”. Ampio spazio è stato concesso poi al dibattito. Come dice il grande esperto delle teorie dell’informazione, Marshall McLuhan, il
mezzo è il messaggio. Tutto questo per spiegare che un identico messaggio, affidato a mezzi di comunicazione diversi, non risulterà mai uguale. Non sarà mai percepito, compreso e commentato nella stesa maniera. Per questo bisogna essere cauti senza “darsi in pasto ai social”; utilizzare quello che di buono ci offrono, ma essere molto attenti a non cadere nel blu di una rete che può ingoiare. Insomma, una giornata importante nel corso della quale l’Infermiere ha dimostrato di essere al passo con i nuovi tempi e di guardare sempre più, con occhio attento, verso il futuro.
Prof. Stefano Brancorsini
Dott.ssa Agnese Scappini
Avv. Elena Cardaio Foto di Salvatore Baiano Svizzero
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LA MÀTTORA N
ella casa contadina di una volta, se era costruita su terreno in pendenza, a piano terra trovavano posto le stalle, sopra le stalle la cucina con ingresso opposto alle stalle, e sopra ancora o sullo stesso piano le camere da letto. Se invece veniva costruita su terreno pianeggiante, la cucina al primo piano si raggiungeva con le scale e un pianerottolo chiamato mardarellu. Nelle cucine l’arredamento era costituito da un camino, una madia detta la màttora, una credenza a due sportelli alta un paio di metri, un grande tavolo con sedie impagliate intorno, qualche panca di legno, un lavandino e un appendi rame. Nell’appiccarame, com’era chiamato in dialetto, erano appese, in bella mostra, lucide pentole di rame di ogni forma e dimensione, con i pesanti coperchi infilati tra il muro e le assi di legno dell’appendi rame stesso. Tutto questo pentolame era necessario per cucinare nei giorni di maggior presenza di aiutanti a fare pagliai di fieno o nei giorni della trebbiatura del grano, ma anche nelle feste familiari come cresime, comunioni e matrimoni. Dubito che un giovane sia interessato a questi argomenti, ma se ce ne fosse almeno uno, per caso, vorrei informarlo che le APP esistevano anche negli anni ’50 del secolo scorso. Erano semplici ma c’erano: si chiavano APPicca rame, APPicca abbiti, APPicca sargicce e APPicca ronciu, e si fabbricavano in casa gli uncini di legno per APPiccare sulle capaci pertiche, protette dai topi con grandi mazzi di pungitopo, le pacche de lo lardu, priciutti, spallette e capucolli. A proposito dell’appicca ronciu, girava in quel tempo questa strofetta: Quanno Cristu creò lu cafone, Prima la vanga, po’ lu piccone; Po’ je mise l’appicca ronciu llanculu: “E mo vattene cafone fottutu”. Il camino era in grado di contenere al centro anche un grande caldaio di rame per cuocere il cibo per i maiali, la troccata (da trogolo), e ai lati i piccoli sgabelli di legno dove i bambini
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sedevano per scaldarsi. Con gli stinchi nudi e intirizziti dal freddo era un vero sollievo per loro infilarsi nel camino ma ogni tanto dovevano uscirne altrimenti rischiavano di prendersi le “vacche” fino alle cosce, ovvero quelle strisce violacee dovute all’eritema prodotto dalla luce della fiamma. Le finestre con gli scuri di legno e le porte erano piene di spifferi, piacevoli quando faceva caldo ma da starci lontano il più possibile quando il generale inverno si faceva sentire. Il baccano in casa era abituale, vuoi perché le famiglie erano numerose, vuoi perché quasi tutti abituati a parlare ad alta voce negli spazi aperti dei campi. In questa cacofonia di suoni c’erano bambini che cercavano di fare i compiti delle classi elementari e c’era anche chi, più grandicello, tentava di scrivere frasi in latino. Quando si scolava la pasta, via i libri, i quaderni e il vocabolario e al loro posto un fumante piatto di manfricoli fatti in casa col sugo di pomodoro
Vittorio GRECHI
profumato dall’estate appena passata e con sopra una spolverata di formaggio. Era bello vedere la madia ricolma di coppie di pane sfornate nella mattinata! “Non sprecate il pane” era l’avvertimento continuo dei nonni, dei genitori e degli zii. Loro sì che conoscevano il valore del pane! Quelli nati nel primo decennio del novecento avevano impresso nella mente un triste ricordo che raccontavano sempre: d’inverno giocavano a nascondino tra la calda cucina e le fredde stanze attigue. Mentre uno contava, appoggiato al muro con gli avanbracci che gli coprivano anche il volto, il bambino più grandicello saliva su una sedia, apriva il coperchio della madia e si nascondeva dentro tirandosi poi il coperchio sopra. Beh, direte voi, perché il ricordo è triste? Perché erano gli anni della Prima Guerra Mondiale e se ci si nascondeva nella madia vuol dire che il pane era finito da qualche tempo mentre la fame non finiva mai.
