Numero Quattro

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Giuseppe Longhi pag.6

Verso nuove morfologie?

Leonardo Ciacci

Adalberto Dias vs Cherubino Gambardella

Silvia Dainese

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Alle ore 17.00 nell’Auditorium del Cotonificio di S. Marta la quasi totale mancanza di pubblico sembra rallentare i tempi e la conferenza inizia con mezz’ora di ritardo. Ci attendiamo un dibattito vivace e dinamico, vista la natura particolare dell’argomento. «Nel panorama dell’architettura contemporanea le tematiche che stanno alla base del pensiero e della riflessione di molti appaiono strettamente legate alle questioni morfologiche. Non bisogna approcciarsi all’architettura con atteggiamento fideistico ma essere aperti alle linee culturali delle differenti scuole». Esordisce così il Preside Giancarlo Carnevale, premettendo inoltre che la conferenza non sarà di facile ascolto, non tanto per l’ermetismo dei contenuti, quanto per la difficoltà effettiva del professor Dias a farsi sentire. L’architetto portoghese infatti sembra aver perso la voce, “per l’emozione” (dice) di essere ospite di un’università di grande prestigio. La domanda che gli viene posta riguarda la situazione attuale dell’architettura: «è in atto un cambiamento o la situazione è in stallo?» Adalberto Dias ritiene che, in questo momento, si stia attraversando una fase di stabilità. Alla pratica architettonica odierna manca spesso una reale considerazione della disciplina come interazione tra forma, spazio e materia. Gli edifici attuali non sempre possiedono questa caratteristica, sembrano concepiti come forme definite a priori, e utilizzano materiali a volte di derivazione sintetica privi di qualità sensoriali; non esiste infine un reale interesse per lo studio dello spazio. Per evitare che questo accada non esistono regole fisse. È importate che sin dall’approccio al progetto vi sia una profonda conoscenza del sito. Vivere il luogo è fondamentale affinché ogni architettura possa assumere i connotati più adatti. Dias si definisce un progettista eclettico proprio

per la sua capacità di concepire architetture ogni volta diverse, pensate “alla misura del contesto”. Prosegue illustrando alcuni progetti in cui notiamo l’importanza che hanno nella sua ricerca la reinterpretazione di forme semplici e l’esigenza di dare ritmo e movimento alla composizione attraverso variazioni di uno stesso tema. Alla forza sommessa delle architetture di Dias si contrappone il carattere deciso dell’opera di Cherubino Gambardella. Il professore partenopeo puntualizza fin da subito la sua posizione nei riguardi dei temi più discussi nel panorama dell’architettura attuale. Gli interessa poco approfondire le questioni dell’urbanistica, del paesaggio e del territorio; provocatoriamente afferma che lo studio di tali elementi indaga aspetti lontani dalla sensibilità umana. Non dobbiamo pensare ad un’architettura politically correct, ma nemmeno ad uno spot graffiante che urti per forza l’immaginario dando forma ad un sistema tachicardico dalle sfumature grottesche. Il mistero, nelle opere architettoniche, va riscoperto e mantenuto. L’architetto descrive alcuni suoi progetti sollecitando l’attenzione del pubblico su teorie, sostenute con passione, che ruotano attorno all’idea di “bellezza democratica” e affermano l’importanza di una sorprendente dimensione anarchica in architettura. In ultimo: la storia non esiste, i grandi architetti del passato si confrontano con quelli attuali su di un piano sincronico. Segue un veloce scambio di opinioni tra i due architetti che tuttavia non sembrano manifestare troppo il desiderio di confrontarsi. Forse un pubblico più vivace e, soprattutto, maggiormente presente sarebbe bastato a creare un atmosfera più consona a un vero dibattito. L’indifferenza non aiuta la crescita di nessuno.

C. Gambardella

C. Gambardella

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ven 4 luglio 2008 anno secondo

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A. Dias

Elena Zadra

A. Dias

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venerdì 4 luglio 2008

Per un’architettura democratica Nel sistema americano ed europeo ho notato un maggiore pragmatismo. Si inizia direttamente dalla realtà fisica progettuale per poi occuparsi della teoria. In Italia partendo da un alto grado di concettualizzazione si arriva in un secondo momento al progetto reale. Personalmente penso che quello italiano tenda a rendere le architetture più durevoli, ad emozionare nel tempo mentre all’estero si cerca l’emozione immediata, che non dà necessariamente luogo ad una sedimentazione durevole. Il suo workshop ha un tema particolarmente ambizioso. È possibile realizzarlo o ha un valore di pura esercitazione? Il progetto segue la natura stessa del paesaggio lagunare che è mobile e si sposa col tema dell’attraversamento sull’acqua. È certamente possibile, trae ispirazione dal Teatro del Mondo creato per la Biennale da Aldo Rossi. Noi però non puntiamo a costruzioni su zattere o battelli, il nostro fine è una vera e propria “architettura galleggiante”, atta a contenere strutture turistiche o sportive

temporanee. Ciò che mi preme insegnare è la ricerca di una “bellezza democratica”. Se un’architettura è bella, essa crea emotività e quest’ultima è comprensibile per tutti, non ha carattere elitario. Non trovo importanti le classificazioni secondo il tipo o la forma. Nel mio libro Codice policromo ho spiegato come dal colore e dai codici che esso possiede si arrivi allo spazio. Per esempio il codice bianco è legato allo scheletro: per me questo bianco è rappresentato da Casa Farnsworth di Mies o dalla Basilica di Palladio. Questi elementi vanno utilizzati senza prospettiva storica, io vivo tutte le architetture intorno a me come contemporanee. Lei è direttore della rivista d’architettura «Compasses», edita a Dubai. Che cosa preferisce evidenziare? Che ruolo ha la critica nell’architettura di oggi? Non amo lo star system, apprezzo tuttavia alcune opere realizzate a Bilbao e le ultime opere di Herzog e de Meuron, ma soprattutto tento di dare spazio ai maestri contemporanei. La critica oggi “punge” ma in un modo un po’ finto, dovrebbe essere più tagliente e se-

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Intervista a Cherubino Gambardella

lettiva. I critici di un tempo hanno risollevato l’architettura italiana mettendola al centro del dibattito internazionale quando l’Italia si trovava in ombra rispetto alla supremazia di altri paesi come ad esempio l’Olanda o il Giappone. Personaggi come Tafuri hanno dato voce e costruito il mito delle generazioni di architetti nati tra la fine degli anni venti e gli anni quaranta: da Gregotti a Purini, a Venezia…Scopriremo col tempo se mai ci sarà nuovo Tafuri. Lei è originario di Napoli ed è anche docente in una facoltà del sud (Aversa). Esiste un “gap” tra la realtà architettonica meridionale e quella settentrionale? Soprattutto nella committenza, che in generale è meno facoltosa e costringe a tempi burocratici più lunghi, tipici del sud. Un architetto che riesca a costruire in un tempo limitato qualcosa in questo contesto è da tenere in buona considerazione. Francesco Leoni

E Silvia sfila tra banchi di scuola… e di sabbia!

