Holding e regime della «participation exemption»
SOMMARIO 7.1
Introduzione
7.2
Requisiti di accesso al regime
7.3
Participation exemption e società holding
7
246 7.1
IL REGIME FISCALE DELLE SOCIETÀ HOLDING
Introduzione La legge-delega per la riforma del sistema fiscale statale, nel rispetto dei principi della codificazione del nuovo Codice fiscale e al fine di «incrementare la competitività del sistema produttivo, adottando un modello fiscale omogeneo a quelli più efficienti in essere nei Paesi membri dell’Unione europea» ha introdotto nel nostro ordinamento del c.d. regime della participation exemption – di seguito regime PEX – con il quale si è passati da un prelievo dell’imposta sul reddito società (che ha avuto la funzione di anticipare provvisoriamente le imposte in attesa del prelievo successivamente conguagliato presso il socio) ad un prelievo definitivo presso la società nel momento di formazione dell’utile1. Il Legislatore attraverso l’introduzione del regime in parola si è posto il fine di stabilizzare il gettito dell’imposta sulle società in modo da rendere più efficaci le future politiche fiscali, dal momento che la soggettività passiva della società assume caratteristiche oggettive, mentre quella del socio è fortemente condizionata dalle caratteristiche soggettive. In particolare, l’introduzione del regime PEX costituisce logica conseguenza dell’eliminazione del credito d’imposta sui dividendi: il passaggio dal sistema dell’imputazione al sistema dell’esenzione oltre ad assolvere la funzione di eliminare la discriminazione tra i dividendi provenienti da società
1 Cfr. Relazione finale della Commissione di Studio sull’imposizione fiscale sulle società presieduta da S. Biasco, p. 18, la quale osserva che la PEX rappresenta l’istituto su cui si centra il cambio di legislazione avvenuto nel 2003; in particolare, nelle parole della Commissione «in estrema sintesi, il sistema preesistente imputava al reddito del socio degli utili distribuiti e considerava l’imposta assolta dalla società alla stregua di un acconto da conguagliare in sede di assolvimento dell’imposta sul reddito di specifica pertinenza del percettore. Prevedeva, inoltre, che concorressero alla formazione del reddito d’impresa le plusvalenze emerse in qualsiasi operazione di strutturazione societaria (incluse quelle di smobilizzo delle partecipazioni, che non avevano ruolo gerarchico); per tutte era previsto, l’affrancamento attraverso una imposta sostitutiva, mentre era piena la deducibilità di minusvalenze e svalutazioni. Il nuovo regime, separa le imprese dai soci prevedendo in sostanza che gli utili siano assoggettati a tassazione in via definitiva in capo alla società che li ha prodotti e sostituendo il meccanismo della imputazione con la quasi integrale esclusione (95%) dal reddito dei soci soggetti IRES degli utili percepiti». Cfr. anche la Relazione al Consiglio Ecofin 7 dicembre 2004, nonché la circolare Assonime 6 luglio 2005, n. 38, nella quale viene messo in evidenza l’istituto della PEX trae la sua origine storica nel c.d. premio di affiliazione concesso da alcuni Paesi, come ad esempio l’Olanda, il quale consentiva l’applicazione del regime di esenzione alle plusvalenze realizzate da soci non residenti che detenevano determinate percentuali partecipative. Per un’analisi critica della ratio del regime PEX, cfr. in dottrina T. Di Tanno, Sacrifici eccessivi per i capital gain, in Il Sole 24 Ore del 26 agosto 2005, p. 24, il quale fa notare che il regime PEX oltre che non rappresentare l’ordinario sistema del mondo avanzato «ha risposto storicamente a specifiche caratteristiche dell’economia dei vari Paesi: per l’Olanda la concorrenza al Lussemburgo come piazza finanziaria; per il Belgio la concorrenza a Olanda e Lussemburgo nella domiciliazione di head office multinazionali; per la Germania lo scongelamento dalle partecipazioni industriali possedute in maniera eccessiva da banche e assicurazioni; per la Spagna un generico desiderio di modernizzazione del Fisco».
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partecipate italiane e quelli provenienti da società partecipate estere (che non fruiscono del credito d’imposta pieno) – peraltro sanzionata espressamente dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee (il principio dell’adeguatezza della norma fiscale interna ai principi fondamentali dell’ordinamento comunitario2 è richiamato espressamente dall’art. 2, comma 1, lett. B, della legge-delega) – rende sistematica una parziale doppia imposizione economica sui dividendi che è diretta conseguenza della deducibilità degli oneri di gestione delle partecipazioni. In particolare il regime PEX prevede che al ricorrere di particolari condizioni, di seguito analizzate, il 95%3 della plusvalenza non concorre a formare il reddito
2 In dottrina, G. Maisto, Profili internazionalistici dell’imposizione delle imprese nella delega per la riforma tributaria, in Riv. dir. trib., 2003, I, p. 732, si è interrogato sul significato da attribuire a tale disposizione, nonché sul suo possibile impatto all’interno del nostro ordinamento tributario; in particolare, l’Autore giunge alla conclusione che «non appare azzardato affermare che la norma debba essere ricostruita avendo presente che il legislatore intendeva ancorare “l’adeguamento” in parola non all’intero corpus degli obblighi derivanti dal’ordinamento comunitario, ma solo “ai principi fondamentali” dello stesso. Tuttavia, la considerazione secondo cui anche il rispetto di tali principi incombe già sugli operatori degli Stati membri, suscita alcuni interrogativi. Quale significato può avere una disposizione che non solo ribadisce un obbligo già esistente, ma – pur nella sua ridondanza – ne limita il campo di applicazione? Il che varrebbe a chiedersi: perché sancire che le norme fiscali si adeguino – come già dovrebbero – ai principi fondamentali e non a tutti gli obblighi derivanti dall’ordinamento comunitario? Tali interrogativi spingono ad una differente lettura della disposizione (…) acquisire una valenza più ampia, e potrebbe essere letta come una volontà del legislatore di attribuire, ai principi fondamentali dell’ordinamento comunitario, una sorta di forza “espansiva” per cui gli stessi, trascendendo i confini delle materie disciplinate dal legislatore comunitario, filtrino nel sistema nel suo complesso. Tale affermazione non appare priva di fondamento e si innesta in un contesto dottrinale e giurisprudenziale che appaiono sufficientemente recettivi. In materie diverse dal diritto tributario, ad esempio, la più autorevole dottrina italiana ha rilevato, in linea con quanto sembra accadere il altri Stati membri “un effetto di trascinamento dei principi comunitari al di là dei confini loro propri: essi finiscono per incidere su rapporti che sarebbero estranei, per loro natura, alla loro influenza”». L’Autore cita, con particolare riferimento a tale ultimo aspetto in dottrina, G. Alpa, I principi generali e la realizzazione di una «comunità giuridica europea»: le esperienze italiana e spagnola a confronto, in Riv. dir. civ., 1996, I, 455; A. Trabucchi, I principi generali del diritto nell’esperienza comunitaria, in AA.VV., I principi generali del diritto, Roma, 1992, p. 187; e in giurisprudenza la sentenza della Corte di Cassazione 7 novembre 2001, n. 13803, in Giur. Imp., 2002, 13. 3 Come noto la percentuale di esenzione delle plusvalenze è mutata nel corso del tempo. Infatti per le plusvalenze realizzate dal 1° gennaio 2004 fino al 3 ottobre 2005 spettava l’esenzione totale, successivamente ridotta al 95% (per le plusvalenze realizzate dal 4 ottobre 2005 al 2 dicembre 2005), nonché al 91% per le plusvalenze realizzate dal 3 dicembre 2005 al 31 dicembre 2006. Dal 1° gennaio 2007 al 1° gennaio 2008 l’esenzione era limitata all’84% della plusvalenza e con la Legge finanziaria del 2008 (in particolare con l’art. 1, comma 33, lett. h) la percentuale di esenzione è stata riportata al 95%. Nel comma 34 dell’art. 1 della Legge finanziaria 2008 è stato altresì precisato che la percentuale di esenzione del 95% delle plusvalenze ha avuto effetto per quelle realizzate a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007; è restata, tuttavia ferma l’esenzione nella misura dell’84% per le plusvalenze realizzate dal periodo
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in quanto esente4, con la conseguenza che solamente il 5% dei costi specificatamente inerenti alla cessione delle partecipazioni sono deducibili5. 7.2
Requisiti di accesso al regime Il regime di esenzione totale delle plusvalenze di cui all’art. 87 del TUIR è collocato nel titolo II (Imposta sul reddito delle società), al Capo II (Determinazione della base imponibile delle società e degli enti commerciali residenti), Sezione I (Determinazione della base imponibile) e quindi all’interno delle disposizioni che disciplinano la determinazione del reddito d’impresa delle società e degli enti commerciali. Pertanto, possono beneficiare del regime PEX le società di capitali e gli enti il cui oggetto esclusivo principale è l’esercizio di un’attività commerciale, nonché le società non residenti con riferimento alle plusvalenze realizzate con riferimento a partecipazioni relative a stabili organizzazioni realizzate nel territorio dello Stato. Sono, pertanto, esclusi dall’ambito soggettivo di applicazione le persone fisiche e gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali.