I Centri Sociali Anziani rappresentano una risorsa fondamentale per i territori in cui svolgono la propria attività. Una risorsa che potremo definire insostituibile sia per la loro funzione aggregativa, perché in molti contesti (città/quartieri/periferie e paesi) costituiscono ormai uno degli ultimi bastioni della socialità, sia per il ricco capitale sociale di cui dispongono e che mettono a disposizione della comunità. Negli ultimi mesi, a Terni, questi spazi a servizio della comunità sono stati oggetto di particolare attenzione con uscite non sempre felicissime da parte della nuova amministrazione fino a giungere, a febbraio, all'emissione di un bando per tutte le sedi di proprietà comunale dove svolgono la loro attività. Un clima non sempre piacevole che ha generato, come minimo, un senso di incertezza che ha rischiato e rischia tuttora di paralizzarne l'attività, soprattutto quella più qualificata legata alla progettazione sociale. A rischio, insieme a quelle fondamentali di socialità e aggregazione, svolte quotidianamente da centinaia di volontari, tutte quelle
connesse alla progettazione coordinata come, ad esempio, la sperimentazione di “Alzheimer Support Network” (che nasce con l'obiettivo di creare una rete di supporto alle famiglie di e con persone con Alzheimer e la creazione di Cafè Alzheimer a loro dedicati) o le attività a supporto dell'anziano fragile. Il locale Coordinamento dei Centri Sociali ANCeSCAO, che rappresenta la maggioranza dei Centri Sociali Anziani interessati dal bando, ha ripetutamente espresso le proprie perplessità sui contenuti del bando e richiamato la nuova amministrazione ad un confronto serio per la definizione e la co-progettazione di politiche sociali per la nostra Città. Noi ci siamo, come sempre. Disponibili a costruire insieme quel pezzo di risposta sociale che, finora, siamo stati in grado di offrire a tutta la comunità in maniera gratuita e volontaria. Il Presidente del Coordinamento ANCeSCAO Lorenzo Gianfelice
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Terni: Le sirene di lavoro e di guerra Adriano MARINENSI
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Terni, il 'canto' delle sirene (della Acciaieria) non è stato mai ammaliante quanto quello che tentò di sedurre Ulisse durante il tribolato viaggio di ritorno ad Itaca. Omero, nell'Odissea -il poema del dopoguerra (l'Iliade è l’epopea della guerra)– narra il passaggio del “pellegrino illustre” dinnanzi all’isola delle Sirene, mezze femmine e mezze pesce. Che lo adescarono così: 'O molto illustre Ulisse, o degli Achei somma gloria immortale, su via, ferma la nave e il nostro canto ascolta'. Lui però, non si fece infinocchiare. Legato all'albero maestro, evitò il tranello. Non poterono invece disdegnare il suono delle sirene i siderurgici ternani. Si era intorno alla metà del secolo scorso, pressappoco un decennio prima, un decennio dopo, quand’ancora la grande fabbrica occupava il centro della scena. La sirena rappresentava la “voce del padrone” che chiamava gli operai al travaglio quotidiano. Come la tromba, in caserma, imponeva la sveglia alla buon’ora. Ogni turno, tre squilli. Il primo di avvertimento, il secondo di sollecitazione, il terzo ad indicare che il tempo d’entrata ai cancelli era scaduto. E i lavoratori ad affannarsi in fretta, in fretta, pedalando alla bersagliera. Poi, il prezioso mezzo di locomozione (ricordate “Ladri di biciclette”?) veniva custodito, appeso all'insù, nei ganci delle rastrelliere, il parcheggio di quell'epoca. Molte biciclette furono sostituite dai Paperini, piccoli ciclomotori assistiti dalla pedalata perché un po' sfiatati. Li mise a disposizione dei dipendenti, la Soc. Terni, con saldo a rate e ritiro sulla busta paga. Parve una conquista quel minuscolo locomotore. Questi gli operai di allora, quando le regole dell’economia industriale li consideravano “fattori della produzione”. Pochi gli ammortizzatori sociali, rischiosi i processi di lavorazione, un riguardo strabico per la salute, l’uomo al servizio della macchina che sembrava il monumento alla fatica.