Intervista a Silvia Dainese

Dato che siamo in periodo di vacanze e viaggi che ne direbbe di parlare della sua esperienza a New York? Forse sono stati gli anni più importanti perché mi sono laureata in aprile e ho lavorato nello studio di Gino Valle con Giuseppe Camporini due mesi, poi ho avuto l’opportunità, prendendo un po’ di soldi per un lavoro fatto in occasione del G8, di partire per N.Y. dove mi sarei trattenuta per pochi mesi, lavoravo per la rivista di architettura «Utopica» e mi sono divertita a fare l’inviata a N.Y., e questa cosa interessante e un po’ buffa mi ha aperto le porte a un sacco di studi. Quando ho finito i soldi in America, sono andata a lavorare per un po’ nei ristoranti italiani ed è stato molto divertente, finché sono arrivata allo studio dei miei sogni. Io ero innamorata di Siza e avrei voluto lavorare in Portogallo o in Spagna, invece ho lavorato per i Five Architects, e il loro stile allora mi piaceva molto, ma alla fine è stata una delusione, infatti dopo pochi mesi me ne sono dovuta andare, perché negli studi grandi di N.Y. sei come in una catena di montaggio nella quale l’ultimo arrivato fa sì e no delle maquette. Io ero nel corridoio che curava le case di Spielberg ed era tutto così figo, ero tutta felice, ma dopo pochi mesi me ne sono andata e tutti: «Sei pazza! Pensa al curriculum!» Quanti anni aveva allora?

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Sono rimasta là dai ventiquattro ai trenta, anche perché non potevo tornare subito, non volevo deludere le aspettative dei miei genitori, e poi a dirla tutta sono tornata per una storia d’amore, io e il mio fidanzato eravamo decisi a vivere questa storia tra N.Y. e Venezia, finché non ci siamo lasciati e io mi sono ritrovata da sola a Venezia e senza la forza né sentimentale, né economica per tornare in America, ed è stata dura riabituarsi alla vita italiana. Sapeva l’inglese quando è partita? Io avevo fatto il liceo classico, per cui sì, però i primi mesi anche quando facevo la cassiera nei ristoranti italiani alla moda e dovevo fare quelle cose con la carta American Express non capivo! Mi sono accorta poi che dopo un master di cinema, smesso poi stupidamente, perché veramente è stato il momento più bello della mia vita, tornando all’università, il mio inglese era diventato in realtà uno slang da strada, era un linguaggio anzi da cantiere! E dovendo raccontare i miei film, i miei progetti, sentivo che non avevo più un linguaggio accademico ma un po’ più da immigrata! E a proposito di terminologie, cosa significa il termine “concept”? Spesso le aziende mi chiamano proprio per fare concept. Il concept è creare idee vincenti, è come la creazione di una strategia in vitro, ovviamente nel mondo

dell’industria; è una fase astratta in cui non ci si cala ancora nel reale, quindi si riesce ad avere un linguaggio in comune con l’interlocutore, in questo caso il mondo economico, con cui si stabiliscono delle regole e dei criteri che poi diventano il progetto di massima di qualcosa che si materializza. È la fase prima che tu riesci a condividere con un cliente. Infatti credo che la parola concept sia ormai abusata nel linguaggio comune un po’ stupido, la parola giusta è “idea”. E la sua idea per questo workshop pensa che possa essere realmente utile per Venezia? Sono partita dal presupposto che i ragazzi avessero bisogno, dopo un anno di lavoro accademico, di dover affrontare qualcosa di leggero e apparentemente ludico. Io per parecchi anni ho vogato alla veneta, e avevo il mio sciopòn, con cui mi sono divertita a scoprire ed amare la laguna, anche in novembre, quando oltre la nebbia senti solo il suono delle campane. Mi sono resa conto però che molti studenti non sono curiosi o interessati ad appropriarsi di questo luogo, per cui il modo giusto per guidare i ragazzi era intanto trovare un luogo che esistesse davvero, e ho scelto questo per me magico: questa secca che affiora solo pochi giorni al mese, dove i veneziani arrivano col barchino, il cane, la nonna. Per me, vederla

è stato come un miraggio, vedevo i bambini giocare con la paletta in mezzo alla laguna! E vedevo la nonna cicciona, quella che passava per Rio Marin andare lì in estate con l’ombrellone… L’immagine è ancora così impressa che ho pensato fosse il pretesto giusto per far conoscere ai ragazzi le zanzare di Sant’Erasmo, questa secca, la laguna di giorno e di notte. Infatti faremo anche un sopralluogo notturno, perché vorrei che ne uscisse un lavoro molto sensoriale e materico, quindi rapportato alla luce, all’acqua, agli elementi, alla sabbia, non solo alle tipologie o alle teorie, che io non saprei neppure insegnare. Il progetti saranno infine rappresentati con frame cinematografici, che mostrano la laguna e la barene dall’alto, fino alla visione di un vissuto a scala d’uomo, da dentro o con la vista su Venezia. Saranno immagini in movimento che daranno forma a situazioni e quindi sensazioni. Io sono molto artigianale nel mio fare, quando devo progettare qualcosa mi immedesimo e spero di riuscire ad insegnare ai ragazzi questo approccio progettualeempirico. Roberta Boncompagni

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Architettura come possibilità Da cosa è nata l’idea del suo workshop? In realtà non ho scelto io il tema; sono stato invitato da Giovanni Vio perché ho già trattato temi relativi alle situazioni di transizione e ho studiato le potenzialità che la città possiede per modificarsi e per soddisfare le esigenze della propria gente, una realtà molto comune in Africa. Abbiamo “inventato” una comunità, ovvero un insieme di persone, turisti, ciclisti e studenti che non possono

permettersi un alloggio nell’isola di Venezia, in modo da poter rispondere alle loro esigenze, per poter dare anche a loro la possibilità di visitare la Serenissima. Il futuro di Venezia, secondo me, è Mestre, quindi bisogna fare di quest’ultima un gateway, un luogo di passaggio ricollegandoci alla sua storia, natura e cultura, spesso sottovalutate. Come ha influenzato la scelta il suo background culturale? Come architetto mi occupo delle

persone e mi confronto in continuazione con culture lontane tra di loro. Ho imparato a riconoscere le esigenze che hanno popoli diversi e il processo che ha generato la realtà in cui si trovano a vivere. Mestre, come molte città africane, deve ripensare la sua struttura funzionale e ha grandi potenzialità per crescere. Non si tratta di costruire edifici, ma di rendere tali progetti significativi. Che relazione c’è tra Mestre e Venezia? Sono unite da vari cordoni om-

Intervista a Peter Rich

belicali quali treni, barche e dal Ponte della Libertà. Ciò che sta sui margini di Mestre deve essere integrato con Venezia: Forte Marghera, ad esempio, potrebbe diventare parte della Biennale. Mestre è una Venezia dove la gente ha l’opportunità di essere “normale”, ovvero di girare in bicicletta, spostarsi in macchina, immergersi nel verde. Cos’è per lei l’architettura? Architettura è costruire edifici e spazi in funzione delle persone.

Deve rispecchiare il microclima del luogo in cui si trova; il suo contesto storico, deve rispondere alle necessità della sua gente e deve essere pensata sempre nella sua totalità. L’architettura non deve reinventare ma interpretare in chiave contemporanea la storia, gli spazi e le usanze della gente del territorio. Cosa si aspetta dagli studenti? Mi aspetto che lavorino sodo, che non prendano scorciatoie, ma che vadano al cuore dei proble-

mi. Devono sviluppare un terzo occhio per osservare, disegnare e approfondire i molteplici aspetti e la realtà del mondo, non solo dell’architettura. Devono ispirarsi, come ho fatto io, a Lina Bo Bardi che, attraverso la sua riflessione progettuale, ha contribuito a cambiare la società. Elena Stellin

