Numero Nove

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Intervista a Luciano Semerani

Seminario Fisica tecnica

Trendsetter

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Venerdì 11 luglio 2008 - Numero 09 - Anno secondo

Verso nuove tendenze?

Altra materia da romanzo (come direbbe Balzac)

Bucci vs Cecchetto

Tra arte e architettura

La conferenza di mercoledì 9 luglio ha rivelato prospettive sorprendenti. Non contro ogni aspettativa, ma rispetto ad un incipit poco entusiasmante, il dibattito che si è sviluppato è stato singolare sotto diversi punti di vista. Innanzi tutto ci si potrebbe sbilanciare dicendo che l’auditorium contava un numero dignitoso di partecipanti (saranno servite le nostre rimostranze? Cfr n. 7, 9 luglio) e poi che, a conferenza conclusa, ci sono stati ben due interventi del pubblico, uno dei quali addirittura proveniente da uno studente. Accidenti! Ma tralasciando ogni tipo di ironia, si potrebbe confermare come nella conferenza si siano delineate le due figure ben distinte, in certi momenti anche contrapposte, di Angelo Bucci e di Alberto Cecchetto. Sono innegabili gli elementi di grande diversità che contraddistinguono i due architetti. Bucci mostra pochi progetti di abitazioni in Brasile. Li descrive al pubblico quasi come volesse instaurare un semplice dialogo, cercando di farsi suggerire qualche parola in italiano. Il suo racconto dura circa venti minuti. Da parte sua, Alberto Cecchetto mostra subito una personalità molto forte. La esprime in ogni suo progetto e di progetti, questo pomeriggio, ce ne fa vedere veramente tanti: cantine, auditorium, centri polivalenti… Le ispirazioni da cui sono scaturiti e le problematiche che hanno comportato in fase di studio e realizzazione rispecchiano appieno la realtà italiana, con la sua creatività e le sue contraddizioni. Ma è proprio un’espressione di Cecchetto, detta per scherzo e ripetuta più volte nel corso della prima parte della conferenza, ad essere l’origine simbolica di quello che potremmo definire il “fulcro” dell’incontro fra le due personalità, intendendo con questo termine il significato autentico di “scambio”. «Lo dico per il nostro amico di San

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Paolo, in Italia le sue architetture sono impensabili, la normativa e la burocrazia, che in Brasile, non esistono, qui impedirebbero l loro realizzazione…». Cecchetto, nella sua definizione di buona architettura, dà fondamentale importanza al rapporto che instaura con il luogo. Seguire l’orografia e partire dalla forte energia che questa conferisce al progetto portano l’architetto a trovare una grande quantità di ispirazioni e a sviluppare la propria creatività. Angelo Bucci è, secondo il progettista veneziano, capace di riscoprire una simile creatività. Tuttavia la sua osservazione sul lavoro del collega, con quella vena di leggera ironia, in qualche maniera si è fatta sentire. È rimasta nell’aria. E la risposta, sotto forma di lunga riflessione personale, trasforma Angelo Bucci, fino ad allora personaggio molto riservato (quasi timido) in un oratore capace di coinvolgere il suo pubblico. «Che meraviglia quel Brasile, dove non esistono leggi sismiche o edifici storici che vincolano i nuovi interventi. Che meraviglia quel Paese sotto l’Equatore, dove la normativa non fa perdere ore ed ore per inutili cavilli giuridici…» Bucci è improvvisamente molto chiaro su certi luoghi comuni. Ciò che a San Paolo appare come una libertà immensa è in realtà per l’architetto una grande precarietà: è necessario un enorme sforzo per emanciparsi da cinquecento anni di passato coloniale. Nonostante ciò, in Brasile il lavoro, il progetto, rappresentano un’occasione per dare valore e significato alla propria vita. Non si progetta qualcosa per essere pubblicati, ma per offrire l’opportunità alle persone di ritrovare un’identità materiale in cui riconoscersi. È questa, secondo Bucci, l’Architettura che crede nel futuro. Invece, ciò che si progetta oggi in molte parti del mondo va avanti come se il futuro non avesse alcun peso, tra-

sformandosi, in termini estremi, in una sorta di costruzione della fine del mondo. L’architettura moderna ha provocato nel lavoro dei contemporanei una inversione di senso molto importante. Prima di oggi era il passato, la storia di un luogo ad essere il riferimento nella progettazione, mentre adesso è solo il futuro ad orientare l’azione degli architetti. Diventa difficile, di conseguenza, riuscire a parlare un linguaggio architettonico comprensibile. Angelo Bucci a tal proposito cita Il Conte di Montecristo di Calvino: «Capire come è costruita la prigione è l’unico modo per il prigioniero di riuscire a scappare». Non è forse vero? Ogni cosa diventa una prigione se non riusciamo a comprenderne il significato. Ma oggigiorno non è solo il significato a dare valore ed identità ad un’architettura. Cecchetto e Bucci individuano nel tempo la prima grande forma di distinzione da molte altre arti. Il tempo di un’architettura è lungo, molto più lungo di qualsiasi altra creazione. Il suo peso ha un valore intrinseco molto forte, più di quanto avvenga per lo spettacolo o per il design. Cecchetto riesce a rendere chiaro questo concetto: «l’architettura non è una forchetta», il suo valore si basa sul lavoro con la luce, l’acqua, il paesaggio. Ma la libertà di disporre di tutti questi elementi necessita, nel progetto, di seguire una logica ferrea ed il risultato si può ritenere positivo solo se l’intervento assume un significato civile collettivo. Il pensiero comune è che la ricerca e la sperimentazione debbano essere una costante del processo architettonico e che il futuro di tale analisi vada cercato più nella continua domanda che nelle possibili risposte ad essa. L’architettura cambierà linguaggi e forme, ma la sua presenza rimarrà costante. L’architettura sopravviverà agli architetti. Nicoletta Petralla

Tutto serve. L’architettura si nutre di tutto, così il progetto. Non potrebbe essere altrimenti, ragionevolmente escludendo l’atto di pura creazione – che solitamente si riscontra nella pratica quotidiana delle divinità – o la partenogenesi ideativa. Le Corbusier ha passato metà della sua vita a dipingere, preparare cartoni per arazzi, bozzetti per sculture di legno. Ogni mattina era dedicata all’atelier di pittura, ogni pomeriggio al lavoro progettuale nello studio di Rue de Sèvres. Senza tutto questo la sua architettura sarebbe stata diversa (o non sarebbe stata), motivo per cui registriamo con imbarazzo la disinvoltura che mostrano numerosi dei suoi celebrati epigoni nell’appropriarsi, spesso senza destrezza, di forme eminentemente autobiografiche. Oscar Niemeyer, a cento anni compiuti, disegna i profili delle montagne che circondano la baia di Rio de Janeiro e corpi di donne. Bellissimi. Ha narrato infinite volte di queste ossessioni, che trovano ancora oggi la strada per tradursi in architettura realizzata. Aldo Rossi ha costantemente riflettuto su oggetti altri che trasfigurati hanno raggiunto la consistenza di edifici. Henri Ciriani, generoso come sempre nel condividere i tratti del suo essere architetto e maestro, sostiene che dalla sua grande passione per Tiepolo deriva la devozione per i cieli dentro ai quali plasma letteralmente i suoi edifici, cieli a cui dedica una parte importante del suo tempo. Altri, innamorati del segno consapevole, li abbiamo osservati esporsi con passione in questi giorni durante gli incontri delle cinque al cotonificio, e ancora altri seguiranno. E ne dimentico legioni. Per tacere del lavoro che richiede la pratica artistica, ché si andrebbe