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La sirena dettava i tempi pure fuori dei luoghi di lavoro e la città, al suono, adattava il suo far presto e il suo far tardi. Gran parte della giornata scandita approssimativamente. D’altronde, le incombenze dell’orto e del pollaio erano prive d’assillo. Insomma, soprattutto in campagna, vigeva “l’ora legale” del contadino, con il sole che segnava le albe e i tramonti. Tutt'al più, in qualche centro storico di periferia, l'orientamento lo davano i rintocchi dell'orologio posto in cima al campanile. Poi, vennero gli sciagurati tempi dei bombardamenti. Ed ecco la sirena assumersi pure il compito di “sentinella del cielo”. L’addetto alla manovra la faceva funzionare ogni qual volta gli segnalavano l’avvicinarsi di aerei nemici alla conca ternana. Lui, pronto, lanciava l’allarme. Un suono fosco e intermittente che un po’ incuteva paura. Al suo al lupo, al lupo, si dette poco retta fintanto che il lupo arrivò davvero sopra la città, facendo il finimondo. Da quel momento, ad ogni ululato, via di corsa dentro i rifugi antiaerei. Uno di questi “salvagente” sta ancora sotto casa mia in campagna, tal quale com’era allora, con in più la luce elettrica, perché l'illuminazione (fioca) di guerra veniva affidata (detto in vernacolo) alla “scintilena”, un marchingegno funzionante con la fiammella del gas acetilene, sprigionato dalla goccia d’acqua sopra il carburo di calcio. All’aperto, di notte, vigeva l’oscuramento che vietava ogni sorta di luci e fuochi. Di giorno ad oscurare il cielo (si fa per dire), ci pensavano i soldati. Due ce n'erano dalle mie parti. Avevano in dotazione una tenda per dormire e un fusto di ferro contenente un liquido, per noi ragazzi, misterioso, perché si trasformava in gas attraverso un piccolo apparecchio aggiunto. Serviva "dicevano gli adulti" per nascondere la città alla vista degli incursori. Che invece, vedendo quel fumo, ci buttavano dentro le bombe. Per fortuna, il “colpo di
genio militare” della nebbia artificiale ebbe vita breve. All’inizio, il mio rifugio antiaereo era soltanto una piccola grotta che faceva da frigorifero di famiglia. E, nei primi tempi di guerra, da pseudo difesa in caso d’allarme. Dopo, visti gli effetti distruttivi degli ordigni piovuti dal cielo, ci si accorse che non bastava. Occorreva maggiore profondità e sicurezza. Ha quasi 80 anni la caverna ed è la testimonianza di una storia. La scavarono gli uomini validi del vicinato, una rincorsa frenetica ad andare sotto terra, giù, sempre più giù, a colpi di piccone. Una impresa titanica e una montagna di sabbia e pietrisco portati in superficie, a braccia, un secchio dietro l’altro, attraverso la catena umana, allungata ad ogni avanzamento. Oltre a due pozzi d’uscita fuori dal perimetro della casa per evitare le macerie che, in città, fecero da trappola. Ad accelerare il lavoro di scavo, il coraggio della paura, oltre alla sirena dell'Acciaieria col il suo 'canto' poco affascinante, ma molto proficuo, perché servì a salvare tante vite, altrimenti in balìa degli spregevoli “bombardatori” a tappeto. Era la barbarie, bellezza! Che ti faceva diventare una talpa. Oltre a costringerti quasi alla fame. La “tessera annonaria” per comprare il pane, un etto al giorno per persona. Mi ricordo di quel camion–officina tedesco che finì fuori strada lungo la discesa delle Marmore. Lo lasciarono incustodito. Dentro c’era un grosso canotto di gomma. Trafugato e fatto a pezzi, servì egregiamente per farci le suole delle scarpe. Le suole di cuoio, il calzolaio le rinforzava con le "bollette a sette botte" (così le chiamavano forse perché ci volevano sette martellate ciascuna per infiggerle) onde evitare il consumo. Poi, tornò la pace che ci restituì una vita dal volto umano. Pur se in una Terni ridotta in tocchi, come disse –riferito all’Italia– Re “sciaboletta” a Mussolini il 25 luglio del 1943, quando lo fece arrestare.