Collegamento, non collezionismo Da un dialogo con Manuel Gausa Navarro Manuel Gausa si presenta con cordialità, manifestando una vivace volontà di esprimersi con una gestualità spontanea contrappuntata da rapidi pensieri che prendono forma in una lingua da lui scherzosamente definita “itañolo”. Il tema di cui si discute verte sugli obiettivi del suo workshop e riguarda la ricerca di un rapporto tra progetto di architettura e città che si mantiene forte senza perdere di significato nell’inevitabile salto di scala. L’intenzione dell’architetto spagnolo è quella di investigare una nuova logica progettuale che veda l’espressione architettonica come formulazione dinamica e momento di scambio intellettuale. Un dinamismo, questo, che si rispecchia nell’immagine di una città dai molteplici livelli che si sovrappongono creando scenari simultanei. Questa città risulta perciò un sistema operativo le cui componenti – i singoli oggetti architettonici – si relazionano in una struttura globale senza tuttavia rinunciare alla propria identità. Una fitta rete di relazioni determina la sua efficacia nella presenza di ruoli precisi; ne deriva che il “luogo” stesso in cui si svolge una funzione diventa strategico e caratterizza univocamente il sistema a cui appartiene. Nel confronto tra viste globali e particolari, è fondamentale non isolare le esperienze, osservare in maniera ricettiva l’incontro di molte prospettive intime e individuali tenendole legate senza quindi semplicemente “collezionarle”. Mentre Gausa ci parla, il flusso quasi ininterrotto ed entusiastico delle sue parole viene sempre accompagnato dalla mimica delle mani. Nel corso delle tre settimane di laboratorio si cercherà di individuare un luogo nella città di Venezia dove sia possibile concretizzare questo approccio ideativo. Nella prefigurazione di un nuovo “ponte” o una serie di ponti, verrà rinnovata la rete di contatti tra le molteplici dimensioni della città aumentandone le potenzialità. Ci viene rivelata la volontà di invitare nel corso, compatibilmente con le possibilità, alcuni giovani architetti di Barcellona che già partecipano ad un master con il professore, in modo tale da arricchire ed animare il metodo progettuale degli studenti Iuav. Quello che apprezziamo maggiormente è il desiderio di voler instaurare un dibattito con gli studenti tramite un vero e proprio brainstorming: il confronto diviene un mezzo di comunicazione volto a coinvolgerli ed appassionarli stimolando la loro fantasia – ilusión –, termine spagnolo che Gausa usa spesso per definire le genuine riflessioni dei giovani. Nel suo laboratorio l’architetto spera di creare un ambiente nel quale maestro ed allievo sono aperti a comprendere i rispettivi e diversi criteri d’azione, dei quali il primo non si limita ad una trasmissione pragmatica del suo sapere, ma si impegna a filtrare tale conoscenza attraverso la propria percezione e la sensibilità individuale. Nel concludere la conversazione comprendiamo infine che l’interpretazione personale non è bandita, e la ricostruzione di un discorso attraverso la propria prospettiva è fondamentale ad impedire che il progetto – sia anch’esso un articolo di giornale – si cristallizzi in se stesso restando il frutto di immobili idee invece di costituire una suggestione da cui trarre conclusioni, anche differenti, da parte di chi osserva. Mariaelena De Dominici Elena Zadra

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Cherubino Gambardella

Silvia Dainese Silvia Dainese, dopo essersi laureata in architettura presso l’Iuav a Venezia, nel 1987 si trasferisce a New York, dove collabora con gli studi Gwathmey-Siegel, Transbuilding, Spear Platt e frequenta un Master presso il Film Department (Tisch School), NYU. Nel ‘94 si stabilisce a Padova e apre lo Studio Dainese Architetti, sviluppando progetti di franchising, stand e showroom per diverse aziende legate alla moda e allo sport. Nello stesso anno inizia a collaborare con il Gruppo Dainese come responsabile del reparto design, occupandosi di corporate image, “architetture effimere”, concept per retail. Dal 2001 al 2005 è stata curatrice della galleria 503 Mulino a Vicenza. Appassionata d’arte e di nuove tecnologie, alla ricerca affianca la progettazione e la ristrutturazione di nuovi spazi industriali in Italia e all’estero. In ambito pubblico ha curato, per il Comune di Padova, il progetto di Piazza Antenore e il recupero

del Ponte romano e spazi ipogei a Padova (1994-2006), l’ampliamento lato nord del Cimitero maggiore di Padova, in costruzione (2007-2008), e il progetto di un complesso di scuole (dall’asilo nido alla scuola media). Nel luglio 2007 partecipa come docente al Workshop 2007 della Facoltà di Architettura di Venezia. Attualmente lo studio, formato da otto persone fra architetti e grafici, si occupa di lavori di architettura pubblica, di architettura privata ed industriale e di creazione di nuovi concetti di retail per varie aziende. Negli ultimi tre anni, ha collaborato, inoltre, insieme allo Studio Gris, alla riprogettazione degli interni di un aereomobile di linea. 2006, I premio sezione progetti terziario-industriale, Concorso Trophee Archizinc Umicore, Francia

Seca del Bacan: architetture galleggianti per l’isola che non c’è

Cherubino Gambardella (Napoli 1962) architetto dal 1987, è professore ordinario di progettazione architettonica nella Facoltà di Architettura Luigi Vanvitelli della Seconda Università degli studi di Napoli. Ha sempre ritenuto che per ben progettare fosse, anche, necessario interrogarsi sulle ragioni più profonde della teoria e per questo in quasi venti anni di carriera ha scritto dieci libri e molti saggi. Sin dagli esordi il suo lavoro progettuale è stato accolto con favore e interesse da critici e intellettuali d’architettura come Bruno Zevi, Stefano Ray, Franco Purini e pubblicato su prestigiose specialistiche

italiane, così come il suo lavoro di architetto si sono occupate, più volte, anche testate generaliste. Nel 2004 la sua Kunsthal, alla Mostra d’Oltremare di Napoli, è tra i progetti prescelti per partecipare alla selezione finale del Premio Mies Van der Rohe a Barcellona e vince il concorso nazionale per tre nuove piazze a Montesarchio (Benevento). Nel 2005 è invitato dal Vicariato Generale a redigere un progetto per la nuova chiesa di San Guglielmo a Roma; è tra gli otto architetti italiani scelti da «Lotus» per realizzare un’istallazione in forma di wunderkammer alla mostra “Conflitti/architettura contemporanea in Italia”.

Cherubino Gambardella

Tutor, Tomà Berlanda, Cinzia Mazzone

Tutor, Lorenzo Capobianco, Corrado Di Domenico

Durante la bella stagione la barena diventa luogo di ricreazione, dove le famiglie si recano per passare il pomeriggio, i bambini giocano nell’acqua, c’è chi prende il sole e chi pesca. Il paesaggio è caratterizzato dagli elementi dell’antico sistema di difesa, il forte, la torre Massimiliana di S. Erasmo (recentemente restaurata) e da un orizzonte basso lungo il quale, verso la terraferma, si scorgono i campanili di Murano e Venezia. Verso oriente si aprono le bocche di porto, l’Adriatico, e il luogo dove ogni anno si festeggia lo sposalizio della Serenissima con il mare. Proponiamo come tema la realizzazione di una sequenza di architetture galleggianti che colonizzino la “Seca del Bacàn” per potenziarne la funzione ludica e

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di tempo libero. Un impianto effimero e temporaneo di supporto a chi vi si reca e che possa ospitare alcuni servizi per la collettività. Immaginiamo un’interfaccia tra l’acqua navigabile (di qua dalle bricole), e l’acqua bassa, dove si concentrino pratiche e usi che non trovano spazio sulla barena. A cavallo tra terra e acqua, si tratterà di immaginare una serie di funzioni e di elaborare una conformazione strutturale e spaziale minima in grado di accoglierli. Si ipotizzano circa 15 gruppi di 4 studenti che lavoreranno su 15 temi. La scala dei progetti sarà contenuta, quindi pochi disegni essenziali in funzione dell’esposizione finale nella quale, modelli, suoni, filmati e immagini in movimento, contribuiranno a ricreare l’atmosfera lagunare ricca di stimoli sensoriali.

sono stati esposti in musei, fondazioni e istituti di cultura europei, americani e asiatici. Due monografie sono state dedicate alla sua opera, il volume Cherubino Gambardella. Architettura e progetti 2000-2005 raccoglie saggi critici di Trione, Brandolini, Pitzalis, Mangone oltre che dello stesso Molinari. Ha tenuto conferenze e seminari in molte Università italiane e straniere. È consulente di diversi enti pubblici e società private per l’immagine architettonica e ambientale. Si è occupato in particolare di progetti di spazi pubblici o privati aperti al pubblico in contesti storici di grande pregio ma anche in spazi periferici da riqualificare.