ben al si là dei limiti di questo scritto (anche se, con Paul Valéry: «Per quanto grande sia la potenza del fuoco interiore, essa diventa utile e funzionale solo se viene incanalata nei congegni dell’arte»). Se chiedete a un architetto, a un bravo architetto, vi sentirete rispondere che si tratta di un mestiere incredibile, grazie al quale nell’arco di poche ore potrete discutere animatamente con un capocantiere sulla corretta posa di una scossalina di rame, leggere un saggio di linguistica strutturalista, o visitare una mostra d’arte, o ascoltare un brano di musica (magari del jazz, forse il Charlie Mingus di Fables of Faubus), e da tutto questo ricavare materiale per il prossimo progetto. Esistono architetture costruite che sono come le vediamo perché prima di esse c’erano i quadri di Emilio Vedova, o un intreccio di rami contro al cielo, o una teoria compositiva pensata per la musica contemporanea, o il tracciato di un sismografo, o il carapace di un granchio, o le speculazioni di Richard Feynman sullo spazio subatomico, o... Naturalmente non è sufficiente. Non è garanzia di nulla, certo non della validità del progetto. E non è un processo meccanico per generare forme à la page. Ma se chiedete a un architetto, a un bravo architetto, vi dirà che senza l’innesco, senza un primo atto di arbitrio seguito da una concatenazione di decisioni causali sostenute dalle regole dell’arte, di altro si parlerebbe. Non di architettura, che da sola a sé stessa comunque non basta. Massimiliano Botti

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venerdì 11 luglio 2008

Workshop Casamonti Finalmente si va in mezzo alla gente a raccogliere impressioni! Chissà quante emerite “teste universitarie” cadranno sotto i colpi dell’implacabile giudizio di questa gioventù sporca di Vinavil e sommersa dal cartonlegno! Entro di soppiatto nell’aula del laboratorio del professor Casamonti e subito, da bravo avvoltoio in veste di giornalista, non mi sembra vero di cogliere un po’ di disappunto negli sguardi dei ragazzi. Si scopre che Marco Casamonti si è mostrato una volta sola per la presentazione del corso, e tutti gli intervistati sono concordi nel dire che questo primo incontro li ha lasciati con una buonissima impressione. Da quel giorno il professore non si è più fatto vedere. C’è una vena di comprensione in questi giovani abbandonati: un personaggio come Casamonti è tale proprio perché un giorno è a Dubai, quello dopo è a Pechino e così via. Malignamente insinuo che se ci si prende l’impegno di tenere un workshop di progettazione, quantomeno sarebbe corretto nei confronti di chi lo segue che il professore rimanga entro i confini dello Stato. Molti ragazzi annuiscono. Pensare che, proprio per lui, la maggior parte di loro ha scelto il corso! La sua reputazione lo precede: un ragazzo del secondo anno lo ha sentito parlare in una conferenza durante la passata edizione dei workshop e ne è rimasto colpito; altri scorrendo su internet il regesto delle sue opere hanno imparato a conoscere un architetto

originale e brillante. Tutta questa considerazione ha creato anche notevoli problemi organizzativi all’interno del laboratorio, come nota un ragazzo: «Bisognerebbe dire agli studenti assegnati dallo Spin che restino nel loro corso. A causa dell’incredibile afflusso di persone provenienti da altri workshop siamo stati suddivisi in sette gruppi da dodici persone l’uno e lavorare diventa complicatissimo. Abbiamo sprecato due giorni solo per organizzare i gruppi». Questo malcontento era stato espresso anche dal professore durante la sua unica apparizione, ma non c’è stato modo di porvi rimedio. «Siamo molto rallentati nel lavoro a causa di questi gruppi numerosi», commenta un altro studente «stiamo ancora pensando al concept del progetto perché, anche quando c’è molta intesa tra i componenti del gruppo, è difficile mettersi d’accordo». C’è poi tra gli studenti chi ovvia al problema non venendo proprio a lezione e qui si scatena una polemica che pone al centro i ragazzi del terzo anno. Così si pronuncia in merito una ragazza dai toni decisamente alterati: «Abbiamo ragazzi del terzo [anno, N.d.R.] nel gruppo che non fanno nulla! Si presentano pochissime volte e non lavorano, tanto per loro l’importante è prendere l’idoneità! E poi magari vengono qui e pretendono di dare lezioni a noi che lavoriamo… bisognerebbe mettere il voto anche a loro così forse s’impegnerebbero di più». Altri ragazzi non condividono il fervore della ragazza sopra citata: pur ammet-

tendo che esistono casi di lassismo, non si sbilanciano nel fare di tutta l’erba un fascio e mi indicano esempi di ottimi e impegnati lavoratori. Insomma, gli studenti non sembrano essere completamente a loro agio e guardando il grande assembramento di tavoli che troneggia in aula D (corrono voci sulla prossima realizzazione di un plastico gigantesco) mi viene in mente l’immagine di un palco, sotto al quale orde di fan impazienti aspettano che la loro rockstar cominci il concerto. Professore, questi hanno pagato il biglietto! Francesco Leoni

Marco Casamonti Cantina Antinori Bargino (Fi) 2005

Workshop Cecchetto

Alberto Cecchetto Auditorium Padova 2007

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Nell’aula del professor Cecchetto si respira un’aria di pacata tranquillità, sarà perché sono le dieci e mezza del mattino e l’aula non si è ancora riempita del tutto. Incomincio a testare questa calma per verificare se è apparente o reale: eppure dai primi resoconti sembra che il workshop di Cecchetto sia l’Eden dell’intero IUAV. I ragazzi sono nella stragrande maggioranza del secondo anno, richiamati perlopiù dalla solida carriera progettuale del professore o per via di un passaparola. I pochi capitati casualmente (il deus ex machina dello spin ci coinvolge tutti), si sono trovati molto bene. Addirittura un ragazzo di Padova è rimasto infatuato del progetto presentato da Cecchetto per l’auditorium della sua città e per questo ha voluto partecipare al suo workshop. Ci sono circa tredici gruppi di lavoro da sei persone, all’interno dei quali molti si conoscevano già da tempo, e dalla quantità di plastici e disegni sui tavoli sembra che il lavoro proceda a pieno regime. <<La mole di lavoro è abbastanza alta, ma gli argomenti sono interessanti>> commenta un ragazzo del terzo anno << io sono stato assegnato a questo gruppo per caso, ma la trovo un’ottima esperienza per ora>>. E il professore c’è? Pare che venga abbastanza spesso per la media generale del corpo docente: ogni due giorni fa revisione e gli studenti sono più o meno soddisfatti da come vengono seguiti sia da lui

