Holding e imposta sul valore aggiunto
SOMMARIO 8.1
La detrazione dell’IVA. Aspetti generali
8.2
Holding e IVA di gruppo
8
274 8.1
IL REGIME FISCALE DELLE SOCIETÀ HOLDING
La detrazione dell’IVA. Aspetti generali La detrazione dell’IVA addebitata in via di rivalsa1 è uno dei principi fondamentali del funzionamento dell’imposta sul valore aggiunto2 ed è lo strumento che realizza la neutralità3 dell’imposta nei rapporti tra operatori economici. Le operazioni esenti4, tra le quali rientrano la maggior parte delle operazioni effettuate dalle holding, in genere determinano una limitazione al diritto di detrazione. La ratio di un simile principio consiste nel fatto che se il legislatore avesse consentito l’esercizio della detrazione in presenza di operazioni esenti, il bene/servizio sarebbe giunto al consumo finale completamente detassato, in quanto il cedente avrebbe detratto l’IVA a lui addebitata in via di rivalsa, senza addebitare a sua volta l’imposta e l’erario non avrebbe incassato mai l’IVA. Il principio generale della detrazione, contenuto nell’art. 19, del D.P.R. n. 633/1972,
1 Sul funzionamento della rivalsa nel meccanismo dell’imposizione sul valore aggiunto, cfr. L. Salvini, Rivalsa, detrazione e capacità contributiva nell’imposta sul valore aggiunto, in Riv. Dir. Trib., 1993, I, pp. 1287 ss.; A. Comelli, La natura dell’imposta, in F. Tesauro, L’imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001, pp. 3 ss. 2 Sul tema dell’imposta sul valore aggiunto la bibliografia è vastissima; segnaliamo comunque L. Salvini, La detrazione IVA nella sesta direttiva e nell’ordinamento interno: principi generali, in Riv. Dir. Trib., n. 2/1998, pp. 135 e ss,; A. Comelli, IVA comunitaria e IVA nazionale, Padova, 2000; R. Cordeiro Guerra, L’IVA quale imposta sui consumi, in Rass. Trib., 2000, pp. 322 ss.; A. Fantozzi, Presupposto e soggetti passivi dell’imposta sul valore aggiunto, in Dir. Prat. Trib., 1972, I, pp. 725 ss.; G. Ingrosso, Le operazioni imponibili ai fini dell’IVA, Dir. Prat. Trib., 1973, I, pp. 449 ss.; E. Fazzini, Il diritto di detrazione nel tributo sul valore aggiunto, Padova, 2000, pp. 10 ss.; R. Perrone Capano, L’imposta sul valore aggiunto, Napoli, 1977, pp. 422 ss.; S. Gallo, Profili di una teoria dell’imposta sul valore aggiunto, Roma, 1974, pp. 17 ss.; M. Giorgi, Detrazione e soggettività passiva nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2005, pp. 27 ss. Per un’approfondita disamina delle recenti novità introdotte anche nel nostro Paese per effetto del recepimento del c.d. Vat Package 2010 si rimanda a P. Centore, La nuova IVA europea e nazionale, Dal regime transitorio al definitivo, Assago, 2010, nonché a B. Terra, J. Kajus, A Guide to the European VAT Directives IBFD, 2010. 3 Il primo caso in cui la Corte di Giustizia UE si è occupata della neutralità fiscale in un contesto interstatale è stato quello della sentenza 5 maggio 1982, causa 15/81 «Schul», che riguardava l’IVA all’importazione di un bene ceduto da un soggetto privato; il principio di neutralità fiscale è stato tra l’altro affermato dalla Corte di Giustizia anche nelle sentenze 27 giugno 1989, causa 50/88, «Kuhne», e del 25 maggio 1993, causa C-193/91, «Mohsche». Cfr., in dottrina, per un commento a tale ultima sentenza, nonché per un’ampia analisi del principio della neutralità fiscale nel sistema dell’imposizione sul valore aggiunto, M. Giorgi, op. cit., pp. 27 ss. 4 Sulla nozione di esenzione nel sistema dell’IVA, cfr. in dottrina P. Filippi, L’imposta sul valore aggiunto, in Trattato di diritto tributario, a cura di A. Amatucci, Padova, 1994, pp. 237 ss.; A. Fedele, Esclusioni ed esenzioni nella disciplina dell’IVA, in Dir. Prat. Trib., 1973, pp. 146 ss.; P. Adonnino, La territorialità dell’IVA, in Riv. Dir. Fin., 1973, pp. 367 ss.; L. Carpentieri, L’imposta sul valore aggiunto, in A. Fantozzi, Corso di diritto tributario, Torino, 2003, pp. 489 ss. Sulle distorsioni che le esenzioni causano nel funzionamento dell’IVA, cfr. in dottrina, A. Fantozzi, Operazioni imponibili, non imponibili ed esenti nel procedimento di applicazione dell’IVA, in Riv. Dir. Fin., 1973, pp. 138 ss.
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prevede al comma 1), che per la determinazione dell’IVA dovuta o dell’eccedenza a credito «è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni e ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione». Il comma 2, del medesimo articolo, prevede, inoltre, l’indetraibilità dell’imposta «relativa all’acquisto o all’importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all’imposta». Per «operazioni non soggette all’imposta» devono intendersi quelle escluse dal campo di applicazione dell’IVA, sia in quanto specificatamente previsto dalla legge, sia perché prive di uno dei presupposti per l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto. Dalla lettura delle disposizioni richiamate si evince che il diritto alla detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti è subordinato alla sussistenza dei requisiti di seguito elencati: • soggettività passiva5 della holding;
5 Sulla soggettività passiva nel sistema dell’imposizione sul valore aggiunto, cfr. in dottrina, senza pretesa di esaustività, A. Comelli, op. cit., pp. 461 ss.; n. D’Amati, Diritto tributario, vol. II, Bari, 2000, pp. 131 ss.; G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova, 2003, pp. 524 ss.; A. Ferrario, Le società holding nell’imposizione sul valore aggiunto, tra ordinamento comunitario e ordinamento interno, in Dir. Prat. Trib. Internaz., 2002, pp. 771 ss. Al riguardo, va osservato che ai fini dell’attribuzione della soggettività passiva ai fini IVA l’effettuazione di operazioni rilevanti ai fini dell’applicazione del tributo non deve essere effettiva essendo sufficiente che sia prospettica; si confrontino al riguardo le sentenze della Corte di Giustizia 14 febbraio 1985, causa 268/83, «Rompelman», e 29 febbraio 1996, causa C-110/94, «Inzo». In particolare, in tale ultima sentenza la Corte di Giustizia ha ritenuto che sussiste l’esercizio di un’attività economica anche qualora lo svolgimento di attività preparatorie all’effettuazione di operazioni che rientrano nell’ambito di applicazione del tributo non dà luogo all’effettuazione di tali operazioni, sempre che sussista la buona fede. Conformemente a tale interpretazione giurisprudenziale si è espresso E. Fazzini – op. cit. p. 37 – il quale ha evidenziato che «il principio della certezza del diritto si oppone a che i diritti e obblighi di soggetti passivi dipendano da fatti, circostanze o eventi che si sono verificati successivamente al loro accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria. A decorrere dal momento in cui questa ha accettato sulla base dei dati trasmessi da un’impresa, che sia ad essa concessa la qualità di soggetto passivo, questo status non può più, in via di principio, essere revocato successivamente con effetto retroattivo a causa del verificarsi o meno di taluni eventi». In altri termini, una volta riconosciuto lo status di soggetto passivo questo non può essere revocato con effetto retroattivo se non in presenza di situazioni fraudolente o abusive (tale principio è stato affermato in maniera pressoché costante dalla Corte di Giustizia anche nelle sentenze 29 aprile 2004, Cause riunite C-487/01, e C-7/02 «Leusden e Holin Groep BV»; 8 giugno 2000, causa C-400/98, «Breitsohl», nonché nella sentenza 15 gennaio 1998, causa C-37/95, «Ghent Coal, terminal NV»). Inoltre, come chiarito dalla stessa dottrina – cfr. M. Giorgi, op. cit., pp. 94 ss. – la Corte di Giustizia nella sentenza «Ghent Coal, terminal NV» citata ha chiarito che sussiste l’esercizio di un’attività economica «allorché le operazioni cui gli atti preparatori erano preordinati non siano effettuati per casi di forza maggiore. Per l’acquisto della soggettività passiva d’imposta non è, quindi, necessario che l’effettuazione di operazioni nel campo di applicazione sia effettiva (…) ma è sufficiente che il soggetto abbia manifestato l’intenzione, in buona fede, di esercitare un’attività economica ai sensi della direttiva».
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• inerenza6 dell’acquisto all’attività d’impresa; • afferenza7 dell’acquisto ad operazioni soggette all’imposta. Vi sono poi ulteriori condizioni formali per l’esercizio della detrazione, quali l’esistenza e il possesso della fattura d’acquisto, l’annotazione della stessa nel registro degli acquisti, nonché il rispetto del vincolo temporale previsto dallo stesso art. 19, secondo cui il diritto può essere esercitato «al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto». 8.1.1
La soggettività passiva delle holding La soggettività passiva della holding assume il ruolo di necessario «prerequisito» per l’esercizio del diritto a «detrarre» l’imposta assolta nonché, più in generale, per la stessa applicazione delle disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto. In linea generale, ai sensi dell’art. 4, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, le società che abbiano oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali assumono «per presunzione» la qualifica di soggetti passivi IVA per tutte le prestazioni di servizi e le cessioni di beni effettuate. Tale presunzione, che si ricollega unicamente ad una caratteristica soggetti-
6 Sul tema dell’inerenza, cfr. anche le sentenze della Corte di Giustizia «Intiem» citata, 11 luglio 1991, causa C-97/90, «Lennartz», nonché 16 ottobre 1997, causa C-258/95, «Julius Fillibech»; in particolare, in tale ultima sentenza la Corte di Giustizia ha chiarito che l’inerenza deve essere valutata caso per caso. Cfr., in dottrina, E. Fazzini, op. cit., pp. 71 ss.; R. Lupi, Il controllo di inerenza e la necessità di evitare che vengano attribuiti all’impresa costi riguardanti consumi privati dell’imprenditore o di terzi, in LupiCrovato, Il reddito di impresa, Milano, pp. 89 ss.; C. Carpentieri, Inerenza e indeducibilità espresse, in Lupi-Crovato Il reddito di impresa, Milano, pp. 96 ss.; M. Giorgi, op. cit., pp. 282 ss. 7 Con particolare riferimento al requisito dell’afferenza degli acquisti effettuati alle operazioni soggette al tributo, va evidenziato che l’Amministrazione finanziaria nella circolare del 24 dicembre 1997, n. 328, ha ritenuto che «poiché il diritto alla detrazione sorge e continua ad essere esercitato come per il passato, fin dal momento dell’acquisizione dei beni e dei servizi, anche ammortizzabili (detrazione immediata), il contribuente non deve attendere l’effettiva utilizzazione dei beni e dei servizi nella propria attività per stabilire se gli competa e possa o meno esercitare tale diritto, essendo a tal fine sufficiente che i beni e i servizi siano afferenti, ciò destinati ad essere utilizzati in operazioni che danno o non danno diritto alla detrazione». Su tale aspetto, la dottrina – E. Fazzini, op. cit., p. 74 – ha osservato che «con il ricorso al concetto di afferenza, non presente nell’ordinamento comunitario, il Legislatore, … ha inteso evidentemente chiarire altresì che, nonostante la sussistenza del principio della detrazione immediata, qualora il bene o servizio acquistato sia da considerarsi riferibile, e quindi destinato, ad operazioni esenti o non soggette, per le quali non sussiste il diritto di detrazione, il diritto medesimo è da ritenersi fin dall’inizio escluso, senza necessità di attendere il momento in cui si verifica l’utilizzazione del bene o servizio acquistato». Cfr. anche L. Salvini, La detrazione nella sesta direttiva e nell’ordinamento interno: principi generali, in AA.VV., Studi in onore di Victor Uckmar, Padova, 1997, pp. 1072 ss., nonché D. Stevanato, L’imposta sul valore aggiunto a seguito del D.lgs. n. 313 del 1997: disposizioni generali, in AA.VV., Commento alle Deleghe fiscali, 1997, Padova, 1999, pp. 154 e ss.