di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 fino a concorrenza delle svalutazioni dedotte ai fini fiscali nei periodi di imposta anteriori a quello in corso al 1° gennaio 2004. Su tale ultimo aspetto, cfr. in particolare la circolare del Consorzio Studi e ricerche fiscali del gruppo Intesa San Paolo del 25 febbraio 2008, n. 4, nonché in dottrina, A. Dodero, G. Ferranti, B. Izzo e L. Miele, Imposta sul reddito delle società, Milano, 2008, pp. 150 e 151. 4 Con particolare riferimento alle plusvalenze realizzate da soggetti IRPEF importanti novità sono state apportate dal D.M. 2 aprile 2008 il quale, al fine di garantire l’invarianza del livello di tassazione dei dividendi e delle plusvalenze in relazione alla riduzione dell’aliquota dell’imposta sul reddito delle società dal 33% al 27,5%, ha modificato la percentuale di concorso di dette plusvalenze alla base imponibile. In particolare l’art. 2 del Decreto citato ha disposto che le plusvalenze realizzate dai soggetti IRPEF non concorrono alla formazione del reddito di impresa nella misura del 50,28%; ne deriva che la plusvalenza è imponibile nella misura del 49,72% in luogo del 40% originario. 5 Al riguardo, va osservato che detti costi non possono essere ricompresi tra gli oneri accessori di diretta imputazione; fermo restando che non appare semplice distinguere tali oneri e i costi specificatamente inerenti alla cessione delle partecipazioni, nella circolare n. 36/2004 è stato chiarito che gli oneri accessori sono ad esempio le spese notarili, quelle per le perizie tecniche ed estimative, nonché le provvigioni dovute agli intermediari, mentre gli altri costi inerenti alla cessione delle partecipazioni sono quelli specificatamente collegati alla realizzazione della plusvalenza esente. L’Assonime nella circolare n. 38/2005 e n. 13/2006 ha ritenuto che al fine di individuare detti costi si debba far riferimento ad ipotesi residuali, con la conseguenza che ne costituiscono esempio i costi sostenuti per le attività preparatorie alla cessione delle partecipazioni (come le perizie e le consulenze) che per vari motivi non sono portate a compimento. L. Gaiani (cfr. I costi al bivio del trattamento, in Il Sole 24 Ore del 6 agosto 2004, p. 21) ha ritenuto che costituiscono esempio di costi specificatamente inerenti alla cessione della partecipazione le spese per consulenze legali, contabili e fiscali relative alla società partecipata, ovvero oneri per due diligence effettuate in sede di trattative di vendita.
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In particolare, ai fini dell’esenzione delle plusvalenze realizzate la norma (art. 87, comma 1, TUIR) richiede che vengano rispettati i seguenti requisiti: • ininterrotto possesso della partecipazione dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello dell’avvenuta cessione, considerando cedute per prime le azioni o quote acquisite in data più recente; • classificazione di tali partecipazioni nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie; • residenza della società partecipata in un Paese non incluso nelle future white lists, ossia non incluso nella lista dei Paesi che consentono un effettivo scambio di informazioni e la cui tassazione non è sensibilmente inferiore a quella applicata in Italia; • esercizio da parte della società partecipata di un’impresa commerciale secondo la definizione data dall’art. 55 del TUIR. Gli ultimi due requisiti citati (da verificare in capo alla società partecipata) devono sussistere, al momento del realizzo, ininterrottamente e almeno a partire dal terzo periodo d’imposta antecedente quello del realizzo stesso. 7.2.1
Il requisito dell’ininterrotto possesso Il possesso da parte della società partecipante della partecipazione detenuta nella società partecipata deve essere ininterrotto e deve sussistere a partire dal primo giorno del dodicesimo mese antecedente quello dell’avvenuta cessione6. In particolare, se la data del perfezionamento della cessione della partecipazione è il 20 marzo 2010 il requisito dell’ininterrotto possesso deve sussistere a partire dal 1° marzo 2009; inoltre, l’art. 87 del TUIR, adottando il c.d. criterio LIFO – last in, first out – considera restrittivamente cedute per prime le azioni o quote acquisite in data più recente7. Sulla base di quanto previsto dalla Relazione illustrativa al decreto legislativo del 12 dicembre 2003, n. 344 avente ad oggetto la riforma
6 Con particolare riferimento alle operazioni che comportano uno temporaneo trasferimento della partecipazione (operazioni di pronti contro termine con obbligo di rivendita, il riporto e il prestito titoli) la circolare n. 36/2004 ha chiarito che non si verifica per il venditore a pronti l’interruzione del periodo di possesso delle partecipazioni cedute che, pertanto, in pendenza di dette operazioni rimarranno iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie del soggetto venditore. 7 L’Amministrazione finanziaria nella circolare n. 36/2004 ha chiarito che l’applicazione del criterio LIFO si rende necessaria al solo fine di stabilire la stratificazione delle partecipazioni acquisite in momenti diversi; pertanto, i contribuenti, al fine di calcolare la plusvalenza, restano liberi di determinare il costo della partecipazione ceduta potendo applicare il criterio di valutazione ordinariamente adottato per la valutazione delle partecipazioni. La dottrina (cfr. A. Dodero, G. Ferranti, B. Izzo e L. Miele, op. cit., p. 208) ritiene che «tra l’ipotesi di acquisto di un ulteriore partecipazione rientri anche quella della sottoscrizione di un aumento di capitale e che, di conseguenza, il menzionato criterio LIFO vada applicato anche in tale caso».
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dell’imposizione sul reddito delle società la presunzione di cessione opera relativamente alla sola ipotesi di acquisto di una medesima partecipazione effettuato in più tranche qualora uno o più di tali acquisti non soddisfano la condizione minima di possesso. Diversamente, qualora tali acquisti dovessero soddisfare tutti i requisiti PEX, l’impresa è libera di individuare il costo di acquisto della partecipazione da contrapporre al valore di realizzo, secondo il metodo di valutazione dei titoli prescelto – valutazione in base la consto storico o al c.d. equity method – non essendo obbligata al rispetto del criterio LIFO. Ad esempio, qualora l’acquisto delle partecipazioni sia avvenuto in più tranches il 20 maggio 2009 (quota 20%) e il 13 luglio 2009 (quota 10%) si potranno verificare i seguenti casi: a) si potrà godere del regime PEX solamente per le cessioni che sono effettuate a partire dal 1° giugno 2010 e che comportano la cessione di una percentuale di partecipazione superiore alla quota del 10%; in tal caso, si dovrà effettuare una valutazione secondo il criterio LIFO e fino al 10% non vi è esenzione, mentre per l’eccedenza vi è esenzione; b) le cessioni effettuate prima del 1° giugno 2010 determineranno la tassazione delle relative e, pertanto, in tal caso la valutazione è effettuata secondo quanto previsto nel regime ordinario; c) le cessioni effettuate dopo il 1° agosto 2010 saranno esenti e il criterio di valutazione potrà anche non essere quello Lifo, come ad esempio il costo storico o del c.d. equity method. In termini pratici, quindi, ogni volta che avviene un successivo acquisto di partecipazioni di uno stesso titolo è come se il periodo di possesso richiesto dall’art. 87 del TUIR partisse da zero limitatamente alla percentuale di partecipazione acquistata per ultimo; tale principio, penalizzando le acquisizioni di partecipazioni in più tranche, vuole svantaggiare l’esenzione delle plusvalenze relativamente a partecipazioni acquisite in ottica di trading speculativo. Nel caso di partecipazioni aventi ad oggetto azioni qualitativamente diverse – ossia azioni ordinarie, di risparmio, ovvero privilegiate – ma che si riferiscono ad una stessa società e acquisite in più periodi, si ritiene che le une non dovrebbero influenzare le altre, dal momento che in Bilancio dovrà essere fatta menzione della diversa natura dei diritti patrimoniali e amministrativi che esse attribuiscono al socio. Inoltre, nel caso di operazioni che comportano il trasferimento temporaneo della partecipazione come nei casi di pronti contro termine con obbligo di rivendita sembra corretto ritenere che per il venditore a pronti non dovrebbe essere interrotto il periodo di possesso delle partecipazioni cedute poiché queste rimangono iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie, così come richiede una corretta rappresentazione civilistica e la normativa fiscale; analogamente, all’acquirente a pronti non dovrebbe spettare l’esenzione. Un caso particolare potrebbe essere quello delle partecipazioni acquisite in
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seguito dell’esercizio di un diritto di opzione8; sul punto, si segnala che l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che «la data cui riferire l’acquisto (anche per il computo del periodo minimo di possesso per fruire della rateazione delle plusvalenze) è quella di acquisto delle azioni o quote da cui deriva il diritto di opzione e non quella di esercizio del diritto stesso. Tali partecipazioni devono, quindi, intendersi acquisite e iscritte in bilancio alla stessa data in cui furono iscritte le azioni o quote da cui il diritto discende». 7.2.2
La classificazione della partecipazione tra le immobilizzazioni finanziarie Il secondo requisito richiesto dall’art. 87 ai fini dell’esenzione è che la partecipazione detenuta dalla società partecipante sia classificata nella categoria delle «Immobilizzazioni finanziarie» nel primo bilancio chiuso dopo l’acquisto, a nulla rilevando se nei Bilanci successivi questa sia riclassificata nell’Attivo circolante. A tal fine, si ritiene utile osservare che relativamente ai criteri di iscrizione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni finanziarie, come disposto dall’art. 2424bis c.c. sono iscritti fra le immobilizzazioni «gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente» e, in materia di partecipazioni, si presumono immobilizzate «le partecipazioni in altre imprese in misura non inferiore a quelle stabilite dal 3° comma dell’art. 2359», ossia le partecipazioni di controllo e di collegamento. In particolare, il comma 1 di detto articolo considera immobilizzazioni finanziarie gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente e, pertanto, questi devono essere iscritti tra le immobilizzazioni finanziarie. Inoltre, il Principio contabile n. 20, relativo ai titoli e alle partecipazioni elaborato dalla Commissione per la statuizione dei Principi contabili, chiarisce che la classificazione contabile dei titoli nel comparto immobilizzato è fondata su un criterio di distinzione di tipo funzionale. In particolare, detto Principio chiarisce che «ciò che conta al fine di qualificare un’attività finanziaria come componente dell’Attivo circolante, piuttosto che come immobilizzazione, è la facoltà che l’impresa si riserva di cogliere le opportunità di mercato o di smobilizzo per fronteggiate altre esigenze aziendali» e che sulla base di una presunzione semplice costituiscono partecipazioni immobilizzate «quelle partecipazioni (aziona-
8 Cfr. circolare n. 36/2004, paragrafo 2.2.3.2., p. 18 che chiarisce «qualora, infatti, per iniziativa del titolare della partecipazione i diritti di opzione siano da questa “scorporati”, ovvero il diritto di usufrutto sia ceduto dal titolare del pieno diritto di proprietà, si è in presenza della cessione di una quota parte del valore patrimoniale delle azioni o quote, che in presenza dei requisiti previsti dall’art. 87 del nuovo TUIR, può qualificarsi per l’esenzione. La stessa conclusione non può affermarsi, invece, nel caso che i diritti d’opzione siano negoziati da un terzo al quale tali diritti siano pervenuto separatamente dalle partecipazioni cui sono collegati, ovvero nel caso che il diritto di usufrutto sia ceduto dall’usufruttuario stesso o da un successivo avente causa (…) né i diritti d’opzione né le obbligazioni convertibili né il diritto di usufrutto possono essere annoverati».