che dai collaboratori, ma è su questo punto che pare ci sia una leggera pecca in un panorama per il resto idilliaco. << È normale in un laboratorio di progettazione, lo sappiamo bene date le passate esperienze, ma non possiamo fare a meno di essere un po’ infastiditi da fatto che gli assistenti e il professore entrino in contraddizione fra loro in quello che ci richiedono. È capitato a volte che, dopo una correzione dell’assistente, arrivasse il professore a ripristinare le cose come prima. Se ci fosse più dialogo eviteremmo del lavoro inutile, però è ovvio sia un po’ così quando si trattano argomenti soggettivi come la progettazione>>. Il procedimento architettonico di questo workshop per molti studenti è nuovo, diverso dal solito: si parte da delle dicotomie (caldo-freddo, luce-ombra, liquido-solido), dallo studio dei materiali e degli effetti degli stessi per poi giungere in seguito ad una forma reale. In alcuni questa inversione del processo costruttivo crea un leggero spaesamento, ma in generale non ci sono giudizi particolarmente negativi. <<Il professor Cecchetto è un po’ un personaggio, penso voglia puntare molto sulla mostra. Ma in generale gli argomenti sono interessanti e ci pongono in nuove prospettive, vedremo come si svilupperà il tutto>>. Francesco Leoni

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venerdì 11 luglio 2008

Workshop Ciacci Ma cosa succede nel workshop di Leonardo Ciacci?! Esco completamente confuso da questo tour d’interviste ai ragazzi. Sembra che si siano messi d’accordo per dire l’uno il contrario dell’altro e fare impazzire il vostro affezionatissimo (scusami Alex)! Cerchiamo di partire dagli elementi più o meno comuni a tutti. Il professore è giudicato come irreprensibile, c’è sempre e a detta di tutti è molto gentile e competente. Alcuni però lo giudicano un po’ noiosetto, altri pensano che non li segua abbastanza. Altra opinione generale è quella che non si riesca a spaziare in maniera rilevante fuori da certi schemi progettuali voluti dal professore: «Se qualcuno ha l’intuizione concorde con una sua idea preesistente allora questa viene sviluppata ma senza particolari voli pindarici; non pretendiamo di saperne di più su cosa è meglio per il progetto ma abbiamo paura che troppi interventi esterni si finalizzino in un progetto che non sentiamo nostro». L’intero laboratorio (a cui pare non ci sia stata una particolare affluenza) è stato diviso in cinque grandi gruppi che si occupano di un tema progettuale centrale, mentre due altri gruppi curano la parte storica e quella inerente agli interventi fatti finora nel centro urbano di Sovizzo. Viene anche prodotto un video che quotidianamente registra i progressi del workshop, montato poi da un collaboratore del professore. Tre ragazzi interrogati al riguardo si esprimono duramente nei confronti degli

assistenti: «Non capiscono che per noi del terzo anno, con gli esami e le lauree imminenti, è impossibile seguire tutte le lezioni. Per poter restare alla pari siamo costretti a chiedere aggiornamenti agli assistenti che poi ci dicono di arrangiarci, che dovevamo esserci durante le lezioni e magari si arrabbiano pure. Non ci sembra giusto che la nostra condizione non sia per nulla presa in considerazione: oltretutto si è anche poco motivati non ottenendo né voto né crediti. Lo si fa solo per l’idoneità. Il workshop in questo periodo è sbagliato per noi del terzo anno perché non siamo in grado di seguirlo appieno». Alcune ragazze non condividono invece quest’opinione nei confronti degli assistenti, dai quali si sentono seguite e giudicano giusto il loro comportamento un po’ severo. Altro comune denominatore degli intervistati è la sensazione di un attrito concettuale tra il professore e i suoi collaboratori. C’è chi lo imputa a una competenza più prettamente urbanistica del docente che si scontra con una visione da architetto “puro e duro” degli assistenti. Insomma da questi ragazzi non so se percepire diffuso malcontento o i soliti problemi nei quali è normale incorrere in un laboratorio progettuale. Speriamo che questa gran bailamme si dipani per dare luogo a un progetto degno di un tema così interessante, a detta degli stessi studenti. Francesco Leoni

Workshop Cibic Alle ore quattro e mezza nell’aula del professor Cibic il lavoro è frenetico e incessante tanto che pochi hanno tempo di rilasciare opinioni e non me la sento di interrompere la loro passione lavorativa. Riesco a strappare qualche stralcio d’intervista qua e là che riportano un’impressione generalmente positiva. «Il professor Cibic non è sempre presente» mi dice un ragazzo mentre frettolosamente torna al tavolo da lavoro «ma gli assistenti sono molto validi e suppliscono benissimo a quest’assenza». Sembra che il lavoro che stanno conducendo sia molto ben impostato anche sul piano della resa grafica: PowerPoint e presentazioni veramente belle si possono cogliere sbirciando sugli schermi dei computer sui tavoli. «Ho appositamente cambiato workshop per poter seguire quello di Cibic, mi piace molto il lavoro che stiamo svolgendo qui» commenta una ragazza senza staccare gli occhi dallo schermo. Alcuni ragazzi del terzo anno sottolineano come il wor-

kshop sia molto responsabilizzante, le consegne ci sono ma non si è marcati stretti per quanto riguarda le presenze e questo rende possibile anche sostenere i tanto sofferti esami di questo periodo. Uno studente sottolinea anche di aver molto apprezzato la possibilità data loro di creare autonomamente gruppi di lavoro, fino ad un massimo di sei persone, senza costringere nessuno a lavorare con persone sconosciute. In questo modo le dinamiche lavorative sono molto più rapide ed efficienti. La mia percezione (che non in tutti i laboratori ho riscontrato) è quella di una grande sinergia ideativa, come il professore aveva annunciato. Alcuni ragazzi, che già l’anno scorso avevano seguito il laboratorio del professore, si pronunciano nei confronti di questo workshop: «Siamo tornati per il secondo anno consecutivo perché in questo corso si lascia molto spazio alla dimensione creativa. Non s’intende l’architettura da un punto di vista meramente costruttivo ma

anche attraverso altre visioni». Insomma non è chiaro se chi segue Cibic sia attratto dal tema di questo centro di ricerca, di questa fucina d’idee, che sembra affrontato in maniera molto cool dal professore, oppure dalla promessa di un carico di lavoro non ingente che lascia lo spazio per occuparsi anche di altre attività universitarie. Ciò che ho percepito, non tanto oggi pomeriggio, quanto durante l’intervista fatta al professore (comparsa sul numero 6 di «Laboratorio08»), è che fra gli studenti e questo docente ci sia un’intesa, dopo solo una settimana, che altri non riescono a ottenere (o non vogliono ottenere) anche dopo mesi di laboratorio. Il carisma non è acqua ragazzi. Francesco Leoni