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va anziché, come avviene per altri soggetti – quali gli imprenditori individualiall’attività in concreto esercitata, è stata oggetto di una importante modifica ad opera del D.lgs. 2 settembre 1997, n. 313, con lo scopo di eliminare l’automatismo secondo cui «l’attività svolta da società commerciali equivalga ad un’attività imprenditoriale rilevante ai fini IVA», individuando alcune «attività non rivolte al mercato, ma tipicamente finalizzate a consentire un mero godimento di beni e servizi da parte dei loro diretti o indiretti titolari»8. La disposizione di chiaro intento antielusivo colpisce, tra le altre: «a) il possesso e la gestione di unità immobiliari classificate o classificabili nella categoria catastale A e le loro pertinenze, ad esclusione delle unità classificate o classificabili nella categoria catastale A10, (...) da parte di società o enti, qualora la partecipazione ad essi consenta, gratuitamente o verso un corrispettivo inferiore al valore normale, il godimento, personale, o familiare dei beni e degli impianti stessi, ovvero quando tale godimento sia conseguito indirettamente dai soci o partecipanti, alle suddette condizioni, anche attraverso la partecipazione ad associazioni, enti o altre organizzazioni; b) il possesso, non strumentale né accessorio ad altre attività esercitate, di partecipazioni o quote sociali, di obbligazioni o titoli similari, costituenti immobilizzazioni, al fine di percepire dividendi, interessi o altri frutti, senza strutture dirette ad esercitare attività finanziaria, ovvero attività di indirizzo, di coordinamento o altri interventi nella gestione delle società partecipate». Con riferimento all’ipotesi b) che riguarda in special modo le holding finanziarie, l’esclusione dalla soggettività passiva non è automatica, ma occorre solamente se l’attività in concreto esercitata è una attività di mero godimento: ad esempio se la società si limita all’intestazione delle partecipazioni e all’incasso passivo dei relativi frutti. Viceversa ove l’attività della holding sia organizzata in maniera tale da consentire una attività di indirizzo, coordinamento o gestione della società partecipata, la norma antielusiva non potrà essere applicabile. Tali attività, per essere concretamente apprezzabili anche in sede di verifica da parte delle Autorità competenti, dovrebbero consistere in servizi9 di carattere gestionale, amministrativo, finanziario o commerciale, tali da incidere in maniera rilevante sulle decisioni degli organi direzionali delle partecipate, fermo restando il principio della autonomia decisionale e indipendenza giuridica delle diverse realtà societarie. L’attività di coordinamento e indirizzo potrebbe, inoltre, anche integrare la nozione di soggetto sottoposto alla direzione e coordinamento di cui all’art. 2497 c.c. ma non
8 Cfr. la Relazione governativa di accompagnamento al D.lgs. 2 settembre 1997, n. 313 1997. 9 Cfr. sentenza della Corte di Giustizia 14 novembre2000, causa C-142/99, «Floridienne».
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viceversa, tenuto conto che la nozione di direzione e coordinamento proposta da tale articolo non prevede l’effettuazione di attività o servizi economicamente apprezzabili. Tale ricostruzione è del resto coerente con la giurisprudenza comunitaria secondo la quale l’acquisto e la detenzione di partecipazioni non può essere considerata una attività economica ai sensi della direttiva n. 2001/112/CE (recast della VI direttiva n. 77/388/CE) mentre l’interferenza, diretta ovvero indiretta10, di una holding nella gestione delle partecipate costituisce una attività economica nel senso indicato dalla direttiva, ove l’attività esercitata implichi la prestazione di servizi a favore delle società partecipate. In particolare, la Corte di Giustizia a partire dalla sentenza del 20 giugno1991, causa C-60/90, «Polysar Investements Netherlands»11, ha ritenuto in maniera pressoché costante che l’attività di una holding deve essere considerata un’attività economica anche qualora non si effettui alcuna operazione rilevante ai fini IVA, a condizione che tale attività realizzi un’interferenza nelle società controllate12. In altri termini, secondo l’interpretazione fornita dai giudici comunitari la detenzione, l’acquisto ovvero la vendita di partecipazioni societarie non configurano un’attività economica rilevante ai fini IVA, con la conseguenza che una società holding il cui oggetto sociale sia quello
10 In particolare, sulla nozione di interferenza diretta e indiretta cfr. le sentenze della Corte di Giustizia 27 settembre 2001, causa C-16/00, «Cibo Participations», commentata da G. Stancati, In tema di detrazione IVA da parte delle holding, in Giur. It., n. 12/2002, pp. 2419 ss. e la sentenza «Floridienne» citata. 11 Cfr. anche le sentenze della Corte di Giustizia 22 giugno 1993, causa C-333/91, «Sofitam», la sentenza «Cibo Participations» citata, la sentenza 29 aprile 2004, C-77/01, «EDM», nonché la sentenza 8 febbraio 2007, C-435/05, «Investrand» commentata da A. Santi, In mancanza della soggettività IVA niente detrazione sugli acquisti, in GT - Riv. Giur. Trib. n. 4/2007, pp. 281 e ss. Per un commento, nonché per una lettura critica, delle sentenze «Polysar e Sofitam» citate, cfr. in dottrina M. Giorgi, op. cit., pp. 95 ss.; in particolare, l’Autore – cfr. op. cit., pp. 96 e 98 – dopo aver premesso che «l’estensione della soggettività passiva alle holding per il solo fatto che interferiscono nella gestione delle società controllate, oltre ad essere sprovvista di ogni sostrato normativo, non sembra trovare giustificazione in alcuna esigenza di funzionamento del sistema comune di imposta che anzi sembra compromesso nel suo naturale funzionamento dall’affermazione di tale principio» ha ritenuto che l’interferenza esercitata dalla holding nella gestione delle società controllate può configurare l’esercizio di un’attività economica, «perché attraverso tale interferenza la controllante potrebbe indurre la controllata a divenire sua cliente, ad esempio, per taluni servizi amministrativi. L’interferenza attribuirebbe, quindi, la soggettività passiva di imposta, perché ipoteticamente permetterebbe di effettuare, almeno prospetticamente, operazioni IVA». Cfr. in dottrina, anche A. Comelli, IVA Comunitaria e IVA Nazionale, Contributo alla teoria generale dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2000; M. Giorgi, op. cit., pp. 305 e ss., nonché T. Tassani, Società holding e diritto di detrazione nel sistema comunitario e nazionale dell’IVA, in Riv. Dir. Trib., n. 2/2010, parte quarta, pp. 49 e ss. 12 Si legge infatti al punto 13 della sentenza «Polysar» che «non risulta che la semplice acquisizione e il semplice possesso di quote sociali siano da considerare come attività economica» mentre al punto 14 viene ritenuto che «è diverso quando la partecipazione è unita ad un’interferenza diretta o indiretta nella gestione delle imprese» partecipate.
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di detenere partecipazioni in altre società non assume la qualifica di soggetto passivo13. Qualora invece la società holding interferisca direttamente o indirettamente nella gestione delle società partecipate, questa diventa soggetto passivo di imposta che svolge un’attività rilevante ai fini dell’applicazione del tributo. Il requisito della interferenza diretta o indiretta della holding nei confronti delle società partecipate è stato meglio definito dalla stessa Corte di Giustizia a partire dalle sentenze «Floridienne», citata, e «Berginvest» (sentenza 14 novembre 2000, causa C-142/99) nelle quali in particolare è stato chiarito che l’interferenza si realizza allorquando la holding pone in essere nei confronti delle proprie società controllate operazioni soggette ad IVA, quali la prestazione di servizi amministrativi, contabili, informatici, ovvero finanziari14. Ne consegue quindi che la società holding soggetto passivo IVA potrebbe compiere sia attività che danno diritto alla detrazione dell’imposta – come, ad esempio, l’effettuazione di servizi a favore delle proprie società partecipate – sia attività che non attribuiscono tale diritto, come ad esempio l’acquisto, ovvero la cessione, delle partecipazioni15; in tal caso, il diritto alla detrazione spetterà in
13 Analogo principio è stato affermato dalla Corte di Giustizia con riferimento ai titoli di debito e, in particolare, alle obbligazioni; infatti, nella sentenza del 2 giugno 1997, C-80/95, «Harnas & Helm CV», è stato chiarito che l’acquisto e la mera detenzione di obbligazioni che non siano strumentali all’esercizio di un’altra attività di impresa, nonché la riscossione degli introiti che ne derivano, non devono essere considerati attività economica che attribuiscono la qualità di soggetto passivo al soggetto che effettua dette operazioni. 14 Cfr. anche le sentenze della Corte di Giustizia 26 giugno 2003, C-305/01, «MKG», nonché l’ordinanza 12 luglio 2001, C-102/00 «Weltgrove». Con particolare riferimento ai servizi finanziari prestati dalla holding, va osservato che nella sentenza «EDM» citata la Corte di Giustizia ha ritenuto che rientrano nell’attività svolta dalla società holding anche la concessione a titolo oneroso di prestiti a favore delle società partecipate. Sul tema dei finanziamenti infragruppo e della detraibilità dell’IVA, cfr. C. Cornia, Operazioni di finanziamento infragruppo e detraibilità dell’IVA, in Rass. Trib., 2004, pp. 1886 ss.; C. Monaco, Le attività finanziarie tra esenzione ed esclusione nella disciplina dell’IVA: l’interpretazione della Corte di Giustizia CE, in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 1998, II, pp. 9 ss. 15 Con particolare riferimento alla tematica della detrazione ed esenzione ai fini IVA della cessione delle partecipazioni si confrontino le conclusioni dell’Avvocato generale nel caso «AB SKF» presentate il 12 febbraio 2009 nella causa C-29/08 commentate in dottrina da P. Centore, Detrazione ed esenzione nella cessione di partecipazioni, in Corr. Trib., n. 14/2009, pp. 1144 e ss., nonché da M. Peirolo, Riflessi IVA della natura «statica» o «dinamica» delle partecipazioni, in Corr. Trib., 45/2009, pp. 3693 e ss. In particolare, P. Centore, con particolare riferimento al tema di come la norma comunitaria e nazionale valutano e inquadrano la suddivisione tra partecipazioni statiche e dinamiche, acutamente non manca di osservare (nella nota 7 di p. 1145) che «occorre subito avvertire che, probabilmente, proprio in punto di valutazione della detrazione rispetto alla diversa qualifica (esente o non soggette) si manifestano le conseguenze della diversa qualificazione operata dal Legislatore nazionale (sotto il profilo soggettivo) rispetto alle indicazioni della Corte di Giustizia (che privilegia il lato oggettivo) della cessione di una partecipazione “statica”. Per il nostro ordinamento, la società finanziaria che abbia come attività (solo) il “mero godimento” viene
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misura proporzionale alle operazioni che danno diritto alla detrazione, secondo il particolare meccanismo del pro-rata previsto dal comma 5 dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/72 (cfr. par. 8.1.5). 8.1.2
Gli effetti della perdita della soggettività passiva Qualora una holding venga a trovarsi in una delle situazioni di cui all’art. 4, 5° comma, sopra elencate, queste le conseguenze dettate dalla circolare ministeriale 24 dicembre 1997, n. 328: 1. la holding perde la qualifica di soggetto passivo, pertanto andranno effettuati gli adempimenti relativi alla chiusura della partita IVA; ove vengano esercitate altre attività commerciali, ai sensi dell’art. 4 del D.P.R. n. 633/1972, la soggettività passiva permane in relazione a tali attività, ma l’esercizio del diritto alla detrazione potrà essere operato unicamente con riferimento agli acquisti di beni o servizi relativi all’attività commerciale o agricola esercitata; 2. in ogni caso, per i beni e servizi che sono ricompresi nell’attività non commerciale per presunzione, è necessario attuare il meccanismo dell’autoconsumo; tale meccanismo va applicato unicamente ai beni e servizi acquistati a partire dal 1° gennaio 2008 ex art. 1, comma 2, del D.lgs. 23 marzo 1998, n. 5616. . Tale soluzione, peraltro, se risulta ineccepibile dal punto di vista normativo desta qualche insoddisfazione sul piano operativo, in quanto costringerebbe una società a chiudere (avendo richiesto e ottenuto l’identificazione al momento della sua costituzione) la propria partita IVA ed eventualmente a riaprirla in un momento successivo a seconda delle vicende dei beni posseduti; si pensi, ad esempio al caso in cui una holding acquista una partecipazione ma solo in un momento successivo crea l’organizzazione necessaria per gestire tale partecipazione e, infine, proceda alla vendita delle azioni/quote possedute: in un simile caso, peraltro non irrealistico, la holding dovrebbe chiudere la partita IVA attribuita in sede di costituzione, riaprirla al momento di esercizio della attività di gestione e indirizzo
considerata come soggetto “non passivo” dell’imposta ed è posta, dunque, fuori del perimetro applicativo (…). Applicando, invece, il taglio oggettivo, sono le operazioni (cioè, le compravendite di partecipazioni) e non il soggetto (cioè, la società finanziaria) ad essere escluse dalla rilevanza ai fini del tributo. Ne deriva che, nel primo caso (taglio soggettivo), la detrazione non può essere, in ogni caso, ammessa, essendo l’operatore un soggetto «non passivo»; nel secondo caso (taglio oggettivo), invece, la sopravvivenza della qualifica di soggettiva in capo alla società finanziaria giustifica il diritto di detrazione dell’imposta sui costi correlati». 16 Cfr. D.lgs. 23 marzo 1998, n. 56, rubricato «Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati a norma dell’art. 3, commi 19, 66, 134, 138, da 143 a 149 e 151, e 162, lett. a), b), c), d) ed f), della legge 23 dicembre 1996, n. 662».