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rie o no) destinate per decisione degli Amministratori ad investimento duraturo, finalizzato al controllo, ovvero ad influenza dominante (…); oppure ad influenza notevole (…); oppure soltanto con lo scopo di ottenere, mediante la partecipazione, vantaggi economici indiretti». Come osservato si tratta di una presunzione semplice, essendo possibile classificare tali partecipazioni nell’Attivo circolante qualora destinate allo smobilizzo anche nel lungo periodo. Il Principio contabile n. 20 citato inoltre precisa anche che la qualificazione di una partecipazione come appartenente alla categoria delle attività finanziarie immobilizzate è subordinata unicamente ad una decisione espressa da parte degli amministratori. Nell’assunzione di tale decisione devono essere considerati gli eventuali vincoli sul titolo, come ad esempio l’usufrutto e il pegno su azioni, le condizioni di mercato, nonché la capacità dell’azienda di mantenere stabile l’investimento. Da un punto di vista pratico, quindi, appartengono alla categoria delle immobilizzazioni finanziarie le partecipazioni destinate ad essere mantenute nel patrimonio aziendale in quanto costituiscono un investimento durevole, mentre appartengono all’Attivo circolante i titoli destinati ad essere negoziati, ossia i titoli di trading. L’iscrizione della partecipazione deve sussistere nel primo bilancio chiuso – e non approvato – durante il periodo di possesso; in altri termini, non è necessario che la partecipazione che si intende cedere sia iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie in un bilancio regolarmente approvato, ma è sufficiente che questa risulti da un bilancio chiuso9. In questi termini, si esprime anche la Relazione di accompagnamento al D.lgs. n. 344/2003 che dopo aver chiarito che la riconducibilità della partecipazione alla categoria delle immobilizzazioni finanziarie sembra dare rilevanza solamente alla prima iscrizione nel bilancio chiuso successivamente al momento di acquisto, precisa che «la predetta iscrizione della partecipazione e la sua successiva iscrizione nell’attivo circolante dello stato patrimoniale, non fa venire meno l’esenzione della plusvalenza realizzata, sempreché siano soddisfatte le altre condizioni previste». Diversamente, l’iscrizione della partecipazione nel primo bilancio chiuso nel periodo di possesso tra l’Attivo circolante preclude qualunque possibilità di applicazione della PEX, anche qualora la partecipazione venga successivamente iscritta in bilancio tra le immobilizzazioni
9 Cfr. in dottrina, D. Buono, E. Vaschetto, Le scelte interpretative dell’Agenzia delle Entrate in materia di participation exemption, in Il Fisco n. 35/2004, p. 6009 che cita «In altri termini, non occorre che la partecipazione che si intende cedere in esenzione sia iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie in un bilancio regolarmente approvato ma è sufficiente che risulti da un bilancio chiuso (…) in questa sede è lecito chiedersi se – ad esempio – un’eventuale chiusura anticipata dell’esercizio (e, conseguentemente, del periodo di imposta) che risulti esclusivamente strumentale all’ottenimento della maturazione dei requisiti per la fruibilità del regime di esenzione possa essere contrastata dall’Amministrazione finanziaria, in assenza di valide ragioni economiche, con la norma antielusiva di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973».
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finanziarie. A tal fine, con la chiara finalità di evitare possibili arbitraggi fiscali tra il regime PEX e il regime ordinario di tassazione delle plusvalenze, la lett. f) del comma 2 dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 ha espressamente incluso tra i comportamenti potenzialmente elusivi anche le classificazioni di bilancio. 7.2.3
La residenza fiscale della società partecipata La lett. c) dell’art. 87 del TUIR dispone che la residenza fiscale della società partecipata deve essere necessariamente in uno Stato o territorio non incluso nelle future white lists che comprenderanno i Paesi che consentiranno un effettivo scambio di informazioni con il nostro e il cui livello di tassazione non è sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia. Qualora la società partecipata in cui si detiene la partecipazione sia residente in uno Stato o territorio a regime fiscale privilegiato, ovvero non incluso nelle future white lists, al fine di poter beneficiare dell’esenzione il contribuente in una fase antecedente al momento del realizzo della partecipazione dovrà dimostrare, tramite l’esercizio dell’interpello che dalle partecipazioni non sia stato conseguito, sin dall’inizio del possesso della partecipazione, l’effetto di localizzare i redditi in Paesi a fiscalità privilegiata. Tale dimostrazione può essere effettuata sia da coloro che detengono il controllo o il collegamento della partecipazione sia da coloro che detengono partecipazioni diverse da quelle precedenti, prive cioè del controllo o del collegamento. Al riguardo, si osserva che l’art. 4 della legge-delega n. 80/2003 prevedeva che la PEX si sarebbe potuta applicare, benché la partecipata fosse stata fiscalmente in un Paese a regime fiscale privilegiato, qualora il contribuente avesse dimostrato che vi erano dei casi di disapplicazione previsti dal comma 5 dello stesso art. 127bis del TUIR (ora trasfuso nell’art. 167 del nuovo TUIR). Tuttavia, l’attuale formulazione della lett. c) del comma 1 dell’art. 87 del TUIR prevede la tassazione nella misura del 5% del capital gains conseguito solamente qualora «non sia stato conseguito, sin dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati»; la norma quindi non ha richiamato anche l’altra esimente prevista dalla lett. a) del comma 5 dell’art. 167 del TUIR, ossia che la società partecipata estera svolge un’effettiva attività industriale o commerciale come sua principale attività nel mercato dello Stato o territorio di insediamento.
7.2.4
Esercizio da parte della società partecipata di una impresa commerciale Nella considerazione che il regime PEX è un regime agevolativo, il Legislatore ha subordinato tale regime all’esercizio, da parte della società partecipata, di un’impresa commerciale, secondo la definizione dell’art. 55 del TUIR che richiama espressamente che richiama espressamente il disposto di cui all’art. 2195 c.c. In sintesi, tali sono i soggetti che esercitano:
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• • • • • •
attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; attività intermediaria nella circolazione dei beni; attività di trasporto; attività bancaria e assicurativa; attività ausiliarie alle precedenti, alle quali si aggiungono: le prestazioni di altri servizi (diversi, cioè, da quelli rientranti nell’art. 2195 c.c.); • le attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne; • le attività agricole se spettano a società in nome collettivo, in accomandita semplice, nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività commerciale. Dalla precedente elencazione, si può constatare come la definizione di impresa commerciale ai sensi della disciplina della participation exemption sia più ampia rispetto a quella delineata dal Codice civile, coincidendo, in sostanza, con tipologie di attività atte a produrre reddito d’impresa. In dottrina10, è stato osservato che solo le attività individuate dall’art. 55 del TUIR hanno rilevanza ai fini dell’applicazione del regime di participation exemption, senza che assumano importanza le attività, anche d’esercizio di impresa commerciale, ma non direttamente richiamate dalla norma Tale disposizione tende così a colpire le società d’impresa soggette alla normativa sulle società di comodo, già disciplinata dalla legge 23 dicembre 1994, n. 72411. Il requisito della commercialità, al pari di quello della residenza fiscale, deve sussistere in capo alla società partecipata ininterrottamente a partire dall’inizio del terzo periodo d’imposta anteriore al realizzo della plusvalenza. La circolare n. 36/2004 ha chiarito che, per le società costituite da meno
10 Cfr. G. Ferranti, Il requisito della commercialità per la participation exemption, in Corriere Tributario, n. 36/2004, pp. 2811-2812. Sul punto, il medesimo autore (G. Ferranti, «L’Agenzia delle Entrate chiarisce il requisito della commercialità ai fini della PEX», in Corr. Trib., n. 37/2009, p. 3000) ha ribadito che «le attività rilevanti ai fini dell’esercizio di un’impresa commerciale sono tutte quelle indicate nell’art. 55 del T.U.I.R., senza attribuire, invece, rilevanza a quelle non ricomprese nel detto articolo, anche se il reddito che ne deriva è considerato quale reddito d’impresa» (al riguardo, cfr. anche G. Ferranti e V. Russo, Partecipazioni societarie, collana Temi di reddito d’impresa, vol. 5, p. 308). 11 Cfr. art. 30 legge 23 dicembre 1994, n. 724 «Agli effetti del presente articolo le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano, salva la prova contraria, non operativi se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando» specifici parametri. Cfr., per un approfondimento, G. Ferranti, Il requisito della commercialità per la participation exemption, in Corr. Trib. n. 36/2004, p. 2812.