Venezia due volte

Silvia Dainese

All’entrata di porto di S. Nicoletto, tra il forte di S. Andrea, l’isola delle Vignole e S. Erasmo si trova una secca. Delimitata da bricole, a seconda delle maree emerge l’antico fronte marittimo della Laguna nord, la “Seca del Bacàn”.

Nel 2006 è invitato alla Biennale di Venezia dove espone il progetto per la nuova stazione metropolitana regionale di Aversa Centro (il lavoro è attualmente in corso di realizzazione) e un suo disegno è esposto nel padiglione di Vema; è invitato al Festival della letteratura di Mantova per discutere sul tema della periferia. Nel 2007 vince il concorso internazionale a inviti per il progetto della nuova città di Santa Cesarea Terme (Le). Il 2008 lo vede vincitore del concorso internazionale a inviti per il progetto di restyling della stazione metropolitana di Loreto di Milano. Suoi progetti, istallazioni e disegni

C’è una Venezia vera raccontata da Tiziano Scarpa nella sua guida/romanzo, Venezia è un pesce, – che ha la forma della città nel titolo – e c’è una Venezia possibile che vorrei raccontare nel workshop a partire da un libro scritto da Ernesto Franco, abile traduttore di Cortazar. Questo libro si chiama Isolario e racconta la storia di isole irreali e di cometografie immaginarie affidate a due messi che non si conoscono e si incontrano quando, dopo aver viaggiato stremati intorno al mondo, stanno per morire nel deserto; isolari e cometografie sono perfettamente sovrapponibili, così come penso si possa costruire un nuovo isolario e, perché no, una nuova cometografia che si sovrappongano a Venezia. Come fare con l’architettura allora? Proviamo a fare un censimento immaginario e quantifichiamo la superficie di galleggiamento ancora utile costituita da vecchie imbarcazioni, chiatte, boe e quant’altro sia desueto, ma stia a galla ancora oggi in Laguna.

Assemblare questa superficie e ricoprirla di zattere, piattaforme, architetture galleggianti ci consente di spruzzare sull’acqua altre isole, isole artificiali. Sono spazi aperti disponibili a configurazioni mutevoli, sono architetture galleggianti senza la descrizione e senza la poesia del “teatro del mondo”. Sono anche oggetti lontani dal filantropismo cinico di Le Corbusier e del suo asile flottant per i clochard della Senna. La seconda Venezia ha la suadente forma di tante piastre galleggianti da cui ammirare la città antica come da una nuova postazione geografica, sono spazi pubblici disponibili a molte funzioni e ne faremo una grande maquette per raccontarne l’evidenza plastica e la dirompente carica dimostrativa. Come per liberare le zattere di palificate dalla città sovrastante, immaginiamo una “Veneziagiardino” con i suoi monumenti “isolati” nei campi terraquei della “seconda laguna”. Proveremo a costruire anche un frammento di questa grande installazione marina…

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Manuel Gausa Navarro Manuel Gausa Navarro (Barcellona,1953) è architetto e dottore di ricerca, fondatore dello studio Actar Architecture e della omonima Casa Editrice (1994) e membro del gruppo editoriale della rivista «Quaderns d’Arquitectura de Barcelona». Fino al 2000 è stato redattore della rivista «Quaderns d’Arquitectura I Urbanism». Dal 1993 al 1995 fa parte del collegio docenti del Master “La gran Escala” presso la ETSAB-UPC, dove ha insegnato. Dal 1996 al 2000 è membro del comitato scientifico del XIX Congresso UIA (Barcellona 1996). È direttore delle attività culturali presso la ESARQ-UIC, Università Internazionale di Catalogna. Nel 1997 fonda AxE, uno società specializzata in progettazione sostenibile, l’anno successivo è co-direttore di Metapolis, un’associazione di studi avanzati di architettura con sede a Barcellona, diventandone presidente nel 1999. Dal 2000 al 2005 è direttore del corso post-laurea “architettura avanzata e città digitali” presso la Fundació Politècnica de Catalunya. Nel 2003 è presidente del comitato scientifico dell’IAAC

(Instituto de Arquitectura Avanzada de Catalunya) e nel 2006 dirige il corso post-laurea “Intelligent Coast” presso la Fundació Politècnica de Catalunya. Impegnato nella didattica, nell’elaborazione di progetti e nella formulazione di ipotesi teoriche e critiche sulle attuali tendenze in campo architettonico, ha pubblicato molti saggi e lavori (come Housing, new alternative, new systems; Singular housing: the private domain; Metapolis

Dictionary of Advanced Architecture; Barcelona Metapolis; HiperCatalunya: Research Territories; Operative Optimism), esposto nelle più importanti manifestazioni culturali, i suoi progetti sono pubblicati in numerose riviste nazionali e internazionali. Attualmente è professore associato presso la facoltà di architettura di Genova. Nel 2000 è stato insignito della Médaille de l’Académie d’Architecture de France.

Peter Rich è architetto di fama mondiale. Il suo lavoro si basa principalmente sulla creazione di spazi che rispondono in maniera sensibile al contesto culturale ed ecologico. È stato ampiamente riconosciuto come un’autorità nel campo dell’architettura vernacolare africana per merito delle sue ricerche fondamentali sugli insediamenti Ndebele, Bantwane, Tswana ed inoltre per le recenti ricerche sull’insediamento urbano organico. Durante un periodo ventennale di lavoro professionale, Peter Rich ha acquisito un’estensiva conoscenza relativa alla progettazione ed alla implementazione di progetti che implicano la partecipazione della comunità ed il suo potenziamento, la riduzione della povertà ed il turismo culturale. È stato professore aggiunto alla School of Architecture and Planning della University of the Witwatersrand di Johannesburg (Sudafrica) dove ha tenuto il corso principale del secondo anno in progettazione e teoria dell’archi-

I limiti Manuel Gausa Navarro tutor, Alvarez Leon, collaboratori, Alessandra Cappai, Paolo Capuano Uno dei grandi temi della ricerca, in questo inizio di secolo, è stato quello dell’inaspettato salto di scala della nuova multi-città e quello del possibile salto fra le scale del progetto contemporaneo (o, se si preferisce, il tema dello slittamento interscalare tra città, luogo e oggetto architettonico). Se la forte trasformazione che stiamo vivendo nel campo delle discipline dello spazio (architettura, urbanistica, geografia, paesaggio…) allude, soprattutto, alla consapevolezza di una realtà più complessa (in quanto simultanea), instabile (in quanto dinamica) e molteplice (in quanto ormai diversa ed irregolare), ebbene questa manifestazione più “aperta” dei processi e delle loro conseguenze spaziali, richiede la necessità di concepire nuove logiche trasversali, di relazione e di interazione, tra termini e livelli diversi di realtà. Infatti se la vocazione del progetto architettonico contemporaneo sarebbe quella di essere, più che un oggetto statico, un vero e proprio “intorno relazionale”, un “campo di forze”, fra tensioni ed informazioni, vocazioni e sollecitazioni (globali e locali), questa condizione necessariamente “estroversa” dell’architettura contemporanea rimanderebbe ad un ampio gioco di relazioni (con lo spazio e con le modalità, con i processi ed i fenomeni, con il sito e con la città, con la tecnica e la cultura, con la strategia e la sensibilità, il tutto contemporaneamente). Relazioni che, a loro volta, rimanderebbero ad un altro livello di interazione –