Microrealities Aldo Cibic

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venerdì 11 luglio 2008

Carta fiorita e suggestivi tramonti ogni gruppo ha comunque la sua revisione. La professoressa è perciò molto presente? Sì, lei ci segue veramente, al contrario di come accade spesso nei laboratori di progettazione. Siamo in ottanta e lei riesce sempre e comunque ad organizzare le revisioni per tutti, ci segue anche nei sopralluoghi. La mattina di venerdì 11 è prevista una nuova uscita in barca, per assistere all’abbassamento della marea e per poter, questa volta camminare sulla Secca. Si parte dalle Zattere (vaporetto) alle 6.30 o alle 7.00, molto presto insomma. Ancora dobbiamo organizzare l’escursione notturna. La prof sembra sempre molto curata, anche nel vestire… La osserviamo. È molto fantasiosa ed originale, sempre colorata. Oggi è in viola, ma ieri aveva

un vestito arancione. Finora abbiamo notato capi d’abbigliamento diversi ogni giorno, scopriremo se si è portata davvero quindici assortimenti differenti, per ogni giornata del workshop. (ride) Immancabili sono i sandali con zeppa (che indossa sempre anche l’assistente… la donna, non l’uomo!). I colori che la professoressa ama cambiare negli abiti mostrano la loro vivacità anche nei suoi progetti, nelle sue idee, sempre molto colorate e fantasiose. Lo stesso vale per i temi del workshop. Che materiali usate? Sono diversi da quelli soliti? Molto! Usiamo rame, carte stampate a fiori, a seconda delle scelte di progetto. Noi, per esempio, abbiamo pensato ad un orto botanico e abbiamo scelto il materiale di

conseguenza. Sono richiesti anche video, fotomontaggi, un po’ di tutto.. La creatività è parte di questo laboratorio. Più ti mostri creativo, meglio è. Ci divertiamo. I temi e i tempi sono giusti, tutto è organizzato bene. Riusciamo anche a gestire gli esami slittati in questo periodo. Questo laboratorio non è né troppo impegnativo, né noioso. Quali esami dovete preparare? Urbanistica, per oggi pomeriggio. Ieri ci siamo divise il lavoro, in alcuni momenti qualcuna di noi ultimava i lavori per urbanistica, mentre le altre si occupavano del workshop, e vice versa. Come si sopravvive durante il workshop? Personalmente, fumo otto sigarette al giorno! È più del solito. E poi caffè, caffè, caffè. Il caffè in casa sta finendo, oltre tutto (guarda le

compagne di gruppo…sono tutte coinquiline). La sera poi per lavarsi è sempre una guerra! Non sai mai quando farsi la doccia, c’è sempre altro da fare. Sembrate tutto sommato soddisfatte, ma… non vorreste piuttosto essere in vacanza? Beh si, perché comunque siamo stanche, ma essere qui è ugualmente divertente quindi ci sta bene. A fine workshop andremo sicuramente al Lido a festeggiare. Penso che ci devasteremo! Mariaelena De Dominici Elena Zadra

Dainese Nuovo centro logistico Dainese Vicenza 2005

Il workshop è da tempo avviato, l’atmosfera che si respira sa ormai di abitudine. La professoressa è già in aula, ma riusciamo comunque a rubare qualche risposta agli studenti indaffarati. Cosa state facendo? Dobbiamo progettare delle piattaforme galleggianti, le unirà una passerella che ruoterà attorno alla Seca del Bacan. In questo momento stiamo preparando una tavola per la revisione di oggi. Ogni giovedì tutti i gruppi appendono i loro elaborati alle pareti e la professoressa individua le questioni generali, problematiche, interpretazioni errate, in modo da dare qualche “dritta” il giorno successivo, permettendoci di non perdere tempo e di pensare a come migliorare il progetto nel fine settimana. Nei giorni restanti

Intervista agli studenti di Silvia Dainese

Workshop Dias Stanno facendo revisione gli assistenti del professor Adalberto Dias quando entriamo nell’aula al primo piano del Cotonificio di Santa Marta. Facciamo un giro rapido con domande veloci ai moltissimi ragazzi che affollano l’ambiente. Appena terminata la revisione, quali sono a caldo le tue impressioni? A È andata male, dobbiamo riprogettare alcune parti del plastico per venerdì. In poco tempo ci sarà molto lavoro da fare. La colpa è del gruppo, a mio avviso poco omogeneo; ci sono persone che faticano di più e altre che cercano soluzioni più facili. B Non è andata male. La divisione dei compiti nel nostro gruppo è organizzata nel modo migliore nonostante tutti facciano un po’ di tutto. Mi piace molto lo spirito di collaborazione che regna, e si è creata una bella complicità tra tutti i componenti. Cosa pensi di portare a casa da questo laboratorio? Io frequento il primo anno; ho imparato molto dagli studenti più grandi. Non tanto rispetto al modo di disegnare o alle tecniche per la realizzazione dei plastici quanto piuttosto a un modo di vedere e di vivere l’architettura in maniera più completa. Le mie vedute ora sono più ampie. Professori e assistenti come rispondono alle vostre esigenze? Il professore non è molto presente mentre gli assistenti sono gentili e

disponibili e organizzano molto chiaramente il lavoro. Ovviamente siamo in tanti e le revisioni si fanno attendere, ma questo non è imputabile ai docenti. Mi avvicino a due ragazze e osservo quanto si somiglino. Mi dicono di essere sorelle. La curiosità mi fa domandare quali siano i pro e i contro dell’avere una sorella in gruppo? Sicuramente sappiamo come prenderci e, conoscendoci già, i rapporti umani sono più facili. Ovviamente siamo qui per lavorare quindi non cambia particolarmente il rapporto da un qualsiasi altro compagno di corso. Se c’è il bisogno di litigare si litiga. A proposito di litigi, raccontateci un po’ cosa è successo? È nato un po’ di baccano per mancanza di rispetto da parte di uno studente, qualcuno fumava in aula, qualcun altro gli ha chiesto di evitare, si è passato subito agli insulti. Fortunatamente il giorno dopo il Preside Carnevale ha ripreso gli studenti e calmato le acque. Qual è l’atmosfera in questo corso? Come la marmellata di lamponi. Questo è il mio secondo anno ai workshop del professor Dias, l’atmosfera è molto più tranquilla dell’anno scorso. Non ci sono neppure più le code per la stampa alle Terese e sono tutti più felici. Luca Stefanet