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di tre anni, il requisito in esame deve essere verificato con riferimento al minor periodo intercorso tra l’atto di costituzione e la cessione della partecipazione12. Secondo il costante orientamento dell’Amministrazione finanziaria13 l’attenzione degli uffici verificatori in sede di accertamento è posta esclusivamente sull’attività effettivamente svolta dal soggetto partecipato, secondo un’analisi necessariamente da effettuare caso per caso, senza che assuma rilevanza decisiva l’aspetto meramente «formale», quale ad esempio, quello emergente dalle previsioni statutarie, ovvero dall’atto costitutivo della società la cui partecipazione viene ceduta14. In altri termini, la cessione della partecipazione in una società che esercita attività di mero godimento, ossia consistente nella detenzione, gestione e sfruttamento di un marchio mediante la concessione a terzi dell’utilizzo del medesimo (cc.dd. passive income) non può fruire del regime agevolativo della PEX, in quanto si tratta di un soggetto «senza impresa». È questo, per esemplificare, il caso di una società che risulta meramente intestataria di un marchio e il cui unico provento è rappresentato dalla percezione royalties15. Analogamente, va tenuto presente che le attività di predisposizione dei mezzi di produzione, nonché gli atti preparatori e organizzativi diretti a porre le basi indispensabili per lo svolgimento di una determinata attività economica, non costituiscono attività commerciale rilevanti ai fini in parola. La verifica del requisito temporale in esame deve in ogni caso essere effettuata con esclusivo riguardo alla società partecipata; ne consegue che sarà del tutto ininfluente che la partecipazione sia stata posseduta, nel periodo di riferimento, dallo stesso soggetto che realizza la plusvalenza, ovvero dal suo dante causa, essendo altresì irrilevante la modalità di acquisizione della partecipazione (acquisto, conferimento, ovvero altre operazioni di riorganizzazione). Infine, l’art. 87,
12 Cfr. circ. n. 36/2004, paragrafo 2.3.4. 13 Si veda, in particolare, la risoluzione del 18 agosto 2009, n. 226/E. Le conclusioni in essa formulate, del resto, risultano coerenti con quanto già affermato nella risoluzione del 9 novembre 2007, n. 323/E, in cui è stato sancito che, ai fini della verifica della sussistenza del requisito della commercialità ai fini della PEX, la mera costituzione in forma di società di capitali non è per sé sufficiente, in quanto è necessario che la società svolga un’effettiva attività di impresa. 14 Nelle parole dell’Amministrazione finanziaria (ris. n. 226/2009), «nel contesto dell’art. 87 del TUIR il criterio formale di qualifica del reddito perde importanza, a favore di un criterio sostanziale, visto che non tutti i redditi conseguiti da soggetti passivi IRES si considerano prodotti nell’esercizio di un’attività commerciale ai sensi della più volte citata lett. d) del comma 1 del predetto art. 87 del TUIR». 15 Tale interpretazione risulta ormai permeata nell’ordinamento tributario italiano, tanto che l’Amministrazione finanziaria, seppur con specifico riferimento alla diversa disciplina del Consolidato fiscale nazionale (cfr. circ. 20 dicembre 2004, n. 53, par. 2.1.2), ha avuto modo di precisare che la nozione di attività d’impresa di cui all’art. 55 del TUIR non può essere estesa ai soggetti la cui attività consiste nella mera detenzione (limitata al godimento dei relativi frutti) di partecipazioni in società residenti.
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comma 4, del TUIR dispone una presunzione assoluta favorevole al contribuente: qualora la partecipazione riguardi società i cui titoli sono negoziati sui mercati regolamentati, ovvero le plusvalenze siano realizzate tramite offerta pubblica di vendita, il requisito della commercialità è considerato soddisfatto. Al riguardo, va osservato che nella circolare ministeriale n. 36/2004 è stato chiarito che il concetto di impresa commerciale di cui all’art. 55 del TUIR ricomprende anche le attività di cui al comma 2 dello stesso articolo e coincide con le attività che danno luogo al reddito di impresa. A giudizio di alcuni autori con questa precisazione l’Amministrazione finanziaria ha inteso ribadire che le attività che rilevano ai fini del’esercizio di un’impresa commerciale sono tutte quelle indicate nell’art. 55 del TUIR, con la conseguenza che le attività non ricomprese in detto articolo anche se il reddito che ne deriva è considerato reddito di impresa non assumono rilevanza a tal fine. Tale interpretazione è stata in effetti confermata dalla stessa Amministrazione finanziaria che nella risoluzione n. 323/2007 ha chiarito che ai fini della verifica della sussistenza del requisito della commercialità è necessario che sia svolta un’effettiva attività di impresa, non essendo sufficiente la mera costituzione nella forma delle società di capitali. Da un punto di vista pratico, al fine di meglio comprendere l’effettiva portata del requisito della commercialità si ritiene utile analizzare alcune delle interpretazioni fornite dalla nostra Amministrazione finanziaria in alcune particolari fattispecie, quali quelle dell’affitto d’azienda, del concordato fallimentare, nonché della liquidazione societaria. Affitto d’azienda La concessione in affitto dell’unica azienda posseduta da parte di una società, a fronte del quale viene percepito un canone, non può considerarsi esercizio di un’impresa commerciale da parte del locatore, ai sensi dell’art. 55 del TUIR. Infatti, secondo l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria, in tale fattispecie, pur essendo l’oggetto dell’operazione illustrata rappresentato da un’azienda commerciale, l’effettiva attività di impresa viene esercitata esclusivamente dal conduttore della medesima; pertanto, lo svolgimento dell’attività di mera detenzione di beni diversi dagli immobili (per i quali sono previste specifiche disposizioni16) da parte del locatore non configura un’attività di impresa rilevante ai fini della verifica della sussistenza del requisito della commercialità ai fini della disciplina della PEX.
16 Al riguardo, si ricorda che l’art. 87, comma 1, lett. d), secondo periodo, del TUIR introduce una presunzione assoluta di non commercialità per le società partecipate il cui valore del patrimonio sia prevalentemente costituito da beni immobili diversi dagli immobili alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l’attività dell’impresa, dagli impianti e dai fabbricati utilizzati direttamente nell’esercizio dell’impresa (cfr. con riferimento al requisito della prevalenza la ris. 15 dicembre 2004, n. 152/E).