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oggi fondamentale – tra architettura, infrastruttura e paesaggio o, se si preferisce, fra volume, linea e superficie con conseguenti importanti implicazioni concettuali. Una nuova “concezione integrata” che, opportunamente declinata, potrebbe diventare un vero argomento strutturante per un possibile sistema multi e interscalare, più flessibile e ponderato, lontano dai vecchi modelli compositi dell’antica pianificazione, così pieni di “tracciati” regolatori e di “vuoti” residuali (o possibilisti). Si tratterebbe di un nuovo ordine combinatorio, in grado di infiltrarsi negli sviluppi “caotici” delle attuali strutture urbane e di ricomporle. In grado di generare spazi di relazione più versatili – meno impositivi – in sintonia con le dinamiche sregolate che si vanno producendo; non contrapponendo più spazio naturale a spazio artificiale, bensì facendoli coabitare in nuovi dispositivi, sensibili alla definizioni di possibili movimenti di transizione. Topologie ibride, geografie meticciate, superfici ambigue, suoli connettivi: land-links – “paesaggi di collegamento” – destinati a propiziare scenari concatenati – ancora una volta locali e globali – così come avviene tra dita che si intrecciano. Allo stesso modo si generano incontri fertili fra luoghi e interluoghi. A questa vocazione di attraversamento interscalare (destinato non solo ad “abracciare” situazioni di scale diverse, ma anche a muoversi, per ognuna di esse, dal globale al locale, dal generale

Peter Rich Giovanni Vio

al particolare, dal sistema all’azione). A questa capacità di generare “paesaggi di collegamento” multipli vogliamo dedicare questo laboratorio, che si proporrà di lavorare intorno all’idea di “relazione trasversale” (integrazione, interazione e connessione), avvalendosi dell’equazione “territorio-città-rete” (proponendo una nuova strategia geo-urbana, resa evidente da uno schema innovativo che integra la città nel territorio, a grande scala, di evidente implicazione global, e con particolare attenzione alla ridefinizione dei perimetri costieri) così come lo sviluppo dell’equazione “paesaggio-architetturainfrastruttura”(proponendo un modello concettuale di intervento e di ridefinizione strategica e spaziale in un determinato contesto. (il binomio Vallone Moranzani/ Nuovo Lido, come possibile “paesaggio globale” in una ipotetica T, e come propria connessione con un ambizioso scenario di ridefinizione litorale), ed un’azione puntuale che si manifesta in una nuova “costruzione” – la “produzione/materializzazione” di un elemento strategico di connessione trasversale, teso a “rivelare” e “fare emergere” (un nuovo topos come ponte e spazio di relazione, di evidente vocazione locale). Gli studenti si muoveranno tra la dimensione territoriale (globale) del nuovo schema urbano proposto come riferimento, la dimensione paesaggistico-architettonica (locale) del contesto individuato e la dimensione “protocostruttiva” (oggettuale) del nuovo elemento auto-fabbricato e, così, improvvisamente “materializzato”.

tettura (1977-2007). Ha ricevuto la Laurea con lode in architettura nel 1973 ed il Master in architettura con dissertazione nel 1991, presso lo stesso istituto. Ha tenuto lezioni ed è stato invitato nel ruolo di visiting professor presso le maggiori istituzioni d’arte e di architettura negli USA, in Europa, in Australia, in Nuova Zelanda ed in Sudafrica. Insieme ad altri ha ricevuto il premio EDRA per la ricerca internazionale (Environmental Design Research Association) per il lavoro finanziato dall’Unesco facente parte del programma partecipativo “Growing up in Cities 2001”. Nel 2003 ha ricevuto la nomination per l’Annie Spink Award, premio internazionale sull’insegnamento del RIBA. Il suo progetto del Bopitikelo Community and Cultural Center a Molatedi nella NorthWest Province in Sudafrica è stato premiato, sotto gli auspici del RIBA, per la World Architecture Awards ed ha ricevuto due nomination per il National Award of Excellence.

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I suoi lavori hanno ottenuto in Sudafrica 13 riconoscimenti nell’ambito dei National Awards of Merit and Project Awards. Nel 1995 ha diretto il documentario di 52 minuti “Ndebele Women and the Rituals of Rebellion”. Ha curato importanti mostre di arte ed architettura africana, sia in Sudafrica che all’estero. È recentemente stato incaricato di coordinare l’ufficio di “Urban Planning and Urban Renewal” per la città di Kigali in Ruanda. Il 19 maggio 2008 ha tenuto la lezione “Learnt in Translation – Imagining African Space” alla Architectural League a New York (che è possibile seguire su www. archleague.org). Giovanni Vio (Venezia 1964) insegna urbanistica presso il corso di Laurea Specialistica in Conservazione dell’Iuav e, precedentemente, al Clape. Nel 2002 è stato tutor Iuav al Master in valorizzazione e conservazione del patrimonio industriale (Iuav, UniPd, PoliTo). Dal 2000 al 2004 ha preso parte attiva alle ricerche condotte tra il Dipartimento di Urbanistica dell’Iuav e le Università Myongji di Seoul e Tsinghua di Pechino, con seminari, missioni e mostre. Da tempo è interessato all’architettura ed il paesaggio del Sudafrica, dove ha svolto il primo studio completo dell’opera di Roelof Uytenbogaardt, oggi pubblicato in due lingue. Recente è il viaggio in Mali con Peter Rich per osservare lo spazio e l’architettura delle culture del Niger e delle falesie di Bandiagara, ripercorrendo l’esperienza di Aldo Van Eyck. È autore di Senza Tempo/Timeless Roelof Uytenbogaardt, (Padova 2006); Venezia/Marghera/ Mestre e ritorno, (Venezia 2005). Suoi contributi sono apparsi su numerose riviste italiane e straniere.

Immaginare San Guliano Peter Rich, Giovanni Vio In Africa, nel vernacolare e nelle culture precoloniali possiamo scoprire una maniera sofisticata di costruire e, simultaneamente, di vivere l’ambiente. Se a un luogo viene restituita la possibilità di essere lentamente attraversato, camminato, abitato, possiamo sperare di ricostruirne un’idea di paesaggio. Peter Rich riconosce di dovere la propria maturità di architetto, artista e studioso di fenomenologia all’apprendistato dedicato allo studio, documentazione, osservazione e ricerca degli insediamenti indigeni, organici e formalizzati, del Sud Africa, del Mali e del Ruanda. Le lezioni spaziali e culturali che ne sono derivate, una volta reinterpretate sono state applicate a vari progetti nel tentativo di restituire il senso dello spazio e del luogo dell’Africa contemporanea. Ponendo attenzione, osservando e traducendo il passato, nel momento in cui si è coinvolti nel nuovo, si può immaginare l’identità spaziale dell’Africa del ventunesimo secolo. Esiste la possibilità di contrastare la strisciante anonimia nelle città africane che è il risultato della tendenza di emulare, senza traduzione, la Cultura Globale. La docenza crede che l’azione principale dell’uomo, all’apice della sua evoluzione, sia l’attraversamento e la percezione