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e, infine, chiuderla nuovamente in seguito alla vendita della partecipazione, salvo poi riaprirla in occasione di un nuovo acquisto. Sul punto è stato autorevolmente osservato17 come «sarebbe stato preferibile, senza pregiudizio per l’Erario, anche una diversa interpretazione, secondo cui in astratto la società resta come tale soggetto IVA, salvo escludere la rilevanza degli acquisti e delle cessioni relative all’attività esclusa»; effettivamente tale soluzione avrebbe avuto il pregio di essere coerente con la circostanza che in sede di costituzione le società ottengono «automaticamente» la partita IVA, indipendentemente dal contenuto patrimoniale, e con la stessa tecnica legislativa di considerare le ipotesi qui in discussione delle «deroghe» alla regola generale18 per la quale le cessioni dei beni e le prestazioni di servizi poste in essere dalle Società si considerano effettuate nell’esercizio di imprese commerciali. 8.1.3
Inerenza e afferenza degli acquisti effettuati dalla holding Il diritto alla detrazione dell’IVA19 assolta sugli acquisti effettuati dalle società holding è strettamente collegato alla natura delle operazioni nelle quali vengono impiegati i beni e i servizi acquistati. Infatti, affinché possa essere legittimamente esercitato il diritto alla detrazione, l’acquisto deve essere correlato all’effettuazione di un’operazione imponibile o assimilata20.
17 Cfr. R. Lupi, Le società di mero godimento tra irrilevanza IVA e autoconsumo, in Rass. Trib., n. 1/1998, pp. 11 e ss. 18 Tale regola, se isolatamente considerata non risulterebbe coerente con la quanto indicato dalla Corte di Giustizia nella sentenza «Polysar»; peraltro, i principi di tale sentenza, sono stati recepiti proprio introducendo la lett. b) del comma 5 dell’art. 4 del D.P.R. n. 633/72. 19 Come evidenziato dalla Corte di Giustizia, le condizioni per l’esercizio del diritto alla detrazione sono: «i) l’impiego di beni e servizi a cui l’imposta sugli acquisti si riferisce nell’attività economica esercitata dal soggetto che voglia esercitare il diritto alla detrazione; ii) l’impiego di detti beni e servizi per effettuare operazioni soggette ad imposta; iii) il possesso (nonché la registrazione, n.d.r.) di una fattura in cui sia evidenziato l’addebito dell’IVA». Cfr. su tali aspetti, le sentenze 8 marzo 1988, causa 165/86, «Intiem», 6 aprile 1995, causa C-4/94, «BLP», 13 dicembre 1989, causa C-342/87, «Genius Holding», nonché la sentenza «Rompelman» cit. Inoltre, come chiarito dalla stessa Corte di Giustizia nella sentenza 21 marzo 2000, cause riunite C-110/98 e C-147-98, «Gabalfrisa e altri», la previsione di ulteriori condizioni rispetto a quelle citate per l’esercizio del diritto di detrazione è contraria all’ordinamento comunitario. Cfr. anche le sentenze della Corte di Giustizia 6 novembre 2003, cause riunite C-78/02, «Karageorgou e altri», e 19 settembre 2000, causa 454/98, «Schmeink», nonché la sentenza della Corte di Cassazione, sez. V, 10 marzo 2010, n. 5753. 20 Per operazioni assimilate si intendo le operazioni elencate al comma 3 dell’art. 19, le quali pur se non soggette all’imposta conferiscono il diritto alla detrazione relativamente agli acquisti ad esse afferenti.
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La holding potrà effettuare oltre alle tipiche operazioni esenti (ad esempio connesse alla gestione delle partecipazioni e alla gestione finanziaria del gruppo) anche operazioni imponibili (derivanti, ad esempio, dall’effettuazione di prestazioni di consulenza nei confronti delle controllate)21. Come precedentemente anticipato, nell’ipotesi in cui vengano effettuate esclusivamente operazioni esenti, l’IVA assolta sugli acquisti risulterebbe indetraibile per difetto del principio di afferenza stabilito dal comma 2, dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, in quanto non riconducibile ad alcuna operazione imponibile. Nel caso in cui la holding effettui, oltre alla propria attività esente, anche operazioni imponibili o assimilate, l’imposta dovuta sugli acquisti destinati esclusivamente al compimento di operazioni imponibili sarà detraibile interamente. Al riguardo, l’Amministrazione finanziaria22 ha affermato che «l’occasionale effettuazione di operazioni esenti da parte di un contribuente che svolge essenzialmente attività soggette ad IVA (come pure l’occasionale effettuazione di operazioni imponibili, da parte di un soggetto che svolge essenzialmente attività esente), non dà luogo ad applicazione del pro-rata». 8.1.4
Le attività esenti delle holding Le holding, nella generalità dei casi svolgono la propria attività in ambito finanziario e/o immobiliare, attraverso la gestione di partecipazioni o di patrimoni immobiliari. Tali attività sono, in linea generale, ricomprese tra le attività esenti IVA; rientrano, cioè tra quelle attività che determinano una limitazione all’esercizio della detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti. La scelta di includere alcune operazioni nell’ambito del regime di esenzione da IVA, con la conseguente limitazione al diritto alla detrazione, dipende unicamente da scelte di politica legislativa che, in considerazione del carattere sovranazionale dell’imposta sul valore aggiunto, vanno ricercate anche in ambito Comunitario. In tal senso le esenzioni contenute nell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972, sono previste dagli artt. 131-137 della direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE e, in quanto eccezioni al regime «naturale» di neutralità dell’imposta devono essere interpretate in modo restrittivo, senza fare ricorso ad analogie23.
21 Con particolare riferimento alla classificazione nel nostro ordinamento delle operazioni come imponibili, non imponibili, esenti, ovvero escluse, cfr. in dottrina, A. Fantozzi, Operazioni imponibili, non imponibili ed esenti nel procedimento di applicazione dell’IVA, in Riv. Dir. Fin., 1973, I, pp. 138 ss.; A. Fedele, Esclusioni ed esenzioni nella disciplina dell’IVA, in Riv. Dir. Fin., 1973, I, pp. 146 ss. 22 Cfr. circolare 328/ 1997, cit. 23 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 8 maggio 2003, C-269/00.
8. HOLDING E IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO
283
Ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/72 citato, rientrano tra le operazioni esenti, per i profili che qui interessano24: «1) le prestazioni di servizi concernenti la concessione e la negoziazione di crediti, la gestione degli stessi da parte dei concedenti e le operazioni di finanziamento; l’assunzione di impegni di natura finanziaria, l’assunzione di fideiussioni e di altre garanzie e la gestione di garanzie di crediti da parte dei concedenti; le dilazioni di pagamento, le operazioni, compresa la negoziazione, relative a depositi di fondi, conti correnti, pagamenti, giroconti, crediti e ad assegni o altri effetti commerciali, ad eccezione del recupero di crediti; la gestione di fondi comuni di investimento e di fondi pensione di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, le dilazioni di pagamento e le gestioni similari e il servizio BancoPosta; (...) 3) le operazioni relative a valute estere aventi corso legale e a crediti in valute estere, eccettuati i biglietti e le monete da collezione e comprese le operazioni di copertura dei rischi di cambio; 4) le operazioni, relative ad azioni, obbligazioni o altri titoli non rappresentativi di merci e a quote sociali, eccettuate la custodia e l’amministrazione dei titoli; le operazioni, incluse le negoziazioni e le opzioni, eccettuate la custodia e amministrazione, relative a valori mobiliari e a strumenti finanziari diversi dai titoli. Si considerano in particolare operazioni relative a valori mobiliari e a strumenti finanziari i contratti a termine fermo su titoli e altri strumenti finanziari e le relative opzioni, comunque regolati; i contratti a termine su tassi di interesse e le relative opzioni; i contratti di scambio di somme di denaro o di valute determinate in funzione di tassi di interesse, di tassi di cambio o di indici finanziari, e relative opzioni; le opzioni su valute, su tassi di interesse o su indici finanziari, comunque regolate; (...) 8) le locazioni e gli affitti, relative cessioni, risoluzioni e proroghe, di terreni e aziende agricole, di aree diverse da quelle destinate a parcheggio di veicoli, per le quali gli strumenti urbanistici non prevedono la destinazione edificatoria, e di fabbricati, comprese le pertinenze, le scorte e in genere i beni mobili destinati durevolmente al servizio degli immobili locati e affittati, escluse le locazioni di fabbricati abitativi effettuate in attuazione di piani di edilizia abitativa convenzionata dalle imprese che li hanno costruiti o che hanno realizzato sugli stessi interventi di cui all’art. 31, primo comma, lett. c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457, entro quattro anni
24 Per un commento approfondito all’art. 10 del D.P.R. n. 633/72 si rimanda a G. Mandò, D. Mandò, Manuale dell’imposta sul valore aggiunto, Assago, 2009, pp. 223 ss.