Adalberto Dias Miragaia Porto 2000

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Workshop 5+1AA Femia-Peluffo Come è il rapporto con i docenti? Sono presenti? Il rapporto è molto buono… gli assistenti, poi, sono davvero alla mano. I professori sono sempre stati presenti nel corso della prima settimana…in questa non verranno, ma ci saranno in quella conclusiva. Comunque li scusiamo: sappiamo che hanno molto lavoro! In che modo dovete tradurre in pratica le vostre idee? Disegni o plastici? Lavoriamo tanto con i plastici. È ovvio che alla fine dovremo presentare degli elaborati grafici, ma in questo momento ci hanno lasciato completamente liberi di esprimerci come meglio crediamo. Per ora, per spiegare il progetto, stiamo “vaneggiando” su qualcosa di ideale, usando i materiali più diversi come legno, fil di ferro, spago, cannucce di plastica… E per simboleggiare il fiore di loto, abbiamo usato un “gioco d’infanzia”. E il quotidiano? Lo leggete? Certo! È un lavoro interessante e ricorda il giornalino che avevamo a scuola! È bello avere un giornale tutto per noi, che racconta giorno per giorno queste tre settimane. Lo usiamo per qualsiasi cosa, disegni, plastici…una nostra amica (che non fa architettura!) ci ha chiesto di portarle tutti i numeri…le piacciono molto e li colleziona! Unica critica: il numero e la data cambiano posizione ogni giorno!

5+1AA Palazzo del cinema Venezia 2005

Entrando nell’aula 0.1 dei Magazzini Ligabue l’atmosfera che si respira è quella di una grande operosa creatività. Sui tavoli oggetti di ogni tipo: accanto ai classici cartonlegno&Vinavil spuntano grovigli di reti, fil di ferro, una pianta di Venezia in plexiglas, specchi per vedere il mondo capovolto, bamboline woodoo in carta di giornale (il nostro?!) tenute insieme con lo scotch…ci soffermiamo su una delle tante curiose realizzazioni, trasposizione concreta della fantasia degli studenti. Come mai avete scelto questo workshop? Lo avevamo già fatto l’anno scorso e i professori ci erano piaciuti. Ci piace come lavorano, sono giovani e trattano temi insoliti. Sono “sentimentali”, hanno una sensibilità profonda che traspare dai loro atteggiamenti ed è quello che ci vuole. Anche nei loro progetti cercano di infondere quella poesia che li contraddistingue. Quali sono state le vostre scelte in relazione al tema proposto? Si tratta di progettare un’architettura galleggiante che rappresenti una nuova ricorrenza festiva da noi inventata. Nel nostro caso abbiamo reinterpretato una leggenda riguardante Marco Polo che, nel suo viaggiare lungo la Via della Seta, conquista l’amore di una giovane orientale…che poi si uccide. Abbiamo deciso di trattare questo tema per riprendere la grande funzione commerciale di Venezia nel corso dei secoli. Il simbolo di questo legame con l’oriente è il fiore di loto…

Mariaelena De Dominici Letizia Ferrari

Workshop Fontana

Fontana City finale

Nell’ aula del prof. Fontana mi avvicino a due ragazze con aria furtiva ben sapendo quanto il genere femminile sia restio ad essere intervistato. Nonostante questo riesco a strappare loro un’intervista a patto che possano rispondere assieme alle domande. La prima impressione che vi ha fatto il professor Fontana. Umano! Rispetto ai docenti di progettazione ai quali siamo abituate è molto più umano, è convinto delle sue idee e combatte per difenderle, inoltre è molto disponibile in caso di bisogno soprattutto con noi del primo anno. Che aspettative avevate riguardo questo laboratorio progettuale? Diciamo che all’inizio eravamo un po’ spaventate ma poi grazie anche ai contributi dei docenti molto competenti e disponibili abbiamo lasciate alle nostre spalle i timori. Avete creato legami con gli altri studenti,magari del secondo anno o del terzo? No, al di fuori del gruppo di lavoro i rapporti sono praticamente nulli. Anzi c’ è molta competizione e gelosia delle proprie idee. Forse anche per questo non si sono instaurati rapporti idilliaci. Giovanni Righetto

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6 La forza della prigione Carceri poliedriche

venerdì 11 luglio 2008

Intervista a Luciano Semerani

Sappiamo che ha tenuto un laboratorio di progettazione durante il workshop del 2002: com’era allora e com’è adesso? Il workshop del 2002 è stato bellissimo, si svolgeva in una località naturalisticamente impressionante: le Bocche del Timavo... il castello di Duino, le grotte, il Mitreo, le rovine romane, le chiese dei benedettini, le trincee della prima guerra mondiale, i dinosauri nella roccia... Era basato su un rapporto molto fisico con il luogo, la storia, il mito. Gigetta Tamaro propone per questo workshop un esercizio su alcuni fondamenti di architettura: geometria, matematica, logica. Cerco di destreggiarmi in concetti che non mi appartengono, sono più interessato ad una visione figurativosimbolica, «per un rapporto amoroso e sensuale con l’architettura». Questa è la prospettiva che amo; l’incontro tra più punti di vista è possibile, ma porta alla creazione di ibridi. In questa occasione sono solo un personaggio che passa sullo sfondo, come il cameriere che dice “la cena è servita”. Quindi non ha preso alcuna decisione riguardo a questo workshop? Diciamo che ho solo scritto a macchina. Cosa ne pensa, le piace il tema? Molto, è intelligente e interessante. La dimensione concettuale dell’architettura è molto importante, come quella simbolica, di cui io mi occupo. Sono aspetti diversi da quelli trattati negli esercizi proposti di solito dalla didattica, in cui si finge di poter realizzare qualcosa che riguarda la realtà, non l’università. L’Accademia, in quanto tale, ha i suoi pregi e i suoi limiti: fingere di studiare dei progetti concreti è abbastanza... un bluff. Un confronto tra l’università di oggi e quella di un tempo... Inconfrontabili. Come mai? Perché il mondo è cambiato, perché non esiste più l’ideologia, perché è

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stato abbattuto il muro di Berlino, perché non c’è più Stalin, nessuno vuol più essere comunista, nessuno vuol più essere socialista, nessuno riesce più nemmeno a farsi credere... Non c’è più nemmeno l’amicizia di un tempo… All’Iuav docenti con idee, linguaggi, interessi diversi si tenevano d’occhio, si confrontavano e si combattevano, in uno spirito di curiosità e simpatia, che io chiamo “amicizia”. C’era un interesse vero, tra me, Aldo Rossi, Guido Cannella... correnti che andavano l’una verso l’altra, si intersecavano… Ora sono poco presente, ma mi sembra che non sia così, mi sembra che tutti corrano da soli. Anche tra gli studenti è cambiato questo rapporto? Da due anni mi occupo solo del dottorato: il nostro è un clima di ricerca collettiva, fondato su un confronto aperto, esplicito. Trovo che gli studenti non abbiano abbastanza autonomia: passano da un docente all’altro, scorrono tesi completamente opposte, come se fossero intercambiabili. La nuova distribuzione che in modo meccanico assegna gli studenti ai professori è una stupidaggine, ai miei tempi si sceglievano i professori solo dopo aver sentito le varie lezioni. C’era, così, una selezione automatica, si capiva subito quali erano i programmi più impegnativi, chi era intenzionato a lavorare e chi no. C’era anche la possibilità di seguire un professore per più anni. Penso sia giusto scegliersi un maestro, ma ora è difficile, i professori e gli studenti sono troppi. La scuola di architettura dovrebbe accogliere un minor numero di persone però penso, e qui mi contraddico, che sia importante per tutti imparare cos’è l’Architettura, perché non si studia da nessuna parte, non se ne sa niente fino all’università. Ci saranno tante persone che non faranno l’architetto ma avranno