nomadica dello spazio. Se come individui conserviamo la storia della nostra comunità, come cittadini di una civitas estesa dobbiamo riconsiderare i confini e le qualità della nuova urbs. Nel progetto urbano ed architettonico attribuiamo nuovo senso ai luoghi, trasformando il contesto esistente, i valori della città antica, in un territorio in cui si possa andare alla deriva, stabilire nuove connessioni, riscoprendolo continuamente, per quanto il presente debba considerarsi caso particolare nella moltitudine dei casi particolari. Condizione, come sottolinea Aldo Van Eyck, di identità della città come sogno piuttosto che come universo esterno. Perché «è nella natura dei sogni che gli assoluti e gli opposti vengono sgonfiati e resi insignificanti; [...] che l’ordine ed il caos, la continuità e la discontinuità, il determinato e l’indeterminato, vengono piacevolmente uniti». Questi presupposti si incrociano con le suggestioni derivanti dal contesto di progetto. L’area è posta nella terraferma veneziana, dove Mestre si sfrangia dissolvendosi nella gronda lagunare. E’ un’area non edificata posta sul bordo di uno dei pochi episodi di progettazione integrale di una parte di Mestre: il quartiere Ina Casa di San Giuliano. Essendo quest’area, con i suoi modellati

di terreno e la presenza di una lunetta, parte della cinta esterna di Forte Marghera, è essa stessa parte di un preciso manufatto. Il programma è di progettare un sistema caratterizzato da unità a funzione prevalentemente residenziale a basso impatto. Non è un’estensione della zona urbana residenziale, ma una riflessione sulle forme della sosta, anche breve, in un dato territorio. Devono essere compresi luoghi per la permanenza breve, per il campeggio, per il pic nic e l’osservazione naturalistica. Gli spazi devono soddisfare necessità eterogenee determinate da un contesto sociale differenziato a cui si prevede di aggiungere la componente turistica, rappresentato dalle seguenti condizioni urbane: il quartiere, il parco Europa, la presenza di un fermata della nuova linea di tram Mestre-Venezia, la conversione di Forte Marghera a spazio pubblico, la vocazione acquatica dell’area. I materiali da utilizzare per costruire i nuovi spazi devono essere reperibili sul luogo e si richiede una riflessione sulle tecniche costruttive. Materiale principale da considerare è la terra, della quale è costruita buona parte di Forte Marghera. Sarà posta primaria attenzione al disegno a mano libera per l’interpretazione dei luoghi e la generazione del progetto.

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La realtà metabolica come strategia di progetto Conferenza di Giuseppe Longhi nel workshop di Marco Casasmonti Il professor Longhi è stato invitato al workshop per illustrare i presupposti teorici che sottostanno al “Piano Strategico per lo sviluppo sostenibile delle isole Pelagie. Progetto pilota per le isole minori” da lui coordinato in veste di responsabile scientifico, e redatto nell’ambito di una convenzione tra il Ministero dello sviluppo economico - Dipartimento per le politiche di sviluppo, la Regione Siciliana, il Comune di Lapedusa e Linosa e l’Iuav. L’organizzazione di un piano di intervento per Lampedusa, collocato all’interno di un disegno per lo sviluppo sostenibile delle isole Pelagie, offre uno spunto di riflessione in merito a un discorso ben più ampio che coinvolge l’intero sistema progettuale, non solo a livello architettonico, ma anche sociale e naturale. La critica al progetto parte dal concetto di decentramento, che provoca radicali cambiamenti nei sistemi istituzionali, economici e sociali. La diretta conseguenza di tale atteggiamento è la completa esclusione delle unità più piccole che non sono in grado di supportare ingenti risorse umane e finanziarie, effetto che può essere mitigato attraverso la promozione di una strategia di progettazione collaborativa. Lo stesso avviene anche in ambito progettuale: il sistema collaborativo consente di creare un gruppo in cui il singolo contribuisce allo sviluppo globale grazie alle sue capacità, a patto che venga comunque mantenuto un livello di leadership, coniugata con tutte le attività. La “cosa pub-

blica” deve avere obiettivi chiari e capacità di dialogo, per evitare la sovraimposizione dei poteri forti, che finirebbero per perseguire interessi di parte, non comuni, creando “un’esplosione di disegni che non possono diventare realtà”. La logica di progetto deve quindi passare dalla multifunzionalità alla formazione di una vera e propria sinergia tra gli elementi che lo costituiscono, cercando di mitigare l’impatto del proprio intervento secondo un approccio olistico. La chiave per risolvere la questione è perciò stabilire un “piano metabolico” che consenta di definire il progetto in relazione alle risorse naturali del luogo in cui viene collocato. È importante sottolineare, infatti, che ogni progetto implica una sottrazione di risorse, ma assai raramente gli effetti di tali operazioni sono calcolati. Per ovviare a tale problema, è necessario “coltivare, e non costruire, case”, ovvero progettare nell’ottica di un continuo risparmio, promosso dalla produzione di nuovi beni senza depauperare la natura, al fine di attuare un bilancio tra beni e servizi che vengono intaccati, e quelli che al contrario sono migliorati. Il punto di partenza è misurare gli impatti delle attività umane (footprint) in relazione all’ecosistema, considerando la ricchezza o la povertà di un luogo con continui salti di scala a livelli differenti, dal sottosuolo all’aria, affinché consumi e produttività vengano correttamente bilanciati. Il risultato è costituito da un modello in grado di far interagire ogni elemento in un con-

tinuo feedback, stabilendo ambiti di interesse comune e progettando un insieme fisico subordinato all’insieme di risorse naturali con cui si relaziona. Si punta dunque a migliorare la profonda coesione tra elemento artificiale e elemento naturale, dialogando con la storia, con la natura, recuperando la memoria urbana preesistente, ripensando gli insediamenti, definendo nuove centralità con lo scopo di giungere a occasioni di dialogo che sempre più spesso vengono meno. Prevedere dunque degli “scenari” di sviluppo territoriale a lungo o medio periodo, grazie ai quali ricercare un bilancio positivo nello scambio di relazioni tra ambiente, uomo, e le infrastrutture necessarie allo svolgimento delle attività produttive. I progetti presentati dal professor Longhi per lo sviluppo di Lampedusa rappresentano il punto di arrivo di una minuziosa e dettagliata ricerca delle caratteristiche e dei rapporti tra i tre attori principali sopraccitati e prefigurano scenari di sviluppo possibile: dalla torre di Babele, emblema di densità natural/artificiale all’immagine del porto visto come punto di attracco delle imbarcazioni provenienti da Oriente ed Occidente, trasformando così l’isola in un inedito punto di contatto tra culture diverse e, da sempre, contrapposte. Letizia Ferrari

La matematica e la socialità Intervista a Giuseppe Longhi

Una dote che certo non possiamo attribuire alla maggior parte dei docenti universitari è la sintesi. Per un giornalista alle prime armi questo può diventare un problema, sia perché risulta difficile riportare in maniera corretta il flusso d’informazioni, ed è quindi facile commettere errori, sia perché, nel poco spazio a nostra disposizione, rischiamo di non cogliere tutti i particolari. Il professore di urbanistica Giuseppe Longhi è l’eccezione alla regola. Lei ha conseguito la laurea “honoris causa” in urbanistica solo in un

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secondo tempo rispetto a una prima formazione bocconiana in economia. Quanto influisce questo nella sua progettazione? Avere questo tipo di background aiuta in quanto un economista lavora per obiettivi, mentre un architetto per occasioni. In un progetto molto complesso è importante avere chiaro l’obiettivo e la maniera con cui perseguirlo. Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate nella redazione del Piano strategico che ha appena illustrato? Quali gli errori nei quali si può incorrere in questo particolare contesto?