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dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento e a condizione che il contratto abbia durata non inferiore a quattro anni, e le locazioni di fabbricati strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni effettuate nei confronti dei soggetti indicati alle lett. b) e c) del numero 8-ter) ovvero per le quali nel relativo atto il locatore abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione; 8-bis) le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato diversi da quelli di cui al numero 8-ter), escluse quelle effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all’art. 31, primo comma, lett. c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457, entro quattro anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento o anche successivamente nel caso in cui entro tale termine i fabbricati siano stati locati per un periodo non inferiore a quattro anni in attuazione di programmi di edilizia residenziale convenzionata; 8-ter)le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, escluse: a) quelle effettuate, entro quattro anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento, dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all’art. 31, primo comma, lett. c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457; b) quelle effettuate nei confronti di cessionari soggetti passivi d’imposta che svolgono in via esclusiva o prevalente attività che conferiscono il diritto alla detrazione d’imposta in percentuale pari o inferiore al 25%; c) quelle effettuate nei confronti di cessionari che non agiscono nell’esercizio di impresa, arti o professioni; d) quelle per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione; 9) le prestazioni di mandato, mediazione e intermediazione relative alle operazioni di cui ai numeri da 1 a 7, nonché quelle relative all’oro e alle valute estere, compresi i depositi anche in conto corrente, effettuate in relazione ad operazioni poste in essere dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio italiano dei cambi, ai sensi dell’art. 4, quinto comma, del presente decreto». In particolare: regime IVA delle operazioni aventi ad oggetto immobili Con decorrenza 4 luglio 2006, l’art. 35, commi da 8 a 10-sexies, del D.L. 4 luglio
8. HOLDING E IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO
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2006, n. 223 (c.d. decreto Bersani)25 ha modificato l’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972 introducendo l’esenzione generalizzata dall’imposta sul valore aggiunto su tutte le operazioni di cessioni o locazioni di fabbricati. Al fine di una più agevole trattazione è opportuno evidenziare in via preliminare la distinzione tra immobili ad uso abitativo e immobili ad uso strumentale evidenziata, tra l’altro, dall’Agenzia delle Entrate nella circolare 4 agosto 2006, n. 27, nella quale è stato ribadito che «la distinzione tra immobili ad uso abitativo e immobili strumentali deve essere operata con riferimento alla classificazione catastale dei fabbricati, a prescindere dal loro effettivo utilizzo, adottando il medesimo criterio di tipo oggettivo elaborato in relazione alla pregressa normativa che esentava dall’IVA i soli immobili abitativi26». Nel testo del decreto viene definitivamente abbandonata la classificazione «per destinazione», pertanto, ai fini della imposizione indiretta, sono definiti immobili abitativi i fabbricati classificati o classificabili nella categoria catastale A, con esclusione della classe A10 (studi e uffici). Tale classe, unitamente con le categorie B, C, D ed E accoglie, invece, gli immobili strumentali. Immobili abitativi. Ai sensi del comma 8-bis, del citato art. 10 del D.P.R. n. 633/1972, è stabilito il regime di esenzione IVA per tutte le cessioni di immobili abitativi, fatta eccezione per i fabbricati ultimati o ristrutturati da non più di 4 anni, ceduti dalle imprese che hanno costruito i fabbricati stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito gli interventi di recupero edilizio previsti dall’art. 31, lett. c), d) ed e), della legge n. 457/1978 (interventi di recupero e risanamento conser-
25 Cfr., in dottrina, per un commento alle novità introdotte dal D.L. n. 223/2006 l’inserto di Italia Oggi dell’8 luglio 2006, La Manovra di Prodi, a cura di M. Longoni; cfr. inoltre P.P. Pagnotto, Le principali novità del Decreto «Bersani-Visco» in pillole, in Boll. Trib., n. 19/2006, pp. 1538 ss.; G. Ferranti, L’indeducibilità delle quote di ammortamento delle aree con fabbricati strumentali, in Corr. Trib., n. 30/2006, pp. 2339 ss.; F. Dezzani, L. Dezzani, Terreni e fabbricati strumentali, in Il Fisco n. 5/2007, pp. 1188 ss.; G. Verna, Ammortamento dei fabbricati per la quota riferibile al valore del terreno, in Boll. Trib., n. 2/2007, pp. 143 ss.; P. Meneghetti, Problemi aperti sull’ammortamento del fabbricato strumentale, in Informatore Pirola, n. 37/2006, pp. 72 ss.; E. Orsi, Indeducibilità dell’ammortamento dei terreni dal reddito d’impresa: problemi aperti, in Il Fisco, n. 39/2006, pp. 6082 ss.; I. Facchinetti, Terreni e fabbricati di proprietà: la nuova normativa, in Contabilità Finanza e Controllo, n. 2/2007, pp. 113 ss.; P. Pisoni, F. Bava, D. Busso, La nuova disciplina della deducibilità degli ammortamenti dei fabbricati industriali con separazione del valore dei terreni, in Il Fisco, n. 37/2006, pp. 5726 ss.; R. Portale, G.P. Tosoni, Maxi-IVA per le immobiliari, in Il Sole 24 Ore del 5 luglio 2006, p. 25. 26 La circolare n. 27/2006 prosegue chiarendo che «tale omogeneità interpretativa si rende necessaria tenuto conto che le nuove disposizioni (…) mutano dalla previgente formulazione dell’art. 10 n. 8) la definizione degli immobili diversi da quelli a destinazione abitativa, individuandoli nei “fabbricati strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni”. Nella categoria degli immobili abitativi rientrano pertanto i fabbricati classificati o classificabili nella categoria “A”, con esclusione dei fabbricati di tipo “A10”».
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vativo, di ristrutturazione edilizia, di ristrutturazione urbanistica). Il regime di esenzione IVA si applica, inoltre, a tutte le locazioni (sia operative che finanziarie) di immobili di tipo residenziale. Immobili strumentali. Ai sensi del comma 8-ter, del citato art. 10 del D.P.R. n. 633/1972, le cessioni di fabbricati strumentali, sono effettuate in regime di esenzione IVA, tranne nei casi tassativamente elencati dalla norma così definiti: a) cessioni effettuate dalle imprese costruttrici e di ristrutturazione per i fabbricati ultimati o ristrutturati da non più di 4 anni; b) cessioni effettuate nei confronti di soggetti passivi d’imposta che hanno diritto ad esercitare la detrazione dell’imposta pagata sugli acquisti in misura non superiore al 25%. All’atto di compravendita deve essere allegata la dichiarazione con cui il cessionario comunica al cedente che la propria percentuale di detraibilità superi o meno il 25%; c) cessioni effettuate nei confronti di soggetti che non agiscono nell’esercizio d’impresa, arti o professioni. All’atto di compravendita deve essere allegata la dichiarazione con cui il cessionario dichiara al cedente di non agire nell’esercizio di impresa arte o professione; d) cessioni effettuate esercitando il diritto di opzione per l’assoggettamento ad IVA27.
Possono accedere a tale opzione tutti i soggetti passivi d’imposta che non ricadono nei casi sopraelencati. La scelta per il regime di imponibilità deve essere riportata nell’atto di compravendita. Analogamente a quanto previsto per le cessioni, il regime di esenzione IVA si applica a tutte le locazioni (sia operative che finanziarie) di immobili strumentali con le seguenti eccezioni previste alle seguenti lettere del comma 8-ter: a) locazioni effettuate nei confronti di soggetti passivi d’imposta che hanno diritto ad esercitare la detrazione dell’imposta pagata sugli acquisti in misura inferiore al 25%; b) locazioni effettuate nei confronti di soggetti che non agiscono nell’esercizio d’impresa, arti o professioni e che pertanto non hanno diritto alla detrazione; c) locazioni per cui sia stata esercitata all’atto della stipula del contratto l’opzione per il regime di imponibilità.
27 Come chiarito nella circolare n. 27/2006, in questa ipotesi «la possibilità di optare per il regime di imponibilità (…) riguarda, in sostanza, le cessioni di immobili strumentali effettuate nei confronti dei soggetti passivi di imposta che non subiscono limitazioni se non in via marginale, all’esercizio della detrazione. Per le cessioni effettuate nei confronti di questi soggetti, in assenza di un’espressa manifestazione di volontà di applicare l’imposta, da riportare in atto, è previsto, quale regime naturale dell’operazione, quello di esenzione dall’IVA. L’opzione per l’imponibilità, essendo vincolata all’atto di trasferimento, ha effetto per le sole cessioni contemplate nell’atto stesso».
8. HOLDING E IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO
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Per una più agevole consultazione riassumiamo nella tavola 8.1 i principali obblighi tributari connessi alle cessioni e locazioni di immobili secondo la nuova normativa. Trascuriamo di evidenziare eventuali agevolazioni previste da discipline specifiche (come, ad esempio, le agevolazioni «prima casa» in quanto qui non rilevanti). Tavola 8.1 Altre imposte CESSIONI
Cedente
Cessionario
Regime IVA dirette
Impresa che ha costruito o ristrutturato l’immobile e Irrilevante lo cede entro 4 anni da fine lavori Di immobili
strumentali
Impresa di cui sopra che cede dopo 4 anni dalla fine dei lavori. Altri soggetti passivi IVA
Imponibile IVA
Privato o soggetto passivo IVA Imponibile con diritto alla detrazione < 25%
Registro 168 € Ipotecaria 3% Catastale 1%
Altri soggetti passivi IVA Esente un Altri soggetti aventi Imponibile diritto alla passivi IVA per opzione detrazione > = 25% Impresa che ha costruito o ristrutturato l’immobile e Irrilevante lo cede entro 4 anni da fine lavori
Imponibile
Registro 168 € Ipotecaria 168 € Catastale 168 €
Impresa di cui sopra che cede dopo 4 anni dalla Irrilevante fine dei lavori; Altri soggetti passivi IVA
Esente
Registro 7% Ipotecaria 2% Catastale 1%
Di immobili abitativi
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IL REGIME FISCALE DELLE SOCIETÀ HOLDING
LOCAZIONI (anche finanziarie)
Locatore
Di immobili
Privato o soggetto S o g g e t t o passivo IVA Imponibile con diritto alla passivo IVA detrazione < 25%
strumentali
Di immobili abitativi
8.1.5
Conduttore
Regime IVA
Imposta registro
di
1%
Esente S o g g e t t o Altri soggetti Imponibile passivo IVA passivi IVA per opzione S o g g e t t o Irrilevante passivo IVA
Esente
2%
Holding che svolgono attività esenti e attività imponibili Se l’attività tipica delle holding è naturalmente esente da IVA, con conseguente indetraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti, non è tuttavia raro che le holding effettuino altre attività imponibili nei confronti delle società controllate o verso terzi. In tali casi risulta applicabile il comma 5 dell’art. 19, secondo cui «ai contribuenti che esercitano sia attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione sia attività che danno luogo ad operazioni esenti ai sensi dell’art. 10, il diritto alla detrazione spetta in misura proporzionale» secondo il meccanismo cosiddetto del pro-rata generale di detraibilità»28 .