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Concordato fallimentare Le medesime conclusioni formulate con riguardo al caso dell’affitto di azienda sono mutuabili in relazione all’ipotesi in cui la società partecipata svolga esclusivamente l’attività di assuntore in una procedura di concordato fallimentare, nel corso della quale non vi sia stata la disponibilità dell’azienda, in quanto questa era stata data in affitto ad un soggetto terzo. Nel caso di specie, si trattava di stabilire se tale tipologia di attività potesse essere qualificata come «attività commerciale» rilevante ai sensi dell’art. 87, comma 1, lett. d), del TUIR o meno. Al riguardo, secondo la posizione espressa dall’Amministrazione finanziaria, l’insieme degli atti posti in essere dall’assuntore, consistenti in definitiva nella mera gestione del debito sulla base della proposta concordataria, l’individuazione dei creditori e il pagamento dei rispettivi crediti, non integra l’effettivo esercizio di alcuna delle attività commerciali indicate dall’art. 55, commi 1 e 2, del TUIR. Infatti, «il mero adempimento di obblighi giuridici imprescindibilmente connessi all’incarico ricoperto in qualità di assuntore del concordato fallimentare, slegato dal compimento di concreti atti imprenditoriali (…) non appare sufficiente a configurare un esercizio, effettivo e continuato, di un’impresa commerciale, ai fini del combinato disposto dei commi 1, lett. d), e 2 dell’art. 87 del TUIR». Liquidazione di società Nonostante il dato letterale della norma richieda che la sussistenza per un triennio del requisito della commercialità del soggetto partecipato debba essere verificata al momento di realizzo della plusvalenza, l’Amministrazione finanziaria ha affermato che anche le plusvalenze scaturenti dalla cessione di partecipazioni in società poste in liquidazione possono beneficare del regime agevolativo della PEX, a condizione che il requisito in parola, nonché il periodo triennale di riferimento, siano rispettati all’inizio della fase di liquidazione. Il chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate si era reso necessario in quanto era sorto il problema se, ai fini dell’applicazione dell’esenzione delle plusvalenze, dovesse rilevare il fatto che durante la fase di liquidazione non è normalmente proseguita la precedente attività commerciale, ovvero alla circostanza che si continua comunque a realizzare un reddito considerato di impresa ai fini fiscali. La soluzione adottata dall’Amministrazione, pur riconoscendo la validità del primo assunto sopra menzionato, ha precisato che, al fine di consentire la fruizione dell’esenzione, la verifica della sussistenza del requisito della commercialità deve essere effettuata al momento dell’inizio della liquidazione e non in quello di realizzo della plusvalenza. Tale interpretazione da un lato è giustificata dall’assenza di intenti elusivi nella fattispecie in questione dall’altro è motivata dall’esigenza di semplificare e uniformare il trattamento dei casi in cui l’attività della società posta in liquida-
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zione si esaurisca al termine di tale procedura, ovvero in cui il soggetto prosegua, anche solo parzialmente, l’attività di impresa. L’Amministrazione finanziaria nella risoluzione ministeriale n. 227/2009 ha avuto anche modo di pronunciarsi in merito alla verifica del requisito triennale della commercialità ai fini della PEX in capo ad una società partecipata nata a seguito del conferimento di un’azienda commerciale effettuato in neutralità fiscale, ai sensi dell’art. 176 del TUIR. Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 36/2004 aveva già precisato che, qualora la costituzione di un nuovo soggetto sia conseguenza di un’operazione di riorganizzazione societaria, al fine della verifica del requisito triennale della commercialità, è necessario considerare le caratteristiche del soggetto dante causa. In altri termini, detto requisito andrà riscontrato retroattivamente in capo al soggetto preesistente che ha posto in essere l’operazione. Infatti, In linea di principio le nuove entità che originano da soggetti precedentemente esistenti «ereditano» da questi anche le caratteristiche rilevanti ai fini della valutazione del requisito della commercialità. Nel caso di specie, l’Amministrazione ha in sostanza ritenuto applicabili le medesime conclusioni già formulate nella citata circolare a proposito del caso di scissione in una società beneficiaria di nuova costituzione. Sul punto, infatti, era stato affermato che, qualora la società scissa sia prevalentemente commerciale, la società beneficiaria del ramo commerciale che prosegue l’attività commerciale della scissa potrà computare, ai fini del calcolo del triennio, anche il periodo di esercizio di attività commerciale svolto dalla stessa società scissa17. Sebbene il conferimento di azienda in neutralità fiscale non sia in toto assimilabile ad un’operazione di scissione (per la quale, infatti, è previsto il principio di successione a titolo universale delle società risultanti dall’operazione in tutte le posizioni soggettive delle società scisse), in coerenza con quanto sancito dall’art. 176, comma 4, del TUIR con riferimento alla verifica dei requisiti «soggettivi» valevoli ai fini PEX18, l’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione n. 227/2009 ha ritenuto che il «principio di continuità» sia estendibile anche al requisito della commercialità. Infatti, con particolare riferimento al requisito della commercialità, la circostanza secondo cui la società conferitaria di nuova costituzione sia nata a seguito di un
17 Si rileva che qualora, invece, la società beneficiaria riceva in sede di scissione un ramo «non commerciale», la partecipazione detenuta nella medesima non potrà ritenersi qualificata per la PEX. 18 L’art. 176, comma 4, del TUIR dispone che «le aziende acquisite in dipendenza di conferimenti effettuati con il regime di cui al presente articolo si considerano possedute dal soggetto conferitario anche per il periodo di possesso del soggetto conferente. Le partecipazioni ricevute dai soggetti che hanno effettuato i conferimenti di cui al periodo precedente o le operazioni di cui all’art. 178, in regime di neutralità fiscale, si considerano iscritte come immobilizzazioni finanziarie nei bilanci in cui risultavano iscritti i beni dell’azienda conferita o in cui risultavano iscritte, come immobilizzazioni, le partecipazioni date in cambio».
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conferimento in neutralità fiscale di per sé non assicura che in capo alla stessa sussista il requisito della commercialità valevole ai fini PEX. Pertanto, così come nel caso della società beneficiaria neo-costituita a seguito di un’operazione di scissione, la partecipazione detenuta nella società conferitaria rispetterà il requisito triennale di commercialità soltanto se la stessa eredita il ramo commerciale di una società che sia prevalentemente commerciale, a condizione che detta attività venga ininterrottamente svolta anche dalla conferitaria fino alla data di cessione della partecipazione. L’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate nel caso qui sopra esaminato è stata oggetto di critica in sede dottrinale, seppur con diverse sfumature. Parte della dottrina19, infatti, sostiene che, mancando un riferimento normativo specifico in merito alla corretta verifica del requisito della commercialità a seguito di operazioni di conferimento in neutralità fiscale, sarebbe necessario, al fine di giungere alla soluzione del problema, basarsi sugli effetti giuridici e fiscali dell’operazione medesima. Partendo da tale assunto, la conclusione raggiunta nella risoluzione n. 227/2009 non apparirebbe condivisibile, in quanto «la successione fiscale della società conferitaria è infatti espressamente limitata dall’art. 176, comma 1, del TUIR alle sole attività e passività relative all’azienda trasferita, e non si estende quindi allo status fiscale del dante causa nel complesso»20. Altri Autori21 ritengono invece che la conclusione cui perviene la circolare n.
19 Cfr. R. Michelutti, La PEX alla prova del conferimento neutrale, in Corr. Trib., n. 38/2009, p. 3110. 20 Cfr., in dottrina, G. Ferranti, A. Dodero, B. Izzo, L. Miele, Imposta sul reddito delle società, cit., p. 261. 21 Cfr. in dottrina D. Stevanato, La nozione di «patrimonio» ai fini del requisito di «commercialità» della partecipata, tra interpretazione letterale e interpretazione logica: la necessità di un confronto omogeneo, in Dialoghi di Diritto Tributario, n. 12/2004, pp. 1707 e ss. il quale osserva che «al di là della differente terminologia utilizzata, non sembra (…) che l’interpretazione più logica ad accogliere sia quella evocata nella relazione governativa. In specie, per poter effettuare un confronto omogeneo, occorre che il valore degli immobili venga confrontato con il valore dell’attivo patrimoniale: solo così si riuscirà a stabilire in che modo la società partecipata ha investito le risorse attinte dai soci o dai finanziatori. Attraverso questo confronto tra “elementi del’attivo patrimoniale”, si è dunque in grado di stimare, sia pure grossolanamente e attraverso un indice indiretto, l’atteggiarsi dell’attività e la eventuale «prevalenza» di un’attività di gestione immobiliare. Se invece si assumesse come termine di raffronto il valore dell’intero patrimonio netto misurato a valori correnti, si giungerebbe a risultati inattendibili o privi di significato: il giudizio circa il requisito di “commercialità” della società partecipata verrebbe infatti a dipendere da fattori esogeni rispetto alle scelte di investimento, è cioè verrebbe a dipendere dalle fonti di finanziamento dell’impresa. Una società proprietaria anche di un solo immobile, di valore non significativo rispetto al resto delle attività non immobiliari iscritte in bilancio, potrebbe non superare il “test di commercialità” qualora la società risultasse fortemente indebitata, in quanto il valore dell’immobile potrebbe uguagliare o addirittura superare quello del patrimonio netto. Il punto è che l’art. 87, lett. d) non intende certo effettuare un giudizio di meritevolezza nell’accesso all’esenzione, affidandolo ad indici di
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36/2004, pur risultando condivisibile con riferimento alla scissione, non sarebbe estendibile al conferimento neutrale. Se, infatti, nelle operazioni di scissione la partecipazione originariamente detenuta nella società scissa non commerciale si converte direttamente in capo al socio nella nuova partecipazione nella beneficiaria di natura commerciale, permettendogli in tal modo di fruire della participation exemption, che non sarebbe altrimenti stata usufruibile in relazione all’originaria partecipazione nella società scissa, nel caso del conferimento i soci del soggetto conferente continuano a detenere una partecipazione in una società non commerciale e, di conseguenza, non potranno in ogni caso fruire della participation exemption sia prima sia dopo l’operazione. Appare quindi opportuno un chiarimento esplicito da parte dell’Agenzia delle Entrate. Per espressa previsione normativa, «senza possibilità di prova contraria si presume che questo requisito non sussista relativamente alle partecipazioni in società il cui valore del patrimonio è prevalentemente costituito da beni immobili diversi dagli immobili alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l’attività dell’impresa, [si tratta in buona sostanza dei c.d. immobili beni-merce] dagli impianti e dai fabbricati utilizzati direttamente nell’esercizio d’impresa». Circa il significato da attribuire alla locuzione prevalentemente utilizzata nel secondo periodo della lett. d) del comma 1 dell’art. 87 TUIR deve essere posto in evidenza che mentre la Relazione governativa di accompagnamento al D.lgs. n. 344/2003 fa riferimento al patrimonio sociale e quindi al patrimonio netto della società partecipata, la circolare ministeriale n. 36/2004 fa espresso riferimento, a nostro giudizio correttamente, all’Attivo patrimoniale misurato a valori correnti. Sul punto, la dottrina22, con la quale ci sentiamo di concordare, ha ritenuto che per poter effettuare un confronto omogeneo, è necessario che il valore degli immobili venga confrontato con il valore dell’Attivo patrimoniale: solamente in questo modo infatti si riuscirà a stabilire in che modo la società partecipata ha investito le risorse attinte dai soci o dai finanziatori. In altri termini, attraverso il confronto tra elementi dell’Attivo patrimoniale, «si è dunque in grado di stimare, sia pure grossolanamente e attraverso un indice indiretto, l’atteggiarsi dell’attività e la eventuale «prevalenza» di un’attività di gestione immobiliare». Se, al contrario, si assumesse come termine di raffronto il valore dell’intero Patrimonio netto misurato ai valori correnti, si giungerebbe a risultati inattendibili o privi di significato: infatti, «il giudizio circa il requisito di «commercialità» della società partecipata verrebbe infatti a dipendere da fattori esogeni rispetto alle scelte
indebitamento o alla composizione del «passivo e netto» della società, ma soltanto stabilire (…) l’incidenza dell’attività immobiliare sul resto delle attività esercitate dalla partecipata, traguardata attraverso la composizione dell’attivo patrimoniale». 22 Si esprimono in questi termini P. Russo, R. Cordeiro Guerra, I presupposti di applicabilità dell’esenzione per le società con titoli quotati, le holding, le immobiliari, in Atti del Convegno Paradigma, La nuova tassazione dei gruppi societari, Milano, 10 ottobre 2003.