Il rischio principale è quello di sottovalutare la cultura e le preferenze di chi abita nel contesto stesso. Non si deve imporre solo il proprio punto di vista ma rifarsi a dei modelli. L’esplosione della diversità nella nostra cultura si riflette anche nell’architettura: i modelli non esistono più. Le difficoltà sono le stesse di chiunque voglia lavorare in Italia: quello italiano è un popolo chiuso sotto diversi punti di vista e, in un progetto come questo, dove si coinvolge sia l’ambito sociale sia quello tecnico, bisogna tentare di

abbattere delle barriere esistenti ma non dichiarate. È un problema esteso a tanti ambiti e soprattutto nell’università: ci si nasconde dietro la propria specializzazione per paura del confronto e non si creano sinergie capaci di generare maggiore qualità in quegli stessi settori. Il progetto per le due isole di Lampedusa e Linosa non solo è molto vasto, ma richiede di valutare tantissimi aspetti che di per sé esulano dall’architettura. L’economia, il turismo, l’ecologia, il sociale… che competenze sono necessarie per affrontarlo? Che cosa dovrebbe sapere

un ragazzo qualora si cimentasse in un progetto del genere? (ridendo) Gli consiglierei di imparare bene la matematica! Soprattutto i modelli matematici avanzati, una materia noiosa che ormai nessuno vuole più imparare. Non può essere necessaria solo la matematica… John Robinson diceva che la retorica è fondamentale, ma non vale nulla se non è inquadrata in un modello riconoscibile. Il problema nella progettazione di oggi è appunto quello di diminuire la retorica e dare più spazio

ai modelli. Questo in particolare nella didattica: gli studenti hanno bisogno di avere un riscontro reale con le esperienze progettuali di chi insegna. Una volta questo accadeva in maniera ovvia per via della fama che precedeva certi docenti. È naturale che all’inizio gli allievi siano un po’ dei “cloni” nei confronti del maestro; c’è poi la possibilità che fra questi vi sia un elemento capace di superare il modello insegnato tramite il suo talento. Francesco Leoni

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Senza ombra Sopralluogo nell’area di progetto di L. Ciacci 2 luglio 08 Il sopralluogo è il mezzo indispensabile per comprendere appieno un’area di progetto; quello che sulla carta si mostra in un modo, all’atto pratico rivela il suo vero volto. A Sovizzo, comune in provincia di Vicenza, la piazza da progettare appare in tutta la sua indefinitezza: un prato incolto, un approssimato “centro estivo”, un asilo e dei bambini che giocano… Andando a zonzo e scattando qualche fotografia, la speranza di tutti è che le idee, ora confuse, comincino a mettersi a fuoco. Il sindaco e l’assessore sono abbastanza espliciti: il paese ha bisogno di un nuovo spazio pubblico e gli studenti, a tal proposito, rappresentano una preziosa fonte di spunti e idee interessanti. Nella sala consiliare del Comune qualche accenno al sito ed ulteriori spiegazioni preludono al vero e proprio dibattito. Il consiglio del professore è di prendere visione del luogo e delle persone, di cercare di cogliere quelli che sono i suoi elementi identitari significativi. Tuttavia non si rivela così facile e, al momento di discuterne tutti insieme, i dubbi e le questioni cominciano a emergere. In certi casi un banchetto aiuta! Sarà stato il vino o la pancia finalmente piena, o magari il gazebo immerso nel verde del giardino di una villa cinquecentesca, ma le voci degli studenti iniziano a farsi sentire. Professore-studente, studente-assessore, assessore-professore, le impressioni ed i temi salienti poco alla volta vengono fuori. Naturalmente non sempre tutti i pareri sono concordi…! È ancora presto per potersi fare un’idea precisa della situazione. C’è sempre il tempo per una veloce escursione. Il paese va visitato in tutti i suoi nodi significativi, esplorato e (ahimè!) scalato. Bisogna rendersi conto della situazione, mettere a confronto il centro storico e i nuovi quartieri di espansione residenziale. Si cammina tanto in questo sopralluogo, si cammina e si parla. Finalmente l’atmosfera sembra più rilassata e ci si sente liberi di esprimere agli assistenti le proprie cruciali perplessità. Armati di bottiglie e ghiaccioli (i liquidi sono stati indispensabili), affrontiamo tutti insieme l’itinerario, accorgendoci con grande rammarico che le strade di Sovizzo non prevedono alberi. C’è sempre qualcuno con una telecamera, costretto a correre avanti per riprendere il gruppo. E c’è anche chi riesce a fare del caldo asfissiante un motivo di ironia. L’importante è consolidare il gruppo, far sì che sia chiaro a tutti il tema che si sta affrontando. L’assessore ci guida in questa traversata, discute ancora con il professore, risponde alle domande degli studenti. Entro domani loro dovranno preparare delle fotografie, immagini che rappresentino l’inizio del percorso che si vuole intraprendere. Se alle undici di mattina non si sapeva da che parte cominciare, all’ora di partenza già si parla delle migliori tecniche di rappresentazione. Attenzione però, se in pullman non è stata ancora accesa l’aria condizionata io non ci salgo! Gli studenti Iuav non ricorderanno Sovizzo per il suo clima temperato. Nicoletta Petralla

Trendsetter

Appropriarsi del paesaggio

It’s not Toolate

Il sopralluogo all’area di progetto di S. Dainese 1 luglio 08

Gli anni della plastica. Nel 2007 le incredibili Crocs, oggi un nuovo feticcio sintetico. Noi della redazione abbiamo infatti deciso, democraticamente, che l'oggetto di culto di questa edizione degli workshop è l'orologino colorato ideato dal bresciano Ale Fogazzi chiamato Toolate. Fondamentalmente si tratta di un digitale a due funzioni (l'ora e la data, quindi anche meno versatile dei digitali che ci venivano regalati per la prima comunione) inserito a forza dentro ad un braccialetto gommoso. Ma è un oggetto di design, ha un prezzo popolare, anche se in crescita, e come spesso accade è stato esposto (o è esposto, o ha avuto a che fare) con il MoMA. Pare che Felix Madrazo ne sia rimasto folgorato così come alcuni di noi che compongono, sempre in ritardo e fino a sera inoltrata, queste pagine che state leggendo. Torna utile anche in caso di caduta in canale, perché ne esiste una versione waterproof. Al Lido garantisce un'abbronzatura del polso veramente cool. Se poi a qualcuno ricorda l'Hip-hop, suo gemello risalente agli anni '80 (di gomma, colorato e – occhio – profumato) è solo perché «ogni novità è solo una dimenticanza». Ma forse citare Borges per il Toolate è anche troppo. Per fortuna vale anche per l'architettura.

La partenza per il sopralluogo con la professoressa Silvia Dainese, che doveva tenersi la mattina di martedì, è stata posticipata all’ora di pranzo con soddisfazione collettiva quando ormai la pioggia aveva cessato di cadere. Non dubitiamo che anche la professoressa abbia tirato un sospiro di sollievo. Siamo balzati in fretta sul battello che dalla fermata di S. Zaccaria a S. Marco ci avrebbe portato fino a Punta Sabbioni, proprio di fronte all’isola di S. Erasmo e in vista della “Seca del Bacàn”, area di progetto. Durante il viaggio, non breve, abbiamo raccolto qualche punto di vista in merito al laboratorio ap-

pena iniziato, all’idea del progetto, agli architetti docenti, esami vari e tempo atmosferico. Gli studenti sembrano incuriositi dal tema piuttosto originale proposto dal corso, che al momento sembra avere un ritmo tranquillo (anche se è forse prematuro per dirlo) e un clima sereno. Ci dicono che si dovranno fare altre escursioni, a diverse ore del giorno e della notte per comprendere e percepire tutte le variazioni di luce, colore, maree, zanzare e quant’altro possa essere utile all’immaginazione, per instaurare un consapevole rapporto con il paesaggio. Una volta giunti a destinazione, procediamo seguendo

la riva per un lungo tratto, ogni tanto ci fermiamo ad ammirare la “seca” ed il lento abbassarsi della marea. La professoressa interviene spesso con spiegazioni e suggerimenti volti a suggestionare gli studenti che già iniziano a proporre prime idee di quello che diventerà il loro progetto. Nel pomeriggio la temperatura comincia ad alzarsi notevolmente e molti dei ragazzi sfoderano gli ombrelli che qualche ora prima li avevano protetti dalla pioggia, questa volta per ripararsi da raggi solari. Sfuggiamo al caldo giungendo all’imbarcadero in meno tempo di quanto non ne avessimo speso allontanandocene.