“PER LA SOSTENIBILITÀ ...CHIUDERE IL CERCHIO” Giacomo PORRAZZINI
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rmai a tutti è noto che, per impedire la catastrofe climatica incombente sull’intero pianeta, a causa di un’attività umana divenuta incompatibile con gli equilibri dell’ecosistema terrestre, occorre, con urgenza e radicalità di scelte, riorientare lo sviluppo economico e sociale verso la sostenibilità. Una sostenibilità che non va intesa come un vincolo alle attività umane, ma come fonte di inedite opportunità di sviluppo, di lavoro, di equità, di avanzamento della nostra civiltà, entro un rinnovato patto con la natura. Uno dei pilastri fondamentali dello sviluppo sostenibile è, certamente, l’economia “circolare”; cioè una economia che fa del recupero e riuso dei materiali, di cui sono fatti i beni di consumo e gli stessi scarti delle attività produttive, la sua caratteristica fondamentale. L’affermazione e la crescita di tale nuova economia che già oggi, in Italia, vale quasi 100 miliardi di euro e 600.000 posti di lavoro, consentirebbe al nostro paese grandi risparmi di materie prime ed energia, oltre la riduzione di enormi quantità di rifiuti urbani, di imballaggi ed altri rifiuti speciali. Si tratterebbe di una grande beneficio apportato, non solo, al nostro ambiente ed alla salute pubblica, ma anche alla nostra economia, essendo l’Italia un forte paese manifatturiero esportatore che, tuttavia, privo com’è di fonti energetiche e giacimenti di molte materie prime, deve importarle dall’estero; con un forte peso sulla bilancia commerciale nazionale e sui costi di produzione delle nostre imprese. Praticare l’economia circolare, inoltre, stimola la crescita di nuove competenze scientifiche e tecnologiche, nuove opportunità formative e di lavoro per i giovani, in quanto gran parte dei prodotti in uso dovranno essere “riprogettati”, sia per allungarne la durata, sia per rendere il loro ciclo di vita coerente e funzionale alle attività di recupero, riciclaggio, riuso e risparmio energetico.
Un esempio concreto può essere quello degli imballaggi fatti da più materiali assemblati insieme che, attualmente, assai spesso, non si prestano, al momento della raccolta differenziata, alla agevole separazione, l’uno dall’altro, e vengono, inevitabilmente, inviati, quali rifiuti “indifferenziati”, alle discariche o all’incenerimento. Discorso simile si potrebbe fare per molti piccoli elettrodomestici e rifiuti elettronici, per i quali vanno resi responsabili, ai fini della riciclabilità, non solo gli utilizzatori ed i distributori, ma, anche e soprattutto, i produttori. Su questo tema che è parte integrante dell’economia circolare, recentemente, la Comunità europea ha emanato delle norme che provano a fare maggiore chiarezza ed a spingere avanti, anzitutto, le azioni preventive, volte a ridurre la quantità dei materiali di scarto inglobata nei prodotti e ad incrementare il recupero e riutilizzo delle cosiddette materie seconde, per evitare alti costi economici ed ambientali di smaltimento e per sostenere nuove attività produttive. Gli obiettivi fissati dalla legislazione europea prevedono che, entro il 2030, il riciclaggio dei rifiuti urbani arrivi ad almeno il 60%, che quello degli imballaggi non sia inferiore al 70%, dei metalli ferrosi all’80%, della carta all’85% e quello della plastica al 55%. Un grande sforzo è richiesto a tutti per il recupero massimo della componente organica dei rifiuti e dei rifiuti domestici pericolosi, come quelli elettronici, che contengono, se riciclati, una miniera d’oro. A proposito della plastica, gli scienziati hanno, recentemente, confermato l’enormità del problema dell’inquinamento dei mari dovuto alla degradazione in microplastica che entra nella catena alimentare dei pesci e dell’uomo, con effetti tossici sulla fauna ittica e sulla nostra salute. Rispettando tali obiettivi, la Commissine europea stima che, entro il 2035, si possa ridurre al 10% del totale la quantità di rifiuti