capito che esiste quest’arte, come per la musica: è importante amare la musica ma è ingenuo sperare di diventare tutti compositori. Composizione architettonica, musicale, pittorica e letteraria condividono le stesse strutture. Un gatto definisce la sua fine alzando la coda: la scala invece? La storia della scala e del gatto è nata da un’idea di mia moglie, non è mia. Con la scala si introduce il binomio limitato-illimitato. Paolo Budinich, un mio amico fisico teorico, ha lavorato con me per la mostra l’Immaginario collettivo (Parigi, La Villette): abbiamo trasposto in immagini il mondo della scienza, il cubo di Rubik, le equazioni, gli aspetti spaziali e astratti… è stato matematicamente dimostrato che l’universo è un punto e l’infinito non c’è; la mente umana ha bisogno di chiedersi cosa c’è al di là, ma in realtà non c’è nulla. Il concetto di infinito e di Dio sono invenzioni umane per spiegare fatti incomprensibili. “Infinito” e “finito” sono difficili da pensare, l’indefinito può esserci più chiaro: è ciò che vedi dall’aereo, sempre più profondo e lontano. tu sai che non è finito, ma nemmeno infinito: hai questa idea indeterminatezza del limite, che in realtà non esiste. La scala è un dispositivo spaziale, parte da qualcosa e porta a qualcosa; il problema della scala come elemento isolato la pone in una condizione fittizia, puramente concettuale, priva di possibili sperimentazioni. Il paradosso è che ciò accade nel workshop, perché la mente dell’uomo ha già provato a complicarsi la vita con l’indeterminato, l’indefinito, l’illusorio: la geometria proiettiva ha consentito di immaginare una struttura spaziale più complessa rispetto a quella di tre dimensioni o prospettica. Questo approccio consente di esplorare delle configurazioni spaziali interessanti che possano suggerire delle tecniche compositive diverse. La forza di questa idea sta nello scartare la scelta dell’originalità. Oggi gli architetti risolvono con banalità questo problema dell’illusione, della suggestione, della curiosità che l’architettura deve avere dentro di sé. L’architettura è un artificio, è una cosa che ti prende, perché non è prevedibile, o perché trovi di nuovo un monumento, che tu desideri re-incontrare. L’architettura è una magia che non prevedevi, che ti stupisce. Oggi questa magia si risolve attraverso prodigi strutturali, giochi meccanici, riflessi di specchi, appartamenti che ruotano, record di altezza, lotta contro la forza di gravità... artifici usati per convincere e attrarre. Bisogna scartare tutto ciò e trovare nel ritmo, nella geometria, nell’astrazione, nella logica una forza che tiene assieme l’oggetto e lo rende nuovo, ma non attraverso l’arbitrio, attraverso l’opposto dell’originalità che viene dall’arbitrio, che deriva dall’essere costretti dentro dei limiti, è la forza della prigione, è un pensiero racchiuso dentro il tema della scala. Come gli studenti hanno interpretato il tema?

Qualcuno ha fatto riferimento a John Hejduk e ha capito che la scala ha una relazione con il muro, qualcuno ha progettato uno spazio “alla Escher” con scale che partono dai piani x-y-z, e che portano nell’immaginario geometrico adatto più a blatte che a uomini. Quel ragazzo affronta il tema del pozzo di San Patrizio: una scala scende, l’altra sale come la Torre di Babele, l’ultima è sospesa. La scala ha molteplici declinazioni di carattere spaziale la scala è generatrice di spazi successivi e di luoghi, crea un tempo nella percezione, ha una dimensione narrativa. Per Tamaro è più una questione di rapporti tra numeri. C’è un gruppo che applica al progetto la serie di Fibonacci e formule che non si legano all’uomo nell’atto di percorrere con i suoi piedi la scala, ma a blatte. Se però hai letto Kafka, questa esperienza è presente negli incubi umani, e richiama sia Piranesi che Escher... Un criterio così meccanico e freddo può diventare uno spazio fruibile, un locale, un teatro shakespeariano, in cui gli attori e il pubblico sono mescolati tra loro. Abbiamo un rapporto curioso con il mondo scientifico, frequentiamo un fisico che ha contribuito alla teoria delle Stringhe, un’interpretazione universale del cosmo formato da spighette; e il professor Falaschi, un biologo che si occupa di DNA e cibi geneticamente modificati, per saziare la fame nel mondo. Parliamo spesso di tutto ciò, una volta eravamo tutti più amici, ma era un altro mondo. Forse questo influisce su mia moglie, io ho un approccio più ermetico, simbolico. Come vede questi studenti? Sono molto bravi, è sempre una soddisfazione e una malinconia. Il 90% delle persone ha delle risorse enormi, che non vengono coltivate perché non servono alla società: questo è triste. Quando si cresce, si

perdono molte energie, molta voglia di vivere e sperimentare... C’è una tale ricchezza nella mente delle persone! Ma spesso la società fa in modo che la mente venga ottusa, istupidita: ciò deriva dal dover seguire certe regole. Questa è la tragedia della nostra generazione: perché il socialismo e il comunismo sono falliti? Perché c’è questa preoccupazione di non rischiare, le persone sono tranquille rispetto al rischio solo se hanno a che fare con delle norme scritte. La terribile paura di sbagliare porta ai regolamenti di vigili del fuoco, polizia, funzionari, burocrate…Siamo tranquilli solo se ci sono delle Istituzioni che garantiscono cosa si può o non si può fare. E allora tutto ciò che avrebbe senso, il rispetto per i diversamente abili, i ciechi, l’assistenza agli anziani... diventa banale e paralizzante... non puoi fare una scala con dei gradini storti, devi fare un pianerottolo ogni dieci scalini, bisogna calcolare alzate e pedate, bisogna mettere le pareti di vetro sul ponte di Calatrava, bisogna evitare che le persone cadano in acqua e mettere tante ringhiere... Venezia è da sempre senza ringhiere e le persone non cadevano mai in acqua, tranne quando erano ubriache, oppure quando venivano spinte per farle annegare. C’è questa idea di evitare le malattie, la morte, gli errori umani con delle norme scritte e ciò rende la vita bloccata, stupida, prigioniera… Mariaelena De Dominici Laura Scala