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di investimento, e ciò verrebbe a dipendere dalle fonti di finanziamento dell’impresa». Inoltre, non può non essere evidenziato come la limitazione alla fruizione dell’esenzione introdotta dalla lett. d) del comma 1 dell’art. 87 del TUIR, oltre che essere ingiustificata e non del tutto rispondente ai fini che il Legislatore si è prefissato con l’introduzione del regime PEX, penalizza fortemente quelle società che pur avendo un patrimonio costituito in prevalenza da beni immobili svolgono un’attività commerciale effettiva nella forma della organizzazione d’impresa fornendo altresì servizi aggiuntivi ai locatari, come accade di frequente, ad esempio, per la gestione dei centri commerciali. Infatti, con riferimento al carattere ingiustificato e non del tutto rispondente ai principi di tale limitazione andrebbe osservato che se le ragioni vere che hanno indotto il Legislatore ad introdurre in Italia il beneficio dell’esenzione sono state quelle di agevolare il più possibile la riorganizzazione delle società e dei gruppi allora non pare giustificata la scelta di discriminare sotto il profilo fiscale la cessione delle partecipazioni in ragione della composizione del proprio patrimonio23. L’aspetto però che in questa sede preme più osservare è che la presunzione assoluta di non commercialità penalizza fortemente quelle società che pur avendo un patrimonio costituito in prevalenza da beni immobili svolgono un’effettiva attività commerciale, circostanza questa ben evidenziata ancor prima ancora della stesura definitiva della norma in commento dalla c.d. Commissione Biasco nella quale veniva osservato che «per evitare tali conseguenze, bisognerebbe permettere alle società, che pur abbiano un patrimonio investito prevalentemente in immobili, di dimostrare che il plusvalore della partecipazione sia imputabile ad una componente commerciale effettivamente esercitata, e in relazione a questa, consentire l’accesso alla PEX. La Commissione Biasco prosegue inoltre osservando che « per soddisfare tale requisito, con esenzione solo parziale del plusvalore, la società dovrebbe documentare separatamente i risultati dell’attività di gestione immobiliare da quella commerciale». In realtà, va osservato che nella risposta all’interrogazione parlamentare 8-9 febbraio 2005, n. 5-03920 – in cui è stata chiesta la rilevanza ai fini della PEX delle cessioni di partecipazioni in società aventi ad oggetto la gestione dei centri commerciali realizzata attraverso l’affitto dei rami di azienda che li costituiscono – è stato
23 Cfr. in dottrina, L. Cacciapaglia, G. Valcarenghi, Holding, l’individuazione dei soggetti e le modalità di verifica dei requisiti PEX, in Guida alla Riforma Fiscale, Il Sole 24 Ore, novembre 2004, pp. 34 e ss.; F. Dezzani, L. Dezzani, La participation exemption anche per le holding, in Il Fisco, n. 35/2004, pp. 5980 e ss.; F. Dezzani, L. Dezzani, circolare n. 36/E del 4 agosto 2004: la tassazione delle plusvalenze su partecipazioni. «Immobilizzazioni finanziarie» e «attivo circolante», in Il Fisco, n. 36/2004, pp. 6127 e ss.; A. Dodero, Residenza fiscale della società partecipata e rapporti tra interpelli, in Corr. Trib., n. 40/2004, pp. 3131 e ss.; C. Dominici, E. Tavoletti, Il nuovo regime di «participation exemption»: una prospettiva comparativa internazionale, in Azienda & Fisco, n. 6/2004, pp. 7 e ss.; C. Di Gregorio, G. Scazzeri, Participation exemption. Dall’esperienza tedesca e olandese alla versione italiana, in Il Fisco, n. 19/2004, pp. 2874 e ss.; R. Moro Visconti, Valutazione del patrimonio effettivo delle holdings e applicabilità della participation exemption, in Il Fisco, n. 19/2004, pp. 2863 e ss.
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precisato che rilevano ai fini dell’esenzione delle plusvalenze (e, pertanto, integrano il requisito della commercialità) «i fabbricati oggetto di una «gestione attiva», la cui locazione, cioè, non rileva autonomamente ma è in connessione funzionale con una serie di servizi collegati che incidono in modo rilevante nella determinazione dei corrispettivi pattuiti. Tale fattispecie di «gestione attiva» dei fabbricati può ricorrere nei casi di società che gestiscono gallerie commerciali se la locazione dell’immobile rappresenta uno degli elementi che compongono un coacervo di servizi resi assieme, ad esempio, alla richiesta e gestione delle autorizzazioni amministrative (licenze commerciali) per lo svolgimento delle attività nei singoli negozi) alla promozione e pubblicità degli spazi pubblicitari, alla pulizia e manutenzione degli spazi e dei servizi accessori interni al centro commerciale, alla predisposizione di spazi comuni che favoriscano l’intrattenimento dei clienti e di attrezzature (mobilio, stigliature ecc.) necessarie al funzionamento dei singoli negozi, allo svolgimento di tutte le complesse attività relative all’organizzazione e pubblicizzazione dei negozi, nonché alla fornitura dei servizi comuni necessari per lo svolgimento dell’attività all’interno dei centri commerciali. L’Agenzia aggiunge che, in buona sostanza, nel caso in cui la locazione di immobili sia affiancata anche da servizi accessori di significativa entità come quelli precedentemente indicati, per cui il contratto non assume più sostanza di un contratto di locazione commerciale ovvero di affitto di ramo d’azienda (per il quale restano ferme le indicazioni fornite nella circolare n. 36/E) bensì di prestazione di servizi integrati, gli immobili possono essere classificati tra i fabbricati utilizzati direttamente per l’esercizio d’impresa. In argomento, poi, ha interloquito anche il Dipartimento per le politiche fiscali pur nel rispetto della titolarità del potere di interpretazione della norma tributaria – osservando che nei casi di società che gestiscono centri commerciali, con le caratteristiche precisate dall’interrogante, non può non rilevarsi che, nonostante si sia, da un punto di vista formale, in presenza di contratti di affitto di rami di azienda, gli immobili locati costituiscono beni utilizzati direttamente nell’esercizio dell’impresa e, quindi, esclusi dal novero degli immobili per i quali vige il principio assoluto della verifica della cosiddetta «prevalenza». In tal caso infatti, l’esercizio dell’attività commerciale si espleta attraverso una serie di servizi che vanno valutati indipendentemente dalla considerazione che i singoli locali commerciali siano o meno oggetto (rectius: parte integrante) di contratti di affitto di rami di azienda». L’art. 87 del TUIR dispone poi che si considerano direttamente utilizzati nell’esercizio di impresa gli immobili concessi in locazione finanziaria e i terreni su cui la società partecipata svolge l’attività agricola. 7.3
Participation exemption e società holding Come disposto dal comma 5 dell’art. 87 del TUIR nel caso di partecipazioni in società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni, i requisiti della residenza fiscale della partecipata e dell’esercizio
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da parte di quest’ultima di un’attività commerciale vanno verificati con riferimento alle società indirettamente partecipate; inoltre, tali requisiti si considerano verificati e, quindi, sono soddisfatti nei confronti delle società partecipate che rappresentano la maggior parte del valore del patrimonio sociale della società partecipante24. Da un punto di vista pratico, quindi, al fine di fruire dell’esenzione, nel caso di realizzo di una partecipazione detenuta in una società holding che esercita l’attività di assunzione, sia statica sia dinamica, di partecipazioni, con riferimento alla partecipazione detenuta in detta società occorrerà dapprima verificare i requisiti dell’ininterrotto possesso e della sua iscrizione tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso del soggetto partecipante; accertata tale condizione, occorrerà altresì verificare che i requisiti della residenza fiscale e dell’esercizio di un’impresa commerciale sussistano congiuntamente – e non disgiuntamente, dato che la ratio della PEX prevede la sussistenza congiunta dei requisiti di cui alle lett. c) e d) del comma 1 dell’art. 87 relativamente alla società partecipata – con riferimento alle partecipazioni indirettamente detenute per il tramite della holding che rappresentano la maggior parte del valore del patrimonio di quest’ultima. Qualora tali requisiti non sussistono il regime PEX non potrà essere applicato, con la conseguenza che le (eventuali) plusvalenze conseguite sanno assoggettate al regime ordinario di tassazione. Con particolare riferimento alle società quotate, pur in mancanza di un espresso orientamento ministeriale sul punto, va ritenuto che la presunzione assoluta di commercialità opera in capo a queste anche qualora siano partecipate da una società holding. Detto in altri termini, i requisiti relativi alla residenza fiscale e alla commercialità – la cui sussistenza deve essere riscontrata ininterrottamente dall’inizio del terzo periodo d’imposta precedente il realizzo – devono essere verificati non in capo alla società holding, bensì con riferimento alle società da questa direttamente o indirettamente partecipate, nonché alle relative stabili organizzazioni; per espressa previsione normativa si considera che tali requisiti sussistano nei confronti delle società partecipate che rappresentano la maggior parte del valore del patrimonio sociale della holding medesima; la sussistenza di tali requisiti va verificata anche
24 Cfr. in dottrina, L. Cacciapaglia, G. Valcarenghi, Holding, l’individuazione dei soggetti e le modalità di verifica dei requisiti PEX, in Guida alla Riforma Fiscale, Il Sole 24 Ore, novembre 2004, pp. 34 e ss.; F. Dezzani, L. Dezzani, La participation exemption anche per le holding, in Il Fisco, n. 35/2004, pp. 5980 e ss.; F. Dezzani, L. Dezzani, circolare n. 36/E del 4 agosto 2004: la tassazione delle plusvalenze su partecipazioni. «Immobilizzazioni finanziarie» e «attivo circolante», in Il Fisco, n. 36/2004, pp. 6127 e ss.; A. Dodero, Residenza fiscale della società partecipata e rapporti tra interpelli, in Corr. Trib., n. 40/2004, pp. 3131 e ss.; C. Dominici, E. Tavoletti, Il nuovo regime di «participation exemption»: una prospettiva comparativa internazionale, in Azienda & Fisco, n. 6/2004, pp. 7 e ss.; C. Di Gregorio, G. Scazzeri, Participation exemption. Dall’esperienza tedesca e olandese alla versione italiana, in Il Fisco, n. 19/2004, pp. 2874 e ss.; R. Moro Visconti, Valutazione del patrimonio effettivo delle holdings e applicabilità della participation exemption, in Il Fisco, n. 19/2004, pp. 2863 e ss.