da smaltire nelle discariche. Lungo questo percorso virtuoso l’Italia, di solito in coda nelle classifiche europee, non appare in ritardo, anzi, fa parte del gruppo dei paesi più virtuosi ed attivi, seppure con differenze fra Nord e Sud. L’Italia, infatti, è avanti nelle classifiche relative alla minor quantità di scarti di lavorazione, al riuso di materie seconde, ricavate dal riciclo, nei processi produttivi ed alla differenziazione dei rifiuti urbani e speciali. La nostra economia circolare, pertanto, ha delle basi solide sulle quali compiere un ulteriore balzo in avanti, per diventare, nei prossimi anni, una delle componenti principali del PIL nazionale. La logica di tale economia sta nel fatto che chi produce e chi consuma diventi responsabile del ciclo di vita del prodotto. Tutto ciò porta con sé una forte capacità di innovazione e un design di prodotto fatto per durare, per essere disassemblato, per essere differenziato e riciclato o riutilizzato nella sua interezza o in singole parti. Nella nostra realtà ternana i risultati raggiunti nella raccolta differenziata, arrivata al 65%, e nel riciclo sono importanti ed incoraggianti per il futuro. In fondo, anche la nostra grande Acciaieria fondendo nei suoi forni elettrici e lavorando nei suoi laminatoi rottami di acciaio, appartiene al grande campo dell’economia circolare, seppure con un consumo di energia elettrica ed un impatto ambientale di emissioni gassose, liquide e scorie ancora troppo alti. Anche l’industria chimica ternana si è già incamminata verso la chimica verde. Ora, perché si possa passare ad una vera economia circolare locale, oltre a far crescere il risparmio energetico e l’uso di fonti rinnovabili, come il solare, ed a compiere ulteriori passi per il recupero delle materie seconde dai rifiuti, è auspicabile veder nascere nuove imprese manifatturiere e centri di ricerca, a partire dalla locale Università, in grado di operare, da protagonisti, in questo settore del futuro. Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
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“Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti” Andy Warhol
Due riflessioni critiche che, a partire dalla nota e provocatoria affermazione di Andy Warhol sulla fama, percorrono due direzioni opposte, pur fondandosi su una identica visione negativa dei falsi miti del presente. Prof.ssa Giovanna Scuderi
Quindici minuti di gloria. Nella nostra società siamo milioni e milioni di macchie che sfumano l’una nell’altra, siamo tanti sguardi morti che si scivolano addosso, le strade sono vuote eppure abitate da maschere, come in un perenne carnevale. Cosa desiderano oggi gli adulti del futuro? Vogliono essere qualcuno, vogliono essere le maschere più belle di tutta la festa e spiccare nel mare di macchie, vogliono essere famosi. La fama è tutto, il valore dato ad essa nella nostra società è fondamentale, è l’unico modo per lasciare un segno, per affermarsi come essere umano tra la mandria senza nome. Chiunque vuole essere almeno un po’ famoso nel suo piccolo, con i vestiti che portano i volti di instagram, le scarpe di tendenza, quindici minuti di gloria, nei corridoi della scuola, alla festa della parrocchia, agli occhi di qualcuno. Ma perchè siamo tutti così allettati dai riflettori e dalla vuota approvazione altrui? Cosa cerchiamo nel ventre della notorietà? Forse cerchiamo sicurezza, forse cerchiamo un futuro, una piattaforma più o meno solida sotto i piedi di fronte ad un avvenire che crolla pezzo dopo pezzo davanti ai nostri occhi. Vogliamo concentrare tutte le nostre forze in un unico obiettivo per dare un senso alla trivialità delle nostre vite, assordati dalle urla delle pubblicità e dagli sguardi di tutti. Ovunque guardiamo, qualcuno ci sbatte in faccia i suoi quindici minuti di gloria, come se fossero il loro avere più prezioso, al giorno d’oggi quel boccone di fama che tanto disperatamente cerchiamo non è così difficile da ottenere in fondo, tramite le piattaforme digitali o i reality show, che sono disponibili a tutti, il fortunato vincitore potresti essere proprio tu, perché non provare? Cos’abbiamo da perdere se non una dignità della quale il valore oggi è equivalente allo zero? Farei di tutto. Di tutto per avere anche solo un assaggio, un respiro di libertà dal mare soffocante dell’anonimato, questo è il pensiero che, proclamato o nascosto, popola le menti di tutti.