Ormai il vero sopralluogo è terminato ed i chioschetti di Punta Sabbioni vengono presi d’assalto dagli studenti assetati. Prima di prendere il battello per tornare a Venezia si trova il tempo di mangiare un gelato. Sembra che alla professoressa piaccia l’amarena… Elena Zadra Mariaelena De Dominici

[Red.]

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auditorium cotonificio Servizio di copia, stampa e plottaggio

8 appuntamenti che contrappongono in una dialettica particolarmente vivace un architetto straniero e un architetto italiano. 8 incontri aperti al pubblico, oltre che ai 1800 studenti dei Workshop 2008, che indagano gli orientamenti dell’architettura.

Venerdì 4 luglio ore 17 Verso nuovi materiali? Carlos Campos e Aldo Cibic Debra Werblud e Franz Prati Martedì 8 Luglio ore 17 Verso un nuovo moderno ? Dustin A. Tusnovics e Arman Akdogan & Felix Madrazo (IND) Mercoledì 9 luglio ore 17 Verso nuove tendenze? Angelo Bucci e Alberto Cecchetto Giovedì 10 luglio ore 17 Verso nuovi paradigmi estetici? Laura Thermes e Renato Rizzi

In cosa consiste il servizio? Il servizio offre fotocopiatura in A4 e A3, stampa e plottaggio in bianco e nero e a colori, di file in vari formati tra i quali Pdf, Dwg, Dxf e altri. Gli aventi titolo al servizio devono recarsi presso il Centro Stampa Quattroesse di Francesco Montellato, sito al piano terra della sede delle Terese, con il materiale da fotocopiare e/o i file da stampare e plottare su Cd, Dvd o pen drive Usb, dopo aver eseguito una scansione antivirus degli stessi. Presso il Centro Stampa si troverà l’assistenza necessaria: il gestore, di volta in volta, valuterà se sia possibile eseguire i servizi richiesti al momento o, diversamente, ne indicherà l’ora del ritiro.

sopralluoghi

Venerdì 04/07 Cercando il luogo per la prima moschea a Venezia studenti del workshop di Arman Akdogan & Felix Madrazo (IND)

Ci sono limiti ai servizi che si possono richiedere? Sì. Per ogni workshop è fissato il limite di 650 (seicentocinquanta) Euro quale controvalore dei servizi richiesti alle tariffe praticate da Quattroesse. Superato questo limite, Quattroesse non è autorizzata ad erogare ulteriori servizi se non a pagamento diretto. Sono vietati: fotocopiatura di dispense, stampa di tesi e tesine ecc!! Chi può accedere al servizio e quali sono le procedure? Possono accedere al servizio i docenti titolari dei corsi intensivi, assistenti e tutor, oltre agli studenti purché espressamente autorizzati dal docente, assistente o tutor. Ogni corso dispone di un “foglio di credito”, conservato dal docente titolare, e in copia da Quattroesse, sul quale vengono annotati i servizi erogati e il loro controvalore in Euro. Chi chiede di accedere al servizio deve obbligatoriamente portare la copia del “foglio di credito” conservata dal docente, richiedere a Quattroesse l’annotazione e controfirmarla in modo leggibile. Il mancato rispetto di questa procedura comporta la sospensione immediata del servizio.

Chi e dove?

Venerdì 4 luglio 2008 Laboratorio08 Numero 4 Supplemento a Iuav-Giornale d’Istituto Registro stampa 1391 Tribunale di Venezia

Santa Marta

Non è Adalberto. Oddio ma chi è? Oddio ma dov’è?

Primo piano Thermes, A1 Ciacci, A2 Rykwert – Ruan, B Rizzi, C Casamonti, D Dainese, E Semerani – Tamaro, F Rich, G Campeol, I

Succede. Non dovrebbe ma succede. Ve ne sarete accorti ma in caso di dubbio la persona che campeggia a pagina cinque del numero di ieri sotto il nome “Adalberto Dias” non è Adalberto Dias. Che è invece immortalato nell’immagine che vedete qui. Ce ne scusiamo sinceramente e speriamo che il mutamento di umore e il crescente sgomento che ci hanno colto mentre sfogliavamo il giornale fresco di stampa (non è male, dai...ma, aspetta un momento, guarda qui a pagina cinque...ma dov’è finito?! è scivolata la foto...ma come è potuto accadere?!) siano sufficienti a farci evitare la giusta ira dell’interessato.

Secondo piano Cibic, L1 Tagliabue, L2 Prati, M1 Cecchetto, M2 Carrilho – Albiero, N1 Bürgi – Cunico, N2 Dias, O1 Gausa, O2

Direttore artistico Enrico Camplani Coordinamento redazionale Luca Caratozzolo Elisa Pasqual Laboratorio interfacoltà Far/Fda Nell’ambito dei workshop estivi aa 2007-8 Far/Fda_Iuav Redazione testi e immagini studenti Far Roberta Boncompagni Dario Breggiè Mariaelena De Dominici Letizia Ferrari Francesco Leoni Caterina Mendolicchio Nicoletta Petralla Giovanni Righetto Laura Scala Luca Stefanet Elena Stellin Elena Verga Elena Zadra

Magazzini 6 Piano terra Femia – Peluffo, 0.1-0.3 Bucci, 02.-0.4 Tusnovics, 0.5-0.7 Nicolini, 0.8-0.10

Redazione grafica studenti Fda Irene Bacchi Benito Condemi de Felice Elvira del Monaco Claudia De Angelis Maria Polverino Gabriele Rivoli

Primo piano Campos, 1.1-1.3 Tosi, 1.2-1.4 Gambardella, 1.7-1.9 Akdogan – Madrazo, 1.8 Secondo piano Borgherini – Werblud, 2.3 (aula informatica) Accossato – Trentin, 2.2 Mancuso – Chun, 2.4 Fontana, 2.5

Progetto grafico n.4 Claudia Rossi

I quotidiani sono stati progettati da studenti clasVEM aa 06/07 e utilizzati per l’edizione del Laboratorio08, ci scusiamo con gli autori per non averli menzionati nei numeri precedenti. n. 0 Katerina Dolejsova n. 1 Gloria Zanotti n. 2 Max Regoli n. 3 Alessandra Crocetta

Redazione, 1.5 Staff, 1.6

Direttore scientifico Marina Montuori Coordinamento di redazione Massimiliano Botti

Coordinamento multimediale Massimiliano Ciammaichella Ketty Brocca Redazione web video studenti Fda Ambra Arcangeli Enrico Ausiello Enrico Rudello online http://laboratorio08.wordpress.com email laboratorio08@iuav.edu Coordinamento generale Esther Giani

UNA SOCIETÀ DI FONC I ÈRE DES RÉG IONS

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