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in capo alle stabili organizzazioni delle stesse società partecipate. Per meglio comprendere i risvolti pratici prodotti dalla norma in commento possiamo ipotizzare i seguenti esempi, tenendo presente che la holding potrebbe risiedere anche in un paradiso fiscale e ciò nonostante le partecipazioni in essa detenute godere, al momento della cessione, della PEX; l’effetto prodotto dal comma 5 dell’art. 87 del TUIR infatti è proprio quello di considerare la holding come una società trasparente che funge da «schermo». 7.3.1
Esempio 1: la verifica dei requisiti oggettivi in presenza di holding Ipotizziamo il caso in cui una società A possiede una partecipazione immobilizzata nella società holding B la cui attività consista nella assunzione in via esclusiva o prevalente di partecipazioni in altre società; la società holding detiene quindi delle partecipazioni in quattro società (la C, D, E, F) – v. tavola 7.1. Incidentalmente, va osservato che il comma 5 dell’art. 87 del TUIR prende in considerazione solamente le società (nell’esempio proposto la società B) la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni; al riguardo, deve essere chiarito che al fine di valutare l’attività di assunzione delle partecipazioni da parte della holding come prevalente o meno è necessario confrontare il valore corrente, e non quello contabile, di tali partecipazioni con quello dell’intero patrimonio sociale della holding, tenuto conto anche degli avviamenti positivi e negativi, anche qualora non iscritti. tal fine è ammesso, se necessario, il ricorso a stime peritali. Sul punto, Assonime ha osservato che «per accertare la prevalenza dell’attività ci si potrebbe limitare a porre riferimento alle consistenze patrimoniali di fine esercizio di ognuno dei tre periodi d’imposta antecedenti la cessione nonché (...) delle consistenze presenti all’inizio del terzo periodo d’imposta anteriore al periodo in cui avviene il realizzo (...). Trattandosi, peraltro, di una holding, tale verifica dovrebbe essere condotta, come precisato, anche sulla situazione patrimoniale esistente al momento del realizzo delle partecipazioni». Inoltre, il Consiglio nazionale del Notariato, nello Studio del 1° febbraio 2002, ha chiarito che nel caso in cui una società non residente trasferisca la propria residenza in Italia sarebbe preferibile assumere i beni di impresa di tale soggetto non al valore storico, bensì al valore normale degli stessi alla data di efficacia del trasferimento (c.d. valore corrente).
7. HOLDING E REGIME DELLA «PARTICIPATION EXEMPTION»
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Tavola 7.1 A
B
C
D
E
Con particolare riferimento a tale fattispecie, deve essere innanzitutto osservato che in capo al soggetto A devono essere rispettati i requisiti del periodo minimo di possesso e dell’iscrizione della partecipazione nelle immobilizzazioni finanziarie, mentre in capo alle società indirettamente partecipate C, D ed E devono essere verificati i requisiti della residenza in un Paese non incluso nella futura white list, nonché l’esercizio di un’attività commerciale. Ciò posto, come osservato da Assonime nella circolare del 6 luglio 2005, n. 38, la società holding B potrebbe anche essere residente all’estero; infatti, in caso contrario, si potrebbero produrre gli stessi effetti indesiderati che si intendono contrastare per la società holding residente. Nelle parole dell’Assonime infatti tali effetti indesiderati sono costituiti dalla circostanza che la participation exemption «possa essere applicata a partecipazioni rappresentative di patrimoni immobiliari o patrimoni aziendali i cui incrementi non scontano imposizione congrua e trasparente nel Paese in cui sono dislocati» Nell’esempio proposto si ipotizzi che tra le società partecipate dalla holding B solamente C e D siano operative e, quindi, soddisfano entrambi i requisiti dell’esercizio dell’attività commerciale e della residenza in un Paese incluso nella c.d. white list che consente un effettivo scambio di informazioni ed il cui livello di tassazione non sia sensibilmente inferiore a quello applicato nel nostro Paese. Dal momento che nell’esempio proposto la società E non possiede i requisiti per essere considerate operative, qualora la società A cede la partecipazione detenuta nella holding D l’eventuale plusvalenza derivante da detta cessione potrà
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godere dell’esenzione solamente se le società C e D rappresentino la maggior parte del valore del patrimonio sociale di B. Detto in altri termini, al fine di fruire del regime PEX, il valore corrente delle partecipazioni detenute nelle società C e D – che realizzano i requisiti per l’esenzione – deve rappresentare la maggior parte dell’attivo patrimoniale detenuto dalla holding a valori correnti nelle proprie società partecipate. Come in precedenza osservato, il raffronto tra i rispettivi valori patrimoniali va effettuato tenendo in considerazione anche: • eventuali stabili organizzazioni possedute dalle società partecipate (nell’esempio proposto quindi il valore del patrimonio della società C deve essere considerato comprendendo anche il fondo di dotazione della stabile organizzazione di tale società); • aziende situate in un paese white list tramite le quali la società holding esercita direttamente un’attività commerciale (sul punto, la circolare n. 36/2004 ha precisato che anche il patrimonio investito in attività non finanziarie, siano esse commerciali o non commerciali, deve essere valutato al fine dell’attribuzione della qualifica di commercialità a valori correnti). Inoltre, dal momento che la holding costituisce un mero schermo, la condizione della esclusività o prevalenza dell’attività di assunzioni di partecipazioni deve essere verificata al momento della cessione della partecipazione; per contro, come chiarito nella risposta 5.4 della circolare n. 10/2005 – di seguito commentata – i requisiti oggettivi della commercialità e della residenza fiscale devono sussistere ininterrottamente per un triennio e vanno verificati sia in capo alle società partecipate sia in capo alla holding nel caso in cui la sua attività di assunzione di partecipazioni sia divenuta prevalente nel corso dello stesso triennio. Con particolare riferimento al «triennio», contrariamente a quanto sostenuto da alcuni autorevolmente in dottrina25, la condizione di operatività
25 Cfr. in dottrina P. Ludovici, Partecipazioni con requisiti dubbi, in Il Sole 24 ore del 25 giugno 2004, p. …, il quale si chiede se «per gli ultimi due requisiti [relativi alla commercialità e alla residenza fiscale della società partecipata] i tre periodi di imposta anteriori al realizzo della partecipazione siano i periodi del socio oppure quelli della società partecipata. L’effetto dell’alternativa si comprende immaginando una società immobiliare di gestione che modifica l’attività nel 2004 e comincia a esercitare un’impresa commerciale. Subito dopo la modifica dell’attività, la società passa dal socio A al socio B, che la cede nuovamente nel 2006, prima del compimento di tre periodi d’imposta dal cambiamento dell’attività. Guardando ai periodi del socio, B avrebbe diritto all’esenzione perché la partecipazione rispetta tutte le condizioni dell’art. 87 sin dalla data dell’acquisizione da parte dello stesso B (…) Viceversa guardando alla società, la plusvalenza realizzata da B sarebbe imponibile, perché la partecipata non ha esercitato un’impresa commerciale in ciascun momento nel corso degli ultimi tre periodi d’imposta, considerando anche il periodo precedente l’acquisizione da B. Privilegiare la seconda ipotesi non appare una scelta condivisibile. In primo luogo, sul piano formale, nessuna delle possibili interpretazioni è contraddetta dalla lettera della norma; inoltre, la norma mira a evitare comportamenti elusivi del socio, il quale potrebbe far sì che
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nel corso dei tre anni che precedono il realizzo non deve riferirsi alla situazione del socio, ma deve essere verificato in capo alla società partecipata, con la conseguenza che è del tutto irrilevante la circostanza che la partecipazione sia stata posseduta nel periodo di riferimento dello stesso soggetto che realizza la plusvalenza, ovvero dal suo dante causa. Da un punto di vista pratico, quindi il socio (nell’esempio proposto il soggetto A) che cede una partecipazione acquistata nel 2009 e detenuta per il tramite della holding B fino al 2011, al fine di beneficiare dell’esenzione, dovrà verificare che i requisiti della commercialità e della residenza fiscale in un Paese white list delle società partecipate siano stati soddisfatti anche precedentemente al 2009. 7.3.2
Esempio 2: la verifica dei requisiti oggettivi in presenza di più holding Un caso particolare può essere quello in cui la società A detenga delle partecipazioni nella società holding B la quale partecipa società operative non direttamente ma per il tramite di una sub-holding (v. tavola 7.2). In tale ipotesi, tanto la società B quanto la società C sono delle holding; inoltre le società D, E ed F sono delle società operative. In tale ipotesi, al fine della verifica dei cc.dd. requisiti oggettivi, la circolare Ministeriale n. 36/2004 ha chiarito che deve essere eliminato lo schermo rappresentato dalla sub-holding C, con la conseguenza che le società indirettamente partecipate (nell’esempio proposto le società D, E ed F) riflettano pro-quota i propri requisiti di commercialità e di residenza direttamente in capo alla holding di primo livello, ossia in capo ad A. Supponiamo inoltre la struttura societaria raffigurata nella tavola 7.3. Supponiamo che il patrimonio effettivo della holding B sia così costituito: • il valore corrente della partecipazione detenuta nel soggetto C che supponiamo essere residente in un Paese black list sia pari a 150 (15%); • il valore corrente della partecipazione detenuta nel soggetto D residente in Italia è esercente attività commerciale sia pari a 400 (40%). Supponiamo inoltre che la sub-holding E detenga partecipazioni del valore corrente di 430 e in particolare: • il valore corrente della partecipazione detenuta nel soggetto F black list che esercita un’attività non commerciale sia pari a 163 (il valore di detta partecipazione rappresenta il 38% – 163/430 – del patrimonio della sub-holding E); • il valore corrente della partecipazione detenuta nel soggetto G non black list che esercita attività commerciale è in un Paese non black list sia pari a 267 (il
la società partecipata integri le condizioni poste dall’art. 87 immediatamente prima della cessione».