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Eppure del marcio c’è, qualcosa si nasconde dietro questi amati quindici minuti, perché una volta raggiunta la fama ci si trova a volerne ancora, il mondo sfavillante dei social media è costruito sulle carcasse dei disillusi, sulla falsità e sull’insoddisfazione. Morale della favola: neanche la fama può riempire il vuoto divorante dell’instabilità, è un teatro senza senso dove sei molto felice, molto triste, molto ricco, molto famoso, molto bello o molto brutto, un mondo di archetipi dove non esiste il grigio, ma solo il nero e il bianco, le sfumature sono annientate a favore di tanti personaggi caricaturali che ci danno l’idea di avere una personalità e di avere degli amici, o sei buono o sei cattivo, o conti qualcosa o non conti niente. Il bisogno di essere accettati è soffocante, dobbiamo piacere a tutti, ma, soprattutto, non possiamo permetterci di essere diversi, dobbiamo essere come gli dèi che veneriamo, un pantheon di divinità umane che cerchiamo di imitare, perché in fondo sono come noi, come un silenzioso ritorno al paganesimo, una tribù che venera dèi spietati. Una madre porta la figlia al saggio di danza, sarà la migliore di tutte, la protagonista, nel suo bel tutù color confetto, le pioveranno
addosso gli applausi e i complimenti degli altri genitori, sarà una madre fiera, la migliore del vicinato; per quindici minuti. Torna a casa, ha preparato un dolce per i suoi amici, e piacerà a tutti quanti, tutti le faranno i complimenti, sarà la miglior cuoca del vicinato, per quindici minuti. Oggi ha messo i suoi vestiti migliori, di marca, sono costati parecchio, e sarà la più bella di tutte, per quindici minuti. Sotto ai suoi capelli freschi di parrucchiere e al suo sorriso smagliante, alla sua collana di perle regalatale dal marito avvocato, sotto alla sua figlia prodigio e al suo dolce alle mandorle, una vita di quindici minuti, quindici maledetti minuti che vogliono, che devono riempire una vita fatta di anni di silenzio. Siamo la società dei quindici minuti, delle maschere, siamo uno, nessuno o centomila, basta il fischio di un treno per farci impazzire, per farci guardare oltre a tutte le apparenze, forse, basta non farsi troppe domande e andare avanti, venerare gli dèi dei cartelloni pubblicitari, giurare fedeltà alla società dei “mi piace” e provare ad essere qualcuno per sentirsi veramente liberi per una volta, raggiungere la terra promessa della notorietà, e spera di non farti domande. Aurora Castronuovo, classe 2B
NO TIME FOR LOSERS, ‘CAUSE WE ARE THE CHAMPIONS OF THE WORLD Quante volte, sentendo parlare di personalità immortali come David Bowie, Charlie Chaplin o Tolkien, sentiamo il nostro cuore alleggerito da un peso insopportabile? Il fatto è che il ricordo ancora vivo e pulsante di questi personaggi senza tempo è un po’ quell’ancora di salvezza che ci impedisce di affogare nel soffocante terrore dell’oblio. Perché l’uomo è sempre stato terrorizzato dall’idea che la propria vita, seppur effettivamente tangibile, possa, con la morte, essere dimenticata con crudele semplicità, entrando di fatto in una dimensione di non esistenza in cui ogni piccolo aspetto di essa diventa tristemente irrilevante. Eppure uomini John Lennon non moriranno mai dal momento che, ogni giorno, la loro vita viene riportata alla luce dalla sognante ammirazione della collettività. Perciò l’umanità, gongolante di fronte a questa idillica visione della fama come immortalità gratuita, arranca per conquistare un’effimera notorietà garantita dall’odierna società consumistica. Andy Warhol diceva che «Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti» ed è incredibile quanto questa sua pessimistica previsione risulti calzante alla realtà dei nostri giorni. Difatti nel 2019 l’industria televisiva e i social media incoraggiano una sanguinosa lotta per la celebrità in cui, nell’assoluta sovrabbondanza di partecipanti, emergono naturalmente la bellezza e lo scandalo. Ci ritroviamo quindi circondati da una grande mole di vip artefatti ed eccessivi che si susseguono convulsamente, lasciando tuttavia la pagina storica