28 Il quinto comma dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/72 disciplina la detrazione in base ad un pro-rata di detraibilità per settori di attività, prevedendo nello specifico che qualora il soggetto passivo eserciti sia attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione sia attività che danno luogo ad operazioni esenti, il diritto alla detrazione deve essere esercitato proporzionalmente alla prima categoria di operazioni, sulla base di una percentuale di detraibilità calcolata secondo i criteri stabiliti dall’art. 19-bis del decreto IVA. Come evidenziato dalla stessa dottrina – cfr. M. Giorgi. op. cit., p. 426 – «le nuove regole sul pro-rata trasformano il pro-rata da criterio di determinazione della quota di imposta indetraibile in criterio di determinazione dell’imposta detraibile e limitano il suo ambito di applicazione ai soggetti che esercitano sia attività esenti che attività imponibili o equiparate. Infatti, mentre il previgente art. 19, terzo comma, prevedeva l’applicazione del pro-rata in riferimento all’effettuazione di operazioni esenti, in base alla nuova formulazione della disposizione la regola del pro-rata si applica se il soggetto passivo esercita sia attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione sia attività che danno luogo ad operazioni esenti». Inoltre, l’Autore evidenzia anche come il riferimento all’esercizio di attività è stato inserito a seguito di un suggerimento della Commissione parlamentare dei Trenta e che «tale riferimento dovrebbe significare che l’occasionale effettuazione di operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione da parte di un soggetto passivo che esercita un’attività
8. HOLDING E IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO
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Il pro-rata di detraibilità è di natura generale e colpisce tutti i beni e servizi acquistati dalla holding; ovviamente perché possa applicarsi tale regime di detrazione è necessario che la holding svolga diverse attività, di cui almeno una imponibile IVA. Viceversa ove venga svolta una unica attività esente e alcune operazioni imponibili, il pro-rata non troverà applicazione e l’IVA direttamente riferibile alle operazioni imponibili potrà essere detratta secondo il principio della afferenza di cui al paragrafo precedente. Il pro-rata si determina seconda la seguente formula: PD = OI + OA / OI + OA + OE dove: PD: percentuale di detraibilità; OI: operazioni imponibili; OA: operazioni assimilate alle imponibili con diritto a detrazione; OE: operazioni esenti.
esente non determina l’applicazione del pro-rata, così come l’occasionale effettuazione di operazioni esenti da parte di un soggetto passivo che esercita essenzialmente un’attività che dà luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione non determina l’applicazione del pro-rata». Su tale tema, cfr. in dottrina anche E. Fazzini, op. cit., pp. 84 ss.; D. Stevanato, op. cit., pp. 154 ss.; N. Forte, F. Costanzo, Il riordino delle detrazioni IVA secondo le regole della VI direttiva UE, in Il Fisco, 1997, pp. 11183 ss.; G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, 1997, pp. 462 ss.; M. Basilavecchia, Aspetti della limitazione della detrazione in presenza di operazioni esenti nell’imposta sul valore aggiunto (profili sostanziali e procedimentali), in Giur. It., 1986, III, pp. 11 ss.; M. Giordano, V. Viola, Prime considerazioni sul decreto legislativo 2 settembre 1997 n. 313 relativo al riordino dell’IVA in conformità ai principi fissati dalla VI direttiva comunitaria, in Boll. trib., 1997, pp. 1438 ss.; L. Salvini, La detrazione nella sesta direttiva e nell’ordinamento interno: principi generali, in AA.VV., Studi in onore di Victor Uckmar, Padova, 1997, pp. 1073 ss. Sul punto si veda anche la circolare ministeriale n. 328/1997 citata. Inoltre, sulle particolari modalità di calcolo del pro-rata cfr. le sentenze della Corte di Giustizia 22 giugno 1993, causa C-333/91, «Sofitam», e 11 luglio 1996, causa C-306/94, «Dauphinoise». Nell’ambito del comma 5 dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/72 l’enfasi attribuita dal Legislatore alla locuzione «attività che danno luogo ad operazioni esenti», anziché, come nella precedente formulazione della norma, «all’effettuazione di operazioni esenti», dovrebbe indurre a ritenere che la regola del pro-rata non sia applicabile qualora il soggetto passivo effettui una delle due tipologie di operazioni contemplate dalla norma in via occasionale e, quindi, in assenza di sistematicità. Cfr. in dottrina su tale aspetto D. Stevanato, op. cit., pp. 174 ss. il quale evidenzia che «anche in relazione al concetto di «occasionalità» o, specularmente a quello di «sistematicità» nell’effettuazione di operazioni esenti, possono essere mossi gli stessi rilievi critici già avanzati riguardo alla nozione di «attività»: potrebbe cioè in molti casi residuare una zona di incertezza circa il carattere «occasionale» o meno delle operazioni esenti, e per conseguenza circa la stessa applicabilità della regola del pro-rata».
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IL REGIME FISCALE DELLE SOCIETÀ HOLDING
Dal calcolo del pro-rata generale di detrazione sono escluse tra l’altro: • • • • • • •
le cessioni di beni ammortizzabili; i passaggi interni tra attività separate; le cessioni di denaro o crediti in denaro; le cessioni e i conferimenti di aziende o rami di esse in società; le cessioni di campioni gratuiti di modico valore appositamente contrassegnate; i passaggi di beni in dipendenza di fusioni, scissioni o trasformazioni di società; le cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza il diritto alla detrazione totale dell’imposta (art. 10, n. 27-quinquies, del D.P.R. n. 633/1972); • le operazioni esenti di cui ai punti da 1 a 9 dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972 quando non sono oggetto dell’attività propria o sono accessorie ad operazioni imponibili. L’imposta riferibile esclusivamente ad operazioni esenti per attività non propria è integralmente indetraibile (art. 19-bis, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972).
Nel corso del primo anno di attività, i soggetti interessati utilizzano un pro-rata di detraibilità presunto, salvo effettuare il conguaglio finale con la dichiarazione annuale. A partire dall’anno successivo, il contribuente dovrà provvisoriamente applicare la percentuale di detraibilità dell’anno precedente, salvo poi effettuare il conguaglio in sede di dichiarazione annuale (art. 19-bis, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972). Il pro-rata definitivo dell’anno precedente deve essere utilizzato fin dalla liquidazione di gennaio o del primo trimestre, anche se non è ancora decorso il termine di presentazione della dichiarazione. Va osservato che secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia nella sentenza «Berginvest»29 citata dal denominatore del pro-rata di detrazione bisogna escludere l’ammontare dei dividendi (ovvero degli interessi versati dalle società partecipate alla holding indipendenza di prestiti a queste concessi30) corrisposti alla holding – soggetto passivo ai fini IVA per lo svolgimento di altre attività – dalle proprie controllate. Innanzitutto, ci sembra interessante evidenzia-
29 Per un commento alla sentenza «Berginvest» cfr. in dottrina R. Fanelli, Dividendi e interessi attivi non alterano il «pro-rata» di una holding, in Corr. Trib., n. 5/2001, pp. 371 ss. 30 In particolare, nel punto 32 della sentenza citata viene chiarito che gli interessi versati dalle società partecipate alla holding in ragione dei prestiti che essa ha loro concesso, quando tali operazioni di prestiti non costituiscono un’attività economica della holding devono essere esclusi dal denominatore della frazione utilizzata per il calcolo del pro-rata. Al riguardo, va osservato che secondo quanto previsto dal secondo comma dell’art. 19-bis del D.P.R. n. 633/72 tali proventi non concorrono alla determinazione del pro-rata di detraibilità quando non formano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo o siano accessorie alle operazioni imponibili.
8. HOLDING E IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO
291
re il punto 28 della sentenza in oggetto, dal momento che la Corte di Giustizia chiarisce che affinché l’attività di una holding, consistente nel mettere un capitale a disposizione delle sue consociate possa essere considerata un’attività economica occorre che: 1. non sia esercitata soltanto a titolo occasionale; 2. non sia limitata alla gestione di un portafoglio di investimenti come se si trattasse di un investitore privato, essendo a tal fine necessario che tale attività sia effettuata nell’ambito di un obiettivo imprenditoriale, ovvero commerciale, il cui aspetto qualificante sia costituito dall’intenzione di garantire la redditività del capitale investito31. Inoltre, i giudici comunitari continuano la loro analisi osservando (in particolare nel punto 21) che non costituendo il corrispettivo di alcuna attività economica la riscossione dei dividendi non rientra nel campo di applicazione dell’IVA, con la conseguenza che i dividendi derivanti dal possesso di partecipazioni non rientrano nel sistema dei diritti a detrazione. Secondo la Corte tale esclusione è giustificata da alcune caratteristiche dei dividendi: in primo luogo, viene osservato che l’attribuzione alla holding di questi presuppone di regola l’esistenza di profitti da distribuire e dipende quindi dal risultato dell’esercizio societario. Inoltre, come si legge nel punto 22 della sentenza «il pro-rata del dividendo viene determinato in funzione del tipo di partecipazione, in particolare delle categorie di azioni, e non in ragione dell’identità del possessore di tale o talaltra partecipazione. Occorre, infine, rilevare che i dividenti rappresentano, per la loro stessa natura, il frutto della partecipazione in una società e discendono dalla mera proprietà del bene». Per quanto l’affermazione secondo cui i dividendi percepiti dalla holding devono essere esclusi dal calcolo del pro-rata non sembra porre particolare dubbi interpretativi, si ritiene comunque utile osservare che la stessa Corte di Giustizia già dal 1994 con la sentenza «Tolsman» (del 3 marzo 1994, causa C-16/93) aveva avuto modo di chiarire che la riscossione dei dividendi non rientrava nel campo di applicazione dell’imposta con la conseguenza, quindi, che i dividendi percepiti a seguito della detenzione della partecipazione non rientravano nel sistema delle detrazioni. Su tale aspetto, autorevole dottrina32 dopo aver opportunamente chiarito che «viene a perdere rilevanza ai fini dell’IVA l’attività consistente del possesso,
31 Nel punto 30 della sentenza in commento viene altresì chiarito che il mero reinvestimento da parte della holding dei dividendi da questa percepiti dalle proprie società partecipate – che sono essi stessi esclusi dall’ambito di applicazione dell’IVA – in prestiti a favore di quest’ultime non costituisce mai un’attività imponibile. Gli interessi su tali prestiti devono essere invece considerati come i frutti della mera proprietà del bene e non rientrano quindi nel sistema della detrazione. 32 Cfr. F. Reggi, IVA 2000, Il Sole 24 Ore, p. 67.