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valore di detta partecipazione rappresenta il 62% – 267/430 – del patrimonio della sub-holding E). Tavola 7.2
A
B
C
D
E
F
Tavola 7.3 A
B
C
D
E
F
G
7. HOLDING E REGIME DELLA «PARTICIPATION EXEMPTION»
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In tale ipotesi la società holding B si qualifica per l’esenzione in quanto i requisiti sono soddisfatti dalle società direttamente e indirettamente partecipate che rappresentano il 67% del suo patrimonio. In particolare, le società che soddisfano i requisiti sono D che rappresenta il 40% dell’attivo patrimoniale della holding e G che rappresenta il 27% dell’attivo patrimoniale della holding (infatti il valore della partecipazione in essa indirettamente detenuta dalla società holding B è pari al 43% – che rappresenta la partecipazione detenuta dalla holding B nella sub-holding E – moltiplicato per il 62% che rappresenta il valore corrente della partecipazione detenuta dalla sub-holding E nella società partecipata G). 7.3.3
Esempio 3: la verifica dei requisiti oggettivi nel caso in cui la holding possiede anche partecipazione dirette In questo caso (v. tavola 7.4) la società holding B oltre che partecipare la società sub-holding C detiene anche una partecipazione in una società D considerata operativa.
Tavola 7.4 A
B
D
C
Con riferimento a tale fattispecie, la circolare ministeriale n. 36/2004 negli esempi 10, 11 e 12 del paragrafo 2.3.5 – ai quali si rimanda – ha avuto modo di chiarire che al fine di fruire dell’esenzione è necessario che il valore delle partecipazioni detenute dalla holding sia direttamente sia indirettamente per il tramite della sub-holding rappresenti la maggior parte del suo patrimonio sociale.
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In altri termini, nell’esempio proposto per beneficiare dell’esenzione il valore della partecipazione detenuta da B in D deve rappresentare la maggior parte del patrimonio di B, a nulla rilevando la circostanza che la sub-holding C partecipi una società operativa il cui valore del patrimonio costituisce la maggior parte del valore del suo patrimonio sociale. La sub-holding C dovrà essere considerata infatti come uno schermo che pertanto deve essere eliminato. 7.3.4
Una lettura critica delle interpretazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria L’Amministrazione finanziaria a mezzo della circolare 4 agosto 2004, n. 36/E, ha chiarito che, nel caso in cui la partecipazione sia detenuta dalla società holding in altro soggetto della medesima natura (c.d. società sub-holding), «occorrerà valutare anche le partecipazioni da quest’ultima possedute». Infatti, le società indirettamente partecipate devono riflettere pro quota i propri requisiti di commercialità e di residenza direttamente in capo alla holding di primo livello; a tal fine, non assume importanza alcuna il fatto che il valore della società operativa partecipata dalla sub-holding costituisca o meno la maggior parte del patrimonio sociale di quest’ultima. Osserviamo inoltre che nel caso di società holding mista che oltre ad esercitare in via prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni svolge una propria attività d’impresa commerciale, anche il patrimonio rappresentato da quest’ultima deve essere computato ai fini dell’attribuzione o meno della qualifica di commercialità a valori correnti. L’Amministrazione finanziaria è ritornata ad occuparsi dell’argomento anche nella circolare 16 marzo 2005, n. 10/E nella quale è stato ulteriormente precisato che qualora per la società holding l’attività di assunzione di partecipazioni sia divenuta prevalente soltanto nel corso del triennio di riferimento, è necessario verificare l’esistenza dei requisiti della commercialità e della residenza fiscale anche direttamente in capo alla società (rectius: holding) sin dall’inizio del periodo temporale individuato dalla normativa. In altri termini, per l’Amministrazione finanziaria, i richiamati presupposti applicativi del regime di esenzione delle plusvalenze realizzate devono sussistere, separatamente e indipendentemente, nei confronti tanto della società holding quanto delle singole società da questa partecipate. Tale interpretazione non appare del tutto condivisibile. Si consideri infatti, l’ipotesi di una società holding, già residente in paradiso fiscale, per la quale l’attività di assunzione delle partecipazioni divenga «irrilevante» nel corso dell’ultimo periodo d’imposta del triennio precedente il realizzo della plusvalenza. In tale ipotesi, con la perdita della «prevalenza», la residenza fiscale di tale società assume valenza anche con riferimento ai primi due periodi di imposta del periodo di osservazione, relativamente ai quali la stessa avrebbe dovuto essere del tutto ininfluente. Ciò pare in palese contrasto con lo spirito della norma e, più in generale, con la certezza del diritto. L’Assonime con la propria circolare n. 38/2005 ha fornito una diversa interpretazione della norma; secondo l’Associazione, infatti,
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nel caso in cui una società acquisisca o perda la qualifica di holding, «parrebbe logico ritenere che (...) vadano di volta in volta applicati i criteri previsti dalle norme in relazione alla natura assunta dalla società. Così (...) riguardo alla società che nell’ultimo periodo del triennio ha perso i caratteri della holding, la verifica dei requisiti della commercialità e della residenza va operata, nel predetto periodo, esclusivamente sulla stessa società; per i precedenti periodi, viceversa, detti requisiti andranno verificati con le regole previste per le holding e cioè avendo riguardo alla situazione delle società partecipate dalla società holding». Facendo propria tale diversa chiave di lettura dell’art. 87 del TUIR diviene necessaria una verifica dei requisiti della residenza fiscale e della commercialità, nel corso del triennio, rispettivamente in capo alla società holding e alle singole società da questa partecipate, a seconda che la prima svolga o meno in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni. Pertanto, qualora una società goda della qualifica di holding unicamente nell’ultimo dei tre periodi di imposta anteriori al realizzo, il riscontro dei presupposti di cui sopra andrà operato su ciascuna società da questa partecipate per i primi due periodi di imposta del triennio e sulla società holding con riferimento all’ultimo. Appare evidente che la soluzione prospettata da Assonime nella circolare in esame mal si concilia con le indicazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria; in tal modo, infatti, verrebbe avallata un’interpretazione della norma assai ampia, che legittimerebbe l’esenzione dal prelievo anche nel caso in cui la sussistenza dei requisiti sopra menzionati non sia verificata, per l’intera durata del triennio, né in capo alla società holding né in capo alle sue singole società partecipate. Un caso pratico di interesse potrebbe essere quello di una società residente in Italia che acquisisce la qualifica di holding, ai sensi dell’art. 87, comma 5, del TUIR, soltanto nell’ultimo periodo di imposta del triennio e detiene, nel corso dell’intero arco temporale di riferimento, partecipazioni in una o più società residenti in paradisi fiscali. Nel corso dei primi due periodi di imposta del triennio precedente il realizzo della partecipazione, il socio della (futura) società holding potrà – cedendo la propria partecipazione e in presenza di tutti i requisiti richiesti dalla normativa –, beneficiare del regime PEX; la società partecipata, infatti, non potrà ancora essere considerata società holding e, pertanto, non assume rilievo la residenza dei soggetti da questa a sua volta partecipati. La residenza fiscale dei soggetti partecipati dalla società holding, viceversa, assumerà pertanto rilevanza soltanto per l’ultimo periodo di imposta del triennio, con la conseguenza che il socio della holding cedendo a tale data la partecipazione in questa detenuta realizzerebbe plusvalenze che concorrono alla formazione della base imponibile. Se questa è l’interpretazione corretta ci si chiede allora quali conseguenze possano prodursi – anche con riferimento ad eventuali profili di elusività – nel caso in cui, nel corso del secondo periodo di imposta anteriore al realizzo, la società che detiene le partecipazioni in soggetti residenti in paradisi fiscali, che ha la certezza che nell’ultimo periodo di imposta si trasformerà in holding, faccia in modo che
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le proprie partecipate black list trasferiscano la propria residenza in un Paese a regime fiscale ordinario, consentendo, in tal modo, al proprio socio di beneficiare del regime di esenzione delle plusvalenze.