dei nostri giorni tristemente bianca. In un clima in cui la meritocrazia sembra essere ormai divenuta inarrivabile leggenda, prevale la silente e debole accettazione di quei «quindici minuti» di fama nati da una discussione sotto una foto di Instagram o da una zuffa in un programma televisivo. Qualche sera fa, arrivata al cinema con grandi aspettative e occhi sognanti, ho assistito alla proiezione della pellicola “Bohemian Rhapsody” che racconta la storia dei mitici Queen, focalizzandosi sulla straordinaria figura di Freddie Mercury. E proprio lì, seduta sulla scomoda poltroncina blu del The Space, sorseggiando meccanicamente la mia Coca-Cola e divorando pop-corn, ho sentito il mondo intorno a me scomparire completamente, sotterrandosi colpevole di fronte ad un così puro e spassionato ottenimento di quella fama immortale a cui aspiriamo tutti, ciechi ed inconsapevoli. E per la prima volta ho visto Facebook farsi da parte cullato dalle note di “We are the champions”, “Uomini e donne” nascondersi imbarazzato all’entrata in scena di “Somebody to love”, le tendenze di Youtube oscurarsi alla luce abbagliante di “I want to break free”. Ho visto lo sguardo malinconico della nostra intera società rivolto a quel live Aid del 1985 combattere contro il giogo di banalità che ci tiene tutti sotto scacco. Ho visto lacrime bagnarmi il volto all’idea che ormai, nel nostro periodo storico non ci sia più posto nella Walk of
Fame per quelle personalità virtuose che hanno reso il passato una pagina di storia. Ho visto i miei vicini di poltrona provare le stesse emozioni che stavano divorando me con violento impeto, lo stesso tacito grido di dolore nascondersi dietro le loro pupille vacillanti, la stessa rassegnazione rigare le loro guance. E, per quanto possa effettivamente risultarvi bizzarro, tutto quel rammarico mi ha fatto sentire invincibile. È proprio come quando, dopo aver ormai toccato il fondo, non riesci comunque ad arrenderti all’oscurità e trovi una forza nascosta ed ardente che riesce nuovamente a farti raggiungere la luce. Forse non doveva finire così, forse bastava solo un atto di fede, forse un gruppo di giovani ribelli avrebbe salvato la situazione ancora una volta. Forse sarei stata io una di quei paladini coraggiosi. Perché il mondo prima dei Queen era semplicemente il mondo senza Queen e nessuno avrebbe mai potuto prevedere che quella band avrebbe segnato la storia contemporanea, rendendo il passato in qualche modo mutilo. Magari quel pietoso susseguirsi di mediocrità si sarebbe presto dissolto con l’arrivo di un personaggio ambiguo ed umano, capace con la propria umana unicità di far appassionare il mondo intero. Così, mentre le note di “Don’t stop me now” accompagnavano i titoli di coda da diversi minuti, mi sono resa conto di essere rimasta sola nella buia saletta del The Space, illuminata solamente da vecchie polaroid proiettate sul grande schermo. Solo quando l’ultima foto è scomparsa in dissolvenza sono riuscita ad andarmene, lasciando dietro di me oscurità e silenzio. Eppure, come se il mondo avesse voluto mettermi alla prova, appena uscita dal cinema e infilate le cuffiette nelle orecchie, ho ricevuto questa notifica Google: “Bufera sull’isola dei famosi, la Henger: «Monte ha portato droga» + Video”. E, mentre sentivo la speranza provata solo pochi minuti prima vacillare come polvere nel vento, le note di “Show must go on” hanno rialzato la mia fiducia in picchiata verso l’autodistruzione. “Dietro il sipario, nella pantomima mantenere la posizione. C’è qualcuno che ce la fa ancora.” mi spronavano quegli echi immortali. Così mi sono vestita dei miei sogni più folli, ho messo il coraggio in spalla e mi sono fatta guidare dal desiderio di riscatto. Sono una ribelle stravagante che cammina da sola su questo sentiero, con i piedi pesanti e le ferite pulsanti di mille cadute roventi. Aspetto compagni di strada, sopporto le piaghe del viaggio, lotto per la salvezza dell’immortalità. Non posso arrendermi, non posso permettere che si interrompa. Lo spettacolo deve andare avanti. Giorgia Cecilia, classe 2B
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