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non strumentale né accessorio ad altre attività esercitate (sottolineatura aggiunta) di partecipazioni o quote sociali, di obbligazioni o titoli similari alle obbligazioni (…), costituenti immobilizzazioni al fine di percepire i dividendi, interessi e altri frutti, senza strutture dirette ad esercitare attività finanziarie ovvero di indirizzo, coordinamento o altri interventi nella gestione delle società partecipate» (corsivi aggiunti) ha evidenziato come «una società di mera gestione finanziaria che possieda azioni o quote solo al fine di partecipare agli utili sociali, mantiene la soggettività passive dell’imposta, ma perde il diritto alla detrazione dell’IVA perché dette attività di gestione finanziaria non sono considerate attività commerciali». 8.1.6
La separazione facoltativa delle attività nelle holding In alternativa all’obbligo di applicazione unitaria e cumulativa dell’IVA sul volume d’affari complessivamente realizzato, le holding che esercitano più attività possono optare per l’applicazione separata dell’imposta in relazione alle diverse attività esercitate. Le ragioni per optare per la separazione della contabilità sono da ricercarsi nella limitazione del diritto alla detrazione dell’IVA corrisposta sugli acquisti per effetto del pro-rata che, avendo carattere generale, colpisce tutti gli acquisti effettuati e non solo quelli relativi all’attività esente, viceversa, con la separazione dell’attività la holding potrà detrarre l’IVA sugli acquisti relativi all’attività imponibile. La separazione può essere effettuata in relazione alle diverse attività classificate nelle categorie economiche che formano l’elenco dei codici di attività, pertanto in linea generale non è possibile separare attività rientranti nel medesimo codice. Con riferimento alle imprese immobiliari, la separazione delle attività è possibile, (sempre identificabili da distinti codici attività), in relazione all’esercizio congiunto delle seguenti attività: • lavori generali di costruzione e affini; • compravendita di beni immobili; • locazione di beni immobili. Nell’ambito delle attività di locazione immobiliare, l’ultimo periodo del terzo comma dell’art. 36 del D.P.R. n. 633/1972 prevede, inoltre, la possibilità di separare (ancorché ricomprese nell’ambito dello stesso codice attività) le sub-attività relative alle: • locazioni (operative e finanziarie) esenti da IVA di fabbricati (o porzione di fabbricati) a destinazione abitativa, con detrazione esclusa o ridotta ai sensi dell’art. 19, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972; • locazioni (operative e finanziarie) di altri fabbricati, imponibili a IVA.
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L’opzione per l’annotazione separata delle attività deve essere comunicata all’Agenzia delle Entrate nella dichiarazione IVA relativa all’anno precedente ovvero, in caso d’inizio dell’attività, nella apposita dichiarazione. Essa ha effetto fino a revoca e in ogni caso per almeno un triennio, decorso il quale s’intende rinnovata per ciascun anno successivo. Secondo quanto previsto dal D.M. 10 dicembre 1997, n. 442, la validità dell’opzione e dei successivi rinnovi è subordinata unicamente alla sua concreta attuazione, quale si desume dal comportamento concludente del contribuente. La comunicazione eventualmente omessa, tardiva o irregolare non incide sulla validità dell’opzione. Anche la revoca deve essere comunicata all’Ufficio nella dichiarazione annuale relativa all’anno precedente a quello in cui si intende revocare l’opzione e ha effetto dall’anno in corso. In tutti i casi di applicazione separata dell’IVA occorre attenersi per ciascuna attività separata ad un criterio di autonomia fiscale nell’adempimento degli obblighi che assumono rilevanza ai fini della determinazione dell’imposta. Pertanto, fermo restando il principio della unitarietà del soggetto d’imposta per l’attività separata, si deve procedere: 1) alla tenuta dei registri IVA (vendite, corrispettivi, acquisti di cui agli artt. 23, 24 e 25 del D.P.R. n. 633/1972) distinti; 2) alla fatturazione delle operazioni con adozione di una distinta serie numerica per ciascuna attività; 3) all’annotazione delle operazioni riferibili alla attività separata nei registri di cui al precedente punto 1; 4) alla distinta liquidazione dell’imposta con separato calcolo dell’IVA detraibile. Dall’unitarietà del soggetto d’imposta, consegue l’unicità della liquidazione e del versamento dell’imposta con compensazione tra le situazioni debitorie e creditorie delle diverse attività facendo riferimento (nel caso di separazione facoltativa) ai fini dell’individuazione della periodicità delle liquidazioni e dei relativi versamenti, al volume d’affari complessivo di tutte le attività esercitate. Nel caso di acquisti di beni ammortizzabili33 e servizi utilizzati promiscuamente per l’attività separata e per le altre attività, la detrazione è ammessa applicando le regole in tema di detraibilità, separatamente per ciascuna attività e nei limiti della quota dei beni e servizi imputabili a ciascuna attività. Per individuare la parte imputabile a ciascuna attività separata il riferimento al rapporto fra i rispettivi volumi di affari (criterio residuale) non può essere consentito qualora il contribuente sia in grado di determinare, in modo puntuale la misura con cui i beni o i
33 La detrazione è esclusa per l’imposta relativa ai beni non ammortizzabili utilizzati promiscuamente (Agenzia delle Entrate, ris. 13 marzo 1991, n. 320810).
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servizi acquistati risultino utilizzati per l’esercizio dell’attività separata. Con riferimento ai criteri che la holding può utilizzare per determinare la quota parte del costo (e, quindi, della relativa imposta) imputabile all’una o all’altra attività, l’Amministrazione finanziaria34, con riferimento alla ripartizione dei costi generali riferibili a beni e servizi utilizzati promiscuamente per le diverse attività, ha ritenuto ammissibili i criteri seguenti: • • • •
illuminazione e riscaldamento: metri quadrati dei locali occupati; spese telefoniche: numero fisso degli apparecchi; cancelleria e stampati: riferimento ai consumi; spese di pubblicità, rappresentanza e costi relativi al centro elaborazione dati: riferimento al volume di affari.
L’imputazione a ciascuna attività, anche al fine di agevolare eventuali controlli, potrà risultare da una fattura interna con addebito dell’IVA, con la conseguenza che se la destinataria della fattura è un’attività esente non potrà essere operata la detrazione dell’IVA risultante dalla fattura stessa (circ. 22 maggio 1981, n. 18/331568). I passaggi di beni tra attività separate devono essere regolarmente assoggettati ad IVA con obbligo, quindi, di fatturazione con riferimento al loro valore normale e di annotazione nei registri IVA entro lo stesso mese. In relazione ai principali adempimenti dichiarativi, la normativa prevede che i contribuenti che hanno tenuto la contabilità separata devono presentare un unico modello di: • comunicazione annuale riepilogativo di tutte le attività gestite con contabilità separate; • dichiarazione annuale compilando, oltre al frontespizio (unico), tanti moduli quante sono le contabilità separate. 8.1.7
Rettifica della detrazione Il rispetto dei principi generali sottostanti al meccanismo della detrazione comporta la necessità di rettificare la detrazione operata qualora intervengano, successivamente all’acquisto dei beni/servizi, modificazioni dei presupposti per i quali la stessa è stata effettuata35. Si pensi, ad esempio, a quelle situazioni nelle
34 Cfr. ris. 29 dicembre 1990, n. 450565. 35 Per un approfondimento sulla rettifica della detrazione, cfr. in dottrina, E. Fazzini, op. cit., pp. 91 ss.; D. Stevanato, op. cit., pp. 193 ss.; M. Giorgi, op. cit., pp. 461 ss., nonché l’ampia bibliografia richiamata sul punto da tale Autore.
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quali la correlazione dell’acquisto di un determinato bene alle operazioni a valle non può essere verificata in sede di effettuazione della transazione. In tali casi, nella ragionevole possibilità che l’acquisto sia riferibile ad operazioni esenti, l’IVA non verrà detratta dalla holding, salvo poi procedere a rettifica, qualora, successivamente, si accerti la destinazione o l’utilizzo dell’acquisto a operazioni imponibili o soggette ad IVA. Tale principio si applica anche nell’ipotesi opposta in cui una società, avendo detratto l’imposta in quanto esercitava una attività imponibile, modifichi la propria operatività trasformandosi in una holding, immobiliare o finanziaria, che svolge (anche) una attività esente. La rettifica delle detrazione opera quindi come meccanismo di salvaguardia dei principi generali di correlazione dell’imposta assolta sugli acquisti con le operazioni a valle. La relativa disciplina è contenuta nell’art. 19-bis2 del D.P.R. n. 633/1972 e prevede, in generale, l’obbligo per il contribuente di rettificare entro determinati termini, la detrazione d’imposta effettuata qualora: • si verifichi un cambio nella destinazione dei beni e/o servizi acquistati; • si verifichi una variazione del regime di applicazione dell’imposta; • avvengano variazioni del pro-rata generale di detraibilità. La disciplina tratta distintamente i servizi, i beni non ammortizzabili e quelli ammortizzabili (tra cui anche le immobilizzazioni immateriali), precisando che non sono da considerare beni ammortizzabili: • i beni di valore unitario inferiore a 516,46 euro; • i beni il cui coefficiente di ammortamento stabilito ai fini delle imposte sul reddito sia superiore al 25%. La rettifica deve essere effettuata nella dichiarazione IVA relativa all’anno in cui si verificano gli eventi che la determinano, sulla base delle risultanze delle scritture contabili obbligatorie. Beni non ammortizzabili e servizi Nel caso di beni non ammortizzabili e servizi, la rettifica della detrazione operata in precedenza deve avvenire nei seguenti casi: • prima utilizzazione del bene o del servizio diversa rispetto a quella originariamente considerata, sempre che detto diverso utilizzo implichi un diritto alla detrazione in misura differente (mutamento della destinazione/utilizzo); • variazione della misura o dei criteri di applicazione della detrazione dell’imposta, originata da eventi di ordine generale (mutamento di regime).
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Sono esclusi dall’obbligo di rettifica gli acquisti di beni e servizi utilizzati promiscuamente per i quali è stata applicata una detrazione parziale per la presenza di operazioni esenti. In questi casi, infatti, si applica il pro-rata di detraibilità. La rettifica può generare un maggior debito o un maggior credito d’imposta. Nel primo caso, il debito dovrà essere saldato con la prima liquidazione periodica (mensile o trimestrale) dell’anno in cui opera il nuovo regime di detrazione. Il credito d’imposta può essere contabilizzato a partire dalla prima liquidazione periodica dell’anno fino al termine massimo previsto per l’esercizio della detrazione, vale a dire il secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto. Beni ammortizzabili Sono da considerarsi beni ammortizzabili, ai fini in esame: • i beni materiali e immateriali (in base a quanto previsto dagli artt. 102 e 103 del D.P.R. n. 917/1986) di valore unitario superiore a 516,46 euro la cui percentuale di ammortamento fiscalmente ammessa non superi il 25%; • i fabbricati (o loro porzioni) e le aree fabbricabili. Nel caso di beni ammortizzabili viene previsto l’obbligo di rettifica della detrazione, oltre che nei casi di mutamento di regime o di utilizzo, anche nell’ulteriori ipotesi di variazione del pro-rata generale di detrazione. Sul punto, il comma 4 dell’art. 19-bis2, prevede, che coloro che applicano il meccanismo del pro-rata generale per determinare la quota detraibile di imposta assolta sugli acquisti, devono operare la rettifica dell’imposta detratta in occasione dell’acquisto di beni ammortizzabili qualora, nei quattro anni successivi all’entrata in funzione dei beni, la percentuale di detrazione subisca una variazione (in aumento o in diminuzione) maggiore di 10 punti percentuali. Per i fabbricati e le aree edificabili, il periodo soggetto a rettifica è aumentato a dieci anni decorrenti dalla data di acquisto o di ultimazione del fabbricato insistente sull’area stessa. La rettifica è operata dal contribuente in sede di dichiarazione annuale incrementando o decrementando l’imposta portata in detrazione nella misura di un quinto (o di un decimo) della differenza tra l’imposta originariamente detratta e l’imposta detraibile nell’anno. Relativamente all’ipotesi di mutamento nell’utilizzo è prevista la rettifica della detrazione (da integralmente detraibile a interamente indetraibile e viceversa) nelle seguenti ipotesi che possono essere alternative o cumulative:
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• quando il differente utilizzo si verifica al primo impiego; • quando il differente utilizzo si verifica nei quattro anni successivi a quello della loro entrata in funzione; • quando il differente utilizzo si verifica nei nove anni successivi a quello dell’acquisto o dell’ultimazione, nel caso di fabbricati e aree edificabili. Nel primo caso la rettifica della detrazione riguarda l’intera imposta inizialmente assolta, negli altri casi la rettifica della detrazione operata con l’entrata in funzione del bene deve avvenire con il recupero (in più o in meno) nei quattro o nove anni successivi di tanti quinti o decimi d’imposta quanti sono gli anni interi mancanti al compimento del quinquennio o del decennio. Decorsi i cinque anni (o i dieci anni per i fabbricati e le aree edificabili) non deve essere più operata alcuna rettifica della detrazione. La norma parla di rettifica da operare in rapporto al diverso utilizzo senza specificare il corretto comportamento che deve essere tenuto per mutamenti in corso d’anno. In base al testo letterale della norma la rettifica deve avvenire per tanti quinti d’imposta quanti ne mancano al compimento del quinquennio, potendo, dunque, conteggiare anche l’anno nel quale interviene il diverso utilizzo.