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venerdì 11 luglio 2008

Integrated design of HVAC systems in buildings Non solo workshop. Summer Course Questo ciclo di conferenze, che si terranno dal 7 all’11 Luglio nell’aula magna dei Tolentini, nasce dalla cooperazione tra l’Università Iuav di Venezia e il Dipartimento di Fisica tecnica dell’Università di Padova. Partecipano inoltre numerose facoltà straniere da tempo impegnate nella ricerca sui temi del comfort e controllo ambientale, tra cui la DTU (Technical University of Denmark), l’UC Berkeley Department of Architecture. Il corso estivo prevede lo svolgersi di quattro seminari al giorno. Questa collaborazione ruota attorno alla relazione tra l’uso corretto dell’energia e la qualità dell’ambiente costruito. L’obiettivo è far incontrare competenze a livello internazionale il cui confronto conduca a soluzioni utili e innovative, rivolte a ricercatori e professionisti. Il tema principale è l’integrazione tra edificio e impianti (di condizionamento e di riscaldamento), allo scopo di usare al meglio l’energia per un maggiore comfort ambientale. Questa considerazione nasce dal fatto che a volte l’architetto tende a pensare l’edificio senza considerare l’aspetto impiantistico, anteponendo il progetto del primo a discapito del secondo. Il comfort, il risparmio energetico e la qualità della climatizzazione interna dovrebbero essere tra i parametri che influenzano la progettazione dell’ambiente costruito. Molto spesso le soluzioni adottate sono invece rivolte al sistema HVAC (acronimo inglese, che sta per Heating, Ventilation and Air Conditioning, ovvero «riscaldamento, ventilazione

e condizionamento dell’aria») piuttosto che allo sviluppo dell’edificio senza approccio integrato. Al contrario mettendo in atto una collaborazione tra le diverse competenze (architetti, strutturisti, impiantisti) si può giungere a una notevole riduzione di costi e consumi. Già dai primi giorni è stata riscontrata una buona affluenza di pubblico, nonostante l’evento sia rivolto principalmente agli studenti dei dottorati di ricerca e a professionisti. L’augurio che gli organizzatori si fanno, in particolare i professori Fabio Peron (Iuav) e Roberto Zecchin (Università di Padova) è che in futuro la partecipazione possa essere estesa anche agli studenti e che questi campi di applicazione possano fare parte anche del programma dei workshop estivi. Riportiamo qui di seguito il programma sintetico del seminario: Lunedì 07-07, giornata introduttiva. Le nuove tendenze dell’architettura sostenibile. Martedì 08-07, strumenti per un approccio innovativo al progetto Mercoledì 09-07, valutazione dell’ambiente interno: chiedere alle persone cosa vogliono Giovedì 10-07, trovare le opportune soluzioni di ventilazione per i diversi tipi di edifici Venerdì 11-07, conclusioni in merito al concetto di IEQ (Indoor Environmental Quality) ed esempi di progettazione integrata Letizia Ferrari Mariaelena De Dominici

Glossario

Trendsetter Vera pelle

C

offe&Cigarettes ma anche CartonlegnoCanson, a volte tutti insieme appassionatamente; un magico quartetto di C che accompagna le notti e le giornate di ogni studente che si rispetti. Al mattino si lanciano borse, borsette e borsoni sul banco più vicino alle poche prese dell’aula, si emette un maxi sospiro (per le donne) o un grugnito (per gli uomini), e ci si sposta alle macchinette o al baretto: “Caffè e cicca?” sono le voci di studenti che si chiamano l’un l’altro, ancor prima del “Buongiorno!” (tanto se si è in facoltà di prima mattina non lo è quasi mai, quindi inutile chiedere) voci che si sentono risuonare dalle 8 alle 10 e dalle 15 alle 17 indiscriminatamente (non è mai troppo tardi o troppo presto). A volte Caffè e Canson, o meglio, Caffè sul Canson, succede anche quello, per non parlare di Caffè e Canottiera con lo splendido effetto “a macchia di leopardo” che ne consegue: “perché sempre e solo quando mi metto qualcosa di bianco!?! Ma £$%&?*§!”

Per provare a dimenticare ci si abbandona a sniffare l’indelebile o a giocare alla doppia pelle con il Vinavil, ma nulla ci consola più del pensiero che tempo una settimana tutto sarà finito… plastici tanto sudati hanno le ore contate! I nostri reduci torneranno alle proprie famiglie (sigh!), fidanzate e fidanzati, o all’amico peloso, portando insieme alle ferite, panni sporchi e miasmi estivi… che solo una serata in campo Santa Margherita, con la migliore amica dello studente (birrrrra), potrà risanare.

D

anni&distruzione Reduci o studenti? Già dalla metà del workshop lo style, la camminata, l’umore delle “truppe” iniziano inesorabilmente a declinare; il giro di boa è stato fatto, l’acne nervosa comincia a lasciar tracce evidenti sullo studente Iuav.

Prima o poi, a forza di parlare di “pelle” degli edifici, doveva succedere che qualcuno pensasse di usarla per farne borsette. Generando una certa confusione sui ruoli e sugli obiettivi dell’architettura. Con ordine: a Luna Rossa avanzano ettari di vele sofisticatissime (fibra di carbonio e altre cose). Renzo Piano pensa che sarebbe bello usare questo materiale per realizzare l’involucro del padiglione che ospita il challenger italiano durante l’ultima edizione dell’America’s Cup, a Siviglia. Alinghi che, come da copione, stravince la competizione, ha l’idea – mutuata crediamo dall’inventore della vendita all’asta delle zolle dei campi di calcio su cui si è giocata una qualche epica finale – di usare le vele dismesse per farne borse, astucci e altro. Vele, edifici, borselli. I confini disciplinari sfumano: Massimiliano Fuksas realizza Zenith francesi, gli edifici per concerti nati da un’intuizione di Jack Lang, rivestiti di tela disponibile a colorarsi (e ingiallire nel tempo?), è possibile che una sorte simile toccherà anche al centro di Mestre, a pochi chilometri da dove scriviamo. Qualche storico malmostoso ci ricorda che l’architettura è questione di spazi, non di pelle. Ha torto? [red.]