Esempio
Un bene ammortizzabile è stato acquistato nel 2008. L’imposta assolta sull’acquisto, pari a 10.000 euro, è stata detratta per 6.000 euro sulla base del pro-rata generale di detraibilità del medesimo anno pari al 60%. La percentuale di detraibilità relativa all’anno 2009, pari al 75%, quindi superiore a 10 punti percentuali rende obbligatoria la rettifica della detrazione operata nel 2008, come segue: - detrazione teorica per l’anno 2009: - detrazione originaria: - differenza:
10.000 x 75% = 10.000 x 60% =
7.500 6.000 1.500
Il contribuente ha quindi diritto a una detrazione di 300 euro, pari ad un quinto di 1.500. Nel corso del 2009, il bene è stato venduto al prezzo di 3.500 più IVA. Occorre recuperare i tre anni che residuano per il compimento del quinquennio con un pro-rata del 100%, come segue: - detrazione teorica per gli anni dal 2010 al 2012: - detrazione originaria: - differenza:
10.000 x 100% = 10.000 10.000 x 60% = 6.000 4.000
Il contribuente ha quindi diritto ad un’ulteriore detrazione di 2.400 euro, pari a tre quinti di 4.000. In sede di dichiarazione per il 2009, il contribuente potrà complessivamente detrarre l’importo di 2.700 euro (300 + 2.400).
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8.1.8 L’IVA assolta sugli acquisti relativi all’esercizio dell’attività finanziaria. Spunti
di riflessione alla luce delle interpretazioni giurisprudenziali comunitarie
L’attività in concreto esercitata dalla holding (mera detenzione/gestione attiva delle partecipazioni) determina anche la sorte dell’IVA assolta in via di rivalsa dalla holding sugli acquisti di beni e servizi necessari per l’esercizio dell’attività. Nel caso in cui la holding eserciti una attività di gestione e coordinamento effettivamente apprezzabile, ovvero un’interferenza diretta o indiretta nella gestione delle società partecipate si applicheranno le regole generali in tema di detrazione, in coerenza con i principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea in precedenza menzionati, secondo la quale l’esistenza del diritto alla detrazione esiste nel caso in cui si trovi un nesso diretto immediato con operazioni a valle che conferiscono il diritto alla detrazione. Viceversa, nel caso in cui tale nesso non sia determinabile, ovvero gli acquisti siano relativi alla sola detenzione delle partecipazioni il tema della detrazione della relativa imposta diventa più complesso in considerazione del divieto posto dall’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972 circa la detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti relativi a operazioni esenti o escluse da imposta. A tal fine significativo è l’orientamento interpretativo elaborato dalla Corte di Giustizia che come noto, in considerazione della natura comunitaria dell’imposta sul valore aggiunto, rappresenta un importante punto di riferimento nell’interpretazione delle norme nazionali. Innanzitutto va evidenziato come per costante giurisprudenza della Corte di Giustizia le operazioni relative ad azioni o partecipazioni in una società rientrano nella sfera di applicazione dell’IVA quando vengono effettuate nell’ambito di una attività ulteriore rappresentata dalle prestazione di servizi alle società partecipate, rispetto ai quali il possesso della partecipazione assume un carattere strumentale. In altri termini, come chiarito nelle sentenze «Cibo Participations» e «Floridienne» citate, nonché dalla stessa dottrina36 «la partecipazione detenuta dalla holding nelle società partecipate deve essere strumentale all’effettuazione di operazioni che non potrebbero essere effettuate senza il controllo esercitato attraverso la partecipazione» come avviene, ad esempio, per i servizi di natura amministrativa che la holding fornisce alle proprie società controllate. Tale principio è stato accolto dalla nostra Amministrazione finanziaria nella circolare n. 328/1997 citata nella quale è stato evidenziato al punto 1.2.3 che «viene così a perdere rilevanza, ai fini dell’IVA, l’attività consistente nel “possesso, non strumentale né accessorio ad altre attività esercitate di partecipazioni o quote sociali, di obbligazioni o titoli similari, costituenti immobilizzazioni, al fine di percepire i dividendi, interessi o altri frutti, senza strutture dirette ad esercitare attività finan-
36 Cfr. M Giorgi, op. cit., pp. 305 ss.
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ziarie, ovvero attività di indirizzo, di coordinamento o altri interventi [di carattere gestionale, ovvero finanziario] nella gestione delle società partecipate”» Inoltre, come si legge nel punto 60 delle conclusioni dell’Avvocato generale nel caso «AB SKF» citato «il diritto alla detrazione esiste nel caso in cui l’operazione presenti un nesso diretto e immediato con una o più operazioni a valle che conferiscono il diritto alla detrazione. Se ciò non si verifica, occorre esaminare se le spese effettuate per acquisire beni o servizi a monte facciano parte delle spese generali collegate all’insieme delle attività economiche del soggetto di imposta». E ancora, il punto 73 delle medesime conclusioni evidenzia il principio secondo cui «il diritto alla detrazione dell’IVA pagata a monte sulle prestazioni effettuate ai fini di una cessione di azioni è attribuito se sussiste un nesso diretto e immediato tra le spese collegate alle prestazioni a monte e il complesso delle attività economiche del soggetto di imposta»37. Nella sentenza «Cibo Participations» citata la Corte di Giustizia ha poi chiarito (punto 35) che «le spese sostenute da una holding per i vari servizi da essa acquistati nell’ambito di una assunzione di partecipazione in una controllate fanno parte delle sue spese generali e presentano, quindi, in via di principio, un nesso immediato e diretto con il complesso della sua attività economica». Sulla base quindi degli indirizzi interpretativi elaborati della Corte di Giustizia, peraltro al momento non recepiti in un apposito intervento interpretativo nazionale38, vi sono dunque utili elementi per argomentare circa la sussistenza del diritto alla detrazione dei costi in discussione in quanto (i) direttamente connessi alla prestazione di servizi imponibili (ii) rientranti nel novero delle spese generali39 e quindi riferibili all’unica attività imponibile svolta dalla holding.40 Per completezza, si ritiene utile evidenziare che la Corte di Giustizia secondo un
37 Le conclusioni dell’Avvocato generale riportate sono state recepite nella sentenza della Corte di Giustizia 20 ottobre 2009, causa C-29/08, «AB SKF», ai punti 60 e 73. 38 Aspetto questo del quale a nostro avviso occorrerà tenere opportunamente conto. 39 In passato, la Corte di Giustizia aveva qualificato le spese sostenute dalla società holding relative al possesso (rectius: cessione) di partecipazioni come spese generali nella sentenza 8 giugno 2000, C-396/98 «Breitsohl», nonché nella sentenza 4 maggio 2006, causa C-169/04, «Abbey National Plc and Inscape Investment Fund». In particolare, in tale ultima sentenza i giudici comunitari hanno ritenuto che le spese sostenute per effettuare una cessione di azienda vanno qualificate come spese generali del soggetto passivo e, quindi, sono state ritenute detraibili. Malgrado il collegamento tra dette spese e l’operazione di gestione d’azienda (che, come noto, è esclusa dal campo di applicazione dell’IVA) è stato evidenziato il carattere strumentale degli acquisti rispetto all’attività economica esercitata. Cfr. al riguardo, in dottrina, T. Tassani, op. cit., p. 64. 40 In tale ricostruzione interpretativa l’attività imponibile è rappresentata dai servizi prestati dalla holding; il possesso della partecipazione, in quanto strumentale alla prestazione dei servizi in parola, non potrebbe dare luogo ad una autonoma attività esente, impedendo quindi l’applicazione del pro-rata.
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orientamento oramai consolidato ha ritenuto che gli atti preparatori, o meglio le attività preparatorie delle holding41, devono ritenersi parte integrante delle attività economiche. Significativa al riguardo ci sembra essere la sentenza «Rompelman» citata nella quale si è avuto modo di chiarire che le prime spese di investimento sostenute ai fini dell’esercizio di un’impresa sono considerate un’attività economica; tale chiarimento ci sembra di notevole importanza, dal momento che a nostro avviso l’attività economica non ha inizio solamente nel momento in cui l’attività di impresa viene concretamente esercitata, ma deve comprendere anche tutti quegli atti, preparatori ovvero di organizzazione, che in quanto indispensabili per lo svolgimento di una determinata attività economica ne costituiscono parte integrante. Tale principio sembra aver trovato accoglimento anche a livello giurisprudenziale, nonché interpretativo. Infatti, la Corte di Cassazione già nella sentenza depositata il 21 dicembre 1999 n. 1435042 aveva avuto modo di precisare che «anche gli atti preparatori di organizzazione (cioè diretti a porre le premesse indispensabili per lo svolgimento di una determinata attività economica) costituiscono parte integrante dell’attività imprenditoriale, anche perché tali atti non cessano con l’inizio concreto dell’attività di impresa ma continuano a svolgersi per tutta la durata di quest’ultima, intrecciandosi con il compimento dei singoli atti di gestione». Va altresì evidenziato che la stessa Amministrazione finanziaria nella circolare n. 328/1997 citata ha chiarito che il contribuente, ai fini dell’esercizio del diritto di detrazione non deve attendere l’effettiva utilizzazione dei beni e dei servizi nella propria attività per stabilire se gli competa e possa o meno esercitare tale diritto, essendo a tal fine sufficiente che i beni e servizi siano afferenti, ossia destinati ad essere utilizzati in operazioni che danno o non danno diritto alla detrazione. Inoltre, in detta circolare è stato chiarito che «se dalla valutazione prospettica scaturisce che i beni e servizi medesimi sono normalmente destinati ad essere impiegati in operazioni non soggette all’imposta, il contribuente deve astenersi dall’operare la detrazione dell’imposta inerente a predetti acquisti». Detto in altre parole, il contribuente deve procedere ad una valutazione prospettica del futuro impiego degli stessi beni nell’attività di impresa e procedere ad una eventuale rettifica della detrazione iniziale qualora (nelle parole del Ministero) «si verifichi una discordanza tra le previsioni di impiego dei beni e dei servizi fatta dal contribuente al momento del loro acquisto e la loro effettiva utilizzazione»43.
41 Sulla rilevanza delle attività preparatorie, cfr. in dottrina G. Melis, Atti preparatori, esercizio di attività economica e detrazione IVA, in Riv. Dir. Trib., 1997, pp. 893 ss.; E. Fazzini, op. cit., pp. 33 ss.; M.D. Corrado, Attività preliminari al compimento di operazioni imponibili e detrazione dell’IVA pagata: inammissibilità della sottoposizione a condizioni, in Riv. Dir. Trib., 2000, III, pp. 165 ss. 42 Tale sentenza è stata commentata da S. Donatelli, Il principio di inerenza dei costi in relazione all’attività effettivamente svolta dall’impresa, in Rass. Trib., 6/2009, pp. 1894 ss. 43 Cfr. per una lettura critica di tale interpretazione A. Comelli, IVA Comunitaria e IVA Nazionale, Padova, 2000, in particolare p. 698 e ss.
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Holding e IVA di gruppo L’art 73, ultimo comma, del D.P.R. n. 633/1972, integrato successivamente dal D.M. 13 dicembre 1979, prevede la possibilità di compensare, nell’ambito del gruppo, i crediti e i debiti IVA risultanti dalle liquidazioni periodiche e dal conguaglio di fine anno delle società che costituiscono il gruppo ai fini IVA44. Come noto, la procedura relativa alla liquidazione IVA di gruppo è contenuta nel D.M. 13 dicembre 1979 e prevede che la società controllante presenti all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente un’apposita dichiarazione con cui la stessa indica di avvalersi per il periodo di imposta di detta procedura. In particolare, la liquidazione IVA di gruppo può essere fruita solamente dalle società di capitali, ivi comprese quelle residenti in Paesi comunitari che abbiano una forma giuridica equivalente alle società di capitali di diritti italiano45, operanti in Italia mediante
44 La bibliografia relativa alla c.d. procedura IVA di gruppo è vasta; si confronti, senza pretesa di esaustività, P.M. Tabellini, Gruppi di società, in Digesto Disc. Priv., Sez. Comm., VI, Torino, 1991, pp. 442 ss.; A. Lovisolo, Gruppo di imprese e imposizione tributaria, Padova, 1985, pp. 126 ss.; M. Giorgi, Detrazione e soggettività passiva nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2005, pp. 136 e 137.; C. Fava, Liquidazione IVA di gruppo e società neo costituite, in Rass. Trib., 1997, pp. 85 ss.; R. Acierno, La liquidazione IVA per i gruppi societari, in L’IVA, n. 1/2008, pp. 37 ss.; V. Ficari, La non discriminazione nella liquidazione IVA di gruppo comunitaria, in Corr. Trib., 2003, pp. 788 ss.; G. Gargiulo, Diritto di stabilimento e liquidazione IVA di gruppo, in Dir. Prat. Trib. Int., 2003, pp. 714 ss.; P. Centore, La liquidazione di gruppo al vaglio dei giudici comunitari, in L’IVA, n.8/2007, pp. 14 ss.; id., Il regime dell’IVA di gruppo applicato in Italia è conforme al modello comunitario? in l’IVA n. 10/2009, pp. 39 ss.; P. Centore, V. Cristiano, IVA di gruppo all’italiana, in Fiscalità Internazionale, n. 4/2008, pp. 353 ss.; R. Fanelli, Ancora dubbi sulla garanzia per la controllante dell’IVA di gruppo, in l’IVA, n. 4/2009, pp. 5 ss.; id., Necessaria l’opzione espressa per la liquidazione IVA di gruppo, in Corr. Trib. n. 39 / 2009, pp. 3156 e ss.; A. Santi, Al vaglio della Corte UE la procedura IVA di gruppo, in Corr. Trib., n. 22/2007, pp. 1795 ss.; id., Procedura di gruppo ammessa anche per le società comunitarie, in l’IVA, n. 6/2007, pp. 13 ss.; M. Maiorino, IVA di gruppo: un’interpretazione che viene dall’alto, in Fiscooggi.it del 9 maggio 2007. 45 In particolare, nella risoluzione 21 febbraio 2005, n. 22 (che ha rettificato la presa di posizione espressa in precedenza dall’Amministrazione finanziaria nella risoluzione 6 novembre 2002, n. 347) è stato chiarito che «considerata peraltro la ratio dell’art. 2 del D.M. del 13 dicembre 1979, volta a limitare il beneficio alle sole società di capitali, l’applicazione del regime relativo all’IVA di gruppo deve potersi estendere a tutte la società di capitali, ivi comprese quelle residenti in Paesi comunitari che, alla stregua delle statuizioni vigenti nello Stato di residenza, assumono forme giuridiche equipollenti alle società di capitali di diritto italiano. Tale valutazione di equipollenza o pari rilevanza giuridica dovrà essere effettuata caso per caso, alla luce di un esame comparativo della normativa vigente nello Stato di residenza della singola società comunitaria con quella delle società di capitali richiamate nel citato D.M. 13 dicembre 1979. Resta inteso che, per potere utilizzare la procedura relativa all’IVA di gruppo, la società non residente dovrà far valere non soltanto la predetta equipollenza giuridica, ma anche la ricorrenza degli altri presupposti richiesti dalla norma, compreso il requisito temporale e quello relativo al possesso delle azioni o quote». Nella risoluzione in oggetto è stato inoltre chiarito che «ai fini della partecipazione alla procedura dell’IVA di gruppo e, quindi, del concreto esercizio dei diritti previsti dal D.M. 13 dicembre 1979,
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IL REGIME FISCALE DELLE SOCIETÀ HOLDING
una stabile organizzazione, un rappresentante fiscale ovvero mediante identificazione diretta, le cui azioni o quote siano possedute dall’ente o dalla società controllante o da altra società appartenente alla catena di controllo per una percentuale superiore al 50% del capitale46 sin dall’inizio dell’anno solare precedente a quello interessato dalla procedura47. La procedura di compensazione prevede che i versamenti periodici, mensili e trimestrali, e il conguaglio a fine anno siano effettuati dalla controllante sulla base della somma algebrica dei debiti e dei crediti risultanti dalla liquidazione di tutte le società partecipanti. È quindi conveniente per le società optare per l’IVA di gruppo quando, all’interno del gruppo sono presenti diverse posizioni debitorie e creditorie. In questo modo il credito di alcune società viene utilizzato immediatamente per compensare il debito di altre, ottenendo l’effetto di un istantaneo rimborso dei crediti IVA. Ai sensi del primo comma, dell’art. 2 del D.M. 13 dicembre 1979, la partecipazione al suddetto regime è consentita ai gruppi costituiti da società di capitali partecipate in misura superiore al 50% fin dal 1° gennaio dell’anno antecedente a quello in cui si intende liquidare l’imposta in maniera unitaria. La partecipazione è facoltativa e pertanto le società che non hanno aderito procederanno normalmente ad effettuare tutti gli adempimenti IVA. È irrilevante la presenza nella catena di controllo di società estere che non operano in Italia, ma la normativa prevede l’obbligo di presentare una documentazione da cui risulti la sussistenza dei requisiti per la partecipazione alla procedura. Il ruolo di controllante può essere assunto anche dalle società controllate da un’altra società, a condizione che quest’ultima rinunci a partecipare alla liquidazione IVA di gruppo. Per le società di capitale aventi sede all’estero, la possibilità di applicare la suddetta procedura, subordinata all’esistenza nel territorio dello Stato di una stabile organizzazione, ovvero di una identificazione diretta, ai sensi dell’art. 35-ter del D.P.R. n. 633/1972 o attraverso la nomina di un rappresentate fiscale. La società non residente dovrà, inoltre, far valere la pari rilevanza giuridica
si richiede altresì che i soggetti societari non residenti si siano identificati ai fini IVA in Italia. Tale condizione può essere soddisfatta tramite l’esistenza di una stabile organizzazione ovvero con la nomina di un rappresentante fiscale o mediante l’identificazione diretta ai sensi dell’art. 35-ter del D.P.R. 1972 n. 633». 46 Per quanto riguarda la configurazione del gruppo delle società partecipanti alla liquidazione IVA di gruppo si rimanda ai chiarimenti forniti dall’Amministrazione finanziaria nella circolare del 28 febbraio 1986, n. 16. 47 Con particolare riferimento ai presupposti soggettivi e oggettivi, nonché alle modalità di funzionamento della procedura IVA di gruppo, cfr. in dottrina R. De Pirro, M. Marianna, La liquidazione dell’IVA di gruppo, in Prat. Fisc. Prof., n. 7/2010, pp. 32 ss.; M. Castellani, V. Artina, Liquidazione IVA di gruppo: le modalità per avviare la procedura, in Azienda & Fisco, n. 1/2009, pp. 42 ss.
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alle società di capitali di diritto italiano e la ricorrenza del requisito temporale e quello relativo al possesso delle azioni o quote (cfr. Agenzia delle Entrate, ris. n. 22/2005 citata). 8.2.1
Adempimenti L’ente o la società controllante che decide di avvalersi della facoltà di effettuare le liquidazioni di gruppo deve presentare, tassativamente entro il termine previsto per la liquidazione e il versamento dell’imposta relativa al mese di gennaio (art. 27 del D.P.R. n. 633/1972), l’apposito modello IVA 26 (dichiarazione di avvalersi della procedura IVA di gruppo), sia al proprio ufficio IVA di competenza, sia agli uffici IVA competenti in relazione alle società controllate. Nel modello devono essere indicate sia le società che partecipano all’IVA di gruppo (controllante e controllata) sia, nell’apposita sezione B, le società che pur non partecipandovi, concorrono a formare la catena di controllo (ad esempio la controllante che rinuncia e/o le controllate intermedie). La dichiarazione ha validità per l’anno solare ed è vincolante per l’interno anno per tutte le società partecipanti. Tuttavia, se nel corso dell’anno viene a mancare uno dei requisiti necessari per appartenere all’IVA di gruppo, tale variazione ha effetto dalla liquidazione periodica relativa al mese o al trimestre nel corso del quale si è verificata. Le variazioni intervenute nel gruppo nel corso dell’anno, devono essere comunicate entro 30 giorni agli uffici IVA competenti attraverso il modello IVA 26-bis. Da un punto di vista operativo è previsto che: • i saldi risultanti dalle liquidazioni periodiche di ciascuna controllata siano trasferiti alla capogruppo, tramite apposita annotazione sui registri di ciascuna società. Non può tuttavia essere trasferito al gruppo il credito IVA vantato da una società prima dell’esercizio in cui ha aderito al regime; • la capogruppo è tenuta ad istituire un apposito registro in cui verranno annotate le risultanze dei trasferimenti ed effettuate le liquidazione periodiche per il gruppo nel suo complesso, provvedendo successivamente a versare l’eventuale saldo a debito nelle scadenze ordinarie; • tutte le società aderenti alla liquidazione di gruppo presentano autonomamente la propria comunicazione dati annuale e la propria dichiarazione, senza nessun allegato, in via telematica direttamente oppure tramite intermediari abilitati. La società controllante è inoltre tenuta alla presentazione di appositi prospetti riepilogativi (Mod. IVA 26/LP e IVA 26/PR). Le singole società partecipanti alla liquidazione di gruppo (inclusa la controllante) devono prestare apposite garanzie per i crediti trasferiti, che sono stati effettivamente compensati con i debiti IVA apportati da altre società partecipanti
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alla procedura. Alla capogruppo spetta, inoltre, l’onere di fornire la garanzia per l’eventuale eccedenza di credito riferibile al gruppo esistente nell’anno precedente, compensata nel periodo d’imposta in corso.