Abstract n. 8 1 “The other half of the sky” Even if the title is metaphor for women, don’t get it mistaken. Starting from number 8, our interviews and articles will be focused on the “other” protagonists of the workshop: the students. We want to learn your point of view, listen to your opinion, but mostly, we want you to comment our work and give us suggestions for new ideas. 1 Towards a new modernism? Tusnovics VS Ind (Arman Akdogan and Felix Madrazo) An interesting debate was held on Wednesday between Dustin Tusnovics and the Ind. Unlike other conferences, this one was attended by a great amount of students and was characterized by a great will of learning from each other. The discussion concerned different points of view on the topico of “modernism”. 2 Workshop ACT Accossato, Trentin Two students were interviewed from Accossato and Trentin’s workshop. They offer different

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points of view on how they are facing the workshop and how they like it. They describe how this workshop is different from other courses as they are using new materials. They say they are working hard...luckily its only for this month! 2 Workshop IND Akdogan & Madrazo Ind’s workshop students explain how they are happy of their choice as they say the professors are qualified and very available. 3 Workshop Bucci The students in this studio say that the course isn’t very well organised, never the less the teacher is very creative and qualified. 4 Workshop Bürghi, Cunico Even if the professors are not very present the students understood the theme straight away. The course is well organised and is very interesting, if only there were more consistency between professors and assistants! 4 Workshop Campeol The students describe how, in this workshop, is interesting to consider the environmental impact

of architecture and how their work will be useful for their future job. 5 Workshop Campos The students are enthusiastic to tell us something about their workshop. They are free to focus more on concepts rather than designing. Most of them are very keen ok the course very much and would definitely choose it again. 5 Workshop Carrilho da Graça, Albiero In this workshop the students are enjoying the team work and their theme, they say, is extremely interesting. They have to create spaces for theatrical events, expositions and campuses in the Venetian islands. 6 “Car – handled” trip Cibic’s project area inspection Cibic’ s students went to visit the project site with their cars, had fun playing in the fields but also learnt how nature can express emotions and how these can be transmitted in their work. 6 A.A.A. Looking for professor: workshop with Australians or for the Australians?

Some of Rykwert and Ruan’s students explain the difficulties they are having with their workshop. They still haven’t met professor Rykwert and since the lessons are in English, they are finding it difficult to comprehend the theme. They were aware of the fact that the was going to be in English but they feel this course is more focused on the Australian students rather than on them. 6 No smoking! We remind you it is strictly forbidden to smoke in the classrooms, in the hall, in the corridor and in all the University. Let’s have respect for the law as well as for one another. 7 Crossing that little bit of water Hurry up! The 13th of July is the last day you can visit Giuseppe Santomaso’s (but not only) art exhibition. The exposition spaces in the island of San Giorgio Maggiore have recently been renewed and the place is beautiful. It’s an unrepeatable event!

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venerdì 11 luglio 2008 Servizi Far

Copie e plottaggi Dove? Al piano terra delle Terese, Centro stampa Quattro Esse Come? Con apposito “foglio di credito”, usando pen drive Quando? Anche ieri e per tutti i giorni fino al 18 cm Quanto? Fino a euro 650 per workshop Punto spray Dove? Al piano terra – esterno!! – sia del Cotonificio sia dei Magazzini 6 Perché? Perché fa male usare spray acrilici e simili in spazi interni e non sta bene imbrattare la Scuola 10/12.7

Venezia: insolito e divertente

mostre un mondo di carta Isabelle de Borchgrave incontra Mariano Fortuny Museo Fortuny in campo San Beneto (vicino campo Sant’Angelo) ore 10 - 18 (la biglietteria chiude un’ora prima)

Punto riciclo Dove? Ad ogni piano del Cotonificio e dei Magazzini 6, appositi cesti ove, razzolando, si può recuperare qualche frammento destinato a seconda vita. Alias NO “MONNEZZA”! Perché? Il Pianeta si sta stringendo e dobbiamo prendercene cura.

sconfinamenti exit - entry Ca’ Pesaro (fermata del vaporetto n.1 San Stae) ore 10 - 18 concerto di musica indiana Sankha Chattopahdyay e Shujaat H. Khan sabato 12 luglio alla Fondazione Giorgio Cini ore 18.30

14/16.7

Consigli

In vista della mostra conclusiva dei risultati workshop, si consiglia di pianificare le stampe delle tavole finali!

Giovedì 11 luglio 2008 Laboratorio08 Numero 9

Divieti

Supplemento a Iuav-Giornale d’Istituto Registro stampa 1391 Tribunale di Venezia

È severamente vietato fumare nelle aule, nei corridoi e in tutti gli spazi comuni delle sedi!!!

Direttore scientifico Marina Montuori Coordinamento di redazione Massimiliano Botti

Dall’Interno

Conferenza Presentazione dei libri Baukuh, 100 piante e Sp10studio, Quaderno dal 2000 De Ferrari editore, Genova 2008 Saranno presenti oltre a Franz Prati, anche Daniele Pisani, Paolo Ceccon, Matteo Ghidoni e gli autori Conferenza Lunedì 14 luglio ore 11:30 Auditorium Cotonificio di Santa Marta Dustin A. Tusnovics More Occasion 4 learning progetti dal Sud Africa Mercoledì 16 luglio ore 9 Aula magna Toletini Tesi di laurea tra vecchio e nuovo ordinamento intervengono: Carlo Magnani, Marco Ferrari, Aldo Aymonino, Alberto Cecchetto, Francesco Garofalo e molti altri...

E naturalmente prendere materiali nelle aule di altri workshop.

Chi e dove? Laboratorio interfacoltà Far/Fda Nell’ambito dei workshop estivi aa 2007-8 Far/Fda_Iuav

Santa Marta Primo piano Thermes, A1 Ciacci, A2 Rykwert – Ruan, B Rizzi, C Casamonti, D Dainese, E Semerani – Tamaro, F Rich, G Campeol, I Secondo piano Cibic, L1 Tagliabue, L2 Prati, M1 Cecchetto, M2 Carrilho – Albiero, N1 Bürgi – Cunico, N2 Dias, O1 Gausa, O2 Magazzini 6

UNA SOCIETÀ DI FONC I ÈRE DES RÉG IONS

Piano terra Femia – Peluffo, 0.1-0.3 Bucci, 02.-0.4 Tusnovics, 0.5-0.7 Nicolini, 0.8-0.10 Primo piano Campos, 1.1-1.3 Tosi, 1.2-1.4 Gambardella, 1.7-1.9 Akdogan – Madrazo, 1.8 Secondo piano Borgherini – Werblud, 2.3 (aula informatica) Accossato – Trentin, 2.2 Mancuso – Chun, 2.4 Fontana, 2.5 Redazione, 1.6

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Direttore artistico Enrico Camplani Coordinamento redazionale Luca Caratozzolo Elisa Pasqual

Redazione testi e immagini studenti Far Roberta Boncompagni Dario Breggiè Mariaelena De Dominici Letizia Ferrari Francesco Leoni Caterina Mendolicchio Nicoletta Petralla Giovanni Righetto Laura Scala Luca Stefanet Elena Stellin Elena Verga Elena Zadra Redazione grafica studenti Fda Irene Bacchi Benito Condemi de Felice Elvira del Monaco Claudia De Angelis Maria Polverino Gabriele Rivoli Progetto grafico n.9 Silvia Schiaulini Coordinamento multimediale Massimiliano Ciammaichella Ketty Brocca Redazione web video studenti Fda Ambra Arcangeli Enrico Ausiello Enrico Rudello online http://laboratorio08.wordpress.com email laboratorio08@iuav.edu Coordinamento generale Esther Giani

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